«OMNIS CAUSA EST PRINCIPIUM»

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«OMNIS CAUSA EST PRINCIPIUM»
«OMNIS CAUSA EST PRINCIPIUM»
Un breve confronto tra la dottrina delle cause e la dottrina dei
principi nelle Disputationes Metaphysicae di Francisco Suárez
GIANCARLO COLACICCO*
Abstract: In the light of the current international debate about the Francisco
Suárez’s doctrine of causality, the discussion on this topic is focused on two problematic points: the first relates to the constitution of ratio causae in communi and the
second to the implications and effects which it has produced in historical­‑doctrinal
terms. In fact, it is not a coincidence that the metaphysic work of the Granada’s theologian continues to be a reference point and a benchmark by which one can identify
many aspects, doctrines and solutions which have had the essential function of bringing together two different traditions of thought, that is the second or late Scholastic
and the Modern Age.
In this article, we deal with one of the themes debated in Disputationes Me‑
taphysicae, particularly, the doctrine of principles and that of causes wherein, reflecting on the critics reviews, we aim to: a) examine the extreme positions in the
debate and the positions that have been argued in the last years about this topic,
including those found in unpublished works (Introduction); b) retrace the fundamental landmarks that lead to the constitution of ratio causae in communi (Paragraph one); c) propose a comparison with parts of Suárez’s text which help us to
understand and to make a confrontation between the definition of cause in general and each cause in particular (Paragraph two); d) underline the “problematic”
relationship between the notion of cause and the notion of principle (Paragraph
three). Therefore, our main objective is to show that: Suárez’s doctrine of causality has less issues than what has been found (an example is the relation between efficient cause and final cause or between extrinsic causes and intrinsic causes
etc.); b) there is, in the first step of the constitution of the doctrine of causality, a
philosophical­‑lexical problem or a significant equivocality between the terms cause and principle rather than those terms referring to each causes; c) the connec* Giancarlo Colacicco (Università degli studi di Bari "Aldo Moro", Bari, Italia).
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tion cause­‑principle is one of the most important connection needed to understand
the nature of Suárez’s metaphysics and his relation with the supernatural theology.
Keywords: Suárez; principle; cause; causality; efficient cause; final cause; univocity; equivocality; analogy.
Abstract: Alla luce dell’importante e fecondo dibattito internazionale sulla dottrina della causalità in Francisco Suárez, la discussione intorno a tale argomento si
è come polarizzata intono a due punti problematici: il primo riguardante la costituzione della ratio causae in communi e il secondo riguardante le implicazioni e gli
effetti che essa ha prodotto in termini storico­‑dottrinali. Non è un caso infatti, che
l’opera metafisica del teologo granadino continui a rappresentare uno dei punti di
riferimento e un luogo di verifica in cui rintracciare aspetti, dottrine e soluzioni che
hanno avuto il più delle volte l’importante funzione di tenere insieme due diverse
tradizioni di pensiero, vale a dire la seconda o tarda Scolastica e l’età moderna.
Con il presente lavoro vorremmo dunque occuparci di uno di questi temi delle
Disputationes metaphysicae e in particolare della dottrina dei principi e delle cause
su cui, vista soprattutto l’attenzione sempre maggiore della critica, cercheremo di:
a) riprendere gli estremi del dibattito e delle posizioni che si sono affermate negli
ultimi anni sull’argomento, prendendo spunto anche da lavori che devono essere
ancora pubblicati (Introduzione); b) ripercorrere tutte le tappe fondamentali che portano alla costituzione della ratio causae in communi (paragrafo uno); c) proporre un
confronto con alcune parti del testo suareziano che aiutano nella comprensione e nel
confronto tra la definizione della causa in generale e le singole cause in particolare
(paragrafo due); d) evidenziare il rapporto ‘problematico’ della nozione di causa con
la nozione di principio (paragrafo tre). Il nostro principale obiettivo è quindi quello
di mostrare come: a) la dottrina della causalità in Suárez presenti meno problemi
di quanti, invece, ne siano stati rilevati (un esempio è dato dal rapporto tra la causa
efficiente e la causa finale o tra le cause estrinseche e le cause intrinseche ecc.); b)
vi sia, nella prima fase di costituzione della dottrina della causalità, un problema
filosofico­‑lessicale o un’equivocità dei termini più rilevante tra la nozione di causa e
quella di principio piuttosto che tra le stesse cause; c) il nesso causa­‑principio è uno
dei nessi più importanti per capire la natura della metafisica suareziana e il rapporto
che essa intrattiene con la teologia soprannaturale.
Parole chiave: principio; causa; causalità; causa efficiente; causa finale; univocità; equivocità; analogia.
Et in hac causarum contemplatione,
latius quam fieri soleat immoratus sum,
quod et perdificilem illam,
et ad omnem philosophiam
et Thologiam utilissimam esse existimaverim.
(Disputationes Metaphysicae, Ad lectorem)
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Ed è in questa considerazione delle cause
che mi sono soffermato più ampiamente
di quanto si faccia di solito, perché l’ho giudicata
non solo molto difficile, ma anche di grande utilità
per tutta la filosofia e la teologia.
(Disputazioni Metafisiche, Al lettore)
Introduzione: posizione del problema e stato degli studi
Con il moltiplicarsi degli studi sul pensiero e l’opera di Francisco Suárez
e in particolare della sua principale opera metafisica1, le Disputationes me‑
taphysicae (1597)2, è cresciuta l’attenzione di studiosi e ricercatori su temi
e problemi che dall’indagine classica riguardo la struttura, l’organizzazione
e le peculiarità della metafisica suareziana si è spostata su altri aspetti, apparentemente secondari, come la dottrina della causalità e i diversi modi o le
diverse caratteristiche che hanno le singole cause all’interno delle Disputazioni metafisiche.
A tal proposito, l’interpretazione di Vincent Carraud nel suo «Causa sive
ratio. La raison de la cause de Suárez à Leibniz» (2002)3 rappresenta un
punto di riflessione molto importante nella storia degli studi su tale argomento a motivo anche degli sviluppi e delle discussioni che da lì si sono
successivamente originate. La tesi dello studioso francese è riassumibile, secondo quanto egli stesso propone alla fine del paragrafo dedicato a Suárez4,
in alcuni punti fondamentali in cui egli mostra gli aspetti che distanziano
la teoria suareziana delle cause da quella aristotelica, in quanto: a) le cause
1 Per un prospetto generale degli studi critici contemporanei sulle Disputazioni Me‑
tafisiche di F. Suárez si veda: Hill, Benjamin and Lagerlund, Henrik. The Philosophy of
Francisco Suárez. Oxford UK: Oxford University Press, 26 January 2012; Salas, Victor.
Collected Studies on Francisco Suárez, S.J. (1548­‑1617). Ditroit, Michigan: Editor Leuven University Press, 2010; Esposito, Costantino. “Le «Disputationes Metaphysicae»
nella critica contemporanea”. In Appendice a Disputazioni metafisiche I­‑III, a cura di
C. Esposito. Milano: Bompiani (collana «Testi a fronte»), 2007; Pereira, José, Suárez
between Scholasticism and Modernity, Milwaukee, Wisconsin 53201­‑3141: Marquette
University Press, 2006.
2 Suárez, R.P. Francisci, Disputationes Metaphysicae, Salamanticae 1597, in Opera
Omnia, Editio nova a D. M. André, Parisiis: Apud Ludovicum Vivès, voll. 25 e 26,
1856­‑1861.
3 Carraud, Vincent. Causa sive ratio. La raison de la cause de Suárez à Leibniz.
Paris: Presses Universitaires de France, 2002.
4 Carraud, Vincent, Causa sive ratio. La raison de la cause de Suárez à Leibniz,
(Paris: Presses Universitaires de France, 2002), 102­‑166.
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materiali e formali non sono più in Suárez delle vere e proprie cause; b) la
causa motrice aristotelica è sostituita dalla causa efficiente; c) la causa finale
è ridotta all’intenzionalità degli agenti dotati di intelletto e volontà, a esclusione degli enti naturali e con riferimento a Dio solo per spiegare l’atto della
creazione; d) per la definizione di causa, unica e allo stesso tempo comune
alle quattro cause (causa est principium per se influens esse in aliud) che
Suárez propone, di cui non vi è un riscontro in Aristotele. Come ragione
essenziale alla base di tali conclusioni, starebbe dunque la scelta suareziana
d’identificare, a partire dalla definizione sopra accennata, la nozione adeguata di causa con la causa efficiente a cui, secondo modi diversi o a titolo
diverso, le altre cause guadagnano e conservano il titolo di «cause» e da
cui si ricavano i criteri che definiscono la causalità in generale, vale a dire
l’«influxsus de l’être de l’effect (et non la seule composition de l’effect) et
distinction réelle entre cause et effet (et non partie constituante), extrinsécité
donc et non intrisécité»5. Una lettura che secondo Carraud diviene di facile
comprensione se, a partire da questi criteri, si passa al riconoscimento che
la causa efficiente è l’unica vera causa a cui Suárez fa riferimento quando
elabora la sua dottrina della causalità in metafisica, poiché non vi è altra
causa che possa ‘influire’ l’essere nell’effetto ed essere realmente distinta dal
suo effetto, che non sia la causa efficiente. E così le altre cause guadagnano
il titolo di cause solo per un rapporto di analogia che di volta in volta esse
stabiliscono con la causa efficiente da cui dipendono e sono subalternate
quanto alla loro ragione formale, discorso che si estende naturalmente anche
alla causa finale. Una tesi, quella di Carraud, difficile da controbattere per
l’immediato riscontro che essa ha quando si analizza la definizione di causa
suareziana, la quale, come si legge nelle Disputazioni, richiama inequivocabilmente il lessico dell’efficienza (causa est id a qua aliquid per se pendet
ovvero principium per se influens esse in aliud).
