La colonizzazione greca a Ischia per il sito

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La colonizzazione greca a Ischia per il sito
Nell’ VIII secolo a.C. molti Greci
furono costretti ad abbandonare la
propria terra e ad occupare nuovi
territori per molteplici motivi:
•
La popolazione era aumentata ;
•
Per cercare terre più fertili ;
•
Per gli interessi dei mercanti .
Alcune navi salparono verso le
coste dell’Asia Minore e del Mar
Nero; altre si diressero verso la
Sicilia e l’Italia meridionale; altre
ancora più a ovest, verso la Francia.
Nelle terre in cui si stabilirono i Greci
fondarono delle colonie, cioè nuove
città indipendenti dalla madrepatria.
I.C. "Enrico Ibsen"di Casamicciola Terme- Scuola primaria-Plesso La Rita - Classe V-a.s. 2012/2013
Nell’ Italia meridionale e in Sicilia i
coloni greci producevano grano,
orzo, vino, frutta e lavoravano
ceramiche e gioielli che vendevano
alla madrepatria e in tutto il
Mediterraneo.
Queste colonie diventarono così
ricche e potenti che i Greci stessi le
chiamarono Magna Grecia, “grande
Grecia”.
Le città più importanti erano:
Taranto,
Paestum,
Agrigento,
Taormina e Reggio Calabria.
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Intorno al 770 a.C. i
coloni greci provenienti
dalla città di Calcide
ed Eritrea ( isola di
Eubea ), si stabilirono
nell’ isola d’ Ischia che
chiamarono
PITHEKOUSSAI
fondando una città che
ebbe lo stesso nome.
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Per molto tempo si pensò
che
PITHEKOUSSAI
derivasse
da
Pithecos
(=scimmia) ma in realtà il
nome deriva da pithos
(=vaso) , volendo alludere
alla
principale
attività
presente sull’ isola .
I coloni scelsero come
luoghi di insediamento:
Monte Vico, San Montano e
Mezzavia che si trovano
nella zona di Lacco Ameno
(da Lacco = pietra).
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Tito Livio scrive che i Calcidesi si
stabilirono sull’isola di Pithecusae (in
greco Pithekoussai) prima ancora che
fondassero Cuma. Infatti tutti i
ritrovamenti archeologici a Monte
Vico , sulla collina di Mezzavia e della
sottostante
vallata
stanno
a
testimoniare che in quel luogo fu
piantata una sede sicura che costituì
il punto principale per il contatto dei
Greci con l’Italia centrale e la via di
tutti i commerci metalliferi.
Pithecussai fu usata dai Greci come
un emporio internazionale dove
convergevano
i
traffici
del
Mediterraneo.
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Sulla rocca di Monte Vico,
a Lacco Ameno, i Greci
posero l’acropoli coi suoi
templi a dominio e
protezione
dell’approdo
sottostante ; sulla collina
di Mazzola e giù fino alla
spiaggia collocarono le
case, i magazzini e i
laboratori dei loro fabbri .
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Nella Baia di San Montano
collocarono i loro morti : gli scavi
dell’ archeologo Giorgio Buchner
hanno dato luce ad oltre mille
tombe , con vasi, sigilli , scarabei ,
oggetti dalla Siria , dalla
Palestina, dall’ Attica , da Corinto,
da Rodi e dall’ Etruria .
Nella città sepolta di San
Montano si è addirittura trovata
una collezione intera di scarabei
inneggianti al dio Amun .
Si è constatato che provenivano
tutti dalla regione del Delta del
Nilo (terra d’Egitto).
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Pithekoussai, fin dal principio, fu utilizzata
come base di appoggio per il mercato con
le coste campane che fornivano i prodotti
agricoli e soprattutto con gli Etruschi a cui
vendevano prodotti orientali come tessuti
di lana,ceramiche, armi, oggetti di metallo
lavorato, in cambio di ferro e rame.
