ENTI NO PROFIT RELIGIOSI E ORDINAMENTO TRIBUTARIO

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ENTI NO PROFIT RELIGIOSI E ORDINAMENTO TRIBUTARIO
UNIVERSITÀ’ DEGLI STUDI DI MACERATA
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
SCIENZE CANONISTICHE ED ECCLESIASTICISTICHE
CICLO XXV
TESI DI DOTTORATO
ENTI NO PROFIT RELIGIOSI E
ORDINAMENTO TRIBUTARIO.
PROFILI STRUTTURALI E
TELEOLOGICI
TUTOR E COORDINATORE
CHIAR.MO PROF. GIUSEPPE RIVETTI
ANNO 2014
DOTTORANDO
DOTT. TOMMASO MARTINICO
Al mio papà Nicolò,
alla mia mamma Tina,
a mio fratello Alberto,
con infinito affetto.
1
INDICE
Introduzione……………………………………………………………
6
CAPITOLO I
ENTI GIURIDICI E ORDINAMENTO STATUALE.
LA SPECIALITÀ DEGLI ENTI ECCLESIASTICI
1.1. L’ente giuridico nell’ordinamento italiano. Persone giuridiche,
enti di fatto. Tra attività non profit e for profit………………… 15
1.2. Non profit e welfare state. La modificazione del rapporto fra
“mano pubblica” e settore privato: la crisi dello Stato sociale
e l’espansione del c.d. terzo settore…………………………..
19
1.3. Enti religiosi e ordinamento statuale. Il genus enti ecclesiastici;
la species enti ecclesiastici civilmente riconosciuti…………...
27
1.4. Enti religiosi tra specialità e diritto comune. Natura e regime
giuridico……………………………………………….............
35
1.5. Il quadro normativo di riferimento: tra regolazione dell’ordinamento religioso e normativa statale unilaterale bilaterale......... 41
1.6. Profili giuridici dell’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto.
Il riconoscimento della personalità giuridica............................
48
1.6.1. Gli elementi essenziali. Il requisito soggettivo, la sede, la
finalità................................................................................. 48
1.6.2. La discrezionalità della Pubblica Amministrazione........... 58
1.6.3. I
procedimenti per ottenere il riconoscimento
della
personalità giuridica...............................................................
2
62
1.6.4. L’ obbligo di iscrizione nel registro delle persone
giuridiche...........................................................................
70
1.7. Le modificazioni degli enti ecclesiastici....................................
74
1.8. Estinzione e soppressione degli enti ecclesiastici......................
79
1.9. I controlli canonici.....................................................................
81
CAPITOLO II
ORDINAMENTO TRIBUTARIO ED ENTI ECCLESIASTICI.
NUOVI MODELLI ASSOCIATIVI DI RIFERIMENTO:
LE ORGANIZZAZIONI NON LUCRATIVE DI UTILITÀ SOCIALE
2.1. Enti commerciali ed enti non commerciali: profili distintivi....
90
2.2. La soggettività tributaria degli enti ecclesiastici........................
93
2.3. Il quadro delle agevolazioni fiscali previste a favore degli enti
Ecclesiastici...............................................................................
2.4.
La riduzione ai fini dell’imposta sul reddito delle
96
società
(IRES) e la disciplina in materia di imposta sul valore
aggiunto (IVA).........................................................................
99
2.5.
L’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili (ICI).....
105
2.6.
L’Imposta Municipale Unica (IMU) e gli enti religiosi.
Critiche e problematiche attuali................................................
118
2.7. Le ulteriori agevolazioni tributarie previste dall’ordinamento
statale.......................................................................................
3
128
2.8. La normativa c omunitaria in materia di aiuti di stato.
La Commissione Europea e le agevolazioni fiscali per
gli enti ecclesiastici..................................................................
2.9.
133
Il fenomeno associativo non lucrativo ed il nuovo modello
“Organizzazione non lucrativa di utilità sociale” (Onlus).....
138
2.9.1. La disciplina generale prevista dal d.lgs. n. 460/1997:
la qualificazione soggettiva e l’ambito operativo............
138
2.9.2. Le principali agevolazioni fiscali sancite dal decreto.....
150
2.9.3. Le organizzazione non lucrative di utilità sociale come
nuovo modello di riferimento per gli enti religiosi. Le
c.d. Onlus parziali............................................................
155
CAPITOLO III
IMPRESA SOCIALE ED ENTI ECCLESIASTICI.
NUOVE SOGGETTIVITÀ GIURIDICHE TRA SPECIFICITÀ E
CONVERGENZE
3.1. D.lgs. n. 155/2006 e dimensione etica del fare impresa.
I soggetti interessati e l’attività principale svolta.....................
165
3.2. La costituzione e l’iscrizione....................................................
171
3.3. I settori di riferimento e gli ulteriori requisiti...........................
173
3.4. La struttura proprietaria e di controllo......................................
179
3.5. Il coinvolgimento diretto dei lavoratori....................................
185
3.6. La responsabilità patrimoniale..................................................
186
3.7. Le scritture contabili, il controllo gestionale e contabile
4
e le operazioni straordinarie......................................................
188
3.8. Il lavoro nell’impresa sociale ed il monitoraggio......................
193
3.9. Enti ecclesiastici imprenditori sociali. Una nuova prospettiva
pur sempre caratterizzata da specialità di regime...................... 195
3.9.1. Problemi di incertezza soggettiva...................................... 195
3.9.2. Le attività imprenditoriali, il regolamento e la sua
iscrizione nel registro delle imprese.................................. 198
3.9.3. La responsabilità patrimoniale dell’ente ecclesiastico...... 204
3.10. Problematiche relative all’ applicabilità della disciplina di
diritto comune. L’assoggettamento alla
procedura
fallimentare per l’ente ecclesiastico non in grado di
adempiere regolarmente le proprie obbligazioni.................... 207
3.11. La responsabilità amministrativa ai sensi del d.lgs. n.
n. 231/2011............................................................................. 219
3.11.1. Gli aspetti principali del decreto.....................................
219
3.11.2. La rilevanza della disciplina anche per gli enti
religiosi..........................................................................
5
225
INTRODUZIONE
Partendo da un preliminare esame dei soggetti di diritto e degli
enti giuridici presenti nell’ordinamento giuridico statuale, dalla
distinzione tra attività c.d. for profit e c.d. no profit, dall’enorme
rilevanza assunta nel contesto attuale (grazie anche alla crisi dello Stato
sociale ed alle spinte legislative avutesi a partire dagli anni ’90, nonchè
all’introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale) da parte delle
organizzazioni no profit nella realizzazione (fondata su uno spirito
solidaristico) di bisogni collettivi in settori, per tradizione, garantiti dallo
Stato (espansione del c.d. terzo settore), il presente contributo si prefigge
di esaminare il fenomeno “ente ecclesiastico”, organizzazione collettiva
tradizionalmente problematica da inquadrare nel diritto positivo (tanto
che l’orientamento prevalente parla di tertium genus), la cui nozione – è
opportuno chiarire fin da subito - appartiene all’ordinamento dello Stato
(anche se – si noti - nessuna norma ne fornisce una definizione) ed è
ormai unanimamente riferibile non soltanto agli organismi di natura
associativa o fondatizia appartenenti alla Chiesa cattolica ma anche a
quelli appartenenti a culti diversi.
Detto ente religioso può essere “non riconosciuto” ed essere
dunque sottoposto per lo più alla disciplina di diritto comune dettata per
gli enti di fatto; viceversa, ove possieda determinati requisiti
(appartenenza confessionale; sede in Italia; fine di religione e di culto),
può
ottenere,
secondo
diverse
forme
procedimentali,
il
c.d.
riconoscimento della personalità giuridica “agli effetti civili” (personalità
che, come avremo modo di rilevare, si aggiunge, e non si sostituisce, a
quella che il soggetto già eventualmente possiede per l'ordinamento
6
religioso cui appartiene), acquisire quindi la qualifica di “civilmente
riconosciuto” ed iscriversi nel Registro delle Persone Giuridiche; in
definitiva, finisce dunque per essere sottoposto ad un particolare regime
giuridico che deriva dalla combinazione di tre gruppi di norme, quelle
statali di carattere generale previste per le persone giuridiche, quelle
statali specialmente dettate sulla base di specifiche intese o accordi,
quelle dell’ordinamento confessionale di appartenenza. La sua specialità
è tesa a salvaguardare le caratteristiche originarie ed il collegamento con
la struttura e l’ordinamento confessionale
Peraltro,
lo
stesso
procedimento
dettato
in
materia
di
riconoscimento civile dell’ente deve essere posto in essere in ogni caso
di modificazione di carattere sostanziale o costitutiva ed è altresì
possibile la revoca del riconoscimento della personalità giuridica in caso
di mutamento che faccia perdere all’ente uno dei requisiti prescritti per il
suo riconoscimento.
Ebbene, le organizzazioni collettive oggetto del presente lavoro
perseguono istituzionalmente finalità di religione e di culto (finalità che
devono essere costitutive ed essenziali), ma, sulla base di un principio di
derivazione concordataria con la Chiesa cattolica o comunque stabilito
bilateralmente con le confessioni munite di Intesa, possono realizzare
anche attività diverse (c.d. profane, secolari) e quindi no profit, in
riferimento alle quali non esiste un regime particolare, ma è sancito che
esse “sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali
enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario
previsto per le medesime”.
7
La Commissione paritetica per gli enti ecclesiastici1 ha evidenziato
che siffatta entità “sul piano giuridico è regolata da una disciplina
speciale che ne salvaguarda le caratteristiche originarie ed il
collegamento con la struttura e l’ordinamento della Chiesa, ma che in più
circostanze si uniforma al diritto comune; soprattutto per quanto riguarda
l’espletamento delle attività diverse da quelle di religione o di culto, i
momenti salienti della amministrazione patrimoniale, la tutela dei diritti
dei terzi che entrano in rapporti negoziali con l’ente”.
Il
principio
“supremo”
della
laicità
dello
Stato
e
la
costituzionalizzazione della c.d. sussidiarietà orizzontale garantiscono
d’altronde la possibilità per gli enti religiosi di svolgere anche compiti di
interesse generale. E’ pertanto di fondamentale importanza riconoscere e
porre in risalto alcune attività diverse poste in essere, nel contesto storico
- politico attuale, dagli enti ecclesiastici, chiamati a compiere delle vere
opere di costruzione sociale; ci si riferisce ovviamente all’indiscusso
ruolo svolto, in particolare, nei campi dell’assistenza sanitaria
ospedaliera (c.d. sanità confessionale), dell’istruzione, dell’assistenza
dalle diocesi, dalle parrocchie, dagli istituti cattolici e dagli enti delle
altre confessioni religiose.
Con il verificarsi delle condizioni di cui all’art. 2082 c.c.
(esercizio, in modo professionale, di un’attività economica organizzata,
al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi) e purchè in
ogni caso agisca con il criterio di economicità (astratta e potenziale
idoneità a pervenire al pareggio tra costi e ricavi o, melius, l’intento di
operare non in perdita) e svolga una delle attività indicate dall’art. 2195
c.c., l’ente religioso può farsi imprenditore commerciale. Ed infatti è
1
Cfr., Commissione paritetica per gli enti ecclesiastici: Relazione sui principi, in
Quad. dir. pol. eccl., 1984, 317.
8
stato più volte affermato in giurisprudenza (e ritenuto in dottrina) che le
finalità spirituali o ideali perseguite dall’ente religioso non escludono il
rilievo che la concreta organizzazione dell’attività esercitata e il
perseguimento del criterio di economicità finiscono per assumere al fine
di qualificare l’attività svolta alla stregua di attività d’impresa
commerciale.
Ciò che è di assoluta rilevanza è il fatto che gli enti de qua non
possono, per ragioni strutturali, che perseguire il no distribution
constraint, con l’esclusione dunque di ogni forma di lucro soggettivo e
quindi di distribuzione di utili (in qualsiasi forma, o comunque
denominati) ai propri consociati.
Dalla circostanza secondo cui l’ente ecclesiastico “si può fare
imprenditore
commerciale”
deriva
un’ulteriore
fondamentale
conseguenza, su cui oggi convergono sia dottrina che giurisprudenza: in
caso di “incapacità dell’ente (ecclesiastico imprenditore) a soddisfare
regolarmente le proprie obbligazioni”, questo deve essere assoggettato
alla disciplina di diritto comune in tema di fallimento; nel testo è stato
peraltro segnalato un recentissimo provvedimento con cui un ente
ecclesiastico
è
stato
addirittura
ammesso
alla
procedura
di
amministrazione straordinaria.
Evidenziato che la diversità tra le categorie ente commerciale e
non commerciale, aventi una rilevanza e soggettività tributaria differente
(i secondi hanno una capacità contributiva limitata), non deriva
necessariamente dalla natura dell’attività svolta (in quanto gli enti non
commerciali possono intraprendere anche attività di natura commerciale)
né deriva dalla presenza o meno del fine di lucro o da quale sia la
destinazione dei risultati di gestione, ma deriva essenzialmente dalla
9
diversa modalità di svolgimento delle attività commerciali, si rileva che,
ai sensi dell’art. 149, IV co., T.U.I.R., gli enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti sono presunti iuris et de iure “enti non commerciali di
diritto” (e dunque non possono perdere tale qualifica); e ciò anche nel
caso in cui esercitino attività di natura commerciale.
Ad essi è riconosciuto il beneficio di numerose agevolazioni di
natura fiscale, in particolare, in base alla equiparazione (sancita dall’art.
7.3 dell’Accordo di Villa Madama e da norme analoghe previste nelle
leggi di approvazione delle Intese) tra attività dirette ai fini di religione o
di culto ed attività aventi fine di beneficenza o di istruzione. Di assoluto
rilievo è la querelle, che ha animato fortemente anche l’opinione
pubblica non solo italiana ed ha portato peraltro all’avvio di un’indagine
formale da parte della Commissione europea (volta a verificare la
compatibilità con la disciplina degli aiuti di stato), sorta in merito
all’esenzione prevista dall’art. 7, lett. i), della normativa istitutiva
dell’imposta comunale sugli immobili, rimasta in vigore anche dopo
l’abrogazione dell’ICI e l’introduzione dell’IMU, con riferimento agli
immobili utilizzati dagli enti non commerciali e destinati esclusivamente
allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie,
didattiche, ricettive, culturali e sportive, nonché delle attività di religione
e di culto.
Pare opportuno segnalare in ogni caso che la costituzione di false
associazioni religiose, al fine di ottenere agevolazioni tributarie, è
risultata e risulta una delle tecniche maggiormente utilizzate per eludere
la normativa fiscale.
Inoltre, con l’intento di dettare una disciplina unitaria ed organica,
sotto il solo profilo tributario, per il c.d. “terzo settore”, volta ad
10
agevolare fiscalmente alcune attività meritevoli per il loro valore sociale,
il legislatore è intervenuto con il d.lgs. n. 460/1997, che introduce la
figura soggettiva, di rilevanza esclusivamente fiscale, “Organizzazione
non lucrativa di utilità sociale” (acronimo, O.N.L.U.S.); questa qualifica
può essere assunta anche dagli enti ecclesiastici delle confessioni
religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, seppure
limitatamente all’esercizio delle attività svolte nel perseguimento di
finalità di solidarietà sociale (c.d. Onlus parziali); peraltro, per i rami
onlus di un siffatto ente non è neppure necessaria la predisposizione di
uno specifico statuto, ma basta che si provveda alla predisposizione di un
regolamento nella forma della scrittura privata che recepisca determinate
clausole. In termini puramente pratici, va rilevato che la normativa da
ultimo citata permette agli enti ecclesiastici che spesso gestiscono attività
(c.d. diverse rispetto a quelle di religione e di culto) nei settori
dell’assistenza sociale, sociosanitaria ecc. di godere di ulteriori
agevolazioni, previste per le Onlus, oltre a quelle previste per gli enti
non commerciali.
Ed ancora non si può non menzionare il d.lgs. n. 155/2006, che ha
introdotto nel nostro ordinamento, disciplinandola, la c.d. impresa
sociale, qualifica che può essere acquisita da tutte le organizzazioni
private che esercitano in via stabile e principale un’attività economica
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di
utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale; un nuovo
modello che non si caratterizza per una struttura organizzativa tipica, ma
per le finalità che intende perseguire all’interno di schemi già
preesistenti all’interno del nostro ordinamento; un nuovo modello che
rappresenta un segnale di superamento del tradizionale atteggiamento di
11
cautela, e forse anche di disapprovazione, da parte dello Stato nei
confronti di forme di commistione di attività lucrative e non lucrative.
Le varie figure di enti e di organizzazioni operanti nell’ambito del
c.d. terzo settore sono ormai considerate unitariamente come una sola
categoria generale volta dunque a superare quelle che possono essere
specifiche caratterizzazioni di ciascuna delle soggettività considerate.
All’esito del quadro sopra descritto ed esaminato nel corso del
presente lavoro, risulta necessario svolgere le seguenti considerazioni.
L’introduzione per gli enti religiosi di vari modelli di riferimento,
ad opera, in particolare, del menzionato provvedimento istitutivo delle
Onlus, di quello successivo in materia di impresa sociale, ed anche, nel
mentre, della normativa che ha introdotto le associazioni di promozione
sociale con finalità etiche e spirituali (figure peraltro tutte introdotte
unilateralmente dal legislatore statale) ha determinato indubbiamente
quella che, a ragione, la dottrina ha chiamato “destrutturazione
normativa della fattispecie ente ecclesiastico civilmente riconosciuto”; in
particolare, è stato affermato che “la categoria giuridica ente
ecclesiastico civilmente riconosciuto, pur costituendo (ancora) il
presupposto per la realizzazione di nuovi modelli, sembra in evidente
crisi di identità; con il rischio di una destrutturazione normativa della
fattispecie”.
Ed, infatti, “in diverse circostanze si costituisce un ente
ecclesiastico già in funzione di quello che sarà; non più per quello che
rappresenta o per le attività di cui è espressione, ma in relazione alle
12
forme di finanziamento o alle agevolazioni tributarie collegate alla scelta
dell’uno o dell’altro modello associativo” 2.
Di fronte al suddetto contesto, risultano dunque evidenti le
difficoltà normative per l’interprete, dettate da molteplicità di
implicazioni giuridiche e da provvedimenti privi di norme di
coordinamento e risulta altrettanto “cristallino” il travalicamento dei
confini del diritto ecclesiastico.
Peraltro, deve essere evidenziato (e criticato) il ruolo di assoluta
estraneità dell’autorità ecclesiastica rispetto alle procedure di assunzione
delle qualifiche di Onlus o di impresa sociale da parte dell’ente
ecclesiastico, con la scomparsa dunque della funzione di garanzia che
l’autorità confessionale assume invece nel momento dell’assunzione da
parte dell’ente della qualifica di “civilmente riconosciuto”.
Infine, a chiusura di questa parte introduttiva va segnalata
l’urgente necessità di superamento della l. 24 giugno 1929, n. 1159
(“Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul
matrimonio celebrato davanti ai ministri medesimi”: è la c.d. legge sui
culti ammessi) e del regolamento r.d. 28 febbraio 1930, n. 289, che
ancora oggi disciplinano la particolare condizione degli enti attinenti alle
Confessioni religiose senza intesa; ciò, per ovvie ragioni riferibili ai
principi consacrati negli artt. 3 e 20 Cost. ed inoltre in virtù del principio
della pari libertà delle Confessioni religiose consacrato nell’art. 8, I co.,
Cost.
2
Le parole tra virgolette sono di , G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti
ecclesiastici, Milano, 2010, 287 ss.
13
CAPITOLO I
ENTI GIURIDICI E ORDINAMENTO STATUALE.
LA SPECIALITÀ DEGLI ENTI ECCLESIASTICI
SOMMARIO: 1.1. L’ente
giuridico nell’ordinamento italiano. Persone
giuridiche, enti di fatto. Tra attività non profit e for profit. – 1.2.
Non profit e welfare state. La modificazione del rapporto fra
“mano pubblica” e settore privato: la crisi dello Stato sociale e
l’espansione del c.d. terzo settore. – 1.3. Enti
religiosi
e
ordinamento statuale. Il genus enti ecclesiastici; la species enti
ecclesiastici civilmente riconosciuti. – 1.4. Enti
religiosi
tra
specialità e diritto comune. Natura e regime giuridico. – 1.5. Il
quadro normativo di riferimento: tra regolazione dell’ordinamento
religioso e normativa statale unilaterale e bilaterale. – 1.6. Profili
giuridici dell’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto. Il
riconoscimento della personalità giuridica. – 1.6.1. Gli elementi
essenziali. Il requisito soggettivo, la sede, la finalità. – 1.6.2. La
discrezionalità della Pubblica Amministrazione. – 1.6.3. I
procedimenti per ottenere il riconoscimento della personalità
giuridica. – 1.6.4. L’obbligo di iscrizione nel registro delle persone
giuridiche. – 1.7. Le modificazioni degli enti ecclesiastici. – 1.8.
Estinzione e soppressione degli enti ecclesiastici. – 1.9. I controlli
canonici.
14
1.1. L’ente giuridico nell’ordinamento italiano. Persone giuridiche,
enti di fatto. Tra attività non profit e for profit 3.
Prima di entrare nel “vivo” dell’oggetto del presente lavoro, si
impone una necessaria premessa generale volta ad esaminare i soggetti
di diritto e le persone giuridiche presenti nel nostro ordinamento; ciò,
ovviamente, al fine di meglio comprendere la natura degli enti
ecclesiastici e di operare un più corretto inquadramento dei medesimi.
Oltre alle persone fisiche, sono soggetti di diritto, e cioè centri
autonomi di imputazione di interessi, dotati di capacità giuridica, i c.d.
enti giuridici, complessi organizzati di persone e beni rivolti ad una
specifica finalità4.
Considerati dal sistema come soggetti a sé stanti rispetto ai propri
componenti, questi possono dunque essere titolari di un patrimonio o
fondo comune, acquistare la proprietà su beni, essere titolari di diritti di
credito, assumere obbligazioni verso persone fisiche o altri soggetti
giuridici; hanno dunque idoneità ad essere titolari di situazioni giuridiche
soggettive. Possono inoltre stare in giudizio nella persona di coloro a cui
è conferita la Presidenza o la Direzione.
3
Sul tema, cfr., M. BALLORIANI - R. DE ROSA - S. MEZZANOTTE, Manuale breve
Diritto Civile, Milano, 2012, 75 ss.; A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale di diritto
privato, XX ed., Milano, 2011, 146 ss.; F. LOFFREDO, Le persone giuridiche e le
organizzazioni senza personalità giuridica. Manuale e applicazioni pratiche dalle lezioni di
Guido Capozzi, III ed., Milano, 2010; F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, XV ed.,
Napoli, 2005, 147 ss; G. PONZANELLI, Enti collettivi senza scopo di lucro, Torino, 2000;
M.BASILE – A.FALZEA, Persona giuridica, in Enc. Dir., XXXIII, Milano, 1983; P.ZATTI,
Persona giuridica e soggettività, Padova, 1975.
4
Come noto, i tre elementi che costituiscono il substrato dell’ente giuridico sono
persone, patrimonio ed altresì scopo. In realtà, come chiarito da F. GAZZONI, Manuale di
diritto privato, cit., 148, talvolta le finalità specifiche sono perseguite, anziché mediante una
struttura organizzativa a base soggettiva, mediante un vicolo di destinazione impresso ad un
patrimonio.
15
All’interno della categoria “enti giuridici”, si può distinguere
innanzitutto tra “enti pubblici” ed “enti privati”.
I primi perseguono un interesse generale (c.d. scopo pubblico) e si
pongono in una posizione di supremazia rispetto agli altri soggetti;
attraverso essi, la Pubblica Amministrazione esercita la c.d. attività
amministrativa (cfr. art. 11 c.c., rubricato “Persone Giuridiche
Pubbliche”)5.
I secondi perseguono interessi particolari, che comunque possono
anche essere socialmente utili ed in linea con interessi della collettività.
Va subito chiarito che gli enti possono essere dotati di personalità
giuridica
(c.d.
persone
giuridiche;
in
particolare,
associazioni
riconosciute, fondazioni, società di capitali, società cooperative) ed
allora godono di autonomia patrimoniale perfetta; ciò significa che
queste entità rispondono delle loro obbligazioni soltanto con il proprio
patrimonio che è ben distinto da quello dei membri dell’ente.
Ove siano privi di personalità giuridica6, sono detti enti di fatto;
anche questi ultimi sono organizzazioni stabili, ma hanno una c.d.
autonomia patrimoniale imperfetta. I creditori dell’ente possono infatti
soddisfarsi, oltre che sul suo patrimonio (rectius, fondo comune), anche
su quello dei singoli soggetti che vi partecipano o, quantomeno, su
Gli Enti Pubblici sono costituiti direttamente dalla legge o da un atto dell’autorità
amministrativa sulla base di una previsione di legge e devono soddisfare interessi della
collettività. Enti pubblici sono, oltre allo Stato, Regioni, Province e Comuni, tra gli altri, le
Università, le Camere di Commercio.
6
Trattasi delle associazioni non riconosciute, dei comitati (entrambi senza scopo di
lucro, su cui v. infra), la cui disciplina è contenuta negli artt. 36 – 42 c.c., e delle società di
persone (aventi invece scopo di lucro), la cui disciplina è contenuta nel libro V del codice
civile.
5
16
quello di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’ente stesso7
(c.d. responsabilità personale e solidale).
Le vicende relative ad alcuni enti risultano da un pubblico registro
(la dottrina parla, a tal riguardo, di c.d. enti registrati). In particolare, le
associazioni riconosciute e le fondazioni sono iscritte nel Registro delle
Persone Giuridiche tenuto presso ciascuna Prefettura; le società sono
invece iscritte nel Registro delle Imprese tenuto presso ciascuna Camera
di Commercio; diversamente, sono enti non registrati le associazioni non
riconosciute, le società di fatto, le società irregolari.
I soggetti di diritto disciplinati dal libro V del codice civile
vengono inquadrati tra i c.d. enti aventi finalità economiche; essi hanno
come scopo quello di ripartire tra i partecipanti gli utili conseguiti
attraverso l’esercizio di un’attività economica in comune (società
lucrative), ovvero quello della fruizione di altri vantaggi economici
connessi all’esercizio dell’attività del gruppo (società cooperative).
Gli enti disciplinati nel libro I del codice civile agli artt. 11 e ss.
(associazioni, fondazioni, comitati), sia aventi personalità giuridica che
non8, sono invece
i c.d. enti non profit; essi non hanno finalità
economiche e perseguono uno scopo ideale, che può essere egoistico o
anche altruistico; lo statuto di questi soggetti giuridici non può dunque
prevedere che, attraverso l’esercizio dell’attività comune, si realizzi una
7
M. BALLORIANI - R. DE ROSA - S. MEZZANOTTE, Manuale breve Diritto Civile, cit.,
75.
8
Accanto ad essi vanno considerate anche le c.d. altre istituzioni di carattere privato
di cui parla l’art. 1, I co., d.p.r. n. 361/2000; secondo l’opinione prevalente, queste ultime
sarebbero enti caratterizzati dalla combinazione dei modelli organizzativi tipici e cioè
associazioni e fondazioni o addirittura enti atipici.
17
ripartizione tra i partecipanti degli utili o di altri vantaggi economici
eventualmente conseguiti9.
Come si avrà modo di meglio evidenziare anche più avanti,
occorre fin da ora far presente che lo scopo perseguito dall’ente non deve
essere confuso con l’attività dallo stesso svolta per realizzarlo.
Tornando a fin quanto finora esaminato, si deve dunque rilevare
che enti non profit con fini altruistici possono, al pari delle società e
comunque degli altri enti for profit, svolgere l’attività commerciale
lucrativa di cui all’art. 2082 c.c. e cioè esercitare attività economica volta
alla produzione o allo scambio di scambio di beni o servizi (c.d. attività
di impresa).
Questa attività può essere svolta peraltro sia in via secondaria10, al
fine di procurarsi entrate da destinare al perseguimento del loro scopo
ideale, sia anche in via principale o addirittura esclusiva11.
Di fondamentale importanza è la circostanza secondo cui lo statuto
dell’ente no profit deve escludere la possibilità del realizzarsi di un lucro
soggettivo; ciò significa che gli utili, eventualmente conseguiti, non
potranno in nessun caso essere distribuiti tra gli associati.
9
F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., 148, rileva che, mentre lo scopo di
lucro può essere perseguito utilizzando lo schema societario, e dunque uno dei tipi di società
previsti dalla legge, quello non lucrativo può essere perseguito mediante utilizzazione dello
schema associativo, di quello basato sul patrimonio di destinazione e, sia pure in casi
particolari, come in specie le cooperative, di quello societario.
10
A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., 155 ss., ove si
pone l’esempio di un’associazione sportiva che, per finanziare la propria attività,
commercializzi gadgets legati ai colori della propria squadra.
11
Ibidem, ove si fa l’esempio dell’associazione concertistica che, al fine di
diffondere la cultura musicale, organizzi spettacoli a pagamento, aperti al pubblico.
18
In questo modo, l’associazione o la fondazione realizza i propri
fini altruistici in via diretta (ad esempio, assistenza sanitaria) ovvero
permette di perseguirli con la destinazione degli utili12.
1.2. Non profit e welfare state. La modificazione del rapporto fra
“mano pubblica” e settore privato: la crisi dello Stato sociale e
l’espansione del c.d. terzo settore 13.
E’ arrivato dunque il momento di prendere in considerazione quel
fenomeno, sviluppatosi a partire dalla metà degli anni ’70 14 – inizi anni
12
Cfr., G.F. CAMPOBASSO, Associazioni e attività d'impresa, in Riv. dir. civ., 1994,
II, 581.
Va in ogni caso, chiarito che, nel caso di svolgimento di attività commerciali, l’ente
non profit assume, al pari delle società, la qualità di imprenditore commerciale ed è soggetto
alla disciplina sulla concorrenza sleale, al fallimento (con estensione del fallimento a chi ha
agito in nome e per conto dell’associazione o fondazione). Diverso è il caso in cui l’ente si
limita ad utilizzare i proventi di un’attività imprenditoriale svolta da una società, soggetto
distinto, pur se controllata o collegata; in questo caso, l’ente non profit non assume la qualità
di imprenditore commerciale (cfr. Cass. 18 settembre 1993, n. 9589, in Nuova giur. civ.
comm., 95, I, 309, secondo cui “un’associazione non diventa imprenditore commerciale
quando, per raggiungere i propri scopi altruistici, si limiti ad utilizzare i proventi
dell’attività imprenditoriale di un soggetto distinto, anche se collegato o collaterale (nella
specie, una associazione non riconosciuta costituita per l’assistenza ai minori, per il
conseguimento dei suoi scopi, si avvaleva di un istituto di istruzione costituito in società a
responsabilità limitata, dichiarato fallito”).
13
In particolare, cfr., P. CONSORTI, Il codice del terzo settore. Le norme in materia
di non profit e volontariato, Piacenza, 2007; M. PARISI, Soggetti no profit e compiti di
interesse collettivo: brevi riflessioni sul “nuovo” ruolo degli enti religiosi, in Dir.
famiglia, 2004, 3-4, 868 ss.; M.C. FOLLIERO, Enti religiosi e non profit tra welfare state e
welfare community. La transizione, Torino, 2002, 44 ss.; L. VIOLINI - A. ZUCCHELLA, Il
terzo settore tra cittadinanza dell’impresa e contesto costituzionale sussidiario, in Non
Profit, 2, 2003; C. CATTANEO, Terzo settore, nuova statualità e solidarietà sociale, Milano,
2001.
14
M. PARISI, Soggetti no profit e compiti di interesse collettivo: brevi riflessioni sul
“nuovo” ruolo degli enti religiosi, cit., 868 ss, afferma che la crisi delle tradizionali politiche
di welfare e l'inderogabile rispetto degli obblighi comunitari di controllo della spesa pubblica
(in particolare, di quella sanitaria e previdenziale) hanno dato luogo ad un progressivo ritiro
dello Stato dal mercato economico e, contestualmente, hanno consentito l'avvio di un vasto
programma di privatizzazioni.
19
’80 (in concomitanza con la crisi dello Stato Sociale ed il
ridimensionamento dunque dei compiti dello Stato moderno), ed in
relazione al quale è sorta una produzione legislativa in tal senso a partire
dagli anni ’90 (su cui v. infra), fenomeno teso alla realizzazione, da parte
dei c.d. enti di natura privata e non profit 15, di bisogni collettivi, e più
specificamente di attività di utilità sociale nei settori (per tradizione,
garantiti dallo Stato) dell’assistenza, della formazione, della tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema, della promozione della cultura e
dell’arte, della tutela dei diritti civili, della ricerca scientifica, della
valorizzazione del patrimonio culturale etc.; il c.d. terzo settore 16.
Al fine di delimitarne il concetto, al di là delle innumerevoli
opinioni manifestate in materia (dovute anche alle diverse implicazioni
emergenti, di natura storica, economica, sociologica, giuridica etc.), si
deve chiarire che il Primo Settore è quello rappresentato dallo Stato, il
quale eroga beni e servizi pubblici; il Secondo Settore è invece
Cfr. altresì, S. MAZZA, Enti di assistenza e beneficenza di natura ecclesiastica e
garanzie costituzionali, in Dir. eccl., 1982, 3, 319 ss., che ricorda come il conferimento di
compiti di intervento in ambito sociale alle sole strutture pubbliche possa compromettere gli
sforzi tesi alla realizzazione del fine della promozione umana, poiché la neutralità che
distingue gli interventi posti in essere dai pubblici poteri potrebbe risultare non appagante
per i consociati che aspirerebbero alla fruizione di un servizio ideologicamente qualificato.
In ossequio a tale esigenza, secondo l’ A., la Carta costituzionale ha concepito un sistema di
sicurezza sociale implicante, accanto a quella statale, l'azione dei corpi intermedi.
15
Al riguardo, occorre evidenziare gli enti che appartengono al terzo settore sono,
perlopiù, associazioni, fondazioni, comitati, enti ecclesiastici.
16
L’attivismo delle soggettività private nella realizzazione di interventi di assistenza
sociale si fonda su uno spirito solidaristico; il c.d. Terzo settore sembra voler creare un
sistema di “economia sociale” che si colloca in posizione di distinzione rispetto all'economia
di mercato. In particolare, cfr. G. RIVETTI, Non profit. Profili ecclesiasticistici e statuali.
Nuove prospettive, Milano, 2003, 37 ss.
Relativamente al fenomeno considerato, molti Autori parlano di passaggio da
“Welfare State” a “Welfare society”. Cfr., altresì, M.V. DE GIORGI, Fondamento di diritto
degli enti “no profit”, Padova, 1997, 37, che afferma che si parla di “terzo settore” come
settore alternativo a quello pubblico (lo Stato) e al settore privato; “ciò però, non deve
indurre l’interprete ad includere tutti quei settori che lo Stato non riesce a coprire sul piano
strutturale, e per i quali il mercato non ha alcun interesse, in quanto non remunerativi”.
20
rappresentato dalle società commerciali (c.d. settore for profit); il terzo è
infine quello dei numerosi soggetti attivi come formazioni sociali
intermedie, dei c.d. enti privati non profit 17.
Negli ultimi vent’anni si è assistito ad una modificazione del
rapporto fra mano pubblica e settore privato, con una costante richiesta
da parte dei soggetti privati (tra cui, in particolare, gli enti religiosi18) di
svolgere attività nella veste di partecipazione al servizio pubblico,
usufruendo, come si chiarirà, dei benefici erogati dallo Stato.
Si considerino le produzioni normative di seguito indicate19.
17
Cfr. M.C. FOLLIERO, Enti religiosi e non profit tra welfare state e welfare
community…, cit., 44 ss.; l'impegno degli enti religiosi nei campi tipicamente no profit
(assistenza, sanità, beneficenza, istruzione) si configura come un naturale sviluppo degli
ideali di natura spirituale e come effettiva concretizzazione del messaggio evangelico,
attuato per mezzo dell’offerta di servizi sociali in favore di tutti i consociati (soprattutto di
quelli maggiormente svantaggiati).
18
Cfr., A ZANOTTI, Le modificazioni delle organizzazioni ecclesiastiche e i nuovi
poteri, in G. CIMBALO - J.I.A. PÈREZ (a cura di) Federalismo, regionalismo e principio di
sussidiarietà orizzontale. Le azioni, le strutture, le regole della collaborazione con enti
confessionali, Torino, 2005, 331, che evidenzia il contributo apportato da enti ed
associazioni ecclesiastiche in settori socialmente rilevanti grazie a normative statali
incentivanti in tal senso ed ad esigenze contingenti.
Cfr., altresì, G. BONI, Chiesa e povertà. Una prospettiva giuridica, Milano, 2006.
19
M. PARISI, Soggetti no profit e compiti di interesse collettivo….., cit., 868 ss,
afferma che “la cooptazione delle soggettività religiose nella realizzazione di attività di
interesse collettivo è, peraltro, proseguita nell'ambito della più recente legislazione
amministrativa. In questo senso, una significativa tendenza alla valorizzazione delle entità
ascrivibili al “privato-sociale”, si rinviene nel …. d.lgs. n. 112 del 1998, ove, nel conferire
alle Regioni e agli enti locali una vasta serie di competenze in materia di assistenza sociale
(artt. 131 e 132 del d.lgs. n. 112 del 1998), si prefigura chiaramente (e ben prima del suo
positivo inserimento nella Carta fondamentale attraverso la revisione operata con la legge
costituzionale n. 3 del 2001) la valorizzazione del principio di sussidiarietà, nella sua valenza
sia verticale che orizzontale. Soprattutto nell'ottica della sussidiarietà orizzontale, la
previsione di una effettiva pluralità di servizi tra cui i consociati siano messi in condizione di
scegliere, sembrerebbe postulare la piena partecipazione delle più diverse formazioni sociali
(anche ad ispirazione religiosa) al perseguimento degli obiettivi costituzionali della
promozione della personalità umana e della realizzazione del “bene comune”.
21
La l. n. 266/199120 disciplina le c.d. organizzazioni di volontariato,
le quali possono assumere la forma giuridica ritenuta più idonea al
perseguimento dei loro fini, escludendo la struttura societaria in
considerazione della sua incompatibilità con lo scopo solidaristico, ad
eccezione della società cooperativa. Assumono quindi per lo più la forma
giuridica dell’associazione (anche non riconosciuta) ovvero della
fondazione; peraltro, l’art. 6 della suddetta legge prevede un sistema di
registrazione su base regionale di tali organizzazioni e l’iscrizione è
condizione per godere di taluni benefici, come accedere a contributi
pubblici, stipulare convenzioni con enti pubblici o anche godere di
agevolazioni fiscali.
La l. n. 381/199121 riguarda le c.d. cooperative sociali; esse hanno
lo scopo di perseguire l’interesse generale di una comunità alla
promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso la
gestione di servizi socio – sanitari ed educativi ovvero lo svolgimento di
attività diverse, agricole, industriali, commerciali o di servizi, finalizzate
all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate come invalidi fisici,
psichici e sensoriali, tossicodipendenti, condannati ammessi alle misure
alternative alla detenzione e al lavoro esterno etc.22
20
In G.U. 22 agosto 1991, n. 196.
Cfr., G. CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, Torino, 2012, 312,
che rileva che questa normativa era stata anticipata dalla giurisprudenza costituzionale degli
anni ’80 in base alla quale era stato privatizzato il settore dell’assistenza; cfr., Corte cost., n.
173 del 1981, in Foro amm. (Il) 1982, I,1, e in Foro padano, 1981, III,17, e in Consiglio di
stato, 1981, II,770. e Corte cost. n. 396 del 1988, in Foro it., 1989, I, 46.
Va evidenziato che il settore era stato disciplinato per oltre un secolo dalla legge
Crispi 17 luglio 1890, n. 6972, che aveva trasformato in Istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza (o IPAB), le strutture confessionali, c.d. “opere pie”, che vi operavano.
21
In G.U. 3 dicembre 1991, n. 283.
