Parliamo Di Videogiochi

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Parliamo Di Videogiochi
pROJECTrING
INDIVENIRE
rUBRICHE
mE nINTENDO
tESORI sEPOLTI
Bangaioh
sEGA sAGA
Sonic Team
pEOPLE
Matteo Bittanti
iL dAVIDE
Il Davide Sei
fRAMES
4-Way multiplayer e la
tesi del complotto
HardWar
Ringterview: Erik Pede
Coordinate videoludiche
Ringterview: MBF
Warld Apeiron
iNDEPTH
Semantica e sistematica del tie-in
Ecco the Dolphin 2
mAGGIO2003
INDIVENIRE_________________________________
[Cover Story]
::sOMMARIO::
Il rispetto degli antenati
_____________________ #06
.42
.43
.44
0
.46
.49
.00
.03
.08
.09
.12
.14
.17
.00
.19
.25
VERSUS: Metroid Prime .27
rECENSIONI
.00
SOS: The Final E scape .32
Tenchu: Wrath of Heaven .33
Splinter Cell
.35
Rayman 3
.37
House of the Dead 3
.38
CREATURES 2
.39
L’Evoluzione del Se rpente
.41
Samus Aran:
supereroina o
minaccia? Ring
si improvvisa J.
Jonah Jameson
e confeziona
un Versus su
Metroid Prime
da leggere in
stereo a partire
da pagina 27
Tutto si trasforma.
Il VG non è fissità ma mutazione e movimento, dietro lo schermo siamo agente mutageno
con la nostra interazione: una performance brillante porta ad una narrazione credibile, senza
singhiozzi o intermittenze.
L’unicità del medium VG appare chiara da
questa prospettiva; l’opera videoludica richiede/necessita l’apporto diretto del fruitore per
potersi compiere; è una differenza rilevante r iLa cover è di
spetto ad altri medium che assegnano all’utente
Fabio Timpanaro
il semplice ruolo di spettatore, con l’unica libertà
della decodifica di un eventuale messaggio.
Il videointerat(t)ore è invece protagonista del VG, attraverso di esso
l’opera videoludica acquista integrità e spessore, ne diventiamo co-autori e
partecipiamo al convergere dell’amalgama digitale verso un luogo di coesione, dove azione, espressione ed emozione sono tutt’uno.
È un VG che non si limita a dettare regole e ad arbitrare la partita; ci è affidato il compito di intervenire sul formarsi del messaggio: optiamo fra le
soluzioni, decidiamo i percorsi e la maniera di attraversarli, siamo posti
all’ingresso di bivi morali ed etici. Per ora gli interventi a noi possibili sono
limitati, generalmente possiamo solo scegliere fra inte rpretazione moralmente retta o distorta, ma il futuro potrebbe darci ulteriori poteri di mutamento sulla forma finale, potremo dare il via a recitazioni videointerattive
nelle quali i nostri comportamenti sviluppano risposte coerenti al contesto in
atto.
Tutto si trasforma.
Con l’essenza del VG, mutano anche le sue forme più esterne. Fino
all’altro ieri il VG era esclusivo dominio delle masse imberbi, oggi fa tendenza anche fra barbuti trentenni. Con l’industria videoludica sempre più intenta
a massificarsi, è di nuovo Sony a portare la promessa di una rivoluzione.
Sony restituisce l’atomica agli Stati uniti e la sgancia in quel di Los Angeles,
entro la cornice dell’E3, scendendo sul campo dei contenuti portatili, lei che
da prima ne concepì le pote nzialità creando il marchio Walkman e fondando
su esso un vasto impero tecnologico. PSP (PlayStationPortable) suggerisce
qualcosa che va oltre la grafica 3D alla fermata dell’autobus; Sony continua
un percorso verso la tecnologia altamente integrata, PSP ha il potenziale per
diventare un fornitore di contenuti multimediali, un compagno avveniristico
che passeggerà con noi verso un futuro sempre più vicino e di cui noi, forse,
riusciremo a fare parte.
Tutto si trasforma.
E RING con esso; dopo cinque numeri chiudiamo un primo ciclo vitale e
traiamo qualche conclusione. Nascevamo con il desiderio di dire cose, laddove molti si limitano a riportarne. Nascevamo con l’intenzione di dare
l’abbrivio ad un modo nuovo di approcciare il VG, un metodo molteplice fatto
di voci varie e senza paura d’esser divergenti, pur di offrire una visione a mpia. Molti ci hanno seguito, molti non lo hanno fatto. Sperando che altri si
uniscano presto a noi, RING prosegue coerente per la sua strada offrendo un
numero ricco, ricchissimo, abbozzo del futuro che ci attende: un numero
grasso di contenuti, con interviste, saggi e teoria del VG. RING, come sempre, non è qui per indicarvi LA via… vi segnaliamo quelle che stiamo percorrendo noi, se volete accompagnarci sta a voi deciderlo.
Con la sua sesta uscita, RING continua il suo lento ma inarrestabile processo di trasformazione, affinando le proprie forme e meccaniche produttive.
Ci sono rivoluzioni ed evoluzioni in atto, alcune l e potete vedere con i vostri
occhi, online e offline, altre le potrete solo leggere fra le righe, costatando
una maggiore precisione dei testi ed uno sguardo più generale a quello che
sta attorno a noi.
Sei numeri sono passati da quando Ring ha cominciato a scalciare nel ventre di una piccola comunità di curiosi, che hanno voluto ascoltarne i vagiti
avanguardisti. Ora quel bambino ha imparato a camminare. Vediamo dove
arriverà. E dove arriveremo noi con lui.
Ancora una volta, buona lettura.
Nemesis Divina
:FRAMES:
Ring#06
Fu allora che vidi il Pendolo.
La sfera, mobile all’estremità di un lungo filo fissato alla volta del coro, descriveva le sue ampie oscillazioni con isocrona maestà.
Ho contemplato il lento movimento del Pendolo per tutto il pomeriggio, mentre cercavo di riportare o rdine dal caos
degli eventi che mi hanno condotto dove mi trovo, al Conservatoire des Arts et Mètiers di Parigi, ad attendere la chiusura del museo. E la mia inevitabile morte. Sto scrivendo quelle che sono le mie ultime memorie sopra ad alcuni fogli
che ho trovato nella teca dei diari segreti di J. Edgar Hoover, dopo averne grattato alcuni paragrafi per fare spazio.
PLAN ON JFK’S REMOVAL (Anche se alcuni frammenti di testo proprio non sono riuscito a grattarli via…)
Sono rannicchiato da circa sei ore all’interno dell’abitacolo dello Spirit of St. Louis: l’aereo usato dal terrorista Lindberg per insozzare di mucillaggine l’Adriatico. Davanti a me, appunto, il Pendolo: l’enorme marchingegno adoperato
da Foucault per le ipnosi di massa. REAL NAME OF MARILYN IS MARIO
Presto incontrerò gli Oni, i demoni della cultura giapponese. Gli Oni mi hanno inseguito nei giorni passati lungo mezza Europa, uccidendo tutti quelli che mi erano cari e risparmiando coloro a cui dovevo dei soldi. Non conosco con esattezza i motivi per cui mi stanno inseguendo, so solo che tutto è iniziato dopo che ho inviato il seguente articolo alla
redazione di Ring…
4-wAY mULTIPLAYER e lA tESI dEL cOMPLOTTO_________
[Elogio del videogioco come catalizzatore sociale]
di Attor Arreso
(tenetsoapopera@project -ring.com)
«Ma lei, Casaubon, [i Templari] li ama?»
«Ci faccio la tesi, e uno che fa la tesi sulla sifilide
finisce per amare anche la spirocheta pallida.»
Umberto Eco, "Il Pendolo di Foucault"
L’Essere Umano è un animale da
branco.
Automobili, aeroplani, discoteche, agriturismi, sono tutte creazioni dell’Uomo, fatte per essere
fruite da più persone contemporaneamente, a testimonianza dell’innato bisogno di vivere a stretto
contatto con il prossimo.
Anche il Videogioco reca con sé
questa tendenza, o almeno, lo faceva nella sua concezione originale,
fornita da William Higinbotham con
Tennis for Two (1958) e da Stephen Russel con Spacewar
(1962). I primi videogiochi della
storia mettevano infatti due contendenti umani a bordo di navicelle
spaziali e racchette da tennis e li
traghettavano lungo furiose sfide
virtuali.
Poi però è accaduto qualcosa. Nel
corso degli anni, e in maniera così
progressiva che non ce ne siamo
resi conto, le sessioni ludiche del
videogiocatore si sono fatte sempre
più solitarie, sempre più tristi. Possiamo facilmente indiv iduare alcuni
eventi chiave di questo fenomeno.
Innanzitutto la creazione delle prime rudimentali IA, nonché il loro
continuo miglioramento. Quindi il
graduale abbandono della sala giochi: luogo di sano divertimento,
scazzo perenne con gli amici e t abagismo occulto. Da non dimenticare l’implementazione del gioco online: sistema diabolico per far credere al giocatore di essere in compagnia, quando invece si sta alienando in una cameretta pregna
d’aria viziata.
Duole quindi constatare che il v ideogiocatore odierno è una persona
che vive ai margini della società; i
cui pochi conoscenti lo chiamano
usando il suo nickname o, peggio
ancora, la gamertag.
Con questo articolo cercheremo
di perseguire un duplice obiettivo.
In primis, rispolvereremo le gioie
del multiplaying elencando i m igliori
titoli che, ultimi baluardi, permettono una simile feature. Dopo una
breve descrizione del gioco, forniremo consigli sul come disporre gli
amici nel salotto di casa vostra,
quindi alcune avverte nze, in modo
da poter godere a ppieno dell’esperienza di multigioco.
Successivamente ci concentr eremo sul fenomeno di oscurantismo
che ha colpito questo medium nella
sua radice socializzante: c’è forse
un complotto dietro a tutto ciò? A
chi giova il fatto che il videogiocatore passi il suo tempo da solo? E
perché?
______________Virtua Tennis
Tra la moltitudine di giochi tennistici, e con buona pace di Namco e
Nintendo, la serie Virtua Tennis è
l’unica degna d’essere menzionata.
Non si sa bene il perché. Dopo tutto
il racchettaro di Sega possiede
grossomodo le medesime caratteristiche della concorrenza, se non di
meno. Però è così. È tutta una questione di bilanciamento, direbbe
Yuri Chechi.
Meglio se giocato su Dreamcast,
con i suoi quattro pertugi e quella
bella pulizia a video, VT esprime
tutto il suo potenziale proprio nei
doppi, con nessuna IA a reggere il
lume. In questo frangente, Virtua
Tennis continua la tradizione avviata da Higinbotham e dal suo oscilloscopio delle meraviglie, meritandosi da qui in poi l’appellativo di
Tennis for Four.
L’amicizia che trapela fra questi
due tennisti digitali è commovente.
Di Matisse, la rappresentazione di
un multiplayer party. O forse di una
gangbang…
3
Disposizione: Due divani sui quali
andranno a posizionarsi le due coppie in gioco. I compagni devono
stare a stretto contatto, in modo da
:FRAMES:
incitarsi l’un l’altro e darsi veloci
suggerimenti sulla tattica da adottare. La distanza dagli avversari
deve essere la maggiore possibile,
così avremo una più struggente f ine del match, con i vincitori e i vinti
che si alzano e si avvicinano per
stringersi decoubertianamente la
mano.
Da segnalare che nella versione
2K2 si possono fare i doppi misti:
questo rende il gioco accessibile
anche alle ragazze. Un’occasione
che può essere sfruttata durante le
classiche uscite a quattro…
«Non hai coperto la tua parte di
campo» dirà con educazione Rita nna al fidanzato, reo di aver r egalato
l’ennesimo break agli avversari.
«Hai ragione, scusa» risponderà
questi sotto l’imbarazzato silenzio
dell’altra coppietta; poi, covando
risentimento nei confronti dell’amata, penserà che forse, chissà, magari faccio una telefonata a Giulio,
che è sempre pieno di fighe, e gli
chiedo se ha un’amica da presentarmi. Proposito abbandonato sul
nascere, perché dove la ritrovo
un’altra che mi gioca ai giochini?
Avvertenze: Tenete presente che
se, appunto, ci sono donne, donne
che stanno giocando e che stanno
perdendo, cercate di non essere
sarcastici; non sbeffeggiatele. Le
donne, come è noto, sono dotate di
scarsissimo senso dell’umorismo e
hanno un coefficiente di zero alla
voce “autoironia”. Questo consiglio,
naturalmente, vale anche per gli
altri giochi. E nella vita in generale.
.:scHEda:.
gENERE
Arcade-tennis
eTICHETTA
SEGA
sVILUPPATORE
Hitmaker
sISTEMA
DC/PS2/PC
gIOCATORI
1-4
_________Finalizza Fantasista!
Reggetevi forte: il capolavoro di
Konami – anche chiamato Winning
Eleven o Pro Evolution Soccer –
fruito in singolo, non può essere
definito un simulatore di Calcio.
Come potrebbe infatti esserlo un
gioco in cui un unico giocatore ne
controlla undici, dove i movimenti
senza palla gestiti dalla CPU sono
privi dei guizzi di genio tipicamente
umano e in cui ogni passaggio finisce per essere un passaggio a se
stessi? Manca la caratteristica fondamentale di questo sport: il gioco
di squadra.
Con due giocatori nel medesimo
team le cose migliorano drasticamente. Quattro giocatori con la
stessa maglia invece provocano solo confusione, questo perché la t e-
Ring#06
lecamera, per quanto grandangolare, inquadra comunque una porzione limitata del campo, impossibilitando al gioco coloro che vogliano
eseguire i loro movimenti smarcanti
o difensivi lontano dal pallone. L’ottimo quindi è raggiunto dalle partite
due contro due, nelle quali troveremo il gusto di uno scatto sul filo
del fuori gioco, complimenta ndoci
magari col compagno per il passaggio fulmineo e prendendo per il culo
gli avversari, nei confronti dei quali
gli sfottò e le offese alle madri avranno più effetto che con le gelide
intelligenze artificiali…
Non canteranno l’inno, ma
sono comunque molto uniti…
Disposizione: Come nel caso di
Tennis for Four, i membri dello
stesso team devono essere a stretto contatto, in modo da segnalare
facilmente un tentativo di fuorigioco in atto (“Salire!”), un raddoppio
di pressing degli avversari (“Uomo!”) o uno smarcamento (“Passa
quella palla, pezzente!”). A differenza di T44, i due team devono
anche essere piuttosto vicini tra
loro, in modo che dopo una trebbiata da dietro a palla lontana, la
vittima possa mollare con facilità il
joypad a terra per recarsi a muso
duro verso il Mark Lenders della
situazione. I due si guarderanno in
cagnesco senza parlare e con i volti
quasi a contatto, poi saranno separati dai compagni, ma ci sarà sempre il tempo per un “io ti faccio
sparare!”, o un “juventino di merda!”, o l’evergreen “basta io me ne
vado, e porto via il DVD…”.
Avvertenze: Fate molta attenzione
perché state percorrendo una strada a senso unico: non si torna indietro da un 4-way multiplaying a
Finalizza Fantasista!, quindi preparatevi a dire addio alla Master
League e a tutte quelle stronzate
managerial-solitarie…
.:scHEda:.
gENERE
Strategic RPG
eTICHETTA
Konami
sVILUPPATORE
Konami TYO
sISTEMA
PS2/NGC
gIOCATORI
1-8
(Finalizza Fantasista!
è recensito su Ring #2)
4
__________________NBA 2Kx
A differenza dei giochi di Calcio, in
cui l’azione copre una porzione di
campo superiore a quella inquadrabile da una telecamera, nel B asket i
giocatori si concentrano tutti in
prossimità della palla, quindi più di
due persone possono abitare nella
stessa squadra, fino a raggiungere
la situazione ideale di un team
completamente controllato da umani, che useranno quindi il solito
atleta per tutta la partita. Identificazione totale.
Tra la moltitudine di giochi cestistici, abbiamo scelto il titolo di Sega Sports per diverse ragioni. Innanzitutto per la visuale alle spalle
del portatore di palla: ottima in ottica multiplayer. Poi per l’intelligenza artificiale degli avversari: bastarda ma senza che dia l’impressione di stare imbrogliando. Non
ultimo, il fatto che la serie NBA
2Kx è di gran lunga la migliore d isponibile sulla piazza per fluidità,
completezza, facilità d’uso dei comandi e soprattutto per come è r estituita la fisicità di questi energumeni.
Ecco una sana ammucchiata.
Attenti a non intrecciare i fili
dei joypad…
Disposizione: Random. Visto che
fate tutti parte della stessa squadra, non c’è bisogno di stare vicini
per ostacolarsi. Cercate quindi di
mettervi comodi ma non troppo
lontani l’uno dall’altro, ché dovrete
comunque darvi frequenti pacche di
incoraggiamento sulle spalle o sui
cinque (avete presente nella NBA,
dopo un tiro libero?). Inoltre, per
tenere sospesa l’incredulità, potr este anche esclamare roba tipo “yo
bro” e altre frasi da rapper come
“check it out” o “io penso positivo
perché son vivo”.
Avvertenze: Lavorate di editor per
personalizzare il vostro atleta digitale. Ricordate che dovrete e ssere
immediatamente riconoscibili dai
compagni, quindi esagerate in capelli variopinti e tatuaggi.
.:scHEda:.
gENERE
Basket
eTICHETTA
Sega
sVILUPPATORE
Sega Sports
Multipiattafo rma
sISTEMA
gIOCATORI
1-8
:FRAMES:
Ring#06
________________Powerstone
______Super Smash Bros Melee
Powerstone significa botte da orbi
come nelle scene clou di un qualsiasi film con B ud Spencer e Terence Hill. Powerstone significa arene
pesantemente interagibili frequentate da malati di mente con un diavolo per capello. E tre pietre.
Il gameplay è geniale nella sua
semplicità: massacrarsi con tutto
ciò che capita, cercando al tempo
stesso di recuperare le tre gemme
che si materializzano a random sul
playground; operazione che consentirà al lottatore di “digievolv ere”
in un super combattente per pochi
secondi, bastevoli a fare tanto, tanto male.
Assolutamente consigliato il sequel Powerstone 2 che, oltre a
migliorare in ogni r eparto, propone
un gameplay studiato appositamente per quattro giocatori, con vaste
arene a scorrimento e uno stile di
combattimento sostanzialmente diverso dal capostipite – essendo più
incentrato sulle armi e sugli attacchi a distanza – tanto che si può
passare dall’uno all’altro titolo in
base al tipo di scontro in cui vogliamo cimentarci.
Vista la presenza dei Powerstone,
può sembrare ridondante l’inclusione del multipicchia Nintendo: discretamente divertente ma ancorato a uno stile di gioco bidimensionale che lo rende meno profondo
(er) dei due colleghi capcomiani.
Ma SSBM ha dalla sua una periferica innovatrice: il Wavebird.
Sembra nulla, ma d isporre di un
joypad senza fili rivoluziona copernicamente il concetto alla base del
multiplaying rissaiolo…
Disposizione: Sistematevi molto
vicini, magari seduti per terra, ta nto non ci rimarrete a lungo: la foga
del combattimento vi farà schizzare
in piedi ad ogni combo.
Avvertenze: Non esagerate con la
birra: c’è un non so che di chimicoappagante nell’afferrare una colonna, scardinarla dal suo alloggio e
usarla come mazza per colpire a
lunga gittata, ma il rischio è quello
di degenerare in una rissa dal vivo
che umilierebbe lo spirito zen del
titolo Capcom. Se volete picchiare i
vostri amici live, consigliamo il
prossimo gioco…
gENERE
.:scHEda:.
eTICHETTA
sVILUPPATORE
sISTEMA
gIOCATORI
Simulatore di
rissa da saloon
Capcom
Interno
Dreamcast
1-4
L’importante è che la principessa Peach soffra.
Disposizione: Un tappeto e quattro wavebird, non serve altro. I
combattenti, liberi dal guinzaglio
dei comuni joypad, si disporranno
caoticamente sul tappeto di cui s opra e potranno ripetere le gesta su
schermo menandosi a vicenda con i
calci (le mani sono occupate) e/o
avvinghiandosi tra loro come nel
vecchio gioco del Twister. Purtroppo sarà impossibile adoperare il c avo del joypad per strangolare un
avversario, ma si tratta di un compromesso accettabile.
Avvertenze: Nell’orgia di corpi che
si andrà a creare, una raccomandazione: attenti a non provocare o
incorrere in orgasmi da strofinamento. C’è il concreto rischio di f are dell’involontario sesso con la r agazza del vostro m igliore amico. O
con il vostro migliore amico tout
court.
una colletta tra amici, avete spedito
all’autore un vaglia internazionale
di venti sterline e, da sei a otto settimane dopo, questi vi ha mandato
il gioco completo. Ed a quel punto è
stato il multiplaying più matto e
sconsideratissimo.
Sneech prende il troniano concept di snake e lo porta alle estr eme conseguenze: sei vermi – controllati da umani o da una bastarda
CPU – si affrontano in una serie di
schermaglie all’interno di arene v igliaccamente allestite. Lo scopo?
Creare con il proprio corpo dei vicoli ciechi all’interno dei quali rinchiudere gli avversari. Quando un verme urta frontalmente un collega,
inizia a perdere progressiv amente
la propria lunghezza espressa in
quadratini, i quali andranno ad a ggiungersi a quelli dell’avversario
autore del vicolo cieco. Quando la
lunghezza di un verme raggiunge lo
zero, questi viene estr omesso dal
round, fino a che non ne resterà
soltanto uno.
Ma Sneech è molto di più. Sneech è strategia e pianificazione.
Raccogliendo monete e rimanendo
più a lungo in vita, guadagneremo
del cash da usare tra un round e
l’altro per acquistare power-up, tra
i quali figurano velocità extra, serpenti più lunghi, possibilità di spaccare in due l’avversario contro cui
ci scontriamo etc.
Le tattiche da adottare sono molteplici: potreste investire i vostri
risparmi in velocità, in modo da eseguire facilmente vicoli ciechi, oppure confidare in un serpente molto
lungo, la cui sola presenza nell’arena risulti fastidiosa o, ancora, potreste fare la formichina e risparmiare i soldi dei primi round fino a
permettervi un superserpente privo
di punti deboli, rimanendo però in
balia dei nemici durante il periodo
di magra...
.:scHEda:.
Massacr’em up
gENERE
eTICHETTA
Nintendo
sVILUPPATORE Hal Laboratory
sISTEMA
GameCube
gIOCATORI
1-4
(SSBM è recensito su Ring #3)
___________________Sneech
Se, dopo aver visto il titolo di questo paragrafo, siete sobbalzati sulla
sedia, lasciate che legga il vostro
passato…
Era il 1994 e su una rivista inglese dedicata ad Amiga avete trovato
il demo di Sneech: un giochino realizzato da Paul Burkey, allora g ame designer alle prime armi. D opo
5
Il serpente blu sta sfuggendo all’attacco del giallo, ma rischia l’agguato da parte del rosa…
Disposizione: nonostante sia in
lavorazione un porting su PC e un
seguito. Sneech per ora rimane
only for Amiga (vivamente consigliato un A1200). Obbligatoria l’espansione di due porte joystick, da
inserire nella porta parallela. Sul
tipo di manopola da usare non vi è
:FRAMES:
una soluzione univoca, ma non
possiamo non caldeggiare l’uso dello Slik Stik. Tale joystick, oltre a
vantare un cavo molto lungo, ha il
grande pregio del ridottissimo gioco
della levetta; caratteristica che permette cambi di direzione tanto r apidi quanto precisi, in stile Automan.
Avvertenze: Sneech provoca assuefazione. Non invitate pertanto a
giocare amici che non trovate poi
così simpatici: rischierete di non
toglierveli più dalle scatole.
.:scHEda:.
Spin-off di Tron
gENERE
eTICHETTA
Indipendente
sVILUPPATORE
Paul Burkey
sISTEMA
Amiga
gIOCATORI
1-6
www.sneech.org
Ring#06
tra loro. Questo infatti non è un
gioco da botte sul costato dell’avversario, in quanto ogni minimo
delta tra l’output in uscita dal cervello e l’input in arrivo sul joypad
può essere sufficiente a farvi sbagliare manovra, piroettandovi fuori
dall’inquadratura.
Avvertenze: Nonostante la bontà
del concept, Micromachines V3
tende a stufare sul presto. Il motivo è da attribuirsi all’eccessiva
frammentarietà del gameplay, che
ogni pochi secondi subisce uno stop
con successivo riposizionamento
delle auto in gara.
.:scHEda:.
gENERE
Macchinine
eTICHETTA
Codemasters
sVILUPPATORE
Interno
sISTEMA
PlayStation
gIOCATORI
1-4
___________Micromachines V3
__________Zelda Four Swords
Macchinine. Non potevano mancare
le macchinine. Abbiamo optato per
questo titolo perché in tutta coscienza non potevamo includere
Mario Kart in quanto presenta lo
split screen, che il multigiocatore
duro e puro aborrisce, e rifiutiamo
senza se e senza ma i vari Super
Sprint e Off Road, con le loro
schermate fisse e un gameplay giurassico.
Uscito nel 1997 ad opera di una
Codemasters ancora lungi dal rincoglionirsi, Micromachines V3 è il
miglior esponente del franchise della nota marca di automobili giocattolo che, tanto piccole e dettagliate
quanto costose, hanno rovinato più
di un’infanzia in tacita collaborazione con gli Exogini. Niente circuitini
in bitmap privi di scrolling in MV3,
piuttosto delle poligonalissime piste
inquadrate da un dinamico piano
sequenza degno del miglior De Palma. Compito dei micropiloti è di
battere tali sentieri cercando di r imanere nell’inquadratura, il cui avanzamento segue il ritmo del concorrente in testa. Questi tuttavia
non ha modo di bearsi del primato
perché gode della peggior visuale
del circuito, che gli impedisce di
seguire traiettorie ottimali. Chi esce
dallo schermo è momentaneamente
fuori dal gioco finché non rimane
un unico pilota, che viene premiato
con un punto.
Si viene quindi a creare quello
che in altri giochi corsistici è il famigerato “effetto elastico”, che qui
trova la sua piena legittimazione.
All’interno di Legend of Zelda: A
Link to the Past, mastodonte del
passato riproposto su Game Boy
Advance, una Nintendo in vena di
strenne ha pensato bene di inserire
questo Four Swords, dove quattro
Link dovranno percorrere quattro
dungeon irti di puzzle da risolvere
in collaborazione – magari lanciando un compagno dall’altra parte di
un burrone per fargli schiacciare u na pedana – e di mostri da uccidere
sincronizzando gli attacchi. Stupendo.
Disposizione: Massima distanza
tra i giocatori, che per nessun m otivo devono interferire fisicamente
.:scHEda:.
gENERE
Action Adv.
eTICHETTA
Nintendo
sVILUPPATORE
Interno
sISTEMA
GBA
gIOCATORI
1-4
_______________Bomberman
In Irlanda del Nord Bomberman
era stato tolto dal commercio perché potenzialmente incoraggiante
al sempiterno conflitto a suon di
ordigni tra cattolici e protestanti;
sostituito probabilmente dal politically correct Bomb Jack, che le
bombe invece le disinnescava.
Bomberman è la sublimazione
del multiplayer nella sua radice più
istintiva, qualunque cosa voglia d ire. I dinamitardi vengono collocati
all’interno di arene – più riconducibili a scacchiere – dentro le quali si
improvvisano minatori demolendo
le pareti che li separano dagli avversari, per poi diventare cercatori
di tesori recuperando i potenziamenti dalle macerie, quindi si tr asformano in assassini posizionando
le bombe in modo da provocare esplosioni che coinvolgano il nemico,
in una logica trappolistica riconducibile al glorioso Spy VS Spy .
Il multitap di Bomberman su SNES.
Supporta 54 giochi. Tempi lontani
quelli…
Disposizione: Mentre giocate, cercate di non far scoppiare raudi nel
salotto di mammà, altrimenti gli
irlandesi avranno ragione…
C’è della grassa fratellanza in questa immagine…
Disposizione: Four Swords si
presta bene ai viaggi in treno. Se
siete pendolari, avete 3 amici nintendari e tutta la cavetteria della
bisogna, con FW vedrete scorrere
via il tragitto quotidiano senza
nemmeno accorgervene. È pertanto
necessario un quinto amico, che
segnali l’avvicinarsi della stazione
presso la quale dovrete scendere.
Avvertenze: Nonostante questo
vada contro ogni regola del multigiocatore ortodosso, consigliamo
vivamente di giocare anche A Link
to the Past: uno dei videogiochi
più belli di sempre.
6
Avvertenze: Come nel gioco del
Memory, in Bomberman risultano
avvantaggiati i più giovani, che d ispongono della spensieratezza laterale necessaria a posizionare vigliaccamente le bombe senza particolari sensi di colpa. Quindi, se
sono presenti bambini, a llestite tacite alleanze per fare in modo che
siano i primi a soccombere. Non
fatevi commuovere dai loro pianti,
se potessero, vi pianterebbero un
coltello nella schiena…
.:scHEda:.
Addestratore
di terroristi
eTICHETTA
Hudson Soft
sVILUPPATORE
Interno
Praticamente tutti
sISTEMA
gIOCATORI
1-4
gENERE
:FRAMES:
_____________________Nota
Come avrete avuto modo di apprezzare, in alcuni di questi giochi è
possibile overcloccare il sistema
fino ad un 8-way multiplayer (“più
potenza Scott, più potenza!”), ma è
una pratica che in genere sconsigliamo. Otto giocatori implicano
infatti otto persone nella stessa
stanza: otto voci ululanti (magari
alle due di notte di un condominio
in centro), otto sigarette contemporaneamente accese, otto confezioni
da sei di birra, otto pacchetti maxi
di Fonzies, sedici ascelle pezzate.
Siete sicuri di riuscire a gestire il
tutto?
________________Conclusioni
Siamo alla fine di un viaggio durato
ventimila caratteri. Non ci resta che
scoprire perché nel corso degli anni è stato tradito l’originario spirito
socializzante dei videogames.
Si tratta, questo, di un enigma
avvolto in un mistero; un processo
lungo e graduale culminato con l’inclusione di due sole porte joypad
nei sistemi PlayStation. Ridotte ad
una in caso di acquisto di telecomando.
La sua risoluzione è tanto semplice quanto inquietante: controllo
mentale di massa. È lecito infatti
ipotizzare un complotto su larga
Ring#06
scala allestito negli anni da un’organizzazione segreta che opera
all’ombra dei governi e delle multinazionali. Un’organizzazione che io
ritengo essere quella dei Templari,
apparentemente scioltasi nel 1314
in seguito all’esecuzione di Jacques
De Molay, ma in realtà ancora operativa e responsabile delle malefatte più eclatanti di questo secolo:
dall’ostruzionismo dell’automobile a
idrogeno all’invenzione dei festival
canori. Quale può essere l’obiettivo
di questa setta? Scoprirlo è semplice: basta infatti mettere insieme i
dati di cui disponiamo. Che cosa fa
un videogiocatore non multiplayer
addicted? Gioca solitario nella sua
cameretta. Quindi smette progressivamente di frequentare gli amici.
Quindi esce sempre di meno la s era: non va in giro, non viene invitato alle feste, non incontra ragazze
e, in definitiva, non fa sesso. Ecco il
punto tanto caro a questi uomini in
nero. Ecco spiegate le due porte
joypad della PS2, con Sony che ha
ceduto alle minacce dei Templari.
Ecco spiegato il fiasco di Dreamcast, che invece non ha voluto piegare la testa. E si possono intuire i
motivi per i quali Nintendo e Microsoft sono ancora a galla semplicemente guardando all’utenza di G ameCube (troppo giovane per il sesso) e Xbox (troppo sfigata per il
sesso).
Jacques De Molay
Per quei pochi lettori ancora scettici, ecco la prova definitiva: qual è
il genere single player che va per la
maggiore? Gli RPG nipponici: polpettoni che durano decine di ore,
ricolmi di personaggi ridicoli che
non fanno mai sesso. E chi è la
maggior produttrice di questi titoli
tanto contro natura? La Squaresoft,
dove ‘square’ significa quadrato. La
stessa forma del Tempio di Salomone. Templari dunque!
Adesso che anche voi avete attraversato lo specchio, sarà vostro
preciso dovere abbandonare ogni
intento di single playing, convincendo i vostri amici a fare altrettanto. Andate e multigiocate quindi,
o finirete anche voi per amare la
spirocheta pallida.
Mentre continuo ad osservare il Pendolo descrivere il suo circolo, mi rendo conto del mio tragico errore: non ci sono i
Templari dietro a tutto questo, ma gli Oni. Li ho sentiti chiaramente chiamarsi con q uesto nome mentre mi inseguivano
per mezza Europa. Ma che interesse hanno i demoni giapponesi nella faccenda? Perché vogliono ostacolare il multiplaying? Una domanda, questa, alla quale purtroppo non avrò modo di rispondere...
Voglio approfittare di questi ultimi minuti per chiedere scusa a Valentina Ceccanti. Perdonami Valentina per averti
messa incinta, ma ero sinceramente convinto che quel berretto di lana sarebbe stato un più che adeguato contraccettivo. E devo assolutamente scusarmi anche con la Signora Ceccanti: Susanna, perdonami per aver ingravidato la tua
unica figlia, e perdonami per averti detto “ti amo”. Ero sicuro dei miei sentimenti nei tuoi confronti, ma quando ho conosciuto Valentina, ho ritrovato in lei tutti i tuoi meravigliosi pregi, in un corpo non in dissoluzione. Per quanto appena
esposto, pur se non ci siamo mai incontrati, mi sento in obbligo di chiedere scusa anche al Signor Ceccanti: mi perdoni
Adelmo per aver insozzato il suo bel berretto.
Gli Oni stanno arrivando, sento il loro farneticante vociare sempre più vicino e riesco a scorgerli nei loro lunghi abiti
neri, con un cappuccio a punta e quattro sataniche figure geometriche disposte a rombo sul petto. Finalmente riesco a
intendere qualche p arola in più della loro sinistra cantilena e realizzo di essermi nuovamente sbagliato: non ‘Oni’, bensì
‘Sony’, e finalmente tutto si rivela ai miei occhi, e ogni tassello ritorna al suo posto.
Poi il Pendolo si ferma.
Stat Sony Pristina Nomine, Nomina Nuda Tenemus.
:Notizia Flash:
Durante la Fiera Mondiale delle Videoludoriviste (FMV), una giuria di personalità non appartenenti al settore ha
conferito a Ring il premio MVP (Miglior Videoludorivista del Pianeta). Si tratta, questo, dell’ennesimo motivo di
vanto della redazione di Ring, che dopo essersi fregiata dell’appellativo di “Edge-killer”, dopo il provocato fallimento di Futura, e alla luce dei trionfi nei sabotaggi ai danni dei server di TFP, può legittimamente aspirare alla
conquista del mondo. Fondali degli oceani compresi.
Per dovere di cronaca riportiamo i nomi dei giurati: Lance Alloy (presidente di Hewlett-Packard), Todd Coltraine
(CEO di E pson), Will Sienkievitz (amministratore delegato di Lexmark) e Ed Carlyle (vicepresidente di Xerox).
7
:FRAMES:
Ring#06
hARDwAR_______________________________________
[La Guerra delle Console – Celebrity Deathmatch]
di Nemesis Divina
Benvenuti signori, vi parlo dagli
spalti dell’imponente arena allestita
all’interno del Cesar Palace, in quel
di Las Vegas. L’occasione è speciale
e il clima decisamente eccitato. Se
la regia può inquadrare gli spalti…
ecco, vedete tutte le tifoserie disposte lungo i lati del ring, i palchi
sono gremiti e festanti. Non abbiamo ricevuto le cifre esatte ma si
parla di circa 180.000 spettatori
paganti, senza contare i giornalisti
(giunti da ogni angolo del mondo) e
le personalità. Prego la regia di fare
una carrellata sulle tribune d’onore;
un bellissimo colpo d’occhio! Presidenti di mezzo globo sono accorsi
per l’attesissima tenzone che deciderà chi, fra le console dell’ultima
generazione, avrà il diritto di ergersi sulle altre come vincitore assoluto. Ed è con emozione che annuncio l’ingresso degli sfidanti!! Ci sono
luci e fumogeni che inondano l’arena, la musica altissima è coperta
solo dalla folla urlante. Qualcuno
sta salendo sul quadrato… chi è?!
Camera 1, per favore… Sì! E’ lui,
Bill Gates è il primo a salire sul
ring. Bill Gates: rilanciatore della
potenza americana nella corsa al
videogioco, l’uomo da sei milioni di
dollari (nel portafogli, in contanti…), l’X-Men più noto alla facciazza
di Wolverine; signore e signori, a ccogliete il padre di Xbox!!!! Ma vedo già avvicinarsi al ring anche il
secondo pretendente al titolo, vestito in una tuta nera e blu, ecco a
voi il creatore di PSX e PS2, la
mente rivoluzionaria che ha sconvolto il mercato dei VG strappandolo dalle mani dei marmocchi per
darle a quelle (più ricche) degli
adolescenti: un bell’applauso per
Ken Kutaragi-san!!!! Per ultimo
dovrebbe entrare… ma cosa… signori, una strana aura proviene
dall’angolo Nintendo, è un lucore
vivido e accecante… massì!! Ecco
San Miyamoto!!! Ricordiamo, agli
spettatori smemorati, che Miyamoto è stato beatificato dal soglio
pontificio dopo l’uscita di Zelda su
GameCube, gioco che ha riportato
la pace sul pianeta Terra, colmando
miliardi di cuori con la sua irrefrenabile bontà d’animo.
Ricordiamo brevemente le regole:
non ci sono. Tutti i colpi sono permessi. Il duello è all’ultimo sangue.
