capitoli 15-16

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capitoli 15-16
Ruedokioilfiorediciliegio
Detective Conan Fan Fiction by Eowyn79 (Alias Lucas Corso)
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Quindicesimo Capitolo
Much I marveled this ungainly fowl to hear discourse so plainly,
Though its answer little meaning -- little relevancy bore;
For we cannot help agreeing that no living human being
Ever yet was blessed with seeing bird above his chamber door-Bird or beast upon the sculptured bust above his chamber door,
With such name as "Nevermore."
Molto mi meravigliai nell'udire parlare così chiaramente questo sgraziato volatile,
sebbene la sua risposta poco significasse - poca pertinenza avesse;
perché non possiamo non esser d'accordo che nessuna vivente umana creatura
giammai fu beata dalla visione di un uccello sulla porta della sua camera Uccello o bestia su un busto scolpito sulla porta della sua camera,
con un nome tale come "Mai più".
Il ragazzo chiamato Shinichi Kudo si aggirò per la stanza vuota. La testa che vorticava ancora
pericolosamente e il respiro affannato. Scosse la testa. Non era solito perdere la calma in quel
modo; che fine aveva fatto il giovane detective capace di razionalizzare qualsiasi evento fosse
sottoposto al suo intelletto?
Lo sguardo gli cadde sul foglio che portava una grafia sottile e ricercata come poteva esserlo solo
quella di un ladro famoso. Accanto il tratto più scuro e poco elegante era lo specchio della schietta
personalità di Hattori.
Shinichi Kudo sorrise.
Si poteva capire molto dalla grafia di un uomo.
Solo…
Quale incredibile verità il giovane Shinji Imai aveva dovuto nascondere in quel modo?
Ciò che era ormai chiaro è che il figlio dello scrittore aveva avuto paura. Un terrore tale che gli
aveva impedito di regalare alla storia un mistero più complesso di quello che avevano intravisto con
quegli indovinelli.
E questo glielo diceva quel fiuto da detective che fino ad allora non lo aveva mai deluso.
Solo che…c’era qualcos’altro che si stava agitando…
Scosse la testa mentre uno strano soffio di vento sembrava avergli soffiato nella mente il ricordo di
Ran Mouri.
Era gelido.
Il ragazzo si voltò massaggiandosi la nuca, a disagio. Era come se quel vento gli avesse
parlato….gli avesse rivelato qualcosa che gli pesava dentro, come a comprimergli i polmoni.
Ma che stava pensando?
Era solo il vento.
Probabilmente Hattori e Kid avevano lasciato aperta la porta dopo essere usciti.
Toyama aveva telefonato invitandola ad andarla a prendere e Hattori si era precipitato da lei, mentre
Kid e Agasa si erano offerti di accompagnarlo. Lo avrebbe fatto anche lui, se Haibara, con il
consenso di tutti, non gli avesse tassativamente proibito di mettere il naso fuori casa.
Il ragazzo sbuffò di nuovo mentre un foglio lasciato da Takagi volava oltre la porta dello studio.
Un vecchio disegno dove una ragazza sorrideva aggrappata al braccio di un giovane dal ciuffo
ribelle.
Ran Mouri sentì quei versi ripetuti nella sua mente da una voce gentile che apparteneva ad un uomo
giovane, dai capelli castani e dagli occhi azzurri. Sorrise lasciando che per un attimo Kazuha la
fissasse attonita.
Ricordò un pomeriggio d’estate, nel quale si era fermata pigramente ad osservare un grillo che
cantava nel giardino di quella splendida casa stile europeo. A Ran era sempre piaciuta la casa di
Shinichi….aveva un non so che di insolito e un buon profumo aleggiava in tutte le ampie stanze.
Girò il volto piano, quasi affaticata dalla calura di quel pomeriggio di agosto.
Shinichi era disteso sul divano, addormentato con un libro sulla faccia….aveva tentato per
l’ennesima volta di leggerle dei racconti dell’orrore per esorcizzare una volta per tutte il suo terrore
sui mostri e qualsiasi elemento soprannaturale in generale.
“I fantasmi non esistono” le diceva sempre “tutto ciò che ci appare innaturale trova – o comunque
troverà nel corso dei secoli – una spiegazione logica. I mostri non ci sono. Gli unici veri mostri sono
solo gli uomini “ aveva concluso abbassando il volto contratto, quasi affranto.