Tuttavia, non sono mancati dei ripensamenti a riguardo, soprattutto per
quanto attiene al primato della causa efficiente e ai rapporti che essa intrattiene con la causa finale, su cui si sono soffermati gli studi negli ultimi anni e
su cui il dibattito è ancora in corso. È sufficiente riferirsi alla causa efficiente
per spiegare l’intero edificio della causalità suareziana o si deve far comunque riferimento alle altre cause? E a rigore, se la produzione dell’effetto dipende strettamente dalla causa (efficiente) che lo produce, vorrà dire che
– come suggeriva Carraud – oltre alla materia e la forma, anche il fine è ridotto all’efficiente? Su quest’ultimo aspetto si è infatti d’accordo, si pensi per
esempio alle ricerche di Stephan Schmid o di Erik Åkerlund, nell’affermare
che il termine «riduzione», almeno per quanto attiene al confronto tra la
164.
5 Cfr. Carraud, Vincent, Causa sive ratio. La raison de la cause de Suárez à Leibniz,
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causa finale e la causa efficiente, è inadeguato e estraneo al lessico suareziano, sebbene la priorità della causa efficiente su tutte le altre cause venga
riconosciuta6. Di diverso parere è, invece, la lettura di Sydney Penner che a
partire già dal titolo del suo articolo ‘Suárez on the Priority of Final Cau‑
sation’, fa trasparire esplicitamente una versione assai differente da quella
finora presentate ridimensionando la portata e il valore della causa efficiente
a vantaggio della causa finale e riproponendo all’attenzione del lettore alcuni
passi del testo suareziano7 da cui, invece, emerge una dipendenza reciproca
(se non addirittura un primato della causa finale) tra le due cause soprattutto
«in order for the will’s act of desire or of love to come into being»8.
Con il presente articolo vorremmo dunque inserirci all’interno di tale
dibatto, di cui come abbiamo visto non vi sono molti riferimenti bibliografici sia per l’attualità dell’argomento che per gli studi che si sono appena
compiuti o si stanno ancora compiendo. Come si conviene, ripercorreremo
innanzitutto le tappe fondamentali che portano alla costituzione della dottrina della causalità suareziana, riprendendo cioè parti più note e mettendo
in luce parti meno note o scarsamente considerate del testo suareziano che
ci offrono, quanto al rapporto tra la ratio causae in communi e le singole
cause ovvero tra il primato della causa efficiente e le altre cause, un quadro
abbastanza omogeneo, anche se molto complesso, della cause. Su questa scia
vorremmo in seguito porre un problema, interno sempre alla dottrina della
causalità, facendo (per così dire) un passo indietro e cioè andando a riconsiderare il rapporto tra la nozione di causa e quella di principio, da cui sembra
emergere un’equivocità ben più radicale di quella che, invece, può darsi tra
le semplici cause. Un passaggio reso ancora più necessario se consideriamo la decisività del rapporto causa­‑principio come tema ricorrente o come
preoccupazione fondamentale su cui Suárez sembra richiamare l’attenzione
dei suoi lettori o interlocutori. È emblematica, infatti, la scelta di Suárez,
annunciata nelle pagine dedicate appunto al lettore delle Disputationes Me‑
taphysicae, di assumere la parte del filosofo (in hoc opere philosophum ago)
e in particolare del metafisico, per rendere ‘ragione’ del perfetto legame tra la
Su questa conclusione si vedano gli studi di: Schmaltz, Tad. M. Descartes on Causa‑
tion. Oxford, UK: Oxford University Press, 2008; Åkerlund E., Nisi temere agat. Francisco
Suárez on Final Causes and Final Causation. Uppsala: Filosofiska institutionen, 2011;
Lagerlund, Henrik. “The Unity of efficient and Final Causality: The Mind/Body Problem
Reconsidered”. British Journal for the History of Philosophy, 19.4 (2011): 587­‑603. Doi:
10.1080/09608788.2011.583413; Schmid, Stephan. Finalursachen in der frühen Neuzeit.
Berlin: De Gruyter, 2011.
7 DM XXIII.1.15; XXIII.4.8–13 e XXVII.2.10.
8 Penner, Sydney. Suárez on the Priority of Final Causation. 12. Colgo l’occasione per
ringraziare il Dr. Sydney Penner per avermi reso disponibile il suo lavoro, permettendomi
di poterlo consultare e citare.
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teologia soprannaturale o rivelata e la teologia naturale o metafisica (ex quo
etiam metaphysica nominata est)9, proprio per i principi che essa possiede e
utilizza. Sono questi ad assicurare per Suárez tutto il sapere, compreso quello
teologico (omnemque doctrinam quodammodo fulciunt atque sustentant), e
sono questi dunque il punto di ‘reale’ congiunzione epistemologica tra la
dimensione soprannaturale e quella naturale. Al pari dei principi, vi sono
anche le cause, che sono principi (omnis causa est principium), il cui rapporto, lungi dall’essere per Suárez ben definito, presenta un’oscillazione che in
sede metafisica decide le sorti e gli sviluppi di questa scienza. Ma iniziamo
la nostra analisi.
1. In quanti modi è da intendere il termine «causa»? Equivocità,
univocità e analogia in Disputatio XII
All’inizio della seconda sezione della XII Disputazione, Suárez dopo
aver elencato nel Prologo della stessa, le ragioni che spiegano la trattazione
delle cause in metafisica10, passa ad affrontare la questione della definizione
della causa, constatando, secondo quanto era ancora noto alla fine del XVI secolo, che «ex Aristotele nullam causae in communi definitionem habemus»11
e dall’altro che «posteriores vero philosophi in ea assignanda laborarunt»12.
Un’affermazione che in sé contiene un importante suggerimento, poiché in
essa è racchiuso il programma di lavoro che Suárez aveva in mente, vale a
dire in maniera più esplicita cercare «qualis sit convenientia causarum inter
se»13 e che presuppone due assunti fondamentali: a) il termine «causa» non
può essere un termine meramente equivoco altrimenti cercare una definizione comune non porterebbe ad alcun risultato; b) l’indagine intorno alle cause
può aver buon esito solo se si chiariscono i modi o i molteplici significati
Cfr. DM I. Prologo.
Ricordiamo, infatti, che la prima ragione è che la ratio causae partecipa secondo
gradi e modi differenti dell’ente e pertanto è compito della metafisica spiegare di che natura
e di che tipo sia tale grado di partecipazione; la seconda riguarda il fatto che la causalità
(o ratio causae) è come (veluti) una proprietà trascendentale dell’ente e poiché non c’è
nessun ente (compreso Dio come ente infinito) che non partecipi della causalità, bisogna
concludere che anche per questa seconda ragione, la causalità appartiene alla metafisica; la
terza è che secondo i criteri standard dell’epistemologia, ogni scienza deve considerare le
cause del suo oggetto e di conseguenza spetta anche alla metafisica occuparsi delle cause
dell’ente. Infine, poiché «nullum est ens quod non sit vel effectus vel causa», appartiene
propriamente alla metafisica l’indagine sulle cause: Cfr. DM XII. Prologo.
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in cui si intende il termine causa14. Evidenziamo dunque che in questa fase
iniziale della sua riflessione sulla causalità, Suárez si preoccupa di trovare
un significato della causa (espresso dalla definizione) unico e allo stesso comune ai diversi modi in cui la causa può declinarsi. Passiamo ora alla ricostruzione della disputa che Suárez ci propone sulle diverse definizioni con cui
egli si confronta e alla sua posizione a riguardo.
La prima definizione che riporta, recita così: «Causa est id, per quod sa‑
tisfit interrogationi, qua inquiritur propter quid aliquid sit, seu fiat»15. Deducibile probabilmente dalla Fisica di Aristotele16, tale definizione – secondo
Suárez – se presenta il vantaggio di poter comprendere i diversi modi del
‘perché’ qualcosa diviene o è, non presenta altrettanto chiaramente in quanti
e quali modi tale ‘perché’ può essere inteso. In effetti, se inteso nel modo
giusto (si recte sumatur), la locuzione «propter quid aliquid sit, seu fiat» significherebbe pensare «solum habitudinem causae finalis», mentre se inteso
in modo più generale (si fusius sumatur), esso significherebbe più cose come
«ex quo, per quo, a quo aliquid est» e non potrebbe pertanto essere inteso
in un unico modo. A causa dunque di questa molteplicità di sensi in cui può
essere interpretata, questa prima definizione non può per Suárez essere accettata (prima cause descriptio reprobatur).
La seconda definizione di causa, invece, si presenta secondo un’accezione
assai più comune, come: «Causa est id ad quod aliud sequitur». Suárez constata che essa, così come è formulata, si riferisce alla definizione generale di
principio piuttosto che a quella della causa, poiché il significato del verbo
sequitur può anch’esso essere inteso in diversi modi, come «est, aut fit, aut
cognoscitur», in cui sono comprese anche le privazioni, che non sono cause
ma principi e di conseguenza anche la «secunda causae definitio refutatur».
