1. La misura in psicologia
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1. La misura in psicologia
UNIVERSITÀ TELEMATICA INTERNAZIONALE UNINETTUNO FACOLTÀ DI PSICOLOGIA Corso di Laurea in Discipline Psicosociali Elaborato finale in META-ANALISI SULLA VALIDITÀ DEI TEST DIAGNOSTICI PER LA DISLESSIA Relatore Prof. ILEANA DI POMPONIO Candidato FRANCESCA DONDINI Matricola 2051 Anno Accademico 2014/2015 INDICE INTRODUZIONE ............................................................................................................................. 3 RINGRAZIAMENTI ........................................................................................................................ 3 1. 2. LA MISURA IN PSICOLOGIA .............................................................................................. 4 1.1. Variabili ........................................................................................................................... 4 1.2. Indici statistici.................................................................................................................. 6 1.2.1. Media ............................................................................................................................... 6 1.2.2. Percentili .......................................................................................................................... 6 1.2.3. Varianza e la deviazione standard.................................................................................... 7 1.3. Errore di misura ............................................................................................................... 8 1.3.1. Attendibilità ..................................................................................................................... 9 1.3.2. Validità .......................................................................................................................... 10 1.3.3. Rapporto tra attendibilità e validità................................................................................ 11 IL PROCESSO DI RICERCA................................................................................................ 11 2.1. Domande di ricerca, ipotesi di ricerca, ipotesi statistiche .............................................. 11 2.2. 3. 4. Raccolta dei dati ............................................................................................................ 12 I DISTURBI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO (DSA) – LA DISLESSIA....................... 13 3.1 Fattori di rischio ............................................................................................................. 14 3.2 Prerequisiti per l’acquisizione delle abilità di lettura e scrittura .................................... 15 3.3.1. Consapevolezza fonologica............................................................................................ 15 3.3.2. Requisiti visivi per l’acquisizione delle abilità di lettura e scrittura ............................. 17 3.3 Osservazione preliminare delle prestazioni atipiche ...................................................... 19 3.3.1. Scuola dell’infanzia ....................................................................................................... 19 3.3.2. Scuola primaria ............................................................................................................. 20 3.4 Diagnosi dei Disturbi Specifici di Apprendimento ........................................................ 21 3.4.1. Definizione dei criteri di inclusione/esclusione ............................................................. 28 3.5 Strumenti diagnostici ..................................................................................................... 29 3.5.1. Prove di lettura MT-2 .................................................................................................... 29 3.5.2. Batteria per la valutazione della Dislessia e della disortografia evolutiva – 2 ............. 35 3.5.3. Usabilità dei testi - Prove di lettura .............................................................................. 37 3.6 Strumenti compensativi e misure dispensative .............................................................. 39 LA META-ANALISI – PARTE TEORICA .......................................................................... 41 4.1 Definizione dell’argomento di ricerca ........................................................................... 43 4.2 Definizione dei criteri di inclusione ed esclusione ........................................................ 43 4.3 Ricerca della letteratura ................................................................................................. 44 Francesca Dondini 1 5. 4.4 Selezione degli studi primari ......................................................................................... 45 4.5 Valutazione dell’affidabilità della selezione .................................................................. 46 4.6 Codifica degli studi primari ........................................................................................... 47 4.7 Effect size ...................................................................................................................... 47 4.8 Calcolo dell’effect size globale...................................................................................... 52 4.9 Definizione dei risultati ................................................................................................. 54 4.10 Verifica di eterogeneità.................................................................................................. 55 4.11 Publication bias.............................................................................................................. 56 4.12 Pubblicazione di una meta-analisi ................................................................................. 58 META-ANALISI SUGLI STRUMENTI DI DIAGNOSI PER LA DISLESSIA .................. 60 5.1 Definizione dell’argomento di ricerca ........................................................................... 60 5.2 Definizione dei criteri di inclusione ed esclusione ........................................................ 62 5.3 Ricerca della letteratura ................................................................................................. 63 5.4 Selezione degli studi primari ......................................................................................... 71 5.5 Valutazione dell’affidabilità della selezione .................................................................. 72 5.6 Codifica degli studi primari ........................................................................................... 72 5.7 Effect Size...................................................................................................................... 73 5.8 Calcolo dell’effect size globale...................................................................................... 78 5.9 Definizione dei risultati ................................................................................................. 79 5.10 Verifica di eterogeneità e publication bias..................................................................... 80 6. CONCLUSIONI ..................................................................................................................... 80 7. BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................... 83 Francesca Dondini 2 Introduzione Questo lavoro nasce da una particolare curiosità sui disturbi specifici dell’apprendimento, un aspetto molto studiato soprattutto in questi ultimi anni ma per il quale non si hanno ancora certezze sulle cause e sulle possibili riabilitazioni. Mi sono concentrata principalmente sulla meta-analisi dei test diagnostici in quanto a quelli, ho potuto ricondurre tutte le conoscenze attualmente espresse sul disturbo. Dalla struttura del processo diagnostico scaturiscono infatti le caratteristiche che identificano la presenza di dislessia in un bambino, le funzioni che sottendono le difficoltà riscontrate e di conseguenza le procedure di rinforzo che possono essere messe in atto. Quindi nella diagnosi ho ritrovato una centralità che a mio parere mi ha permesso di avere una visione globale della dislessia evolutiva. Inoltre, l’analisi degli strumenti diagnostici mi ha fatto emergere una serie di quesiti sulla presenza di altre variabili che in realtà non vengono misurate o isolate, ma che possono notevolmente incidere sul livello prestazionale della lettura. Questo aspetto ha delineato la mia ipotesi di ricerca che ho esplicitato nella parte centrale del lavoro e ripreso nella conclusione. Proprio per evidenziare questo percorso, il lavoro affronta una prima parte di introduzione su quelle che sono le nozioni statistiche utili per il lavoro di meta-analisi che ho fatto, con un breve accenno nella seconda parte, sulle peculiarità e prassi del processo di ricerca. Nel terzo capitolo sono state riportate tutte le informazioni raccolte sui disturbi specifici dell’apprendimento, con particolare attenzione alla dislessia. Questa focalizzazione è stata necessaria per permettermi di applicare una meta-analisi chiara e snella, utile a comprendere con attenzione i passaggi che la rendono una sintesi statistica così efficace. Un lavoro similare potrebbe infatti essere svolto anche sugli altri disturbi specifici dell’apprendimento, per i quali tra l’altro esistono ancora meno evidenze scientifiche. Successivamente ho esplicitato tutti i passaggi per effettuare una vera e propria meta-analisi, mettendoli in pratica sugli studi primari disponibili in ambito di diagnosi e riabilitazione della dislessia evolutiva. Ringraziamenti Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato nel raggiungimento di questo obiettivo, concretizzatosi con la realizzazione della presente Tesi. In particolare il primo ringraziamento va alla Dottoressa Ileana Di Pomponio, che con il suo entusiasmo, è riuscita ad accendere una vera e propria passione per la materia trattata ma soprattutto mi ha trasmesso la fiducia nell’ approcciarmi ad una ricerca sperimentale. Un particolare ringraziamento va a tutta la mia famiglia, che con pazienza mi ha supportato in questo progetto e a cui dedico questo lavoro con tutto il cuore. In ultimo vorrei esprimere la mia riconoscenza a tutti gli amici che mi hanno dato la forza di iniziare e portare avanti questo proposito condendo quest’esperienza con allegria e positività. Francesca Dondini 3 1. La misura in psicologia In psicologia come per le altre scienze, esiste la necessità di descrivere il proprio oggetto di studio attraverso una quantificazione delle misure. Misurare significa assegnare valori numerici ad oggetti ed eventi secondo regole che ne consentano di rappresentare le proprietà. La base di misurazione in psicologia è l’osservazione del comportamento e l’obiettivo è cercare di quantificare le osservazioni del comportamento che sono oggetto di studio. Ad esempio, per misurare l’aggressività, dovrà essere definito che cosa s’intende per aggressività e a quale teoria si fa riferimento, per poi specificare cosa si osserverà nel comportamento ed infine, stabilire come quantificare i dati emersi dall’osservazione. Tutte le osservazioni del comportamento conducono a quattro tipi di misure: la latenza che è l’intervallo di tempo che intercorre tra la presentazione di uno stimolo ed il verificarsi di uno specifico evento; la frequenza, data dal numero di volte che si presenta un determinato evento in uno specifico lasso di tempo; la durata che è la quantità di tempo che il singolo comportamento viene mantenuto; l’intensità che è data dalla più alta frequenza del dato registrato. Qualunque tipo di misurazione si basa sulla teoria della misurazione di Stevens (1946) 1: «… si può giungere ad un accordo su cosa sia la misurazione se riconosciamo che la misurazione si presenta sotto differenti forme e che le scale di misura rientrano in alcune specifiche classi, determinate dalle operazioni empiriche richieste dal processo di misurazione e dalle proprietà formali delle scale […] il fatto che si possano assegnare dei numeri seguendo regole differenti porta a differenti tipi di scale. Il problema diventa rendere esplicite: le regole per l’assegnazione dei numeri; le proprietà matematiche delle scale che ne risultano; le operazioni statistiche applicabili alle misure effettuate per ciascun tipo di scala». Per cui è possibile collegare la realtà a categorie o numeri attraverso un insieme di regole che se rispettate, consentono di misurare i fenomeni psicologici e sociali in maniera corretta. Abbiamo quindi: La realtà – intesa come sistema relazionale empirico sul quale vengono definite delle relazioni; Le categorie – intese come sistema numerico che deve riflettere le caratteristiche del sistema empirico; Le regole – ossia funzioni di omomorfismo 2 che legano il sistema empirico con quello numerico. Misurare un sistema empirico significa costruire un sistema numerico in modo tale che sia in una relazione di omomorfismo con il sistema empirico. All’interno del processo di misurazione, il termine “variabile” indica qualsiasi caratteristica che può assumere valori diversi e che quindi, teoricamente, si presume di poter misurare. 1.1. Variabili L’ipotesi di ricerca da verificare è generalmente costituita da tipologie di variabili differenti tra le quali si ritiene ci sia una connessione. 1 Stevens, ”On the Theory of Scales of Measurement”, in “Science”, vol. CIII, 1946, pp. 677-680 in algebra astratta è un’applicazione tra due strutture algebriche dello stesso tipo che conserva le operazioni definite su di esse 2 Francesca Dondini 4 Nelle variabili quantitative, che assumono valori numerici, si distinguono: la variabile continua che può assumere un numero infinito di valori costituiti da numeri interi o frazionari (es. il tavolo misura 1,58m); la variabile discreta che può assumere un carattere quantitativo attraverso un numero finito di valori (es. in una famiglia non possono esserci 2,51 figli). Nelle variabili qualitative, che non assumono valori numerici, si distinguono: la variabile ordinale i cui dati hanno un ordine; la variabile categorica costituita da elementi divisibili in categorie (es. uomo/donna). In base al ruolo che assume all’interno della sperimentazione, troviamo: la variabile indipendente, che si presume causi una modifica su altre variabili e che può essere distinta ulteriormente in variabile manipolata, quindi attivamente modificata dallo sperimentatore (come ad es. l’intensità della luce, le dosi di un farmaco, ecc…) oppure non manipolata quindi composta da elementi non modificati dallo sperimentatore (come il QI, l’appartenenza religiosa, ecc..); la variabile dipendente, ossia quella che si presume venga modificata dalla prima. In base al ruolo di confusione che possono assumere sulle relazioni tra variabili, distinguiamo: la variabile confusa che covaria con la variabile indipendente ed è intrinsecamente legata ad essa (es. se voglio verificare la correlazione tra isolamento e influenzabilità, l’errore potrebbe derivare da una terza variabile correlata con l’isolamento, come la ruminazione cognitiva); la variabile confondente che confonde il legame tra le variabili covariando con la variabile indipendente essendone intrinsecamente estranea (es. se voglio verificare la correlazione tra l’atteggiamento conservatore e l’appartenenza politica e per un errore di campionamento le persone di destra risultano avere un’età media più giovane rispetto a quelle di sinistra, avrò un errore di misura legato all’età delle persone coinvolte). In base alla possibilità di osservazione, troviamo: la variabile latente che non può essere osservata ma di cui si ipotizza l’esistenza per poter spiegare altre variabili direttamente osservabili; la variabile manifesta che risulta direttamente osservabile. I dati codificati di una rilevazione statistica effettuata su n unità statistiche con riferimento a più variabili, vengono raccolti in una tabella, definita “matrice dei dati”. Tab. 1 esempio di matrice dei dati Ogni riga rappresenta una UNITA’ STATISTICA N. 1 2 … N Sesso M F … M Titolo di studio Licenza media inferiore Laurea …. Diploma Ogni colonna rappresenta una VARIABILE Età 36 45 … 60 Peso 65 70 … 55 N. Ricoveri 3 1 … 6 La matrice dei dati contiene tutte le informazioni analitiche di ciascuna unità statistica, ma l’analisi diretta della matrice, soprattutto se i dati contenuti sono molti, Francesca Dondini 5 non consente di cogliere immediatamente gli aspetti salienti del fenomeno che si sta osservando. Occorre perciò ottenere una sintesi attraverso un’elaborazione statistica. 1.2. Indici statistici Gli indici statistici per sintetizzare una determinata caratteristica o per confrontare situazioni differenti possono essere suddivisi in: • Indici di tendenza centrale, che comprendono Media, Mediana, Moda, Quartili e Percentili. Un indice di tendenza centrale è lo scalare che esprime sinteticamente come si è manifestata la proprietà in esame nel campione considerato. E’ il valore che meglio rappresenta una distribuzione di dati quantitativi misurati su scale metriche, come ad esempio il valore più frequente, oppure il valore che occupa una posizione intermedia nella distribuzione. • Indici di dispersione, che comprendono Campo di variazione, Scarto medio assoluto, Varianza, Deviazione Standard e Coefficiente di variazione. Un indice di dispersione restituisce uno scalare con cui si valuta la diversità esistente tra le osservazioni. • Indici di forma, che comprendono Coefficiente di asimmetria e Coefficiente di curtosi. Gli indici di forma definiscono gli aspetti fondamentali relativi alla forma della distribuzione. E’ utile entrare più nel dettaglio solo degli indici che verranno ripresi in seguito nel lavoro di meta-analisi. 1.2.1. Media La media aritmetica è data dalla somma delle misure osservate diviso il numero delle osservazioni fatte: � = ∑ Xi X N Calcolo della media � = media X ∑ X1 = sommatoria di tutti i risultati raccolti N = numero totale dei casi raccolti Es. se avrò raccolto su 10 persone un punteggio di gradimento su un determinato servizio che va da 1 a 5, potrei avere a disposizione i seguenti dati: 3,4,2,5,1,4,2,3,4,5. La media sarà quindi rappresentata da: � X= (3+4+2+5+1+4+2+3+4+5) 10 = 33 10 = 3,3 1.2.2. Percentili I percentili sono misure che dividono una distribuzione ordinata in 99 punti e quindi 100 parti uguali, dove ogni parte contiene la stessa frazione di osservazioni. Considerando un campione di n dati, ordinati in maniera crescente, l’indice del kesimo percentile è dato da: 𝐼𝐼𝑘𝑘 = (n+1)×k /100. Calcolo del percentile Dall’indice si ricava quindi il valore esatto con un’interpolazione lineare tra i due dati (con indici pari all’intero prima e dopo di 𝐼𝐼𝑘𝑘 ) Ad esempio n=14 dati 𝑥𝑥𝑖𝑖 . Calcoliamo il 23-esimo percentile. Francesca Dondini 6 23 = 100 I23 = (14+1)× 3.45 Il valore del 23-esimo percentile sarà compreso tra il 3° ed il 4° dato (𝑥𝑥3 e 𝑥𝑥4 ). Numericamente vale x3 + (x4 – x3 ) × 0.45 (interpolazione lineare). 1.2.3. Varianza e la deviazione standard La varianza è un indice della distanza media dei diversi punteggi dalla media dei campioni misurati. E’ data dalla media dei quadrati degli scostamenti dalla media ed è rappresentata con il simbolo S 2 . S2 = 2 ∑n i=1(X1 −M) N Calcolo della varianza Ad esempio, se abbiamo un campione n = 5 elementi ed i punteggi raccolti sono (-4, 1, 1, 2, 7), la media campionaria risulterà: � = −4−1+1+2+7 = 1 X Mentre la varianza campionaria sarà: Sn2 = 5 (−4−1)2 +(−1−1)2 +(1−1)2 +(2−1)2 +(7−1)2 5 = 25+4+0+1+36 66 = = 5 5 13,2 La deviazione standard, o scarto quadratico medio, è un indice di dispersione statistico, vale a dire una stima della variabilità di una popolazione di dati o di una variabile casuale. E’ il secondo indicatore che rappresenta la dispersione dei dati intorno al valore medio. Lo scarto tipo è uno dei modi per esprimere la dispersione dei dati intorno ad un indice di posizione, quale può essere, ad esempio, la media aritmetica o una sua stima. Lo scarto tipo ha pertanto la stessa unità di misura dei valori osservati (al contrario della varianza che ha come unità di misura il quadrato dell'unità di misura dei valori di riferimento). Il termine "standard deviation" è stato introdotto in statistica da Pearson assieme alla lettera greca (sigma) che lo rappresenta. Il termine italiano "deviazione standard" ne è la traduzione più utilizzata nel linguaggio comune; il termine dell'Ente Nazionale Italiano di Unificazione è tuttavia "scarto tipo", definito come la radice quadrata positiva della varianza, la quale viene coerentemente rappresentata con il quadrato di sigma ( ). 1 N−1 DS (deviazione standard) = � =� (−4 −1)2 + (−1 −1)2 + (1 −1)2 + (2 −1)2 + (7 −1)2 4 = 3,5 =� ∑(xi – M)2 Calcolo della deviazione standard 10 + 2 + 0 + 1 + 36 49 =� = 4 4 �12,25 Mentre il punteggio medio non discrimina tra configurazioni che hanno una Francesca Dondini 7 composizione meno distribuita da configurazioni con ampie differenze tra i punteggi, la deviazione standard indica l’ampiezza delle differenze tra i punteggi. 1.3. Errore di misura Quanto si esegue una misurazione possiamo compiere degli errori. In psicologia la misurazione avviene attraverso l’utilizzo di strumenti come questionari e test, che devono essere costruiti in modo da evitare gli errori di misurazione. Anche le condizioni di somministrazione devono volgere verso questo obiettivo. Pur utilizzando le maggiori attenzioni nel tentativo di eliminare l’errore, la misura rimane un valore composto da due parti: • Una componente vera = V che rappresenta la vera misura della caratteristica • Una componente di errore = E che rappresenta l’errore di misura in quanto non è possibile rappresentare numericamente con esattezza le caratteristiche del Sistema Empirico (SE). Quindi SE = V + E sempre, assumendo che un valore x è uguale alla somma di V ed E. La componente E è a sua volta composta da: l’errore casuale – dovuto all’effetto del caso, rappresentato in tutte le misure e ineliminabile in quanto anche se lo strumento di misura che stiamo utilizzando è preciso, è legato all’operazione stessa di misura. Questo errore tende a compensarsi con la sommatoria delle misurazioni. Non è legato né alla quantità di caratteristica che stiamo misurando né all’entità degli errori precedenti. l’errore sistematico – deriva da una non perfetta taratura dello strumento o alla distorsione che si opera passando dal sistema empirico al sistema numerico. Questo errore tende a viziare la misurazione in quanto va verso una stessa direzione e prende il nome di bias. Proprio per prevenire e valutare la presenza di errori di misurazione si fa riferimento all’attendibilità e alla validità. Nella maggior parte dei casi in psicologia vengono misurati dei costrutti, cioè dei concetti astratti che indicano un complesso della vita psichica che non risultano osservabili direttamente, ma inferiti attraverso una serie di indicatori empirici osservabili. Se non è possibile dare una definizione empirica del concetto psichico, quindi esplicitare i suoi indicatori, quel concetto non può essere considerato un costrutto. Il costrutto è generalmente estratto da una teoria più generale e deve essere definito in modo operativo. L’ indicatore è una variabile o una misura empirica che indica il costrutto non osservabile, tramite una regola di corrispondenza. Il rapporto che esiste tra costrutto e indicatore può essere di due tipi: riflettivo quando è una semplice manifestazione empirica del costrutto, l’indicatore riflette il costrutto stesso (insultare qualcuno è una manifestazione osservabile del costrutto dell’aggressività); formativo se contribuisce al costrutto (il costrutto dell’aggressività può essere causato da indicatori quali “non trovo mai parcheggio sotto casa quando torno dal lavoro”, “ho avuto un grave lutto in famiglia”). Gli indicatori in questo caso non sono una manifestazione del costrutto ma lo determinano. Francesca Dondini 8 Quando un indicatore è riflettivo risulta causato dal costrutto, quando invece è formativo risulta esserne direttamente la causa. Questo comporta una diversa considerazione degli errori e delle tecniche statistiche da applicare, infatti nel primo caso si applicano le tecniche di analisi fattoriale, mentre nel secondo vengono utilizzate tecniche di regressione. La fonte principale di errore in psicologia è l’utilizzo di modelli inadeguati, esiste però l’errore accidentale (o casuale) che fornisce un grado di incertezza sui risultati. Ripetendo la stessa prova più volte sullo stesso soggetto, avrò sempre risultati diversi. 1.3.1. Attendibilità L’attendibilità o affidabilità è la correlazione tra due o più misure indipendenti all’interno dello stesso costrutto. Uno strumento di misura risulta attendibile quando produce una misura di cui ci si può fidare, in quanto ha dato risultati coerenti in occasioni simili. Se c’è un’alta correlazione tra le misurazioni indipendenti, questo significa che durante le operazioni di misurazione sono stati commessi pochi errori. Perciò l’attendibilità può anche essere definita come il grado in cui i punteggi dei test sono liberi dalla componente di errore. Le componenti dell’attendibilità sono: Stabilità - si riferisce al grado di correlazione tra misurazioni dello stesso costrutto avvenute in tempi diversi. Se si misura l’intelligenza di un individuo non ci si aspetta delle variazioni di valore sostanziali ma solamente fluttuazioni minime dovute agli errori casuali. Si parla di stabilità quando l’entità misurata su uno stesso campione di persone, risulta la stessa in una seconda misurazione a distanza di un certo lasso di tempo. Accuratezza - si riferisce invece al grado di corrispondenza tra il costrutto misurato e la realtà. L’accuratezza implica la precisione, se una misura è accurata allora sarà anche precisa, mentre se è precisa non sarà necessariamente accurata. Precisione - è il grado di sistematicità o coerenza con cui eseguiamo la misurazione, perciò riguarda la coerenza interna della misurazione tra diversi indicatori. Si parla di precisione quando proponendo in maniera diversa due indicatori, come ad esempio due item differenti che costituiscono indicatori dello stesso costrutto, si ottiene la stessa risposta. L’attendibilità di uno strumento di misura viene definita come il rapporto tra la varianza della parte vera e la varianza totale: 𝜎𝜎 2 (𝑉𝑉) 𝜎𝜎 2 (𝑉𝑉) − 𝜎𝜎 2 (𝐸𝐸) 𝜎𝜎 2 (𝐸𝐸) 𝑟𝑟𝑡𝑡𝑡𝑡 = 2 = = 1 − 𝜎𝜎 2 (𝑋𝑋) 𝜎𝜎 (𝑋𝑋) 𝜎𝜎 2 (𝑋𝑋) 𝑟𝑟𝑡𝑡𝑡𝑡 = coefficiente di attendibilità V= varianza del punteggio vero E= varianza d’errore X= varianza del punteggio osservato (totale) Il limite minimo dell’attendibilità è zero, nel caso il punteggio osservato è composto solo da errore; il limite massimo è 1, nel caso il punteggio osservato è totalmente vero. Questo significa che se l’attendibilità di uno strumento di misura in una ricerca risulta essere 0,95, il 95% della varianza di quella misurazione è vera e solo il 5% è d’errore. Di conseguenza il test può essere considerato attendibile. Per verificare l’attendibilità di uno strumento di misura esistono diverse forme: Francesca Dondini 9 Test re-test viene utilizzato per verificare la stabilità nel tempo delle risposte dei soggetti o i cambiamenti nelle situazioni sperimentali; Forme parallele o equivalenti di uno strumento, che prevede la somministrazione agli stessi partecipanti in un medesimo momento di due forme diverse dello strumento per misurare lo stesso costrutto; Consistenza interna e split-half, che sono due metodi differenti per vedere se i molteplici item che compongono lo strumento sono correlati tra di loro, mostrando maggiore o minore eterogeneità nel contenuto; Consistenza interna di osservatori per misurare l’accordo tra loro in ciascuna codifica eseguita. Questa procedura prende il nome di calibrazione. 