Ran era rimasta colpita dalla maturità di Shinichi.
Avevano solo otto anni.
Un piccolo foglio scivolò dal libro appoggiato sul naso del suo amico che da un po’ aveva
cominciato a russare fragorosamente. Ran storse il muso e raccolse il foglio, curandosi di dargli una
strattonata. Il che servì, se non a svegliarlo, almeno a fermare per qualche minuto il terribile
frastuono del suo naso.
Ran Mouri si ricordò di essere rimasta di sasso quando voltò il foglio e fissò il volto impresso su
quella vecchia fotografia.
“Ti assomiglia molto” sorrise una voce gentile dietro di lei.
Yusaku Kudo si affacciava sereno alla sua spalla, curiosando sullo strano interesse che la bambina
aveva mostrato per quel foglio.
“Davvero?” chiese la piccola Ran arrossendo.
L’uomo si limitò ad annuire sorridendo dolcemente. Poi, alzò lo sguardo a cercare i resti di suo
figlio che aveva ricominciato a russare sul divano. Storse il muso in una smorfia di disapprovazione
e tornò a fissare le iridi blu di Ran.
“Che figlio idiota!” disse scuotendo la testa sconsolato “ non sa proprio come ci si debba
comportare!”
Ran si ricordò di aver riso parecchio per quella battuta apparentemente stupida.
“Ti va di sentire una storia triste?” le chiese poi il padre di Shinichi.
“Ci sono mostri?” chiese Ran spaventata.
“Si” rispose Yusaku Kudo serio “ nient’altro che uomini”
“Ran!” la voce di Kazuha interruppe il flusso dei suoi ricordi “Ran tutto bene?”
La ragazza fissò affranta la sua amica e capì che era arrivato il momento di usare quello che suo
padre teneva nascosto nella sua scrivania. Il primo cassetto a destra, quello che non aveva più aperto
dal giorno in cui sua madre se ne era andata.
Il taxi le aveva portate dove desiderava e il volto dell’uomo le guardava con affetto paterno come
se, per qualche ragione, Ran e Kazuha gli ricordassero qualcuno che già conosceva.
“Ecco” gli disse Ran porgendogli una banconota.
L’uomo sgranò gli occhi scuri per lo stupore “ma signorina….è troppo”
“No” sorrise Ran “ aspetti un secondo qui, dovrà riportare la mia amica a casa” non attese neanche
una risposta. Si allontanò dallo sportello e si avvicinò a Kazuha rapita dal paesaggio splendente di
quel lago e quella foresta coperti dalla neve decembrina.
“Quando tutto questo sarà finito dovremmo venirci per le vacanze, è un posto bellissimo!” esclamò
la ragazza di Osaka aprendo il volto in un sorriso splendente.
Uno splendore che si rifletté sulla canna argentea della Magnum puntata su di lei.
“Ran….”sussurrò Kazuha Toyama stordita “ma…”
“Il taxi ti sta aspettando” disse Ran Mouri la presa salda sulla pistola “vai. Da adesso in poi devo
vedermela da sola”
Kazuha sorrise, incredula.
“Mi stai prendendo in giro, non è così? Su Ran –chan non sono scherzi da farsi….”
Ran Mouri non disse nulla. Lasciò solo che il pollice caricasse il colpo.
E l’ultima foglia dorata del faggio vicino cadde, placida, leggera sulla neve tinta di rosso.
Heiji Hattori fissò i fiocchi che avevano cominciato a scendere lentamente da quel cielo talmente
bianco da fare male. Il cuore gli turbinava nel petto più di qualsiasi altra volta gli fosse accaduto in
tutta la sua vita; mai, mai nella sua carriera da detective aveva passato due giorni d’inferno come
quelli!
E niente sembrava essersi definitivamente risolto ancora risolto.
Si portò le mani al mento e cercò di dimenticare la voce preoccupata che aveva sentito al telefono.
Fin quando non sarebbero arrivati non poteva permettersi di perdere la calma; era o no il figlio del
famoso comandante Heizo Hattori? Aggrottò le sopracciglia e tentò di rimettere in sesto i pezzi di
un puzzle che sembrava assurdo.
