1. La misura in psicologia

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1. La misura in psicologia
UNIVERSITÀ TELEMATICA INTERNAZIONALE
UNINETTUNO
FACOLTÀ DI PSICOLOGIA
Corso di Laurea in Discipline Psicosociali
Elaborato finale in
META-ANALISI SULLA VALIDITÀ DEI TEST
DIAGNOSTICI PER LA DISLESSIA
Relatore
Prof. ILEANA DI POMPONIO
Candidato
FRANCESCA DONDINI
Matricola 2051
Anno Accademico
2014/2015
INDICE
INTRODUZIONE ............................................................................................................................. 3
RINGRAZIAMENTI ........................................................................................................................ 3
1.
2.
LA MISURA IN PSICOLOGIA .............................................................................................. 4
1.1.
Variabili ........................................................................................................................... 4
1.2.
Indici statistici.................................................................................................................. 6
1.2.1.
Media ............................................................................................................................... 6
1.2.2.
Percentili .......................................................................................................................... 6
1.2.3.
Varianza e la deviazione standard.................................................................................... 7
1.3.
Errore di misura ............................................................................................................... 8
1.3.1.
Attendibilità ..................................................................................................................... 9
1.3.2.
Validità .......................................................................................................................... 10
1.3.3.
Rapporto tra attendibilità e validità................................................................................ 11
IL PROCESSO DI RICERCA................................................................................................ 11
2.1.
Domande di ricerca, ipotesi di ricerca, ipotesi statistiche .............................................. 11
2.2.
3.
4.
Raccolta dei dati ............................................................................................................ 12
I DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO (DSA) – LA DISLESSIA....................... 13
3.1
Fattori di rischio ............................................................................................................. 14
3.2
Prerequisiti per l’acquisizione delle abilità di lettura e scrittura .................................... 15
3.3.1.
Consapevolezza fonologica............................................................................................ 15
3.3.2.
Requisiti visivi per l’acquisizione delle abilità di lettura e scrittura ............................. 17
3.3
Osservazione preliminare delle prestazioni atipiche ...................................................... 19
3.3.1.
Scuola dell’infanzia ....................................................................................................... 19
3.3.2.
Scuola primaria ............................................................................................................. 20
3.4
Diagnosi dei Disturbi Specifici di Apprendimento ........................................................ 21
3.4.1.
Definizione dei criteri di inclusione/esclusione ............................................................. 28
3.5
Strumenti diagnostici ..................................................................................................... 29
3.5.1.
Prove di lettura MT-2 .................................................................................................... 29
3.5.2.
Batteria per la valutazione della Dislessia e della disortografia evolutiva – 2 ............. 35
3.5.3.
Usabilità dei testi - Prove di lettura .............................................................................. 37
3.6
Strumenti compensativi e misure dispensative .............................................................. 39
LA META-ANALISI – PARTE TEORICA .......................................................................... 41
4.1
Definizione dell’argomento di ricerca ........................................................................... 43
4.2
Definizione dei criteri di inclusione ed esclusione ........................................................ 43
4.3
Ricerca della letteratura ................................................................................................. 44
Francesca Dondini
1
5.
4.4
Selezione degli studi primari ......................................................................................... 45
4.5
Valutazione dell’affidabilità della selezione .................................................................. 46
4.6
Codifica degli studi primari ........................................................................................... 47
4.7
Effect size ...................................................................................................................... 47
4.8
Calcolo dell’effect size globale...................................................................................... 52
4.9
Definizione dei risultati ................................................................................................. 54
4.10
Verifica di eterogeneità.................................................................................................. 55
4.11
Publication bias.............................................................................................................. 56
4.12
Pubblicazione di una meta-analisi ................................................................................. 58
META-ANALISI SUGLI STRUMENTI DI DIAGNOSI PER LA DISLESSIA .................. 60
5.1
Definizione dell’argomento di ricerca ........................................................................... 60
5.2
Definizione dei criteri di inclusione ed esclusione ........................................................ 62
5.3
Ricerca della letteratura ................................................................................................. 63
5.4
Selezione degli studi primari ......................................................................................... 71
5.5
Valutazione dell’affidabilità della selezione .................................................................. 72
5.6
Codifica degli studi primari ........................................................................................... 72
5.7
Effect Size...................................................................................................................... 73
5.8
Calcolo dell’effect size globale...................................................................................... 78
5.9
Definizione dei risultati ................................................................................................. 79
5.10
Verifica di eterogeneità e publication bias..................................................................... 80
6.
CONCLUSIONI ..................................................................................................................... 80
7.
BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................... 83
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2
Introduzione
Questo lavoro nasce da una particolare curiosità sui disturbi specifici
dell’apprendimento, un aspetto molto studiato soprattutto in questi ultimi anni ma per
il quale non si hanno ancora certezze sulle cause e sulle possibili riabilitazioni.
Mi sono concentrata principalmente sulla meta-analisi dei test diagnostici in quanto a
quelli, ho potuto ricondurre tutte le conoscenze attualmente espresse sul disturbo.
Dalla struttura del processo diagnostico scaturiscono infatti le caratteristiche che
identificano la presenza di dislessia in un bambino, le funzioni che sottendono le
difficoltà riscontrate e di conseguenza le procedure di rinforzo che possono essere
messe in atto. Quindi nella diagnosi ho ritrovato una centralità che a mio parere mi ha
permesso di avere una visione globale della dislessia evolutiva. Inoltre, l’analisi degli
strumenti diagnostici mi ha fatto emergere una serie di quesiti sulla presenza di altre
variabili che in realtà non vengono misurate o isolate, ma che possono notevolmente
incidere sul livello prestazionale della lettura. Questo aspetto ha delineato la mia
ipotesi di ricerca che ho esplicitato nella parte centrale del lavoro e ripreso nella
conclusione.
Proprio per evidenziare questo percorso, il lavoro affronta una prima parte di
introduzione su quelle che sono le nozioni statistiche utili per il lavoro di meta-analisi
che ho fatto, con un breve accenno nella seconda parte, sulle peculiarità e prassi del
processo di ricerca. Nel terzo capitolo sono state riportate tutte le informazioni
raccolte sui disturbi specifici dell’apprendimento, con particolare attenzione alla
dislessia. Questa focalizzazione è stata necessaria per permettermi di applicare una
meta-analisi chiara e snella, utile a comprendere con attenzione i passaggi che la
rendono una sintesi statistica così efficace. Un lavoro similare potrebbe infatti essere
svolto anche sugli altri disturbi specifici dell’apprendimento, per i quali tra l’altro
esistono ancora meno evidenze scientifiche. Successivamente ho esplicitato tutti i
passaggi per effettuare una vera e propria meta-analisi, mettendoli in pratica sugli
studi primari disponibili in ambito di diagnosi e riabilitazione della dislessia
evolutiva.
Ringraziamenti
Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato nel raggiungimento di questo
obiettivo, concretizzatosi con la realizzazione della presente Tesi. In particolare il
primo ringraziamento va alla Dottoressa Ileana Di Pomponio, che con il suo
entusiasmo, è riuscita ad accendere una vera e propria passione per la materia trattata
ma soprattutto mi ha trasmesso la fiducia nell’ approcciarmi ad una ricerca
sperimentale.
Un particolare ringraziamento va a tutta la mia famiglia, che con pazienza mi ha
supportato in questo progetto e a cui dedico questo lavoro con tutto il cuore.
In ultimo vorrei esprimere la mia riconoscenza a tutti gli amici che mi hanno dato la
forza di iniziare e portare avanti questo proposito condendo quest’esperienza con
allegria e positività.
Francesca Dondini
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1. La misura in psicologia
In psicologia come per le altre scienze, esiste la necessità di descrivere il proprio
oggetto di studio attraverso una quantificazione delle misure. Misurare significa
assegnare valori numerici ad oggetti ed eventi secondo regole che ne consentano di
rappresentare le proprietà. La base di misurazione in psicologia è l’osservazione del
comportamento e l’obiettivo è cercare di quantificare le osservazioni del
comportamento che sono oggetto di studio. Ad esempio, per misurare l’aggressività,
dovrà essere definito che cosa s’intende per aggressività e a quale teoria si fa
riferimento, per poi specificare cosa si osserverà nel comportamento ed infine,
stabilire come quantificare i dati emersi dall’osservazione.
Tutte le osservazioni del comportamento conducono a quattro tipi di misure:
 la latenza che è l’intervallo di tempo che intercorre tra la presentazione di uno
stimolo ed il verificarsi di uno specifico evento;
 la frequenza, data dal numero di volte che si presenta un determinato evento in
uno specifico lasso di tempo;
 la durata che è la quantità di tempo che il singolo comportamento viene
mantenuto;
 l’intensità che è data dalla più alta frequenza del dato registrato.
Qualunque tipo di misurazione si basa sulla teoria della misurazione di Stevens
(1946) 1: «… si può giungere ad un accordo su cosa sia la misurazione se riconosciamo che
la misurazione si presenta sotto differenti forme e che le scale di misura rientrano in alcune
specifiche classi, determinate dalle operazioni empiriche richieste dal processo di
misurazione e dalle proprietà formali delle scale […] il fatto che si possano assegnare dei
numeri seguendo regole differenti porta a differenti tipi di scale. Il problema diventa rendere
esplicite: le regole per l’assegnazione dei numeri; le proprietà matematiche delle scale che ne
risultano; le operazioni statistiche applicabili alle misure effettuate per ciascun tipo di scala».
Per cui è possibile collegare la realtà a categorie o numeri attraverso un insieme di
regole che se rispettate, consentono di misurare i fenomeni psicologici e sociali in
maniera corretta. Abbiamo quindi:
 La realtà – intesa come sistema relazionale empirico sul quale vengono definite
delle relazioni;
 Le categorie – intese come sistema numerico che deve riflettere le caratteristiche
del sistema empirico;
 Le regole – ossia funzioni di omomorfismo 2 che legano il sistema empirico con
quello numerico.
Misurare un sistema empirico significa costruire un sistema numerico in modo tale
che sia in una relazione di omomorfismo con il sistema empirico. All’interno del
processo di misurazione, il termine “variabile” indica qualsiasi caratteristica che può
assumere valori diversi e che quindi, teoricamente, si presume di poter misurare.
1.1. Variabili
L’ipotesi di ricerca da verificare è generalmente costituita da tipologie di variabili
differenti tra le quali si ritiene ci sia una connessione.
1
Stevens, ”On the Theory of Scales of Measurement”, in “Science”, vol. CIII, 1946, pp. 677-680
in algebra astratta è un’applicazione tra due strutture algebriche dello stesso tipo che conserva le
operazioni definite su di esse
2
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4
Nelle variabili quantitative, che assumono valori numerici, si distinguono:
 la variabile continua che può assumere un numero infinito di valori costituiti da
numeri interi o frazionari (es. il tavolo misura 1,58m);
 la variabile discreta che può assumere un carattere quantitativo attraverso un
numero finito di valori (es. in una famiglia non possono esserci 2,51 figli).
Nelle variabili qualitative, che non assumono valori numerici, si distinguono:
 la variabile ordinale i cui dati hanno un ordine;
 la variabile categorica costituita da elementi divisibili in categorie (es.
uomo/donna).
In base al ruolo che assume all’interno della sperimentazione, troviamo:
 la variabile indipendente, che si presume causi una modifica su altre variabili e
che può essere distinta ulteriormente in variabile manipolata, quindi attivamente
modificata dallo sperimentatore (come ad es. l’intensità della luce, le dosi di un
farmaco, ecc…) oppure non manipolata quindi composta da elementi non
modificati dallo sperimentatore (come il QI, l’appartenenza religiosa, ecc..);
 la variabile dipendente, ossia quella che si presume venga modificata dalla prima.
In base al ruolo di confusione che possono assumere sulle relazioni tra variabili,
distinguiamo:
 la variabile confusa che covaria con la variabile indipendente ed è
intrinsecamente legata ad essa (es. se voglio verificare la correlazione tra
isolamento e influenzabilità, l’errore potrebbe derivare da una terza variabile
correlata con l’isolamento, come la ruminazione cognitiva);
 la variabile confondente che confonde il legame tra le variabili covariando con la
variabile indipendente essendone intrinsecamente estranea (es. se voglio
verificare la correlazione tra l’atteggiamento conservatore e l’appartenenza
politica e per un errore di campionamento le persone di destra risultano avere
un’età media più giovane rispetto a quelle di sinistra, avrò un errore di misura
legato all’età delle persone coinvolte).
In base alla possibilità di osservazione, troviamo:
 la variabile latente che non può essere osservata ma di cui si ipotizza l’esistenza
per poter spiegare altre variabili direttamente osservabili;
 la variabile manifesta che risulta direttamente osservabile.
I dati codificati di una rilevazione statistica effettuata su n unità statistiche con
riferimento a più variabili, vengono raccolti in una tabella, definita “matrice dei dati”.
Tab. 1 esempio di matrice dei dati
Ogni riga rappresenta una UNITA’
STATISTICA
N.
1
2
…
N
Sesso
M
F
…
M
Titolo di studio
Licenza media inferiore
Laurea
….
Diploma
Ogni colonna rappresenta una
VARIABILE
Età
36
45
…
60
Peso
65
70
…
55
N. Ricoveri
3
1
…
6
La matrice dei dati contiene tutte le informazioni analitiche di ciascuna unità
statistica, ma l’analisi diretta della matrice, soprattutto se i dati contenuti sono molti,
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non consente di cogliere immediatamente gli aspetti salienti del fenomeno che si sta
osservando. Occorre perciò ottenere una sintesi attraverso un’elaborazione statistica.
1.2. Indici statistici
Gli indici statistici per sintetizzare una determinata caratteristica o per confrontare
situazioni differenti possono essere suddivisi in:
• Indici di tendenza centrale, che comprendono Media, Mediana, Moda, Quartili
e Percentili. Un indice di tendenza centrale è lo scalare che esprime
sinteticamente come si è manifestata la proprietà in esame nel campione
considerato. E’ il valore che meglio rappresenta una distribuzione di dati
quantitativi misurati su scale metriche, come ad esempio il valore più frequente,
oppure il valore che occupa una posizione intermedia nella distribuzione.
• Indici di dispersione, che comprendono Campo di variazione, Scarto medio
assoluto, Varianza, Deviazione Standard e Coefficiente di variazione. Un indice
di dispersione restituisce uno scalare con cui si valuta la diversità esistente tra le
osservazioni.
• Indici di forma, che comprendono Coefficiente di asimmetria e Coefficiente di
curtosi. Gli indici di forma definiscono gli aspetti fondamentali relativi alla forma
della distribuzione.
E’ utile entrare più nel dettaglio solo degli indici che verranno ripresi in seguito nel
lavoro di meta-analisi.
1.2.1. Media
La media aritmetica è data dalla somma delle misure osservate diviso il numero delle
osservazioni fatte:
� = ∑ Xi
X
N
Calcolo della media
� = media
X
∑ X1 = sommatoria di tutti i risultati raccolti
N = numero totale dei casi raccolti
Es. se avrò raccolto su 10 persone un punteggio di gradimento su un determinato
servizio che va da 1 a 5, potrei avere a disposizione i seguenti dati:
3,4,2,5,1,4,2,3,4,5. La media sarà quindi rappresentata da:
�
X=
(3+4+2+5+1+4+2+3+4+5)
10
=
33
10
= 3,3
1.2.2. Percentili
I percentili sono misure che dividono una distribuzione ordinata in 99 punti e quindi
100 parti uguali, dove ogni parte contiene la stessa frazione di osservazioni.
Considerando un campione di n dati, ordinati in maniera crescente, l’indice del kesimo percentile è dato da:
𝐼𝐼𝑘𝑘 = (n+1)×k /100.
Calcolo del percentile
Dall’indice si ricava quindi il valore esatto con un’interpolazione lineare tra i due dati
(con indici pari all’intero prima e dopo di 𝐼𝐼𝑘𝑘 )
Ad esempio n=14 dati 𝑥𝑥𝑖𝑖 . Calcoliamo il 23-esimo percentile.
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6
23
=
100
I23 = (14+1)×
3.45
Il valore del 23-esimo percentile sarà compreso tra il 3° ed il 4° dato (𝑥𝑥3 e 𝑥𝑥4 ).
Numericamente vale x3 + (x4 – x3 ) × 0.45 (interpolazione lineare).
1.2.3. Varianza e la deviazione standard
La varianza è un indice della distanza media dei diversi punteggi dalla media dei
campioni misurati. E’ data dalla media dei quadrati degli scostamenti dalla media ed
è rappresentata con il simbolo S 2 .
S2 =
2
∑n
i=1(X1 −M)
N
Calcolo della varianza
Ad esempio, se abbiamo un campione n = 5 elementi ed i punteggi raccolti sono (-4, 1, 1, 2, 7), la media campionaria risulterà:
� = −4−1+1+2+7 = 1
X
Mentre la varianza campionaria sarà:
Sn2 =
5
(−4−1)2 +(−1−1)2 +(1−1)2 +(2−1)2 +(7−1)2
5
=
25+4+0+1+36
66
= =
5
5
13,2
La deviazione standard, o scarto quadratico medio, è un indice di dispersione
statistico, vale a dire una stima della variabilità di una popolazione di dati o di una
variabile casuale. E’ il secondo indicatore che rappresenta la dispersione dei dati
intorno al valore medio. Lo scarto tipo è uno dei modi per esprimere la dispersione
dei dati intorno ad un indice di
posizione, quale può essere, ad
esempio, la media aritmetica o una
sua stima. Lo scarto tipo ha
pertanto la stessa unità di misura
dei valori osservati (al contrario
della varianza che ha come unità di
misura il quadrato dell'unità di
misura dei valori di riferimento). Il
termine "standard deviation" è stato
introdotto in statistica da Pearson
assieme alla lettera greca (sigma)
che lo rappresenta. Il termine
italiano "deviazione standard" ne è
la traduzione più utilizzata nel linguaggio comune; il termine dell'Ente Nazionale
Italiano di Unificazione è tuttavia "scarto tipo", definito come la radice quadrata
positiva della varianza, la quale viene coerentemente rappresentata con il quadrato di
sigma (
).
1
N−1
DS (deviazione standard) = �
=�
(−4 −1)2 + (−1 −1)2 + (1 −1)2 + (2 −1)2 + (7 −1)2
4
= 3,5
=�
∑(xi – M)2
Calcolo della deviazione standard
10 + 2 + 0 + 1 + 36
49
=� =
4
4
�12,25
Mentre il punteggio medio non discrimina tra configurazioni che hanno una
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7
composizione meno distribuita da configurazioni con ampie differenze tra i punteggi,
la deviazione standard indica l’ampiezza delle differenze tra i punteggi.
1.3. Errore di misura
Quanto si esegue una misurazione possiamo compiere degli errori. In psicologia la
misurazione avviene attraverso l’utilizzo di strumenti come questionari e test, che
devono essere costruiti in modo da evitare gli errori di misurazione. Anche le
condizioni di somministrazione devono volgere verso questo obiettivo.
Pur utilizzando le maggiori attenzioni nel tentativo di eliminare l’errore, la misura
rimane un valore composto da due parti:
• Una componente vera = V che rappresenta la vera misura della caratteristica
• Una componente di errore = E che rappresenta l’errore di misura
in quanto non è possibile rappresentare numericamente con esattezza le caratteristiche
del Sistema Empirico (SE). Quindi SE = V + E sempre, assumendo che un valore x è
uguale alla somma di V ed E.
La componente E è a sua volta composta da:
l’errore casuale – dovuto all’effetto del caso, rappresentato in tutte le misure e
ineliminabile in quanto anche se lo strumento di misura che stiamo utilizzando è
preciso, è legato all’operazione stessa di misura. Questo errore tende a compensarsi
con la sommatoria delle misurazioni. Non è legato né alla quantità di caratteristica
che stiamo misurando né all’entità degli errori precedenti.
l’errore sistematico – deriva da una non perfetta taratura dello strumento o alla
distorsione che si opera passando dal sistema empirico al sistema numerico. Questo
errore tende a viziare la misurazione in quanto va verso una stessa direzione e prende
il nome di bias.
Proprio per prevenire e valutare la presenza di errori di misurazione si fa riferimento
all’attendibilità e alla validità.
Nella maggior parte dei casi in psicologia vengono misurati dei costrutti, cioè dei
concetti astratti che indicano un complesso della vita psichica che non risultano
osservabili direttamente, ma inferiti attraverso una serie di indicatori empirici
osservabili. Se non è possibile dare una definizione empirica del concetto psichico,
quindi esplicitare i suoi indicatori, quel concetto non può essere considerato un
costrutto. Il costrutto è generalmente estratto da una teoria più generale e deve essere
definito in modo operativo.
L’ indicatore è una variabile o una misura empirica che indica il costrutto non
osservabile, tramite una regola di corrispondenza. Il rapporto che esiste tra costrutto e
indicatore può essere di due tipi:
 riflettivo quando è una semplice manifestazione empirica del costrutto,
l’indicatore riflette il costrutto stesso (insultare qualcuno è una manifestazione
osservabile del costrutto dell’aggressività);
 formativo se contribuisce al costrutto (il costrutto dell’aggressività può essere
causato da indicatori quali “non trovo mai parcheggio sotto casa quando torno dal
lavoro”, “ho avuto un grave lutto in famiglia”). Gli indicatori in questo caso non
sono una manifestazione del costrutto ma lo determinano.
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8
Quando un indicatore è riflettivo risulta causato dal costrutto, quando invece è
formativo risulta esserne direttamente la causa. Questo comporta una diversa
considerazione degli errori e delle tecniche statistiche da applicare, infatti nel primo
caso si applicano le tecniche di analisi fattoriale, mentre nel secondo vengono
utilizzate tecniche di regressione.
La fonte principale di errore in psicologia è l’utilizzo di modelli inadeguati, esiste
però l’errore accidentale (o casuale) che fornisce un grado di incertezza sui risultati.
Ripetendo la stessa prova più volte sullo stesso soggetto, avrò sempre risultati diversi.
1.3.1. Attendibilità
L’attendibilità o affidabilità è la correlazione tra due o più misure indipendenti
all’interno dello stesso costrutto. Uno strumento di misura risulta attendibile quando
produce una misura di cui ci si può fidare, in quanto ha dato risultati coerenti in
occasioni simili. Se c’è un’alta correlazione tra le misurazioni indipendenti, questo
significa che durante le operazioni di misurazione sono stati commessi pochi errori.
Perciò l’attendibilità può anche essere definita come il grado in cui i punteggi dei test
sono liberi dalla componente di errore. Le componenti dell’attendibilità sono:
 Stabilità - si riferisce al grado di correlazione tra misurazioni dello stesso
costrutto avvenute in tempi diversi. Se si misura l’intelligenza di un individuo
non ci si aspetta delle variazioni di valore sostanziali ma solamente fluttuazioni
minime dovute agli errori casuali. Si parla di stabilità quando l’entità misurata su
uno stesso campione di persone, risulta la stessa in una seconda misurazione a
distanza di un certo lasso di tempo.
 Accuratezza - si riferisce invece al grado di corrispondenza tra il costrutto
misurato e la realtà. L’accuratezza implica la precisione, se una misura è accurata
allora sarà anche precisa, mentre se è precisa non sarà necessariamente accurata.
 Precisione - è il grado di sistematicità o coerenza con cui eseguiamo la
misurazione, perciò riguarda la coerenza interna della misurazione tra diversi
indicatori. Si parla di precisione quando proponendo in maniera diversa due
indicatori, come ad esempio due item differenti che costituiscono indicatori dello
stesso costrutto, si ottiene la stessa risposta.
L’attendibilità di uno strumento di misura viene definita come il rapporto tra la
varianza della parte vera e la varianza totale:
𝜎𝜎 2 (𝑉𝑉) 𝜎𝜎 2 (𝑉𝑉) − 𝜎𝜎 2 (𝐸𝐸)
𝜎𝜎 2 (𝐸𝐸)
𝑟𝑟𝑡𝑡𝑡𝑡 = 2
=
=
1
−
𝜎𝜎 2 (𝑋𝑋)
𝜎𝜎 (𝑋𝑋)
𝜎𝜎 2 (𝑋𝑋)
𝑟𝑟𝑡𝑡𝑡𝑡 = coefficiente di attendibilità
V= varianza del punteggio vero
E= varianza d’errore
X= varianza del punteggio osservato (totale)
Il limite minimo dell’attendibilità è zero, nel caso il punteggio osservato è composto
solo da errore; il limite massimo è 1, nel caso il punteggio osservato è totalmente
vero. Questo significa che se l’attendibilità di uno strumento di misura in una ricerca
risulta essere 0,95, il 95% della varianza di quella misurazione è vera e solo il 5% è
d’errore. Di conseguenza il test può essere considerato attendibile.
Per verificare l’attendibilità di uno strumento di misura esistono diverse forme:
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9
 Test re-test viene utilizzato per verificare la stabilità nel tempo delle risposte dei
soggetti o i cambiamenti nelle situazioni sperimentali;
 Forme parallele o equivalenti di uno strumento, che prevede la somministrazione
agli stessi partecipanti in un medesimo momento di due forme diverse dello
strumento per misurare lo stesso costrutto;
 Consistenza interna e split-half, che sono due metodi differenti per vedere se i
molteplici item che compongono lo strumento sono correlati tra di loro,
mostrando maggiore o minore eterogeneità nel contenuto;
 Consistenza interna di osservatori per misurare l’accordo tra loro in ciascuna
codifica eseguita. Questa procedura prende il nome di calibrazione.
1.3.2. Validità
La validità di uno strumento di misura è definita in generale come la sua capacità di
misurare ciò che dovrebbe misurare. In ambito psicologico, la definizione di validità
dello strumento coincide infatti con quella di validità di costrutto, in quanto lo
strumento di misurazione viene costruito sulla base di un costrutto di riferimento.
In modo più specifico è possibile suddividere la validità in diversi aspetti:
 Validità interna – si ha quando la relazione tra due variabili è di tipo causale,
quindi è possibile dimostrare che le modifiche della variabile indipendente (Vi)
causano quelle della variabile dipendente (Vd) e non dipendono né dal caso né
dall’interazione con variabili terze. Per essere causale, la relazione tra Vi e Vd
deve rispettare due requisiti,
• deve essere un effetto che va verso una determinata direzione, che fornisce la
certezza che la manipolazione della variabile indipendente è causa dei
cambiamenti di quella dipendente e non viceversa. Questo viene dedotto
dalla sequenza temporale, se la manipolazione della variabile indipendente
precede il cambiamento di quella dipendente, si può ragionevolmente
supporre che la prima influisce sulla seconda;
• devono essere esclusi i fattori di confusione, che comporta un controllo su
tutte le variabili che potenzialmente sono in grado di influenzare la relazione
causale.
Per garantire una validità interna, è necessario creare procedure sperimentali atte
ad eliminare tutte le possibili minacce nell’analisi della relazione causale.
 Validità esterna – che riguarda la legittima applicabilità dei risultati a soggetti,
situazioni, tempi e luoghi diversi da quelli sperimentali. In altri termini, consiste
nel poter generalizzare le conclusioni di una sperimentazione. Nel caso la
correlazione tra variabili sia confermata dalla validità interna, attraverso la
validità esterna viene verificato se è mantenuta anche in condizioni diverse da
quelle sperimentali.
Un metodo che può essere utilizzato per verificare la validità esterna prende il
nome di ripetizione sistematica e consiste nel ripetere la sperimentazione
modificando sistematicamente una o più variabili. Questo metodo risulta
sicuramente il più semplice ed efficace ma anche piuttosto dispendioso in termini
di tempo e quindi meno utilizzato. Nella prassi corrente la verifica avviene
tramite la rappresentatività dei soggetti sperimentali che determina la validità di
popolazione e la ripetizione dell’esperimento a distanza di tempo che determina
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la validità temporale.
 Validità di costrutto – che rappresenta il grado di capacità della misurazione
messa in atto, di misurare quello che intende misurare. Far corrispondere un
indicatore osservabile ad una nozione latente come il costrutto, significa eseguire
una definizione operazionale. L’operazionismo costituisce un momento cruciale
nella fase di passaggio tra teoria e mondo reale, perché specifica le operazioni
che legano l’astratto all’empirico. E’ necessario quindi domandarsi sempre se sia
legittimo supporre che il risultato ottenuto per mezzo di un indicatore particolare,
corrisponda alla nozione latente da cui si è partiti.
 Validità statistica – che controlla se i risultati della ricerca sono dovuti alla
manipolazione della variabile indipendente oppure a variazioni casuali. Questo
concetto risulta strettamente legato a quello di validità interna, avendo lo scopo di
verificare se il rapporto tra le variabili sperimentali è di tipo causale o casuale. La
validità statistica può avere luogo solo dopo la raccolta dei dati e quindi non
possiede un potere predittivo, ma può indicare se esiste la necessità di modificare
le condizioni sperimentali e di controllo in successivi esperimenti.
 Validità ecologica – che definisce quanto i risultati possono essere rapportati a
situazioni di vita reale. Domandarsi se una relazione è generalizzabile a contesti
differenti come per la validità esterna, è diverso dal domandarsi se questa
relazione è rappresentativa di ciò che avviene nella realtà, ed è proprio questa
particolare sfera che viene verificata dalla validità ecologica, quindi quanto le
condizioni nelle quali è stato condotto l’esperimento e verificata la relazione tra
le variabili, sono riscontrabili nella vita quotidiana.