1.3.2. Validità La validità di uno strumento di misura è definita in generale come la sua capacità di misurare ciò che dovrebbe misurare. In ambito psicologico, la definizione di validità dello strumento coincide infatti con quella di validità di costrutto, in quanto lo strumento di misurazione viene costruito sulla base di un costrutto di riferimento. In modo più specifico è possibile suddividere la validità in diversi aspetti: Validità interna – si ha quando la relazione tra due variabili è di tipo causale, quindi è possibile dimostrare che le modifiche della variabile indipendente (Vi) causano quelle della variabile dipendente (Vd) e non dipendono né dal caso né dall’interazione con variabili terze. Per essere causale, la relazione tra Vi e Vd deve rispettare due requisiti, • deve essere un effetto che va verso una determinata direzione, che fornisce la certezza che la manipolazione della variabile indipendente è causa dei cambiamenti di quella dipendente e non viceversa. Questo viene dedotto dalla sequenza temporale, se la manipolazione della variabile indipendente precede il cambiamento di quella dipendente, si può ragionevolmente supporre che la prima influisce sulla seconda; • devono essere esclusi i fattori di confusione, che comporta un controllo su tutte le variabili che potenzialmente sono in grado di influenzare la relazione causale. Per garantire una validità interna, è necessario creare procedure sperimentali atte ad eliminare tutte le possibili minacce nell’analisi della relazione causale. Validità esterna – che riguarda la legittima applicabilità dei risultati a soggetti, situazioni, tempi e luoghi diversi da quelli sperimentali. In altri termini, consiste nel poter generalizzare le conclusioni di una sperimentazione. Nel caso la correlazione tra variabili sia confermata dalla validità interna, attraverso la validità esterna viene verificato se è mantenuta anche in condizioni diverse da quelle sperimentali. Un metodo che può essere utilizzato per verificare la validità esterna prende il nome di ripetizione sistematica e consiste nel ripetere la sperimentazione modificando sistematicamente una o più variabili. Questo metodo risulta sicuramente il più semplice ed efficace ma anche piuttosto dispendioso in termini di tempo e quindi meno utilizzato. Nella prassi corrente la verifica avviene tramite la rappresentatività dei soggetti sperimentali che determina la validità di popolazione e la ripetizione dell’esperimento a distanza di tempo che determina Francesca Dondini 10 la validità temporale. Validità di costrutto – che rappresenta il grado di capacità della misurazione messa in atto, di misurare quello che intende misurare. Far corrispondere un indicatore osservabile ad una nozione latente come il costrutto, significa eseguire una definizione operazionale. L’operazionismo costituisce un momento cruciale nella fase di passaggio tra teoria e mondo reale, perché specifica le operazioni che legano l’astratto all’empirico. E’ necessario quindi domandarsi sempre se sia legittimo supporre che il risultato ottenuto per mezzo di un indicatore particolare, corrisponda alla nozione latente da cui si è partiti. Validità statistica – che controlla se i risultati della ricerca sono dovuti alla manipolazione della variabile indipendente oppure a variazioni casuali. Questo concetto risulta strettamente legato a quello di validità interna, avendo lo scopo di verificare se il rapporto tra le variabili sperimentali è di tipo causale o casuale. La validità statistica può avere luogo solo dopo la raccolta dei dati e quindi non possiede un potere predittivo, ma può indicare se esiste la necessità di modificare le condizioni sperimentali e di controllo in successivi esperimenti. Validità ecologica – che definisce quanto i risultati possono essere rapportati a situazioni di vita reale. Domandarsi se una relazione è generalizzabile a contesti differenti come per la validità esterna, è diverso dal domandarsi se questa relazione è rappresentativa di ciò che avviene nella realtà, ed è proprio questa particolare sfera che viene verificata dalla validità ecologica, quindi quanto le condizioni nelle quali è stato condotto l’esperimento e verificata la relazione tra le variabili, sono riscontrabili nella vita quotidiana. 1.3.3. Rapporto tra attendibilità e validità Attendibilità e validità sono due componenti fondamentali per eseguire una misurazione adeguata. L’attendibilità ci assicura che le diverse misure siano coerenti tra di loro, la validità che riflettano adeguatamente il costrutto che volevamo misurare. Se una misura non risulta coerente con se stessa o stabile nel tempo, non potrà neanche riflettere il costrutto che volevamo misurare o la realtà che volevamo investigare. Perciò l’attendibilità è considerata un prerequisito della validità, senza di essa una misura non può essere nemmeno valida. 2. Il processo di ricerca 2.1. Domande di ricerca, ipotesi di ricerca, ipotesi statistiche L’identificazione di un problema teorico solleva una serie di quesiti più specifici che guideranno l’intera ricerca. L’ipotesi di ricerca che ne consegue viene definita in maniera ancora più specifica. Essa rappresenta una congettura che il ricercatore proverà a verificare attraverso le relazioni esistenti tra variabili, espressa tramite il sillogismo “se accade X allora si osserva Y”. La rappresentazione matematica di questa affermazione condizionale è y = f (x). L’ipotesi è intesa come un'affermazione che ha come oggetto, accadimenti nel mondo reale, che si presta ad essere confermata o smentita dai dati osservati sperimentalmente. Il metodo con cui si valuta l'attendibilità di un'ipotesi è il metodo sperimentale. Francesca Dondini 11 Quest'ultimo consiste nel determinare le conseguenze di un'ipotesi in termini di eventi osservabili, e di valutare se la realtà effettivamente osservata si accorda o meno con l'ipotesi su di essa fatta. L’ipotesi di ricerca dà luogo a due ipotesi statistiche: L’ipotesi nulla (H0 ) che afferma la mancanza della relazione tra variabili o la mancanza dell’effetto ipotizzato. L’ipotesi alternativa (H1 ) che afferma la presenza di tale effetto. Le due ipotesi si escludono reciprocamente, se è vera una, l’altra è obbligatoriamente falsa. 2.2. Raccolta dei dati Esistono diversi modi per raccogliere evidenze atte a fornire risposte alla domanda di ricerca o verificare l’ipotesi di ricerca formulata: i test, l’osservazione del comportamento, l’analisi del contenuto, l’intervista, i questionari, le misure fisiologiche e neuropsicologiche oppure come in questo caso, svolgere una metaanalisi su studi primari già effettuati. Questo lavoro si concentra sulla modalità di utilizzo dei test diagnostici ed in particolare quelli che riguardano la verifica della dislessia, affiancata dai metodi osservativi utilizzati per la diagnosi più specifica che avviene nelle prove di lettura. L’analisi è stata svolta attraverso la verifica di dati raccolti in precedenti studi e accorpati per fornire un campione di riferimento più ampio rispetto alle singole analisi. Si tratta di una vera e propria analisi del contenuto volta ad estrarre le informazioni prestazionali dei campioni utilizzati per verificare i test presi in considerazione, per identificarne oggettivamente le caratteristiche. La grande qualità della meta-analisi qui descritta, sta nell’accorpamento di studi differenti utili per dare una maggiore eterogeneità al campione complessivo di riferimento. I test psicologici hanno lo scopo di produrre una valutazione obiettiva di un soggetto e in particolare quelli utilizzati per verificare la presenza della dislessia, hanno il fine di formulare una diagnosi e progettare un trattamento. La diagnosi consiste nel determinare la natura e la fonte del comportamento anormale di una persona e in genere è il precursore di un trattamento. Un test è composto da una serie di stimoli o item per poter raccogliere le informazioni di interesse su un soggetto. Sulla base dei risultati ottenuti in un test, vengono prese decisioni riguardo eventuali azioni educative o terapeutiche. Di conseguenza, perché questi risultati possano essere considerati corretti, la somministrazione dei test deve mantenere delle caratteristiche quali: a) condizioni standardizzate; b) stimoli standardizzati; c) campione specifico di riferimento; d) quantificazione o misurazione delle risposte. E la taratura dello strumento deve essere stata eseguita su ampi campioni eterogenei e rappresentativi della popolazione alla quale è orientato lo strumento. I test psicologici possono dividersi in base: - all’aspetto psicologico che viene indagato, che distingue Francesca Dondini 12 • - - Test cognitivi: che misurano le capacità del soggetto come ad es. l’intelligenza, le attitudini, il profitto, ecc.. • Test non cognitivi: che misurano le preferenze ed i comportamenti abituali come ad esempio la personalità o gli atteggiamenti. al tipo di somministrazione, che raccoglie: • Test collettivi: che vengono somministrati in gruppo e risultano meno onerosi; • Test individuali: che vengono somministrati individualmente e forniscono più informazioni. • Test verbali: che prevedono l’utilizzo del linguaggio; • Test non verbali: che non lo prevedono; • Test di velocità formati da prove di semplice risoluzione ma per le quali viene lasciato un tempo molto limitato; • Test di potenza formati da prove di crescente difficoltà. al tipo di stimolo utilizzato, contrapponendo: • Proiettivi: che forniscono stimoli non strutturati che costringono il soggetto a “proiettare” fuori quello che ha dentro; • Non proiettivi: che forniscono stimoli non ambigui. 3. I disturbi specifici di apprendimento (DSA) – la dislessia La legge dell’8 ottobre 2010 n. 170 riconosce la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia come disturbi specifici di apprendimento. Il tipo di intervento previsto dalla legge si focalizza sulla didattica individualizzata e personalizzata, sugli strumenti compensativi, sulle misure dispensative e su adeguate forme di verifica e valutazione, derogando l’alunno da alcune prestazioni richieste dalla scuola. Secondo le ricerche attualmente più accreditate (APA, 19943; OMS, 1992 4; Lyon et al., 2003 e in Italia nella Consensus Conference, 2007) i DSA sono di origine neurobiologica e hanno una matrice evolutiva, mostrandosi come un’atipia dello sviluppo, modificabile attraverso interventi mirati. Posto nelle condizioni di attenuare e/o compensare il disturbo, il discente può raggiungere gli obiettivi di apprendimento previsti, sviluppando stili di studio personali. La caratteristica fondamentale dei DSA è la specificità: si tratta infatti di disturbi che interessano uno specifico dominio di abilità in modo significativo ma circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. I disturbi specifici si distinguono dai disturbi non specifici di apprendimento, dicitura che si riferisce a una difficoltà di apprendimento secondaria ad altri disturbi o deficit di tipo cognitivo e/o psicopatologico e/o neurologico e/o sensoriale. Da un punto di vista clinico, la dislessia si manifesta attraverso una minore correttezza e rapidità di lettura a voce alta, rispetto a quanto atteso per età anagrafica, classe frequentata e istruzione ricevuta, che rende la lettura nel complesso 3 APA - American Psychiatric Association 1994: http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/summary?doi=10.1.1.289.3142 4 Diagnostic classification of psychiatric disorders and familial-genetic research Wolfgang Maier,MD http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.289.3142&rep=rep1&type=pdf OMS, 1992 Convegno di Ginevra F81 Francesca Dondini 13 scarsamente fluente. Risultano più o meno deficitarie la lettura di lettere, parole, nonparole e brani, a seconda del profilo del disturbo e all’età del soggetto. In generale, l’aspetto evolutivo della dislessia può farlo somigliare a un semplice rallentamento del regolare processo di sviluppo. Tale considerazione è utile per l’individuazione di eventuali segnali anticipatori, fin dalla scuola dell’infanzia. Le disfunzioni neurobiologiche alla base dei disturbi dell’apprendimento interferiscono con il normale processo di acquisizione della lettura. I fattori ambientali – rappresentati dalla scuola, dall’ambiente familiare e dal contesto sociale – si intrecciano con quelli neurobiologici e contribuiscono a determinare il fenotipo del disturbo e un maggiore o minore disadattamento del soggetto. Una maggiore evidenza risulta infatti nella scuola primaria e secondaria di primo grado. L’espressività clinica è inoltre in funzione della complessità ortografica della lingua scritta. Questa caratteristica, che differenzia le lingue opache come l’inglese, che hanno una relazione complessa e poco prevedibile tra grafemi e fonemi, da quelle trasparenti come l’italiano, che invece ne hanno una relazione prevalentemente diretta e biunivoca, condiziona i processi utilizzati per leggere, gli strumenti di valutazione clinica e i percorsi riabilitativi, non consentendo un diretto trasferimento dei dati scientifici a livello internazionale. Dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia vanno ad intaccate abilità differenti e possono coesistere in una stessa persona, presentandosi in modo associato, definito come comorbidità o comorbilità. In questo caso il disturbo risultante è superiore alla somma delle singole difficoltà, poiché ognuno dei disturbi implicati nella comorbidità influenza negativamente lo sviluppo delle abilità complessive. L’analisi delle evidenze disponibili effettuata durante la Consensus Conference del 2007, ha permesso di isolare due profili di comorbilità: 1. Tra DSA e disturbi da deficit dell’attenzione e iperattività (Mayes, 2000); 2. Tra dislessia e disturbi del linguaggio (Catts, 2005). I DSA hanno un importante impatto sia a livello individuale, in quanto orientato verso un abbassamento del livello curriculare conseguito e/o prematuro abbandono scolastico, sia a livello sociale volgendo verso una riduzione della realizzazione delle potenzialità sociali e lavorative dell’individuo. La velocità di lettura viene misurata come il tempo di lettura di brani e liste di parole/non parole, mentre la correttezza come numero di errori in lettura. Maggiori dettagli sono riportati al capitolo dedicato alla “Diagnosi dei Disturbi”. La comprensione del testo scritto non concorre alla formulazione della diagnosi di dislessia, anche se fornisce indicazioni utili sull’efficienza del lettore e può dare indicazioni rispetto all’interferenza funzionale e alla gravità del quadro clinico. In letteratura internazionale, i soggetti che presentano problemi specifici nella comprensione del testo, vengono definiti “cattivi lettori”. Il loro profilo linguistico è diverso da quello del dislessico in quanto posseggono buone abilità fonologiche ma basse competenze linguistiche sul versante sintattico e semantico. 3.1 Fattori di rischio I fattori di rischio per i quali è stata riscontrata una correlazione positiva sono: Francesca Dondini 14 - - L’esposizione a due anestesie generali entro il quarto anno di vita; La presenza di disturbi del linguaggio (sono da considerare a rischio i bambini che all’età di 5 anni cadono sotto il 10° centile a più di una prova di sviluppo del linguaggio e che mantengono questo livello di prestazione fino agli 8 anni); Il sesso maschile che è maggiormente soggetto alla presenza del disturbo (circa 2,5 volte in più rispetto alle femmine); La familiarità con genitori dislessici. Altre correlazioni sono segnalate ma presentano pochi studi a sostegno, come una storia genitoriale di alcolismo o disturbo da uso di sostanze, il basso peso alla nascita e la prematurità. Quando si parla di popolazione a rischio si fa riferimento a due diversi scenari: - un sottogruppo di popolazione destinato a maggiore prevalenza di disturbo, in quanto portatore sia di fattori di rischio che di fattori predittivi, anche se non secondo un rapporto causale, in quanto la loro rimozione non modifica il livello di rischio. Un esempio è la consapevolezza fonologica, la cui associazione con buone capacità di lettura è stata ampiamente indagata e dimostrata in numerosi studi scientifici, ma per la quale la relazione causale con lo sviluppo di dislessia, rimane ancora un’ipotesi non dimostrata, seppur probabile. - un sottogruppo di popolazione che ha sviluppato una condizione pre-clinica (quindi caratteristiche cliniche già in atto ma sotto soglia) che non soddisfa tutti i criteri per una diagnosi franca e quindi non sufficiente a fare una dichiarazione di DSA. L’obiettivo nell’individuazione di questo sottogruppo è quello di effettuare interventi precoci, finalizzati a modificare la prognosi di disturbo. 3.2 Prerequisiti per l’acquisizione delle abilità di lettura e scrittura Consapevolezza fonologica 5 La consapevolezza fonologica è un’abilità metalinguistica, in quanto implica la riflessione sulle caratteristiche del linguaggio, ed è generalmente considerata molto importante per il processo di apprendimento della lingua scritta, soprattutto all'inizio del processo di alfabetizzazione (Scalisi, Pelagaggi & Fanini, 2003): per poter acquisire la corrispondenza tra lettere (grafemi) e suoni (fonemi) è importante che il bambino “pensi” alle parole come composte da tanti suoni, che possono essere scomposti e ricomposti, e che sia in grado di riconoscere le somiglianze e le differenze fonologiche tra le parole. La “non consapevolezza” della struttura interna della parola può contribuire alle difficoltà del bambino nell’acquisire la corrispondenza suono-lettera e dunque alla lentezza nel processo di apprendimento del meccanismo di decodifica del testo scritto. 3.3.1. La consapevolezza fonologica si caratterizza, inoltre, per essere un’abilità multidimensionale, cui afferiscono compiti ed abilità di diversa difficoltà: alcuni Autori come De Cagno, Mollo, Paloscia, Rossiello, Vagnoni & Ventimiglia (2003) e Medeghini (2005) distinguono tra: 5 (PACSI – infantiae.org - http://www.pac-si.org/pacsi_cons_fono.asp) Francesca Dondini 15 - il livello "globale" (soprasegmentale), che riguarda la produzione e il riconoscimento di rime, la segmentazione e la fusione di sillabe; il livello "analitico" (segmentale) relativo all’elaborazione di fonemi, che si suddivide ulteriormente tra consapevolezza fonologica “esplicita”, nella quale vi è un controllo intenzionale sulle attività di riflessione svolte, e “implicita”, presente in modo casuale quando i bambini fanno osservazioni sulla natura fonologica del linguaggio. Per meglio comprendere la "multidimensionalità" della consapevolezza fonologica, si può fare riferimento ai numerosi compiti ideati per poter valutare tale capacità. In una rassegna del 1988, Yopp ne individua 11: prove di riconoscimento di rime, compiti di ricostruzione della parola intera a partire dai fonemi componenti o di segmentazione della parola in fonemi, prove in cui è chiesto al bambino di contare i suoni che compongono una parola, compiti in cui il bambino deve dire quale parola si ottiene eliminando un fonema da una parola stimolo, compiti di individuazione del suono iniziale o finale di parole, prove in cui si chiede al bambino se due parole contengono o meno lo stesso suono. Tali compiti, così come altri ideati sempre allo scopo di operazionalizzare l'abilità di consapevolezza fonologica, hanno in comune la richiesta di compiere operazioni sulla forma fonetica della parola (Orsolini, 1999). La scelta delle prove per la valutazione della consapevolezza fonologica deve tener conto del fatto che lo sviluppo di tale abilità non è uniforme ma riflette il livello di complessità delle diverse sotto-abilità afferenti a tale area cognitiva: la sensibilità alle rime, ad esempio, si sviluppa precocemente e spontaneamente già a partire dai tre anni di età (Medeghini, 2005), ed è considerata da alcuni autori un’abilità di tipo “globale” che si configura come un fattore prognostico importante rispetto alla successiva abilità nell’elaborazione della parola a livello fonemico (De Cagno, Mollo, Paloscia, Rossiello, Vagnoni & Ventimiglia, 2003); la capacità di elaborare la parola a livello dei fonemi, invece, è un’abilità fonologica di tipo “analitico” che, come evidenziato da alcuni studi (ad es. Goswami & Bryant, 1990; de Jong & van der Leij, 2003), non si sviluppa spontaneamente prima dell’apprendimento della lettura e della scrittura. Una ricerca (Martini, Bello & Pecini, 2003) condotta su bambini italiani dai 4 ai 6 anni frequentanti la scuola dell’infanzia, sembra confermare l'eterogeneità dello sviluppo delle diverse sotto-abilità di consapevolezza fonologica. I risultati indicano che nei bambini prescolari sono presenti abilità di consapevolezza fonologica "globale", quali la produzione di rime, la segmentazione e fusione sillabica, mentre le prestazioni nei compiti che richiedono la segmentazione o la fusione di fonemi (consapevolezza fonologica "analitica") sono basse. Come indicato da altre ricerche (Goswami & Bryant, 1990; de Jong & van der Leij, 2003), la capacità di operare a livello dei fonemi sembra essere potenziata proprio dalla ripetuta esperienza di scomposizione e ricomposizione delle parole, imposta dai compiti di lettura e scrittura con l’inizio della scolarizzazione. Consapevolezza fonologica e lingua scritta, dunque, si rafforzano reciprocamente, in un rapporto di mutua influenza. Entrando più dettagliatamente nel rapporto tra consapevolezza fonologica e apprendimento della lingua scritta, una delle teorie più diffuse sulla dislessia Francesca Dondini 16 evolutiva, l’ipotesi del nucleo fonologico (Phonological - core deficit, Stanovich, 1988), sottolinea che l’insuccesso nell’apprendimento della corrispondenza tra grafemi e fonemi, necessario per imparare a leggere, è imputato al mancato sviluppo della consapevolezza fonologica. I risultati di numerose ricerche (cit. in Caravolas, Volin, & Hulme, 2005) confermano l'importanza della consapevolezza fonologica per l'apprendimento delle abilità di letto-scrittura nei primi due anni di scolarizzazione. Alcuni Autori (ad es. Landerl & Wimmer, 2000) tuttavia, limitano temporalmente questa relazione alla fine del secondo anno di scuola primaria, mentre altri Autori (ad es. Caravolas, Volin, & Hulme, 2005; de Jong & van der Leij, 2003) sottolineano che la consapevolezza fonologica ha un ruolo importante anche negli anni successivi, riscontrando difficoltà in questa abilità nei bambini con problemi di lettura anche in fasi più avanzate di apprendimento. In generale, la letteratura sull'argomento afferma che anche nelle lingue regolari 6 la Consapevolezza Fonologica è una delle abilità che favorisce l'apprendimento della lingua scritta e che una difficoltà in tale area cognitiva può, almeno nelle prime fasi, costituire un ostacolo nel percorso dei bambini verso l'apprendimento della lettura e della scrittura. È importante, dunque, valutare tale capacità con compiti adeguati per livello di difficoltà all'età dei bambini, nonché promuovere interventi didattici a favore di un suo potenziamento, sia con esercizi individuali sia con attività che coinvolgano l'intero gruppo classe. Requisiti visivi per l’acquisizione delle abilità di lettura e scrittura 7 Definire un limite preciso vincolante dell’acuità visiva che permetta di fare diagnosi differenziali certe tra dislessia e disturbo della vista in rapporto alla velocità di lettura e all’accuratezza è molto complicato, in quanto esistono enormi variazioni individuali tra i lettori ipovedenti 8. In letteratura non esistono studi che raffrontano con lo stesso test diagnostico la velocità di lettura e l’accuratezza di soggetti con acuità visive differenti da una parte e soggetti dislessici dall’altra. Ciò che è certo è che la diminuzione dell’acuità visiva si accompagna ad una riduzione della velocità di lettura (Chung 2001 9). 3.3.2. L’acutezza visiva non è inoltre il parametro clinico che determina la velocità nella lettura ma risulta più significativa la dimensione critica di stampa o critical print size e cioè il più piccolo carattere che consente di mantenere la velocità massima di lettura (Chung, 2001). Un normovedente mantiene una velocità massima di lettura fino a caratteri che sottendono a grandezze di circa 0,2-0,1 logMAR 10, diminuendo queste grandezze, la velocità di lettura decresce rapidamente. 6 trasparenti Panel di aggiornamento e revisione della consensus conference dsa (2007) 8 3/4 di decimi in giù 9 Spatial-frequency and contrast properties of crowding, 2001 Vision Research Susana T.L. Chung a,*, Dennis M. Levi b, Gordon E. Legge c 10 Unità di misura utilizzata in oculistica. Comprende file di lettere a dimensione differente utilizzato da oculisti e scienziati della visione per valutare l'acuità visiva. Quando si utilizza il grafico LogMAR, l'acuità visiva è segnato con riferimento al arithm registro del M MINIMO A ngle di Risoluzione, come il nome del grafico suggerisce. Un osservatore che può risolvere i dettagli fino a 1 minuto di punteggi angolo visivo LogMAR 0, dato che il logaritmo in base 10 di 1 è 0; un osservatore che può risolvere i dettagli piccoli come 2 minuti di angolo visuale (cioè, ridotta acuità) realizza LogMAR 0.3, dal momento che il logaritmo in base 10 di 2 è 0,3 7 Francesca Dondini 17 Nelle prove di lettura esistono molteplici variabili che devono essere prese in considerazione, come ad esempio la grandezza del carattere o la distanza tra l’occhio ed il foglio. In generale, per discriminare i problemi visivi dalle diagnosi per dislessia, è indicato come limite i 4-5/10 nell’occhio migliore in quanto questo visus permette una normale acquisizione del processo di lettura e semplicemente avvicinando il testo, si può colmare il divario di acuità visiva 11. Gli esami visivi utili per integrare i test per la dislessia riguardano anomalie che possono disturbare la lettura da vicino oppure aggravare le performance di lettura e sono: - Eteroforia o eterotropia; - Accomodazione; - Vergenze; - Ampiezze e riserve fusionali; - Rapporto accomodazione – disaccomodazione – vergenze; - Motilità oculare estrinseca; - Acuità stereoscopica; - Disparità di fissazione e della foria associata (facoltativo). Risulta particolarmente importante nella rifrazione, l’esclusione dell’ipermetropia media o elevata 12. E’ necessario specificare che non è presente una differenza significativa della rifrazione tra soggetti dislessici e di controllo e non esiste una correlazione tra il difetto rifrattivo e la performance di lettura intesa come capacità di decodifica. Le insufficienze di accomodazione e di convergenza possono interferire con la lettura ma non con il processo di decodifica. Disturbi della lettura legati a disordini oculari (astenopia visiva, ipermetropia, ipoconvergenza, ipoaccomodazione) possono simulare i sintomi della dislessia e infatti alcuni disturbi risultano presenti sia nell’astenopia visiva che nella dislessia, quali il disturbo di convergenza (Stein), divergenza (Kapoula) e accomodazione (Evans). Agli esami sopra elencati, vanno integrati quelli visuo-percettivo-attentivo-spaziali come l’acuità visiva, la sensibilità al contrasto13, la dominanza oculare comparata con quella manuale, uditiva ed eventualmente quella degli arti inferiori, ecc… E’ da sottolineare che svariati test risultano non inseriti all’interno delle direttive presenti nella Consensus Conference DSA 2007, in quanto richiedono attrezzature non presenti in tutti i centri di ricerca (es. motion onset-VEP, Eye-Gaze Tracking). In ultimo vengono inseriti i test dell’oculomotricità, quali le saccadi e DEM (Developmental Eye Movement Test 14), i movimenti lenti dell’inseguimento e la fissazione. Esistono ancora controversie sull’origine delle anomalie oculomotorie riscontrate nei dislessici. In particolare, il pattern saccadico 15 osservato durante la lettura è 11 Chung “the effect of the dioptric blur on reading performance – Vision research 2007 Roggenkämper (1974): l’ipermetropizzazione di normolettori provoca un rallentamento nella lettura causato dall’affaticamento indotto 13 Facoltativa in quanto i numerosi studi condotti hanno riportato risultati inconcludenti –Schulte, Körne 14 Non particolarmente adatto per soggetti dislessici in quanto il livello di attenzione può influenzare l’accuratezza nell’esecuzione e il dislessico spesso presenta deficit attentivi (Coulter) 15 La forma disegnata dai movimenti oculari 12 Francesca Dondini 18 verosimilmente la conseguenza e non la causa della dislessia. Una conferma del fatto che il deficit non è saccadico, è data dal fatto che il pattern saccadico migliora al migliorare delle abilità di lettura. In letteratura sono presenti inoltre evidenze che non sono richiesti movimenti oculari normali per lo sviluppo della lettura. 16 Un dato che sembra essere riscontrabile nei dislessici è l’alterazione della stabilità di fissazione (Leigh). 