Quale fosse la chiave dell’indovinello l’avevano ormai capito ma cosa c’entrava Edgar Allan Poe
con tutto questo?
“Shinji Imai era andato a studiare in Europa” aveva detto Kudo
Grazie.
A quello ci sarebbe potuto arrivare anche da solo….ma che diavolo voleva significare?
“Alla Sorbonne si era interessato a manoscritti del IX secolo, o almeno questo è quello che si
racconta sul suo conto” queste le informazioni che l’agente Takagi gli aveva esposto “tuttavia non
ho avuto nessuna conferma dal vecchio Takeshita. In realtà non mi ha dato neanche una vera
smentita. Si è limitato a sorridermi”
Heiji Hattori aveva allora notato l’ombra che aveva attraversato le iridi azzurre di Kid.
Qualcosa non quadrava. Lo sguardo scuro di Kudo glielo aveva confermato.
Tuttavia…che c’entrava Edgar Allan Poe con manoscritti medievali? Francesi poi! Poe era nativo di
Baltimora, quanto più lontano dal medioevo potesse esistere (se si eccettuavano le atmosfere
gotiche che caratterizzava tutta la sua produzione).
Il giovane detective del Kansai scosse la testa, frustrato. Non riusciva a capire. Non riusciva proprio
a capire. E poi bussava al suo cervello.
La vecchia Wolswagen del professor Agasa era ormai entrata nel parcheggio dell’ospedale
distrettuale di Beika.
Kazuha.
Era sempre lei, quella scema, che scappando metteva tutti nei guai.
Che stupida!!!
Heiji Hattori non riusciva a pensare, mentre il cuore gli martellava così forte contro i timpani che
sembrava volesse spaccargli il cranio.
Perché Kazuha era all’ospedale?
Perché piangeva?
Perché lo sapeva che stava piangendo, anche se quella cretina faceva sempre di tutto per
nascondergli le sue lacrime.
L’avrebbe ammazzato quel bastardo.
Kaito Kuroba osservò la strana luce balenare negli occhi di Hattori e se ne ricordò.
Quella fiamma l’aveva già vista.
Aveva appena saputo della morte di suo padre.
E lo specchio gli restituì l’immagine lacerata di un bambino con gli occhi di fuoco.
Lo aveva sentito benissimo. Ma nessuno aveva detto nulla.
Anche il detective Wataru Takagi si era accorto del legame che aveva con il libro.
Un legame di sangue.
Il sangue di suo padre.
Il cuore del ragazzo diede un guizzo quando si ricordò il motivo per il quale aveva deciso di
mettersi sulle tracce del libro.
L’aver scelto come compagni di avventura quei due era risultato più utile di quanto non avesse
sperato all’inizio. Solo che ora, lo sapevano tutti e tre, si trovavano di fronte ad un punto morto.
I misteriosi uomini in nero erano probabilmente avanti a loro.
Il giovane Kaito Kuroba alzò il volto su quella giornata bianca come il mantello che adorava e
sorrise.
La sfida non si era conclusa.
Ai Haibara passò di fronte alla porta dello studio.
A terra accanto alla porta c’era un foglio. La bambina lo raccolse e due ragazzi dalle fattezze così
familiari da farle male le sorrisero. I suoi occhi grigi indugiarono un secondo ancora sul ritratto
schizzato da una mano veloce, prima di alzarsi ad osservare l’interno dello studio di Yusaku Kudo.
La figura slanciata del giovane detective dell’Est misurava con passi frenetici l’intero perimetro
della stanza, in una sorta di strana danza dagli effetti apotropaici.
Abbassò il volto.
Era rimasta lì dove aveva promesso di restare.
E anche lui.
“Shinichi non deve assolutamente allontanarsi” le disse la voce di Ran Mouri nella sua mente “e
non deve sapere nulla”
Poi, di nuovo, quel sorriso, per lei, solo per lei “so di potermi fidare di te”
Shiho Miyano fissò il volto scuro di quel giovane chiamato Shinichi Kudo e si chiese se il suo
angelo non avesse fatto un grosso sbaglio nel giudicarla. Ma Ran Mouri aveva saputo leggere anche
questo sul suo volto ritenuto imperscrutabile.
“Lo proteggerai, lo so” aveva detto.