Arriviamo così alla terza definizione, giacché in base alle altre due definizioni di causa, non si può ricavare una ragione comune che le possa comprendere tutte, poiché la prima restringe troppo il campo di significazione alla
14 Su questo Suárez resta fedele al monito aristotelico che in riferimento all’indagine
sugli elementi dell’essere nella Metafisica aveva affermato la necessità di una preliminare
analisi sui molteplici sensi in cui s’intende l’essere e che Suárez compie in questo caso
rispetto al termine causa: Cfr. per esempio Arist., Metaph., Α 9,992 b18­‑30.
15 DM XII 2.2.
16 Cfr. Arist., Phys., II, 7, 198 a 13­‑20: «È ormai chiaro che vi sono alcune cause e
che il loro numero è quello da noi indicato: infatti ogni nostro ‘perché’ ne contempla un
tal numero. E in verità ogni perché, in ultima analisi, si riconduce o al concetto, come
avviene nelle cose immobili (ad esempio, nelle scienze matematiche, ove esso si riconduce
alla definizione del retto o del commensurabile o di qualche altra cosa), o ad un primo
movente (ad esempio: «perché combatterono?», «perché erano stati depredati»), o al fine
(ad esempio, «per conquistare il predominio»), o alla materia, come avviene nelle cose
sottoposte alla generazione».
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causa finale, e l’altra lo estende fino alle privazioni. Quale sarà allora tale
definizione? Nel presentare la terza definizione di causa, attribuita da Suárez
ad alcuni autori a lui contemporanei (aliqui moderni), egli scrive
Tertia definitio est quam potissime afferunt aliqui moderni: Causa est id a
quo aliquid per se pendet. Quae quidem, quod ad rem spectat, mihi probatur;
libentius tamen eam sic describerem: Causa est principium per se influens
esse in aliud17.
La causa può dunque essere espressa nel miglior modo secondo le due
definizioni riportate nel passo, o come ciò da cui qualcosa dipende di per
sé oppure come un principio che influisce di per sé l’essere in altro, con la
differenza che per Suárez (mihi probatur) solo quest’ultima può meglio esprimere il significato del termine causa.
È da notare che questa seconda accezione, che rappresenta la formula in
cui si è poi canonizzata la definizione di causa suareziana, è l’unica in cui compare il termine principio, utilizzato come il predicato principale della causa, a
differenza delle altre definizioni in cui il termine «causa» compariva sempre
accostato al termine «ens» e al relativo termine «id»18. Scrive infatti Suárez
Nam loco generis existimo convenientius poni illud nomen commune quod
propinquius et immediatius convenit definito; hoc autem modo comparatur
principium ad causam; nam ens et illud relativum id, quod absolute positum
illi aequivalet, remotissimum est19.
Porre dunque il termine ens come predicato principale della causa, equivale per Suárez a porre il problema della definizione della causa in termini
antiquati (remotissimum est). La causa deve infatti essere paragonata con il
principio. È un segnale per noi molto significativo poiché ci mostra, in questa
fase per così dire più avanzata della riflessione suareziana sulla causalità, il
nesso fondamentale causa­‑principio come strada privilegiata in cui riconsiderare il problema della causalità in Suárez, avvalorando l’ipotesi di una
problematicità interna prima ancora tra la causa e il principio che tra le stesse
cause. Ma per vedere meglio tale nesso, ritorniamo alla definizione della
causa e domandiamoci: quali sono gli elementi che permettono a Suárez di
definire in maniera inequivocabile la causa come principium per se influens
esse in aliud?
Cfr. DM XII.2.4.
La prima definizione era stata infatti presentata come: «Causa est id, per quod
satisfit interrogationi, qua inquiritur propter quid aliquid sit, seu fiat»; così anche la
seconda: «Causa est id ad quod aliud sequitur» e infine anche la terza come: «Causa est
id a quo aliquid per se pendet».
19 DM XII.2.4.
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Più che di elementi, Suárez sembra concentrarsi su un unico aspetto,
vale a dire la locuzione «per se influens» e il relativo verbo influere che consentono: a) di definire l’ambito della causalità solo alle cause che possono
realmente influire l’essere nell’effetto, escludendo perciò le privazioni e le
cause accidentali «quae per se non conferunt aut influunt esse in aliud»20; b)
di estendere il significato del verbo influere dalla sola causa efficiente, a cui
si riferisce in modo speciale (ut attribui specialiter solet), a tutte le altre cause, secondo l’accezione più generale (generalius) di «dare» o «comunicare»
l’essere. Sulla scia di questo secondo aspetto poi, la questione si fa ancora
più interessante se analizziamo l’obiezione presentata da Suárez e la soluzione che egli propone. L’obiezione è così formulata: se «influire o comunicare
l’essere» richiamano il modo o la caratteristica propria della causa efficiente
e, Suárez qui aggiunge anche della causa formale, come è possibile affermare che anche la materia e il fine sono cause?
La soluzione di Suárez si articola a seconda del modo in cui il verbo in‑
fluere è correlato alle diverse cause. In un caso, infatti, si avrà che l’influire o
il dare l’essere si dice davvero in modo speciale (speciali modo) della causa
formale in quanto «complenti proprium et specificum esse» e della causa
efficiente in quanto «realiter influenti». Nell’altro caso, invece, l’influire o
il dare l’essere si dice della materia e del fine se presi in modo assoluto
(absolute) e secondo la ragione comune della causa (sub communi ratione),
poiché anche la materia «in suo genere dat esse, quia ad illa dependet esse
effectus, et ipsa dat suam entitatem, qua constituatur esse effectus» e così
anche il fine che nella misura in cui muove «influit etiam in esse»21. Perché
dunque è interessante questa soluzione? Principalmente per due ragioni: a)
Suárez ci presenta un quadro completo, seppur breve, delle quattro cause e
del modo in cui ciascuna è rapportabile alla definizione generale della causa
come principium per se influens esse in aliud; b) ogni singola causa, anche
se in modi diversi o a titolo diverso, ha quanto alla sua ragione formale uno
statuto proprio e assoluto, non riducibile, come invece si è portati a credere,
alla causa efficiente o anche alla causa formale. Un elemento di novità se
si pensa al modello un po’ stereotipato di considerare la causa efficiente da
una parte e le restanti cause dall’altra, le quali hanno invece per Suárez pari
dignità e funzioni quanto al loro modo di essere in rapporto alla definizione
generale della causa.
Cfr. DM XII.2.4.
Sulla obiezione e la soluzione all’obiezione si confronti: DM XII.2.4: «Sed, licet
speciali modo attribuatur illis duabus causas dare esse, formae ut complenti proprium et
specificum esse, efficienti vero ut realiter influenti, tamen absolute et sub communi ratione,
etiam materia in suo genere dat esse, quia ab illa dependet esse effectus, et ipsa dat suam
entitatem qua constituatur esse effectus; causa etiam finalis, eo modo quo movet, influit
etiam in esse, ut postea declarabitur».
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Passiamo così alla fase conclusiva della nostra analisi sulla dottrina della
causalità, prendendo spunto da queste ultime considerazioni per vedere in
primo luogo, quale tipo di rapporto le diverse cause intrattengono con la ratio
causae in communi e in secondo luogo, quale tipo di rapporto si viene a stabilire tra loro. Suárez si schiererà a favore dell’univocità della causa o della
sua analogia? E in questo secondo caso, a quale tipo di analogia bisognerà riferirsi? La questione è dapprima affrontata nella XII Disputazioni, nella parte
in cui Suárez analizza le conseguenze della sua scelta di formulare un ratio
causae in communi, e in seguito sarà ripresa nella XXVII Disputazione dedicata, per l’appunto, alla comparazione delle cause tra loro22. A sua volta tale
questione presenta, oltre a un margine di frequente oscillazione (caratteristica
propria delle Disputazioni suareziane), un’ulteriore articolazione che non rende, almeno a primo impatto, il quadro molto chiaro e lineare. In effetti, dopo
aver enunciato la prima delle due conseguenze, Suárez rileva che se il nome
«causa» non è un termine meramente equivoco ciò significa che esso possiede
una ratio nominis comune a tutte le cause. Subito dopo però afferma
An vero huic nomini secundum illa definitionem correspondeat unus conceptus tam formalis quam objectivus causae in communi, in controvesia est23.
L’asse del problema si sposta dunque dalla ricerca del tipo di comunanza che c’è tra le diverse cause alla discussione se corrisponda al termine
«causa», secondo la definizione data, un unico concetto formale e oggettivo.
Quanto a questo problema, Suárez ricostruisce il dibattito e presenta la tesi
di coloro che negano che al termine «causa» corrisponda un unico concetto
di causa, poiché essendo diversi gli effetti che dipendono dalla diverse cause, non è possibile astrarre «una communis ratio dependentiae». Segue la
replica di Suárez che al contrario afferma che è possibile astrarre un concetto
comune, in quanto: a) non è contradditorio che al termine «causa» corrisponda un concetto comune, poiché in base alla definizione data (ex definitione
data) vi è una reale convenienza tra le diverse cause; b) in analogia con il
concetto di ente, anche il concetto di causa può essere allo stesso tempo uno
e predicarsi di più cose e di conseguenza «non est ergo cur negetur unus
communis conceptus causae». Se poi tale concetto sia univoco o analogo,
potrà dirsi per Suárez solo dopo aver trattato la suddivisione delle cause,
le singole cause e il modo proprio di causare di ogni singola causa24. Finora dunque sappiamo che: a) il termine causa non è un termine meramente
equivoco, poiché in base al suo significato esso può essere comune ai diversi
modi in cui tale termine può essere utilizzato, cioè a titolo di causa materia22
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Cfr. DM XXVII: De comparatione causarum inter se.
