un cronista del medioevo
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un cronista del medioevo
STORIA/CULTURA TERRA TRENTINA 42 UN CRONISTA DEL MEDIOEVO F orse pochi conoscono le cronache, anche della storia minore e quotidiana del nostro Medioevo, come Fra Salimbene da Parma. Un frate cronachista che, nelle sue vivacissime pagine giunte miracolosamente fino a noi, narra non solo gli avvenimenti che mutano il destino degli uomini, ma anche i fatti di ogni giorno, ovvero quelli che contribuiscono a far conoscere fino in fondo la società, leconomia e la cultura di quel tempo. Salimbene insomma anticipa Boccaccio ed infarcisce il suo racconto di episodi divertenti, di personaggi minori, di vicende spesso legate intimamente alleconomia agricola dellItalia del Nord. Più che raccontare, Salimbene ricorda e allora popolani, messeri, imperatori, uomini e donne che passano nelle sue pagine, conservano infatti i loro colori, i gesti damore e le mattane. E il Duecento è il secolo pieno di cose e di uomini da ricordare, Guelfi e Ghibellini si cercano furiosi sulle piazze e sui campi di battaglia. Veneziani, pisani e genovesi si cercano sul mare. Ci sono quattro Crociate. Sulla scena della grande contesa tra lImpero e la Chiesa e i Comuni passano nomi come Federico II, re Enzo, Pier della Vigna, frate Elia da Cortona, Onorio III, Gregorio IX, Innocenzo IV, Manfredi, Corradino, Carlo dAngiò, Ezzelino da Romano. E accanto agli uomini di guerra, gli uomini di pace: Marco Polo va in Cina Grazie alla penna di fra Salimbene da Par ma (Cronica), possiamo leggere nel grande libro della Storia alcune preziose pagine di quel tempo duro e favoloso che fu lalto Medioevo n Renzo Fracalossi e fra Giovanni da Pian del Carpine nel paese dei Tartari. Altri uomini senza nome coniano fiorini doro a Firenze e ducati a Venezia, fanno funzionare ad Augusta una segheria con lacqua del fiume, sezionano a Cremona le vittime di unepidemia, soffiano vetri preziosi a Murano. Tutto ciò che Salimbene vede e viene a sapere, finisce nelle pagine della Cronica. Non soltanto gli avvenimenti che cambiano il destino degli uomini, ma anche le cose da poco, le piccole guerre del lambrusco tra reggiani e modenesi da un lato e parmigiani, piacentini e cremonesi dallaltro. Guerre che non cambiano niente, se non il destino di un canale, di una strada, di quattro case sperdute nei campi. E così, accanto al Papa che scomunica lImperatore, cè il ciabattino Asdente che legge il futuro; accanto a Gioacchino da Fiore che annunzia lera dello spirito, ci sono i manigoldi che vanno in giro vestiti da frate a convincere le comari di lasciarli dormire con le figlie per provarne la virtù. E poi ci sono nelle pagine della Cronica, i Tartari, i bottegai di Parma, le comitive dellAlleluia, i contadini della pianura, gli scalpellini dellAntelami, gli avvocati di Mantova che ammazzano il vescovo, il canonico Giovanni di Bondeno che i frati minori trovano sempre a letto con qualche ragazza e alla fine e poi le brinate, i terremoti, i temporali, la passione di francesi e inglesi per il vino... La penna di fra Salimbene non dimentica niente. Di questo fraticello attento e curioso il cronista forse maggiore, di certo il più affascinante e originale, del nostro Basso Medioevo, sempre con un piede nel convento e uno nel mondo noi sappiamo soltanto ciò che di lui racconta quella sua Cronica. Salimbene, con il nome di Ognibene, comincia la sua avventura terrena a Parma il 9 ottobre 1221. Il padre, Guidone de Adam, uomo di simpatie e amicizie imperiali e di buona posizione economica, ha già sulla schiena una crociata, due mogli, una concubina, e un sacco di figli. Era un om bello e gagliardo dice compiaciuto Salimbene. La madre, seconda moglie di Guidone, viene dallAppennino. La città, dominata dalle torri e dalle chiese, ha soltanto la voce delle sue campane, e quando cade il giorno si chiude nel buio e nel silenzio. Le strade odorano di cavalli. La vita ha toni molto crudi, però si tratta ancora di un mondo verde e aperto; verde di boschi e di praterie e di piazze, e ca a Salimbene gli orizzonti del mondo, ed è un avvenimento fondamentale per la sua cultura. Conosce Innocenzo IV, re Luigi IX il Santo, i frati Ugo da Digne e Giovanni da Parma che lo iniziano alle idee gioachimite e fra Giovanni da Pian del Carpine che in lunghi conversari gli racconta del Paese dei Tartari da dove è appena ritornato. È questo, senza dubbio il periodo più felice per Salimbene che è essenzialmente un vagabondo. Quando i superiori lo fermano nei conventi della sua terra, in