“Perché tu lo ami tanto quanto lo amo io”
E Shiho Miyano promise che avrebbe tenuto lontano Shinichi Kudo da quella ragazza….dalla
donna di cui era innamorato.
E non era lei.
Eri Kisaki premette una volta ancora gli indumenti nella borsa che aveva promesso di preparare.
Ancora non si capacitava di come suo marito avesse avuto un’idea del genere. Sorrise arrossendo
lievemente abbandonandosi ad una tenerezza che non sapeva di riuscire a provare ancora per
quell’uomo stupido e gretto!
Scosse la testa e continuò ad infilare gli indumenti nella borsa.
Per ora erano sufficienti.
Lanciò uno sguardo desolato intorno.
Sua figlia teneva quel piccolo appartamento come un gioiello e ora era semidistrutto. I vicini
vedendola arrivare le avevano sorriso cordiali chiedendole come stesse suo marito, per poi
spettegolare alle sue spalle. La donna sospirò. Aveva approvato l’idea di suo marito. Ora bisognava
superare le inevitabili ritrosie di Ran. Soprattutto ora che Shinichi era tornato.
La donna si accarezzò un labbro con il dorso dell’indice pensierosa.
Shinichi Kudo nascondeva qualcosa. E come tutti gli uomini non era capace di nasconderlo.
Qualcosa che aveva a che fare con la sua lontananza così prolungata. Yukiko stessa le aveva sorriso
imbarazzata quando gliene aveva parlato.
Ora Eri Kudo, per quanto fosse affezionata a quel ragazzo, non sapeva se fosse più veramente
l’uomo giusto per sua figlia.
Al National Hill di Los Angeles Yusaku Kudo si chiese se aveva fatto bene a nascondere alcuni
particolari di quella storia a suo figlio. Alzò lo sguardo dal pc e si tolse gli occhiali stropicciandosi
il volto affaticato. Lasciò che,per un attimo, la luce leggera della lampada filtrasse attraverso le
palpebre chiuse.
Era una leggenda. Solo una leggenda che si tramandava nella sua famiglia….ma dal giorno che
Shinichi gli aveva raccontato ciò che gli era successo, come era diventato Conan Edogawa e chi
fossero i responsabili di tutte le sue disgrazie, aveva deciso che magari, quella storia era meglio
raccontargliela quando tutto sarebbe finito.
Solo che nel frattempo aveva compiuto diciassette anni.
Il che non era molto rilevante.
Se non fosse che anche Ran Mouri aveva la stessa età.
“Heiji!” sorrise Kazuha.
Il detective del Kansai aggrottò le sopracciglia folte. Era evidente che quella ragazza avesse pianto
fino al momento in cui non aveva subodorato che lui si stava avvicinando.
“Che è successo?” chiese il ragazzo duro, lanciando uno sguardo ancora più irritato alla fasciatura
che la ragazza aveva sulla gamba destra.
Kaito Kid gli scaraventò il gomito in una costola guardandolo storto. Heiji Hattori alzò un
sopracciglio strafottente. Non era un ladro a dovergli dire come comportarsi.
“Ran….” Sussurrò Kazuha.
I due ragazzi si volsero verso di lei, lo sguardo concentrato.
“Kazuha…che è successo?” chiese Heiji, questa volta con un tono più dolce avvicinandosi un po’
alla ragazza.
La ragazza alzò su di lui uno sguardo lucido senza riuscire a dire una parola.
Poi Il giovane detective del Kansai dovette fare i conti con il suo cuore che martellava laddove
Kazuha Toyama nascondeva il suo volto rigato dalle lacrime.
“Ho portato il dolce!” annunciò allegra la voce di Hiroshi Agasa.
L’uomo dai lunghi capelli biondi si calò il cappello sul ghigno mentre la bella donna bionda
ordinava agli attendenti come sistemare la stanza, dava consigli su come si sarebbe dovuta svolgere
la manifestazione e raccomandava al regista di fare il miglior lavoro possibile.
“Il capo sarà contento della tua premura” ghignò mentre muoveva il cavallo sulla preziosa
scacchiera settecentesca poggiata su un tavolino d’ebano appartenuto a Luigi XIV.
Vodka fece una smorfia vedendo la sua regina in difficoltà.
La donna che si faceva chiamare Vermouth non si voltò nemmeno.