Ne resterà soltanto uno. Non ci sono più le mezze stagioni. Round
One. Fight!
È calato un silenzio inquietante
sull’arena. I contendenti si scrutano, in cerca dei rispettivi punti
deboli. Il pubblico segue trepidante. Una piccola scintilla brilla
negli occhi dei gladiatori e all’unisono scagliano le potenti magie:
“Sequel”, “Remake” ed “Esclusiva”. Tutti e tre sono sufficientemente schermati sulle prime due
ma Gates accusa il colpo su Esclusiva. La reazione è feroce,
lancia due pesantissimi Xbox
all’indirizzo degli avversari. San
Miya schiva agilmente rotolando
su un lato mentre Kutaragi-san è
travolto dall’immane peso. Situazione critica per PS2, Kutaragisan reagisce scagliando contro i
nemici ben 256 livelli di pressione
dei tasti DualShock2. Gates e San
Miya sono sorpresi!! Questo colpo
è completamente inutile ed impercettibile!! Attenzione, i lottatori di Microsoft e Nintendo attaccano Kutaragi-san con una combo: Anti-Aliasing + Bump Mapping! Kutaragi-san è stremato,
non riesce a reggere le pesanti
routine estetiche… è a terra
un’altra volta, fuori dai giochi per
il momento. Ora Gates percuote il
beato con un hard disk da 8 giga
ma il giapponese si divincola grazie
alla maneggevolezza del controller
Wavebird (mentre Gates rovina a
terra inciampando nei suoi 3metri3
di cavo). Sfoderati i rispettivi joypad, i due si affrontano in un duello senza secondi posti. Una sparatoria furibonda, giocata sul medesimo numero di tasti e manopole.
Ma è Gates a cedere, assalito da
crampi per le dimensioni del controller Microsoft!! San Miya svetta
supremo al centro del ring con i
due antagonisti fuori combattimento. Si avvicina con un ghigno sadico
intenzionato a finire Gates a suon
di cubate sul cervice. Però… Kutaragi San si rialza, poggiandosi su
un fiammante vertical stand, sussurrate poche parole segrete evoca
Gran Turismo e Final Fantasy
che prendono a mazzuolare i rivali.
San Miya corre ai ripari convocando
Mario e Link, mentre Gates si rivolge a Master Chief e Sam Fisher. Le
sorti della battaglia pendono verso
PS2, le evocazioni Microsoft attuano una strategia d’accerchiamento
molto stealth e agiscono in base ad
una ‘sottile’ AI (nel senso che sono
idioti), intanto Mario e Zelda vengono investiti dai bolidi indistrutti-
8
BILL GATES
Bill Gates, padre di Xbox
e di una speriamo non
fertile progenie, è la dimostrazione vivente di
come chiunque possa ottenere suc cesso con una
singola, brillante idea
(rubare un sistema operativo…)
SHIGERU MIYAMOTO
I funghetti non sono cosa recente nella vita del
padre di Mario. Il maestro soleva divorare funghi allucinogeni a profus ione, questo sia per ottenere ottime intuizioni
a livello di g ame d esign
che per avere erezioni
straordinarie.
KEN KUTARAGI
Il Visionario del metallo,
colui che ricerca nell’architettura della macchina l’affermarsi del supremo intelletto umano.
PS2 è il primo passo
verso il potenziale assoluto e l’applicabilità nulla, primi caratteri del
lignaggio divino…
bili di GT, pilotati dai personaggi di
FF. Accidenti, non è possibile!! Gates sta per lanciare la Final Summoning, l’evocazione totale nota
come ‘Peggio dei PC’. È con voce
tonante che Gates invoca Yboy, la
nuova console di casa Microsoft!!
L’arena si svuota all’istante, nessuno ha voglia di comprare una console ogni tre anni e i p opoli tornano
a giocare a Monopoli, che è sempre
lo stesso da centodue anni ma diverte comunque e costa pure di
meno. Ma lo scontro non è concluso. Kutaragi-san si rivolge a PS3,
sintorganismo tecnoludico, mentre
San Miya chiama a sé HyperCube
e il suo divertimento tetradimensionale. Le tre nuove console torreggiano enormi e implacabili sopra
il campo di battaglia, indugiano pochi attimi e poi affondano simultaneamente i loro colpi migliori. L’onda d’urto è spaventosa e si tr aduce
in un contraccolpo energetico dall’
incalcolabile potenza che causerà
l’incredibile cifra di 6 miliardi di
morti e 41 feriti…
40.000 anni dopo…
Il gorilla passeggia gobbo. Calca
incurante il luogo che un tempo fu
teatro della battaglia che portò
all’estinzione dell’Umanità… poi si
:FRAMES:
gratta furibondo le terga. Il primate
trotterella verso una zona brulla,
ricoperta di sabbia fine e rossa. Con
un osso femorale, trovato lì accanto, batte il terreno per snidare bruchi succulenti e topolini grassottelli.
Ad un tratto nota uno spigolo nero,
che fuoriesce dal terreno… con m ano callosa scosta i detriti e disseppellisce quello che è il lascito di una
antica civiltà passata, una civiltà
evoluta che ha spinto il potenziale
umano al suo vertice... una civiltà
dotata anche di pessimo gusto estetico! Il pataccone verde di Xbox
è sgradito anche ai primati del
42.003. Quattro femorate ben as-
Ring#06
sestate rispediscono Xbox nel limbo
del passato. Tre passi ed ecco un
pannello violaceo poco dietro una
roccia. E’ un cubetto, simpatico o ggetto d’arredamento che la Signora
Gorilla tanto apprezzerebbe. Ma
notando la maniglia lo scimmione
appronta al momento una gara di
lancio del Cubo stabilendo peraltro
il mirabile record di 184m (e un
Cubo in frantumi). E poi un’ombra
lunga e penetrante. Una stele nera
che s’innalza suprema sotto un sole
antico. Il gorilla si avvicina e scorre
dita nodose sulla parete del feretro,
intuendone le molteplici funzionalità. Un tasto tramuta una tenue lu-
cina rossa in due brillanti occhi,
verde e blu. Una leggera pressione
e uno sportello s’apre, invitando
all’uso. Il gorilla è titubante… ma
percepisce l’importanza di ciò che
va fatto. Poggia così il suo ultimo
Crodino sul portabevande di PS2 la
quale, in posizione verticale, non
può che lasciar cadere e frantumare a terra la bottiglietta. L’ira del
gorilla è insanabile e PS2 viene fracassata a colpi d’osso mentre lacrime amare piangono la fine
dell’apice del genio dell’Uomo.
Il Crodino.
aN eLECTRIC cHAT wITH eRIK pEDE__________________
[RinGterview: Erik Pede]
di Paolo “Jumpman” Ruffino
C o-fondatore della web-zine
A.Rea.21 nel 1996 e collaboratore per Super Console e Mega Console dal
1998, Erik Pede ha iniziato
a lavorare nel Luglio del
2000 come game designer
nel team di Atlanteq, una
softco tutta italiana situata
ad Avezzano (AQ). Il loro
primo gioco, T-Zwei, è uno shooter
in 2d per PC di cui è già disponibile
una demo sul sito ufficiale. Sempre
per PC, ma ancora in lavorazione, è
Steam Empire, un titolo che unisce l’immediatezza tipica degli sparatutto con una grafica ultra dettagliata ed un’ambientazione “steampunk”. Atlanteq ha anche prodotto
un suo motore grafico, Atlanteq3D, che conta di commercializzare entro la fine dell’anno.
Un uomo singolare, Erik Pede
(italiano, ma tifoso del Manchester
United senza alcun motivo), ed i mpiegato in un lavoro altrettanto singolare per il nostro paese.
PJR lo incontra su ICQ e si intrattiene con lui in una chiacchierata elettrica, che copincolla qui sotto
integralmente. Dedicata a tutti
quelli che vogliono, o hanno voluto
in un certo momento della loro vita,
“essere pagati per fare giochi”.
PJR: Da videogiocatore a giornalista a game designer. Perchè?
Erik Pede: Da videogiocatore a
giornalista, mmm... credo che il
passaggio sia dovuto alla voglia di
entrare a far parte di un mondo al
quale ci si è appassionati "dall'esterno". hai giocato, nel tuo piccolo
hai giudicato i giochi, magari in
compagnia degli amici... ti
sei chiesto mille volte cosa
ci sia dietro, le relazioni
tra le software house e i
programmatori, il modo in
cui nascono le idee... il
logico passaggio successivo è andare a "indagare"
su queste cose, che poi
sono quelle che stanno
alla base dei videogiochi. Per cui
tenti di imparare un po' di itaGLiano decente e diventi recensore :D
PJR: Qual è stato il momento preciso in cui hai capito che volevi
passare a "fare" i giochi, oltre che a
giocarli?
Erik Pede: sin dagli inizi, se devo
essere onesto. ricordo ancora il mio
primo "design document"... riguardava un clone di Crack Down con
livelli di intermezzo in stile puzzle,
era scritto su dei foglietti sparsi di
carta a quadretti... visto che si parla dei tempi di Crack Down , fai un
po' tu i conti del periodo a cui mi
riferisco :D
PJR: Cosa ti piace dei videogiochi?
Erik Pede: l'esplorazione, in tutti i
sensi del termine. Andare a v edere
cosa c'è dietro la casa della nonna
del semi-Link di The Wind Waker,
così come andare a scoprire come è
la curva successiva a quella che sto
prendendo in Gran Turismo. andare a scoprire il mio limite sempre
in GT, oppure esplorare le mie c apacità di risoluzione di un enigma,
o di reazione puramente legata ai
riflessi, o andare ad esplorare il mio
limite
di
bastardaggine
con
Worms.
9
Non ti rispondo "la libertà", come
fanno in tanti, perché di libertà vera e propria, nei giochi, ovviamente
non ce n'è. Poi mi piacciono le storie, e quindi i giochi che hanno da
raccontarne e i designer che sanno
come raccontarle, e mi piace il fatto
che i videogiochi si possono fare :D
quindi ne apprezzo il lato creativo,
il "farli", il fatto di inventarli.
PJR: Ecco, su questo punto vorrei
indagare un momento...
Erik Pede: indaga pure, dammi
giusto il tempo di avviare un MP3 in
background :D
Erik Pede: fatto :)
PJR: :)ok...
PJR: Pensi che il fare i videogiochi
sia potenzialmente alla portata di
tutti? Che conoscenze sono necessarie, se sono necessarie?
Erik Pede: mmm... innanzitutto,
non dimentichiamo che "fare" i v ideogiochi è una cosa un po' generica, nel senso: in un team di produzione (brutto termine) di videogiochi, ognuno ha le sue competenze
specifiche, ed è da lì che nascono le
conoscenze che ciascun membro
del team DEVE avere. Perché DEVE
averne.
Ok, accanno l'MP3... che bello il
finto multitasking di windows, ridatemi l'Amiga :D Finché si parla di
conoscenze te cniche, l'acquisizione
delle stesse è chiaramente possibile
per chiunque. Si impara a programmare se ci si vuole occupare
di quel lato della faccenda, si impara a leggere le note e a comporre
se si vuole c urare la musica, e così
via. Il videogioco non è solo arte
poetica, ci vuole a nche la tecnica, e
:FRAMES:
quella si deve imparare, punto e
basta.
Poi ci sono le capacità "artistiche", la "poesia" del videogioco. E lì
il discorso cambia un pochino. Il
che però non vuol dire che "fare"
videogiochi sia un cosa per pochi,
anzi. Basta la passione, in realtà.
PJR: Pensi che siano conoscenze
che si possono acquisire da qualche
parte? Dove? Cerchiamo di dare
qualche indizio agli amici a casa
che hanno questo sogno nel cassetto.
Erik Pede: La "capacità" di disegnare un livello avvincente per un
platform non dipende dalla te cnica,
ma dall'estro, dall'ispirazione, dalla
profonda conoscenza dei titoli del
passato... estro e ispirazione non si
comprano e non si apprendono, ma
devono scaturire da una passione
vera e da un impegno che spesso
supera la nozione comune delle f atiche attribuite a chi "fa" videogiochi. Il che, a dispetto di quanto si
possa pensare, è davvero stressante e faticoso :p
Ring#06
PJR: In che misura hai collaborato
a T-Zwei, SteamEmpire e ad Atlanteq3D, i tre lavori della c asa di
Avezzano?
Erik Pede: le capocciate funzionano alla grande, con le tastiere :D
Erik Pede: Atlanteq3d è il motore
tridimensionale proprietario su cui
si basano i prodotti di Atlanteq, il
che, in breve, vuol dire che è roba
per programmatori e io non c'entro
un tubo, per mia fortuna. I programmatori impazziscono in età
giovanissima, o rmai è dimostrato, e
passano il resto dei loro giorni a
chiedersi perché hanno scelto di
programmare videogiochi e non
applicativi in visual basic :D
Per Steam Empire, che ora è un
progetto sospeso, ho preparato
buona parte del game design iniziale, ho curato molti dettagli relativi
al gameplay e al level design di
massima, ho co-ideato l'ambientazione, ho scritto la storia e ho fatto
un sacco di altre cosette che al
momento sono in stand-by insieme
al resto del gioco. Diciamo che ho
fatto il game designer vero e proprio, per Steam Empire.
Erik Pede: Dare capocciate all'Amiga non conveniva, visto che in
quasi tutti i modelli DENTRO la tastiera c'era tutto il computer :D
PJR: Ti sei informato sui corsi per
diventare game designer? Come ti
sembrano?
Erik Pede: Non mi sono informato
in maniera approfondita, solo a livello di curiosità. Sono cose che
andrebbero provate per esprimere
un giudizio corretto, ad ogni modo
alcuni di questi corsi (ribadisco: a lcuni) mi sembrano a livello un po'
troppo teorico e campato in aria,
quasi una... vabbè, diciamolo, una
pippa mentale. Pratica che nel
campo dei v ideogiochi, perlomeno
qui in Italia, inizia a diventare un
po' troppo diffusa per i miei gusti.
PJR: Ti senti soddisfatto di questo
lavoro? Lo consiglieresti anche ad
altri appassionati di videogiochi?
Erik Pede: Onestamente? :D
PJR: Certo, onestamente:)
Erik Pede: Non lo consiglierei
nemmeno al mio peggior nemico :D
Ne sono soddisfattissimo, è quello
che voglio fare e mi sono intestardito per farlo, ma è un inferno :D
E all'inizio lo è per tutti, non importa se ti chiami erik pede o peter
molyneux. Si suda, non si vede una
lira e si va avanti solo per passione
e per vedere il tuo gioco finito e
pubblicato. Poi pensi al resto.
Gli anni 80 sono passati, le
Ferrari dei tizi di System 3 sono un
ricordo lontano. La realtà "industriale" dei videogiochi, ora come
ora, è abominevole.
PJR: Ovunque?
Erik Pede: Sì, e in Italia, manco a
dirlo, la situazione è nettamente
peggiore rispetto alla media.
PJR: Parliamo di T-Zwei, il vostro
primo gioco. Uno shooter in 2D, un
genere definito da molti come obsoleto e senza mercato, ideato e
sviluppato in una nazione obsoleta
e senza mercato. Si direbbe una
strada tutta in salita...
PJR: Dai, quello era nell'era Amiga...
PJR: Appunto, con una capocciata
aggiustavi TUTTO
Erik Pede: Nah, per aggiustare
TUTTO si scambiavano i due CIA e
tutto andava magicamente a posto,
anche se non s'è mai capito perché
e percome :D
PJR: :D
Erik Pede: e dire che di Amiga ne
ho avuti tre :)
PJR: non l'avrei mai detto...:D
Erik Pede: Amiga forever! :)
Erik Pede: ok, la pubblicazione...
PJR: dai, torniamo seri...sì
Erik Pede: diciamo che piazzare il
primo titolo è SEMPRE un dramma,
a meno che tu non abbia un mediocre sparatutto o un mediocre FPS
da vendere a due lire ad un editore
che campa di mediocri cloni a basso
costo. La gavetta la devono fare
tutti, non si scappa, e in questo direi che il fatto di aver scelto uno
sparatutto orizzontale, per di più su
PC, non complica più di tanto una
quest (la ricerca del publisher) già
di per sé costellata di difficoltà praticamente impossibili da aggravare
ulteriormente :p
Ad ogni modo, stiamo avendo dei
colloqui con diversi publisher e continueremo ad averne fino a quando
non troveremo un editore serio con
cui lavorare per bene :)
Erik Pede: In effetti, E' una strada
tutta in salita ;p
PJR: In che stato è al momento?
Erik Pede: T-Zwei gode al momento di ottima salute :D. La grafica è pronta da un pezzo, la musica
pure, il motore di gioco gira che è
una meraviglia (roditi il fegato, dio
Irem :D ).... ci stiamo dedicando
all'assemblaggio dei livelli ancora
da completare, al fine-tuning di
quelli già esistenti e al minestronamento definitivo del tutto, con
relativi test di giocabilità e compatibilità. In altre parole, T-Zwei, udite udite, è quasi finito :D
PJR: Per quel che riguarda la pulicazione?bb
Erik Pede: dimmi, dimmi, continua
PJR: no, è che no va la B:) stavo
cercando di correggere PULICAZIONE, dovrò dare due botte a questa
tastiera...
10
PJR: Altri progetti di Atlanteq di
cui NON puoi parlarci? :)
Erik Pede: In questi casi si risponde sempre che ci sono decine di
progetti segretissimi di cui non si
può fare parola con nessuno, solo
che in questo caso è vero :D
Certo, i progetti non sono quantificabili in decine, ma ci sono e ci
stanno appassionando in una maniera che porterà sicuramente a
qualcosa di buono. In esclusiva per
Ring, e in ossequio alla presenza in
:FRAMES:
redazione di ex-colleghi di A.Rea.
21 e di altra gente che conosco, ti
posso rivelare che stiamo iniziando
a mettere in cantiere qualcosa di
molto inusuale per uno sviluppatore
attualmente impegnato su PC, di
molto molto inusuale per uno sviluppatore europeo e di assurdamente inusuale per uno sviluppatore italiano. E questo è solo l'inizio
:D
PJR: Un RPG?
Erik Pede: Nah, di più, di più :)
PJR: Ok. è un RPG...
Erik Pede: E poi c'è sempre il m otore, che procede alla grande e che
sarà licenziato anche a te rzi, un po'
come fanno i grandi nomi del calibro di id et similia. E NON è un RPG
:D
PJR: Vabbè, dai ora dovrete cancellare un progetto perché vi ho
scoperto...:)
Erik Pede: Nah, ti faremo eliminare dal nostro Assassino Imperiale
Vindicare :D
PJR: ^_^ Sei stato nel mondo dei
videogiochi molto a lungo, e non
solo da spettatore. Cosa te ne pare
dell'attuale situazione?
PJR: visto che la domanda è troppo
vasta, diciamo cosa te ne pare dell'ambiente delle software house in
italia e all'estero. C'è spazio per
altri Atlanteq? Ce ne sono?
Erik Pede: In Italia siamo rimasti
allo stato peracottaro che ci ha reso
tristemente famosi nel mondo dei
videogiochi, quello stato peracottaro per cui nessuno, e dico nessuno,
si fida degli italiani in questo campo... :|
Di spazio per altre Atlanteq ce
n'è a volontà, il problema è la sopravvivenza. Trovare contratti, finanziatori, collegamenti et similia è
a dir poco drammatico, davvero
un'odissea.
Per quanto riguarda il panorama
softco in generale, siamo alla tr agedia per i piccoli sviluppatori. Le
grandi case non ti cagano o falliscono da un giorno a ll'altro, quelle
medie non esistono più e quelle
piccole, che non hanno soldi per
tirare avanti, cercano di fregarti in
tutti i modi possibili e immaginabili.
PJR: Intravedi un futuro con p oche
grandi softco o sbaglio?
Erik Pede: Direi che in questo f uturo ci siamo già. Quante softco
sono rimaste, oggi come oggi? Softco, non marchi. I marchi, alla fin
fine, sono tutti di proprietà delle
stesse 5 o 6 grandi aziende.
PJR: Atari, per esempio.
Erik Pede: Atari è un marchio,
una parola che non ha più senso. lo
Ring#06
stesso vale per Sensible, per i
Bitmap bros, prima o poi accadrà
lo stesso per Codemasters e chi
più ne ha più ne metta.
PJR: per quel che riguarda la critica videoludica, visto che sei stato
anche un giornalista di videogiochi,
cosa vedi in Italia e nel mondo,
dando un'occhiata alle attuali riv iste cartacee e online?
Erik Pede: Nel mondo, con particolare riguardo per la solita Inghilterra e per qualche altro paese con
una forte tradizione videoludica,
intravedo un certo miglioramento
qualitativo, perlomeno per quanto
riguarda le riviste cartacee. L'online
sta migliorando, ma non lo vedo
come sostituto della carta, assolutamente, bensì come una preziosa
aggiunta. in Italia, vedo lo sfacelo,
sia su carta che in rete...
Meno male che c'è RING :D
PJR: :) e non lo dici sotto ricatto!
Erik Pede: Certo che no, seguo il
progetto ring sin dal principio e lo
trovo intrigante, una voce diversa
dal solito.
PJR: Grazie
Erik Pede: Figurati... ricordati l'indirizzo per la copia omaggio di WE
6 FE per GCN :D
PJR: Ah sì, poi me lo dici per b ene
che me lo segno.
Erik Pede: Chiaro, e non dimenticare il freeloader e una memory
card 251 :D
PJR: Aspetta, adesso vacci piano...:D
Erik Pede: Io ci provo :D
PJR: E da giocatore, cosa stai giocando in questo periodo? Ti piacciono i nuovi vg?
pubblicazione dipendono a nche da
questo: quando parli con l'addetto
agli acquisti di una softco parli con
un ragioniere e/o un esperto di
marketing, non con uno che ama/capisce/conosce i videogiochi.
Tristezza profonda.
PJR: Direi che è l'aspetto più triste,sì.
PJR: Vai di lista!
Erik Pede: Ok, in cima alla lista c'è
The Wind Waker, un maledetto
capolavoro :D Poi A Link to the
Past per GBA, Final Fantasy Tactics Advance sempre per GBA,
Winning Eleven 6 FE per PS2,
Super Famicom Wars per SNES,
poi... Last Ninja 2 per CBM 64,
Suikoden III per PS2, Metroid
Prime per GCN, Capcom Vs. SNK
2 per PS2, poi vediamo... oddio, ce
ne sarebbero a tonnellate :D
PJR: Mi fa piacere vedere che ti
tratti bene!
Erik Pede: Sempre e solo il m eglio
:D
PJR: Una dimostrazione che si può
lavorare coi vg senza perdere il
piacere del gioco.
Erik Pede: Vero, anche se in effetti
è difficile non avere la nausea, s oprattutto quando fai il recensore. Il
che vuol dire che, se 'sta nausea
non ti viene, è merito della tua
passione, che evidentemente è fortissima, e della qualità dei titoli che
scegli di giocare.
PJR: Bene, direi che su queste p arole ci possiamo salutare.
Erik Pede: Ok, grazie per avermi
reso famoso :D
PJR: Grazie a te per la disponibilità. Un saluto.
Erik Pede: Posso fare anche una
lista lunghetta? :D
PJR: ok
Erik Pede: Nei nuovi videogiochi
VEDO il declino di cui si parla da
anni, ma non lo vedo dappertutto
come si dice in giro. Ragion per cui,
sì, mi piacciono anche i nuovi vg,
così come continuano a piacermi
quelli vecchi e vecchissimi. Semplicemente, una volta potevano uscire
20 titoli in un anno che mi facevano
davvero impazzire, ora magari ne
escono "solo" 10, ma mi va più che
bene così.
Erik Pede: vuoi la lista? :D
PJR: Certo! E ti dirò che è raro tr ovare qualcuno che oltre a "fare" i
vg, trova anche il tempo per giocarci. Di solito chi è dentro una software house ha un po' gli occhi
bendati e non gioca da tantissimo.
Erik Pede: Verissimo, il che è molto triste. Tra l'altro, le difficoltà di
11
[Ring è] Resistenza
“Mi è sempre sembrato che
le premesse fossero di battersi contro i mulini a vento, non di sfondare porte
aperte... ma se volete la
popolarità possiamo sempre mettere su una boy
band.”
Amano76, rispondendo a una
proposta di ri-orientamento
mainstream della (non)linea
editoriale di Ring.
:FRAMES:
Ring#06
cOORDINATE vIDEOLUDICHE _______________________
[Tempo e Spazio nel VG]
di Nemesis Divina
_La Rilevanza del Tempo Ludico
Il Videogioco nasce come pratica
giocosa, un interagire che dalla mano/reale si trasferisce allo schermo/irreale. È un intrattenimento,
un modo di passare le ore, un fare
divertente, spensierato e intimamente fine a se stesso. Questi i c aratteri distintivi del VG al tempo
della sua nascita, quando triangolute astronavine ruotavano nello spazio nero, all’epoca in cui si rimbalzavano palline contro mattoni multicromati, quando i draghi sputavano bolle e tirando giavellotti contro
una lapide rischiavi d’esser tramutato in rospo.
Odyssey, classe
1972, è la prima
console della storia. Ne sono state
prodotte numerose
versioni ma la prima offre senz’altro
il design più sofisticato…
Flashforward, anno 2003: siamo
ancora a quel punto? Non proprio,
diremmo noi. Che qualcosa sia e ffettivamente variato da quegli anni
è sotto gli occhi di tutti; favorito dal
progresso tecnologico, il gioco a
video ha mosso un passo basilare
quando il baricentro dell’industria si
è spostato dalle sale giochi fin sotto
il nostro televisore. È stato un transito importante, occasione in cui il
VG si è trovato a scegliere fra
l’approccio arcade e uno più profondo e immersivo. Affrancato da
tempi e modi da sala giochi (partita
rapida = più gettoni), il VG ha potuto godere di intervalli più dilatati,
passando da un concentrato di azione/reazione ad un più lento e
calibrato azione/assimilazione/
reazione.
Va detto che, dapprima, la te ndenza arcade non si è persa nei n ostri salotti (né è ora perduta), difatti rimangono indelebili le tracce dei
mastodonti del divertimento lampo;
eppure sono le avventure a più
ampio respiro quelle che, per prime, dichiarano l’indipendenza delle
console dal regno frettoloso degli
arcade, questo quando ancora una
macchina casalinga non poteva
competere tecnicamente con un
coin-op. Giocare in casa non era
più soltanto un fatto di risparmio e
comodità, diventava piuttosto l’uni-
co modo di protrarre l’esperienza
ludica per tempi sufficienti a calarsi
nella parte, a credere di esserci.
Nascevano così le avventure (testuali e grafiche), i giochi di ruolo
e, più in generale, i generi in cui si
contemplava l’idea del progredire
della storia e di un mutare delle
condizioni di partenza. Se nella v isione arcade partiamo con un set
pressoché completo di istruzioni e
possibilità predefinite, nel “gioco
dilatato” dobbiamo invece crescere,
apprendere movimenti e interazioni
extra, acquisire nuove abilità e migliorare quelle preesistenti, una
situazione di gioco che ricorda l’esperienza di vita comune a tutti
noi. Ed è proprio questo referente
effettivo (la vita) a calarci nei contorni della finzione senza più remore; se inizialmente il gioco arcade
era un semplice concatenarsi di
meccaniche prestabilite, ora il tempo ludico è scandito non solo dal
muoversi degli ingranaggi del gameplay ma anche e soprattutto dalla nostra percezione dello ste sso,
dalla nostra immedesimazione .
Ecco dunque che diviene essenziale
un tempo di esposizione b astante a
svestire i panni dell’incredulità e ad
indossare le attillate vesti dell’irreale.
Con il nuovo tempo ludico si inizia a proporre più che una sceneggiatura abbozzata, da desumere
alla meglio fra uno stage e l’altr o
(magari tramite una schermata fissa e un paio di righe di testo malamente vocalizzate). Fanno l’ingresso in scena lunghe sequenze
testuali, interi capitoli verbali che
intercorrono tra schermo e giocatore oppure fra i protagonisti del gioco, scritti che non solo fungono da
collante degli eventi ma fanno
spesso parte dei mezzi a disposizione del giocatore (Monkey Island). La storia si plasma così a ttorno al nostro agire e anche al n ostro parlare, conducendo pure a
finali multipli. La sensazione di e sserci aumenta con l’aumentare dell’
interazione, con l’allargarsi del n ostro raggio d’azione e di conseguenza con la nostra maggiore partecipazione emotiva. Da qui in p otenza, il passo verso il presente è
breve. Alle medio-lunghe avventure
“punta e clicca” fanno seguito sterminati RPG con sottotrame, s egreti,
sviluppo dei personaggi, abbacinanti FMV e dialoghi degnamente recitati.
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Parallelamente assistiamo alla
nascita di mondi virtuali potenzialmente infiniti, mondi persistenti
dove il giocatore prende posto e
progredisce nella direzione da lui
prescelta (entro i limiti tecnoludici
imposti dal design del gioco). A
fianco di questi mondi eterni (Ultima Online, Sim City , The Sims,
Daggerfall o il prossimo Fable) si
trovano però anche dei concentrati emotivi, produzioni che focalizzano il tempo ludico ampliando enormemente il fattore emozionale.
Parliamo di titoli che propongono
un impatto psicologico diretto che
nasce da una partecipazione spesso
coatta, veniamo gettati nel gioco
con violenza, subito nel pieno d egli
eventi e in situazioni d’urgenza. È il
caso di Fade to Black e Alone in
the Dark o dei più recenti e devastanti Resident Evil e Silent Hill,
modelli di gioco che fanno dello
scandire temporale la loro prima
arma (difatti le situazioni ambientali richiedono una risoluzione immediata della trama, gli eventi non si
protraggono per mesi e il pericolo è
sempre incombente).
La nuova forma del tempo l udico,
inoltre, permette un’altra singolare
manipolazione dell’esperienza di
gioco. Con un accesso potenzialmente sempre possibile al mondogioco, nascono delle fasce ludicotemporali dalle quali un gioco può
trarre vantaggio. Caso eclatante
quello dei survival horror, che ci
guadagnano grandemente in atmosfera se fruiti in orari notturni e,
soprattutto, in totale solitudine (cosa generalmente i mpossibile in sala
giochi).
Vediamo dunque come, al pari
dell’evoluzione umana, il tempo sia
uno dei fattori determinanti, indispensabile per una crescita significativa. Nelle condizioni costrette in
cui giaceva negli scomodi cassoni
da bar, il videogioco non riusciva e
non poteva esprimersi in tutta la
sua forza. Né ora si è giunti ad un
capolinea evolutivo, tutt’altro. Titoli
come Shen Mue o Morrowind
dimostrano anzi come il livello di
coinvolgimento emotivo sia in costante crescita, sempre più lontano
dagli adrenalinici inte rmezzi di
Out Run o di un qualsiasi Street
Fighter. La componente temporale
assume a llora un valore proprio ed
elevato, una cifra senza la quale
l’equazione ludica rischia di perdere
di significato.
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Ring#06
___________Del Luogo Ludico:
quando il Dove cambia il Cosa.
Pong è il padre
putativo di tutti i
vg e ricorre nei
sogni elettrici di
ogni brava console, durante lo
stand by. Di
Pong rammentiamo l’ottima
interpretazione
di uno spot PSX.
Analizzare lo spostamento del Luogo Ludico, del dove giochiamo,
significa studiare e dunque c apire i
bivi evolutivi di questo contesto. È
un modo, forse uno dei m igliori, per
osservare la Storia di questo mezzo
espressivo e per segnare le tappe
fondamentali della crescita del videogioco, una crescita sia rivolta
all’interno (nei modi d’intendersi)
sia relazionata all’esterno (nei modi
di presentarsi).
Il videogioco guadagna una prima collocazione sociale nella sala
giochi. Il Pong di Nolan Bushnell
trova spazio tra i flipper, i biliardi e
il fumo dei bar, luoghi mal visti
dall’opinione pubblica e che generalmente accoglievano, al loro interno, persone di bassa estrazione
sociale. Queste sale di ritrovo e r icreazione, nate ad inizio secolo, si
rivolgevano ai membri delle classi
disagiate e, più in generale, a
chiunque avesse del tempo da perdere. Fra le attrazioni figuravano
anche cinetoscopi e mutoscopi,
apparecchi che permettevano di
visionare filmati (spesso pornografici) guardando dentro l’apparecchio
e girando una leva. Da q uesti primitivi sistemi d’intrattenimento
si passò, col tempo, ad apparecchi
più elaborati di cui il VG rappresenta solo la più recente evoluzione.
Ma la cattiva fama delle sale giochi
è fatale ai successori di Pong: la
pessima la pessima nomea da molti
attribuita a questi locali, si trasmette anche ai videogiochi con conseguenti campagne diffamatorie da
parte di mamme, inferocite, e senatori americani in cerca di voti. La
situazione delle sale giochi m igliora
sensibilmente, come ha fatto notare la Herz ne “Il Popolo del Joystick”, quando queste si trasferiscono all’interno dei centri commerciali. L’immagine di luogo malfamato deve essere cancellata in
modo da far sembrare i locali luoghi
sufficientemente decenti da parcheggiare i figli, mentre si fa la
spesa. I poster porno lasciano spazio ad insegne luminose e ampie
vetrate colorate illuminano l’ambiente. Il lifting estetico della sala
giochi spiana la strada, anche se in
misura ancora modesta, all’idea del
videogioco come mezzo di intrattenimento socialmente accettato (e
all’epoca solo tollerato).
Il passaggio all’home entertainment non è netto e ben delineabile.
L’idea di portare il v ideogioco nelle
case è poco successiva al coin-op di
Bushnell, ma di fatto la sala giochi
rimane la ruota trainante del mercato videoludico. Il videogioco e ntra nelle case dei giovani statunitensi già nel 1972, con l’Odyssey
ad opera di Magnavox, ma per iniziare a vedere qualcosa di sosta nzialmente diverso da quello che v eniva proposto nelle sale, bisogna
aspettare il Channel F della Fairchild (1976), prima console a cartucce sostituibili. Spetta però al
Famicom (NES) il ruolo di spartiacque pubblico che, su larga scala, s’impegnerà ad avviare l’onda
del cambiamento. Il 1984 vede a pparire la console Nintendo in
Giappone, proprio mentre in Occidente il videogioco comincia a conoscere un calo di popolarità. La
console a 8-bit porta il videogioco
ad una nuova fioritura mondiale e
stavolta il fulcro dell’industria si
sposta verso le case dei videogamers.
Le Sale Giochi, tuttavia, continuano a mantenere il primato te cnologico e con esso una preziosa
fetta d’industria. Non va poi tralasciata l’importanza che ha avuto la
diffusione del secondo televisore
il quale, di norma, finiva con l’essere collocato in cucina o nella camera dei figli. In tal modo il VG entr ava in famiglia in punta di piedi,
senza monopolizzare o ostacolare
la normale fruizione televisiva dei
genitori. La conquista del salotto,
centro nevralgico dell’attività sociofamiliare, si compie di recente principalmente per due ragioni:
reso di tendenza il VG presso fasce
d’utenza maggiorenni). Secondo la
IDSA (International Digital Software
Association), negli USA il 60% della
popolazione videogioca; secondo
PCData il 22,8% dei videogiocatori
statunitensi ha un’età compresa tra i
35 e i 44 anni e gli ultraquarantenni
sarebbero più del 20%.
Contemporaneamente alla presa
di possesso dei salotti, il videogioco
riprende a prosperare per le strade,
non più nel buio delle sale giochi
ma alla luce del sole. È del 1989 il
primo GameBoy di Nintendo. La
console portatile per eccellenza r iporta in vita giochi che avrebbero
potuto estinguersi con la morte delle Sale Giochi. Il compagno Tetris, concepito e sviluppato dal russo Pajitnov, spopola e traina il Game Boy verso picchi di vendita
insperati; il fenomeno del gioco
portatile sfonda molto più di quanto
non avesse fatto con i limitati Game&Watch (sempre di Nintendo) ed
i tentativi d’imitazione della piccola
console crescono di numero, pur
senza mai offrire una valida alte rnativa. Con il gioco portatile il ruolo
sociale del VG tr ova il perfetto
complemento al salotto di casa: videogiocatori che smanettano impunemente alla fermata dell’autobus,
sui sedili del treno o sulla spiaggia,
incuranti del giudizio altrui poiché
la stranezza, l’ignoto intrattenimento è ormai una consuetudine sociale, un registro di atteggiamenti e
gestualità note che, forse, sollevano ancora dubbi e perplessità, solo
né più né meno di quanto continuino a fare TV e Rock ‘n Roll.
1 – Quanti, a loro tempo, furono
colonizzatori di questa neo era digitale, sono oggi adulti e padroni di
casa.
2 – Per la nuova multifunzionalità
delle console capaci di leggere i CD
prima e i DVD poi.
Con l’ultima generazione di console
si concretizza anche il sorpasso te cnologico di un’industria (quella delle
Sale Giochi) battuta già da tempo
sotto il profilo della qualità dell’intrattenimento.
Il videogioco, dal suo ingresso nei
salotti, non conosce battute d’arresto e si impone agli occhi della società come naturale este nsione del
televisore (merito in parte di Sony
che, con Psone , ha massificato e
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Alexey Pajitnov, padre di Tetris, ha
fortemente contribuito al diffondersi del videogaming. Dopo 40 milioni
di copie vendute, il suo vg continua
ad essere uno dei più noti s inonimi
videoludici.
[si ringrazia Paolo Jumpman Ruffino per l’indispensabile supporto nozionistico]
:FRAMES:
Ring#06
mAIN bRAIN fRAGMENTS___________________________
[RinGterview: Matteo Bittanti]
di Nemesis Divina
Matteo Bittanti è un personaggio
indubbiamente molteplice e duttile.