Emilia, la sua prosa perde infatti un poco del suo entusiasmo, anche se, dedicandosi a vicende di tutti i giorni, acquista un valore particolare, sia dal punto di vista storico sia da quello del costume. Ed è una lunga teoria di personaggi ed episodi che, nel colore della vita del tempo, sembra preparare storie per i novellieri del vicino Trecento: dal frate che asserisce che giacere con una donna senza toccarla è miracolo maggiore che resuscitare un morto; alla torta ripiena di sterco inviata per burla a un canonico e finita invece sulla tavola del vescovo; al fraticello fiorentino che, caduto lungo disteso sul selciato per uno sdrucciolone, risponde La tu moglie! a chi gli domanda beffandolo se voleva qualcosa sotto. È in questi ultimi anni che Salimbene scrive, sul filo dei ricordi, la sua Cronica, ben lontano naturalmente dallimmaginare limportanza che essa avrebbe avuto nei secoli. Infatti, è proprio grazie alla penna di questo simpatico fraticello di Parma, che amava la buona tavola e si voltava a guardare le ragazze, se noi abbiamo potuto leggere nel grande libro della Storia alcune preziose pagine di quel tempo duro e favoloso che fu lalto Medioevo. STORIA/CULTURA conventi della Lombardia, accumula sapere ed esperienza. Nel 1247, quando limperatore mette lassedio a Parma, passata in campo guelfo, Salimbene è in città e assiste alle prime scaramucce. Dopo duecentotrentadue giorni di assedio, però, quei contadini sono ancora lì, a fare gesti osceni e a gridare contumelie alla marea di spade che stringe la città. Fuori ci sono tedeschi, saraceni, lombardi, borgognoni. Il 18 febbraio 1248, un martedì freddo e nebbioso, Federico II è lontano, a caccia col falcone nel greto del Taro; la città di tende e di legno dove accampa il suo eterogeneo esercito, sta ancora sonnecchiando. Prima che le sentinelle svogliate si rendano conto che le campane di Parma stanno suonando a distesa, un turbine di uomini e di cavalli, e poi di donne infuriate e di ragazzi, si abbatte sul campo imperiale, tutto viene scannato, rubato, messo a fuoco e nel giro di poche ore il grande assedio degli alleati va a farsi benedire. LImperatore si salva fuggendo a spron battuto su Cremona, ma lascia fra le ceneri centinaia di soldati sgozzati e molto del suo sogno di dominio. Le sue concubine saracene passano, a calci nel sedere, per le strade di Parma, e il suo tesoro: una montagna doro, di pietre e di stoffe preziose, finisce, di mano in mano, nelle botteghe e sulle bancarelle. Racconta Salimbene, divertito, di un popolano chiamato Curtopasso, per le sue goffe sembianze che per qualche giorno se ne va in giro per le strade a fare il buffone con la grande corona doro dellimpero calata come una pentola fino alle orecchie. Un viaggio in Francia, dove viene mandato per studio, ma forse anche con qualche incombenza per il Papa, spalan- TERRA TRENTINA aperto a mercanti, pellegrini, predicatori, cantastorie, che si muovono liberamente, senza frontiere, da un capo allaltro dellEuropa, mescolando linguaggi ed esperienze, nelle fiere, nei conventi, nelle Corti. Un mondo agricolo e fortemente religioso, dove ogni avventura mistica è possibile, da quella della Porziuncola alla Crociata dei fanciulli. Trascinato da questondata di misticismo che pervade la vita del tempo, il 4 febbraio 1238, il giovane Ognibene abbandona la casa paterna ed entra, allinsaputa dei genitori, nelle file dei francescani. Ad accoglierlo, è lo stesso frate Elia, allora ministro generale dellOrdine, di passaggio da Parma; e il buon Salimbene, in verità con scarso spirito francescano, ricorderà con nostalgia per tutta la vita il cenone di quella prima sera in convento. In seguito mi diedero soltanto dei cavoli annota sconsolato. Guidone de Adam, naturalmente la pensa però in modo diverso. Vedendo la famiglia andare a catafascio, con tutte quelle storie dellomino di Assisi, corre addirittura dallImperatore e ottiene una lettera per frate Elia che, immediatamente, gira la grana al convento di Fano, dove si trova in quel momento il ragazzo. Scuro come un temporale, Guidone arriva a Fano e fa fuoco e fiamme, prega, scongiura, minaccia, ma non cava un ragno dal buco. Il ragazzo non cede. In un certo senso, anche se con accenti diversi, quasi da novella toscana, si ripete la scena accaduta trentanni prima, davanti al vescovo di Assisi, tra Pietro di Bernardone e il suo ostinato figliolo Francesco. Ma i frati di Fano, ridacchiando soddisfatti, mettono invece al sicuro il ragazzo facendolo passare, di convento in convento, in Toscana. Poi, per alcuni anni, nei 43