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Pithekoussai fu una colonia commerciale
perché il suo territorio non era adatto
all’agricoltura, ma solo alla coltivazione
della vite e dell’ ulivo che gli stessi Greci
avevano importato dalle loro terre .
Oltre agli ulivi ed alle viti sull’ isola si
coltivavano i cereali e si cacciava il
cinghiale in abbondanza.
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I Greci introdussero anche l’uso della
conservazione della neve e della
grandine,costruirono barche, pescarono e
raccolsero conchiglie da cui ricavarono un
colore porpora più pregiato di quello
fenicio; sfruttarono i giacimenti di argilla
presenti sull’isola, introdussero il tornio del
vasaio e riprodussero le forme più belle
dell’arte greca.
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La zona industriale di questa attività è
stata localizzata sotto la Basilica di
Santa Restituta a Lacco dove sono
state
ritrovate
fornaci,
terreno
annerito dal fuoco e resti di anfore
deformi perché non cotte bene.
Sull’isola, accanto all’industria della
ceramica, si sviluppò la produzione di
prodotti della terra come frutta
secca,olio e vino.
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La
superproduzione
veniva
esportata dai Pithecusani in
anfore chiuse con turaccioli di
terracotta o di legno, perché
allora le botti di legno erano
sconosciute. Il vino veniva
conservato nelle cantine in
enormi vasi di terracotta, chiamati
dai Greci “Pithoi”.
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Per il trasporto si usavano anfore,
l’equivalente delle nostre damigiane.
Sulle anfore veniva messo un bollo
che recava il nome del vasaio che
l’aveva fatto e l’uso al quale era
destinato.
Dalla
Grecia
i
Pithecusani
importavano marmellate e miele
racchiusi in vasi di ceramica bruna e
vini pregiati dell’Isola di Rodi.
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Nella necropoli c’era il rito della
cremazione e dell’inumazione.
La cremazione veniva fatta sotto i
tumuli con o senza corredo per adulti di
ambo i sessi. Le tombe a cremazione
si presentano come piccoli tumuli
formati da pietre che coprivano gli
avanzi del rogo ed erano visibili sulle
superfici del terreno.
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L’inumazione avveniva in tombe a
fossa o in anfora,nell’82% dei casi. Le
tombe ad inumazione erano a fossa
più o meno profondamente scavate
nella terra. Le inumazioni con corredo
erano riservate a bambini e ragazzi di
ambi i sessi mentre le inumazioni
senza corredo erano riservate agli
adulti.
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I neonati o i bambini nati morti venivano
inumati ad enchytrismos : venivano
deposti in grosse anfore il cui primo
utilizzo era di tipo commerciale e una
volta cadute in disuso venivano utilizzate
per seppellire i neonati.
Le tombe restituiscono grossi corredi di
carattere aristocratico, da questo si
evince che sull’isola ci fosse una
borghesia media.
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Il defunto , vestito dell’abito cerimoniale, veniva steso sulla pira
( vedi i funerali di Patroclo) e bruciato con gli oggetti del corredo.
Era un rito per pochi perché era importante e dispendioso.
Le ceneri venivano spente con aspersioni (frammenti di brocche e
tazze).
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La composizione dei corredi ci offre
un’importante testimonianza sulla struttura
economica e sociale dell’abitato : gente greca
che viveva con gli indigeni e con un piccolo
gruppo di Orientali.
Essi utilizzavano insieme a ceramica di
fabbricazione
locale
anche
quella
di
importazione, oggetti di provenienza orientale
ossia scarabei egiziani, sigilli assiri e oggetti di
provenienza fenicia.
I reperti ceramici rinvenuti nelle
tombe consistono in lèkythoi e
aryballoi, per oli e profumi,
assieme a coppe per bere: kotyle,
skiphos, kantharos.