22
M. PARISI, Soggetti no profit e compiti di interesse collettivo…., cit., 868 ss, rileva
che la progressiva implementazione del settore no profit, indotta anche dalla cronica
insufficienza delle risorse e dalla moltiplicazione dei bisogni da soddisfare quali tratti
22
Il d.lgs. n. 460/199723 ha introdotto le organizzazioni non lucrative
di utilità sociale (c.d. ONLUS); può trattarsi di associazioni, comitati,
fondazioni, società cooperative o altri enti a carattere privato, con o
senza personalità giuridica. In particolare, il legislatore ha voluto
riconoscere importanti agevolazioni di carattere tributario a organismi
non profit (che pur possono avere le diverse forme giuridiche indicate e
che in ogni caso devono essere iscritti nel Registro delle ONLUS tenuto
presso il Ministero delle Finanze) che svolgono la loro attività negli
specifici settori indicati dall’art. 10 del menzionato d.lgs. (assistenza
sociale,
sanitaria,
dilettantistico,
beneficenza,
valorizzazione
istruzione,
dell’arte
e
formazione,
dell’ambiente,
sport
ricerca
scientifica).
La l. n. 328/200024 presenta un nuovo sistema integrato
dell’assistenza di che vuole tentare di conciliare le esigenze di
contenimento della spesa pubblica con il massimo soddisfacimento dei
bisogni socialmente rilevabili; in particolare, si prevede l'attivazione di
una rete integrata di servizi e prestazioni sociali di fronte alle situazioni
di difficoltà dei consociati, con l’intervento dei soggetti pubblici, privati
e del Terzo settore (si afferma peraltro espressamente che gli enti delle
confessioni religiose con cui lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese
distintivi della contemporanea crisi dello Stato sociale, ha consentito l'inquadramento degli
enti religiosi nel sistema delle attività di utilità sociale (l. n. 266 del 1991 sul volontariato; l.
n. 381 del 1991 sulle cooperative sociali).
23
In G.U. n. 1 del 2 gennaio 1998, suppl.ord. n. 1.
24
In G.U. n. 265 del 13 novembre 2000, suppl. ord. n. 186. Va evidenziato che ivi si
prevede la centralità della responsabilità dei Comuni (art. 6) nell'opera di programmazione,
progettazione e realizzazione a livello locale del sistema integrato dei servizi sociali, il
concorso delle Province (art. 7) nella definizione dell'attività programmatoria, il ruolo
fondamentale delle Regioni (art. 8) nell'attività di coordinamento e di indirizzo per
l'attuazione del sistema integrato nell'ambito territoriale di propria competenza; l'azione dello
Stato (art. 9) nell'indicazione dei principi fondamentali delle politiche sociali e
nell'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni.
23
sono coinvolti nell’azione di programmazione, organizzazione e di
gestione del nuovo sistema integrato di interventi sociali).
La l. n. 383/200025 disciplina le c.d. associazioni di promozione
sociale 26, che hanno finalità di ricerca etica e spirituale; si tratta di enti
specificamente costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a
favore di associati o di terzi senza finalità di lucro. Possono assumere la
veste dell’associazione, riconosciuta o non, e, come le organizzazioni di
volontariato e le ONLUS, devono iscriversi in appositi registri per poter
godere dei benefici loro riconosciuti.
La l. n. 206/200327, in base alla quale lo Stato riconosce ed
incentiva la funzione educativa e sociale svolta nella comunità locale,
mediante le attività di oratorio o attività similari, dalle parrocchie e dagli
enti ecclesiastici della Chiesa cattolica, nonché dagli enti della altre
confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato un’Intesa.
Il d.lgs. n. 155/200628, che disciplina la c.d. impresa sociale,
qualifica che possono ottenere tutte le organizzazioni private che
esercitano stabilmente un’attività economica organizzata al fine della
produzione e dello scambio di beni e servizi di utilità sociale; essa può
assumere la forma giuridica anche degli enti di cui al libro I del codice
25
In G.U. n. 300 del 27 dicembre 2000..
M. PARISI, Soggetti no profit e compiti di interesse collettivo…., cit., 868 ss,
secondo cui, con tale provvedimento, si persegue l'obiettivo della definizione di un quadro
unitario di riferimento per la regolamentazione delle associazioni di utilità sociale e si
prosegue nel coinvolgimento degli enti confessionali e degli organismi associativi
spiritualmente qualificati nella realizzazione di finalità di carattere sociale, civile e culturale.
“Infatti, benché la l. n. 383 del 2000 non menzioni esplicitamente i gruppi e i movimenti
religiosi, la loro cooptazione sembra essere priva di dubbi, soprattutto in virtù della
generalizzata estensione delle norme di disciplina in favore di tutte le espressioni
dell'associazionismo sociale contraddistinte dal perseguimento di finalità non lucrative e
dall'esplicazione di compiti di utilità collettiva (artt. 1-2 della l. n. 383 del 2000)”.
27
In G.U. n. 181 del 6 agosto 2003.
28
In G.U. n. 97 del 27 aprile 2006.
26
24
civile. Inoltre non deve avere scopo di lucro anche quando sia costituita
nella forma giuridica societaria (libro V codice civile).
In definitiva, va evidenziato che i suddetti provvedimenti con
l’introduzione di benefici fiscali e/o contributi pubblici e/o comunitari e
anche con la previsione del favore della stipula di convenzioni con la
Pubblica Amministrazione per la gestione di servizi di pubblico
interesse, si sono posti l’obiettivo di promuovere e sostenere gli enti
operanti nel terzo settore costituiti in una delle forme previste dal codice
(associazione, fondazione, ecc.), che presentino ulteriori requisiti volti a
garantire, da un lato, la rilevanza sociale dell’attività dagli stessi svolta e,
dall’ altro lato, l’idoneità e meritevolezza degli stessi a svolgerla29.
Sia chiaro che un medesimo ente può rientrare in più di una delle
categorie menzionate; un esempio valga per tutti e cioè le organizzazioni
di volontariato iscritte negli appositi registri regionali sono considerate di
diritto ONLUS, ex art. 10, VIII co., d.lgs. n. 460/1997.
La disciplina civilistica degli enti rimane quella delineata dal
codice; specifiche previsioni in tema di scritture contabili, di organi di
controllo, di devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento,
possono comunque intervenire al fine di integrarla.
Si consideri inoltre che il processo che ha portato alla rilevanza
giuridica delle realtà associative del “Terzo settore” nell'esplicazione di
compiti di interesse collettivo ha visto altresì ottenere rilevanza
costituzionale
con
l’introduzione
del
principio
di
sussidiarietà
orizzontale (art. 118 Cost.), che intende stimolare i Comuni, le Regioni,
le Città metropolitane e lo Stato all’esercizio di un’azione promozionale
29
A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., 171 ss.
25
tesa a favorire lo svolgimento di attività di interesse generale da parte dei
soggetti privati 30.
E’ stato quindi sostenuto che “la cooptazione delle soggettività del
privato-sociale
nell'esplicazione
delle
funzioni
di
carattere
amministrativo conferite all'esclusiva disponibilità degli enti pubblici
territoriali
(artt.
117-118
Cost.,
come
modificati
dalla
legge
costituzionale n. 3 del 2001), consente, rispetto alle determinazioni della
legislazione ordinaria adottata nell'ultimo quindicennio, una effettiva
valorizzazione delle risorse sociali presenti nel contesto socio-economico
nazionale”; inoltre, è stato rilevato che “se nel comma 1 del nuovo testo
dell'art. 118 Cost. il principio di sussidiarietà è preso in considerazione
come mero criterio di ripartizione delle competenze amministrative, è
nel comma 4 che il profilo orizzontale della sussidiarietà ha modo di
dispiegarsi in una declinazione molto positiva. Infatti, tale principio
sembra proporsi non tanto come criterio di preferenza delle iniziative dei
singoli e delle loro formazioni associative, quanto come stimolo per i
Comuni, le Regioni, le Città metropolitane e lo Stato all'esercizio di
30
Cfr. A. ALBANESE, Il principio di sussidiarietà orizzontale: autonomia sociale e
compiti pubblici, in Dir. pubbl., 2002, 1, 81; G.U. RESCIGNO, Principio di sussidiarietà
orizzontale e diritti sociali, in Dir. pubbl., 2002, 1, 44 ss.
Cfr, altresì, A. ZANOTTI, La Chiesa e il sociale (Relazione tenuta in occasione del
Convegno sul tema “La Chiesa in Italia: oggi” organizzato dal Dipartimento di Scienze
giuridiche, Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Ferrara, 16-17 ottobre
2009), in Stato, Chiese e pluralismo confessionale (rivista telematica in
http://www.statoechiese.it), novembre 2009, 12, afferma che “il proliferare di enti ed
associazioni religiosi che competono, grazie alla leva della sussidiarietà, con le strutture
statuali ci consegnano la figura di una Chiesa solidamente ancorata al tema della
competizione in temporalibus; quasi che il legato lasciato dal Concilio (n.d.r. Vaticano II)
fosse interpretabile solo secondo una dedizione agli ultimi che si fa impresa non profit”.
26
un'azione promozionale tesa a favorire lo svolgimento di attività di
interesse generale da parte dei soggetti privati”31.
1.3. Enti religiosi e ordinamento statuale. Il genus enti ecclesiastici; la
species enti ecclesiastici civilmente riconosciuti 32.
Premesso quanto detto in via generale relativamente agli enti,
occorre a questo punto chiarire il concetto di ente ecclesiastico, rilevando
innanzitutto che nessuna norma del nostro ordinamento fornisce una
definizione al riguardo.
Successivamente, sarà necessario evidenziare quali sono gli enti
che fanno parte della species “ecclesiastici civilmente riconosciuti”
rispetto al genus “ecclesiastici” e verificare quali sono i procedimenti
previsti dal nostro ordinamento per ottenere il riconoscimento.
La nozione di ente ecclesiastico appartiene all’ordinamento dello
Stato33
34
e precisamente fa riferimento a quell’ente che nasce
31
Le parole tra virgolette sono di M. PARISI, Soggetti no profit e compiti di interesse
collettivo…, cit., 868 ss.
32
Sul tema, cfr., in particolare, oltre a quanto più specificamente indicato nelle note
seguenti, T. MAURO, Enti ecclesiastici (dir. eccl.), in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 1000 ss;
G. FUBINI, Enti ecclesiastici III) Enti ecclesiastici delle confessioni religiose diverse dalla
cattolica, in Enc. giur., XII, Roma, 1989; A. BETTETINI, Gli enti e i beni ecclesiastici. Art.
831, Milano, 2005; G. LEZIROLI, Il riconoscimento degli enti ecclesiastici, Milano, 1990; L.
MUSSELLI, Considerazioni sugli istituti delle confessioni acattoliche, Padova, 1979; R.
BENIGNI, L’ente ecclesiastico tra specialità e diritto comune. Affrancamento della disciplina
giuridica dell’ente dal suo connotato teologico-soggettivo: conseguenze pratiche e profili di
legittimità, in Dir. eccl., 1998, 3, 599 ss; P. CLEMENTI – G. COLOMBO – C. REDAELLI, Gli
enti religiosi, Milano, 1999.
33
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, Milano, 2008, 3.
34
Preme evidenziare che il concetto di ente ecclesiastico ha avuto una notevole
variabilità determinata dal mutamento del ruolo riconosciuto dall’ordinamento dello Stato
italiano al fattore religioso. In estrema sintesi, si riepiloga quanto avvenuto negli ultimi due
secoli nel nostro Paese. L’art. 2 del Codice Civile del 1865 (Codice Pisanelli) utilizzò
l’espressione corpi morali ecclesiastici per indicare gli enti a carattere religioso o di origine
confessionale o religiosamente ispirati cui l’ordinamento giuridico statale riservava una
27
nell’ordinamento di una confessione religiosa ed ad essa appartiene; è
dunque previsto e disciplinato dall’ordinamento canonico35 ovvero
particolare disciplina. Questi enti dovevano essere riconosciuti dallo Stato (personalità
giuridica di diritto pubblico) e dovevano essere autorizzati per l’acquisto di beni stabili e per
l’accettazione di donazioni o di disposizioni testamentarie in base alla l. 5 giugno 1850
n.1037. Vi fu dunque una concezione oggettiva o sostanziale che considerava pubblico ogni
ente avente finalità collettive. La legislazione di quel periodo fu caratterizzata dal c.d.
giurisdizionalismo, e cioè dalla supremazia statuale sull’organizzazione ecclesiastica (cfr., F.
FINOCCHIARO, II) Enti ecclesiastici cattolici, in Enc. giur. Treccani, vol. XII, Toma, 1988, 1,
che afferma che vi era perciò, al riguardo, la competenza dello Stato a valutare quali enti
ecclesiastici fossero socialmente utili, e quali non, così come il potere dello Stato di
appropriarsi degli enti soppressi). Con la legislazione eversiva di quegli anni si ebbe la
soppressione ex lege ovvero la pubblicizzazione di tutta una serie di enti collegati alla Chiesa
e al suo ordinamento e si salvarono solo quegli enti ritenuti “socialmente utili” secondo la
valutazione del legislatore statale (cfr. G. DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico,
Torino, 2007, 189); si prescindeva quindi completamente dal riconoscimento canonico
dell’ente e si assumeva come criterio qualificante dell’ecclesiasticità il fine di culto o di
religione (fine pubblico); il culto era considerato un servizio pubblico ed in quanto tale lo
Stato poteva decidere quali istituzioni ecclesiastiche conservare e quali, al contrario,
sopprimere. I Patti Lateranensi del 1929 stabilirono poi che il riconoscimento della
personalità giuridica (di esclusiva competenza statale e cioè personalità giuridica di diritto
pubblico ai sensi del codice civile del 1865) fosse consentito a tutti gli enti riconosciuti come
tali dalla Chiesa; l’obiettivo era di sanare gli effetti della precedente legislazione soppressiva
(cfr. G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 7 ss., che afferma
altresì che a partire da questo momento “gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti
vengono riconsiderati in termini di separazione dalla sfera del diritto pubblico e delle
strutture pubbliche”). La Costituzione Repubblicana del 1948 ha poi proclamato la Chiesa
indipendente e sovrana al pari dello Stato, seppure ciascuno nel proprio ordine, e ha
introdotto analoghe garanzie di indipendenza anche a favore delle confessioni diverse dalla
cattolica. La revisione al Concordato del 1929, avvenuta nel 1984 con la firma degli Accordi
di Villa Madama, ha individuato i presupposti del riconoscimento civile degli enti
ecclesiastici. Analogamente hanno operato le leggi di approvazione delle Intese sottoscritte
dal nostro ordinamento con le Confessioni acattoliche.
35
Nell'ordinamento canonico è quindi sconosciuta la categoria di ente ecclesiastico.
Il codice di diritto canonico parla di persona giuridica (cfr. can. 113-123). Si distingue tra
persone morali, tali per ordinazione divina (la Chiesa cattolica e la Santa Sede) e persone
giuridiche, di derivazione umana, in quanto sorte in virtù di un atto legislativo o
amministrativo (diocesi e parrocchie, etc.). In particolare, per il can. 114, la persona giuridica
è un insieme di persone o di cose ordinata a un fine corrispondente alla missione della
Chiesa, che trascende il fine dei singoli. Prima del conferimento della personalità, l'ente non
esiste come centro autonomo di imputazione giuridica. Gli elementi costitutivi sono
soggettività (distinta dalla persona fisica, unica e indivisibile), finalità e capacità
patrimoniale. Si distingue inoltre tra persone giuridiche pubbliche se agiscono in nome della
Chiesa per realizzare obiettivi preordinati al bene pubblico, secondo le disposizioni del
diritto e in dipendenza della gerarchia ecclesiastica (cfr. can. 116) e persone giuridiche
private; queste ultime sono dotate di personalità per mezzo di speciale decreto dell'Autorità
28
dall’ordinamento della specifica confessione acattolica. Presenta come
caratteri essenziali il legame con l’organizzazione e la finalità di
religione e di culto.
Secondo l’opinione prevalente36, gli enti della confessione
cattolica possono raggrupparsi in varie categorie; in particolare, oltre a
quelli appartenenti alla c.d. costituzione gerarchica della Chiesa, che
sono la Conferenza Episcopale Italiana
37
(che nell’organizzazione
permanente della Chiesa Cattolica in Italia viene subito dopo la Santa
competente, e agiscono in nome proprio, con beni patrimoniali propri e per il bene dei
privati. Le persone giuridiche canoniche sono “soggetti capaci di acquistare, possedere,
amministrare e alienare beni temporali a norma del diritto” (cfr. can. 1255). Le persone
giuridiche pubbliche sono soggette alle norme del libro V del Codex (cfr. can. 1257, par. 1)
e, di conseguenza, al sistema dei controlli canonici sull'amministrazione dei beni
ecclesiastici, che riflette un più stretto legame con le funzioni della gerarchia. Le persone
giuridiche private sono invece soggette quanto al regime dei loro beni alle norme dei loro
statuti e non, di regola, a quelle del codice di diritto canonico (cfr. can. 1257, par. 2),
operando con un grado di maggiore autonomia anche patrimoniale rispetto all'autorità
ecclesiastica, che nei loro confronti esercita un più limitato ruolo di vigilanza.
Le persone giuridiche non vanno confuse con gli organi appartenenti a un soggetto
ecclesiastico superiore (cfr. canoni 127, par. 1, e 166), come ad esempio un consiglio
presbiterale o un dicastero della curia romana; essi non hanno obiettivi autonomi e, peraltro,
a seconda della loro funzione, possono essere amministrativi o consultivi (consiglio per gli
affari economici, collegio dei consultori); il loro mancato intervento comporta l'invalidità
dell'atto compiuto. In materia, cfr., in particolare, J. GARCIA MARTIN, Le norme generali del
Codex Iuris Canonici, Roma, 1999, p. 384 ss.
36
Cfr., in particolare, P. PICCOLI, La rappresentanza negli enti ecclesiastici, in Riv.
not., 2000, 01, 21 ss.
37
Cfr., can. 449, par. 2, e, relativamente all’acquisto della personalità giuridica, art.
12, l. n.222/1985. La Conferenza Episcopale Italiana (CEI) è una persona giuridica pubblica
con sede in Roma; è articolata in conferenze episcopali regionali che dipendono da quella
nazionale, e fa parte del Consiglio europeo delle Conferenze episcopali; essa costituisce
l'assemblea permanente dei vescovi italiani. I suoi membri di diritto sono gli arcivescovi e i
vescovi, di qualsiasi rito, delle diocesi e delle altre chiese particolari italiane, i vescovi
coadiutori ed ausiliari nonché i vescovi titolari che dalla Santa Sede o dalla stessa CEI hanno
ricevuto uno speciale ufficio stabile a livello nazionale (ad es. l’Ordinario militare). Il suo
Presidente viene nominato personalmente dal Papa. Il suo compito principale è il
mantenimento dei rapporti con le pubbliche autorità dello Stato italiano (cfr., in particolare,
l’Accordo di Villa Madama).
29
Sede
38
), le Regioni ecclesiastiche
Diocesi
41
, le Abbazie, le Prelature
Vescovo), le Parrocchie
44
39
, le Province ecclesiastiche
42
, i Capitoli
43
40
, le
(che coadiuvano il
e le Chiese 45, vanno presi in considerazione
Nell’accezione più corretta, deve intendersi per Santa Sede il complesso degli
organi di governo della Chiesa cattolica. Essa comprende dunque il Romano Pontefice, la
Segreteria di Stato e gli altri organismi della Curia Romana. E’ soggetto di diritto
internazionale.
39
Cfr. can. 433, par. 2. Si tratta di organismi in cui, su proposta delle Conferenze
episcopali, confluiscono le Province ecclesiastiche più vicine, specialmente nei paesi dove
sono più numerose le Chiese particolari.
40
Cfr. can. 432, par. 2. Si tratta di un raggruppamento di più chiese particolari
territorialmente contigue sotto la guida del Concilio provinciale e del Metropolita.
41
Le norme dell’accordo del 15 novembre 1984 (l. n. 206/1985) e della l. n.
222/1985 hanno previsto un riordino dell’assetto degli organi che fanno parte della
costituzione gerarchica della Chiesa, la quale, ai sensi dell’art. 2 dell’Accordo del 1984 (l. n.
121/1985), è pienamente libera di organizzarsi come meglio crede e di determinare
liberamente la circoscrizione delle diocesi e delle parrocchie. Cfr., altresì, l’art. 29, l. n.
222/1985, in merito alla determinazione delle diocesi e delle parrocchie ed all’acquisto della
personalità giuridica nel nostro ordinamento. In particolare, la diocesi costituisce una Chiesa
particolare ed è “una porzione del popolo di Dio” circoscritta territorialmente ed affidata al
governo pastorale di un vescovo, coadiuvato di regola da un vicario generale, che ne fa le
veci in sua assenza. I principali organi della diocesi sono oltre al Vescovo, la Curia
diocesana (l’insieme degli organismi e delle persone che coadiuvano il Vescovo nel dirigere
l’attività pastorale, nel curare l’amministrazione della diocesi e nell’esercitare la potestà
giudiziaria) ed il capitolo dei canonici (costituito dai presbiteri con lo scopo di assolvere le
funzioni liturgiche più solenni).
42
Diocesi, Abbazie e Prelature territoriali (cfr. can. 368).
43
Cfr. can. 504.
44
Cfr. can. 515, par. 3. La parrocchia (che, in virtù dell’erezione, acquista ipso iure
la personalità giuridica canonica) è una determinata comunità di fedeli che viene costituita
stabilmente nell'ambito di una Chiesa particolare; la sua cura pastorale è affidata, sotto
l'autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore. E’ il Vescovo
diocesano che ha il potere di erigere, sopprimere o modificare le parrocchie, previa
consultazione con il consiglio presbiterale.
45
Cfr. can. 556. Ai sensi dell’art. 11, l. n. 222/1985, sono riconoscibili agli effetti
civili solo se aperte al culto pubblico e non annesse ad altro ente ecclesiastico e sempre che
siano fornite dei mezzi sufficienti per la manutenzione e la officiatura. All’interno delle
chiese, particolare attenzione va posta ai santuari (cfr. art. 27, l. n. 810/1929 e, per quanto
riguarda l’attribuzione della personalità giuridica civile ai nuovi santuari, l’art. 2, I co., l. n.
222/1985), che sono chiese che si differenziano per il fatto di essere oggetto di particolare
devozione e mete di pellegrinaggi, per le immagini o reliquie che vi si conservano e che
pertanto soddisfano ad una esigenza di culto diversa da quella ordinaria.
38
30
gli Istituti universitari, i Seminari46, le Accademie, i Collegi e altri
Istituti per ecclesiastici e religiosi o per la formazione nelle discipline
ecclesiastiche 47.
Vi sono poi gli Istituti religiosi, suddivisi in Istituti religiosi48,
Province e Case 49 e Istituti secolari 50.
La quarta categoria comprende altre persone giuridiche canoniche
quali le Società di vita apostolica51; Associazioni pubbliche di fedeli e
Confederazioni52; Associazioni private di fedeli con personalità
giuridica53.
Le Fondazioni54 costituiscono il quinto gruppo: vi rientrano gli
Istituti per il sostentamento del clero55 e le Fondazioni autonome (già
Istituti ecclesiastici)56.
46
Si tratta degli istituti per la formazione dei chierici; ivi i futuri chierici vengono
preparati a vivere lo stato del celibato e devono essere resi debitamente consapevoli dei
doveri e degli oneri che sono propri dei ministri della Chiesa.
47
Gli Istituti universitari, i Seminari, le Accademie, i Collegi e altri Istituti per
ecclesiastici e religiosi o per la formazione nelle discipline ecclesiastiche (cfr. can. 238, par.
1).
48
Cfr. cann. 607 – 709. Si tratta di associazioni alle quali i soci aderiscono
pronunziando voti pubblici o temporanei, ma rinnovabili, che impegnano a condurre una vita
fraterna comune, diretta a rendere pubblica testimonianza a Cristo ed alla Chiesa ed
implicante una separazione del mondo.
49
Cfr. can. 634, par. 1.
50
Cfr. can. 710. Tali istituti sono costituiti da fedeli (anche laici) che, dopo
l’adesione all’associazione, continuano a vivere nella società la propria vocazione alla carità;
i soci, in base alle peculiarità degli statuti nelle singole associazioni, possono vivere ognuno
per proprio conto o con la famiglia o in comunione di vita fraterna.
51
Cfr. can. 741, par. 1. L’adesione dei propri soci avviene senza la pronuncia dei
voti, ma unicamente quando lo prevedono gli statuti, con l’assunzione dei consilia
evangelica; l’adesione comporta la vita comune dei soci diretta alla perfezione della carità,
in base a quanto prescrivono le specifiche costituzioni.
52
Cfr. can. 313.
53
Cfr. can. 322, par. 1.
54
Le fondazioni di culto sono enti istituiti mediante lasciti di beni mobili ed
immobili effettuati con donazione o testamento (c.d. pia fondazione autonoma). Se i lasciti
31
Le fabbricerie57 sono sia la fabrica ecclesiae (massa patrimoniale
finalizzata all’officiatura ed alla manutenzione dell’edificio di culto), sia
il consiulium fabricae, ovvero il consiglio composto di laici ed
ecclesiastici che amministrano la medesima massa patrimoniale. Ai sensi
dell’art. 72 della l. n. 222/1985, le fabbricerie già esistenti devono
continuare ad essere regolate dagli artt. 15 e 16 della l. n. 848/1929 e
dagli artt. 35 – 41 del d.p.r. n. 33/1987.
Infine, vi sono gli enti costituiti o approvati dall'autorità
ecclesiastica che non hanno personalità giuridica nell'ordinamento della
Chiesa, quali Associazioni private di fedeli senza personalità giuridica
(can. 322, par. 1) oltre a tutti quegli enti di fatto non classificabili
altrove.
Lo stesso discorso vale, come detto, anche per le singole
confessioni religiose diverse dalla cattolica che ovviamente prevedono
all’interno del proprio ordinamento singoli enti (come, ad esempio, le
sono effettuati ad enti già esistenti si parla di pia fondazione non autonoma; per essere
riconosciute agli effetti civili devono sussistere anche i requisiti dei mezzi sufficienti per il
raggiungimento dei propri fini e la rispondenza alle esigenze religiose della popolazione (cfr.
art. 12, l. n. 22271985).
55
Cfr. can. 1274, par.1 ed anche artt. 21 – 53 l. n. 222/1985. In particolare, il loro
compito è quello di assicurare a tutti i sacerdoti che svolgono servizio in favore della diocesi,
una remunerazione per il loro congruo e dignitoso sostentamento.
56
Cfr. can. 1303, par. 1.
57
Le chiese sono solitamente amministrate dall’ecclesiastico ad esse preposto
(vescovo, parroco, rettore etc.) che ne ha la rappresentanza negoziale e giudiziale; tuttavia
l’amministrazione dell’edificio di culto non sempre compete al detto ecclesiastico quando
esista una fabbriceria. Va rilevato che in dottrina è stata fortemente contesta la qualificazione
delle fabbricerie come enti ecclesiastici, per il fatto che molto spesso esse non sono titolari
della personalità giuridica e che subiscono penetranti poteri di controllo e di nomina dei
consiglieri da parte delle autorità civili; va comunque rilevato che l’art. 72, l. n. 222/1985, ha
disposto che le fabbricerie già esistenti continuino ad essere qualificate come tali ed ad esser
disciplinate ai sensi degli artt. 15 e 16 l. n. 848/1929 e degli artt. 35 e 41 D.P.R. n. 33/1987.
32
Comunità ebraiche, l’Unione delle Comunità Ebraiche, le Comunità
della Chiesa luterana).
Con il riconoscimento della personalità giuridica da parte dello
Stato Italiano “agli effetti civili” (per ottenere il quale, come si vedrà
meglio infra, è necessaria la compresenza dei requisiti appartenenzaconformità confessionale, sede in Italia, fine di religione o di culto), gli
enti ecclesiastici acquisiscono l’ulteriore qualifica di “civilmente
riconosciuti”
58
; a questa può essere aggiunta l’ulteriore specificazione
della confessione di riferimento e cioè, ad esempio, “cattolici”,
“avventisti”, “valdesi”, “ebraici”, “buddhisti”.
Ne deriva dunque che le confessioni religiose non hanno di per sé,
come tali, una personalità giuridica nel nostro ordinamento; la
personalità giuridica “agli effetti civili” può essere invece ottenuta dagli
enti ad esse collegati, cui le confessioni danno vita ovvero “gli organi –
istituzioni in cui le confessioni sono articolate”59. Come chiarito in
dottrina60, essi “sul piano funzionale, costituiscono la struttura
istituzionale della Chiesa attraverso i quali essa svolge la propria
missione di evangelizzazione e santificazione”, nel perseguimento di fini
58
Si evidenzi che il nostro ordinamento riconosce gli enti con la struttura e le
caratteristiche confessionali loro proprie ed il tutto è in stretta relazione con l’attività
effettivamente espletata dall’ente, che deve perseguire necessariamente fini di religione o di
culto.
La dottrina (G. DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, cit., 188, A.
BETTETINI, Gli enti e i beni ecclesiastici. Art. 831, cit., 20) evidenzia che la categoria degli
enti ecclesiastici civilmente riconosciuti con i caratteri che gli sono attribuiti nella nostra
legislazione è sconosciuta in altri ordinamenti e che tale categoria è segnata da una marcata
storicità, sia per la sua genesi storica che per le esigenze cui deve assolvere nell’ordinamento
vigente.
59
In questi termini, F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, IX ed., Bologna, 2003,
256. Analogamente, E. VITALI – A. CHIZZONITI, Manuale breve Diritto Ecclesiastico,
Milano, ed. 2013, 99.
60
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 11 ss.; G. DALLA
TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, cit., 187.
33
“attinenti ad opere di pietà, di apostolato o di carità sia spirituale che
temporale”.
Va peraltro chiarito che l’espressione ente ecclesiastico61
(eventualmente, anche civilmente riconosciuto) è ormai unanimemente
riferibile non soltanto agli enti appartenenti alla Chiesa Cattolica, ai soli
quali per lungo tempo è stata esclusivamente riferita, ma anche agli
istituti di culti diversi. Ed infatti, a titolo meramente esemplificativo, si
veda che l'art. 12 della legge 11 agosto 1984, n. 449 (“Norme per la
regolazione dei rapporti tra lo Stato e le chiese rappresentate dalla
Tavola valdese”) parla di “enti ecclesiastici valdesi aventi fini di culto”,
gli artt. 23 e 26 della legge 22 novembre 1988, n. 516 (“Norme per la
regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione italiana delle Chiese
cristiane avventiste del settimo giorno”) parlano di “enti ecclesiastici
avventisti civilmente riconosciuti aventi fini di religione o di culto”, e
l'art. 14 della legge 22 novembre 1988, n. 517 (“Norme per la
regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Assemblee di Dio in Italia”) si
riferisce, utilizzando la medesima espressione, ad enti rientranti
nell'ambito delle Assemblee di Dio in Italia62.
In ogni caso, deve essere evidenziato che la personalità giuridica
riconosciuta dallo Stato italiano agli enti ecclesiastici si aggiunge (e non
si sostituisce) a quella che eventualmente possiedono per l'ordinamento
religioso cui appartengono.
61
L. MUSSELLI - V. TOZZI, Manuale di diritto ecclesiastico, Bari, 2000, 220, afferma
che l’ecclesiasticità è un elemento che appartiene alla struttura dell’ente e non già alla sua
attività.
62
Norme analoghe sono contenute nell’art. 11 della legge 12 aprile 1995, n. 116,
nell’art. 19 della legge 29 novembre 1995, n. 520, con riguardo, rispettivamente, agli enti
dell’Unione delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, delle assemblee di Dio in Italia
(ADI), dell’Unione Cristiana Evangelica Battista (UCEBI), della Chiesa Evangelica
Luterana in Italia (CELI).
34
Sia infine chiaro che hanno il medesimo significato di “ente
ecclesiastico” le locuzioni, pure utilizzate, di “ente confessionale”, e di
“ente religioso”63; quest’ultima è in particolare rinvenibile nelle leggi di
approvazione delle Intese da ultimo sottoscritte ed approvate da parte del
nostro Stato (e cioè quelle con la Chiesa Apostolica in Italia e si veda, al
riguardo, l’ art. 15, V co., l. n. 128/2012, con l’Unione Induista Italiana,
cfr. art. 13, V co., l. n. 24672012, con l’Unione Buddhista Italiana, cfr.
art. 12, V co., l. n. 245/2012).
L’utilizzo dell’espressione da ultimo citata dimostrerebbe “un
sempre più forte adeguamento, anche dal punto di vista giuridico –
lessicale,
del
nostro
ordinamento
ad
un
diffuso
pluralismo
confessionale”64.
1.4. Enti religiosi tra specialità e diritto comune. Natura e regime
giuridico.
E’ unanime l’opinione secondo cui l’ente ecclesiastico civilmente
riconosciuto, dal punto di vista giuridico, possa essere considerato un
organismo di natura associativa o fondatizia, legato ad una confessione
religiosa e svolgente attività di religione o di culto.
63
Va inoltre rilevato che una parte della dottrina (A. FUCCILLO, Disciplina
dell’impresa sociale. Commento al decreto legislativo 155/2006, in Nuove leggi civili
commentate, n. 1, 2007, 321; A. BETTETINI - S. GIACCHI, Gli enti ecclesiastici e la
disciplina dell’impresa sociale, in Dir. eccles., n. 2, 2010, 144 ss, parla di enti di struttura
(enti ecclesiastici civilmente riconosciuti) ed enti di funzione (enti che possono avere un
collegamento formale o teleologico con la confessione cui si ispirano).
64
E. VITALI – A. CHIZZONITI, Manuale breve Diritto Ecclesiastico, cit., 100.
35
Va
evidenziata
la
tradizionale
problematicità
del
suo
inquadramento nel diritto positivo65.
Secondo un’opinione ormai superata, si trattava di una particolare
categoria di ente pubblico66; ciò in ragione del riconoscimento che lo
Stato dà all’ordinamento ecclesiastico67.
Secondo l’opinione più condivisa, tali enti sarebbero assimilabili
agli enti privati
68
. E ciò non solo nello svolgimento della loro attività
contrattuale, ma anche in materia di rapporti di lavoro dipendente 69.
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 4, rileva che l’
“indubbia specialità” che caratterizza questi enti “non ne rende agevole la collocazione,
all’interno di una delle due categorie (pubbliche o private) proprio in virtù dell’esistenza di
oggettive peculiarità strutturali e teleologiche”.
66
In particolare, cfr. l’art. 2 del codice civile del 1865, a cui sensi “i comuni, le
province, gli istituti pubblici civili ed ecclesiastici, ed in genere tutti i corpi morali
legalmente riconosciuti, sono considerate persone e godono dei diritti civili secondo la legge
e gli usi osservati come diritto pubblico”.
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 4ss, evidenzia che,
sino a tutto l’Ottocento (in un contesto di giurisdizionalismo, con supremazia dunque dello
Stato sull’organizzazione ecclesiastica) prevalse una concezione (oggettiva e sostanziale) che
considerava pubblico ogni ente avente finalità collettive e che il fine di religione e di culto
perseguito dall’ente fu assunto come criterio qualificante dell’ecclesiasticità. Cfr., altresì, la
nota n. 13 della medesima citazione. Si evidenzi inoltre che il nostro codice civile,
comunque, non contiene alcun riferimento alla possibile natura pubblicistica degli enti
ecclesiastici: non li menziona l’art. 11, che disciplina le persone giuridiche pubbliche; li
nomina, invece, l’art. 831, che tuttavia non li qualifica.
Cfr., anche M. FERRERO E M. ALLENA, Sulla (ir)riconducibilità degli enti
ecclesiastici al novero degli organismi di diritto pubblico, in Foro. it., 2011, 5, 1484 ss.
67
Cfr., nel senso della non appartenenza degli enti ecclesiastici agli enti pubblici,
Cass. 17 ottobre 1985, n. 5118, in Giust. civ., 1986, I, 2502, ai sensi della quale: “Ai fini
dell'applicabilità dell'art. 29 della legge n. 392 del 1978 - in forza del quale può essere
negato il rinnovo del contratto di locazione concernente immobile non abitativo alla prima
scadenza, qualora il locatore sia un ente pubblico o di diritto pubblico ed intenda adibire
l'immobile stesso all'esercizio di attività tendenti al conseguimento delle sue finalità
istituzionali - esula dalla nozione di ente pubblico il beneficio parrocchiale, il quale svolge
attività essenzialmente religiosa, persegue finalità non riconducibili fra quelle di interesse
generale demandate alla P.A. e non fa parte dell'organizzazione dello Stato”.
68
Cfr. Cass., sez. un., 2 aprile 1990, n. 2656, in Giust. civ., 1990, 1708 ss., che
afferma: “Con riguardo alle controversie inerenti al rapporto di lavoro dei dipendenti
dell’istituto papa Giovanni XXIII, deve essere affermata la giurisdizione del giudice
65
36
Enti privati sì ma peculiari e diversi dalle persone giuridiche
private regolate dal libro primo del codice civile; si tratta infatti di
organismi collettivi che agiscono all'interno dell'ordinamento italiano,
ma hanno riferimento alle confessioni religiose. “Pertanto si intersecano
in questa materia disposizioni che trovano fonte anche nei diritti
confessionali e fanno sì che, rispetto alle altre persone giuridiche, gli enti
ecclesiastici rispondono alla disciplina prevista dalla confessione di
appartenenza, alla quale fanno riferimento quanto alla genesi, alle
modificazioni,
all'ordinaria
e
straordinaria
amministrazione,
all'estinzione” 70.
ordinario, dato che detto istituto ha natura di fondazione privata, non di ente pubblico, non
essendo all’uopo rilevante né l’attribuzione della personalità giuridica, né il riconoscimento
quale ente ecclesiastico con fine di culto e di religione (anche dopo le modifiche al
concordato con la Santa Sede, di cui agli accordi di Roma del 18 febbraio 1984, ratificati
con l. 25 marzo 1985 n. 121, e la nuova legge sugli enti ecclesiastici 20 maggio 1985 n.
222)”. Inoltre, Cass. 10 luglio 1984, n. 4040, in Dir. eccl., 1985, II, 189, secondo cui
“L'organo investito della legale rappresentanza di un ente avente personalità giuridica di
diritto privato, quale, nell'ordinamento statale, deve ritenersi un ente ecclesiastico, può
validamente delegare ad altro soggetto, pur estraneo, il potere di rappresentanza giudiziale
dell'ente, con il conseguente conferimento della legittimazione processuale, a meno che ciò
non risulti vietato dallo statuto”.
69
Ex multis, Cass. 9 giugno 2006, n. 13435, in Dir. giust., 2006, 39, secondo cui “Le
norme e i principi operanti per i rapporti di lavoro subordinato di diritto privato non
trovano alcun limite alla loro applicazione per i dipendenti degli enti ecclesiastici gestori di
ospedali classificati ai sensi della legge n. 132 del 1968. (Nella specie, la S.C. ha cassato
con rinvio la sentenza impugnata con la quale era stata esclusa l'applicabilità dell'art.
2 della legge 18 aprile 1962, n. 230, ai rapporti di lavoro del personale degli enti
ecclesiastici civilmente riconosciuti ed esercitanti attività ospedaliera, che avevano ottenuto
dal Ministero della sanità, ai sensi dell'art. 129 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130,
l'equiparazione dei servizi e dei titoli acquisiti dal proprio personale ai servizi e ai titoli
acquisiti dal personale in servizio presso gli ospedali amministrati da enti ospedalieri
pubblici)”. Cfr., altresì, Cass. 28 marzo 1995, n. 3623, in Mass. Giust. civ., 1995, 705, Cass.,
sez. un., 2 aprile 2007, n. 8088, in Dir. giust., 2007, 11.
70
Le parole tra virgolette sono di P. PICCOLI, La rappresentanza negli enti
ecclesiastici, cit., 21.
37
Altri ancora parlano di c.d. tertium genus di ente, in virtù delle sue
caratteristiche peculiari ed esclusive 71.
Come avremo modo di chiarire nel prosieguo, gli enti ecclesiastici
civilmente riconosciuti posseggono in quanto tali, sotto il profilo fiscale,
la natura di enti “non commerciali” e ciò anche nell’ipotesi in cui
svolgano attività di impresa72.
Il particolare regime giuridico che riguarda gli enti ecclesiastici
civilmente riconosciuti deriva dalla combinazione di tre gruppi di norme,
le norme statali di carattere generale per le persone giuridiche, le norme
71
Cfr. G. DOSSETTI, Le persone giuridiche ecclesiastiche ed il nuovo libro primo del
Codice Civile, in Chiesa e Stato. Studi storici e giuridici per il decennale della conciliazione
tra la Santa Sede e l’Italia, Milano, II, Studi Giuridici, 1939, 485, ed anche App. Bologna,
30 marzo 1979, in Dir. eccl., 1981, II, 321.
In generale, per le varie opinioni, si veda M. FERRANTE, Osservazioni sui riflessi
ecclesiastici della legge quadro sulle organizzazioni di volontariato, in Dir. eccl. 1994, 1022
ss.