Le sue origini le trovate altrove su
queste pagine ma vi anticipo che
non troverete ragni radioattivi. Di
seguito un’allucinata e lunga chiacchierata con il Fu Filosofo, un’overdose di input da assumere a mente
sgombra. Enjoy.
~Cultura Videoludica~
RING: La percezione dell’ambient
videoludico sta raggiungendo, in
questi ultimi anni, vette di coscienza più elevata. Pensi che questa
crescita vada relazionata a fattori
socio-culturali, alla massificazione
del media o più semplicemente al
fatto che i ‘pionieri’ del vg sono o ggi cresciuti?
MBF: massificazione dei media?
direi che il mediascape attuale è
sempre più frammentato, personalizzato, frattale, daily me - negroponte. ognuno si costruisce i suoi
palinsesti, priorità, filosofie di vita
come mattoncini del lego – anche
se alcuni usano i playmobil che s ono incompatibili, snodabili, certo,
ma incompatibili. siamo tutti collegati eppure non siamo mai stati così soli. da parte mia mi sento sempre più dissociato eppure straordinariamente integrato, galleggio in
questo liquido amniotico fatto di bit
e di info e di clips e di fish and
chips e di demo e di spoiler e di
cheat e di caffeina molta caffeina
starbucks uber alles voice communicator vibracall mms chat burp. la
stessa dimensione ludica è frantumata in una miriade di caste, clan,
è un ‘mondo tribale’ [mcluhan] che
si serve delle tecnologie per ridefinire rinnegare la propria identità.
d’altra parte mi piace la musica
ambient, brian eno, figliolo, è molto
videoludico. consiglio tutti di fare
un salto al mart di rovereto e fruire
la retrospettiva di john cage (vedi
Box a pagina seguente). super mario botta 1 è il mio eroe. in barba a.
Brian Peter George St. John Le Baptiste
de la Salle Eno, nasce in Inghilterra nel
1948. Innovatore del rock, dà il via, a
metà degli anni 70, al genere ambient.
RING: Credi esistano ‘pensatori’
del vg in tal numero da poter parlare, seriamente, di Cultura Videoludica (notare la C maiuscola)?
MBF: non credo nella ‘c’ maiuscola.
ogni espressione dell’uomo appartiene alla ‘cultura’. la ‘cultura’ con
la ‘c’ maiuscola è una prevaricazione, una divaricazione anale, un inalatore tipo vicks da spalmare sui
bronchi, un dildo, un costrutto, un
barbatrucco, un’illusione, un concetto arcaico/arcade, per non parlare della k-k-kultura, (v)ideologia
allo stato puro poutpurri. keep the
frequency clear. quando il marketing manager di sony computer
entertainment italia afferma che
in italia non c’è cultura del videogioco perché la gente gioca solo a
winning eleven, dimentica che ‘la
cultura denota una struttura di significati trasmessa sto(r)icamente’;
‘incarnati in simboli’; ‘un sistema di
concezioni ereditate espresse in
forme simboliche per mezzo delle
quali gli uomini comunicano, perpetuano e sviluppano la loro conoscenza ed i loro atteggiamenti verso la vita’. [clifford geertz ]. i videogiochi – anche winning eleven ovviamente – sono un sistema di
simboli e i simboli sono veicoli del
concetto, dell’idea, del valore o
dell’assenza del valore. il concetto
classico di cultura va ampliato e
reso compatibile con la varietà e la
molteplicità delle culture (e sottoculture) presenti. la cultura è un
modo di pensare, sentire, credere,
giocare, un ricettacolo di comportamenti, abitudini, tecniche condivise, convissute, con. la ‘cultura’
non esiste. esistono, semmai le
‘culture’. cult e trash, kitsch e
camp, frag e gangbang, paid in full.
Clifford Geertz nasce nel 1926, a San
Francisco. Antropologo ed etnologo, ha
assistito presso il Massachusetts Institute of Technology (1952-58) ed ha conseguito un dottorato ad Harvard. Autore
di numerosissimi testi a indirizzo prev alentemente socio-culturale.
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RING: La culla del VG (meccaniche
di sviluppo, iter produttivi, tecniche
e linguaggi) è in genere lontana
dall’utente cui si rivolge l’opera u ltima. Questo è un ostacolo alla reale comprensione della Res Ludica?
In altre parole, credi che se l’utenza fosse più vicina al corpo grezzo
del vg potrebbe apprezzare m eglio
qualità e potenzialità del media?
MBF: l’utente-serpente è, da sempre, co-produttore dell’opera videoludica. è, se vogliamo, una bisia
che strisia. il suo ruolo e la sua i mportanza è destinata a crescere
considerevolmente anche perché i
programmatori sono pigri come
l’orsetto bubu. sono i videogiocatori
a fare i giochi rien ne va plus. La
vita in fondo è un construction kit &
kat. spezza con, spazza con.
RING: Una tavolozza di str umenti
facili da usare e versatili, la possibilità per l’uomo comune di trasferire
in videointerazione i propri pensieri
e messaggi. Un’espressione videoludica underground e affrancata dal
controllo artistico delle major. È
uno scenario possibile? Auspicabile?
Sarebbe questo a rendere il VG un
linguaggio ‘degno’?
MBF: ‘degno’ di cosa?
RING: ‘Videogioco ’. Perderemo
mai l’uso di questo termine o,
quantomeno, sarà mai affiancata a
questa parola quella, sempre più
pertinente, di Videoesperienza?
MBF: mi piace il termine videogioco. videoesperienza è un po’ psichedelico. Non ho niente contro gli
anni settanta beninteso. Ecco, mi
voglio comprare una lava lamp. Ti
rendi conto che l’ultima volta che
sono stato a un party ho passato
un’ora ma forse due a fissare le evoluzioni di una lava lamp complice
il dolcetto d’alba chiara ecco io vorrei una simulazione di lava lamp
sono sicuro che jeff minter sta
preparando qualcosa di simile for
peace for unity. sono uscito dal
tunnel dei videogiochi, un trip che ti
racconto, un’esperienza di quelle
che ti cambiano la vita. ma in fondo
tutto è esperienza anche tu che
leggi adesso con gli occhi magari
braille. video killed the radio star.
:FRAMES:
Ring#06
John Cage (1912-1992), compositore americano
avanguardista. Diceva J. Cage: ‘ Sentivo e speravo
di poter condurre altre persone alla consapevolezza che i suoni dell'ambiente in cui vivono, rappresentano una musica molto più interessante rispetto a quella che potrebbero ascoltare ad un concerto’.
È del 1952 la partitura 4.33, da lui stessa ritenuta
il suo pezzo migliore, la quale consiste in quattro
minuti e trentatrè secondi di non suono, o meglio,
di non suonato. La forma del brano è costituita dai
suoni ambientali che riempiono il vuoto dell’esecuzione, che è difatto una NON esecuzione.
~Filosofia Videoludica~
~Arte Videoludica~
RING: Alzando gli occhi al cielo
scorgi Dio con un joypad in m ano,
segui il cavo del controller e lo scopri finirti su per il culo. Lo ignori e
accetti d’essere ‘giocato’ o fai di
tutto per raggiungere un liberatorio, quanto definitivo, Game Over?
RING: Ti stai ‘battendo’ per diffondere una visione artistica del vg.
Come si pone il pubblico, quello
generalmente estraneo alla cosa
ludica, nei confronti di questa nuova frontiera dell’arte? Incontri scetticismo?
MBF: rispondo con una battuta di
aldo 9 che poi si chiama antonello:
‘forse siamo la playstation di dio’.
MBF: testate come flash art, art
forum, world art per tacere del d efunto art byte, sono molto sensibili
al tema videoludico. anche playboy
ha mostrato un certo interesse, del
resto tra silicio e silicone il passo è
breve. mi batto ma non mi spezzo.
mi abbatto bello godzilla destroy all
monsters now on xbox sign up
now.
RING: Credi si possa definire una
distinzione concreta fra il rapporto
che Dio avrebbe con noi e quello
che intercorre fra un programmatore e un gioco simulativo autoperpetuantesi che ubbidisce, seppur evolvendola e modificandola, alla
spinta iniziale del suo creatore? Un
vg simulativo dovrebbe lode eterna
al suo programmatore?
MBF: sONO AGNOSTICO, O SEMMAI, MI AFFIDO ALLA TECHGNOSIS
PAGANA. cERTO È CHE, IL VIDEOGIOCO, PER SUA NATURA, TENDE
ALL’ÀPEIRON, ‘ALL’ILLIMITATO’.
mETTE IL GIOCATORE IN UNA
POSIZIONE DI ONNIPOTENZA E
ONNISCIENZA, METTE D’ACCORDO
dIONISO E aPOLLO, DESIDERIO E
RAGIONE. tRA PROGRAMMATORE E
PROGRAMMATO C’È LA STESSA
DIALETTICA CHE SUSSISTE TRA IL
SERVO E IL PADRONE HEGELIANO.
mA BASTA VEDERE nIRVANA DI
sALVATORES. apollo figlio di apelle.
RING: Temi il Game Over o pensi
che avrai altri crediti per reiterare
l’esperienza ‘Vita’.
MBF: non temo il game over ma ho
qualche dubbio sull’eterno ritorno.
mi affiderò ad un cheat mode. i just
wanna feel real love fill the home
that i live in cos i got too much life
running thru my veins going to
waste i don't wanna die but i ain't
keen on living either. press play
replay & sons.
RING: E gli ‘addetti ai lavori’?
L’artista che utilizza normalmente
altri linguaggi come si rapporta al
vg reso arte?
MBF: da diversi anni, ormai, gli a rtisti che utilizzano il medium videoludico stanno crescendo in qualità e
quantità. per tacere dei game
designer, che sono artisti a tutti gli
effetti/difetti e spesso anche degli
ottimi cuochi, warren spector, per
esempio, fa delle cotolette alla m ilanese buonissime, anche se a volte
esagera col limone io gliel’ho detto
ma lui ama leccarsi la barba intinta
di gocce di limone, una volta l’ho
visto che si leccava pure il gomito
intinto di limone.
RING: L’interattività è riconosciuta
come cifra distintiva del VG. Questo
valore non dovrebbe perdersi nella
riproposizione artistica del VG, p ena l’esilio dell’opera dal contesto
videoludico. Concordi su questo
punto? Oppure, credi ci sia spazio
anche per visioni che neghino
all’utenza ogni possibilità d’azione?
Nel secondo caso non entriamo in
un ambient puramente descrittivo,
univoco e dunque estraneo al VG?
MBF: l’interazione è la marca di
riconoscimento dei videogames,
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come va predicando da almeno
vent’anni padre chris crawford. un
videogioco non interattivo è una
contraddizione in termini. il videogioco non interattivo è il cinema,
ma anche mio cugino che è un po’
apatico. ho una certa fobia per la
metropolitana. troppo vulnerabile.
cerco di prendere mezzi di superficie. dovrei diventare più fatalista,
me ne rendo conto ma come si fa
ad essere fatalisti e amare i videogiochi, è un po’ un’aporia no?
RING: ‘Teoria e Tecnica del Videogioco’ presso la Nuova A ccademia
delle Belle Arti in Milano. È stata
una vostra proposta o una richiesta
esplicita dell’Accademia? Come giudichi la risposta del pubblico? Chi
segue il vostro corso lo fa in disimpegno attirato dal luccichìo di PS2 o
trovi una reazione conscia e partecipe?
MBF: il corso è stato organizzato
da francesco2, che un due anni fa
mi ha chiesto di affiancarlo per dare vita ad un tandem. poi abbiamo
coinvolto anche bruno3 e allora è
diventato un trio. a volte ci esibiamo nella metro per raccattare qualche soldo. allora risiedevo ancora a
san francisco. al mio rientro in italia
sono entrato nell’(in)organico della
naba4. in seguito ho organizzato –
e organizzo tuttora - corsi di teoria
e linguaggio del videogioco presso
l’università cattolica di milano, la
libera università di lingue e comunicazioni e l’istituto superiore di
comunicazione. l’asilo Mariuccia mi
ha chiamato, ma sto trattando. il
feedback, in tutti i casi, è stato entusiasmante. insegnare videogame
non significa giocare, ma investigare le regole del gioco senza mettersi le dita nel naso.
Chris Crawford, statunitense, fra i mas simi teorici del VG. Entra in Atari nel
1979 per la quale creerà svariati titoli fra
cui il più noto, Balance of Power , piazzerà ben 250.000 copie.
~Il Mercato~
RING: Tre console a prezzi accessibili, fermento dell’interesse dei
media massivi, bacino d’utenza in
aumento, pare di assistere ad un
altro vero e proprio Boom. Riesci a
immaginare un nuovo crash del
mercato?
:FRAMES:
MBF: spero di no. di crash ne ho
piene le palle. jet set willy invece.
RING: La Console Unica, dimenticando l’impossibilità commerciale
della cosa, pensi che porterebbe un
vantaggio al linguaggio vidoludico?
Davvero sarebbe la fossa della creatività? Non ci sarebbe, invece, una
maggiore concorrenza a livello qualitativo?
MBF: il videogioco è pervasivo,
persuasivo, appiccicoso, volatile.
faccio fatica a ragionare in termini
di piattaforme, consolati e modulistica da riempire. faccio fatica a
ragionare tout court. il medium è il
massaggio, il medium è il passaggio assist gol moviolone. non ho
mai creduto ai campanilismi e, detto sinceramente, l’integralismo f anatico dei supporter sonokia o m icrotendo è vagamente patetico,
ennesima riprova che il dio pagano
del brand ha rimpiazzato quello
tradizionale ma la cosa mi intristisce un po’. mi dissocio dalla chiusura mentale degli hardcore del bit
che rifiutano il confronto con il
mondo. mi interessa il videogame
nella misura in cui mi permette di
comprendere il mondo, di imparare
qualcosa su ciò che mi circonda, di
alimentare le mie perversioni. altrimenti tanto vale masturbarsi tutto il giorno di fronte a uno schermo
o scrivere uno screen/play, adaptation. io semmai aspetto la console
tunica, divertimento elettronico da
indossare. so che prada presenterà
un prototipo e un fenotipo alle
prossime sfilate. premi il capezzolo
e parte il gioco. il joystick è dotato
di un movimento di feedback sensibile alle vibrazioni. non scherzo
persino il mit sta lavorando nel
campo del wearable computing oggi se non lavori nel campo del wearable computing non sei nessuno. i
capi d’abbigliamento benetton hanno chip. la prossima console la progetta toscani magari.
RING: Dovendo partecipare alla
produzione di un VG, su che g enere
ti orienteresti?
MBF: hmmm, esistono ancora i generi? preferisco il concetto di ‘autore’ anche se è generico. mah, direi
una simulazione del micro, del m acro, del me(n)ga messa a punto da
gugliemo wright. sto giocando molto a uno che è veramente divertente anche se non ho mai amato
troppo i giochi di carte. ha mai visto rotor? mi piacciono i wargames.
command & conquer, tipo. aspetto rise of nations. anche advance
wars due , per dire. quando ero
piccolo giocavo molto ad axis &
allies con mio fratello. mi ha cam-
Ring#06
biato la vita. mio fratello, intendo.
zia marisa l’ha inventata lui. Siamo
tutti acrobati. Siamo pieni di cocco.
~L’Uomo~
RING: In molti (io fra loro) ti reputano un precursore; persona che
fra le prime ha saputo vedere oltre
l’immediato videoludico cercando di
tessere nuove e intriganti implicazioni del media in questione. Ma tteo Bittanti che ne pensa del Filosofo?
MBF: (contrap)passo.
(punto).
Contrap-
RING: Qual è stata la scintilla? In
che occasione MBF ha percepito,
nel vg, quell’in più che può trascendere la ricreazione e il commercio?
MBF: 2022: i sopravvissuti5. direi.
RING: Cosa rispondi a chi dice che
i giochi sono tali e non bisogna a bbondare c on il contorno di ‘cazzate’
(altrimenti se ne altera il gusto)?
MBF: kazaate? kamizake.
RING: ringraziamenti di rito e beatificazione della figura semidivina di
MBF.
MBF: Grazie ring. baci/abbracci.
_____________________Note
[1] Architetto e designer nato nel
1943,in Svizzera, ma cresciuto in
Italia. Frequenta lo studio del noto
Le Corbusier a Venezia e collabora
con l’altrettanto celebre architetto
Louis Kahn.
[2] Francesco Alinovi, classe 1973.
Laureatosi all’Università degli Studi
di Siena con la tesi ‘Homo Videoludens: Dinamiche Evolutive dell'Intrattenimento Elettronico Interattivo’, edita nel 2000 da Liocorno Editore. Ha partecipato alla realizzazione di numerose realtà, editoriali e telematiche, a tema videoludico.
[3] Bruno Fraschini. Laureato in
relazioni pubbliche con la tesi:
‘Strategie comunicazionali e linguaggio del videogame’ e autore de
‘Metal Gear Solid - L’evoluzione del
serpente’ recensito su queste ste sse pagine.
[4] NABA – Nuova Accademia delle
Belle Arti. Struttura scolastica privata a prevalente indirizzo new
media e design, non sono comun-
16
que trascurate forme espressive
classiche. http://www.naba.it
[5] 2022 I Sopravvissuti (titolo originale: Soylent Green). Di Richard
Fleischer, USA, 1973, 90’.Nel cast
figura l’immarcescibile Charlton Heston
[Ring è] Chiaroveggenza
“No, ovvio.
Altrimenti me ne stavo
zitto.”
Nemesis Divina, rispondendo a chi gli domandava
se le sue considerazioni su
Super Metroid si basassero
su un’esperienza di gioco d iretta.
~
[Ring è] Vox Populi
“Ho giocato Metal Ghiar 2,
Madonna che pippone,
pensa alla figa che è m eglio!”
Pragmatico commento a Metal Gear Solid 2: Sons of
Liberty da parte di un eminente critico di videogiochi
intervistato da Gunny.
~
[Ring è] Armonia nella
diversità
“Le persone non sono tutte uguali, per una ragione
o per l'altra. La diffusa
convinzione del contrario
è una delle scelte soci oculturali più ridicole dell'umanità.”
Nemesis Divina
~
[Ring è] Liturgia
“Non c'è bisogno di ritualità, con questo Zelda. È
un inno di per sé, è poesia, e si canta da solo.”
Paolo Jumpman Ruffino,
dopo aver giaciuto la sua
prima notte insieme a Zelda: The Wind Waker.
:FRAMES:
Ring#06
wARLD aPEIRON__________________________________
[L’agonismo videoludico come linguaggio violento e incompleto]
di Nemesis Divina
[Prima di procedere alla lettura di questo
testo, è preferibile aver preso nota del
Frame ‘In Nomine Ludi’, presentato su
RING#5. Alternat ivamente, visionate la
nota 1 a fondo pagina]
____________ Bla bla bla Overture
Istituto Superiore di Comunic azione,
Milano, 21 gennaio 2003 - Presentazione
del Corso di Specializzazione in Progettazione di Videogames, a seguire tavola
rotonda fra gli intervenuti. Relatore:
Matteo Bittanti. Un evento concentrato
per dimensioni e partecipazione, eppure
colmo di tematiche e dissertazioni; una
cornice ideale entro la quale innescare
un proficuo transito neurale. Fra le a rgomentazioni d ibattute in quell’occasione, ne cogliamo una a noi funzionale;
l'argomento di discussione è la più classica delle accuse mosse al VG: quella di
istigazione alla violenza. Asserisce Enrico
Varsi (Responsabile Comunicazione del
sito Free Message) “sarebbe come dire
che leggendo biografie di poeti, si d iventi
di conseguenza poeti noi stessi. Cosa
che purtroppo non è”. Una frase, a difesa del VG, che ha strappato l’assenso e
l’applauso della sala. Applauso meritato?
Il paragone d i Varsi è subito fuori luogo, poiché i giocatori fruiscono i videogiochi e non le biografie dei game designer. Pertanto rimodelliamo l’affermazione di partenza sostituendo ‘biografie di
poeti’ con ‘libri di poesia’, possiamo pertanto domandarci: leggendo poesie, si
diventa poeti? Le probabilità che ciò a vvenga sono remote, tuttavia leggendo
poesie cresce in noi la conoscenza e la
percezione di ritmo e metrica, le rime
non ci sono più ignote e altre forme retoriche acquistano nesso e peso, ne intuiamo i modi in cui si mostrano e le
regole da cui dipendono. D’altronde,
come concorda la maggior parte dei romanzieri, “per scrivere bene è necessario leggere molto”. Fruire (leggere,
guardare, suonare, gioc are) significa
invariabilmente acquisire una consapevolezza maggiore del mezzo in uso; non
incrementare le proprie nozioni entro un
dato campo, pregiudica la piena comprensione/presa di coscienza di detto
campo.
Conoscere è capire; comprendere il
codice poetico (o musicale o pittorico)
permette di rivestire un’opera di più vasti e profondi caratteri; dunque l’uso
continuativo del VG comporta l’accumularsi di un archivio dati comprendente
modus operandi, convenzioni e metodi.
Più libri di poesia leggiamo e più dimestichezza si assume nei confronti della
metrica, così come nel VG apprendiamo
schemi basilari e ricorrenti (i pattern
comuni di uno sparatutto, ad esempio),
‘capiamo’ meglio il VG e videogiochiamo
meglio. Di nuovo, conoscere è capire,
padroneggiare il significante ci permette
di ricevere e decodificare meglio il significato. La fruizione ha quindi proprietà
didattiche ed influenza innegabilmente
noi ed il nostro bagaglio cognitivo.
Se è vero, dunque, che
la fruizione dei videogiochi esercita sul giocatore
un’ascendente positiva
(favorendo la presa di
coscienza dei moduli espressivi del VG), è lecito
supporre che possa es istere anche un’influsso
negativo, qualora il contenuto veicolato dal medium sia di carattere
violento.
Ad ogni modo, piuttos t o c h e s ottoscrivere o
smentire la teoria secondo la quale i videogiochi
violenti istigano alla violenza, preferiamo in questa sede avanzare una
nuova ipotesi, dai contorni inediti ed i nquietanti: il
VG non si limita a proporre dei contenuti violenti, il
VG stesso è un sistema
fondato sulla diffusione di
contenuti tramite un contesto strutturale violento.
________La-li-lu-le-lo
Crescendo
:Componente Violenta del linguaggio Videoludico:
I n GTA: Vice City non solo
il gioco evita di punire i
comportamenti violenti più
gratuiti, ma addirittura li
incoraggia. L’omicidio di un
cittadino innocente viene
applaudito dal gameplay
con la possibilità di rubare
dal cadavere della vittima i
soldi che porta con sé.
In Devil May Cry la violenza non esaurisce la sua
ragion d’essere nella sopraffazione dell’avversario. Il parco mosse a disposizione di Dante consente di reinterpretare la
violenza oppositiva in
chiave estetica, vale a dire auto-finalizzata. Nei combattimen ti, oltre al conseguimento della vittoria, acquisisce
rilevanza la condotta coreografica cui ci si attiene. Un
sistema di valutazione gratific a poi in tempo reale
l’azione del giocatore, assegnando alle sue manovre i
giudizi: Dull, Bravo, Cool, Absol ute o Stylish.
In Hitman 2 alla fine di
ogni missione il giocatore
Il paragone di partenza
riceve una valutazione del
con i ‘libri di poesia’ è
proprio operato. Più che
meno calzante del previsulla base di parametri
sto sotto un altro aspetto
che rispondono a valori
ancora: l’influenza mossa
etici, il gioco fornisce un
dalla lettura è di genere
giudizio teso a premiare
ascensionale artic olandosi
la ‘professionalità’ dimosull’apprendimento di forstrat a dal giocatore, mas sima espressione della quale è
me a ggiunte all’esperienlimitare le vittime di ogni incursione all’obiettivo finale,
za comune: convenzioni
omaggiando la natura stealth del titolo ed emancipanlinguistiche e forme poedone il gameplay dal rischio di trasformarsi in banale
tiche fuori dall’uso quotis paratutto.
diano. Pertanto si attiva
un’elevazione del soggetto sotto il profilo ritm i c oca si risolve i nvariabilmente in atto violinguistico, nel caso della poesia. L’Uomo
lento, perpetrabile con l’aggravante della
non pos siede la dote innata della poesia;
immunità extratestuale: l’interat(t)ore
leggere comporta l’assunzione di nuove
interviene nel videomondo con la nonabilità, una ‘elevazione espressiva’; a lchalance di un dio, conscio di giostrare
trettanto non può esser detto della reitecon un parco ludico che non gli si può
razione violenta scandita dal VG, esso
ribellare, che non lo può colpire né biapreme su un carattere i nnato e radicato
simare.
dell’uomo. Il condizionamento alla vioGià questo estromettersi dal gioco dei
lenza è di tipo emersivo, in quanto agiruoli, pur partecipandovi, è i ndice di un
sce appunto su comportamenti noti e
contesto ambiguo che estrapola l’utente
preestistenti, per quanto riposti. Detto
dalla logica di azione/reazione che speciò, dobbiamo ancora domandarci e ririmentiamo nella realtà: non esistono
spondere circa i modi violenti del VG.
impedimenti al nostro agire nel videoChi scrive, ritiene che il VG (nella
mondo, perseguire una via deprecabile
forma attuale) sia implicitamente violen(che biasimeremmo nella realtà noi per
to, che la violenza ne costituisca la
primi) è concesso perché non intervengrammatica prima e che essa sia ringono freni inibitori, o vincoli etici. Ci sotracciabile nella cifra peculiare del meno poche regole, che se infrante al più ci
dium stesso: l’interazione. L’interazione,
rallentano, senza fermarci.
nel VG odierno (e passato, auspicabilN e i V G esistono raramente sanzioni
mente non in quello futuro), si fonda
verso l’utente, e così noi adottiamo mounicamente sull’opposizione, l’annichidi barbari e repressivi senza interrogatilazione e la prevaricazione; s ono infatti
vi, senza remore. Già nell’online gaming,
scarsissime le videointerazioni che es uperò, si tratteggiano le forme di quella
lano da questa prassi competitiva prefeche pare un abbozzo di società digitale,
rendo ad essa una cooperazione pacifica
s ottesa da regole e leggi. Proprio dagli
o ad un’interagire neutro. L’opzione ludi-
17
:FRAMES:
R P G o nline è nato il fenomeno del ‘trolling’ (ampia piaga che mina e tormenta
le messaggerie telematiche), un fenomeno inaugurato da chi, nei MMORPG,
non interpretava un ruolo eroico ma
quello abbietto del Troll, creatura mitologica con il caos quale unica guida.
Sempre negli online games per PC (EverQuest , per dirne uno) nascono i Player Killers, individui che spingono il proprio avatar a combattere contro gli altri
utenti, derubandoli e uccidendoli per il
maggior gusto di infierire sull’uomo, anziché sulla mac china. Ma a queste aberrazioni, si diceva, si sta ponendo un freno bandendo questi utenti dai server,
impedendo loro l’accesso al gioco, al
videomondo. Esistono però altre forme
di regolamentazione, come ad esempio
in Morrowind nel quale l’infrazione di
una regola si traduce in incarcerazione;
questo però non si limita a colpire
l’avatar del giocatore ma dannegia
l’utente stesso sottraendo l’eventuale
refrutiva e riducendo i punteggi abilità
del suo personaggio (obbligandolo dunque a investire ‘tempo reale’ per ripristinare i valori perduti). Più di sovente,
invece, la semplice azione molesta è
tollerata (se non incoraggiata, Grand
Theft Auto) e il VG pone scarsi ostacoli
ad una manifestazione violentemente
gratuita.
Vale la pena spendere qualche parola
per comunicare come in questa sede non
si stia sostenendo l’opinione pubblica,
bacchettona a oltranza. Non è di braccia
amputate, pozze di sangue o budella
sparse che si discute; quello che si condanna è l’invariabile logica sopraffattrice
del medium VG. Più in generale si denota una presenza obesa dell’opposizione,
il nostro agire è inevitabilmente definito
da un contraltare: un drago da sconfi ggere, un attentato terroristico da sventare, un lottatore da mettere al tappeto
oppure un tempo da battere, tutti stereotipi unidirezionali che premettono alla
base dell’interazione una componente
competitiva. Ora, nel caso ci si riferisca
al sottogruppo ‘videogiochi’1 la cosa è
comprensibile (il gioco è di solito pura
competizione) ma l’ampliarsi del discorso al medium VG rende la cosa decis amente riduttiva per le pretese artistiche
del linguaggio videointerattivo.
Proseguendo nella direzione a ttuale, il
VG non può che svilupparsi come passatempo pseudo- sportivo. Entrando nella
prassi della contesa, della sopraffazione
di un avvers ario, del superamento di un
punteggio (o di una prova), il VG propone esclusivamente situazioni ‘ludiche’.
Ed è sempre la natura ‘ludica’ a costituire un problema per l’inclusione del VG
fra le forme artistiche: un quadro non
deve prevaricare o vincere per essere
apprezzato, una composizione musicale,
un film, un libro, hanno un senso compiuto in se stessi.
Tutto questo scrivere può sembrare
un mulinare nell’acqua, nella speranza
che le onde si fissino in forma di spirale;
più semplicemente si cerca di far notare
come il VG si muova in uno stadio estremamente primitivo del suo potenziale intrinseco, l’interazione (aspetto distintivo del medium in questione) è oggi
monotematica, solo ‘competitiva’, il
semplice relazionarsi al contesto è pratica ancora rara nel VG. Al di là di alcuni
generi, necessariamente competitivi,
l’interazione di qualunque altro titolo
Ring#06
:COMPONENTE INCOMPLETA DEL LINGUAGGIO VIDEOLUDICO:
Nella cattedrale videoludica eretta da
PES2, così come in ogni titolo sportivo, la
sconfitta è certamente presente. Essa,
però, non diminuisce il potenziale del racconto interattivo: una partita persa contiene tutti gli elem enti di un match vittorioso (colpi di testa, pali, calci d’angolo,
ammonizioni, gol), diversamente in altri
tipi di VG la sconfitta inibisce buona parte
dei contenuti presenti.
Nel caso di Resident Evil, perdere
(dunque essere uccisi) corrisponde
all’interruzione dell’esperienza videointerattiva. Così facendo il racconto ludico è
però incompleto: mancano una porzione
di dettagli ludici s econdari (enigmi, item,
armi) ma soprattutto rimane aperto il
circolo narrativo. Il costrutto bicomponente del genere survival horror (gioco/narrazione) richiede il completamento
della storia per giungere ad un finale
soddisfacente.
Legacy of Kain: Soul Reaver aggira,
con un brillante escamotage narrativo, il
rischio di rendere incoerente il racconto
videoludico. Raziel, prot agonista della
vicenda, è tornato dal regno dei morti
per contrastare Kain, suo re in vita.
Nell’eventualità in cui Raziel perda la sua
energia, egli si trasferisce nella dimensione spettrale dalla quale, risucchiando
anime, potrà fare ritorno al mondo dei
vivi. In questo modo si mantiene la coerenza narrativa e non si frattura il corpo
ludico, il quale potrà compiersi nella sua
totalità.
perde di senso se privata di una vittoria;
la mancata vittoria è addirittura punita
con la sconfitta e la sospensione dell’interazione, mai con un proseguimento
negativo del fruire, e questo rende incompleta la lettura del testo videoludico2
per quanti non hanno le abilità per vincere. Ciò suscita dei dubbi sul potenziale
espressivo di un medium che, a p arole,
pretende di competere con gli altri mezzi
comunicativi; sarebbe come un libro con
alcuni paragrafi scritti troppo piccoli per
essere letti, o una composizione music ale con partiture suonate agli ultasuoni
(inudibili all’uomo).
Concretizzando, si mostrano i mpropri
e superflui gli scontri di un Silent Hill, il
quale vive di angoscia e ignoto e non di
confronto e vittoria; lo scontro fisico di
Silent Hill è solo funzionale ad un’arcaica
modalità competitiva, laddove la sua
mancanza darebbe più spazio ai silenzi,
all’introspezione, all’atmosfera e alla
riflessione. La soppressione del confronto fisico con i nemici non comporterebbe
la totale abolizione dell’elemento oppos itore, solo la non necessità di sopraffare
l’avverso (nello specifico di Silent Hill, il
nostro alter ego digitale p otrebbe essere
obbligato alla fuga o alla difesa, anziché
ricorrere impunemente all’efficacissimo
attacco). D’altra parte chi sarebbe interessato ad un VG dove non c’è competizione? Dove una chiara vittoria non è
contemplata? Dove le ‘poche’ c ose che
contano sono il costrutto audiovis ivo, la
narrazione, l’immedesimazione e l’emozione che derivano dall’interagire con il
mondo digitale ed i suoi abitanti? L’anel-
18
lo del discorso non si chiude; a noi resta
l’asettica constatazione dell’ intrinseca
brutalità di un medium che stenta a c omunicare senza alzare le mani, indugiando lungo la via di un mondoguerra
senza f ine...
_________________________Note
[1] Si distingue il medium VG (da intendersi come Videointerazione Generica) in
due sottocategorie: quella del ‘videogioco’, sottesa da intrinseche necessità ludo- competitive; e la ‘videoesperienza’, in
cui immedesimazione e interazione s ono
coese in modo armonico nel mondo digitale. La scarsezza di titoli appartenenti al
secondo gruppo non significa che essi
non pos sano esistere…
[2] Testo e Racconto Videoludico sono
emanazioni distinte del VG. Il Testo Videoludico è quello redatto dall’autore, il
Racconto Videoludico è invece scritto
dalla lettura che l’utente fa del Testo
Videoludico, con tutte le scelte e gli e rrori interpretativi del caso.
[Un oceano di ringraziamenti a Cristiano
Bonora, senza il cui aiuto il presente a rticolo avrebbe avuto forma sconnessa e
immotivata. Grazie.]
:INDEPTH:
Ring#06
lICENZA dA uCCIDERE_____________________________
[Semantica e Sistematica del Tie-in]
di Cristiano Bonora
“Dal film al videogioco, si sa, il passo è breve...”
Ring scardina questo luogo comune illustrando le scelte, le difficoltà e le profonde
questioni che un team di sviluppo deve affrontare per realizzare un videogioco su l icenza.
Tie-in: un termine ormai fuori m oda, ma che fino a qualche anno fa
all’interno della comunità videoludica indicava inequivocabilmente i
videogiochi tratti dai film. Quello
dei tie-in è un fenomeno che oggigiorno continua a imperversare,
animato dalle prospettive di profitti
facili che lo sfruttamento di nomi e
protagonisti dei film più popolari
garantiscono da sempre. L’uscita
del “gioco del film”, di qualità infima nella maggioranza dei casi, è
un avvenimento così ricorrente che
assai di rado riesce a suscitare
l’entusiasmo e l’hype che aleggiano
nel settore quando si avvicina il
lancio di un grande titolo. Oramai
siamo tutti abituati a produzioni
ammazza-licenza: giocacci all’insegna del batti il chiodo finché è caldo
o ispirati a saghe televisive sempreverdi (il transgenerazionale Star
Trek, per dirne una). Tuttavia siamo molto meno abituati a domandarci che cosa voglia dire, in termini concettuali, realizzare un tie-in.
Che cosa significa “fare il gioco di
un film”? È forse la stessa cosa
produrre un gioco ispirato a un film
o rimboccarsi le maniche per trasformare un film in un videogioco?
cate differenze dal cinema classico
nell’impiego del codice immaginativo, ma che non denota nessuna
differenza dal punto di vista delle
componenti semiotiche.
Nella nostra analisi includeremo
anche i giochi tratti dai fumetti, per
le palesi affinità semiotiche che intercorrono tra il fumetto e il cinema
d’animazione. Rispetto a quest’ultimo il fumetto non può contare sul
supporto comunicativo, e soprattutto evocativo, offerto dal codice musicale, affidando di conseguenza
tutto il proprio potenziale espressivo al codice iconico e a quello linguistico (cui viene richiesto di
simulare anche gli effetti s onori con
le dovute onomatopee). Inoltre sotto il profilo iconico il fumetto si esprime esclusivamente attraverso
la successione di immagini fisse
percepite come tali dall’occhio umano, al contrario di quanto avviene nei cartoni animati, in cui
l’animazione non è altro che l’illusione causata dall’avvicendarsi di
fotogrammi comunque immobili.
Prima di abbozzare una risposta per
ciascuna di questa domande è o pportuno soffermarci a delineare,
seppur in maniera sintetica, i caratteri semiotici del cinema, il che equivale a inquadrare il film come
codice c omunicativo, cioè come
linguaggio, come paradigma di significanti, indipendentemente dalla
sua configurazione all’atto del processo di comunicazione. Quello cinematografico è un codice comunicativo complesso, risultante cioè
dalla combinazione e interazione di
più codici comunicativi, nella fattispecie il codice iconico, o immaginativo (cui compete tutto ciò che
compare su schermo), il codice
linguistico (implicato dalle battute
pronunciate dagli attori e da qualsiasi scritta a video) e il codice
musicale (la colonna sonora e meno propriamente anche gli effetti
sonori). Del tutto sovrapponibile
sarebbe l’esito di un’analoga radiografia del cinema d’animazione (e
più in generale dei cartoni animati
e degli anime), che presenta mar-
Nell’analizzare il passaggio da film
a videogioco, non è possibile esimersi dal sezionare anche quest’ultimo, ancora sottovalutato, codice
comunicativo. Trattasi anch’esso di
un codice complesso, alla cui organicità concorrono ovviamente il c odice iconico, il codice musicale e
quello linguistico. Ad affiancare e
sovrastare questi tre codici inte rviene però un linguaggio inedito: il
codice ludico. A differenza dei
precedenti, questo codice si l imita a
veicolare significati puramente eIl codice videogioco (codice lumotivi: divertimento, soddisfazione,
dico + codice iconico + codice linansia, paura. Questa volta il signifiguistico + codice musicale), qualocante di ciò che si vuole esprimere
ra ne vengano sfruttate adeguatanon è più l’immagine, la musica, o
mente le potenzialità espressive (i
la parola (o perlomeno
non nella loro individualità), bensì la situazione
ludica generata in primis dal gioco nel suo
costituente basico, il gameplay, e subito dopo
dalla collaborazione del
contenuto degli altri tre
Silent Hill e Ico fanno dell'immagine la traccia
codici.
evocativa di suggestioni che la trascendono.