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Ad indicare un corredo femminile,
oltre a gioielli e ornamenti ( fibule,
spille, fermatrecce) è la presenza di
aryballoi destinati a contenere
profumi, oli e unguenti per ungere la
salma; la presenza di una oinochòe è
tipica del corredo maschile e doveva
servire a spegnere, con il vino, le
ceneri.
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Gli artigiani locali o pitecusani
mantennero
i
rapporti
con
la
madrepatria, lo attesta la presenza di
motivi decorativi provenienti dalla
Eubea e presenti sui vasi. E’ il caso
della Lekithos troncoconica, alla cui
base è presente il motivo dei due capri
affrontati e rampanti ai lati dell’albero
della vita, e del frammento di cratere
detto “del pittore di Cesnola” su cui è
rappresentato un cavallo legato alla
mangiatoia sul cui dorso pende una
doppia ascia.
Anche il “cratere del naufragio” è
di produzione locale. Esso
rappresenta una grande nave
capovolta, i marinai che cercano
scampo a nuoto mentre dall’altro
lato del vaso un marinaio è stato
già quasi interamente divorato da
un pesce enorme.
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Altri reperti
Sulla collina di Mezzavia è stato rinvenuto un
ricco deposito votivo del VII sec. a.C.. Tra i
reperti oltre ai vasi di varia provenienza, sono
stati rinvenuti dei modellini di carri trainati da
due muli, modellini di barche, trottole di
terracotta e un dinos ossia un grande bacino su
sostegno con due statuine di donne piangenti a
decorare il bordo.
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La coppa è una tazza per bere e fa
parte di un ricco corredo funerario
appartenuto a un bambino. Essa
proviene da Rodi e reca incisi tre
versi, che esortano al simposio, in
alfabeto greco arcaico. L’epigramma
scritto da destra verso sinistra
richiama la coppa di Nestore descritta
da Omero nell’Iliade.
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Del resto la coppa appartiene al 725
a.C. Attesta che sull’isola i coloni
avessero un ottimo livello culturale
perché viene utilizzata una scrittura
avanzata. Quindi l’allusione al rituale
del simposio ci fa capire che la loro
vita non era dedicata solo al lavoro
ma anche ad attività ludiche e di
piacere.
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“La coppa di Nestore…la coppa buona a bersi
ma chi beva da questa coppa subito quello
sarà preso dal desiderio d’amore per Afrodite
dalla bella corona”.
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La Coppa di Nestore
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Con l’avvento dell’arte cretese e micenea e poi
con l’arte greca, la ceramica raggiunse il suo
sviluppo,producendo tante diverse forme di vasi
a seconda della loro funzione e comunque
senza mai distinguere forma e dimensione dalla
funzione.
Su di essi veniva indicato il nome del ceramista
e del ceramografo,ad attestare che la
modellazione e la decorazione erano ritenute
della stessa importanza.
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Con l’uso di grandi forme di legno
per
le
anfore
vinarie,la
modellazione avveniva in due
parti separate che erano poi
congiunte
con
colatura
di
barbottina cioè di argilla liquida.
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Ci fu l’introduzione del tornio girevole per le forme
rotonde. Il tornio era costituito da un disco piatto e rotondo
(di pietra, terracotta o legno) che ruotava su un’asse
verticale di sostegno ancorato al terreno. Il vasaio
modellava il vaso di argilla depurata,sfruttando il
movimento rotatorio dello strumento mosso dall’aiutante.
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La tecnica a stampo, di legno o di
terracotta, fu in uso per la produzione di
statuette che venivano modellate per parti
separate (corpo,braccia, testa, gambe), per
oggetti che non potevano essere lavorati al
tornio. Seguiva l’essiccazione all’aperto che
preparava il vaso all’impermeabilizzazione.
La decorazione dei vasi e la cottura
consistevano in procedimenti delicati e
complessi che richiedevano molta abilità.
