Fotoni polarizzati

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Fotoni polarizzati
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Insegnamento della meccanica quantistica
nella scuola superiore
L’esperimento
con fotoni polarizzati
Considerazioni didattiche
La presentazione dei principi della meccanica quantistica nei corsi della Scuola
media Superiore italiana, quando viene effettuata, viene sviluppata solitamente
seguendo più o meno fedelmente lo sviluppo storico degli eventi e delle teorie.
Si parte ricordando i punti critici della fisica classica di fine Ottocento e quindi si
descrivono nell’ordine:
– i problemi connessi alla interpretazione dell’irraggiamento del corpo nero e la
soluzione fornita da Planck mediante l’introduzione degli oscillatori caratterizzati da energia quantizzata secondo multipli del quanto d’azione;
– i problemi connessi alla interpretazione dell’effetto fotoelettrico e la soluzione fornita da Einstein mediante l’introduzione del concetto di quantizzazione dell’energia;
– i problemi connessi alla stabilità dell’atomo nucleare, così come era stato
descritto da Rutherford, e alla struttura discreta degli spettri atomici e la soluzione fornita ad entrambi da Bohr mediante l’applicazione del principio di quantizzazione all’energia degli atomi;
– i prolemi connessi alla diffusione di elettroni dai metalli irraggiati con radiazione X e la soluzione fornita da Compton, che confermava l’ipotesi einsteiniana
della quantizzazione dell’energia.
Il passaggio successivo consiste nel presentare l’ipotesi di De Broglie relativa alla
descrizione ondulatoria della materia e quindi, applicando la relazione fondamentale λ = h/p ai pacchetti d’onda, nel giungere al principio di indeterminazione di Heisenberg.
Per i ben noti limiti dei quadri orario che caratterizzano l’insegnamento della
Fisica nella scuola superiore, i contenuti ora ricordati superano già ampiamente
gli obiettivi che in genere si propone un insegnamento liceale. Solo in rari casi,
quindi, si riesce ad accennare all’esistenza dell’equazione di Schrödinger (la cui
trattazione, ovviamente, è al di fuori della portata di un insegnamento liceale) e
al significato della funzione d’onda e del suo modulo quadrato. Ma anche in tali
casi il discorso si arresta ben prima di aver fatto emergere le caratteristiche essenziali di tale funzione d’onda (che poi coincidono con le caratteristiche essenziali
della meccanica quantistica). In particolare, ciò che non viene fatto rilevare è
che l’equazione di Schrödinger è un’equazione di tipo lineare e che, pertanto, se
ψ1 e ψ2 sono due sue soluzioni, lo è anche la funzione ψ1 + ψ2 .
Ne consegue che se un oggetto quantistico ammette due stati descritti dalle funzioni ψ1 e ψ2, tale oggetto potrà essere descritto anche da una funzione d’onda del
tipo a ψ1 + b ψ2 secondo la quale quell’oggetto deve essere considerato come una
sovrapposizione di stati che verranno definiti in modo univoco solo mediante un
processo di misura.
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L’INSEGNAMENTO DELLA MECCANICA QUANTISTICA NELLA SCUOLA SUPERIORE
La conseguenza più rilevante di questo stato di cose si individua nella differenza fra
il concetto di probabilità secondo la fisica classica e secondo la fisica quantistica.
Nel primo caso una particella o sta nello stato 1 o sta nello stato 2, e perciò la probabilità di trovare la particella è data dalla somma delle probabilità dei due stati
secondo la relazione
p12 = |a ψ1|2 + |b ψ2|2
Nel secondo caso, la particella sta e nello stato 1 e nello stato 2 in quanto i due stati
non si escludono mutuamente ma si possono considerare contemporaneamente
presenti; pertanto la probabilità di trovare la particella in uno dei due stati è data da
p12 = |a ψ1 + b ψ2|2 = |a ψ1|2 + |b ψ2|2 + 2 |a ψ1| |b ψ2| cos δ
ove il termine δ esprime la differenza di fase fra ψ1 e ψ2.
Dunque, in linea di principio, o si giunge a far emergere questa caratteristica della
meccanica quantistica o si perde la sua essenza più profonda.