DM XII.2.14.
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le, formale, efficiente e finale; b) al termine causa può corrispondere, senza
contraddizione, un unico concetto formale e oggettivo ma non sappiamo, e
quindi non è detto, che esso sia un concetto univoco o un concetto analogo.
Questa è dunque la situazione che ci viene presentata alla fine della seconda
sezione della XII Disputazione.
L’univocità e l’analogia sono poi correlate, all’inizio della terza sezione, alla suddivisione delle cause e cioè: se il nome causa possiede un unico
significato, in che modo può predicarsi di cause che possono essere intese
in diversi modi? Su questo, come ricordavamo all’inizio, i lettori di Suárez
si sono molto soffermati, avanzando per grandi linee due ipotesi: la prima è
che il concetto a cui si riferisce il termine causa è un concetto non solo unico,
come voleva Suárez, ma anche univoco e che la suddivisione delle cause si
compia in nome della analogia per far sì che la materia e la forma, e de facto
anche il fine, conservino il titolo di causa secondo un rapporto di derivazione dalla causa efficiente25; la seconda ipotesi è che dal primato della causa
efficiente non deriva necessariamente la subalternazione delle altre cause
che si rapportano, tra di loro e con la definizione della causa suareziana vista
in precedenza, secondo modo differenti. Quanto alla prima ipotesi, abbiamo
infatti visto che già in sede di presentazione, Suárez attribuisca, attraverso
le espressioni in modo speciale (speciali modo) e in modo assoluto (absolu‑
te), ‘pari’ dignità e valore a ciascuna causa, con l’ingresso e l’accostamento,
in termini di importanza, anche della causa formale alla causa efficiente26.
Rispetto alla seconda ipotesi, non ci resta che ritornare al testo suareziano
e vedere che cosa Suárez affermi. Prenderemo in analisi la fine della XII
Disputazione e alcuni parti della XXVII Disputazione in cui Suárez parla
esplicitamente della suddivisione delle cause e del modo in cui esse possono
essere confrontate.
Alla fine della XII Disputazione, Suárez infatti scrive
In sexto puncto auctores omnes supponendo potius quam probando vel disputando, docent illam divisionem causae esse analogam et propter eam causam
dicunt non fuisse causam in communi ab Aristotele definitam. Non tamen
declarant satis modum aut rationem huius analogiae, neque a nobis declarari
potest donec rationes singularum causarum exacte tractentur. Et ideo nunc
supponamus sententiam illam veram esse ex communis sententiae auctoritate
et ex hac generali ratione, quod illi modi causarum communes sunt causis
accidentium et substantiarum, quae non possunt esse univoce causae, quia non
dant univoce esse, unde nec ratio effectus univoca esse potest in accidente
et substantia; exactiorem vero huius analogiae declarationem in praedictum
locum remitto27.
Cfr. Carraud, Causa sive ratio. La raison de la cause de Suárez à Leibniz, 163­‑165.
Cfr. DM XII.2.4.
27 DM XII.3.22.
25
26
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Giancarlo Colacicco
Sotto il titolo «Qualis sit data divisio», Suárez ripropone in questo paragrafo conclusivo della XII Disputazione, quella più importante circa la
trattazione della causalità in metafisica, un motivo già incontrato alla fine
della seconda sezione, quando Suárez, parlando del concetto formale e oggettivo della causa, aveva rinviato la considerazione sull’univocità o sulla
analogia dopo la trattazione delle singole cause. Lo stesso sembra dire anche
in questo passo (neque a nobis declarari potest donec rationes singularum
causarum exacte tractentur) riguardo questa volta alla divisione delle cause
che sarà in effetti ripresa a conclusione della lunga trattazione sulle cause,
cioè nella XXVII Disputazione. Tuttavia, non manca una presa di posizione
molto netta di Suárez a favore dell’analogia che: a) è riferita a diversi autori
o commentatori che hanno proposto l’analogia della divisione della causa
offrendola anche come spiegazione della mancata definizione comune della
causa da parte di Aristotele; b) è l’unica nozione che può essere utilizzata
per tenere insieme le cause degli accidenti e le cause delle sostanze, le quali
non possono riferirsi a un concetto di causa univoco, «quia non dant univoce
esse, unde nec ratio effectus univoca esse potest in accidente et substantia»28.
Sarà compito di Suárez dunque definire quale modo o di quale tipo di analogia si tratta.
2. Le ragioni dell’analogia della causa e l’ambiguità della locuzione
«per antonomasiam» in Disputatio XXVII
Come accennato, il discorso sull’analogia si completa nella XXVII Disputazione che ci dà l’impressione di essere in straordinaria continuità con
la XII Disputazione, nonostante la differenza fra le due è di ben quindici
Disputazioni. In effetti, quando Suárez scrive al paragrafo nove della prima
sezione che tra le ragioni che spiegano l’analogia della causa bisogna dire
«primo quidem propter rationem supra tractatam, quod causa accidentium
et substantiarum non est univoce causa»29, intende riferirsi proprio a quanto
aveva detto nell’ultima parte della XII Disputazione (propter rationem su‑
pra tractatam) circa il rapporto tra le cause degli accidenti e le cause delle
sostanze30. Prima però di proseguire con l’analisi delle altre ragioni a favore dell’analogia della causa, Suárez si preoccupa di studiare la relazione tra i
quattro generi di causa che non possiamo certamente trascurare vista anche la
pertinenza del tema con la maggior delle discussioni su cui è ancora aperto il
dibattito a livello internazionale. Ricordiamo brevemente che alla difesa del
28
29
30
Cfr. DM XII.3.22.
DM XXVII.1.9.
Cfr. DM XII.3.22.
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«Omnis causa est principium» Un breve confronton tra la dottrina delle cause...
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primato della causa efficiente per alcuni, ha fatto seguito un ridimensionamento del primato della causa efficiente per altri, soprattutto per quanto riguarda i
rapporti che l’efficiente ha con la causa finale, fino alla tesi sulla priorità della
causa finale che abbiamo accennato sopra. Veniamo al testo di Suárez.
In apertura, com’è abituale per le disputazioni suareziane, troviamo
un’introduzione all’argomento e ai temi che saranno trattati all’interno della
XXVII Disputazione e in particolare ai criteri da utilizzare per confrontare i
diversi generi di causa
Duae tantum comparationes faciendae supersunt inter causas ipsas: una in
perfectione, altera in causalitate; ex quibus simul etiam constabit quomodo
in prioritate comparentur, seu quae illarum prior censenda sit. In his autem
comparationibus observandum est generatim esse intelligendas, conferendo
nimirum unum genus causae cum alio; nam speciatim descendere ad singulas
causas singulorum generum res esset infinita et praeter scientiam 31.
A sua volta, la comparazione tra le cause in perfectione o in causalita‑
te è meglio chiarita qualche rigo più avanti, quando Suárez all’inizio della
prima sezione parla di comparazione «vel in ratione et perfectione entis, vel
in ratione causandi et perfectione quam in illa habent»32. Non deve, in primo luogo, stupire se nel primo criterio di confronto si parli della perfezione
della causa in rapporto al grado di partecipazione che ha con l’ente, poiché
come Suárez scrive all’inizio della XII Disputazione, se la causa è come una
proprietà trascendentale dell’ente allora è possibile verificare secondo quali
modi e gradi la causa partecipa della ratio entis33. Da questo punto di vista,
si può scorgere probabilmente un importante indizio sul modo di considerare
le cause da parte di Suárez che se possono essere considerate come delle proprietà dell’ente vorrà dire che: a) dovranno essere meno universali dell’ente
stesso; b) potranno essere definite solo come principi ontologici e non, come
vedremo più avanti, come principi epistemologici, poiché «maior perfectio
in causando consequi solet ex maiori perfectione in essendo»34. Quanto al
secondo criterio di confronto (in ratione causandi) è ovvio che il paragone
tra i diversi generi di causa debba poi avvenire in relazione al rapporto che
ciascuna causa ha con la ratio causae in communi sopra definita.
Se questi dunque sono i criteri di paragone, passiamo all’analisi delle
diverse comparazioni e in particolare quella tra le cause intrinseche ed estrinseche, tra la causa formale e materiale e infine tra il fine e l’efficiente35.
31
32
33
34
35
DM XXVII. Prologo.
DM XXVII.1.1.
Cfr. DM XII. Prologo.
Cfr. DM XXVII.1.1.
Cfr. DM XXVII.1.2, 3 e 4.
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Primo igitur certum est, comparando materiam et formam ad efficiens et
finem, illas esse causas minus perfectas ex suo genere, tam in esse quam in
causalitate36.
Come prima cosa, Suárez nota che dal paragone tra la materia e la forma
con l’efficiente e il fine, risulta che la prima coppia è meno perfetta della seconda sia nell’essere (in esse) che nella causalità (in causalitate). In effetti,
la materia e la forma «sunt entia incompleta et aliquo modo imperfecta»,
mentre l’efficiente e il fine «fuerit magis completum, actualius et perfectius».
Lo stesso vale rispetto al modo specifico di causare di queste due cause,
le quali «imperfectionem includunt, quia non causant nisi componendo» a
differenza della causa efficiente e della causa finale che, invece, «nullam
involvunt imperfectionem in causalitate sua»37. Vedremo meglio più avanti
come prosegue il paragone tra queste cause quando parleremo della analogia.