Si noti anche che in dottrina c’è chi ritiene che la qualifica di ente ecclesiastico sia
una prerogativa degli enti riconosciuti agli effetti civili e anche chi ritiene che il
riconoscimento abbia soltanto un valore ricognitivo dell'ecclesiasticità dell'ente, ma non ne
sia né la causa né la prova.
Considerata la complessità della materia, va ricordato anche che si è parlato anche di
tipo di ente interordinamentale appartenente contemporaneamente all’ordinamento civile ed
a quello canonico, il cui quid proprium è rappresentato dal fatto che il suo regime giuridico
derivi dalla combinazione di tre gruppi di norme (norme statali di carattere generale per le
persone giuridiche; norme statali specialmente dettate per tali enti sulla base di specifiche
intese o accordi; norme confessionali). Al riguardo, cfr. P. PICOZZA, L’ente ecclesiastico
civilmente riconosciuto, Milano, 1992, 168 ss, N. COLAIANNI, Confessioni religiose, v. Enc.
dir., Agg. IV, Milano, 2001, 368 ss.
72
Secondo le più recenti elaborazioni dottrinali in materia, gli enti ecclesiastici non
sono più presi in considerazione sotto una prospettiva meramente ed esclusivamente
confessionale: assume rilevanza l’effettiva attività espletata dagli stessi, il riferimento alla
quale consente una loro maggiore assimilazione nell’ambito del diritto comune, con il
conseguente venire meno di qualsiasi forma di privilegio o di singolarità loro
tradizionalmente concessa, e con l’ulteriore conseguenza che l’ente ecclesiastico che esercita
attività prevalentemente imprenditoriale può essere soggetto a fallimento.
38
statali specialmente dettate per tali enti sulla base di specifiche intese o
accordi, le norme dell’ordinamento confessionale di appartenenza 73 74.
In particolare, il regime di specialità attiene soprattutto per quel
che riguarda le c.d. attività di religione o di culto.
Va chiarito in ogni caso che con il riconoscimento, da un lato, non
è comunque alterata la natura dell’ente, che viene pertanto assunto nella
sfera civilistica con le caratteristiche delineate dalla legge canonica;
dall’altro, l’ente acquista la capacità di essere titolare di rapporti giuridici
e di compiere atti e negozi (c.d. rilevanza civile alla soggettività
dell’ente) e soprattutto può beneficiare di articolate agevolazioni sul
piano tributario.
E qual è il regime giuridico applicabile agli enti ecclesiastici non
civilmente riconosciuti?
La questione si pone in quanto è ben possibile che l’ente della
confessione religiosa non voglia chiedere il riconoscimento e ciò pur
P. PICOZZA, L’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, cit.., 168.
Sul tema dell’eventuale assoggettabilità al diritto comune, il mini-accordo
interpretativo (considerato tra gli atti internazionali non soggetti a legge di autorizzazione
alla ratifica) tra Italia e Santa Sede del 24 febbraio 1997, in G.U 15 ottobre 1997, n. 241,
suppl. ord., relativamente alle disposizioni della legge n. 222/1985, afferma che la disciplina
degli enti di cui alla legge n. 222/1985 “presenta carattere di specialità rispetto a quella del
codice civile in materia di persone giuridiche” e “gli enti ecclesiastici sono riconosciuti
come persone giuridiche agli effetti civili nel rispetto delle loro caratteristiche originarie
stabilite dalle norme di diritto canonico. Non sono pertanto applicabili agli enti ecclesiastici
le norme dettate dal codice civile in tema di costituzione, struttura, amministrazione e
estinzione delle persone giuridiche private”. Al riguardo, va evidenziato che fu composta
una Commissione Paritetica che nella data sopra indicata ha sottoscritto il “Documento
conclusivo” e la “Relazione Finale” che per le Alte Parti costituiscono un'Intesa tecnica
interpretativa ed esecutiva dell'Accordo del 18 febbraio 1984 e del successivo Protocollo del
15 novembre 1984. La Circolare n. 93 del 30 marzo 1996 della Direzione generale degli
Affari Culto del Ministero dell’Interno parla di “assoggettamento degli enti ecclesiastici, pur
nella specificità della loro natura, alla disciplina delle norme di diritto comune”.
73
74
39
possedendone i requisiti; oppure è possibile che l’autorità statale non gli
abbia accordato il riconoscimento.
Relativamente alle associazioni pubbliche di fedeli costituite o
approvate dalle autorità ecclesiastiche e non riconoscibili ai sensi
dell’art. 9 della l .n. 222/1985 in quanto manchi l’assenso della Sante
Sede ovvero abbiano carattere soltanto locale, l’art. 10 della stessa legge
prevede che possano essere riconosciute alle condizioni previste dal
codice civile (cfr. artt. 14 – 35 c.c.), previo assenso dell’autorità
ecclesiastica competente ovvero su domanda di questa, e quindi
assumere la forma giuridica civile dell’associazione o della fondazione
(è quindi necessario l'atto notarile pubblico ai sensi dell'art. 14 c.c.).
In questo caso, dunque, le associazioni sono regolate dalle leggi
civili, fatta salva la competenza dell’autorità ecclesiastica relativamente
all’attività di religione o di culto ed i poteri della medesima in ordine agli
organi statutari (art. 10, II co., l. cit.) nonché la possibilità della stessa
autorità ecclesiastica di condizionarne ab ovo l’istanza per il
riconoscimento civile ex art. 3, legge n. 222/1985 (art. 10, III co., l. cit.)
75
.
Più in generale, si può dire che la regola è quella
dell’assoggettamento dell’ente alle norme dettate per gli enti di fatto con
l’applicazione dunque della normativa di diritto comune (artt. 36 – 42
c.c.); se del caso, va comunque riconosciuta la necessità di rifarsi al
diritto canonico per quanto attiene taluni aspetti della disciplina giuridica
degli enti stessi.
S. BERLINGÒ, Enti ecclesiastici – enti delle confessioni religiose, in Il diritto,
enciclopedia giuridica de “Il Sole – 24 Ore”, diretta da S. PATTI, vol. VI, 2007, 39 ss., parla
di figure soggettive border – line di enti confessionali.
75
40
1.5. Il quadro normativo di riferimento: tra regolazione
dell’ordinamento religioso e normativa statale unilaterale e
bilaterale.
Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, essendo enti
confessionali, trovano la loro origine e parte della loro regolazione
innanzitutto nei rispettivi ordinamenti religiosi (in particolare, codice di
diritto
canonico
del
1983,
documento
“Istruzione
in
materia
amministrativa” predisposto dalla Conferenza episcopale Italiana ed
approvato dall’assemblea generale nel maggio 2005 76, nonché norme dei
vari ordinamenti acattolici).
Rileva altresì ovviamente la normativa statale di riferimento, che
può essere di origine unilaterale o bilaterale77.
Per quanto concerne quella di origine unilaterale, bisogna
esaminare innanzitutto il contenuto precettivo dell’art. 20 Cost., ai sensi
del quale “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una
associazione od istituzione non possono essere causa di speciali
limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua
costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività” 78.
76
Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Istruzione in materia amministrativa 1
settembre 2005, n. 5, in Notiziario CEI, n. 8/9, 2005, 325 ss.
77
E. VITALI – A. CHIZZONITI, Manuale breve Diritto Ecclesiastico, cit.., 100, rileva
che l’insieme delle norme che regolano il riconoscimento e l’attività degli enti ecclesiastici
nel nostro ordinamento è un evidente esempio della struttura composita delle fonti del diritto
ecclesiastico italiano; vi sono infatti disposizioni di produzione bilaterale, norme unilaterali.
78
Cfr., in particolare, S. LANDOLFI, L'art. 20 della Costituzione nel sistema degli enti
ecclesiastici, in Rass. dir. pubbl., 1969, 261; F. ONIDA, L'art. 20 della Costituzione, in Quad.
dir. pol. eccl., 1996, 108.
41
Tutti gli organismi plurisoggettivi portatori di sentimenti religiosi
sono espressione della libertà religiosa (cfr. art. 19 Cost.79) e perciò
devono essere sottoposti ad una disciplina normativa particolare.
Si vieta pertanto al legislatore e all’amministrazione finanziaria
dello Stato di imporre speciali limitazioni ad enti di ispirazione religiosa,
che perseguono, con la propria attività, il fine di religione o di culto. Il
divieto di trattamento deteriore è imposto sotto vari profili (dal punto di
vista tributario, nel procedimento di costituzione, nella capacità
giuridica, nello svolgimento di attività) ed il proposito è quello di evitare
qualsiasi forma di ritorno al giurisdizionalismo ed altresì di tutelare
qualsivoglia movimento con finalità religiose80.
All’interno della prima categoria, vanno altresì ricordate le norme
sulle persone giuridiche private, contenute nel codice civile ed il d.p.r. n.
361 del 2000 (“Regolamento recante norme per la semplificazione dei
procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di
approvazione delle modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto”)81.
Come vedremo più avanti, inoltre, le discipline in materia di ONLUS e
L’art. 19 Cost. sancisce che “Tutti hanno diritto di professare liberamente la
propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di
esercitarne in privato o in pubblico il culto, purche' non si tratti di riti contrari al buon
costume”. Essendo gli enti ecclesiastici un organismo collettivo, non si può peraltro non
richiamare quanto consacrato nell’art.2 Cost., che stabilisce che la Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si
svolge la sua personalità.
80
F. FINOCCHIARO, Uguaglianza giuridica e fattore religioso, Milano, 1958, 148,
rileva che in questo modo è evidente la necessità di evitare una disciplina sui beni e gli enti
ecclesiastici lesiva del principio di uguaglianza. Si garantisce e rinforza altresì la libertà
religiosa, garantita dall’art. 19 Cost.
81
Il regolamento, D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361, in G.U., 7 dicembre 2000, n. 286,
è entrato in vigore il 22 dicembre 2000; esso introduce il nuovo procedimento per l'acquisto
della personalità giuridica di associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato e
non trova applicazione rispetto gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. Va evidenziato
che la procedura di riconoscimento degli enti di diritto comune si presenta, dunque, senza
dubbio più rapida, rispetto al procedimento che interessa gli enti confessionali.
79
42
di impresa sociale contenute rispettivamente nel d.lgs. n. 460 del 1997
(“Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle
organizzazioni non lucrative di utilità sociale”) e nel d.lgs. n. 155 del
2006 (“Disciplina dell’impresa sociale”, sulla base della delega
contenuta nella legge 13 giugno 2005, n. 118) e relativi decreti attuativi
del 24 gennaio 2008 ed anche altre norme di varia natura, in particolare,
tributaria.
Infine, gli enti dei c.d. culti ammessi, e cioè delle confessioni
religiose che non abbiano stipulato un’Intesa con lo Stato
regolamentati dall’art. 2 della legge n. 1159 del 1929
84
82 83
, sono
e dagli artt. 10 -
19 del r.d. n. 289 del 1930.
In estrema sintesi, va rilevato che per essi è normativamente
ammessa, come principio generale, la possibilità di ottenere il
riconoscimento in “ente morale”85 (art. 2, l. n. 1159/1929; art. 10 r.d. n.
289/1930). Tali enti sono soggetti alla vigilanza e alla tutela dell'autorità
governativa, funzioni esercitate dal Ministro dell'Interno e dagli organi
da esso dipendenti (art. 13, r.d. n. 289/1930). Il controllo dello Stato è
Il non essere stata stipulata un’intesa può derivare o dal fatto che la confessione
non lo ritenga opportuno oppure dal fatto che non si realizzano le condizioni generali per
arrivare ad un accordo. G. B. VARNIER, Strade maestre e sentieri dimenticati: la Corte
costituzionale e il fenomeno religioso in mezzo secolo di esperienza giuridica, in R. BOTTA
(a cura di), Diritto ecclesiastico e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 364 ss., rileva che può
trattarsi di confessioni minoritarie poco numerose e poco aggregate, ma che comunque non
vuol dire che si tratta di un fenomeno di minore importanza per storia e tradizione.
83
Ad essi si applica quindi il diritto comune e di conseguenza versano in una
situazione di differenziazione giuridica e di estrema precarietà e fragilità nei confronti delle
Confessioni cattolica e di quelle con Intese soprattutto nei settori del finanziamento statale e
delle nuove attività.
84
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 76, afferma che i
culti ammessi sono imprigionati in una rigida disciplina giuridica di carattere marcatamente
giurisdizionalista.
85
Esempi sono: l’Associazione cristiano ortodossa dei Santi Agapito martire e
Serafino di Sarov (San felice Pistoia); il Centro Islamico Culturale d’Italia (Roma); la
Comunità evangelica di confessione elvetica (Trieste).
82
43
previsto in linea generale in un modo abbastanza penetrante,
estendendosi alla possibilità non solo di visite o ispezioni, ma addirittura
al potere di sciogliere l'ente per gravi irregolarità nell'amministrazione
(art. 14, r.d. n. 289/1930) o di dichiarare nulli atti o deliberazioni contrari
a leggi o regolamenti dello Stato (art. 15, r.d. n. 289/1930)86.
Relativamente alla normativa statale di origine pattizia, che deve
avere necessariamente come punto di riferimento il principio generale
sancito dall’art. 20 della Cost., per gli enti ecclesiastici di culto cattolico,
occorre far riferimento all’art. 7 dell’Accordo del 18 febbraio 1984
(legge di esecuzione n. 121/1985)87
88
, che ha apportato profonde
modifiche alla disciplina degli enti e dei beni ecclesiastici e si sostituisce
alla normativa del Concordato del 1929 (salvo alcune residue
disposizioni), ed alla l. n. 222 del 20 maggio 198589 (“Disposizioni sugli
enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico
Si noti l’applicazione, anche agli enti di culto acattolico, dell’art. 13 della legge
15 maggio 1997, n. 127, modificato dall’art. 2, comma 26, legge 16 giugno 1998, n. 191
(cd. legge Bassanini ter), che ha abrogato l’art. 17 c.c., nonché “le altre disposizioni che
prescrivono autorizzazioni per l’acquisto e l’alienazione di immobili o per accettazione di
donazioni, eredità e legati da parte di persone giuridiche, associazioni e fondazioni”.
87
E’ stato evidenziato da molti Autori il fatto che la legislazione derivante dal
Concordato del 1984 ha delineato una condizione giuridica degli enti ecclesiastici in
conformità degli artt. 7, 8, 19 e 20 Cost. F. MARGIOTTA BROGLIO, Riforma della legislazione
concordataria sugli enti e sul patrimonio ecclesiastico: i principi della Commissione
paritetica Italia-Santa Sede, in Foro it., 1984, V, 371, ha rilevato, in particolare, due principi
ispiratori e cioè che l'ente ecclesiastico per lo Stato è un ente che ha finalità di culto o di
religione, ma che può svolgere altre attività; inoltre, il riconoscimento degli enti ecclesiastici
consegue, in genere, ad un atto amministrativo la cui discrezionalità varia secondo il tipo di
ente che chiede il riconoscimento.
88
Tale legge (“Ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale,
firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense
dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede”) è in G.U., 10 aprile 1985,
n. 85, suppl. ord.,
89
Ai fini dell’applicazione di tale legge occorre considerare lo Scambio di Note tra la
Santa Sede e l’Italia circa l’interpretazione e l’applicazione delle norme sui beni e gli enti
ecclesiastici, del 24 febbraio 1997 (Cfr. nota 72).
86
44
in servizio nelle diocesi”)90, di esecuzione dell’Accordo integrativo del
15 novembre 1984; inoltre, vi è il relativo regolamento di esecuzione di
quest’ultima legge, il D.P.R. n. 33/198791 (così come modificato dal
d.p.r. n. 337 del 1999).
L’art. 7.1 del nuovo Concordato si richiama all’art. 20 Cost.,
riaffermando che “il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di
culto di una associazione o istituzione non possono essere causa di
speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua
costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”.
L’art. 7.2 stabilisce che lo Stato, ferma restando la personalità
giuridica degli enti ecclesiastici che ne siano già provvisti in base alle
precedenti disposizioni concordatarie, si impegna a riconoscere, per
l’avvenire, su domanda dell’autorità ecclesiastica o con il suo assenso, la
personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, eretti o
approvati secondo le norme del diritto canonico, i quali abbiano finalità
di religione o di culto; analogamente si procederà per il riconoscimento
degli effetti civili di ogni mutamento sostanziale degli enti ecclesiastici.
90
Tale legge è attuativa degli Accordi di Villa Madama del 1984; è stata preceduta
dalla l. 20 maggio 1985, n. 206, Ratifica ed esecuzione del protocollo firmato a Roma il 15
novembre 1984, che approva le norme per la disciplina della materia degli enti e beni
ecclesiastici formulate dalla Commissione Paritetica istituita dall’art. 7, n. 6 dell’accordo,
con protocollo addizionale, del 18 febbraio 1984 che ha apportato modificazioni al
Concordato lateranense del 1929 tra lo Stato italiano e la Santa Sede. Il testo delle norme
approvato con quest’ultima legge è di contenuto identico a quello della l. n. 222 del 1985. Le
norme della legge n. 222/1985, in G.U. , 3 giugno 1985, n. 129, suppl. ord., ed altresì negli
“Acta Apostolicae Sedis”, sono entrate in vigore nell'ordinamento dello Stato e in quello
della Chiesa.
91
In G.U., del 19 febbraio 1987, n. 41.
45
Ai sensi dell’art. 8, III co., Cost., le confessioni religiose diverse
dalla cattolica possono regolare i loro rapporti con lo Stato italiano sulla
base di Intese92 con le relative rappresentanze.
Le leggi di approvazione delle intese93 tra lo Stato italiano e le
rappresentanze di alcune confessioni religiose diverse dalla cattolica
prevedono dunque norme specifiche in materia di enti. Cfr., in
particolare:
- artt. 12 – 13, l. n. 449/1984 (“Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e le Chiese rappresentate dalla Tavola Valdese”),
integrata dalla legge 5 ottobre 1993, n. 409 94;
- artt. 19 – 27, l. n. 516/1988 (“Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste
del settimo giorno”), integrata dalla legge 20 dicembre 1996, n. 63795;
- artt. 13 -19, l. n. 517/1988 (“Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e le Assemblee di Dio in Italia”)96;
92
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 65, fa presente che
nella materia degli enti ecclesiastici nelle varie intese si riscontra una sostanziale uniformità
di disciplina, diversamente da quanto accade in materia di assistenza, istruzione o
matrimoniale dove esiste una regolamentazione estremamente eterogenea. Gli elementi
comuni sono, in particolare, il provvedimento di erezione dell’ente da parte dell’ordinamento
confessionale di appartenenza, l’elemento finalistico come valore costitutivo ed essenziale,
le conseguenze derivanti da qualsiasi mutamento sostanziale nel fine o nel modo di esistenza
dell’ente.
93
Ibidem, ove si afferma che il nostro ordinamento giuridico ha assunto una struttura
piramidale a tre livelli: al vertice, la Chiesa cattolica con il concordato; in posizione
intermedia alcune confessioni di minoranza con un regime giuridico speciale, contenuto
nelle intese e nelle rispettive leggi di approvazione; alla base tutte le confessioni che non
hanno ottenuto l’accesso alle intese sono soggette ad una normativa di diritto comune.
“Ovviamente a seconda della posizione occupata all’interno di questa piramide muta il grado
di privilegi e di vantaggi delle organizzazioni religiose”.
94
Rispettivamente in G.U., 13 agosto 1984, n. 222 e in G.U., 11 ottobre 1993, n.
239.
95
Rispettivamente in G.U., 2 dicembre 1998, n. 283, suppl. ord. n. 107; in G.U., 21
dicembre 1996, n. 299.
46
- artt. 18 – 27, l. n. 101/1989 (“Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane”),
integrata dalla legge 20 dicembre 1996, n. 63897;
- artt. 10 – 16, l. n. 116/1995 (“Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e l'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia”,
c.d. UCEBI)98;
- artt. 17 – 26, l. n. 520/1995 (“Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e la Chiesa Evangelica Luterana in Italia”, c.d.
CELI)99.
- artt. 14 – 19, l. n. 126/2012 (“Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e la Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia ed Esarcato
per l’Europa meridionale)100;
- artt. 17 – 23, l. n. 127/2012 (“Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi
giorni”) 101;
- artt. 15 – 20, l. n. 128/2012 (“Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e la Chiesa Apostolica in Italia”) 102;
- art. 10 – 15, l. n. 245/2012 (“Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e la Unione Buddhista Italiana”) 103;
96
In G.U., 2 dicembre 1998, n. 283, suppl. ord. n. 107.
Rispettivamente in G.U., 23 marzo 1989, n. 69, suppl. ord. n. 21; G.U. 21 dicembre
1996, n. 299.
98
In G.U. 22 aprile 1995, n. 94, suppl. ord. n. 46.
99
In G.U., 7 dicembre 1995, n. 286, suppl. ord. n. 146.
100
In G.U., 7 agosto 2012, n. 183, suppl. ord. n. 168.
101
In G.U., 7 agosto 2012, n. 183, suppl. ord. n. 168.
102
In G.U., 7 agosto 2012, n. 183, suppl. ord. n. 168.
103
In G.U., 17 gennaio 2013, n. 14.
97
47
- artt. 11 – 16, l. n. 246/2012 (“Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e la Unione Induista Italiana”)104.
1.6.
Profili giuridici dell’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto. Il
riconoscimento della personalità giuridica.
1.6.1. Gli elementi essenziali. Il requisito soggettivo, la sede, la
finalità.
Prima di conoscere quali sono le forme di riconoscimento previste
dal nostro ordinamento, è necessario rilevare quelli che sono i
presupposti essenziali perché un ente ecclesiastico possa diventare
“civilmente riconosciuto”; si tratta dell’appartenenza, della sede in Italia,
del fine di religione o di culto105.
Quello dell’appartenenza è il c.d. requisito soggettivo ed attiene al
rapporto organico (collegamento organico dell’ente all’istituzione
confessionale
di
appartenenza),
alla
conformità
confessionale
(approvazione dell’ente da parte degli organi competenti della
confessione di appartenenza) 106 107.
Vediamo che cosa prevede la normativa (di origine bilaterale) in
materia.
104
In G.U., 17 gennaio 2013, n. 14.
Per quanto riguarda gli enti cattolici, come avremo modo di chiarire, tali requisiti
generali sono contenuti nell’art. 7.2 dell’Accordo del 1984 (legge di esecuzione n.
121/1985).
106
Si noti che il nostro sistema non richiede necessariamente che l’ente abbia
ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica nel rispettivo ordinamento
confessionale, ma soltanto che l’ente che aspira al riconoscimento civile sia stato approvato
come tale dagli organi competenti della confessione di appartenenza.
107
Sull’importanza di tale requisito, cfr. P. PICOZZA, L’ente ecclesiastico civilmente
riconosciuto, cit., 37.
105
48
L'Accordo del 18 febbraio 1984108 (che, come già detto, ha trovato
attuazione nella legge 25 marzo 1985, n. 121) e la conseguente legge 20
maggio 1985, n. 222109, che ha dato attuazione al Protocollo di
approvazione delle norme presentate dalla Commissione paritetica
istituita all'atto del suddetto Accordo del 1984 in tema di disposizioni
sugli enti e i beni ecclesiastici e per il sostentamento del Clero, dettano la
disciplina per gli Enti cattolici.
In particolare, occorre fare riferimento:
- all’art. 7.2 comma dell’Accordo del 1984 secondo cui (“ferma
restando la personalità giuridica degli enti ecclesiastici che ne sono
provvisti”) la Repubblica italiana riconoscerà la personalità giuridica su
Si ricordi che il Concordato del 1929 si limitava a richiedere l’erezione dell’ente
da parte dell’autorità ecclesiastica secondo le norme del diritto canonico (requisito
soggettivo). R. BENIGNI, Il riconoscimento civile dell’ente ecclesiastico, tra Concordato del
1929, Accordo del 1984, “prassi amministrativa e “regime” non profit: quali prospettive, in
Dir. eccl., 2000, 03, 881 ss, afferma che si deve notare che “il Concordato del 1929 in
materia di enti ecclesiastici introduceva una disciplina positiva minimale e stringata, nella
quale si poneva come unico requisito ai fini del riconoscimento civile dell'ente ecclesiastico,
l'appartenenza o la promanazione dell'ente stesso dalla chiesa cattolica. La specialità
riconosciuta a detto ente era estremamente dilatata”. Era lasciata dunque al libero arbitrio
delle parti la richiesta e l'accertamento di qualsivoglia altro elemento e carattere dell'ente
stesso. “Nei fatti qualsivoglia attività esercitata dall'ente ecclesiastico, veniva a godere del
regime speciale accordato al soggetto gerente. Il sistema introdotto risultava pienamente
coerente con le motivazioni storico-politiche poste alla base dell'intera vicenda dei Patti
Lateranensi, vale a dire la volontà dello Stato italiano di ricucire, anche attraverso la
concessione di ampi privilegi, lo strappo verificatosi con la Santa Sede oltre un
cinquantennio prima. Del resto il sistema concordatario del 1929 appariva perfettamente in
linea anche con l'impianto giuridico dell'ordinamento “fascista”: stato dichiaratamente
totalitario e confessionale, laddove (art. 1, Trattato del Laterano:) “l'Italia riconosce e
riafferma il principio consacrato nell'art. 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale
la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato”. In tale ottica la
concessione di un regime “speciale” di privilegio all'ente ecclesiastico, rispetto agli altri enti
di diritto comune, non poneva alcun problema di violazione o garanzia della pari libertà ed
uguaglianza dei soggetti giuridici”.
109
Come rilevato dalla dottrina, la l. n. 222/1985 ha natura di modello paradigmatico
in relazione alle intese.
108
49
domanda dell’autorità ecclesiastica o col suo assenso agli enti
ecclesiastici eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico;
- all’art. 1 della l. n. 222 del 1985 (che afferma che possono essere
riconosciuti come persone giuridiche “gli enti costituiti o approvati
dall’autorità ecclesiastica”) ed all’art. 3 (che dispone inoltre che il
riconoscimento avviene “previo assenso dell’autorità ecclesiastica
competente, ovvero su domanda di questa”).
In sintesi, dunque, l’elemento di collegamento con la confessione
cattolica viene fissato, quando non vi sia la diretta richiesta di questa,
nell’assenso110 dell’autorità ecclesiastica che, in base a quanto disposto
dalla normativa canonica, di regola viene dato dalla medesima autorità
che ha legittimamente eretto e conferito la personalità giuridica all’ente o
lo ha approvato nell’ordinamento canonico111.
110
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., rileva che per
mezzo dell’assenso si conosce l’autorità ecclesiastica competente e si riceve da essa esplicita
conferma (nei limiti di una procedura introduttiva) circa la sussistenza dei requisiti generali e
specifici richiesti dalla legge.
111
Ibidem, si evidenzia che “nel diritto canonico ogni persona giuridica ha origine da
un provvedimento di erezione o di conferimento della personalità giuridica emanato
dall’autorità ecclesiastica competente e agisce sotto la giurisdizione di quest’ultima, salva
sempre la vigilanza degli ordinari dei luoghi ove l’ente effettivamente opera, per le materie e
nei limiti di loro competenza. L’ordinamento canonico non specifica quale sia l’autorità
ecclesiastica competente a erigere le persone giuridiche o a conferire la personalità giuridica,
si limita a disporre la costituzione o dalla stessa disposizione del diritto oppure dalla
concessione speciale da parte della competente autorità per mezzo di un decreto, come
insiemi sia di persone, sia di cose ordinate ad un fine corrispondente alla missione della
Chiesa che trascende il fine dei singoli (cfr. can. 114)”. L’A. rileva quindi che “le incertezze
vengono superate ricorrendo a precise indicazioni contenute nell’ordinamento canonico e
nella prassi secolare della Chiesa” ed afferma quindi che “la Santa Sede è competente ad
erigere persone giuridiche di qualsiasi natura; la Conferenza Episcopale ad erigere in persona
giuridica le associazioni pubbliche di fedeli di rilevanza nazionale nonché a conferire la
personalità giuridica canonica alle associazioni private (cfr. can. 312 e can. 322, nonché art.
23, lett. v), Statuto CEI). Il Vescovo diocesano è competente ad erigere persone giuridiche di
qualsiasi natura nell’ambito della propria giurisdizione, salvo eventuali competenze della
Santa Sede (cfr. can. 579); i Superiori maggiori degli istituti religiosi di diritto pontificio
50
Le (leggi di approvazione delle) Intese adottano formule dal
medesimo significato.
L’art. 12, I co., della l. n. 449/1984, parla di richiesta della Tavola
Valdese a seguito della delibera sinodale con cui l’ente è stato eretto in
istituto autonomo nell’ambito dell’ordinamento valdese.
L’art. 21, l. n. 516/1988, parla di “costituzione” nell’ambito delle
Chiese Cristiane avventiste.
L’art. 18, IV co., l. n. 101/1989, parla di domanda congiunta delle
Comunità e dell’Unione nel caso di riconoscimento di nuove Comunità
Ebraiche e di “approvazione della Comunità competente per territorio e
dell’Unione”, nel caso delle altre istituzioni ed enti ebraici” (art. 21, I
co., della medesima legge).
Gli artt. 18 e 19, l. n. 520/1995, parlano di “motivata delibera del
sinodo della CELI” per le nuove Comunità Luterane, e di “costituzione
nell’ambito della CELI” per le Chiese, gli istituti e le opere luterane.
Inoltre, si parla di “motivata delibera dell’Assemblea generale” e
alla “costituzione” nello stesso ordinamento per le altre istituzioni
battiste (art. 11, I e II co. della l. n. 116/1995).
Relativamente alle Assemblee di Dio in Italia, gli artt. 13 e 14
della legge n. 517/1988 prevedono il riconoscimento per legge della
personalità giuridica ad un elenco tassativo di propri enti; non si prevede
dunque un procedimento di attribuzione da utilizzare per ulteriori e
successivi soggetti.
sono competenti ad erigere le province e le case religiose del loro istituto”. “In definitiva,
l’esistenza del provvedimento canonico di erezione o di approvazione rappresenta la prova
inequivocabile di un preciso collegamento strutturale organico e funzionale con la
confessione di appartenenza”.
51
Per quanto concerne i requisiti oggettivi, deve essere evidenziato
che, mentre il Concordato del 1929 ne aveva escluso la necessità, l’art. 7,
n. 2 dell'Accordo del 18 febbraio 1984 (l. n. 121/1985) ed anche l’art. 1
della l. n. 222/1985 subordinano la possibilità del riconoscimento agli
effetti civili degli enti ecclesiastici alla presenza anche dei seguenti
requisiti oggettivi, quali la sede in Italia 112 113 e lo scopo di religione o di
culto.
Anche tutte le Intese114 prevedono che gli enti ecclesiastici, al fine
di ottenere il riconoscimento civile, debbano avere sede in Italia,
ribadendo così il carattere di nazionalità degli enti ecclesiastici.
La determinazione della sede è peraltro rilevante ai fini
dell’individuazione dell’autorità prefettizia, competente a ricevere la
domanda di riconoscimento dell’ente.
Occorre peraltro svolgere alcune precisazioni.
Gli enti ecclesiastici con sede all’estero, se riconosciuti nel loro
Stato, a condizione di reciprocità, hanno in Italia lo status di persona
giuridica ai sensi dell’art. 16 delle disposizioni preliminari del codice
civile. In tale ipotesi, gli enti con elementi di estraneità agiscono nel
L’art. 7 della legge n. 222 del 1985 prevede specifiche statuizioni con riferimento
ad alcune situazioni particolari proprie di enti della Chiesa cattolica; in particolare, (I co.) gli
istituti religiosi e le società di vita apostolica “non possono essere riconosciuti se non hanno
la sede principale in Italia”; (II co.) le loro articolazioni territoriali (province e case) sono
riconoscibili qualora la loro attività sia limitata al “territorio dello Stato o a territori di
missione”.
113
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 18, rileva che la
ratio della previsione è probabilmente riconducibile a motivi di opportunità, in ragione dei
quali lo “Stato preferisce attribuire la personalità giuridica solo ad enti aventi sede nel
territorio nazionale”.
114
Si vedano, ad esempio, gli artt. 21, I co. della l. n. 516 del 1988; l’art. 21, I co.
della l. n. 101 del 1989; l’art. 11, II comma della l. n. 116 del 1995; l’art. 19, I co. della legge
n. 520 del 1995.
112
52
nostro territorio come persone giuridiche private, senza pertanto godere
dei privilegi e degli oneri degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.
Agli enti di natura religiosa con personalità giuridica riconosciuta
in altro Stato ed operanti in Italia deve applicarsi l’art. 25 della l. 31
Maggio 1995, n. 218, secondo il quale le società, le associazioni, le
fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di
natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello stato nel cui
territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione e che questi
sono
tuttavia
sottoposti
alla
legge
italiana
se
la
sede
dell’amministrazione è in Italia, oppure se in Italia si trovi il loro oggetto
principale115.
Gli artt. 7.2 dell’Accordo di Villa Madama e 1 della legge n. 222
del 1985 richiedono anche la sussistenza del requisito del fine di
religione o di culto116, che deve essere dunque perseguito dall’ente117.
E. VITALI – A. CHIZZONITI, Manuale breve Diritto Ecclesiastico, cit., 105,
ricorda, ad esempio, che l’art. II, II co., del Trattato di amicizia e navigazione fra la
Repubblica italiana e gli Stati Uniti d’America del 2 febbraio 1948, reso esecutivo dalla l. n.
385/1949 (secondo cui “le persone giuridiche ed associazioni create od organizzate a norma
delle leggi e dei regolamenti vigenti nei territori di ciascuna alta parte contraente, saranno
considerate persone giuridiche ed associazioni della detta alta parte contraente ed il loro stato
giuridico sarà riconosciuto entro i territori dell’altra parte contraente sia che vi abbiano, o
meno, sedi, filiali od agenzie permanenti”) ha consentito, ad esempio, alla Watchtower Bible
and Tract Society of New York, Inc., di operare in Italia in rappresentanza dei Testimoni di
Geova, fino al riconoscimento ottenuto nel 1986 nel nostro ordinamento, ai sensi dell’art. 2
della l. n. 1159/1929 sui culti ammessi.
116
Si ricordi che il requisito del fine di religione o di culto è un’innovazione rispetto
al Concordato del 1929, in quanto ivi era previsto il riconoscimento degli “istituti
ecclesiastici di qualsiasi natura (art. 4, l. n. 848/1929), sol che avessero l’approvazione
dell’autorità ecclesiastica (art. 7, r.d. n. 2262/1929).
117
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 2008, 15, rileva
che è vero che nessun ente può essere considerato ecclesiastico dallo Stato qualora non lo sia
anche per la Chiesa, ma che comunque, in base al requisito di cui all’art. 2, III co., l. n.
222/1985, deriva che non tutti gli enti in possesso della personalità giuridica canonica
115
53
L’individuazione di questo presupposto viene precisata attraverso
le disposizioni di cui agli artt. 2 e 16 della l. n. 222/1985.
Il primo afferma infatti che “[1]. Sono considerati aventi fine di
religione o di culto gli enti che fanno parte della costituzione gerarchica
della Chiesa 118, gli istituti religiosi e i seminari (c.d. scopo di religione o
di culto è presunto)119. [2]. Per altre persone giuridiche canoniche, per
le fondazioni e in genere per gli enti ecclesiastici che non abbiano
personalità giuridica nell’ordinamento della Chiesa, il fine di religione
o di culto è accertato di volta in volta, in conformità alle disposizioni
dell’articolo 16. [3]. L’accertamento di cui al comma precedente è
diretto a verificare che il fine di religione o di culto sia costitutivo ed
essenziale dell’ente, anche se connesso a finalità di carattere caritativo
previste dal diritto canonico” 120 121..
necessariamente conseguano anche la personalità giuridica civile perché non tutti quelli
considerati ecclesiastici dalla Chiesa lo sono necessariamente anche per lo Stato.
118
In particolare, diocesi, parrocchie, prelature personali. G. RIVETTI, La disciplina
tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 25, ricorda che l’ente diocesi fino al Codice di diritto
canonico del 1983 non aveva alcun riconoscimento nel diritto della Chiesa e
conseguentemente nell’ordinamento statuale.
119
F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit., 262, rileva che, secondo
l’amministrazione, la menzione degli enti non è tassativa, potendo essere integrata sia
estensivamente sia analogicamente ad enti come le chiese non parrocchiali aperte al
pubblico, ai santuari, ai capitoli, agli istituti secolari.
120
S. BERLINGÒ Enti ecclesiastici – enti delle confessioni religiose, cit., 39 ss.,
afferma che per gli scopi che gli sono propri l’ente c.d. ecclesiastico rinvia non solo ad
obiettivi meta -individuali, ma altresì a traguardi che superano gli orizzonti immanenti di
qualsiasi comunità politica, pur quando si aprono, lungo le linee dell’assistenza, dell’arte e
della ricerca, alle prospettive di una mondana escatologia.
121
F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit., 263, sulla scorta anche del parere del
Cons. di Stato, sez. I, 12 maggio 1993, n. 462, in Dir. eccl., 1994, II, 117 ss., afferma che la
diversità della posizione fatta agli enti dei due diversi gruppi (I e II co.) lascia pensare che,
mentre quelli del primo raggruppamento possono essere riconosciuti solo come enti
ecclesiastici, quelli del secondo gruppo finiscono per avere una maggiore flessibilità
organizzativa, nel senso che, se non possono essere riconosciuti come enti ecclesiastici, ma
abbiano i requisiti per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica come enti privati
54
L’art. 16, lett. a, stabilisce che, agli effetti delle leggi civili, sono
considerate attività di religione o di culto quelle dirette all'esercizio del
culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a
scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana122. Sono invece
considerate attività diverse da quelle di religione o di culto, come
avremo modo di chiarire più avanti, quelle di assistenza e beneficenza,
istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o
a scopo di lucro (art. 16, lett. b, l. n. 222/1985)123.
L’attività di verifica della sussistenza del requisito di religione e di
culto è di competenza della Pubblica Amministrazione; si tratta di
attività discrezionale dell’amministrazione con valutazioni di carattere
economico.
In realtà, nel caso di cui all’art. 2, I co., l. n. 222/1985, basta che
risulti, sulla base degli atti, che l’ente è una parrocchia, una diocesi, un
ordine, una congregazione, una provincia o una casa di taluni istituti
religiosi, un seminario o un ente a questi equiparato. Negli altri casi,
l’accertamento è diretto, in particolare, a verificare che il fine di
religione o di culto “sia costitutivo ed essenziale dell’ente, anche se
connesso a finalità di carattere caritativo” (art. 2, III co., l. n.
222/1985)124.
ai sensi del libro I del codice civile, l’autorità di governo possa accogliere una richiesta in tal
senso.
122
Secondo l’opinione prevalente, l’elencazione non deve essere ritenuta tassativa.
123
Esemplificazioni analoghe, per gli enti delle Confessioni religiose diverse dalla
cattolica, si rinvengono nell’art. 22.1 della legge n. 516 del 1988, nell’art. 15.1 della legge n.
517 del 1989, nell’art. 26.2 della legge n. 101 del 1989, nell’art. 11.3 della legge n. 116 del
1995, nell’art. 22.1 della legge n. 520 del 1995.
124
E. VITALI – A. CHIZZONITI, Manuale breve Diritto Ecclesiastico, cit., 106,
afferma che circa i criteri applicativi di tale formula non sono mancate le diversità di vedute;
in particolare, secondo un primo orientamento, il fine di religione o di culto deve essere
55
Autorevole dottrina sostiene che fine di religione o di culto
“costitutivo ed essenziale che consente di qualificare un’organizzazione
come ente ecclesiastico civilmente riconosciuto è quello che esso
persegue, non soltanto secondo il suo statuto o le sue tavole di
fondazione, ma anche quello che esso svolge nel suo concreto operare,
nei settori dell’esercizio del culto, della cura delle anime, della
formazione del clero o dei religiosi o degli scopi missionari, o ancora
della catechesi o infine dell’educazione cristiana”125.