1.3.3. Rapporto tra attendibilità e validità
Attendibilità e validità sono due componenti fondamentali per eseguire una
misurazione adeguata. L’attendibilità ci assicura che le diverse misure siano coerenti
tra di loro, la validità che riflettano adeguatamente il costrutto che volevamo
misurare. Se una misura non risulta coerente con se stessa o stabile nel tempo, non
potrà neanche riflettere il costrutto che volevamo misurare o la realtà che volevamo
investigare. Perciò l’attendibilità è considerata un prerequisito della validità, senza di
essa una misura non può essere nemmeno valida.
2. Il processo di ricerca
2.1. Domande di ricerca, ipotesi di ricerca, ipotesi statistiche
L’identificazione di un problema teorico solleva una serie di quesiti più specifici che
guideranno l’intera ricerca. L’ipotesi di ricerca che ne consegue viene definita in
maniera ancora più specifica. Essa rappresenta una congettura che il ricercatore
proverà a verificare attraverso le relazioni esistenti tra variabili, espressa tramite il
sillogismo “se accade X allora si osserva Y”. La rappresentazione matematica di
questa affermazione condizionale è y = f (x).
L’ipotesi è intesa come un'affermazione che ha come oggetto, accadimenti nel mondo
reale, che si presta ad essere confermata o smentita dai dati osservati
sperimentalmente.
Il metodo con cui si valuta l'attendibilità di un'ipotesi è il metodo sperimentale.
Francesca Dondini
11
Quest'ultimo consiste nel determinare le conseguenze di un'ipotesi in termini di eventi
osservabili, e di valutare se la realtà effettivamente osservata si accorda o meno con
l'ipotesi su di essa fatta.
L’ipotesi di ricerca dà luogo a due ipotesi statistiche:
 L’ipotesi nulla (H0 ) che afferma la mancanza della relazione tra variabili o la
mancanza dell’effetto ipotizzato.
 L’ipotesi alternativa (H1 ) che afferma la presenza di tale effetto.
Le due ipotesi si escludono reciprocamente, se è vera una, l’altra è obbligatoriamente
falsa.
2.2. Raccolta dei dati
Esistono diversi modi per raccogliere evidenze atte a fornire risposte alla domanda di
ricerca o verificare l’ipotesi di ricerca formulata: i test, l’osservazione del
comportamento, l’analisi del contenuto, l’intervista, i questionari, le misure
fisiologiche e neuropsicologiche oppure come in questo caso, svolgere una metaanalisi su studi primari già effettuati.
Questo lavoro si concentra sulla modalità di utilizzo dei test diagnostici ed in
particolare quelli che riguardano la verifica della dislessia, affiancata dai metodi
osservativi utilizzati per la diagnosi più specifica che avviene nelle prove di lettura.
L’analisi è stata svolta attraverso la verifica di dati raccolti in precedenti studi e
accorpati per fornire un campione di riferimento più ampio rispetto alle singole
analisi. Si tratta di una vera e propria analisi del contenuto volta ad estrarre le
informazioni prestazionali dei campioni utilizzati per verificare i test presi in
considerazione, per identificarne oggettivamente le caratteristiche. La grande qualità
della meta-analisi qui descritta, sta nell’accorpamento di studi differenti utili per dare
una maggiore eterogeneità al campione complessivo di riferimento.
I test psicologici hanno lo scopo di produrre una valutazione obiettiva di un soggetto
e in particolare quelli utilizzati per verificare la presenza della dislessia, hanno il fine
di formulare una diagnosi e progettare un trattamento. La diagnosi consiste nel
determinare la natura e la fonte del comportamento anormale di una persona e in
genere è il precursore di un trattamento.
Un test è composto da una serie di stimoli o item per poter raccogliere le
informazioni di interesse su un soggetto. Sulla base dei risultati ottenuti in un test,
vengono prese decisioni riguardo eventuali azioni educative o terapeutiche. Di
conseguenza, perché questi risultati possano essere considerati corretti, la
somministrazione dei test deve mantenere delle caratteristiche quali:
a) condizioni standardizzate;
b) stimoli standardizzati;
c) campione specifico di riferimento;
d) quantificazione o misurazione delle risposte.
E la taratura dello strumento deve essere stata eseguita su ampi campioni eterogenei e
rappresentativi della popolazione alla quale è orientato lo strumento.
I test psicologici possono dividersi in base:
- all’aspetto psicologico che viene indagato, che distingue
Francesca Dondini
12
•
-
-
Test cognitivi: che misurano le capacità del soggetto come ad es.
l’intelligenza, le attitudini, il profitto, ecc..
• Test non cognitivi: che misurano le preferenze ed i comportamenti abituali
come ad esempio la personalità o gli atteggiamenti.
al tipo di somministrazione, che raccoglie:
• Test collettivi: che vengono somministrati in gruppo e risultano meno
onerosi;
• Test individuali: che vengono somministrati individualmente e forniscono
più informazioni.
• Test verbali: che prevedono l’utilizzo del linguaggio;
• Test non verbali: che non lo prevedono;
• Test di velocità formati da prove di semplice risoluzione ma per le quali
viene lasciato un tempo molto limitato;
• Test di potenza formati da prove di crescente difficoltà.
al tipo di stimolo utilizzato, contrapponendo:
• Proiettivi: che forniscono stimoli non strutturati che costringono il soggetto
a “proiettare” fuori quello che ha dentro;
• Non proiettivi: che forniscono stimoli non ambigui.
3. I disturbi specifici di apprendimento (DSA) – la dislessia
La legge dell’8 ottobre 2010 n. 170 riconosce la dislessia, la disortografia, la disgrafia
e la discalculia come disturbi specifici di apprendimento. Il tipo di intervento previsto
dalla legge si focalizza sulla didattica individualizzata e personalizzata, sugli
strumenti compensativi, sulle misure dispensative e su adeguate forme di verifica e
valutazione, derogando l’alunno da alcune prestazioni richieste dalla scuola. Secondo
le ricerche attualmente più accreditate (APA, 19943; OMS, 1992 4; Lyon et al., 2003 e
in Italia nella Consensus Conference, 2007) i DSA sono di origine neurobiologica e
hanno una matrice evolutiva, mostrandosi come un’atipia dello sviluppo,
modificabile attraverso interventi mirati. Posto nelle condizioni di attenuare e/o
compensare il disturbo, il discente può raggiungere gli obiettivi di apprendimento
previsti, sviluppando stili di studio personali.
La caratteristica fondamentale dei DSA è la specificità: si tratta infatti di disturbi che
interessano uno specifico dominio di abilità in modo significativo ma circoscritto,
lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. I disturbi specifici si
distinguono dai disturbi non specifici di apprendimento, dicitura che si riferisce a una
difficoltà di apprendimento secondaria ad altri disturbi o deficit di tipo cognitivo e/o
psicopatologico e/o neurologico e/o sensoriale.
Da un punto di vista clinico, la dislessia si manifesta attraverso una minore
correttezza e rapidità di lettura a voce alta, rispetto a quanto atteso per età anagrafica,
classe frequentata e istruzione ricevuta, che rende la lettura nel complesso
3
APA - American Psychiatric Association 1994:
http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/summary?doi=10.1.1.289.3142
4
Diagnostic classification of psychiatric disorders and familial-genetic research Wolfgang Maier,MD
http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.289.3142&rep=rep1&type=pdf OMS, 1992 Convegno di Ginevra F81
Francesca Dondini
13
scarsamente fluente. Risultano più o meno deficitarie la lettura di lettere, parole, nonparole e brani, a seconda del profilo del disturbo e all’età del soggetto. In generale,
l’aspetto evolutivo della dislessia può farlo somigliare a un semplice rallentamento
del regolare processo di sviluppo. Tale considerazione è utile per l’individuazione di
eventuali segnali anticipatori, fin dalla scuola dell’infanzia.
Le disfunzioni neurobiologiche alla base dei disturbi dell’apprendimento
interferiscono con il normale processo di acquisizione della lettura. I fattori
ambientali – rappresentati dalla scuola, dall’ambiente familiare e dal contesto sociale
– si intrecciano con quelli neurobiologici e contribuiscono a determinare il fenotipo
del disturbo e un maggiore o minore disadattamento del soggetto. Una maggiore
evidenza risulta infatti nella scuola primaria e secondaria di primo grado.
L’espressività clinica è inoltre in funzione della complessità ortografica della lingua
scritta. Questa caratteristica, che differenzia le lingue opache come l’inglese, che
hanno una relazione complessa e poco prevedibile tra grafemi e fonemi, da quelle
trasparenti come l’italiano, che invece ne hanno una relazione prevalentemente diretta
e biunivoca, condiziona i processi utilizzati per leggere, gli strumenti di valutazione
clinica e i percorsi riabilitativi, non consentendo un diretto trasferimento dei dati
scientifici a livello internazionale.
Dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia vanno ad intaccate abilità differenti e
possono coesistere in una stessa persona, presentandosi in modo associato, definito
come comorbidità o comorbilità. In questo caso il disturbo risultante è superiore alla
somma delle singole difficoltà, poiché ognuno dei disturbi implicati nella comorbidità
influenza negativamente lo sviluppo delle abilità complessive. L’analisi delle
evidenze disponibili effettuata durante la Consensus Conference del 2007, ha
permesso di isolare due profili di comorbilità:
1. Tra DSA e disturbi da deficit dell’attenzione e iperattività (Mayes, 2000);
2. Tra dislessia e disturbi del linguaggio (Catts, 2005).
I DSA hanno un importante impatto sia a livello individuale, in quanto orientato
verso un abbassamento del livello curriculare conseguito e/o prematuro abbandono
scolastico, sia a livello sociale volgendo verso una riduzione della realizzazione delle
potenzialità sociali e lavorative dell’individuo.
La velocità di lettura viene misurata come il tempo di lettura di brani e liste di
parole/non parole, mentre la correttezza come numero di errori in lettura. Maggiori
dettagli sono riportati al capitolo dedicato alla “Diagnosi dei Disturbi”. La
comprensione del testo scritto non concorre alla formulazione della diagnosi di
dislessia, anche se fornisce indicazioni utili sull’efficienza del lettore e può dare
indicazioni rispetto all’interferenza funzionale e alla gravità del quadro clinico. In
letteratura internazionale, i soggetti che presentano problemi specifici nella
comprensione del testo, vengono definiti “cattivi lettori”. Il loro profilo linguistico è
diverso da quello del dislessico in quanto posseggono buone abilità fonologiche ma
basse competenze linguistiche sul versante sintattico e semantico.
3.1 Fattori di rischio
I fattori di rischio per i quali è stata riscontrata una correlazione positiva sono:
Francesca Dondini
14
-
-
L’esposizione a due anestesie generali entro il quarto anno di vita;
La presenza di disturbi del linguaggio (sono da considerare a rischio i bambini
che all’età di 5 anni cadono sotto il 10° centile a più di una prova di sviluppo del
linguaggio e che mantengono questo livello di prestazione fino agli 8 anni);
Il sesso maschile che è maggiormente soggetto alla presenza del disturbo (circa
2,5 volte in più rispetto alle femmine);
La familiarità con genitori dislessici.
Altre correlazioni sono segnalate ma presentano pochi studi a sostegno, come una
storia genitoriale di alcolismo o disturbo da uso di sostanze, il basso peso alla nascita
e la prematurità.
Quando si parla di popolazione a rischio si fa riferimento a due diversi scenari:
- un sottogruppo di popolazione destinato a maggiore prevalenza di disturbo, in
quanto portatore sia di fattori di rischio che di fattori predittivi, anche se non
secondo un rapporto causale, in quanto la loro rimozione non modifica il livello
di rischio. Un esempio è la consapevolezza fonologica, la cui associazione con
buone capacità di lettura è stata ampiamente indagata e dimostrata in numerosi
studi scientifici, ma per la quale la relazione causale con lo sviluppo di dislessia,
rimane ancora un’ipotesi non dimostrata, seppur probabile.
- un sottogruppo di popolazione che ha sviluppato una condizione pre-clinica
(quindi caratteristiche cliniche già in atto ma sotto soglia) che non soddisfa tutti i
criteri per una diagnosi franca e quindi non sufficiente a fare una dichiarazione di
DSA. L’obiettivo nell’individuazione di questo sottogruppo è quello di effettuare
interventi precoci, finalizzati a modificare la prognosi di disturbo.
3.2 Prerequisiti per l’acquisizione delle abilità di lettura e scrittura
Consapevolezza fonologica 5
La consapevolezza fonologica è un’abilità metalinguistica, in quanto implica la
riflessione sulle caratteristiche del linguaggio, ed è generalmente considerata molto
importante per il processo di apprendimento della lingua scritta, soprattutto all'inizio
del processo di alfabetizzazione (Scalisi, Pelagaggi & Fanini, 2003): per poter
acquisire la corrispondenza tra lettere (grafemi) e suoni (fonemi) è importante che il
bambino “pensi” alle parole come composte da tanti suoni, che possono essere
scomposti e ricomposti, e che sia in grado di riconoscere le somiglianze e le
differenze fonologiche tra le parole. La “non consapevolezza” della struttura interna
della parola può contribuire alle difficoltà del bambino nell’acquisire la
corrispondenza suono-lettera e dunque alla lentezza nel processo di apprendimento
del meccanismo di decodifica del testo scritto.
3.3.1.
La consapevolezza fonologica si caratterizza, inoltre, per essere un’abilità
multidimensionale, cui afferiscono compiti ed abilità di diversa difficoltà: alcuni
Autori come De Cagno, Mollo, Paloscia, Rossiello, Vagnoni & Ventimiglia (2003) e
Medeghini (2005) distinguono tra:
5
(PACSI – infantiae.org - http://www.pac-si.org/pacsi_cons_fono.asp)
Francesca Dondini
15
-
il livello "globale" (soprasegmentale), che riguarda la produzione e il
riconoscimento di rime, la segmentazione e la fusione di sillabe;
il livello "analitico" (segmentale) relativo all’elaborazione di fonemi, che si
suddivide ulteriormente tra consapevolezza fonologica “esplicita”, nella quale vi
è un controllo intenzionale sulle attività di riflessione svolte, e “implicita”,
presente in modo casuale quando i bambini fanno osservazioni sulla natura
fonologica del linguaggio.
Per meglio comprendere la "multidimensionalità" della consapevolezza fonologica, si
può fare riferimento ai numerosi compiti ideati per poter valutare tale capacità. In una
rassegna del 1988, Yopp ne individua 11: prove di riconoscimento di rime, compiti di
ricostruzione della parola intera a partire dai fonemi componenti o di segmentazione
della parola in fonemi, prove in cui è chiesto al bambino di contare i suoni che
compongono una parola, compiti in cui il bambino deve dire quale parola si ottiene
eliminando un fonema da una parola stimolo, compiti di individuazione del suono
iniziale o finale di parole, prove in cui si chiede al bambino se due parole contengono
o meno lo stesso suono. Tali compiti, così come altri ideati sempre allo scopo di
operazionalizzare l'abilità di consapevolezza fonologica, hanno in comune la richiesta
di compiere operazioni sulla forma fonetica della parola (Orsolini, 1999).
La scelta delle prove per la valutazione della consapevolezza fonologica deve tener
conto del fatto che lo sviluppo di tale abilità non è uniforme ma riflette il livello di
complessità delle diverse sotto-abilità afferenti a tale area cognitiva: la sensibilità alle
rime, ad esempio, si sviluppa precocemente e spontaneamente già a partire dai tre
anni di età (Medeghini, 2005), ed è considerata da alcuni autori un’abilità di tipo
“globale” che si configura come un fattore prognostico importante rispetto alla
successiva abilità nell’elaborazione della parola a livello fonemico (De Cagno, Mollo,
Paloscia, Rossiello, Vagnoni & Ventimiglia, 2003); la capacità di elaborare la parola
a livello dei fonemi, invece, è un’abilità fonologica di tipo “analitico” che, come
evidenziato da alcuni studi (ad es. Goswami & Bryant, 1990; de Jong & van der Leij,
2003), non si sviluppa spontaneamente prima dell’apprendimento della lettura e della
scrittura.
Una ricerca (Martini, Bello & Pecini, 2003) condotta su bambini italiani dai 4 ai 6
anni frequentanti la scuola dell’infanzia, sembra confermare l'eterogeneità dello
sviluppo delle diverse sotto-abilità di consapevolezza fonologica. I risultati indicano
che nei bambini prescolari sono presenti abilità di consapevolezza fonologica
"globale", quali la produzione di rime, la segmentazione e fusione sillabica, mentre le
prestazioni nei compiti che richiedono la segmentazione o la fusione di fonemi
(consapevolezza fonologica "analitica") sono basse. Come indicato da altre ricerche
(Goswami & Bryant, 1990; de Jong & van der Leij, 2003), la capacità di operare a
livello dei fonemi sembra essere potenziata proprio dalla ripetuta esperienza di
scomposizione e ricomposizione delle parole, imposta dai compiti di lettura e
scrittura con l’inizio della scolarizzazione. Consapevolezza fonologica e lingua
scritta, dunque, si rafforzano reciprocamente, in un rapporto di mutua influenza.
Entrando più dettagliatamente nel rapporto tra consapevolezza fonologica e
apprendimento della lingua scritta, una delle teorie più diffuse sulla dislessia
Francesca Dondini
16
evolutiva, l’ipotesi del nucleo fonologico (Phonological - core deficit, Stanovich,
1988), sottolinea che l’insuccesso nell’apprendimento della corrispondenza tra
grafemi e fonemi, necessario per imparare a leggere, è imputato al mancato sviluppo
della consapevolezza fonologica. I risultati di numerose ricerche (cit. in Caravolas,
Volin, & Hulme, 2005) confermano l'importanza della consapevolezza fonologica per
l'apprendimento delle abilità di letto-scrittura nei primi due anni di scolarizzazione.
Alcuni Autori (ad es. Landerl & Wimmer, 2000) tuttavia, limitano temporalmente
questa relazione alla fine del secondo anno di scuola primaria, mentre altri Autori (ad
es. Caravolas, Volin, & Hulme, 2005; de Jong & van der Leij, 2003) sottolineano che
la consapevolezza fonologica ha un ruolo importante anche negli anni successivi,
riscontrando difficoltà in questa abilità nei bambini con problemi di lettura anche in
fasi più avanzate di apprendimento. In generale, la letteratura sull'argomento afferma
che anche nelle lingue regolari 6 la Consapevolezza Fonologica è una delle abilità che
favorisce l'apprendimento della lingua scritta e che una difficoltà in tale area
cognitiva può, almeno nelle prime fasi, costituire un ostacolo nel percorso dei
bambini verso l'apprendimento della lettura e della scrittura. È importante, dunque,
valutare tale capacità con compiti adeguati per livello di difficoltà all'età dei bambini,
nonché promuovere interventi didattici a favore di un suo potenziamento, sia con
esercizi individuali sia con attività che coinvolgano l'intero gruppo classe.
Requisiti visivi per l’acquisizione delle abilità di lettura e scrittura 7
Definire un limite preciso vincolante dell’acuità visiva che permetta di fare diagnosi
differenziali certe tra dislessia e disturbo della vista in rapporto alla velocità di lettura
e all’accuratezza è molto complicato, in quanto esistono enormi variazioni individuali
tra i lettori ipovedenti 8. In letteratura non esistono studi che raffrontano con lo stesso
test diagnostico la velocità di lettura e l’accuratezza di soggetti con acuità visive
differenti da una parte e soggetti dislessici dall’altra. Ciò che è certo è che la
diminuzione dell’acuità visiva si accompagna ad una riduzione della velocità di
lettura (Chung 2001 9).
3.3.2.
L’acutezza visiva non è inoltre il parametro clinico che determina la velocità nella
lettura ma risulta più significativa la dimensione critica di stampa o critical print size
e cioè il più piccolo carattere che consente di mantenere la velocità massima di lettura
(Chung, 2001). Un normovedente mantiene una velocità massima di lettura fino a
caratteri che sottendono a grandezze di circa 0,2-0,1 logMAR 10, diminuendo queste
grandezze, la velocità di lettura decresce rapidamente.
6
trasparenti
Panel di aggiornamento e revisione della consensus conference dsa (2007)
8
3/4 di decimi in giù
9
Spatial-frequency and contrast properties of crowding, 2001 Vision Research Susana T.L. Chung a,*,
Dennis M. Levi b, Gordon E. Legge c
10
Unità di misura utilizzata in oculistica. Comprende file di lettere a dimensione differente utilizzato da
oculisti e scienziati della visione per valutare l'acuità visiva. Quando si utilizza il grafico LogMAR, l'acuità
visiva è segnato con riferimento al arithm registro del M MINIMO A ngle di Risoluzione, come il nome del
grafico suggerisce. Un osservatore che può risolvere i dettagli fino a 1 minuto di punteggi angolo visivo
LogMAR 0, dato che il logaritmo in base 10 di 1 è 0; un osservatore che può risolvere i dettagli piccoli come
2 minuti di angolo visuale (cioè, ridotta acuità) realizza LogMAR 0.3, dal momento che il logaritmo in base
10 di 2 è 0,3
7
Francesca Dondini
17
Nelle prove di lettura esistono molteplici variabili che devono essere prese in
considerazione, come ad esempio la grandezza del carattere o la distanza tra l’occhio
ed il foglio. In generale, per discriminare i problemi visivi dalle diagnosi per
dislessia, è indicato come limite i 4-5/10 nell’occhio migliore in quanto questo visus
permette una normale acquisizione del processo di lettura e semplicemente
avvicinando il testo, si può colmare il divario di acuità visiva 11.
Gli esami visivi utili per integrare i test per la dislessia riguardano anomalie che
possono disturbare la lettura da vicino oppure aggravare le performance di lettura e
sono:
- Eteroforia o eterotropia;
- Accomodazione;
- Vergenze;
- Ampiezze e riserve fusionali;
- Rapporto accomodazione – disaccomodazione – vergenze;
- Motilità oculare estrinseca;
- Acuità stereoscopica;
- Disparità di fissazione e della foria associata (facoltativo).
Risulta particolarmente importante nella rifrazione, l’esclusione dell’ipermetropia
media o elevata 12. E’ necessario specificare che non è presente una differenza
significativa della rifrazione tra soggetti dislessici e di controllo e non esiste una
correlazione tra il difetto rifrattivo e la performance di lettura intesa come capacità di
decodifica. Le insufficienze di accomodazione e di convergenza possono interferire
con la lettura ma non con il processo di decodifica. Disturbi della lettura legati a
disordini oculari (astenopia visiva, ipermetropia, ipoconvergenza, ipoaccomodazione)
possono simulare i sintomi della dislessia e infatti alcuni disturbi risultano presenti sia
nell’astenopia visiva che nella dislessia, quali il disturbo di convergenza (Stein),
divergenza (Kapoula) e accomodazione (Evans).
Agli esami sopra elencati, vanno integrati quelli visuo-percettivo-attentivo-spaziali
come l’acuità visiva, la sensibilità al contrasto13, la dominanza oculare comparata con
quella manuale, uditiva ed eventualmente quella degli arti inferiori, ecc…
E’ da sottolineare che svariati test risultano non inseriti all’interno delle direttive
presenti nella Consensus Conference DSA 2007, in quanto richiedono attrezzature
non presenti in tutti i centri di ricerca (es. motion onset-VEP, Eye-Gaze Tracking).
In ultimo vengono inseriti i test dell’oculomotricità, quali le saccadi e DEM
(Developmental Eye Movement Test 14), i movimenti lenti dell’inseguimento e la
fissazione.
Esistono ancora controversie sull’origine delle anomalie oculomotorie riscontrate nei
dislessici. In particolare, il pattern saccadico 15 osservato durante la lettura è
11
Chung “the effect of the dioptric blur on reading performance – Vision research 2007
Roggenkämper (1974): l’ipermetropizzazione di normolettori provoca un rallentamento nella lettura
causato dall’affaticamento indotto
13
Facoltativa in quanto i numerosi studi condotti hanno riportato risultati inconcludenti –Schulte, Körne
14 Non particolarmente adatto per soggetti dislessici in quanto il livello di attenzione può influenzare
l’accuratezza nell’esecuzione e il dislessico spesso presenta deficit attentivi (Coulter)
15
La forma disegnata dai movimenti oculari
12
Francesca Dondini
18
verosimilmente la conseguenza e non la causa della dislessia. Una conferma del fatto
che il deficit non è saccadico, è data dal fatto che il pattern saccadico migliora al
migliorare delle abilità di lettura. In letteratura sono presenti inoltre evidenze che non
sono richiesti movimenti oculari normali per lo sviluppo della lettura. 16 Un dato che
sembra essere riscontrabile nei dislessici è l’alterazione della stabilità di fissazione
(Leigh).
3.3 Osservazione preliminare delle prestazioni atipiche 17
Circa il 20% degli alunni manifestano difficoltà nelle abilità di base coinvolte dai
Disturbi Specifici dell’Apprendimento, di questi tuttavia solo il 3-4% risulteranno
realmente DSA (quindi circa uno 0,8% della popolazione). La stima della presenza di
bambini in età scolare con un disturbo di apprendimento in Italia è di circa il 4%, ne
consegue che un’altissima quantità di bambini non risultano segnalati ed identificati
(Ghidoni e Angelini, 2008).
Un ruolo di grande rilievo è rappresentato dagli aspetti emotivi, motivazionali e
relazionali. La formazione ha l’obiettivo di creare ambienti di apprendimento capaci
di sviluppare autostima. La valutazione deve concretizzarsi in una prassi che
discrimini fra ciò che potrebbe essere espressione diretta del disturbo e ciò che
esprime l’impegno dell’allievo e le conoscenze acquisite.
3.3.1.
Scuola dell’infanzia
La scuola dell’infanzia svolge un ruolo importante sia a livello preventivo, sia nella
promozione e nell’avvio di un corretto sviluppo del bambino. Occorre porre
attenzione a non precorrere le tappe dell’insegnamento della letto-scrittura, anche
sulla scia di dinamiche innestate in ambiente familiare o indotte dall’uso di strumenti
multimediali, escludendo impostazioni scolastiche che tendono a precocizzare gli
apprendimenti formali.
Già in questa fascia di età, il bambino che confonde i suoni, li sostituisce o li omette,
non completa le frasi, utilizza parole non adeguate al contesto e ha un’espressione
linguistica inadeguata, va supportato con attività di recupero. Il bambino goffo, che
possiede poca manualità fine, con una dominanza laterale non adeguatamente
acquisita, che fatica a distinguere la destra dalla sinistra, con difficoltà di
orientamento, che mostra difficoltà nei compiti di memoria a breve termine, deve
essere identificato e supportato in modo adeguato. Inoltre potranno essere monitorate
caratteristiche che si accompagnano ad attività specifiche come quelle di pregrafismo,
dove è possibile notare lentezza nella scrittura, pressione debole o eccessiva esercitata
sul foglio, discontinuità nel gesto, ritoccatura del segno già tracciato, direzione del
gesto grafico, occupazione anomala dello spazio nel foglio.
Per volgere verso un’ottica di inclusione si dovranno privilegiare metodologie
operative più che trasmissive, quindi dare importanza all’attività psicomotoria,
stimolare l’espressione attraverso tutti i linguaggi e favorire una vita di relazione
caratterizzata da ritualità e convivialità serena. La narrazione, l’invenzione di storie, il
loro completamento, la loro ricostruzione, senza dimenticare la memorizzazione di
16 Normal reading despite limited eye movements – Hodgetts1998
17
(Allegati al decreto ministeriale del 12 luglio 2011 – “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e
degli studenti con disturbi specifici di apprendimento”)
Francesca Dondini
19
filastrocche, poesie, nonché i giochi di manipolazione dei suoni all’interno delle
parole.
Attraverso gli esercizi di grafica, si lavora sulla motricità fine, sulla funzionalità della
mano e sull’organizzazione mentale, ovvero sul nesso tra l’assunzione immaginativa
di un dato e il suo tradursi in azione. Il bambino infatti non “copia” le forme ma le
elabora mentalmente. Nel disegnare una forma sul foglio, egli fa riferimento ad un
tracciato immaginativo interno, frutto di una rappresentazione mentale: la forma
grafica, che poi diverrà segno grafico della scrittura, viene costruita mediante una
pluralità e una complessità di atti che portano alla raffigurazione di una immagine
mentale.
Il linguaggio è il migliore predittore delle difficoltà di lettura, per questo è bene
proporre ai bambini esercizi linguistici come le “operazioni meta-fonologiche”, sotto
forma di giochi. A livello sillabico possiamo avere esercizi che chiedono ad esempio
di scandire la parola cane in ca-ne.
3.3.2.
Scuola primaria
All’inizio della scuola primaria comincia l’insegnamento vero e proprio della lettoscrittura. Nel metodo di insegnamento-apprendimento della stessa è importante
sottolineare che la letteratura scientifica più accreditata sconsiglia il metodo globale,
essendo dimostrato che ritarda l’acquisizione di una adeguata fluenza e correttezza di
lettura. Per andare incontro al bisogno educativo degli alunni e soprattutto quelli con
DSA, si potrà utilizzare il metodo fono-sillabico, oppure quello puramente sillabico.
Si tratta di approcci integrati che possono essere utilizzati in fasi diverse.
Se l’alunno mostra difficoltà nella consapevolezza fonologica delle lettere, sarà più
utile iniziare con i fonemi continui, cioè quei fonemi che per la loro durata e le loro
caratteristiche acustiche risultano più facilmente individuabili come: le consonanti
nasali (m, n); le consonanti liquide (l, r); i suoni labiali (b, p); i suoni dentali (d, t).