3.3 Osservazione preliminare delle prestazioni atipiche 17 Circa il 20% degli alunni manifestano difficoltà nelle abilità di base coinvolte dai Disturbi Specifici dell’Apprendimento, di questi tuttavia solo il 3-4% risulteranno realmente DSA (quindi circa uno 0,8% della popolazione). La stima della presenza di bambini in età scolare con un disturbo di apprendimento in Italia è di circa il 4%, ne consegue che un’altissima quantità di bambini non risultano segnalati ed identificati (Ghidoni e Angelini, 2008). Un ruolo di grande rilievo è rappresentato dagli aspetti emotivi, motivazionali e relazionali. La formazione ha l’obiettivo di creare ambienti di apprendimento capaci di sviluppare autostima. La valutazione deve concretizzarsi in una prassi che discrimini fra ciò che potrebbe essere espressione diretta del disturbo e ciò che esprime l’impegno dell’allievo e le conoscenze acquisite. 3.3.1. Scuola dell’infanzia La scuola dell’infanzia svolge un ruolo importante sia a livello preventivo, sia nella promozione e nell’avvio di un corretto sviluppo del bambino. Occorre porre attenzione a non precorrere le tappe dell’insegnamento della letto-scrittura, anche sulla scia di dinamiche innestate in ambiente familiare o indotte dall’uso di strumenti multimediali, escludendo impostazioni scolastiche che tendono a precocizzare gli apprendimenti formali. Già in questa fascia di età, il bambino che confonde i suoni, li sostituisce o li omette, non completa le frasi, utilizza parole non adeguate al contesto e ha un’espressione linguistica inadeguata, va supportato con attività di recupero. Il bambino goffo, che possiede poca manualità fine, con una dominanza laterale non adeguatamente acquisita, che fatica a distinguere la destra dalla sinistra, con difficoltà di orientamento, che mostra difficoltà nei compiti di memoria a breve termine, deve essere identificato e supportato in modo adeguato. Inoltre potranno essere monitorate caratteristiche che si accompagnano ad attività specifiche come quelle di pregrafismo, dove è possibile notare lentezza nella scrittura, pressione debole o eccessiva esercitata sul foglio, discontinuità nel gesto, ritoccatura del segno già tracciato, direzione del gesto grafico, occupazione anomala dello spazio nel foglio. Per volgere verso un’ottica di inclusione si dovranno privilegiare metodologie operative più che trasmissive, quindi dare importanza all’attività psicomotoria, stimolare l’espressione attraverso tutti i linguaggi e favorire una vita di relazione caratterizzata da ritualità e convivialità serena. La narrazione, l’invenzione di storie, il loro completamento, la loro ricostruzione, senza dimenticare la memorizzazione di 16 Normal reading despite limited eye movements – Hodgetts1998 17 (Allegati al decreto ministeriale del 12 luglio 2011 – “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento”) Francesca Dondini 19 filastrocche, poesie, nonché i giochi di manipolazione dei suoni all’interno delle parole. Attraverso gli esercizi di grafica, si lavora sulla motricità fine, sulla funzionalità della mano e sull’organizzazione mentale, ovvero sul nesso tra l’assunzione immaginativa di un dato e il suo tradursi in azione. Il bambino infatti non “copia” le forme ma le elabora mentalmente. Nel disegnare una forma sul foglio, egli fa riferimento ad un tracciato immaginativo interno, frutto di una rappresentazione mentale: la forma grafica, che poi diverrà segno grafico della scrittura, viene costruita mediante una pluralità e una complessità di atti che portano alla raffigurazione di una immagine mentale. Il linguaggio è il migliore predittore delle difficoltà di lettura, per questo è bene proporre ai bambini esercizi linguistici come le “operazioni meta-fonologiche”, sotto forma di giochi. A livello sillabico possiamo avere esercizi che chiedono ad esempio di scandire la parola cane in ca-ne. 3.3.2. Scuola primaria All’inizio della scuola primaria comincia l’insegnamento vero e proprio della lettoscrittura. Nel metodo di insegnamento-apprendimento della stessa è importante sottolineare che la letteratura scientifica più accreditata sconsiglia il metodo globale, essendo dimostrato che ritarda l’acquisizione di una adeguata fluenza e correttezza di lettura. Per andare incontro al bisogno educativo degli alunni e soprattutto quelli con DSA, si potrà utilizzare il metodo fono-sillabico, oppure quello puramente sillabico. Si tratta di approcci integrati che possono essere utilizzati in fasi diverse. Se l’alunno mostra difficoltà nella consapevolezza fonologica delle lettere, sarà più utile iniziare con i fonemi continui, cioè quei fonemi che per la loro durata e le loro caratteristiche acustiche risultano più facilmente individuabili come: le consonanti nasali (m, n); le consonanti liquide (l, r); i suoni labiali (b, p); i suoni dentali (d, t). In ogni caso, qualsiasi metodo si adotti, sarebbe auspicabile iniziare con lo stampato maiuscolo, la forma di scrittura percettivamente più semplice, in quanto articolata su una sola banda spaziale delimitata da due righe (scrittura bilineare), tutte le lettere hanno infatti la medesima altezza, iniziando dal rigo superiore e terminando in quello inferiore. Lo stampato minuscolo ed il corsivo invece sono forme di scrittura articolate su tre bande spaziali, in cui le linee di demarcazione sono quattro (scrittura quadrilineare). Si dovrebbe quindi evitare di presentare al bambino una medesima lettera espressa graficamente in più caratteri (stampato maiuscolo/minuscolo/corsivo) ma soffermarsi solo su una di queste modalità fino a che l’alunno non abbia acquisito una sicura e stabile rappresentazione mentale della forma di quella lettera. Per individuare un alunno con un potenziale Disturbo Specifico di Apprendimento, può essere sufficiente l‘osservazione delle prestazioni negli ambiti di apprendimento interessati nella lettura, scrittura e calcolo. Ad esempio, per quanto concerne la lettura è possibile verificare il permanere di una lettura sillabica ben oltre la metà della prima classe primaria, una tendenza a leggere la stessa parola in modi diversi nel medesimo brano o la perdita frequente del segno o della riga. Eventuali evidenze positive Francesca Dondini 20 dovranno essere oggetto di attività di recupero e potenziamento. La diagnosi di DSA può essere formulata con certezza alla fine della seconda classe della scuola primaria, quando il bambino ha già superato il periodo di insegnamento della letto-scrittura, in quanto eventuali verifiche fatte prima non garantiscono un’attendibilità dei risultati. 3.4 Diagnosi dei Disturbi Specifici di Apprendimento 18 I manuali diagnostici internazionali e in Italia il Documento della Consensus Conference del 2007, si sono posti l’obiettivo di fissare la soglia oltre la quale la discrepanza tra prestazione standard e non, viene definita “disturbo”. Per descrivere questa discrepanza, oltre al termine disturbo, utilizzato nei sistemi di classificazione dei Disturbi Mentali DSM 19 e ICD 20, vengono impiegati anche i termini “disabilità” e “differenza”. Ognuno di questi corrisponde ad una concettualizzazione diversa in base all’interpretazione della sua natura. Le tre concettualizzazioni non sono in antitesi tra loro ma esprimono aspetti diversi di una stessa realtà e differiscono nei termini che la designano, per offrire uno stimolo per un’azione diversa e specifica. Dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia possono essere definite “caratteristiche” dell’individuo fondate su una base neurobiologica. L’uso di questo termine può favorire nell’individuo e in chi ci entra in contatto, una rappresentazione non stigmatizzante del funzionamento delle persone con difficoltà di apprendimento, indirizzando inoltre verso un approccio pedagogico che valorizzi le differenze individuali. Il termine “disabilità” ha uno scopo etico di protezione sociale; è utile quando viene utilizzato per rivendicare un diritto di pari opportunità nell’istruzione. In presenza di prestazioni significativamente al di sotto dei valori normativi in prove di lettura e scrittura, devono essere attivati interventi di recupero sia da parte della scuola che da parte della famiglia. In presenza di ulteriori indicatori di rischio quali la famigliarità o prestazioni fortemente deficitarie in prove sulle abilità metafonologiche, è possibile attivare interventi riabilitativi. In considerazione dei recenti sviluppi della ricerca internazionale, che prevede la risposta al trattamento (RTI) come possibile criterio diagnostico per i DSA, anche la permanenza di difficoltà significative dopo un periodo di intervento, può essere considerato un criterio aggiuntivo che può portare alla formulazione di una diagnosi anticipata rispetto ai tempi standard. Attualmente non risultano disponibili test di diagnosi genetica, ma visti i dati di possibile correlazione, è consigliato agli addetti ai lavori di cercare di attivare studi collaborativi nazionali e internazionali di campionamento, che potranno essere utili per individuare le basi genetiche della dislessia e arrivare ad un test di diagnosi di suscettibilità genetica oltre che a una maggiore conoscenza delle basi biologiche corrispondenti. Questo aspetto è trattato anche all’interno del DSM-5. 18 Allegati al decreto ministeriale del 12 luglio 2011 – “dislessia ed epilessia” – Salvatore Arcieri, Nicoletta Zanotta, Claudio Zucca – U.O. di Neurofisiopatologia I.R.C.C.S. E.Medea Bosisio Parini Lecco; “Raccomandazioni cliniche sui DSA”1 febbraio 2011 – documento d’intesa elaborato da parte del Panel della Consensus Conference DSA 2007 19 DSM IV (315 disturbi dell’apprendimento) 20 ICD 10 (F81 disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastice) Francesca Dondini 21 E’ necessario che nell’inquadramento del disturbo dell’apprendimento, sia escluso un deficit organico sensoriale, quindi per tutti i soggetti nei quali è stato individuato un disturbo nell’apprendimento della lettura e/o dell’ortografia, è necessario eseguire una valutazione delle funzioni sensoriali coinvolte. Questi esami dovranno essere effettuati nel momento in cui viene eseguita la diagnosi di dislessia per evitare di identificare come DSA eventuali soggetti affetti da altri deficit. Il processo clinico 21 di formulazione diagnostica 22 riconosciuto dalla comunità scientifica è composto dalle prove di seguito riportate. Appendice “A.1” Protocollo di valutazione per alunni con sospetto DSA Classe III, IV e V classe scuola primaria Scuola secondaria di I grado Scuola secondaria di II grado Colloquio anamnestico orientato alla individuazione di fattori di rischio, di segni e sintomi di DSA Prove-MT avanzate (2010) IRCCS Santa Lucia (2005) TintoriStella (2007) Colloquio anamnestico Colloquio anamnestico orientato alla individuazione di fattori di rischio, di segni e sintomi di DSA Colloquio anamnestico orientato alla individuazione di fattori di rischio, di segni e sintomi di DSA Lettura Prove-MT (1998) DDE-2 (2007) Prove-MT (2002) DDE-2 (2007) Comprensione Brano-MT (1998) Brano-MT (2002) Brano MT-avanzate (2010) DDE-2 (2007) DDO (2008) Batteria per la valutazione della scrittura e competenza ortografica (2000) Scrittura Ortografia DDE-2 (2007) DDO (2008) Batteria per la valutazione della scrittura e competenza ortografica (2000) Scrittura Grafia Batteria per la valutazione della scrittura e competenza ortografica (2000) BHK (2011) DGM-P (2012) Calcolo AC-MT 6-11 (2002) BDE (2004) SPM (1998) AC-MT 11-14 (2003) BDE (2004) SPM (1998) AC-MT avanzate (2010) Competenze cognitive WISC-III, 2006 WISC-IV, 2012 Leiter R, 2002 WISC-III, 2006 WISC-IV, 2012 Leiter R, 2002 WISC-III, 2006 WISC-IV, 2012 WAIS-R (1997) Leiter R, 2002 21 “Raccomandazioni cliniche sui DSA” – documento d’intesa elaborato da parte del Panel di aggiornamento e revisione della Consensus Conference DSA 2007 – P.A.R.C.C.Bologna 1 febbraio 2011 22 processo clinico che ha lo scopo di prospettare un percorso fra l’enunciazione dei problemi e/o la loro classificazione diagnostica Francesca Dondini 22 Appendice “A.2” Modello di certificazione per Disturbi specifici dell’apprendimento (DASp) ai fini dell’applicazione delle misure previste dalla Legge 8 ottobre 2010 n.170 1)DATI ANAGRAFICI 2)RELAZIONE CLINICA STRUTTURATA (I parte) a) Data di redazione b) Motivo della richiesta della valutazione c) Valutazione intellettiva cognitiva e neuropsicologica d) Esame neurologico e valutazione psicopatologica e) Valutazione abilità di lettura e scrittura ed eventualmente delle funzioni linguistiche orali f) Valutazione delle abilità logico-matematiche ed eventualmente delle funzioni cognitive non verbali g) Altro: eventuali altri approfondimenti h) Conclusioni diagnostiche (con indicazione dei codici nosografici di riferimento secondo ICD-10-2010 i) Indicazioni di intervento (strumenti compensativi e misure dispensative RELAZIONE CLINICA STRUTTURATA (II parte dati da non divulgare alla scuola): Strumenti usati per la diagnosi Prescrizione di eventuale controllo clinico Cenni anamnestici (con particolare riferimento ai dati anamnestici di rilievo nell’ambito dei DSA e ai possibili fattori di rischio), precedenti diagnosi cliniche, precedenti trattamenti effettuati, familiarità per disturbi neuropsichiatrici e neuropsicologici. Griglia di riassunto dei dati rilevati (Appendice A.3). Francesca Dondini 23 Appendice “A.3” Griglia riassuntiva dei dati rilevati alla valutazione diagnostica- WISC-III e IV (da allegare alla relazione clinica) WISC-III Subtests princip Cifrario QIT Informazioni Storie Figurate QIP Somiglianze Disegno con cubi QIV Ragion. Aritmet. Ric. di Oggetti Comp. verbale-CV Vocabolario Subtests supplem O. Percettiva-OP Comprensione Ricerca di Simboli Libertà Distraib-LD Compl. di Figure Memoria di Cifre Vel. Elaboraz.-VE Labirinti WISC-IV Lettura brano: velocità Subtests princip. Riordinamento Ragion. Aritmet. Disegno con cubi Ragionam, matrici Ragion. Parole Somiglianze Comprensione QIT Memoria di cifre Ricerca simboli Elabor. Visiva-Gv Concetti immagini Subtests supplem. Intell. Cristal-Gc Cifrario Compl. Figure Intell. Fluida-Gf Vocabolario Cancellazione Memoria a BT-Gsm Informazione Velocità di elab.-Gs Dettato di brano Dettato di frasi Dettato di parole Lettura brano:accuratezza Lettura parole: accuratezza Lettura non parole: accuratezza Dettato di non parole Narrazione Descrizione Lettura parole: velocità Lettura non parole: velocità MT Operazioni SC Tempo TE Accuratezza Conoscenza N. BDE QIC QIN QIT Francesca Dondini 24 Appendice “A.4” Pacchetto DayService PACCHETTI PRESTAZIONI Pacchetto A casi di minore complessità 1 visita specialistica con eventuale attivazione del PACC: 5 valutazioni testologiche 1 colloquio psicologico clinico 1 consulto definito complesso Pacchetto B per casi complessi 1 visita specialistica con eventuale attivazione del PACC: 8 valutazioni testologiche 2 colloqui psicologici clinici 1 anamnesi e valutazione definita breve - esame neuro psicologico clinico neuro comportamentale 1 consulto definito complesso Pacchetto C controlli 1 visita specialistica 4 valutazioni testologiche 1 consulto definito complesso Tab.2 Definizione delle procedure diagnostiche, all. A - riferimenti costituiti dalle raccomandazione riportate nel PARCC (2011), dalla Consensus Conference (2011) e dalle Linee guida sulla dislessia (SINPIA, 2006) Per la definizione del funzionamento intellettivo generale è consigliabile utilizzare dei test multicomponenziali, anche se è possibile affidarsi a quozienti monocomponenziali come la scala Leiter o le Matrici Progressive di Raven. Il quoziente totale non deve essere inferiore al valore 85. Nel caso questo avvenga, è necessario prevedere l’applicazione del test WISC (almeno 3 subtest della scala verbale) il cui risultato non deve essere inferiore al valore 85 o a 7 nella media dei punteggi ponderati, per soddisfare i criteri di inclusione. Per i bambini di età inferiore a otto anni, per i quali non è scontata l’acquisizione di abilità cognitive generali sufficienti a sostenere gli apprendimenti formali, è necessario verificare il funzionamento intellettivo verbale e di performance, per escludere quadri di immaturità globale incompatibili con una diagnosi di DSA. In questi casi sarà possibile procedere alla diagnosi solo se il QI misurato supera il valore 70. La diagnosi funzionale identificata alla conclusione delle prove, deve includere una descrizione (in base a test standardizzati) del funzionamento intellettivo verbale e non verbale, utile per definire il trattamento da intraprendere ed eventuale facilitazioni da mettere in atto. In considerazione dell’elevata comorbilità tra i diversi tipi di DSA, è sempre opportuno verificare la possibile presenza di disturbi di apprendimento associati a quello per il quale è avvenuta la segnalazione, nonché disturbi del linguaggio e dell’attenzione. Inoltre, in presenza di dislessia, andrebbero indagate la memoria verbale (soprattutto fonologica), l’attenzione (soprattutto visiva), il linguaggio (a tutti i livelli di organizzazione), la denominazione rapida e le abilità metafonologiche (accuratezza nelle prime classi e rapidità successivamente). La classificazione della patologia in sottotipi risulta utile ai fini riabilitativi, didattici e prognostici. Per quanto riguarda la dislessia vengono quindi presi in considerazione sottotipizzazioni basate sulle diverse procedure di processamento (modello a una o due vie a seconda della maggiore difficoltà nella lettura di parole o non parole), basate sui parametri di lettura Francesca Dondini 25 (correttezza, velocità, tipologie di errore) e in ultimo, sui deficit di specifiche sottofunzioni (fonologia, velocità di processamento, analisi visiva, attenzione, ecc…). Nella prima valutazione del livello intellettivo viene formulata una diagnosi provvisoria o di orientamento di disturbo specifico evolutivo dell’apprendimento. Nella seconda fase vengono disposte quelle indagini cliniche necessarie per la conferma diagnostica mediante l’esclusione della presenza di patologie o anomalie sensoriali, neurologiche, cognitive e psicopatologiche. L’indagine strumentale o l’osservazione clinica si muovono nell’ottica di completare il quadro diagnostico nelle sue diverse componenti sia per le funzioni deficitarie che per le funzioni integre. La valutazione delle componenti dell’apprendimento si approfondisce e si amplia ad altre abilità fondamentali o complementari (linguistiche, percettive, prassiche, visuomotorie, attentive, mnestiche), ai fattori ambientali e alle condizioni emotive e relazionali per una presa in carico globale nel trattamento riabilitativo. Particolare cautela nella fase diagnostica è da porre sul rischio di incorrere in “falsi positivi” e “falsi negativi”. Esistono difformità su come operazionalizzare il criterio della discrepanza. Inoltre anche la quasi costante associazione ad altri disturbi, determina la marcata eterogeneità dei profili funzionali e di espressività con cui i DSA si manifestano, che comporta significative difficoltà nelle indagini e nella definizione dei criteri diagnostici del disturbo. L’età nella quale sono previsti gli accertamenti sui disturbi è caratterizzata da un’elevata variabilità inter-individuale nei tempi di acquisizione delle abilità indagate, che non consente un’applicazione dei valori normativi di riferimento che abbia le stesse caratteristiche di attendibilità riscontrate in età superiori. L’insorgenza delle patologie è un processo che si articola in un continuum tra la condizione di assenza e di presenza accertata, aggravata da problematiche quali: - la variabilità degli standard diagnostici per la definizione di disturbo accertato; - la “dinamicità” del bersaglio (mooving target – Speece, 2005) in quanto i bambini sono in fase di sviluppo delle abilità che vengono indagate dalle procedure di screening, che raramente tengono conto di tale aspetto. E’ inoltre necessario ricordare che nella documentazione prodotta dalla Consensus Conference viene definito che la presenza dell’anamnesi familiare di casi di epilessia o convulsioni febbrili, deve suggerire l’opportunità di studiare il dato EEG possibilmente in veglia e in sonno. Nei casi in cui il dato EEG fosse alterato in modo focalizzato, è opportuno prevedere accertamenti neuroradiologici di approfondimento. Per i soggetti che mostrano anomalie parossistiche sul tracciato EEG in veglia o sonno, non vi sono in letteratura evidenze che confermino il sicuro ruolo patogenetico delle alterazioni e quindi la necessità di trattamenti farmacologici. Il documento clinico che restituisce un percorso di valutazione dovrebbe contenere, come evidenziato nel rapporto inserito precedentemente: a) Informazioni identificative del valutatore o dell’istituzione a cui afferisce il team valutante oltre che le qualifiche dei professionisti coinvolti; b) Motivo dell’invio che determina ragioni e obiettivi della valutazione; c) Anamnesi e background con informazioni quali: 1. storia dello sviluppo; Francesca Dondini 26 d) e) f) g) h) i) 2. storia scolastica, comprendendo abitudini di studio, attitudini e performance accademiche; 3. anamnesi familiare, specificando le lingue parlate in casa e il livello del linguaggio parlato in famiglia; 4. anamnesi medica, limitata ai disturbi potenzialmente correlati alla difficoltà di apprendimento; Eventuali altri report di valutazione psicologica, psicoeducazionale o neuropsicologica; Osservazioni sul comportamento durante la valutazione che potrebbero aver influito sulla performance come ad esempio il livello di motivazione, di cooperazione, eventuale presenza di ansia, ecc… I risultati ai test standardizzati con punteggi ed interpretazione dei risultati; Classificazione diagnostica alla quale si fa riferimento (DSM, ICD, Consensus Conference); Formulazione diagnostica comprensiva di diagnosi nosografica 23, descrizione del profilo di abilità cognitive, ecc… Suggerimenti per l’elaborazione di un progetto di aiuto e sviluppo. Secondo l’ICD-10 è richiesto che il livello delle prestazioni nelle prove di lettura, scrittura e calcolo sia significativamente inferiore (livello di discrepanza) a quello atteso in base alla scolarità e al livello intellettivo. Questo viene applicato secondo due approcci, il secondo dei quali più frequentemente adottato nei paesi europei: 1. Calcolare valori standard sia per il livello intellettivo che per le prestazioni scolastiche e richiedere che la differenza tra i due valori rispetti un cut-off che di solito è posto a 1 o 2 deviazioni standard (DS) dal livello medio; 2. Porre dei cut-off sia per il livello prestazionale ( solitamente a un massimo di -1, 1,5 o -2 DS oppure al 10° o 5° percentile rispetto alle medie per età scolastica) che per il livello intellettivo (solitamente ad un minimo di 85 punti di QI). La prima opzione permette la fluttuazione dei livelli prestazionali verso l’alto e verso il basso, quindi una diagnosi di DSA anche nei casi in cui il livello prestazionale non sia al di sotto dei livelli medi per età nel caso il QI sia particolarmente alto; di contro permette di diagnosticare un DSA anche con livelli di QI inferiori a 85, nel caso i punteggi ottenuti alle prove sulle abilità scolastiche rispettino la discrepanza con il QI. Questa soluzione si basa sull’assunto che il livello di abilità scolastiche sia prevedibile a partire dal livello intellettivo. La seconda opzione invece non richiede di rifarsi ad una specifica relazione tra livello prestazionale e intellettivo. Tuttavia, l’esclusione dei soggetti con un QI inferiore ad 85, anche in presenza di livelli prestazionali molto bassi, sottintende il presupposto che questi ultimi siano imputabili ad altre disfunzioni. Ad esempio i casi di ritardo mentale rientrano in una categoria diagnostica a parte. Il problema si pone per i soggetti con QI tra 70 e 85, considerata fascia “border line”. In base a tale principio sarebbe quindi opportuno differenziare due tipologie di “lettori lenti”: quelli con una significativa discrepanza rispetto al livello intellettivo e quelli con prestazioni non discriminanti rispetto al QI. 23 Nosografia: studio descrittivo delle malattie Francesca Dondini 27 Solo negli ultimi anni iniziano ad essere disponibili in letteratura dati sperimentali a supporto dell’adozione di una determinata misura di cut-off piuttosto che un’altra (Cornoldi et al. 2009; Losito et al. 2014), mentre negli studi precedenti si riscontra una grande eterogeneità dei criteri utilizzati e un’assenza di discussioni sistematiche sulle implicazioni legate all’uso di punteggi e cut-off diversi (Shavel 1993; Geary 2000; Ramaa 2002; Murphy 2007; Mazzacco 2008; Chong 2008). Nelle raccomandazioni definite nella Consensus Conference, si trova l’invito ad utilizzare le deviazioni standard per i punteggi di rapidità, più normalmente distribuiti e i percentili per i punteggi di accuratezza o di errore, caratterizzati da distribuzioni asimmetriche, in quanto le proprietà distribuzionali dei punteggi ai test garantiscono maggiore precisione rispetto al collegamento con il livello di scolarità. Numerosi studi hanno dimostrato come nelle lingue ortograficamente trasparenti la rapidità sia un indicatore della presenza del disturbo di lettura più sensibile rispetto all’accuratezza, soprattutto per i primi anni di scolarizzazione 24. I risultati delle prove di lettura di parole e non-parole sono altamente correlati alla presenza di dislessia e presentano un’attendibilità e predittività migliori rispetto alla lettura di un brano, che risulta meno sensibile. Alla luce delle precedenti considerazioni è necessario promuovere ulteriori ricerche allo scopo di specificare in modo preciso la validità diagnostica degli strumenti in uso. I giudici partecipanti alla Consensus Conference hanno definito che per affrontare i disturbi specifici di apprendimento è di primaria importanza poter disporre di riferimenti epidemiologici affidabili e specifici per la realtà italiana. Definizione dei criteri di inclusione/esclusione 25 Lievi alterazioni a livello elettrofisiologico, neurofunzionale e neuroanatomico riconducibili ad alterazioni nella microarchitettura e nelle funzionalità delle strutture corticali coinvolte nei processi di lettura, scrittura e calcolo, sono compatibili con la diagnosi di DSA e non vanno pertanto considerati come criteri di esclusione. 3.4.1. Al fine di discriminare situazioni di disturbo specifico da situazioni causate da differenze linguistiche e culturali, devono essere considerati i seguenti fattori: - la lingua madre ed eventuali altre lingue parlate dal bambino; - la nazione di provenienza e il tempo di residenza in Italia dei genitori e del bambino; - il livello culturale della famiglia e la lingua parlata in famiglia; - la famigliarità con difficoltà di linguaggio orale e scritto; - le competenze degli altri membri della famiglia, come fratelli e sorelle; - il sistema di scrittura inizialmente appreso; - la presenza di difficoltà fonologiche nella lingua madre. Le attuali conoscenze permettono di formulare alcune ipotesi sulle possibili relazioni tra epilessia e dislessia sia in termini di comorbilità che di eziopatogenesi. Tuttavia, risultano ancora pochi gli studi riguardanti pazienti in cui epilessia e dislessia sono 24 Landerl, 1197; Wimmer, 1996; Lehtola, 2000; Davies, 2007 “Raccomandazioni cliniche sui DSA”1 febbraio 2011 – documento d’intesa elaborato da parte del Panel della Consensus Conference DSA 2007 25 Francesca Dondini 28 co-presenti. Una possibile spiegazione è che questi casi vengano esclusi dagli studi con interesse specifico alle forme singole di patologia, nel timore che la comorbilità possa essere un fattore inquinante. In generale, la presenza di epilessia nel quadro clinico di un paziente con un disturbo di lettura, non deve far escludere a priori la diagnosi di dislessia né deve far necessariamente pensare che il disturbo di lettura sia diretta conseguenza della sindrome epilettica o del trattamento medico della stessa. 