Passiamo ora al confronto tra la materia e la forma.
Il paragrafo si apre con Suárez che riprende alcune conclusioni circa la
forma e la materia trattate nelle disputazioni precedenti (de quibus satis trac‑
tandum est supra) e afferma dunque che la forma eccelle la materia «tam in
ratione entis quam in ratione causae», poiché in ratione entis la forma «plus
actualitatis habet quam materia; unde ipsa est quae complet rei essentiam et
quae est principium omnium operationum et perfectionum compositi»38. In
ratione causae, invece, il paragone deve avvenire rispetto al composto di
materia e forma, dove entrambe hanno funzione di causa e si dovrà concludere che: a) a priori è maggiore la dipendenza della forma dalla materia; b) a
posteriori è la materia a dipendere dalla forma39. Suárez può così concludere
questo paragrafo dicendo che
Neque hoc obstat quominus materia in genere entis simpliciter sit minus
perfecta, licet secundum quid in aliqua conditione excedat 40.
Passiamo ora al confronto tra le due cause estrinseche che si presenta molto più articolato di quello visto finora ed è anche uno degli aspetti
di maggiore interesse e attualità. Nel nostro caso, oltre all’analisi del testo,
porremmo l’attenzione sul doppio uso della locuzione «per antonomasiam»,
come aspetto, secondo noi, centrale nel confronto tra la causa finale e la
causa efficiente.
In primo luogo, se confrontati in ratione et perfectione entis, il fine e
36
37
38
39
40
DM XXVII.1.2.
DM XXVII.1.2.
DM XXVII.1.3.
Cfr. DM XXVII.1.3.
DM XXVII.1.3.
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l’efficiente presentano uno stesso grado di perfezione, sebbene «in ratione
finis formalius illa perfectio exprimatur quam in ratione efficientis»41. Premesso poi che si tratta di una distinzione di ragione piuttosto che di una
distinzione reale (ex conceptibus nostris quam ex ipsa re), Suárez dichiara
che: a) il fine e l’efficiente, considerati in tota latitudine sua, hanno lo stesso
grado di perfezione (eiusdem sunt perfectionis), poiché entrambi possiedono
la caratteristica di non essere imperfetti e quindi di poter avere, ciascuno
nel proprio genere, la massima perfezione possibile (summam perfectionem
possibilem); b) il fine ha il bene come propria et formalis ratio causandi e
perciò, a differenza della causa efficiente che causa solo in base alla propria
forma o natura, esprime maggiore perfezione della causa efficiente42. In secondo luogo
Si finis et efficiens comparentur in ratione causandi, in multis etiam habent
aequalitatem, in aliis vero se mutuo excedunt secundum proprias ac praecisas
rationes formales, simpliciter autem causa finalis censetur prima ac praecipua
in causando43.
Le possibilità che qui Suárez prospetta sono due: la prima in cui sono
elencati gli attributi comuni alla causa finale e alla causa efficiente e la seconda, invece, in cui la causa finale è riconosciuta con l’appellativo di causa
prima e precipua nel causare. Per dimostrare queste due possibilità, Suárez
sceglie di riferirsi a Dio come «suprema causa finalis et efficientis» nonostante egli noti che ogni cosa possiede in Dio uguale perfezione, nel senso
cioè che è concepita da Dio secondo un’unica perfezione. Se si può invece
parlare di diversi attributi o gradi di perfezione, questo lo si deve alle operazioni che l’intelletto umano compie quando concepisce per esempio «unum
ex suo genere esse eminentius alio, vel munus aut opus unius, munere alterius, quomodo dicunt theologi misericordiam esse maximam virtutem in
Deo»44. Solo attraverso il nostro modo di concepire si potrà dunque dire che
la causa finale e la causa efficiente sono uguali oppure differiscono in base a
determinati attributi.
Le ragioni dell’uguaglianza sono dunque tre: primo nessuno effetto è
causato da Dio, inteso come primo efficiente, senza che esso sia causato da
Dio come fine ultimo, e viceversa; secondo, «sicut omnes effectus omnium
causarum efficientium sunt a primo efficienti, ita omnes effectus omnium
causarum finalium sunt a supremo fine; et mutata proportione, sicut omnes
effectus omnium causarum finalium sunt in suo genere a primo efficienti, ita
41
42
43
44
Cfr. DM XXVII.1.5.
Cfr. DM XXVII.1.6.
DM XXVII.1.7.
Cfr. DM XXVII.1.7.
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omnes effectus omnium causarum efficientium sunt in suo genere a supremo
fine»45. Terzo, come già ricordato in precedenza, la causa finale e la causa
efficiente non includono, ciascuna nel proprio genere, alcuna imperfezione e
sono quindi uguali e indipendenti quanto al loro grado di perfezione. Fin qui
dunque, Suárez non parla né di superiorità né di primato di una causa rispetto
all’altra, anzi parla di uguaglianza tra le due cause estrinseche!
Inoltre, il rapporto tra le due diviene ancora più interessante se analizziamo le differenze che Suárez elenca nel paragrafo successivo. Qui il punto
più importante del confronto si concentra attorno alla locuzione per antono‑
masiam, utilizzata per spiegare quale tra la causa efficiente e la causa finale
è realmente la causa più importante. Basterebbe, infatti, dire quale delle due
si dice appunto causa per antonomasia per dichiarare il primato di una delle
cause e concludere definitivamente con l’argomento in questione. Ma Suárez
non manca di riservarci delle sorprese. Nella prima parte, scrive
quia ratio causae efficientis in hoc multum videtur excedere, quod influxus
eius est maxime proprius et realis per essentialem dependentiam et emanationem effectus ab illa, unde efficiens propriissime dicitur dare esse effectui,
et Aristoteles illud definivit esse principium unde incipit motus seu productio
vel factio rei. Et hinc etiam ortum habuit ut effectus, cum sit adaequatum
correlativum causae, per antonomasiam ab efficiendo nominetur [corsivo
nostro], propter quod stoici solam causam efficientem nomine causae dignam
censuerunt, ut patet ex Seneca, epist. 66, et Laertio, in vita Zenonis 46.
In questo primo caso, l’appellativo per antonomasiam, è rivolto da Suárez alla causa efficiente, poiché qualsiasi effetto che dipende da una causa è
posto in essere (influxus) innanzitutto dalla causa efficiente per essentialem
dependentiam et emanationem. È indicativo poi il riferimento ad Aristotele
in quanto: a) Suárez sembra dirci, anche senza specificare il passo, che il suo
modo di intendere la causa efficiente è riferibile ad mentem Aristotelis; b)
sembra riferirci che Aristotele abbia parlato di causa efficiente secondo la
doppia accezione di principio del movimento (principium unde incipit mo‑
tus) e principio di esistenza (seu productio vel factio rei). Ora l’indicazione
suareziana, nonostante sappiamo che la nozione di causa efficiente è stata
introdotta da Avicenna47 e non da Aristotele che parla invece di causa agente, è comunque importante poiché ci fa capire cosa Suárez pensa quando
parla della causa efficiente e di conseguenza come deve essere confrontata
Cfr. DM XXVII.1.7.
DM XXVII.1.8.
47 Cfr. Porro, Pasquale. “Cenni sulle principali trasformazioni del concetto di causa”.
In Esercizi Filosofici, edito da Raoul Kirchmayr, Gilda Manganaro, Pier Aldo Rovatti e
Marina Sbisà. Trieste: Università degli studi di Trieste – Dipartimento di filosofia, 2002.
45
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con le altre cause, in particolare con la causa finale. Ciò che Suárez pensa,
possiamo dirlo, è quanto egli riferisce ad Aristotele (anche se è riferibile ad
Avicenna), e cioè che la causa efficiente è sia principio del movimento che
causa di produzione di una cosa.
Solo in questo senso probabilmente possiamo interpretare il confronto
con la causa finale che Suárez compie quando continua con il paragone tra
le due cause. Scrive
Finis autem excedit primum in hoc, quod est veluti ultimus terminus in quem
omnis actio efficientis dirigitur, ita ut, si ita fas est loqui, dicere possimus
efficiens fini deservire, et Deum ipsum sibi quodammodo ministrare, dum
quidquid agit propter se operatur. Et ob hanc rationem, cum effectus aliquo
modo sit propter suam causam (particula enim propter generatim potest causalitatem indicare), tamen per antonomasiam de solo fine dicitur esse propter
quem res fit, et hinc etiam Socrates solam causam finalem causam appellavit,
apud Platonem in Phaedone48.
Anche nel caso del fine, Suárez fa uso della locuzione per antonoma‑
siam e non è certamente una contraddizione se consideriamo quanto appena
detto sul doppio modo di intendere la causa efficiente e cioè: il fine si dice
causa per antonomasia solo se intendiamo la causa efficiente come principio
del movimento, poiché ogni azione dell’efficiente (omnis actio efficientis)
è sempre diretta verso un fine a cui è asservita (deservire) e quindi anche
se ogni effetto dipende da una causa specifica, esso diviene solo a causa
(propter) del fine. In conclusione dunque avremmo che: a) la locuzione per
antonomasiam è utilizzata per designare sia il fine che l’efficiente; b) al doppio utilizzo della locuzione per antonomasiam corrisponde il doppio modo
di intendere la causa efficiente. In un caso, la causa efficiente intesa come
principio di esistenza è detta causa per antonomasia; nell’altro, intesa cioè
come principio del movimento, la causa efficiente è asservita alla causa finale, che diviene in questo caso la causa per antonomasia. È proprio su questo
doppio registro che volevamo porre la nostra attenzione mostrando come la
maggior parte dei problemi su cui la critica si è soffermata e in particolare a
quale tra quattro cause spetti l’appellativo di causa in modo vero e adeguato,
debba essere ripesato alla luce della locuzione per antonomasiam che, insieme al modo di intendere da parte di Suárez la causa efficiente nell’orizzonte
avicenniano, ridefinisce in modo nuovo il quadro delle quattro cause nelle
Disputationes metaphysicae.