“Quello che stai sporcando con le tue luride mani è un pezzo rarissimo. Apparteneva a Carlo IV, re
di Boemia”
“Uhm…se non muovi il tuo alfiere sarò costretto a mangiarlo” ghignò Gin affatto infastidito…ma
più che vescovi preferisco divorare….angeli….”
Vermouth si voltò fissando uno sguardo gelido sull’uomo dall’impermeabile nero.
Poi un rintocco echeggiò lungo le pareti del cottage.
Un suono basso e lieve.
Gin si alzò.
Vermouth lo seguì fin quando arrivò alla porta ed aprì.
Oltre la soglia una ragazza dai capelli scuri tremava per il freddo.
Alzò il volto sull’uomo.
“Benvenuta” ghignò Gin mentre Ran Mouri poté solo continuare a fissarlo.
E tutto si ripeterà da capo.
Disse il vento.
Sedicesimo Capitolo
Kogoro Mouri fissò le pareti della stanza e sbuffò. I polsi erano legati troppo stretti e il sangue non
fluiva con la dovuta accuratezza. Le dita avevano acquistato già un colore violaceo. L’uomo lasciò
che un sorriso storcesse per un secondo la linea dei baffi corvini che gli incorniciavano le labbra.
Era evidente che quella donna non aveva mai legato un prigioniero in vita sua.
E poi, ferito com’era, che bisogno c’era di legarlo? Anche volendo non sarebbe riuscito ad andare
da nessuna parte.
Kogoro Mouri continuò a sorridere, dolce, e i suoi occhi scuri brillarono, insolitamente intelligenti.
“ Penso che per un po’ non dovrai più occuparti di me, bambina mia”
La donna che aveva lottato per farsi chiamare Vermouth fissò la ragazza che alzava uno sguardo
fiero sul killer dai capelli biondi. Senza accorgersene aveva preso a mordersi un labbro e ben presto
avvertì la pelle sottile cedere per lasciare il posto al sapore del sangue. Stava andando storto.
Avrebbe dovuto tenere in maggior considerazione quell’uomo.
Gin era l’unico che aveva un intelletto tale da poterle procurare diversi grattacapi.
Come questo appunto.
L’angioletto era riuscito a scappare e tuttavia quell’uomo aveva fatto in modo che si presentasse
spontaneamente da lui.
Gli occhi della ragazza non mentivano,Vermouth conosceva bene quello sguardo, esattamente
quello che per tanto tempo aveva visto allo specchio, prima di conoscere un uomo che avrebbe
cambiato la sua vita definitivamente.
L’uomo che alla fine le aveva concesso il nome di Vermouth.
Ran Mouri aveva paura; quello che aveva di fronte e che la squadrava con occhi di ghiaccio era un
assassino.
Non c’erano dubbi.
E lei ricordava anche che si erano già conosciuti.
“ Su, su piccola mia entra o ti prenderai un malanno! Sei tutta affannata!” disse Gin con un terribile
ghigno mellifluo, un tono che fece storcere le belle labbra anche alla donna poco distante.
Ran rivolse per un attimo l’attenzione a quel bagliore crepuscolare che falsava il colore dei capelli
della donna…e tuttavia…era lei? Era lei che emanava quel profumo?
La figlia del famoso investigatore Kogoro Mouri abbassò un attimo il volto prima di rivolgere
nuovamente lo sguardo sull’uomo dai lunghi capelli biondi.
“Dov’è mio padre?”
Chiese, dura, seria, ferma.
Con più coraggio di quanto lei stessa non conoscesse.
L’uomo di fronte a lei estrasse con misurata lentezza una custodia dalla quale sfilò una sigaretta con
le labbra. Poi la luce improvvisa, e un leggero sentore di zolfo si sparsero nell’aria attorno al
fiammifero.
“Non è bello discutere di questi affari così importanti sulla soglia, non è vero tesoro?” disse l’uomo
rivolgendosi alla donna poco distante.
“Ma certamente” rispose lei con un sorriso sicuro “ di qua c’è uno studiolo nel quale potremo
parlare con tranquillità. Tu” fece poi ad un ometto dai capelli color paglia “facci portare del tè….
per favore” aggiunse lanciando uno sguardo all’aspetto teso di Ran.