In ogni caso, qualsiasi metodo si adotti, sarebbe auspicabile iniziare con lo stampato
maiuscolo, la forma di scrittura percettivamente più semplice, in quanto articolata su
una sola banda spaziale delimitata da due righe (scrittura bilineare), tutte le lettere
hanno infatti la medesima altezza, iniziando dal rigo superiore e terminando in quello
inferiore. Lo stampato minuscolo ed il corsivo invece sono forme di scrittura
articolate su tre bande spaziali, in cui le linee di demarcazione sono quattro (scrittura
quadrilineare). Si dovrebbe quindi evitare di presentare al bambino una medesima
lettera espressa graficamente in più caratteri (stampato maiuscolo/minuscolo/corsivo)
ma soffermarsi solo su una di queste modalità fino a che l’alunno non abbia acquisito
una sicura e stabile rappresentazione mentale della forma di quella lettera.
Per individuare un alunno con un potenziale Disturbo Specifico di Apprendimento,
può essere sufficiente l‘osservazione delle prestazioni negli ambiti di apprendimento
interessati nella lettura, scrittura e calcolo. Ad esempio, per quanto concerne la lettura
è possibile verificare il permanere di una lettura sillabica ben oltre la metà della prima
classe primaria, una tendenza a leggere la stessa parola in modi diversi nel medesimo
brano o la perdita frequente del segno o della riga. Eventuali evidenze positive
Francesca Dondini
20
dovranno essere oggetto di attività di recupero e potenziamento.
La diagnosi di DSA può essere formulata con certezza alla fine della seconda classe
della scuola primaria, quando il bambino ha già superato il periodo di insegnamento
della letto-scrittura, in quanto eventuali verifiche fatte prima non garantiscono
un’attendibilità dei risultati.
3.4 Diagnosi dei Disturbi Specifici di Apprendimento 18
I manuali diagnostici internazionali e in Italia il Documento della Consensus
Conference del 2007, si sono posti l’obiettivo di fissare la soglia oltre la quale la
discrepanza tra prestazione standard e non, viene definita “disturbo”. Per descrivere
questa discrepanza, oltre al termine disturbo, utilizzato nei sistemi di classificazione
dei Disturbi Mentali DSM 19 e ICD 20, vengono impiegati anche i termini “disabilità” e
“differenza”. Ognuno di questi corrisponde ad una concettualizzazione diversa in
base all’interpretazione della sua natura. Le tre concettualizzazioni non sono in
antitesi tra loro ma esprimono aspetti diversi di una stessa realtà e differiscono nei
termini che la designano, per offrire uno stimolo per un’azione diversa e specifica.
Dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia possono essere definite
“caratteristiche” dell’individuo fondate su una base neurobiologica. L’uso di questo
termine può favorire nell’individuo e in chi ci entra in contatto, una rappresentazione
non stigmatizzante del funzionamento delle persone con difficoltà di apprendimento,
indirizzando inoltre verso un approccio pedagogico che valorizzi le differenze
individuali. Il termine “disabilità” ha uno scopo etico di protezione sociale; è utile
quando viene utilizzato per rivendicare un diritto di pari opportunità nell’istruzione.
In presenza di prestazioni significativamente al di sotto dei valori normativi in prove
di lettura e scrittura, devono essere attivati interventi di recupero sia da parte della
scuola che da parte della famiglia. In presenza di ulteriori indicatori di rischio quali la
famigliarità o prestazioni fortemente deficitarie in prove sulle abilità
metafonologiche, è possibile attivare interventi riabilitativi. In considerazione dei
recenti sviluppi della ricerca internazionale, che prevede la risposta al trattamento
(RTI) come possibile criterio diagnostico per i DSA, anche la permanenza di
difficoltà significative dopo un periodo di intervento, può essere considerato un
criterio aggiuntivo che può portare alla formulazione di una diagnosi anticipata
rispetto ai tempi standard.
Attualmente non risultano disponibili test di diagnosi genetica, ma visti i dati di
possibile correlazione, è consigliato agli addetti ai lavori di cercare di attivare studi
collaborativi nazionali e internazionali di campionamento, che potranno essere utili
per individuare le basi genetiche della dislessia e arrivare ad un test di diagnosi di
suscettibilità genetica oltre che a una maggiore conoscenza delle basi biologiche
corrispondenti. Questo aspetto è trattato anche all’interno del DSM-5.
18
Allegati al decreto ministeriale del 12 luglio 2011 – “dislessia ed epilessia” – Salvatore Arcieri, Nicoletta
Zanotta, Claudio Zucca – U.O. di Neurofisiopatologia I.R.C.C.S. E.Medea Bosisio Parini Lecco;
“Raccomandazioni cliniche sui DSA”1 febbraio 2011 – documento d’intesa elaborato da parte del Panel
della Consensus Conference DSA 2007
19
DSM IV (315 disturbi dell’apprendimento)
20
ICD 10 (F81 disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastice)
Francesca Dondini
21
E’ necessario che nell’inquadramento del disturbo dell’apprendimento, sia escluso un
deficit organico sensoriale, quindi per tutti i soggetti nei quali è stato individuato un
disturbo nell’apprendimento della lettura e/o dell’ortografia, è necessario eseguire
una valutazione delle funzioni sensoriali coinvolte. Questi esami dovranno essere
effettuati nel momento in cui viene eseguita la diagnosi di dislessia per evitare di
identificare come DSA eventuali soggetti affetti da altri deficit.
Il processo clinico 21 di formulazione diagnostica 22 riconosciuto dalla comunità
scientifica è composto dalle prove di seguito riportate.
Appendice “A.1” Protocollo di valutazione per alunni con
sospetto DSA
Classe
III, IV e V classe
scuola primaria
Scuola secondaria di I
grado
Scuola secondaria di II
grado
Colloquio anamnestico
orientato alla
individuazione di fattori di
rischio, di segni e sintomi
di DSA
Prove-MT
avanzate
(2010) IRCCS Santa
Lucia (2005) TintoriStella (2007)
Colloquio
anamnestico
Colloquio anamnestico
orientato alla
individuazione di fattori di
rischio, di segni e sintomi
di DSA
Colloquio anamnestico
orientato alla
individuazione di fattori di
rischio, di segni e sintomi
di DSA
Lettura
Prove-MT (1998)
DDE-2 (2007)
Prove-MT (2002)
DDE-2 (2007)
Comprensione Brano-MT (1998)
Brano-MT (2002)
Brano MT-avanzate (2010)
DDE-2 (2007)
DDO (2008)
Batteria per la valutazione
della scrittura e
competenza ortografica
(2000)
Scrittura
Ortografia
DDE-2 (2007)
DDO (2008)
Batteria per la valutazione
della scrittura e
competenza ortografica
(2000)
Scrittura
Grafia
Batteria per la valutazione
della scrittura e
competenza ortografica
(2000) BHK (2011)
DGM-P (2012)
Calcolo
AC-MT 6-11 (2002)
BDE (2004)
SPM (1998)
AC-MT 11-14 (2003)
BDE (2004)
SPM (1998)
AC-MT avanzate (2010)
Competenze
cognitive
WISC-III, 2006
WISC-IV, 2012
Leiter R, 2002
WISC-III, 2006
WISC-IV, 2012
Leiter R, 2002
WISC-III, 2006
WISC-IV, 2012
WAIS-R (1997)
Leiter R, 2002
21
“Raccomandazioni cliniche sui DSA” – documento d’intesa elaborato da parte del Panel di
aggiornamento e revisione della Consensus Conference DSA 2007 – P.A.R.C.C.Bologna 1 febbraio 2011
22
processo clinico che ha lo scopo di prospettare un percorso fra l’enunciazione dei problemi e/o la loro
classificazione diagnostica
Francesca Dondini
22
Appendice “A.2” Modello di certificazione per Disturbi specifici
dell’apprendimento (DASp) ai fini dell’applicazione delle
misure previste dalla Legge 8 ottobre 2010 n.170
1)DATI ANAGRAFICI
2)RELAZIONE CLINICA STRUTTURATA (I parte)
a) Data di redazione
b) Motivo della richiesta della valutazione
c) Valutazione intellettiva cognitiva e neuropsicologica
d) Esame neurologico e valutazione psicopatologica
e) Valutazione abilità di lettura e scrittura ed eventualmente delle funzioni
linguistiche orali
f) Valutazione delle abilità logico-matematiche ed eventualmente delle funzioni
cognitive non verbali
g) Altro: eventuali altri approfondimenti
h) Conclusioni diagnostiche (con indicazione dei codici nosografici di
riferimento secondo ICD-10-2010
i) Indicazioni di intervento (strumenti compensativi e misure dispensative
RELAZIONE CLINICA STRUTTURATA (II parte dati da non divulgare alla scuola):
Strumenti usati per la diagnosi
Prescrizione di eventuale controllo clinico
Cenni anamnestici (con particolare riferimento ai dati anamnestici di rilievo
nell’ambito dei DSA e ai possibili fattori di rischio), precedenti diagnosi cliniche,
precedenti trattamenti effettuati, familiarità per disturbi neuropsichiatrici e
neuropsicologici.
Griglia di riassunto dei dati rilevati (Appendice A.3).
Francesca Dondini
23
Appendice “A.3” Griglia riassuntiva dei dati rilevati alla
valutazione diagnostica- WISC-III e IV (da
allegare alla relazione clinica)
WISC-III
Subtests princip
Cifrario
QIT
Informazioni
Storie Figurate
QIP
Somiglianze
Disegno con cubi
QIV
Ragion. Aritmet.
Ric. di Oggetti
Comp. verbale-CV
Vocabolario
Subtests supplem
O. Percettiva-OP
Comprensione
Ricerca di Simboli
Libertà Distraib-LD
Compl. di Figure
Memoria di Cifre
Vel. Elaboraz.-VE
Labirinti
WISC-IV
Lettura brano: velocità
Subtests princip.
Riordinamento
Ragion. Aritmet.
Disegno con cubi
Ragionam, matrici
Ragion. Parole
Somiglianze
Comprensione
QIT
Memoria di cifre
Ricerca simboli
Elabor. Visiva-Gv
Concetti immagini
Subtests supplem.
Intell. Cristal-Gc
Cifrario
Compl. Figure
Intell. Fluida-Gf
Vocabolario
Cancellazione
Memoria a BT-Gsm
Informazione
Velocità di elab.-Gs
Dettato di brano
Dettato di frasi
Dettato di parole
Lettura
brano:accuratezza
Lettura parole:
accuratezza
Lettura non parole:
accuratezza
Dettato di non parole
Narrazione
Descrizione
Lettura parole: velocità
Lettura non parole: velocità
MT
Operazioni SC
Tempo TE
Accuratezza
Conoscenza N.
BDE
QIC
QIN
QIT
Francesca Dondini
24
Appendice “A.4” Pacchetto DayService
PACCHETTI PRESTAZIONI
Pacchetto A casi di minore
complessità
1 visita specialistica con eventuale attivazione del PACC:
5 valutazioni testologiche
1 colloquio psicologico clinico 1 consulto definito
complesso
Pacchetto B per casi complessi
1 visita specialistica con eventuale attivazione del PACC:
8 valutazioni testologiche
2 colloqui psicologici clinici
1 anamnesi e valutazione definita breve - esame neuro psicologico
clinico neuro comportamentale
1 consulto definito complesso
Pacchetto C controlli
1 visita specialistica
4 valutazioni testologiche
1 consulto definito complesso
Tab.2 Definizione delle procedure diagnostiche, all. A - riferimenti costituiti dalle raccomandazione riportate nel
PARCC (2011), dalla Consensus Conference (2011) e dalle Linee guida sulla dislessia (SINPIA, 2006)
Per la definizione del funzionamento intellettivo generale è consigliabile utilizzare
dei test multicomponenziali, anche se è possibile affidarsi a quozienti monocomponenziali come la scala Leiter o le Matrici Progressive di Raven. Il quoziente
totale non deve essere inferiore al valore 85. Nel caso questo avvenga, è necessario
prevedere l’applicazione del test WISC (almeno 3 subtest della scala verbale) il cui
risultato non deve essere inferiore al valore 85 o a 7 nella media dei punteggi
ponderati, per soddisfare i criteri di inclusione. Per i bambini di età inferiore a otto
anni, per i quali non è scontata l’acquisizione di abilità cognitive generali sufficienti a
sostenere gli apprendimenti formali, è necessario verificare il funzionamento
intellettivo verbale e di performance, per escludere quadri di immaturità globale
incompatibili con una diagnosi di DSA. In questi casi sarà possibile procedere alla
diagnosi solo se il QI misurato supera il valore 70. La diagnosi funzionale identificata
alla conclusione delle prove, deve includere una descrizione (in base a test
standardizzati) del funzionamento intellettivo verbale e non verbale, utile per definire
il trattamento da intraprendere ed eventuale facilitazioni da mettere in atto.
In considerazione dell’elevata comorbilità tra i diversi tipi di DSA, è sempre
opportuno verificare la possibile presenza di disturbi di apprendimento associati a
quello per il quale è avvenuta la segnalazione, nonché disturbi del linguaggio e
dell’attenzione. Inoltre, in presenza di dislessia, andrebbero indagate la memoria
verbale (soprattutto fonologica), l’attenzione (soprattutto visiva), il linguaggio (a tutti
i livelli di organizzazione), la denominazione rapida e le abilità metafonologiche
(accuratezza nelle prime classi e rapidità successivamente). La classificazione della
patologia in sottotipi risulta utile ai fini riabilitativi, didattici e prognostici. Per quanto
riguarda la dislessia vengono quindi presi in considerazione sottotipizzazioni basate
sulle diverse procedure di processamento (modello a una o due vie a seconda della
maggiore difficoltà nella lettura di parole o non parole), basate sui parametri di lettura
Francesca Dondini
25
(correttezza, velocità, tipologie di errore) e in ultimo, sui deficit di specifiche
sottofunzioni (fonologia, velocità di processamento, analisi visiva, attenzione, ecc…).
Nella prima valutazione del livello intellettivo viene formulata una diagnosi
provvisoria o di orientamento di disturbo specifico evolutivo dell’apprendimento.
Nella seconda fase vengono disposte quelle indagini cliniche necessarie per la
conferma diagnostica mediante l’esclusione della presenza di patologie o anomalie
sensoriali, neurologiche, cognitive e psicopatologiche. L’indagine strumentale o
l’osservazione clinica si muovono nell’ottica di completare il quadro diagnostico
nelle sue diverse componenti sia per le funzioni deficitarie che per le funzioni integre.
La valutazione delle componenti dell’apprendimento si approfondisce e si amplia ad
altre abilità fondamentali o complementari (linguistiche, percettive, prassiche, visuomotorie, attentive, mnestiche), ai fattori ambientali e alle condizioni emotive e
relazionali per una presa in carico globale nel trattamento riabilitativo.
Particolare cautela nella fase diagnostica è da porre sul rischio di incorrere in “falsi
positivi” e “falsi negativi”. Esistono difformità su come operazionalizzare il criterio
della discrepanza. Inoltre anche la quasi costante associazione ad altri disturbi,
determina la marcata eterogeneità dei profili funzionali e di espressività con cui i
DSA si manifestano, che comporta significative difficoltà nelle indagini e nella
definizione dei criteri diagnostici del disturbo.
L’età nella quale sono previsti gli accertamenti sui disturbi è caratterizzata da
un’elevata variabilità inter-individuale nei tempi di acquisizione delle abilità
indagate, che non consente un’applicazione dei valori normativi di riferimento che
abbia le stesse caratteristiche di attendibilità riscontrate in età superiori. L’insorgenza
delle patologie è un processo che si articola in un continuum tra la condizione di
assenza e di presenza accertata, aggravata da problematiche quali:
- la variabilità degli standard diagnostici per la definizione di disturbo accertato;
- la “dinamicità” del bersaglio (mooving target – Speece, 2005) in quanto i
bambini sono in fase di sviluppo delle abilità che vengono indagate dalle
procedure di screening, che raramente tengono conto di tale aspetto.
E’ inoltre necessario ricordare che nella documentazione prodotta dalla Consensus
Conference viene definito che la presenza dell’anamnesi familiare di casi di epilessia
o convulsioni febbrili, deve suggerire l’opportunità di studiare il dato EEG
possibilmente in veglia e in sonno. Nei casi in cui il dato EEG fosse alterato in modo
focalizzato, è opportuno prevedere accertamenti neuroradiologici di
approfondimento. Per i soggetti che mostrano anomalie parossistiche sul tracciato
EEG in veglia o sonno, non vi sono in letteratura evidenze che confermino il sicuro
ruolo patogenetico delle alterazioni e quindi la necessità di trattamenti farmacologici.
Il documento clinico che restituisce un percorso di valutazione dovrebbe contenere,
come evidenziato nel rapporto inserito precedentemente:
a) Informazioni identificative del valutatore o dell’istituzione a cui afferisce il team
valutante oltre che le qualifiche dei professionisti coinvolti;
b) Motivo dell’invio che determina ragioni e obiettivi della valutazione;
c) Anamnesi e background con informazioni quali:
1. storia dello sviluppo;
Francesca Dondini
26
d)
e)
f)
g)
h)
i)
2. storia scolastica, comprendendo abitudini di studio, attitudini e
performance accademiche;
3. anamnesi familiare, specificando le lingue parlate in casa e il livello del
linguaggio parlato in famiglia;
4. anamnesi medica, limitata ai disturbi potenzialmente correlati alla
difficoltà di apprendimento;
Eventuali altri report di valutazione psicologica, psicoeducazionale o
neuropsicologica;
Osservazioni sul comportamento durante la valutazione che potrebbero aver
influito sulla performance come ad esempio il livello di motivazione, di
cooperazione, eventuale presenza di ansia, ecc…
I risultati ai test standardizzati con punteggi ed interpretazione dei risultati;
Classificazione diagnostica alla quale si fa riferimento (DSM, ICD, Consensus
Conference);
Formulazione diagnostica comprensiva di diagnosi nosografica 23, descrizione del
profilo di abilità cognitive, ecc…
Suggerimenti per l’elaborazione di un progetto di aiuto e sviluppo.
Secondo l’ICD-10 è richiesto che il livello delle prestazioni nelle prove di lettura,
scrittura e calcolo sia significativamente inferiore (livello di discrepanza) a quello
atteso in base alla scolarità e al livello intellettivo. Questo viene applicato secondo
due approcci, il secondo dei quali più frequentemente adottato nei paesi europei:
1. Calcolare valori standard sia per il livello intellettivo che per le prestazioni
scolastiche e richiedere che la differenza tra i due valori rispetti un cut-off che di
solito è posto a 1 o 2 deviazioni standard (DS) dal livello medio;
2. Porre dei cut-off sia per il livello prestazionale ( solitamente a un massimo di -1, 1,5 o -2 DS oppure al 10° o 5° percentile rispetto alle medie per età scolastica)
che per il livello intellettivo (solitamente ad un minimo di 85 punti di QI).
La prima opzione permette la fluttuazione dei livelli prestazionali verso l’alto e verso
il basso, quindi una diagnosi di DSA anche nei casi in cui il livello prestazionale non
sia al di sotto dei livelli medi per età nel caso il QI sia particolarmente alto; di contro
permette di diagnosticare un DSA anche con livelli di QI inferiori a 85, nel caso i
punteggi ottenuti alle prove sulle abilità scolastiche rispettino la discrepanza con il
QI. Questa soluzione si basa sull’assunto che il livello di abilità scolastiche sia
prevedibile a partire dal livello intellettivo.
La seconda opzione invece non richiede di rifarsi ad una specifica relazione tra livello
prestazionale e intellettivo. Tuttavia, l’esclusione dei soggetti con un QI inferiore ad
85, anche in presenza di livelli prestazionali molto bassi, sottintende il presupposto
che questi ultimi siano imputabili ad altre disfunzioni. Ad esempio i casi di ritardo
mentale rientrano in una categoria diagnostica a parte.
Il problema si pone per i soggetti con QI tra 70 e 85, considerata fascia “border line”.
In base a tale principio sarebbe quindi opportuno differenziare due tipologie di
“lettori lenti”: quelli con una significativa discrepanza rispetto al livello intellettivo e
quelli con prestazioni non discriminanti rispetto al QI.
23
Nosografia: studio descrittivo delle malattie
Francesca Dondini
27
Solo negli ultimi anni iniziano ad essere disponibili in letteratura dati sperimentali a
supporto dell’adozione di una determinata misura di cut-off piuttosto che un’altra
(Cornoldi et al. 2009; Losito et al. 2014), mentre negli studi precedenti si riscontra
una grande eterogeneità dei criteri utilizzati e un’assenza di discussioni sistematiche
sulle implicazioni legate all’uso di punteggi e cut-off diversi (Shavel 1993; Geary
2000; Ramaa 2002; Murphy 2007; Mazzacco 2008; Chong 2008).
Nelle raccomandazioni definite nella Consensus Conference, si trova l’invito ad
utilizzare le deviazioni standard per i punteggi di rapidità, più normalmente distribuiti
e i percentili per i punteggi di accuratezza o di errore, caratterizzati da distribuzioni
asimmetriche, in quanto le proprietà distribuzionali dei punteggi ai test garantiscono
maggiore precisione rispetto al collegamento con il livello di scolarità.
Numerosi studi hanno dimostrato come nelle lingue ortograficamente trasparenti la
rapidità sia un indicatore della presenza del disturbo di lettura più sensibile rispetto
all’accuratezza, soprattutto per i primi anni di scolarizzazione 24.
I risultati delle prove di lettura di parole e non-parole sono altamente correlati alla
presenza di dislessia e presentano un’attendibilità e predittività migliori rispetto alla
lettura di un brano, che risulta meno sensibile.
Alla luce delle precedenti considerazioni è necessario promuovere ulteriori ricerche
allo scopo di specificare in modo preciso la validità diagnostica degli strumenti in
uso. I giudici partecipanti alla Consensus Conference hanno definito che per
affrontare i disturbi specifici di apprendimento è di primaria importanza poter
disporre di riferimenti epidemiologici affidabili e specifici per la realtà italiana.
Definizione dei criteri di inclusione/esclusione 25
Lievi alterazioni a livello elettrofisiologico, neurofunzionale e neuroanatomico
riconducibili ad alterazioni nella microarchitettura e nelle funzionalità delle strutture
corticali coinvolte nei processi di lettura, scrittura e calcolo, sono compatibili con la
diagnosi di DSA e non vanno pertanto considerati come criteri di esclusione.
3.4.1.
Al fine di discriminare situazioni di disturbo specifico da situazioni causate da
differenze linguistiche e culturali, devono essere considerati i seguenti fattori:
- la lingua madre ed eventuali altre lingue parlate dal bambino;
- la nazione di provenienza e il tempo di residenza in Italia dei genitori e del
bambino;
- il livello culturale della famiglia e la lingua parlata in famiglia;
- la famigliarità con difficoltà di linguaggio orale e scritto;
- le competenze degli altri membri della famiglia, come fratelli e sorelle;
- il sistema di scrittura inizialmente appreso;
- la presenza di difficoltà fonologiche nella lingua madre.
Le attuali conoscenze permettono di formulare alcune ipotesi sulle possibili relazioni
tra epilessia e dislessia sia in termini di comorbilità che di eziopatogenesi. Tuttavia,
risultano ancora pochi gli studi riguardanti pazienti in cui epilessia e dislessia sono
24
Landerl, 1197; Wimmer, 1996; Lehtola, 2000; Davies, 2007
“Raccomandazioni cliniche sui DSA”1 febbraio 2011 – documento d’intesa elaborato da parte del Panel
della Consensus Conference DSA 2007
25
Francesca Dondini
28
co-presenti. Una possibile spiegazione è che questi casi vengano esclusi dagli studi
con interesse specifico alle forme singole di patologia, nel timore che la comorbilità
possa essere un fattore inquinante. In generale, la presenza di epilessia nel quadro
clinico di un paziente con un disturbo di lettura, non deve far escludere a priori la
diagnosi di dislessia né deve far necessariamente pensare che il disturbo di lettura sia
diretta conseguenza della sindrome epilettica o del trattamento medico della stessa.
3.5 Strumenti diagnostici
3.5.1.
Prove di lettura MT-2
La valutazione della rapidità e della correttezza della lettura di un brano è considerata
la misura che meglio descrive la competenza di lettura richiesta nei vari contesti di
vita scolastici ed extrascolastici. In Italia sono disponibili norme per le prestazioni
attese, individuate attraverso l’utilizzo delle prove MT 26 (MT 1981, MT-1 1995 e
MT-2 1998) calcolate su un campione di 8000 alunni, utili per la valutazione della
lettura dalla prima classe della scuola primaria fino alla terza classe della scuola
secondaria, in precisi momenti dell’anno scolastico (iniziale, intermedio e finale) per
orientarsi sul corretto sviluppo di tali abilità e consentire l’individuazione tempestiva
di eventuali difficoltà di apprendimento.
Le Prove di Lettura MT-2 valutano oltre che le abilità di lettura, anche quelle di
comprensione del testo. La misurazione di tali abilità costituisce una verifica
trasversale, che interessa tutte le discipline in cui è richiesto l’uso di testi scritti e in
relazione quindi con le abilità di studio. Questo strumento risulta essere adottato in
contesti clinici interessati all’individuazione di disturbi specifici dell’apprendimento
per accertare la presenza di dislessia.
Le buone prassi per la corretta valutazione degli apprendimenti, suggeriscono di
utilizzare diverse fonti di evidenza per valutare la presenza o meno del disturbo, sia
per confermare lo stato di inefficienza della lettura a carico dei parametri di
correttezza e/o rapidità, sia per accertare le conseguenze di questa condizione rispetto
alle richieste ambientali, in particolare quelle scolastiche, presupposto necessario per
definire un “disturbo” 27.
La versione più recente si caratterizza per:
•
•
•
•
una maggiore focalizzazione sulla valutazione della rapidità di lettura, con indice
sillabe/secondo che sostituisce l’indice in centesimi di secondo/sillaba;
nuovi valori normativi della rapidità;
una ridefinizione delle fasce di prestazione;
l’introduzione dei valori del 5° percentile e delle due deviazioni standard sotto
media, indicati dalle linee guida come criteri per la diagnosi di Disturbi Specifici
di Apprendimento, oltre al criterio delle quattro fasce di prestazione.
La batteria è formata da 33 prove, ciascuna composta da un testo e da domande a
scelta multipla. I brani sono divisi per classe e per momento di verifica, come
specificato in tabella:
26
27
Cesare Cornoldi e Giovanni Colpo
Criteri di inclusione presenti nel DSM-IV e nell’ICD-10
Francesca Dondini
29
Classe di
somministrazione
Momento di
verifica
Tipologia della prova
Intermedio
1° primaria
Finale
Ingresso
Approfondimento
2° primaria
Intermedio
Finale
Ingresso
Approfondimento
3° primaria
Intermedio
Finale
Ingresso
4° primaria
Approfondimento
Finale
Ingresso
5° primaria
Approfondimento
Finale
Comprensione
Correttezza
Rapidità
Comprensione
Correttezza
Rapidità
Comprensione
Correttezza
Rapidità
Comprensione 1
Comprensione 2
Comprensione
Correttezza
Rapidità
Comprensione
Correttezza
Rapidità
Comprensione
Correttezza
Rapidità
Comprensione 1
Comprensione 2
Comprensione
Correttezza
Rapidità
Comprensione
Correttezza
Rapidità
Comprensione
Correttezza
Rapidità
Comprensione 1
Comprensione 2
Comprensione
Correttezza
Rapidità
Comprensione
Correttezza
Rapidità
Comprensione 1
Comprensione 2
Comprensione1
Comprensione 2
Correttezza
Rapidità
Testo utilizzato
La storia di Babbo Natale
La fiaba dello scoiattolo
Il Bruco ed i gerani
La fiaba del tappeto
Alì salva la luna
Il semaforo che si era
stancato
Il riccio e il cane
La volpe e i boscaiolo
L’uomo che non riusciva….
Il nanetto che voleva la pera
I topi campanari
Storia di uno sbadiglio
Tra il dire e il fare
Re Alfredo e le focacce
La gatta zoppa
L’asino nel fiume
L’idea più semplice
Il mercante derubato
La botte vuota e la botte
piena
Il leone e la leonessa
L’indovina che non indovinò
Voglia di giocare
Il panda
La croce del cuore
Un occhio, due occhi
Il viaggio delle anguille
Vecchi proverbi
Omar e Hamed
L’orso bianco
Dov’è più azzurro il fiume
La caverna degli antenati
Case e palazzi
Tab. 3 elenco delle prove presenti nella Batteria MT-2
In questa ricerca verranno prese in considerazione solo le prove utilizzate per la
diagnosi di dislessia e quindi relative alla misurazione di correttezza e rapidità di
lettura, concentrandosi su quelle somministrabili dalla seconda alla terza classe della
scuola primaria. La motivazione che ha guidato questa scelta è legata alle variabili
aggiuntive che possono concorrere alla tipologia di performance come descritto nel
paragrafo 5 “Meta-analisi sugli strumenti di diagnosi per la dislessia”.
Il Manuale (unico per tutte le classi) offre informazioni di natura teorica e indicazioni
Francesca Dondini
30
sui criteri di costruzione e sulle proprietà psicometriche delle prove di valutazione.