_____Il videogioco come codice
comunicativo complesso
19
In Silent Hill la situazione ludica
più ricorrente vede il giocatore i mpegnato a conservarsi in vita: il
sentimento che accompagna questa
circostanza è naturalmente il timore di morire (oltre alla destabilizzante paura dell’ignoto che SH inculca nella coscienza del giocatore); le sempre poche munizioni a
disposizione e le scarse capacità
marziali del proprio alter ego, inserite in una struttura di gioco actionadventure, contribuiscono a delineare un gameplay già di per sé poco
rassicurante. Su questa b ase ludica
si sovrappone il contenuto del codice iconico, anzi, il tremendo noncontenuto delle schermate di SH, in
cui nebbia e oscurità celano fino
all’ultimo momento i pericoli e le
terribili verità di quella maledetta
cittadina. Il comparto sonoro è tutto riassumibile nell’agghiacciante
cacofonia prodotta dalla radio
all’appropinquarsi delle creature
oltremondane, mentre il codice linguistico si rende indispensabile nella gestione dell’inventario, nella
componente narrativa e nella raccolta di indizi per la risoluzione d egli enigmi. È chiaro che i contenuti
dei codici iconico, linguistico e m usicale (a loro volta autonomamente
carichi dei propri significati) si fondono alla materia giocabile in m aniera costituente e indissolubile,
mettendosi al servizio del codice
ludico nella comunicazione di sentimenti quali terrore, ansia, claustrofobia. SH esemplifica splendidamente l’impareggiabile forza espressiva del c odice ludico, in grado
di comunicare significati al giocatore/fruitore immergendolo in prima
persona all’interno dei significanti.
:INDEPTH:
Kojima e i Miy amoto non crescono
sugli alberi), può dunque esprimere
significati nella sua unitarietà, ma
anche attraverso l’impatto semiindipendente delle sue componenti
comunicative. L’iconografia di Ico
ne prende per mano il gameplay
proprio come il tenero Ico fa con
Yorda. Tra un paio d’anni ci ricorderemo di questo gioco m eraviglioso
per le sue vedute oniriche, per la
grazia dell’eterea Yorda, o per le
sfilze di combattimenti in fotocopia
che intercalano convenzionali enigmi cassa-leva-porta? Oltretutto
il videogioco, qualora possa catalogarsi come tale, è una forma d’arte
collettiva (rispettivamente 70 e 100
persone hanno contribuito alla creazione di Metal Gear Solid 2 e
Kingdom Hearts), pertanto è naturale che all’interno di un team di
sviluppo possano esistere delle d isparità di estro tra l’animatore e il
compositore della colonna sonora
piuttosto che tra lo sceneggiatore e
il character designer, nonostante
ambiscano tutti al raggiungimento
di un obiettivo espressivo comune.
_____Il tie-in come traduzione
Una volta riconosciuta al videogioco
la sua natura di codice espressivo,
viene spontaneo i nquadrare il tie-in
come un processo che sancisce un
passaggio di significato da un testo
a un altro: una traduzione , quindi.
Intendiamo sempre il termine “significato” nella sua accezione più
ampia, cioè quella di informazione,
di contenuto semantico associato a
qualcosa che lo esprima (un significante): sono significati tanto il soggetto rappresentato da un disegno
quanto il senso profondo di una
storia o il feeling generale comunicato da un videogioco. In caso di
traduzione di un testo espresso in
un determinato codice linguistico, a
un ulteriore testo espresso in un
altro codice linguistico (la traduzione avviene pertanto all’interno della
stessa famiglia di codici comunicativi), si parla di traduzione interlinguistica; nel nostro caso la traduzione sancisce un passaggio da un
testo in un determinato codice c omunicativo, ad esempio quello cinematografico o filmico, a un altro
testo espresso mediante un diverso
codice comunicativo: il codice videogioco. In filosofia del linguaggio
questo tipo di traduzione prende il
nome di traduzione semiotica.
Se la consapevolezza dei tratti
espressivi del videogioco non è a ncora particolarmente diffusa oggi,
ancor meno lo era dieci o quindici
anni fa. Di conseguenza per molti
anni fare il gioco di un film ha significato semplicisticamente creare un
Ring#06
videogioco - generalmente un platform o un picchiaduro - in cui fossero riprodotti in un modo o nell’altro i protagonisti e le ambientazioni
della pellicola di riferimento . Ciò
non comporta di necessità che i v ideogiochi ispirati ai film fossero
brutti (molto spesso sì, comunque),
ma che il significato, il contenuto
espressivo del testo originale venisse inevitabilmente obliterato. Questi giochi rimanevano solo e soltanto ispirati a un film. Ciò che mancava era la concezione del videogioco come codice comunicativo
complesso e del tie-in come opera
di traduzione, ovvero di trasformazione sostanziale nel rispetto di un
testo di partenza e nella consapevolezza dell’irrinunciabile natura del
risultato finale: un gioco.
Di seguito abbiamo scelto di proporre l’analisi di una manciata di
titoli, senza l’intenzione di realizzare un’improbabile anto logia del tiein, bensì allo scopo di mettere a
fuoco casistiche radicalmente differenti, in ordine alla più o meno
completa riuscita della traduzione
in videogioco del film, cartone animato o fumetto di origine. Non si
tratta necessariamente di titoli particolarmente riusciti o conosciuti,
quanto di giochi che esemplificano
con precisione i possibili approcci al
concetto di tie-in.
__Dalla striscia alla piattaforma
Una non-traduzione :
Lupo Alberto the Videogame
Nei primi anni ’90 la diffusione del
C ommodore Amiga 500 nel nostro
paese motivò alcune software house a realizzare per questa macchina
le trasposizioni ludiche dei fumetti
italiani più popolari. Dylan Dog,
Tex, Cattivik, Sturmtruppen, Lupo
Alberto. Più precisamente, Simulmondo intraprese il concepimento
dei titoli ispirati ai personaggi di
proprietà della Sergio Bonelli Editore, mentre Idea sfornò, uno dopo
l’altro, i giochi tratti dalle più accattivanti strisce nostrane. Ad esclusione di Dylan Dog: Attr averso lo
Specchio si trattava generalmente
di platform (a scorrimento nei prodotti firmati Idea, alla Prince of
Persia nei giochi Simulmondo) dalle dinamiche già allora molto inflazionate.
Il caso di Lupo Alberto the Videogame (Amiga 500/Commodore
64, Idea, 1990) è quello su cui preferiamo soffermarci. Le ragioni di
questa scelta due: la prima è che
sotto il profilo del gameplay tutto
sommato non era poi così m alaccio,
la seconda è che dal punto di v ista
contenutistico vantava ben pochi
20
punti di contatto con la striscia creata da Silver.
Lupo Alberto the Videogame: il
gioco con lo scrolling più pestifero
della storia. La foto ritrae la versione per Commodore64.
Il gioco era costituito da dieci l ivelli
piattaformici a scrolling orizzontale
e verticale da affrontare in rigorosa
sequenza. Il g iocatore poteva scegliere se impersonare Lupo Alberto
o Marta, per poi condurli attraverso
ogni livello evitando di precipitare
nei baratri e di venire a contatto
con altri personaggi, pena la perdita di una delle più classiche “tre
vite”. L’azione lenta ma vivacizzata
da un discreto lavoro di level design; la possibilità di avvalersi di
buffi gadget (guantoni da pugilato,
incudini, palle da bowling, ecc.); la
buona resa in bitmap dei personaggi della striscia e gli ipnotici motivetti di sottofondo facevano di
LATV un’esperienza piacevole e
spensierata, minata solo dalla convenzionalità del gameplay di base,
da una difficoltà eccessiva e da uno
scrolling non proprio parallattico.
Ma che cosa avevano in c omune
LATV e Lupo Alberto la striscia? È
presto detto: i personaggi scaturiti
dalla matita di Silver e l’ambientazione agreste. Fine. Per quale
motivo Lupo Alberto dovesse saltare in testa ai suoi amici per toglierli
di mezzo non ci è mai stato spiegato (passi per quel malmostoso di
Mosé che sparava a vista, ma Enrico la Talpa a me stava simpatico),
e nemmeno il motivo per cui Beppe
tirasse le cuoia non appena veniva
sfiorato da uno qualsiasi dei suoi
compaesani. Delle situazioni e dello
humor che animavano la str iscia
non vi era traccia, se non per un
controverso particolare: al te rmine
di ogni livello su schermo veniva
visualizzata una vignetta che concludeva una delle dieci strisce incomplete incluse nel libretto di istruzioni.
Ricapitolando: Lupo Alberto è
una striscia, LATV è un gioco che
dal punto di vista dei contenuti espressivi non ha nulla a che vedere
con la striscia, ma la cui grafica ne
ricalca il look di personaggi e ambienti; per supplire a questa sostanziale estraneità il gioco include
segmenti incompleti di testo fumet-
:INDEPTH:
Ring#06
tistico (pertanto in un codice estraneo al videogioco) la cui interpretazione dipende da un ulteriore testo
fumettistico incompleto. Al di là di
quella che non è altro che una curiosa trovata per stabilire un flebile
punto di contatto tra fumetto e videogioco, il contenuto originale della striscia (espresso mediante il c odice fumettistico) è stato bellamente ignorato e nessun tipo di
traduzione ha avuto luogo. Probabilmente continueremo a ricordarci
di LATV come di un grazioso platform ispirato dall’omonima striscia,
ma sicuramente no n come della
striscia fatta videogioco.
:Tie-infamy:
Blade 2
(PS2/XBOX, Activision, 2002)
Nostalgia. Dal third place Blad e 2 ci riporta ai bei tempi
dell’Amiga, dei 16 bit e dei tiein della Ocean, quando mai a
nessuno sarebbe venuto in
mente di definire traduzione il
processo di involuzione di un
film in videogioco di serie Z. E
anche voi che state leggendo,
tirate il fiato, nessuna velleità
da teorico del videogioco potrebbe spingermi a scrivere a ltro di Blade 2 se non questo:
spazzatura digitale. Materiale
per il cestino del GW dell’Arsenal Gear.
Con un improbabile gameplay a
metà tra Britney’s Dance Beat e Fighting Force, Blade 2
è caricatura avvilente di se
stesso, esponente di razza del
genere ammazza-licenze.
Il granitico Blade suggerisce:
“Keep your friends close, keep
your enemies closer”.
Keep away from this game.
Suggeriamo noi.
_________Yin e Yang, Hokuto e
Nanto, fabula e ludus, anime e
videogame
Una traduzione parziale impura:
Hokuto No Ken: Seiki Matsukyu
Seisyu De nsetsu
Proprio perché il codice filmico e
quello fumettistico sono codici
complessi, una soddisfacente tr aduzione in codice ludico del loro
contenuto può rivelarsi un’impresa
semi-impossibile. Per questo motivo capita molto spesso che i game
designer selezionino uno o più aspetti che contraddistinguono il nucleo comunicativo dell’opera originale e si limitino a svolgere una
traduzione il più fedele possibile
esclusivamente di questi aspetti,
scegliendo di trascurare quei significati che hanno ritenuto intraducibili, oppure riproponendoli nel loro
codice originale, proprio come
quando nel tradurre un testo
dall’inglese all’italiano decidiamo di
mantenere un termine anglosassone, perché difficilmente p otremmo
restituirne il senso con una parola
della nostra lingua. L’esempio di
Hokuto No Ken: Seiki Matsukyu
Seisyu Densetsu (PSone, Bandai,
2000) incarna alla perfezione questa casistica.
Dopo 14 anni che il celebre
manga di Bronson e Tetsuo Hara
veniva oltraggiato da tr asposizioni
ludiche ai limiti della moralità, Bandai decide di riscattare la sua fama
di ammazza-licenze consegnando al
pubblico giapponese il primo videogioco su Kenshiro religiosamente
rispettoso dei contenuti della prima
serie TV, la quale, episodi inventati
permettendo, aveva a sua volta
tradotto degnamente in anime il
fumetto originale. In merito ai contenuti da tradurre in codice ludico,
Bandai non ha dubbi: sono i combattimenti l’aspetto più facilmente
riproponibile in termini di gameplay. Un picchiaduro dunque, un
picchiaduro secondo il principio titanico dell’uno contro tutti, tanto
rivendicabile dalla tradizione del
videogioco d’azione quanto riscontrabile nella sanguinaria biografia
del successore della divina scuola di
Hokuto.
L’adozione della grafica poligonale garantisce agli scontri quel minimo di regia che riesce a evocare
istantaneamente le immagini dei
combattimenti cui per anni abbiamo assistito in TV. Il gameplay è
molto esile, una decina di mosse
per personaggio, non di più, nessuna interazione con gli ambienti e
una varietà piuttosto limitata. Tuttavia il gioco diverte, la risposta ai
comandi è ottima e l’iconografia
originale è stata riprodotta in tre
21
dimensioni con una fedeltà stupefacente. Le leggendarie tecniche di
Hokuto basate sulla pressione delle
terminazioni nervose dell’avversario
sono innescabili mediante l’esecuzione di combinazioni di tasti predefinite. Se la combinazione viene
eseguita con successo una spettacolare sequenza non interattiva r icompensa immediatamente l’abilità
del giocatore. La straordinaria aderenza di queste sequenze alle animazioni della serie TV, unita alla
loro frequente occorrenza, r iscatta
la monotonia delle pur gradevoli
battaglie. Il segmento testuale relativo ai combattimenti (nelle sue
componenti iconiche, musicali e sonore) è stato dunque tradotto con
discreto successo, complici le musiche e gli urletti di Ken presi di peso
dalla serie televisiva, nonché una
realizzazione tecnica complessiv amente inattaccabile.
La sequenza introduttiva di Hokuto
No Ken consiste in un remake p oligonale della sigla di apertura della
prima serie animata. I l brano originale "You Wa Shock" accompagna
incalzante le immagini.
Tuttavia Hokuto No Ken non è solo
combattimenti, sebbene l’immaginario collettivo dei nati tra il ‘70 e
l’85 abbia ormai incatenato il nome
di Ken alle sue incredibili performance marziali. Infatti il gioco si
propone come una fedele trasposizione della prima serie TV, la cui
componente narrativa e il respiro
epico che le permea ha certamente
contribuito a conferire a Kenshiro la
sua indiscutibile fama internazionale. Ed è qui che gli sviluppatori
Bandai sono dovuti scendere a
compromessi. Lo sviluppo di una
trama dipende in larga parte dal
contributo espressivo consentitole
dal codice linguistico, tanto più in
questo caso, visto e considerato
che in Kenshiro l’interazione tra i
vari personaggi se non avviene
mettendosi le mani addosso deve
per forza avere luogo mediante la
comunicazione verbale. Riproporre
in termini ludici questo tipo di contenuti, bisogna ammetterlo, è pressoché impossibile. Gioco e narrazione sono da sempre un binomio
difficilmente e la presenza dell’uno
:INDEPTH:
Ring#06
:Impura è impura. Parziale è parziale. Ma è traduzione?:
Il Signore degli Anelli - Le Due Torri (Il Signore degli Anelli - Le Due Torri)
(PS2/XBOX/GC, Electronic Arts, 2002)
Electronic Arts bussa in casa Stormfront Studios e
commissiona loro lo sviluppo del “giochino” del Signore
degli Anelli. Stormfront Studios esegue alla lettera. Il
videogioco de Le Due Torri propone intrattenimento
digitale allo stato broadway: pulsanti da martellare c ome fabbri e violenza inferta più alle falangi del giocatore che non all’esercito di Sauron. Eppure la Terra di
Mezzo secondo Stormfront Studios vale perlomeno una
cartolina della Nuova Zelanda filmata da Peter J ackson.
Scampoli di game design autentico te ngono in piedi la baracca, i poligoni ci
sono tutti, le texture meravigliano e la colonna sonora è da Oscar. Infatti è
la stessa del film.
Generosi spezzoni dei primi due episodi della trilogia cinematografica i nframmezzano un genocidio di orchi perpetrabile in una sola nottata.
L’incoscienza suggerirebbe la dicitura “traduzione parziale impura”, ma questo è davvero solo un “giochino”. L’opera di Tolkien è un’altra cosa. Respect. A Tolkien e a Sto rmfront Studios.
4 euro di noleggio spesi bene.
implica quasi di regola l’oscuramento dell’altro. Pochissime le eccezioni. Ormai le produzioni più ambiziose coinvolgono sempre più spesso
dei codici comunicativi distinti da
quello ludico, per assicurarsi uno
sfondo narrativo che completi e arricchisca l’esperienza ludica pur esulando dal videogioco in senso
stretto. Di conseguenza Bandai ha
rinunciato in partenza a tentare
una qualsivoglia traduzione in linguaggio ludico dell’intreccio di Hokuto No Ken, optando per un’accurata ricostruzione in grafica poligonale degli accadimenti più memorabili della prima serie televisiva.
L’illusione è che queste sequenze,
realizzate con la stessa grafica del
gioco, e che intervallano le fasi di
gioco vere e proprie, vengano espresse esse stesse nel m edesimo
codice comunicativo del gioco. In
realtà dal punto di vista semiotico
non è stata effettuata alcuna traduzione, se non una traduzione inte rlinguistica, cioè da un tipo di codice
filmico (che si avvale del disegno a
mano per riempire di contenuto il
codice iconico) ad un ulteriore codice filmico (che ottiene l’immagine
utilizzando invece la grafica poligonale dell’engine di gioco, ovvero
impiegando lo stesso codice iconico
integrato nel codice videogioco). Il
risultato complessivo è quello di un
testo impuro, perché scritto mediante il continuo avvicendamento
di due differenti codici comunicativi,
come risultato di una traduzione
parziale del testo originale.
Le ripercussioni di questa parzialità della traduzione sono immediatamente percepibili a livello di fruibilità del nuovo testo. Hokuto No
Ken: Seiki Matsukyu Se isyu
Densetsu è un gioco imperdibile
per tutti gli appassionati (e quindi
conoscitori ed estimatori) del t esto
originale, che non potranno esimersi dall’apprezzare lo sforzo profuso
da Bandai per trasformare Hokuto
No Ken in un videogioco. Tuttavia
chi non ha mai sentito parlare del
manga e della serie TV (i Ma rziani?)
lo etichetterà come un mediocre
picchiaduro a scorrimento, eccessivamente diluito da un invadente
quanto esaltante comparto narrativo.
__(Inter)azione e traduzione, la
forza e il lato oscuro del tie-in
Due traduzioni parziali pure:
Star Wars: Rogue Leader | Die
Hard Trilogy
Nel caso di Hokuto No Ken il rispetto dei contenuti del testo originale ha comportato dei sacrifici in
termini di coerenza formale del t esto finale. La maggior parte degli
sviluppatori in genere è motivata a
scartare l’ipotesi di un simile compromesso optando invece per una
soluzione più radicale. Se il testo
che deve risultare dal processo di
traduzione (target text) deve essere un videogioco, quei contenuti del
testo originale (source text) che
non si prestano a una tr aduzione
soddisfacente è bene che vengano
accantonati, in modo che gli sforzi
degli sviluppatori siano concentrati
unicamente sulla realizzazione di
un gioco autentico, in grado di riproporre con la dovuta fedeltà quei
tratti del testo originale che si è
scelto di tradurre. In questo caso si
può parlare ancora di traduzione
parziale, riconoscendo però la p urezza del target text, ora compiutamente espresso con il linguaggio
del codice videogioco. È questo il
caso del recente Star Wars: Ro-
22
gue Leader – Rogue Squadron 2
(GC, LucasArts, 2001), seguito e
pseudo-remake di Star Wars –
Rogue Squadron (N64/PC, LucasArts, 1998), con il quale si è scelto
di riproporre in verbo ludico tutta
quella sfera di significati legati alle
battaglie stellari della trilogia di
Star Wars.
Della spropositata mole di contenuti dei tre film si è individuato un
nucleo particolarmente incline a
una trasposizione ludica, in quanto
basato sull’azione, elemento da cui
non può prescindere totalmente
nessuna categoria di videogioco. Il
risultato della traduzione è uno
sparatutto spaziale immediatissimo,
che non ambisce a ricreare delle
routine fisiche di volo particolarmente sofisticate per assicurarsi un
gameplay di profondità memorabile
(aspetto che aveva invece contraddistinto lo storico X-Wing - PC, L ucasArts,1992), ma punta piuttosto
a catapultare il giocatore nel bel
mezzo di quelle battaglie che venti
anni fa hanno lasciato un segno i ndelebile nella storia del cinema di
fantascienza. E sotto quest’aspetto
Rogue Leader è formidabile. I
caccia, gli incrociatori, le ambientazioni, le voci dei compagni di squadra (“Copy that Rogue Leader!”), la
galvanizzante colonna sonora: le
componenti iconica e musicale del
codice filmico trovano una traduzione che non consideriamo un a zzardo definire “letterale”. Nella sua
snellezza, quanto espresso tramite
il codice ludico beneficia del portentoso impatto estetico/emotivo assicurato dall’aspetto più tecnico della
traduzione. Nel complesso RL è da
annoverarsi come un tie-in riuscito
ma come un capolavoro mancato, a
causa però di alcune scelte di game
design che esulano dal processo di
traduzione vero e proprio.
Star Wars: Rogue Leader rivendica le sue origini c inematografiche
implorando uno schermo sopra i 29
pollici e un impianto audio surround. Il cielo in una stanza, canterebbe qualcuno...
Si potrebbe obiettare che a nche per
RL sia stato svolto un lavoro di traduzione a metà, dato che numerose
sequenze non interattive, prima,
dopo e durante le varie missioni,
ripropongono degli spezzoni dei film
:INDEPTH:
ricostruiti con la grafica di gioco, il
che suggerirebbe che anche questo
titolo ricada nella casistica delle
traduzioni parziali impure. Falso.
Anzi, vero, ma fino a un certo punto. RL è indubbiamente un gioco,
nient’altro. Le cut-scene invadono
la materia giocabile in misura così
contenuta da non prevaricare mai
sul testo ludico né tanto meno sostituirsi ad esso (come abbondantemente accade in Hokuto No
Ken: Seiki Matsukyu Seisyu
Densetsu) , limitandosi piuttosto
ad ornarne e scandirne gli sviluppi
dell’azione con piacevoli intermezzi
“in lingua straniera”.
Due parole per un caso singolare
di traduzione parziale pura (mancata): quello di Die Hard Trilogy
(PSone, Saturn, Electronic Arts,
1996). A differenza di Rogue Leader, qui si è scelto di selezionare
un nucleo semantico diverso per
ciascuno dei tre film di riferimento:
la blasto-esplorazione nel grattacielo della Nakatomi in Trappola di
Cristallo, le sparatorie all’aeroporto
di Washington in 58 Minuti per Morire e le peripezie automobilistiche
di Die Hard – Duri a Morire. Nell’insieme il processo di traduzione ha
conseguito un esito insufficiente, in
quanto l’azione willisiana dei tre
film si è riversata nel gioco con e ccessiva approssimazione, fornendo
a Die Hard Trilogy unicamente gli
spunti su cui costruire il gameplay
dei tre giochi che lo compongono.
Tuttavia rimane lodevole l’intuizione degli sviluppatori di estrapolare
da ciascuna delle tre pellicole un
segmento di significato rappresentativo dell’intero film, da tradurre,
seppur con risultati non soddisfacenti, in codice ludico.
______Meglio un gioco da l upo
che cento da pecora
Una traduzione completa:
Ralph il Lupo all’Attacco
Ogni singolo episodio dei cartoni
animati da cui è tratto Ralph il
Lupo all’Attacco (PSone/PC, Info-
Ring#06
grames, 2001) concentra il suo p otenziale comunicativo in un’unica
sfera semantica: l’umorismo. Le
esilaranti disavventure dell’affamato Ralph traggono la loro ilarità da
molteplici componenti di rilevanza
variabile. Lo humor è ottenuto innanzitutto presentando situazioni
surreali, ove imprevisti scaturiti
dall’assurdo e imprevedibili controffensive di Sam Canepastore decretano l’insuccesso di ogni te ntativo
di sequestro ovino da parte di
Ralph. Gli sviluppatori Blacksheep
sono acutissimi nel cogliere il mix
di ingredienti che compongono la
ricetta di ciascuna, brevissima,
puntata del cartoon, per poi tradurre il tutto in gameplay escogitando
delle soluzioni ludiche da a pplauso.
Il livello di tutorial è un’autentica
chicca. Il giocatore controlla Ralph
in un apparentemente convenzionale scenario piattaformico. Due
cartelli intimidatori ci ragguagliano
circa i rischi cui si va incontro
cominciando lo stage: “Attenzione!
L’utilizzo prolungato di questo gioco
potrebbe condurre alla pazzia!” –
“Io ti ho avvertito, per cominciare
supera la linea bianca”. Ci si concede un sorriso e si indirizza lo scalcagnato lupacchiotto oltre la linea
di confine. Seguono in quest’ordine:
- picchiata di un incudine in fronte
a Ralph
- stiratura da parte di un camion in
corsa
- arrivo | “bip bip!”slinguazzante |
dipartita a razzo del Road Runner
- crollo di un pianoforte a coda che
seppellisce d efinitivamente Ralph
- schermata di Game Over
Tempo una frazione di secondo e
sopraggiunge Duffy Duck in atte ggiamento cattedratico, a confortarci
per l’accaduto e impartirci qualche
nozione di base sui comandi di gioco. Gli sviluppatori Black Sheep s ono riusciti a tradurre in un segmento ridottissimo (20 secondi di gioco,
non di più) di codice ludico uno degli elementi cardine dello humor del
cartoon: il nonsense. Vediamo c ome.
Molto frequentemente nel cartone animato non sono gli errori di
Ralph a condannarlo alla sconfitta,
bensì accadimenti completamente
al di fuori della logica e quindi di
ogni previsione. Allo stesso m odo i
primi 20 secondi di gioco sovvertono a scopo umoristico una delle r egole base del videogioco, s econdo
cui sono l’errore o la poca destrezza del giocatore a determinarne
23
:Ai confini del tie-in:
007 NightFire
(PS2/XBOX/GC/PC, Electronic
Arts, 2002)
007 con licenza di uccidere, ma
senza licenza cinematografica.
Nessun tie-in: Nightfire non si
vede nelle sale, si gioca nei salotti. Electronic Arts ingaggia
quella canaglia di James Bond e
lo sbatacchia da una parte
all’altra dell’emotion engine impegnandolo nelle cose che sa
fare meglio: l’umorista di serie
B, il prestigiatore di gadget, il
pirata della strada e il cascamorto con le donne. Non si traduce nessun film. Non si traduce nessuna storia. Si traduce
una filosofia di spettacolo all’insegna della magia balistica, del
trastullo tecnologico e della
passera digitale. Sezioni FPS
dall’intrigante componente stealth; sottogiochi a go-go a bordo di una Vanquish che se v olesse arriverebbe sulla luna; e
quell’adorabile faccia da schiaffi
di Pierce Brosnan. Nightfire
non sarà un tie-in, ma è di sicuro 007. Garantito.
l’insuccesso ludico, ovvero il tradizionale “Game Over”.
Il tutorial prosegue. Al momento
di prendere dimestichezza con il
pulsante della corsa Ralph viene
nuovamente affiancato e sorpassato dal Road Runner, del quale viene
istintivo prendere la scia. Lo
str(uz/on)zo devia dal percorso s egnato per imbucarsi in una galleria
e scomparire al suo i nterno. Ralph
incalza a tutta velocità, ma invece
di entrare in galleria si sfracella
contro una parete di roccia su cui
solo ora, grazie a un leggera rotazione dell’inquadratura (il codice
iconico interviene a supporto di
quello ludico) realizziamo essere
stata dipinta l’ingannevole prospettiva dell’interno di un traforo. Occhi
strabuzzati, incredulità, risata fragorosa, standing ovation.
Pecore e lupo. Bianco e nero. C'è
dell'Ikaruga in Ralph il Lupo...
Il livello di tutorial e i vari minitutorial disseminati per gli stage
:INDEPTH:
successivi svolgono con straordinaria efficacia un’altra funzione di
traduzione. Nei cartoon della W arner Bros in generale (un po’ meno,
per via del loro mutismo, in quelli
dedicati a Ralph il Lupo e Wile E.
Coyote) anche il codice linguistico
viene sfruttato intensivamente per
suscitare ilarità: ammettiamolo, le
imbeccate sputacchianti di quel
fanfarone di Duffy Duck e il balbettio nevrotico di Porky Pig hanno fatto la storia dei cartoon. I Black
Sheep non hanno voluto sacrificare
questo aspetto nel loro gioiellino di
game design, ragion per cui hanno
assegnato a questi personaggi s ubalterni il compito di fornire al
Ralph/giocatore tutte quelle informazioni indispensabili per il prosieguo del gioco, alternando alle spiegazioni spassose battute recitate
con i loro irresistibili difetti di pronuncia (mantenuti anche in italiano
grazie a un impareggiabile lavoro di
doppiaggio).
Fine del tutorial, inizio del gioco.
Due componenti contraddistinguono nel cartoon i piani d’attacco di
Ralph: l’invisibilità (il farsi sorprendere da Sam nelle vicinanze del
gregge equivale a una garanzia di
ricovero ospedaliero) e l’impiego
dei mitici gadget ACME. Detto fatto,
il superamento di ogni livello di gioco non può prescindere dall’esercizio di manovre stealth e dal corretto impiego di razzi, elastici giganti (utili tanto per fiondare le pecore oltre i baratri quanto per del
bungee jumping alla buona), ventilatori, robot e chi più ne ha più ne
metta. Assistere al destreggiarsi
furtivo di Ralph con indosso un c ostume da pecora (con tanto di zip e
buchi per naso e orecchie) getta più
di qualche ombra sulle reali capacità di infiltrazione di chi riesce a m alapena a nascondersi in una scatola
di cartone...
Come nel cartoon, ogni episodio/livello è diverso da tutti gli altri:
nuove le situazioni, nuovi i gadget.
Non solo, le conoscenze acquisite
nei livelli precedenti, invece di
semplificare il superamento degli
stage che seguono, costituiscono
spesso il punto di partenza per
nuove trappole e nuove risate. Se
in uno stage la guardia di Sam è
stata elusa ipnotizzando il cagnone
con l’ausilio di un flauto magico, in
un altro livello si presenterà una
situazione affine, ma sul più bello
Sam si estrarrà dalle orecchie un
paio di tappi isolanti, per poi sferrare a Ralph un micidiale montante. E
perdonateci lo spoiler.
L’impeccabile lavoro di traduzione compiuto dagli sviluppatori è
completato da una riproduzione in
stile cartoon di ambientazioni e
personaggi, che nel caso della ver-
Ring#06
sione PC godono di un azzeccato
effetto cel-shading. Seppur in m aniera a tratti minimalista (specialmente nella versione PlayStation) i
contenuti iconici del cartoon sono
stati riprodotti adeguatamente, in
special modo le animazioni: leggendaria la mossa con cui Ralph,
ormai sospeso per aria, tasta il
vuoto con la punta di una zampa
prima di scomparire in un precipizio
(“nome chic di burrone”, come ci
tiene a precisare Duffy Duck durante il tutorial).
Eppure anche in Ralph il Lupo
all’Attacco esiste una sostanziale
differenza di contenuto tra gioco e
cartoon: l’esito di ogni episodio/livello. Nel cartone animato
Ralph non riesce MAI a rubare una
pecora, e se ne torna a casa immancabilmente a pancia vuota; nel
gioco la riuscita del furto è conte mplata, giacché qualsiasi tipo di azione ludica sarebbe improponibile se
non fosse ammesso un epilogo p ositivo. È forse questo un difetto? Il
complessivo lavoro di traduzione
risulta compromesso? Assolutamente no.
Nel cartoon Ralph viene regolarmente braccato mentre sta facendo
incetta di pecore, perché se riuscisse a portare a termine anche una
sola volta i suoi piani non ci potrebbe essere una “prossima puntata”, dal momento che a Ralph non
resterebbe più alcunché da r ubare.
Allo stesso modo, nel gioco è sì
possibile rubare le pecore, ma solo
una per livello, di modo che, f ino al
completamento dell’ultimo livello,
all’interno del gregge rimangano o-
vini a sufficienza da garantire un
“prossimo livello”. Si tratta in entrambi i casi di scelte dettate dalle
necessità interne ai codici in cui si
esprimono i due testi. Queste scelte
non pregiudicano minimamente
l’eccellente traduzione in v ideogioco
di tutti i contenuti del cartone animato. E la non-traduzione delle gag
del cugino Alberto sono ormai un
lontano ricordo.
________________Conclusioni
Dalle casistiche analizzate in questo
saggio sono emerse molteplici p eculiarità del tie-in che lo distinguono nettamente da qualsiasi altro
tipo di traduzione semiotica. Il tiein è una traduzione molto libera,
che decostruisce la struttura del
testo originale, sostanzialmente
compiuto e aperto solo a un’interpretazione dall’esterno, per ricostruirlo secondo un principio di apertura interna, che si presta a un
doppio livello di interpretazione. Il
primo livello è legato alla natura e
al contenuto del solo codice l udico
(giocare è interpretare il gioco effettuando delle scelte tra le possibilità offerte dal gioco stesso - cfr.
Bruno Fraschini, Il videogioco come
testo incompleto - Il Videogiocatore
Attore, Super Console #93), mentre il secondo livello, più ampio,
consiste in una più classica lettura
del contenuto e del messaggio globale del videogioco come opera
complessa ma unitaria.
Affinché si realizzi con successo il
passaggio dal codice filmico (o fu
:Una traduzione “clandestina”:
Dino Crisis (PSone, Capcom, 1999)
Dino Crisis prende Jurassic Park alle spalle e
lo trascina su PlayStation sotto falso nome.
Capcom non versa alla Universal un centesimo di dollaro, e fischiettando traduce in videogioco la pellicola tra(do)tta a sua volta dal
romanzo di Michael Crichton.
In principio Mikami si arma di Coca Cola,
pop-corn :Una
e VHS.traduzione
Due ore dopo
ha tutto chia“clandestina”:
ro: vuole un tirannosauro che faccia da mina
vagante, velociraptor di due metri (quelli del
Giurassico erano alti circa la metà) e una manciata di cliché del cinema
horror da re-impastare vorticosamente. Il tutto condito con una protagonista piacente e pericolosa, che nell'era di L ara Croft non guasta mai.
Il risultato è tanto prevedibile quanto eccellente. Jurassic Park assume i
panni panicogenici del survival horror. Più survival che horror. I velociraptor fanno le veci degli zombie scattisti, il T-Rex sbuca da ogni dove
sfoggiando una dentatura da diva di Hollywood e ruggendo in posa per
3-4 secondi prima di ogni assalto. E tra una stanza e l'altra porte stillicide ribadiscono che Jurassic Park si è trasferito a Raccoon City.
Una traduzione parziale, ma forse solo perché mancano i nomi e i marchi del film di Spielberg.
Una traduzione riuscita, perché Dino Crisis strilla dinofobia parlando la
lingua del videogioco.
Una traduzione clandestina, perché mai dichiarata.
Una licenza onorata e mai acquisita. Misteri e potere del videogioco.
24
:INDEPTH:
mettistico, ecc.) a questo codice
così sofisticato è necessario l’intervento decisivo e intensivo della
fantasia dei traduttori (tradurre è
un’arte? La sola idea di un dibattito
sulla questione mi mette i brividi..),
che si troveranno sempre costretti
a re-inventare il testo originale
seppur nel massimo rispetto del
medesimo. Perché i giochi vanno
inventati, c’è poco da fare, e non è
lavoro da tutti.
Questo genere di traduzione ha
anche dei punti deboli, in virtù dei
vincoli espressivi intrinseci di qualsiasi codice comunicativo, cui il v i-
Ring#06
deogioco non fa eccezione. Sono
pochi i film, i cartoni animati e i
fumetti per i quali è possibile compiere un lavoro di traduzione soddisfacente: i contenuti del testo originale devono necessariamente
ruotare attorno a un qualche genere di azione, senza la quale risulterebbe impossibile anche solo gettare le fondamenta di un gameplay
accettabile. Inoltre la piena interpretabilità del testo tradotto rimane
strettamente legata alla conoscenza, da parte del fruitore, del testo
originale, che il nuovo testo non
richiede come prerequisito alla sua
comprensione o inte rpretazione di
primo livello, ma che si rende indispensabile qualora lo si voglia a pprezzare al 100% (Incredibile!
Sembra proprio il film!). O ltretutto,
la lettura del nuovo testo difficilmente potrà mai sostituirsi a quella
dell’opera originale: quest’ultima,
per contro, costituirà sempre il
primo stimolo per il fruitore ad a ccostarsi alla traduzione di un testo
che lo ha già emozionato “in lingua
originale”, e di cui non vede l’ora di
riviverne i contenuti dall’interno,
secondo le intriganti modalità espressive esclusive del linguaggio
videoludico.
wELCOME tO tHE mACHINE_________________________
[Ecco the Dolphin II - The Tides Of Time]
di Federico Res
Quali che fossero gli intenti espressivi di Novotrade nella creazione di
Ecco the Dolphin II – the Tides
of Time [1994, Megadrive], con
questo scritto ci proponiamo di trasporre uno dei suoi possibili significati, quello che da dieci anni a questa parte non smette di scalpitare
sottopelle, nei nervi e nei gangli e
nelle ossa di chi scrive. Perché
spesso i significati viaggiano paralleli tra le righe, i suoni, le immagini, il gameplay. E i significati hanno
corpo solido, sanno costruirsene
uno, sanno attingere al bagaglio
d’esperienza di un essere senziente. I significati pensano. Du-nque
sono. Parlano, attraverso i modi
originali con cui l’individuo reagisce
con il mondo, e non si curano di
ricercare una verità che sia perfetta
conoscenza analitica, (impossibile)
certezza dell’oggetto.