“Tu rimani qui” sentì dire la ragazza dall’uomo biondo ad un suo compagno dalla mascella quadrata
poco distante, vestito totalmente di nero.
Come lui.
Prima di avviarsi lungo il corridoio, seguendo la donna che faceva strada, Ran Mouri lanciò uno
sguardo serio ai due uomini che si scambiavano ancora qualche parola.
Gli stessi uomini che aveva incontrato quel maledetto giorno di tre anni fa.
Heiji Hattori arrossì come il carapace di un’aragosta tropicale mentre Kazuha Toyama lo stringeva
così forte da non farlo quasi respirare.
Il professor Hiroshi Agasa, non appena aveva sentito i singhiozzi della ragazza, aveva bloccato le
braccia in aria con le mani ricolme di nikuman.
Il ladro Kid si limitava a fissare la scena ancora incerto se dovesse preoccuparsi o meno. Decise
immediatamente che forse sarebbe stato meglio dare un po’ d’intimità ai due piccioncini e trascinò
via un imbambolato professore, mentre Hattori gli lanciava uno sguardo di profonda gratitudine.
“Si può sapere che è successo?” chiese a bassa voce, con un sorriso, come quando, da bambini,
doveva consolare quella stupida dopo che l’aveva inseguita per centinaia di metri con una lucertola
in mano. Kazuha era terrorizzata dai rettili.
La ragazza alzò su di lui uno sguardo lucido, ancora aggrappata disperatamente al suo giubbotto.
“Ran…” disse “Ran è andata da loro!”
Il giovane detective dell’Ovest aggrottò per un secondo le folte sopracciglia scure, mentre per un
attimo, nella sua mente un po’ stanca il pensiero di un dubbio, un quesito che sembrava essergli
affiorato al cervello non appena aveva scorto quella strana luce negli occhi della sua amica
d’infanzia.
La luce di una consapevolezza che andava al di là di quanto lui non le avesse mai confessato.
“Quali uomini?” chiese Heiji Hattori, piano, come se in realtà non avesse voluto saperlo.
Kazuha Toyama si morse il labbro per un secondo prima di cominciare a raccontare.
“Gli stessi uomini che hanno rapito me” disse la ragazza, le parole stranamente misurate “pare che
la ricattino in qualche modo”
“Ricattarla?”
Kazuha annuì.
“Il signor Mouri” aggiunse “ sembra che l’abbiano preso in ostaggio”.
“CHE COSA?” chiesero all’unisono il giovane ladro del cielo d’argento e il professore che caddero
dalla porta alla quale, evidentemente, si erano appoggiati per origliare.
“Ma che diavolo sta succedendo?” si chiese Heiji Hattori portandosi una mano al mento, mentre una
goccia gelida, gli feriva la pelle scura.
“Sono stati loro a spararti?” chiese all’improvviso Hiroshi Agasa alla ragazza distesa nel letto
d’ospedale.
Kazuha Toyama scossa la testa.
“No. E’ stata Ran”
Jun Miyashiro si limitò a lanciare uno sguardo seccato alla strana combriccola che aveva invaso
l’atrio della vecchia villa Imai.
Si asciugò il sudore con un fazzoletto, dopo aver poggiato per un secondo la grossa cassa al
ginocchio. Certo che era proprio bello essere ricchi! Sbuffò il ragazzo. Ora era arrivata anche una
figlia di papà! Ne era sicuro! Quella ragazza aveva una faccia conosciuta, anche se non si ricordava
proprio dove l’avesse vista. Certo almeno doveva ammettere che era proprio bella e non ci stava
affatto male vicino a quello schianto di donna per la quale era costretto a sgobbare! Beh, pensò
girando il volto a fissare le gambe delle due donne che si muovevano a qualche metro avanti a lui,
almeno non aveva solo brutti musi da vedere.
Poi un soffiò di vento s’infranse sulla sua nuca come se avesse voluto picchiarlo.
Jun si voltò infastidito. Ma notò, sorpreso, che il portone era stato chiuso e nessuna delle finestre era
aperta.
E lo vide.
Un ragazzo di un paio d’anni più giovane di lui, vestito in uno strano modo, che fissava da oltre il
vetro la ragazza, quella che stava scomparendo oltre la porta dello studio.
“Che stai facendo lì impalato!” gridò il suo capo sfasciandogli delicatamente i timpani.