Il test è caratterizzato da una buona facilità di somministrazione e da riferimenti
normativi aggiornati alle direttive della Consensus Conference DSA.
Lo strumento viene raccomandato come indicato nelle linee guida sulla diagnosi dei
disturbi specifici dell’apprendimento, per effettuare una stima globale delle
competenze del soggetto, eseguire una valutazione per la diagnosi dei DSA e
intervenire durante le fasi di recupero, potenziamento e sviluppo delle abilità di
correttezza, rapidità e comprensione della lettura.
Le prove di correttezza e rapidità di lettura devono essere somministrate
esclusivamente in modalità individuale. La prova deve essere svolta in un ambiente
tranquillo e silenzioso, fuori dalla classe. All’alunno viene fornito un brano da
leggere, mentre l’osservatore avrà un foglio di registrazione della prova, composto
dalla copia del brano con una numerazione progressiva del numero di sillabe alla fine
di ogni riga. Prima di iniziare la prova, è consigliabile verificare che il bambino non
sia particolarmente agitato di fronte al compito di verifica.
L'alunno viene così invitato a leggere ad alta voce il brano relativo alla fase di
verifica della sua classe come da tabella precedente, cercando di fare il minor numero
possibile di errori e leggere in maniera scorrevole e spedita. Le istruzioni saranno di
questo tipo: “Dovrai leggere ad alta voce il brano che hai qui davanti, voglio vedere
se sai leggere bene. Guarderò col cronometro (orologio) il tempo che impieghi, ma
comunque non ti preoccupare troppo di andare veloce. A me interessa che tu legga
meglio che puoi, cioè facendo meno errori possibile e leggendo in modo scorrevole,
in pratica devi leggere come fai solitamente quando ti impegni”.
Il titolo del brano viene letto ad alta voce dall'esaminatore, che quindi indica col dito
all'alunno il punto iniziale del brano. L'esaminatore non deve intervenire in alcun
modo per segnalare la lettura erronea e l'omissione di una parola, deve invece far
presente all'alunno, indicando con la mano l'inizio della riga giusta, il salto di una riga
o il ritorno su una riga già letta. Inoltre, se il bambino arresta per più di cinque
secondi la lettura di una parola, l’esaminatore più leggergliela.
Deve essere annotato il tempo che il soggetto ha impiegato per leggere il brano. La
prova può venire sospesa se dopo 4 minuti il bambino non è pervenuto alla fine del
brano. In questo caso verrà presa nota del punto in cui è arrivato.
Attraverso la registrazione degli errori è possibile individuare il tipo di errore più
frequente, ponendo quindi la prova in una prospettiva diagnostica, suggerendo
specifici ambiti di intervento didattico volti a ridurre la frequenza di errori.
Siglatura degli errori
^
/\/\/\
____
= aggiunta
= inesatta lettura/sostituzione
= grossa esitazione
Francesca Dondini
/
5"
()
= spostamento di accento
= pausa di più di 5 secondi
= omissione
31
Punteggi correttezza
 Valgono 1 punto i seguenti errori: inesattezza nella lettura di una sillaba;
omissione di sillaba, parola o riga; aggiunta di sillaba, parola o riga; pausa di più
di 5 secondi.
 Valgono 1�2 punto i seguenti errori: spostamento di accento; grossa esitazione
(ad esempio: per la parola "balcone", il bambino legge “ba…bal….balcone);
autocorrezione per errore da 1 punto, le autocorrezioni per errore da mezzo punto
non vengono penalizzate; anche gli errori da un punto vengono valutati solo
mezzo punto se non cambiano il significato della frase.
 Lo stesso errore su parole uguali deve essere contato una volta sola.
 Nel caso il brano non venga letto per intero per superamento del limite temporale,
deve essere inserita una stima degli errori che il bambino avrebbe potuto
commettere nella parte di brano non letta, mediante un calcolo delle proporzioni.
Punteggi di rapidità
Per l’assegnazione di questo punteggio è necessario dividere il numero complessivo
di secondi impiegati per il numero di sillabe lette:
𝑛𝑛.𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠
𝑛𝑛.𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠
=
150
448
= 0,334 = 33 centesimi di secondo a sillaba
Oppure esattamente il contrario:
𝑛𝑛.𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠
𝑛𝑛.𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠
=
448
150
= 2,98 sillabe lette mediamente al secondo
Il largo utilizzo delle prove MT ha creato qualche incertezza che nel documento
“Valutare la rapidità e la correttezza della lettura di brani: nuove norme e alcune
chiarificazioni per l’uso delle prove MT” 28, Cesare Cornoldi, Patrizio Tressoldi e
Nicoletta Perini, hanno cercato di appianare:
a. I termini “rapidità e correttezza” possono essere considerati identici ai termini
“velocità e accuratezza”. L’uso dell’indice tempo/sillaba rispetto a quello
sillaba/tempo descrivono esattamente la stessa variabile. La differenza è data
dalla diversa distribuzione dei punteggi normativi 29. Il problema si riduce se si
tiene conto degli outlier e, ancora meglio, se si fa riferimento ad una scala
ordinale piuttosto che a intervalli. La proposta fatta dagli autori per ovviare a
questa criticità è quella di fare riferimento all’indice che, nel corso del tempo, si è
rivelato più popolare e cioè quello rappresentato da sillabe/secondo, che
individua il numero di sillabe che un bambino legge mediamente al secondo.
b. I brani inseriti nella batteria, aumentano di complessità e difficoltà coerentemente
con l’età del bambino e il livello di scolarizzazione, in modo da rapportarsi alla
natura dei materiali che tipicamente il bambino è invitato a leggere nelle diverse
fasi di vita scolastica. Se si vuole fare un’indagine longitudinale, sarà necessario
utilizzare sullo stesso bambino delle prove differenti con il passare del tempo, che
quindi non saranno mai perfettamente confrontabili.
c. Una ulteriore incertezza è legata all’individuazione delle prestazioni sotto media
in riferimento al 5° percentile anziché alle due deviazioni standard. In questo
28
29
Art. del 20/12/2009 sulla rivista “Dislessia”
Problema evidenziato da Lorusso, Toraldo e Cattaneo (2006)
Francesca Dondini
32
ambito esiste una raccomandazione nelle valutazioni degli apprendimenti che
sconsiglia di utilizzare prove che producano distribuzioni a campana 30 a favore di
prove che producano una distribuzione a “J”, in modo da valutare il
raggiungimento di prestazioni alla portata dei bambini senza dover includere item
troppo difficili. Se la distribuzione è a “J”, gli indici di tendenza centrale e
deviazione risultano falsati (es. la deviazione standard viene ridotta perché
ricavata solo dalla deviazione verso valori bassi). Il fatto che la Consensus
Conference, nel suggerire il cut-off al di là del quale è presente una criticità,
abbia parlato sia delle 2 deviazioni standard sotto la media, sia di quinto
percentile, mostra come questo aspetto sia stato considerato. L’utilizzo delle
deviazioni standard risulta immediato e quindi nella pratica clinica può essere
considerato vantaggioso, ma nel caso particolare rappresentato dalle prime classi
di scolarizzazione, l’utilizzo della deviazione standard produrrebbe il paradosso
che anche una prestazione bassissima rientrerebbe nella norma.
d. Se si considerano le distribuzioni delle prove MT (esposte in maniera chiara nelle
diverse edizioni del manuale) si può vedere come vi siano casi clamorosi di
outlier, cioè di bambini con punteggi estremamente scarsi. Il riferimento delle
distribuzioni ordinali minimizza il peso di pochi outlier, a fronte di distribuzioni
che interessano molte centinaia di bambini, ma il problema si pone se si vuole
fare riferimento a media e deviazione standard. Il problema è stato affrontato in
varie sedi 31, con il suggerimento di affrontare caso per caso il modo per trattarli.
Se gli outlier descrivono valori genuini della popolazione interessata, dovrebbero
essere presi in considerazione, mentre dovrebbero essere esclusi solo se, a causa
di problemi sottostanti, essi falsano la distribuzione. Nel caso dell’apprendimento
della lettura gli outlier individuati appartengono ad entrambe le tipologie.
Tuttavia la necessità di poter fare riferimento anche a media e deviazione
standard hanno indotto gli autori a toglierli, secondo la procedura tipicamente
utilizzata per la standardizzazione dei test.
e. Per la definizione della diagnosi di dislessia o disturbo specifico di
apprendimento, guardando la distribuzione delle prestazioni di lettura è possibile
verificare che esse sono sostanzialmente continue e quindi la definizione di un
certo criterio sia discrezionale, includendo ed escludendo in una categoria clinica
rispettivamente due bambini che possono avere prestazioni molto simili. Le prove
MT sono sufficienti per ottenere una stima del livello di apprendimento di un
bambino, vanno invece integrate per effettuare una diagnosi. Dire che un
bambino è dislessico semplicemente perché ad una sola misura di lettura è al di
sotto del 5° percentile è insufficiente. Come è stato evidenziato32, per una
diagnosi occorre raccogliere più misure ed è necessario che in più di una ci sia
evidenza di disturbo.
Attualmente sulle prove MT sono presenti due tipi di valori normativi. Quelli
originali legati all’uscita delle prove e quelli introdotti da Tressoldi nel 2008, espressi
in sillabe al secondo. Questi ultimi sono stati creati attraverso uno studio effettuato su
un centinaio di bambini ai quali venivano fatti leggere dei brani scelti in modo
casuale dalla batteria MT per un tempo di due minuti ciascuno. Per quanto la
30
Cornoldi e Soresi, 1980
Sokal e Rohlf, 1995 Soliano, 2007
32
Tressoldi e Vio, 2008
31
Francesca Dondini
33
somministrazione sia stata atipica ed il campione esiguo, i dati raccolti da questo
studio risultano importanti in quanto più recenti. Per facilitare il confronto dei dati
normativi si è pertanto ritenuto opportuno un confronto tra le norme raccolte da
Cornoldi, Colpo (1995, 1998) e Tressoldi (2008), con l’obiettivo di arrivare a delle
norme condivise.
Per quanto riguarda il parametro della rapidità, sono stati ricalcolati i punteggi delle
norme di Cornoldi in sillabe/secondo, ottenendo delle misure uniche con quelle di
Tressoldi. La metodologia seguita ha reso inoltre necessario normalizzare le
distribuzioni dei dati raccolti da Cornoldi eliminando i valori outlier che le rendevano
particolarmente asimmetriche. Il risultato è riassunto nella seguente tabella:
Cornoldi e Colpo
CLASSE
N
M
II
elementare
intermedio
"L'uomo
che non
riusciva …"
III
elementare
intermedio
"L'idea più
semplice"
IV
elementare
finale "Un
occhio, due
occhi"
V
elementare
finale "case
e palazzi"
316
Tressoldi
DS
5°
15°
N
M
1.73
INTERVALL
O DI
FIDUCIA per
la media al
95%
1.67-1.79
DS
2.41
INTERVA
LLO DI
FIDUCIA
per la media
al 95%
2.29-2.53
0.56
0.95
1.18
94
245
2.99
2.84-3.14
1.19
1.54
1.82
108
2.98
2.83-3.13
0.79
252
3.69
3.54-3.85
1.23
1.82
2.22
130
3.87
3.7-4.04
0.96
475
3.69
3.59-3.8
1.12
2.22
2.86
130
3.60
3.44-3.76
0.93
0.56
Tab. 4 Nuovi parametri “Prove di lettura MT”
Il processo di ritaratura degli indici di rapidità e correttezza sono stati effettuati
attraverso delle fasi consecutive. La prima fase ha considerato, per le prove comuni,
un ricalcolo degli indici aggiungendo al campione originario quello nuovo. In una
seconda fase, osservando le linee d’apprendimento e le prestazioni tipiche dei
bambini, si sono eliminati alcuni outlier che hanno portato a piccoli cambiamenti
della deviazione standard. A questo punto si sono definite delle nuove norme
unificate:
“Nuove misure di rapidità e correttezza nella lettura di brani corrispondenti alle fasce
di prestazione ottimale (75° percentile), scarsa (15° percentile ovvero con
RICHIESTA DI ATTENZIONE – RA), severa problematica riferita alla distribuzione
ordinale (5° percentile ovvero RICHIESTA DI INTERVENTO IMMEDIATO – RII)
oltre che la distanza dalla media (2 deviazioni standard sotto media), per tutte le
prove MT” (2009):
Francesca Dondini
34
BRANO *
RAPIDITA’ SILL/SEC
RII
RA
a)
<0.4
0.430.4
b)
<0.57
c)
<0.7
d)
<0.95
e)
<1.33
f)
<1.18
g)
<1.54
h)
i)
j)
k)
l)
RAPIDITA’ SILL/SEC
Criterio
Prestazi
piename
one
nte
sufficie
raggiun
nte
to
M
DS
2
DS
sott
o
me
dia
CORRETTEZZA
75°
15°
5°
Criter
Prest
io
azion
piena
e
mente
suffici
raggi
ente
unto
RA
RIIo
>1.3
1.12 0.79
1.3
0.43
0.4
0-1
2e3
4e5
≥6
>1.54
1.4
0.86
1.54
0.74
0.57
0-1
2-6
7-11
≥ 12
>1.82
1.43
0.7
1.82
0.87
0.7
≤4
5-13
14-20
≥ 21
>2.22
1.89
0.7
2.22
1.18
0.95
0e1
2-5
6-10
≥ 11
>2.86
2.48
0.9
0.68 2.86
1.54
1.33
≤3
4-8
9-15
≥ 16
3.3-1.55
>3.3
2.9
1.1
0.7
3.3
1.54
1.18
0e1
2-6
7-12
≥ 13
1.821.54
3.5-1.83
>3.5
2.99
1.1
0.79
3.5
1.82
1.54
≤3
4-9
10-15
≥ 16
<1.82
2.221.82
3.7-2.23
>3.7
3.35
1.1
1.15
3.7
2.22
1.82
≤2
3-8
9-13
≥ 14
<1.54
1.821.54
3.6-1.83
>3.6
3.08
1.1
0.88
3.6
1.82
1.54
≤2
3-6
7-11
≥ 12
1.3-0.44
0.740.57
0.870.7
1.180.95
1.541.33
1-541.18
1.540.75
1.820.88
2.221.19
2.861.55
2.224-2.23
>4
3.69 1.23 1.23
4
2.22
1.82
≤2
3-7
8-12 ≥ 13
1.82
2.60<2.18
4-2.61
>4
3.77 1.25 1.27
4
2.6
2.18
≤3
4-10 11-17 ≥ 18
2.18
2.86<2.22
4.2-2.86
>4.2
3.69 1.12 1.45 4.2
2.86
2.22
≤1
2-7
8-12 ≥ 13
2.22
Tab.5 Nuovi parametri rapidità e correttezza “Prove di lettura MT”
* Legenda tabella – tipologia brano:
 a) b) 1° CLASSE SCUOLA PRIMARIA DI PRIMO GRADO - La storia di Babbo Natale; Il bruco ed i gerani;
 c) d) e) 2° CLASSE SCUOLA PRIMARIA DI PRIMO GRADO - Alì salva la luna; L’uomo che non riusciva….; I
topi campanari;
 f) g) h) 3° CLASSE SCUOLA PRIMARIA DI PRIMO GRADO - Tra il dire e il fare; L’idea più semplice; La
botte vuota e la botte piena;
 i) j) 4° CLASSE SCUOLA PRIMARIA DI PRIMO GRADO - L’indovina che non indovinò; Un occhio, due
occhi;
 k) l) 5° CLASSE SCUOLA PRIMARIA DI PRIMO GRADO - Vecchi proverbi; Case e palazzi.
<1.82
Gli indici delle prove di lettura sono risultate affidabili, ottenendo un punteggio di .95
sul test-retest nella misura della rapidità di lettura, un valore imbattibile in campo
psicometrico 33.
3.5.2.
Batteria per la valutazione della Dislessia e della disortografia evolutiva
–2
Una delle batterie utilizzate per le prove di lettura è la DDE-2 34 di Giuseppe Sartori,
Remo Job e Patrizio E. Tressoldi. La batteria è costituita da 8 prove, di cui 5 per
l’analisi del processo di lettura. Le prove fanno riferimento ad un modello di lettura
che prevede due modi per trasformare i grafemi in fonemi, un modo indiretto che
implica delle trasformazioni di parti della parola, e un modo diretto mediante il quale
vi è un’unica trasformazione. Questo modello deriva da un approccio cognitivo ai
33
34
Cornoldi et al. 1981
Batteria per la valutazione della Dislessia e della disortografia evolutiva – 2
Francesca Dondini
35
disturbi di lettura e scrittura. Entrando più nel dettaglio, le prove di lettura sono
costituite dalle seguenti unità:
 prova 1- per valutare l’efficienza nel passaggio dal singolo grafema alla sua
corrispondenza fonemica
 prova 2 – composta da liste di parole di diversa frequenza d’uso
 prova 3 – composta da liste di non-parole, utile per valutare l’efficienza del modo
indiretto di lettura
 prova 4 e 5 – composte da prove di scelta di parole omofone non omografe e utili
per valutare lo sviluppo del riconoscimento diretto delle parole.
Valutazione: per le prime tre prove si raccolgono i tempi di lettura e il numero di
errori. Per le restanti prove, solo il numero di errori. Le autocorrezioni non sono
considerate errori. Per ogni parola letta in modo errato, si calcola un solo errore.
Caratteristiche psicometriche: per valutare l’attendibilità dello strumento si è
utilizzata la procedura del retest su un campione di 77 soggetti (13 di seconda scuola
primaria, 23 di terza 17 di prima scuola secondaria di primo grado e 24 di terza) dopo
circa venti giorni dalla prima applicazione del test. E’ stata riscontrata un’altissima
correlazione tra i tempi di lettura (M=.77), confermando l’attendibilità di questa
misura. Per quanto riguarda gli errori nella lettura, sono stati rilevati valori
significativi anche se inferiori (M=.56).
La validità concorrente dello strumento è stata ottenuta confrontando le prove che lo
compongono con le prove della batteria MT. Il coefficiente medio .74 evidenzia una
percentuale molto alta di varianza comune tra le prove, dimostrando quindi che alla
base dell’efficienza di lettura di un brano, sono richieste abilità comuni alla lettura di
parole e non-parole isolate.
I dati raccolti su un campione di circa 300 alunni confrontati tra la batteria DDE-2 e
le prove di lettura di parole e non-parole di Zoccolotti e collaboratori del 2005, hanno
evidenziato un’alta correlazione sia in prove di velocità che di correttezza.
La validità discriminante è stata ottenuta confrontando i punteggi ottenuti da soggetti
con ritardo o deficit di lettura alla prova MT (Cornoldi, Colpo 1998) con quelli
ottenuti con la prova di lettura di parole. I risultati mostrano concordanza tra la
diagnosi ottenute.
Taratura della batteria: i dati normativi sono stati ottenuti da un campione di 1550
alunni, frequentanti tutte le classi della scuola primaria d’Italia (Nord e Sud) di
estrazione socioculturale mista. Il confronto tra le due misure, tempo di lettura
espresso in secondi e tempo di lettura espresso in sillabe al secondo, non forniscono
la stessa deviazione. La misura di sillabe al secondo risulta meno penalizzante, è
importante quindi decidere con cura quale misura utilizzare.
Modalità di somministrazione: l’esaminatore, posto preferibilmente davanti al
soggetto, legge le istruzioni per ciascuna prova e si assicura che siano comprese
prima di iniziare. Viene quindi dato il “VIA” per l’esecuzione della prova e
contemporaneamente si fa partire il cronometro per la registrazione dei tempi.
Durante la lettura l’esaminatore deve segnare sul protocollo di registrazione
individuale gli eventuali errori. La prova può essere interrotta solo se ci si accorge
che le istruzioni non sono state comprese. Alla fine di ogni prova possono essere
Francesca Dondini
36
indicate sul foglio di protocollo, delle note sulla prestazione che possono servire per
la valutazione finale. Non è importante rispettare un ordine di somministrazione delle
prove.
Gli errori corrispondono al numero di parole sbagliate indipendentemente dal numero
di lettere non corrette. Le autocorrezioni non vengono considerate errori.
Per confrontare i risultati di un soggetto con quelli del campione di riferimento
riportati nelle norme del manuale, per quanto riguarda i tempi di lettura il calcolo sarà
il seguente:
X−tempi del soggetto
DS (del campione)
(X = media del campione)
Quando invece i tempi del soggetto risultano superiori alla media del campione, il
calcolo dovrà essere invertito come segue:
tempi del soggetto−X
DS (del campione)
Se la prova di valutazione viene effettuata all’inizio di un anno scolastico, è
preferibile rifarsi alle norme della classe precedente, mentre se la valutazione avviene
a metà dell’anno scolastico è possibile fare riferimento alle norme della classe stessa.
Caratteristiche dei soggetti: la batteria è pensata per soggetti che abbiano un QI
minimo di 85. I soggetti devono inoltre aver avuto normali opportunità educative (ad
esempio non aver perso lunghi periodi di scuola); non devono evidenziare deficit
neurologici, sensoriali o di espressione verbale. Nel caso di bambini con difficoltà
fonetico-fonologiche o articolatorie, si possono non considerare errori, l’errata
pronuncia di parole che non si sanno pronunciare (mancanza di GL o rotacismo 35).
Usabilità dei testi - Prove di lettura 36
La legibility di un testo è la facilità con cui riusciamo a discriminare le singole lettere
che lo compongono. L’analisi della legibility considera la struttura tipografica di un
testo: la forma, la dimensione, il colore dei caratteri, il modo in cui essi sono disposti
sulla pagina in rapporto gli uni con gli altri. In relazione a questi elementi possiamo
studiare la minore o maggiore facilità con cui un lettore può distinguere un carattere
dall’altro, sui differenti supporti tecnologici utilizzati (carta o monitor). Quando si
analizza la legibility di un testo, non ci si occupa della facilità o meno con cui il
lettore può comprenderne il contenuto, ma soltanto della rappresentazione grafica e
della riconoscibilità in rapporto al suo sistema visivo.
3.5.3.
Per quanto riguarda la tipologia del carattere, il Times New Roman è il più utilizzato
in letteratura. Da uno studio di Mansfield (1996) risulta il Courier-Bold il carattere
che permette di ottenere una maggiore velocità di lettura in soggetti ipovedenti. Una
ricerca pubblicata sull’American Journal of Psychological Research del 2005 propone
il carattere Arial (16-18) come più leggibile sia dai normolettori che dai soggetti con
problemi nella lettura, mentre in uno studio di Rubin (2006), il carattere che ha
35
modificazione fonetica consistente nella trasformazione di un fonema in r. Fenomeno ad esempio presente
nel dialetto milanese, ligure, sardo e siciliano
36
Panel di aggiornamento e revisione della consensus conference dsa 2007
Francesca Dondini
37
consentito una maggiore velocità di lettura è risultato essere il Tiresias PC font,
sviluppato dal Royal National Institute of the Blind e scaricabile dal sito
http://www.tiresias.org/fonts/ :
Figura 1 Esempio di Tiresias PC font
In commercio è possibile trovare font dedicati ai soggetti con disturbo della lettura
(Barrington Stoke 37, Read Regular e Read Space 38, I libri della collana "Leggimi!" di
Sinnos Editore) studiati appositamente per agevolare questa attività. Il carattere
Garamond risulta il più utilizzato nei libri di narrativa per dislessici.
Il carattere di stampa a una dimensione di 16p risulta in ogni modo adeguato per
agevolare la lettura. Sarebbe però opportuno che la dimensione del carattere di
stampa mantenesse sempre la stessa dimensione in relazione al font, ma i rapporti
spesso cambiano, ad esempio un carattere di 8p scritto in Arial ha circa la stessa
grandezza di un carattere di 9p del Times New Roman. Il Garamond risulta più
piccolo e quindi meno leggibile rispetto al Verdana o al Trebuchet. 39
Per creare le migliori condizioni di lettura, è necessario prendere anche in
considerazione l’affollamento visivo 40. Per ridurlo può essere utile equilibrare la
spaziatura tra un carattere e l’altro variandola attraverso l’opzione crenatura
(kernper). Per questo motivo vengono privilegiati caratteri a spaziatura fissa
(Courier). L’affollamento visivo può comparire tra lettere adiacenti ma anche tra
parole, quindi risulta utile inserire spazi aggiuntivi tra una parola e l’altra. Ogni rigo
del testo non dovrebbe superare i 60/70 caratteri. Anche l’interlinea maggiorata
diminuisce sensibilmente l’effetto di crowdind, incrementando la velocità di lettura
proporzionalmente più in periferia che al centro (Chung).
E’ importante evitare l’utilizzo del corsivo o delle sottolineature, poiché possono
creare ulteriori difficoltà nella discriminazione del carattere (Evett).
Nella letteratura tipografica da un lato si crede che l’impiego delle grazie 41 abbia un
impatto positivo sulla leggibilità (Arditi), in quanto creano una forma spaziale della
37
https://www.barringtonstoke.co.uk/blog/2015/10/09/our-new-e-reading-app-and-why-we-still-think-printmatters-for-struggling-readers/
38
http://www.readregular.com/english/regular.html
39
Per agevolare la comprensione di quanto specificato sono stati utilizzati caratteri e dimensioni reali in
base alla descrizione presa in esame
40
Indicato anche come Crowding
41
I font si suddividono in due categorie principali: graziati o senza grazie. I caratteri graziati (o serif) hanno
particolari terminazioni dei tratti delle lettere. L'uso delle grazie deriva dai caratteri lapidari romani, dove
era molto difficile scalpellare nel marmo angoli di novanta gradi necessari a terminare le aste. Le grazie
servivano allora a evitare (o nascondere) le sbrecciature. I font senza grazie sono chiamati anche sans-serif.
Francesca Dondini
38
lettera più complessa aumentandone la discriminalità, inoltre le grazie orizzontali
incrementano l’abilità del lettore di seguire con lo sguardo la linea del testo.
Dall’altro rischiano di appesantire la lettera contrastandone l’identificazione. Nello
studio di Arditi del 2005 viene definito che quest’ultima ipotesi si concretizza solo
nel caso di caratteri molto piccoli.
Si ritiene inoltre che il testo composto da lettere in parte maiuscole ed in parte
minuscole sia più leggibile di uno composto da sole lettere maiuscole, in quanto la
forma delle parole è più riconoscibile nella forma mista. Inoltre risulta più intuibile
identificare nel testo la fine di una frase e l’inizio della successiva, agevolando sia la
qualità nella lettura del testo sia la comprensione dello stesso.
La British Dyslexia Association (BDA) ha prodotto una guida all’accessibilità dei
testi per dislessici e ipovedenti. L’edizione aggiornata al 2010 è reperibile
all’indirizzo internet : http://www.bdadyslexia.org.uk/about-dyslexia/furtherinformation/dyslexia-style-guide.html
All’interno delle prove di lettura più utilizzate nella diagnosi della dislessia si è
ritenuto opportuno mantenere il carattere Times New Roman, in quanto utile per
discriminare i cattivi lettori dai normolettori. Nell’ambiente visivo in cui si eseguono
le prove è preferibile l’utilizzo di un leggio, l’utilizzo di occhiali ben centrati e con
una lente ampia a sufficienza per leggere comodamente (per bambini ipovedenti), un
contrasto adeguato dato dall’utilizzo di un fondo bianco-avorio, una posizione
comoda, l’assenza di riflessi sul foglio e quindi l’utilizzo di carta non lucida. In caso
di utilizzo del pc, il bordo superiore del monitor deve essere allineato all’altezza degli
occhi. La distanza di osservazione non deve essere inferiore ai 45-50 cm. Per la
qualità dell’immagine, la frequenza di refresh deve essere superiore ai 70 Hertz.
Luminosità e contrasto devono essere regolari alla luminosità dell’ambiente esterno,
per limitare l’affaticamento visivo. La finestra non deve mai essere alle spalle del
soggetto provocando riflessi, ma neanche di fronte, causando eccessivo contrasto, ma
di lato, preferibilmente nella parte sinistra. Le eventuali lampade utilizzate per
l’illuminazione artificiale devono essere schermate in modo che non si riflettano sul
monitor. Anche nel pc il fondo bianco dove essere meno accentuato e modificato
attraverso il comando di “modifica colore elemento finestra”, senza scendere sotto il
70% di contrasto.
3.6 Strumenti compensativi e misure dispensative 42
Si definisce trattamento riabilitativo l’insieme delle azioni dirette ad aumentare
l’efficienza di un processo alterato. E’ gestito da un professionista sanitario, ha
caratteristiche di specificità sia per gli obiettivi a cui si indirizza, sia per le
caratteristiche metodologiche e le modalità di erogazione. La riabilitazione è un
processo di soluzione dei problemi e di educazione nel corso del quale si porta una
persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale,
sociale ed emozionale, con la minor restrizione possibile delle scelte operative 43. La
42
Allegati al decreto ministeriale del 12 luglio 2011 – “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e
degli studenti con disturbi specifici di apprendimento”; “Raccomandazioni cliniche sui DSA” – documento
d’intesa elaborato da parte del Panel di aggiornamento e revisione della Consensus Conference DSA 2007 –
P.A.R.C.C.Bologna 1 febbraio 2011
43
LG Riabilitazione Nazionale GU 124 30/05/98 Min. Sanità
Francesca Dondini
39
riabilitazione si pone come obiettivi la promozione dello sviluppo di una competenza
non comparsa, rallentata o atipica; il recupero di una competenza funzionale che per
ragioni patologiche è andata perduta; la possibilità di reperire formule facilitanti e/o
alternative. La riabilitazione, nell’ambito dei DSA, è l’insieme degli interventi volti a
favorire l’acquisizione, il normale sviluppo e l’utilizzo funzionale dei contenuti di
apprendimento scolastico (lettura, scrittura e calcolo). La riabilitazione è da intendersi
come un insieme di interventi di tipo pedagogico-educativi in senso lato.