Tides of Time potrebbe inquadrarsi in una banalissima ottica scifi. La narrazione1 rischia di dare adito a sguardi miopi e interpretazioni superficiali. Perché se è vero
che nei canovacci intessuti da Novotrade si esplica un leit motiv vecchio quanto il mondo - l’eterna lotta
tra bene e male -, ciò che la sintesi
di design e gameplay restituisce è
una contrapposizione sofferta, sfumata, infinitamente più profonda. E
la vera forza di Tides of Time sta
proprio lì, nel simbiotico rapporto
tra level design, gameplay e soundtrack, nella perfetta fusione di
ambient music ed environment:
Tides of Time non racconta il Bene
e il Male. Tides of Time racconta la
vita. Racconta la Bellezza e l’Indifferenza, il senso del meraviglioso
da una parte e il rigido
meccanicismo dall’altra.
Racconta un conflitto
tanto aspro quanto eterno, due aspetti della
medesima realtà incapaci di conciliarsi. E se p otessimo tradurre in parole Tides of Time, esso
direbbe soltanto: la vita
ha un unico senso.
L’opera di Novotrade è
un affresco, un idillio
marino: la riproduzione degli habitat e delle svariate specie acquatiche (dagli anemoni di mare agli
squali, fino alle megattere) è inarrivabile per l’intensa carica evocativa
che effonde; l’atmosfera creata dal
bellissimo soundtrack è a tratti tenue, maestosa, i ntrigante, inquieta,
mai troppo in risalto, mai troppo
distante. E il gameplay invita il giocatore in spazi aperti, vastissimi, lo
gratifica di un sistema di controllo
impeccabile, gli concede ampia libertà di movimento. In questo modo, Tides of Time cattura la Bellezza (qui incarnata nella vita
mammifera), imprimendola in forma e contenuto 2. Seppur non privo
di sbavature – riscontrabili più in
alcune imperfezioni del gameplay
che nel pregevolissimo costrutto
tecnico - Tides of Time magnifica
e mitizza la Bellezza, tradotta in un
elogio al mare dal sapore fortemente hemingwayano.
Al lato opposto, in netta antitesi,
il gioco ritrae l’Indifferenza: l’invasione aliena cui l’oceano pare soccombere è un’effige i mmediata del
costante procedere della vita. L’idillio marino è trafitto dal dilagare di
una razza aliena macchinalmente
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ostinata. Novotrade raffigura l’opposizione tra Bellezza e Indifferenza mediante una rappresentazione di quest’ultima ispirata all’opera dell’artista
svizzero Hans R. Giger:
tuttavia, seppur rappresentati in fogge ricercatamente orrorifiche – che
rimandano palesemente
ad Alien – gli alieni di Tides of Time non assumono mai i connotati malvagi che la
narrazione vorrebbe attribuirgli.
Tale stereotipo fantascientifico e nfatizza l’Indifferenza della vita,
quell’incessante movimento teso
alla sopravvivenza e alla procreazione: dal comportamento della
razza aliena emerge u n istinto nudo
e crudo, la volontà di persistere e
colonizzare nuovi spazi tipica di ogni forma di vita, ma scevra del
calore della vita mammifera. Parallelamente, il gameplay evolve/involve r estringendo i propri orizzonti. Al giocatore si affacciano livelli
spazialmente rigidi (Tube of Medusa), in certi casi lo scrolling diventa
automatico e poco indulgente (SkyWay), subquest ed enigmi raggiungono vette di difficoltà inedite (Globe Holder).
Tides of Time restituisce quindi
l’Indifferenza [il rigido schema basilare della vita] con la stessa verve
con cui ha reso la Bellezza, tramite
un frenetico avvicendarsi degli elementi ludico e iconografico, nonché
mediante lo sfoggio di una colonna
sonora agile e sempre opportuna.
:INDEPTH:
Il contrasto che ne deriva, a partire da un momento ludico-narrativo ben preciso, tende ad uno str idere ancora più inte nso. In Black
Clouds e in Vortex Future la fluida
mobilità di Ecco s’incaglia in un level design sincopato, spezzettato;
le meccaniche tendono a combinare
la gestione di forze inerziali e gravitazionali richiedendo una precisione fuori del comune (Gravitor
Box). Ecco è ancora libero di muoversi secondo il proprio arbitrio, ma
è costretto a farlo rivedendo costantemente le proprie possibilità.
Dal punto di vista iconografico
l’elogio marino si scontra violentemente con le architetture e gli organismi meccanici dei Vortex, Lunar Bay segna il compenetrarsi di
Bellezza e Indifferenza preludendo
al collasso sistematico di New Machine. Ma poco prima, tra le a cque
di Lunar Bay, Tides of Time compie un guizzo con cui raggiunge
l’apice della sua forza comunicativa: in seguito al contatto con un
alieno, Ecco viene teletrasportato in
una porzione di Macchina e trasformato esso stesso in un esemplare di Vortex3. Lo stacco è brutale, i controlli si fanno rigidi e unilaterali, il delfino diviene un oggetto
meccanico in un sistema automatico. Il gameplay costringe il giocatore a sperimentare l’Indifferenza sulla propria pelle: in forma di Vortex
Ecco si muove e agisce come gli
alieni, lungo pattern dove non vi è
nulla che possa connotare i Vortex
come esseri spietati, e dove l’unico
obiettivo è la sopravvivenza. In
questo scambio s’intravede anche
la velleità di rendere la sostanziale
uguaglianza tra Ecco e i Vortex: la
mutazione equivale a spogliare il
delfino di ciò che lo annovera tra i
mammiferi, mette ndone a nudo
l’essenza più intima. Il gameplay
rivela ora ciò che sarà più chiaro
nel finale dell’opera, tramite un a lternarsi ipnotico di Bellezza e Indifferenza, giocato tra il valore ludico/grafico della Macchina e dell’oceano…
Negli ultimi livelli Ecco precipita
negli anfratti meccanici della Macchina (New Machine). Si esprime
qui la negazione di un qualsivoglia
controllo sui meccanismi della vita
[espressi nell’Indifferenza, ma che
sottendono in pari misura alla Bellezza]: il libero arbitrio a cui la gran
parte dei livelli fa riferimento, è ora
violentemente negato e soppresso.
L’autarchia prima concessa è definitivamente annichilita dal rigidissimo
schema della Macchina: l’incedere
del delfino è costretto in un intricato complesso che si muove obbedendo a leggi proprie e non conoscibili. Ogni movimento della Macchina4 è intenzionalmente teso a
Ring#06
confondere e distruggere il delfino:
i cambi di direzione sono repentini
e imprevedibili, la Macchina rallenta
fin quasi a fermarsi per poi esasperare il proprio regime e scagliare
Ecco alla deriva. All’interno della
Macchina si combatte contro un infido intreccio di forze inerziali. Si
combatte contro un meccanismo
che non concede tregua. Un meccanismo che le ‘Tides of Time’ definiscono vita, senza ulteriori precisazioni.
_____________________Note
[1] Questa breve esegesi non tiene
conto del comparto più tradizionalmente narrativo del titolo. La trama
di Ecco II è puerile, inutile e fuorviante. Nella frase “ Tides of Time
racconta la vita ” il verbo ‘raccontare’ fa dunque riferimento alla forza
comunicativa del costrutto ludico
artistico, come ampiamente illustrato nelle righe successive.
[2] Forma e Contenuto del VG sono
qui intesi come sintesi graficosonora e gameplay. Si tratta di una
distinzione sommaria, usata solo
perché funzionale ai temi trattati
nel testo.
[3] La trasformazione in Vortex non
è l’unica che Ecco deve affrontare:
nei primi livelli – dunque in pieno
idillio – il delfino trova il modo di
‘vestire i panni’ di gabbiani, meduse, squali e perfino di un banco di
plancton…
L’ultimo atto parla da sé. La Macchina conduce all’inevitabile e violento scontro tra Ecco e la Vortex
Queen. La simbologia dei fronti o pposti è palese, e il fatto che lo
scontro - dopo un’ingannevole vittoria del delfino - non riesca a risolversi, può essere un ulteriore
indizio sugli intenti dell’opera. L’epilogo è la City of Forever. La Città
di Per Sempre. La veemenza con
cui Lunar Bay ha reso il contrasto
tra Bellezza e Indifferenza - e la
sua sintesi - si risolve in un più esplicito richiamo all’unicità della v ita in entrambe le sembianze che ha
qui assunto [quella mammifera e
quella aliena]. City of Forever si
compone di una meccanica più volte ripetuta, che obbliga Ecco a servirsi della larva della Vortex Queen
per attraversare un complesso labirinto [e viceversa: la Vortex Queen
sembra poter trovare la strada soltanto affidandosi a Ecco, finendo
per girare a vuoto nel labirinto].
Entrambi i contendenti ricercano la
macchina del tempo che garantirebbe la sopravvivenza e l’affermazione delle relative specie, ma
che, una volta raggiunta e attivata,
non può che ricondurre al significato iniziale di Tides of Time, e cioè:
la vita ha un unico senso. Perché
ad essere in gioco non sono due
specie distinte, ma due aspetti della
vita stessa5, che è unica, immutevole e ciclica. La Città di Per Sempre inghiotte tanto la larva della
Vortex Queen quanto lo stesso Ecco, li assorbe, li metabolizza e li
disperde nel disegno infinito delle
Maree del Tempo.
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[4] Il nome di New Machine è un
omaggio a A New Machine dei Pink
Floyd (contenuta nell’album A Momentary Lapse of Reason, del
1977), come Welcome to the Machine (l’ultimo livello del primo Ecco) era una citazione dell’omonimo
brano di Roger Waters e David Gilmour, contenuto in Wish you were here (1975).
[5] La reciproca dipendenza tra Ecco e la Vortex Queen suggerisce
una pari necessità per Bellezza e
Indifferenza. Tuttavia, il carattere
necessario della Bellezza è ben lungi dall’essere dimostrato.
:Errata Corrige:
Nel corso della recensione di
Primal pubblicata su Ring#5
è stata mossa una critica ingiusta all’effetto di blur applicato agli scenari di Super Mario Sunshine , presente anche
in Zelda: The Wind Waker.
La redazione si scusa per l’errore e ci tiene a precisare che
l’abuso degli effetti di blur non
:INDEPTH:
Ring#06
mETROID pRIME VS mETROID pRIME_________________
[VERSUS: Metroid Prime]
Red Corner: Federico Res
Blue Corner: Il Pupazzo Gnawd
Metroid Prime, sparatutto, in prima persona ma non FPS. Metroid Prime, arcade adventure capace di trasmigrare un’anima 2D in un
corpo 3D perdendone solo un’infinitesima frazione di magia. Metroid Prime, opera prima di Retro Studios per Nintendo e punto di riferimento per la massa cubica. Dall’angolo sinistro del Ring un’ode ad un gameplay nuovo ma antico. Dall’angolo destro del Ring, la voce
dello sfidante, del blasfemo, del dissidente. Let the fight begin.
Round 1. Level Design
__________Anatomia di un gioco (quasi) perfetto
Nella landa di Gelindo Bordin________________
Parlare di level design in Metroid Prime significa trattare la costruzione sintattica di una struttura macroscopica. Il mondo di Tallon IV non si adatta infatti ad una
concezione classica, che professi l’organizzazione del
gioco in livelli scollegati tra loro. MP si compone di un
unico livello, enorme e complesso, risultante dall’intreccio di cinque ecosistemi differenti, i cui meandri riescono ad incastrarsi alla perfezione e a dar luogo ad un
mondo coerente, avvolgente, seppur costretto in un s istema di diaframmi e ascensori. Lo streaming tramite
cui il gioco è caricato – seppur inficiato da imbarazzanti
tentennamenti – concorre a dare un forte senso di continuità ad un universo immenso. Ma perché MP deve
considerarsi un capolavoro di level desing?
Per rispondere a questa domanda si deve necessariamente tirare in ballo il gameplay. Perché in MP gameplay e level desing si fondono in un binomio inestricabile, come da manuale del perfetto videogioco: impossibile analizzare le innumerevoli strutture di Tallon IV senza
stupirsi per la loro spiccata funzionalità, per il loro porsi
al servizio d’ogni possibilità d’azione concessa dal gameplay. Impossibile restare indifferenti dinnanzi alla costante evoluzione del gioco, grazie a cui l’acquisizione di
nuove abilità trasmette il dominio su un mondo che si
apre nei suoi meccanismi più intimi: ad ogni strumento
ottenuto il level design risponde rivelando strati più profondi, non soltanto percorsi inediti ma nuove possibilità
d’azione.
Chozo Ruins, Fornace. Un esempio concreto dell’ingegnosità con cui level design e gameplay sono legati i nsieme: la prima volta che Samus giunge nella sta nza, si
trova davanti ad una porta sbarrata (che si può aprire
con un’arma r eperibile più avanti nell’avventura), e ad
una serie di rotaie magnetiche sospese ad un’altezza
proibitiva. L’unica cosa che può fare è a ttivare la morfosfera e infilarsi in un buco nel muro [primo strato].
La successiva a cquisizione del raggio gelo le consente
di ottenere l’accesso ad un percorso inedito [secondo
strato]. Il conseguimento della gigabomba le permette invece di distruggere u na lastra nel pavimento [terzo
strato], e di rivelare un half pipe: ottenuto il super
boost [quarto str ato], Samus è in grado di rotolare
sull’half pipe come uno skater, e di raggiungere le rotaie
magnetiche nella parte alta della sala. L’ottenimento
dell’aracnosfera [quinto strato] le permette infine di
agganciarsi alle rotaie e svelare ulteriori nuovi percorsi.
In MP gameplay e level design si accordano in base
ad un’armonia che lungo il corso dell’avventura non viene mai meno. È innegabile che il valore di questa armonia oscilli e non sempre si avvicini alla perfezione (culmine assoluto del gioco è il complesso delle Chozo
Ruins), ma resta sempre capace di appagare e stupire
per le innumerevoli trovate di Retro Studios. Ancor più
se consideriamo che MP sfrutta il poligono e l’asse Z
Gelindo Bordin, italico Filippide, sarebbe lieto di incontrare Samus Aran, una vera maratoneta. C’è qualcosa
di stanco in Metroid Prime ed è il modo in cui si corre
da una parte all’altra del mondo di gioco, quasi si fosse
in una versione futuristica di Resident Evil. C’è un
momento che definisce alla perfezione l’abbondanza di
pendolarismo succitata: il ritrovamento del raggio al
plasma. Trattasi di una lunga scarpinata fino alle c averne Magmoor per appropriarsi di uno strumento o ffensivo che in quella zona servirà giusto per un paio di
ulteriori azioni, e poi via di nuovo a trotterellare verso
una lontana località di Tallon IV. L’andirivieni è un piccolo flagello per il giocatore. E se è vero che nelle prime fasi il suo ingombro è m inimo (per poi accentuarsi
nella metà finale), è altrettanto certo che a fare le veci
di artificiale diluitore della longevità c’è il respawn, il
rigenerarsi, cioè, degli avversari una volta chiusa la
porta alle spalle di Samus.
Caverne Magmoor, la musica riempie l’aria i n modo
fastidioso, l’attenzione tuttavia è altrove, più precisamente è indirizzata nello sbrindellare le torrette di d ifesa. Fattene fuori un paio si esplora la nuova zona f ino a trovare una via d’uscita. La si varca, ma subito ci
si ricorda di aver sentito il tipico rumore emesso da un
potenziamento. Si torna dentro e… “Chi siete, dove
andate, cosa trasportate? Due torrette!”. E giù di cannone: gli elementi ostili sono smantellati per la seconda volta. Potenziamento recuperato e di nuovo col piede sull’uscio. “Ehi, forse saltando da quella roccia p otevo raggiungere la passerella. Meglio andare a
provare” Dietro front e.. “Chi siete, dove andate, cosa
trasportate? Due torrette!” E ancora a sputare piombo.
Ma dalla roccia non si poteva andare da nessuna parte
senza la tuta gravitazionale, quindi si ri-esce. La nuova
area pare zeppa di difficoltà. Meglio controllare se dal
passaggio sul lato sinistro della c averna precedente ci
sia un punto di salvataggio. Inversione a U e… “Chi
siete, dove andat…” Mavaff… zelante servizio di manutenzione delle mie palle.
L’insensata rigenerazione automatica degli elementi
ostili distrugge la sospensione dell’incredulità, mortifica
la splendida atmosfera che Metroid Prime riesce a
convogliare così bene in molte delle sue fasi d i esplorazione. Come per le maratone talloniane, l’obiettivo
pare essere una pretestuosa dilatazione dei tempi di
gioco. Ma un sistema più intelligente di rimpiazzo degli
ostacoli, così come avviene nella seconda metà di gioco, e una dislocazione di punti di teletrasporto avrebbe
indubbiamente giovato all’intensità dell’esperienza.
Certo, un prodotto del genere avrebbe avuto una durata minore, si sarebbero dovute pianificare altre aree da
esplorare, ma sarebbe stato un male?
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:INDEPTH:
Ring#06
con una padronanza e una sicurezza che difficilmente si
erano viste prima, e che riesce a combinare splendide
meccaniche ‘old style’ – innescate dalla trasformazione
in morfosfera – con un’impostazione totalmente tridimensionale.
Esaurito il diluvio di lodi sperticate, resta da spiegare
il ‘quasi’ nel titolo del paragrafo. Ebbene, quel ‘quasi’
risponde ad un rigido dogma Nintendo: l’aderenza totale
alla tradizione, che vincola Retro Studios a rifarsi ad un
template ben preciso. Così come in Super Metroid, il
respawn dei nemici e le interminabili pedalate da un c apo all’altro della mappa di gioco la fanno da padroni, e
non si può certo dire che questo sia un bene. Ma a tal
proposito rimandiamo all’ultimo round di questo versus:
Tradizione e Modernità.
Inventarsi un sistema di teletrasporto, elemento estraneo alla saga, avrebbe rappresentato un orrendo
sfregio all’eredità di Metroid? Il limite più grande del
lavoro di Retro Studios è, in sintesi, quello di essere c ostretto rigidamente su canoni preimpostati. Anche il design dei livelli tradisce una certa mancanza di libertà.
L’impressione è di un lavoro s opraffino, portato avanti
più con mestiere che con passione. I dettami nintendiani di progressione e potenziamento sono stati digeriti e
assimilati, lo si nota in ogni particolare. P urtroppo però
manca il colpo di genio. Non ci si trova mai a sorprendersi, inebetiti di fronte a una trovata innovativa. Solo
l’utilizzo della morfosfera riesce in questo intento: un
mix sublime di precisione dei controlli e appagamento
d’uso. Peccato che il suo sfruttamento sia relegato a
una percentuale criminalmente bassa rispetto alle p otenzialità del mezzo.
Round 2. Sistema di Controllo
_____________________Simmetrie e Cromatismi
Lockin’ lock on____________________________
Metroid Prime ha poco a che fare con i first person shooter, il sistema di controllo predisposto da R etro Studios
sta lì a dimostrarlo. Chi si aspettasse l’uso combinato
delle leve analogiche finirebbe per provare un senso di
vuoto dentro: in MP lo strafe richiede la pressione del
tasto L, mentre per guardarsi intorno è necessario tenere premuto R. Tutti i movimenti si effettuano col solo
uso dell’analogica sinistra. Ma perché durante lo strafe
non è consentito di spostare la visuale1? La risposta non
soffia nel vento, ma nella prima riga di questo paragrafo: perché Metroid Prime ha poco a che fare con i first
person shooter.
MP si fonda sull’esplorazione, la ricerca, l’interazione
con le piattaforme, l’evoluzione del personaggio. Le fasi
di combattimento costituiscono un eccellente d iversivo
all’esplorazione, ma restano un quaranta per cento scarso del gioco. E la dinamica stessa dei combattimenti è
radicalmente differente da quanto visto in un qualsiasi
FPS. Lo scontro non si risolve in una ricerca al bersaglio,
tantomeno nella messa a punto di una strategia troppo
elaborata 2. MP adotta un efficiente sistema di lock-on,
che permette di agganciare l’obiettivo – nemici minori o
punti deboli dei boss – e che risulta indispensabile per
l’intera durata del gioco. Assurdo pensare di sconfiggere
i boss senza ricorrere al lock-on: in parte perché
l’impossibilità di muovere lo sguardo durante lo strafe si
rivelerebbe – com’è ovvio – castrante; in parte perché la
necessità di affrontare un nemico in movimento, e dalla
lunga distanza, renderebbe un’impresa titanica centrare
i suoi punti deboli (spesso nascosti e protetti). Pensate a
Rogue Leader: chi non ha mai imprecato per la mancanza di un targetting system che aiuti a colpire i Tie
Fighter a trecento metri? Ma soprattutto, in Rogue
Leader, chi è mai riuscito a colpire un Tie Fighter a trecento metri3? E’ evidente come il lock-on non sia una
conseguenza dell’uso di una sola leva analogica, ma r isponda ad esigenze e intenti ben precisi. Vediamo di d iscuterli.
[1] Controllo. Puro e semplice controllo. E non è un
caso se MP – insieme a Mario e Zelda – si sia rivelato
uno dei giochi che meglio hanno saputo sfruttare il p otenziale dell’asse Z. In MP può accadere di compiere un
balzo verso una piattaforma, accorgersi della presenza
di un nemico sulla suddetta, lockarlo, distruggerlo, liberare un upgrade e atterrarci sopra, con assoluta precisione. Può accadere di evitare dei getti di f uoco con
“Metroid Prime non è un FPS”, un mantra ripetuto sin troppe
volte. Ficcante quanto razzista. Quasi a declas sare Doom e soci
ad intrattenimento di serie B. Nella sua accezione descrittiva,
tuttavia, è un mantra veritiero ed efficace: Metroid Prime non
è, nonostante le apparenze, un FPS. È contemporaneamente
molto di più e molto di meno. Retro Studios ha cercato così fo rtemente di scrollare di dosso l’etichetta di sparatutto in prima
persona al suo pargoletto da optare per un s istema di controllo
diverso. Non migliore, diverso. Non originale, diverso. Così c ome Maken X prima di lui, Metroid Prime si munisce di un s istema di agganciamento del bersaglio: incassando il dorsale L,
Samus indirizza i colpi sul nemico selezionato, ruotandogli a ttorno come un ipotetico punto lungo una circonferenza.. Risultato? Un coltello bilama, una medaglia bifronte. L’esplorazione
(vero focus del prodotto) viene sgravata dal peso di combattimenti troppo invasivi, dando nel contempo sfogo ad un architettura dei livelli più action adventure che FPS e permettendo una
buona diversificazione della fauna ostile. Perché poter agganciare gli avversari lascia liberi i designer di mettere in scena piccole minacce (difficilmente inquadrabili con un sistema di puntamento libero) con le quali ingaggiare duelli anche dalla lunga
distanza. Perché poter agganciare gli avversari muta le condizioni spaziali richieste, sposandosi alla perfezione, complice il
passo poco serrato, con una morfologia del terreno più ricca dei
soliti stanzoni squadrati da FPS. La certezza di avere sempre il
bersaglio nel mirino, potendo compiere movimenti rotatori senza abusare dello strafe selvaggio (saltuariamente origine di d isorientamento negli sparatutto in prima persona), scongiura in
parte le cadute da altezze indesiderate, tiene l’antagonista in
visuale anche se questi compie movimenti sull’asse verticale. La
mobilità messa in scena è autocontenuta, tutto sommato più
semplice, più adatta allo schema dell’arcade adventure. Sembrerebbe dunque un connubio perfetto, ma è solo il grande l ivellatore.
Samus apre l’ennesima porta, un piccolo passaggio verso
l’ammaliante bellezza di imponenti rovine Chozo. Blocchi di pietra sgretolati dal tempo, vestiti da piante rampicanti, movimentati da colonne venate da incrinature, da cedimenti strutturali,
perfette imperfezioni la cui genesi è avvenuta chissà quando,
chissà come.
È una visione di palpabile desolazione, che scorre sotto pelle
ricordando la grandezza che fu. Un paio di passi e la gita subisce una brusca frenata. Il turista videoludico viene messo da
parte per lasciare spazio all’istinto di sopravvivenza, al lato più
stimolato dal videogioco dalla notte dei tempi: la furia assassina. Agganciamento del bersaglio e pollice sul patac cone verde
per caricare il colpo. Dopo un paio di secondi scarsi, passati masturbando la levetta analogica per trovare un riparo o per schivare gli attacchi nemici, il proiettile è rilasciato, già in rotta di
collisione con la vittima des ignata. Loop dell’operazione quanto
basta e l’ennesima minaccia non è più tale. Uno stanco rituale
già messo in scena tante volte, troppe volte, senza variazioni
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:INDEPTH:
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combinazioni di salti in alto e laterali, e nel contempo
switchare tra cinque bersagli diversi nella più assoluta
scioltezza. Il tutto nello spazio di pochi decimi di secondo. Questo è controllo. Puro e semplice. E una volta che
si è lockato un bersaglio, si comprende tutta l’inutilità di
una seconda leva…
[2] Esplorazione . In MP, per il settanta per cento
del tempo, si esplora/salta/scansiona/raccoglie, non si
combatte. E l’atmosfera del gioco cede alla frenesia soltanto durante le fasi di lotta. Ci si ferma spesso, ci si
guarda intorno, si attiva lo scanner, si accumulano i nput. L’indice destro affonda sul dorsale e lo sguardo di
Samus si sposta in ogni direzione. E in quei momenti si
comprende tutta l’inutilità di una seconda leva4…
[3] Il cannone di Samus. La progettazione del
braccio-cannone di Samus è intimamente connessa alla
dinamica degli scontri. Il modo in cui i nemici sono realizzati richiede uno switch costante tra i quattro differenti modi di sparo – e tra i quattro diversi visori, simmetricamente -, rendendo necessario un accesso immediato
alle quattro armi. Ed è qui che si comprende tutta la
convenienza di una leva analogica libera: lo stick destro
consente di cambiare arma agendo sulle quattro direzioni principali. In questo modo l’arma desiderata è i mmediatamente d isponibile, ed esula dal dover scorrere
l’intero armamentario. Ancora: esiste una corrispondenza ben precisa tra le armi in dotazione e la sensibilità
dei nemici. Un Pirata Onda, per fare un esempio, reagisce unicamente al fuoco del Raggio Onda, mostrandosi renitente alle altre armi. Questa corrispondenza tra
arma e nemico è suggerita (in modo intuitivo) tramite
un ricorso cromatico immediatamente riconoscibile. Ogni arma è associata ad un preciso colore e ad una particolare direzione:
significative. Ecco la seconda faccia dell’agganciamento automatico, ecco il grande livellatore. Uno scontro in Metroid Prime è,
di norma, una pratica burocratica. I nemici non sono d otati di
alcun tipo di comportamento “intelligente”. Anche i pirati spaziali, teoric amente la razza più evoluta su Tallon IV, falliscono
nel veicolare un senso di partecipazione alla battaglia, rivelandosi piuttosto come missili guidati verso il bersaglio Aran, con la
saltuaria abitudine di schivare le carezze balistiche della cacciatrice (o almeno provarci). Il comportamento del nemico standard dello sparatutto standard, insomma. Il grande livellatore
agisce in modo deleterio sul risultato finale, mitigando a ncora di
più la dinamicità delle sparatorie. In Metroid Prime agganci il
bersaglio, ti nascondi dietro a un qualche tipo di c opertura per
caricare il colpo, esci allo scoperto e spari. Poi te ne torni in c opertura. Tanto il nemico rimane comunque inquadrato. E guai
ad usare i proiettili standard: scatterebbe l’età pensionabile.
Mettere mano al fucile, quindi, a s surge troppo spesso a ruolo di
tediosa routine. I casi in cui la situazione si smuove sono così
pochi da essere accolti con ovazioni a scena aperta: i pirati volanti (complice il sistema di controllo), quelli invisibili, gli spiriti
Chozo, i sistemi di difesa robotici, i baby Sheggoth e i Metroid.
Ma anche qui, dopo lo smarrimento della prima battaglia, il tutto rischia di risolversi nel solito rituale, complice anche il citato
respawn, che nel primo terzo di gioco è fin troppo ottuso. Belligerare si dimostra quindi come un male necessario, da assumere con schematismo autistico e da evitare quando possibile. M eno apparizioni di nemici insulsi (non come caratterizzazione ma
come schemi di attacco), sostituiti da minacce più c oriacee, più
intelligenti, capaci di mettere in scena tenzoni di l ivello tattico
superiore, non avrebbe di certo snaturato la struttura metroidiana, la avrebbe semplicemente resa più interessante. Perché
qui non si vuole spostare l’attenzione sul lato sparatutto, bensì
renderlo divertente. Il lock on e l’ingessatura data da alcune
scelte di design nei controlli (per esempio, il rischio di trovarsi
in balia degli avversari nel caso di scontri multifronte in spazi
aperti) non aiutano in questo senso.
Raggio Energia
“Un metodo di controllo diverso?! No dico, un metodo di controllo diverso?! Miscredente di un pazzo pupazzo di pezza del
cazzo, non lo sai che difficilmente un gioco Nintendo è miglior abile?”.
Un primo passo concreto nello
trebbe derivare da una differente
tasti. Perché, ok, “Metroid Prime
che dal metodo di controllo”, ma
Raggio Onda
Raggio Plasma
Raggio Gelo
scardinare la situazione p ofilosofia nella mappatura dei
non è un FPS, lo si vede a nse questo fosse diverso?
Eccovi il cavillo che salva capra e cavoli, lasciando a bocca
asciutta il povero lupo: questo non è, nominalmente, un gioco
Nintendo. Assicurata l’anima nei confronti del dio Miyamoto,
proviamoci a vedere un mondo diverso. Non necessariamente
migliore, diverso. Non necessariamente originale, diverso. Un
modo più in prima persona, più sparatutto. Via le armi dalla
levetta destra. Sì, avete letto bene, via da lì. Tutto su un tasto
solo, un cambio ciclico come molti altri FPS perfettamente funzionanti su console. Dico, son ben quattro (4) di numero ‘ste
cacchio di armi no, dove sta il problema? Sulla leva ora libera ci
si può mappare lo spostamento laterale e l’asse verticale dello
sguardo.
In una parola: geniale.
Inutile ribadire che l’accesso immediato alle quattro
armi/direzioni/colori è imprescindibile, come lo è un repentino switch tra i quattro visori disponibili [Combat,
X-Ray, Termal e Scan], attivabili tramite la croce digitale. Inutile rilevare che in MP gli scontri (ma anche il
puzzle solving) sottendono meravigliosamente a questo
schema di fondo…
Area di contenimento, uno, prima. A - zione! Samus si avvicina
con circospezione ad una balconata. Sotto pirati elite sospesi in
liquidi di sostentamento. A far loro guardia pirati spaziali ben
più pimpanti. Si direbbe alquanto gioiosi di tramutare la protagonista nella nuova anal queen. È tempo di timbrare il cartellino. R per abbassare lo sguardo e bloccarlo in posizione. Con
fare dimesso e occhi fissi sul pavimento, la cacciatrice si avvic ina alla ringhiera dove balla scoordinata per inquadrare il cazzone dello spazio che intanto continua a tempestarla di proiettilame colorato.
Che colore è il vaffanculo? No, perché qua ce ne vorrebbe
una discreta quantità di quel cromatismo lì. Samus vede diminuire la sua barra energetica, senza possibilità di replica. Ma nel
frattempo si segna qualcosa: “falcidiare il designer dei controlli”. Una volta finito su Tallon IV qualcuno sulla terra dovrà aver
paura di quella tuta arancione kitsch. Alla fine il nemico è a gganciato e la storia prosegue come dovrebbe. Pausa. Warp à la
Raziel in un mondo alternativo, quello del secondo ciak.
Prima di chiudere la disamina sul sistema di controllo
non possiamo esimerci dal citare il superno s istema di
salti. MP è riuscito a rendere il salto in prima persona
una pratica semplice e precisa, a utomatica, di un’immediatezza disarmante . Questo mediante un leggero rallentamento del salto, che si traduce in una riduzione
della gravità, per tramite di stabilizzatori non meglio identificati. L’effetto finale è assolutamente unico. L’impressionante mole di piattaforme, che Tallon IV sbatte
in faccia al giocatore, dimostra quanto il gioco non abbia
timore di osare ciò che in un FPS ordinario sarebbe i mproponibile. Anche grazie all’astrosalto, che consente
un’elevazione doppia ed un controllo della traiettoria ancora maggiore. Splendido.
29
:INDEPTH:
Ring#06
Area di contenimento, uno, seconda. A - zione! Avanti veloce
fino alla ringhiera. La cacciatrice le si a vvicina muovendo lo
sguardo come le pare, ma non in una parodia di una stanza
ginnastica da camera, piuttosto nella gioia di una ritrovata libertà preclusale in nome della forzata non appartenenza. Ora tracciare e inquadrare la feccia aliena è operazione ben più semplice
e, soprattutto, indolore. Pirata agganciato, pirata fottuto. Buona
la seconda.
Pensateci: possibilità di spostarsi lateralmente e contemporaneamente muovere lo sguardo. Tutto al prezzo di un micros econdo in più per “indossare” l’arma appropriata. Tutto al prezzo
di sporcarsi un po’ di un’identità che non si vorrebbe vestire.
Con in più la possibilità di dar vita a minacce più variegate. M eglio la coerenza o la funzionalità?
Round 3. I Boss
______________________Questo è videogioco…
Spara o muori____________________________
I Boss di Metroid Prime sono quanto di più esaltante si
sia visto negli ultimi tempi. Tralasciando l’incredibile lavoro di design – che con una quantità media di poligoni
ha creato modelli splendidi e animazioni perfette – i
boss del gioco stupiscono per come chiamano il giocatore a tener sempre in considerazione l’intero ventaglio
delle proprie possibilità. Affrontare un boss di Tallon IV
conduce ad un attento esame degli strumenti a propria
disposizione, ad un’osservazione e una valutazione c ostante dei pattern d’attacco nemici: non è raro dover
ripetere più volte uno scontro, prima di carpire il segreto
di un nemico e svelarne il punto debole. E questo è v ideogioco: le dita si muovono tra la croce digitale – che
attiva i quattro visori, alla ricerca di quello più utile -, la
leva destra – che spazia tra le a rmi disponibili -, il tasto
del salto e quello deputato al lancio dei missili. Ma non
solo. La trasformazione in morfosfera non viene mai
trascurata, e anzi si mostra indispensabile in taluni
frangenti di gioco, aprendo una via di fuga in situazioni
di rischio.
Phendrana, Boss: Thardus. Thardus è costituito da
rocce e giunture di phazon, segue un pattern determinato ma mai troppo rigido (caratteristica dei boss di MP è
la capacità di variare gli attacchi i n risposta al comportamento del giocatore). Lo scontro si apre con la consueta scansione [utilizzo del visore Scan], che regala
qualche preziosa informazione sui punti di forza e di debolezza del nemico. Poi scatta l’osservazione: Thardus
sembra indifferente a qualsiasi colpo, il lock-on non trova punti su cui fissarsi. Il pollice cambia visore [utilizzo
del visore termico], e subito rivela un punto in cui il
boss non ha difese (evidenziato in rosso). Il lock-on si
attiva, il pollice destro comincia a marte llare sul tasto di
fuoco. Segue un’esplosione che sovraccarica il visore
termico [il giocatore è costretto a tornare alla visione
normale], e determina la perdita del bersaglio: il boss
comincia a scagliare frammenti di roccia all’indirizzo del
giocatore, e a bersagliarlo con raggi congelanti (che si
dipanano sul terreno come scosse sismiche). La velocità
dei frammenti induce a tralasciare il lock-on e a tirare al
bersaglio [cambio di strategia o ffensiva/difensiva];
i raggi congelanti stimolano un frenetico ricorso al doppio salto e allo strafe. Terminato il bombardamento,
Thardus assume una forma sferica e rotola sul terreno
verso il giocatore. A questo punto l’alternativa è tra a llontanarsi a piedi o ricorrere alla morfosfera [cambio di
modalità che influisce sulla mobilità, la visuale e le c apacità offensive]. La morfosfera, con l’ausilio del turbo
(ottenibile premendo e rilasciando B), consente di spostarsi velocemente e di avere una visuale più consona
alla fuga. Terminato l’attacco, il boss riprende le sem-
Dovendo valutare i boss di Metroid Prime secondo il
tasso di spettacolarità si rischierebbe di andare fuori
scala. Ognuno di loro è semplicemente imponente, incute timore, è impegnativo. Purtroppo a tanto coinvolgimento emozionale non corrisponde altrettanta ispirazione in fase di design. La parola d’ordine è violenza, ottusa violenza. I pericoli vengono smantellati poco a poco
a colpi di missili e cannonate. L’approccio laterale tanto
caro alla filosofia Nintendo non marca visita. Pensate a
quando in Zelda: Ocarina of Time si uccideva un serpente di fuoco mimando una sessione a “wack a mole”,
oppure quando in Super Mario Sunshine ci si ritrovava a strappare i tentacoli del Calamarcio. Retro Studios
sporadicamente fa a ssaporare la bellezza dell’approccio
indiretto. Lo fa magistralmente con Flaaghra, la pianta
nelle rovine Chozo, ma poi scorda la strada. Così rientra
in scena il grande l ivellatore, stemperato da un appoggio massivo su quelle che sono le risorse principali di
Samus: i visori e i differenti tipi di raggio (purtroppo
poco differenziati tra loro). Ogni boss si affronta cercando l’equipaggiamento adatto, ma spesso la differenza di approccio pare più formale che sostanziale. Aggiungendo poi che certi attacchi vengono reiterati con
preoccupante frequenza (l’onda d’urto comune agli u ltimi tre boss e il lancio di missili guidati), il panorama
non è così edificante come la qualità g enerale del prodotto porterebbe a pensare. Panorama che ha la distesa
più brulla nello scontro col pirata Omega, un tedioso
spara e salta, uguale a se stesso dal principio alla fine.