Ritorniamo così al tema dell’analogia della causa lasciato prima in sospeso e che viene dopo tutte queste argomentazioni dedicate al confronto tra
le cause intrinseche e estrinseche. Avevamo prima accennato alla straordina48
DM XXVII.1.8.
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ria continuità tra quanto detto nella XII Disputazione e la ripresa del discorso
nella XXVII Disputazione, di cui Suárez aveva riportato una delle ragioni a
favore dell’analogia. Aveva infatti detto che la nozione di causa se riferita
agli accidenti e alle sostanze non può essere univoca e perciò deve essere necessariamente analoga49. Per lo stesso principio, e siamo alla seconda
ragione a favore dell’analogia, la nozione di causa non può predicarsi univocamente di Dio, della materia e della forma (ratio causae dicta de Deo et
de materia et de forma non potest esse univoca propter eandem rationem) e
pertanto può predicarsi solo in modo analogo. Inoltre avverte Suárez
Quae duae rationes non solum probant rationem causae in communi, sed
etiam rationem causae efficientis (et idem est de fine) non esse univocam,
sive ut communis est causae efficienti accidentium et substantiae, sive ut
communis est primae causae et secundis, propter essentialem dependentiam
secundarum a prima50.
Alle due ragioni sull’analogia del concetto di causa, Suárez aggiunge
così che anche la ragione di causa efficiente e di fine non è univoca ma è
analoga perché vi è una ragione comune tra la causa efficiente o finale degli
accidenti e delle sostanze e tra le cause prime e le causa seconde. Ma domandiamoci: a quale tipo di comunanza Suárez fa riferimento quando parla
dell’analogia della causa? In che modo il termine comune di causa è, insieme
alla sua definizione come principium per se influens esse in aliud, predicabile di ogni singola causa? Avevamo visto come nella XII Disputazione,
Suárez aveva prospettato un legame tra la materia, la forma, l’efficiente e il
fine e la ratio causae in communi attraverso il ricorso al modo, speciale o
assoluto, di influire o dare l’essere nell’effetto. Ora egli passa a un confronto
tra le singole cause e in particolare tra la materia e la forma, tra la materia, la
forma e le cause estrinseche e infine tra la causa efficiente e la causa finale.
Sul primo confronto, scrive
Praeterea, comparando materiam et formam inter se, nulla apparet inter eas
analogia in ratione causae51.
Una strana conclusione se consideriamo che alla forma e all’efficiente
era stata riconosciuta nella XII Disputazione la caratteristica di dare l’essere
in modo speciale (speciali modo)52, a differenza della materia e del fine alle
Cfr. DM XII.3.22.
DM XXVII.1.9.
51 DM XXVII.1.10.
52 Cfr. DM XII.2.4: «Sed, licet speciali modo attribuatur illis duabus causas dare
esse, formae ut complenti proprium et specificum esse, efficienti vero ut realiter influenti,
tamen absolute et sub communi ratione, etiam materia in suo genere dat esse, quia ab illa
49
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quali era riconosciuta absolute et sub communi ratione. Non si vede dunque
perché non vi può essere analogia tra la causa materiale e la causa formale.
Passiamo all’altro paragone, ancora più curioso, tra la materia, la forma e la
causa efficiente e finale. Suárez continua
tamen, si conferantur cum fine, videtur sane alia ratio analogiae hic intercedere. Nam efficiens propriissime influit esse; materia autem et forma non tam
proprie influunt esse quam componunt illud per seipsas, et ideo secundum
hanc rationem videtur nomen causae primo dictum de efficienti; ad materiam
autem vel formam esse translatum per quamdam proportionalitatem 53.
Su quest’ultima parte è chiara la tesi di Suárez: se la causa efficiente
influisce l’essere in modo proprio e la materia e la forma, invece, compongono (componunt) l’essere, allora in base alla definizione di causa, bisognerà
concludere che «nomen causae primo dictum de efficienti; ad materiam autem vel formam esse translatum per quamdam proportionalitatem». Curioso
è invece il nesso tra il riferimento alla causa finale all’inizio della frase e il
passaggio poi alla causa efficiente nella seconda che sembrano significare la
stessa cosa. A rigore, ci saremmo dovuti aspettare che il confronto introdotto
con il fine (si conferantur cum fine, videtur sane alia ratio analogiae hic
intercedere) continuasse con il fine e non con l’efficiente. Si tratta di una
svista suareziana? Sembrerebbe di no, se analizziamo in modo ancora più
approfondito l’ultimo confronto tra le cause, vale a dire quello tra la causa
efficiente e la causa finale.
Nella prima parte scrive
At vero comparando inter se causam efficientem et finalem, mihi quidem
videtur, si nominis impositionem et vim attendamus, primo et maxime dictum esse de causa efficienti, cuius influxus et notior est et maxime realis et
propriissime attingens ipsum esse quod communicat effectui 54.
Non c’è dubbio dunque che per Suárez il nome di causa è predicabile
primariamente della causa efficiente, poiché è l’unica che ha la caratteristica
di influire l’essere nell’effetto et maxime realis et propriissime. Subito dopo
però afferma
Quoad rem tamen significatam, iam dictum est proprie et aliquo modo primario convenire causae finali55.
dependet esse effectus, et ipsa dat suam entitatem qua constituatur esse effectus; causa
etiam finalis, eo modo quo movet, influit etiam in esse, ut postea declarabitur».
53 DM XXVII.1.10.
54 DM XII.1.11.
55 DM XII.1.11.
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In questa seconda parte, con l’espressione un po’ enigmatica «quoad rem
tamen significatam» che si riferisce probabilmente alla ratio causae specifica o all’essenza propria di una singola causa, Suárez al contrario afferma il
primato della causa finale e si ricollega (iam dictum est) quasi sicuramente
al paragrafo, dove il fine era stato ritenuto più perfetto dell’efficiente proprio
per la sua ragione formale che è il bene56. Ora, sia che il nome «causa» si
predichi primariamente dell’efficiente sia che convenga in qualche modo alla
causa finale (aliquo modo primario convenire causae finali), Suárez non ha
dubbi nel dire che
Non video autem quae sit necessitas constituendi propriam analogiam inter
has duas causas modo a nobis propositas, finem, scilicet ac efficientem, si
per se comparentur et caeteris paribus ex parte effectus et secundum totam
perfectionem quam unaquaeque potest habere in suo ordine, quod est comparare rationem finis et efficientis, prout in Deo sunt57.
La possibilità dunque che il fine e l’efficiente abbiamo una caratteristica
specifica e addirittura un proprio primato, diviene per Suárez la strada per
riconoscere che tra le due cause vi è qualcosa di comune sia ex parte effectus
sia secundum totam perfectionem quam unaquaeque potest habere in suo
ordine. Anzi, Suárez non manca di ribadire subito dopo che: a) la ratio cau‑
sae conviene in modo proprio e intrinseco a entrambe le cause; b) all’interno
della ratio causae è possibile pensare una vera e propria convenienza tra la
causa finale e la causa efficiente; c) le due cause non hanno una dependen‑
tiam essentialem all’interno della ratio causae 58. L’espressione poi «dependetiam essentialem» è emblematica poiché sembra suggerci che in un caso se
il termine «causa» dipende in modo essenziale dalla ratio causae in commu‑
ni, allora siamo in presenza di un rapporto di analogia; nell’altro, invece, in
mancanza di dipendenza essenziale vi è univocità. E in effetti, se riportiamo
questo schema alle quattro cause avremo che: a) le due cause estrinseche e
in particolare l’efficiente, formano la ratio causae in communi e quindi non
ne dipendono; b) le due cause intrinseche, poiché non esprimono un legame
diretto con la ratio causae in communi, ne dipendono in modo essenziale
secondo un rapporto di analogia (nomen causae primo dictum de efficienti;
ad materiam autem vel formam esse translatum per quamdam proportiona‑
litatem). Sulle due cause estrinseche, Suárez può invece concludere che il
56 «nam in fine propria et formalis ratio causandi est bonitas et perfectio eius, ut supra dictum est, efficiens vero causat per suam formam seu naturam ut sic; et ideo dicitur
causa finalis formalius exprimere perfectionem et bonitatem quam causa efficiens»: DM
XXVII.1.6.
57 DM XXVII.1.11.
58 Cfr. DM XXVII.1.11.
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termine «causa» è, rispetto alla ratio causae, un termine univoco e non vi è,
tra le due, alcuna analogia (nulla est ergo analogiae inter ipsas)59.