Analogamente il principio della necessaria finalità di religione o di
culto è stato recepito, nelle leggi di approvazione delle Intese, per gli enti
di culto acattolico che abbiano stipulato Intese con lo Stato126 127.
prevalente e non esclusivo, posto che il legislatore ha stabilito che lo stesso possa essere
connesso a finalità di carattere caritativo (cfr. Consiglio di Stato, sez. I., parere 13 febbraio
1987, n. 133). Secondo altri, detto fine deve essere esclusivo dell’ente e le attività diverse da
quelle di religione o di culto possono essere esercitate, ma senza assurgere al rango di
finalità. Secondo altri, si deve ritenere esistente un impegno a che il fine di religione o di
culto debba comunque mantenere una preminenza qualitativa, debba cioè rappresentare la
vera e propria ragion d’essere dell’ente, mentre le attività diverse, sebbene ammesse, non
possano tuttavia assumere il valore di finalità. S. BERLINGÒ, Enti ecclesiastici – enti delle
confessioni religiose, cit., 39 ss. afferma che è il sistema varato con la l. n. 222/1985 che
punta sul criterio della prevalenza del fine religioso “pur cercando di ridurne il più possibile
gli inconvenienti”. P. PICOZZA, L’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, cit., 75, rileva
che “le attività possono essere considerate in quanto, comunque, ritenute strumentali al
perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente, le quali ultime di per sé possono essere
varie e non risolversi necessariamente nel fine di culto o di religione”.
125
In questi termini, F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit., 264, che tra l’altro
rileva che l’idea che ha lo Stato del fine di religione o di culto è diversa da quella propria del
diritto canonico; nell’ordinamento della Chiesa il fine in questione costituisce infatti una
qualificazione propria dell’ente in quanto appartiene all’organizzazione ecclesiale e ha un
carattere immanente, che sussiste a prescindere dall’attività pratica svolta, la quale, sebbene
rientrante fra quelle che la legge dello stato esclude dalle categorie della religione o del culto
(es. beneficenza e assistenza), mira a realizzare, sia pure indirettamente, il fine religioso o
cultuale.
126
Cfr., in particolare, tra gli altri, l’art. 22, I co., della legge n. 516 del 1988, l’art.
15, I co. della legge n. 517 del 1989, l’art. 26, II co., della legge n. 101 del 1989, l’art. 11, III
co., della legge n. 116 del 1995, l’art. 22, I co., della legge n. 520 del 1995, l’art. 10, I co.,
lett. a), l. n. 245/2012. Va comunque evidenziato, effettuando un paragone con gli enti di cui
56
Va infine evidenziata la necessità di ulteriori requisiti speciali in
alcuni specifici casi.
Per le fondazioni di culto (art. 12, l. n. 222/1985) è richiesta la
sufficienza di mezzi per il raggiungimento dei propri fini128 ed anche la
necessità ed evidente utilità dell’ente (la legge parla di “rispondenza alle
esigenze religiose della popolazione”); analogamente per i capitoli
cattedrali o collegiali (art. 14, l. n. 222/1985); è altresì richiesta la sola
sufficienza dei mezzi per il raggiungimento dei propri fini per gli istituti
religiosi di diritto diocesano (art. 8, l. cit., che parla di sussistenza di
“garanzie di stabilità”) e le chiese aperte al pubblico129 (art. 11, l. cit.).
alla normativa in materia di enti cattolici, che le attività di religione e di culto nel caso degli
enti acattolici risultano ovviamente adattate alle peculiarità proprie delle singole confessioni.
Si noti ad esempio che l’art. 22, I co., lett. a), l. n. 520/1995, per i luterani, prevede che si
tratti delle attività “dirette alla predicazione dell’Evangelo, all’esercizio del culto e della cura
delle anime, alla formazione dei ministri di culto, a scopi missionari e all’educazione
cristiana”. L’art. 10, I co., lett. a), l. n. 245/2012, per l’Unione Buddhista Italiana, prevede
che si tratti di quelle attività dirette alle pratiche meditative, alle iniziazioni, alle ordinazioni
religiose, alle cerimonie religiose, alla lettura e commento dei testi di Dharma, all’assistenza
spirituale, ai ritiri spirituali, alla formazione monastica e laica dei ministri di culto. Si segnala
inoltre che l’Intesa valdese prevede il riconoscimento della personalità giuridica degli enti
aventi congiuntamente fine di culto, istruzione e beneficenza; le Intese con CELI, UCEBI ed
UBI degli enti che abbiano fine di culto “solo o congiunto con quello di istruzione o
beneficenza”; le Intese con la Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia, con la Chiesa di Gesù
Cristo dei Santi degli Ultimi giorni, con la Chiesa apostolica in Italia e con l’UII degli enti
che abbiano fine di culto “solo o congiunto con quelli di istruzione, beneficenza e
assistenza”.
127
Tali apparenti diversità di disciplina sono però attenute dal fatto che tutte le intese
prevedono che le attività di assistenza, beneficenza ed istruzione siano comunque soggette al
diritto comune.
128
Durante la vigenza del Concordato del 1929, questo requisito era previsto per la
riconoscibilità di tutti gli enti ecclesiastici cattolici. Si noti inoltre che le fondazioni sono
divenute per la prima volta suscettibili di riconoscimento civile con l’introduzione dell’art.
29, lett. d), del Concordato del 1929.
Le chiese non devono essere annesse ad altro ente ecclesiastico; in tal caso, infatti
non possono acquisire un autonomo riconoscimento . Si distingue tra Chiese cattedrali,
rettorie e santuari.
Con il trasferimento ope legis della proprietà degli edifici sacri dal Fondo Edifici di
Culto ai rispettivi enti – chiesa, vengono trasferiti, di diritto, non solo le pertinenze
57
Si segnali anche che l’art. 10, II co., r.d. n. 289/1930, in materia di
enti dei c.d. culti ammessi, prevede che la domanda per ottenere
l’erezione in ente morale deve “essere corredata dal testo dello statuto
da cui risultino…i mezzi finanziari dei quali (l’ente) dispone per il
raggiungimento dei propri fini”.
L’art. 10, III co., r.d. n. 289/1930, prevede, per i culti ammessi,
l’obbligo del domicilio in Italia del rappresentante con l’ulteriore
previsione che il decreto di riconoscimento possa imporre anche il
requisito della cittadinanza italiana.
Ai sensi degli artt. 24, II co., l. n. 516/1988 (Avventisti), è inoltre
necessaria la cittadinanza italiana ed il domicilio in Italia del
rappresentante giuridico e di fatto dell’ente.
1.6.2. La discrezionalità della Pubblica Amministrazione
Ci si è chiesti in dottrina in che termini si possa parlare di diritto al
riconoscimento da parte degli enti ed in particolare se sussista un obbligo
per lo Stato in presenza dei requisiti previsti dall’art. 7.2 dell’Accordo
del 1984130.
Il primo orientamento formatosi al riguardo è stato volto
essenzialmente a ritenere sussistente una discrezionalità da parte della
immobiliari ma anche quelle mobiliari; in particolare, il sagrato, il campanile, il battistero, la
rettoria. Va infine chiarito che in base al diritto canonico le nuove chiese hanno personalità
giuridica pubblica solo se conferita con decreto dell’autorità ecclesiastica.
130
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 2008, 27, afferma
che “nel corso dell’attività istruttoria non sono mancati momenti di diversa valutazione delle
disposizioni concordatarie relative al riconoscimento degli enti. In data 5 ottobre 1995 la
Segreteria di Stato della Santa Sede…lamenta, tra l’altro, che quest’ultima richieda ai fini del
riconoscimento civile, la sussistenza di requisiti non riferibili agli enti ecclesiastici o di
acquisire documentazione non strettamente necessaria (mezzi finanziari dell’ente)”.
58
Pubblica Amministrazione diversa (graduata, ma soprattutto anche
accentuata) in relazione al tipo di ente; in particolare, in alcuni casi, si
riteneva che gli enti dovessero possedere, oltre ai requisiti generali e
speciali previsti dalle norme pattizie, anche quelli richiesti dal codice
civile per il riconoscimento di tutte le altre persone giuridiche private.
La discrezionalità finiva dunque per essere assolutamente ampia
con
riferimento
al
riconoscimento
delle
associazioni
e
delle
fondazioni131; vi era invece un’attività praticamente vincolata con
riferimento agli altri enti132.
Tale indirizzo è stato contestato dalla C.E.I. ed è intervenuta al
riguardo un’ “intesa tecnica interpretativa”133 approntata da un’apposita
Commissione paritetica Italia – Santa Sede134.
Si rilevi che è stato affermato, ad esempio, l’obbligo per le associazioni e le
fondazioni di “dotarsi di uno statuto” (Cons. Stato, sez. I, parere 2 novembre 1988, n. 2031,
Cons. Stato, sez. I, parere 10 maggio 1989, n. 767), “della sua sindacabilità nel merito in
sede di riconoscimento civile” (Cons. Stato, sez. I, parere 7 giugno 1989, n. 865, Cons. Stato,
sez. I, parere 31 maggio 1995, n. 1598), “della sua necessità di costituirsi per atto pubblico”
(Cons. Stato, sez. I, parere 5 luglio 1990, n. 952, Cons. Stato, sez. I, parere 24 settembre
1991, n. 2102), “della necessità di indicare i dati del patrimonio iniziale” (Cons. Stato, sez.
I, parere 23 ottobre 1991, n. 2372, Cons. Stato, sez. I, parere 15 luglio 1992, n. 2032),
“dell’obbligo di previsione del bilancio” (Cons. Stato, sez. I, parere 21 dicembre 1988, n.
2490, Cons. Stato, sez. I, parere 10 maggio 1990, n. 2434, Cons. Stato, sez. I, parere 24
maggio 1995, n. 3148), “dell’esistenza di un patrimonio sufficiente al perseguimento degli
scopi statutari” (Cons. Stato, sez. I, pareri n. 1458/1992 , n. 2032/1992, n. 2557/1996).
132
Si evidenzi inoltre che il Ministero dell'Interno, con la circolare n. 71/1989, aveva
precisato come l'ente, aspirante al riconoscimento, dovesse essere dotato anche di un
patrimonio congruo alle finalità da raggiungere, pur non essendo questo elemento essenziale
alla concessione da parte della P.A. del riconoscimento, che rientra, come già si è detto, tra
gli atti amministrativi dovuti (non essendovi possibilità di apprezzamento discrezionale da
parte dell'autorità statuale competente, qualora concorrano gli elementi espressamente
previsti dalla legge).
133
Cfr. art. 14, l. n. 121/1985, secondo cui “Se in avvenire sorgessero difficoltà di
interpretazione o di applicazione delle disposizioni…., la Santa Sede e la Repubblica
italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una Commissione paritetica
da loro nominata”.
134
Le conclusioni “interordinamentali” della Commissione Paritetica Italia – Santa
Sede (16 maggio 1996 – 24 febbraio 1997, Documento conclusivo, 24 febbraio 1997, in
131
59
Questa ha ritenuto che le norme approvate con il Protocollo del 15
novembre 1984, nella parte relativa agli enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti, recano una disciplina che presenta carattere di specialità
rispetto a quella del codice civile in materia di persone giuridiche, in
quanto tali enti sono riconosciuti come persone giuridiche agli effetti
civili nel rispetto delle loro caratteristiche originarie stabilite
dall’ordinamento canonico. Di conseguenza, “non sono applicabili agli
enti ecclesiastici le norme dettate dal codice civile in tema di
costituzione, struttura, amministrazione ed estinzione delle persone
giuridiche private. L’autorità statale che esamina le domande di
riconoscimento …verifica la sussistenza dei requisiti previsti dalle
norme per le diverse categorie di enti. In particolare, accerta, salvo che
per gli enti di cui all’art. 2, comma 1 delle norme citate, che il fine di
religione di culto sia costitutivo ed essenziale: a tal fine gli enti
ecclesiastici debbono produrre gli elementi occorrenti quali risultano
dalla documentazione di regola rilasciata dall’autorità ecclesiastica,
comprese le norme statutarie, ove ne siano dotati ai sensi del diritto
Quad. dir. pol. eccl., 1997, 2, 570 ss.) sono entrate in vigore nel nostro ordinamento, con il
perfezionamento dello Scambio di Note tra l'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede e la
Segreteria di Stato, il 30 aprile 1997.
Lo scambio di Note è stato pubblicato in Suppl. ord. n. 210, G.U. 15 ottobre 1997, n.
241, 275, e in AAS 90 (1998), 697-709, tra gli atti internazionali non soggetti a legge di
autorizzazione alla ratifica.
A seguito di tale intesa interpretativa il Governo provvide a modificare il testo
originario dell'art. 2 del d.P.R. n. 33 del 1987 (d.P.R. 1 settembre 1999, n. 337),
sopprimendo, nell'elenco della documentazione da allegare per il riconoscimento dell'ente, il
riferimento alle norme statutarie relative alla struttura dell'ente ed ai controlli canonici cui è
soggetto, salvo che tali elementi risultino da disposizioni del codice del diritto canonico
specificamente indicate nella domanda (art. 2, comma 2, lett. b del testo originario),
richiedendo al loro posto i documenti da cui risulti il fine dell'ente (già previsti ex lett. d del
testo originario) e le norme statutarie relative alla sua struttura, salvo che si tratti di enti di
cui all'art. 2, comma 1, della legge n. 222 del 1985. Sul punto, v. anche L. LACROCE,
Riconoscimento degli enti ecclesiastici nella giurisprudenza del Consiglio di Stato e nuova
intesa tecnica interpretativa ed esecutiva degli Accordi del 1984, in Dir. eccl., 1998, I, 36 ss.
60
canonico…Resta esclusa la richiesta di requisiti ulteriori rispetto a
quelli che, secondo le norme citate, costituiscono oggetto di
accertamento o valutazione ai fini del riconoscimento degli enti
ecclesiastici agli effetti civili, nonché di documenti non attinenti ai
requisiti medesimi135. La Commissione Paritetica ha inoltre rilevato che,
ove si escludano gli enti della costituzione gerarchica della Chiesa, gli
istituti religiosi e i seminari - “ai fini del riconoscimento degli (altri) enti
ecclesiastici l’Amministrazione italiana è chiamata (...) ad accertare la
sussistenza del fine di religione o di culto quale fine costitutivo ed
essenziale dell’ente: una verifica che, seppur sprovvista - a detta della
Commissione – di momenti di vera e propria
discrezionalità, può
condurre, in talune ipotesi a valutazioni di qualche complessità in
considerazione della difficoltà di stabilire, in presenza di una pluralità
di fini perseguiti dall’ente, se quello di religione o di culto è
effettivamente il fine costitutivo ed essenziale”.
Il Ministero ha preso atto delle conclusioni della Commissione,
prevedendo che “gli enti ecclesiastici non sono equiparabili agli enti
morali italiani e (…) perciò nei loro confronti non sono applicabili le
norme dettate per questi ultimi dal codice civile salvo che per l’obbligo
di effettuare, dopo il riconoscimento, le iscrizioni con i contenuti
compatibili con i caratteri originari di ciascun ente ecclesiastico”136.
Secondo una parte della dottrina, le conclusioni della menzionata
Commissione Paritetica rappresentano una svolta decisiva ai fini del
riconoscimento di un evidente regime di specialità rispetto alle norme
135
Cfr. Cons. Stato, I sez., parere 1400/1997, secondo cui elemento necessario e
sufficiente, ai fini del riconoscimento, è l’atto costitutivo valido nell’ordinamento canonico.
136
Circ. 25 giugno 1998 n. 3/98, Ministero di Grazia e Giustizia – Direzione
Generale degli affari civili e libere professioni.
61
del codice civile in materia di persone giuridiche137. Pertanto, la
discrezionalità che l’amministrazione può utilizzare deve essere sempre
la medesima in virtù del principio di uguale trattamento degli enti
ecclesiastici; è quella prevista dalla legge in materia, esercitabile in
relazione a specifiche disposizioni; al di fuori di queste previsioni, i
Pubblici Poteri non possono esercitare ulteriori e più penetranti controlli
su alcuni enti ecclesiastici rispetto ad altri138.
In
estrema
sintesi,
dunque,
l’attività
della
Pubblica
Amministrazione dovrebbe sostanziarsi nel mero accertamento di quei
requisiti necessari ai fini del riconoscimento dell’ente stesso con una
valutazione discrezionale della sussistenza del fine di religione o di culto
e degli ulteriori requisiti previsti dalla legge in relazione a specifiche
categorie di enti.
1.6.3. I procedimenti per ottenere il riconoscimento della personalità
giuridica
Appare dunque a questo punto necessario indicare quali sono le
forme di riconoscimento previste dal nostro ordinamento139.
137
C. CARDIA, Alcune innovazioni in materia di enti ecclesiastici, in Quad. dir. pol.
eccl., 1997, 3, 915 ss.
138
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 30, afferma che
“non ha allora alcun senso teorizzare che per alcuni enti è più ristretto l’ambito di
apprezzamento della pubblica amministrazione, mentre per le associazioni e le fondazioni si
può mettere in opera una sorta di accanimento terapeutico con il quale si chiede uno statuto
completo ai sensi del codice civile, da sindacare e vivisezionare in ogni articolo e in ogni
parola”. L’A. rileva inoltre che la riprova di tutto ciò sta nel fatto che l’art. 5 della l. n.
222/1985, in materia di pubblicità degli enti e della loro gestione, “è norma valida per tutti
gli enti ecclesiastici, siano essi di diritto pontificio o di diritto diocesano, chiese, associazioni
o fondazioni”.
139
C. CARDIA, Concordato, intese, Stato federale, in G. FELICIANI (a cura di),
Confessioni religiose e federalismo, Confessioni religiose e federalismo, Bologna, 2000,
62
Va in primo luogo esaminato il c.d. riconoscimento per antico
possesso di stato140, disciplinato dall’art. 15, V co., D.P.R. 33/1987, in
base al quale “in luogo del decreto di riconoscimento può essere allegato
alla domanda un attestato del Ministro dell’interno da cui risulti che
l’ente aveva il possesso della personalità giuridica civile in epoca
anteriore al 7 giugno 1929. [6]. Nell’attestato il Ministro indica gli
elementi che dimostrano il possesso della personalità giuridica civile da
parte dell’ente, dà atto dell’assenso dell’autorità ecclesiastica e dichiara
che non è intervenuta alcuna causa di estinzione di tale personalità”.
Qualora l’ente possa vantare un riconoscimento lontano nel tempo,
di solito prima della formazione dello Stato unitario e purchè esso non
sia mai venuto meno, in luogo del decreto di riconoscimento (v. infra), il
Ministro dell’Interno rilascia il necessario attestato ai fini dell’iscrizione
nel registro delle persone giuridiche; esso indica gli elementi che
dimostrano il possesso della personalità giuridica civile dell’ente stesso a
partire da una data anteriore al 7 giugno 1929 (Concordato del 1929),
attesta l’assenso da parte dell’autorità ecclesiastica al riconoscimento e
dichiara che non sia intervenuta alcuna causa di estinzione.
336, rileva che in materia di riconoscimento della personalità giuridica, se l'applicazione del
diritto comune agli enti confessionali, fino a pochi anni addietro, poteva limitare la libertà
religiosa, poiché più sfavorevole rispetto alla disciplina prevista in sede pattizia, al contrario,
con il d.p.r. n. 361/2000, la disciplina di diritto comune, in qualche misura, si presenta
maggiormente rispettosa della libertà di associazione rispetto alle norme concordate con le
confessioni religiose.
140
In Italia il riconoscimento ad opera dello Stato e dei suoi apparati pubblici serve
ogni qualvolta un ente ecclesiastico non possa ottenere un attestato per antico stato di
possesso.
63
Eventuali controversie in materia rientrano nella giurisdizione del
giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, n. 1835/2000141), mentre
rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario unicamente le
controversie relative alla iscrizione di tali enti nel registro delle persone
giuridiche (Cass., S.U., n. 9382/2001142).
Sono i casi più eclatanti di persone giuridiche presenti da tempo
immemore (come la Santa Sede, la Tavola Valdese, i quindici Concistori
della Chiesa delle Valli Valdesi) che pertanto non necessitano di alcun
controllo. Altri esempi sono le Chiese cattedrali, i Capitoli, i Seminari, le
Diocesi e le Parrocchie più antichi/e143.
Il riconoscimento può avvenire anche per legge144.
In Dir. eccl., 2000, II, 263, secondo cui: “La materia del riconoscimento o meno
della personalità giuridica civile agli enti ecclesiastici è di natura pubblicistica; pertanto, la
giurisdizione sulle relative controversie spetta al giudice amministrativo”.
142
In Giust. civ. Mass., 2001, 1370, secondo cui: “Le controversie in materia di
iscrizione degli enti ecclesiastici nell'apposito registro delle persone giuridiche - iscrizione
ammessa, ex art. 1, 5 e 6 della legge n. 222 del 1985 e 15 del d.P.R. n. 33 del 1987, per gli
enti già riconosciuti o che ottengano il riconoscimento con decreto del Presidente della
Repubblica, ovvero per quelli che producano un attestato del Ministero dell'interno dal
quale risulti il possesso della personalità giuridica civile in epoca anteriore al 7 giugno
1929 - sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, atteso che la detta attestazione
ministeriale (sulla quale sia, in ipotesi, insorto dibattito), non esprimendo apprezzamenti di
opportunità o valutazioni circa la compatibilità della richiesta dell'interessato con esigenze
di ordine generale, si esaurisce nella mera certificazione di fatti giuridicamente rilevanti con
consistenza esclusivamente ricognitiva, ed è, pertanto, del tutto inidonea a degradare od
affievolire le posizioni di diritto soggettivo dell'ente istante o di terzi”.
143
Per quanto riguarda la Chiesa Cattolica, tale modalità di riconoscimento riguarda
in particolare tutti gli enti cui le leggi eversive della metà del secolo XIX non avessero
revocato la personalità giuridica e che quindi hanno continuato ad operare nell’ordinamento
italiano, prima del Concordato del 1929, sulla base del disposto dell’art. 2 del c.c. del 1865.
144
La dottrina è unanime nel ritenere che tale forma di riconoscimento avviene nei
casi di enti particolarmente importanti ed evidenti nella loro struttura ed attività, enti cioè che
per il loro ruolo e la loro importanza rendono inutile l’ordinario procedimento
amministrativo.
141
64
L’art. 13 legge n. 222 del 1985 afferma che la Conferenza
episcopale italiana acquista la personalità giuridica civile, quale ente
ecclesiastico, con l’entrata in vigore delle presenti norme. La ratio di tale
previsione va rinvenuta nelle funzioni attribuite alla C.E.I. per
l’attuazione della l. n. 222/1985 e per le competenze ad essa riconosciute
dagli altri impegni pattizi.
L’art. 18, III co., della l. n. 101 del 1989 dichiara che “Le
Comunità israelitiche di Ancona, Bologna, Casale Monferrato, Ferrara,
Firenze, Genova, Livorno, Mantova, Merano, Milano, Modena, Napoli,
Padova, Parma, Pisa, Roma, Torino, Trieste, Venezia, Vercelli e Verona
conservano la personalità giuridica e l’assetto territoriale di cui sono
attualmente dotate e assumono la denominazione di Comunità
ebraiche”. Si tratta di enti necessari per il funzionamento della
confessione e pertanto è previsto l’abbreviamento dell’iter di
riconoscimento.
Ulteriore esempio sono gli enti delle A.D.I. elencati dall’art. 14
della l. n. 517/1998, nonché diverse comunità territoriali evangeliche –
luterane ai sensi dell’art. 17 l. n. 520/1995.
La procedura tipica per il riconoscimento degli enti ecclesiastici è
comunque quella secondo cui esso viene concesso, previa istruttoria, dal
Ministro dell’Interno con proprio decreto; per la confessione cattolica, la
disciplina è contenuta nella l. 222/1985 e nel regolamento di esecuzione
d.p.r. n. 33/1987, così come modificato dal d.p.r. n. 337/1999; le intese
prendono come modello la normativa prevista dalla l. n. 222/1985. Per
gli enti confessionali appartenenti a quelle confessioni prive di intesa è
invece tuttora applicabile la disciplina contenuta nella l. n. 1159/1929 e
nel r.d. 289/1930 che prevede un riconoscimento quali enti morali.
65
In realtà il riconoscimento per decreto può seguire due diversi
procedimenti.
Il primo è il c.d. procedimento ordinario145; in particolare, l’art. 1
della legge n. 222 del 1985, parla di “decreto del Presidente della
Repubblica, udito il parere del Consiglio di Stato”; l’art. 2 (come
modificato dal d.p.r. 337 del 1999) afferma poi che “la domanda di
riconoscimento prevista dall'articolo 3 (domanda di chi rappresenta
l’ente secondo il diritto canonico, previo assenso dell’autorità
ecclesiastica competente, ovvero domanda di questa direttamente) è
diretta al Ministro dell'Interno ed è presentata alla Prefettura della
provincia in cui l'ente ha sede. In essa devono essere indicati la
denominazione, la natura e i fini dell'ente, la sede e la persona che lo
rappresenta”.
La procedura deve essere dunque avviata da chi rappresenta l’ente
ovvero dall’autorità ecclesiastica.
Alla domanda saranno inoltre allegati il provvedimento canonico
di erezione o di approvazione dell’ente, i documenti da cui risulti il fine
dell’ente e le norme statutarie relative alla sua struttura nonché i controlli
canonici cui l’ente è soggetto, i documenti utili a dimostrare la
sussistenza dei requisiti generali e speciali stabiliti dalla legge per il
riconoscimento (tranne che per gli enti che fanno parte della costituzione
gerarchica della Chiesa).
145
Gli enti ecclesiastici e confessionali (salvo il caso di quelle associazioni religiose
che, ai sensi dell’art. 10, l. n. 222/1985, vadano riconosciute ai sensi del diritto comune) sono
esplicitamente esclusi dalla riforma in materia di semplificazione dei procedimenti di
riconoscimento delle persone giuridiche disciplinate nel libro I del codice civile (art. 9, II
co., D.P.R. n. 361/2000) ed in base alla quale non occorre più un decreto ministeriale,
bastando un provvedimento del Prefetto.
66
Ai sensi dell’art. 5 legge n. 222 del 1985, è il Prefetto che,
acquisita la domanda, la istruisce e, ove lo ritenga opportuno, provvede
ad acquisire ulteriori elementi con richiesta rivolta all’ente da
riconoscere, all’autorità ecclesiastica o ad altri organi della pubblica
amministrazione.
Al termine della fase istruttoria locale, il Prefetto trasmette gli atti
unitamente ad un suo parere motivato al Ministero dell’Interno presso
cui ha luogo l’istruttoria ministeriale.
La fase istruttoria ministeriale consiste essenzialmente di alcune
sottofasi e precisamente: 1) la verifica dei requisiti generali previsti dalle
norme pattizie o unilaterali; ed altresì la verifica dei requisiti specifici
previsti per le singole categorie di enti; 2) l’eventuale richiesta del parere
del Consiglio di Stato, che comunque può essere disatteso non essendo
vincolante; 3) l’emanazione del Decreto, che ha natura costitutiva; 4) la
pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale; 5) la comunicazione al
Legale rappresentante, che deve iscrivere il decreto nel registro delle
persone giuridiche.
Originariamente
era
prevista
l’acquisizione
del
parere,
obbligatorio ma non vincolante, da parte del Consiglio di Stato e la
chiusura del procedimento con decreto del Presidente della Repubblica.
Il processo di semplificazione amministrativa sviluppatosi negli anni ’90
ha portato prima al passaggio di attribuzione dal Presidente della
Repubblica al Ministro dell’Interno circa l’emanazione del decreto di
riconoscimento e successivamente al superamento dell’obbligatorietà del
parere del Consiglio di Stato146.
146
La modifica del soggetto competente ad emanare il decreto è avvenuta con l. n.
13/1991 (Ministro dell’Interno); l’obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato per gli atti
67
Si noti che, per quanto riguarda gli enti confessionali appartenenti
a confessioni munite di Intesa, il riconoscimento, se nelle Intese stipulate
prima del 1991 avveniva con decreto del Presidente della Repubblica (es.
avventisti e comunità ebraiche), in quelle successive (Intese con i Battisti
o i Luterani) è previsto il decreto del Ministero dell’Interno, previo
parere del Consiglio di Stato. Allo stato attuale, sembrerebbe che esso
possa essere concesso mediante decreto del Ministro dell’Interno,
sebbene una tale competenza non sia esplicitamente prevista.
Per quanto riguarda gli enti appartenenti alle confessioni che non
hanno stipulato un’Intesa con lo Stato italiano, la disciplina ricavabile ex
art. 2 l. n. 1159/1929 ed ex art. 10 R.D. 289/1930 prevede
l’innalzamento ad “ente morale” mediante decreto del Presidente della
Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno ed udito il Consiglio
dei Ministri (ma non il Consiglio di Stato).
In ogni caso, va fatto presente che il mancato accoglimento della
domanda da parte dell’autorità amministrativa deve essere comunicato al
rappresentante dell’ente interessato con l’indicazione delle ragioni
opposte all’adozione del provvedimento richiesto.
relativi al procedimento di riconoscimento civile degli enti ecclesiastici è venuta meno con
legge n. 127 del 1997 (c.d. legge Bassanini). Si è trattato di interventi di carattere generale
che hanno toccato anche la materia ecclesiastica senza tener conto della peculiarità propria
della normativa pattizia e del peculiare procedimento di revisione per essa previsto. Va
comunque segnalato al riguardo che la Segreteria Vaticana, con un successivo scambio di
Note Diplomatiche del 1998, ha ritenuto opportuno convenire sull’opportunità di dar corso
alla prassi introdotta unilateralmente dallo Stato Italiano, considerata la natura
essenzialmente procedurale della disciplina concernente la forma dell’atto amministrativo di
attribuzione della personalità giuridica civile; ha altresì rilevato che l’obbligatorietà del
parere del Consiglio di Stato può ritenersi superata.
68
Gli artt. 22 (con riferimento all’Istituto centrale e agli Istituti
diocesani per il sostentamento del clero147) e 29 (con riferimento a
diocesi e parrocchie) della l. n. 222/1985, disciplinano infine il c.d.
procedimento abbreviato, prevedendo l’acquisto della personalità
giuridica civile dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del
decreto del Ministro dell’Interno che conferisce a tali nuovi enti la
qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (si prevede
peraltro che il decreto debba essere emanato entro sessanta giorni dalla
data di ricezione dei relativi provvedimenti canonici).
Tale procedimento speciale148 ha interessato gli enti ecclesiastici
oggetto della riforma del sistema beneficiale proposta dal Codice di
diritto canonico del 1983 e fatta poi propria, per gli ambiti di
competenza, dall’ordinamento italiano.
Ci si riferisce in particolare, come detto, all’Istituto centrale ed
agli Istituti diocesani per il sostentamento del clero, alle diocesi ed alle
parrocchie149, enti istituiti in sostituzione degli ex benefici parrocchiali e
Il can. 1274 prevede che l’Istituto diocesano per il sostentamento del clero è
eretto presso ciascuna diocesi con decreto del Vescovo diocesano.; ai sensi dell’art. 21, II
CO., L. N. 222/1985, I Vescovi hanno la facoltà di accordarsi per erigere istituti per il
sostentamento del clero a carattere interdiocesano. Va rilevato che lo statuto tipo degli istituti
è stato predisposto dalla CEI ed ha ottenuto la recognitio dalla Santa Sede e costituisce la
base inderogabile dello statuto emanato da ciascun Vescovo.
148
E. VITALI – A. CHIZZONITI, Manuale breve Diritto Ecclesiastico, cit., 113,
afferma che si tratta di una sorta di giudizio di omologazione motivato dalla ecclesiasticità in
re ipsa degli stessi e dalla loro necessaria istituzione per la messa in moto del nuovo sistema
di sostentamento del clero; una condizione questa che ha giustificato l’apposizione di un
termine temporale per l’operatività di tale procedimento, ma che, comunque, stante la
peculiarità degli enti interessati, non può escludere a priori che nel futuro si possa fare
ricorso al medesimo procedimento per il riconoscimento di gruppi consistenti di enti
ecclesiastici rientranti in queste categorie.
149
L’ente parrocchia, con il riconoscimento della personalità giuridica, consegue
altresì la proprietà dell’edificio sacro destinato al culto pubblico, senza che occorra allo
scopo la redazione di un formale verbale di consegna.
147
69
delle mense vescovili. In quest’ultimo caso, il riconoscimento della
personalità giuridica è avvenuto con decreto del Ministero dell’Interno,
previa comunicazione da parte dell’autorità ecclesiastica della loro
istituzione effettuata entro il 30 settembre 1986.
In ogni caso, il decreto di riconoscimento ministeriale (in cui
devono essere indicati la natura, la struttura e la finalità dell’ente nonchè
la sua consistenza patrimoniale) determina il conseguimento della
personalità giuridica e la successiva iscrizione nel Registro delle Persone
Giuridiche.
1.6.4. L’obbligo di iscrizione nel registro delle persone giuridiche 150.
Ai sensi dell’art. 5 della legge n. 222 del 1985151, “[1]. Gli enti
ecclesiastici civilmente riconosciuti devono iscriversi nel registro delle
persone giuridiche. [2]. Nel registro, con le indicazioni prescritte dagli
Le modalità di iscrizione sono previste all’interno dei seguenti atti: Circ. n. 44
del 16 maggio 1985 e n. 48 del 5 ottobre 1985 del Ministero dell’Interno; Circ. n. 1/23-1 (85)
del 4 agosto 1986, Circ. n. 56 del 5 settembre 1986, Circ. n. 61 del 15 aprile 1987 del
Ministero di Grazia e Giustizia, Dir. Gen. Degli Affari civili, e delle libere professioni; Circ.
CEI del 3 aprile 1987 n. 14.
P. PICOZZA, L’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, cit., 104, rileva che il
provvedimento di riconoscimento ha un’efficacia costitutiva nel senso che esso non crea,
quantomeno modifica lo status di un soggetto già operante nell’ordinamento giuridico.
Inoltre, la Direzione generale degli affari del culto, con la circolare 16 maggio 2001, n. 126,
“Semplificazione dei procedimenti relativi al riconoscimento delle persone giuridiche
private disposizioni speciali per gli enti di culto”, afferma che la nuova disciplina introdotta
dal d.p.r. n. 361/2000 ha attribuito natura costitutiva all’atto di iscrizione sull’apposito
registro istituito presso le prefetture, principio che comunque non trova applicazione nei
confronti degli enti di culto per i quali l’atto di iscrizione continua ad avere carattere
dichiarativo.
151
Per quanto riguarda gli Enti Cattolici, va rilevato che, durante la vigenza del
Concordato del 1929, vi era solamente l’onere di istituire presso la prefettura competente un
registro inventari degli elementi patrimoniali dell’ente e che pertanto non era previsto
l’obbligo di iscrizione nel registro delle persone giuridiche; questa è una delle novità
principali introdotte dalla legge n. 222/1985 e confermata dalle Intese stipulate con le
confessioni acattoliche.
150
70
articoli 33 e 34 del codice civile152, devono risultare le norme di
funzionamento e i poteri degli organi di rappresentanza dell’ente. Agli
enti ecclesiastici non può comunque essere fatto, ai fini della
registrazione, un trattamento diverso da quello previsto per le persone
giuridiche private. [3]. I provvedimenti previsti dagli articoli 19 e 20
delle presenti norme sono trasmessi d’ufficio per l’iscrizione nel registro
delle persone giuridiche”.
La ratio dell’iscrizione si concretizza non solo nel presupposto
dell’autonomia patrimoniale perfetta, ma anche per consentire la
conoscibilità della struttura e delle norme di funzionamento dell’ente
(esigenza di pubblicità, nella tutela dell’affidamento dei terzi che
vengano a stringere negozi con l’ente che è capace di essere parte di
rapporti negoziali) 153 154.
Si rilevi che il D.P.R. 10 febbraio del 2000, n. 361 (“Regolamento di
semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di
approvazione di modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto”), in G.U. n. 286 del 7
dicembre 2000, ha abrogato gli articoli sopra menzionati (33 e 34 c.c., oltre agli artt. 12, 16,
III co., 27, III co., 35 limitatamente alle parole “dagli articoli 33 e 34, nel termine e secondo
le modalità stabilite dalle norme di attuazione del codice”) e che l’ art. 9, II comma d.p.r. n.
361/2000, ha affermato che nulla è innovato nella disciplina degli enti ecclesiastici
civilmente riconosciuti, in base alla legge 20 maggio 1985, n. 222, nonché degli enti
civilmente riconosciuti in base alle leggi di approvazione di intese con le confessioni
religiose ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione; inoltre, nei confronti di tali
enti trovano applicazione le disposizioni contenute negli articoli 3 D.P.R. n. 361/2000
(“Registro delle persone giuridiche”) e 4 (“Iscrizioni nel registro”, che afferma, tra l’altro,
che nel registro vengano indicati: la data dell’atto costitutivo, la denominazione, lo scopo, il
patrimonio, la durata qualora sia stata determinata, la sede della persona giuridica, il
cognome , il nome e il codice fiscale degli amministratori con menzione di quelli a cui è
attribuita la rappresentanza; inoltre, devono essere iscritte le modificazioni dell’atto
costitutivo e dello statuto, il trasferimento della sede e l’istituzione di sedi secondarie, la
sostituzione degli amministratori, con indicazione di quelli ai quali è attribuita la
rappresentanza, le deliberazioni di scioglimento, i provvedimenti che ordinano lo
scioglimento o accertano l’estinzione, il cognome e nome dei liquidatori e tutti gli altri atti e
fatti la cui iscrizione è espressamente prevista da norme di legge o di regolamento).
153
È la stessa Relazione sui principi dettati dalla l. 222/1985, elaborata dalla
commissione paritetica istituita a norma dell’art. 7 n.6 della l. 121 del 1985, ad affermare che
152
71
Per l’iscrizione la normativa civile non richiede l’assenso
dell’autorità ecclesiastica e l’onere della stessa ricade quindi sul legale
rappresentante dell’ente
155
; essa deve avvenire nel Registro delle
Persone Giuridiche, istituito presso le Prefetture (e non più nel Registro
istituito presso la cancelleria del Tribunale di ogni capoluogo di
Provincia sotto la diretta sorveglianza del Presidente del Tribunale)156.
Seppure il D.P.R. n. 361/2000 ha abrogato gli artt. 33 e 34 c.c.,
espressamente richiamati dal sopra menzionato art. 5, l. n. 222/1985, non
sussistono dubbi circa il fatto che in ogni caso nel registro debbano
essere riportate le norme di funzionamento e i poteri degli organi di
rappresentanza dell’ente157. In particolare, devono risultare trascritte le
l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche rappresenta l’adempimento mediante il
quale si assicura la trasparenza alle strutture e alle finalità degli enti ecclesiastici,
evidenziando inoltre che, mediante la conoscibilità degli statuti dei singoli enti, saranno
tutelati i terzi che entrino in rapporti negoziali con gli stessi. Inoltre, questo sistema di
pubblicità può servire anche quale elemento fondamentale nell’ottica di eventuali
accertamenti conoscitivi in merito all’effettiva consistenza di tutte le persone giuridiche e
della loro tipologia.
154
Cfr. art. 4, D.P.R. n. 361/2000, secondo cui devono essere indicate la data
dell’atto costitutivo, la denominazione, lo scopo, il patrimonio, la durata, la sede, i dati
fiscali e anagrafici degli amministratori con menzione di quelli a cui è attribuita la
rappresentanza.
155
CEI, Istruzione 2005, 16, rileva che in ogni caso è opportuno che ogni Curia
diocesana abbia esatta cognizione di tutti gli enti ecclesiastici soggetti alla giurisdizione del
Vescovo e che, a tal fine, richieda ad ogni ente ecclesiastico di inviarle per conoscenza la
copia della domanda di iscrizione e di ogni ulteriore variazione presentata alla Prefettura –
Ufficio territoriale del Governo.
156
Cfr. art. 1 D.P.R. n. 361/2000.
157
L’art. 15 del d.p.r. n. 33 del 1987 (che, si ricordi, è il regolamento di esecuzione
della l. n. 222/1985), sancisce che, per gli enti ecclesiastici facenti parte della costituzione
gerarchica della Chiesa, lo statuto è sostituito dal decreto canonico di elevazione con la
dichiarazione integrativa da parte della competente autorità ecclesiastica laddove ciò sia
necessario; per tutti gli altri enti ecclesiastici, ove manchi uno statuto approvato agli effetti
civili e contenente le norme di funzionamento dell’ente e i poteri degli organi di
rappresentanza, deve essere prodotto un attestato della Santa Sede o del Vescovo diocesano
dal quale risultino tali elementi o un attestato del Ministero dell’Interno da cui risulti che
l’ente possegga la personalità giuridica a partire da una data anteriore al 7 giugno 1929.
72
modificazioni dell’atto costitutivo e dello statuto, il trasferimento della
sede e l’eventuale istituzione di sedi secondarie, la sostituzione degli
amministratori con indicazione di quelli a cui è attribuita la
rappresentanza, le deliberazioni di scioglimento, i provvedimenti che
ordinano lo scioglimento o accettano l’estinzione.