I protocolli riabilitati nei casi di DSA, definiscono cicli brevi e ripetuti che vanno da
due a tre sedute alla settimana per una durata di almeno tre mesi. Per gli interventi
finalizzati all’acquisizione di strategie meta-cognitive, sono raccomandati interventi
meno intensivi di una o due volte la settimana, per una durata da tre a sei mesi.
I criteri per stabilire se un trattamento ha prodotto un cambiamento clinicamente
significativo (CCS) sono distinguibili in:
 criteri oggettivi, attraverso una registrazione di uno sviluppo maggiore
nell’abilità coinvolta nel trattamento rispetto a quanto atteso nello sviluppo senza
trattamento;
 criteri clinici, attraverso una registrazione dello sviluppo delle abilità attraverso
delle interviste o questionari etero descrittivi da somministrare a genitori ed
insegnanti del soggetto.
Inoltre è necessario che il cambiamento registrato risulti stabile ai controlli di followup di almeno sei mesi e imputabile al trattamento applicato e non a fattori esterni o
maturazionali del bambino. Lo sviluppo misurato delle abilità coinvolte nel
trattamento deve poter essere verificato come cambiamento reale e non casuale.
I trattamenti riabilitativi vengono interrotti nel momento in cui il soggetto raggiunge
un’autonomia rispetto alle richieste ambientali.
La Legge 170/2010 definisce che le istituzioni scolastiche garantiscano l’utilizzo di
una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di
lavoro scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari del soggetto,
adottando una metodologia e una strategia educativa adeguate. Richiama inoltre le
istituzioni scolastiche all’obbligo di garantire l’introduzione di strumenti
compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie
informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini
della qualità dei concetti da apprendere.
La Legge 53/2004 e il Decreto Legislativo 59/2004, calibra l’offerta didattica e le
modalità relazionali, sulla specificità ed unicità a livello personale dei disturbi
educativi che caratterizzano gli alunni della classe, considerando le differenze
individuali soprattutto sotto il profilo qualitativo.
Le attività di recupero individualizzato, le modalità didattiche personalizzate, nonché
gli strumenti compensativi e le misure dispensative, dovranno essere esplicitate e
formalizzate. A questo riguardo la scuola predispone un documento che dovrà
contenere almeno le seguenti voci, articolato per le discipline coinvolte nel disturbo:
tipologia del disturbo; attività didattiche individualizzate e personalizzate; strumenti
compensativi utilizzati; misure dispensative adottate; forme di verifica e valutazione
Francesca Dondini
40
personalizzate.
E’ possibile valutare l’introduzione di strumenti compensativi dopo una precisa
valutazione clinica, nel caso sia riscontrata una limitazione importante dell’autonomia
rispetto alle esigenze personali e le richieste ambientali, in particolare quelle
scolastiche; nel caso risulti insufficiente l’applicazione di semplici adattamenti
didattici; nel caso ci sia la disponibilità della scuola e della famiglia nell’utilizzo di
strumenti compensavi e questo non determini la percezione di stigma al soggetto. Gli
strumenti compensativi sono: sintesi vocale, calcolatrice, correttore ortografico,
lettore esterno, penne con impugnatura speciale, tavola pitagorica, promemoria dei
verbi, sequenza di giorni/mesi, quaderni speciali, testi con carattere più leggibile.
Come misure dispensative si intendono invece: la sostituzione delle verifiche scritte
con quelle orali, la valutazione del contenuto e non della correttezza ortografica nelle
produzioni scritte, la scelta dell’utilizzo di un unico carattere grafico in caso di
disgrafia, come ad esempio il solo stampato maiuscolo.
4. La meta-analisi – parte teorica
Il termine meta-analisi (meta-analysis MA) fu introdotto da Glass nel 1976 44, per
indicare un approccio quantitativo ideato per integrare i risultati di numerose ricerche,
relative alla stessa tematica, eseguite nel corso del tempo. In psicologia raramente un
singolo studio offre una risposta esauriente e completa ad un problema di ricerca, sia
perché l’oggetto di studio risulta molto complesso sia per il fatto che gli esperimenti
stessi possono essere disomogenei relativamente all’ambiente della ricerca, al
campione utilizzato e alle procedure seguite. Nelle ricerche fatte su uno stesso
oggetto, se vengono utilizzate definizioni, campioni, variabili e procedimenti
differenti, possono risultare conclusioni non confrontabili. Prima del contributo di
Glass, l’approccio tradizionale per compiere questo lavoro, implicava la raccolta delle
ricerche condotte su un dato argomento, la loro categorizzazione (come ad esempio
distinguere i risultati di ricerche metodologicamente corrette contro quelle contenenti
evidenti carenze di controllo) e il tentativo di arrivare ad una conclusione sulla base
della proporzione di ricerche che convergevano su un determinato risultato. Tale
approccio però comportava quasi inevitabilmente l’introduzione di giudizi soggettivi,
preferenze ed errori, nonché la non replicabilità del procedimento.
Il numero sempre maggiore di studi che cercano di rispondere alla stessa domanda di
ricerca, ha reso necessario trovare delle metodologie adeguate per integrare la
crescente mole di conoscenza disponibile in letteratura, arrivando a conclusioni
avvalorate dalle evidenze empiriche. Le rassegne sistematiche, le sintesi della ricerca
e le meta-analisi si sono affermate come “gold standard” nella sintesi della letteratura
disponibile su un determinato argomento.
Una rassegna sistematica (systematic review SR) e una sintesi della ricerca (research
synthesis RS), possono essere considerate procedure intercambiabili. Sono finalizzate
44
Glass utilizzò per la prima volta il termine meta-analisi nel suo discorso presidenziale all’American
Educational Research Association
Francesca Dondini
41
a rispondere a una precisa domanda di ricerca, raccogliendo tutte le evidenze
empiriche disponibili in letteratura.
Una meta-analisi si basa sull’analisi delle analisi, ossia sull’uso di una varietà di
tecniche quantitative ideate per analizzare i risultati degli studi in questione. Si tratta
dell’utilizzo di metodi statistici utili per sintetizzare i risultati degli studi primari,
analizzare il grado di eterogeneità dei risultati e spiegare le differenze riscontrate tra
gli studi inseriti. La meta-analisi può essere inclusa all’interno di una rassegna
sistematica, in questi casi il termine “meta-analisi” sta ad identificare l’intero
processo che porta al lavoro conclusivo. Gli studi inseriti in una meta-analisi
oltrepassano quindi la criticità legata alla significatività statistica in quanto vanno a
sommarsi ad altri studi simili potenziando la validità delle conclusioni.
Attualmente esistono due classi di meta-analisi:
•
•
il primo si basa sulla significatività delle ricerche (p), cioè sulla probabilità p di
accadimento del valore della statistica calcolata, assumendo come vera l’ipotesi
nulla. In un esperimento, la probabilità p indica quanto è probabile che un
risultato sia vero nella popolazione;
il secondo si basa sugli indici di ampiezza dell’effetto (ES), ossia l’intensità con
cui un eventuale risultato si realizza in un esperimento.
Per comprendere meglio le differenze tra le due tipologie di meta-analisi, si assuma
che siano state eseguite quattro ricerche per studiare l’efficacia di un tipo di
psicoterapia nel trattamento della depressione. Sapendo che è convenzionalmente
stabilito che il valore di p, per essere significativo, non deve superare 0,05, si
supponga che in due di queste ricerche non sia emerso alcun risultato significativo,
perché il valore di probabilità raggiunto è rispettivamente p=0,10 e p=0,08, mentre
nelle altre due ricerche l’effetto della psicoterapia risulta significativo in quanto i
valori sono p=0,04 e p= 0,01. Per poter combinare il risultato di queste quattro
ricerche potremmo utilizzare la prima tipologia di meta-analisi, servendosi dei valori
di probabilità riscontrati nelle singole ricerche, con lo scopo di ottenere un valore p
globale che vuole essere rappresentativo dell’effetto combinato delle ricerche prese in
considerazione. Nella seconda tecnica verificheremo invece l’efficacia della terapia,
quindi se ha prodotto l’effetto sperato, e l’ampiezza di questo effetto. Nelle varie
ricerche avremo un dato di ampiezza dell’effetto differente l’una dall’altra, quindi
dovremo combinare i risultati di Effect Size (ES) delle diverse ricerche per arrivare
ad una stima combinata.
Un’ulteriore suddivisione può essere applicata distinguendo:
•
•
meta-analisi su larga scala, ovvero svolta includendo tutti gli studi esistenti su un
determinato argomento;
meta-analisi su piccola scala, ovvero svolta su pochi studi selezionati in base ad
un obiettivo specifico. Questo genere di lavoro non presuppone quindi una ricerca
sistematica della letteratura disponibile ma l’analisi incentrata ad esempio su
studi effettuati su un dato argomento da un autore specifico oppure come metodo
di analisi posto alla fine di un articolo per riassumere gli studi ivi compresi, ecc…
Due importanti riferimenti sono rappresentati da: La Cochrane Collaboration
Francesca Dondini
42
http://www.cochrane.org/ , una organizzazione no profit internazionale il cui
obiettivo è promuovere cure sanitarie evidence-based, attraverso la produzione e il
continuo aggiornamento di rassegne sistematiche in ambito medico e farmaceutico; il
gruppo Campbell Collaboration http://www.campbellcollaboration.org/ , che
rappresenta una rete di ricerca internazionale che produce rassegne sistematiche
focalizzate in ambito educativo, psicologico e sociale.
4.1 Definizione dell’argomento di ricerca
La definizione dell’argomento di ricerca prevede che vengano esplicitati il
background di riferimento, le ipotesi che si intendono testare e le
operazionalizzazioni delle variabili prese in esame. La definizione dell’ipotesi può
avvenire attraverso un sillogismo “se…allora”, ipotizzando che se si verifica la
condizione a allora si verificherà b. La prima (a) verrà definita come variabile
indipendente (es. presenza di dislessia); la seconda (b) come variabile dipendente (es.
positività ai test diagnostici per la dislessia). L’operazionalizzazione stabilisce invece
la traduzione di a e b in variabile numerica o categoriale vera e propria.
Durante la conduzione di una meta-analisi, trovandosi nella condizione di dover
paragonare studi che possono avere operazionalizzazioni differenti, è sufficiente
avere la certezza che il costrutto dal quale partano sia il medesimo, al fine di poter
trovare il modo di integrare i dati.
Per testare l’ipotesi che la positività al nostro processo diagnostico sulla dislessia non
sia inquinato da altre variabili, è necessario condurre un test statistico atto a valutare
la plausibilità della nostra ipotesi rispetto all’ipotesi nulla, ovvero l’ipotesi di assenza
di legame tra la variabile dipendente e le altre variabili indipendenti. Il test statistico
può essere unidirezionale, ossia ad una coda, o bidirezionale, ossia a due code. Nel
primo caso viene considerata solo una variante dell’ipotesi, quindi esiste un legame
solo positivo tra le due variabili, mentre nel secondo caso vengono considerate sia
l’associazione positiva che quella negativa. Durante la raccolta degli studi primari per
la definizione della meta-analisi, può capitare che non venga indicato esplicitamente
se il test ivi incluso è unidirezionale o bidirezionale, in questi casi si può
ragionevolmente assumere che sia a due code, per seguire un approccio più
conservativo.
4.2 Definizione dei criteri di inclusione ed esclusione
Come tutto quello che determina il risultato della meta-analisi, la definizione dei
criteri di inclusione ed esclusione devono essere definiti, esplicitati e motivati, in
modo che la ricerca svolta possa risultare chiara nella scelta di comprendere o
scartare alcuni studi. I criteri di inclusione relativi alle caratteristiche dello studio
fanno riferimento al PICOS, acronimo di:
Participants – riferibili alla specifica delle caratteristiche della popolazione che si sta
studiando;
Interventions – che definiscono le caratteristiche degli interventi che sono oggetto
della meta-analisi;
Comparisons – che rimandano alle caratteristiche del gruppo di controllo (se il
gruppo di controllo non è ben definito diventa difficile trarre conclusioni
sull’efficacia dell’intervento);
Francesca Dondini
43
Outcomes – cioè le variabili dipendenti che verranno prese in esame. E’ corretto
parlare di outcomes al plurale in quanto le meta-analisi vengono generalmente
realizzate su più outcomes;
Study design – cioè disegno di ricerca, che definisce le tipologie di studi oggetto di
analisi (es. Randomized Control Trials RCT 45, Studi Osservazionali, ecc…).
Un’altra tipologia di criteri da prendere in esame per definire le caratteristiche di
inclusione ed esclusione degli studi in una meta-analisi riguardano:
•
•
•
la lingua di pubblicazione – ossia scegliere se includere studi pubblicati solo in
lingua inglese, solo pubblicati in lingua inglese ed un altro numero limitato di
lingue oppure non fare selezioni in base alla lingua di pubblicazione;
l’anno di pubblicazione – che permette di stabilire un limite temporale dato ad
esempio da un ambito di ricerca che ha avuto inizio in un anno preciso, oppure
nel caso si voglia integrare una meta-analisi già presente, prendendo in
considerazione solo gli studi avvenuti a valle della pubblicazione. Quando queste
due condizioni non si verificano, è sempre meglio non inserite limiti temporali,
per preservare un approccio più conservativo e non rischiare di omettere qualche
studio;
tipo di pubblicazione – definendo se includere nella ricerca solo articoli su rivista,
libri, report di ricerca, documentazione prodotta nei convegni oppure anche la
“letteratura grigia”. Quest’ultima è composta da tesi di dottorato, articoli
pubblicati su riviste non indicizzate nelle principali banche dati, articoli non
pubblicati. Inserendo in una meta-analisi anche la letteratura grigia è possibile
ampliare notevolmente il numero di studi sui quali fare il lavoro, aumentandone
conseguentemente la potenza statistica e diminuendo la possibilità di
sovrastimare l’effetto complessivo. Di contro, si corre il rischio di introdurre
possibili bias nell’individuazione degli studi, in quanto le strategie di ricerca della
letteratura grigia sono difficilmente replicabili. Inoltre, il contenuto di questi
documenti può non rispettare il livello qualitativo definito per la documentazione
pubblicata. Nei casi in cui la meta-analisi includa sia gli articoli su rivista sia la
letteratura grigia, è bene controllare l’impatto di questa scelta sui risultati finali,
testando se i risultati degli studi pubblicati sono in linea con i risultati degli studi
non pubblicati.
La prima valutazione degli articoli selezionati atta alla verifica della corrispondenza
con i criteri di inclusione, viene fatta esclusivamente sul titolo e sull’abstract.
4.3 Ricerca della letteratura
La ricerca della letteratura disponibile ha l’obiettivo di individuare tutti gli studi
condotti su un determinato argomento. Per riuscire a condurre una buona meta-analisi
è buona prassi avere criteri di ricerca ampi. Per avere buone garanzie di recuperare la
totalità della letteratura esistente, è necessario utilizzare più banche dati, distinguendo
tra quelle specifiche per settore e quelle multidisciplinari. Nella ricerca è possibile
utilizzare delle parole chiave, attraverso le quali costruire le stringhe di ricerca.
45
studi sperimentali che permettono di valutare l'efficacia di uno specifico trattamento in una determinata
popolazione
Francesca Dondini
44
Altre strategie di ricerca possono essere la ricerca di pubblicazioni di un determinato
autore, la ricerca di studi che citano una determinata pubblicazione, e tutti quei filtri
resi disponibili all’interno delle banche dati maggiormente utilizzate come
PsycINFO, PsycERIC, Pubmed, Scopus, Web of Science, ecc…
Le strategie di ricerca usate devono essere esplicitate nella pubblicazione della metaanalisi. E’ pertanto necessario specificare le banche dati utilizzate, le chiavi di ricerca
inserite, i filtri attivati e la data in cui è stata fatta l’estrazione. Quest’ultima
generalmente è rappresentata dal mese e anno di riferimento, in quanto da un lato le
ricerche risultano piuttosto lunghe e dall’altro in termini di pubblicazione, tra un
giorno ed un altro non si registrano sostanziali modifiche.
4.4 Selezione degli studi primari
Le operazioni di selezione degli studi che entreranno nella meta-analisi devono essere
documentate con chiarezza e per farlo, è possibile seguire le linee guida PRISMA,
compilando il seguente flow diagram:
Figura 3 Prisma Flow Diagram
Francesca Dondini
45
Lo studio può essere inserito in una meta-analisi solo se tratta ricerca empirica di
primo livello, la meta-analisi è infatti uno studio di secondo livello composto da studi
primari; si applica solo a ricerche che abbiano prodotto risultati quantitativi; a studi i
cui dati possano essere confrontabili tra loro e in ultimo ad argomenti che vedano una
congrua quantità di studi primari, che in psicologia vede un minimo di 15 studi
confrontabili.
4.5 Valutazione dell’affidabilità della selezione
La misura dell’affidabilità della selezione può essere svolta sia nella prima fase di
valutazione dei soli titoli e abstract, sia nella seconda fase di valutazione dei full-text.
Questo tipo di operazione può essere svolta in due modi, generalmente scelti in base
alla quantità di persone coinvolte nel lavoro. Esiste il calcolo inter-giudice (inter-rater
reliability) attraverso la valutazione del grado di accordo tra le scelte fatte da due o
più giudici indipendenti; oppure il calcolo intra-giudice (intra-rater reliability)
attraverso la valutazione del grado di accordo mostrato dalla stessa persona in due
momenti differenti; in entrambi i casi il calcolo dell’affidabilità può essere fatto sia
individuando la percentuale di accordo:
𝑁𝑁_1 + 𝑁𝑁_2
𝑁𝑁_𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡
Calcolo della percentuale di accordo tra giudici
𝑁𝑁1 = numero di studi per i quali i giudici sono d’accordo nell’inclusione
𝑁𝑁2 = numero di studi per il quali i giudici sono d’accordo nell’esclusione
(La N al numeratore può essere composta sia dalla numerosità di accordo e disaccordo tra i
due giudici, sia di accordo e disaccordo tra lo stesso giudice in momenti diversi).
Sia attraverso la k di Cohen:
𝑎𝑎+𝑏𝑏
𝑁𝑁
(𝑎𝑎+𝑐𝑐)∗(𝑎𝑎+𝑑𝑑)∗(𝑏𝑏+𝑐𝑐)∗(𝑏𝑏+𝑑𝑑)
Pr (a) =
Pr (e) =
k=
𝑁𝑁 2
𝑃𝑃𝑃𝑃(𝑎𝑎)−𝑃𝑃𝑃𝑃(𝑒𝑒)
1−𝑃𝑃𝑃𝑃(𝑒𝑒)
Calcolo dell’accordo tra giudici attraverso la k di Cohen
Pr (a) = accordi osservati
Pr (e) = accordi attesi
N = numero degli studi
k = valori della k di Cohen
a = n. di studi che entrambi i giudici decidono di inserire nella meta-analisi
b = n. di studi che entrambi i giudici decidono di escludere dalla meta-analisi
c = n. di studi inclusi dal primo giudice ed esclusi dal secondo
d = n. di studi esclusi dal primo giudice ed inclusi dal secondo
Per interpretare i risultati della k di Cohen sono stati definiti dei cut-off (Landis &
Koch, 1977):
Valori di k
< 0.01
.01 - .20
.21-.40
.41-.60
.61-.80
.81-1.00
Grado di accordo
Nullo
Scarso
Modesto
Moderato
Sostanziale
Quasi perfetto
Tabella 6 Interpretazione della k di Cohen – si considerano accettabili valori superiori a .61
Francesca Dondini
46
Quando vengono individuati molti riferimenti bibliografici, il controllo
sull’affidabilità inter-giudice o intra-giudice non deve necessariamente essere
condotto su tutti gli studi, ma è sufficiente limitare il controllo ad un sotto-campione
random (20-25%).
4.6 Codifica degli studi primari
Gli studi primari rappresentano la fonte di dati necessaria per testare le ipotesi. Per
garantire la massima trasparenza nel processo, è necessario predisporre un protocollo
di codifica, che definisca quali dati saranno estratti dagli studi primari e con quali
modalità di estrazione. Così come nella ricerca primaria, è essenziale che lo
strumento usato per la raccolta dei dati sia chiaro, quindi il protocollo di codifica
deve essere ben strutturato in modo che chi lo utilizza, non abbia dubbi circa la sua
applicazione. Nel protocollo di codifica possono essere inserite le seguenti voci:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Nome dello studio;
Numerosità del campione (N);
Età media del campione con DS fra parentesi;
% di donne;
% di minoranze etniche;
Nazione in cui è stato svolto lo studio
Tipologia di scala utilizzata nella misura;
Tipologia della raccolta dati (self-report/others);
Tipologia di studio (longitudinale/trasversale);
Dati relativi alle
caratteristiche
dello studio
•
•
•
Anno di pubblicazione;
Lingua di pubblicazione;
Tipo di pubblicazione;
Dati relativi alle
caratteristiche
della
pubblicazione
•
•
•
Outcomes;
Media (M) totale o di un sotto-campione;
Deviazione standard (DS) totale o di un sotto-campione.
Dati necessari per
il calcolo dell’ES
Quando lo studio primario non contiene i dati per il calcolo dell’effect-size, non sarà
possibile inserirlo nella meta-analisi ma solo nella sintesi qualitativa.
4.7 Effect size
L’effect size (ES) è la misura statistica della dimensione di un effetto (Ellis, 2010).
Nella meta-analisi l’effect size può rappresentare la differenza tra due gruppi, ossia
quanto è grande la differenza tra questi su una certa dimensione, oppure
l’associazione tra due variabili, indicando quindi la forza del legame. Per ogni studio
inserito della meta-analisi, viene calcolato l’effect size relativo all’outcomes
esaminato e la sua varianza.
Nello specifico, si possono presentare le seguenti situazioni:
 Su studi che mettono a confronto due gruppi indipendenti o appaiati e dati
raccolti trasversalmente 46, l’ES fornirà informazioni circa la grandezza della
46
Dati raccolti in un unico momento temporale
Francesca Dondini
47
differenza tra l’outcomes misurato nel primo gruppo e quello misurato nel
secondo. Nel caso di gruppi appaiati, ad es. formati da coppie di gemelli, il
confronto verrà fatto in base alla differenza di dati tra il primo gemello ed il
secondo e alle differenze registrate nelle altre coppie coinvolte.
 Su studi che mettono a confronto due gruppi indipendenti e dati raccolti
longitudinalmente 47, l’ES fornirà un confronto tra gruppo sperimentale e gruppo
di controllo e l’evoluzione dell’outcomes nel tempo.
 Su studi con un unico gruppo misurato longitudinalmente, l’ES riguarderà il
confronto della performance di uno stesso gruppo nel tempo.
Gli effect size si dividono in alcune grandi categorie in base alla tipologia di dati usati
per calcolarli:
- Negli effect size basati sulle medie viene fatto un confronto tra due gruppi (o su
uno stesso gruppo in momenti temporali differenti) mediante i punteggi medi
dell’outcomes di interesse. Le procedure percorribili si differenziano per modalità
di operazionalizzazione e misurazione degli outcomes negli studi primari e sono:
1. la differenza media non standardizzata (raw unstandardized mean difference)
utilizzabile se tutti gli studi primari hanno usato la stessa
operazionalizzazione dell’outcomes. Viene calcolata mettendo a confronto
due o più gruppi e le loro medie
D (differenza media non standardizzata) = 𝑀𝑀1 - 𝑀𝑀2
Calcolo della differenze media non standardizzata
La formula per il calcolo della varianza della differenza media non
standardizzata differisce a seconda che assumiamo che i due gruppi abbiano
la stessa deviazione standard oppure no. Nel caso si assuma che i due gruppi
non abbiano la stessa deviazione standard la formula è la seguente:
𝑉𝑉𝐷𝐷 =
𝑆𝑆𝑆𝑆12 𝑆𝑆𝑆𝑆22
+
𝑛𝑛1
𝑛𝑛2
Calcolo della varianza della differenze media non standardizzata
2. la d di Cohen utilizzabile se le operazionalizzazioni degli studi primari sono
diverse e quindi si rende necessario convertire i punteggi grezzi in effect size
standardizzati e pertanto confrontabili. I dati di ingresso necessari sono le
medie (𝑀𝑀1 𝑒𝑒𝑀𝑀2 ), le deviazioni standard (𝐷𝐷𝐷𝐷1e 𝐷𝐷𝐷𝐷2) e la numerosità (𝑛𝑛1 e 𝑛𝑛2 )
di entrambi i gruppi. Questi dati permettono di calcolare con massima
precisione l’effect size rappresentato dalla d di Cohen:
d=
𝑀𝑀1 − 𝑀𝑀2
𝐷𝐷𝐷𝐷𝑤𝑤ℎ𝑖𝑖𝑖𝑖ℎ𝑖𝑖𝑖𝑖
dove la 𝐷𝐷𝐷𝐷𝑤𝑤ℎ𝑖𝑖𝑖𝑖ℎ𝑖𝑖𝑖𝑖 =
�(𝑛𝑛1 −1) 𝐷𝐷𝐷𝐷12 + (𝑛𝑛2 −1) 𝐷𝐷𝐷𝐷22
𝑛𝑛1 +𝑛𝑛2 −2
Calcolo della d di Cohen per gruppi indipendenti
𝑉𝑉𝑑𝑑 =
𝑛𝑛1 + 𝑛𝑛2
𝑑𝑑 2
+
2 (𝑛𝑛1 + 𝑛𝑛2 )
𝑛𝑛1 𝑛𝑛2
Calcolo della varianza della d di Cohen
A parità di d di Cohen, gli studi con numerosità elevata avranno minore
varianza rispetto agli studi con numerosità limitata. Questo influirà sul peso
che il singolo studio avrà nella meta-analisi.
47
Dati raccolti in momenti temporali differenti
Francesca Dondini
48
La radice quadrata della Varianza della d di Cohen fornirà la dimensione
dell’Errore Standard. Altro dato utile per assegnare significato alla d di
Cohen:
𝑆𝑆𝑆𝑆𝑑𝑑 =�𝑉𝑉𝑑𝑑
Calcolo dell’Errore Standard
Nel caso si voglia mettere a confronto due gruppi indipendenti analizzati nel
tempo, oltre che alle medie, le deviazioni standard e la numerosità dei gruppi
nei diversi momenti temporali di interesse, è necessario disporre della
correlazione tra i punteggi pre e post, per poter procedere al calcolo della d di
Cohen.
Nel caso in cui la meta-analisi debba essere svolta su dati ricavati da gruppi
appaiati, i dati che andranno presi in considerazione saranno costituiti dalle
differenze all’interno della coppia, quindi: differenza tra i punteggi del 1°
gemello rispetto al 2°; deviazione standard di questa differenza; ecc… . Dal
momento che nella meta-analisi svolta nel presente lavoro non sono presenti
questi casi, non entreremo ulteriormente nel dettaglio.
L’interpretazione dei risultati ottenuti attraverso la d di Cohen avviene
mediante dei cut-off 48 specifici che Cohen stesso ha definito:
|.00|
 effetto nullo
|.20|
 effetto piccolo
|.50|
 effetto medio
|.80|
 effetto grande
3. la g di Hedges, calcolata a partire dalla d di Cohen e preferibile nei casi in cui
la numerosità campionaria dello studio primario è inferiore alle 15 unità. Se
in una meta-analisi sono inseriti studi che hanno sia campioni grandi che
piccoli, risulta comunque più opportuno utilizzare per la conversione dei dati,
la g di Hedges per tutti. Questo effect size utilizza un fattore di correzione (J),
che si applica alla d di Cohen per superare il problema dei piccoli campioni:
J=1-
3
4𝑑𝑑𝑑𝑑−1
dove
df = (𝑛𝑛1 − 1) + (𝑛𝑛2 -1)= 𝑛𝑛1 + 𝑛𝑛2 -2
Calcolo del coefficiente di correzione J
Calcolo di df (gradi di libertà)
Nel caso vengano presi in considerazione dati di gruppi appaiati oppure si
confronti gruppi pre/post, i gradi di libertà saranno rappresentati da n – 1.
Il fattore di correzione J è sempre inferiore a 1 e quindi la g di Hedges sarà
sempre inferiore alla d di Cohen. Tuttavia le differenze tra d e g sono
apprezzabili solo per numerosità campionarie molto piccole, su campioni
ampi infatti la J si avvicina molto al valore 1 e quindi la g tende a coincidere
con la d.