3.5 Strumenti diagnostici 3.5.1. Prove di lettura MT-2 La valutazione della rapidità e della correttezza della lettura di un brano è considerata la misura che meglio descrive la competenza di lettura richiesta nei vari contesti di vita scolastici ed extrascolastici. In Italia sono disponibili norme per le prestazioni attese, individuate attraverso l’utilizzo delle prove MT 26 (MT 1981, MT-1 1995 e MT-2 1998) calcolate su un campione di 8000 alunni, utili per la valutazione della lettura dalla prima classe della scuola primaria fino alla terza classe della scuola secondaria, in precisi momenti dell’anno scolastico (iniziale, intermedio e finale) per orientarsi sul corretto sviluppo di tali abilità e consentire l’individuazione tempestiva di eventuali difficoltà di apprendimento. Le Prove di Lettura MT-2 valutano oltre che le abilità di lettura, anche quelle di comprensione del testo. La misurazione di tali abilità costituisce una verifica trasversale, che interessa tutte le discipline in cui è richiesto l’uso di testi scritti e in relazione quindi con le abilità di studio. Questo strumento risulta essere adottato in contesti clinici interessati all’individuazione di disturbi specifici dell’apprendimento per accertare la presenza di dislessia. Le buone prassi per la corretta valutazione degli apprendimenti, suggeriscono di utilizzare diverse fonti di evidenza per valutare la presenza o meno del disturbo, sia per confermare lo stato di inefficienza della lettura a carico dei parametri di correttezza e/o rapidità, sia per accertare le conseguenze di questa condizione rispetto alle richieste ambientali, in particolare quelle scolastiche, presupposto necessario per definire un “disturbo” 27. La versione più recente si caratterizza per: • • • • una maggiore focalizzazione sulla valutazione della rapidità di lettura, con indice sillabe/secondo che sostituisce l’indice in centesimi di secondo/sillaba; nuovi valori normativi della rapidità; una ridefinizione delle fasce di prestazione; l’introduzione dei valori del 5° percentile e delle due deviazioni standard sotto media, indicati dalle linee guida come criteri per la diagnosi di Disturbi Specifici di Apprendimento, oltre al criterio delle quattro fasce di prestazione. La batteria è formata da 33 prove, ciascuna composta da un testo e da domande a scelta multipla. I brani sono divisi per classe e per momento di verifica, come specificato in tabella: 26 27 Cesare Cornoldi e Giovanni Colpo Criteri di inclusione presenti nel DSM-IV e nell’ICD-10 Francesca Dondini 29 Classe di somministrazione Momento di verifica Tipologia della prova Intermedio 1° primaria Finale Ingresso Approfondimento 2° primaria Intermedio Finale Ingresso Approfondimento 3° primaria Intermedio Finale Ingresso 4° primaria Approfondimento Finale Ingresso 5° primaria Approfondimento Finale Comprensione Correttezza Rapidità Comprensione Correttezza Rapidità Comprensione Correttezza Rapidità Comprensione 1 Comprensione 2 Comprensione Correttezza Rapidità Comprensione Correttezza Rapidità Comprensione Correttezza Rapidità Comprensione 1 Comprensione 2 Comprensione Correttezza Rapidità Comprensione Correttezza Rapidità Comprensione Correttezza Rapidità Comprensione 1 Comprensione 2 Comprensione Correttezza Rapidità Comprensione Correttezza Rapidità Comprensione 1 Comprensione 2 Comprensione1 Comprensione 2 Correttezza Rapidità Testo utilizzato La storia di Babbo Natale La fiaba dello scoiattolo Il Bruco ed i gerani La fiaba del tappeto Alì salva la luna Il semaforo che si era stancato Il riccio e il cane La volpe e i boscaiolo L’uomo che non riusciva…. Il nanetto che voleva la pera I topi campanari Storia di uno sbadiglio Tra il dire e il fare Re Alfredo e le focacce La gatta zoppa L’asino nel fiume L’idea più semplice Il mercante derubato La botte vuota e la botte piena Il leone e la leonessa L’indovina che non indovinò Voglia di giocare Il panda La croce del cuore Un occhio, due occhi Il viaggio delle anguille Vecchi proverbi Omar e Hamed L’orso bianco Dov’è più azzurro il fiume La caverna degli antenati Case e palazzi Tab. 3 elenco delle prove presenti nella Batteria MT-2 In questa ricerca verranno prese in considerazione solo le prove utilizzate per la diagnosi di dislessia e quindi relative alla misurazione di correttezza e rapidità di lettura, concentrandosi su quelle somministrabili dalla seconda alla terza classe della scuola primaria. La motivazione che ha guidato questa scelta è legata alle variabili aggiuntive che possono concorrere alla tipologia di performance come descritto nel paragrafo 5 “Meta-analisi sugli strumenti di diagnosi per la dislessia”. Il Manuale (unico per tutte le classi) offre informazioni di natura teorica e indicazioni Francesca Dondini 30 sui criteri di costruzione e sulle proprietà psicometriche delle prove di valutazione. Il test è caratterizzato da una buona facilità di somministrazione e da riferimenti normativi aggiornati alle direttive della Consensus Conference DSA. Lo strumento viene raccomandato come indicato nelle linee guida sulla diagnosi dei disturbi specifici dell’apprendimento, per effettuare una stima globale delle competenze del soggetto, eseguire una valutazione per la diagnosi dei DSA e intervenire durante le fasi di recupero, potenziamento e sviluppo delle abilità di correttezza, rapidità e comprensione della lettura. Le prove di correttezza e rapidità di lettura devono essere somministrate esclusivamente in modalità individuale. La prova deve essere svolta in un ambiente tranquillo e silenzioso, fuori dalla classe. All’alunno viene fornito un brano da leggere, mentre l’osservatore avrà un foglio di registrazione della prova, composto dalla copia del brano con una numerazione progressiva del numero di sillabe alla fine di ogni riga. Prima di iniziare la prova, è consigliabile verificare che il bambino non sia particolarmente agitato di fronte al compito di verifica. L'alunno viene così invitato a leggere ad alta voce il brano relativo alla fase di verifica della sua classe come da tabella precedente, cercando di fare il minor numero possibile di errori e leggere in maniera scorrevole e spedita. Le istruzioni saranno di questo tipo: “Dovrai leggere ad alta voce il brano che hai qui davanti, voglio vedere se sai leggere bene. Guarderò col cronometro (orologio) il tempo che impieghi, ma comunque non ti preoccupare troppo di andare veloce. A me interessa che tu legga meglio che puoi, cioè facendo meno errori possibile e leggendo in modo scorrevole, in pratica devi leggere come fai solitamente quando ti impegni”. Il titolo del brano viene letto ad alta voce dall'esaminatore, che quindi indica col dito all'alunno il punto iniziale del brano. L'esaminatore non deve intervenire in alcun modo per segnalare la lettura erronea e l'omissione di una parola, deve invece far presente all'alunno, indicando con la mano l'inizio della riga giusta, il salto di una riga o il ritorno su una riga già letta. Inoltre, se il bambino arresta per più di cinque secondi la lettura di una parola, l’esaminatore più leggergliela. Deve essere annotato il tempo che il soggetto ha impiegato per leggere il brano. La prova può venire sospesa se dopo 4 minuti il bambino non è pervenuto alla fine del brano. In questo caso verrà presa nota del punto in cui è arrivato. Attraverso la registrazione degli errori è possibile individuare il tipo di errore più frequente, ponendo quindi la prova in una prospettiva diagnostica, suggerendo specifici ambiti di intervento didattico volti a ridurre la frequenza di errori. Siglatura degli errori ^ /\/\/\ ____ = aggiunta = inesatta lettura/sostituzione = grossa esitazione Francesca Dondini / 5" () = spostamento di accento = pausa di più di 5 secondi = omissione 31 Punteggi correttezza Valgono 1 punto i seguenti errori: inesattezza nella lettura di una sillaba; omissione di sillaba, parola o riga; aggiunta di sillaba, parola o riga; pausa di più di 5 secondi. Valgono 1�2 punto i seguenti errori: spostamento di accento; grossa esitazione (ad esempio: per la parola "balcone", il bambino legge “ba…bal….balcone); autocorrezione per errore da 1 punto, le autocorrezioni per errore da mezzo punto non vengono penalizzate; anche gli errori da un punto vengono valutati solo mezzo punto se non cambiano il significato della frase. Lo stesso errore su parole uguali deve essere contato una volta sola. Nel caso il brano non venga letto per intero per superamento del limite temporale, deve essere inserita una stima degli errori che il bambino avrebbe potuto commettere nella parte di brano non letta, mediante un calcolo delle proporzioni. Punteggi di rapidità Per l’assegnazione di questo punteggio è necessario dividere il numero complessivo di secondi impiegati per il numero di sillabe lette: 𝑛𝑛.𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 𝑛𝑛.𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 = 150 448 = 0,334 = 33 centesimi di secondo a sillaba Oppure esattamente il contrario: 𝑛𝑛.𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 𝑛𝑛.𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 = 448 150 = 2,98 sillabe lette mediamente al secondo Il largo utilizzo delle prove MT ha creato qualche incertezza che nel documento “Valutare la rapidità e la correttezza della lettura di brani: nuove norme e alcune chiarificazioni per l’uso delle prove MT” 28, Cesare Cornoldi, Patrizio Tressoldi e Nicoletta Perini, hanno cercato di appianare: a. I termini “rapidità e correttezza” possono essere considerati identici ai termini “velocità e accuratezza”. L’uso dell’indice tempo/sillaba rispetto a quello sillaba/tempo descrivono esattamente la stessa variabile. La differenza è data dalla diversa distribuzione dei punteggi normativi 29. Il problema si riduce se si tiene conto degli outlier e, ancora meglio, se si fa riferimento ad una scala ordinale piuttosto che a intervalli. La proposta fatta dagli autori per ovviare a questa criticità è quella di fare riferimento all’indice che, nel corso del tempo, si è rivelato più popolare e cioè quello rappresentato da sillabe/secondo, che individua il numero di sillabe che un bambino legge mediamente al secondo. b. I brani inseriti nella batteria, aumentano di complessità e difficoltà coerentemente con l’età del bambino e il livello di scolarizzazione, in modo da rapportarsi alla natura dei materiali che tipicamente il bambino è invitato a leggere nelle diverse fasi di vita scolastica. Se si vuole fare un’indagine longitudinale, sarà necessario utilizzare sullo stesso bambino delle prove differenti con il passare del tempo, che quindi non saranno mai perfettamente confrontabili. c. Una ulteriore incertezza è legata all’individuazione delle prestazioni sotto media in riferimento al 5° percentile anziché alle due deviazioni standard. In questo 28 29 Art. del 20/12/2009 sulla rivista “Dislessia” Problema evidenziato da Lorusso, Toraldo e Cattaneo (2006) Francesca Dondini 32 ambito esiste una raccomandazione nelle valutazioni degli apprendimenti che sconsiglia di utilizzare prove che producano distribuzioni a campana 30 a favore di prove che producano una distribuzione a “J”, in modo da valutare il raggiungimento di prestazioni alla portata dei bambini senza dover includere item troppo difficili. Se la distribuzione è a “J”, gli indici di tendenza centrale e deviazione risultano falsati (es. la deviazione standard viene ridotta perché ricavata solo dalla deviazione verso valori bassi). Il fatto che la Consensus Conference, nel suggerire il cut-off al di là del quale è presente una criticità, abbia parlato sia delle 2 deviazioni standard sotto la media, sia di quinto percentile, mostra come questo aspetto sia stato considerato. L’utilizzo delle deviazioni standard risulta immediato e quindi nella pratica clinica può essere considerato vantaggioso, ma nel caso particolare rappresentato dalle prime classi di scolarizzazione, l’utilizzo della deviazione standard produrrebbe il paradosso che anche una prestazione bassissima rientrerebbe nella norma. d. Se si considerano le distribuzioni delle prove MT (esposte in maniera chiara nelle diverse edizioni del manuale) si può vedere come vi siano casi clamorosi di outlier, cioè di bambini con punteggi estremamente scarsi. Il riferimento delle distribuzioni ordinali minimizza il peso di pochi outlier, a fronte di distribuzioni che interessano molte centinaia di bambini, ma il problema si pone se si vuole fare riferimento a media e deviazione standard. Il problema è stato affrontato in varie sedi 31, con il suggerimento di affrontare caso per caso il modo per trattarli. Se gli outlier descrivono valori genuini della popolazione interessata, dovrebbero essere presi in considerazione, mentre dovrebbero essere esclusi solo se, a causa di problemi sottostanti, essi falsano la distribuzione. Nel caso dell’apprendimento della lettura gli outlier individuati appartengono ad entrambe le tipologie. Tuttavia la necessità di poter fare riferimento anche a media e deviazione standard hanno indotto gli autori a toglierli, secondo la procedura tipicamente utilizzata per la standardizzazione dei test. e. Per la definizione della diagnosi di dislessia o disturbo specifico di apprendimento, guardando la distribuzione delle prestazioni di lettura è possibile verificare che esse sono sostanzialmente continue e quindi la definizione di un certo criterio sia discrezionale, includendo ed escludendo in una categoria clinica rispettivamente due bambini che possono avere prestazioni molto simili. Le prove MT sono sufficienti per ottenere una stima del livello di apprendimento di un bambino, vanno invece integrate per effettuare una diagnosi. Dire che un bambino è dislessico semplicemente perché ad una sola misura di lettura è al di sotto del 5° percentile è insufficiente. Come è stato evidenziato32, per una diagnosi occorre raccogliere più misure ed è necessario che in più di una ci sia evidenza di disturbo. Attualmente sulle prove MT sono presenti due tipi di valori normativi. Quelli originali legati all’uscita delle prove e quelli introdotti da Tressoldi nel 2008, espressi in sillabe al secondo. Questi ultimi sono stati creati attraverso uno studio effettuato su un centinaio di bambini ai quali venivano fatti leggere dei brani scelti in modo casuale dalla batteria MT per un tempo di due minuti ciascuno. Per quanto la 30 Cornoldi e Soresi, 1980 Sokal e Rohlf, 1995 Soliano, 2007 32 Tressoldi e Vio, 2008 31 Francesca Dondini 33 somministrazione sia stata atipica ed il campione esiguo, i dati raccolti da questo studio risultano importanti in quanto più recenti. Per facilitare il confronto dei dati normativi si è pertanto ritenuto opportuno un confronto tra le norme raccolte da Cornoldi, Colpo (1995, 1998) e Tressoldi (2008), con l’obiettivo di arrivare a delle norme condivise. Per quanto riguarda il parametro della rapidità, sono stati ricalcolati i punteggi delle norme di Cornoldi in sillabe/secondo, ottenendo delle misure uniche con quelle di Tressoldi. La metodologia seguita ha reso inoltre necessario normalizzare le distribuzioni dei dati raccolti da Cornoldi eliminando i valori outlier che le rendevano particolarmente asimmetriche. Il risultato è riassunto nella seguente tabella: Cornoldi e Colpo CLASSE N M II elementare intermedio "L'uomo che non riusciva …" III elementare intermedio "L'idea più semplice" IV elementare finale "Un occhio, due occhi" V elementare finale "case e palazzi" 316 Tressoldi DS 5° 15° N M 1.73 INTERVALL O DI FIDUCIA per la media al 95% 1.67-1.79 DS 2.41 INTERVA LLO DI FIDUCIA per la media al 95% 2.29-2.53 0.56 0.95 1.18 94 245 2.99 2.84-3.14 1.19 1.54 1.82 108 2.98 2.83-3.13 0.79 252 3.69 3.54-3.85 1.23 1.82 2.22 130 3.87 3.7-4.04 0.96 475 3.69 3.59-3.8 1.12 2.22 2.86 130 3.60 3.44-3.76 0.93 0.56 Tab. 4 Nuovi parametri “Prove di lettura MT” Il processo di ritaratura degli indici di rapidità e correttezza sono stati effettuati attraverso delle fasi consecutive. La prima fase ha considerato, per le prove comuni, un ricalcolo degli indici aggiungendo al campione originario quello nuovo. In una seconda fase, osservando le linee d’apprendimento e le prestazioni tipiche dei bambini, si sono eliminati alcuni outlier che hanno portato a piccoli cambiamenti della deviazione standard. A questo punto si sono definite delle nuove norme unificate: “Nuove misure di rapidità e correttezza nella lettura di brani corrispondenti alle fasce di prestazione ottimale (75° percentile), scarsa (15° percentile ovvero con RICHIESTA DI ATTENZIONE – RA), severa problematica riferita alla distribuzione ordinale (5° percentile ovvero RICHIESTA DI INTERVENTO IMMEDIATO – RII) oltre che la distanza dalla media (2 deviazioni standard sotto media), per tutte le prove MT” (2009): Francesca Dondini 34 BRANO * RAPIDITA’ SILL/SEC RII RA a) <0.4 0.430.4 b) <0.57 c) <0.7 d) <0.95 e) <1.33 f) <1.18 g) <1.54 h) i) j) k) l) RAPIDITA’ SILL/SEC Criterio Prestazi piename one nte sufficie raggiun nte to M DS 2 DS sott o me dia CORRETTEZZA 75° 15° 5° Criter Prest io azion piena e mente suffici raggi ente unto RA RIIo >1.3 1.12 0.79 1.3 0.43 0.4 0-1 2e3 4e5 ≥6 >1.54 1.4 0.86 1.54 0.74 0.57 0-1 2-6 7-11 ≥ 12 >1.82 1.43 0.7 1.82 0.87 0.7 ≤4 5-13 14-20 ≥ 21 >2.22 1.89 0.7 2.22 1.18 0.95 0e1 2-5 6-10 ≥ 11 >2.86 2.48 0.9 0.68 2.86 1.54 1.33 ≤3 4-8 9-15 ≥ 16 3.3-1.55 >3.3 2.9 1.1 0.7 3.3 1.54 1.18 0e1 2-6 7-12 ≥ 13 1.821.54 3.5-1.83 >3.5 2.99 1.1 0.79 3.5 1.82 1.54 ≤3 4-9 10-15 ≥ 16 <1.82 2.221.82 3.7-2.23 >3.7 3.35 1.1 1.15 3.7 2.22 1.82 ≤2 3-8 9-13 ≥ 14 <1.54 1.821.54 3.6-1.83 >3.6 3.08 1.1 0.88 3.6 1.82 1.54 ≤2 3-6 7-11 ≥ 12 1.3-0.44 0.740.57 0.870.7 1.180.95 1.541.33 1-541.18 1.540.75 1.820.88 2.221.19 2.861.55 2.224-2.23 >4 3.69 1.23 1.23 4 2.22 1.82 ≤2 3-7 8-12 ≥ 13 1.82 2.60<2.18 4-2.61 >4 3.77 1.25 1.27 4 2.6 2.18 ≤3 4-10 11-17 ≥ 18 2.18 2.86<2.22 4.2-2.86 >4.2 3.69 1.12 1.45 4.2 2.86 2.22 ≤1 2-7 8-12 ≥ 13 2.22 Tab.5 Nuovi parametri rapidità e correttezza “Prove di lettura MT” * Legenda tabella – tipologia brano: a) b) 1° CLASSE SCUOLA PRIMARIA DI PRIMO GRADO - La storia di Babbo Natale; Il bruco ed i gerani; c) d) e) 2° CLASSE SCUOLA PRIMARIA DI PRIMO GRADO - Alì salva la luna; L’uomo che non riusciva….; I topi campanari; f) g) h) 3° CLASSE SCUOLA PRIMARIA DI PRIMO GRADO - Tra il dire e il fare; L’idea più semplice; La botte vuota e la botte piena; i) j) 4° CLASSE SCUOLA PRIMARIA DI PRIMO GRADO - L’indovina che non indovinò; Un occhio, due occhi; k) l) 5° CLASSE SCUOLA PRIMARIA DI PRIMO GRADO - Vecchi proverbi; Case e palazzi. <1.82 Gli indici delle prove di lettura sono risultate affidabili, ottenendo un punteggio di .95 sul test-retest nella misura della rapidità di lettura, un valore imbattibile in campo psicometrico 33. 3.5.2. Batteria per la valutazione della Dislessia e della disortografia evolutiva –2 Una delle batterie utilizzate per le prove di lettura è la DDE-2 34 di Giuseppe Sartori, Remo Job e Patrizio E. Tressoldi. La batteria è costituita da 8 prove, di cui 5 per l’analisi del processo di lettura. Le prove fanno riferimento ad un modello di lettura che prevede due modi per trasformare i grafemi in fonemi, un modo indiretto che implica delle trasformazioni di parti della parola, e un modo diretto mediante il quale vi è un’unica trasformazione. Questo modello deriva da un approccio cognitivo ai 33 34 Cornoldi et al. 1981 Batteria per la valutazione della Dislessia e della disortografia evolutiva – 2 Francesca Dondini 35 disturbi di lettura e scrittura. Entrando più nel dettaglio, le prove di lettura sono costituite dalle seguenti unità: prova 1- per valutare l’efficienza nel passaggio dal singolo grafema alla sua corrispondenza fonemica prova 2 – composta da liste di parole di diversa frequenza d’uso prova 3 – composta da liste di non-parole, utile per valutare l’efficienza del modo indiretto di lettura prova 4 e 5 – composte da prove di scelta di parole omofone non omografe e utili per valutare lo sviluppo del riconoscimento diretto delle parole. Valutazione: per le prime tre prove si raccolgono i tempi di lettura e il numero di errori. Per le restanti prove, solo il numero di errori. Le autocorrezioni non sono considerate errori. Per ogni parola letta in modo errato, si calcola un solo errore. Caratteristiche psicometriche: per valutare l’attendibilità dello strumento si è utilizzata la procedura del retest su un campione di 77 soggetti (13 di seconda scuola primaria, 23 di terza 17 di prima scuola secondaria di primo grado e 24 di terza) dopo circa venti giorni dalla prima applicazione del test. E’ stata riscontrata un’altissima correlazione tra i tempi di lettura (M=.77), confermando l’attendibilità di questa misura. Per quanto riguarda gli errori nella lettura, sono stati rilevati valori significativi anche se inferiori (M=.56). La validità concorrente dello strumento è stata ottenuta confrontando le prove che lo compongono con le prove della batteria MT. Il coefficiente medio .74 evidenzia una percentuale molto alta di varianza comune tra le prove, dimostrando quindi che alla base dell’efficienza di lettura di un brano, sono richieste abilità comuni alla lettura di parole e non-parole isolate. I dati raccolti su un campione di circa 300 alunni confrontati tra la batteria DDE-2 e le prove di lettura di parole e non-parole di Zoccolotti e collaboratori del 2005, hanno evidenziato un’alta correlazione sia in prove di velocità che di correttezza. La validità discriminante è stata ottenuta confrontando i punteggi ottenuti da soggetti con ritardo o deficit di lettura alla prova MT (Cornoldi, Colpo 1998) con quelli ottenuti con la prova di lettura di parole. I risultati mostrano concordanza tra la diagnosi ottenute. Taratura della batteria: i dati normativi sono stati ottenuti da un campione di 1550 alunni, frequentanti tutte le classi della scuola primaria d’Italia (Nord e Sud) di estrazione socioculturale mista. Il confronto tra le due misure, tempo di lettura espresso in secondi e tempo di lettura espresso in sillabe al secondo, non forniscono la stessa deviazione. La misura di sillabe al secondo risulta meno penalizzante, è importante quindi decidere con cura quale misura utilizzare. Modalità di somministrazione: l’esaminatore, posto preferibilmente davanti al soggetto, legge le istruzioni per ciascuna prova e si assicura che siano comprese prima di iniziare. Viene quindi dato il “VIA” per l’esecuzione della prova e contemporaneamente si fa partire il cronometro per la registrazione dei tempi. Durante la lettura l’esaminatore deve segnare sul protocollo di registrazione individuale gli eventuali errori. La prova può essere interrotta solo se ci si accorge che le istruzioni non sono state comprese. Alla fine di ogni prova possono essere Francesca Dondini 36 indicate sul foglio di protocollo, delle note sulla prestazione che possono servire per la valutazione finale. Non è importante rispettare un ordine di somministrazione delle prove. Gli errori corrispondono al numero di parole sbagliate indipendentemente dal numero di lettere non corrette. Le autocorrezioni non vengono considerate errori. Per confrontare i risultati di un soggetto con quelli del campione di riferimento riportati nelle norme del manuale, per quanto riguarda i tempi di lettura il calcolo sarà il seguente: X−tempi del soggetto DS (del campione) (X = media del campione) Quando invece i tempi del soggetto risultano superiori alla media del campione, il calcolo dovrà essere invertito come segue: tempi del soggetto−X DS (del campione) Se la prova di valutazione viene effettuata all’inizio di un anno scolastico, è preferibile rifarsi alle norme della classe precedente, mentre se la valutazione avviene a metà dell’anno scolastico è possibile fare riferimento alle norme della classe stessa. Caratteristiche dei soggetti: la batteria è pensata per soggetti che abbiano un QI minimo di 85. I soggetti devono inoltre aver avuto normali opportunità educative (ad esempio non aver perso lunghi periodi di scuola); non devono evidenziare deficit neurologici, sensoriali o di espressione verbale. Nel caso di bambini con difficoltà fonetico-fonologiche o articolatorie, si possono non considerare errori, l’errata pronuncia di parole che non si sanno pronunciare (mancanza di GL o rotacismo 35). Usabilità dei testi - Prove di lettura 36 La legibility di un testo è la facilità con cui riusciamo a discriminare le singole lettere che lo compongono. L’analisi della legibility considera la struttura tipografica di un testo: la forma, la dimensione, il colore dei caratteri, il modo in cui essi sono disposti sulla pagina in rapporto gli uni con gli altri. In relazione a questi elementi possiamo studiare la minore o maggiore facilità con cui un lettore può distinguere un carattere dall’altro, sui differenti supporti tecnologici utilizzati (carta o monitor). Quando si analizza la legibility di un testo, non ci si occupa della facilità o meno con cui il lettore può comprenderne il contenuto, ma soltanto della rappresentazione grafica e della riconoscibilità in rapporto al suo sistema visivo. 3.5.3. Per quanto riguarda la tipologia del carattere, il Times New Roman è il più utilizzato in letteratura. Da uno studio di Mansfield (1996) risulta il Courier-Bold il carattere che permette di ottenere una maggiore velocità di lettura in soggetti ipovedenti. Una ricerca pubblicata sull’American Journal of Psychological Research del 2005 propone il carattere Arial (16-18) come più leggibile sia dai normolettori che dai soggetti con problemi nella lettura, mentre in uno studio di Rubin (2006), il carattere che ha 35 modificazione fonetica consistente nella trasformazione di un fonema in r. Fenomeno ad esempio presente nel dialetto milanese, ligure, sardo e siciliano 36 Panel di aggiornamento e revisione della consensus conference dsa 2007 Francesca Dondini 37 consentito una maggiore velocità di lettura è risultato essere il Tiresias PC font, sviluppato dal Royal National Institute of the Blind e scaricabile dal sito http://www.tiresias.org/fonts/ : Figura 1 Esempio di Tiresias PC font In commercio è possibile trovare font dedicati ai soggetti con disturbo della lettura (Barrington Stoke 37, Read Regular e Read Space 38, I libri della collana "Leggimi!" di Sinnos Editore) studiati appositamente per agevolare questa attività. Il carattere Garamond risulta il più utilizzato nei libri di narrativa per dislessici. Il carattere di stampa a una dimensione di 16p risulta in ogni modo adeguato per agevolare la lettura. Sarebbe però opportuno che la dimensione del carattere di stampa mantenesse sempre la stessa dimensione in relazione al font, ma i rapporti spesso cambiano, ad esempio un carattere di 8p scritto in Arial ha circa la stessa grandezza di un carattere di 9p del Times New Roman. Il Garamond risulta più piccolo e quindi meno leggibile rispetto al Verdana o al Trebuchet. 39 Per creare le migliori condizioni di lettura, è necessario prendere anche in considerazione l’affollamento visivo 40. Per ridurlo può essere utile equilibrare la spaziatura tra un carattere e l’altro variandola attraverso l’opzione crenatura (kernper). Per questo motivo vengono privilegiati caratteri a spaziatura fissa (Courier). L’affollamento visivo può comparire tra lettere adiacenti ma anche tra parole, quindi risulta utile inserire spazi aggiuntivi tra una parola e l’altra. Ogni rigo del testo non dovrebbe superare i 60/70 caratteri. Anche l’interlinea maggiorata diminuisce sensibilmente l’effetto di crowdind, incrementando la velocità di lettura proporzionalmente più in periferia che al centro (Chung). E’ importante evitare l’utilizzo del corsivo o delle sottolineature, poiché possono creare ulteriori difficoltà nella discriminazione del carattere (Evett). Nella letteratura tipografica da un lato si crede che l’impiego delle grazie 41 abbia un impatto positivo sulla leggibilità (Arditi), in quanto creano una forma spaziale della 37 https://www.barringtonstoke.co.uk/blog/2015/10/09/our-new-e-reading-app-and-why-we-still-think-printmatters-for-struggling-readers/ 38 http://www.readregular.com/english/regular.html 39 Per agevolare la comprensione di quanto specificato sono stati utilizzati caratteri e dimensioni reali in base alla descrizione presa in esame 40 Indicato anche come Crowding 41 I font si suddividono in due categorie principali: graziati o senza grazie. I caratteri graziati (o serif) hanno particolari terminazioni dei tratti delle lettere. L'uso delle grazie deriva dai caratteri lapidari romani, dove era molto difficile scalpellare nel marmo angoli di novanta gradi necessari a terminare le aste. Le grazie servivano allora a evitare (o nascondere) le sbrecciature. I font senza grazie sono chiamati anche sans-serif. Francesca Dondini 38 lettera più complessa aumentandone la discriminalità, inoltre le grazie orizzontali incrementano l’abilità del lettore di seguire con lo sguardo la linea del testo. Dall’altro rischiano di appesantire la lettera contrastandone l’identificazione. Nello studio di Arditi del 2005 viene definito che quest’ultima ipotesi si concretizza solo nel caso di caratteri molto piccoli. Si ritiene inoltre che il testo composto da lettere in parte maiuscole ed in parte minuscole sia più leggibile di uno composto da sole lettere maiuscole, in quanto la forma delle parole è più riconoscibile nella forma mista. Inoltre risulta più intuibile identificare nel testo la fine di una frase e l’inizio della successiva, agevolando sia la qualità nella lettura del testo sia la comprensione dello stesso. La British Dyslexia Association (BDA) ha prodotto una guida all’accessibilità dei testi per dislessici e ipovedenti. L’edizione aggiornata al 2010 è reperibile all’indirizzo internet : http://www.bdadyslexia.org.uk/about-dyslexia/furtherinformation/dyslexia-style-guide.html All’interno delle prove di lettura più utilizzate nella diagnosi della dislessia si è ritenuto opportuno mantenere il carattere Times New Roman, in quanto utile per discriminare i cattivi lettori dai normolettori. Nell’ambiente visivo in cui si eseguono le prove è preferibile l’utilizzo di un leggio, l’utilizzo di occhiali ben centrati e con una lente ampia a sufficienza per leggere comodamente (per bambini ipovedenti), un contrasto adeguato dato dall’utilizzo di un fondo bianco-avorio, una posizione comoda, l’assenza di riflessi sul foglio e quindi l’utilizzo di carta non lucida. In caso di utilizzo del pc, il bordo superiore del monitor deve essere allineato all’altezza degli occhi. La distanza di osservazione non deve essere inferiore ai 45-50 cm. Per la qualità dell’immagine, la frequenza di refresh deve essere superiore ai 70 Hertz. Luminosità e contrasto devono essere regolari alla luminosità dell’ambiente esterno, per limitare l’affaticamento visivo. La finestra non deve mai essere alle spalle del soggetto provocando riflessi, ma neanche di fronte, causando eccessivo contrasto, ma di lato, preferibilmente nella parte sinistra. Le eventuali lampade utilizzate per l’illuminazione artificiale devono essere schermate in modo che non si riflettano sul monitor. Anche nel pc il fondo bianco dove essere meno accentuato e modificato attraverso il comando di “modifica colore elemento finestra”, senza scendere sotto il 70% di contrasto. 