Di fronte a tale alternativa e agli attuali condizionamenti della scuola superiore
italiana le strade possibili sono, in genere, le seguenti.
– Si ignora la meccanica quantistica.
– Nella esposizione della meccanica quantistica ci si limita a un percorso ridotto
che, seguendo l’evoluzione storica delle teorie, introduca essenzialmente il concetto di quantizzazione dell’energia, l’ipotesi di De Broglie e il principio di indeterminazione.
– Si riduce il percorso storico a pochi ed essenziali riferimenti e si descrive almeno un esperimento adatto a far emergere l’aspetto precedentemente discusso.
Interferenza di elettroni
L’esperimento forse più semplice da proporre, anche perché strettamente legato
all’ipotesi di De Broglie, è quello della interferenza di elettroni che si produce
quando questi investono una doppia fenditura uno alla volta.
Da un punto di vista classico, che considera un elettrone come una particella, la
distribuzione degli elettroni su uno schermo disposto davanti alla doppia fenditura è quella rappresentata nella figura 1.
Tale figura è coerente con l’ipotesi secondo la quale un elettrone o passa per la fenditura 1 o passa per la fenditura 2.
Da un punto di vista sperimentale, la distribuzione degli elettroni sullo schermo è
quella rappresentata dalla figura 2 (si confronti anche la figura 3)
densità lineare
degli elettroni
densità lineare
degli elettroni
doppia
fenditura
doppia
fenditura
3 Sequenza temporale (dall’alto in
basso) di fotografie che riproducono
la distribuzione su una lastra fotografica di elettroni che hanno investito,
uno dopo l’altro, una doppia fenditura. Dopo un tempo sufficientemente
lungo appare nettamente la tipica figura di interferenza. (da: G. F. Missiroli, G. Pozzi, American Journal of
Physics, Vol. 44, 1976, p. 306)
sorgente
sorgente
schermo
profilo di interferenza
Figura 1
Figura 2
L’ESPERIMENTO CON FOTONI POLARIZZATI
Le figure 2 e 3 sono coerenti con l’ipotesi secondo la quale l’elettrone si comporta
ondulatoriamente e nel passaggio attraverso le due fenditure può interferire con
se stesso. Il che equivale a dire che l’elettrone e passa per la fenditura 1 e passa per
la fenditura 2.
La descrizione dell’esperimento si completa mostrando cosa accade se si cerca di
individuare in qualche modo da quale fenditura è passato il singolo elettrone. A
tale scopo si può ipotizzare che il rivelatore del cammino dell’elettrone sia un’atmosfera di elettroni collocata subito dopo le fenditure (figura 4). In tale caso, la
diffusione di uno di questi elettroni, prodotta dall’interazione con un elettrone
emergente da una delle due fenditure, dovrebbe indicare la direzione di provenienza di quest’ultimo ovvero la fenditura attraverso la quale è passato. Con tale
dispositivo la figura di interferenza risulta però completamente distrutta e sullo
schermo compare una distribuzione (indicata dalla linea continua di figura 5) corrispondente alla somma delle distribuzioni (indicate dalle linee tratteggiate della
stessa figura) degli elettroni quando questi passano attraverso una singola fenditura. Si osservi che i profili tratteggiati hanno una forma approssimabile con una
gaussiana (più precisamente una funzione del tipo (sin(x)/x)2), coerentemente
con il comportamento corpuscolare degli elettroni, in quanto, in tale situazione,
si perde completamente il carattere ondulatorio degli elettroni che, emergendo
da una singola fenditura, dovrebbero comunque dare luogo a una figura di diffrazione.
Questo stato di cose può essere giustificato applicando il principio di indeterminazione che consente di dimostrare che la deviazione casuale della traiettoria
degli elettroni emergenti dalle fenditure, prodotta dalla interazione con gli elettroni rivelatori, distrugge la figura di interferenza.
densità lineare
degli elettroni
elettrone diffuso
sorgente
sorgente
rivelatore
Figura 4
rivelatore
Figura 5
In sintesi, nell’esperimento con gli elettroni, l’interferenza (che manifesta la
natura ondulatoria dell’elettrone) si produce ogni volta che i due cammini sono
possibili e indistinguibili. Essa scompare invece (lasciando spazio alla manifestazione corpuscolare dell’elettrone) non appena diventa possibile, anche solo in linea di
principio, distinguere i due cammini.