Circa le conseguenze derivanti dalla totale o parziale (mancata
indicazione di tutti gli elementi indicati ed, in particolare, quelli relativi
alle limitazioni dei poteri di rappresentanza) iscrizione dell’ente, occorre
rilevare che:
- l’art. 35 c.c. afferma che “amministratori e liquidatori che non
richiedono le iscrizioni prescritte sono puniti con a pena
pecuniaria da 10 a 516 euro”158;
- l’art. 18 della l. 222 del 1985159 stabilisce in modo specifico che,
ai fini dell’invalidità o inefficacia di negozi giuridici posti in
essere da enti ecclesiastici, non possono essere opposti a terzi,
che non ne siano effettivamente a conoscenza, le limitazioni
dei poteri di rappresentanza o l’omissione dei controlli canonici
che non risultino o dal codice di diritto canonico, o dal registro
delle persone giuridiche160.
158
Detta sanzione non si estende comunque agli enti già riconosciuti, poiché in tal
caso la sanzione è già data dall’impossibilità di concludere negozi giuridici.
159
Cfr. altresì l’art. 19 c.c.
160
Il medesimo onere di iscrizione delle specifiche norme di funzionamento e dei
poteri degli organi di rappresentanza, al fine di dare una maggiore tutela ai terzi, vige altresì
per la maggior parte degli enti appartenenti ai c.d. culti acattolici (Cfr., in particolare, gli artt.
18, l. n. 517/1988; 26 l. n. 516/1988; 24, l. n. 101/1989; 13, l. n. 116/1995; 23, l. n.
520/1995; 18, l. n. 128/2012; 12, l. n. 245/2012; 13, l. n. 246/2012).
73
Va infine evidenziato che, coerentemente con quanto detto, gli enti
ecclesiastici potranno concludere negozi giuridici (art. 6, ultimo co.)161 e
saranno dunque capaci di agire soltanto dopo aver adempiuto all'obbligo
di iscrizione; peraltro, in difetto, secondo l’opinione prevalente, i negozi
sarebbero (efficaci ma) annullabili su istanza dell’ente o dell’altro
contraente162.
1.7. Le modificazioni degli enti ecclesiastici.
Ai sensi dell’art. 19, l. n. 222 del 1985, “[1]. Ogni mutamento
sostanziale nel fine, nella destinazione dei beni e nel modo di esistenza
di un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto acquista efficacia civile
mediante riconoscimento con decreto del Ministro dell’Interno, udito il
parere del Consiglio di Stato163. [2]. In caso di mutamento che faccia
161
Gli enti ecclesiastici già riconosciuti anteriormente (cfr. art. 7, n. 2, Accordo di
Villa Madama) hanno dovuto richiedere l’iscrizione nel Registro delle persone giuridiche
entro il 3 giugno 1987; per la C.E.I. il termine per l’iscrizione è stato fissato al 30 settembre
1986; per gli Istituti per il sostentamento del clero, le diocesi e le parrocchie al 31 dicembre
1989; gli enti riconosciuti dopo l’entrata in vigore della l. n. 222/1985 devono iscriversi nel
Registro delle persone giuridiche nei quindici giorni successivi alla pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale del decreto di riconoscimento in persona giuridica.
162
G. DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, cit., 205, chiarisce che “in
concreto il regime di disponibilità dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici della Chiesa
cattolica risulta, per gli enti che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa - per
alcuni dei quali non si forma alcuno statuto in quanto regolati interamente dal codice di
diritto canonico (parrocchie e diocesi) – dalle sole norme del libro V del codex iuris canonici
(cann. 1273 ss), mentre l’iscrizione nel registro avrà la più limitata funzione di consentire ai
terzi l’individuazione della persona fisica del rappresentante legale dell’ente e la data di
assunzione dei relativi poteri. Per gli altri enti (istituti, case e province religiose; istituti
secolari, associazioni di fedeli, istituti per il sostentamento del clero, ecc.), invece, tale
regime risulterà, oltre che dalle stesse norme canoniche in quanto ad esse applicabili (per gli
istituti religiosi si vedano i cann. 634 – 639 del codex), anche dal contenuto degli statuti
depositati presso il registro delle persone giuridiche”.
163
Alla luce dello scambio di note diplomatiche del 1998 tra Stato italiano e Santa
Sede, la competenza a emettere il decreto è ora riconosciuta al Ministro dell’interno, mentre
l’audizione del Consiglio di Stato è richiesta solo in caso di un’istruttoria oggettivamente
complessa e articolata.
74
perdere all’ente uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento può
essere revocato il riconoscimento stesso con decreto del Ministro
dell’Interno, sentita l’autorità ecclesiastica e udito il parere del
Consiglio di Stato” 164.
Autorevole dottrina rileva che gli enti, in applicazione di un
principio conservativo, hanno l’obbligo di mantenere nel tempo gli
elementi che hanno consentito il loro riconoscimento durante tutta la
vita165.
Pertanto,
lo
stesso
procedimento
dettato
in
materia
di
riconoscimento civile dell’ente deve essere posto in essere in ogni caso
di modificazione di carattere sostanziale o costitutiva166.
Ai fini del riconoscimento agli effetti civili delle modifiche di cui
all’art. 19, I co., della legge sugli enti ecclesiastici del 1985, la procedura
deve essere avviata su domanda dell’autorità ecclesiastica che li ha
disposti o approvati, ovvero del legale rappresentante dell’ente, con
l’indicazione dei motivi che hanno reso necessario, o perlomeno utile la
modifica. L’iscrizione rileva ai fini dell’opponibilità ai terzi (art. 5, l. n.
222/1985).
Relativamente all’espressione “mutamento sostanziale del fine”, la
Pubblica Amministrazione ha discrezionalità nel valutarlo. La dottrina
afferma che, dal momento in cui un ente è ecclesiastico in quanto abbia
164
Analogamente, prevedono le leggi di approvazione delle Intese; in particolare:
l’art. 27, l. n. 516/1988, art. 19, l. n. 517/1988, art. 22, l. n. 101/1989, art. 15, l. n. 116/1995,
art. 20, l. n. 520/1995,; art. 18, l. n. 127/2012;; art. 14, l. n. 245/2012; art. 15, l. n. 246/2012.
Le leggi n. 449/1984 (art. 12), n. 126/2012 (art. 19), n. 128/2012 (art. 20) prevedono la
revoca della personalità giuridica in caso di mutamento o del venir meno di uno dei fini
prescritti.
165
E. VITALI – A. CHIZZONITI, Manuale breve Diritto Ecclesiastico, cit., 115.
166
Analogamente, l’art. 4, III co., l. n. 848/1929.
75
un fine costitutivo ed essenziale di religione o di culto, ove cessi di
perseguirlo e si interessi ad esempio “ad un altro dei fini considerati
dall’art. 16, lett. a, l. n. 222/1985, come attività di religione e tale fine sia
mutato con un provvedimento dell’autorità ecclesiastica, questo
mutamento dovrà essere riconosciuto agli effetti civili. Se invece, pur
restando nell’ambito dei fini previsti dall’art. 16, lett. a), l’ente muti il
proprio fine originario in via di fatto, senza alcun provvedimento
canonico, non occorre pensare a un riconoscimento del mutamento da
parte dello Stato”167; il mutamento di fatto non è dunque opponibile ai
terzi; in ogni caso, potrebbe dar luogo alla revoca del riconoscimento.
Va inoltre evidenziato che non si può parlare di mutamento nei
fini quando l’ente ecclesiastico, oltre al proprio fine costitutivo ed
essenziale di religione e di culto, persegue altri scopi leciti, magari
strumentali ai primi168.
I mutamenti sostanziali nel modo di esistenza degli enti169
riguardano la “struttura della persona giuridica e potrebbero riguardare
167
Le parole tra virgolette sono di F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit., 275.
Cfr., anche R. BOTTA, Tutela del sentimento religioso ed appartenenza nella società
globale, Torino, 2002, 141. G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit.,
50, rileva che “l’attività istituzionale che caratterizza ed identifica l’ente ecclesiastico è
generalmente rappresentata dallo svolgimento di attività di religione e di culto…per cui in
caso di un suo mutamento (svolgimento di attività di catechesi o missionarie), a seguito di un
formale provvedimento dell’autorità ecclesiastica, è necessario un nuovo riconoscimento agli
effetti civili”.
168
F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit., 275, fa l’esempio della parrocchia che
proceda alla costruzione di sale riunione o di una palestra; in questo caso, essa esercita
un’attività nel settore immobiliare, che è disciplinata dalla legge dello Stato, ma che è
strumentale rispetto al raggiungimento dei fini della parrocchia.
169
Ibidem, si rileva che la destinazione dei beni aveva notevole importanza per lo
Stato nel sistema beneficiale perché un eventuale impoverimento dell’ente importava l’onere
della corresponsione del supplemento di congrua da parte dello stesso Stato; cessata tale
ragione, il controllo della destinazione dei beni è rilevante al fine di garantire i terzi
attraverso l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche, ovvero, nel caso di perdita del
76
anche la circoscrizione territoriale (per le diocesi e le parrocchie),
l’unione di più enti o lo scorporo di un ente con la sottrazione, a favore
di altro, di talune attività e simili”170 171.
Come detto, l’art. 19, II co., prevede la possibile revoca del
riconoscimento
della
personalità
giuridica
civile “in caso di
mutamento che faccia perdere all’ente uno dei requisiti prescritti per il
suo riconoscimento…”172.
Si precisa che, anche in questa ipotesi, la competenza è passata dal
Presidente della Repubblica al Ministro dell’Interno in base al D.P.R.
361/2000; il parere del Consiglio di Stato è limitato a casi di complessità
e delicatezza dell’istruttoria.
La revoca è qui considerata quale specie “estrema” di un
mutamento, per cui se questo incide sul sostrato ontologico del corpo
morale alterandone la struttura e la funzione, se ne far venir meno uno
degli elementi costitutivi, non può ulteriormente giustificarsi una
soggettività civilmente rilevante.
patrimonio per un ente del tipo fondazione, per l’eventuale revoca del riconoscimento della
personalità giuridica.
A.C. JEMOLO, Lezioni di diritto ecclesiastico, IV ed., Milano, 1975, 328, evidenzia
inoltre che se un ente amministra più masse patrimoniali autonome, il passaggio dei beni
dall’una all’altra massa, pur all’interno dello stesso ente, dà luogo ad un mutamento nella
destinazione dei beni.
170
F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit., 275.
171
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 50 ss., evidenzia
la rilevanza della modifica della denominazione e della sede, ma non del trasferimento della
sede nell’ambito del territorio del medesimo comune.
172
Cfr., relativamente all’ipotesi di cui al I co., Cons. Stato, sez. I, parere 27 maggio
1998, n. 216, secondo cui l’ente può, nel corso della propria vita, modificare il proprio
assetto originario con trasformazioni che permettano il mantenimento della qualifica di ente
ecclesiastico, pur se all’interno di altra tipologia, o semplicemente ad esempio con altra
denominazione; relativamente all’ipotesi di cui al II co., Cons. Stato, sez. I, parere 21 marzo
2001, n. 1008, secondo cui si prefigura che la mutazione sia tale da contraddire le ragioni
stesse dell’attribuzione, essendo venuto a mancare uno degli elementi necessari per il
riconoscimento.
77
La revoca costituisce un procedimento “inverso” rispetto a quello
che ha portato all’attribuzione della personalità giuridica civile.
Su iniziativa della Pubblica Amministrazione, il Ministro
dell’Interno, tramite la Direzione centrale per gli Affari dei Culti, deve
comunicare all’autorità ecclesiastica competente “gli elementi da cui
risulta che è venuto meno qualcuno dei requisiti prescritti per il
riconoscimento dell’ente”173.
Presupposto essenziale per
il
suo
esercizio
è quindi la
sopravvenienza di nuovi elementi174.
Diverso è il caso in cui il riconoscimento è affetto da errore, nel
senso che, al momento del riconoscimento, non sussistevano i requisiti
richiesti per l’attribuzione della personalità giuridica. In tale ipotesi, il
decreto può essere annullato in quanto atto viziato da illegittimità per
violazione di legge, con efficacia dichiarativa, ex tunc. E’ possibile
anche un atto di annullamento d’ufficio del decreto di riconoscimento da
parte della Pubblica Amministrazione nell’esercizio del suo potere di
autotutela; anche in questo caso può essere sentito il Consiglio di Stato e
comunque deve essere udita l’autorità ecclesiastica.
173
F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, cit., 277, rileva che la revoca del
riconoscimento della personalità giuridica degli enti ecclesiastici non solleva problemi
diversi da quelli posti, in generale, dalla revoca dei provvedimenti amministrativi. L’unica
particolarità è che sia sentita l’autorità ecclesiastica.
174
S. BERLINGÒ, Enti ecclesiastici – enti delle confessioni religiose, cit., 39 SS.,
rileva che “non può, invero, non evidenziarsi lo scarto che sussiste tra il criterio meramente
teleologico posto a presidio della valutazione ex ante della sussistenza del fine di religione o
di culto, prodromica all’atto del riconoscimento, ed il criterio oggettivo ed effettuale delle
attività esemplificate dagli articoli appena escussi, utilizzabile per una verifica ex post della
coerenza istituzionale dell’ente che, una volta riconosciuto, ben potrebbe esibire
comportamenti concreti non (più) corrispondenti con le finalità dichiarate nell’istanza di
riconoscimento. A questo possibile inconveniente si studia di ovviare l’istituto della
«revoca» del conoscimento civile dell’ente ecclesiastico”.
78
Un caso particolare di revoca è quello previsto all’art. 14 della l.
222/1985.
La normativa dispone che, su istanza dell’autorità canonica
competente, può essere revocato il riconoscimento della personalità
giuridica civile a quei capitoli (cattedrali o collegiali) che non
rispondano più a particolari esigenze o tradizioni religiose e culturali
della popolazione.
La domanda di revoca del riconoscimento civile di un capitolo
cattedrale o collegiale è presentata, rispettivamente dalla Santa Sede o
dal vescovo diocesano, al Ministro dell’Interno, con l’indicazione dei
motivi che giustificano la richiesta, e della destinazione che l’autorità
ecclesiastica intende dare ai beni del capitolo175.
1.8. Estinzione e soppressione degli enti ecclesiastici
Ai sensi dell’art. 20, l. n. 222/1985, la soppressione e l’estinzione
per altre cause avrà efficacia civile “mediante l’iscrizione nel registro
delle persone giuridiche del provvedimento dell’autorità ecclesiastica
competente” che
sopprime
l’ente
o
ne
dichiara l’avvenuta
estinzione e contestualmente provvede alla devoluzione dei beni176; il II
co. ed il III co. prevedono quindi che “l’autorità ecclesiastica
competente trasmette il provvedimento al Ministro dell’interno che, con
proprio decreto, dispone l’iscrizione di cui al primo comma e provvede
alla devoluzione dei beni dell’ente soppresso o estinto. Tale devoluzione
S. BERLINGÒ, Enti ecclesiastici – enti delle confessioni religiose, cit., 39 ss., rileva
che il meccanismo della revoca risulta poco operativo per l’assenza, pressoché completa (in
ispecie dopo l’eclissi dell’istituto dell’autorizzazione agli acquisti), di un’attività di controllo
o monitoraggio della coerenza istituzionale degli enti in esame.
176
Cfr. cann. 120 – 123.
175
79
avviene secondo quanto prevede il provvedimento ecclesiastico, salvi in
ogni caso la volontà dei disponenti, i diritti dei terzi e le disposizioni
statutarie, e osservate, in caso di trasferimento ad altro ente, le leggi
civili relative agli acquisti delle persone giuridiche”.
In casi come questi in cui, come detto, la scelta dell’autorità
ecclesiastica177,
che
emana
il
provvedimento
di
estinzione
o
soppressione, non può essere sindacata dalla Pubblica Amministrazione
(ciò in considerazione del legame organico tra ente e confessione
d’appartenenza che già è a presidio della c.d. fase genetica).
Norme analoghe sono previste nelle Intese.
177
Il diritto canonico prevede, in modo tradizionale e come norma generale, che la
persona giuridica abbia una durata perpetua; determina comunque anche i modi di estinzione
della stessa. La cessazione della personalità canonica può avvenire per esplicito atto di
soppressione emanato dall’autorità competente (di norma la stessa che riconobbe a suo
tempo la personalità, ma vi sono eccezioni), o a causa della cessazione di fatto dell’attività
tipicamente svolta dall’ente per un periodo di tempo pari o superiore a cent’anni. In tale
ultima ipotesi, consistente nella cosiddetta estinzione di fatto, il diritto canonico non
prevede la necessità di un atto dell’autorità ecclesiastica dichiarativo dell’avvenuta
scomparsa dell’ente, atto che invece risulta necessario per fare acquisire efficacia civile
all’effetto estintivo ope legis. Qualora si intenda far acquisire rilevanza civile a tale
cessazione della persona canonica, è quindi necessario che la competente autorità rilasci un
provvedimento devolutivo da trasmettere al prefetto.
Le persone giuridiche private canoniche possono estinguersi, oltre che per una delle
due cause generali ora esposte (soppressione, cessazione di fatto per cent’anni), anche per i
motivi contemplati nell’atto costitutivo o nello statuto.
Le associazioni private di fedeli possono essere inoltre soppresse dall’autorità
ecclesiastica competente se la loro attività è causa di danno grave per la dottrina, o per la
disciplina ecclesiastica, o motivo di scandalo per i fedeli. Tale soppressione si ottiene con la
revoca del provvedimento con cui l’associazione è stata riconosciuta nell’ordinamento
canonico.
80
1.9. I controlli canonici178.
L’art.
7,
n.
5
dell’Accordo
del
1984
stabilisce
che
“l’amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici179 è
soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico180”; continua poi
affermando che “gli acquisti di questi enti sono però soggetti anche ai
controlli previsti dalle leggi italiane per gli acquisti delle persone
giuridiche”.
Per quanto concerne quest’ultimo profilo, si deve rilevare il venir
meno di ogni possibilità di intervento alla Pubblica Amministrazione,
essendo stato abolito il c.d. atto di autorizzazione agli acquisti degli enti
ecclesiastici. L'art. 13 della legge 127/1997 ha infatti
abrogato
definitivamente l'art. 17 c.c. che prevedeva l'obbligo dell'autorizzazione
178
Per rendersi conto della portata pratica di quanto verrà detto nel presente
paragrafo, cfr. P. CAVANA, Rilevanza civile dei controlli canonici ed effetti sull’attività
negoziale e processuale degli enti ecclesiastici (nota a Trib. Bologna 5 dicembre 2005, n.
3132), in Giust. civ.., 2006, 12, 2931 ss., che svolge le sue riflessioni affrontando il caso di
una ditta di costruzioni che aveva notificato un decreto ingiuntivo ad una parrocchia per il
pagamento di un preteso credito, pari a poco più di mezzo miliardo di lire, come residuo
corrispettivo dei lavori previsti da due contratti d'appalto conclusi tra le parti e relativi alla
costruzione ed al completamento dell'edificio a carattere religioso di pertinenza della
suddetta parrocchia. In particolare, la parrocchia si oppose e chiese la revoca del decreto,
oltre che per motivi di merito, contestando preliminarmente la mancata osservanza della
legislazione pattizia in materia di rilevanza civile dei controlli canonici per quanto concerne
l'amministrazione e l'attività negoziale degli enti ecclesiastici; si eccepiva, in particolare,
l'inesistenza giuridica della notificazione del decreto opposto e l'invalidità dei due contratti di
appalto per mancanza delle necessarie autorizzazioni canoniche in relazione all'ammontare
del loro valore economico, che avrebbe richiesto in entrambi i casi la concessione della
licenza da parte dell'ordinario diocesano. Il Tribunale, condividendo il rilievo formulato dalla
difesa della opponente dell'annullabilità dei due contratti d'appalto per l'assenza delle
necessarie autorizzazioni canoniche, concluse disponendo la revoca del decreto per
l'inesigibilità del credito in quanto fondato su un titolo invalido.
179
Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Istruzione in materia amministrativa del 1
settembre 2005 n. 66, che tratta circa l’amministrazione ordinaria e straordinaria dei beni
posseduti dalle persone giuridiche canoniche.
180
Come si avrà modo di chiarire, vi è dunque un rinvio formale ai canoni 1273 e
seguenti c.j.c.
81
preventiva dell'autorità statuale competente agli acquisti inter vivos o
mortis causa, a titolo gratuito, di beni mobili o immobili, e a titolo
oneroso di beni immobili o mobili d'importo superiore ad una
determinata cifra. E’ venuta dunque meno la disciplina in materia di
controlli statali sugli acquisti e sugli atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione.
Nella prima parte della norma viene invece espresso chiaramente
il principio della c.d. rilevanza civile dei controlli canonici181. Si deve
infatti ricordare che gli enti ecclesiastici sono caratterizzati da specialità
e fanno riferimento, quanto alla genesi, alle modificazioni, all’ordinaria e
straordinaria amministrazione, all'estinzione, alla disciplina prevista
dalla confessione di appartenenza.
La rilevanza civile dei controlli canonici è strettamente connessa a
quanto previsto dall'art. 5 della legge 222/1985, che, come detto,
181
P. CAVANA, Attività negoziale degli enti ecclesiastici e regime dei controlli
canonici, in Dir. famiglia, 2007, 03, 1372 ss., rileva che la determinazione di dar rilevanza
civile ai controlli canonici è strettamente connessa con la contestuale revisione degli impegni
finanziari dello Stato nei confronti della Chiesa. In particolare, l’A. afferma che “volendo
porre fine ad un regime, quello della congrua, che sempre più negli ultimi decenni si era
andato configurando come una forma di remunerazione dello Stato a favore dei funzionari
ecclesiastici, il legislatore concordatario, abbandonando in materia ogni residua impronta
giurisdizionalista, ha opportunamente soppresso ogni forma di controllo statuale sulla
gestione di tali enti, in particolare l'autorizzazione agli atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione degli enti beneficiali, poi estinti, cui si è aggiunta da alcuni anni
l'intervenuta abrogazione dell'autorizzazione governativa per gli acquisti delle persone
giuridiche (art. 13 l. 15 maggio 1997 n. 127), restituendo in materia piena libertà di gestione
ai rappresentanti degli enti e all'autorità ecclesiastica. Contestualmente, privando tali enti di
ogni tutela da parte degli organi dello Stato, ha ritenuto opportuno attribuire esplicitamente
rilevanza civile ai controlli canonici sull'amministrazione degli enti stessi”. Inoltre, “l'attuata
sostituzione dei residui controlli statuali con quelli canonici rientra a pieno titolo nella logica
del nuovo sistema concordatario, ispirata com'è, da un lato, all'intento di restituire piena
autonomia alla Chiesa e allo Stato nel loro proprio ambito (art. 7, comma 1, Cost.), e,
dall'altro, alla preoccupazione, nell'ottica dell'impegno alla reciproca collaborazione (art. 1,
Accordo del 1984), di non abbandonare la disciplina di tali enti al diritto comune, ma di
consentirne uno specifico riconoscimento normativo che ne rispetti le peculiari esigenze, gli
originari caratteri e le norme di tutela che ne assistono l'amministrazione patrimoniale”.
82
stabilisce che “gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti devono
iscriversi nel registro delle persone giuridiche. Nel registro, con le
indicazioni prescritte dagli articoli 33 e 34 codice civile, devono
risultare le norme di funzionamento e i poteri degli organi di
rappresentanza dell'ente” (pubblicità dichiarativa). Da ciò si evince
l’esigenza di salvaguardare sia l'autonomia che spetta all'ente
ecclesiastico, sia il rispetto di norme poste a tutela di interessi
civilisticamente rilevanti; pertanto, come già rilevato, gli enti
ecclesiastici possono “concludere negozi giuridici solo previa iscrizione
nel registro delle persone giuridiche” (art. 6 ultimo comma L. 20 maggio
1985, n. 222) 182; infine, secondo l’art. 18, l. cit., “ai fini dell’invalidità o
inefficacia di negozi giuridici posti in essere da enti ecclesiastici non
possono essere opposte a terzi, che non ne fossero a conoscenza, le
limitazioni dei poteri di rappresentanza o l’omissione di controlli
canonici che non risultino dal codice di diritto canonico o dal registro
delle persone giuridiche” 183.
182
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 44 ss., ritiene che
l’impossibilità per l’ente di concludere negozi giuridici finchè non abbia ottenuto l’iscrizione
sia una “sanzione impropria” che limita la capacità di agire di quelli (gli atti posti in essere in
violazione del disposto menzionato sono comunque efficaci seppure annullabili ad istanza
dell’ente o dell’altro contraente).
183
Le leggi di approvazione delle Intese prevedono la medesima iscrizione nel
registro. Cfr., art. 26, l. n. 516/1988, art. 18, l. n. 517/1988, art. 24, l. n. 101/1989, art. 13, l.
n. 116/1995, art. 24, l. n. 520/1995, art. 18, l. n. 126/2012; art. 19, l. n. 127/2012; art. 19, l. n.
128/2012; art. 13, l. n. 245/2012; art. 13, l. n. 246/2012. Unica eccezione è l’Intesa con i
Valdesi e Metodisti; E. VITALI – A. CHIZZONITI, Manuale breve Diritto Ecclesiastico, cit.,
115, rileva che comunque una soluzione a tale lacuna potrebbe comunque essere individuata
nelle norme di cui al d.p.r. n. 361/2000, le quali pur facendo salve le disposizioni pattizie
(comprese quelle delle intese con le confessioni religiose di minoranza) richiamano gli artt. 3
e 4 in forma generica tanto da potersi ipotizzare una loro estensione anche agli enti valdesi e
metodisti. In ogni caso – si afferma - “rimane lo scoglio della natura atipica propria di tali
norme (obbligo di intesa), ma in questo caso si tratterebbe di una integrazione che, in attesa
di un’auspicabile modifica dell’intesa o della predisposizione delle norme di attuazione, che
l’art. 18 della l. n. 449/1984 ha previsto, ma che ad oggi mancano, potrebbe dare risposta ad
83
L’Ente ha l’onere di pubblicizzare il proprio statuto; i terzi che con
esso negoziano hanno un corrispondente onere di attivarsi a conoscere il
procedimento che canonisticamente soprintende alle attività negoziali
dell'ente medesimo. Qualora l'ente non abbia adempiuto l'onere di
pubblicità non potrà opporre al terzo di buona fede le limitazioni di
origine statutaria, ma potrà opporre in ogni caso quelle derivanti dal
codice di diritto canonico, che non deve essere pubblicizzato184.
In estrema sintesi, riepilogando, è prevista una tutela degli
interessi dei terzi (che contempera le esigenze confessionali) attraverso il
menzionato sistema185.
un’esigenza generale attraverso una accettazione tacita da parte delle autorità confessionali
interessate”.
184
In questi termini, P. PICCOLI, La rappresentanza negli enti ecclesiastici, cit., 21
ss, che precisa anche che agli enti non riconosciuti e alle associazioni previste dall'art. 10
della legge 222/1985 (associazioni pubbliche di fedeli a carattere locale) si applicheranno i
principi di diritto comune, salva la competenza dell'autorità ecclesiastica circa la loro attività
di religione e di culto e i poteri in ordine agli organi statutari.
185
Cfr., sempre in termini di pubblicità, l’art. 11 del d.p.r. n. 33/1987, secondo cui
“La Conferenza episcopale italiana comunica al Ministero dell’interno le deliberazioni
adottate in attuazione dei canoni 1277, 1292, paragrafo 2, e 1295 del codice di diritto
canonico entro trenta giorni dalla loro promulgazione; comunica altresì il limite di valore
stabilito dalla Santa Sede ai sensi del canone 638, paragrafo 3, del codice di diritto
canonico. 2. Chiunque vi abbia interesse può richiedere alla prefettura del luogo in cui
risiede copia delle deliberazioni indicate nel comma 1, vigenti al momento della richiesta”.
Vi è quindi un obbligo in capo alla CEI di comunicazione al Ministero dell’Interno i
provvedimenti canonici che concorrono nel delineare la validità degli effetti civili dei negozi
aventi ad oggetto i beni ecclesiastici; in altri termini, la C.E.I. ha l’obbligo di comunicare al
Ministero dell'Interno le delibere relative all'attuazione delle norme del Codex che possono
incidere sull'attività negoziale degli enti ecclesiastici, al fine di garantirne la conoscibilità
erga omnes. In questo modo, ne deriva che il negozio giuridico canonicamente invalido o
inefficace lo è anche per l’ordinamento civile; con la limitazione, tuttavia, che, come prevede
l’art. 18, l’invalidità o l’inefficacia non può essere opposta ai terzi che non siano a
conoscenza delle limitazioni dei poteri di rappresentanza o della omissione degli apposti
controlli canonici non risultanti dal Codice di diritto canonico o dal registro delle Persone
Giuridiche.
84
Per quanto concerne la legale rappresentanza dell'ente, che è
regolata dal diritto canonico, preme esclusivamente fornire alcuni spunti
in merito186, considerata la complessità della materia.
Secondo il can. 118, il potere di rappresentare la persona giuridica
spetta a coloro cui tale competenza è riconosciuta dal diritto universale o
particolare, oppure dagli statuti.
Fra tali norme hanno particolare rilevanza i canoni 393, 532 e 238,
par. 2, che attribuiscono al Vescovo, al Parroco, al Rettore il compito di
rappresentare, rispettivamente, la diocesi, la parrocchia, il seminario,
salvo che per quest'ultimo non siano state disposte particolari
limitazioni187.
186
P. PICCOLI, La rappresentanza negli enti ecclesiastici, cit., 21 ss, rileva che
“come è noto si distingue tra potere di deliberazione e di gestione (spettante agli organi
deliberativi dell'ente) e potere di rappresentanza (spettante a chi ha il potere di firma),
ambedue da verificare. Per gli enti ecclesiastici tale verifica è meno agevole che per le
persone giuridiche private regolate dall'art. 14 c.c. Per queste ultime infatti basterà verificare
al registro delle persone giuridiche il legale rappresentante e richiedere la delibera
dell'organo competente (anche se talvolta potranno sorgere problemi di documentazione se
l'ente non è in possesso di un registro vidimato). Gli enti ecclesiastici invece agiscono
mediante un processo di formazione della volontà più complesso, che unisce alle
deliberazioni degli organi canonicamente titolari del potere di amministrazione, gli atti
autorizzativi e di controllo dell'autorità ecclesiastica gerarchicamente superiore”.
187
Equiparati al Vescovo sono i Vescovi coadiutori, i Vescovi ausiliari e gli
Amministratori diocesani; al Parroco l'Amministratore parrocchiale; soggetti a cui sono
attribuiti in particolari circostanze analoghi poteri.
La rappresentanza degli istituti religiosi e secolari e delle società di vita apostolica
spetta, di massima, ai rispettivi Superiori, previsti nei canoni 617-630, ovvero ai Moderatori
indicati nei canoni 717 e 738.
Per le Chiese che non siano Parrocchie, dopo che la legge 222/1985 le ha incluse
negli enti riconosciuti o riconoscibili, la rappresentanza spetta, agli effetti civili, ove non
disponga diversamente il diritto particolare, ai rettori, quali risultano disciplinati dai canoni
556-563 del nuovo codex.
Per tutte le altre persone giuridiche (Capitoli di canonici, Istituti diocesani per il
sostentamento del clero, istituti religiosi, società di vita apostolica, associazioni pubbliche di
fedeli, fondazioni autonome) il codice di diritto canonico non indica i legali rappresentanti,
per cui si dovrà fare riferimento ai rispettivi statuti.
85
Va altresì chiarito che il libro V del Codex iuris canonici presenta
un’organizzazione patrimoniale di tipo pubblicistico, al cui interno sono
riservate all’autorità ecclesiastica ed ai superiori religiosi determinate
funzioni di vigilanza al fine di assicurare il corretto utilizzo dei beni in
vista del perseguimento dei fini propri della Chiesa; il can. 1257 prevede
infatti i controlli che si applicano agli enti che corrispondono a persone
giuridiche canoniche pubbliche188.
Comunque anche i beni in dominio di una persona giuridica
privata o di un ente non personificato possono essere sottoposti a quelle
forme di controllo risultanti dagli statuti degli enti stessi (e non, di
regola, a quelle del codice), salvo il diritto dell’autorità ecclesiastica di
vigilare affinchè i beni siano utilizzati per gli scopi dell’istituto.
Premesso che gli atti di ordinaria amministrazione possono essere
compiuti dall’amministratore ecclesiastico senza il ricorso preventivo
all’autorità superiore e che ogni atto di straordinaria amministrazione
richiede per la validità l’autorizzazione scritta dell’autorità ecclesiastica
competente (can. 1281, par. 1), premesso altresì che il legislatore
canonico rinvia formalmente agli statuti o al diritto particolare la
distinzione concreta tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione e
che i controlli possono essere direttamente previsti dal codice di diritto
canonico oppure dal diritto particolare (in particolare, delibere della
C.E.I., ma anche atti promananti dai singoli Vescovi) su rinvio del codex
medesimo, va rilevato quanto segue.
In diritto canonico si possono distinguere due categorie di atti di
straordinaria amministrazione:
188
Cfr., can. 116, par. 1, secondo cui sono persone giuridiche canoniche pubbliche
quelle che nell’ordinamento della Chiesa vengono costituite dalla competente autorità
ecclesiastica perché, entro i fini ad esse prestabiliti, a nome della Chiesa, compiano, a norma
delle disposizioni del diritto, il proprio compito, loro affidato in vista del bene pubblico.
86
a) atti di alienazione di beni189 ed atti che possono peggiorare lo
stato patrimoniale della persona giuridica, previsti dal codice di diritto
canonico190 (can. 1291 e 1295); essi valgono per tutte le persone
giuridiche pubbliche della Chiesa;
b) altri atti di straordinaria amministrazione che possono essere
previsti: b.1) da delibere della Conferenza Episcopale nazionale ai sensi
dei canoni 1277 e 1297; b.2) da norme statutarie di ciascuna persona
giuridica; b.3) da determinazione del Vescovo diocesano ai sensi del
canone 1281, par. 2.
Spetta al Vescovo diocesano, udito il Consiglio per gli affari
economici, determinare con decreto generale tali atti per le persone
giuridiche a lui soggette.
Tale provvedimento ha natura di atto legislativo a norma del
canone 29 (si tratta di una norma a carattere dispositivo che ha valore
189
G. DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, cit., 209, rileva che la
medesima disciplina si applica ai trasferimenti delle proprietà sui “beni che costituiscono per
legittima assegnazione il patrimonio stabile di una persona giuridica pubblica” (can. 1291)
ed agli altri negozi che possono peggiorare lo stato patrimoniale della persona giuridica (es.:
costituzione di diritti reali) (can. 1295). Per tali atti è richiesta la licentia da parte
dell’autorità competente (sia essa il Vescovo diocesano o l’autorità determinata ai sensi dello
statuto dell’ente) se il valore dei beni alienati rientri entro le somme stabilite dalla C.E.I. o
dagli stessi statuti dell’ente; se il valore di tali beni superi il tetto massimo stabilito, sarà
inoltre necessaria la licentia della Santa Sede (can. 1292, par. 2). Cfr. delibera n. 20 C.E.I., in
Notiz. C.E.I., 1984, 8, 203 e, a seguito di aggiornamenti, Notiz. C.E.I., 1999, 3, 91, che, per
la valida alienazione di beni il cui valore eccede la somma massima stabilita di €
1.000.000,00, richiede, come detto, inoltre la licenza della Santa Sede.
190
G. DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, cit., 208 ss., afferma che,
relativamente all’ente diocesi, gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione sono
individuati con delibera della C.E.I. e richiedono, oltre alla manifestazione di volontà del
Vescovo, anche il consenso di due organismi diocesani: il consiglio per gli affari economici
e il collegio dei consultori (can. 1277).
Per gli altri enti, l’individuazione di tali atti deve risultare dagli statuti, oppure, se
questi tacciono in merito, spetta al Vescovo diocesano provvedere con decreto generale per
gli enti a lui soggetti (es.: parrocchie); per la loro validità occorre in ogni caso il permesso
scritto dell’Ordinario (can. 1281, par. 1).
87
ove lo statuto non preveda gli atti eccedenti i limiti e le modalità della
amministrazione ordinaria).
Il principio generale è dunque quello secondo cui ogni atto di
straordinaria amministrazione richiede per la validità l’autorizzazione
scritta dell’autorità ecclesiastica competente (can. 12181, par. 1) (c.d.
licentia)191.
L'autorità ecclesiastica competente a rilasciare la licentia per gli
atti di straordinaria amministrazione è determinata in relazione alla
natura e al valore di tali atti.
La mancanza dell'autorizzazione porta all'annullabilità del
negozio.
In definitiva, l’atto di amministrazione, imputabile all’ente
canonico, subisce controlli (che assumono rilevanza nel nostro
ordinamento) da parte di organi canonici superiori, che, per
l’ordinamento canonico, devono essere osservati a fini di legittimità
interna e di validità (si parla a tal riguardo di cautele canoniche in
funzione di tutela patrimoniale, con la distinzione tra atti di ordinaria e
straordinaria amministrazione)192..
191
G. DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, cit., 208, chiarisce che
l’Istruzione in materia amministrativa della C.E.I., del 1 settembre 2005, n. 60, suddivide i
controlli canonistici previsti per gli atti di straordinaria amministrazione in tre tipi, che sono
la licenza, il consenso ed il parere, ma che solo la c.d. licenza integra un vero controllo
esterno esercitato da parte dell’autorità ecclesiastica, il secondo ed il terzo tipo attengono al
procedimento interno di formazione della volontà della persona giuridica.
192
In particolare, come chiarisce P. PICCOLI, La rappresentanza negli enti
ecclesiastici, cit., 21 ss.
88
Disposizioni apparentemente simili a quanto previsto dall’art. 7, n.
5, Accordo del 1984, sono contenute nelle leggi di approvazione delle
intese 193 .
In realtà, attenta dottrina ha evidenziato che dalle Intese non è
possibile evincere rilevanza civile alle eventuali norme confessionali in
tema di attività degli enti ecclesiastici delle confessioni, ma
semplicemente
vengono
confermati
gli
“ambiti
di
autonomia
amministrativa”194. Pertanto, la rilevanza civile dei controlli canonici
sarebbe una peculiarità che riguarderebbe la sola Chiesa Cattolica 195.
L’art. 25, I co., l. n. 516/1988, afferma che “la gestione ordinaria e gli atti di
straordinaria amministrazione degli enti ecclesiastici avventisti civilmente riconosciuti si
svolgono sotto il controllo delle competente autorità ecclesiastiche e senza ingerenza da
parte dello Stato”; analogamente, gli artt. 16, I co., l. n. 517/1988; art. 25, I co., l. n.
101/1989; art. 12, I co., l n. 116/1995; art. 23, I co., l.n. 520/1995; art. 17, l. n. 126/2012; art.
20, l. n. 127/2012; art. 18, l. n. 128/2012. Norme analoghe non si trovano invece nella legge
di approvazione dell’Intesa con le Chiese rappresentate dalla tavola Valdese, nè in quelle con
Buddhisti e Induisti.
194
E. VITALI – A. CHIZZONITI, Manuale breve Diritto Ecclesiastico, cit., 117.
195
P. PICCOLI, La rappresentanza negli enti ecclesiastici, cit., 22 ss, rileva che in
tutte le leggi di recepimento delle intese si è prevista l'esclusione del controllo da parte dello
Stato sull'amministrazione ordinaria e straordinaria degli enti ecclesiastici acattolici (in
particolare, cfr. art. 12, comma 5, L. n. 449/1984; art. 25 L. n. 516/1988; art. 16 L. n.