“Arrivo, arrivo!” Jun sbuffò impaziente e si caricò nuovamente la cassa sulle spalle, tutti i carrelli li
usavano i più ‘anziani’, lui era giovane e poteva pure rompersi la schiena!
Prima di tornare a lavoro lanciò uno sguardo al volto che aveva visto oltre la finestra.
Ma era sparito.
Shinichi Kudo si svegliò di soprassalto, scosso dai brividi di una febbre che non riusciva a
curarsi…che non voleva curarsi dopotutto. Scosse la testa, afferrandosi il volto e fissando il
pavimento attraverso la fessura delle dita. Per quanto ancora sarebbe rimasto nei suoi veri panni? Se
fosse guarito sarebbe tornato Conan Edogawa e questo, sembrava pesargli più di quanto non avesse
mai avvertito prima.
Si scrollò di dosso quei pensieri.
Era inutile preoccuparsi ora.
Per adesso bisognava risolvere il mistero di quei dannati libri e capire perché diavolo anche Gin e
compari lo volevano.
La coperta di lana dal disegno a quadri scivolò ancora oltre il suo petto e il ragazzo si rese conto di
essersi di nuovo addormentato e che qualcuno si era preso cura di lui.
“Allora vuoi spiegarmi che succede?” chiese il ragazzo con il suo solito sorriso strafottente alla
bambina dall’aria adulta che si era affacciata alla porta della sua stanza.
Shiho Miyano si chiese se quello che stava facendo fosse giusto.
Perché allora sentiva una strana pressione sul petto, una morsa che da un po’ aveva cominciato a
comprimerle i polmoni, a mozzarle il respiro?
E tuttavia….gli occhi di Shinichi Kudo non erano mai stati così attraenti….
“Che cosa intendi dire?” chiese con il suo solito mezzo sorriso, quello che aveva imparato dal suo
maestro di deduzione.
“Ma piantala di fare la gnorri! Lo so benissimo che Ran ti ha detto dove andava!”
La bambina dalla pelle di seta alzò uno sguardo iridescente sul giovane, affrontandone l’intelligenza
e la sensibilità.
Sbuffò in un piccolo sorriso.
Beh, non è che fosse molto sensibile per un determinato tipo di sentimenti.
“Anche se fosse, tu, Shinichi Kudo, che cosa c’entri con qualcosa che lei ha voluto dire a me?”
Il ragazzo la fissò interdetto, i denti stretti, le ciglia aggrottate.
“Che intendi dire?”
“Niente” disse la bambina scrollando le spalle “come quello che mi ha detto”
Il giovane detective dell’Est fissò ancora per un secondo quella donna racchiusa nel corpo di una
bambina e, inaspettatamente, sorrise.
“Ho capito. A quanto pare siete diventate delle vere amiche!”
Shiho Miyano si volse, lo sguardo perso, le iridi dilatate dallo stupore.
Poi il campanello della porta suonò di nuovo a ritmo del pendolo della porta.
Cinque battiti.
Di un giorno che stava diventando interminabile.
La piccola scienziata storse un secondo le labbra in una graziosa smorfia di disappunto e si avviò in
silenzio ad aprire la porta.
Shinichi Kudo non poté fare a meno di sorridere divertito.
Haibara era senz’altro una ragazza eccezionale, incredibilmente intelligente e coraggiosa, ma
quando si parlava di sentimenti riusciva a dileguarsi meglio di qualsiasi ladro!
Tutto…tutto si ripeterà….
Shinichi Kudo si volse di scatto, verso la finestra, laddove aveva percepito provenire quella voce.
Lo aveva sognato…oppure…
….oppure qualcuno stava ridendo?
Kazuha si aggrappò al collo di Heiji decisa, con gli occhi gonfi per il troppo pianto e con le labbra
insolitamente rosse. Conosceva benissimo il motivo per cui Ran le aveva sparato. Il problema era
sapere come mai avesse una mira così infallibile. Colpendole il polpaccio aveva evitato qualsiasi
arteria principale, ma le aveva impedito di andarle dietro.
Perché sapeva che l’avrebbe seguita a qualunque costo.
Dunque c’era qualcos’altro…Qualcos’altro che Ran –chan non aveva voluto dirle….
O non aveva potuto?