Le due rappresentazioni sono complementari poiché non entrano mai in contraddizione diretta nella stessa situazione sperimentale. Esse sono reciprocamente
esclusive ma la loro integrazione consente una descrizione completa del comportamento dell’elettrone inteso come oggetto quantistico.
Si osservi tuttavia che le proprietà corpuscolari si manifestano sempre nel
momento della misura della posizione o del cammino percorso. Nel caso dell’e-
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L’INSEGNAMENTO DELLA MECCANICA QUANTISTICA NELLA SCUOLA SUPERIORE
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sperimento in oggetto, infatti, sulla lastra fotografica si osserva sempre un puntino (o una macchiolina); in altre situazioni si potrà osservare una traccia (camera
a bolle o a scintilla) o si potrà udire un click di un contatore.
Esperimento con fotoni polarizzati
Un secondo esperimento, adeguato a dimostrare la validità della sovrapposizione
degli stati è quello che consiste nell’esaminare il comportamento di fotoni polarizzati ai quali è lasciata la possibilità di interagire con una coppia di separatori di
fascio (beam – splitter; in seguito li indicheremo con BS).
Questi componenti sono realizzati mediante l’accoppiamento di due prismi retti
a base triangolare realizzati con un opportuno materiale trasparente e accostati in
modo da formare un cubo (figura 6). Le superfici a contatto sono ricoperte da un
film sottile multistrato all’angolo di Brewster e tenute insieme da un collante.
Figura 6
Per le proprietà dello strato di film all’interfaccia, il separatore di fascio lascia passare completamente un fascio di luce i cui fotoni abbiano il piano di vibrazione
del campo elettrico che è situato nel piano del foglio e che taglia perpendicolarmente la superficie anteriore del BS (figura 7) mentre riflette completamente un
fascio di luce i cui fotoni abbiano il piano di vibrazione perpendicolare al precedente (figura 8).
Nelle figure 7 e 8 il simbolo I indica l’intensità del fascio incidente e dei fasci trasmesso e riflesso nell’ipotesi di assorbimento trascurabile da parte dei due BS. R1
e R2 indicano invece due fotorivelatori.
R1
I
Figura 7
I
L’ESPERIMENTO CON FOTONI POLARIZZATI
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Figura 8
I
I
R2
Quando un BS viene investito da un fascio di luce i cui fotoni hanno tutti un
piano di vibrazione inclinato di 45° rispetto al piano del foglio, la situazione è
quella rappresentata in figura 9.
Figura 9
45°
R1
I /2
I
I /2
R2
Gli schemi delle figure 7, 8, 9 mostrano il comportamento (tipicamente ondulatorio) di fasci intensi di luce. Cosa accade quando sul BS giunge un fotone alla
volta?
Se il fotone fosse semplicemente un’onda descrivibile “classicamente” le tre figure 7, 8, 9 rappresenterebbero ancora l’esito della interazione con i BS anche in
regime di “singolo fotone”, ma gli esiti sperimentali negano invece la possibilità
dell’evento rappresentato in figura 9 e mostrano che il fotone non si separa mai in
due componenti di minore intensità il cui piano di vibrazione sia reciprocamente
perpendicolare.
In altri termini, un fotone che giunge sul BS con il piano di vibrazione orientato
come in figura 9 o raggiunge R1 con un piano di vibrazione identico a quello rappresentato in figura 7 o raggiunge R2 con un piano di vibrazione identico a quello
rappresentato in figura 8.
L’INSEGNAMENTO DELLA MECCANICA QUANTISTICA NELLA SCUOLA SUPERIORE
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Figura 10
A
I
I (4N)
S2
Un comportamento analogo caratterizzerà un fotone che giunge su una lamina
polarizzatrice. In questo caso:
– se il piano di vibrazione del fotone è parallelo all’asse ottico della lamina il fotone la attraversa;
– se il piano di vibrazione del fotone è perpendicolare all’asse ottico della lamina
il fotone viene bloccato;
– se il piano di vibrazione del fotone è a 45° rispetto all’asse ottico della lamina non
si ottengono mai due fotoni contemporaneamente, con piani di vibrazione reciprocamente perpendicolari ma al di là della lamina o si ottiene un fotone con il piano di
vibrazione parallelo all’asse ottico della lamina o non si ottiene alcun fotone.