3. «Omnis causa est principium»: il concetto di causa a confronto con
la nozione di principio
In quest’ultimo paragrafo, vorremmo provare a porre l’attenzione su
un altro aspetto della dottrina della causalità suareziana, vale a dire il rapporto tra la causa e il principio. Un argomento su cui non si è riflettuto
molto, eccetto in alcuni casi per contestualizzare la dottrina delle cause, e
che vorremmo riproporre almeno per due motivi: l’attenzione che lo stesso
Suárez dedica all’argomento all’inizio della XII Disputazione, quando mette
a confronto la ragione di causa con la ragione di principio (un confronto
preliminare alla successiva dottrina delle cause); la scelta di definire la ratio
causae in communi a partire dalla nozione di principio che a differenza delle
altre definizioni presentate è da Suárez formulata come «principium per se
influens esse in aliud»60. A partire da questi due indizi cercheremo quindi
di riconsiderare le problematicità interne alla causalità suareziana alla luce
del confronto con la dottrina dei principi. Ci sembra infatti di poter rilevare
un’oscillazione lessicale e terminologica ben più radicale e importante tra
la definizione di causa e la definizione di principio che tra la ratio causae
in communi e le singole cause, le quali, come abbiamo visto, rispondono a
un unico criterio, cioè la definizione di causa in generale da cui non deriva
alcuna equivocità. Ma andiamo al testo di Suárez e in particolare alla prima
sezione della XII Disputazione, dove è trattato l’argomento.
Come è abituale, Suárez pone prima il problema (utrum causa et prin‑
cipium idem omnino sint) e poi presenta le ragioni di dubbio. C’è però un
importante premessa che precede le argomentazioni, da cui abbiamo preso
spunto anche per il titolo del nostro articolo, dove Suárez precisa
Non inquirimus an causa sit, quia nihil est per se notius; ad investigandum
autem quid sit, commode a ratione principii initium sumimus, quoniam omnis
causa principium est [corsivo nostro] et per illud tamquam per genus vel loco
generis definiri potest et debet61.
Da questa premessa è dunque evidente non solo il programma di lavoro
di Suárez e quindi cosa egli stia cercando (non inquirimus an causa sit, quia
nihil est per se notius; ad investigandum autem quid sit) ma anche come o
Sul ruolo dell’analogia della causa in Suárez in riferimento proprio alla XXVII
Disputazione, ha scritto delle pagine molto chiare e interessanti: Åkerlund, Nisi temere
agat. Francisco Suárez on Final Causes and Final Causation, 69­‑71.
60 Cfr. DM XII.2.4.
61 DM XII.1.1.
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dove sia necessario cercare affinché sia definita la ragione essenziale della
causa. Il suggerimento che Suárez poi dà è quasi risolutivo dell’intera questione quando afferma che «ogni causa è un principio» (omnis causa princi‑
pium est), con una formula che de facto esprime una definizione. Tuttavia,
ciò è incompleto perché si tratta ancora di definire: a) che tipologia di principio è la causa; b) quante tipologie di principio ci sono in metafisica; c) che
rapporto c’è tra i diversi principi; d) se la causa e il principio si predicano
univocamente.
A cominciare da quest’ultimo punto, Suárez presenta due posizioni che
rappresentano gli estremi del dibattito intorno a tale questione: la prima che
nel testo suareziano è attribuita ad Aristotele (ex variis dictis Aristotelis su‑
mitur), difende la tesi che la causa e il principio vanno considerati come
termini tra loro convertibili, in quanto la relazione tra i due termini può, in
un caso, essere considerata come quella tra l’entre e l’uno o, nell’altro, essere
giustificata in base alla corrispondenza tra il numero delle diverse tipologie
di principio e le diverse tipologie di cause sulla base dell’assunto che tutte le
cause sono principi. Discorso che comprende anche la privazione enumerata
tra i principi delle cose naturali nella Fisica chiamata causa nella Metafisi‑
ca62. La seconda tesi, attribuita sempre ad altri passi di Aristotele, afferma
al contrario che la causa è più estesa del principio e quindi che il principio è
più contratto della causa. A conclusione poi dell’esposizione delle posizioni,
Suárez aggiunge un’altra precisazione che è indicativa già del modo in cui
egli pensa alla definizione di principio. Scrive infatti
Denique aliunde apparet manifestum principium generalius quid esse quam
causam; nam omnis causa principium est, ut ex Aristotele retulimus; non
tamen omne principium potest dici causa; privatio enim, teste Aristotele,
est principium generationis, non tamen causa, et aurora est principium diei
et non causa63.
La massima qui proposta specifica al contrario che non tutti i principi possono dirsi cause (non tamen omne principium potest dici causa) e
l’esempio riportato riguarda ancora una volta la privazione che, come principio della generazione, non è una causa. Il caso dell’aurora è poi emblematico
perché considerato come principio e non come causa del giorno, ci permette
62 Nam in IV Metaph., c. 2, ait ita comparari inter se causam et principium, sicut ens
et unum; ens autem et unum convertuntur inter se, ut supra dictum est. Item V Metaph.,
c. 1, ubi varios modos principii enumerat, in fine ita concludit: Totidem autem modis et
causae dicuntur, omnes enim causae principia sunt. Rursus, cum I Phys. privationem inter
principia rei naturalis numerasset, in XII Metaph., c. 2, eam causam vocat; sentit ergo
causam et principium esse idem […]: DM XII.1.1.
63 DM XII.1.2.
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di dedurre una prima caratteristica della nozione di principio e cioè che esso
esprime ciò da cui ha inizio un processo (l’aurora nel caso del giorno), il
quale non è detto che sia la causa di quel processo. Ma per spiegare meglio il
rapporto tra la causa e il principio, bisogna spiegare in quanti modi e secondo
quali significati può essere utilizzato il termine principio e in che modo la
ragione di principio si predica della ragione di causa64.
Per far questo, Suárez inizia con l’enumerazione delle varie tipologie di
principio e del loro ordine (varii principiorum modi, et illorum ordo) e in
particolare li classifica in principi delle cose o incomplessi e principi della
conoscenza o complessi. Di queste due classi di principi, Suárez aveva già
parlato nelle prime pagine delle sue Disputazioni e aveva riconosciuto ai
principi incomplessi la funzione di essere il termine medio in una dimostrazione a priori, suddividendoli a loro volta in vere cause, realmente distinti
dagli effetti, dai principi o cause sufficienti «a dare la ragione formale per
cui una data proprietà convenga alla cosa»65; mentre ai principi complessi
aveva riconosciuto la funzione di essere principi in base ai quali una scienza
e in particolare la metafisica può compiere le sue dimostrazioni. Lo stesso
sembra ribadire nella XII Disputazione, con la differenza di analizzare a lungo i principi incomplessi o delle cose che, a differenza dei primi, possono
essere intesi in diversi modi. Tra questi Suárez distingue innanzitutto i principi incomplessi che si predicano «aut solum ratione ordinis et cuiuscumque
connexionis, aut ratione intrinsecae habitudinis»66. Sono esempi della prima
tipologia l’aurora che, nella successione o nell’ordine del tempo, è chiamata
principio del giorno; o la prima parte di ogni cosa che possiede un’estensione
o una latitudine è chiamata principio delle altre parti67 e così per altre cose.
Secondo quest’accezione il termine principio è un termine equivoco, poiché
può essere inteso in molti modi e dunque «non possit ad certam et scientificam rationem revocari»68. L’altra accezione secondo Suárez più filosofica
(magis philosophico) e meglio formulata come «principium ratione alicuius
habitudinis per se inter ipsum et id cuius est principium, ita ut ex illo aliquo
64 Ad explicandam hanc quaestionem, incipiendum est a nomine et ratione principii;
quoniam vero, ut Damasc. ait, Dial. contra Manich., in initio, principii vocabulum aequivocum, id est, analogum est, melius erit varias eius significationes enumerare quas ibi
recenset Damasc., et prius Aristoteles, V Metaph., c. 1: DM XII.1.3.
65 Cfr. DM I.1.29.
66 Cfr. DM XII.1.4.
67 Suárez aggiunge altri esempi come: «in ordine loci qui primus sedet dicitur principium caeterorum, et locus etiam ille ex quo fons oritur dici solet principium eius»: Cfr.
DM XII.1.4.
68 Cfr. DM XII.1.4.
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modo per se oriatur»69 può avvenire in due modi (duobus modis accidere
potest)
Primo, per positivum influxum et communicationem sui esse; qui modus
respectu rerum creatarum semper est cum dependentia et causalitate, ut explicabimus; quare huiusmodi principium, philosophice loquendo, semper
induit rationem causae. […] Secundo, potest aliquid ex alio per se oriri, ut
ex principio, non per positivum influxum, sed solum propter necessariam et
per se habitudinem ad aliud. Quo modo privatio inter principia rei naturalis
numeratur ab Aristotele, quae mediam quamdam rationem habere videtur
inter duos modos principiorum declaratos70.
Il termine principio in questo secondo significato può dunque essere inteso in due modi: come principio che influisce e comunica il proprio essere in
un senso positivo e in questo modo il principio ha ragione di causa (semper
induit rationem causae); oppure come principio che influisce e comunica
il proprio essere solo per necessità (solum propter necessarium) o per se
habitudinem ad aliud. Ci ritroviamo in questo caso di fronte alla definizione
di causa generale che Suárez tratterà, come abbiamo visto prima, in maniera
specifica solo nella seconda sezione e in particolare possiamo notare come
in questo caso la ratio causae sia definita in un contesto in cui Suárez parla
dei principi. In effetti, in questa fase preparatoria, la causa è presentata come
una tipologia di principio o come uno dei modi in cui il termine principio
può declinarsi e ci fornisce una seconda caratteristica della nozione di principio, quella cioè di poter influire o comunicare l’essere. Fin qui dunque
principio può dirsi sia in riferimento a ciò da cui ha inizio un processo o a
una combinazione determinata tra le parti (connexionem) sia in riferimento a
ciò che per propria abitudine o natura, è in grado di influire il proprio essere
o positivamente o per necessità. In figura avremmo il presente diagramma:
69
70
Cfr. DM XII.1.5.