Un maggior sfruttamento del rampino e della morfosfera, ad esempio, avrebbe potuto rappresentare una papabile via d’uscita. Così non è stato.
30
:INDEPTH:
Ring#06
bianze originarie e lo scontro ricomincia…
Durante l’intera battaglia si è quindi fatto ricorso a
molti degli strumenti fino a quel momento in mano al
giocatore [visore ‘Scan’ e visore termico; Morfosfera,
Lock-on, doppio salto e Raggio Energia], e solo uno studio accurato del nemico ha consentito l’elaborazione di
una tattica efficace. La cosa più esaltante è che, procedendo nel gioco, la rosa degli strumenti si allarga e le
azioni da compiere si moltiplicano. Fino al fantastico
scontro con il Metroid Prime, che obbliga ad un frenetico
cambio di raggio (suggerito con la corrispondenza cromatica di cui si parlava nel p aragrafo precedente), uno
switch ripetuto tra i visori [termico, a raggi X e
‘Combat’], un uso calibrato del doppio salto, dello strafe,
del lock-on; ed infine al ricorso alla morfosfera per sfuggire ai raggi traenti o per infilarsi negli incavi del terreno. Intenso, galvanizzante, stimolante. Questo è
videogioco…
Round 4. Tradizione e Modernità
__________________Evoluzione e Pollici Fumanti
Vincolato al passato________________________
Come già ac cennato nel capitolo sul Level D esign, l’attaccamento alla tradizione definisce i difetti maggiori del gioco. Un
respawn spesso fastidioso – c omunque mitigato da un efficace
sistema di aggiornamento dei nemici – e la mancanza di un circuito di teletrasporti minano lo spessore ludico dell’opera, d iluendola fin troppo. La rilevanza di tali imperfezioni è alta solo
nell’ultima fase del gioco, ciò non toglie che un’epurazione da
simili anacronismi avrebbe contribuito ad elevare esponenzialmente il valore di Metroid Prime: per il futuro (leggi ‘per
MP2’), ci si augura che Nintendo aggiorni la propria bibbia come
sembra voler fare per le strategie di mercato…
Dal lato opposto, è proprio la fedeltà al glorioso pas sato della
saga a rendere MP il capolavoro che è. T allon IV è, né più né
meno, Zebes in tre dimensioni. Tutti gli aspetti positivi di SM –
ambientazioni, nemici, soundtrack – sono qui implementati in
una sintesi di tradizione e modernità comune a tutte le opere
Nintendo (che sorprende anche per il cambio d i gestione, da un
team interno ad una second party texana). MP non ha ceduto
alle lusinghe di una first person di stampo effepiessistico, confermandosi un gioco di esplor/azione ibrido e del tutto unico. Ha
anzi guadagnato dalla suggestiva visuale, di cui difficilmente si
potrà fare a meno in futuro… Ma i suoi meriti più grandi sono a
nostro avviso altri: l’aver reso il passaggio da due a tre dimensioni un’evoluzione in senso proprio (evento più unico che raro),
e l’aver recuperato le gioie e i dolori di uno shooting vecchio stile, che obbliga ad un metodico – quanto esaltante – martellamento del tasto di fuoco. Senza a lcuna pietà per i nostri pollici
atrofizzati…
Il passaggio al 3D è stato inaspettatamente indolore. Il
mondo di Metroid pulsa in quegli ammalianti poligoni,
ci si rispecchia così tanto da perdere talvolta l’occasione
di cambiare. La struttura a comparti stagni, l’insistere
su aree grandi o piccole ma sempre autocontenute, c ome nell’era bidimensionale, distrugge a tratti la sospensione dell’incredulità. Trovarsi di fronte a porte colorate,
ad aree che i nemici non vogliono e possono varcare,
pena la distruzione immediata, riporta troppo frequentemente il fruitore alla dura realtà: questo è un videogioco. Slegarsi almeno parzialmente da questa f ilosofia
“old skool” avrebbe donato più ampio respiro a Tallon
IV, permettendogli di spandere con esemplare efficacia
la sua magia. D’altro canto la frammentazione del mondo di gioco e la realizzazione impeccabile della mappa
(probabilmente la migliore mai sperimentata in un ambiente tridimensionale) è la chiave d’accesso verso la
focalizzazione oculata degli aspetti importanti di ogni
area. Non ci si sente mai di aver scordato qualcosa. Ogni passaggio momentaneamente inaccessibile, ogni
dispositivo attualmente precluso viene memorizzato con
impareggiabile facilità, indice di una pianificazione che,
sotto questo punto di vista, è magistrale ed ineguagliata.
Così come nel level e boss design la pecca di Retro
Studios è quindi quella di non aver osato, errore quasi
certamente non proprio ma dettato da una richiesta di
ferrea adesione ai canoni della saga. Questo è Metroid
al 100%, nel bene e nel male.
__________________________________________Note
[1] Va detto che il sistema di controllo permette di bloc care lo
sguardo in qualsiasi punto e strafare di conseguenza. Non è necessario raggiungere il bordo di un dislivello per guardare in
basso: Samus può abbas sare lo sguardo PRIMA del dislivello e
procedere senza sollevare la testa, e questa è una pratica a cui
il gioco abitua, perché spesso colloca i nemici su un piano differente. In questo modo attivare il lock- on ed evitare il fuoco nemico diventa automatico.
[2] I combattimenti assumono un elevato spessore tattico soltanto nel caso dei boss [cfr. 3. Boss]. Ma le differenze con gli
iter tipici degli FPS sono evidenti, in particolare la totale assenza
di ‘zone franche’ è sintomatica della sostanziale unicità di Metroid Prime.
[3] A volte in Rogue Leader è un’impresa persino colpire i nemici che stanno a TRE metri. Figuriamoci quelli più lontani…
[4] Il movimento del casco di Samus può talvolta rivelarsi troppo lento, soprattutto nelle fasi più concitate. Retro Studios, se
sei in ascolto fai un nodo al fazzoletto…
31
:RECENSIONI:
Ring#06
dISASTERPIECE__________________________________
[SOS: The Final Escape]
di Darknessheir
“Speak to me now, and the world will crumble”
Opeth, Death whispered a lullaby, da Damnation (2003)
gENERE
.:scHEda:.
eTICHETTA
sVILUPPATORE
sISTEMA
aNNO
gIOCATORI
vERSIONE
Survival
Disaster
Irem
Interno
PS2
2003
1
PAL
Trasecolato, Keith scende dal treno.
Mai si sarebbe aspettato uno spettacolo tanto immenso. Del resto è il
suo primo giorno a Stiver Island.
Splendente, il sole campeggia in un
cielo terso, sconfinato. Il mare, placido sotto il ponte, lievemente
manda un gradevole murmure di
risacca. Mai, si sarebbe aspettato
un simile scenario.
Sventrati, i palazzi svettano prostrati all’orizzonte. Cemento, lamiere straziate in ogni dove: autobus e
macchine disseminate tra i vagoni
divelti, sopra ed a ttorno all’armatura che spunta deiscente dall’asfalto
del ponte. Il tempo è maturo. Per
Keith è il primo giorno a Stiver Island. E potrebbe essere anche
l’ultimo.
One, two, three, four…
____I cross the city backwards
Benvenuti a Stiver Island. Benvenuti in Sos: the final escape.
Un nome, un suicidio commerciale,
soprattutto here in Italì. Perfetto.
Consoliamoci con una tr ama in cui
dopo un disastroso te rremoto si
scopre un retr oscena, che poi verrà
confutato dal sopravvenire di un
altro. Eh, sì. E’ triste inserire degli
spoiler in una recensione. Ed ancor
più triste, in una recensione, descrivere una trama così minimalista. Ma che cosa ce ne importa? In
fondo siamo soli su di un’isola in
rovina. Soli, con una bella ragazza
al nostro seguito. Peccato che
l’isola sia destinata ad inabissarsi
da un momento all’altro, sempre a
causa del disastr oso terremoto di
cui sopra…
Consoliamoci, almeno facciamo
un secondo tentativo. C’è la localizzazione, con il suo “Keith” (il protagonista) che sostituisce l’originale
“Sudo”. Beh, magari affiancato da
un punto esclamativo, questo si sarebbe potuto tenere in un’edizione
nostrana per sottolineare l’importanza, all’interno del gioco, che ha
la reintegrazione dei liquidi persi
durante le numerose corse da un
rudere all’altro. Poi ci sono le “Cristophe Constructions”, al posto delle costruzioni Tayakan… Takayan…
Insomma, non è comunque bello
scoprire, esplorando in un determinato passaggio dell’avventura la
32
sede della succitata impresa, che il
nome scritto sull’insegna della stessa è differente da quello con cui
viene menzionata durante le cutscene…
______Is there anyone to find?
Che dire. Nell’ultimo, meraviglioso
album degli Opeth l’influenza di
Steven “Porcupine Tree” Wilson si
sente, eccome. L’eccentrico musicista interviene con carisma, ma lo fa
comunque senza eclissare il talento
di Akerfeldt & soci. I loro stili si r ivelano più affini del previsto, e salvo rare eccezioni collimano nel rendere con efficacia soave una str aordinaria atmosfera decadente.
Come dite? Oh, scusate, ho sbagliato recensione. Si diceva, sì, Sos
The Final escape… Questo fausto
titolo, firmato nientemeno che da
Irem (la madre di tutti gli R-Type),
si propone come un innovativo “simulatore di terremoto”. In poche
parole, un’avventura basata sulla
risoluzione di semplici enigmi, e…
Dove diavolo è finito il tasto per
attaccare?
…Scusate di nuovo. Ora che sono
riuscito ad accettare la totale assenza di combattimenti (ma verso
la fine si presenterà comunque
l’occasione di fare del male a qualcuno), posso procedere alla descrizione delle peculiarità del gameplay.
Che dire. In questo ultimo, prezioso gioco di Irem l’influenza di
altri generi si sente, eccome. Esplorazione, risoluzione di enigmi, fasi
in cui la destrezza con il pad è fondamentale e sezioni stealth intervengono con decisione, ma senza
mai eclissare l’idea alla base del
concept originale. Tutti questi stili
di gioco, salvo rare eccezioni, collimano nel rendere con viva efficacia
l’atmosfera che si respira a Stiver
Island. Un’atmosfera decadente, of
course…
___Million ways to lose control
Il primo cruccio di Keith rimane
comunque il terremoto. Entrando
per la prima volta in una locazione
è inadeguatp credersi al s icuro, impossibile prevedere in che modo la
:RECENSIONI:
Ring#06
Natura libererà la propria furia. La
precarietà regna sovrana. A crollare
potrebbe essere soltanto un muro,
oppure un intero ponte. Usate pure
tutta la circospezione di cui siete
capaci. Appesi per una mano la vedrete inabissarsi in mare, assieme
al pavimento che stavate calcando
pochi istanti prima.
Ma non è il solo istinto a guidare
l’uomo in pericolo. Per raggiungere
uno dei punti di soccorso presenti
nell’isola Keith dovrà fare sfoggio
delle sue capacità intellettive, improvvisandosi, nell’utilizzare costruttivamente oggetti apparentemente inutili, novello Mc Gyver.
Sono semplici gli enigmi che vi tr overete ad affrontare, e paradossalmente, proprio questa semplicità è
il loro punto di forza. Vi basterà
mezz’ora per entr are nello spirito
del gioco, e da quel momento intuire la via di uscita da ogni particolare situazione prima di averla esaminata nei particolari1. Non mancheranno poi saltuarie prove di
abilità a movimentare (ulteriormente) le cose, come per esempio sezione di rafting a bordo di un’imbarcazione improvvisata. Che dovrete costruire voi. E quando, sentendovi ormai vicini all’apocalittico
epilogo dell’avventura, penserete di
aver già sperimentato tutto il possibile, una gradevole quanto semplice digressione stealth vi ricorderà
che cosa rende speciale questo titolo…
________Speak to me now, and
the moon will fall
La tensione. Poderosi effetti s onori
vi rammenteranno con magniloquenza il vostro problema principale. La libreria S-Force si fa sentire.
Una tregenda di boati e rumori a ssortiti ridefinirà il vostro concetto di
fragilità dei muri in cemento armato, sottolineando al contempo la
compattezza del muro sonoro (gli
Slayer confermano) creato dal sibilare infinito delle lamiere, delle travi in ferro prossime al punto di rottura. Inesorabile, l’acqua scorre assordante, bloccandovi la strada,
ammonendovi sul destino in serbo
per i vanagloriosi sprovveduti che
vorrebbero vincerne la corrente. E
l’utente, emozionato ringrazia. A nche per l’ammonimento.
Riguardo alla grafica, si p otrebbe
dire che SOS ha sopportato con
dignità l’impatto dei mesi trascorsi
dalla sua release nipponica. I colori
slavati e le texture carenti in dettaglio incidono solo minimamente sulla maestosità della città in rovina.
Suggestivo deambulare, tra i palazzi sventrati. Galvanizzante vederli crollare alle proprie spalle,
lanciati in una corsa disperata verso
qualcosa che anche vagamente
possa assomigliare ad un riparo.
Evocativo, soffermasi sulla rappresentazione delle varie condizioni
climatiche: l’uso delle luci è semplice, eppure (ad eccezione dell’illuminazione fornita dalla torcia e
dall’accendino, davvero disastrosa),
efficacissimo nel conferire, ad ogni
ambientazione, la giusta...
___________________Closure
Atmosfera. Questo si ama nel t itolo
Irem. Sul mercato esistono decine
di titoli migliori dal punto di vista
ludico, da quello tecnico; titoli dotati di una varietà maggiore, o di un
gameplay più articolato. Pochissimi
sono invece quelli che lo eguagliano
nel carisma, nel coinvolgimento
emotivo, perché è su questi due
elementi che Irem ha insistito
maggiormente nel confezionare il
gioco. Il consiglio, a questo punto,
è di ricorrere al noleggio: in due o
tre sere potreste completare l’intera avventura, ed impuniti riconsegnarla allo sporco Blockbuster di
turno. Oppure, come il sottoscritto,
potreste innamorarvene e conservarla, nell’angolo della vostra ludoteca che riservate a tutte le inattese, gradevoli novità.
_____________________Note
[1] Ovviamente (d’oh!) il sottoscritto si è trovato ad aver bisogno di
aiuto, ma solo in una (1) situazione, nello scenario di K aren. Per chi
non riuscisse a superare quel determinato passaggio, ho corredato
questa recensione di uno screenshot a dir poco illuminante. Perché
in fondo in fondo in fondo, ho un
cuore d’oro…
tCHENN_________________________________________
[Tenchu: Wrath of Heaven]
di Darknessheir
gENERE
.:scHEda:.
eTICHETTA
sVILUPPATORE
sISTEMA
aNNO
gIOCATORI
vERSIONE
__On Bai Shira Man Ta Ya So Wa Ka
Tactical Espionage Ninjitsu
K2
Interno
PS2
2003
1-2
PAL
Secondo l’esoterismo
cinese, tanto “l’Uomo
Vero” (tchenn-jen)
quanto “l’Uomo Trascendente” (cheunjen) sono tipologie di individui che
hanno raggiunto la pienezza della
condizione umana1. Eppure sono
definiti con due termini distinti. Una
ragione ben precisa c’è, nonostante
le apparenze, e non è nemmeno
tanto difficile da capire. Se non
avete voglia di rifletterci, avete due
alternative: saltare alla fine di questa recensione per svelare l’arcano,
o passare quest’ultimo al vostro
buddhi2 e continuare imperterriti la
lettura…
Alcuni lo fanno.
Imperterriti continuano, e senza
curarsi delle limitanti concezioni
33
odierne sulle possibilità umane proseguono per la loro strada. I Ninja,
tanto per dirne una. Ma non solo.
Perché è dall’esoteri-smo cinese
(ed in parte anche induista) che
nasce il Kuji-Kiri. Dal Kuji-Kiri si
genera il Ninjitsu, e dal Ninjitsu,
appunto, i Ninja. Ed è proprio ai
ferali “guerrieri d’ombra” dell’antico
Giappone che s i ispira il qui presente Tenchu: Wrath of Heaven.
_____On Ji Re Ta Shi I Ta Ra Ji Ba
Ra Ta No-O So Wa Ka
Essere invisibile non significa necessariamente camuffare il proprio
corpo. Affrontare un nemico di cui è
impossibile prevedere le mosse,
invece, s ignifica combattere con un
essere invisibile.
Nulla è l’influenza che il cambio
del team di sviluppo (da Aquire a
:RECENSIONI:
K2) ha sortito su questo terzo (addon esclusi) Tenchu. Il feeling – con
i controlli, la grafica, l’ambiente di
gioco - è rimasto pressoché i nvariato; personaggi ed ambientazioni,
gameplay ed espedienti scenografici sono stati semplicemente rimodernati per adeguarsi agli standard
odierni. Alla guida di uno
dei tre protagonisti (il terzo, Tesshu, si renderà disponibile solo dopo aver
ultimato le avventure di
Rikimaru ed Ayame), il
giocatore è dunque chiamato a portare a termine
missioni in cui approccio
stealth, combattimenti ed
esplorazione si avvicendano con efficacia, seguendo una
trama tutto sommato trascurabile
ma raccontata attraverso cut-scene
pregne di un’adorabile “enfasi orientale”. Tra luci ed ombre di templi, foreste e villaggi, caverne e castelli feudali, è assiomatico non dimenticare che solta nto colui che
non si fa vedere sopravvive. Per cui
è saggio sfruttare il tasto R1 per
incedere chinati, o eventualmente
aderire alle pareti, così come è o pportuno deambulare in zone più
elevate rispetto a quelle calcate dai
nemici. Del resto sono numerosi i
tetti, gli alberi e le sporgenze a cui
aggrapparsi, e sono lì giusto per
essere sfruttati. Inoltre solo colui
che sa usare con oculate zza il rampino riesce a raggiungere la fine
degli stage. Perché questo insostituibile strumento è utilissimo per
domare l’imbizzarrita morfologia
degli scenari. Il loro design si espande cercando di lambire tutti i
sette punti cardinali Indù3: da un
ipotetico centro si dipanano in ogni
direzione, indipendentemente sugli
assi X, Y e Z, per sentieri labirintici
o ariosi pianori, in angusti anfratti o
in piattaforme che si ergono da
precipizi senza fondo. S ovente ci si
convince di trovarsi in strade apparentemente senza uscita, per poi
scoprire molteplici sbocchi soltanto
in seguito ad un’acuta osservazione.
E ancora, a completamento d egli
assiomi del gameplay di questo terzo Tenchu, è soltanto colui che
combatte con feroce determinazione che può portare a casa la pellaccia. Dimenticate le blandizie da v ideogioco moderno. Volete salvare?
Bene, lo potete fare o prima di a ffrontare un livello, o dopo averlo
completato. E questo vale in ogni
occasione, anche quando un malferato boss vi attende ad un passo
dall’uscita…
__On A Ga Na Ya In Ma Ya So Wa Ka
Un albero può vivere per secoli.
Ring#06
Una farfalla, una manciata di giorni.
Ma davvero le loro esistenze hanno
un peso differente all’interno del
pianeta? No, ovviamente . Una diversa intensità piuttosto.
Per il giocatore impegnato con il
titolo K2 vige un unico imperativo:
adattarsi. Trascorrere gli stage passando imperituri sopra baratri senza fondo, silenziosi sgozzando i nemici a tradimento, decimandoli solo quando sono le
circostanze ad imporlo. Fortunatamente i
controlli sono meno
“legnosi” e più precisi
rispetto ai precedenti
due episodi. Tralasciando la triste
introduzione del Tombraideriano
meccanismo “trova la chiave/apri la
porta” ad importunare il giocatore
con ingombranti chiavi da introdurre a forza nel limitato (a 15 oggetti,
di non più di 5 tipologie) inventario,
è da segnalare la piacevole innovazione costituita dal Kuji Meter.
Riempitolo uccidendo nove (kuji)
nemici tramite una stealth kill, il
nostro personaggio potrà fruire di
una nuova “abilità Ninja”: da poderose spallate da aggiungere alla
combo predefinita (per allontanare
gli avversari, e spingerli eventualmente in provvidenziali baratri) a
calci volanti sferrati previo appoggio ad una qualsiasi p arete verticale, dalla possibilità di zoomare nella
visuale in prima persona ad una –
ridicola - mossa per uccidere un
nemico in un sol colpo, al prezzo di
rimanere con un solo HP. Ogni stage serba, quindi, una nuova feature; sta alla discrezione dell’utente
superare i livelli pensando solo ad
avanzare od arrivare allo scontro
ultimo con un maggiore potenziale.
___On Hi Ro Ta Ki Sha No Ca Ji Ba
Ta I So Wa Ka
Sfolgorante la luce irradia gli uomini. Ma le tenebre custodiscono c elandole conoscenze che solo pochi
possono raggiungere.
Sull’aspetto tecnico di Tenchu:
WoH c’è poco da dire. Una gradevole spettacolarità fatta di stacchi
di camera durante i colpi più violenti (come il calcione con cui Rikimaru
ed Ayame terminano le combo), un
motore grafico p otente che, assieme al tasto per il riposizionamento
della visuale, limita le imprecisioni
(solo di rado fastidiose, comunque)
delle inquadrature. Per il resto m odelli poligonali da urlo, animazioni
eccezionali, texture encomiabili. Ma
solo per i protagonisti. Stage curati
e ricchi di dettagli, ma solo in pochi
casi forieri di quella “poesia” che
rende Arte il videogioco. Alti e bassi, insomma. Come nel caste llo di
34
Godha, quando ci si trova a combattere in un salone il cui legno del
pavimento restituisce, le vigato, i
riflessi dei combattenti e delle to rce, fin quando abbacinante non
giunge un fulmine a rischiarare a
giorno l’intera stanza. Difficile pensare che, nello stesso scenario, le
cariche nubi notturne viste poc’anzi
parevano importate di forza da un
titolo della scorsa generazione. Di
console…
____________________“Vero”
E’ l’uomo l’essere centr ale. Il re che
siede nel mezzo, laddove cade il
raggio divino. Ogni uomo è re. Perché il Re ed il suo popolo sono lo
stesso principio, il primo “in a tto”, il
secondo “in potenza”.
Difetti minimali quelli che gravano sul giudizio complessivo. Impeccabile la conformazione degli
stage, ottimi i controlli, difficili ma
galvanizzanti i combattimenti. Ed
un occhio di riguardo al level design, ad esaltare la furtività con cui
si è tenuti ad agire. Solo un pizzico
di frustrazione per essere costretti
a ripetere “n” minuti di gioco dopo
essere stati brutalizzati, in un batter di ciglia, mentre si cercava di
analizzare la strategia con cui affrontare un determinato boss.
Nient’altro. Allora perché una semplice B come valutazione?
Perché Tenchu: WoA è un gioco
ben realizzato. Ma avulso da un’ispirazione concreta. Da sfumature
con cui arricchire sensibilmente il
genere stealth, da innovazioni degne di tale nome. Al titolo K2 mancano tutte quelle caratteristiche che
dividono il gioco “vero” da quello
“trascendente”. Non ci resta che
sperare in un sequel, con cui gli
sviluppatori ci dimostrino di aver
capito che, una volta raggiunta la
“pienezza” di una condizione, è a rrivato il momento di operare su di
un piano superiore.
_____________________Note
[1] In effetti, la contemporanea
concezione del significato di “essere
umano” è terribilmente limitata. E
limitante. Vedasi So Sims, l’Indepth
che Paolo J. Ruffino ha dedicato a
The Sims, su Ring#5.
[2] La manifestazione intellettiva
umana pura, il semplice atto del
“lavorare con la mente”. Ne abbiamo parlato in occasione dell’Indepth a Final Fantasy X, su Ring
#4.
[3] Immaginate un cubo; mettete
un punto su ognuna delle sue facce, ed uno al suo esatto centro. Ora
togliete il cubo, ed ecco a voi i sette
punti cardinali indù.
:RECENSIONI:
Ring#06
sILENZIOSI fIGLI dELL’oMBRA______________
____
[Splinter Cell]
di Nemesis Divina
.:scHEda:.
Stealth Action
gENERE
eTICHETTA
Ubi Soft
sVILUPPATORE
Interno
sISTEMA
Multipiatt.
aNNO
gIOCATORI
vERSIONE
(rece: PS2/XB)
2003
1
PAL
Il cavo ottico viene infilato sotto gli
stipiti delle porte. Nella versione Xbox
è possibile aprire leggermente le porte
per buttare uno sguardo oltre; un’azione superflua che, nell’edizione PS2,
è stata abbandonata.
Grazie al night google possiamo muoverci agevolmente nell’oscurità più fitta. Le luci verdi sono una concessione
extradiegetica al giocatore, che rendono Sam sempre rintracciabile nel buio.
Naturalmente esse non vengono rilev ate dalle guardie.
Un’azione inedita, singolare e già distintiva di Sam Fisher. L’operazione
permette di restare nascosti alla vista
e di prendere la mira senza apprensione alcuna.
________Ferisce più la penna…
Metal Gear Solid è
stato un terremoto,
non solo per il costituirsi di un brand
potente e apparentemente incrollabile, ma anche per
un modo nuovo di fare VG, una
maniera cinematografica che strizza l’occhio (e cita) le produzioni
hollywoodiane. Ma MGS ha dato il
via ad altro: la nascita (rinascita)
dello stealth game.
Sviluppato da Ubi Soft, Splinter
Cell fa parte della scuderia a firma
di Tom Clancy, rinomato e vendutissimo romanziere autore di noti
thriller fantapolitici. Già autore di
un blockbuster c ome Rainbow Six,
lo scrittore americano ha creato
l’ennesima ambientazione da donare al mondo dei VG. Grazie al know
how di Tom Clancy il contorno e gli
scenari geopolitici guadagnano in
credibilità e concretezza e, fra una
infiltrazione e l’altra del nostro Sam
Fisher, vedremo tessere sotto i n ostri occhi le trame di un disegno
fitto e complesso, con intrighi,
scossoni internazionali e trambusti
ai più alti livelli del potere. Un modo non nuovo di fare giochi su PC
ma che su console stentava a farsi
notare, e non è un caso che sia
proprio Xbox a fungere da testa di
ponte per l’ingresso (in grande stile) di questa maniera videoludica.
_________Stealth and Destroy
Al pari di MGS, Splinter Cell chiede al giocatore una cosa semplicissima: non essere visti. O , al limite,
far fuori chi ci vede. Il tema delle
missioni è generalmente quello di
infiltrarsi in silenzio e all’ombra dello sguardo di sentinelle, telecamere
e sensori ottici. Il parco di mosse a
nostra disposizione è ben nutrito,
tanto che il pad viene usato in tutte
le sue funzioni. E’ possibile avanzare correndo oppure adottare una
postura accucciata che, oltre a renderci meno visibili, permette di
muoversi in maniera silenziosa.
Sempre per r idurre al minimo l’emissione sonora, è utile badare alle
superfici su cui ci si muove dato
che ghiaia o lamiere dichiareranno
subito la nostra presenza. Sam può
inoltre appendersi a tubature, penzolare dai cornicioni e percorrerli a
forza di braccia e, opzione curiosa e
inusuale, può reggersi fra due p a-
35
reti vicine divaricando le gambe, in
modo da cogliere le sentinelle con
un attacco dall’alto.
L’attrezzatura in dotazione è la
vera chicca del gioco e fonte prima
di varietà e coinvolgimento. Tra i
numerosi aggeggi tecnologici, oltre
ad armamenti più o meno convenzionali, avremo un v isore notturno
(per muoversi agilmente in condizioni di buio estremo), un rilevatore
di calore e soprattutto il cavo ottico
da far passare sotto le porte per
perlustrare le stanze. Si aggiungano poi corde per calarsi dai soffitti,
kit di scasso, microfoni laser (per
captare conversazioni), medikit e
altro ancora. Tutto sempre all’insegna della massima verosimiglianza.
I controlli di gioco sono inizialmente
ostici proprio a causa dell’enorme
rosa di possibilità concesse, ma con
la pratica è facile prodursi in scene
emozionanti e fluide. Il pad ufficiale
Xbox si comporta in maniera discreta anche se l’attivazione dei
tasti bianco/nero (aderire alle pareti/uso degli item) rimane piuttosto
ostica, mentre le cose migliorano
con il controller S e sono decisamente comode con DualShock2.
A coadiuvare le nostre infiltrazioni, una barra di esposizione visiva
ci comunica se siamo visibili o completamente in ombra (in questo
caso, non facendo rumore, è impossibile essere notati). Da una posizione oscurata possiamo osservare la zona, calcolare i tempi delle
ronde e agire di conseguenza. A vvicinarsi silenziosamente dietro un
nemico consente di afferrarlo e
trattenerlo, possiamo poi usarlo come scudo, stordirlo, oppure, in particolari contesti, interrogarlo o imporgli uno scan della retina. I corpi
esanimi vanno opportunamente nascosti dove nessuno può vederli,
questo per evitare che i compagni
della vittima si mettano in stato di
allarme. Non manca la possibilità di
raccogliere oggetti e lanciarli per
distrarre le guardie, anche se l’intelligenza artificiale delle sentinelle
non è sempre i mpeccabile: succede
talvolta che, pur avendo lanciato
una bottiglia in lontananza, essi si
dirigano verso di noi, oppure che
delle guardie, pur avendoci visto
distintamente, rinuncino alla caccia
liquidandoci con un laconico ‘sarà
stato un gatto’.
Le missioni che ci coinvolgono
occupano un discreto spettro di varietà che aumenta con il proseguire
del gioco, il tutto favorito da una
:RECENSIONI:
certa libertà d’azione; chiariamo,
non è possibile fare veramente ciò
che si vuole e di solito non esistono
soluzioni multiple ad un problema,
tuttavia l’impressione è quella di
poter agire lungo numerosi percorsi
e che quello che si è scelto sia
semplicemente il migliore (e non
l’unico).
Un’esperienza ludica appagante
ed emotivamente pregna, con un
costrutto narrativo di prim’ordine
tratteggiato da frequenti stralci telegiornalistici e da informazioni
scritte dettagliate e avvincenti.
________ Le Forme nella Notte
L’aspetto visivo è quello c he, prima
di tutto, ha colpito il pubblico. Della
prima presentazione del titolo, aveva stupito la disinvoltura con cui il
codice approntato da Ubi Soft (basato sull’engine di Unreal) gestisse
le fonti di luce e relative ombre d inamiche. Questo alle varie presentazioni e filmati, restava poi da v edere il risultato finale (su Xbox) e
la qualità della conversione (su
PS2). Ora, con le edizioni ultimate
in mano, possiamo dare un responso definitivo in proposito. La versione Xbox mantiene il difetto già
ravvisato in sede di demo disc: le
scalettature, presenti e ben visibili
sulla maggior parte delle linee oblique, frastagliano i contorni delle
costruzioni poligonali facendo perdere quella stabilità tipica delle
produzioni Xbox. La versione PS2
lenisce in qualche modo le asperità
dei contorni, pur mantenendo le
disfunzioni fisiologiche dell’hardware in questione (dunque un flickering più accentuato e una leggera
sfocatura dei tessuti digitali). Ulteriori differenze tecniche i nsorgono
nel calcolo poligonale, o vviamente
a tutto vantaggio di Xbox che mostra strutture più solide e ricche di
dettaglio. Il Bump Mapping è un'altra feature ad esclusivo appannaggio della console Microsoft, così
come la definizione delle texture e
le ombre dinamiche che ammantano tutte le forme del gioco. Va c omunque detto che il feeling generale non è per nulla sminuito nell’edizione PS2, la totalità delle ombre
dinamiche sono puramente estetiche, mai funzionali al gameplay. E’
d’altra parte indubbio che la gestione di luci ed ombre di Xbox doni
alle ambientazioni un aspetto più
vivo e reale, con scenografie che
pulsano di un buio intenso e avvolgente e fasce nere che corrono lungo le strade, sugli edifici e sopra il
nostro alter ego.
Muoversi in questa penombra d iventa un piacere tenendo conto
della grazia dei movimenti di Fi-
Ring#06
sher; è ottima la resa della maggior
parte delle animazioni, frutto di un
abile lavoro che, purtroppo, non si
è esteso ad ogni aspetto del gioco.
Se le movenze del protagonista s ono quasi sempre splendide, non a ltrettanto può essere detto di quelle
degli altri personaggi durante le
scene d’intermezzo, per i quali un
po’ di motion capture avrebbe di
certo giovato. Stupisce invece la
scarsa cura di alcuni dettagli minori
che stridono con la bontà del resto,
ci riferiamo ad esempio a certe
fiamme bidimensionali (con 3-4
frame d’animazione di animazione
su Xbox e 4-5 su PS2) o all’effetto
dei vetri frantumati. Ma sono dettagli.
PS2, come sempre, ottiene un
vantaggio sul blurring dell’immagine, offrendo splendidi contorni s focati e deformati in vicinanza di fonti
luminose. Buono il commento sonoro che aumenta d’intensità e ritmo
nei frangenti di urgenza. Me nzione
d’onore per il doppiaggio italiano,
ottimo nella figura di Luca Ward,
voce italiana di George Clooney e
Samuel L. Jackson. Peccato che nei
FMV aggiuntivi della versione PS2
(fra cui un’illuminante e gradita introduzione agli eventi...) non sia
stato possibile scritturare nuovamente Ward. La sostituzione con un
doppiatore che cerca di imitarlo
rende preferibile il parlato inglese,
a patto di poterlo capire.
sapienti limature dove il gioco era
poco chiaro, fraintendibile o semplicemente troppo ostico. Sia chiaro,
l’edizione PS2 non è per incapaci.
Sono presenti anche qui diversi l ivelli di difficoltà, solo la calibratura
della curva di apprendimento è più
precisa e accompagna passo passo
l’utente alla scoperta delle molteplici abilità di Sam Fisher. Alcuni aggiustamenti hanno coinvolto addirittura la progettazione delle mappe
del gioco, con nuove stanze da visitare oppure nuovi modi di raggiungerle. Inoltre, chi ha provato la
versione Xbox noterà che i cambiamenti sono stati posti proprio
nelle situazioni più fastidiose e frustranti. In effetti, il lavoro davvero
encomiabile di conversione svolto
da Ubi Soft, dovrebbe essere preso come esempio per tutti i progetti
multiformato. Su PS2, oltre ad una
serie di FMV aggiuntivi ed una colonna sonora più calzante e maestosa (eseguita dall’Orchestra di
Praga), giungono anche quattro
nuovi livelli di gioco a prolungare
un’esperienza ludica già notevole di
per sé. Una nota extra anche per
l’edizione GameCube: pare infatti
che sarà una conversione diretta da
Xbox, godrà quindi dell’interconnessione con il GBA (per il classico
sbloccaggio di livelli extra) ma non
delle aggiunte presenti nell’edizione
PS2 che restano a tutti gli effetti
un’esclusiva Sony .
:Ultimora:
___Ending Theme:_Traduzione
Perfetta
Se da un lato PS2 paga una m inore
capacità prestazionale, dall’altro
può avvantaggiarsi di un tempo di
sviluppo maggiore e di un ampio
game testing… quello dell’utenza
Xbox.
Per quel che riguarda la pianificazione della progressione di gioco,
l’edizione originale offre alcuni passaggi scontrosi nei confronti dell’utente che già si trova impacciato
con un sistema di controllo contorsionistico, che richiede l’utilizzo di
ogni singolo tasto del dotato pad
Microsoft. Su PS2 ci sono state
36
Durante l’edizione 2003 di E3,
appena conclusosi, Ring ha
strappato a Hironobu Sakaguchi
una confessione scottante. “Anch'io ho sempre detestato gli i ncontri casuali...” ha dichiarato il
celebre producer di Square. D opodiché, intravedendo tra i convenuti l'amico Amano, Sakaguchi
ha esclamato: “Yoshitaka, anche
tu qui? Che piacevole coincidenza!”, e con questi si è incamminato verso il caffè più vicino...
:Errata Corrige:
Nel precedente numero di Ring,
Ikaruga è stato erroneamente
bocciato con il voto “C”, nonché
accusato di proporre un gameplay “assolutamente insensato”.
La redazione si dichiara mortificata per l’infondatezza delle critiche mosse al capolavoro Treasure e promette che in futuro non
affiderà più articoli a recensori
daltonici.
:RECENSIONI:
Ring#06
mELANZANE sI nASCE____________
__ ____
[Rayman 3: Hoodlum Havoc]
di Nemesis Divina
.:scHEda:.
gENERE
Platform
eTICHETTA
Ubi Soft
sVILUPPATORE
Interno
sISTEMA
Multipiatt.
aNNO
2003
gIOCATORI
1
vERSIONE
PAL
Fra un mondo e l’altro ricorrono
sezioni di hoverboarding con scenografia rezziana, il tutto condito
(giustamente) da un s ottofondo
musicale psichedelico. Indubbiamente un simpatico i ntermezzo
L’improbabile coleottero verde
sulla sinistra è il tutorial dieg etico
del gioco. Il suo compito è di istruirci sui comandi, prenderci in
giro, deridere il manuale e litigare con il suddetto…
___ “Il mio è più grosso del tuo…”
“…Ma il mio è più lungo”.