517/1988; art. 25, comma 2, L. n. 101/1989). Anche gli enti acattolici sono tuttavia soggetti
all'iscrizione nel Registro delle persone giuridiche, in mancanza della quale, come per gli
enti concordatari, vi è l'impossibilità di concludere validamente negozi giuridici (cfr., ad
esempio, art. 26, L. n. 516/1988; art. 18, L. n. 517/1988; art. 24, L. n. 101/1989) ed, in
analogia con la disciplina concordataria è previsto l'obbligo di indicare per l'iscrizione nel
registro le norme di funzionamento e i poteri di rappresentanza degli organi dell'ente
medesimo, oltre agli elementi di cui agli artt. 33 e 34 c.c. L’A. afferma che “da tutte le leggi
esaminate traspare il riconoscimento di un'incompetenza statale a regolare i rapporti interni
delle varie Confessioni, con la conseguenza di attribuire agli organi di governo di queste
ultime il potere di produrre autonomamente atti, cui l'ordinamento nazionale si è impegnato
ad attribuire rilevanza, riconoscendo la loro origine esterna. Come diretta conseguenza, il
procedimento per il riconoscimento di personalità giuridica civile di questi enti si basa
normalmente sull'esibizione di atti costitutivi prodotti dalla competente autorità
confessionale”. Inoltre, evidenzia che con l'obbligo di iscrizione nel Registro delle persone
giuridiche viene garantita la corretta informazione circa i vincoli derivanti dagli ordinamenti
confessionali e gravanti, con efficacia civile, sulla gestione di questi enti ed altresì che “in
tutte le leggi esaminate si sancisce inoltre il principio della applicazione delle leggi civili
193
89
CAPITOLO II
ORDINAMENTO TRIBUTARIO ED ENTI ECCLESIASTICI. LE
ORGANIZZAZIONI NON LUCRATIVE DI UTILITÀ SOCIALE
SOMMARIO: 2.1. Enti commerciali ed enti non commerciali: profili
distintivi. – 2.2. La soggettività tributaria degli enti ecclesiastici. –
2.3. Il quadro delle agevolazioni fiscali previste a favore degli
enti ecclesiastici. – 2.4. La riduzione ai fini dell’imposta sul
reddito delle società (IRES) e la disciplina in materia di imposta
sul valore aggiunto (IVA). – 2.5. L’esenzione
dall’imposta
comunale sugli immobili (ICI). – 2.6. L’Imposta
Municipale
Unica (IMU) e gli enti religiosi. Critiche e problematiche attuali.
– 2.7. Le ulteriori agevolazioni tributarie previste dal nostro
ordinamento. – 2.8. La normativa UE in materia di aiuti di stato.
La Commissione Europea e le agevolazioni fiscali per gli enti
ecclesiastici. – 2.9. Il fenomeno associativo non lucrativo ed il
nuovo modello “Organizzazione non lucrativa di utilità sociale”
(Onlus). – 2.9.1. La disciplina generale prevista dal d.lgs. n.
460/1997: la qualificazione soggettiva e l’ambito operativo. –
2.9.2. Le principali agevolazioni fiscali sancite dal decreto. –
2.9.3. Le organizzazione non lucrative di utilità sociale come
nuovo modello di riferimento per gli enti religiosi. Le c.d. Onlus
parziali.
2.1. Enti commerciali ed enti non commerciali: profili distintivi.
Come noto, la norma fondamentale in materia di enti ecclesiastici
contenuta nell’art. 20 della nostra Carta Costituzionale afferma che “il
carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione
relative alle persone giuridiche private al fine degli acquisti degli enti ecclesiastici
confessionali”.
90
od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni
legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione,
capacità giuridica e ogni forma di attività”.
Tale norma è posta a tutela di eventuali trattamenti in pejus nei
confronti di detti enti, nel garantire l’uguale trattamento, e comunque
non fa divieto di interventi in favore eventualmente giustificabili in
ragione della tipologia di attività poste in essere196.
Premesso ciò, occorre verificare le caratteristiche della soggettività
tributaria degli enti ecclesiastici.
Come detto nel capitolo precedente, il nostro ordinamento
riconosce gli enti commerciali o c.d. for profit, che esercitano in modo
esclusivo o prevalente attività di natura commerciale, e gli enti non
commerciali, o c.d. no profit.
La diversità tra le due categorie, che ovviamente hanno una
rilevanza e soggettività tributaria differente, non deriva necessariamente
dalla natura dell’attività (commerciale o non commerciale) in quanto gli
enti non commerciali possono svolgere anche attività diverse (tra cui
anche attività di natura commerciale); inoltre, non deriva neppure dalla
presenza o meno del fine di lucro o da quale sia la destinazione dei
risultati di gestione.
La differenza tra un ente no profit ed un ente for profit è
rappresentata, invece, essenzialmente dalla diversa modalità di
svolgimento delle attività commerciali197, l’ente non commerciale non ha
196
F. FINOCCHIARO, Commento agli artt. 19 e 20 Cost., in G. BRANCA (a cura di)
Comm. Cost., Bologna-Roma, 1977, 85 ss.
197
In questi termini, G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit.,
124. L’A. chiarisce altresì che per inquadrare un ente in una categoria piuttosto che nell’altra
“nessun rilievo assume la natura pubblica o privata , la rilevanza sociale delle finalità
91
quale oggetto esclusivo e prevalente lo svolgimento di attività che
determinano il conseguimento di redditi d’impresa, ai sensi dell’art. 55
T.U.I.R.198.
L’attività essenziale deve essere individuata, sul piano formale,
con riferimento all’oggetto determinato dalla legge, dall’atto costitutivo
o dallo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata
autenticata (c.d. riconoscimento ex lege).
In ogni caso, quanto risultante dall’atto costitutivo o dallo statuto
(c.d. autoqualificazione dell’ente) deve essere verificato in base
all’attività effettivamente svolta199 ai sensi dell’art. 149 T.U.I.R.,
perseguite, l’assenza del fine di lucro o la destinazione dei risultati di gestione”. Inoltre,
“l’appartenenza all’una o all’altra categoria ha riflessi diretti sulla determinazione del reddito
imponibile: per gli enti commerciali si rileva sulla base delle prescrizioni riferite ai redditi
d’impresa (artt. 56 ss. del T.U.I.R.) e per gli enti non commerciali sulla base della somma
complessiva delle singole categorie reddituali (art. 143 T.U.I.R.)”.
198
Cfr. art. 55 T.U.I.R. (“Redditi d’impresa”): “[1]. Sono redditi d'impresa quelli
che derivano dall'esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si
intende l'esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, delle attività indicate
nell'art. 2195 c.c., e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell'art. 32 che
eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d'impresa. [2]. Sono inoltre
considerati redditi d'impresa: a) i redditi derivanti dall'esercizio di attività organizzate in
forma d'impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'art. 2195 c.c.; b) i
redditi derivanti dall'attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e
altre acque interne; c) i redditi dei terreni, per la parte derivante dall'esercizio delle attività
agricole di cui all'articolo 32, pur se nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle società in nome
collettivo e in accomandita semplice nonchè alle stabili organizzazioni di persone fisiche
non residenti esercenti attività di impresa. [3]. Le disposizioni in materia di imposte sui
redditi che fanno riferimento alle attività commerciali si applicano, se non risulta
diversamente, a tutte le attività indicate nel presente articolo”.
199
Cfr. Corte Costituzionale, 5 – 19 novembre 1992, n. 467, in Corr. trib., n.
47/1992, 3414, che afferma l’insufficienza dell’autoqualificazione dell’ente sulla base della
sola definizione statutaria.
Rileva dunque il criterio della prevalenza delle attività effettivamente esercitate
rispetto alle finalità statutarie.
92
rubricato “Perdita della qualifica di ente non commerciale” (c.d. criterio
sostanziale)200.
Ovviamente, in mancanza delle forme sopra menzionate, per
determinare l’oggetto principale si guarda esclusivamente all’attività
effettivamente esercitata.
2.2. La soggettività tributaria degli enti ecclesiastici
Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, dal punto di vista
fiscale, devono pertanto essere considerati enti non commerciali, non
avendo (per legge) come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di
attività commerciali, ma il perseguimento del fine di religione e di
culto201.
Si riporta il testo dell’art. 149 T.U.I.R., ai sensi del quale: “[1].
Indipendentemente dalle previsioni statutarie, l'ente perde la qualifica di ente non
commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo
d'imposta. [2]. Ai fini della qualificazione commerciale dell'ente si tiene conto anche dei
seguenti parametri: a) prevalenza delle immobilizzazioni relative all'attività commerciale, al
netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività;b) prevalenza dei ricavi derivanti da
attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le
attività istituzionali; c) prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle
entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e
le quote associative; d) prevalenza delle componenti negative inerenti all'attività
commerciale rispetto alle restanti spese. [3]. Il mutamento di qualifica opera a partire dal
periodo d'imposta in cui vengono meno le condizioni che legittimano le agevolazioni e
comporta l'obbligo di comprendere tutti i beni facenti parte del patrimonio dell'ente
nell'inventario di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600. L'iscrizione nell'inventario deve essere effettuata entro sessanta
giorni dall'inizio del periodo di imposta in cui ha effetto il mutamento di qualifica secondo i
criteri di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1974, n. 689. [4]. Le
disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come
persone giuridiche agli effetti civili ed alle associazioni sportive dilettantistiche”.
201
Si ricordi quanto già rilevato e cioè che, ai sensi dell’art. 16, lett. a), della l. n.
222/1985, ci si riferisce alle attività dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla
200
93
E peraltro, in base a quanto previsto dall'art. 149, IV co., del
T.U.I.R.202, gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti sono presunti
iuris et de iure “enti non commerciali di diritto”; e ciò anche nel caso in
cui esercitino attività di natura commerciale e perfino nell’ipotesi in cui
le attività di natura commerciale risultino di fatto prevalenti rispetto a
quelle non commerciali203.
formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione
cristiana.
202
Si tratta dell’ex art. 111-bis T.U.I.R., che è stato modificato nel senso sopra
indicato dall’art. 6, d.lgs. n. 460/1997.
La ratio della presunta natura non commerciale degli enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti deve essere rinvenuta nel fatto che per essi le attività istituzionali di ispirazione
idealistica (di religione, di culto) sono quelle principali e prevalenti e che l'esercizio di
un’attività commerciale assume soltanto un ruolo complementare o strumentale. A.
FUCCILLO, Enti ecclesiastici ed onlus: considerazioni in relazione alla fungibilità degli
schemi e strutture associative, in Riv. not., 1999, 04, 894ss., rileva che sono, infatti,
necessariamente no profit, nel senso che non possono, per ragioni strutturali, che perseguire
il no distribution constraint, con l'esclusione di ogni forma di lucro soggettivo. Secondo
l’opinione prevalente, infatti, l’ente che svolge attività di impresa non sarebbe in alcun modo
assimilabile alle società, in quanto perseguirebbe il solo lucro oggettivo (ossia un fine
lucrativo attraverso lo svolgimento di un’attività economica) e non anche lo scopo della
divisione degli utili (il c.d. lucro soggettivo) che caratterizza e contraddistingue le società.
Peraltro, si ritiene pacificamente che lo svolgimento dell’attività di impresa da parte dell’ente
ecclesiastico non contrasta con gli scopi di natura ideale e non economica che l’ente
persegue, ma può svolgere l’importante funzione di procurare i mezzi finanziari necessari e
strumentali per il perseguimento dello scopo principale.
203
Cfr. Cass., 8 settembre 1999, n. 9529, in Mass. Giust. civ., 1999, 1930, ai sensi
della quale “Ai fini della previsione di cui alla seconda parte dell'art. 108 del D.P.R. n. 917
del 1986, la quale esclude dall'assoggettamento ad IRPEG i redditi provenienti, agli enti
non commerciali di cui alla lett. c) del comma primo dell'art. 87 dello stesso D.P.R., dallo
svolgimento di attività di "prestazioni di servizi non rientranti nell'art. 2195 cod. civ., rese in
conformità alle finalità` istituzionali dell'ente senza specifica organizzazione e verso il
pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione", va escluso che
la funzione educativa e di istruzione svolta da un asilo da essa gestito rientri nelle finalità
istituzionali di una parrocchia, posto che esso asilo si pone all'esterno del ruolo istituzionale
svolto dall'ente nel suo rapporto di ordine religioso con la comunità dei fedeli; va altresì
escluso che la gestione di un tal tipo di attività non richieda una specifica organizzazione
(mezzi materiali, strutture adeguate, personale docente e non)”. Sono peraltro numerosi altri
provvedimenti giurisdizionali che rilevano ad esempio che Istituti religiosi che svolgono
l'attività di scuola e casa per ferie sono (rimangono) enti non commerciali che svolgono
un'attività di natura commerciale.
94
Per quanto riguarda invece gli enti ecclesiastici privi del
riconoscimento agli effetti civili o comunque di quegli enti (come le
associazioni private di fedeli) che, pur sorti nell'ordinamento canonico,
vengono riconosciuti soltanto in base alla normativa comune, il carattere
commerciale o non commerciale viene rilevato sulla base di ricognizione
specifica, basata sul tipo di attività svolta204.
Va precisato che il nostro ordinamento riconosce agli enti non
commerciali una capacità contributiva limitata; in altri termini,
contrariamente a quanto previsto per gli altri soggetti, concorrono, ai
sensi dell’art. 143 T.U.I.R. (ex art. 108), alla formazione del loro reddito
imponibile complessivo soltanto le categorie dei redditi fondiari, di
capitale, dei redditi d’impresa e diversi ovunque prodotti e quale ne sia la
destinazione, ad esclusione di quelli esenti dall’imposta e di quelli
soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva
(es. interessi bancari, interessi sui titoli di Stato) 205 206.
204
Cfr. Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate, 4 marzo 2003, in
www.agenziaentrate.gov.it (banca dati on line, a cura del CERDEF).
205
Cfr. artt. 67 – 71 e 143 – 149 del D.P.R. n. 917/1986 (modificato dal d.lgs. n.
344/2003).
206
Si precisi inoltre che, ai sensi dell’art. 36, III co., D.P.R. n. 917/1986, gli immobili
destinati all’esercizio del culto, ed anche le pertinenze dei medesimi, non producono reddito
fondiario; ciò a meno che tali unità immobiliari siano oggetto di locazione. Inoltre, non
costituiscono reddito: 1) i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate
occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori,
in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione (es. offerte,
collette, liberalità, iscrizioni a corsi di catechesi); 2) i contributi corrisposti da
Amministrazioni pubbliche per lo svolgimento convenzionato di attività aventi finalità
sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali.
95
2.3. Il quadro delle agevolazioni fiscali previste a favore degli enti
ecclesiastici 207
Premesso ciò, occorre dunque evidenziare che gli enti ecclesiastici
civilmente riconosciuti beneficiano di numerose agevolazioni di natura
fiscale208
essendo normativamente previste specifiche deroghe alle
discipline dei singoli tributi; in particolare, può essere determinata la non
applicazione degli stessi tributi ovvero una riduzione del prelievo209.
L’art. 7.3 dell’Accordo del 1984 con la Chiesa Cattolica210, ma
anche norme analoghe previste nelle leggi di approvazione delle
Intese211, sanciscono che gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di
207
Cfr., P. RONZANI, Il regime tributario degli enti ecclesiastici, Padova, 2000; S.
CARMIGNANI CARIDI, Il regime tributario dell’ente ecclesiastico, in J. I. ARRIETA (a cura
di), Enti ecclesiastici e controllo dello Stato Venezia, 2007, 211 ss.; L. FUARDO,
Agevolazioni tributarie ed enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, in Dir. eccl., 2000, 4,
417 ss.
208
Sul tema, cfr., in particolare, P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano,
2002, 133 ss. ; A. FANTOZZI, Diritto Tributario, Torino, 2003, 46 ss., secondo cui “le ragioni
del trattamento giuridico di favore sono di natura extrafiscale, ossia nella volontà di
perseguire finalità di politica economica, sociale, culturale o, comunque, finalità ritenute
meritevoli di tutela dalle norme costituzionali”; A CARMENI, Le agevolazioni tributarie per
gli Enti ecclesiastici, in Dir. ed economia assicur., 2012, 04, 527.
Per agevolazioni tributarie si intendono le esenzioni (totali o parziali) dal tributo, i
regimi sostitutivi d'imposta, i crediti ed i buoni d'imposta. Da non confondere con esse sono
dunque gli aiuti economici che gli Enti ecclesiastici possono percepire direttamente dallo
Stato o comunque da soggetti pubblici (contributi o sovvenzioni) oppure da soggetti privati
(donazioni e atti di liberalità).
209
Nel prosieguo, verrà affrontato il tema dell’assimilazione delle agevolazioni
fiscali agli aiuti di ed al presunto contrasto con le disposizioni contenute nell'art. 87 del
Trattato U.E.
210
E già l’art. 29, lett. h), del Concordato del 1929, che si riferisce in realtà più
genericamente agli enti ecclesiastici.
211
Cfr., in particolare: art. 23 l. n. 516/1988 (Norme per la regolazione dei rapporti
tra lo Stato e l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del settimo giorno); art. 27 l.
n. 101/1989 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l'Unione delle Comunità
ebraiche italiane); art. 14 l. n. 116/1995 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato
e l'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia - UCEBI); art. 25 l. n. 520/1995 (Norme per
la regolazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa Evangelica Luterana in Italia - CELI). Si
rileva, tuttavia, anche qualche eccezione in merito, e precisamente: l'art. 12, ult. co., l. n.
449/1984 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Chiese rappresentate dalla
96
culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli
aventi fine di beneficenza o di istruzione212.
Va anche rilevato che il medesimo articolo sopra citato afferma
poi che le attività diverse
213 214
da quelle di religione o di culto, che gli
enti ecclesiastici possono comunque svolgere, sono invece soggette, nel
rispetto della struttura e della finalità di tali enti, “alle leggi dello Stato
concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime”
215 216
.
Tavola Valdese) stabilisce che gli enti da esso disciplinati sono soggetti al regime tributario
previsto dalle leggi dello Stato; l'art. 17 l. n. 517/1988 (Norme per la regolazione dei
rapporti tra lo Stato e le Assemblee di Dio in Italia) ha lo stesso tenore letterale dell'art. 12 l.
n. 449/1984. Cfr. altresì art. 12 r.d. n. 289/1930, ai senso del quale “Relativamente agli atti
compiuti nell'interesse di istituti, eretti in ente morale, dai culti ammessi nello Stato, il fine
di culto è, a tutti gli effetti tributari, equiparato a quello di beneficenza e di istruzione”.
212
Si evidenzino alcuni principi generali in materia fiscale applicabili agli enti
ecclesiastici civilmente riconosciuti: 1) gli enti non commerciali devono avere ciascuno il
proprio codice fiscale; non sono tenuti ad avere la partita IVA, a meno che esercitino
abitualmente anche un’attività commerciale; 2) sono sostituti d’imposta e devono perciò
operare e versare le ritenute fiscali IRPEF in relazione ad eventuali retribuzioni ai dipendenti
e compenso ai professionisti, rilasciare agli stessi le certificazioni annuali (modello CUD o
altro documento previsto dalla normativa fiscale) e fare la relativa dichiarazione (modello
770); comunque sia, non sono sostituti d’imposta per le remunerazioni ai sacerdoti che
svolgono servizio presso di essi, in quanto tale compito è attribuito per legge all’Istituto
centrale per il sostentamento del clero (art. 25, l. n. 222/1985); 3) nel campo delle imposte
dirette erariali sono soggetti, se hanno redditi imponibili, al pagamento dell’IRES, nonché
alla presentazione annuale della dichiarazione dei redditi.
213
Per le attività diverse, si ricordi che esse sono previste dall’art. 16, lett. b, l. n.
222/1985. La giurisprudenza più recente rileva che le finalità diverse dal culto, e a quello
correlate, perseguite dall’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto sono manifestazione
della primaria libertà dell’individuo e, sotto questo profilo, sono equiparate alla nozione di
sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, IV co., Cost..; si riconosce l’utilità collettiva di
tali attività diverse.
214
G. CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, cit., 311, rileva che
negli ultimi decenni il rilievo delle c.d. attività diverse degli enti religiosi si è accresciuto in
misura consistente e ciò deriva da quanto rilevato nel primo capitolo, e cioè dal
ridimensionamento dei compiti dello Stato moderno alla luce sia del principio di
sussidiarietà sia della trasformazione e della crisi dello stato sociale.
215
Cfr. art. 8 D.P.R. 13 febbraio 1987, n. 33 (“Approvazione del regolamento di
esecuzione della l. n. 222/1985, recante disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e
97
A questo punto occorre pertanto esaminare quali siano le
agevolazioni di cui beneficiano gli enti ecclesiastici in particolare in base
alla equiparazione attività dirette ai fini di religione o di culto - attività
aventi fine di beneficenza o di istruzione, precisando che in ogni caso le
norme che prevedono agevolazioni fiscali per gli enti confessionali
devono essere considerate, al pari delle altre, di stretta interpretazione217.
per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi”); esso stabilisce che l'ente
ecclesiastico che svolga attività per le quali le leggi tributarie prescrivano la tenuta di
scritture contabili, sia obbligato ad adeguarsi al dettato della normativa e quindi ad osservare
le norme circa tali scritture relative alle specifiche attività esercitate. Non vi è dunque alcuna
esenzione speciale da obblighi e oneri civilistici; infatti l’ente confessionale usufruisce di un
regime di specialità riguardo alle sole attività di religione e di culto.
216
Nella rinnovata ottica della welfare society e del principio di sussidiarietà
orizzontale, infatti anche alcune attività “diverse” da quelle di religione e di culto esercitate
dagli enti ecclesiastici sono in grado di poter assurgere ad un autonomo regime di tutela e di
agevolazione, nell’ambito dell’ampia normativa di favore concessa nei confronti del terzo
settore.
In quest’ottica si vengono ad inserire interventi legislativi e giurisprudenziali, quali
le sentenze nn. 173/1981 e 396/1988 della Corte Costituzionale le quali hanno privatizzato il
settore dell’assistenza, in precedenza disciplinato dalla legge Crispi 6972/1890, la quale
aveva trasformato le antiche “opere pie” in Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza
(c.d. IPAB), di natura pubblicistica. Così nella legge quadro 328/2000 (cfr. I cap., par. 1.2),
in materia di sistema integrato di interventi e servizi sociali, si è riconosciuta agli enti
riconducibili alle confessioni religiose con le quali lo Stato abbia stipulato intese ed accordi
una specifica e peculiare tutela.
Importante è altresì la l. n. 206/2003 (cfr. I cap., par. 1.2) in base alla quale lo Stato
riconosce e incentiva la funzione educativa e sociale svolta nella comunità locale, mediante
le attività di oratorio o attività similari, dalle parrocchie e dagli enti ecclesiastici della Chiesa
Cattolica, nonché dagli enti delle altre confessioni religiose con i quali lo Stato ha stipulato
un’Intesa. Occorre ricordare che l’oratorio non rappresenta un soggetto giuridico autonomo,
ma si sostanzia piuttosto in un’attività esercitata dall’ente ecclesiastico civilmente
riconosciuto, non rientrante in quelle di religione e di culto.
217
Cfr. Cass. 11 gennaio 2006 n. 381, in Giust. civ. Mass., 2006, 2, che ha affermato
che la disposizione contenuta nell’art. 8, comma 3, l. 16 dicembre 1977 n. 904, in tema di
godimento dell'esenzione dall'in.v.im. decennale, prevista a favore dei “benefici
ecclesiastici”, come tutte le norme che prevedono agevolazioni fiscali, andasse considerata di
stretta interpretazione.
98
2.4. La riduzione ai fini dell’imposta sul reddito delle società (IRES) e
la disciplina in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA).
Per quanto concerne le imposte sui redditi, va premesso che non vi
sono dubbi sulla soggettività passiva degli Enti ecclesiastici sia
civilmente riconosciuti che non, in quanto l’art. 73, I co., lett. c) del
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.) sancisce che sono soggetti
passivi dell’imposta sul reddito delle società (c.d. I.R.ES.), tra gli altri,
“gli enti pubblici e privati, diversi dalle società… che non hanno per
oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali”218 ed il
successivo II co., chiarisce che “tra gli enti diversi dalle società, di cui
alle lettere b) e c) del comma 1, si comprendono, oltre alle persone
giuridiche, le associazioni non riconosciute219, i consorzi e le altre
organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti
delle quali il presupposto dell'imposta si verifica in modo unitario e
autonomo”220
221
.
218
Si noti che, tra i soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche,
la disciplina antecedente, contenuta nell’art. 87, I co., lett. c), T.U.I.R., comprendeva “tutti
gli Enti ecclesiastici, con o senza personalità giuridica, residenti nel territorio dello Stato
non aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di una attività commerciale”.
219
In particolare, la soggettività passiva, ai fini I.R.E.S., degli enti ecclesiastici non
riconosciuti si desume proprio dal riferimento alle “associazioni non riconosciute” operato
dal disposto di cui all'art. 73, II co., del T.U.I.R. Si evidenzi che detto art. 73 è stato
modificato dal d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344.
220
Si ricordi poi quanto sopra evidenziato e cioè che in virtù del disposto di cui
all'art. 149 del T.U.I.R., gli enti ecclesiastici riconosciuti agli effetti civili si configurano, per
presunzione assoluta di legge, come enti non commerciali di diritto e ciò anche nel caso in
cui esercitino attività di natura commerciale.
221
L’ente ecclesiastico deve in tal caso iscriversi negli elenchi dell’Anagrafe
Tributaria; l’iscrizione nei registri camerali potrebbe invece avvenire soltanto nel caso in cui
l’ente ottenesse il rilascio di un’autorizzazione amministrativa necessaria per lo svolgimento
di una specifica attività commerciale.
99
In virtù della prima equiparazione sopra menzionata, in materia di
imposte sui redditi, gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti222
godono dell’agevolazione disposta dagli artt. 6 (“Riduzione dell’imposta
sul reddito delle persone giuridiche”), I co., lett. c), e II co., d.p.r. n. 601
del 1973223
224
(come modificato dall’art. 66, VIII co., d.l. n. 331/1993,
convertito in l. n. 427/1993), in base alla quale
l’I.R.E.S.
(precedentemente l’IRPEG) è ridotta del 50%.
Come chiarito dal parere 8 ottobre 1991, n. 1296 del Consiglio di
Stato e dalla giurisprudenza di legittimità, l’agevolazione in esame non
ha natura meramente soggettiva in quanto, se, da un lato, non è
applicabile a soggetti diversi da quelli contemplati dalla norma, ancorché
svolgenti attività analoga, essa non spetta, tuttavia, per il solo fatto della
natura del soggetto. Le attività commerciali svolte dagli enti ecclesiastici
non possono rientrare nell’agevolazione. Ove tuttavia gli enti
ecclesiastici svolgano insieme attività di natura commerciale ed attività
di carattere istituzionale, l'applicazione del beneficio dovrebbe ritenersi
possibile soltanto a condizione che l'attività in concreto esercitata
dall'ente, come descritta nell'atto costitutivo, non abbia carattere
commerciale in via esclusiva o prevalente; ed inoltre, ove si sia in
222
Gli enti ecclesiastici non riconosciuti sono assoggettati a tassazione ordinaria.
In materia di “Disciplina delle agevolazioni tributarie”; esso è in Suppl. ord.
G.U., 16 ottobre 1973, n. 268.
224
Si riporta il testo dell’art. 6, “Riduzione dell’imposta sul reddito delle persone
giuridiche”, ai sensi del quale: “ [1]. L'imposta sul reddito delle persone giuridiche è ridotta
alla metà nei confronti dei seguenti soggetti: a) enti e istituti di assistenza sociale, società di
mutuo soccorso, enti ospedalieri, enti di assistenza e beneficienza; b) istituti di istruzione e
istituti di studio e sperimentazione di interesse generale che non hanno fine di lucro, corpi
scientifici, accademie, fondazioni e associazioni storiche, letterarie, scientifiche, di
esperienze e ricerche aventi scopi esclusivamente culturali; c) enti il cui fine è equiparato
per legge ai fini di beneficenza o di istruzione; c - bis) Istituti autonomi per le case popolari,
comunque denominati, e loro consorzi. [2]. Per i soggetti di cui al comma 1 la riduzione
compete a condizione che abbiano personalità giuridica”.
223
100
presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente, la stessa deve
essere in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con i fini di
religione e di culto, dovendo altrimenti essere classificata come attività
diversa, soggetta all'ordinaria tassazione225.
In altri termini, l’agevolazione suddetta sarebbe applicabile
“soltanto se l’attività esercitata in concreto dagli enti” restasse
“nell’ambito dei loro fini istituzionali tipici, ovvero si ponga in rapporto
di strumentalità diretta ed immediata con quei fini”226. In virtù di questa
interpretazione (restrittiva), la Cassazione, con sentenza in data 8
settembre 1999, n. 9529227, ha escluso che “la funzione educativa e di
istruzione svolta da un asilo da gestito da una parrocchia rientri nelle
225
Cfr. Cass. 29 marzo 1990, n. 2573, in Dir. e prat. trib., 1992, II, 520 (ed
analogamente, Cass., 15 febbraio 1995, n. 1633, in Riv. dir. trib., 1995, II, 1345), secondo
cui “Al fine del riconoscimento del beneficio della riduzione alla metà dell'aliquota
dell'IRPEG…in favore degli enti equiparati a quelli di beneficenza od istruzione, come gli
enti ecclesiastici con fini di religione o di culto, non è sufficiente che detti enti siano sorti
con tali enunciati fini, ma occorre altresì accertare, alla stregua del coordinamento della
citata norma con gli artt. 1 e 2 del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598 istitutivo dell'IRPEG che
l'attività in concreto esercitata dagli enti medesimi (come descritta nell'atto costitutivo, con
precisa indicazione dell'oggetto, ovvero, in difetto, come effettivamente svolta) non abbia
carattere commerciale, in via esclusiva o principale, e, inoltre, in presenza di un`attività
commerciale di tipo non prevalente (nella specie, attività editoriale), che la stessa sia in
rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini di religione e di culto, e quindi,
non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti,
(dovendo altrimenti essere classificata come "attività diversa", soggetta all'ordinaria
tassazione)”. Cfr., altresì, Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate, 19 luglio 2005, n. 91, in
www.agenziaentrate.gov.it (banca dati on line, a cura del CERDEF), sulle attività di cura
corporale degli infermi svolte da un ente ecclesiastico cattolico. Inoltre, Cons. Stato, parere 8
ottobre 1991, n. 1296, citato anche nel testo, il quale afferma che per l'operatività
dell'agevolazione non è più sufficiente l'elemento soggettivo dato dalla natura dell'ente, ma è
anche necessario il concorso di un elemento oggettivo dato dal tipo di attività svolta, per
modo che le attività diverse da quelle di religione o di culto non concorrerebbero più a
formare il presupposto di operatività dell'agevolazione e, quindi, sconterebbero l'imposta in
misura ordinaria.
226
G. CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, cit., 306. Cfr. anche P.
FLORIS, L’ecclesiasticità degli enti. Standards normativi e modelli giurisprudenziali, Torino,
1997, 245ss.
227
In Quad. dir. pol. eccles., 2000, 735.
101
sue finalità istituzionali, posto che esso asilo si pone all'esterno del
ruolo istituzionale svolto dall'ente nel suo rapporto di ordine religioso
con la comunità dei fedeli”, ed inoltre ha affermato che “va altresì
escluso che la gestione di un tal tipo di attività non richieda una
specifica organizzazione (mezzi materiali, strutture adeguate, personale
docente e non)”.
Secondo taluni, tale impostazione svuoterebbe di senso la norma
agevolativa (sarebbe, infatti, - secondo tale interpretazione - applicabile
ad attività che già di per se non sono produttrici di reddito) e non
terrebbe in sufficiente conto nemmeno la nuova versione dell’art. 149,
IV co., del TUIR relativa alla perdita di qualifica dell’ente non
commerciale (che non riguardano mai l’Ente ecclesiastico civilmente
riconosciuto).
In merito al parere richiesto circa l’applicabilità dell’agevolazione
di cui si tratta ad un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto che
gestisce una attività di tipo ospedaliero e, quindi, in relazione alla attività
di cura corporale degli infermi, l’Agenzia delle Entrate, con ris. del 19
luglio 2005, n. 91/E , ha fornito risposta negativa. Ha infatti rilevato che,
ai fini del riconoscimento dell’agevolazione, il requisito soggettivo non è
sufficiente e che la riduzione dell’imposta può in concreto applicarsi solo
in relazione alle attività dirette di culto e religione nonchè a quelle
diverse per le quali sia riconosciuto il nesso di strumentalità immediata e
diretta. In particolare, si dice che l’“assistenza agli infermi, attività che
caratterizza statutariamente l’ente in esame, si concreta tanto in
un’assistenza spirituale, rientrante come tale tra le attività di religione e
culto (in particolare, cura delle anime) quanto in un’assistenza
corporale, esercitata nelle forme di vera e propria attività sanitaria,
come tale oggettivamente commerciale, inquadrabile tra le attività
102
“diverse”. Per quest’ultima peraltro, non è dato riscontrare un nesso di
strumentalità diretta ed immediata con il fine di religione e culto che il
legislatore ha inteso tutelare e che, ai sensi dell’articolo 15 della legge
222 del 1985, ricomprende le sole attività dirette “all’esercizio del culto,
alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi
missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana”.
In estrema sintesi, l’agevolazione deve essere ritenuta applicabile
solo in presenza di due requisiti, quello soggettivo (ente ecclesiastico
civilmente riconosciuto) e quello oggettivo (svolgimento di una delle
attività che il legislatore ha voluto incentivare)228 229.
Ricordato che l'imposta sul valore aggiunto (I.V.A.) è un'imposta
indiretta generale sui consumi, introdotta nel nostro ordinamento dal
D.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972, che è dovuta in caso di operazione di
cessione di beni o di prestazione di servizi, effettuata nell'esercizio di
imprese, arti o professioni, realizzata all'interno dello Stato, va rilevato
228
Relativamente al fenomeno Scientology, cfr. Cass. sez. pen., 23 febbraio 2000, n.
2081, in Quad. dir. pol. eccles., 2000, 725, secondo cui “Pur ammettendo il carattere
religioso delle Chiesa di Scientology e delle sue articolazioni come i Centri Narconon
Albatros, considerata la specifica organizzazione che li caratterizza e le prestazioni di
servizi, a fronte di corrispettivi più che remunerativi rispetto ai costi, si deve ritenere che
quei centri devono soggiacere ai fini tributari al trattamento degli enti commerciali, sia per
quanto attiene alle imposte dirette sui redditi sia per quanto riguarda l'i.v.a.. Alla stessa
conclusione si può giungere anche a seguito dell'evoluzione legislativa, segnata dai d.lg. n.
460 del 1997 e n. 422 del 1998, sul riordino della disciplina tributaria degli enti non
commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), che hanno
introdotto significative restrizioni alle esenzioni fiscali degli enti religiosi, sia in materia di
i.v.a. che in materia di i.r.pe.g.. In particolare, l'esenzione tributaria per le attività svolte da
questi enti, in attuazione degli scopi istituzionali a favore degli iscritti, associati o
partecipanti, verso il pagamento di contributi specifici, è accordata solo a condizione che lo
statuto dell'ente contenga clausole determinate, sintomaticamente assunte come "indici di
non commercialità”.
229
Per completezza, cfr., altresì, l’art. 2 del D.P.R. n. 601/1973, che esenta
dall'imposta sul reddito delle società “il reddito dei fabbricati di proprietà della Santa Sede
indicati negli artt. 13, 14, 15 e 16 del trattato lateranense 11 febbraio 1929, reso esecutivo
con la legge 27 maggio 1929, n. 810”;
103
che gli enti ecclesiastici sono esclusi, di regola, dall'ambito di
applicazione dell' I.V.A.; ciò in quanto non hanno come oggetto
principale l’esercizio abituale di una attività commerciale.
Ovviamente, l’esclusione si ha quando le operazioni commerciali
siano sporadiche e non abituali; il discorso cambia ovviamente in caso di
“non saltuarietà” delle “operazioni di cessioni di beni e di prestazioni di
servizi”.
In ogni caso, è fondamentale citare l’esenzione prevista dall’art. 10, I
co., n. 12, D.P.R. n. 633/1972230 per le cessioni gratuite di beni “fatte ad
enti
pubblici,
esclusivamente
associazioni
finalità
di
riconosciute
assistenza,
o
fondazioni
beneficenza,
aventi
educazione,
istruzione, studio o ricerca scientifica e alle ONLUS”.
Si considerino inoltre le agevolazioni di cui all’art. 4, IV co., del
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ai sensi del quale per gli enti indicati nel
n. 2 del II co. del medesimo articolo (enti pubblici e privati, compresi i
consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità
giuridica e le società semplici) che non abbiano per oggetto esclusivo o
principale l'esercizio di attività commerciale o agricole, “si considerano
effettuate nell'esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le
prestazioni di servizi fatte nell'esercizio di attività commerciali o
agricole. Si considerano fatte nell'esercizio di attività commerciali anche
le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o
partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi
supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse
Si riporta il testo dell’articolo, “Operazioni esenti dall'imposta”, secondo cui “”
Sono esenti dall'imposta: 12) le cessioni di cui al n. 4) dell'art. 2 fatte ad enti pubblici,
associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza,
beneficenza, educazione, istruzione, studio o ricerca scientifica e alle ONLUS”.
230
104
prestazioni alle quali danno diritto, ad esclusione di quelle effettuate in
conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e
di categoria, religiose, assistenziali, culturali sportive dilettantistiche, di
promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona,
anche se rese nei confronti di associazioni che svolgono la medesima
attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di una unica
organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o
partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali” 231.
2.5. L’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili (ICI) 232
Istituito dal d.lgs. n. 504/1992 (in attuazione della legge delega n.
421/1992, ed entrata in vigore il 1 gennaio 1993), l’ICI è stato un tributo
diretto reale avente struttura di imposta patrimoniale; il presupposto
impositivo era costituito dal mero possesso di fabbricati, aree
fabbricabili e terreni agricoli situati nel territorio dello Stato,
indipendentemente dalla loro attitudine a produrre reddito233.
Soggetto passivo era dunque il proprietario dell'immobile, il
titolare di un diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi,
231
Cfr., Cass. 17 giugno 2008, n. 16345, in banca dati deJure, che rileva che il fatto
che l’associazione abbia natura religiosa non esclude che la stessa svolga anche attività di
natura commerciale, la quale è assoggettata ai tributi previsti per tale attività.
232
Sul tema, cfr., M. PISTILLI, Enti ecclesiastici ed esenzione dall’IMU, in Immobili
e proprietà, 2012, 2, 103 ss.; L. FERLAZZO NATOLI, Esenzione Ici alla Chiesa e posizione
dell’UE: dibattito ancora aperto, in Bollettino tributario d’informazioni, 2011, 3, 165 ss.;
A. MONDINI, Enti ecclesiastici ed esenzione dall’ICI, in Studium iuris, 2008, 6, 679 ss.; M.
ALLENA, Esenzione ICI per gli enti ecclesiastici che svolgono attività assistenziale in regime
convenzionale tra carattere solidaristico e non commercialità, in GT – Rivista di
Giurisprudenza Tributaria, n. 8/2009, 718.
233
Era destituita di ogni rilevanza l'utilizzazione cui l'immobile fosse adibito o la
correlazione con l'attività d'impresa e, pertanto, venivano a tali fini assoggettati al tributo
anche gli immobili strumentali.
105
superficie, nonché il locatario di una locazione finanziaria, o il
concessionario su aree demaniali. Il gettito era destinato ai Comuni.
L’art. 7 del decreto istitutivo dell'ICI prevedeva numerose ipotesi
di esenzione (che sono rimaste in vigore a seguito dell’istituzione
dell’I.M.U., su cui si chiarirà infra)234; quelle attinenti alla nostra materia
sono due.
La prima, contenuta nella lett. d), è riferita ai fabbricati destinati
esclusivamente all'esercizio del culto e alle relative pertinenze235.
Cfr. art. 7, secondo cui: “[1]. Sono esenti dall'imposta: a) gli immobili posseduti
dallo Stato, dalle regioni, dalle province, nonchè dai comuni, se diversi da quelli indicati
nell'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 4, dalle comunità' montane, dai consorzi fra
detti enti, dalle unità sanitarie locali, dalle istituzioni sanitarie pubbliche autonome di cui
all'articolo 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, dalle camere di commercio, industria,
artigianato ed agricoltura, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali; b) i fabbricati
classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9; c) i fabbricati con
destinazione ad usi culturali di cui all'articolo 5- bis del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, e successive modificazioni; d) i fabbricati destinati
esclusivamente all'esercizio del culto, purchè compatibile con le disposizioni degli articoli 8
e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze; e) i fabbricati di proprietà della Santa Sede
indicati negli articoli 13, 14, 15 e 16 del Trattato lateranense, sottoscritto l'11 febbraio 1929
e reso esecutivo con legge 27 maggio 1929, n. 810; f) i fabbricati appartenenti agli Stati
esteri e alle organizzazioni internazionali per i quali e' prevista l'esenzione dall'imposta
locale sul reddito dei fabbricati in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia; g)
i fabbricati che, dichiarati inagibili o inabitabili, sono stati recuperati al fine di essere
destinati alle attività assistenziali di cui alla legge 5 febbraio 1992, n 104, limitatamente al
periodo in cui sono adibiti direttamente allo svolgimento delle attività predette; h) i terreni
agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge
27 dicembre 1977, n. 984; i) gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'articolo 87,
comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati
esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche,
ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonchè delle attività di cui all'articolo 16, lettera a),
della legge 20 maggio 1985, n. 222”.