3.6 Strumenti compensativi e misure dispensative 42 Si definisce trattamento riabilitativo l’insieme delle azioni dirette ad aumentare l’efficienza di un processo alterato. E’ gestito da un professionista sanitario, ha caratteristiche di specificità sia per gli obiettivi a cui si indirizza, sia per le caratteristiche metodologiche e le modalità di erogazione. La riabilitazione è un processo di soluzione dei problemi e di educazione nel corso del quale si porta una persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale, con la minor restrizione possibile delle scelte operative 43. La 42 Allegati al decreto ministeriale del 12 luglio 2011 – “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento”; “Raccomandazioni cliniche sui DSA” – documento d’intesa elaborato da parte del Panel di aggiornamento e revisione della Consensus Conference DSA 2007 – P.A.R.C.C.Bologna 1 febbraio 2011 43 LG Riabilitazione Nazionale GU 124 30/05/98 Min. Sanità Francesca Dondini 39 riabilitazione si pone come obiettivi la promozione dello sviluppo di una competenza non comparsa, rallentata o atipica; il recupero di una competenza funzionale che per ragioni patologiche è andata perduta; la possibilità di reperire formule facilitanti e/o alternative. La riabilitazione, nell’ambito dei DSA, è l’insieme degli interventi volti a favorire l’acquisizione, il normale sviluppo e l’utilizzo funzionale dei contenuti di apprendimento scolastico (lettura, scrittura e calcolo). La riabilitazione è da intendersi come un insieme di interventi di tipo pedagogico-educativi in senso lato. I protocolli riabilitati nei casi di DSA, definiscono cicli brevi e ripetuti che vanno da due a tre sedute alla settimana per una durata di almeno tre mesi. Per gli interventi finalizzati all’acquisizione di strategie meta-cognitive, sono raccomandati interventi meno intensivi di una o due volte la settimana, per una durata da tre a sei mesi. I criteri per stabilire se un trattamento ha prodotto un cambiamento clinicamente significativo (CCS) sono distinguibili in: criteri oggettivi, attraverso una registrazione di uno sviluppo maggiore nell’abilità coinvolta nel trattamento rispetto a quanto atteso nello sviluppo senza trattamento; criteri clinici, attraverso una registrazione dello sviluppo delle abilità attraverso delle interviste o questionari etero descrittivi da somministrare a genitori ed insegnanti del soggetto. Inoltre è necessario che il cambiamento registrato risulti stabile ai controlli di followup di almeno sei mesi e imputabile al trattamento applicato e non a fattori esterni o maturazionali del bambino. Lo sviluppo misurato delle abilità coinvolte nel trattamento deve poter essere verificato come cambiamento reale e non casuale. I trattamenti riabilitativi vengono interrotti nel momento in cui il soggetto raggiunge un’autonomia rispetto alle richieste ambientali. La Legge 170/2010 definisce che le istituzioni scolastiche garantiscano l’utilizzo di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari del soggetto, adottando una metodologia e una strategia educativa adeguate. Richiama inoltre le istituzioni scolastiche all’obbligo di garantire l’introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere. La Legge 53/2004 e il Decreto Legislativo 59/2004, calibra l’offerta didattica e le modalità relazionali, sulla specificità ed unicità a livello personale dei disturbi educativi che caratterizzano gli alunni della classe, considerando le differenze individuali soprattutto sotto il profilo qualitativo. Le attività di recupero individualizzato, le modalità didattiche personalizzate, nonché gli strumenti compensativi e le misure dispensative, dovranno essere esplicitate e formalizzate. A questo riguardo la scuola predispone un documento che dovrà contenere almeno le seguenti voci, articolato per le discipline coinvolte nel disturbo: tipologia del disturbo; attività didattiche individualizzate e personalizzate; strumenti compensativi utilizzati; misure dispensative adottate; forme di verifica e valutazione Francesca Dondini 40 personalizzate. E’ possibile valutare l’introduzione di strumenti compensativi dopo una precisa valutazione clinica, nel caso sia riscontrata una limitazione importante dell’autonomia rispetto alle esigenze personali e le richieste ambientali, in particolare quelle scolastiche; nel caso risulti insufficiente l’applicazione di semplici adattamenti didattici; nel caso ci sia la disponibilità della scuola e della famiglia nell’utilizzo di strumenti compensavi e questo non determini la percezione di stigma al soggetto. Gli strumenti compensativi sono: sintesi vocale, calcolatrice, correttore ortografico, lettore esterno, penne con impugnatura speciale, tavola pitagorica, promemoria dei verbi, sequenza di giorni/mesi, quaderni speciali, testi con carattere più leggibile. Come misure dispensative si intendono invece: la sostituzione delle verifiche scritte con quelle orali, la valutazione del contenuto e non della correttezza ortografica nelle produzioni scritte, la scelta dell’utilizzo di un unico carattere grafico in caso di disgrafia, come ad esempio il solo stampato maiuscolo. 4. La meta-analisi – parte teorica Il termine meta-analisi (meta-analysis MA) fu introdotto da Glass nel 1976 44, per indicare un approccio quantitativo ideato per integrare i risultati di numerose ricerche, relative alla stessa tematica, eseguite nel corso del tempo. In psicologia raramente un singolo studio offre una risposta esauriente e completa ad un problema di ricerca, sia perché l’oggetto di studio risulta molto complesso sia per il fatto che gli esperimenti stessi possono essere disomogenei relativamente all’ambiente della ricerca, al campione utilizzato e alle procedure seguite. Nelle ricerche fatte su uno stesso oggetto, se vengono utilizzate definizioni, campioni, variabili e procedimenti differenti, possono risultare conclusioni non confrontabili. Prima del contributo di Glass, l’approccio tradizionale per compiere questo lavoro, implicava la raccolta delle ricerche condotte su un dato argomento, la loro categorizzazione (come ad esempio distinguere i risultati di ricerche metodologicamente corrette contro quelle contenenti evidenti carenze di controllo) e il tentativo di arrivare ad una conclusione sulla base della proporzione di ricerche che convergevano su un determinato risultato. Tale approccio però comportava quasi inevitabilmente l’introduzione di giudizi soggettivi, preferenze ed errori, nonché la non replicabilità del procedimento. Il numero sempre maggiore di studi che cercano di rispondere alla stessa domanda di ricerca, ha reso necessario trovare delle metodologie adeguate per integrare la crescente mole di conoscenza disponibile in letteratura, arrivando a conclusioni avvalorate dalle evidenze empiriche. Le rassegne sistematiche, le sintesi della ricerca e le meta-analisi si sono affermate come “gold standard” nella sintesi della letteratura disponibile su un determinato argomento. Una rassegna sistematica (systematic review SR) e una sintesi della ricerca (research synthesis RS), possono essere considerate procedure intercambiabili. Sono finalizzate 44 Glass utilizzò per la prima volta il termine meta-analisi nel suo discorso presidenziale all’American Educational Research Association Francesca Dondini 41 a rispondere a una precisa domanda di ricerca, raccogliendo tutte le evidenze empiriche disponibili in letteratura. Una meta-analisi si basa sull’analisi delle analisi, ossia sull’uso di una varietà di tecniche quantitative ideate per analizzare i risultati degli studi in questione. Si tratta dell’utilizzo di metodi statistici utili per sintetizzare i risultati degli studi primari, analizzare il grado di eterogeneità dei risultati e spiegare le differenze riscontrate tra gli studi inseriti. La meta-analisi può essere inclusa all’interno di una rassegna sistematica, in questi casi il termine “meta-analisi” sta ad identificare l’intero processo che porta al lavoro conclusivo. Gli studi inseriti in una meta-analisi oltrepassano quindi la criticità legata alla significatività statistica in quanto vanno a sommarsi ad altri studi simili potenziando la validità delle conclusioni. Attualmente esistono due classi di meta-analisi: • • il primo si basa sulla significatività delle ricerche (p), cioè sulla probabilità p di accadimento del valore della statistica calcolata, assumendo come vera l’ipotesi nulla. In un esperimento, la probabilità p indica quanto è probabile che un risultato sia vero nella popolazione; il secondo si basa sugli indici di ampiezza dell’effetto (ES), ossia l’intensità con cui un eventuale risultato si realizza in un esperimento. Per comprendere meglio le differenze tra le due tipologie di meta-analisi, si assuma che siano state eseguite quattro ricerche per studiare l’efficacia di un tipo di psicoterapia nel trattamento della depressione. Sapendo che è convenzionalmente stabilito che il valore di p, per essere significativo, non deve superare 0,05, si supponga che in due di queste ricerche non sia emerso alcun risultato significativo, perché il valore di probabilità raggiunto è rispettivamente p=0,10 e p=0,08, mentre nelle altre due ricerche l’effetto della psicoterapia risulta significativo in quanto i valori sono p=0,04 e p= 0,01. Per poter combinare il risultato di queste quattro ricerche potremmo utilizzare la prima tipologia di meta-analisi, servendosi dei valori di probabilità riscontrati nelle singole ricerche, con lo scopo di ottenere un valore p globale che vuole essere rappresentativo dell’effetto combinato delle ricerche prese in considerazione. Nella seconda tecnica verificheremo invece l’efficacia della terapia, quindi se ha prodotto l’effetto sperato, e l’ampiezza di questo effetto. Nelle varie ricerche avremo un dato di ampiezza dell’effetto differente l’una dall’altra, quindi dovremo combinare i risultati di Effect Size (ES) delle diverse ricerche per arrivare ad una stima combinata. Un’ulteriore suddivisione può essere applicata distinguendo: • • meta-analisi su larga scala, ovvero svolta includendo tutti gli studi esistenti su un determinato argomento; meta-analisi su piccola scala, ovvero svolta su pochi studi selezionati in base ad un obiettivo specifico. Questo genere di lavoro non presuppone quindi una ricerca sistematica della letteratura disponibile ma l’analisi incentrata ad esempio su studi effettuati su un dato argomento da un autore specifico oppure come metodo di analisi posto alla fine di un articolo per riassumere gli studi ivi compresi, ecc… Due importanti riferimenti sono rappresentati da: La Cochrane Collaboration Francesca Dondini 42 http://www.cochrane.org/ , una organizzazione no profit internazionale il cui obiettivo è promuovere cure sanitarie evidence-based, attraverso la produzione e il continuo aggiornamento di rassegne sistematiche in ambito medico e farmaceutico; il gruppo Campbell Collaboration http://www.campbellcollaboration.org/ , che rappresenta una rete di ricerca internazionale che produce rassegne sistematiche focalizzate in ambito educativo, psicologico e sociale. 4.1 Definizione dell’argomento di ricerca La definizione dell’argomento di ricerca prevede che vengano esplicitati il background di riferimento, le ipotesi che si intendono testare e le operazionalizzazioni delle variabili prese in esame. La definizione dell’ipotesi può avvenire attraverso un sillogismo “se…allora”, ipotizzando che se si verifica la condizione a allora si verificherà b. La prima (a) verrà definita come variabile indipendente (es. presenza di dislessia); la seconda (b) come variabile dipendente (es. positività ai test diagnostici per la dislessia). L’operazionalizzazione stabilisce invece la traduzione di a e b in variabile numerica o categoriale vera e propria. Durante la conduzione di una meta-analisi, trovandosi nella condizione di dover paragonare studi che possono avere operazionalizzazioni differenti, è sufficiente avere la certezza che il costrutto dal quale partano sia il medesimo, al fine di poter trovare il modo di integrare i dati. Per testare l’ipotesi che la positività al nostro processo diagnostico sulla dislessia non sia inquinato da altre variabili, è necessario condurre un test statistico atto a valutare la plausibilità della nostra ipotesi rispetto all’ipotesi nulla, ovvero l’ipotesi di assenza di legame tra la variabile dipendente e le altre variabili indipendenti. Il test statistico può essere unidirezionale, ossia ad una coda, o bidirezionale, ossia a due code. Nel primo caso viene considerata solo una variante dell’ipotesi, quindi esiste un legame solo positivo tra le due variabili, mentre nel secondo caso vengono considerate sia l’associazione positiva che quella negativa. Durante la raccolta degli studi primari per la definizione della meta-analisi, può capitare che non venga indicato esplicitamente se il test ivi incluso è unidirezionale o bidirezionale, in questi casi si può ragionevolmente assumere che sia a due code, per seguire un approccio più conservativo. 4.2 Definizione dei criteri di inclusione ed esclusione Come tutto quello che determina il risultato della meta-analisi, la definizione dei criteri di inclusione ed esclusione devono essere definiti, esplicitati e motivati, in modo che la ricerca svolta possa risultare chiara nella scelta di comprendere o scartare alcuni studi. I criteri di inclusione relativi alle caratteristiche dello studio fanno riferimento al PICOS, acronimo di: Participants – riferibili alla specifica delle caratteristiche della popolazione che si sta studiando; Interventions – che definiscono le caratteristiche degli interventi che sono oggetto della meta-analisi; Comparisons – che rimandano alle caratteristiche del gruppo di controllo (se il gruppo di controllo non è ben definito diventa difficile trarre conclusioni sull’efficacia dell’intervento); Francesca Dondini 43 Outcomes – cioè le variabili dipendenti che verranno prese in esame. E’ corretto parlare di outcomes al plurale in quanto le meta-analisi vengono generalmente realizzate su più outcomes; Study design – cioè disegno di ricerca, che definisce le tipologie di studi oggetto di analisi (es. Randomized Control Trials RCT 45, Studi Osservazionali, ecc…). Un’altra tipologia di criteri da prendere in esame per definire le caratteristiche di inclusione ed esclusione degli studi in una meta-analisi riguardano: • • • la lingua di pubblicazione – ossia scegliere se includere studi pubblicati solo in lingua inglese, solo pubblicati in lingua inglese ed un altro numero limitato di lingue oppure non fare selezioni in base alla lingua di pubblicazione; l’anno di pubblicazione – che permette di stabilire un limite temporale dato ad esempio da un ambito di ricerca che ha avuto inizio in un anno preciso, oppure nel caso si voglia integrare una meta-analisi già presente, prendendo in considerazione solo gli studi avvenuti a valle della pubblicazione. Quando queste due condizioni non si verificano, è sempre meglio non inserite limiti temporali, per preservare un approccio più conservativo e non rischiare di omettere qualche studio; tipo di pubblicazione – definendo se includere nella ricerca solo articoli su rivista, libri, report di ricerca, documentazione prodotta nei convegni oppure anche la “letteratura grigia”. Quest’ultima è composta da tesi di dottorato, articoli pubblicati su riviste non indicizzate nelle principali banche dati, articoli non pubblicati. Inserendo in una meta-analisi anche la letteratura grigia è possibile ampliare notevolmente il numero di studi sui quali fare il lavoro, aumentandone conseguentemente la potenza statistica e diminuendo la possibilità di sovrastimare l’effetto complessivo. Di contro, si corre il rischio di introdurre possibili bias nell’individuazione degli studi, in quanto le strategie di ricerca della letteratura grigia sono difficilmente replicabili. Inoltre, il contenuto di questi documenti può non rispettare il livello qualitativo definito per la documentazione pubblicata. Nei casi in cui la meta-analisi includa sia gli articoli su rivista sia la letteratura grigia, è bene controllare l’impatto di questa scelta sui risultati finali, testando se i risultati degli studi pubblicati sono in linea con i risultati degli studi non pubblicati. La prima valutazione degli articoli selezionati atta alla verifica della corrispondenza con i criteri di inclusione, viene fatta esclusivamente sul titolo e sull’abstract. 4.3 Ricerca della letteratura La ricerca della letteratura disponibile ha l’obiettivo di individuare tutti gli studi condotti su un determinato argomento. Per riuscire a condurre una buona meta-analisi è buona prassi avere criteri di ricerca ampi. Per avere buone garanzie di recuperare la totalità della letteratura esistente, è necessario utilizzare più banche dati, distinguendo tra quelle specifiche per settore e quelle multidisciplinari. Nella ricerca è possibile utilizzare delle parole chiave, attraverso le quali costruire le stringhe di ricerca. 45 studi sperimentali che permettono di valutare l'efficacia di uno specifico trattamento in una determinata popolazione Francesca Dondini 44 Altre strategie di ricerca possono essere la ricerca di pubblicazioni di un determinato autore, la ricerca di studi che citano una determinata pubblicazione, e tutti quei filtri resi disponibili all’interno delle banche dati maggiormente utilizzate come PsycINFO, PsycERIC, Pubmed, Scopus, Web of Science, ecc… Le strategie di ricerca usate devono essere esplicitate nella pubblicazione della metaanalisi. E’ pertanto necessario specificare le banche dati utilizzate, le chiavi di ricerca inserite, i filtri attivati e la data in cui è stata fatta l’estrazione. Quest’ultima generalmente è rappresentata dal mese e anno di riferimento, in quanto da un lato le ricerche risultano piuttosto lunghe e dall’altro in termini di pubblicazione, tra un giorno ed un altro non si registrano sostanziali modifiche. 4.4 Selezione degli studi primari Le operazioni di selezione degli studi che entreranno nella meta-analisi devono essere documentate con chiarezza e per farlo, è possibile seguire le linee guida PRISMA, compilando il seguente flow diagram: Figura 3 Prisma Flow Diagram Francesca Dondini 45 Lo studio può essere inserito in una meta-analisi solo se tratta ricerca empirica di primo livello, la meta-analisi è infatti uno studio di secondo livello composto da studi primari; si applica solo a ricerche che abbiano prodotto risultati quantitativi; a studi i cui dati possano essere confrontabili tra loro e in ultimo ad argomenti che vedano una congrua quantità di studi primari, che in psicologia vede un minimo di 15 studi confrontabili. 4.5 Valutazione dell’affidabilità della selezione La misura dell’affidabilità della selezione può essere svolta sia nella prima fase di valutazione dei soli titoli e abstract, sia nella seconda fase di valutazione dei full-text. Questo tipo di operazione può essere svolta in due modi, generalmente scelti in base alla quantità di persone coinvolte nel lavoro. Esiste il calcolo inter-giudice (inter-rater reliability) attraverso la valutazione del grado di accordo tra le scelte fatte da due o più giudici indipendenti; oppure il calcolo intra-giudice (intra-rater reliability) attraverso la valutazione del grado di accordo mostrato dalla stessa persona in due momenti differenti; in entrambi i casi il calcolo dell’affidabilità può essere fatto sia individuando la percentuale di accordo: 𝑁𝑁_1 + 𝑁𝑁_2 𝑁𝑁_𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡 Calcolo della percentuale di accordo tra giudici 𝑁𝑁1 = numero di studi per i quali i giudici sono d’accordo nell’inclusione 𝑁𝑁2 = numero di studi per il quali i giudici sono d’accordo nell’esclusione (La N al numeratore può essere composta sia dalla numerosità di accordo e disaccordo tra i due giudici, sia di accordo e disaccordo tra lo stesso giudice in momenti diversi). Sia attraverso la k di Cohen: 𝑎𝑎+𝑏𝑏 𝑁𝑁 (𝑎𝑎+𝑐𝑐)∗(𝑎𝑎+𝑑𝑑)∗(𝑏𝑏+𝑐𝑐)∗(𝑏𝑏+𝑑𝑑) Pr (a) = Pr (e) = k= 𝑁𝑁 2 𝑃𝑃𝑃𝑃(𝑎𝑎)−𝑃𝑃𝑃𝑃(𝑒𝑒) 1−𝑃𝑃𝑃𝑃(𝑒𝑒) Calcolo dell’accordo tra giudici attraverso la k di Cohen Pr (a) = accordi osservati Pr (e) = accordi attesi N = numero degli studi k = valori della k di Cohen a = n. di studi che entrambi i giudici decidono di inserire nella meta-analisi b = n. di studi che entrambi i giudici decidono di escludere dalla meta-analisi c = n. di studi inclusi dal primo giudice ed esclusi dal secondo d = n. di studi esclusi dal primo giudice ed inclusi dal secondo Per interpretare i risultati della k di Cohen sono stati definiti dei cut-off (Landis & Koch, 1977): Valori di k < 0.01 .01 - .20 .21-.40 .41-.60 .61-.80 .81-1.00 Grado di accordo Nullo Scarso Modesto Moderato Sostanziale Quasi perfetto Tabella 6 Interpretazione della k di Cohen – si considerano accettabili valori superiori a .61 Francesca Dondini 46 Quando vengono individuati molti riferimenti bibliografici, il controllo sull’affidabilità inter-giudice o intra-giudice non deve necessariamente essere condotto su tutti gli studi, ma è sufficiente limitare il controllo ad un sotto-campione random (20-25%). 4.6 Codifica degli studi primari Gli studi primari rappresentano la fonte di dati necessaria per testare le ipotesi. Per garantire la massima trasparenza nel processo, è necessario predisporre un protocollo di codifica, che definisca quali dati saranno estratti dagli studi primari e con quali modalità di estrazione. Così come nella ricerca primaria, è essenziale che lo strumento usato per la raccolta dei dati sia chiaro, quindi il protocollo di codifica deve essere ben strutturato in modo che chi lo utilizza, non abbia dubbi circa la sua applicazione. Nel protocollo di codifica possono essere inserite le seguenti voci: • • • • • • • • • Nome dello studio; Numerosità del campione (N); Età media del campione con DS fra parentesi; % di donne; % di minoranze etniche; Nazione in cui è stato svolto lo studio Tipologia di scala utilizzata nella misura; Tipologia della raccolta dati (self-report/others); Tipologia di studio (longitudinale/trasversale); Dati relativi alle caratteristiche dello studio • • • Anno di pubblicazione; Lingua di pubblicazione; Tipo di pubblicazione; Dati relativi alle caratteristiche della pubblicazione • • • Outcomes; Media (M) totale o di un sotto-campione; Deviazione standard (DS) totale o di un sotto-campione. Dati necessari per il calcolo dell’ES Quando lo studio primario non contiene i dati per il calcolo dell’effect-size, non sarà possibile inserirlo nella meta-analisi ma solo nella sintesi qualitativa. 4.7 Effect size L’effect size (ES) è la misura statistica della dimensione di un effetto (Ellis, 2010). Nella meta-analisi l’effect size può rappresentare la differenza tra due gruppi, ossia quanto è grande la differenza tra questi su una certa dimensione, oppure l’associazione tra due variabili, indicando quindi la forza del legame. Per ogni studio inserito della meta-analisi, viene calcolato l’effect size relativo all’outcomes esaminato e la sua varianza. Nello specifico, si possono presentare le seguenti situazioni: Su studi che mettono a confronto due gruppi indipendenti o appaiati e dati raccolti trasversalmente 46, l’ES fornirà informazioni circa la grandezza della 46 Dati raccolti in un unico momento temporale Francesca Dondini 47 differenza tra l’outcomes misurato nel primo gruppo e quello misurato nel secondo. Nel caso di gruppi appaiati, ad es. formati da coppie di gemelli, il confronto verrà fatto in base alla differenza di dati tra il primo gemello ed il secondo e alle differenze registrate nelle altre coppie coinvolte. Su studi che mettono a confronto due gruppi indipendenti e dati raccolti longitudinalmente 47, l’ES fornirà un confronto tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo e l’evoluzione dell’outcomes nel tempo. Su studi con un unico gruppo misurato longitudinalmente, l’ES riguarderà il confronto della performance di uno stesso gruppo nel tempo. Gli effect size si dividono in alcune grandi categorie in base alla tipologia di dati usati per calcolarli: - Negli effect size basati sulle medie viene fatto un confronto tra due gruppi (o su uno stesso gruppo in momenti temporali differenti) mediante i punteggi medi dell’outcomes di interesse. Le procedure percorribili si differenziano per modalità di operazionalizzazione e misurazione degli outcomes negli studi primari e sono: 1. la differenza media non standardizzata (raw unstandardized mean difference) utilizzabile se tutti gli studi primari hanno usato la stessa operazionalizzazione dell’outcomes. Viene calcolata mettendo a confronto due o più gruppi e le loro medie D (differenza media non standardizzata) = 𝑀𝑀1 - 𝑀𝑀2 Calcolo della differenze media non standardizzata La formula per il calcolo della varianza della differenza media non standardizzata differisce a seconda che assumiamo che i due gruppi abbiano la stessa deviazione standard oppure no. Nel caso si assuma che i due gruppi non abbiano la stessa deviazione standard la formula è la seguente: 𝑉𝑉𝐷𝐷 = 𝑆𝑆𝑆𝑆12 𝑆𝑆𝑆𝑆22 + 𝑛𝑛1 𝑛𝑛2 Calcolo della varianza della differenze media non standardizzata 2. la d di Cohen utilizzabile se le operazionalizzazioni degli studi primari sono diverse e quindi si rende necessario convertire i punteggi grezzi in effect size standardizzati e pertanto confrontabili. I dati di ingresso necessari sono le medie (𝑀𝑀1 𝑒𝑒𝑀𝑀2 ), le deviazioni standard (𝐷𝐷𝐷𝐷1e 𝐷𝐷𝐷𝐷2) e la numerosità (𝑛𝑛1 e 𝑛𝑛2 ) di entrambi i gruppi. Questi dati permettono di calcolare con massima precisione l’effect size rappresentato dalla d di Cohen: d= 𝑀𝑀1 − 𝑀𝑀2 𝐷𝐷𝐷𝐷𝑤𝑤ℎ𝑖𝑖𝑖𝑖ℎ𝑖𝑖𝑖𝑖 dove la 𝐷𝐷𝐷𝐷𝑤𝑤ℎ𝑖𝑖𝑖𝑖ℎ𝑖𝑖𝑖𝑖 = �(𝑛𝑛1 −1) 𝐷𝐷𝐷𝐷12 + (𝑛𝑛2 −1) 𝐷𝐷𝐷𝐷22 𝑛𝑛1 +𝑛𝑛2 −2 Calcolo della d di Cohen per gruppi indipendenti 𝑉𝑉𝑑𝑑 = 𝑛𝑛1 + 𝑛𝑛2 𝑑𝑑 2 + 2 (𝑛𝑛1 + 𝑛𝑛2 ) 𝑛𝑛1 𝑛𝑛2 Calcolo della varianza della d di Cohen A parità di d di Cohen, gli studi con numerosità elevata avranno minore varianza rispetto agli studi con numerosità limitata. Questo influirà sul peso che il singolo studio avrà nella meta-analisi. 