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La cottura della ceramica in forno poteva
avvenire sia nel forno a fossa, costituito da
una fossa scavata nel terreno, all'interno
della quale venivano posti i vasi a contatto
con il combustibile (composto oltre che da
legna anche da gusci di frutta secca,
capaci di sviluppare alte temperature), il
forno era infine ricoperto con terra, sia in
una camera chiusa di terra refrattaria
regolare in tutte le sue parti.
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Per la cottura si usavano anche fornaci in
mattoni che erano costituite da una parte
inferiore, dove veniva messa la legna e da
un piano superiore dove avveniva la
cottura dei vasi impilati e posti su un piano
forato. Le fornaci erano inoltre provviste di
uno sfiatatoio e di un portello per
l’immissione dell’aria.
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La fornace di mattoni vista
dall’esterno
La fornace di mattoni vista
dall’interno
La fornace era formata da una camera di
combustione e da una camera di cottura.
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Dal VI sec. A.C. si affermò la
famosa ceramica attica, prodotta
ad Atene, dove esisteva un intero
quartiere
destinato
alla
produzione
della
ceramica,
quartiere che a Lacco Ameno
doveva trovarsi nella zona di
Santa Restituta dove Don Pietro
Monti ha rinvenuto resti di fornaci
ellenistiche e romane.
La ceramica attica caratterizzata
dapprima dal tipo a figure nere e
successivamente dal tipo a figure
rosse, si affermò quindi anche a
Pithecusae e venne imitata.
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Per quel che riguarda la decorazione, nel VI
secolo a. C. le figure venivano solitamente
mostrate in nero su uno sfondo rosso-arancione
chiaro secondo la tecnica detta”a figure nere” di
cui si è già detto.
Sul vaso messo a seccare e lucidato, si
spalmava uno strato sottilissimo di argilla
raffinata e diluita chiamata “ingobbio” (o anche
vernice). Poi lo si lasciava asciugare e si
otteneva così il fondo su cui si dipingevano,
ancora con ingobbio, le decorazioni.
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Le proprietà chimiche dell’argilla dell’ingobbio
erano tali che, una volta cotto il vaso,
controllando con attenzione il calore del forno in
tre momenti diversi, il sottosmalto assumeva un
colore rosso-arancio e le decorazioni un nero
lucente.
Prima dell’ inizio del V sec. a.C., fu introdotta
come alternativa la tecnica opposta a “ figure
rosse”. Si preparava cioè il fondo su cui
dipingere con ingobbio nero e lo si usava
anche per aggiungere dettagli alle figure
“ricavate” sul sottosmalto rosso. Tale tecnica
ebbe tanto successo da soppiantare la
precedente.
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Cratere attico a figure nere
Cratere attico a figure rosse
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I vasi che i Greci decoravano con dipinti servivano per
quattro funzioni principali:
•
Contenitori e giare di ampia capacità in cui conservare il
vino, l’acqua, l’olio e i cereali: il vaso con due manici si
chiamava anfora; quello con tre manici (due ai lati per
poterlo sollevare, uno posteriore per versare il liquido),
idria.
anfora
Hydria
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•
Vasellame da convivio per bere: i Greci bevevano il vino
diluito con acqua; per questo necessitavano di un vaso a
bocca larga, chiamato cratere, in cui poter mescolare i
due liquidi e una caraffa , chiamata oinochòe con cui
attingere il vino così diluito e poi riversarlo in un’elegante
coppa kylix, in una tazza skyphos o nel kàntharos , tazza
con alto piede ed anse sottili ed alte.
cratere
oinochòe
kylix
kàntharos
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Recipienti di più piccole
dimensioni
destinati
a
contenere unguenti, profumi e
balsami
per
la
toletta
personale. L’olio di oliva era
importantissimo nella vita dei
Greci, non solo per cucinare
ma anche per illuminare , per
la pulizia del corpo e come
base per i profumi .