Cose belle. Cose che fa
piacere sentir dire, specie
se il contesto è quello di
un platform colorato e
tendenzialmente pacioc coso.
La cifra distintiva dell’ultima avventura di Rayman è l’idiozia più sguaiata;
non contenta d’aver partorito uno dei
character più improbabili della Storia del
VG, Ubi Soft ha infarcito Rayman 3 di
commenti sarcastici e a mmiccanti, doppi
sensi e un pizzico di volgarità. Sempre
velata, sia chiaro, perché è di un titolo
‘giovane’ che stiamo parlando. E ppure il
lavoro svolto nella stesura dei dialoghi è
di certo apprezzabile e strizza spesso
l’occhio al gioc atore esperto e smaliziato; è simpatico es sere presi in giro dal
tutorial e sentirsi chiedere “non hai mai
giocato a un videogioco? ”. Questa e molte altre battute condiscono un’esperienza di gioco abbastanza lineare, ma c omunque mai spiacevole.
____________Il bello delle cose note
Rayman 3 non stravolge un bel nulla,
né vuole farlo. Livelli e livelli fa rciti di
piattaforme e semplici enigmi da risolvere, un esercito di avversari mai partic olarmente ardui ed un set di mos se/azioni
standard per fronteggiare ogni insidia.
Nulla di nuovo, dunque, ma nemmeno
nulla di brutto.
In Rayman 3 tutto sta dove deve
s tare: una grafica puntuale descrive un
mondo variegato (come al solito da salvare) punteggiandolo di forme piacevoli
e particolareggiate che non appesantiscono mai lo schermo e non intaccano il
frame rate o il ‘peso visivo’. Il freddo
c alcolo dei poligoni si interrompe nei
pressi di una cifra elevata, che però non
scade mai nell’inutile esubero. I livelli,
pur non estendendosi molto in dimensione, offrono ambientazioni varie e d iversificate con numerose situazioni di
puzzle solving, esplorazione, uso delle
abilità e scontri a pugno coi nemici.
Ma il level design di Rayman 3 dà il
suo meglio nei livelli a sviluppo verticale:
questi passaggi, realizzati con perizia,
offrono un ottimo bilanciamento fra difficoltà e soddisfazione. Si tratta di sezioni
in cui memoria e riflessi contano molto
più che nel resto del gioco ma in cui, in
nessun caso, si scade in frustrazione da
missione impossibile. In generale, il gioco propone un livello di difficoltà medio/basso, ma questo non va visto necessariamente come un difetto. Imparando al meglio la lezione di papà Mario,
Rayman 3 cerca d’essere gustoso per
tutti i palati: il giocatore frettoloso troverà piacere nel vagare indisturbato fra i
livelli, affrontando una progressione c ostante e rapida, rallentata solo dai boss.
37
Per il giocatore che cercasse una sfida
più longeva e appagante si apre l’opportunità di sbloccare tutti i livelli e di
ripulirli al 100%, i mpresa non da poco se
si calcola che alcuni stage possono essere completati con appena il 4% del totale.
Le azioni disponibili sono quelle solite
della saga: salto, attacco, attacco caric ato e volo planato; in aggiunta l’ultima
incarnazione della melanzana antropomorfa può godere di poteri temporanei
da sfruttare nella risoluzione degli enigmi o nei combattimenti. Possiamo trovare un rampino in stile hookshot di Zelda: Ocarina of Time , guanti dalla superforza, missili teleguidati, elicappello,
e via di questo passo…
___________________A reti unificate
Lo sviluppo multipiattaforma prende
sempre più piede all’interno dell’industria del VG. Se da una parte tale politica o ffre a tutti l a possibilità di giocare un
certo titolo, d’altro canto riduce le p otenzialità tecniche di un prodotto. Se ciò
sia un male oppure un compromesso
accettabile non sta a noi deciderlo; resta
innegabile il fatto che, nonostante l’ottima proposta visiva di Rayman 3, lo
sviluppo congiunto su tre piattaforme
abbia obbligato Ubi Soft ad optare per
una media prestazionale del titolo, avente come comune denominatore la versione PS2. Questo rende le conversioni
Xbox e GameCube un poco al di sotto
delle loro reali potenzialità, ma è un
rammarico che lascia il tempo che trova,
poiché in tutte le sue incarnazioni il gioco si presenta in forma smagliante. Se
da una parte Xbox propone effetti e riflessi di luce più convincenti, dall’altra la
versione GameCube offre la connessione
al GBA, attraverso la quale è possibile
sbloccare un simpatico mini gioco. Se si
è in possesso anche della versione per
GBA, l’interconnessione fra le due piattaforme Nintendo offre l’accesso ad a lcuni
livelli segreti per la versione portatile.
Tirando le somme Rayman 3 risulta
essere un platform più che onesto, d ivertente, piacevole, spiritoso e, volendo,
anche impegnativo.
Resta infine da dire che è sulla cons ole Microsoft che Rayman 3 ha maggior
motivo d’esistere. Se è vero che l’utenza
N intendo stravede per Super Mario
Sunshine, è altrettanto vero che su PS2
si trovano ottimi titoli, anche in edizione
economica, come Ratchet&Clank e
Jak&Daxter. Su Xbox, invece, l’unica
alternativa è lo scadente Blinx, per cui
un possessore Xbox che des iderasse un
po’ di azione platform può trovare in
Rayman 3: Hoodlum Havoc un titolo
di riferimento.
:RECENSIONI:
Ring#06
iL rITORNO dEI rITORNANTI
_________
[House of The Dead III]
di Emalord
.:scHEda:.
gENERE
Shooter
eTICHETTA
Sega
sVILUPPATORE
Wow Ent.
sISTEMA
Xbox
aNNO
2003
gIOCATORI
1-2
vERSIONE
PAL
The House of The Dead 3 - I buoni
Lei - Lisa Rogan, alla ricerca del padre scomparso. Fervida sostenitrice
del Girl Power, alterna la doppietta a
sagaci affermazioni neofemministe
Lui- G. Nome in codice per un ex agente dell' AMS. Fervido sostenitore
del Man Power, lascia che sia Lisa Rogan a parlare per tutta la durata del
gioco. Cosa che le riesce senza sforzo
alcuno.
The House of The Dead 3- I ca ttivi
Il guardiano Death | Morte è stato
scelto da Ring come rappresentante
dei cattivi in toto. Ex buttafuori da d iscoteca, ex guardiano notturno narcolettico, si è rifatto una vita dal giorno
in cui è morto. La sua clava fatta di
teschi ha vinto il premio Predator come "arma fetish 2003", mentre per la
sua divisa è stato citato in tribunale
dal manager dei Village People con
accuse di plagio.
Gli shooter con pistola ad infrarossi sono
uno dei misteri del
ludomondo. Sono pochi, le pistole costano
un rene, e normalmente finiscono a
collezionare pulviscolo. Questo perché poche softco hanno il knowhow per editare uno shooter degno
di rispetto, e quelle poche, dopo
avere immesso sul mercato una
light-gun normalmente costosissima in bundle col prodotto, tornano
a produrre platform o picchiaduro
lasciando l'utente in balia di un
prodotto dalla longevità normalmente limitata, col portafoglio
svuotato ed in ardente attesa di un
qualcosa di nuovo che motivi quella
spesa dissennata.
Su Dreamcast ricordo tre titoli,
forse quattro, a giustificare l'acquisto di quel costoso idrante dal grilletto arancione e dalla mira strabica
ma uno di quei titoli, The House of
The Dead 2 mi ha stregato e
tuttora mi avvinghia nella sua orgia
horror-B-movica. Il successo della
saga di Wow Entertainment, nata
per le sale arcade e puntualmente
convertita per i sistemi home, è
frutto di una semplice combinazioni
di ingredienti: sangue | violenza |
zombie semoventi | grafica lugubrogotica | sangue | violenza. Il
tutto secondo la più tradizionale
delle ricette salegiochiche: tecnologia al top prestazionale | primi livelli facilmente accessibili | boss
finale da muto in banca a tasso
zorro [ovverosia: furbescamente
mascherato da tasso amichevole]
Dopo la conversione dell'episodio
uno su Saturn a cura della bassa
manovalanza Sega [leggi: terribile], e la conversione dell'episodio
due su Dreamcast tramite trasfusione da Naomi [leggi: perfetta]
tutti noi [leggi: il sottoscritto] aspettavamo con impazienza l'episodio tre con una grande domanda a
bagno nella nostra materia grigia:
Wow Entertainment proseguirà d egnamente il cammino tracciato da
THOTD2? La risposta è proprio qui
sotto, ma prima di far calare la palpebra vi invito a rileggere la recensione del nonspilberghiano episodio
due per acquisire ulteriori informazioni utili
The House of The Dead III
tradisce le aspettative dei giocatori
38
più esigenti e di chi si aspettava
un'ulteriore evoluzione di quanto
visto su Dreamcast. Di fatto la versione del franchise per Gatesmobile
è un prodotto onesto, terribilmente
attraente nella sua cosmesi ma palesemente castrato delle soluzioni
ludiche che ancora oggi mantengono sul trono del migliore l'episodio
due.
Ma entriamo nel dettaglio, possibilmente con un bisturi e senza anestesia, e vediamo quante tacche
riusciamo ad incidere sulla tibia degli aspetti positivi, da sempre m etro di giudizio in qualsiasi shooter a
sfondo necrotico.
Dal punto di vista tecnografico
era logico aspettarsi obese prestazioni e così è stato. Il gioco gronda
sangue a 60 fps costanti, con textures perfettamente definite, effetti di illuminazione pregevoli ed
un vero massacro per quanto riguarda l'aliasing poligonale, letteralmente fatto a pezzi | annientato
| annichilito dal motore grafico di
Wow in combo letale con l'hardware xboxico. La stabilità di i mmagine
| colori | textures è come sempre
eccellente, riconfermando la supremazia della macchina Microsoft
in questo campo dopo la prematura
morte di Dreamcast.
[Crick, prima incisione sulla tibia]
I necroantagonisti sono ancora
una volta splendidamente caratterizzati. Si segnalano graditi ritorni
dagli episodi precedenti [cosa normale, per dei rito rnanti] ed il BossDesign di Sega si d imostra ancora
una volta tutt'altro che rantolante:
dopo gli esotici Boss osservati in
Panzer Dragoon Orta [Smilebit],
Sega colpisce ancora con i guardiani di THOTDIII: carismatici, ottimamente caratterizzati e con pattern di attacco tanto spettacolari
quanto [purtroppo] limitati.
[Crick, seconda incisione [nonostante la purtroppolimitatezza] sulla tibia]
Il level-design mostra rispetto al
passato una gran voglia di risultare
attraente dal primo all'ultimo minuto di gioco. Laddove THOTD2 scorreva rutilante nei primi due livelli,
splendidi esempi di design, ma si
intristiva nella corsa finale verso i
laboratori dell'Umbrella di turno, il
nuovo episodio cerca invece di
mantenere una qualità costante nel
tempo, riuscendovi in maniera convincente. La palma del miglior d e-
:RECENSIONI:
Ring#06
vies di serie B lasciamolo credere ai
soli Wow e al loro ufficio stampa.
The House of The Dead: The Movie
The House of The Dead | XBOX, elenca tra i contenuti speciali The
House of The Dead | The Movie.
[…silenzio dal fronte tacche]
Dopo quanto detto HOTDIII parrebbe un gioco s cevro da grossi d ifetti ma….
Il promo, della lunghezza di circa 20 minuti e di ottima resa video, sulla
carta dovrebbe avere il compito di pubblicizzare e promuovere la prossima uscita del film ispirato al franchise, diretto dal te utonico Uwe Boll.
La demo non riesce esattamente in quello che si era prefissata. Il film
invece si.
Il promo mostra dialoghi scontati, banali, pessimamente recitati, ed
una trama insulsa a condire il tutto.
Inoltre mette in luce assoluta infedeltà nei confronti dei capostipiti del
genere mostrando zombi potenti, muscolosi, centometristi e maldestramente truccati. Alla fine della visione l'unica cosa che rimane in testa è il bikini di una delle attrici. Niente che possa convincerci a pagare
un biglietto del multisala.
Il film riesce invece nel suo intento: riproporre fedelmente un videogioco dai dialoghi scontati, banali, pessimamente recitati, e una trama
insulsa a condire il tutto.
Non bisognerebbe mai giudicare prima di aver visto il prodotto f inale,
ma Resident Evil-The Movie sembra di un a ltro pianeta pur con tutti i
suoi limiti.
sign resta in mano al secondo episodio, anche per la varietà di percorsi alternativi [irrisoria in quest'
ultima puntata], ma come qualità
complessiva il nuovo lavoro di Wow
è indubbiamente superiore ai precedenti.
[segnata altra tacca sulla tibia dei
lati positivi]
Nessuna variazione dal fronte del
doppiaggio e colonna sonora. Era
impossibile fare peggio dei precedenti episodi, e così è stato. Ma
non prendetela necessariamente
come una buona novella. Fedele
alla tradizione di un doppiaggio e
colonna sonora degna di un
campus-movie degli anni '80, il
prodotto Wow riconferma la sua
voglia di non emergere in questo
camp[us], risultando di una piattezza sconfortante. E che la cosa
sia un "omaggio" agli horror-mo-
Ma Wow si è dimenticata che
questa è una produzione Home.
Dove la conversione del precedente
episodio risultava vincente per diversi extra ed una versione appositamente creata con tanto di bonus
ad hoc [crediti infiniti, armi speciali,
colpi perforanti], l'attuale versione
brilla invece per un'assoluta piattezza extragiochica, per una scarsissima scelta di percorsi alternativi
ed una longevità ancor minore rispetto al predecessore. L'inserimento di THOTD2 come bonus da
sbloccarsi sembra un'ammissione di
colpa, più che un gradito omaggio.
Tutte le tibiotacche evidenziate s opra servono solo a salvare il prodotto di Wow dalla mediocrità più
assoluta, dimostrando per l'ennesima volta che convertire un prodotto da sala per il mercato casalingo è opera da affrontarsi con estrema cautela ed impegno, se si
vuole uscirne con merito.
e rOWLANDS vOLTEGGIA bEATO cON qUEL sUO sORRISO iDIOTA sUL mUSO…
[CREATURES II - Torture Trouble]
di Federico Res
gENERE
.:scHEda:.
eTICHETTA
sVILUPPATORE
sISTEMA
aNNO
gIOCATORI
vERSIONE
PuzzlePlatform
Thalamus
Apex
C=64
1992
1
PAL
Il mondo è lordo di pretesti. L’uomo
adora i pretesti, li ama così tanto
che se fossero tangibili farebbe con
loro del sesso selvaggio. Dalla notte
dei tempi tanti uomini si sono appigliati ai pretesti più disparati, e per
le ragioni più subdole. Una volta un
tale ha usato il videogioco come
pretesto. Si è nascosto dietro a un
‘giochino’ per esternare il proprio
genio maligno, la perversione ed il
sadismo. Una vergogna. L’ignobile
individuo si chiamava (si chiama,
che io sappia) John Rowlands. E
dieci anni fa, tra i possessori del
Commodore 64, furono in molti a
vederlo svolazzare come un gufo
con un sorriso stupidosadico in
bocca…
Tutto quanto, in CREATURES II,
è all’insegna del politicamente scorretto. Dalla qualità del design sino
alla più completa anarchia (v)ideologica alla base del gameplay. Se il
primo CREATURES era un platform
irreprensibile ma pur sempre convenzionale, Torture Trouble riget-
39
ta ogni ortodossia. Perché TT è un
vero complesso bondage, fin dal
basico sistema di controllo, intessuto come una ragnatela intorno al
giocatore: CREATURES ammette
l’uso delle quattro direzioni - con
‘up’ deputata al salto - e di un tasto
di fuoco (che serve - appunto - a
‘far fuoco‘). La pressione prolungata del tasto di fuoco scatena il fiato
ardente del clyde, mentre la combinazione basso + fuoco consente
di selezionare l’arma da un carnet
di sette. Nient’altro. Ma dove finisce
il sistema di controllo comincia il
design bastardo, e non v’è nemmeno l’ombra del dubbio che si tratti
d’incompetenza dei designer, quanto del loro preciso volere. Perché
Torture Trouble tiene fede al proprio nome secondo un disegno più
ampio, perverso. Come i Fuzzy
Wuzzy torturano i clyde, così TT
tortura il giocatore: Rowlands assiste dall’olimpo del suo genio malato, e se la ghigna di gusto...
:RECENSIONI:
Cosa c’è di più crudele di un esserino peloso sventrato sulla neve?
Niente, e Rowlands se ne compiace.
Goliardico, incatena un clyde e lo
appende per i piedi sopra una pozza d’acqua gelida. Qualche metro
più in basso, ad attenderlo, un coccodrillo affamato (gioioso per il p asto che gli si sta offrendo), e un
Fuzzy Wuzzy che si diverte a gettare palle di neve nell’acqua per alzarne il livello. Tempo due minuti e
il coccodrillo spiccherà il salto (?)
verso le carni tenere del clyde. Il
giocatore si trova su una piattaforma in alto e ha a disposizione una
grossa palla di neve. Più in basso,
al centro dello schermo, Rowlands
volteggia in forma di gufo, con un
sorriso beato sul muso…
[primo tentativo] Il giocatore
spinge la palla di neve sulla destra,
verso un grosso tubo (contrassegnato ovviamente come ‘ACME’).
Ma la palla casca giù per una fenditura, finendo fuori portata. Passati
due minuti il coccodrillo si avventa
sul clyde e lo dilania, in un lago di
plasma rosso vivo… e Rowlands
volteggia beato col suo sorriso ebete sul muso…
[secondo tentativo] Il giocatore
salta a piè pari la fenditura e raggiunge il tubo. Ci si butta dentro.
Un paio di secondi dopo casca giù
sotto forma di palla di neve, ma il
Fuzzy lo acchiappa e lo getta nella
pozza d’acqua. Il coccodrillo spicca
un balzo e stacca le gambe/zampe
del clyde, la neve si tinge di vermiglio… e Rowlands è ancora lì che
svolazza di qua e di là e se la spassa.
[terzo tentativo] Il giocatore
s’incazza. Dimentica la palla di n eve e il tubo, si lancia su uno scivolo
a sinistra. Stupore: lo scivolo gli fa
compiere una parabola aerea, e
sembra che la fine della curva coincida con un bersaglio ben preciso…
Rowlands che gufa avanti e indietro
in un frullio d’ali. Il giocatore sorride. Ma sorride anche Rowlands, e si
sposta agile sulla destra. Il giocatore manca il bersaglio e precipita in
una fossa infuocata.
Ring#06
Questo è Torture Trouble. Una
forma sostanziale – ma spuria – di
puzzle solving mascherata da platform. Dove i classici torture screens, da variazione occasionale nel
primo CREATURES, diventano il
fulcro su cui ruota l’esperienza [il
supplizio]. Una bomba ad orologeria che concede pochi m inuti prima
di esplodere e schizzare il sangue
del clyde [del giocatore] sullo
schermo, che si circonda di interludi ipnotici (Interlude), traversate
oceaniche (Scuba) e scontri con
demoni ghiotti di lassativi (Demons). CREATURES è la perversione di un folle. La rappresentazione del sadismo ammazzapupazzi
di John Rowlands, che non perde
occasione per mostrarsi al giocatore, ora come un gufo che se la
spassa a mezz’aria, ora come un
fuzzy che stringe una mannaia da
mezzochilo. In qualsiasi forma a ppaia il suo perfido sorriso è sempre
lo stesso. Ma è per questo che giocare e risolvere CREATURES II
conduce a moti d’esaltazione pura.
Perché farla pagare a quello psicopatico, che si diverte a motosegare
esserini indifesi, è la cosa più bella
del mondo. Ma non crediate che lui
non lo sappia…
>> STOP & GO! >>
[10 secondi al box]
Meglio pochi ma cattivi.
È questo il mio motto.
Nel 2003 gli eserciti di antagonisti digitali senza arte né parte
hanno ancora ragione di essere?
Hanno ancora senso centinaia di
stolidi zombie prodotti in serie
per infestare il Resident Evil di
turno?
Dei 2000 combattimenti ingaggiati nell’ultimo Final Fantasy
ne ricorderò sì e no una decina.
Chi me l’ha fatto fare di sorbirmi i
restanti 1990 per gustarmi una
storia e ottenere qualche punticino esperienza in più? Di quale
crimine si è macchiato il mio p overo pad perché lo tartassassi
senza criterio mentre mi avventuravo per i mondi di Kingdom
Hearts? Nel cuore serbo il ricordo di boss mastodontici, agonisticamente stimolanti, ma sui polpastrelli porto i calli della carneficina becera di centinaia di pate tiche creature satelliti.
Il videogioco moderno può strutturare esperienze impagabili intorno a meccaniche sofisticate e
storyline sorprendenti; perché
deve ingozzarsi di un’infinità di
combattimenti insensati per truccare la propria longevità?
Nel mio passato c’è un Devil
May Cry in cui si combattono sì
dozzine di bestiacce, ma tutte
contemporaneamente, e dotate
di un’intelligenza artificiale autentica. E i boss fanno invidia a
Cosa Nostra.
:non tutti sanno che:
CREATURES lo si scrive tutto
maiucolo non per manie di protagonismo, quanto perché è
l’acronimo di: Clyde Radcliffe
Exterminates All The Unfriendly
Repulsive Earth-ridden Slime.
Fico, no?
Nel mio futuro voglio un Final
Fantasy in cui si combatte solo
con strategia, coinvolgimento e
volontà, non perché altrimenti mi
è preclusa l’esplorazione dei due
metri di erba che mi stanno davanti.
Nei miei sogni c’è un Onimusha
in cui ogni scontro è un combattimento a Soul Calibur. Con J ean Reno o senza. Quello servirà a
vendere, non a farmi divertire.
Nel Saturn di Emalord c’è Radiant Silvergun. Anno di pubblicazione: 1998. È uno shoot’em
up, per definizione il genere in
cui si spara come forsennati a
miliardi di navicelle idiote. E invece Radiant è una gloriosa sfilata di avversari leggendari. Tutti
diversi. Tutti grossi. Tutti cattivi.
Meglio pochi ma cattivi.
È questo il mio motto.
[XXX tentativo] ‘mabruttofigliodiputtana’. Mentre lui svolazza e sorride come un idiota…
Cristiano Bonora
40
:RECENSIONI:
Ring#06
l’eVOLUZIONE dEL sERPENTE___________________________
[Ludologica #2 Metal Gear Solid – Hideo Kojima]
di Nemesis Divina
Meglio tardi che mai, è noto.
Gli ultimi anni sono stati, per l’Italia,
un periodo di crescita per quanto riguarda l’indagine del medium videointerattivo, un’indagine che se in altri paesi era
iniziata già da un po’, da noi stentava ad
attec c hire. Se in USA e UK non è difficile
reperire un buon numero di testi sull’argomento, da noi queste letture latitano o
sono comunque irreperibili. Oggi, guardandoci attorno, vediamo un fiorire di
nuove realtà avanguardiste: una è
RING, certamente, che si presenta c ome la proverbiale ‘botte piccola’. Abbiamo accolto con piacere la nascita di
TheFirstPlace.it , sito in continua espansione grazie anche al contributo di
una community ampia e volenterosa.
Alle porte l’atteso progetto cartaceo
Sim/otic@, contenitore specialistico e
sperimentale, promosso da quel Matteo
Bittanti che più volte ricorre su questo
numero di RING, un Bittanti che, coadiuvato da G ianni Canova e s ostenuto da
Edizioni Unicopli, è padre di una nuova
collana, a tema videoludico, che troveremo presto in libreria: Ludologica.
Ludologica nasce con il preciso intento di fornire un archivio info rmativo
ma anche di ampliare la visione generalista del poco materiale oggi disponibile,
sarà evitato un approccio onnicomprensivo prediligendo un’analisi approfondita
del dettaglio, del gioco e dell’autore,
tralasciando quindi un colpo d’occhio
d’insieme giocoforza i ncompleto. Avremo
dunque testi mirati la cui prima salva è
rappresentata da un’interessante combo: un’analisi dell’intera saga di Metal
Gear ed un lungo excursus su Age of
Empires. In questa occasione ci occuperemo del primo titolo, benché esso costituisca il secondo numero della collana
(ambedue disponibili da fine Giugno).
Ad opera di Bruno Fraschini, ins egnante di Game Design presso l’Istituto
Superiore di Comunicazione di Milano, il
volume conc ede un ampio e dettagliato
scorcio della nota saga videoludica, a
firma Hideo Kojima. Fraschini passa agli
infrarossi la serie o ptando per un’analisi
cronologica e suddivisa in comparti stagni, non invischiandosi in comparazioni
incrociate e rimandi che avrebbero reso
forse confusa la lettura. La chiarezza è
d’altra parte una delle caratteristiche
proprie di Fraschini; evitando costruzioni
arzigogolate o terminologie ad effetto,
l’autore adotta quasi sempre un registro
pulito che accompagna una lettura spedita e piacevole, colma di dati ed intuizioni spesso brillanti.
Il testo è suddiviso in quattro s ezioni
cui va aggiunto un intermezzo sul linguaggio videoludico e sul ruolo del videogiocatore (attore e regista del VG); i
quattro capitoli sul brand Konami rappresentano il corpo del volume e ognuno
di essi procede all’esame di un singolo
episodio della saga. Si comincia con il
primo Metal Gear, datato 1987, cui s egue la disamina di Metal Gear: Solid
Snake: i due elaborati sono essenzialmente un sunto degli eventi occorsi a
Solid Snake nelle missioni di Outer Heaven e Zanzibar, rispettivamente; in a ggiunta una serie di considerazioni
sull’influenza che il contesto tecnologico
dell’epoca esercitò sul design d el gioco
(pertinente l’esempio del binocolo che,
se usato, concedeva ‘l’anteprima’ della
schermata successiva, indipendentemente da eventuali ostacoli che ne i mpedissero la visione), si tratteggia poi
l’interesse di Kojima verso i temi d’attualità e c’è tempo anche per indic are
quei pic coli fermenti metareferenziali
che esploderanno, anni dopo, in Metal
Gear Solid e MGS2. Segue la seconda
coppia di saggi, nonché la migliore per
approfondimento e potenziale delle opere in discorso. Nell’esaminare Metal Gear Solid per PSX, va detto, Fraschini
abbonda forse nel ‘riassunto sistematico’
e in eccessivi rimandi tecnici all’ambito
cinematografico; ripercorrere i tratti s alienti di MGS e MGS2 resta comunque
una pratica avvincente, specie alla luce
dell’interpretazione che l’autore dà dei
fatti del gioco e delle scelte di Kojima,
scelte culmininanti in Metal Gear Solid
2: Sons of Liberty, dove il VG esprime
al suo meglio il proprio potenziale immersivo e comunicativo e dal quale
l’autore estrapola un’interpretazione dei
fatti singolare, a tratti inquietante.
Ci troviamo di fronte ad un volume
essenziale, dunque? Non è semplice rispondere. La struttura del libro è volutamente schematica e sintetica, ma fo rse avrebbe giovato alla completezza uno
sguardo che esamin a s s e in profondità
l’autore e le differenze/similitudini fra i
vari capitoli della saga. Il difetto ‘grave’
del lavoro è però extratestuale e riguarda la non completa originalità dei lavori;
alcuni di essi, infatti, sono già stati parzialmente pubblicati sulla rivista Super
Console dacché potreste non gradire
l’acquisto di un libro già letto. Va pure
detto che, oltre alla comodità di avere
una raccolta del materiale in es ame,
l’acquisto ha senso poiché gli articoli
sono stati arricchiti e non si limitano,
quindi, ad una vuota riproposizione di
materiale già pubblicato. Ci sentiamo
quindi di cons igliare il supporto di questa
importante iniziativa, sia ai cultori della
saga sia a quanti vorrebbero approfondire lo studio del VG con esempi concreti
cui fare riferimento (previo completamento dei relativi titoli, gli spoiler nel
testo sono enormi e i nnumerevoli…).
Sempre nella collana Ludologica, oltre ad Age of Empires – Bruce Shelley (di Carlo Molina), sono previste le
pubblicazioni settembrine di The Sims –
Will Wright (di Matteo Bittanti) e Ultima – Richard Garriott (di Paolo Paglianti).
Ribadiamo: meglio tardi che mai.
Metal Gear Solid –
L’evoluzione del serpente
Autore: Bruno Fraschini
Editore: Edizioni Unicopli
Pagine: 1 6 0
Prezzo: 12 Euro
41
__Voci Veloci con… Bruno Fraschini
RING: Perchè un libro sulla saga di Metal Gear.
BF: Primo motivo: perchè sono convinto
che i videogiochi possano essere molto
più che semplice intrattenimento. Hideo
Kojima è un autore che utilizza i videogiochi per dire qualcosa di interessante e
non, più semplicemente, per d ivertire i
giocatori.
Secondo motivo: MGS2: Sons of Liberty è stato frainteso da molti (d'altronde è un testo ambiguo). Il libro vuole essere un contributo utile a comprendere meglio un'opera complessa.
Terzo motivo: ambizione, fama e soldi. :)
RING: Kojima è uno dei pochi creatori di
VG con qualcosa da dire. Il mutismo di
altri designer credi sia da imputarsi al
loro disinteresse, alla loro in capacità o
all'ostracismo dell'industria.
BF: Penso si tratti di una situazione che
la maggior parte degli sviluppatori
nemmeno intuisce, dovuta essenzialmente all'idea che l'opinione pubblica si
è fatta dei videogiochi. I videogiochi s ono da sempre cons iderati dei giocattoli
(soprattutto su console) e, per ora, bisogna essere d i ampie vedute per
cons iderarli dei testi al pari di film o libri.
È già successo per i fumetti ed è esattamente la stessa cosa.
RING: MGS prima e MGS2 poi affrontano tematiche extraludiche, che toccano
nel profondo e stimol ano la riflessione. Il
pubblico è pronto a questo (e se no, lo
sarà mai)?
BF: Credo esistano molti giocatori che
non aspettano altro. Per i giocatori delle
prossime generazioni, che non avranno
certi pregiudizi in testa, probabilmente
quello dei gioc h i ‘impegnati’ sarà solo
uno dei tanti generi tra cui scegliere.
Inoltre anche i giocatori della vecchia
guardia, che hanno iniziato a videogioc are vent'anni fa, cominciamo a desiderare
qualc osa di più ‘succoso’. È inevitabile,
quando avremo sessant’anni vorremo
giocare ancora ma cercheremo qualc os a che sia intelletualmente ancora più
stimolante.
RING: Che idea ti sei fatto di MGS3?
Cosa pensi che sarà… o vorresti che fos se.
BF: Ho visto molto poco di MGS3 e penso che, al solito, il signor Kojima si stia
divertendo un mondo. Hideo cercherà
cannibalizzare in qualche modo il suo
personaggio (da cui il sottotitolo Snake
Eater). Se sarà un gioco online Snake si
moltiplicherà e magari diventerà un avatar, alla fine salterà fuori il ‘vero’ Solid
Snake a reclamare la propria identità.
Penso che comunque ci aspetti qualcosa
di ironico (come al solito), epico e divertente. Non è da escludere qualche bel
discorso metareferenziale, ma sono solo
supposizioni.
:RUBRICHE:
Ring#06
iL rISPETTO pER gLI aNTENATI______________________
[Me Nintendo #6]
di Gatsu
”Rispetta gli antenati, altrimenti te la pigli nel culo.”
Antico proverbio cinese
“Oggi scrivo un articolo trasversale”
Gatsu, pensando che dopo l’E3 di Nintendo ne potrà parlare anche troppo
Il revival delle vecchie glorie videoludiche è sotto gli occhi di tutti.
Non parlo solo di vecchi personaggi
riportati alla ribalta quali Rygar o
Shinobi, ma mi riferisco alla sempre più massiccia presenza delle
“versioni precedenti” di certi giochi
nei prodotti odierni. Esempi eclatanti da inserire in questa casistica
sono da ricercarsi nei recenti Panzer Dragoon Orta (Panzer Dragoon), House Of The Dead 3 (House
Of The Dead 2), Shen Mue 1&2
(Outrun, Afterburner, Space Ha rrier, Hang On), Animal Crossing
(decine di vecchie glorie sbloccabili
– anche con l’ausilio delle carte
dell’E-Reader, tipo Donkey Kong) e
soprattutto negli eccellenti Zelda
The Wind Waker (Zelda Ocarina
Of Time e OOT Master Quest) e
Metroid Prime (Metroid).
Prima di tutto è interessante notare come le case dedite a questo
nuovo espediente siano in realtà
quasi solo i “nomi storici” dell’industria videoludica giapponese: una
motivazione concreta non c’è (qualsiasi altra casa può riproporre alcune delle sue vecchie glorie come
bonus all’interno di un gioco attuale), se non quella del “peso affettivo” che possono avere certi vecchi
nomi nella fase di promozione di un
prodotto.
In secondo luogo è importa nte
accorgersi di c ome l’inserimento di
vecchie glorie nei giochi a ttuali non
sia più “un semplice bonus”, ma un
vero e proprio motivo che spinge il
giocatore a comprare il prodotto.
L’inserimento di DVD aggiuntivi o
cd musicali all’interno di un gioco
non è certo pratica recentissima,
già titoli importanti come
MGS2, SH2 o FFX avevano gadget simili (ma perfino la versione PAL del vecchio Killer Istinct per
SNES aveva un cd musicale in omaggio…), ma la
svolta radicale in questo
processo è stata data senza dubbio dall’uscita di
L'edizione limitata di Zelda The Wind Waker. NoZelda: The Wind Waker.
tare il classico colore dorato ("era fico negli anni
L’omaggio di Zelda O'80", ebbe a dire l'infausto Pupazzo Gnawd a procarina Of Time e Master
posito) e il terribile bollino 10/10 che ne rovina la
Quest a chi prenotava il
perfetta armonia grafica
gioco (America e Giappone) ha dato vita nei paesi
succitati ad un vero e proprio mercato nero riguardante la sola riedi:ringterview-mini:
zione del capolavoro per N64!
La mossa di includere direttaDurante un recente incontro
mente il gioco nella confezione PAL,
con la stampa, un redattore di
in edizione limitata, è, oltre che
Ring ha chiesto a Shigeru Mibenvenuta, anche ben studiata:
yamoto per quale motivo, in
questa fantomatica “quantità limiSuper Mario Sunshine , Nintata” è tutta da verificarsi, ma chi
tendo non avesse incluso come
può resistere alla tentazione di
bonus-game il mitico Super
prendere tre piccioni con una f ava?
Mario 64: una strategia reCome per i cd musicali l’insericentemente adottata nella limimento di DVD bonus, versioni digited edition di Zelda: The
pack, artwork irriproducibili sembra
Wind Waker e che, se effetessere diventata la strada maestra
tuata anche per l’ultima ediziocontro la pirateria. Anche per il v ine del platform per eccellenza,
deogioco quindi si prospetta un’era
avrebbe potuto trainare consiin cui la “confezione” del prodotto
derevolmente le vendite.
non sarà meno irrinunciabile del
«Abbiamo valutato l’ipotesi, –
prodotto stesso. Il videogiocatore
ha risposto Miyamoto – ma alla
gioisce, ovviamente, pensando
fine l’abbiamo accantonata:
beato al prossimo capitolo di Mario,
non volevamo mettere in diffiche avrà incluso nella confezione
coltà gli acquirenti nel tentatiSuper Mario 64.
vo di capire quale dei due giochi fosse quello nuovo, e quale
solo il bonus…»
:Scioccante!:
«Esterno, giorno, un’isola sperduta in mezzo all’oceano. Link
si sveglia stropicciandosi gli occhi, è la sorellina Aril a chiamarlo, oggi è il compleanno del suo fratellone e il desiderio di
donargli, almeno per un giorno, il suo “tesoro” più prezioso è
grande.»
Dopo aver letto l’incipit della recensione di Zelda: The Wind
Waker, pubblicata sul numero 13 di Nintendo Rivista Ufficiale, un parlamentare della maggioranza ha ventilato l’ipotesi
del reato di incoraggiamento alla pedofilia, con l’aggravante
dell’incesto. Si è quindi formata una commissione di indagine
a cui hanno aderito deputati di tutti gli schieramenti. D opo
due settimane di attento studio, la commissione ha inviato
alle Camere i l seguente resoconto: “Chi diavolo è il v igliacco
da fotografare sull’isola Taura?”
Due esempi perfetti di come invogliare gli utenti a comprare originale. Sulla sinistra lo spettacolare digipack dell'album Last fair Deal Gone Down dei Katatonia, sulla destra
l'extended edition della Compagnia Dell'Anello. Quando la
confezione diventa importante come il prodotto…
42
:TESORI SEPOLTI:
Ring#06
tESORI dI tREASURE______________________________
[Bakuretumuteki Bangaioh]
di Emalord
.:scHEda:.
Shooter
gENERE
eTICHETTA
Treasure
sVILUPPATORE
Interno
sISTEMA
Dreamcast
aNNO
1999
gIOCATORI
1-2
vERSIONE
Jap
Quando sulla cover di un videogioco a ppare il logo di Treasure, è cosa poco
saggia indirizzare lo sguardo altrove.
Certo, gli shooter possono aver fatto il
loro tempo, gli arcade sembraranno cose
da bambini, gli action games con pers onaggi bicromi e pupazzosi possono apparire inutili, ma sottovalutare o misconoscere il nome di questa softco non è c osa sensata, se davvero si ama il videogiocare.