E’ opportuno anche precisare quanto riportato dal II co.: “[2]. L'esenzione spetta
per il periodo dell'anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte”. Cfr. M. DEL
VAGLIO, Per l'esenzione Ici sugli immobili la destinazione effettiva prevale sulla categoria
catastale, in Corr. trib.,2010, 3876 ss., rileva che il comune denominatore di tutte le ipotesi
tassativamente elencate dalla norma menzionata sembra essere il fatto di rispondere a
interessi extrafiscali.
235
Va rilevato che un regime fiscale speciale è previsto anche in via pattizia per gli
immobili appartenenti agli enti ecclesiastici menzionati agli artt. 13 – 16 .
234
106
Relativamente al problema delle pertinenze delle parrocchie, e
quindi al fine di valutare l'applicabilità o meno dell'esenzione Ici, la
giurisprudenza ha affermato di recente che “il rapporto pertinenziale tra
la chiesa parrocchiale ed una casa sita nei pressi della stessa e destinata
ad abitazione del parroco non è desumibile esclusivamente dall'esistenza
di un risalente atto di destinazione dell'autorità ecclesiastica,
occorrendo altresì una verifica in ordine alla persistenza dell'effettiva
destinazione, in quanto il rapporto pertinenziale può ben essere risolto
anche da comportamenti concludenti”236 .
La seconda ipotesi di esenzione è disciplinata dall’art. 7, lett. i), ed
è relativa agli immobili utilizzati dagli enti non commerciali e destinati
esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali,
G. CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, cit., 310, rileva che tale
esenzione riguarderebbe esclusivamente le imposte che gravano sui redditi degli immobili in
questione e non già la tassa rifiuti, la quale ha valenza specifica di corrispettivo di un
servizio legato alla qualità e quantità dei rifiuti prodotti dal soggetto passivo e quindi è
esclusa solo per gli edifici destinati al culto, in quanto incapaci di produrre rifiuti per loro
natura, ma è dovuta per gli edifici dell’Università pontificia Gregoriana (Cass. n. 4027/2012,
in Riv. giur. edil. 2012, 2, I, 470).
236
Si tratta di Cass. 12 maggio 2010, n. 11437, in Giust. civ. Mass., 2010, 5, 726,
secondo cui la circostanza che il parroco aveva trasferito la residenza, sia anagrafica che
effettiva, in altro comune da oltre due anni era elemento che, salva prova contraria gravante
sul contribuente, poteva far ritenere venuto meno il rapporto pertinenziale. Cfr., altresì, la più
risalente Cass. 17 ottobre 2005, n. 20033, in Giust. civ. Mass., 2010, 10, secondo cui “In
tema di imposta comunale sugli immobili (i.c.i.), ai fini dell'applicazione dell'esenzione
prevista dall'art. 7, comma 1, lett. d), d.lg. 30 dicembre 1992 n. 504 a favore dei fabbricati
destinati esclusivamente all'esercizio del culto e delle loro pertinenze, si deve presumere, in
base all’ “id quod plerumque accidit” - salva prova contraria, che deve essere fornita dal
comune che pretenda di assoggettare l'immobile ad imposizione - che la casa sita nei pressi
di una chiesa sia destinata, quale casa canonica, ad abitazione del parroco addetto alla
chiesa, e costituisca, dunque, pertinenza di questa, senza che assumano rilievo, in senso
contrario, nè la circostanza che il parroco abbia la residenza anagrafica in altro comune o
comunque non risieda, temporaneamente, in quella casa, essendo il vincolo pertinenziale
collegato ai beni e non alle persone che si trovano ad operare nei fabbricati in questione
(chiesa e casa canonica); nè la categoria nella quale la casa canonica risulti iscritta in
catasto (nella specie, categoria A/4, corrispondente alle abitazioni di tipo popolare),
giacché la situazione di fatto prevale rispetto all'accatastamento del bene”.
107
sanitarie, didattiche, ricettive, culturali e sportive, nonché delle attività di
religione e di culto.
Le condizioni necessarie previste dal testo originario erano:
1) immobili utilizzati da enti non commerciali (c.d. requisito
soggettivo);
2) e destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività237
tassativamente indicate a vocazione sociale e filantropica (quelle
assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali,
ricreative, sportive e di religione o culto) (c.d. requisito oggettivo)238;
Non era originariamente prevista nessuna prescrizione circa le
modalità di svolgimento dell’attività; si riteneva inoltre che nell’unità
immobiliare dovesse essere svolta solo l’attività esente e quindi non
fosse possibile una devoluzione anche ad altri usi239.
Come sopra rilevato, gli enti ecclesiastici sono enti non
commerciali per definizione; per essi dovrebbe dunque applicarsi
l’esenzione esaminata relativamente agli immobili ove svolgono sia le
attività di religione o culto (ex art. 16, lett. a, l. n.222/1985) sia le altre
sopra indicate.
237
Cfr., Cass. 20 maggio 2005, n. 10646, in Giust. Civ. Mass., 2005, 5, che chiarisce
che “l'esenzione non spetta qualora la destinazione statutaria dell'ente soggettivamente
esente rientri nel paradigma della norma agevolativa, ma in concreto si associ ad essa
attività diversa, dalla medesima norma non contemplata”.
238
Cfr. Consiglio di Stato, parere n. 266 del 18 giugno 1996, secondo cui “ove si
tratti … di un intero immobile destinato solo in parte, seppure prevalente, alle finalità
favorite dalla legge, il carattere restrittivo della ripetuta norma che richiede l' "esclusività"
della destinazione, impedisce comunque l'attribuzione della agevolazione fiscale”.
239
Si riteneva che occorresse verificare che ogni immobile fosse utilizzato totalmente
per lo svolgimento delle particolari attività richiamate dalla norma di esenzione. Pertanto,
l'esenzione non poteva essere riconosciuta nei casi in cui l’immobile fosse destinato, oltre
che ad una delle attività agevolate, anche ad altri usi (Cfr. fra tutte: Corte di Cassazione
sentenze 16 marzo 2005, n. 5747, in Giust. civ. Mass. 2005, 3 e 13 maggio 2005, n. 10092,
inedita).
108
Sul tema, si è da subito cominciato a discutere circa la necessità
della non commercialità dell’attività e si è inizialmente formato un
orientamento giurisprudenziale piuttosto restrittivo240, che ha di fatto
introdotto come ulteriore requisito (rispetto a quelli chiaramente indicati
dalla legge) che l’attività non venisse svolta in forma commerciale; in
particolare, è stato sottolineato che “il beneficio dell'esenzione
dall'imposta non spetta in relazione agli immobili, appartenenti ad un
ente ecclesiastico, che siano destinati allo svolgimento di attività
oggettivamente commerciali”, attività che, come noto, non rientrano, a
rigore letterale, nella norma in esame ma sono riconducibili nell'ambito
dell'art. 16, lett. b, l. 20 maggio 1985 n. 222 241.
240
Criticato dalla dottrina, in particolare, da E. DE MITA, Il regime tributario, in D.
PERSANO (a cura di), Gli edifici di culto fra Stato e confessioni religiose, Milano 2008, 251.
Si ritiene che l'attuazione della norma di esenzione nel senso descritto circoscrive il
suo ambito di operabilità a ben poche ipotesi, quali, ad esempio, il caso dell'episcopio o
palazzo vescovile, ossia l'immobile destinato all'esercizio del ministero proprio del vescovo
diocesano (can. 381-402 del codice di diritto canonico).
241
Fra virgolette, è citata la massima di Cass. 8 marzo 2004 n. 4645, in Vita not.
2004, 431, che ritiene dovuto il pagamento dell’imposta riferito ad un immobile destinate
alla gestione di pensionati con il pagamento di rette (attività oggettivamente commerciale).
Cfr., M. MICCINESI, L’incidenza del diritto comunitario sulla fiscalità degli enti e
delle confessioni religiose, Relazione tenuta al Convegno di studi sul tema “Diritto della
Unione Europea e status delle confessioni religiose” (Roma, Istituto Sturzo, 8-9 ottobre
2010), in Stato, Chiese e pluralismo confessionale (rivista telematica in
http://www.statoechiese.it), novembre 2010, 10 ss, secondo cui “l’esistenza di un’impresa
commerciale – sia agli effetti dell’ordinamento interno, sia ai fini del sindacato comunitario
– non può essere desunta in funzione del carattere corrispettivo dell’attività svolta. Infatti, la
tesi dell’automatica commercialità delle attività svolte dietro corrispettivo non ha riscontro
nell’assetto dell’ordinamento tributario. Anche in ambito fiscale l’attività è economica in
quanto rivolta quantomeno alla integrale copertura dei costi di produzione, ossia quando non
è gestita in termini di erogazione delle risorse; all’attività economica corrisponde la nozione
giuridica di attività di impresa giacché la idoneità a remunerare fattori produttivi implica la
stabile capacità di autodeterminarsi nei rapporti economici e sul mercato…. L’economicità
viene pertanto a mancare non solo quando l’attività non è corrispettiva ma anche quando è
sostenuta in modo decisivo dall’acquisizione gratuita o sostanzialmente non onerosa di tutto
o parte dei mezzi occorrenti per l’esercizio dell’attività. Con il corollario che l’idoneità dei
ricavi a remunerare le spese in un’ottica di economicità dell’attività non può essere valutata
che in relazione al costo normale di tali spese, poiché altrimenti si trasformerebbe in fittizia
materia imponibile l’apporto gratuito di risorse, che spesso contraddistingue il settore delle
109
E’ tuttavia opportuno evidenziare un aspetto fondamentale.
Ad esempio, le norme in materia sanitaria e socio-assistenziale in
riferimento agli ospedali e alle case di riposo, o anche le norme sulla
parità scolastica in riferimento alle attività didattiche, impongono elevati
requisiti organizzativi e prevedono contributi pubblici erogati in forza di
norme che regolano il convenzionamento e l’accreditamento; pertanto,
necessariamente devono essere organizzate in forma di impresa ed hanno
natura commerciale agli effetti tributari.
Conseguenza dell’orientamento restrittivo richiamato sarebbe stata
dunque la possibilità di usufruire dell’esenzione de quo in relazione alle
suddette attività solo ove svolte del tutto gratuitamente, senza alcun
corrispettivo
o
contributo
pubblico,
circostanza
evidentemente
irrealizzabile.
Sul tema è intervenuto il legislatore (si ritiene soprattutto al fine di
scongiurare la lettura interpretativa sopra indicata) con una prima norma
di interpretazione autentica e, cioè, l’art. 7, comma 2-bis, del d.l.
203/2005 (conv. in l. n. 248/2005)242 ai sensi del quale “l’esenzione
disposta dall' articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 504 , si intende applicabile alle attività indicate nella
attività rivolte a scopi non lucrativi ed in particolare quelle degli enti religiosi. È indubbio
che, così impostata la verifica circa la natura dell’attività, quella svolta da un ente
ecclesiastico risulta non economica. Il patrimonio messo a disposizione ed i servizi dei
religiosi utilizzati per il perseguimento dello scopo istituzionale (non lucrativo) non ricevono
dai corrispettivi eventualmente conseguiti una remunerazione idonea a coprire il valore reale
delle risorse impiegate; sicché i corrispettivi stessi risultano di per sé inadeguati ad assicurare
la stabilità e la durevolezza dell’attività”.
242
Prima di esso, l’art. 6 d.l. n. 169 del 2005 aveva sancito l’applicabilità
dell’esenzione “anche nei casi di immobili utilizzati per le attività di assistenza e
beneficienza …. pur svolte in forma commerciale se connesse a finalità di religione o di
culto”. Il decreto non fu convertito.
110
medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale
delle stesse”243.
Una successiva norma interpretativa è stata inserita nell’art. 39 del
d.l. 4 luglio 2006 n. 223244, secondo cui: “[1]. All'articolo 7 del decretolegge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla
legge 2 dicembre 2005, n. 248, il comma 2-bis è sostituito dal seguente:
«2-bis. L'esenzione disposta dall'articolo 7, comma 1, lettera i),
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile
alle attività indicate nella medesima lettera che non abbiano
esclusivamente natura commerciale»”.
E’ stato quindi in questo modo introdotto il c.d. criterio della
prevalenza (ai fini dell’esenzione Ici, possibilità di esercizio di attività
commerciali negli immobili da parte degli enti ecclesiastici, purché
attività commerciali non prevalenti rispetto alle attività istituzionali245).
Queste dunque le condizioni per l’applicazione dell’esenzione
sulla base di questo nuovo dettato legislativo:
1) immobili utilizzati da enti non commerciali (c.d. requisito
soggettivo); sotto questo profilo niente di nuovo rispetto alla normativa
originaria;
2) immobili destinati esclusivamente allo svolgimento delle
attività tassativamente indicate a vocazione sociale e filantropica (quelle
assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali,
Cfr., altresì, l’art. 1, comma 133 della legge n. 266/2005, secondo cui “con
riferimento ad eventuali pagamenti effettuati prima della data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto non si fa comunque luogo a rimborsi e restituzioni
d’imposta”.
244
C.d. decreto Bersani – Visco, entrato in vigore lo stesso 4 luglio 2006 e convertito
nella legge 4 agosto 2006 n. 248, in G.U. n. 186, 11 agosto 2006, suppl. ord. n. 183.
245
E. DE MITA, Il regime tributario, cit., 252, ha rilevato che l’onere probatorio in
merito alla sussistenza della prevalenza spetta all’amministrazione comunale.
243
111
ricreative, sportive e di religione o culto) (c.d. requisito oggettivo); sotto
questo profilo niente di nuovo rispetto alla normativa originaria;
3) attività tassativamente indicate non aventi esclusivamente
natura commerciale (novità);
4) nell’unità immobiliare: svolgimento solo dell’attività esente;
non possibile una devoluzione quindi anche ad altri usi246.
La Corte di Cassazione nella sentenza n. 5485 del 29 febbraio
2008247, ribadendo quanto già affermato nelle sentenze n. 20776 del 26
ottobre 2005 e n. 23703 del 15 novembre 2007248, ha sostenuto che “la
sussistenza del requisito oggettivo - che in base ai principi generali è
onere del contribuente dimostrare - non può essere desunta
esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di
attività cui l'immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale
attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con
le modalità di un'attività commerciale”.
Con la Circ. min. Economia e finanze 26 gennaio 2009 n. 2/Df, è
stato chiarito che l’esenzione trae la sua “giustificazione tanto dalla
meritevolezza dei soggetti e delle finalità perseguite, quanto dalla
Cfr., M. MICCINESI, L’incidenza del diritto comunitario sulla fiscalità degli enti e
delle confessioni religiose, cit., 15, secondo cui “nell’indagine circa le ragioni ispiratrici
dell’esenzione ICI, occorre quindi tenere distinti almeno tre profili: quello delle finalità
preposte all’ente possessore-gestore dell’immobile, le quali, impresse nella sua ragione
costitutiva, ne vincolano la ricchezza al raggiungimento di un determinato scopo socialmente
rilevante; quello del carattere sociale dell’attività effettuata, riflesso nell’enumerazione
chiusa di cui all’art. 7, lett. i); e, infine, quello delle modalità (commerciali oppure no) con
cui l’ente, in ragione delle predette finalità e nello svolgimento delle menzionate attività
sociali, impiega l’immobile”; afferma inoltre che “A riguardo, occorre osservare che
l’ordinamento giuridico e tributario italiano non è ostile né insensibile al perseguimento di
fini sociali attraverso moduli, oggettivamente, commerciali, anzi tutela istituti ibridi che,
proprio sulla commistione degli uni con gli altri, fondano lo sviluppo di economie solidali in
un’ottica di sussidiarietà pubblico-privato (si pensi, tra gli altri, all’impresa sociale di cui al
d.lgs. n. 155/2006)”.
247
In Giust. civ. Mass., 2008, 2, 331.
248
Rispettivamente in Finanza locale, 2006, 11, 98 e in banca dati deJure.
246
112
rilevanza sociale delle attività svolte”; inoltre, si è stato affermato che
“un'attività o è commerciale, o non lo è, non essendo possibile
individuare una terza categoria di attività” e che “pertanto, se non è
possibile individuare attività qualificabili come “non esclusivamente di
natura commerciale”, si può sostenere che quest’ultimo inciso debba
essere riferito solamente alle specifiche modalità di esercizio delle
attività in argomento, che consentano di escludere la commercialità
allorquando siano assenti gli elementi tipici dell’economia di mercato
(quali il lucro soggettivo e la libera concorrenza), ma siano presenti le
finalità di solidarietà sociale sottese alla norma di esenzione”249.
Si rileva infatti che la combinazione del requisito soggettivo e di
quello oggettivo comporta che le attività svolte negli immobili ai quali
deve essere riconosciuta l’esenzione dall’ICI non siano di fatto
disponibili sul mercato o che siano svolte per rispondere a bisogni
socialmente rilevanti che non sempre sono soddisfatti dalle strutture
pubbliche e che sono estranee alla sfera di azione degli operatori privati
commerciali 250 251.
249
Cfr., altresì, M. ALLENA, Ici e immobili degli enti non commerciali: a proposito
della circolare n. 2/DF 26 gennaio 2009 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in
Quad. dir. e pol. eccl., n. 2/2009, 415 ss.
250
La Circolare prosegue affermando: “Ciò è particolarmente evidente per le attività
svolte in regime concessorio o in convenzionamento e/o accreditamento con l'ente pubblico,
in quanto si tratta di attività inserite in maniera completa ed esclusiva nel servizio pubblico
gestito direttamente da un’istituzione pubblica. L'esenzione in esame, infatti, trae la sua
giustificazione, da un lato nella "meritevolezza" dei soggetti e delle finalità perseguite, e,
dall'altro, nella rilevanza sociale delle attività svolte”.
251
Va rilevato come, secondo tale Circolare, non deve essere messa in discussione
l’organizzazione e la presenza di corrispettivi, ma deve essere considerata con attenzione la
presenza di altri requisiti che realizzano il nuovo concetto di attività svolte con modalità non
esclusivamente commerciali.
113
E’ stato affermato inoltre che “La prova delle condizioni che
giustificano il riconoscimento dell’esenzione …. spetta a chi sostiene di
averne diritto”.
La Suprema Corte con sentenza in data 20 novembre 2009, n.
24500252, ha sostenuto che “l’esenzione è limitata all'ipotesi in cui gli
immobili siano destinati in via esclusiva allo svolgimento di una delle
attività di religione o di culto e pertanto non si applica ai fabbricati di
proprietà di enti ecclesiastici nei quali si svolga attività sanitaria, non
rilevando in contrario né la destinazione degli utili eventualmente
ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi, che costituisce un
momento successivo alla loro produzione e non fa venir meno il
carattere commerciale dell'attività, né il principio della libertà di
svolgimento di attività commerciale da parte di un ente ecclesiastico…..
in quanto”, tra l’altro, “l'art. 111 bis d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917,
(aggiunto dall'art. 6 d.lg. 4 dicembre 1997 n. 460), nel prevedere
(comma 1) la perdita della qualifica di ente non commerciale per gli enti
che esercitino prevalentemente attività commerciale per un intero
periodo d'imposta ad esclusione (comma 4) di quelli ecclesiastici, riflette
i suoi effetti unicamente sulla qualità del soggetto utilizzatore
dell'immobile, ma non sul requisito oggettivo dell'attività nello stesso
esercitata”.
L’esenzione è inoltre stata riconosciuta nel caso di immobile
destinato ad abitazione dei membri di un ordine religioso da Cass.
26657/2009 (inedita).
252
In Dir. & Giust., 2009, con nota di CORRADO. Analogamente, la più recente Cass.
2080/2011 ed altresì Cass. n. 24502/2009, entrambe inedite.
114
Va segnalata inoltre la pronuncia della Suprema Corte del 9
novembre 2011 n. 23314253, che ha affermato che “gli immobili religiosi
come conventi e abbazie non possono usufruire dell'esenzione dall'i.c.i.
quando vengono svolte in esse attività commerciali come l'ospitalità a
pagamento con le modalità del trattamento alberghiero”; in particolare,
“non basta la mera dichiarazione del gestore perché l'immobile
"religioso" non sia soggetto al versamento dell' i.c.i. Per fruire
dell'agevolazione è necessario comprovare che l'attività assistenziale
svolta nell'immobile non abbia caratteri commerciali…..La sussistenza
del requisito oggettivo (n.d.r., come detto, rappresentato dallo
svolgimento esclusivo nell'immobile di attività di assistenza o di altre
attività equiparate dal legislatore ai fini dell'esenzione) - che in base ai
principi generali è onere del contribuente dimostrare - non può essere
desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino “a priori”
il tipo di attività cui l'immobile è destinato, occorrendo invece verificare
che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in
concreto, con le modalità di un'attività commerciale")”254 255.
253
In Dir. & Giust., 2011, 26 novembre (s.m).
In Dir. & Giust., 2011, 15 novembre, con nota di BUSCEMA.
255
Piuttosto interessante appare quanto affermato da V. TENORE – V. MESSINETTI,
Tra priviliegi normativi e qualche buonismo giurisprudenziale: brevi questioni di equità con
particolare riguardo agli enti ecclesiastici, in Giust. civ., 2012, 02, 81 ss, secondo cui: “Tale
orientamento apre uno scenario ben diverso con riferimento alla “zona franca” nella quale
situazioni fiscali di questo genere sono state, a vario titolo, confinate e rimanda a
un'aspirazione di riordino di tante ipotesi palesemente riconducibili ad attività che
difficilmente possono non essere qualificate come “oggettivamente commerciali”, svolte
dagli enti ecclesiastici spesso anche in palese violazione delle comuni regole sulla
concorrenza. Si pensi ai vari pensionati tatticamente ubicati presso le zone di massima
raccolta dei fedeli e adiacenti a vere e proprie strutture ricettive a pieno titolo che, in ragione
del regime fiscale di cui (impropriamente) godono magari a fronte della mera ostensione di
una sacra effige, offrono il medesimo servizio a prezzi anticoncorrenziali creando un
ingiustificato, ma consolidato, disordine nel mercato. Si pensi ancora a campi sportivi
parrocchiali fittati a pagamento (senza rilascio di ricevuta alcuna) a terzi, anche estranei alla
comunità parrocchiale, a prezzi ovviamente più convenienti rispetto a strutture sportive
254
115
Cass. 16 luglio 2010, n. 16728256, ha evidenziato l’esclusione
dall'esenzione relativamente ad un “fabbricato gestito da un ente
religioso destinato a casa religiosa di ospitalità” (attività considerata a
dimensione imprenditoriale) anche se non prevalente, deducendo che
“l’esenzione è prevista in via generale solo per gli immobili destinati
direttamente ed in via esclusiva allo svolgimento di determinate attività
tra le quali quelle dirette all'esercizio del culto ed alla cura delle anime,
alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla
catechesi e all'educazione cristiana mentre per gli immobili in cui si
svolgono attività diverse dalla religione e dal culto è necessario
verificare se tali attività, ancorché esercitate da enti religiosi siano
svolte per lo scopo istituzionale protetto ai sensi dell'art. 7, comma 1,
lett. c, del d.lg. n. 504 del 1992 nella formulazione anteriore alle
modificazioni introdotte dalla l. n. 248 del 2005”.
Infine, si consideri Cass. n. 5306/2010 (inedita), chiamata a
pronunciarsi sul diritto all'esenzione da parte di una società senza scopo
di lucro che ha concesso un immobile in comodato gratuito ad ente
ecclesiastico per l'esclusivo svolgimento di attività di religione o di
culto; il diritto non è stato riconosciuto per difetto del requisito
private onerate dal rilascio di ricevuta fiscale e gravate da Ici. Si pensi ancora ai lucrosi
campi estivi che da giugno a settembre raccolgono migliaia di rumorosi ragazzi in aree
sportive parrocchiali a cielo aperto praticando prezzi ovviamente più contenuti rispetto a
strutture sportive private onerate dal rilascio di ricevuta fiscale e gravate da Ici. Si pensi,
infine, alle case di cura o alle ormai diffusissime strutture alberghiere o di bed and breakfast
gestite da congregazioni religiose che beneficiano di esenzione Ici per la lungimirante
presenza di una cappella nella struttura (tra l'altro presente in ogni ospedale o clinica,
pubblica o privata, gravata invece da Ici). Tale esemplificazione, oltre a porre problemi di
equità fiscale e di par condicio tributaria, evidenzia palesi violazioni della concorrenza tra
operatori sportivi, ricreativi, sanitari e assistenziali operanti per le medesime finalità,
certamente di alta valenza sociale, ma pur sempre mosse da una concorrente finalità lucrativa
e imprenditoriale, ingiustificatamente falsata dai benefici fiscali fruiti dalla Chiesa”.
256
In Giust. Civ. Mass. 2010, 9, 1134.
116
dell’utilizzazione sociale da parte del comodante, a nulla rilevando la
utilizzazione indiretta a mezzo di altro soggetto per un uso vincolato
compreso tra quelli meritevoli di esenzione.
Per quanto riguarda la giurisprudenza di merito, è stata
riconosciuta l’esenzione de quo:
- a un immobile adibito ad attività di assistenza sociale
residenziale per anziani svolta da ente ecclesiastico riconosciuto come
Onlus (Comm. Trib. Prov. Firenze, 23 marzo 2009);
- a una casa per esercizi spirituali, purchè ne venga accertato in
concreto l’utilizzo in tal senso (Comm. Trib. Reg. Piemonte, n. 23/2010);
- a una casa per ferie gestita da religiosi senza fine di lucro ove si
svolga opera di apostolato e formazione cristiana, purchè rivolta a
categorie di soggetti specifici e non indeterminati (Comm. Trib. Reg.
Lazio, n. 289/2010);
- in caso di coesistenza, nell’immobile di attività con corrispettivo
ed altre senza (Comm. Trib. Reg. Piemonte, n. 75/2010);
- in caso di svolgimento dell’attività commerciale in via
sussidiaria (Comm. Trib. Prov. Napoli, n. 147/2010).
Non è stata invece riconosciuta:
- a una casa per ferie con pagamento di tariffe, se non sia accertato
in concreto che l’attività sia svolta in modo da non realizzare reddito
(Comm. Trib. Prov. Roma, n. 221/2010);
- a una casa per ferie con pagamento di quote, la cui offerta sia
rivolta a soggetti non indeterminati (Comm.Trib. Prov. Verbania, n.
42/2010);
- in caso di utilizzo dell’immobile per fini istituzionali sia solo in
astratto, per destinazione statutaria, ma cessato nel concreto, come nel
caso di un istituto religioso femminile che di fatto aveva cessato di fatto
117
di svolgere attività scolastica (Comm. Trib. Prov. Verbania, n.
41/2010)257.
2.6. L’Imposta Municipale Unica (IMU) e gli enti religiosi. Critiche e
problematiche attuali.
Come noto, il nostro ordinamento ha successivamente provveduto
ad abrogare l’imposta comunale sugli immobili ed ad introdurre
un’imposta
municipale
unica
(c.d.
I.M.U.)
sulla
componente
immobiliare, IMU che ha accorpato precedenti imposte.
In particolare, è stato il d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23258
(“Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale”), all’art. 7,
ad introdurre nel nostro ordinamento l’ I.M.U. a decorrere dal 2014 (art.
8) ed a confermare per essa le esenzioni previste per l’ICI dall’art. 7, I
co., lett. d) e lett. i) del d.lgs. n. 504/1992; peraltro, il d.l. 6 dicembre
2011, n. 201 (c.d. Salva – Italia)259, convertito in l. 22 dicembre 2011, n.
214260, che ha modificato alcuni aspetti dell’imposta rispetto alla sua
concezione originaria, ha poi ritenuto opportuno anticipare in via
sperimentale l’applicazione della nuova imposta già a partire dall’anno
2012 (art. 13) senza comunque intervenire sull’esenzione per gli
immobili di cui al ricordato art. 7, I co., lett. d) ed i) d.lgs. n. 504/1992.
Soggetti passivi del tributo sono il proprietario ovvero il titolare di
diritti reali di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e superficie secondo le
quote di possesso, nonché il locatario del bene immobile nel caso di
257
I provvedimenti citati della giurisprudenza tributaria sono in G. CASUSCELLI,
Nozioni di diritto ecclesiastico, Torino, 2012, 308.
258
In G.U. n. 67 del 23 marzo 2011.
259
In G.U. n. 284 del 6 dicembre 2011, Suppl. ord. n. 251.
260
In G.U. n. 300 del 27 dicembre 2011, Suppl. ord. n. 276.
118
locazione finanziaria e il concessionario nelle ipotesi di concessioni
demaniali.
Presupposto dell'imposta è il possesso di fabbricati (inclusa
abitazione principale) e pertinenze, e terreni agricoli. Il soggetto attivo
dell’imposta è il Comune; una quota d’imposta è riservata allo Stato.
Come si evince, dunque, i presupposti e la struttura di tale tributi non
differiscono sostanzialmente dalla disciplina dell'ICI.
L’art. 91-bis (rubricato “Norme sull’esenzione dell’imposta
comunale sugli immobili degli enti non commerciali”) del d.l. 24 gennaio
2012 n. 1 (c.d. “decreto-legge sulle liberalizzazioni”, conv. in l. n.
27/2012261 ), al I co., prevede una modifica dell’art. 7, I co., lett. i) del
d.lgs. n. 504/1992 che è dunque così riformulato: “Sono esenti
dall’imposta: i) gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 87
[ora 73], comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi,
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo
svolgimento con modalità non commerciali262 di attività assistenziali,
previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e
261
In G.U. del 25 marzo 2012.
Cfr., M. MICCINESI, L’incidenza del diritto comunitario sulla fiscalità degli enti e
delle confessioni religiose, cit., 15 ss, che, durante la vigenza del precedente testo normativo
in materia di esenzione ICI aveva affermato che “nel contesto dell’esenzione ICI, il
legislatore ha risolutamente valorizzato le caratteristiche precipue del fine (attraverso
l’applicazione del beneficio ai soli enti non commerciali) e del tipo di attività (attraverso
l’enumerazione esaustiva delle attività beneficiarie dell’esenzione), attribuendo una rilevanza
proporzionalmente meno incisiva alle modalità di gestione dell’immobile, le quali possono
anche essere prevalentemente di natura commerciale senza che tuttavia ne sia intaccato il
beneficio dell’esenzione: gli scopi sociali perseguiti e le attività svolte negli immobili –
anch’esse, esclusivamente, di carattere “sociale”29 – sono considerati dal legislatore
talmente pregnanti, da giustificare l’esenzione ICI per tutti gli immobili che presentano le
specifiche caratteristiche indicate dalla norma. L’esenzione non si atteggia, pertanto, a
privilegio concesso in base al possesso del bene da parte di un soggetto qualificato, ma
risulta intimamente legata, altresì, allo scopo solidaristico e all’attività filantropica suo
tramite esercitata”.
262
119
sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della
legge 20 maggio 1985, n. 222. (art. 7, comma 1, lett. i, D.Lgs.
504/1992”).
I successivi commi del medesimo art. 91-bis affermano poi: “[2].
Qualora l’unità immobiliare abbia un’utilizzazione mista, l’esenzione di
cui al comma 1 si applica solo alla frazione di unità nella quale si svolge
l’attività di natura non commerciale, se identificabile attraverso
l’individuazione degli immobili o porzioni di immobili adibiti
esclusivamente a tale attività. Alla restante parte dell’unità immobiliare,
in quanto dotata di autonomia funzionale e reddituale permanente, si
applicano le disposizioni dei commi 41, 42 e 44 dell’articolo 2 del
decreto- legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni,
dalla legge 24 novembre 2006, n. 286. Le rendite catastali dichiarate o
attribuite in base al periodo precedente producono effetto fiscale a
partire dal 1° gennaio 2013. [3]. Nel caso in cui non sia possibile
procedere ai sensi del precedente comma 2, a partire dal 1° gennaio
2013, l’esenzione si applica in proporzione all’utilizzazione non
commerciale dell’immobile quale risulta da apposita dichiarazione. Con
successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da
emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 17 agosto 1988,
n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità e le
procedure relative alla predetta dichiarazione e gli elementi rilevanti ai
fini dell’individuazione del rapporto proporzionale”.
L’art. 9, VI co., del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174 (convertito, con
modificazioni, in l. 7 dicembre 2012, n. 213, “Disposizioni urgenti in
materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonche'
ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012”)
120
ha poi aggiunto un ulteriore periodo al suddetto III co. dell’art. 91-bis,
prevedendo che con successivo decreto del Ministro dell'economia e
delle finanze siano stabiliti anche: “i requisiti, generali e di settore, per
qualificare le attività di cui alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 7 del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 , come svolte con modalità
non commerciali”263.
Le condizioni necessarie per beneficiare dell’esenzione dono
dunque attualmente le seguenti:
1) gli immobili devono essere utilizzati da enti non commerciali
(medesimo requisito soggettivo);
2) devono essere destinati esclusivamente allo svolgimento delle
attività tassativamente indicate (quelle assistenziali, previdenziali,
sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive e di religione
o culto);
3) le attività tassativamente indicate devono essere svolte con
modalità non commerciali (novità)264;
263
Tale norma è stata introdotta dopo che il Consiglio di Stato ha formulato parere
parzialmente negativo (n. 7658/2012) in merito allo schema del suddetto regolamento da
emettersi da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze; in particolare, ha evidenziato
come esso, oltre a stabilire le modalità e le procedure relative alla dichiarazione richiesta in
caso di utilizzazione mista e gli elementi rilevanti ai fini dell’individuazione del rapporto
proporzionale, si fosse spinto oltre i confini tracciati dalla legge delega, arrivando a definire,
tra gli altri, “i requisiti, generali e di settore, per qualificare le diverse attività come svolte
con modalità non commerciali”.
264
Sul tema, cfr. L. SIMONELLI – P. CLEMENTI, L’Imu e gli enti non profit, in Enti
non profit, 05, 2012, 77 ss. Ivi si afferma che “sembra quindi che la principale espressione
della modalità non commerciale di svolgimento dell’attività sia da individuare nella non
lucratività della stessa; infatti, ai fini della possibilità di fruire dell’esenzione, assume rilievo
la natura e il fine non lucrativo degli enti e sono inoltre richieste garanzie tali da preservare
senza alcun dubbio la finalità non lucrativa dell’attività nel senso che eventuali avanzi di
gestione non rappresentino profitto, ma siano destinati a sostenere l’attività alla quale è
riconosciuto un rilevante valore sociale. Il requisito della non lucratività del soggetto e
dell’organizzazione (cioè della modalità concreta di svolgimento dell’attività) comporta che
l’agevolazione sia riservata solo a quelle modalità di svolgimento delle attività che
121
4) se gli immobili sono utilizzati promiscuamente (vi si svolgono sia
attività agevolate che attività non agevolate) è necessario operare un
frazionamento catastale che renda unità immobiliare autonoma la parte
di immobile utilizzata per le attività agevolate; se il frazionamento non è
tecnicamente possibile, l’esenzione si applica in proporzione all’utilizzo
agevolato (novità).
Il regolamento redatto da parte del Ministero dell’Economia e
delle Finanze è il d.m. 19 novembre 2012, n. 200265, ed ivi sono state
stabilite le modalità e le procedure relative alla dichiarazione IMU, gli
elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale,
nonché i requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività previste
dalla novellata lett. i) del comma 1 dell'art. 7 del D.Lgs. 504/1992
(decreto ICI) come svolte “con modalità non commerciali”.
Le modalità non commerciali sono definite dall’art. 1 lett. p) come
“modalità di svolgimento delle attività istituzionali prive di scopo di
lucro che, conformemente al diritto dell'Unione Europea, per loro
natura non si pongono in concorrenza con altri operatori del mercato
garantiscono un significativo beneficio per la collettività, beneficio assicurato anche
attraverso la previsione, con riferimento all’esercizio di molte delle attività in questione, di
sempre maggiori ed essenziali vincoli operativi e strutturali imposti per legge o in via
amministrativa. Al fine di identificare gli immobili che meritano l’esenzione, il concetto di
non lucratività si rivela quindi il criterio cardine, assolutamente necessario; ad esso deve
però accompagnarsi lo strumento degli accertamenti e delle verifiche da prevedere in modo
da rendere effettiva la garanzia di tutela per gli enti non profit e pienamente efficace il
controllo rispetto ad eventuali abusi o violazioni; per questo motivo si introduce l’ulteriore
criterio della verifica concreta e non solo astratta, sia del requisito soggettivo, sia del
requisito oggettivo”.
G. CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, cit., 309, rileva che “si
dovrà dunque procedere con un accertamento in concreto, verificando che i costi di gestione
non siano coperti con i corrispettivi (non rilevando che ciò avvenga per effetto della
beneficenza o di contributi pubblici a fondo perduto)”.
265
In G.U., 23 novembre 2012, n. 274.
122
che tale scopo perseguono e costituiscono espressione dei principi di
solidarietà e sussidiarietà”.
Il successivo art. 3 elenca i requisiti generali per lo svolgimento
con modalità non commerciali delle attività istituzionali, che sono: “a) il
divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione
nonchè fondi, riserve o capitale durante la vita dell'ente, in favore di
amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori, a meno
che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge,
ovvero siano effettuate a favore di enti che per legge, statuto o
regolamento, fanno parte della medesima e unitaria struttura e svolgono
la stessa attività ovvero altre attività istituzionali direttamente e
specificamente previste dalla normativa vigente; b) l'obbligo di
reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per lo
sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo
istituzionale di solidarietà sociale; c) l'obbligo di devolvere il
patrimonio dell'ente non commerciale in caso di suo scioglimento per
qualunque causa, ad altro ente non commerciale che svolga un'analoga
attività istituzionale, salvo diversa destinazione imposta dalla legge”.
Ebbene, ai sensi del successivo art. 7, gli enti non commerciali devono
predisporre o comunque adeguare il proprio statuto a quanto previsto
dall’articolo riportato.
Il successivo art. 4 prevede ulteriori requisiti (speciali). In
particolare, ivi si afferma:
“[2]. Lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie si
ritiene effettuato con modalità non commerciali quando le stesse:
a) sono accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo
Stato, le Regioni e gli enti locali e sono svolte, in ciascun ambito
territoriale e secondo
la
normativa ivi
123
vigente, in maniera
complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, e prestano a
favore dell'utenza, alle condizioni previste dal diritto dell'Unione
europea e nazionale, servizi sanitari e assistenziali gratuiti, salvo
eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall'ordinamento
per la copertura del servizio universale;
b) se non accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo
Stato, le Regioni e gli enti locali, sono svolte a titolo gratuito ovvero
dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non
superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività
svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale,
tenuto anche conto dell'assenza di relazione con il costo effettivo del
servizio.
[3]. Lo svolgimento di attività didattiche si ritiene effettuato con
modalità non commerciali se:
a) l'attività è paritaria rispetto a quella statale e la scuola adotta
un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di
accettazione degli alunni;
b) sono comunque osservati gli obblighi di accoglienza di alunni
portatori di handicap, di applicazione della contrattazione collettiva al
personale docente e non docente, di adeguatezza delle strutture agli
standard previsti, di pubblicità del bilancio;
c) l'attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di
corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una
frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell'assenza
di relazione con lo stesso.
[4]. Lo svolgimento di attività ricettive si ritiene effettuato con
modalità non commerciali se le stesse sono svolte a titolo gratuito
ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e,
124
comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per
analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito
territoriale, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con il costo
effettivo del servizio.
[5]. Lo svolgimento di attività culturali e attività ricreative si
ritiene effettuato con modalità non commerciali se le stesse sono svolte a
titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un corrispettivo simbolico e,
comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per
analoghe attività' svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito
territoriale, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con il costo
effettivo del servizio.
[6]. Lo svolgimento di attività sportive si ritiene effettuato con
modalità non commerciali se le medesime attività sono svolte a titolo
gratuito, ovvero dietro versamento di un corrispettivo simbolico e,
comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per
analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito
territoriale, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con il costo
effettivo del servizio”.