La varianza della g di Hedges si calcola a partire dalla varianza della d di
Cohen:
-
𝑉𝑉𝑔𝑔 = 𝐽𝐽2 𝑉𝑉𝑑𝑑
Eventi
48
Calcolo della varianza della g di Hedges
Negli effect size basati sui dati binari abbiamo il confronto tra due gruppi
indipendenti nell’accadimento o meno di un evento. Questi effect size sono basati
sulle frequenze e sulla numerosità dei gruppi e danno la possibilità di utilizzare
più formati di ingresso, tra loro matematicamente equivalenti:
Non eventi
N
Cohen (1988) cut-off di interpretazione dei valori assoluti della d di Cohen
Francesca Dondini
49
Gruppo sperimentale
Gruppo di controllo
A
C
𝑛𝑛1
𝑛𝑛2
B
D
• Eventi e numerosità (A,C, n1,n2)
• Eventi, non eventi (A,B,C,D)
• Non eventi e numerosità (B,D, n1,n2)
A partire da questi dati, è possibile operare in modo differente e ricavare:
1. Il Risk ratio, che rappresenta il rapporto tra due rischi ed esattamente il
rapporto tra il rischio del verificarsi di un evento nel gruppo sperimentale e
quello nel gruppo di controllo. La formula per il calcolo è:
Risk Ratio =
𝐴𝐴/𝑛𝑛1
𝐶𝐶/𝑛𝑛2
Calcolo del Risk Ratio
Se l’effetto che stiamo studiando fosse nullo, ossia il rischio del verificarsi
dell’evento fosse identico sia nel gruppo sperimentale che nel gruppo di
controllo, allora avremmo un valore del Risk Ratio pari a 1.
La sua varianza è invece:
𝑉𝑉 𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅 𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅=
1
𝐴𝐴
-
1
𝑛𝑛1
1
𝐶𝐶
+ -
1
𝑛𝑛2
Calcolo della varianza del Risk Ratio
2. L’Odds ratio, dato dal rapporto tra due probabilità, quindi mettendo al
numeratore il rapporto tra rischio dell’evento e del “non evento” all’interno
del gruppo sperimentale, mentre al denominatore il rapporto tra il rischio
dell’evento e del “non evento” nel gruppo di controllo:
Odds Ratio =
𝐴𝐴/𝐵𝐵
𝐶𝐶/𝐷𝐷
=
𝐴𝐴𝐴𝐴
𝐵𝐵𝐵𝐵
Calcolo dell’Odds Ratio
Anche in questo caso, se l’effect size è nullo, avremo un Odds Ratio pari a 1.
Il calcolo della varianza è:
1
𝐴𝐴
𝑉𝑉𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂 𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅 = +
1
𝐵𝐵
1
𝐶𝐶
+ +
1
𝐷𝐷
Calcolo della varianza dell’Odds Ratio
3. Il Risk Difference, che è la differenza tra due rischi, ossia la differenza tra il
rischio che si verifichi l’evento nel gruppo sperimentale e nel gruppo di
controllo. Il calcolo per la definizione del Risk Difference è il seguente:
Risk Diff =
𝐴𝐴
𝑛𝑛1
-
𝐶𝐶
𝑛𝑛2
Calcolo del Risk Difference
In questo caso, il valore che corrisponde a un effect size nullo è 0.
Il calcolo della varianza è il seguente:
-
𝑉𝑉𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅 𝐷𝐷𝐷𝐷𝐷𝐷𝐷𝐷 =
𝐴𝐴𝐴𝐴
𝑛𝑛13
+
𝐶𝐶𝐶𝐶
𝑛𝑛23
Calcolo della varianza del Risk Difference
Gli effect size basati sulle correlazioni, indicano la relazione tra due variabili. In
questo caso il “gold data entry format” è dato dal coefficiente di correlazione e
dalla numerosità campionaria. Il coefficiente di correlazione può assumere valori
compresi tra -1 e +1 e può quindi essere una correlazione negativa, ossia
all’aumentare di una variabile corrisponde una diminuzione nell’altra variabile e
viceversa; una correlazione positiva, ossia all’aumentare o al diminuire di una
variabile corrisponde un aumento o una diminuzione dell’altra; oppure nulla,
ossia prossima allo zero e quindi le variabili sono tra loro indipendenti per cui al
Francesca Dondini
50
variare di una non corrisponde la variazione dell’altra.
I cut-off utili per valutare la forza di un legame correlazionale 49 sono:
|.00| = correlazione nulla
|.10| = correlazione piccola
|.30| = correlazione moderata
|.50| = correlazione forte
Il quadrato del coefficiente di correlazione indica la percentuale di varianza che
hanno in comune due variabili. Per esempio, se tra la manifestazione di sintomi
ansiosi e depressivi ci fosse una correlazione di .50, ciò vorrebbe dire che queste
due sintomatologie avrebbero in comune il 25% della varianza (.50 * .50 = .25).
E’ importante ricordare che una correlazione esprime un’associazione tra due
variabili ma non un legame causa-effetto. Nell’ambito delle correlazioni, l’Effect
Size può essere calcolato attraverso:
1. La correlazione di Pearson (r) che è utilizzata per esprimere la forza
dell’associazione di due variabili continue e per consentire i calcoli metaanalitici, deve essere convertita in punteggi z di Fisher:
z = 0.5 ln (
-
1+𝑟𝑟
1−𝑟𝑟
)
mentre le varianza…. 𝑉𝑉𝑧𝑧 =
1
𝑛𝑛−3
Conversione in punteggio z di Fisher e sua varianza
Gli effect size basati sull’hazard ratio si applicano per esaminare se e quando si
verificherà un certo evento. Si tratta di un tipo di analisi usata principalmente per
predire fallimenti come l’inefficacia di un trattamento. In tal caso occorre
codificare dagli studi primari i risultati che confrontano gli hazard rate e cioè la
probabilità che un partecipante alla sperimentazione mantenga un determinato
stato nel tempo. Tale confronto è dato dall’hazard ratio che rappresenta il
rapporto tra due hazard rate. Quindi il “gold data entry format” è dato dall’hazard
ratio e il suo intervallo di confidenza 50.
Riassumendo, per ogni tipologia di effect size c’è un “gold data entry format”:
- Effect size basati sulle medie vengono calcolati utilizzando medie, deviazioni
standard e numerosità dei gruppi;
- Effect size basati sui dati binari vengono calcolati utilizzando frequenze e
numerosità dei gruppi;
- Effect size basati sulle correlazioni vengono calcolati utilizzando correlazione e
numerosità campionaria;
- Effect size basati sull’hazard ratio vengono calcolati utilizzando hazard ratio e
intervallo di confidenza.
Una volta recuperati i dati attraverso queste formule di sintetizzazione, è necessario
verificare se è possibile confrontare effect size diversi nella meta-analisi. L’obiettivo
è quello di, attraverso la conversione dei vari effect size, ricondurli ad una stessa
metrica.
La d di Cohen, l’Odds Ratio e la correlazione di Pearson possono essere convertiti tra
loro attraverso una serie di formule che i software per fare meta-analisi contengono
già al loro interno. L’hazard ratio è l’unico effect size che non può essere convertito
in altre forme.
Una volta trovati i singoli effect size, è possibile calcolare l’errore standard:
49
50
Cohen (1988)
Fornisce la misura della precisione del risultato
Francesca Dondini
51
E l’intervallo di confidenza:
𝑆𝑆𝑆𝑆𝐸𝐸𝐸𝐸 = �𝑉𝑉𝑆𝑆𝑆𝑆
Calcolo dell’errore standard dell’effect size
𝐿𝐿𝐿𝐿𝐸𝐸𝐸𝐸 = ES – 1.96*𝑆𝑆𝑆𝑆𝐸𝐸𝐸𝐸
𝑈𝑈𝑈𝑈𝐸𝐸𝐸𝐸 = ES + 1.96*𝑆𝑆𝑆𝑆𝐸𝐸𝐸𝐸
Calcolo dell’intervallo di confidenza dell’effect size
Tanto più è piccolo l’intervallo di confidenza, tanto più l’effect size è preciso. Inoltre
dall’intervallo di confidenza è possibile inferire la significatività statistica dell’effect
size, in quanto se include il valore che corrisponde all’effect size nullo, allora il
risultato è statisticamente non significativo, mentre se non lo include, il risultato è
staticamente significativo.
4.8 Calcolo dell’effect size globale
Per il calcolo dell’effect size globale è necessario scegliere il formato da utilizzare. Se
per tutti gli studi primari è stato utilizzato lo stesso tipo di effect size, la scelta
ovviamente ricadrà su quella tipologia, mentre se gli studi primari presentano effect
size di tipo diverso, la scelta deve tenere conto dei seguenti fattori:
 la tipologia di dati riportati in misura predominante negli studi primari;
 le proprietà matematiche dell’effect size, privilegiando tipologie che consentano
una conversione;
 l’interpretabilità dei risultati, orientandosi su effect size di più facile
interpretazione, come il Risk Ratio, la d di Cohen e la correlazione di Pearson.
Una volta definito il formato dell’effect size globale, è necessario fare la
riconversione degli effect size dei singoli studi. La fase successiva prevede
l’assegnazione di un peso (Weight – W) ad ogni studio attraverso due modelli
statistici:
- Il Fixed-effect model che parte dall’assunto che ci sia un unico vero effect size
comune a tutti gli studi primari. E’ questo il motivo per cui in questo modello si
parla di “effetto” al singolare. Nel fixed effetc model le differenze che si
riscontrano tra i vari studi sono attribuibili a un’unica fonte di varianza, la
varianza within-study. Il peso assegnato a ogni studio si calcola come l’inverso
della varianza:
𝑊𝑊𝑖𝑖 =
1
𝑉𝑉𝑖𝑖
Calcolo del peso dello studio nel fixed-effect model
Una volta definito il peso, è possibile procedere al calcolo dell’effect size globale
mettendo al numeratore la sommatoria per ogni studio del prodotto dei pesi per i
singoli effect size e al denominatore la sommatoria dei pesi:
ES =
∑𝑘𝑘
𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖 𝐸𝐸𝐸𝐸𝑖𝑖
∑𝑘𝑘
𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖
Calcolo dell’effect size globale nel fixed-effect model
Ogni volta che si procede al calcolo dell’effect size globale, è indispensabile
calcolare la varianza e l’errore standard, per poter poi calcolare l’intervallo di
confidenza.
L’idea che tutti gli studi, al netto degli errori insiti in ogni studio, dovrebbero
riportare lo stesso valore di effect size, nella realtà risulta difficilmente
Francesca Dondini
52
-
sostenibile, quindi questo modello nella pratica è poco utilizzato. Inoltre, in
questo modello, tanto più uno studio ha un campione numeroso, tanto più la
varianza è piccola, quindi quando si assegna il peso, gli studi con campioni ampi
avranno molto più peso degli studi con piccoli campioni.
Il Random-effects model che parte dall’assunto che gli effect size dei vari studi
siano distribuiti in maniera normale, quindi l’effect size osservato si discosta
dall’effect size globale e tale scarto si origina da due forme di varianza, la
varianza within-study, rappresentata dalla discrepanza tra effect size osservato ed
il vero effect size di ogni studio; dalla varianza between-studies (𝑇𝑇 2 , Tau square),
rappresentata dallo scarto tra effect size vero ed effect size globale. Entrambe le
forme di varianza entrano in gioco della definizione del peso assegnato ad ogni
studio, in quanto la varianza si ottiene sommando la varianza within-study e la
varianza between-studies:
𝑉𝑉𝑖𝑖∗ = 𝑉𝑉𝑖𝑖 + 𝑇𝑇 2
Calcolo della varianza nel random-effects model
Il calcolo dei valori utili per ottenere questo risultato, sono:
𝑇𝑇 2 =
Q=
𝑄𝑄−𝑑𝑑𝑑𝑑
𝐶𝐶
Calcolo di 𝑇𝑇𝑇𝑇𝑇𝑇2
∑𝑘𝑘
𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖 𝐸𝐸𝐸𝐸𝑖𝑖
∑𝑘𝑘
𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖
df = k -1
C = ∑𝑘𝑘𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖 -
2
∑𝑘𝑘
𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖
∑𝑘𝑘
𝑊𝑊
𝑖𝑖=1 𝑖𝑖
Calcolo del valore Q
Calcolo dei gradi di libertà
Calcolo del valore C
Ed in fine è possibile quindi trovare il peso di ogni studio nel random-effects
model:
𝑊𝑊𝑖𝑖∗ =
1
𝑉𝑉1∗
Calcolo del peso nel random-effects model
In ultimo è possibile procedere al calcolo dell’effect size globale con la stessa
formula utilizzata del fixed-effect model:
ES =
∗
∑𝑘𝑘
𝑖𝑖=1 𝑊𝑊 𝑖𝑖 𝐸𝐸𝐸𝐸𝑖𝑖
∗
∑𝑘𝑘
𝑖𝑖=1 𝑊𝑊 𝑖𝑖
Calcolo dell’effect size globale nel random-effects model
Si procede quindi al calcolo della varianza dell’effect size globale:
1
∗
𝑉𝑉𝐸𝐸𝐸𝐸
= 𝑘𝑘
∑𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖∗
Calcolo della varianza dell’effect size globale nel random-effects model
Il calcolo dell’errore standard
∗
∗
𝑆𝑆𝑆𝑆𝐸𝐸𝐸𝐸
= �𝑉𝑉𝐸𝐸𝐸𝐸
Calcolo dell’errore standard nel random-effects model
E in ultimo all’intervallo di confidenza
∗
𝐿𝐿𝐿𝐿∗𝐸𝐸𝐸𝐸 = 𝐸𝐸𝐸𝐸 ∗ - 1.96* 𝑆𝑆𝑆𝑆𝐸𝐸𝐸𝐸
∗
∗
∗
𝑈𝑈𝑈𝑈𝐸𝐸𝐸𝐸 = 𝐸𝐸𝐸𝐸 + 1.96* 𝑆𝑆𝑆𝑆𝐸𝐸𝐸𝐸
Calcolo dell’intervallo di confidenza nel random-effects model
Francesca Dondini
53
Il modello random permette di bilanciare meglio i pesi assegnati agli studi
primari inseriti nella meta-analisi perché tiene conto di due forme di varianza.
L’errore standard e il relativo intervallo di confidenza saranno però più ampi, di
conseguenza, con effect size globali che si collocano vicino al valore nullo,
l’utilizzo di questo modello comporta un maggior rischio di produrre uno studio
statisticamente non significativo.
In generale, il random-effects model rappresenta un approccio più conservativo,
inoltre le conclusioni ottenute, sono generalizzabili ad altri studi. Per questi
motivi al momento risulta il modello maggiormente utilizzato.
4.9 Definizione dei risultati
Calcolando l’effect size globale si fornisce una risposta alla domanda di ricerca sia
valutando la significatività statistica dell’effetto globale, sia valutandone la
dimensione. I risultati devono essere riportati in modo chiaro seguendo delle regole
precise per agevolarne la leggibilità. E’ necessario quindi raccogliere all’interno di
una tabella i dati salienti dell’indagine, quali:
1. Variabile osservata (outcome);
2. Numero totale degli studi inseriti nella meta-analisi (k).
3. Numerosità del gruppo/i (n1, n2);
4. Effect size globale ed il suo intervallo di confidenza (ES-CI) con la specifica del
formato utilizzato (es. d di Cohen).
Oltre ad una tabella riportante i valori ottenuti, all’interno della meta-analisi è buona
prassi riportare i risultati in forma grafica mediante l’utilizzo del forest plot con
riportati i risultati dei singoli studi e quello globale:
Legenda :
Quadrato – indica l’effect size di ogni
studio. La posizione indica il valore
dell’effect size e la dimensione
rappresenta il peso.
Rombo – indica l’effect size globale.
Linea orizzontale – indica l’intervallo
di confidenza dell’effect size di ogni
studio e di quello globale.
Linea verticale – indica il valore nullo
Linea
verticale
tratteggiata
in
corrispondenza del rombo – mostra
come si distribuiscono gli studi
primari rispetto all’effect size globale.
Figura 4 FOREST PLOT
Avendo una visione globale sia dei vari effect size sia di come questi si collocano
rispetto all’effect size globale, è possibile individuare degli studi considerati “outlier”
i cui risultati sono eccessivamente differenti da quelli riportati nelle altre ricerche. In
questi casi non è consigliabile eliminare tali studi dalla meta-analisi ma è utile cercare
di individuare il motivo per cui i risultati siano così discordanti. Una prima verifica
potrebbe indagare se esistono caratteristiche peculiari e distintive che rendono
problematico il confronto dei risultati con gli altri studi. In questo caso è bene
Francesca Dondini
54
riportare queste informazioni all’interno della meta-analisi. Inoltre è possibile
compiere un’analisi di sensitività (sensitivity analysis) per valutare che impatto hanno
questi studi sul risultato finale della meta-analisi, riportando sempre i risultati ottenuti
all’interno del lavoro. La valutazione di sensitività viene fatta ripetendo i calcoli della
meta-analisi su tutti gli studi inseriti, tranne quello outlier (o il gruppo di studi
outlier).
4.10 Verifica di eterogeneità
Valutare l’eterogeneità implica esaminare se e in che misura c’è eterogeneità tra gli
studi inclusi nella meta-analisi. Il calcolo viene eseguito mediante la stima del Q:
Q = ∑𝑘𝑘𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖 (𝐸𝐸𝐸𝐸𝑖𝑖 − 𝐸𝐸𝐸𝐸)2
Calcolo di Q
Il valore di Q è la sommatoria pesata delle differenze elevate al quadrato tra gli effect
size di ogni studio e l’effect size globale. Per comprendere invece il grado di questa
eterogeneità è necessario calcolare l’indice 𝐼𝐼2 , che indica la porzione di varianza
osservata, riflettendo le reali differenze tra gli effect size degli studi:
𝑄𝑄−𝑑𝑑𝑑𝑑
�
𝑄𝑄
𝐼𝐼 2 = 100 �
2
Calcolo di 𝐼𝐼2
I cut-off per l’interpretazione dell’𝐼𝐼 definiti da Higgins e collaboratori sono:
25%
bassa eterogeneità
50%
media eterogeneità
75%
alta eterogeneità
Anche questi ultimi dati, devono essere inseriti nella tabella riassuntiva della metaanalisi, che nel complesso deve riportare i seguenti dati:
Outcomes
k
Cohen’s d […CI]
Q
𝒏𝒏𝟏𝟏 − 𝒏𝒏𝟐𝟐
𝑰𝑰𝟐𝟐
xxx
xxx
xxx
xxx
xxx
xxx
Esempio di tabella riassuntiva dei dati raccolti
Quando i risultati della meta-analisi sono caratterizzati da un certo grado di
eterogeneità, è necessario comprenderne il motivo esaminando i moderatori 51 dei
risultati ottenuti. Se, avendo due variabili (a,b), dalla meta-analisi emerge un legame
significativo tra queste e i risultati sono caratterizzati da elevata eterogeneità, è
probabile che in alcuni studi il legame sia debole mentre il altri sia più marcato.
Quindi quali fattori (moderatori) possono spiegare tali differenze? I moderatori
agiscono sulla forza del legame tra le due variabili ma non direttamente sulle variabili
a e b.
I moderatori possono essere sia categoriali che numerici, nel primo caso vengono
testati mediante l’analisi dei sottogruppi, mentre nel secondo caso viene applicata la
meta-regressione:
 Moderatori categoriali – se ad esempio in una meta-analisi viene analizzata la
correlazione tra reddito e qualità della vita, un possibile moderatore categoriale
potrebbe essere rappresentato dal contesto culturale della ricerca. Quindi l’analisi
ha l’obiettivo di verificare in quali contesti culturali questo legame è differente,
testando l’effetto del moderatore “contesto culturale” sull’effect size. Quindi
51
Il moderatore della relazione tra due variabili è dato da una terza variabile che covaria con l’entità della
relazione stessa. Nella meta-analisi il moderatore è il fattore che si ipotizza influire sulla variazione
dell’effect size nei diversi studi in cui tale fattore è presente.
Francesca Dondini
55
utilizzando come indicatore la nazione nella quale è stato condotto il test, si
verifica se sono necessarie delle ricodifiche delle variabili moderatrici. Viene
quindi calcolato un effect size per ogni livello e applicato il Q-test, basato
sull’analisi della varianza, per esaminare se la differenza tra i valori dei livelli è
statisticamente significativa. La varianza totale (somma degli scarti quadratici di
tutti i singoli valori rispetto alla media generale) viene scomposta nella varianza
within (somma degli scarti quadratici dei singoli valori rispetto alla media del
gruppo a cui appartengono ) e nella varianza between (somma degli scarti
quadratici delle medie dei singoli gruppi dalla media generale).
Usando la distribuzione del 𝐶𝐶ℎ𝑖𝑖 2 si testa se il valore di 𝑄𝑄𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏 con un numero
di gradi di libertà (df) pari al numero del gruppo -1, è statisticamente
significativo. Qualora lo sia, si potrà concludere che il moderatore ha un effetto
significativo sull’effect size.
 Moderatori numerici – se ad esempio nella meta-analisi come moderatore viene
presa in considerazione l’età dei soggetti presenti nel campione, l’obiettivo del
verificare l’influenza sull’effect size può essere raggiunto attraverso una metaregressione espressa dalla seguente funzione:
Y = Intercept + slope*x
Meta-regressione sull’effect size
Dove Y è la variabile dipendente, ossia l’effect size, x è il moderatore e
l’intercetta esprime il valore che la Y assume quando x è uguale a zero, mentre
slope indica il coefficiente angolare della retta di regressione. Il valore di slope
unito al suo livello di significatività statistica, è il risultato di maggiore interesse,
in quanto se è statisticamente significativo indica che al variare dei valori del
moderatore varia anche la dimensione dell’effect size.
4.11 Publication bias
Il publication bias indica la situazione che si presenta quando gli studi pubblicati non
sono rappresentativi della popolazione totale degli studi disponibili su un dato
argomento 52. Questa condizione si può presentare attraverso un continuum di
gradazioni che vanno da situazioni dove una grande quantità di studi non sono
rintracciabili attraverso le procedure classiche, a situazioni dove solo una piccola
parte delle ricerche è non rintracciabile.
Il publication bias è un fenomeno che ha sempre caratterizzato la ricerca scientifica.
Alcuni studi infatti non superano il vaglio dei referee 53 perché non risultano effettuati
con grande rigore metodologico, non sono statisticamente significativi o perché
presentano risultati contrari all’ipotesi al momento più accreditata, quindi non
vengono pubblicati o comunque vengono pubblicati su riviste a basso impact e quindi
meno rintracciabili.
Il publication bias rappresenta la più importante minaccia alla validità di una metaanalisi, quindi è necessario definirne l’impatto, che può essere:
 Minimo, ossia gli studi non inclusi non cambiano i risultati della meta-analisi;
 Modesto, ossia cambiano i risultati in modo non sostanziale;
52
Rothstein et al., 2005
53 esperti nel settore scientifico trattato dall'autore della pubblicazione, che redigono un parere
motivatamente favorevole o contrario alla pubblicazione
Francesca Dondini
56
 Severo, ossia cambiano i risultati in modo sostanziale.
Per poter valutare il publication bias e individuare la sua entità sono stati introdotti i
seguenti metodi:
• FAILSAFE N, introdotto da Rosenthal nel 1979, è uno dei primi strumenti
sviluppati per valutare il publication bias e continua ad essere ampiamente
utilizzato nelle scienze sociali, mentre non viene applicato nell’ambito medico.
L’assunto è che è più probabile che siano pubblicati studi con risultati
statisticamente significativi rispetto a quelli non significativi. Se questo si
verifica, gli studi inseriti nella meta-analisi possono sovrastimare l’effect size.
Partendo da questa premessa il Failsafe N viene calcolato per sapere quanti studi
con effect size nullo sarebbero necessari per rendere l’effect size globale non
significativo:
∑ 𝑧𝑧
2
N ≥ � 𝑧𝑧 𝑖𝑖� – k
𝑎𝑎
•
Calcolo del Failsafe N
Al numeratore viene calcolata la sommatoria del punti z dei test di significatività
degli studi primari, al denominatore viene indicato il valore z corrispondente a un
determinato livello di significatività (es. z=1.96 corrisponde a p=.05) e k è il
numero totale di studi inclusi nella meta-analisi.
Ne scaturisce che il Failsafe N si calcola solo se il risultato della meta-analisi è
statisticamente significativo. L’interpretazione del dato deriva dal fatto che se N
> (5k + 10), i risultati non indicano la presenza di publication bias.
FUNNEL PLOT, uno strumento grafico introdotto da Light e Pillemer nel 1984.
Già attraverso l’analisi del forest plot, ordinando i risultati degli studi primari in
base alla numerosità dei campioni, se il grafico risulta asimmetrico e gli studi con
campioni piccoli riportano
sistematicamente
risultati significativi in
accordo con l’ipotesi,
è plausibile pensare
che possano esserci
publication
bias.
Similmente il funnel
plot
ordina
graficamente gli studi
primari su un asse
orizzontale che riporta
Figura 5 FUNNEL PLOT
l’effect size. Nell’asse
verticale si riporta l’errore
standard, mentre le linee oblique indicano il 95% di CI intorno all’effect size
globale. Ogni cerchio rappresenta uno studio primario e la loro posizione è data
dalla numerosità del campione che li compongono, quelli posizionati nella parte
più alta sono quelli con campioni più ampi mentre nella parta più bassa sono
presenti gli studi con campioni più ridotti. Se quest’ultima parte risulta
asimmetrica, quindi riporta gli studi con campione ridotto sul lato che contiene la
concordanza con l’ipotesi, è possibile che altri studi con campioni ridotti (quindi
Francesca Dondini
57
•
•
con scarsa potenza statistica), essendo in contrasto con l’ipotesi, non abbiamo
superato il controllo dei referee e quindi non siano stati pubblicati. Questo
strumento risulta però poco utile nelle meta-analisi composte da un numero di
studi inferiori a cinque, in quanto non è così evidente cogliere un’asimmetria
nella configurazione grafica.
EGGER’S LINEAR REGRESSION METHOD E BEGG AND MAZUMDAR’S
RANK CORRELATION METHOD, composto da due test introdotti per
compensare la soggettività nella valutazione grafica del funnel plot. Entrambi
testano statisticamente l’asimmetria del funnel plot.
Il test di Egger effettua la valutazione del publication bias mediante un’analisi di
regressione in cui l’effect size è predetto dalla slope della retta di regressione
moltiplicata per la precisione (inverso dell’errore standard), mentre il bias è
catturato dall’intercetta. Un risultato statisticamente significativo indica
l’asimmetria del funnel plot.
Il test di Begg e Mazumdar consiste nel calcolare l’associazione tra le stime
dell’effect size e le loro varianze stabilizzate utilizzando in rank correlation di
Kendall. Anche in questo caso, un risultato statisticamente significativo indica
l’asimmetria del funnel plot.
TRIM AND FILL METHOD, introdotto da Duval e Tweedie nel 2000, al
momento risulta il metodo più completo per la valutazione del publication bias.
Si basa sulla distribuzione del funnel plot e parte dall’assunto che gli studi
mancanti possono avere sia risultati significativi che non significativi, quindi
questo metodo procede in ordine a:
1) eliminare la parte asimmetrica del funnel plot in quanto affetta da
publication bias;
2) ricalcolo di un ES globale stimato sulla base degli studi simmetrici,
riducendo quindi la varianza e l’intervallo di confidenza.
Il Trim and fill produce quindi due risultati: un ES calcolato sugli studi
simmetrici ed il numero di studi che si rende necessario tagliare perché
asimmetrici. Se il numero di studi eliminati è pari a zero, non c’è publication
bias, mentre se questo è ≥ 1 è necessario confrontare i due effect size. Quando
l’ES stimato e l’ES globale rimangono nella stessa fascia (es. se è grande rimane
grande) è possibile concludere che l’impatto del publication bias è minimo. Se il
dato si sposta di una sola fascia, viene definito un impatto moderato, mentre se un
ES da grande diventa piccolo, allora l’impatto viene definito severo.
4.12 Pubblicazione di una meta-analisi
Nella pubblicazione di una meta-analisi è necessario seguire alcune regole di forma.
All’interno delle linee guida PRISMA (Preferred Reporting Items for Systematic
Reviews and Meta-Analyses, 2009) sono presenti 27 items, divisi in 7 sezioni,
utilizzabili in fase di definizione della meta-analisi per la raccolta delle informazioni
utili. Per ognuno di essi dovrà essere indicato se e a che pagina il dato è contenuto
nella meta-analisi. Gli items sono i seguenti:
Francesca Dondini
58
Section/topic
#
Checklist item
1
Identify the report as a systematic review, meta-analysis, or both.
2
Provide a structured summary including, as applicable: background;
objectives; data sources; study eligibility criteria, participants, and
interventions; study appraisal and synthesis methods; results;
limitations; conclusions and implications of key findings; systematic
review registration number.
Rationale
3
Describe the rationale for the review in the context of what is already
known.
Objectives
4
Provide an explicit statement of questions being addressed with
reference to participants, interventions, comparisons, outcomes, and
study design (PICOS).
Protocol and
registration
5
Indicate if a review protocol exists, if and where it can be accessed
(e.g., Web address), and, if available, provide registration information
including registration number.
Eligibility
criteria
6
Specify study characteristics (e.g., PICOS, length of follow-up) and
report characteristics (e.g., years considered, language, publication
status) used as criteria for eligibility, giving rationale.
Information
sources
7
Describe all information sources (e.g., databases with dates of
coverage, contact with study authors to identify additional studies) in
the search and date last searched.
Search
8
Present full electronic search strategy for at least one database,
including any limits used, such that it could be repeated.
Study selection
9
State the process for selecting studies (i.e., screening, eligibility,
included in systematic review, and, if applicable, included in the metaanalysis).
Data collection
process
10
Describe method of data extraction from reports (e.g., piloted forms,
independently, in duplicate) and any processes for obtaining and
confirming data from investigators.