Cfr. DM XII.1.5 e DM XII.1.6.
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Ora, se diversi sono i modi in cui il termine principio può essere inteso,
vorrà dire che sarà un termine equivoco? Oppure analogo o addirittura univoco? In un caso abbiamo visto che Suárez suddivide i principi in due classi:
principi della conoscenza e principi delle cose. Nell’altro abbiamo visto le
diverse suddivisioni dei principi delle cose o principi semplici che a differenza dei principi della conoscenza hanno un significato più ampio e di diverso
impiego. Sembrerebbe dunque da escludere l’ipotesi dell’equivocità del termine e andrebbe, invece, discussa la sua univocità o l’analogia. A tal proposito, Suárez elenca ben quattro conseguenze che derivano dall’enumerazione
delle diverse tipologie di principio. La prima sta nel riconoscere che vi è
una caratteristica comune tra tutti i principi, e cioè quella di essere primo e
quindi di essere più importante (esse prius) o in assoluto o in un certo ordine
(absolute et simpliciter in aliquo ordine)71. La seconda è che la ragione di
principio, oltre a essere definita in base al suo essere prima rispetto ad altro,
deve avere un ordine o una consecuzione interna (unius ab alio) tra i diversi
significati che il termine principio può assumere. È facile così aver conferma
della nostra ipotesi iniziale e riconoscere la terza conseguenza che
principium non dici mere equivoce de omnibus membris quae sub illo continentur superiusque numerata sunt, quandoquidem non tantum nomen sed
etiam aliqua ratio nominis est illis communis. Dubitari vero solet an sit
univoca vel analoga72.
Il termine principio dunque non è per le caratteristiche sopra elencate
un termine equivoco, riferendosi pertanto a cosa che non hanno in comune
solo il nome ma anche la definizione (non tantum nomen sed etiam aliqua
ratio nominis est illis communis). Non è chiaro però se quelle cose che compaiono sotto il nome di principio, e tra queste anche le cause, abbiano sia il
nome che la definizione in comune (univocità) oppure abbiano solo il nome
in comune ma il significato, espresso dalla definizione, è ad esse riferito in
modo diverso o a titolo diverso (analogia). Seguendo una delle due strade
potremmo infatti giungere alla risoluzione del problema principio­‑causa e
del loro rapporto.
In quanti e quali modi infatti il significato di principio può riferirsi alle
diverse cose che compaiono con questo nome? Esclusa da subito l’ipotesi
dell’univocità (ad quod breviter dicendum est non posse esse univocam), Suárez propone in maniera sorprendente non una ma più tipi di analogia (hanc
analogiam non esse unam, sed multiplicem respectu diversorum significato‑
rum) e cioè l’analogia di attribuzione e l’analogia di proporzionalità73. Ma
71
72
73
Cfr. DM XII.1.8.
DM XII.1.13.
Cfr. DM XII.1.14.
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veniamo al punto da cui eravamo partiti, vale a dire se la causa e il principio
siano la stessa cosa e si dicano reciprocamente. Le ipotesi avanzate erano
state infatti due o che la causa e il principio sono, al pari dell’ente e dell’uno,
tra loro convertibili o che la causa è più estesa del principio e quindi che il
principio è più contratto della causa. Tra le caratteristiche che avevamo invece visto vi era che il principio può essere ciò da cui ha inizio un processo
pur non essendone causa, e al contrario che il principio può anche fungere da
causa, avere cioè la caratteristica di influire l’essere nell’effetto. Il principio
inoltre, può anche avere tutt’altra natura ed essere considerato come principio della conoscenza e avere caratteristiche diverse da quelle dei principi
delle cose. Arriviamo così alla soluzione di Suárez, il quale afferma
Ultimo ex dictis colligitur responsio ad quaestionem propositam, propter quam
tam multa de principio diximus, scilicet, principium et causam non esse omnino idem nec reciproce dici, sed principium communius esse quam causam.
[…] Quam recte probant rationes dubitandi positae in principio in tertio loco
et ex omnibus dictis de principio manifeste constat. Nam principium dicitur
etiam de eo qui proprie non influit in alium, causa vero minime. Item hinc
fit ut principium non tantum entibus realibus, sed etiam entibus rationis seu
privationi conveniat; causa vero non item74.
I principi e le cause sono e devono dunque restare alternativi tra loro,
poiché il principio confrontato con la causa in tota sua generalitate si predica di più termini che compaiono sotto questo nome (principium communius
esse quam causam). Si dicono, infatti, principi anche le privazioni che non
influiscono l’essere in altro e si predicano quindi anche degli enti di ragione
e non solo degli enti reali. Non è difficile dunque evidenziare l’implicita
equivocità (principium et causam non esse omnino idem nec reciproce dici)
tra i due termini che si predicano in modo differente, nonostante le cause
sono, come abbiamo visto, dei principi. Una possibile eccezione? Si, il caso
della Trinità in cui il termine principio è preso secondo l’accezione che è
propria della causa, in quanto «vere ac per se influens aliquod esse in eo
cuius est principium», ma questo, per Suárez, eccede le capacità della ragione naturale (non possit cognosci lumine naturae)75. Un caso quest’ultimo,
non solo teologico ma anche e soprattutto filosofico, in cui, come accennato
nell’introduzione, Suárez fa trasparire il rapporto tra la teologia soprannaturale e la teologia naturale o metafisica proprio attraverso il ricorso del rapporto causa­‑principio.
74
75
DM XII.1.25.
Cfr. DM.XII.1.25.
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4. Conclusioni
Siamo così giunti al termine della nostra riflessione sulla dottrina della
causalità in Francisco Suárez e in particolare del modo in cui essa si costituisce sullo sfondo delle considerazioni suareziane sui principi. Esse rappresentano, infatti, il punto di maggior criticità su cui Suárez sembra soffermarsi
prima di arrivare alla ormai nota ratio causae in communi, come il testo
stesso ci documenta. Ma per riprendere le fila del nostro discorso e suggerire
alcuni spunti di riflessione, occorre ribadire che: a) quando Suárez compone
la definizione di causa in generale fa leva proprio sulla nozione di principio
come suo predicato principale; b) la ratio causae in communi comprende
al suo interno tutte le cause che hanno la caratteristica (anche se in modi
differenti) di ‘influire’ l’essere nell’effetto e tra queste vi sono la forma, la
materia, l’efficiente e il fine, le quali hanno pari dignità o valore quanto al
loro essere cause. Anzi Suárez sembra scegliere la definizione di causa come
principium per se influens esse in aliud proprio per la possibilità che essa
offre di riferirsi alle quattro cause aristoteliche; c) il rapporto tra le cause
sopra ricordate e la definizione generale della causa è da Suárez articolato a
seconda del confronto che tra esse viene a stabilirsi senza far ricorso a modelli di subalternazione o riduzione di una causa, specie l’efficiente, con le
altre cause e in particolare: la causa efficiente e la causa finale si predicano
secondo univocità (si ricordi che entrambe si dicono cause per antonoma‑
siam), mentre la causa formale e materiale si predicano secondo un rapporto
di analogia con la causa efficiente e finale.
Accanto a queste conclusioni su cui si è discusso e ancora si discute,
ve ne sono ancora alcune o, forse solo una, che riguardano l’affermazione
omnis causa est principium su cui, invece, non si è ancora riflettuto abbastanza, nonostante essa rappresenti probabilmente l’altra faccia della dottrina
della causalità suareziana. Come infatti abbiamo visto, Suárez è preoccupato
maggiormente di stabilire i rapporti tra la causa e il principio che insistere
sulla sola dottrina della cause, poiché essa sembra avere delle importanti e
serie conseguenze sull’intero impianto epistemologico della metafisica, di
cui è segno: a) il paragone causa­‑principio nelle primissime pagine delle
disputazioni, quando Suárez era impegnato nell’assegnazione dell’oggetto
della metafisica e nello stabilire i generi di dimostrazione da utilizzare per
dimostrare le proprietà di tale oggetto (un paragone che Suárez riprenderà
ancora qualche pagina più avanti quando parla dei compiti della metafisica
rispetto ai principi primi dell’intelletto o quando deve dimostrare la ragione essenziale del concetto di ens ut sic e così in altri luoghi); b) la ripresa
del rapporto causa­‑principio in apertura della XII Disputazione dedicata alle
cause dell’ente in genere (De causis entis in genere) e in particolare dedicata
nella prima sezione alla possibilità che i due termini possano essere sinoniRevista Filosófica de Coimbra — n.o 46 (2014)
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mi oppure no. A partire da quest’ultimo punto, è emerso dunque che da un
lato la ragione di principio comprende al suo interno diverse modi o diverse
tipologie di principio e dall’altro che le cause, le quali rientrano sotto questa categoria (omnis causa principium est), sono principi ma solo in modo
equivoco. In presenza di questi termini, quello di causa o quello di principio,
occorrerà dunque prestare molta attenzione al significato o al modo in cui
sono intesi da Suárez e questo piuttosto che rappresentare un punto di arrivo,
è senza dubbio un punto d’inizio sempre nuovo e affascinante per ritornare a
rileggere e interpretare le Disputationes Metaphysicae di Francisco Suárez.
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