Consideriamo ora un esperimento nel quale la sorgente di luce coerente di un
laser viene attenuata in modo che, da un certo punto in poi, nell’apparato viaggi
(almeno in prima approssimazione) un fotone alla volta e supponiamo anche che
questo fotone abbia attraversato una lamina polarizzatrice che ha determinato il
passaggio di fotoni il cui piano di vibrazione formi un angolo di 45° rispetto al
piano del foglio (essendo i BS disposti con la loro faccia anteriore perpendicolare
al piano del foglio) (figura 10).
In questa figura S1 e S2 indicano due specchi totalmente riflettenti e L una lamina polarizzatrice con il suo asse ottico orientato come indicato.
Supponendo per semplicità che i fotoni incidenti sul BS indicato con A siano 4
N e applicando i precedenti ragionamenti secondo i quali dopo un BS un fotone
può avere solo o un piano di vibrazione che sta nel piano del foglio o un piano di
vibrazione perpendicolare al piano del foglio, potremo stabilire che, in media:
1) 2 N fotoni attraverseranno il BS indicato con A assumendo un piano di vibrazione nel piano del foglio, si rifletteranno su S1 e giungeranno quindi sul BS indicato con B con uno stato di polarizzazione che consente loro di attraversarlo. Per
questi 2 N fotoni la lamina polarizzatrice L ha l’asse ottico inclinato di 45° rispetto al loro piano di vibrazione e quindi N fotoni verranno bloccati e N attraverseranno la lamina giungendo sul rivelatore R.
2) 2 N fotoni verranno riflessi dal BS indicato con A assumendo un piano di
vibrazione perpendicolare al piano del foglio, si rifletteranno sullo specchio S2 e
giungeranno quindi sul BS indicato con B con uno
stato di polarizzazione che li fa nuovamente rifletteI /2 (2N)
re. Anche per questi 2 N fotoni la lamina polarizzatrice L ha l’asse ottico inclinato di 45° rispetto al loro
S1
piano di vibrazione e quindi N fotoni verranno bloccati e N attraverseranno la lamina giungendo sul
rivelatore R.
In definitiva, la descrizione dei fotoni secondo la
quale un fotone dopo il BS indicato con A o si trova
in uno stato di vibrazione verticale |V > o si trova in
I /2 (2N)
uno stato di polarizzazione orizzontale |O >, ci porta
a
prevedere che se I è l’intensità iniziale dei fotoni, il
B
rivelatore R registrerà una intensità I/2.
Eseguendo l’esperimento in condizioni di perfetta
equivalenza dei due cammini, si constata invece che
I /2 (2N)
I /2 (2N)
l’intensità registrata dal rivelatore R è ancora I,
come
se alla lamina polarizzatrice L i singoli fotoni
L
asse ottico
giungessero
ancora con il piano di vibrazione incliI /4 (N)
I /4 (N)
nato di 45° rispetto al piano del foglio e quindi paralR
lelo all’asse ottico della lamina.
L’ESPERIMENTO CON FOTONI POLARIZZATI
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Un contrasto così netto fra previsione e esito sperimentale porta a concludere che
la precedente descrizione del fotone non è corretta, o quanto meno non è completa.
Ciò che può interpretare l’esito sperimentale è invece l’ipotesi secondo la quale
ogni fotone è descritto da una funzione |F > espressa dalla sovrapposizione dei due
stati |V > e |O > secondo la relazione
F >=
1
2
V>+
1
2
O>
Questo stato di sovrapposizione viene conservato fino a quando rimane ignoto il
percorso del fotone compreso fra l’uscita della lamina polarizzatrice che gli impone il piano di vibrazione a 45° rispetto al piano del foglio e la lamina polarizzatrice L.