Un lèkytos poteva contenere
fino a uno due litri di olio e
aveva un collo stretto per
limitarne il flusso.
L’alabastron era una bottiglietta dotata di
un collo assai stretto da cui le signore
potevano estrarre gocce di profumo.
Piccolo e arrotondato era l’ aryballos,
dotato di una fascia di cuoio per poterlo
portare con sé o appenderlo, usato anche
dagli uomini come contenitore dell’olio con
cui si strofinavano dopo gli esercizi fisici.
Aryballos
Alabastron
• Vasi da usare nei rituali (matrimoni o funerali)
come il lutroforo o i famosi lékythoi “a fondo
bianco” per uso funerario realizzati a partire dal
450 a.C.
Lekythos
Lutroforo
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Lo Skyphos è un tipo di vaso
greco, una profonda coppa per
bere, con due piccole anse,
solitamente orizzontali, impostate
appena sotto l’orlo, con il piede
basso o del tutto assente.
E’ una coppa che rappresenta un
manufatto di grande interesse
poiché si tratta di un oggetto di
importazione, giunto direttamente
dall’Eubea.
Per la forma esso trova qualche
anologia con alcune tazze attiche
nel periodo geometrico, dalle quali
però si discosta per la tipologia
della decorazione. Quest’ultima è
costituita nella parte inferiore da
una fascia dipinta, spesso con una
civetta.
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Kotyle
del
protocorinzio
antico
Cratere attico
Frammenti di
scodelle, da
Monte di
Vico, scarico
Gosetti
(Lacco
Ameno).
Seconda
metà VIII sec.
a. C.
Frammenti di
crateri locali
del Tardo
Geometrico, da
Monte di Vico,
scarico Gosetti
(Lacco
Ameno).
Seconda metà
VIII sec. a.C.
Sigillo scaraboide del gruppo “suonatore di lira” S. Montano VII
sec. a.C.
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Modellino fittile di tempio geometrico con
decorazione dipinta, da Monte di Vico,
scarico Gosetti (Lacco Ameno). Seconda
metà VIII sec. a. C.
Lekythos troncoconica con decorazione
dipinta sul fondo di stile tardo geometrico.
Dalla necropoli, Valle di S. Montano (Lacco
Ameno), Tomba 967. Fine VIII sec. a.C.
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Uno dei ritrovamenti più importanti
degli ultimi anni è quello che è stato
fatto a Punta Chiarito, nel comune di
Forio.
La scoperta è importante non solo per
la collocazione geografica, ma anche
perché si è potuto studiare meglio
come doveve essere un ambiente dei
vivi, poiché quello che noi conosciamo
di Pithecusae, lo si era appreso dalla
necropoli.
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Sulla sommità di questo promontorio si è
trovato un insediamento (due o tre) che è
stato abitato in due fasi distinte: la prima
risalente alla seconda metà dell’VIII sec.
a.C. e la seconda riguardante il VI sec.
a.C. quando una colata fangosa di tufo
verde sigillò la casa come avvenne a
Pompei. Questo porta alla conclusione
che già dalla metà dell’VIII secolo non
c’erano
soltanto
commercianti
a
Pithecusa, ma c’erano persone che
andavano a vivere sul territorio dell’isola.
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La casa a pianta ovale
Dall'alto: la casa nella I fase; l'interno della casa
con il soppalco e il telaio presso il focolare; la
casa nella II fase
Nella casa sono stati rinvenuti
due muri, resti di case e della
vita quotidiana come gusci di
molluschi e di ossa di animale
e tutto ciò che indica una
persona che cucina e consuma
cibo.
Sono stati ritrovati suppellettili
come vasi dipinti importati dalla
Grecia, ami di bronzo, pesi in
piombo, arnesi per l’agricoltura,
pithoie, anfore, coppe e crateri,
una lekythos, l’aryballos e le
lekanai.
Restano della casa ovale a due piani solo le fondamenta.
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