47 Dati raccolti in momenti temporali differenti Francesca Dondini 48 La radice quadrata della Varianza della d di Cohen fornirà la dimensione dell’Errore Standard. Altro dato utile per assegnare significato alla d di Cohen: 𝑆𝑆𝑆𝑆𝑑𝑑 =�𝑉𝑉𝑑𝑑 Calcolo dell’Errore Standard Nel caso si voglia mettere a confronto due gruppi indipendenti analizzati nel tempo, oltre che alle medie, le deviazioni standard e la numerosità dei gruppi nei diversi momenti temporali di interesse, è necessario disporre della correlazione tra i punteggi pre e post, per poter procedere al calcolo della d di Cohen. Nel caso in cui la meta-analisi debba essere svolta su dati ricavati da gruppi appaiati, i dati che andranno presi in considerazione saranno costituiti dalle differenze all’interno della coppia, quindi: differenza tra i punteggi del 1° gemello rispetto al 2°; deviazione standard di questa differenza; ecc… . Dal momento che nella meta-analisi svolta nel presente lavoro non sono presenti questi casi, non entreremo ulteriormente nel dettaglio. L’interpretazione dei risultati ottenuti attraverso la d di Cohen avviene mediante dei cut-off 48 specifici che Cohen stesso ha definito: |.00| effetto nullo |.20| effetto piccolo |.50| effetto medio |.80| effetto grande 3. la g di Hedges, calcolata a partire dalla d di Cohen e preferibile nei casi in cui la numerosità campionaria dello studio primario è inferiore alle 15 unità. Se in una meta-analisi sono inseriti studi che hanno sia campioni grandi che piccoli, risulta comunque più opportuno utilizzare per la conversione dei dati, la g di Hedges per tutti. Questo effect size utilizza un fattore di correzione (J), che si applica alla d di Cohen per superare il problema dei piccoli campioni: J=1- 3 4𝑑𝑑𝑑𝑑−1 dove df = (𝑛𝑛1 − 1) + (𝑛𝑛2 -1)= 𝑛𝑛1 + 𝑛𝑛2 -2 Calcolo del coefficiente di correzione J Calcolo di df (gradi di libertà) Nel caso vengano presi in considerazione dati di gruppi appaiati oppure si confronti gruppi pre/post, i gradi di libertà saranno rappresentati da n – 1. Il fattore di correzione J è sempre inferiore a 1 e quindi la g di Hedges sarà sempre inferiore alla d di Cohen. Tuttavia le differenze tra d e g sono apprezzabili solo per numerosità campionarie molto piccole, su campioni ampi infatti la J si avvicina molto al valore 1 e quindi la g tende a coincidere con la d. La varianza della g di Hedges si calcola a partire dalla varianza della d di Cohen: - 𝑉𝑉𝑔𝑔 = 𝐽𝐽2 𝑉𝑉𝑑𝑑 Eventi 48 Calcolo della varianza della g di Hedges Negli effect size basati sui dati binari abbiamo il confronto tra due gruppi indipendenti nell’accadimento o meno di un evento. Questi effect size sono basati sulle frequenze e sulla numerosità dei gruppi e danno la possibilità di utilizzare più formati di ingresso, tra loro matematicamente equivalenti: Non eventi N Cohen (1988) cut-off di interpretazione dei valori assoluti della d di Cohen Francesca Dondini 49 Gruppo sperimentale Gruppo di controllo A C 𝑛𝑛1 𝑛𝑛2 B D • Eventi e numerosità (A,C, n1,n2) • Eventi, non eventi (A,B,C,D) • Non eventi e numerosità (B,D, n1,n2) A partire da questi dati, è possibile operare in modo differente e ricavare: 1. Il Risk ratio, che rappresenta il rapporto tra due rischi ed esattamente il rapporto tra il rischio del verificarsi di un evento nel gruppo sperimentale e quello nel gruppo di controllo. La formula per il calcolo è: Risk Ratio = 𝐴𝐴/𝑛𝑛1 𝐶𝐶/𝑛𝑛2 Calcolo del Risk Ratio Se l’effetto che stiamo studiando fosse nullo, ossia il rischio del verificarsi dell’evento fosse identico sia nel gruppo sperimentale che nel gruppo di controllo, allora avremmo un valore del Risk Ratio pari a 1. La sua varianza è invece: 𝑉𝑉 𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅 𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅= 1 𝐴𝐴 - 1 𝑛𝑛1 1 𝐶𝐶 + - 1 𝑛𝑛2 Calcolo della varianza del Risk Ratio 2. L’Odds ratio, dato dal rapporto tra due probabilità, quindi mettendo al numeratore il rapporto tra rischio dell’evento e del “non evento” all’interno del gruppo sperimentale, mentre al denominatore il rapporto tra il rischio dell’evento e del “non evento” nel gruppo di controllo: Odds Ratio = 𝐴𝐴/𝐵𝐵 𝐶𝐶/𝐷𝐷 = 𝐴𝐴𝐴𝐴 𝐵𝐵𝐵𝐵 Calcolo dell’Odds Ratio Anche in questo caso, se l’effect size è nullo, avremo un Odds Ratio pari a 1. Il calcolo della varianza è: 1 𝐴𝐴 𝑉𝑉𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂𝑂 𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅 = + 1 𝐵𝐵 1 𝐶𝐶 + + 1 𝐷𝐷 Calcolo della varianza dell’Odds Ratio 3. Il Risk Difference, che è la differenza tra due rischi, ossia la differenza tra il rischio che si verifichi l’evento nel gruppo sperimentale e nel gruppo di controllo. Il calcolo per la definizione del Risk Difference è il seguente: Risk Diff = 𝐴𝐴 𝑛𝑛1 - 𝐶𝐶 𝑛𝑛2 Calcolo del Risk Difference In questo caso, il valore che corrisponde a un effect size nullo è 0. Il calcolo della varianza è il seguente: - 𝑉𝑉𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅𝑅 𝐷𝐷𝐷𝐷𝐷𝐷𝐷𝐷 = 𝐴𝐴𝐴𝐴 𝑛𝑛13 + 𝐶𝐶𝐶𝐶 𝑛𝑛23 Calcolo della varianza del Risk Difference Gli effect size basati sulle correlazioni, indicano la relazione tra due variabili. In questo caso il “gold data entry format” è dato dal coefficiente di correlazione e dalla numerosità campionaria. Il coefficiente di correlazione può assumere valori compresi tra -1 e +1 e può quindi essere una correlazione negativa, ossia all’aumentare di una variabile corrisponde una diminuzione nell’altra variabile e viceversa; una correlazione positiva, ossia all’aumentare o al diminuire di una variabile corrisponde un aumento o una diminuzione dell’altra; oppure nulla, ossia prossima allo zero e quindi le variabili sono tra loro indipendenti per cui al Francesca Dondini 50 variare di una non corrisponde la variazione dell’altra. I cut-off utili per valutare la forza di un legame correlazionale 49 sono: |.00| = correlazione nulla |.10| = correlazione piccola |.30| = correlazione moderata |.50| = correlazione forte Il quadrato del coefficiente di correlazione indica la percentuale di varianza che hanno in comune due variabili. Per esempio, se tra la manifestazione di sintomi ansiosi e depressivi ci fosse una correlazione di .50, ciò vorrebbe dire che queste due sintomatologie avrebbero in comune il 25% della varianza (.50 * .50 = .25). E’ importante ricordare che una correlazione esprime un’associazione tra due variabili ma non un legame causa-effetto. Nell’ambito delle correlazioni, l’Effect Size può essere calcolato attraverso: 1. La correlazione di Pearson (r) che è utilizzata per esprimere la forza dell’associazione di due variabili continue e per consentire i calcoli metaanalitici, deve essere convertita in punteggi z di Fisher: z = 0.5 ln ( - 1+𝑟𝑟 1−𝑟𝑟 ) mentre le varianza…. 𝑉𝑉𝑧𝑧 = 1 𝑛𝑛−3 Conversione in punteggio z di Fisher e sua varianza Gli effect size basati sull’hazard ratio si applicano per esaminare se e quando si verificherà un certo evento. Si tratta di un tipo di analisi usata principalmente per predire fallimenti come l’inefficacia di un trattamento. In tal caso occorre codificare dagli studi primari i risultati che confrontano gli hazard rate e cioè la probabilità che un partecipante alla sperimentazione mantenga un determinato stato nel tempo. Tale confronto è dato dall’hazard ratio che rappresenta il rapporto tra due hazard rate. Quindi il “gold data entry format” è dato dall’hazard ratio e il suo intervallo di confidenza 50. Riassumendo, per ogni tipologia di effect size c’è un “gold data entry format”: - Effect size basati sulle medie vengono calcolati utilizzando medie, deviazioni standard e numerosità dei gruppi; - Effect size basati sui dati binari vengono calcolati utilizzando frequenze e numerosità dei gruppi; - Effect size basati sulle correlazioni vengono calcolati utilizzando correlazione e numerosità campionaria; - Effect size basati sull’hazard ratio vengono calcolati utilizzando hazard ratio e intervallo di confidenza. Una volta recuperati i dati attraverso queste formule di sintetizzazione, è necessario verificare se è possibile confrontare effect size diversi nella meta-analisi. L’obiettivo è quello di, attraverso la conversione dei vari effect size, ricondurli ad una stessa metrica. La d di Cohen, l’Odds Ratio e la correlazione di Pearson possono essere convertiti tra loro attraverso una serie di formule che i software per fare meta-analisi contengono già al loro interno. L’hazard ratio è l’unico effect size che non può essere convertito in altre forme. Una volta trovati i singoli effect size, è possibile calcolare l’errore standard: 49 50 Cohen (1988) Fornisce la misura della precisione del risultato Francesca Dondini 51 E l’intervallo di confidenza: 𝑆𝑆𝑆𝑆𝐸𝐸𝐸𝐸 = �𝑉𝑉𝑆𝑆𝑆𝑆 Calcolo dell’errore standard dell’effect size 𝐿𝐿𝐿𝐿𝐸𝐸𝐸𝐸 = ES – 1.96*𝑆𝑆𝑆𝑆𝐸𝐸𝐸𝐸 𝑈𝑈𝑈𝑈𝐸𝐸𝐸𝐸 = ES + 1.96*𝑆𝑆𝑆𝑆𝐸𝐸𝐸𝐸 Calcolo dell’intervallo di confidenza dell’effect size Tanto più è piccolo l’intervallo di confidenza, tanto più l’effect size è preciso. Inoltre dall’intervallo di confidenza è possibile inferire la significatività statistica dell’effect size, in quanto se include il valore che corrisponde all’effect size nullo, allora il risultato è statisticamente non significativo, mentre se non lo include, il risultato è staticamente significativo. 4.8 Calcolo dell’effect size globale Per il calcolo dell’effect size globale è necessario scegliere il formato da utilizzare. Se per tutti gli studi primari è stato utilizzato lo stesso tipo di effect size, la scelta ovviamente ricadrà su quella tipologia, mentre se gli studi primari presentano effect size di tipo diverso, la scelta deve tenere conto dei seguenti fattori: la tipologia di dati riportati in misura predominante negli studi primari; le proprietà matematiche dell’effect size, privilegiando tipologie che consentano una conversione; l’interpretabilità dei risultati, orientandosi su effect size di più facile interpretazione, come il Risk Ratio, la d di Cohen e la correlazione di Pearson. Una volta definito il formato dell’effect size globale, è necessario fare la riconversione degli effect size dei singoli studi. La fase successiva prevede l’assegnazione di un peso (Weight – W) ad ogni studio attraverso due modelli statistici: - Il Fixed-effect model che parte dall’assunto che ci sia un unico vero effect size comune a tutti gli studi primari. E’ questo il motivo per cui in questo modello si parla di “effetto” al singolare. Nel fixed effetc model le differenze che si riscontrano tra i vari studi sono attribuibili a un’unica fonte di varianza, la varianza within-study. Il peso assegnato a ogni studio si calcola come l’inverso della varianza: 𝑊𝑊𝑖𝑖 = 1 𝑉𝑉𝑖𝑖 Calcolo del peso dello studio nel fixed-effect model Una volta definito il peso, è possibile procedere al calcolo dell’effect size globale mettendo al numeratore la sommatoria per ogni studio del prodotto dei pesi per i singoli effect size e al denominatore la sommatoria dei pesi: ES = ∑𝑘𝑘 𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖 𝐸𝐸𝐸𝐸𝑖𝑖 ∑𝑘𝑘 𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖 Calcolo dell’effect size globale nel fixed-effect model Ogni volta che si procede al calcolo dell’effect size globale, è indispensabile calcolare la varianza e l’errore standard, per poter poi calcolare l’intervallo di confidenza. L’idea che tutti gli studi, al netto degli errori insiti in ogni studio, dovrebbero riportare lo stesso valore di effect size, nella realtà risulta difficilmente Francesca Dondini 52 - sostenibile, quindi questo modello nella pratica è poco utilizzato. Inoltre, in questo modello, tanto più uno studio ha un campione numeroso, tanto più la varianza è piccola, quindi quando si assegna il peso, gli studi con campioni ampi avranno molto più peso degli studi con piccoli campioni. Il Random-effects model che parte dall’assunto che gli effect size dei vari studi siano distribuiti in maniera normale, quindi l’effect size osservato si discosta dall’effect size globale e tale scarto si origina da due forme di varianza, la varianza within-study, rappresentata dalla discrepanza tra effect size osservato ed il vero effect size di ogni studio; dalla varianza between-studies (𝑇𝑇 2 , Tau square), rappresentata dallo scarto tra effect size vero ed effect size globale. Entrambe le forme di varianza entrano in gioco della definizione del peso assegnato ad ogni studio, in quanto la varianza si ottiene sommando la varianza within-study e la varianza between-studies: 𝑉𝑉𝑖𝑖∗ = 𝑉𝑉𝑖𝑖 + 𝑇𝑇 2 Calcolo della varianza nel random-effects model Il calcolo dei valori utili per ottenere questo risultato, sono: 𝑇𝑇 2 = Q= 𝑄𝑄−𝑑𝑑𝑑𝑑 𝐶𝐶 Calcolo di 𝑇𝑇𝑇𝑇𝑇𝑇2 ∑𝑘𝑘 𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖 𝐸𝐸𝐸𝐸𝑖𝑖 ∑𝑘𝑘 𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖 df = k -1 C = ∑𝑘𝑘𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖 - 2 ∑𝑘𝑘 𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖 ∑𝑘𝑘 𝑊𝑊 𝑖𝑖=1 𝑖𝑖 Calcolo del valore Q Calcolo dei gradi di libertà Calcolo del valore C Ed in fine è possibile quindi trovare il peso di ogni studio nel random-effects model: 𝑊𝑊𝑖𝑖∗ = 1 𝑉𝑉1∗ Calcolo del peso nel random-effects model In ultimo è possibile procedere al calcolo dell’effect size globale con la stessa formula utilizzata del fixed-effect model: ES = ∗ ∑𝑘𝑘 𝑖𝑖=1 𝑊𝑊 𝑖𝑖 𝐸𝐸𝐸𝐸𝑖𝑖 ∗ ∑𝑘𝑘 𝑖𝑖=1 𝑊𝑊 𝑖𝑖 Calcolo dell’effect size globale nel random-effects model Si procede quindi al calcolo della varianza dell’effect size globale: 1 ∗ 𝑉𝑉𝐸𝐸𝐸𝐸 = 𝑘𝑘 ∑𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖∗ Calcolo della varianza dell’effect size globale nel random-effects model Il calcolo dell’errore standard ∗ ∗ 𝑆𝑆𝑆𝑆𝐸𝐸𝐸𝐸 = �𝑉𝑉𝐸𝐸𝐸𝐸 Calcolo dell’errore standard nel random-effects model E in ultimo all’intervallo di confidenza ∗ 𝐿𝐿𝐿𝐿∗𝐸𝐸𝐸𝐸 = 𝐸𝐸𝐸𝐸 ∗ - 1.96* 𝑆𝑆𝑆𝑆𝐸𝐸𝐸𝐸 ∗ ∗ ∗ 𝑈𝑈𝑈𝑈𝐸𝐸𝐸𝐸 = 𝐸𝐸𝐸𝐸 + 1.96* 𝑆𝑆𝑆𝑆𝐸𝐸𝐸𝐸 Calcolo dell’intervallo di confidenza nel random-effects model Francesca Dondini 53 Il modello random permette di bilanciare meglio i pesi assegnati agli studi primari inseriti nella meta-analisi perché tiene conto di due forme di varianza. L’errore standard e il relativo intervallo di confidenza saranno però più ampi, di conseguenza, con effect size globali che si collocano vicino al valore nullo, l’utilizzo di questo modello comporta un maggior rischio di produrre uno studio statisticamente non significativo. In generale, il random-effects model rappresenta un approccio più conservativo, inoltre le conclusioni ottenute, sono generalizzabili ad altri studi. Per questi motivi al momento risulta il modello maggiormente utilizzato. 4.9 Definizione dei risultati Calcolando l’effect size globale si fornisce una risposta alla domanda di ricerca sia valutando la significatività statistica dell’effetto globale, sia valutandone la dimensione. I risultati devono essere riportati in modo chiaro seguendo delle regole precise per agevolarne la leggibilità. E’ necessario quindi raccogliere all’interno di una tabella i dati salienti dell’indagine, quali: 1. Variabile osservata (outcome); 2. Numero totale degli studi inseriti nella meta-analisi (k). 3. Numerosità del gruppo/i (n1, n2); 4. Effect size globale ed il suo intervallo di confidenza (ES-CI) con la specifica del formato utilizzato (es. d di Cohen). Oltre ad una tabella riportante i valori ottenuti, all’interno della meta-analisi è buona prassi riportare i risultati in forma grafica mediante l’utilizzo del forest plot con riportati i risultati dei singoli studi e quello globale: Legenda : Quadrato – indica l’effect size di ogni studio. La posizione indica il valore dell’effect size e la dimensione rappresenta il peso. Rombo – indica l’effect size globale. Linea orizzontale – indica l’intervallo di confidenza dell’effect size di ogni studio e di quello globale. Linea verticale – indica il valore nullo Linea verticale tratteggiata in corrispondenza del rombo – mostra come si distribuiscono gli studi primari rispetto all’effect size globale. Figura 4 FOREST PLOT Avendo una visione globale sia dei vari effect size sia di come questi si collocano rispetto all’effect size globale, è possibile individuare degli studi considerati “outlier” i cui risultati sono eccessivamente differenti da quelli riportati nelle altre ricerche. In questi casi non è consigliabile eliminare tali studi dalla meta-analisi ma è utile cercare di individuare il motivo per cui i risultati siano così discordanti. Una prima verifica potrebbe indagare se esistono caratteristiche peculiari e distintive che rendono problematico il confronto dei risultati con gli altri studi. In questo caso è bene Francesca Dondini 54 riportare queste informazioni all’interno della meta-analisi. Inoltre è possibile compiere un’analisi di sensitività (sensitivity analysis) per valutare che impatto hanno questi studi sul risultato finale della meta-analisi, riportando sempre i risultati ottenuti all’interno del lavoro. La valutazione di sensitività viene fatta ripetendo i calcoli della meta-analisi su tutti gli studi inseriti, tranne quello outlier (o il gruppo di studi outlier). 4.10 Verifica di eterogeneità Valutare l’eterogeneità implica esaminare se e in che misura c’è eterogeneità tra gli studi inclusi nella meta-analisi. Il calcolo viene eseguito mediante la stima del Q: Q = ∑𝑘𝑘𝑖𝑖=1 𝑊𝑊𝑖𝑖 (𝐸𝐸𝐸𝐸𝑖𝑖 − 𝐸𝐸𝐸𝐸)2 Calcolo di Q Il valore di Q è la sommatoria pesata delle differenze elevate al quadrato tra gli effect size di ogni studio e l’effect size globale. Per comprendere invece il grado di questa eterogeneità è necessario calcolare l’indice 𝐼𝐼2 , che indica la porzione di varianza osservata, riflettendo le reali differenze tra gli effect size degli studi: 𝑄𝑄−𝑑𝑑𝑑𝑑 � 𝑄𝑄 𝐼𝐼 2 = 100 � 2 Calcolo di 𝐼𝐼2 I cut-off per l’interpretazione dell’𝐼𝐼 definiti da Higgins e collaboratori sono: 25% bassa eterogeneità 50% media eterogeneità 75% alta eterogeneità Anche questi ultimi dati, devono essere inseriti nella tabella riassuntiva della metaanalisi, che nel complesso deve riportare i seguenti dati: Outcomes k Cohen’s d […CI] Q 𝒏𝒏𝟏𝟏 − 𝒏𝒏𝟐𝟐 𝑰𝑰𝟐𝟐 xxx xxx xxx xxx xxx xxx Esempio di tabella riassuntiva dei dati raccolti Quando i risultati della meta-analisi sono caratterizzati da un certo grado di eterogeneità, è necessario comprenderne il motivo esaminando i moderatori 51 dei risultati ottenuti. Se, avendo due variabili (a,b), dalla meta-analisi emerge un legame significativo tra queste e i risultati sono caratterizzati da elevata eterogeneità, è probabile che in alcuni studi il legame sia debole mentre il altri sia più marcato. Quindi quali fattori (moderatori) possono spiegare tali differenze? I moderatori agiscono sulla forza del legame tra le due variabili ma non direttamente sulle variabili a e b. I moderatori possono essere sia categoriali che numerici, nel primo caso vengono testati mediante l’analisi dei sottogruppi, mentre nel secondo caso viene applicata la meta-regressione: Moderatori categoriali – se ad esempio in una meta-analisi viene analizzata la correlazione tra reddito e qualità della vita, un possibile moderatore categoriale potrebbe essere rappresentato dal contesto culturale della ricerca. Quindi l’analisi ha l’obiettivo di verificare in quali contesti culturali questo legame è differente, testando l’effetto del moderatore “contesto culturale” sull’effect size. Quindi 51 Il moderatore della relazione tra due variabili è dato da una terza variabile che covaria con l’entità della relazione stessa. Nella meta-analisi il moderatore è il fattore che si ipotizza influire sulla variazione dell’effect size nei diversi studi in cui tale fattore è presente. Francesca Dondini 55 utilizzando come indicatore la nazione nella quale è stato condotto il test, si verifica se sono necessarie delle ricodifiche delle variabili moderatrici. Viene quindi calcolato un effect size per ogni livello e applicato il Q-test, basato sull’analisi della varianza, per esaminare se la differenza tra i valori dei livelli è statisticamente significativa. La varianza totale (somma degli scarti quadratici di tutti i singoli valori rispetto alla media generale) viene scomposta nella varianza within (somma degli scarti quadratici dei singoli valori rispetto alla media del gruppo a cui appartengono ) e nella varianza between (somma degli scarti quadratici delle medie dei singoli gruppi dalla media generale). Usando la distribuzione del 𝐶𝐶ℎ𝑖𝑖 2 si testa se il valore di 𝑄𝑄𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏𝑏 con un numero di gradi di libertà (df) pari al numero del gruppo -1, è statisticamente significativo. Qualora lo sia, si potrà concludere che il moderatore ha un effetto significativo sull’effect size. Moderatori numerici – se ad esempio nella meta-analisi come moderatore viene presa in considerazione l’età dei soggetti presenti nel campione, l’obiettivo del verificare l’influenza sull’effect size può essere raggiunto attraverso una metaregressione espressa dalla seguente funzione: Y = Intercept + slope*x Meta-regressione sull’effect size Dove Y è la variabile dipendente, ossia l’effect size, x è il moderatore e l’intercetta esprime il valore che la Y assume quando x è uguale a zero, mentre slope indica il coefficiente angolare della retta di regressione. Il valore di slope unito al suo livello di significatività statistica, è il risultato di maggiore interesse, in quanto se è statisticamente significativo indica che al variare dei valori del moderatore varia anche la dimensione dell’effect size. 4.11 Publication bias Il publication bias indica la situazione che si presenta quando gli studi pubblicati non sono rappresentativi della popolazione totale degli studi disponibili su un dato argomento 52. Questa condizione si può presentare attraverso un continuum di gradazioni che vanno da situazioni dove una grande quantità di studi non sono rintracciabili attraverso le procedure classiche, a situazioni dove solo una piccola parte delle ricerche è non rintracciabile. Il publication bias è un fenomeno che ha sempre caratterizzato la ricerca scientifica. Alcuni studi infatti non superano il vaglio dei referee 53 perché non risultano effettuati con grande rigore metodologico, non sono statisticamente significativi o perché presentano risultati contrari all’ipotesi al momento più accreditata, quindi non vengono pubblicati o comunque vengono pubblicati su riviste a basso impact e quindi meno rintracciabili. Il publication bias rappresenta la più importante minaccia alla validità di una metaanalisi, quindi è necessario definirne l’impatto, che può essere: Minimo, ossia gli studi non inclusi non cambiano i risultati della meta-analisi; Modesto, ossia cambiano i risultati in modo non sostanziale; 52 Rothstein et al., 2005 53 esperti nel settore scientifico trattato dall'autore della pubblicazione, che redigono un parere motivatamente favorevole o contrario alla pubblicazione Francesca Dondini 56 Severo, ossia cambiano i risultati in modo sostanziale. Per poter valutare il publication bias e individuare la sua entità sono stati introdotti i seguenti metodi: • FAILSAFE N, introdotto da Rosenthal nel 1979, è uno dei primi strumenti sviluppati per valutare il publication bias e continua ad essere ampiamente utilizzato nelle scienze sociali, mentre non viene applicato nell’ambito medico. L’assunto è che è più probabile che siano pubblicati studi con risultati statisticamente significativi rispetto a quelli non significativi. Se questo si verifica, gli studi inseriti nella meta-analisi possono sovrastimare l’effect size. Partendo da questa premessa il Failsafe N viene calcolato per sapere quanti studi con effect size nullo sarebbero necessari per rendere l’effect size globale non significativo: ∑ 𝑧𝑧 2 N ≥ � 𝑧𝑧 𝑖𝑖� – k 𝑎𝑎 • Calcolo del Failsafe N Al numeratore viene calcolata la sommatoria del punti z dei test di significatività degli studi primari, al denominatore viene indicato il valore z corrispondente a un determinato livello di significatività (es. z=1.96 corrisponde a p=.05) e k è il numero totale di studi inclusi nella meta-analisi. Ne scaturisce che il Failsafe N si calcola solo se il risultato della meta-analisi è statisticamente significativo. L’interpretazione del dato deriva dal fatto che se N > (5k + 10), i risultati non indicano la presenza di publication bias. FUNNEL PLOT, uno strumento grafico introdotto da Light e Pillemer nel 1984. Già attraverso l’analisi del forest plot, ordinando i risultati degli studi primari in base alla numerosità dei campioni, se il grafico risulta asimmetrico e gli studi con campioni piccoli riportano sistematicamente risultati significativi in accordo con l’ipotesi, è plausibile pensare che possano esserci publication bias. Similmente il funnel plot ordina graficamente gli studi primari su un asse orizzontale che riporta Figura 5 FUNNEL PLOT l’effect size. Nell’asse verticale si riporta l’errore standard, mentre le linee oblique indicano il 95% di CI intorno all’effect size globale. Ogni cerchio rappresenta uno studio primario e la loro posizione è data dalla numerosità del campione che li compongono, quelli posizionati nella parte più alta sono quelli con campioni più ampi mentre nella parta più bassa sono presenti gli studi con campioni più ridotti. Se quest’ultima parte risulta asimmetrica, quindi riporta gli studi con campione ridotto sul lato che contiene la concordanza con l’ipotesi, è possibile che altri studi con campioni ridotti (quindi Francesca Dondini 57 • • con scarsa potenza statistica), essendo in contrasto con l’ipotesi, non abbiamo superato il controllo dei referee e quindi non siano stati pubblicati. Questo strumento risulta però poco utile nelle meta-analisi composte da un numero di studi inferiori a cinque, in quanto non è così evidente cogliere un’asimmetria nella configurazione grafica. EGGER’S LINEAR REGRESSION METHOD E BEGG AND MAZUMDAR’S RANK CORRELATION METHOD, composto da due test introdotti per compensare la soggettività nella valutazione grafica del funnel plot. Entrambi testano statisticamente l’asimmetria del funnel plot. Il test di Egger effettua la valutazione del publication bias mediante un’analisi di regressione in cui l’effect size è predetto dalla slope della retta di regressione moltiplicata per la precisione (inverso dell’errore standard), mentre il bias è catturato dall’intercetta. Un risultato statisticamente significativo indica l’asimmetria del funnel plot. Il test di Begg e Mazumdar consiste nel calcolare l’associazione tra le stime dell’effect size e le loro varianze stabilizzate utilizzando in rank correlation di Kendall. Anche in questo caso, un risultato statisticamente significativo indica l’asimmetria del funnel plot. TRIM AND FILL METHOD, introdotto da Duval e Tweedie nel 2000, al momento risulta il metodo più completo per la valutazione del publication bias. Si basa sulla distribuzione del funnel plot e parte dall’assunto che gli studi mancanti possono avere sia risultati significativi che non significativi, quindi questo metodo procede in ordine a: 1) eliminare la parte asimmetrica del funnel plot in quanto affetta da publication bias; 2) ricalcolo di un ES globale stimato sulla base degli studi simmetrici, riducendo quindi la varianza e l’intervallo di confidenza. Il Trim and fill produce quindi due risultati: un ES calcolato sugli studi simmetrici ed il numero di studi che si rende necessario tagliare perché asimmetrici. Se il numero di studi eliminati è pari a zero, non c’è publication bias, mentre se questo è ≥ 1 è necessario confrontare i due effect size. Quando l’ES stimato e l’ES globale rimangono nella stessa fascia (es. se è grande rimane grande) è possibile concludere che l’impatto del publication bias è minimo. Se il dato si sposta di una sola fascia, viene definito un impatto moderato, mentre se un ES da grande diventa piccolo, allora l’impatto viene definito severo. 