I due BS interagiscono quindi col fotone così come le due fenditure del precedente esperimento interagiscono con i singoli elettroni che le investono: lo stato
di sovrapposizione di polarizzazioni si trasforma in sovrapposizione di cammini.
Nel caso degli elettroni non era possibile stabilire attraverso quale fenditura
sarebbe passato l’elettrone ma, dopo un tempo sufficientemente lungo, gli elettroni si trovavano distribuiti sullo schermo secondo quanto previsto dal principio
di sovrapposizione delle onde, cioè davano origine a una figura di interferenza.
Analogamente, nel caso dei fotoni polarizzati, non è possibile sapere come interagiranno con i due BS e quindi che percorso effettivo seguiranno ma lo stato di
polarizzazione del fotone prima della lamina polarizzatrice L sarà ancora tale da
consentirgli di attraversarla e di giungere al rivelatore.
Si osservi che l’analogia fra i due esperimenti sussiste anche quando, nei due casi,
si cerca di stabilire il percorso effettivo dei due oggetti quantistici.
Nel caso degli elettroni, chiudendo una delle due fenditure, nel caso dei fotoni,
ponendo una lastra assorbente su uno dei possibili percorsi (figura 11). In questo
caso lo stato di polarizzazione del fotone dopo il BS indicato con A risulta univocamente espresso dalla funzione |V > e la previsione che l’intensità registrata dal
rivelatore R valga I/4 si accorda perfettamente con gli esiti sperimentali.
Figura 11
A
I /2 (2N)
S1
I
I (4N)
I /2 (2N)
lastra
assorbente
B
S2
I /2 (2N)
L
I /4 (N)
R
L’INSEGNAMENTO DELLA MECCANICA QUANTISTICA NELLA SCUOLA SUPERIORE
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laser
specchio
beam
expander
+
filtraggio
spaziale
rivelatore
fibra ottica
lente
polarizzatore
polarizzatore
BS
specchio
computer
specchio
specchio
BS
filtro
attenuatore
Uno schema più completo dell’apparato di cui la figura 10 rappresenta la porzione più significativa è
rappresentato in figura 12.
In questa figura, oltre ai componenti già descritti, sono indicati:
la sorgente laser in continua;
un sistema ottico di allargamento
e filtraggio spaziale del fascio proveniente dalla sorgente laser;
una fibra ottica completa di ottiche per la raccolta della luce;
un fotorivelatore in grado di rivelare singoli fotoni.
La descrizione, anche approssimativa, della struttura fisica di questi
componenti potrebbe costituire
un interessante completamento
didattico relativo, rispettivamente, all’ottica geometrica e ondulatoria e alla fisica dei semiconduttori.
Figura 12
Realizzabilità dell’esperimento
Come si può intuire dallo schema di figura 12, l’apparato che consente di realizzare l’esperimento ha un livello di complessità (e di costo!) che è nettamente superiore a quello degli apparati che solitamente si montano in un triennio di scuola
superiore (Istituti Tecnici a parte).
Nell’ambito del Progetto Lauree Scientifiche, questo esperimento è stato messo
a punto presso il Dipartimento di Fisica e Matematica dell’Università degli Studi
dell’Insubria a Como a cura di uno dei due autori di questo articolo, la Dott. Maria
Bondani e nel corso degli ultimi due anni scolastici una decina di classi degli ultimi due anni di Scuola Superiore è stata coinvolta in un lavoro di approfondimento delle tematiche della meccanica quantistica che ha visto come conclusione la presentazione dell’esperimento.
Per ulteriori informazioni la Dott. Maria Bondani può essere contattata al
seguente indirizzo e-mail: [email protected] (tel. 031-2386252)
Riferimenti bibliografici
[1] Ghirardi Gian Carlo, Un’occhiata alle carte di Dio, Il Saggiatore, Milano 2001.
[2] Feynman Richard, La Fisica di Feynman, vol. 3, cap. 1,2, Zanichelli, Bologna
2001.
[3] Pavan Michela, Interferenza di singoli fotoni, Emmeciquadro, n° 31, Dicembre
2007, pp. 142 – 151. Ricaduta didattica dell’esperimento in oggetto su allievi di
una quarta Liceo Scientifico.