Treasure è una delle poche softco che
non sbaglia un colpo e quando lo sbaglia
ti accorgi che comunque il prodotto è di
gran lunga superiore alla media. Frasi
grosse, ma vere. Prendere un qualsiasi
titolo di questa softco significa trovarsi di
fronte ad un gameplay impeccabile, ad
una grafica mai banale, ad una difficoltà
perfettamente calibrata. I giochi Treas ure sono sovente etichettati come difficili,
ed è in parte vero, ma se cercassimo di
definire la loro presunta difficoltà ci a c corgeremmo che si tratta di un giudizio
solo relativo, un giudizio tratto dal nuovo
corso di un mercato mass- market votato
a giochi che ci preservino dalla tachicardia. Giochi dove il concetto di morte
sembra tabù quanto nella realtà.
I giochi Treasure sono difficili solo
perché i nostri sensi sono annebbiati e
rallentati da una vita videoludica che
scorre pigra e senza clamori, senza
scosse di adrenalina, dove tutto è studiato per permetterci di arrivare alla fine
di un gioco senza scossoni bruschi, senza farci sentire degli inetti a causa di
quattro game over consecutivi in 15 minuti 15 di gioco. Ma è davvero così b rutto sentire di dover dare il meglio di noi
per battere un gioco e la macchina dietro
di esso? È davvero fuori luogo un livello
di difficoltà crescente, in modo da sentire l’inebriante odore della conquista di
fronte all'ultimo, imbattibile- ma- solo-inapparenza, Boss?
I giochi Treasure non brillano solo per
la perfetta calibrazione della loro cattiveria, ma anche per un game design ineccepibile. Non è mai questione di ‘andare
avanti p igiando bottoni a caso che tanto
si arriva comunque alla fine’, come troppo sovente accade oggi. Ci s ono sempre
molteplici fattori che concorrono al dis egno finale di un gioco Treasure e tutti
sono figli dei concetti di ritmo | tempo |
modo | colore. Non esistono tempi morti, non esiste un solo tipo di attacco e
magari neanche un solo tipo di d ifesa. I
nemici non sono mai uguali tra loro e
normalmente ogni singolo avversario
necessita di un preciso approccio guerresco. Fraintendere un colore, un ritmo, un
pattern, significa di solito andare incontro a morte sicura. Il cervello deve sempre essere sveglio, brillante, attivo, a ltrimenti è meglio lasciare la console
spenta o dedicarsi al 98% della restante
produzione ludica. Chi di voi è digiuno
del concetto di game design sarà a questo punto portato ad immaginarsi giochi
caotici e ostici sistemi di controllo, eppure (sta qui il bello) niente è mai complicato in un gioco Treasure. Di solito b astano tre, quattro pulsanti per godere di
piccoli grandi capolavori. Caos controllato, devastazione chirurgica, dittatura
anarchica. Questa è T reasure, e molto di
più.
usato. Se nei primi livelli la presenza
nemica è rarefatta, e nasconde la geniale meccanica sottesa all'uso della smart,
dal decimo livello [circa] tutta la libidinosa filosofia Treasure trabocca dallo
schermo dissetando i videoplayer arsi
dalla sete di originalità ludica. Non parliamo di una smart- bomb qualunque,
devastante bomboniera esplosiva e priva
di stile. Tutt'altro, questo è un ordigno
da usare con criterio ed intelligenza, d ato che la sua potenza è direttamente
proporzionale al ‘rischio’ che stiamo correndo. In s oldoni: il suo uso in un tranquillo momento di gioco comporta il lancio di una piccola quantità [una quarantina] di missili | laser tutt'intorno al
giocatore. Il suo utilizzo in un momento
di crisi, ad esempio quando si è circondati da un centinaio tra proiettili e missili
avversari, è invece doppiamente terapeutico ed incentivato: fino a 400 [leggi
quattrocento] proiettili possono essere
lanciati contemporaneamente su schermo dal proprio mech, con devastazione
ad ampio raggio. Maggiore è la quantità
di proiettili esplosi, maggiore sarà la presenza di bonus su schermo atti a reintegrare le smart bomb a disposizione. E
non avete idea di quanto queste siano
fondamentali per uscire indenni dall'ultima serie di livelli. Cinque smart- bomb
sono l'abbondanza nei primi livelli ma
diventano carestia negli stage avanzati.
Un lampante esempio della genialità
di questo gruppo di programmatori è
Bakuretumuteki Bangaioh. Uscito originariamente su N64 e successivamente
portato su Dreamcast, questo gioco può
e s s ere a buona ragione considerato un
piccolo manifesto della loro filos ofia: in
un periodo di rivoluzione treddì, in un
epoca dove dire ‘bidimensionale’ significava bestemmiare contro il dio Gioco,
Treasure partorisce un gioco sfacciatamente bidimensionale che è uno shooter
ma anche un puzzle game. Perché Treasure e ‘banalità’ sono termini che non
pas seggiano mai a braccetto.
Bangaioh è uno shooter atipico e
splendido. Tanto splendido quanto scon o s c iuto ai più. Una quarantina di livelli
si susseguono velocemente, ed ogni l ivello è caratterizzato da un piccolo ma
deciso incremento della difficoltà. Il giocatore controlla un mech dalla doppia
funzionalità [il concept del ‘duplice’ ricorre in Treasure e la troviamo anche in
Ikaruga e Silhouette Mirage] che si manifesta nel tipo di proiettili usati. Il personaggio maschile usa missili a ricerca
automatica, perfetti negli spazi liberi e
per colpire nemici nascosti dietro agli
angoli, quello femminile usa un laser che
paga con la monodirezione la possibilità
di rimbalzare sui muri, con ovvi effetti
devastanti in tunnel e strettoie. Già questa varietà potrebbe bastare ad elevare
il prodotto dalla massa, ma il bello deve
ancora v enire. All'inizio di ogni livello il
gioc atore dispone di una smart bomb i
cui effetti dipendono dal personaggio
43
Stiamo parlando di uno shooter singolare, con approccio grafico fumettoso
e disimpegnato, eppure dal gameplay
ponderato in ogni sua forma, sempre
perfettamente bilanciato e costruito attorno ad un’idea semplice ma brillante
(come da prassi Treasure): l’uso a mente lucida di una smart- bomb ed i suoi
effetti auto- rigeneranti.
Infine, per variegare l'esperienza di
gioco, ai passaggi di selvaggia devastazione vengono alternati puzzle stage,
dove uno shooting ragionato e lento, che
contrasta con la frenesia dei livelli normali, va di pari passo ad un design che
c astiga ogni infinitesimo errore. Ma è
una difficoltà che non spaventa, perché è
una difficoltà che premia.
Perché Treasure è soddisfazione, talvolta masochistica, ma sempre e comunque soddisfazione. Su vasta scala.
:RUBRICHE:
Ring#06
sONIC tEAM_____________________________________
[Sega Saga #5]
di Emalord
Da SEGA SAGA #1 :
…… Nell’anno che da sempre identifica l’immaginario di un futuro
splendente nascono: Wow Entertainment – Sega-AM2 – Amusement
Vision – Hitmaker – Overworks – Smilebit – Sega Rosso – Sonic
Team – United Game Artists – Wavemaster e Visual Concepts ….
Appunti di viaggio: il
importanti in assoluto
mio quinto numero di
non solo nella galassia
Sega Saga mi sta porSega ma nel mondo
tando verso una secca.
videoludico più in geneO per usare un'altra
rale.
simbologia marinara, mi
Sonic team, datti da
sta portando verso il
fare o ti faccio pulire il
Mar dei Sargassi, un
veliero di Ring con uno
luogo misterioso | perispazzolino da denti. È
coloso | algoso dove il
una promessa. Da m arischio di arenarsi è
rinaio.
sempre dietro l'angolo.
Perché si sa che il mare
Sonic e Yuji Naka
trabocca di angoli.
_________Sonic Time
(Naka è quello
Il sito ufficiale di Asulla destra…)
musement Vision, come
Se all'interno dei clan
quello di Overworks,
Sega dovesse esplodetanto per fare nomi che non abbiare una guerra intestina per decidere
mo ancora trattato in questa rubriquale, tra le softco di casa, sia la
ca, mi hanno deluso per un'assoluta
più amata e rappresentativa della
mancanza di parti in lingua inglese
segafilosofia ludica, probabilmente
e per la stringata e l acunosa seziola battaglia finale si giocherebbe tra
ne dedicata a storia e dati generali
AM2 e Sonic Team. Una sfida inedelle due softco. I due siti, ma non
briante, basata su enormi potenziasono gli unici, debordano come una
lità produttive ma anche umane.
mousse al cioccolato di news, inUna guerra condotta a suon di franformazioni generali, comunicati
chise vincenti da due comandanti |
stampa, ma sono assolutamente
leader maximi universalmente ricoprivi di un'accurata storyline, di una
nosciuti come due delle menti più
lista delle loro produzioni, di sezioni
geniali e creative dell'intero ludodedicate a chi, come il sottoscritto,
mondo. Da una parte l'aemmeduico
cerca semplicemente di fare una
Yu Suzuki, papà di Shen Mue e Vircronistoria alla ricerca delle radici
tua Fighter, probabilmente IL perdella filosofia e del pensiero di Sega
sonaggio Sega da contrapporre a
e dei suoi clan. È un peccato doverMyiamoto e concorrenza a ssortita;
si affidare a riviste, siti Web amatodall'altra Yuji Naka, leader di Sonic
riali e non, per trovare notizie che
Team, un uomo d alla fama internadi norma dovrebbero essere parte
zionale inferiore a quella di S uzuki
integrante dei siti ufficiali delle sofma ciononostante nome di spicco
tco Sega. Massimo rispetto in quenel panorama Sega in quanto creasto senso a Wow Entertainment,
tore | papà di quell'icona ludica che
AM2, Smilebit e Hitmaker, che
ancora oggi è associata a Sega c ohanno realizzato siti seri, agili, in
me Mario è associato a Nintendo.
lingua comprensibile e ricchi di i nStiamo parlando di Sonic ovviaformazioni utili per la stampa spemente, il porcospino blu più famoso
cializzata ma anche per avventori
del mondo. Un mondo che invero
più o meno causali. Note di biasimo
non pullula di porcospini blu, ma
invece per i siti già menzionati ma
pareva comunque bello dirlo.
anche per Sonic Team, il team preNaka, nato il 17 settembre 1965,
so oggi in esame, per una ridicola
nonostante la giovanissima età è
parte in lingua inglese e per una
un leader riconosciuto. Il suo grupscadente | lacunosa | irrilevante
po, il Sonic Team [http://www.so
sezione dedicata ai giochi prodotti
nicteam.com], nasce ufficialmente
nel passato. Una mancanza che
il 21 aprile 2000 e risiede come
posso tollerare per softco neonate o
tanti altri clan sega nel Sega
misconosciute come Wavemaster,
Building a Tokyo, in uffici tinteggiati
ad esempio, ma che mi sembra asdi blu dove è assolutamente obblisolutamente nonsense per una sofgatorio vestire scarpette da ginnatco che si presume sia tra le più
stica rosse.
44
Non è vero. Ma forse si.
È invece vero che ST ha anche un
secondo ufficio a San Francisco,
ponte radio per diffondere notizie
blu anche nel paese dove Army
Men è un franchise apprezzato e la
pornografia è una ragione di vita. E
non è un caso che la bandiera yankee sia caratterizzata dai colori rosso e blu come la mascotte Sega.
Ma forse si.
_______________Sonic Stream
Le radici ludiche del Sonic Team
si perdono nella metà degli anni
'80, per la precisione nel 1984
quando Naka entrò a far parte di
Sega, e la prima piattaforma da cui
cominciarono a succhiare il midollo
del successo è stato Megadrive/
Genesis.
In omaggio alla [dis]organizzazione del sito di ST, diversamente
del solito non redigeremo una cronistoria della produzione soniteamica, quanto piuttosto una lista delle
uscite in base alla console di appartenenza, piccolo espediente che
comunque vi permetterà di capire
anno di produzione dei vari titoli
grazie alla ikeica suddivisione del
vostro cervello in tanti piccoli spaziotempo. Qualsiasi cosa significhi.
_____________ Master System
[Fine anni '80. Madonna canticchia
True Blue | Baby I Love you ed il
mondo scopre che non è più vergine]
Sonic
Sonic
Sonic
Sonic
Sonic
the Hedgehog
the Hedgehog 2
Spinball
Blast
Chaos
_________Genesis | Megadrive
[Inizio anni '90. Il mondo scopre i
16bit, ed i 16bit scoprono che
:RUBRICHE:
Megadrive, negli Stati Uniti, è una
marca di preservativi. Sega Genesis
è l'alternativa yankee. Phil Collins
non sporge reclami e fa palloncini
coi condom]
Phantasy Star IV
Shining Force
Shining in the Darkness
Sonic & Knuckles
Sonic Classics 3 In 1 (Sonic
Compilation)
Sonic Spinball
Sonic the Hedgehog
Sonic the Hedgehog 2
Sonic the Hedgehog 3
________________Game G ear
[Inizio anni '90. Sega crea un
Master System portatile che succhia pile come fossero spremute.
Phil Collins fa spallucce e continua a
fare palloncini coi condom]
Ring#06
Sonic X-Treme (Pr oject Sonic)
_______________________PC
_________________Dreamcast
[Quando il porting è l'arte del finanziare le proprie casse con il m inimo sforzo]
[Inizio del 21° secolo. Sega immette sul mercato il primo 128bit della
storia, tutt'oggi ineguagliato per
qualità delle textures e dei colori.
Ma Sega stava raccogliendo la tempesta seminata anni prima. Lacrime
e sangue]
Chu Chu Rocket
Phantasy Star Online
Phantasy Star Online Version 2
Samba De Amigo
Samba De Amigo Ver. 2000
(Import)
Sonic Adventure
Sonic Adventure 2
Sonic Adventure International
Sonic Adventure: Limited Edition
[metà anni '90. Sega pensa che un
Megadrive capace di gestire textures e poligoni è destinato ad un
successo sicuro. Nel medesimo istante il mondo capisce che Sega è
destinata ad un insuccesso sicuro]
Sonic CD
____________________Saturn
[Metà | fine anni '90. Doveva essere il rappresentante di una nuova
era. E lo fu. Il successo della concorrente Sony PSX rappresentò il
tramonto dei fasti Sega
dopo anni di dominio]
Burning Rangers
Christmas NiGHTS
NiGHTS into Dreams
Sega Ages: Phantasy
Star Collection
Sonic Jam
Sonic Heroes
_____________________Xbox
[Una nuova console? Beh. Un portatile? Certo. La prima memory
card | tamagotchi della storia. E
anche l'unica]
Chao Adventure 2 (Sonic Adventure 2)
_______________Sonic Theme
__________Game Boy Advance
[Un add-on per Megadrive che avrebbe dovuto godere della enorme
capienza di dati del supporto digitale. Forse solo il 64dd di Nintendo è
stato un insuccesso più fragoroso]
[Sonic Heroes è la risposta a chi
accusa Sega di disprezzare la nuova console Sony. Si, certo, è un
progetto multipiattaforma… ed è
l'unico titolo per PS2 in cantiere….
Va bene, Sonic Heroes non è una
risposta]
_____________Dreamcast VMU
Knuckles Chaotix
___________________Sega CD
_______________PlayStation 2
[Ed è festa. La console Microsoft
gode fin da subito del più grande
JRPG on-line di sempre in attesa di
altri porting di successo]
Phantasy Star Online Episode I
& II
Dr. Robotnik's Mean Bean Machine
Sonic the Hedgehog
Sonic the Hedgehog 2
Sonic Spinball
Sonic Blast
Sonic Chaos
__________________Sega 32X
Sonic and Knuckles
Sonic CD
[2K. Sega produttore di Hardware è
un ricordo. E decide di dominare il
mondo del software. Sega e Nintendo cominciano a stipulare contratti inimmaginabili fino a poco
prima. Ed i risultati non mancano]
Chu Chu Rocket
Nights Score Attack (GameCube
Download)
Puyo Pop
Sonic Pinball Party
_________________GameCube
[La collaborazione tra Sega e Nintendo non si ferma ai portatili. E
non si ferma al solo Sonic Team. Si
prevede un futuro radioso]
Phantasy Star Online Episode I
& II
Sonic Adventure 2: Battle
Sonic Adventure DX
Sonic Mega Collection
45
Se guardaste ora il mio volto, notereste brandelli di stupore incastrati
tra una ruga e l'altra. Se poteste
leggere tra le rughe, la causa di siffatto stupore vi sarebbe lampante.
Ma come - mi chiedo -, com'è possibile che Sonic Team sia tra le softco più conosciute di Sega? Da una
rapida disamina della produzione
ST, sembrerebbe che la fama di cui
gode il clan di Sonic non sia forse
così meritata. Com'è possibile che
case come Smilebit o Hitmaker, a rtefici di moltissimi successi, godano di una fama di gran lunga minore rispetto alla softco sotto osservazione?
Conto due [2] franchise di rilievo
nella produzione ST: Sonic e
Phantasy Star.
Vedo molteplici episodi, varianti,
spin-off, ma niente di veramente
epocale.
Vedo brillanti intuizioni come
Samba de Amigo e Nights, ma
niente che si possa definire ludicamente rilevante.
:RUBRICHE:
Vedo il puzzle game più divertente della storia [Puyo Puyo, sviluppato anche da WOW Ent.], vedo un
gioco che ha saputo spremere il Saturn come pochi altri [Burning
Rangers], ma ciò non mi toglie
dalla testa che l'enorme | sterminato successo della casa di Na ka sia
frutto di una fantastica campagna
di marketing, più che di una rilevante innovazione ludica.
Entrare nel sito di Sonic Team s ignifica entrare in un mondo meraviglioso popolato da pupazzetti di
Sonic che passano i loro pomeriggi
a vedere la serie televisiva di Sonic
in una televisione tappezzata da
adesivi di Sonic ed abbellita dalle
statuette in vetro di Sonic.
C'è del marcio in tutto questo.
Perché il marketing è cosa buona e
giusta, ma da una casa come ST
mi aspetterei qualcosa di più.
Vedo sforzi produttivi indirizzati
male, vedo priorità che poco hanno
a che fare con i videogames, vedo
una casa che esiste da troppo te mpo per avere così pochi titoli in c atalogo. E così poco differenziati.
Intendamoci: Sonic ha cambiato
il mondo dei videogames, e Phantasy Star on Line tre anni fa faceva quello che fanno ADESSO le softco più rinomate: giocare in rete.
Chapeau, certo. Complimenti vivissimi, certo. Ma non sarebbe ora
di svegliarsi?
Sonic team mi ricorda Squaresoft, e non è un complimento in
questa sede.
Ring#06
Square si mise in luce a metà
anni '90 con una produzione sconvolgente fatta di shooter, beat'em'up, giochi di guida, arcade/RPG
di notevole fattura e fantasia. Ogni
uscita era un successo, un'innovazione. Era l'originalità fatta pixel |
poligono | soundtrack.
Poi il buio. E un franchise sfruttato fino all'osso.
La Square di oggi è il fantasma di
se stessa. E non voglio che ST
faccia la stessa fine.
Dalla casa di Sonic è lecito aspettarsi tanto, ed è lecito aspettarlo in breve tempo.
Sonic Team, se ci sei, batti un
colpo.
Riallacciandomi alle altre tematiche
di Sega Saga, è interessante in
conclusione notare come ST sia forse uno dei clan sega meno indirizzato politicamente: Gamecube,
XBOX, Gameboy e Dreamcast di
dividono equamente le attenzioni
del nakateam da qualche tempo a
questa parte, facendo più che altro
risaltare una certa antipatia per l'unica console esclusa, che gode di
un solo contentino, tutt'altro che
esaltante.
Appunti di fine viaggio
Sega Saga finisce qui. Rimarrebbe
molto altro da dire | fare | baciare |
lettere | testamento, ma la verità è
che sopraggiunti nuovi ed impellenti impegni di lavoro hanno castrato
il mio tempo libero in maniera e unuchea, e questo fattore unito alle
difficoltà di ricerca menzionate ad
inizio rubrica rischiano di limitare
fin troppo il mio contributo a Ring.
Sono fermamente convinto che le
cose vadano fatte bene, o non v adano fatte proprio. Ecco perché a bbandono, perché altrimenti la qualità di questa rubrica ne risentirebbe.
E mi parrebbe ingiusto nei confronti
di chi legge e si aspetta di trovare
commenti o notizie interessanti.
Ringrazio tutti quelli che mi hanno sostenuto finora e mi hanno letto con [spero] interesse. Sega Saga
mi ha aiutato a comprendere Sega,
a capirne punti deboli e di forza, e
nonostante molte critiche possano
essere imputate alla casa di Sonic,
credo che se Sega scomparisse il
mondo dei videogames ne soffrirebbe terribilmente.
Se qualcuno fosse interessato a
mantenere viva questa rubrica, se
addirittura volesse gestirla in mia
vece, non esiti a scrivermi in privato.
Grazie | grazie | grazie
Emalord
cITIZEN mATT: sULLE tRACCE dEL fILOSOFO___________
[PEOPLE: Matteo Bittanti]
di Paolo Jumpman Ruffino
Il contesto rende difficile
parlare di argomenti seri,
ma oggi ci tocca, ed è importante farlo.
Pochi giorni dopo l’arrivo
in redazione dell’intervista
pubblicata a pagina 14 abbiamo ricevuto una segnalazione da parte di alcuni familiari di Matteo Bittanti.
La notizia, che ci ha lasciato
sconvolti, merita una certa
attenzione da parte di tutti.
Abbandoniamo i campanilismi da scoop giornalistico e cerchiamo, con rispetto verso chi ama
questo ragazzo, di approfondire la
questione.
L’intervista che trovate in questo
stesso numero di Ring è l’ultima
testimonianza lasciataci da MBF
prima di sparire in circostanze m isteriose. Parenti ed amici sono in
cerca di indizi, tracce
che permettano di ritrovarlo. Le ipotesi di
rapimento o suicidio
non sono probabili:
troppo povero per un
riscatto, troppo impaurito dalla vista del sangue per aver deciso di
compiere un gesto estremo. Ma in effetti, e
l’intervista ne è una
chiara prova, da tempo
MBF dava segni di
squilibrio. Confusione e delirio d ovuti forse al troppo lavoro lasciano
sperare in una semplice fuga vacanziera lontano da tutto e da tutti.
Chi gli è sempre stato vicino ha
deciso di non lasciar trapelare la
notizia per non creare discussioni
sulla sua vita privata. Pur rispettando questa scelta, abbiamo deci-
46
so di approfondire la questione.
Dobbiamo ammettere che la scelta
di inviare le risposte alla nostra intervista subito prima di sparire è un
gesto che ci lascia riflettere. Forse,
anche sentire in colpa.
Chiamati in causa da questo g esto abbiamo deciso di cercare tra
chi lo conosce degli indizi che ci
permettano di risalire alla causa
scatenante di quest’azione. Dov’è
finito Matteo Bittanti?
Ma soprattutto, chi è Matteo
Bittanti?
Nato il 31 Gennaio del 1973 frequenta asilo ed elementari a San
Pietro all’Olmo, passa poi alla
scuola media Colorni di Milano e al
liceo scientifico Majorana. Dotato
di particolare intelligenza, si distingue dalla prima infanzia anche nel
mondo dei videogiochi. Condotto
:RUBRICHE:
dai genitori nella redazione di
Zzap! all’età di soli sei anni, stupisce i presenti con la sua immensa
conoscenza. Interrogato dai membri della redazione attorno a lui,
risponde a domande spinose e contorte che da tempo facevano discutere i filosofi del videogioco. E proprio questa dimostrazione di saggezza, insieme ad una lunga serie
di lettere inviate a Zzap! firmate
dal “Filosofo”, fanno decidere ai
piani alti di chiamare Matteo Bittanti a lavorare tra loro. E sarà
proprio la rubrica della posta il luogo dove, nascondendosi sotto la
sigla MBF, crescerà il giovane Matteo. “La posta cambiò completamente linea diventando, de facto,
una delle rubriche principali all'interno di Zzap! prima e The Games
Machine poi.” commenta un cupo
Simone Crosignani “L’unico Paese
in cui la posta sembra avere ancora
un'importanza fondamentale nelle
riviste di videogiochi è proprio l'Italia. Secondo me il merito (o la colpa) di questo è proprio di Matteo.”. Intanto, sotto consiglio del fratello Gianandrea, Matteo propone
l’angolo di Zia Marisa, un esperimento unico nel suo genere nella
storia del giornalismo. Una fantomatica Zia (a cui Matteo, negli ultimi tempi, sembrava credere davvero) risponde alla domande dei
lettori riscuotendo successo ed
ammirazione.
Il quarto anno di liceo lo passa a
Chicago, nell’Illinois. Al suo ritorno
trova un Riccardo Albini pronto ad
accoglierlo tra le fila dello Studio
Vit. Matteo cede al corteggiamento e passa a gestire la posta di K
prima e Game Power poi, dove
cura anche la sezione delle news e
la rubrica Game Over. Saranno
due anni intensi, quelli passati nello
Studio Vit. Riccardo Albini ricorda
che le rubriche erano “roba tosta,
mica quello che di solito pensi di
trovare in una rivista di videogiochi.
Mi piaceva in Matteo la predisposizione a pensare –“filosofare”- di
videogiochi. Tanto che ne ha fatto
una professione”.
Nel frattempo consegue la maturità scientifica col massimo dei voti
e si iscrive al corso di laurea in Fi-
Ring#06
losofia con specializzazione in Comunicazioni Sociali presso l’Università Cattolica di Milano. Diventa dottore a pieni voti con la tesi
“L’innovazione Technoludica: i videogiochi nell’era simbolica (1958 1984)”1 in cui propone tra le altre
cose una visione “hegeliana” della
storia dei videogames. Matteo distingue tre periodi (simbolico, classico, romantico) e approfondisce
soprattutto il primo, che va all’incirca dal 1958 al 1983, in cui “i limiti
tecnologici prevalgono sull’elaborazione soggettiva dei neo-artisti”. In
questa prima fase i pionieri del v ideogioco mostrano la loro genialità
con linee e puntini monocromatici,
fino al momento in cui la “crisi del
software” (J.C.Herz) fa crollare il
mercato. Un periodo di grande fertilità creativa in cui i videogiochi
iniziano a delinearsi e definirsi.
Negli anni dell’università passa a
collaborare con il Gruppo editoriale Futura per Super Console e
Mega Console. È ancora l’angolo
della posta il suo “non luogo” preferito. Per Super Console, negli ultimi tempi, cura la rubrica personale MBF Today dalla cui esperienza
nasce poi l’omonimo blog
http://mbftoday.blogspot.com.
Gli studi di Matteo proseguono
alla San Josè State University ,
dove consegue un Master in Mass
Communications. La tesi che scrive in questi due anni californiani ha
come titolo “The Technoludic Film:
Images of Videogames in Films
(1973-2001)”2 e tratta della contaminazione tra videogioco e cinema. In particolare si preoccupa di
studiare i linguaggi e le strategie
narrative emerse dalla sempre
maggiore influenza tra i due media.
MBF distingue tra tre diversi casi in
cui il cinema si fa videogioco:
l’adattamento, la citazione e il
commento. Il primo caso racchiude
tutti quei film esplicitamente tratti
da videogiochi (ad es. Super Mario
bros. Del 1993), il secondo quelli
che usano delle scene particolari
come citazione al medium videoludico (come in Wargames, 1983),
infine il terzo caso è quello delle
pellicole che affrontano il videogioco come un caso da discutere ed
analizzare, con tutte le conseguenze che questo porta nel nostro m odo di percepire la realtà (Nirvana,
1997, o eXistenZ, 2000).
Sempre sullo stesso tema è il
saggio “Dell’influenza del cinema
sui videogiochi”, pubblicato nel
2002 sul catalogo della mostra
“PLAY: il mondo dei Videogiochi”.
Negli stessi anni inizia la sua collaborazione con [duel], rivista di
“cinema e cultura dell’immagine”. Il
direttore Gianni Canova ricorda così
il giovane e spensierato Matteo:
47
“Ho conosciuto Matteo Bittanti
come allievo a un corso di critica
cinematografica. Per essere ammessi bisognava recensire una confezione di carne in scatola. Ricordo
che quella di Bittanti era folgorante: tra il product placement e l'ermeneutica, faceva della simmenthal
un ipertesto rizomatico in cui sentivi pulsare l'anima del mondo (e dei
bovini). Da allora, ogni volta che gli
faccio un complimento, mi risponde
pavlovianamente con la stessa frase: "Bela lì", pronunciata con intonazione squisitamente brianzola. Il
professore che l'ha laureato, Fausto
Colombo, mi ha confessato che il
Nostro commentò con la stessa frase, ad alta voce, anche l'annuncio
del voto di laurea. Da due anni collabora con me all'università. Tra
tutti i miei assistenti è l'unico che
gode (Bela lì...!") quando gli assegno una nuova tesi da seguire. Agli
esami si presenta puntualmente
con un cappellino funny che lo rende molto trendy fra gli studenti. E'
un genio, non c'è dubbio. Con un
solo limite, almeno ai miei occhi:
non sa nulla di cinema italiano.
Proprio nulla. Quando gli ho detto
che anche in molti film italiani (perfino in uno degli ultimi di Scola) si
gioca a videogame, mi ha guardato
incredulo e ha detto: "Bela lì...!".
Sempre del 2000 è la sua collaborazione col sito Apogeonline .
Diventato ormai un magnate
dell’editoria Matteo tenta la corsa
alla presidenza degli Stati Uniti. E’
questo il momento più misterioso
della sua vita: nonostante i sondaggi l’avessero dato per vincente
fino a pochi giorni dal voto, MBF è
travolto da uno scandalo di natura
sentimentale e l’opinione pubblica
viene influenzata negativamente.
L’attuale moglie Margot (il cui vero
nome è Elena, ma è stata ribatte zzata così da Matteo senza una
spiegazione logica…), interrogata
per telefono in proposito, ha risposto con un “no comment” a qualunque indiscrezione in merito. Solo
una cosa ci tiene a dichiarare:
“Matteo è una persona molto particolare, ha una percezione tutta
sua dello spazio e del tempo. Soprattutto del tempo. Comunque,
sono convinta che sia stato rapito
dagli alieni. Ne parlava spesso, era
ossessionato da quest’idea”.
Tornato in Italia trova Bruno Fraschini e Francesco Alinovi pronti ad
accoglierlo come docente nel corso
di “Teoria e Tecnica del Videogioco”
presso la Nuova Accademia di
Belle Arti (NABA), ed inizia ad i nsegnare anche nel corso di “Teoria
e Tecnica degli Audiovisivi” alla
Cattolica di Milano. Bruno Fraschini commenta così il contributo di
MBF alle lezioni: “è essenzialmente
:RUBRICHE:
un vulcano, un data base immenso
da sfruttare impunemente, un m otore di ricerca umano. Tu inserisci
le parole chiave, premi "invio", e lui
ti spara fuori una bella lista di libri,
film, videogiochi e artisti vari. In
pratica è utilissimo. I suoi studenti
durante le lezioni vengono bombardati da una quantità di dati impressionanti e in genere si lamentano
perché parla troppo velocemente.”
Attualmente collabora con l’Istituto Superiore di Comunicazione
(ISC) per il corso di specializzazione in “Progettazione di Videogame”
e “Storia del Cinema 1950-2000”,
con la Libera Università di Lingue di Milano (IULM) per “Storia e
Struttura del Racconto Videoludico”
e con la Cattolica per “Analisi del
testo Videoludico”.
Ritiratosi ormai in una magione
dove vive senza vedere mai nessuno, Matteo raccoglie una serie di
saggi sul videogioco e li pubblica,
con l’aiuto di Gianni Canova e
l’editore Unicopli, nel libro “Per
una cultura dei videogames: teorie
e prassi del videogiocare”. L’opera,
recensita anche su queste pagine, è
ormai uno dei suoi ultimi lavori.
All’interno vi è anche un suo saggio, “Fuori Gioco”, in cui cerca di
esaminare i punti di contatto tra
videogames e produzione artistica
contemporanea.
Fino a pochi giorni prima della
sua scomparsa Matteo collabora,
essenzialmente come opinionista,
per X-Box Magazine Ufficiale,
Giochi per il mio Computer e
PlayNation2 Magazine (dove cura le rubriche MediaLetture, Media
Anime&Manga e Media Speciale
DVD), oltre che per Cineforum, la
già citata [duel] e UltraTomato,
una rivista di “club culture”.
Inoltre, sempre insieme a Gianni
Canova, cura la collana Ludologica: Videogames d’autore, una
serie di libri in cui vengono “letti,
interpretati, discussi e ripercorsi
con occhio critico i più grandi videogiochi e le serie della storia” e di
cui dovrebbe uscire il primo numero in questi giorni. Altro progetto è
Sim/iotic@, rivista che “si propone
di dare spazio e visibilita' alla critica
videoludica piu' intelligente e, allo
stesso tempo, ripensarne la valenza
teorica”, anch’essa di prossima uscita. Ludologica e Sim/iotic@
sono tentativi ambiziosi e del tutto
originali di introdurre una critica del
videogioco di stampo accademico
nel panorama italiano, promesse di
quella silenziosa rivoluzione che
attendiamo da tempo. Ma, ovviamente, sono tutti progetti sospesi
fino a che il Filosofo più amato dai
videogiocatori non tornerà.
Ma tornerà? Il fratello Gianandrea è sicuro: “o è in California, o a
Ring#06
Londra, o a Sim City”. Ma poi aggiunge, commosso: “Matteo è una
persona molto intelligente, sensibile
e generoso. Lo ammiro molto.”
Quasi si parlasse di un defunto. E
già, perché è solo la speranza ormai a restare viva. La stessa moglie Margot, pochi minuti prima che
questo pezzo fosse messo online, ci
ha chiamato in redazione perché ci
tiene a far sapere che suo marito “è
una persona geniale, ma molto
modesta, di produttività irreale,
sempre pieno di nuove idee e progetti, non smette mai di imparare,
è un perfezionista e non è mai soddisfatto di quello che fa, lavora tanto, ma sa anche divertirsi, perde la
testa per la Juve, è un uomo del
futuro, molto avanti nel tempo, per
cui a volte si perde nel tempo e
nello spazio, vuole essere il migliore e lo è sicuramente, almeno secondo me...Posso continuare per
giorni, comunque, credo che sia
sufficiente.” La voce strozzata dalle
lacrime a stento non fa commuovere anche noi.
Quella della sfasatura temporale
sembra essere una costante nelle
dichiarazioni di parenti ed amici.
Bruno Fraschini nota che “non ha il
senso del tempo. Quando si sposta a Milano è inconsapevolmente
convinto che la metropolitana sia
un teletrasporto e che per percorrere tutta la linea rossa ci vogliano al
massimo 3 minuti.” Anche Biomassa, amico di lunga data, è di questa
opinione: “è in grado di dare a tre
persone d iverse appuntamento alla
stessa ora in tre luoghi differenti. Il
peggio è che poi si dichiara apertamente estraneo ai fatti. E' in grado di invitarti a una festa, dimenticarsi di darti gli estremi per parteciparvi e poi chiederti perché non
sei andato...”. E, partendo da queste considerazioni, prevede che
Matteo si sia “disperso nella Sala
Bingo di via Foppa, mentr e protestava silente contro il casino e le
numerose auto parcheggiate in
quarta fila davanti casa sua. Un'altra ipotesi affermerebbe che sia in
volo, su una mongolfiera, sopra i
cieli di Mosca a riempirsi di Vodka
cercando l'ispirazione per il suo
nuovo libro. Notoriamente Matteo
era astemio fino al giorno del suo
matrimonio, quando l'ormai effettivo suocero lo obbligò a festeggiare
48
filtrando un paio di galloni del mitico liquore Russo. Da quel giorno
non si è più ripreso...”
Tracce, idee, suggerimenti. Ma
nessuna prova. Il caso Bittanti è
destinato a durare ancora a lungo?
Un coro unanime lo invoca. Amici,
parenti, videogiocatori, fan, aficionados.
Matteo, torna a giocare con noi.
Bela lì.
P.S.: Sotto consiglio di Biomassa vi
invitiamo ad usare prudenza nel
caso doveste incontrare MBF per le
strade. “In particolare s tate attenti
–consiglia l’amico- se vi chiede di
assaggiare la sua "fenomenale" e
"buoniSSima" Vodka al peperoncino”. Uomo avvisato…
[1] Pubblicata da Jackson Libri ed
allegata in omaggio al n.63 (Ottobre 1999) di Super Playstation
Console
[2] La tesi è disponibile sul sito
www.gamasutra.com
Ringraziamo per la gentile collaborazione Biomassa, Gianni Canova,
Margot, Gianandrea e Marisa Bittanti, Orson Welles, Simone Crosignani, Steven Spielberg (per avergli messo in testa l’idea degli alieni), Bruno Fraschini, Massimo
Maietti, Riccardo Albini, Luca Maggiolini.
:Precisazione:
Sono giunte in redazione le
proteste di genitori imbufaliti
per i contenuti della poesia
Ode al Fiume pubblicata su
Ring#5, descritta da molti
come “pericolosamente celebrativa della violenza”. Qualcuno è arrivato a definire
l’autore del pezzo come “uno
psicolabile, di quelli che si mettono a scrivere intingendo il
pennino della stilografica nel
loro stesso sangue”.
Cristiano Bonora si scusa personalmente con coloro che si
fossero ritenuti offesi dal suo
garantisce che non si
renderebbe mai protagonista
del gesto folle di cui è stato accusato.
testo, ma
:RUBRICHE:
Ring#06
mUTI, sILENZI e pIGRE rOTELLE_____________________
[Il Davide Videoludico SEI]
di Nemesis Divina
Silenzio, parla il cervello del Davide: …
[continua]
49

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