4.12 Pubblicazione di una meta-analisi Nella pubblicazione di una meta-analisi è necessario seguire alcune regole di forma. All’interno delle linee guida PRISMA (Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-Analyses, 2009) sono presenti 27 items, divisi in 7 sezioni, utilizzabili in fase di definizione della meta-analisi per la raccolta delle informazioni utili. Per ognuno di essi dovrà essere indicato se e a che pagina il dato è contenuto nella meta-analisi. Gli items sono i seguenti: Francesca Dondini 58 Section/topic # Checklist item 1 Identify the report as a systematic review, meta-analysis, or both. 2 Provide a structured summary including, as applicable: background; objectives; data sources; study eligibility criteria, participants, and interventions; study appraisal and synthesis methods; results; limitations; conclusions and implications of key findings; systematic review registration number. Rationale 3 Describe the rationale for the review in the context of what is already known. Objectives 4 Provide an explicit statement of questions being addressed with reference to participants, interventions, comparisons, outcomes, and study design (PICOS). Protocol and registration 5 Indicate if a review protocol exists, if and where it can be accessed (e.g., Web address), and, if available, provide registration information including registration number. Eligibility criteria 6 Specify study characteristics (e.g., PICOS, length of follow-up) and report characteristics (e.g., years considered, language, publication status) used as criteria for eligibility, giving rationale. Information sources 7 Describe all information sources (e.g., databases with dates of coverage, contact with study authors to identify additional studies) in the search and date last searched. Search 8 Present full electronic search strategy for at least one database, including any limits used, such that it could be repeated. Study selection 9 State the process for selecting studies (i.e., screening, eligibility, included in systematic review, and, if applicable, included in the metaanalysis). Data collection process 10 Describe method of data extraction from reports (e.g., piloted forms, independently, in duplicate) and any processes for obtaining and confirming data from investigators. Data items 11 List and define all variables for which data were sought (e.g., PICOS, funding sources) and any assumptions and simplifications made. Risk of bias in individual studies 12 Describe methods used for assessing risk of bias of individual studies (including specification of whether this was done at the study or outcome level), and how this information is to be used in any data synthesis. Summary measures 13 State the principal summary measures (e.g., risk ratio, difference in means). Synthesis of results 14 Describe the methods of handling data and combining results of studies, if done, including measures of consistency (e.g., I2) for each meta-analysis. Risk of bias across studies 15 Specify any assessment of risk of bias that may affect the cumulative evidence (e.g., publication bias, selective reporting within studies). Additional analyses 16 Describe methods of additional analyses (e.g., sensitivity or subgroup analyses, meta-regression), if done, indicating which were prespecified. Reported on page TITLE Title ABSTRACT Structured summary INTRODUCTION METHODS Francesca Dondini 59 RESULTS Study selection 17 Give numbers of studies screened, assessed for eligibility, and included in the review, with reasons for exclusions at each stage, ideally with a flow diagram. Study characteristics 18 For each study, present characteristics for which data were extracted (e.g., study size, PICOS, follow-up period) and provide the citations. Risk of bias within studies 19 Present data on risk of bias of each study and, if available, any outcome level assessment (see item 12). Results of individual studies 20 For all outcomes considered (benefits or harms), present, for each study: (a) simple summary data for each intervention group (b) effect estimates and confidence intervals, ideally with a forest plot. Synthesis of results 21 Present results of each meta-analysis done, including confidence intervals and measures of consistency. Risk of bias across studies 22 Present results of any assessment of risk of bias across studies (see Item 15). Additional analysis 23 Give results of additional analyses, if done (e.g., sensitivity or subgroup analyses, meta-regression [see Item 16]). Summary of evidence 24 Summarize the main findings including the strength of evidence for each main outcome; consider their relevance to key groups (e.g., healthcare providers, users, and policy makers). Limitations 25 Discuss limitations at study and outcome level (e.g., risk of bias), and at review-level (e.g., incomplete retrieval of identified research, reporting bias). Conclusions 26 Provide a general interpretation of the results in the context of other evidence, and implications for future research. 27 Describe sources of funding for the systematic review and other support (e.g., supply of data); role of funders for the systematic review. DISCUSSION FUNDING Funding Tabella 7 Item per la pubblicazione di una meta-analisi “Linea guida PRISMA” 5. Meta-analisi sugli strumenti di diagnosi per la dislessia Passo dopo passo andiamo a ripercorrere le fasi analizzate nel paragrafo precedente capendo come sono state messe in pratica: 5.1 Definizione dell’argomento di ricerca Il background di riferimento è la popolazione di bambini tra i 7 ed i 9 anni, nel range di età di prima diagnosi sui disturbi specifici dell’apprendimento ed in particolare, sui bambini per i quali si sospetta la presenza di dislessia. Il termine dislessia qui non è inteso come generico e riferibile a tutti i disturbi specifici di apprendimento ma alle difficoltà legate ad una lettura lenta e scorretta. Quindi bambini che tra la fine della 2° classe e durante la 3° classe della scuola primaria di primo grado, vengono inseriti nel processo diagnostico perché considerati portatori di comportamenti a rischio (v. par. 3.3 ; 3.3.2). L’ipotesi di questa ricerca si basa sul fatto che i bambini bersaglio sono entrati nel processo di apprendimento della letto-scrittura da meno di 2 anni nel momento in cui vengono inseriti nel processo diagnostico. Fino all’età prescolare risultano essere, nella maggior parte dei casi, completamente analfabeti. Questo significa che livelli Francesca Dondini 60 prestazionali differenti, possono essere imputabili sia alla reale presenza di un disturbo specifico dell’apprendimento, ma anche ad altri fattori come: un ritardo nello sviluppo cognitivo delle abilità specifiche coinvolte nella lettura; un insegnamento non efficace da parte dell’insegnante; eventi esterni che possono aver diminuito la motivazione all’apprendimento; un deficit sensoriale presente nei primi anni di scolarizzazione e risolto al momento della diagnosi. Allora, mentre il ritardo nello sviluppo cognitivo viene preso in considerazione all’interno dei processi diagnostici effettuando preventivamente dei test sul QI come le scale Wechsler, il livello o la qualità dell’insegnamento non vengono prese in considerazione, delegando all’insegnante stesso l’eventuale attività di potenziamento e recupero prima della segnalazione alla famiglia della criticità. In questo caso è facile comprendere che se la difficoltà deriva da una mancanza di sintonia tra metodo di insegnamento e allievo, è plausibile presumere che anche l’attività di recupero possa risultare fallimentare. Come anche, situazioni traumatiche non considerate gravi e impattanti, come la separazione dei genitori piuttosto che un difficile inserimento nell’ambiente scolastico, sono considerate dall’operatore che effettua la diagnosi di dislessia ma solo in maniera marginale, non andando a modificare in modo oggettivo e regolamentato i livelli prestazionali delle prove di lettura. In ultimo, possono verificarsi casi di difficoltà all’apprendimento per un deficit sensoriale che al momento della diagnosi può essere stato superato, come ad esempio un bambino che ha dovuto mettere gli occhiali all’inizio della scuola primaria in una fase successiva ai primi apprendimenti, rallentando l’acquisizione delle abilità di lettura e portando il soggetto ad un livello prestazionale inferiore rispetto alle medie di riferimento. A questo punto l’ipotesi che si cerca di verificare è la seguente: Se l’insegnamento della lettura risulta non efficace, allora i bambini potrebbero presentare una lettura lenta e piena di errori nei test diagnostici per la dislessia. Quindi questi test possono essere considerati validi e quindi discriminare tra reale presenza di disturbi specifici dell’apprendimento o la presenza di altre variabili che hanno determinato il livello prestazionale più basso delle funzioni indagate? In altri termini si cerca, attraverso l’analisi di studi primari già presenti in letteratura, di verificare la validità interna e di costrutto che presentano i test diagnostici utilizzati in questi casi ed in particolare dei test: Prove MT-2; Prove DDE-2. E’ necessario quindi verificare se i risultati delle due batterie possono essere inquinati da una variabile confusa che covaria con quella indipendente. Esplicitamente se le prestazioni sotto media che possono risultare dalla somministrazione dei test sopra indicati, possono essere considerate variabili dipendenti non dalla variabile indipendente data dalla presenza dei disturbi ma da variabili terze rappresentate dal livello e qualità dell’insegnamento ricevuto dall’allievo, piuttosto che dalla demotivazione all’apprendimento, oppure da un deficit sensoriale presente solo nelle prime fasi di apprendimento della letto-scrittura. Francesca Dondini 61 L’operazionalizzazione dei parametri da verificare poteva essere compiuta attraverso delle prove di validità degli strumenti utilizzati, inserendo queste all’interno della meta-analisi. Un altro tentativo poteva essere fatto mettendo in correlazione i dati ricavati di Media e Deviazioni Standard all’interno dei test e la presenza di una scarsa motivazione all’apprendimento. Oppure poteva essere utile verificare se esistono studi longitudinali che presentano, dopo un periodo di addestramento specifico, bambini con un recupero totale delle abilità e quindi imputabili ad una diagnosi di “falso positivo”. Il recupero totale delle abilità risulta infatti un dato inequivocabile, in quanto dalle ricerche effettuate per questa tesi, in ogni documento ufficiale viene riportato che “…i disturbi specifici dell’apprendimento permangono anche in età adulta”. Purtroppo al momento non sono stati trovati studi che presentino i dati utili per questo genere di verifica. Quindi, considerando che i parametri di Media tenderanno ad inglobare tutti i casi sopra elencati, l’unica strada percorribile è risultata essere l’aggregazione dei risultati degli studi primari che mostrano i livelli prestazionali di velocità e correttezza nella lettura, inserendo gli stessi suddivisi per tipologia all’interno della meta-analisi. Ampliando il campione di riferimento ho cercato innanzitutto di verificare se il risultato ottenuto conferma i dati di Media inseriti nei manuali dei test presi in esame. Questo tipo di ricerca nasce dalla necessità di distinguere una reale presenza di disturbo specifico dell’apprendimento, rispetto ad un rallentamento determinato da cause differenti. La definizione dell’eziologia risulta fondamentale in quanto gli interventi necessari per la gestione della difficoltà risultano differenti in funzione della causa che ha determinato la prestazione sotto media. Per un bambino, una diagnosi positiva di DSA attiva delle procedure compensative e dispensative che potrebbero risultare deleterie se le prestazioni sotto media non derivano da una reale presenza di dislessia ma sono legate ad esempio a un cattivo apprendimento. 5.2 Definizione dei criteri di inclusione ed esclusione Data l’ipotesi formulata al punto precedente e le norme di PICOS a cui faremo riferimento, i criteri di inclusione ed esclusione, sono i seguenti: Participants – la popolazione alla quale faremo riferimento è rappresentata dai bambini che si trovano tra la fine della seconda classe e tutta la terza classe della scuola primaria di primo grado, inseriti nel contesto educativo italiano e che non presentano peculiarità che possano incidere negativamente sull’apprendimento della letto-scrittura. Saranno quindi esclusi dalla meta-analisi studi specifici effettuati su bambini stranieri, con ritardo mentale, autistici ecc… saranno invece presi in considerazione studi su bambini che pur non possedendo queste particolarità, saranno inseriti nelle prove per la diagnosi della dislessia. Come già specificato nel punto precedente, la verifica si concentrerà sulla diagnosi per dislessia e non prenderà in considerazione altri disturbi specifici dell’apprendimento come la disortografia, la discalculia o la disgrafia come anche il disturbo della comprensione del testo imputabile a quei bambini definiti “cattivi lettori”. Francesca Dondini 62 Interventions – non trattandosi di una verifica su interventi riabilitativi, per “interventions” si intendono i risultati raccolti in fase di somministrazione delle prove di lettura e quindi Media e Deviazioni Standard registrate all’interno dei diversi studi, sia per quanto riguarda la velocità di lettura sia per quanto riguarda la correttezza. Comparisons – il gruppo di controllo è dato dai risultati medi della popolazione verso quelli ottenuti da bambini che risultano positivi alla diagnosi di dislessia. Outcomes – le variabili dipendenti prese in considerazione sono rappresentate solo dal livello prestazionale di velocità e correttezza della lettura suddividendo questi livelli prestazionali tra bambini con assenza di disturbo, bambini con patologia lieve, media o severa. Study design – gli studi presi in considerazione sono sia trasversali che longitudinali e presentano i dati di velocità e correttezza nella lettura raccolti in diverse prove, anche non riferibili solo alle batterie di test prese in considerazione. Sono inoltre stati definiti: Lingua di pubblicazione – includendo solo studi in lingua inglese o italiana; Anno di pubblicazione – dal 1981 in poi (anno di pubblicazione delle prove di lettura MT); Tipo di pubblicazione – includendo tutti gli articoli presenti nelle piattaforme utilizzate ed escludendo solo la letteratura grigia. 5.3 Ricerca della letteratura Preliminariamente è stato verificato che non esistesse in letteratura una meta-analisi sullo stesso argomento. La prima ricerca è avvenuta sul sito Campbell Collaboration (http://www.campbellcollaboration.org/). Attraverso le seguenti chiavi di ricerca non sono emerse meta-analisi svolte sull’argomento trattato dalla presente tesi: 1) reliability the diagnosis of dyslexia in Italy; 2) validity and reliability of diagnostic tests for dyslexia in Italy; 3) diagnosis of dyslexia in Italy; 4) validity of diagnostic tools for dyslexia in Italy; 5) accuracy of diagnosing dyslexia in Italian. Le chiavi di ricerca sono state selezionate per trovare all’interno della piattaforma Campbell Collaboration tutte le meta-analisi pubblicate in coerenza con l’oggetto di studio, quali: “dyslexia” or “diagnosis” or “diagnostic test” or “Italy/italian” or “validity”or “accuracy”. Dato che nessuna di queste parole chiave ha prodotto alcun risultato, è plausibile presumere che non esistano delle meta-analisi simili a quella che è stata svolta nella presente tesi. Successivamente si è proceduto ad effettuare le ricerche della letteratura disponibile (pubblicazioni accademiche, libri, recensioni e notizie) sulle principali piattaforme di raccolta dati quali: Science Direct, Business Source Complete, Cinahl, Academic Onefile, InfoTrac Health Reference Center Academic, PsycArticles, Expanded Academic ASAP, Science in context, Biography in context, General Reference Center gold, Biomed Central, ProQuest Psychology Journals, Psycinfo, Pubmed, Francesca Dondini 63 PubPsych. La letteratura grigia è stata scartata a priori per evitare l’inquinamento dei dati con risultati di studi non ufficiali e non verificati. Le chiavi utilizzate sono state individuate attraverso una combinazione di termini quali: “Accuracy”, “automatizzazione”, “decoding”, “developmental dyslexia”, “dislessia”, “dislessia evolutiva”, “distribuzioni”, “DSM-5”, “dyslexic children”, “Italy or italian”, “lettura”, “lexical decision”, “metacognition”, “misurazione della rapidità di lettura”, phonologic deficits”, “rapid automatized naming”, “reading accuracy and fluency”, “reading acquisition”, reading assessment”, “riconoscimento sublessicale”, “sillabe al secondo”, “skilled reading across languages”, “specific reading disability”, “standardizzazione”, “validità”, “valutazione della lettura”, “velocità di lettura”. L’ambito della ricerca utilizzato come filtro è stato “PSICOLOGIA”. Non è stato inserito nessun filtro sull’autore per poter accedere a tutte le pubblicazioni presenti. La data della ricerca è circoscrivibile al mese di gennaio 2016. Gli articoli emersi dalla presente ricerca sono i seguenti, per i quali attraverso titolo ed abstract è stato deciso se mantenerli per il controllo sul full text oppure se eliminarli già in questa prima fase: CLASSIFIC AZIONE TITOLO Anno di pubblicazione Coerente con la metaanalisi Contiene i dati di interesse Articolo 1 DLC una prova di decisione lessicale per la valutazione collettiva delle abilità di lettura 2012 - Rivista "dislessia" Vol. 9, n. 1, gennaio 2012 (pp. 89-104) da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 2 The development of arithmetical abilities 2005 - Rivista "Journal of child psychology ad psychiatry" 46:1 pp 3-18 NO NO Articolo 3 Le difficoltà ortografiche di adolescenti con dislessia 2015 - Rivista "dislessia" Vol 12, n. 1, (pp. 75-86) NO NO Articolo 4 Differences in the intellectual profile of children with intellectual vs. learning disability 2014 - Research in Developmental Disabilities 35-2014 2224–2230 NO NO Articolo 5 Il questionario “Io e la mia mente”: standardizzazione di uno strumento per la valutazione delle abilità metacognitive 2013 - Difficoltà di apprendimento Edizioni Erickson Trento Val. 18 n. 3 febbraio 2013 (pp. 355-367) da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 6 Contributo alla standardizzazione di prove di latino per la valutazione di studenti liceali e confronto con casi di dislessia 2014 - Rivista "Dislessia" Edizioni Erickson Trento Vol. 11 n. 2 pp. 189-212 NO NO Articolo 7 Punti z o percentili? Sillabe/secondo, tempo complessivo o tempo/sillaba? Come valutare la rapidità nelle prove di lettura 2014 - Rivista "Dislessia" Edizioni Erickson Trento Ottobre 2014 Vol, 11 n. 3 pp. 295-311 da verificare nel full text da verificare nel full text Francesca Dondini 64 CLASSIFIC AZIONE TITOLO Anno di pubblicazione Coerente con la metaanalisi Contiene i dati di interesse Articolo 8 Uno strumento per individuare problemi di disortografia Inserto "psicologia e scuola" NO NO Articolo 9 Valutare e promuovere la capacità di pianificare un testo scritto 2014 Allegato "Psicologia e scuola" n. 32 NO NO Articolo 10 L'intervento sub lessicale nel 2011 Rivista "Dislessia" trattamento della dislessia - Analisi Edizioni Erickson Trento di efficacia di due cicli abilitativi Vol. 8, n. 3, ottobre 2011 (pp. con l'utilizzo in successione dei 285-298) software "occhio alla lettera" e "WinABC" da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 11 Instructional treatment associated with changes in brain activation in children with dyslexia 2003 - rivista "NEUROLOGY"; vol. 61 pp. 212–219 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 12 Uno studio sull’efficacia di un intervento di potenziamento lessicale-ortografico sul trattamento del disturbo di apprendimento dell’ortografia 2007 - DiPav, 18 pp. 31-52 NO NO Articolo 13 Developmental Dyslexia and Specific Language Impairment: Same or Different? 2004 - rivista "Psychological Bulletin", Vol. 130, n. 6 pp. 858-886 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 14 Improving reading comprehension in reading and listening settings: The effect of two training programmes focusing on metacognition and working memory 2014 - rivista "British journal of educational psychology 84 194-2010 NO NO Articolo 15 Comorbilità tra discalculia e dislessia: causa comune o cause indipendenti? Implicazioni per l’intervento 2006 - rivista "Difficoltà in matematica" Edizioni Erickson Trento Vol. 2 n.2 (febbraio) pp. 45-53 NO NO Articolo 16 Spelling Errors in Text Copying by Children With Dyslexia and ADHD Symptoms 2013 - rivista "Journal of learning disabilities 1-10 NO NO Articolo 17 Metacognition, Intelligence and Accademic Performance 2009 - WatersCh 11 pp. 257277 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 18 Valutare la rapidità e la correttezza della lettura di brani: nuove norme e alcune chiarificazioni per l’uso delle prove MT 2009 - rivista "dislessia" (da verificare numero e pagine) SI SI Francesca Dondini 65 CLASSIFIC AZIONE TITOLO Anno di pubblicazione Coerente con la metaanalisi Contiene i dati di interesse Articolo 19 Il Disturbo di Sviluppo della Coordinazione: chiarificazioni per la diagnosi 2010 - "psicologia clinica dello sviluppo" a. XIV n.1 aprile 2010 pp. 33-54 NO NO Articolo 20 In trattamento della discalculia evolutiva: note metodologiche e risultati su sette casi singoli 2007-rivista "Child development & disabilities" XXXIII 1/2007 pp 11-22 NO NO Articolo 21 The role of sensorimotor impairments in dyslexia: a multiple case study of dyslexic children 2006-rivista "Develompmental Science 9:3 pp 237-269 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 22 La valutazione della comprensione del testo: proposta di una batteria di approfondimento 2007-rivista "Psicologia clinica dello sviluppo" a. XI n, 2 agosto NO NO Articolo 23 Parametri "tempo" e "velocità" per la misurazione della rapidità di lettura "dislessia" vol. 3 n. 3 ottobre 2006 (pp. 262-282) - Edizioni Eickson Trento da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 24 Components of reading comprehension and scholastic achievement Learning and Individual Differences 16 (2006) 291– 301 NO NO Articolo 25 Developmental Coordination Disorder: current issues 2006 The Authors Journal compilation - Blackwell Publishing Ltd Child: care, health and development, 32 , 6, 613–618 NO NO Articolo 26 La comprensione del testo scritto in età scolare. Una rassegna sullo sviluppo normale e atipico Psicologia clinica dello sviluppo a. X, n. 3, dicembre 2006 NO NO Articolo 27 Difficoltà di apprendimento scolastico degli studenti stranieri Rivista "difficoltà di apprendimento" - Edizioni Erickson Trento Vol. 12 n. 1 ottobre 2006 (pp 49-70) NO NO Articolo 28 An open trial assessment of "The Number Race", an adaptive computer game for remediation of dyscalculia Behavioral and Brain Functions - BioMed Central 2006, 2:20 (pp. 1-16) NO NO Articolo 29 Do Phonologic and Rapid Automatized Naming Deficits Differentially Affect Dyslexic Children With and Without a History of Language Delay? A Study of Italian Dyslexic Children Cog Behav Neurol Volume 19, Number 3, September 2006 da verificare nel full text da verificare nel full text Francesca Dondini 66 CLASSIFIC AZIONE TITOLO Anno di pubblicazione Coerente con la metaanalisi Contiene i dati di interesse Articolo 30 The role of sensorimotor impairments in dyslexia: a multiple case study of dyslexic children Developmental Science 9:3 (2006), pp 237–269 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 31 Identificazione e intervento precoce sulle difficoltà in matematica Difficoltà in matematica Edizioni Erickson Trento Vol. 2, n. 2, febbraio 2006 (pp. 9-32) NO NO Articolo 32 Reading Acquisition, Developmental Dyslexia, and Skilled Reading Across Languages: A Psycholinguistic Grain Size Theory Psychological Bulletin 2005, Vol. 131, No. 1, 3–29 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 33 Arithmetic Education and Learning Disabilities in Italy Journal Of Learning Disabilities Volume 37, Number 1, January/February 2004, Pages 42–49 NO NO Articolo 34 La scala COM – Un agile strumento per l’evidenziazione da parte dell’insegnante di problematiche associate al disturbo di attenzione/iperattività Difficoltà di apprendimento, 9, 391-412 - 2004 NO NO Articolo 35 Lo stato (preoccupante) delle tecniche proiettive per l’età evolutiva in Italia Psicologia Clinica Dello Sviluppo a. VIII, n. 1, aprile 2004 NO NO Articolo 36 Working memory performance of Italian students with foreign language learning difficulties Learning and Individual Differences 14 (2004) 137– 151 NO NO Articolo 37 A Rapid Screening Measure for the Identification of Visuospatial Learning Disability in Schools Journal of learning disabilities volume 36, number 4, july/august 2003, pages 299–306 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 38 Uno strumento per individuare problemi di disortografia 2011 - inserto "Psicologia e scuola" pp. 1-8 NO Articolo 39 La discalculia evolutiva PSICOLOGIA CLINICA DELLO SVILUPPO a. V, n. 2, agosto 2001 pp. 147 167 NO Articolo 40 Definizione del disturbo di comprensione del testo 2010 - documento AIRIPA Definizione del disturbo di comprensione del testo NO Francesca Dondini 67 CLASSIFIC AZIONE TITOLO Anno di pubblicazione Coerente con la metaanalisi Contiene i dati di interesse Articolo 41 Novità nell’approccio alla psicopatologia dello sviluppo del DSM-5 Psicologia clinica dello sviluppo a. XIX, n. 2, agosto 2015 pp. 297-343 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 42 I gruppi cognitivo-emotivorelazionali CERG: una sperimentazione con genitori di bambini con ADHD Disturbi di attenzione e iperattività Vol. 8, n. 1, dicembre 2012 (pp. 33-54) Edizioni Erickson Trento NO NO Articolo 43 Il Questionario SVS Bambino Psicologia clinica dello sviluppo a. XVII, n. 2, agosto 2013 pp. 359-368 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 44 Working memory and domainspecific precursors predicting success in learning written subtraction problems 2014 - Learning and Individual Differences pp. 19 NO NO Articolo 45 Il MOQ-T: un questionario per gli insegnanti di facile utilizzo per la rilevazione dei sintomi del disturbo della coordinazione motoria Psicologia clinica dello sviluppo a. XIX, n. 3, dicembre 2015 pp. 495-505 NO NO Articolo 46 Sillabe al secondo o secondi per sillaba: qual è il problema? Rivista "dislessia" Vol. 4, n. 1, gennaio 2007 pp. 7-11 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 47 Ulteriori evidenze sull’efficacia dell’automatizzazione del riconoscimento sublessicale per il trattamento della dislessia evolutiva Psicologia clinica dello sviluppo a. XI, n. 1, aprile 2007 pp.27-37 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 48 Trattamento della dislessia evolutiva: un confronto multicentrico di efficacia ed efficienza Rivista DISLESSIA Vol. 4, n. 2, maggio 2007 (pp. 143162) da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 49 Sviluppo cerebrale, funzioni esecutive e capacità decisionali in adolescenza Trattato - Accademia di Neuropsicologia dello Sviluppo (Parma) UOC Neurologia, Ospedale Versilia, Lido Di Camaiore (LU) NO NO Articolo 50 Un progetto di studio ed intervento sui disturbi specifici dell'apprendimento della scuola in bambini italiani Child development & disabilities - published quarterly XXXIII 1-2007 pp. 23-40 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 51 Fluency Remediation in Dyslexic Children: Does Age Make a Difference? Wiley InterScience DYSLEXIA (2007) DOI: 10.1002 dys.359 Francesca Dondini 68 CLASSIFIC AZIONE TITOLO Anno di pubblicazione Coerente con la metaanalisi Contiene i dati di interesse Articolo 52 The Education of Dyslexic Children from Childhood to Young Adulthood The Annual Review of Psychology 2008. 59:14.1– 14.25 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 53 Significatività clinica negli studi di efficacia dei trattamenti per i disturbi dell’apprendimento: una proposta Psicologia clinica dello sviluppo a. XII, n. 2, agosto 2008 pp. 289-300 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 54 È proprio così difficile distinguere difficoltà da disturbo di apprendimento? Dislessia - Vol. 5, n. 2, maggio 2008 (pp. 139-147) da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 55 Il trattamento del disturbo della lettura Evidenze dell’efficacia di un intervento di automatizzazione della decodifica attraverso il software abilitativo Occhio alla lettera Dislessia - Vol. 5, n. 1, gennaio 2008 (pp. 45-62) da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 56 Il recupero delle difficoltà nell’ambito del numero e del calcolo attraverso modalità di trattamento analogico-intuitive Difficoltà in matematica Edizioni Erickson Trento Vol. 5, n. 1, ottobre 2008 (pp. 93-108) NO NO Articolo 57 Lo sviluppo e l’uso nella psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute -Versione per Bambini ed Adolescenti. ICF-CY ICF-CY. FORMAZIONE PSICHIATRICA – Rassegna di Psichiatria, Psicofarmacologia e Fenomenologia Applicata – Anno XXIX n.4 Ott.