L’avrebbe scoperto. Non poteva permettere che quei buoni a nulla di detectives se la cavassero da
soli! Questa volta c’era entrata anche lei e non aveva la minima intenzione di lasciare una delle sue
più care amiche in mano a gente che, lo sapeva bene, sia Heiji che Kudo che Kaito conoscevano.
Per non parlare della piccola Haibara.
Chi fosse in realtà glielo si leggeva scritto in faccia.
E ora avrebbe dovuto parlare con lei.
Kazuha Toyama alzò il volto sulla porta della sua stanza d’ospedale. Quella che stava varcando con
l’aiuto di Heiji.
Era stata una stupida!
Avrebbe dovuto avvicinarsi quando Ran aveva chiesto di parlare un secondo da sola con quella
bambina! Avrebbe dovuto sapere che cosa si erano dette! Stupida!
Era stata una stupida!
Ma che cosa avrebbe mai potuto fare?
Ran era una sua amica e doveva fidarsi di lei.
Esatto.
E glielo avrebbe dimostrato.
“Torniamo a casa di Kudo” disse concentrata “ ora”
Heiji Hattori la guardò senza dire una sola parola. Poi come seccato dallo strascicare della ragazza
sul lucido pavimento verde acqua la prese fra le braccia e la portò oltre la soglia di quel dannato
ospedale.
“Che cosa c’entra questo adesso!” disse l’agente Miwako Sato alzandosi e sedendosi ripetutamente
dalla poltrona di Wataru Takagi.
Poi gettò uno sguardo di disapprovazione all’intero appartamento messo a soqquadro dalle loro
indagini. Aveva cercato di dargli una sistemata, ma lo sguardo imbarazzato del suo collega l’aveva
fatta desistere.
Ora solo l’odore del caffè aleggiava dalle tazze che fumavano accanto ai fogli sparsi sul tavolino,
nuovi indizi che provenivano dalla bottega d’antiquariato del vecchio Takeshita.
“Non lo so che cosa c’entra! “ sbuffò Takagi portandosi una mano alla cravatta per allentarne il
nodo. Poi si appoggiò alla poltrona con fare desolato, scompigliandosi il ciuffo di capelli castani.
“Certo che se ne poteva uscire anche prima con questa storia” sbuffò Sato con le mani sui fianchi,
fissando il tavolo della cucina semi sparecchiato e le stoviglie nel lavandino accatastate in maniera
da sfidare qualsiasi legge di gravità “ammesso che questo strano e dispendioso acquisto c’entri!”
“Questo è vero” sussurrò il giovane gli occhi stretti in una strana riflessione “però….credo che quel
vecchio abbia deciso di aiutarci veramente solo ora…”
La donna interruppe il suo nervoso passeggiare avanti e indietro per fissare nuovamente la nuca di
Wataru Takagi.
“Che intendi dire? Non penserai che…?”
“Esatto” intervenne l’investigatore alzando lo sguardo serio “probabilmente ha scoperto quanto
siamo andati avanti nel risolvere l’indovinello e ha creduto bene che fossimo la sua unica possibilità
di arrivare al tesoro..”
“Stai parlando del segreto della scomparsa di Eri Kudo?”
“Proprio così” disse il giovane con uno sguardo così sicuro e luminoso che per un attimo il battito
dell’agente speciale Miwako Sato ebbe uno strano guizzo “Ma non posso fare niente senza l’aiuto
di Kudo. E’ come se sapessi che lui ha la chiave per risolvere tutto”
L’orologio dello stereo segnò le cinque.
“Che aspettiamo allora!” disse Sato con le guance leggermente imporporate e il sorriso ampio.
Afferrò con entrambe le mani il braccio sinistro del collega e se lo trascinò vicino.
“Se sei così sicuro andiamo da lui, signor Marlowe!” finì facendogli l’occhiolino ad una decina di
centimetri dal suo volto.
Wataru Takagi più tardi se la prese molto con se stesso.
Come poteva arrossire così?
Non era un uomo fatto ormai?
“Ciao piccola!” disse la voce dell’avvocato Eri Kisaki che sorrideva, leggermente piegata in avanti,
le mani poggiate sulle ginocchia esili.
Ai Haibara aprì e chiuse la bocca.
Che cosa ci faceva quella donna lì, di fronte a lei….
In salvo?
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