Data items
11
List and define all variables for which data were sought (e.g., PICOS,
funding sources) and any assumptions and simplifications made.
Risk of bias in
individual
studies
12
Describe methods used for assessing risk of bias of individual studies
(including specification of whether this was done at the study or
outcome level), and how this information is to be used in any data
synthesis.
Summary
measures
13
State the principal summary measures (e.g., risk ratio, difference in
means).
Synthesis of
results
14
Describe the methods of handling data and combining results of
studies, if done, including measures of consistency (e.g., I2) for each
meta-analysis.
Risk of bias
across studies
15
Specify any assessment of risk of bias that may affect the cumulative
evidence (e.g., publication bias, selective reporting within studies).
Additional
analyses
16
Describe methods of additional analyses (e.g., sensitivity or subgroup
analyses, meta-regression), if done, indicating which were prespecified.
Reported
on page
TITLE
Title
ABSTRACT
Structured
summary
INTRODUCTION
METHODS
Francesca Dondini
59
RESULTS
Study selection
17
Give numbers of studies screened, assessed for eligibility, and included
in the review, with reasons for exclusions at each stage, ideally with a
flow diagram.
Study
characteristics
18
For each study, present characteristics for which data were extracted
(e.g., study size, PICOS, follow-up period) and provide the citations.
Risk of bias
within studies
19
Present data on risk of bias of each study and, if available, any
outcome level assessment (see item 12).
Results of
individual
studies
20
For all outcomes considered (benefits or harms), present, for each
study: (a) simple summary data for each intervention group (b) effect
estimates and confidence intervals, ideally with a forest plot.
Synthesis of
results
21
Present results of each meta-analysis done, including confidence
intervals and measures of consistency.
Risk of bias
across studies
22
Present results of any assessment of risk of bias across studies (see
Item 15).
Additional
analysis
23
Give results of additional analyses, if done (e.g., sensitivity or
subgroup analyses, meta-regression [see Item 16]).
Summary of
evidence
24
Summarize the main findings including the strength of evidence for
each main outcome; consider their relevance to key groups (e.g.,
healthcare providers, users, and policy makers).
Limitations
25
Discuss limitations at study and outcome level (e.g., risk of bias), and
at review-level (e.g., incomplete retrieval of identified research,
reporting bias).
Conclusions
26
Provide a general interpretation of the results in the context of other
evidence, and implications for future research.
27
Describe sources of funding for the systematic review and other
support (e.g., supply of data); role of funders for the systematic review.
DISCUSSION
FUNDING
Funding
Tabella 7 Item per la pubblicazione di una meta-analisi “Linea guida PRISMA”
5. Meta-analisi sugli strumenti di diagnosi per la dislessia
Passo dopo passo andiamo a ripercorrere le fasi analizzate nel paragrafo precedente
capendo come sono state messe in pratica:
5.1 Definizione dell’argomento di ricerca
Il background di riferimento è la popolazione di bambini tra i 7 ed i 9 anni, nel range
di età di prima diagnosi sui disturbi specifici dell’apprendimento ed in particolare, sui
bambini per i quali si sospetta la presenza di dislessia. Il termine dislessia qui non è
inteso come generico e riferibile a tutti i disturbi specifici di apprendimento ma alle
difficoltà legate ad una lettura lenta e scorretta. Quindi bambini che tra la fine della 2°
classe e durante la 3° classe della scuola primaria di primo grado, vengono inseriti nel
processo diagnostico perché considerati portatori di comportamenti a rischio (v. par.
3.3 ; 3.3.2).
L’ipotesi di questa ricerca si basa sul fatto che i bambini bersaglio sono entrati nel
processo di apprendimento della letto-scrittura da meno di 2 anni nel momento in cui
vengono inseriti nel processo diagnostico. Fino all’età prescolare risultano essere,
nella maggior parte dei casi, completamente analfabeti. Questo significa che livelli
Francesca Dondini
60
prestazionali differenti, possono essere imputabili sia alla reale presenza di un
disturbo specifico dell’apprendimento, ma anche ad altri fattori come:
 un ritardo nello sviluppo cognitivo delle abilità specifiche coinvolte nella lettura;
 un insegnamento non efficace da parte dell’insegnante;
 eventi esterni che possono aver diminuito la motivazione all’apprendimento;
 un deficit sensoriale presente nei primi anni di scolarizzazione e risolto al
momento della diagnosi.
Allora, mentre il ritardo nello sviluppo cognitivo viene preso in considerazione
all’interno dei processi diagnostici effettuando preventivamente dei test sul QI come
le scale Wechsler, il livello o la qualità dell’insegnamento non vengono prese in
considerazione, delegando all’insegnante stesso l’eventuale attività di potenziamento
e recupero prima della segnalazione alla famiglia della criticità. In questo caso è
facile comprendere che se la difficoltà deriva da una mancanza di sintonia tra metodo
di insegnamento e allievo, è plausibile presumere che anche l’attività di recupero
possa risultare fallimentare.
Come anche, situazioni traumatiche non considerate gravi e impattanti, come la
separazione dei genitori piuttosto che un difficile inserimento nell’ambiente
scolastico, sono considerate dall’operatore che effettua la diagnosi di dislessia ma
solo in maniera marginale, non andando a modificare in modo oggettivo e
regolamentato i livelli prestazionali delle prove di lettura.
In ultimo, possono verificarsi casi di difficoltà all’apprendimento per un deficit
sensoriale che al momento della diagnosi può essere stato superato, come ad esempio
un bambino che ha dovuto mettere gli occhiali all’inizio della scuola primaria in una
fase successiva ai primi apprendimenti, rallentando l’acquisizione delle abilità di
lettura e portando il soggetto ad un livello prestazionale inferiore rispetto alle medie
di riferimento.
A questo punto l’ipotesi che si cerca di verificare è la seguente:
Se l’insegnamento della lettura risulta non efficace, allora i bambini potrebbero
presentare una lettura lenta e piena di errori nei test diagnostici per la dislessia.
Quindi questi test possono essere considerati validi e quindi discriminare tra reale
presenza di disturbi specifici dell’apprendimento o la presenza di altre variabili che
hanno determinato il livello prestazionale più basso delle funzioni indagate? In altri
termini si cerca, attraverso l’analisi di studi primari già presenti in letteratura, di
verificare la validità interna e di costrutto che presentano i test diagnostici utilizzati in
questi casi ed in particolare dei test: Prove MT-2; Prove DDE-2.
E’ necessario quindi verificare se i risultati delle due batterie possono essere inquinati
da una variabile confusa che covaria con quella indipendente. Esplicitamente se le
prestazioni sotto media che possono risultare dalla somministrazione dei test sopra
indicati, possono essere considerate variabili dipendenti non dalla variabile
indipendente data dalla presenza dei disturbi ma da variabili terze rappresentate dal
livello e qualità dell’insegnamento ricevuto dall’allievo, piuttosto che dalla
demotivazione all’apprendimento, oppure da un deficit sensoriale presente solo nelle
prime fasi di apprendimento della letto-scrittura.
Francesca Dondini
61
L’operazionalizzazione dei parametri da verificare poteva essere compiuta attraverso
delle prove di validità degli strumenti utilizzati, inserendo queste all’interno della
meta-analisi. Un altro tentativo poteva essere fatto mettendo in correlazione i dati
ricavati di Media e Deviazioni Standard all’interno dei test e la presenza di una scarsa
motivazione all’apprendimento. Oppure poteva essere utile verificare se esistono
studi longitudinali che presentano, dopo un periodo di addestramento specifico,
bambini con un recupero totale delle abilità e quindi imputabili ad una diagnosi di
“falso positivo”. Il recupero totale delle abilità risulta infatti un dato inequivocabile,
in quanto dalle ricerche effettuate per questa tesi, in ogni documento ufficiale viene
riportato che “…i disturbi specifici dell’apprendimento permangono anche in età
adulta”.
Purtroppo al momento non sono stati trovati studi che presentino i dati utili per questo
genere di verifica. Quindi, considerando che i parametri di Media tenderanno ad
inglobare tutti i casi sopra elencati, l’unica strada percorribile è risultata essere
l’aggregazione dei risultati degli studi primari che mostrano i livelli prestazionali di
velocità e correttezza nella lettura, inserendo gli stessi suddivisi per tipologia
all’interno della meta-analisi. Ampliando il campione di riferimento ho cercato
innanzitutto di verificare se il risultato ottenuto conferma i dati di Media inseriti nei
manuali dei test presi in esame.
Questo tipo di ricerca nasce dalla necessità di distinguere una reale presenza di
disturbo specifico dell’apprendimento, rispetto ad un rallentamento determinato da
cause differenti. La definizione dell’eziologia risulta fondamentale in quanto gli
interventi necessari per la gestione della difficoltà risultano differenti in funzione
della causa che ha determinato la prestazione sotto media. Per un bambino, una
diagnosi positiva di DSA attiva delle procedure compensative e dispensative che
potrebbero risultare deleterie se le prestazioni sotto media non derivano da una reale
presenza di dislessia ma sono legate ad esempio a un cattivo apprendimento.
5.2 Definizione dei criteri di inclusione ed esclusione
Data l’ipotesi formulata al punto precedente e le norme di PICOS a cui faremo
riferimento, i criteri di inclusione ed esclusione, sono i seguenti:
Participants – la popolazione alla quale faremo riferimento è rappresentata dai
bambini che si trovano tra la fine della seconda classe e tutta la terza classe della
scuola primaria di primo grado, inseriti nel contesto educativo italiano e che non
presentano peculiarità che possano incidere negativamente sull’apprendimento della
letto-scrittura. Saranno quindi esclusi dalla meta-analisi studi specifici effettuati su
bambini stranieri, con ritardo mentale, autistici ecc… saranno invece presi in
considerazione studi su bambini che pur non possedendo queste particolarità, saranno
inseriti nelle prove per la diagnosi della dislessia.
Come già specificato nel punto precedente, la verifica si concentrerà sulla diagnosi
per dislessia e non prenderà in considerazione altri disturbi specifici
dell’apprendimento come la disortografia, la discalculia o la disgrafia come anche il
disturbo della comprensione del testo imputabile a quei bambini definiti “cattivi
lettori”.
Francesca Dondini
62
Interventions – non trattandosi di una verifica su interventi riabilitativi, per
“interventions” si intendono i risultati raccolti in fase di somministrazione delle prove
di lettura e quindi Media e Deviazioni Standard registrate all’interno dei diversi studi,
sia per quanto riguarda la velocità di lettura sia per quanto riguarda la correttezza.
Comparisons – il gruppo di controllo è dato dai risultati medi della popolazione verso
quelli ottenuti da bambini che risultano positivi alla diagnosi di dislessia.
Outcomes – le variabili dipendenti prese in considerazione sono rappresentate solo
dal livello prestazionale di velocità e correttezza della lettura suddividendo questi
livelli prestazionali tra bambini con assenza di disturbo, bambini con patologia lieve,
media o severa.
Study design – gli studi presi in considerazione sono sia trasversali che longitudinali
e presentano i dati di velocità e correttezza nella lettura raccolti in diverse prove,
anche non riferibili solo alle batterie di test prese in considerazione.
Sono inoltre stati definiti:
Lingua di pubblicazione – includendo solo studi in lingua inglese o italiana;
Anno di pubblicazione – dal 1981 in poi (anno di pubblicazione delle prove di lettura
MT);
Tipo di pubblicazione – includendo tutti gli articoli presenti nelle piattaforme
utilizzate ed escludendo solo la letteratura grigia.
5.3 Ricerca della letteratura
Preliminariamente è stato verificato che non esistesse in letteratura una meta-analisi
sullo stesso argomento. La prima ricerca è avvenuta sul sito Campbell
Collaboration (http://www.campbellcollaboration.org/). Attraverso le seguenti
chiavi di ricerca non sono emerse meta-analisi svolte sull’argomento trattato dalla
presente tesi:
1) reliability the diagnosis of dyslexia in Italy;
2) validity and reliability of diagnostic tests for dyslexia in Italy;
3) diagnosis of dyslexia in Italy;
4) validity of diagnostic tools for dyslexia in Italy;
5) accuracy of diagnosing dyslexia in Italian.
Le chiavi di ricerca sono state selezionate per trovare all’interno della piattaforma
Campbell Collaboration tutte le meta-analisi pubblicate in coerenza con l’oggetto di
studio, quali: “dyslexia” or “diagnosis” or “diagnostic test” or “Italy/italian” or
“validity”or “accuracy”. Dato che nessuna di queste parole chiave ha prodotto alcun
risultato, è plausibile presumere che non esistano delle meta-analisi simili a quella
che è stata svolta nella presente tesi.
Successivamente si è proceduto ad effettuare le ricerche della letteratura disponibile
(pubblicazioni accademiche, libri, recensioni e notizie) sulle principali piattaforme di
raccolta dati quali: Science Direct, Business Source Complete, Cinahl, Academic
Onefile, InfoTrac Health Reference Center Academic, PsycArticles, Expanded
Academic ASAP, Science in context, Biography in context, General Reference
Center gold, Biomed Central, ProQuest Psychology Journals, Psycinfo, Pubmed,
Francesca Dondini
63
PubPsych. La letteratura grigia è stata scartata a priori per evitare l’inquinamento dei
dati con risultati di studi non ufficiali e non verificati. Le chiavi utilizzate sono state
individuate attraverso una combinazione di termini quali:
“Accuracy”, “automatizzazione”, “decoding”, “developmental dyslexia”, “dislessia”,
“dislessia evolutiva”, “distribuzioni”, “DSM-5”, “dyslexic children”, “Italy or
italian”, “lettura”, “lexical decision”, “metacognition”, “misurazione della rapidità di
lettura”, phonologic deficits”, “rapid automatized naming”, “reading accuracy and
fluency”, “reading acquisition”, reading assessment”, “riconoscimento sublessicale”,
“sillabe al secondo”, “skilled reading across languages”, “specific reading disability”,
“standardizzazione”, “validità”, “valutazione della lettura”, “velocità di lettura”.
L’ambito della ricerca utilizzato come filtro è stato “PSICOLOGIA”. Non è stato
inserito nessun filtro sull’autore per poter accedere a tutte le pubblicazioni presenti.
La data della ricerca è circoscrivibile al mese di gennaio 2016.
Gli articoli emersi dalla presente ricerca sono i seguenti, per i quali attraverso titolo
ed abstract è stato deciso se mantenerli per il controllo sul full text oppure se
eliminarli già in questa prima fase:
CLASSIFIC
AZIONE
TITOLO
Anno di pubblicazione
Coerente
con la metaanalisi
Contiene i
dati di
interesse
Articolo 1
DLC una prova di decisione
lessicale per la valutazione
collettiva delle abilità di lettura
2012 - Rivista "dislessia"
Vol. 9, n. 1, gennaio 2012
(pp. 89-104)
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 2
The development of arithmetical
abilities
2005 - Rivista "Journal of
child psychology ad
psychiatry" 46:1 pp 3-18
NO
NO
Articolo 3
Le difficoltà ortografiche di
adolescenti con dislessia
2015 - Rivista "dislessia" Vol
12, n. 1, (pp. 75-86)
NO
NO
Articolo 4
Differences in the intellectual
profile of children with intellectual
vs. learning disability
2014 - Research in
Developmental Disabilities
35-2014 2224–2230
NO
NO
Articolo 5
Il questionario “Io e la mia mente”:
standardizzazione di uno
strumento per la valutazione delle
abilità metacognitive
2013 - Difficoltà di
apprendimento Edizioni
Erickson Trento Val. 18 n. 3
febbraio 2013 (pp. 355-367)
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 6
Contributo alla standardizzazione
di prove di latino per la
valutazione di studenti liceali e
confronto con casi di dislessia
2014 - Rivista "Dislessia"
Edizioni Erickson Trento
Vol. 11 n. 2 pp. 189-212
NO
NO
Articolo 7
Punti z o percentili?
Sillabe/secondo, tempo
complessivo o tempo/sillaba?
Come valutare la rapidità nelle
prove di lettura
2014 - Rivista "Dislessia"
Edizioni Erickson Trento
Ottobre 2014 Vol, 11 n. 3 pp.
295-311
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Francesca Dondini
64
CLASSIFIC
AZIONE
TITOLO
Anno di pubblicazione
Coerente
con la metaanalisi
Contiene i
dati di
interesse
Articolo 8
Uno strumento per individuare
problemi di disortografia
Inserto "psicologia e scuola"
NO
NO
Articolo 9
Valutare e promuovere la capacità
di pianificare un testo scritto
2014 Allegato "Psicologia e
scuola" n. 32
NO
NO
Articolo 10
L'intervento sub lessicale nel
2011 Rivista "Dislessia"
trattamento della dislessia - Analisi
Edizioni Erickson Trento
di efficacia di due cicli abilitativi Vol. 8, n. 3, ottobre 2011 (pp.
con l'utilizzo in successione dei
285-298)
software "occhio alla lettera" e
"WinABC"
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 11
Instructional treatment associated
with changes in brain activation in
children with dyslexia
2003 - rivista
"NEUROLOGY"; vol. 61 pp.
212–219
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 12
Uno studio sull’efficacia di un
intervento di potenziamento
lessicale-ortografico sul
trattamento del disturbo di
apprendimento dell’ortografia
2007 - DiPav, 18 pp. 31-52
NO
NO
Articolo 13
Developmental Dyslexia and
Specific Language Impairment:
Same or Different?
2004 - rivista "Psychological
Bulletin", Vol. 130, n. 6 pp.
858-886
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 14
Improving reading comprehension
in reading and listening settings:
The effect of two training
programmes focusing on
metacognition and working
memory
2014 - rivista "British journal
of educational psychology 84
194-2010
NO
NO
Articolo 15
Comorbilità tra discalculia e
dislessia: causa comune o cause
indipendenti? Implicazioni per
l’intervento
2006 - rivista "Difficoltà in
matematica" Edizioni
Erickson Trento Vol. 2 n.2
(febbraio) pp. 45-53
NO
NO
Articolo 16
Spelling Errors in Text Copying by
Children With Dyslexia and
ADHD Symptoms
2013 - rivista "Journal of
learning disabilities 1-10
NO
NO
Articolo 17
Metacognition, Intelligence and
Accademic Performance
2009 - WatersCh 11 pp. 257277
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 18
Valutare la rapidità e la correttezza
della lettura di brani: nuove norme
e alcune chiarificazioni per l’uso
delle prove MT
2009 - rivista "dislessia" (da
verificare numero e pagine)
SI
SI
Francesca Dondini
65
CLASSIFIC
AZIONE
TITOLO
Anno di pubblicazione
Coerente
con la metaanalisi
Contiene i
dati di
interesse
Articolo 19
Il Disturbo di Sviluppo della
Coordinazione: chiarificazioni per
la diagnosi
2010 - "psicologia clinica
dello sviluppo" a. XIV n.1
aprile 2010 pp. 33-54
NO
NO
Articolo 20
In trattamento della discalculia
evolutiva: note metodologiche e
risultati su sette casi singoli
2007-rivista "Child
development & disabilities"
XXXIII 1/2007 pp 11-22
NO
NO
Articolo 21
The role of sensorimotor
impairments in dyslexia: a multiple
case study of dyslexic children
2006-rivista
"Develompmental Science
9:3 pp 237-269
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 22
La valutazione della comprensione
del testo: proposta di una batteria
di approfondimento
2007-rivista "Psicologia
clinica dello sviluppo" a. XI
n, 2 agosto
NO
NO
Articolo 23
Parametri "tempo" e "velocità" per
la misurazione della rapidità di
lettura
"dislessia" vol. 3 n. 3 ottobre
2006 (pp. 262-282) - Edizioni
Eickson Trento
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 24
Components of reading
comprehension and scholastic
achievement
Learning and Individual
Differences 16 (2006) 291–
301
NO
NO
Articolo 25
Developmental Coordination
Disorder: current issues
2006 The Authors Journal
compilation - Blackwell
Publishing Ltd Child: care,
health and development, 32 ,
6, 613–618
NO
NO
Articolo 26
La comprensione del testo scritto
in età scolare. Una rassegna sullo
sviluppo normale e atipico
Psicologia clinica dello
sviluppo a. X, n. 3, dicembre
2006
NO
NO
Articolo 27
Difficoltà di apprendimento
scolastico degli studenti stranieri
Rivista "difficoltà di
apprendimento" - Edizioni
Erickson Trento Vol. 12 n. 1
ottobre 2006 (pp 49-70)
NO
NO
Articolo 28
An open trial assessment of "The
Number Race", an adaptive
computer game for remediation of
dyscalculia
Behavioral and Brain
Functions - BioMed Central
2006, 2:20 (pp. 1-16)
NO
NO
Articolo 29
Do Phonologic and Rapid
Automatized Naming Deficits
Differentially Affect Dyslexic
Children With and Without a
History of Language Delay? A
Study of Italian Dyslexic Children
Cog Behav Neurol Volume
19, Number 3, September
2006
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Francesca Dondini
66
CLASSIFIC
AZIONE
TITOLO
Anno di pubblicazione
Coerente
con la metaanalisi
Contiene i
dati di
interesse
Articolo 30
The role of sensorimotor
impairments in dyslexia: a multiple
case study of dyslexic children
Developmental Science 9:3
(2006), pp 237–269
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 31
Identificazione e intervento
precoce sulle difficoltà in
matematica
Difficoltà in matematica
Edizioni Erickson Trento
Vol. 2, n. 2, febbraio 2006
(pp. 9-32)
NO
NO
Articolo 32
Reading Acquisition,
Developmental Dyslexia, and
Skilled Reading Across
Languages: A Psycholinguistic
Grain Size Theory
Psychological Bulletin 2005,
Vol. 131, No. 1, 3–29
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 33
Arithmetic Education and
Learning Disabilities in Italy
Journal Of Learning
Disabilities Volume 37,
Number 1, January/February
2004, Pages 42–49
NO
NO
Articolo 34
La scala COM – Un agile
strumento per l’evidenziazione da
parte dell’insegnante di
problematiche associate al disturbo
di attenzione/iperattività
Difficoltà di apprendimento,
9, 391-412 - 2004
NO
NO
Articolo 35
Lo stato (preoccupante) delle
tecniche proiettive per l’età
evolutiva in Italia
Psicologia Clinica Dello
Sviluppo a. VIII, n. 1, aprile
2004
NO
NO
Articolo 36
Working memory performance of
Italian students with foreign
language learning difficulties
Learning and Individual
Differences 14 (2004) 137–
151
NO
NO
Articolo 37
A Rapid Screening Measure for
the Identification of Visuospatial
Learning Disability in Schools
Journal of learning
disabilities volume 36,
number 4, july/august 2003,
pages 299–306
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 38
Uno strumento per individuare
problemi di disortografia
2011 - inserto "Psicologia e
scuola" pp. 1-8
NO
Articolo 39
La discalculia evolutiva
PSICOLOGIA CLINICA
DELLO SVILUPPO a. V, n.
2, agosto 2001 pp. 147 167
NO
Articolo 40
Definizione del disturbo di
comprensione del testo
2010 - documento AIRIPA Definizione del disturbo di
comprensione del testo
NO
Francesca Dondini
67
CLASSIFIC
AZIONE
TITOLO
Anno di pubblicazione
Coerente
con la metaanalisi
Contiene i
dati di
interesse
Articolo 41
Novità nell’approccio alla
psicopatologia dello sviluppo del
DSM-5
Psicologia clinica dello
sviluppo a. XIX, n. 2, agosto
2015 pp. 297-343
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 42
I gruppi cognitivo-emotivorelazionali CERG: una
sperimentazione con genitori di
bambini con ADHD
Disturbi di attenzione e
iperattività Vol. 8, n. 1,
dicembre 2012 (pp. 33-54)
Edizioni Erickson Trento
NO
NO
Articolo 43
Il Questionario SVS Bambino
Psicologia clinica dello
sviluppo a. XVII, n. 2,
agosto 2013 pp. 359-368
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 44
Working memory and domainspecific precursors predicting
success in learning written
subtraction problems
2014 - Learning and
Individual Differences pp. 19
NO
NO
Articolo 45
Il MOQ-T: un questionario per gli
insegnanti di facile utilizzo per la
rilevazione dei sintomi del disturbo
della coordinazione motoria
Psicologia clinica dello
sviluppo a. XIX, n. 3,
dicembre 2015 pp. 495-505
NO
NO
Articolo 46
Sillabe al secondo o secondi per
sillaba: qual è il problema?
Rivista "dislessia" Vol. 4, n.
1, gennaio 2007 pp. 7-11
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 47
Ulteriori evidenze sull’efficacia
dell’automatizzazione del
riconoscimento sublessicale per il
trattamento della dislessia
evolutiva
Psicologia clinica dello
sviluppo a. XI, n. 1, aprile
2007 pp.27-37
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 48
Trattamento della dislessia
evolutiva: un confronto
multicentrico di efficacia ed
efficienza
Rivista DISLESSIA Vol. 4,
n. 2, maggio 2007 (pp. 143162)
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 49
Sviluppo cerebrale, funzioni
esecutive e capacità decisionali in
adolescenza
Trattato - Accademia di
Neuropsicologia dello
Sviluppo (Parma)
UOC Neurologia, Ospedale
Versilia, Lido Di Camaiore
(LU)
NO
NO
Articolo 50
Un progetto di studio ed intervento
sui disturbi specifici
dell'apprendimento della scuola in
bambini italiani
Child development &
disabilities - published
quarterly XXXIII 1-2007 pp.
23-40
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 51
Fluency Remediation in Dyslexic
Children: Does Age Make a
Difference?
Wiley InterScience
DYSLEXIA (2007) DOI:
10.1002 dys.359
Francesca Dondini
68
CLASSIFIC
AZIONE
TITOLO
Anno di pubblicazione
Coerente
con la metaanalisi
Contiene i
dati di
interesse
Articolo 52
The Education of Dyslexic
Children from Childhood to Young
Adulthood
The Annual Review of
Psychology 2008. 59:14.1–
14.25
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 53
Significatività clinica negli studi di
efficacia dei trattamenti per i
disturbi dell’apprendimento: una
proposta
Psicologia clinica dello
sviluppo a. XII, n. 2, agosto
2008 pp. 289-300
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 54
È proprio così difficile distinguere
difficoltà da disturbo di
apprendimento?
Dislessia - Vol. 5, n. 2,
maggio 2008 (pp. 139-147)
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 55
Il trattamento del disturbo della
lettura Evidenze dell’efficacia di
un intervento di automatizzazione
della decodifica attraverso il
software abilitativo Occhio alla
lettera
Dislessia - Vol. 5, n. 1,
gennaio 2008 (pp. 45-62)
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 56
Il recupero delle difficoltà
nell’ambito del numero e del
calcolo attraverso modalità di
trattamento analogico-intuitive
Difficoltà in matematica
Edizioni Erickson Trento
Vol. 5, n. 1, ottobre 2008 (pp.
93-108)
NO
NO
Articolo 57
Lo sviluppo e l’uso nella
psicopatologia dell’infanzia e
dell’adolescenza della
Classificazione Internazionale del
Funzionamento, della Disabilità e
della Salute -Versione per Bambini
ed Adolescenti. ICF-CY
ICF-CY. FORMAZIONE
PSICHIATRICA – Rassegna
di Psichiatria,
Psicofarmacologia e
Fenomenologia Applicata –
Anno XXIX n.4 Ott.-Dic.
2008
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 58
Treating Arithmetical Text
Problem Solving in a Child with
Intellectual Disability: An
Observative Study
The Open Rehabilitation
Journal, 2009, 2, 64-78
NO
NO
Articolo 59
Phonological and lexical reading in
Italian children with dyslexia
Springer Science+Business
Media B.V. 2008 Read Writ
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 60
Reading development in an
orthographically regular language:
effects of length, frequency,
lexicality and global processing
ability
Springer Science+Business
Media B.V. 2008 Read Writ
DOI 10.1007/s11145-0089144-8
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 61
Reading and spelling disabilities in
children with and without a history
of early language delay: a
neuropsychological and linguistic
study
bozza pre-pubblicazione
senza riferimenti
NO
NO
Francesca Dondini
69
CLASSIFIC
AZIONE
TITOLO
Anno di pubblicazione
Coerente
con la metaanalisi
Contiene i
dati di
interesse
Articolo 62
Il primo strumento compensativo
per un alunno con dislessia: un
efficiente metodo di studio
DISLESSIA - Vol. 7, n. 1,
gennaio 2010 (pp. 77-87)
NO
NO
Articolo 63
Esperienza di un trattamento
combinato
neuropsicologicosublessicale per la
dislessia evolutiva
DISLESSIA Vol. 6, n. 2,
maggio 2009 (pp. 239-267)
NO
NO
Articolo 64
Practitioner Review: Nonpharmacological treatments for
ADHD: A lifespan approach
Journal of Child Psychology
and Psychiatry 51:2 (2010),
pp 116–133
NO
NO
Articolo 65
Evidence-based interventions for
reading and language difficulties:
Creating a virtuous circle
British Journal of
Educational Psychology
(2011), 81, 1–23
NO
NO
Articolo 66
Studi italiani sul trattamento della
dislessia evolutiva: una sintesi
quantitativa
DISLESSIA Vol. 8, n. 2,
maggio 2011 (pp. 163-172)
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 67
La valutazione della dislessia
nell’adulto
DISLESSIA Vol. 8, n. 2,
maggio 2011 (pp. 119-134)
NO
NO
Articolo 68
Children's Reading
Comprehension Difficulties :
Nature, Causes, and Treatments
2011 Current Directions in
Psychological Science 20(3)
139-142
NO
NO
Articolo 69
Which Tasks Best Discriminate
between Dyslexic University
Students and Controls in a
Transparent Language?