-Dic. 2008 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 58 Treating Arithmetical Text Problem Solving in a Child with Intellectual Disability: An Observative Study The Open Rehabilitation Journal, 2009, 2, 64-78 NO NO Articolo 59 Phonological and lexical reading in Italian children with dyslexia Springer Science+Business Media B.V. 2008 Read Writ da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 60 Reading development in an orthographically regular language: effects of length, frequency, lexicality and global processing ability Springer Science+Business Media B.V. 2008 Read Writ DOI 10.1007/s11145-0089144-8 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 61 Reading and spelling disabilities in children with and without a history of early language delay: a neuropsychological and linguistic study bozza pre-pubblicazione senza riferimenti NO NO Francesca Dondini 69 CLASSIFIC AZIONE TITOLO Anno di pubblicazione Coerente con la metaanalisi Contiene i dati di interesse Articolo 62 Il primo strumento compensativo per un alunno con dislessia: un efficiente metodo di studio DISLESSIA - Vol. 7, n. 1, gennaio 2010 (pp. 77-87) NO NO Articolo 63 Esperienza di un trattamento combinato neuropsicologicosublessicale per la dislessia evolutiva DISLESSIA Vol. 6, n. 2, maggio 2009 (pp. 239-267) NO NO Articolo 64 Practitioner Review: Nonpharmacological treatments for ADHD: A lifespan approach Journal of Child Psychology and Psychiatry 51:2 (2010), pp 116–133 NO NO Articolo 65 Evidence-based interventions for reading and language difficulties: Creating a virtuous circle British Journal of Educational Psychology (2011), 81, 1–23 NO NO Articolo 66 Studi italiani sul trattamento della dislessia evolutiva: una sintesi quantitativa DISLESSIA Vol. 8, n. 2, maggio 2011 (pp. 163-172) da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 67 La valutazione della dislessia nell’adulto DISLESSIA Vol. 8, n. 2, maggio 2011 (pp. 119-134) NO NO Articolo 68 Children's Reading Comprehension Difficulties : Nature, Causes, and Treatments 2011 Current Directions in Psychological Science 20(3) 139-142 NO NO Articolo 69 Which Tasks Best Discriminate between Dyslexic University Students and Controls in a Transparent Language? DYSLEXIA 17: 227–241 (2011) NO NO Articolo 70 The development of reading speed in italians with dyslexia Journal of learning disabilities Vol. 34 n. 5 2001 pp. 414-417 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 71 Developmental dyslexia: specific phonological deficit or general sensorimotor dysfunction? Current Opinion in Neurobiology 2003, 13:212– 218 NO NO Articolo 72 Theories of developmental dyslexia: insights from a multiple case study of dyslexic adults Brain (2003), 126, 841-865 da verificare nel full text da verificare nel full text Articolo 73 Confronto di efficacia ed efficienza tra trattamenti per il miglioramento della lettura in soggetti dislessici PSICOLOGIA CLINICA DELLO SVILUPPO a. VII, n. 3, dicembre 2003 pp. 481493 NO NO Francesca Dondini 70 CLASSIFIC AZIONE TITOLO Anno di pubblicazione Coerente con la metaanalisi Contiene i dati di interesse Articolo 74 La valutazione dei disturbi cognitivi e le etichette del DSM-5: quale relazione? Psicologia clinica dello sviluppo 2/2015, agosto pp. 297-344 NO NO Articolo 75 La specificità dei disturbi dell'apprendimento: commenti sulla formulazione adottata nel DSM-5 Psicologia clinica dello sviluppo 2/2015, agosto pp. 297-344 NO NO Articolo 76 DSM-5: disturbo da deficit di attenzione/iperattività Psicologia clinica dello sviluppo 2/2015, agosto pp. 297-344 NO NO Articolo 77 Valori e distribuzioni nella psicologia e psichiatria accademica italiana Giornale italiano di psicologia numero 4, 2015, pp. 641-646 NO NO Articolo 78 Disturbi dell'attenzione visiva spaziale nella dislessia evolutiva: il ruolo del lobo parietale destro Giornale italiano di psicologia 2/2001, giugno pp. 399-406 NO NO Articolo 79 I meccanismi cognitivi del contare all'indietro. Analisi degli errori nella dislessia evolutiva Giornale italiano di psicologia, no. 1 (marzo 1999), 83-96. NO NO Articolo 80 Presenza di rischio di disturbi dell'apprendimento in associazione a rischio di disturbi dell'attenzione con/senza iperattività: un'indagine su bambini di terza elementare Psicologia clinica dello sviluppo, Vol. 40, no. 1 (aprile 2010), 79-100 NO NO Articolo 81 Accesso lessicale e lettura ad alta voce: il ruolo delle componenti morfologiche delle parole Giornale italiano di psicologia, no. 4 (dicembre 2004), 821-838 NO NO Articolo 82 COST: un progetto europeo per lo studio della dislessia e la valutazione delle prime fasi di apprendimento della lettura Psicologia clinica dello sviluppo, Vol. 14, no. 2 (agosto 2001), 261-272 NO NO Tabella 8 Elenco articoli estratti dalle banche dati 5.4 Selezione degli studi primari Le operazioni di selezione degli studi sono state eseguite attraverso le linee guida PRISMA, compilando il seguente flow diagram: Francesca Dondini 71 FLOW DIAGRAM 82 riferimenti individuati mediante la ricerca nelle banche dati 0 riferimenti aggiuntivi individuati mediante altre strategie di ricerca 78 riferimenti rimasti dopo l’eliminazione dei duplicati 48 riferimenti scartati in base all’analisi di titolo ed abstract sui criteri di inclusione ed esclusione 30 riferimenti passati al 2° controllo in base all’analisi di titolo ed abstract sui criteri di inclusione ed esclusione 21 riferimenti esclusi dalla meta-analisi in quanto non riportano i dati di interesse oppure non rispettano i criteri di inclusione (di seguito la specifica) 11 riferimenti inclusi nella metaanalisi . La numerosità di riferimenti è data dal numero totale di studi trovati all'interno degli articoli esaminati(di seguito la specifica) Figura 6 Prisma Flow Diagram (contenente la numerosità degli articoli esaminati 5.5 Valutazione dell’affidabilità della selezione In questo caso il calcolo dell’affidabilità è stato fatto utilizzando il parametro intragiudice, attraverso la valutazione del grado di accordo mostrato dalla stessa persona in due momenti differenti, individuando la percentuale di accordo attraverso il seguente calcolo: 𝑁𝑁_1+ 𝑁𝑁_2 𝑁𝑁_𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡 27 + 51 82 78 = 82 = 0,95 Calcolo della percentuale di accordo tra giudici 𝑁𝑁1 = numero di studi per i quali i giudici sono d’accordo nell’inclusione 𝑁𝑁2 = numero di studi per il quali i giudici sono d’accordo nell’esclusione Dalla verifica sopra espressa emerge che il grado di accordo è del 95%. 5.6 Codifica degli studi primari Il protocollo di codifica utilizzato ha permesso di identificare all’interno dei singoli articoli i contenuti utili per fare il controllo di secondo livello e attuare un’ulteriori selezione degli studi utilizzabili all’interno della meta-analisi. Gli studi ed articoli eliminati con le relative motivazioni sono: Francesca Dondini 72 ID Nome dello studio Nazione tipo di pubblicazione Motivo di scarto Articolo 5 Friso et al. 2013 Italia pubblicazione su rivista La misurazione è fatta su abilità differenti da quelle indagate Articolo 11 Articolo 13 Articolo 17 Aylward et al. 2003 Bishop e Snowling, 2004 America America pubblicazione su rivista pubblicazione su rivista pubblicazione su rivista L'età del campione non rispetta i criteri di inclusione Lo studio non riporta i dati di interesse Cornoldi 2009 Italia Lo studio non riporta i dati di interesse Articolo 21 White et al. 2006 Inghilterra pubblicazione su rivista La nazionalità del campione (inglese) non rispetta i criteri di inclusione Articolo 23 Lorusso et al. 2006 Italia pubblicazione su rivista Lo studio non riporta i dati di interesse Articolo 29 Brizzolara et al. 2006 Italia pubblicazione su rivista I risultati non sono distinguibili per fascia di età ma aggregati per l'intero campione Articolo 32 Ziegler e Goswami, 2005 America pubblicazione su rivista Lo studio non riporta i dati di interesse Articolo 37 Cornoldi et al. 2003 Italia pubblicazione su rivista L'età del campione non rispetta i criteri di inclusione Articolo 41 Ammaniti et al. 2015 Italia pubblicazione su rivista Lo studio non riporta i dati di interesse Articolo 43 Ferrara e Mammarella, 2013 Italia pubblicazione su rivista Lo studio presenta i soli dati di correlazione di Pearson tra il questionario utilizzato e i dati ricavati dal questionario PMA Articolo 46 Tressoldi e Vio 2007 Italia pubblicazione su rivista Lo studio non riporta i dati di interesse Articolo 50 Zoccolotti et al. 2007 Italia pubblicazione su rivista L'età del campione non rispetta i criteri di inclusione Articolo 52 Shaywitz et al. 2007 America pubblicazione su rivista Lo studio non riporta i dati di interesse Articolo 53 Articolo 54 Articolo 57 Articolo 60 Articolo 66 Articolo 70 Tressoldi e Vio 2008 Tressoldi e Vio 2008 bis Lo Presti e Lombardo 2008 Zoccolotti et al. 2008 Tressoldi e Vio 2011 Tressoldi et al. 2001 Articolo 72 Italia Italia Italia Italia Italia Italia pubblicazione su rivista pubblicazione su rivista pubblicazione su rivista pubblicazione su rivista pubblicazione su rivista pubblicazione su rivista Lo studio non riporta i dati di interesse Lo studio non riporta i dati di interesse Lo studio non riporta i dati di interesse Lo studio presenta i soli dati di correlazione tra correttezza e velocità Lo studio non riporta i dati di interesse Lo studio non riporta i dati di interesse pubblicazione su L'età del campione non rispetta i criteri di inclusione rivista Tabella 9 Elenco articoli eliminati nei controlli di secondo livello Ramus et al. 2003 Francia 5.7 Effect Size Per il calcolo degli effect size si è proceduto a sintetizzare i dati forniti all’interno dei vari studi di riferimento. La suddivisione è avvenuta in base a sei indicatori prestazionali rappresentati da: Velocità di lettura (sillabe al secondo) di brani; Velocità di lettura (sillabe al secondo) di parole; Velocità di lettura (sillabe al secondo) di non parole; Correttezza di lettura (numero di errori commessi) di brani; Correttezza di lettura (numero di errori commessi) di parole; Correttezza di lettura (numero di errori commessi) di non-parole. Inoltre i moderatori sono stati suddivisi in bambini con diagnosi di dislessia vs. Francesca Dondini 73 normolettori e bambini frequentati la seconda classe della scuola primaria vs. bambini frequentanti la terza classe della scuola primaria. Di seguito la specifica dei dati raccolti: Normolettori 2° classe primaria Dislessici 2° classe primaria Normolettori 3° classe primaria n Media DS n Media DS n Media DS n Media DS 316 1,73 0,56 19 0,95 0,378 245 2,99 1,19 22 1,4 0,505 94 2,41 0,56 22 1,22 0,28 108 2,98 0,79 16 1,4 0,555 9 0,52 65 1,33 0,505 5 0,99 51 1,05 0,31 10 1,2 0,54 18 1,3 0,41 3 1,31 0,12 Lettura brano Velocità (sill/sec) 0,49 22 10,8 5,7 22 7,8 4,35 19 6,69 3,709 16 9,1 7,2 5 12,2 5,76 65 8,7 8 51 10,05 6,2 10 17,9 11,9 18 19,9 8 3 13,33 4,03 Correttezza (n. errori) lettura parole 3 1,19 Velocità (sill/sec) Correttezza (n. errori) 3 Lettura non parole Dislessici 3° classe primaria Velocità (sill/sec) 1,08 19 0,902 9 0,425 22 0,88 1 0,47 22 18 19 6,22 19 0,702 9 0,48 0,386 267 2,18 0,685 51 0,89 0,33 3 1,76 10 1,06 0,36 18 1,1 0,35 5 1,03 10,2 51 15,8 11,05 5,449 10 22,3 16,2 18 16,7 6 0,31 0,318 267 1,4 0,407 51 0,67 0.25 3 1,32 10 0,91 0,18 18 0,82 0,26 22 0,81 0,35 5 0,76 22 16,8 6,8 51 14 7,1 10 15,7 5,9 18 16,2 5,9 Correttezza (n. errori) 19 6,662 5,957 Tabella 10 Raccolta dei dati estraibili dagli studi primari inseriti nella meta-analisi In questa prima fase nella quale non è stata fatta alcuna analisi, è possibile anche solo visivamente notare che la maggior parte degli studi è orientata a testare bambini con diagnosi di dislessia rispetto a quelli identificati come normolettori. Per quest’ultimi risultano pochi studi ma con campioni estremamente più ampi. Francesca Dondini 74 Successivamente i dati sopra riportati sono stati uniti attraverso dei calcoli di media pesata, individuando per ogni indicatore e moderatore un valore di media e una numerosità di riferimento: Lettura non Lettura parole Lettura brano parole 2° classe primaria Media pesata velocità Normolettori n Dislessici n Riferim. Normativi (DS) n 1,89 410 0,99 55 1,93 (0,76) 410 9,25 46 12,00 275 0,80 51 1.7 (.6) 222 12,54 41 8 (7) 225 0,71 50 1.2 (.4) 222 12,10 41 7 (5) 225 Media pesata correttezza Media pesata velocità 1,19 3 Media pesata correttezza Media pesata velocità 1,08 3 Media pesata correttezza Lettura non Lettura parole Lettura brano parole 3° primaria Media pesata velocità Normolettori n Dislessici n Riferim. Normativi (DS) n 2,99 245 1,26 185 2 (1,1) 353 10,66 185 4,50 596 0,96 84 2.2 (.7) 267 16,83 79 5 (4) 267 0,74 84 1.4 (.4) 267 14,72 79 6 (5) 268 Media pesata correttezza Media pesata velocità 2,18 270 Media pesata correttezza Media pesata velocità Media pesata correttezza 1,40 270 Tabella 11 Dati di media pesata degli indicatori degli studi primari associati ai valori normativi delle prove MT-2 e DDE-2 Ad ogni indicatore è stato affiancato il valore normativo inserito nella batterie di diagnosi “Prove di lettura MT-2” e “Batteria per la valutazione della dislessia e della disortografia evolutiva DDE-2”. Francesca Dondini 75 La distribuzione che ne è emersa ha mostrato il posizionamento dei tre sub-group individuati. I rettangoli azzurri mostrano le due deviazioni standard oltre le quali viene fatta una diagnosi di dislessia: Francesca Dondini 76 I dati sono stati utilizzati per trovare gli effect size di riferimento, calcolati utilizzando la differenza media non standardizzata (raw unstandardized mean difference) e riportati di seguito: 2° classe primaria 3° primaria ES Normolettori ES Dislessici ES Normolettori ES Dislessici 0,04 0,94 -0,99 0,74 Lettura brano -0,59 0,51 Lettura parole -6,16 0,90 0,02 1,24 -4,54 Lettura non parole 0,12 -11,83 0,49 0,00 0,66 -5,10 -8,72 Tabella 12 Effect size (ES)calcolati sugli studi primari Normolettori Una volta trovati i singoli effect size, è stato possibile calcolare l’errore standard e l’intervallo di confidenza: Dislessici Lettura brano Lettura parole Normolettori Lettura non parole Lettura brano Dislessici UL 0,05 -0,09 0,09 0,106 0,33 -0,47 0,80 0,12 0,105 0,32 -0,60 0,67 velocità 0,94 0,004 0,06 -0,06 0,18 correttezza -0,59 0,890 0,94 -2,41 1,29 velocità 0,90 0,004 0,06 -0,07 0,18 correttezza -4,54 1,709 1,31 -8,50 -3,37 velocità 0,49 0,003 0,05 -0,08 0,13 correttezza -5,10 1,101 1,05 -7,41 -3,30 ES Varianza LL UL velocità -0,99 0,007 0,09 -0,25 0,08 velocità 0,02 0,004 0,06 -0,12 0,12 velocità 0,00 0,001 0,03 -0,07 0,07 velocità 0,74 0,004 0,07 -0,08 0,18 correttezza -6,16 0,299 0,55 -4,44 -2,30 velocità 1,24 0,003 0,06 -0,04 0,18 correttezza -11,83 1,614 1,27 -17,52 -12,54 velocità 0,66 0,001 0,04 -0,05 0,09 correttezza -8,72 0,596 0,77 -8,24 -5,21 Lettura brano Lettura parole Lettura non parole Lettura parole Lettura non parole Varianza velocità 0,04 0,002 velocità 0,51 velocità 2° classe primaria SE LL Lettura brano Lettura parole Lettura non parole ES 3° primaria SE Tabella 13 e 14 dati calcolati di varianza, errore standard(SE) e intervallo di confidenza(LL-UL) sui bambini di 2° e 3° classe primaria Francesca Dondini 77 5.8 Calcolo dell’effect size globale Per il calcolo dell’effect size globale la scelta del formato è ricaduta sull’unico utilizzato anche nelle fasi precedenti e che accomunano tutti gli studi primari. Innanzitutto sono stati assegnati i pesi ai vari effect size utilizzando il fixed-effect model: Normolettori 2° classe primaria Dislessici ES Varianza W ES Varianza W velocità 0,04 0,002 460,05 -0,99 0,007 134,62 velocità 0,51 0,106 9,42 0,02 0,004 281,86 velocità 0,12 0,105 9,50 0,00 0,001 839,04 velocità 0,94 0,004 247,88 0,74 0,004 228,24 correttezza -0,59 0,890 1,12 -6,16 0,299 3,35 velocità 0,90 0,004 257,18 1,24 0,003 311,39 correttezza -4,54 1,709 0,59 -11,83 1,614 0,62 velocità 0,49 0,003 344,98 0,66 0,001 813,66 correttezza -5,10 1,101 0,91 -8,72 0,596 1,68 Lettura brano Lettura parole Lettura non parole Lettura brano Lettura parole Lettura non parole 3° classe primaria Tabella 15 calcolo dei pesi da assegnare ad ogni studio Normolettori 2° 3° ES*W ES*W Lettura brano velocità 20,29 -132,86 Lettura parole velocità 4,80 6,95 Lettura non parole velocità 1,14 0,75 velocità 232,69 169,60 correttezza -0,67 -20,64 velocità 231,50 385,01 correttezza -2,66 -7,33 velocità 169,19 540,21 correttezza -4,63 -14,63 Lettura brano Dislessici Lettura parole Lettura non parole TOT 651,65 927,06 SOMMA DEI PESI 1331,63 2614,47 0,49 0,35 ES TOTALE Tabella 16 calcolo degli Effect Size Globali distinti per classe scolastica Francesca Dondini 78 Attraverso questi dati è stato possibile calcolare i valori di: Varianza dell’effect size globale 0,001 (bambini di 2° classe) 0,000 (bambini di 3° classe) Errore standard 0,027 (bambini di 2° classe) 0,020 (bambini di 3° classe) Intervallo di confidenza -0,040LL 0,067UL (bambini di 2° classe) -0,031LL 0,045UL (bambini di 3° classe) 5.9 Definizione dei risultati Per l’analisi dei risultati sono stati costruiti 2 Forest Plot differenti per le classi coinvolte. Il primo relativo agli Effect size della 2° classe della scuola primaria, nel quale è possibile verificare che gli studi si trovano quasi tutti in corrispondenza dell’effect size globale e del valore zero, a parte due riferiti alla correttezza nella lettura di bambini dislessici: 12 Norm. Brano velocità 10 Norm. Parole velocità Norm. non parole velocità 8 Disl. Brano velocità Disl. Brano corr. 6 Disl. parole velocità 4 Disl. parole corr. 2 -10,00 -8,00 -6,00 -4,00 0 0,00 -2,00 Disl. Non parole velocità Disl. Non parole corr. 2,00 ES GLOBALE Figura 8 Forest plot ES 2° classe scuola primaria Un risultato simile è stato ottenuto anche nel Forest plot relativo agli effect size della 3° classe della scuola primaria: 12 Norm. Brano velocità Norm. Parole velocità 10 Norm. non parole velocità 8 Disl. Brano velocità 6 Disl. Brano corr. Disl. parole velocità 4 Disl. parole corr. 2 -20,00 -15,00 -10,00 -5,00 0 0,00 Disl. Non parole velocità Disl. Non parole corr. 5,00 ES GLOBALE Figura 9 Forest plot ES 3° classe scuola primaria Anche in questo campione gli unici dati che si distanziano dal valore zero e dall’effect size globale sono relativi alla correttezza nella lettura di bambini dislessici. Francesca Dondini 79 5.10 Verifica di eterogeneità e publication bias La verifica dell’eterogeneità e della presenza di publication bias non sono stati eseguiti in quanto la meta-analisi è stata compiuta su dati aggregati di medie raccolti all’interno di diversi studi. Non risulterebbero quindi reali i dati ricavati dai singoli effect size in quanto non riferibili a studi singoli. 6. Conclusioni Questo lavoro di analisi nasce per verificare se i test diagnostici per la dislessia sono in grado di misurare la reale presenza di un disturbo specifico dell’apprendimento, isolando le altre cause che possono aver influito sul basso livello prestazionale dei bambini nelle prove di lettura. La ricerca non ha l’obiettivo di criticare le batterie di test prese in esame, ma di focalizzare l’attenzione sull’impatto che può avere una diagnosi di “falso positivo”. Identificare un bambino come DSA quando le sue carenze prestazionali sono causate da altri fattori personali o situazionali come un insegnamento inefficacie, una bassa motivazione all’apprendimento o un deficit sensoriale superato al momento della diagnosi ma che può aver rallentato lo sviluppo di alcune abilità, determina l’attuazione da parte della scuola di misure dispensative e compensative che vanno contro ad un possibile recupero. Nella revisione sistematica della letteratura messa in pratica per questa meta-analisi, mi sono concentrata su studi primari svolti in Italia in quanto le peculiarità legate ai disturbi specifici dell’apprendimento delle diverse ortografie linguistiche, limitano molto il trasferimento di dati scientifici a livello internazionale. E’ stato possibile verificare che non sono presenti ricerche che prendono in considerazione variabili terze che entrano in gioco nel rallentamento dell’apprendimento della letto-scrittura. Gli unici studi rintracciati sull’argomento riguardano la registrazione dei livelli prestazionali di bambini identificati come “normolettori” contro i bambini con diagnosi di dislessia, oppure studi longitudinali che verificano l’efficacia riabilitativa di differenti trattamenti. Inoltre sono state trovate molte raccomandazioni sulla necessità di attivare studi sulle basi neurali del disturbo, ancora non disponibili. Dai dati analizzati sugli studi primari è stato possibile verificare che i riferimenti normativi inseriti all’interno dei test diagnostici per la dislessia, risultano coerenti alle diagnosi di disturbo, mostrando un unico discostamento sui risultati prestazionali riguardanti la correttezza nella lettura. Tutti i valori presi in considerazione, tranne quelli relativi alla correttezza di lettura di brani, parole e non parole, intercettano sia dell’effect size globale sia il valore nullo zero. Questo dato potrebbe rappresentare un’indicazione importante dimostrando che per quanto riguarda la velocità di lettura, le differenze di performance tra soggetti dislessici e riferimenti normativi dei test diagnostici risulta così minima da non permettere una differenziazione tra reale presenza del disturbo e altre variabili che influiscono nella prestazione. I risultati invece registrati sulla correttezza nella lettura presentano una discrepanza più ampia e quindi, pur non isolando le altre variabili, è presumibile pensare che bambini con prestazioni sotto le due deviazioni standard rispetto ai riferimenti normativi, abbiano Francesca Dondini 80 un reale disturbo specifico dell’apprendimento. La distribuzione dei valori di performance si estendono in modo piuttosto regolare su un continuum che non evidenzia ampi scostamenti tra normolettori e dislessici, quindi soprattutto i soggetti che mostrano un’alterazione lieve, si posizionano a un livello prossimo a quella che è considerata una prestazione standard. Proprio per questi casi risulta difficile distinguere quali cause incidano su un comportamento atteso in relazione al contesto o all’età. La diagnosi di DSA può essere formulata alla fine della seconda classe della scuola primaria, quando il bambino è entrato nel processo di letto-scrittura da poco meno di due anni, prima dei quali la maggior parte risulta completamente analfabeta. Questo periodo di apprendimento è cruciale, se ad esempio in classe si è fatto ricorso a metodologie non adeguate, senza prestare la giusta attenzione alle esigenze formative e alle fragilità di alcuni alunni. In questi casi sarà stata persa una preziosa occasione per far sviluppare le migliori potenzialità degli allievi e anche minato seriamente il loro percorso formativo. All’interno del DSM-5, viene ribadito che per la diagnosi di DSA le abilità scolastiche devono essere notevolmente e quantificabilmente al di sotto di quelle attese per l’età cronologica dell’individuo. Vengono completamente ignorate le differenze individuali nei bambini di pari età cronologica che, soprattutto nelle prime classi della scuola primaria sono invece impattanti. Per la definizione del disturbo non sono solo previsti test individuali standardizzati, ma anche la storia clinica, di sviluppo, educativa e familiare dell’individuo. La valutazione del DSA dunque consiste in un complesso processo di analisi quantitativa che però nelle procedure attuali non ha una evidenza oggettiva sui risultati dei test utilizzati. In sostanza non è regolamentato come operazionalizzare eventuali fattori clinici, educativi e famigliari che possono risultare dall’anamnesi del soggetto. Questo aumenta la probabilità di includere falsi positivi o di trattare allo stesso modo bambini con difficoltà diverse. Il DSA è definito come un disturbo persistente e permanente. Il primo criterio diagnostico prevede che si possa parlare di DSA solo in caso di difficoltà di apprendimento se i sintomi persistono per almeno sei mesi, nonostante l’attuazione di interventi mirati allo sviluppo delle abilità risultanti deficitarie. Infatti il DSA è considerato insensibile al trattamento e nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali si ammette solo che un’istruzione sistematica, intensiva e personalizzata può mitigare le difficoltà di apprendimento. I cambiamenti registrati devono essere imputabili al trattamento applicato e non a fattori esterni ad esso o maturazionali del bambino. Inoltre deve poter essere verificato come cambiamento reale e non casuale. Ma come viene verificato che il miglioramento non derivi da una registrazione di falso positivo? Un'altra perplessità deriva dall’assenza di una normativa che inserisca i bambini con diagnosi positiva all’interno di un processo riabilitativo extra-scolastico che attui il lavoro sistematico e intensivo di cui sopra. In realtà questo aspetto è esclusivamente a carico della famiglia che può affidarsi a degli specialisti, come decidere invece di incaricare solamente la scuola, che purtroppo non ha le competenze per sviluppare abilità sottostanti come le capacità metafonologiche, l’automazione della conversione fonema-grafema, lo sviluppo della memoria di Francesca Dondini 81 lavoro, ecc…Inoltre il miglioramento come può avvenire se in realtà i soggetti dislessici vengono trattati attraverso strumenti compensativi del disturbo? Questo approccio svolto su bambini che non hanno un disturbo specifico dell’apprendimento rischia infatti di ritardare definitivamente gli sviluppi di abilità già deficitarie. All’interno del DSM-5 sono numerosi gli aspetti metodologici ignorati come ad esempio “per la diagnosi di DSA le difficoltà di apprendimento non devono essere attribuibili a istruzione scolastica inadeguata”. Tuttavia nessuna indicazione viene fornita per definire come isolare questa variabile all’interno della diagnosi. Inoltre non viene definito con chiarezza se questo criterio sia riferibile alla regolarità nella frequenza scolastica oppure alle scelte formative della scuola o alle metodologie utilizzate dai singoli insegnanti, come commentato anche all’interno di un articolo di Ammaniti et al. (agosto 2015) 54. La ricerca scientifica attualmente è maggiormente incentrata sull’obiettivo di identificare la totalità di bambini interessati da disturbi specifici dell’apprendimento che al momento vede ancora un 2-3% di soggetti in Italia non segnalati o identificati. Ritengo possa essere invece estremamente utile per quanto specificato sopra, attivare studi che cerchino di distingue la presenza di dislessia, come qualunque altro disturbo dell’apprendimento, da variabili che possono avere un’incidenza sulla variabile dipendente data dal livello prestazionale dei bambini inseriti nel processo diagnostico ed in particolare: Isolare i casi di lento apprendimento causato da un insegnamento inadeguato inserendo i bambini in un processo di sviluppo delle abilità specifiche della durata di 3 mesi, verificandone i tempi di recupero e diagnosticando un reale DSA solo a valle di questo training specifico; Isolare i casi di una sospetta bassa motivazione all’apprendimento dettati da alert come ad esempio un cattivo rapporto con l’ambiente scolastico, i compagni di classe, l’insegnante o eventi familiari traumatici come la separazione dei genitori, un cambio di residenza, ecc... In questi casi sarebbe possibile attivare in concomitanza con il processo diagnostico, un percorso riabilitativo volto allo sviluppo dell’autoefficacia, dell’autostima o semplicemente un supporto posttrauma utile per elaborare situazioni non drammatiche ma che possono aver influito sulla capacità ad apprendere dello studente; Trattare diversamente bambini interessati da un deficit sensoriale risolto al momento della diagnosi, calcolando il tempo totale interessato dal deficit prima della sua risoluzione e stimando un’età cronologica alternativa, sulla base della quale individuare le prove da utilizzare all’interno delle batterie diagnostiche in uso. Nel caso la prestazione dovesse risultare in linea con le attese ai riferimenti normativi stimati, potrebbe essere sufficiente attivare procedure di rafforzamento delle singole abilità in ambito scolastico, verificando se il periodo interessato dal deficit possa essere recuperato nel breve periodo. 54 Ammaniti M., Cornoldi C., Vicari S., (2015). “Novità nell’approccio alla psicopatologia dello sviluppo del DSM-5”, Psicologia clinica dello sviluppo, a. XIX, n. 2,297-343 Francesca Dondini 82 7. Bibliografia “Linee guida per la diagnosi e gestione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento” http://www.liceogiorgione.gov.it/modules/398_linee guida diagnosi allegato A. A.I.R.I.P.A. Associazione Italiana Ricerca e Intervento nella Psicopatologia dell’apprendimento (2010). “Definizione del disturbo di comprensione del testo (DCT)”. http://www.airipa.it/materiali/articoli-suggeriti/articoli-dal-2007-al-2012/ A.I.R.P.A. 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