DYSLEXIA 17: 227–241
(2011)
NO
NO
Articolo 70
The development of reading speed
in italians with dyslexia
Journal of learning
disabilities Vol. 34 n. 5 2001
pp. 414-417
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 71
Developmental dyslexia: specific
phonological deficit or general
sensorimotor dysfunction?
Current Opinion in
Neurobiology 2003, 13:212–
218
NO
NO
Articolo 72
Theories of developmental
dyslexia: insights from a multiple
case study of dyslexic adults
Brain (2003), 126, 841-865
da verificare
nel full text
da verificare
nel full text
Articolo 73
Confronto di efficacia ed
efficienza tra trattamenti per il
miglioramento della lettura in
soggetti dislessici
PSICOLOGIA CLINICA
DELLO SVILUPPO a. VII,
n. 3, dicembre 2003 pp. 481493
NO
NO
Francesca Dondini
70
CLASSIFIC
AZIONE
TITOLO
Anno di pubblicazione
Coerente
con la metaanalisi
Contiene i
dati di
interesse
Articolo 74
La valutazione dei disturbi
cognitivi e le etichette del DSM-5:
quale relazione?
Psicologia clinica dello
sviluppo 2/2015, agosto pp.
297-344
NO
NO
Articolo 75
La specificità dei disturbi
dell'apprendimento: commenti
sulla formulazione adottata nel
DSM-5
Psicologia clinica dello
sviluppo 2/2015, agosto pp.
297-344
NO
NO
Articolo 76
DSM-5: disturbo da deficit di
attenzione/iperattività
Psicologia clinica dello
sviluppo 2/2015, agosto pp.
297-344
NO
NO
Articolo 77
Valori e distribuzioni nella
psicologia e psichiatria accademica
italiana
Giornale italiano di
psicologia numero 4, 2015,
pp. 641-646
NO
NO
Articolo 78
Disturbi dell'attenzione visiva
spaziale nella dislessia evolutiva:
il ruolo del lobo parietale destro
Giornale italiano di
psicologia 2/2001, giugno pp.
399-406
NO
NO
Articolo 79
I meccanismi cognitivi del contare
all'indietro. Analisi degli errori
nella dislessia evolutiva
Giornale italiano di
psicologia, no. 1 (marzo
1999), 83-96.
NO
NO
Articolo 80
Presenza di rischio di disturbi
dell'apprendimento in associazione
a rischio di disturbi dell'attenzione
con/senza iperattività: un'indagine
su bambini di terza elementare
Psicologia clinica dello
sviluppo, Vol. 40, no. 1
(aprile 2010), 79-100
NO
NO
Articolo 81
Accesso lessicale e lettura ad alta
voce: il ruolo delle componenti
morfologiche delle parole
Giornale italiano di
psicologia, no. 4 (dicembre
2004), 821-838
NO
NO
Articolo 82
COST: un progetto europeo per lo
studio della dislessia e la
valutazione delle prime fasi di
apprendimento della lettura
Psicologia clinica dello
sviluppo, Vol. 14, no. 2
(agosto 2001), 261-272
NO
NO
Tabella 8 Elenco articoli estratti dalle banche dati
5.4 Selezione degli studi primari
Le operazioni di selezione degli studi sono state eseguite attraverso le linee guida
PRISMA, compilando il seguente flow diagram:
Francesca Dondini
71
FLOW
DIAGRAM
82 riferimenti
individuati mediante
la ricerca nelle
banche dati
0 riferimenti
aggiuntivi
individuati
mediante altre
strategie di ricerca
78 riferimenti
rimasti dopo
l’eliminazione dei
duplicati
48 riferimenti scartati in
base all’analisi di titolo
ed abstract sui criteri di
inclusione ed esclusione
30 riferimenti passati al 2°
controllo in base all’analisi
di titolo ed abstract sui
criteri di inclusione ed
esclusione
21 riferimenti esclusi dalla
meta-analisi in quanto non
riportano i dati di interesse
oppure non rispettano i criteri
di inclusione (di seguito la
specifica)
11 riferimenti inclusi nella metaanalisi . La numerosità di
riferimenti è data dal numero
totale di studi trovati all'interno
degli articoli esaminati(di
seguito la specifica)
Figura 6 Prisma Flow Diagram (contenente la numerosità degli articoli esaminati
5.5 Valutazione dell’affidabilità della selezione
In questo caso il calcolo dell’affidabilità è stato fatto utilizzando il parametro intragiudice, attraverso la valutazione del grado di accordo mostrato dalla stessa persona
in due momenti differenti, individuando la percentuale di accordo attraverso il
seguente calcolo:
𝑁𝑁_1+ 𝑁𝑁_2
𝑁𝑁_𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡
27 + 51
82
78
= 82 = 0,95
Calcolo della percentuale di accordo tra giudici
𝑁𝑁1 = numero di studi per i quali i giudici sono d’accordo nell’inclusione
𝑁𝑁2 = numero di studi per il quali i giudici sono d’accordo nell’esclusione
Dalla verifica sopra espressa emerge che il grado di accordo è del 95%.
5.6 Codifica degli studi primari
Il protocollo di codifica utilizzato ha permesso di identificare all’interno dei singoli
articoli i contenuti utili per fare il controllo di secondo livello e attuare un’ulteriori
selezione degli studi utilizzabili all’interno della meta-analisi. Gli studi ed articoli
eliminati con le relative motivazioni sono:
Francesca Dondini
72
ID
Nome dello
studio
Nazione
tipo di
pubblicazione
Motivo di scarto
Articolo
5
Friso et al. 2013
Italia
pubblicazione su
rivista
La misurazione è fatta su abilità differenti da quelle
indagate
Articolo
11
Articolo
13
Articolo
17
Aylward et al.
2003
Bishop e
Snowling, 2004
America
America
pubblicazione su
rivista
pubblicazione su
rivista
pubblicazione su
rivista
L'età del campione non rispetta i criteri di inclusione
Lo studio non riporta i dati di interesse
Cornoldi 2009
Italia
Lo studio non riporta i dati di interesse
Articolo
21
White et al. 2006
Inghilterra
pubblicazione su
rivista
La nazionalità del campione (inglese) non rispetta i
criteri di inclusione
Articolo
23
Lorusso et al.
2006
Italia
pubblicazione su
rivista
Lo studio non riporta i dati di interesse
Articolo
29
Brizzolara et al.
2006
Italia
pubblicazione su
rivista
I risultati non sono distinguibili per fascia di età ma
aggregati per l'intero campione
Articolo
32
Ziegler e
Goswami, 2005
America
pubblicazione su
rivista
Lo studio non riporta i dati di interesse
Articolo
37
Cornoldi et al.
2003
Italia
pubblicazione su
rivista
L'età del campione non rispetta i criteri di inclusione
Articolo
41
Ammaniti et al.
2015
Italia
pubblicazione su
rivista
Lo studio non riporta i dati di interesse
Articolo
43
Ferrara e
Mammarella, 2013
Italia
pubblicazione su
rivista
Lo studio presenta i soli dati di correlazione di
Pearson tra il questionario utilizzato e i dati ricavati
dal questionario PMA
Articolo
46
Tressoldi e Vio
2007
Italia
pubblicazione su
rivista
Lo studio non riporta i dati di interesse
Articolo
50
Zoccolotti et al.
2007
Italia
pubblicazione su
rivista
L'età del campione non rispetta i criteri di inclusione
Articolo
52
Shaywitz et al.
2007
America
pubblicazione su
rivista
Lo studio non riporta i dati di interesse
Articolo
53
Articolo
54
Articolo
57
Articolo
60
Articolo
66
Articolo
70
Tressoldi e Vio
2008
Tressoldi e Vio
2008 bis
Lo Presti e
Lombardo 2008
Zoccolotti et al.
2008
Tressoldi e Vio
2011
Tressoldi et al.
2001
Articolo
72
Italia
Italia
Italia
Italia
Italia
Italia
pubblicazione su
rivista
pubblicazione su
rivista
pubblicazione su
rivista
pubblicazione su
rivista
pubblicazione su
rivista
pubblicazione su
rivista
Lo studio non riporta i dati di interesse
Lo studio non riporta i dati di interesse
Lo studio non riporta i dati di interesse
Lo studio presenta i soli dati di correlazione tra
correttezza e velocità
Lo studio non riporta i dati di interesse
Lo studio non riporta i dati di interesse
pubblicazione su
L'età del campione non rispetta i criteri di inclusione
rivista
Tabella 9 Elenco articoli eliminati nei controlli di secondo livello
Ramus et al. 2003
Francia
5.7 Effect Size
Per il calcolo degli effect size si è proceduto a sintetizzare i dati forniti all’interno dei
vari studi di riferimento. La suddivisione è avvenuta in base a sei indicatori
prestazionali rappresentati da:
 Velocità di lettura (sillabe al secondo) di brani;
 Velocità di lettura (sillabe al secondo) di parole;
 Velocità di lettura (sillabe al secondo) di non parole;
 Correttezza di lettura (numero di errori commessi) di brani;
 Correttezza di lettura (numero di errori commessi) di parole;
 Correttezza di lettura (numero di errori commessi) di non-parole.
Inoltre i moderatori sono stati suddivisi in bambini con diagnosi di dislessia vs.
Francesca Dondini
73
normolettori e bambini frequentati la seconda classe della scuola primaria vs. bambini
frequentanti la terza classe della scuola primaria. Di seguito la specifica dei dati
raccolti:
Normolettori 2°
classe primaria
Dislessici 2° classe
primaria
Normolettori 3°
classe primaria
n
Media
DS
n
Media
DS
n
Media
DS
n
Media
DS
316
1,73
0,56
19
0,95
0,378
245
2,99
1,19
22
1,4
0,505
94
2,41
0,56
22
1,22
0,28
108
2,98
0,79
16
1,4
0,555
9
0,52
65
1,33
0,505
5
0,99
51
1,05
0,31
10
1,2
0,54
18
1,3
0,41
3
1,31
0,12
Lettura brano
Velocità
(sill/sec)
0,49
22
10,8
5,7
22
7,8
4,35
19
6,69
3,709
16
9,1
7,2
5
12,2
5,76
65
8,7
8
51
10,05
6,2
10
17,9
11,9
18
19,9
8
3
13,33
4,03
Correttezza
(n. errori)
lettura parole
3
1,19
Velocità
(sill/sec)
Correttezza
(n. errori)
3
Lettura non parole
Dislessici 3° classe
primaria
Velocità
(sill/sec)
1,08
19
0,902
9
0,425
22
0,88
1
0,47
22
18
19
6,22
19
0,702
9
0,48
0,386
267
2,18
0,685 51
0,89
0,33
3
1,76
10
1,06
0,36
18
1,1
0,35
5
1,03
10,2
51
15,8
11,05
5,449
10
22,3
16,2
18
16,7
6
0,31
0,318
267
1,4
0,407 51
0,67
0.25
3
1,32
10
0,91
0,18
18
0,82
0,26
22
0,81
0,35
5
0,76
22
16,8
6,8
51
14
7,1
10
15,7
5,9
18
16,2
5,9
Correttezza
(n. errori)
19
6,662
5,957
Tabella 10 Raccolta dei dati estraibili dagli studi primari inseriti nella meta-analisi
In questa prima fase nella quale non è stata fatta alcuna analisi, è possibile anche solo
visivamente notare che la maggior parte degli studi è orientata a testare bambini con
diagnosi di dislessia rispetto a quelli identificati come normolettori. Per quest’ultimi
risultano pochi studi ma con campioni estremamente più ampi.
Francesca Dondini
74
Successivamente i dati sopra riportati sono stati uniti attraverso dei calcoli di media
pesata, individuando per ogni indicatore e moderatore un valore di media e una
numerosità di riferimento:
Lettura non
Lettura parole Lettura brano
parole
2° classe primaria
Media pesata velocità
Normolettori
n
Dislessici
n
Riferim.
Normativi
(DS)
n
1,89
410
0,99
55
1,93 (0,76)
410
9,25
46
12,00
275
0,80
51
1.7 (.6)
222
12,54
41
8 (7)
225
0,71
50
1.2 (.4)
222
12,10
41
7 (5)
225
Media pesata
correttezza
Media pesata velocità
1,19
3
Media pesata
correttezza
Media pesata velocità
1,08
3
Media pesata
correttezza
Lettura non
Lettura parole Lettura brano
parole
3° primaria
Media pesata velocità
Normolettori
n
Dislessici
n
Riferim.
Normativi
(DS)
n
2,99
245
1,26
185
2 (1,1)
353
10,66
185
4,50
596
0,96
84
2.2 (.7)
267
16,83
79
5 (4)
267
0,74
84
1.4 (.4)
267
14,72
79
6 (5)
268
Media pesata
correttezza
Media pesata velocità
2,18
270
Media pesata
correttezza
Media pesata velocità
Media pesata
correttezza
1,40
270
Tabella 11 Dati di media pesata degli indicatori degli studi primari associati ai valori normativi delle prove
MT-2 e DDE-2
Ad ogni indicatore è stato affiancato il valore normativo inserito nella batterie di
diagnosi “Prove di lettura MT-2” e “Batteria per la valutazione della dislessia e della
disortografia evolutiva DDE-2”.
Francesca Dondini
75
La distribuzione che ne è emersa ha mostrato il posizionamento dei tre sub-group
individuati. I rettangoli azzurri mostrano le due deviazioni standard oltre le quali
viene fatta una diagnosi di dislessia:
Francesca Dondini
76
I dati sono stati utilizzati per trovare gli effect size di riferimento, calcolati
utilizzando la differenza media non standardizzata (raw unstandardized mean
difference) e riportati di seguito:
2° classe primaria
3° primaria
ES Normolettori
ES Dislessici
ES Normolettori
ES Dislessici
0,04
0,94
-0,99
0,74
Lettura brano
-0,59
0,51
Lettura parole
-6,16
0,90
0,02
1,24
-4,54
Lettura non parole
0,12
-11,83
0,49
0,00
0,66
-5,10
-8,72
Tabella 12 Effect size (ES)calcolati sugli studi primari
Normolettori
Una volta trovati i singoli effect size, è stato possibile calcolare l’errore standard e
l’intervallo di confidenza:
Dislessici
Lettura
brano
Lettura
parole
Normolettori
Lettura non
parole
Lettura
brano
Dislessici
UL
0,05
-0,09
0,09
0,106
0,33
-0,47
0,80
0,12
0,105
0,32
-0,60
0,67
velocità
0,94
0,004
0,06
-0,06
0,18
correttezza
-0,59
0,890
0,94
-2,41
1,29
velocità
0,90
0,004
0,06
-0,07
0,18
correttezza
-4,54
1,709
1,31
-8,50
-3,37
velocità
0,49
0,003
0,05
-0,08
0,13
correttezza
-5,10
1,101
1,05
-7,41
-3,30
ES
Varianza
LL
UL
velocità
-0,99
0,007
0,09
-0,25
0,08
velocità
0,02
0,004
0,06
-0,12
0,12
velocità
0,00
0,001
0,03
-0,07
0,07
velocità
0,74
0,004
0,07
-0,08
0,18
correttezza
-6,16
0,299
0,55
-4,44
-2,30
velocità
1,24
0,003
0,06
-0,04
0,18
correttezza
-11,83
1,614
1,27
-17,52
-12,54
velocità
0,66
0,001
0,04
-0,05
0,09
correttezza
-8,72
0,596
0,77
-8,24
-5,21
Lettura
brano
Lettura
parole
Lettura non
parole
Lettura
parole
Lettura non
parole
Varianza
velocità
0,04
0,002
velocità
0,51
velocità
2° classe primaria
SE
LL
Lettura
brano
Lettura
parole
Lettura non
parole
ES
3° primaria
SE
Tabella 13 e 14 dati calcolati di varianza, errore standard(SE) e intervallo di confidenza(LL-UL) sui bambini di
2° e 3° classe primaria
Francesca Dondini
77
5.8 Calcolo dell’effect size globale
Per il calcolo dell’effect size globale la scelta del formato è ricaduta sull’unico
utilizzato anche nelle fasi precedenti e che accomunano tutti gli studi primari.
Innanzitutto sono stati assegnati i pesi ai vari effect size utilizzando il fixed-effect
model:
Normolettori
2° classe primaria
Dislessici
ES
Varianza
W
ES
Varianza
W
velocità
0,04
0,002
460,05
-0,99
0,007
134,62
velocità
0,51
0,106
9,42
0,02
0,004
281,86
velocità
0,12
0,105
9,50
0,00
0,001
839,04
velocità
0,94
0,004
247,88
0,74
0,004
228,24
correttezza
-0,59
0,890
1,12
-6,16
0,299
3,35
velocità
0,90
0,004
257,18
1,24
0,003
311,39
correttezza
-4,54
1,709
0,59
-11,83
1,614
0,62
velocità
0,49
0,003
344,98
0,66
0,001
813,66
correttezza
-5,10
1,101
0,91
-8,72
0,596
1,68
Lettura
brano
Lettura
parole
Lettura
non parole
Lettura
brano
Lettura
parole
Lettura
non parole
3° classe primaria
Tabella 15 calcolo dei pesi da assegnare ad ogni studio
Normolettori
2°
3°
ES*W
ES*W
Lettura brano
velocità
20,29
-132,86
Lettura parole
velocità
4,80
6,95
Lettura non
parole
velocità
1,14
0,75
velocità
232,69
169,60
correttezza
-0,67
-20,64
velocità
231,50
385,01
correttezza
-2,66
-7,33
velocità
169,19
540,21
correttezza
-4,63
-14,63
Lettura brano
Dislessici
Lettura parole
Lettura non
parole
TOT
651,65
927,06
SOMMA DEI PESI
1331,63
2614,47
0,49
0,35
ES TOTALE
Tabella 16 calcolo degli Effect Size Globali distinti per classe scolastica
Francesca Dondini
78
Attraverso questi dati è stato possibile calcolare i valori di:
 Varianza dell’effect size globale
0,001 (bambini di 2° classe)
0,000 (bambini di 3° classe)
 Errore standard
0,027 (bambini di 2° classe)
0,020 (bambini di 3° classe)
 Intervallo di confidenza
-0,040LL 0,067UL (bambini di 2° classe)
-0,031LL 0,045UL (bambini di 3° classe)
5.9 Definizione dei risultati
Per l’analisi dei risultati sono stati costruiti 2 Forest Plot differenti per le classi
coinvolte. Il primo relativo agli Effect size della 2° classe della scuola primaria, nel
quale è possibile verificare che gli studi si trovano quasi tutti in corrispondenza
dell’effect size globale e del valore zero, a parte due riferiti alla correttezza nella
lettura di bambini dislessici:
12
Norm. Brano velocità
10
Norm. Parole velocità
Norm. non parole velocità
8
Disl. Brano velocità
Disl. Brano corr.
6
Disl. parole velocità
4
Disl. parole corr.
2
-10,00
-8,00
-6,00
-4,00
0
0,00
-2,00
Disl. Non parole velocità
Disl. Non parole corr.
2,00
ES GLOBALE
Figura 8 Forest plot ES 2° classe scuola primaria
Un risultato simile è stato ottenuto anche nel Forest plot relativo agli effect size della
3° classe della scuola primaria:
12
Norm. Brano velocità
Norm. Parole velocità
10
Norm. non parole velocità
8
Disl. Brano velocità
6
Disl. Brano corr.
Disl. parole velocità
4
Disl. parole corr.
2
-20,00
-15,00
-10,00
-5,00
0
0,00
Disl. Non parole velocità
Disl. Non parole corr.
5,00
ES GLOBALE
Figura 9 Forest plot ES 3° classe scuola primaria
Anche in questo campione gli unici dati che si distanziano dal valore zero e
dall’effect size globale sono relativi alla correttezza nella lettura di bambini dislessici.
Francesca Dondini
79
5.10 Verifica di eterogeneità e publication bias
La verifica dell’eterogeneità e della presenza di publication bias non sono stati
eseguiti in quanto la meta-analisi è stata compiuta su dati aggregati di medie raccolti
all’interno di diversi studi. Non risulterebbero quindi reali i dati ricavati dai singoli
effect size in quanto non riferibili a studi singoli.
6. Conclusioni
Questo lavoro di analisi nasce per verificare se i test diagnostici per la dislessia sono
in grado di misurare la reale presenza di un disturbo specifico dell’apprendimento,
isolando le altre cause che possono aver influito sul basso livello prestazionale dei
bambini nelle prove di lettura.
La ricerca non ha l’obiettivo di criticare le batterie di test prese in esame, ma di
focalizzare l’attenzione sull’impatto che può avere una diagnosi di “falso positivo”.
Identificare un bambino come DSA quando le sue carenze prestazionali sono causate
da altri fattori personali o situazionali come un insegnamento inefficacie, una bassa
motivazione all’apprendimento o un deficit sensoriale superato al momento della
diagnosi ma che può aver rallentato lo sviluppo di alcune abilità, determina
l’attuazione da parte della scuola di misure dispensative e compensative che vanno
contro ad un possibile recupero.
Nella revisione sistematica della letteratura messa in pratica per questa meta-analisi,
mi sono concentrata su studi primari svolti in Italia in quanto le peculiarità legate ai
disturbi specifici dell’apprendimento delle diverse ortografie linguistiche, limitano
molto il trasferimento di dati scientifici a livello internazionale. E’ stato possibile
verificare che non sono presenti ricerche che prendono in considerazione variabili
terze che entrano in gioco nel rallentamento dell’apprendimento della letto-scrittura.
Gli unici studi rintracciati sull’argomento riguardano la registrazione dei livelli
prestazionali di bambini identificati come “normolettori” contro i bambini con
diagnosi di dislessia, oppure studi longitudinali che verificano l’efficacia riabilitativa
di differenti trattamenti. Inoltre sono state trovate molte raccomandazioni sulla
necessità di attivare studi sulle basi neurali del disturbo, ancora non disponibili.
Dai dati analizzati sugli studi primari è stato possibile verificare che i riferimenti
normativi inseriti all’interno dei test diagnostici per la dislessia, risultano coerenti alle
diagnosi di disturbo, mostrando un unico discostamento sui risultati prestazionali
riguardanti la correttezza nella lettura. Tutti i valori presi in considerazione, tranne
quelli relativi alla correttezza di lettura di brani, parole e non parole, intercettano sia
dell’effect size globale sia il valore nullo zero. Questo dato potrebbe rappresentare
un’indicazione importante dimostrando che per quanto riguarda la velocità di lettura,
le differenze di performance tra soggetti dislessici e riferimenti normativi dei test
diagnostici risulta così minima da non permettere una differenziazione tra reale
presenza del disturbo e altre variabili che influiscono nella prestazione. I risultati
invece registrati sulla correttezza nella lettura presentano una discrepanza più ampia e
quindi, pur non isolando le altre variabili, è presumibile pensare che bambini con
prestazioni sotto le due deviazioni standard rispetto ai riferimenti normativi, abbiano
Francesca Dondini
80
un reale disturbo specifico dell’apprendimento.
La distribuzione dei valori di performance si estendono in modo piuttosto regolare su
un continuum che non evidenzia ampi scostamenti tra normolettori e dislessici, quindi
soprattutto i soggetti che mostrano un’alterazione lieve, si posizionano a un livello
prossimo a quella che è considerata una prestazione standard. Proprio per questi casi
risulta difficile distinguere quali cause incidano su un comportamento atteso in
relazione al contesto o all’età.
La diagnosi di DSA può essere formulata alla fine della seconda classe della scuola
primaria, quando il bambino è entrato nel processo di letto-scrittura da poco meno di
due anni, prima dei quali la maggior parte risulta completamente analfabeta. Questo
periodo di apprendimento è cruciale, se ad esempio in classe si è fatto ricorso a
metodologie non adeguate, senza prestare la giusta attenzione alle esigenze formative
e alle fragilità di alcuni alunni. In questi casi sarà stata persa una preziosa occasione
per far sviluppare le migliori potenzialità degli allievi e anche minato seriamente il
loro percorso formativo.
All’interno del DSM-5, viene ribadito che per la diagnosi di DSA le abilità
scolastiche devono essere notevolmente e quantificabilmente al di sotto di quelle
attese per l’età cronologica dell’individuo. Vengono completamente ignorate le
differenze individuali nei bambini di pari età cronologica che, soprattutto nelle prime
classi della scuola primaria sono invece impattanti. Per la definizione del disturbo
non sono solo previsti test individuali standardizzati, ma anche la storia clinica, di
sviluppo, educativa e familiare dell’individuo. La valutazione del DSA dunque
consiste in un complesso processo di analisi quantitativa che però nelle procedure
attuali non ha una evidenza oggettiva sui risultati dei test utilizzati. In sostanza non è
regolamentato come operazionalizzare eventuali fattori clinici, educativi e famigliari
che possono risultare dall’anamnesi del soggetto. Questo aumenta la probabilità di
includere falsi positivi o di trattare allo stesso modo bambini con difficoltà diverse.
Il DSA è definito come un disturbo persistente e permanente. Il primo criterio
diagnostico prevede che si possa parlare di DSA solo in caso di difficoltà di
apprendimento se i sintomi persistono per almeno sei mesi, nonostante l’attuazione di
interventi mirati allo sviluppo delle abilità risultanti deficitarie. Infatti il DSA è
considerato insensibile al trattamento e nel manuale diagnostico e statistico dei
disturbi mentali si ammette solo che un’istruzione sistematica, intensiva e
personalizzata può mitigare le difficoltà di apprendimento. I cambiamenti registrati
devono essere imputabili al trattamento applicato e non a fattori esterni ad esso o
maturazionali del bambino. Inoltre deve poter essere verificato come cambiamento
reale e non casuale. Ma come viene verificato che il miglioramento non derivi da una
registrazione di falso positivo? Un'altra perplessità deriva dall’assenza di una
normativa che inserisca i bambini con diagnosi positiva all’interno di un processo
riabilitativo extra-scolastico che attui il lavoro sistematico e intensivo di cui sopra. In
realtà questo aspetto è esclusivamente a carico della famiglia che può affidarsi a degli
specialisti, come decidere invece di incaricare solamente la scuola, che purtroppo non
ha le competenze per sviluppare abilità sottostanti come le capacità metafonologiche,
l’automazione della conversione fonema-grafema, lo sviluppo della memoria di
Francesca Dondini
81
lavoro, ecc…Inoltre il miglioramento come può avvenire se in realtà i soggetti
dislessici vengono trattati attraverso strumenti compensativi del disturbo? Questo
approccio svolto su bambini che non hanno un disturbo specifico dell’apprendimento
rischia infatti di ritardare definitivamente gli sviluppi di abilità già deficitarie.
All’interno del DSM-5 sono numerosi gli aspetti metodologici ignorati come ad
esempio “per la diagnosi di DSA le difficoltà di apprendimento non devono essere
attribuibili a istruzione scolastica inadeguata”. Tuttavia nessuna indicazione viene
fornita per definire come isolare questa variabile all’interno della diagnosi. Inoltre
non viene definito con chiarezza se questo criterio sia riferibile alla regolarità nella
frequenza scolastica oppure alle scelte formative della scuola o alle metodologie
utilizzate dai singoli insegnanti, come commentato anche all’interno di un articolo di
Ammaniti et al. (agosto 2015) 54.
La ricerca scientifica attualmente è maggiormente incentrata sull’obiettivo di
identificare la totalità di bambini interessati da disturbi specifici dell’apprendimento
che al momento vede ancora un 2-3% di soggetti in Italia non segnalati o identificati.
Ritengo possa essere invece estremamente utile per quanto specificato sopra, attivare
studi che cerchino di distingue la presenza di dislessia, come qualunque altro disturbo
dell’apprendimento, da variabili che possono avere un’incidenza sulla variabile
dipendente data dal livello prestazionale dei bambini inseriti nel processo diagnostico
ed in particolare:
 Isolare i casi di lento apprendimento causato da un insegnamento inadeguato
inserendo i bambini in un processo di sviluppo delle abilità specifiche della
durata di 3 mesi, verificandone i tempi di recupero e diagnosticando un reale
DSA solo a valle di questo training specifico;
 Isolare i casi di una sospetta bassa motivazione all’apprendimento dettati da alert
come ad esempio un cattivo rapporto con l’ambiente scolastico, i compagni di
classe, l’insegnante o eventi familiari traumatici come la separazione dei genitori,
un cambio di residenza, ecc... In questi casi sarebbe possibile attivare in
concomitanza con il processo diagnostico, un percorso riabilitativo volto allo
sviluppo dell’autoefficacia, dell’autostima o semplicemente un supporto posttrauma utile per elaborare situazioni non drammatiche ma che possono aver
influito sulla capacità ad apprendere dello studente;
 Trattare diversamente bambini interessati da un deficit sensoriale risolto al
momento della diagnosi, calcolando il tempo totale interessato dal deficit prima
della sua risoluzione e stimando un’età cronologica alternativa, sulla base della
quale individuare le prove da utilizzare all’interno delle batterie diagnostiche in
uso. Nel caso la prestazione dovesse risultare in linea con le attese ai riferimenti
normativi stimati, potrebbe essere sufficiente attivare procedure di rafforzamento
delle singole abilità in ambito scolastico, verificando se il periodo interessato dal
deficit possa essere recuperato nel breve periodo.
54
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