La definizione di utilizzazione mista è contenuta nel punto q)
dell’art. 1, che afferma trattarsi dell’ “utilizzo dello stesso immobile per
lo svolgimento di una delle attività individuate dall'articolo 7, comma 1,
lettera i), del decreto legislativo n. 504 del 1992, con modalità non
commerciali, unitamente ad attività di cui alla stessa lettera i) svolte con
modalità commerciali, ovvero ad attività diverse da quelle di cui al
medesimo articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504
del 1992”.
Il successivo art. 5 individua il rapporto proporzionale, affermando
che esso “[1] … è determinato con riferimento allo spazio, al numero
125
dei soggetti nei confronti dei quali vengono svolte le attività con
modalità commerciali ovvero non commerciali e al tempo, secondo
quanto indicato nei commi seguenti”, che recitano: “[2]. Per le unità
immobiliari destinate ad una utilizzazione mista, la proporzione di cui al
comma 1 è prioritariamente determinata in base alla superficie
destinata allo svolgimento delle attività diverse da quelle previste
dall'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504 del
1992, e delle attività di cui alla citata lettera i), svolte con modalità
commerciali, rapportata alla superficie totale dell'immobile. [3]. Per le
unità immobiliari che sono indistintamente oggetto di un'utilizzazione
mista, la proporzione di cui al comma 1 è determinata in base al numero
dei soggetti nei confronti dei quali le attività sono svolte con modalità
commerciali, rapportato al numero complessivo dei soggetti nei
confronti dei quali è svolta l'attività. [4]. Nel caso in cui l'utilizzazione
mista, anche nelle ipotesi disciplinate ai commi 2 e 3, è effettuata
limitatamente a specifici periodi dell'anno, la proporzione di cui al
comma 1 è determinata in base ai giorni durante i quali l'immobile è
utilizzato per lo svolgimento delle attività diverse da quelle previste
dall'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504 del
1992, ovvero delle attività di cui alla citata lettera i) svolte con modalità
commerciali. [5]. Le percentuali determinate in base ai rapporti che
risultano dall'applicazione delle disposizioni di cui ai commi precedenti,
indicate per ciascun immobile nella dichiarazione di cui al successivo
articolo 6, si applicano alla rendita catastale dell'immobile in modo da
ottenere la base imponibile da utilizzare ai fini della determinazione
dell'IMU dovuta”.
Il suddetto regolamento è stato oggetto di parere favorevole del
Consiglio di Stato (n. 4802/2012 del 13 novembre 2012), che tuttavia ha
126
segnalato l’eterogeneità dei requisiti (in particolare, si afferma: “In
alcuni casi è utilizzato il criterio della gratuità o del carattere simbolico
della retta (attività culturali, ricreative e sportive); in altri, il criterio
dell’importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le
stesse attività svolte nello stesso ambito territoriale con modalità
commerciali (attività ricettiva e in parte assistenziali e sanitarie); in
altri ancora, il criterio della non copertura integrale del costo effettivo
del servizio (attività didattiche)”) ed, in particolare, evidenziando che gli
ulteriori requisiti, richiesti per i singoli settori dall’art. 4, presentano
profili di criticità soprattutto con riferimento ai principi comunitari266.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha provveduto, poi con
risoluzione n. 1/DF del 3 dicembre 2012, a chiarire alcuni punti
controversi con riferimento ad alcune problematiche applicative
Nel parere si chiarisce che “In via generale, il diritto dell’Unione europea ha da
tempo affrontato la questione dei presupposti necessari per escludere la natura commerciale
di una attività, non tanto facendo riferimento al concetto dell’assenza dello scopo di lucro,
ritenuto non determinante (Corte Giust. UE, 1 luglio 2008, C-49/07, punti 27 e 28, con
riferimento alla nozione di impresa), ma piuttosto richiamando il carattere non economico
che deve qualificare l’attività non commerciale. Costituisce principio ormai pacifico quello
secondo cui la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita una attività
economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di
finanziamento (fin da Corte Giust. UE, 23 aprile 1991, C-41/90, Hofner; 17 febbraio 1993,
C-159-160/91, Poucet; principi ribaditi anche di recente da Corte Giust., 3 marzo 2011, C437/09 e 12 luglio 2012, C-138/11). Per chiarire la distinzione tra attività economiche e non
economiche, la giurisprudenza ha costantemente affermato che qualsiasi attività consistente
nell’offrire beni e servizi in un mercato costituisce attività economica (Corte Giust. UE, 16
giugno 1987, C-118/85, punto 7; 18 giugno 1998,C-35/96, punto 36; 12 settembre 2000, C180-184/98, punto 75). Rileva, dunque, la nozione di attività economica, in quanto, anche
nei settori presi in considerazione dall’art. 4 dello schema di regolamento (attività
assistenziale, sanitaria, didattica, ricettiva, culturale, ricreativa e sportiva), soggetti in
apparenza “non commerciali” possono, in taluni casi, trovarsi a svolgere attività
economiche in concorrenza con analoghi servizi offerti da altri operatori economici. In
sostanza, anche gli enti non commerciali possono svolgere attività commerciali, che sono
necessariamente di natura economica ai sensi del diritto dell’Unione europea e gli immobili
destinati a tali attività sono soggetti al pagamento dell’IMU, e non possono beneficare
dell’esenzione (ciò pro quota, in ipotesi di utilizzazione mista)”.
266
127
riguardanti specificamente gli enti ecclesiastici, introdotte dal d.m. n.
200/2012. In particolare, è stato ivi affermato che gli enti ecclesiastici
civilmente riconosciuti, ai quali non possono essere richiesti né la
predisposizione né l'adeguamento dello statuto, devono comunque
conformarsi ai citati requisiti generali con apposita “scrittura privata
registrata”, che recepisca il dettato dell'art. 3 del Regolamento.
Ed inoltre, è stato precisato come il pagamento dell’IMU da parte
degli enti ecclesiastici, stabiliti nel regolamento n. 200 del 2012 agli art.
3 e 4 ed, a partire dall’anno d’imposta 2013, dovrà essere versato sia in
base ai menzionati requisiti sia in ragione del rapporto proporzionale267.
2.7. Le ulteriori agevolazioni previste dall’ordinamento statale
Ai sensi degli artt. 3 e 55 del d.lgs. n. 346/1990 (“Approvazione
del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni
e donazioni”)268, va rilevato che per i trasferimenti a favore di enti
267
Per completezza, si rileva che, con le successive risoluzioni n. 3/DF e n. 4/DF del
4 marzo 2013, il Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento delle finanze, ha
fornito importanti chiarimenti in merito alla corretta applicazione sia del Regolamento di cui
al D.M. 200/2012, che di fatto hanno allargato il regime di esenzione. In particolare, la ris. n.
3/ DF ha fatto luce sulla disposizione finale del comma 1 dell'art. 7 del Regolamento,
concernente il termine per l'adeguamento dell'atto costitutivo o dello statuto dell'ente non
commerciale, mentre la ris. n. 4/DF ha fornito un importante contributo interpretativo sulla
corretta applicazione dell'esenzione IMU nel caso in cui un ente non commerciale conceda
un proprio immobile in comodato a un altro ente non commerciale per lo svolgimento di una
delle attività meritevoli di agevolazione; in caso di beni immobili concessi in comodato,
trattandosi di un'utilizzazione di beni essenzialmente gratuita per l'ente non commerciale
detentore (comodatario), è stato quindi ritenuto che al soggetto passivo (ente non
commerciale comodante) si applichi l'esenzione IMU.
268
L’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa
di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione dei vincoli di destinazione è
stata istituita in base all’art. 2, co. 47 – 54, del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito in l. 24
novembre 2006, n. 286); tale imposta viene disciplinata in base alle disposizioni contenute
nel d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 nella formulazione in vigore al 24 ottobre 2001 salvo
128
pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, che
hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica,
l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità (nonché a
favore di Onlus e di fondazioni bancarie) non vi è alcuna imposizione a
livello di imposta di successioni, donazioni269; imposizione che non vi è
neppure in relazione ai trasferimenti a favore di enti pubblici e di
fondazioni
o
associazioni
legalmente riconosciute, diverse dai
precedenti, a condizione che siano disposti per le finalità poco sopra
citate.
Ovviamente, tale esenzione si applica agli enti ecclesiastici in
ragione della vista equiparazione del fine di religione e di culto a quello
di beneficenza e di istruzione270.
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sez. II, 10 febbraio
2011, C-25/10, ha stabilito che viola il diritto comunitario (art. 63
TFUE), la normativa di uno stato membro che ponga limitazioni alla
possibilità per un’associazione religiosa di beneficiare dell’aliquota
ridotta delle imposte di successione per enti senza scopo di lucro.
alcune modifiche introdotte dal citato d.l. 262/2006. In precedenza tale imposta era stata
soppressa dall’art. 13, I co., l. 18 novembre 2001, n. 383.
269
Le esenzioni e le agevolazioni previste restarono in vigore anche dopo la
soppressione dell’imposta di successione e donazione; cfr. art. 14, I co., l. n. 383/2001
(“Primi interventi per il rilancio dell’economia”), secondo cui (Esenzioni e riduzioni di
imposta), ai sensi del quale “1. Le disposizioni concernenti esenzioni, agevolazioni,
franchigie e determinazione della base imponibile, già vigenti in materia di imposta sulle
successioni e donazioni, si intendono riferite all'imposta dovuta per gli atti di trasferimento
di cui all'articolo 13, comma 2”; si tratta dei trasferimenti di beni e diritti per donazione o
altra liberalità tra vivi, compresa la rinuncia pura e semplice agli stessi.
270
Cfr., art. 3, III co., d.lgs. n. 346/1990, ai sensi del quale, una volta accordata
l’esenzione, il beneficiario deve dimostrare, entro cinque anni dall’accettazione dell’eredità o
della donazione o dall’acquisito del legato, di avere impiegato i beni o diritti ricevuti o la
somma ricavata dalla loro alienazione per il conseguimento delle finalità indicate dal
testatore o dal donante. In mancanza di tale dimostrazione, è tenuto al pagamento
dell’imposta con gli interessi legali dalla data in cui avrebbe dovuto essere pagata.
129
In ambito di tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche
(TOSAP)271, l’art. 49, I co., lett. a, d.lgs. n. 507/1993, prevede
l’esenzione per “le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni,
province, comuni e loro consorzi, da enti religiosi per l’esercizio di culti
ammesso nello Stato ….per finalità specifiche di assistenza, previdenza,
sanità, educazione, cultura e ricerca scientifica”.
Relativamente all’imposta comunale sulla pubblicità ed al diritto
sulle pubbliche affissioni, l’art. 16 del d.lgs. n. 507/1993 riconosce una
riduzione dell'imposta alla metà per la pubblicità effettuata da comitati,
associazioni, fondazioni e da ogni altro ente che non abbia scopo di
lucro, nonchè per la pubblicità relativa a manifestazioni religiose, da
chiunque realizzate, con il patrocinio o la partecipazione degli Enti
pubblici territoriali; infine, anche la pubblicità relativa a festeggiamenti
religiosi.
Va ricordato anche che gli Enti ecclesiastici, ai fini I.R.A.P.272,
non godono di alcuna agevolazione e sono assoggettati a tassazione
ordinaria. Sono dunque tenuti alla dichiarazione dell’imposta ed al
pagamento se svolgono attività commerciale in via abituale ed hanno
271
L'articolo 51, comma 2, lettera a), del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 ha
soppresso a decorrere dal 1 gennaio 1999 la tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche.
Successivamente l'articolo 31 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 ha abrogato la
disposizione dell'articolo 51 che sopprimeva la tassa, che conseguentemente è di nuovo
vigente.
272
L’Imposta regionale sulle attività produttive (I.R.A.P.) è stata istituita con il d.lgs
n. 446/1997 con l’esigenza di procurare un adeguato gettito finanziario alle Regioni. Il
presupposto dell’imposta è costituito dall’esercizio di un’attività economica autonomamente
organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi
nel territorio della regione; soggetti passivi sono, tra gli altri, le persone fisiche titolari di
reddito d’impresa, quelle titolari di reddito di lavoro autonomo, gli enti privati e le società sia
residenti che non residenti, gli enti non commerciali pubblici e privati e le amministrazioni
pubbliche.
130
personale dipendente o assimilato o collaboratori occasionali nell’ambito
delle attività istituzionali.
Analogamente alcuna agevolazione è prevista relativamente
all’imposta di registro ed alle imposte ipotecarie e catastali; in realtà,
occorre precisare che, per quanto concerne le imposte ipotecarie e
catastali, gli artt. 1 e 10 del d.lgs. n. 347/1990 prevedono l’esenzione per
i trasferimenti di beni immobili a titolo gratuito che rientrano nell’ipotesi
di esclusione dall’imposta di successione e donazione, mentre il n. 8, ult.
co., all. B, D.P.R. n. 642/1972 afferma che sono escluse dall’imposizione
le “quietanze relative ad oblazioni a scopo di beneficenza a condizione
che sull’atto risulti tale scopo”.
Non va infine sottaciuta la disciplina di favore, prevista dall’art.
148 T.U.I.R., per gli Enti non commerciali di tipo associativo e dunque
applicabile agli Enti ecclesiastici che assumano tale forma giuridica.
In particolare, il I co. di tale norma sancisce che “non è
considerata commerciale l’attività svolta nei confronti degli associati o
partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni
….dagli altri enti non commerciali di tipo associativo….le somme
versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi
associativi non concorrono a formare il reddito complessivo”273.
Ancor più favorevole è quanto previsto dal III co.274 del medesimo
articolo secondo cui “per le associazioni religiose (oltre che per le
L’art. 148, II co., chiarisce che “si considerano tuttavia effettuate nell'esercizio di
attività commerciali …..le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o
partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici…”.
274
Va chiarito che (cfr. art. 148, VIII co.) tale agevolazione tributaria si applica a
condizione che l'associazione religiosa abbia inserito nel proprio atto costitutivo o statuto,
redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, alcune
clausole specificamente indicate e cioè: “a) divieto di distribuire anche in modo indiretto,
utili o avanzi di gestione nonchè fondi, riserve o capitale durante la vita dell'associazione,
273
131
associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali,
culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione
extra-scolastica della persona) non si considerano commerciali le attività
svolte dalle associazioni religiose, in diretta attuazione degli scopi
istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei
confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che
svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto
costitutivo o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o
nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle
rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di
proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati”.
Inoltre, ai sensi del combinato del V e del VI co. del suddetto
articolo, risulta che l’ “organizzazione di viaggi e soggiorni turistici”
salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge; b) obbligo di
devolvere il patrimonio dell'ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra
associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l'organismo di
controllo di cui all'articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo
diversa destinazione imposta dalla legge; d) obbligo di redigere e di approvare annualmente
un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie; f) intrasmissibilità
della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non
rivalutabilità della stessa”. Non sono state richiamate le lettere c) ed e) in quanto, ai sensi
del IX co., quanto contenuto in dette lettere non si applica alle associazioni religiose
riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha stipulato Patti, Accordi o Intese (cfr.:
“c) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a
garantire l'effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità
della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti
maggiori d'età il diritto di voto per l'approvazione e le modificazioni dello statuto e dei
regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell'associazione;…. e) eleggibilità libera
degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all'articolo 2532, comma 2, del
codice civile, sovranità dell'assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro
ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni
assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; è' ammesso il voto per
corrispondenza per le associazioni il cui atto costitutivo, anteriore al 1 gennaio 1997,
preveda tale modalità di voto ai sensi dell'articolo 2532, ultimo comma, del codice civile e
semprechè le stesse abbiano rilevanza a livello nazionale e siano prive di organizzazione a
livello locale”).
132
non è considerata commerciale se effettuata da “associazioni
riconosciute dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato
Patti, Accordi o Intese” a condizione che tale attività sia complementare
a quella svolta in diretta attuazione degli scopi istituzionali e sia
effettuata nei confronti degli associati.
2.8. La normativa comunitaria in materia di aiuti di stato. La
Commissione Europea e le agevolazioni fiscali per gli enti ecclesiastici.
Preme innanzitutto rilevare che l’art. 87 del Trattato di Roma del
1957, istitutivo della Comunità Europea, e, a seguito dell’entrata in
vigore del Trattato di Lisbona, l’art. 107 del Trattato sul Funzionamento
dell’Unione Europea (TFUE) prevede il c.d. divieto comunitario di aiuti
di Stato; in particolare, ivi si afferma che “salvo deroghe contemplate
dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in
cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati,
ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo
talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la
concorrenza”275; il successivo art. 108 TFUE stabilisce inoltre che,
Il divieto colpisce ogni misura che, tramite l’impiego di risorse statali e
indipendentemente dalle forme adottate, accorda a imprese o produzioni determinate, e
quindi selettivamente, un vantaggio economico idoneo a falsare o a minacciare di falsare la
concorrenza sugli scambi comunitari. Esso si abbatte, quindi, non solo sui finanziamenti
concessi in forma diretta, ma anche su aiuti negativi, quali quelli fiscali, caratterizzati dalla
rinuncia da parte dello Stato alla riscossione di imposte od oneri (attraverso esenzioni,
riduzioni dell’aliquota o benefici di effetto equivalente), che, derogando al sistema tributario
generale, avvantaggiano alcuni soggetti economici a scapito di altri per ragioni non
comprensibili alle logiche di mercato. Si deve inoltre notare che la circostanza che una
misura sia finanziata con la fiscalità di enti substatali non ne esclude la qualificabilità come
aiuto di stato. In proposito, sono numerose le pronunce della Corte di Giustizia che
censurano, proprio sotto il profilo degli aiuti di stato, la legittimità di misure agevolative rese
per il tramite di tributi locali. Da ultimo, si segnala Corte di Giustizia, sentenza 17 novembre
275
133
qualora lo Stato in causa non si conformi all’ingiunzione della
Commissione di sopprimere o modificare l’aiuto di Stato giudicato
illecito (entro il termine stabilito), la stessa Commissione (o qualsiasi
altro Stato interessato) possa adire direttamente la Corte di Giustizia
dell’Unione Europea, che può condannare lo Stato ad una sanzione
pecuniaria276.
La questione, se la normativa italiana contenuta nell’art. 7, lett. i)
del decreto istitutivo dell’ICI possa ritenersi in violazione dei principi
comunitari relativi agli aiuti di Stato, è dibattuta da lunga data. In
particolare, e ciò ha animato fortemente anche l’opinione pubblica, si è
discusso e si discute relativamente all’esenzione dal pagamento ICI
(IMU) per gli immobili ove enti ecclesiastici svolgono anche un’attività
commerciale che genera profitto (alberghi delle suore pensionati e case
per ferie per studenti e turisti etc.), attività che si palesa in concorrenza
con altre realtà economiche stanziate sul territorio, le quali ultime però
non beneficiano delle medesime agevolazioni.
L’incompatibilità con la normativa europea sugli aiuti di Stato
delle esenzioni menzionate per gli immobili degli enti non commerciali
destinati ad attività di rilevanza sociale non si deve al fatto che Bruxelles
nega la possibilità di sostenere il non profit, ma semplicemente alla
circostanza secondo cui quei benefici sarebbero stati legittimi se concessi
2009, causa C-169/08, Regione Sardegna, con cui è stata sancita l’incompatibilità con il
divieto di aiuti di stato dell’imposta sugli scali turistici degli aeromobili e delle unità da
diporto, introdotta dall’art. 4 della L. Regione Sardegna dell’11 maggio 2006, n. 4, così
come modificata dalla L.R. 29 maggio 2007, n. 2, in Rass. trib., 2010, con commento di A.
CARINCI, L’imposta sugli scali della Regione Sardegna: ulteriori indicazioni dalla Corte di
Giustizia sui limiti comunitari all’autonomia tributaria regionale.
276
Non va sottaciuto che, quindi, sulla scia del provvedimento della Corte di
Giustizia Europea, tutti gli operatori del mercato danneggiati dall’alterazione del normale
sviluppo della concorrenza, possono a loro volta chiedere la condanna dello Stato (che ha
violato la materia degli aiuti di stato) al risarcimento dei danni subiti.
134
in altra forma, cioè non valutando l'assenza dello scopo di lucro, ma lo
svolgimento o meno di un'attività economica secondo il diritto europeo.
Le prime denunce sono arrivate all’Italia a metà del 2006; altre nel
2007.
Ebbene, la Commissione, a seguito di lunghi scambi di
informative con il Nostro Paese277, ha ritenuto in entrambi i casi di non
dover procedere con l’indagine.
Nell’ottobre del 2010, la Commissione europea ha avviato
un’indagine formale278 ai sensi dell’art. 108, par. 2, TFUE, per stabilire
“se l’esenzione dall’Ici concessa dall’Italia per gli immobili usati dagli
enti non commerciali per fini specifici costituisca aiuto di Stato
illegale”; indagine dunque volta a verificare se alcune delle attività
svolte
dagli
enti non commerciali in
questione
possano
essere
considerate commerciali e possano essere in concorrenza con quelle
svolte da prestatori di servizi commerciali279.
Con decisione C(2012) del 19 dicembre 2012, la Commissione
dell'Unione europea ha chiuso l'indagine sulle esenzioni Ici concesse al
non profit.
In particolare, va rilevato che la Commissione Europea ha
giudicato “incompatibili con le regole Ue sugli aiuti di Stato” le
agevolazioni riconosciute agli enti non commerciali per fini specifici
previste dal 2006 al 2011 dalla normativa in materia di ICI. E’ stato
affermato che la modifica introdotta nel 2006 consentiva di svolgere
277
La difesa italiana è sempre stata impostata sul rilievo secondo cui il tutto è in
linea con il sistema fiscale italiano.
278
Si ricordi che, in base alla normativa comunitaria, la Commissione ha 18 mesi per
poter annunciare se intimare all’Italia un termine per cambiare le proprie norme e, in caso di
esito negativo, portarla poi davanti alla Corte di giustizia Ue.
279
Si afferma che sotto la lente finiscono circa centomila immobili della Chiesa e di
soggetti ad essa collegati e circa 2 miliardi di euro di gettito potenziale.
135
attività “di natura non esclusivamente commerciale” negli immobili
esentati dal versamento dell’imposta; in altri termini, tali esenzioni
conferivano ai beneficiari un vantaggio selettivo relativamente alle
attività commerciali svolte, essendo tali attività in concorrenza con i
servizi forniti da altri operatori commerciali.
La Commissione ha tuttavia chiuso l'indagine; dunque, Bruxelles
non ha aperto alcuna procedura di infrazione contro l'Italia e, di fatto, ha
dichiarato chiusa la questione280; ha infatti rilevato che l'Italia ha
modificato il proprio sistema ed ha adottato una nuova normativa in
materia di imposta municipale sugli immobili (IMU)281 che non
comporta la presenza di aiuti di Stato in quanto le esenzioni si applicano
solo agli immobili in cui si svolgono attività non economiche. In altri
termini, la Commissione ha riscontrato che l’IMU è conforme alle norme
dell’UE in materia di aiuti di Stato, in quanto limita chiaramente
280
Preme rilevare che, per la prima volta nella storia degli interventi sul tema degli
aiuti di Stato, la Commissione non ha chiesto il recupero delle somme pregresse, dato "in
questo caso specifico" ciò "sarebbe assolutamente impossibile"; le autorità italiane hanno
dimostrato che è oggettivamente impossibile determinare quale porzione dell’immobile di
proprietà dell’ente non commerciale sia stata utilizzata esclusivamente per attività non
commerciali, risultando quindi legittimamente esentata dal versamento dell’imposta, e quale
sia stata la porzione utilizzata per attività ritenute "di natura non esclusivamente
commerciale", la cui esenzione dal versamento dell'ICI avrebbe comportato la presenza di un
aiuto di Stato ai sensi delle norme dell'UE in materia. Inoltre, va rilevato riconoscimento che
Bruxelles dà alle attività non profit per l'"importante ruolo sociale" che esse svolgono, come
ha commentato il Commissario Ue alla Concorrenza, Joaquin Almunia, una volta accertato
che "quando operano sullo stesso mercato degli attori commerciali non beneficino di aiuti
non dovuti".
281
Ciò che lascia perplessi è che anche in questa favorevole occasione, benché
l'attenzione del Governo sia principalmente improntata alla lotta all'evasione fiscale e al
recupero di gettito, viene confermata la totale esenzione per gli immobili della Chiesa,
laddove viene disposto espressamente che “Sono esenti dall'imposta municipale propria gli
immobili posseduti dallo Stato, nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle
regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove
non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti
istituzionali. Si applicano, inoltre, le esenzioni previste dall'art. 7, comma 1, lett. b, c, d, e, f,
h, ed i, d. lgs. n. 504 del 1992”.
136
l'esenzione agli immobili in cui enti non commerciali svolgono attività
non economiche. Inoltre, ha ritenuto che la nuova normativa prevede una
serie di requisiti che gli enti non commerciali devono soddisfare per
escludere che le attività svolte siano di natura economica. Queste
salvaguardie, a giudizio della Commissione, garantiscono che le
esenzioni dal versamento dell’IMU concesse agli enti non commerciali
non comportino aiuti di Stato. Bruxelles ha inoltre dato il via libera al
nuovo regolamento dell'Imu per il non profit, considerando che nelle
norme appena varate le esenzioni “si applicano solo agli immobili dove
sono condotte attività non economiche”.
La Commissione ha inoltre esaminato l'articolo 149, IV co., del
T.u.i.r., che afferma che gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e le
associazioni dilettantistiche non perdono la qualifica di enti non
commerciali anche se svolgono prevalentemente attività commerciale
per un intero periodo d’imposta. Secondo alcuni, ciò potrebbe ipotizzare
un aiuto di stato volto a falsare la concorrenza e gli scambi comunitari
del quale beneficerebbero gli enti religiosi in considerazione
dell’esenzione del pagamento dell’ICI relativo agli immobili utilizzati
anche a fini commerciali.
Ebbene, si è ritenuto che non esiste alcun sistema che preveda una
“qualifica permanente di ente non commerciale”. Poiché non conferisce
alcun vantaggio selettivo agli enti ecclesiastici e alle associazioni
sportive dilettantistiche, la misura non costituisce aiuto di Stato ai sensi
della normativa dell’UE282.
282
Va ricordato anche che si è anche ipotizzata una violazione della normativa in
materia di aiuti di stato in merito alla riduzione IRES del 50%. Sul punto non vi è stata
ancora nessuna iniziativa degli organi comunitari; va comunque rilevato che si dubita che
un’agevolazione, quale il dimezzamento dell’aliquota Ires, congegnata per il conseguimento
137
2.9.
Il fenomeno associativo non lucrativo ed il nuovo modello
“Organizzazione non lucrativa di utilità sociale” (Onlus).
2.9.1. La disciplina generale prevista dal d.lgs. n. 460/1997
283 284
: la
qualificazione soggettiva e l’ambito operativo.
Notevole rilevanza nell’ambito del c.d. terzo settore riveste
indubbiamente l’approvazione del già più volte citato d. lgs. 4 dicembre
1997 n. 460285 (“Riordino della disciplina tributaria degli enti non
commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”)286, in
attuazione della delega contenuta nell’art. 3, commi 186, 187, 188, 189,
della l. n. 662/1996.
di specifiche finalità di tipo sociale, possa rivelarsi selettiva al vaglio dei principi comunitari
in materia di aiuti.
283
In estrema sintesi, ed il tutto si cercherà di approfondirlo nei prossimi paragrafi,
l’art. 10 del decreto prevede un regime di favore per gli enti che svolgono attività rientranti
nell’elenco tassativo di cui alla lett. i) del I co. dello stesso art. 10 e che siano iscritti
nell’apposita anagrafe delle ONLUS. Gli enti ecclesiastici non possono essere di per sé
equiparati alle ONLUS, stante l’obbligo previsto per legge di perseguimento esclusivo di fini
di utilità sociale; pertanto, la qualifica ONLUS non viene assunta in via generale dall’ente
ecclesiastico civilmente riconosciuto che esercitando una di tali attività abbia richiesto ed
ottenuto l’apposita iscrizione nell’anagrafe delle ONLUS, ma solo in relazione alle
specifiche attività di assistenza sociale, beneficenza, tutela e valorizzazione dei beni
culturali, formazione etc.; gli adeguamenti statutari richiesti dalle lettere b), d), e), f) e g) del
medesimo art. 10 riguarderanno solo il ramo ONLUS dell’ente e le modifiche richiederanno
l’autorizzazione dell’autorità ecclesiastica cui l’ente è soggetto.
284
Cfr., in particolare, A.P. PESTICCIO - M. PISCETTA, Onlus: aspetti civili e fiscali,
Milano, 2013; G. RIVETTI, Onlus. Autonomia e controlli, Milano, 2004.
285
In Suppl. ord. N. 1/L, G.U. del 2 gennaio 1998.
286
Il rapporto tra enti non commerciali e organizzazioni non lucrative di utilità
sociale è un rapporto di genere a specie, come risulta molto chiaramente dalla relazione di
accompagnamento al D.Lgs. n. 460/1997 e come si deduce dall'intera normativa e, in
particolare, dalla norma di rinvio e di collegamento rappresentata dall'art. 26, d.lgs. n.
460/1997, che dichiara applicabile alle Onlus, nei limiti della compatibilità, la disciplina
degli enti non commerciali.
138
Come evidenziato fin dall’inizio dai primi commentatori, con tale
normativa il legislatore ha voluto dettare una disciplina unitaria ed
organica, sotto il solo profilo tributario, per il c.d. “terzo settore” 287, una
disciplina che intende agevolare fiscalmente alcune attività meritevoli
per il loro valore sociale.
Il decreto legislativo si distingue in due sezioni; la prima (artt. 1 9) prevede modifiche alla disciplina degli enti non commerciali in
materia di imposte sul reddito e di imposta sul valore aggiunto
288
; la
seconda (artt. 10 - 29) è dedicata alle “disposizioni riguardanti le
organizzazioni non lucrative di utilità sociale” (c.d Onlus, che sono una
nuova species del genus enti non commerciali), che – è opportuno
Cfr. M. FERRANTE, Enti ecclesiastici e organizzazioni non lucrative d’utilità
sociale - ONLUS, in Dir. Eccl.,1997/1, pp. 573 ss., ed anche A. GUARINO, La giungla delle
agevolazioni fiscali fiscali “religiose”. Una via per non perdersi, in Quad. dir. e pol.
eccl.,1998/1, 115 ss. L’incentivazione fiscale del terzo settore non si pone più come
normativa derogatoria del generale principio di capacità contributiva, ma piuttosto come
compiuta e coerente disciplina tributaria di un’autonoma fattispecie, la quale si concreta in
un nuovo soggetto fiscale” (le ONLUS) che non integra una categoria civilistica, ma
piuttosto un regime tributario. G. CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico,
cit., 314, rileva che vi è una manifesta inadeguatezza della disciplina civilistica a
rappresentare la realtà delle organizzazioni non lucrative e che queste si affermano come
vere e proprie aziende nel perseguimento di fini di pubblica utilità e nella selva degli
interventi settoriali del finanziabile.
288
Tra gli altri, cfr., in particolare, l'art. 3 d.lgs. n. 460/1997 (modificativo dell'art.
109 T.U.I.R.), che prevede l'obbligo dell'ente non commerciale di tenere la contabilità
separata per l'attività commerciale eventualmente esercitata, al fine di conferire trasparenza
alla gestione e rendere più agevole la determinazione del reddito di impresa; altresì, l'art. 5, I
co. modificativo dell'art 111 T.U.I.R., che detta una disciplina di favore, in materia di
imposte sui redditi, indirizzata ai soli enti di tipo associativo (tra cui le associazioni religiose
riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese), ed il II
co. prevede una disciplina di favore in materia di I.V.A. Alle associazioni religiose non si
applichino in particolare le lettere c) ed e) del nuovo testo dell'art. 111 t.u.i.r., co. 4quinquies (non è necessario un adeguamento statutario che preveda la disciplina uniforme
del rapporto associativo e delle modalità associative, nonché l'obbligo di redigere ed
approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario). La ratio della norma è da
individuare nell'esigenza di salvaguardare la peculiare struttura organizzativa dell'ente, di per
sé funzionale, per esperienza storicamente comprovata, al perseguimento delle finalità
istituzionali.
287
139
chiarire fin d’ora - costituiscono autonoma e distinta categoria di
soggetto giuridico rilevante ai soli fini fiscali con particolare regime
tributario di favore ad essa riservato289.
L’art. 10, I co., del decreto, individua quali siano i soggetti che
possano assumere la qualifica di Onlus; sono:
- “le associazioni,
- i comitati,
- le fondazioni,
- le società cooperative
- e gli altri enti di carattere privato con o senza personalità
giuridica”;
il successivo X co., chiarisce ulteriormente che “non si considerano
in ogni caso ONLUS gli enti pubblici, le società commerciali diverse da
quelle cooperative, gli enti conferenti di cui alla legge 30 luglio 1990, n.
218, i partiti e i movimenti politici, le organizzazioni sindacali, le
associazioni di datori di lavoro e le associazioni di categoria”
289
290
; in
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 228, chiarisce
che il legislatore riordina gli enti non profit sotto il profilo esclusivamente tributario,
lasciando invariata la disciplina civilistica (ancora) interamente riconducibile alle previsioni
del Libro Primo, titolo II del codice civile.
290
Cfr., altresì, art. 3, co. 189, lett. a., l. n. 662/1996, secondo cui “La disciplina
tributaria delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale è informata ai seguenti
principi e criteri direttivi: a) determinazione di presupposti e requisiti qualificanti le
organizzazioni non lucrative di utilità sociale, escludendo dall'ambito dei soggetti ammessi
gli enti pubblici e le società commerciali diverse da quelle cooperative, le fondazioni
bancarie, i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni di datori di lavoro e le
associazioni di categoria, individuando le attività di interesse collettivo il cui svolgimento
per il perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale, anche nei confronti dei
propri soci, giustifica un regime fiscale agevolato, e prevedendo il divieto di distribuire
anche in modo indiretto utili”. Inoltre, ai sensi, dell’art. 10, VIII co., d.lgs. n. 460/1997,
determinate organizzazioni sono considerate ONLUS di diritto; si tratta degli organismi di
140
pratica, possono quindi assumere la qualifica di Onlus solo gli enti
privati.
Inoltre, gli statuti o gli atti costitutivi dei suddetti enti, che
vogliano acquisire la qualifica di Onlus, devono essere redatti in forma
di atto pubblico o scrittura privata autenticata o registrata291 e prevedere
altresì espressamente lo svolgimento di attività negli specifici settori
elencati nell’art. 10, comma 1, lett. a), 1 – 11, d.lgs. 460/97; si tratta cioè
di:
1. assistenza sociale e socio-sanitaria;
2. assistenza sanitaria;
3. beneficenza;
4. istruzione,
volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, iscritti nei registri istituiti dalle regioni
e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, delle organizzazioni non governative
(ONG) riconosciute idonee ai sensi della legge 26 febbraio 1987, n. 49, delle cooperative
sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, dei consorzi di cui all’art. 8 della predetta
legge n. 381 del 1991 che abbiano la base sociale formata per il cento per cento da
cooperative sociali.
291
Gli statuti o gli atti costitutivi devono prevedere, tra l’altro, espressamente (ex art.
10, I co): “c) il divieto di svolgere attività diverse da quelle menzionate alla lettera a) ad
eccezione di quelle ad esse direttamente connesse; d) il divieto di distribuire, anche in modo
indiretto, utili e avanzi di gestione nonchè fondi, riserve o capitale durante la vita
dell'organizzazione, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per
legge o siano effettuate a favore di altre ONLUS che per legge, statuto o regolamento fanno
parte della medesima ed unitaria struttura; e) l'obbligo di impiegare gli utili o gli avanzi di
gestione per la realizzazione delle attività' istituzionali e di quelle ad esse direttamente
connesse; f) l'obbligo di devolvere il patrimonio dell'organizzazione, in caso di suo
scioglimento per qualunque causa, ad altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale o a
fini di pubblica utilità', sentito l'organismo di controllo di cui all'articolo 3, comma 190,
della legge 23 dicembre 1996, n. 662, salvo diversa destinazione imposta dalla legge; g)
l'obbligo di redigere il bilancio o rendiconto annuale”.
141
5. formazione;
6. sport dilettantistico;
7. tutela promozione e valorizzazione delle cose d’interesse
artistico e storico di cui alla legge 1° giugno 1939, n. 1089, ivi comprese
le biblioteche e i beni di cui al D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409;
8. tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente;
9. promozione della cultura e dell'arte;
10. tutela dei diritti civili;
11. ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta
direttamente da fondazioni ovvero da esse affidata ad università, enti di
ricerca ed altre fondazioni che la svolgono direttamente, in ambiti e
secondo modalità da definire con apposito regolamento governativo
emanato ai sensi dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
Preme rilevare che le undici attività da ultimo menzionate sono
tassativamente stabilite e che pertanto le Onlus non possono svolgere
attività diverse da esse, salvo quelle direttamente connesse
292
alle
istituzionali, come afferma l’art. 10, I co., lett.c., che va combinato al
successivo V co. del medesimo articolo, ai sensi del quale per tali vanno
considerate:
292
Per attività direttamente connesse si intendono attività analoghe a quelle
istituzionali o accessorie per natura a quelle istituzionali in quanto integrative di queste;
queste ultime sarebbero, infatti, strutturalmente funzionali a quelle istituzionali, quali ad
esempio la vendita di depliants nei botteghini dei musei o di magliette pubblicitarie e altri
oggetti di modico valore in occasione di campagne di sensibilizzazione o la preparazione di
personale specializzato da utilizzare esclusivamente all’interno dell'organizzazione per il
perseguimento delle proprie finalità solidaristiche.
142
- le attività statutarie svolte nei settori di assistenza sanitaria,
istruzione, formazione, sport dilettantistico, promozione della
cultura e dell'arte e tutela dei diritti civili (di cui ai numeri 2), 4),
5), 6), 9) e 10) del comma 1, lettera a), svolte in assenza delle
condizioni previste ai commi 2 e 3293;
- ed altresì le attività accessorie per natura a quelle statutarie
istituzionali, in quanto integrative delle stesse.
In ogni caso, l'esercizio delle attività connesse è consentito a
condizione che “in ciascun esercizio e nell'ambito di ciascuno dei settori
elencati alla lettera a) del comma 1, le stesse non siano prevalenti
rispetto a quelle istituzionali e che i relativi proventi non superino il 66
per cento delle spese complessive dell'organizzazione” 294.
La successiva lett. b) dell’art. 10, I co., d.lgs. 460/97, prescrive
un’ulteriore e fondamentale condizione necessaria e cioè che gli enti
perseguano (statutariamente) in via esclusiva
finalità di solidarietà
sociale.
Il comma II dell’art. 10 del d.lgs. n. 4760/1997 chiarisce il
concetto di solidarietà sociale; in particolare:” [2] Si intende che
vengono perseguite finalità di solidarietà sociale quando le cessioni di
beni e le prestazioni di servizi relative alle attività statutarie nei settori
dell'assistenza sanitaria, dell'istruzione, della formazione, dello sport
dilettantistico, della promozione della cultura e dell'arte e della tutela
dei diritti civili non sono rese nei confronti di soci, associati o
293
V. infra.
Il criterio della prevalenza comporta, quindi, l'esame di una pluralità di elementi
rilevanti ai fini del raffronto fra attività istituzionali e quelle direttamente connesse, quali ad
esempio gli investimenti, l’impiego delle risorse materiali ed umane e il numero delle
prestazioni effettuate. Cfr. Circolare Ministeriale – Ministero delle Finanze Dipartimento
Entrate - del 26 giugno 1998, n. 168/E, cit..
294
143
partecipanti, nonchè degli altri soggetti indicati alla lettera a) del
comma 6, ma dirette ad arrecare benefici a: a) persone svantaggiate in
ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari;
b) componenti collettività estere, limitatamente agli aiuti umanitari295.
Il IV co. del medesimo articolo indica inoltre le attività statutarie
istituzionali svolte in determinati settori in cui il fine di solidarietà
sociale è ritenuto implicito, ovvero si intende perseguito a prescindere
dalla verifica delle condizioni di svantaggio; in particolare, i settori:
“della assistenza sociale e sociosanitari, della beneficenza, della tutela,
promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico di
cui alla legge 1 giugno 1939, n. 1089, ivi comprese le biblioteche e i
beni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre
1963, n. 1409, della tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente
con esclusione dell'attività, esercitata abitualmente di raccolta e
riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi di cui all'articolo 7 del
decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, della ricerca scientifica di
particolare interesse sociale svolta direttamente da fondazioni ovvero da
esse affidate ad università, enti di ricerca ed altre fondazioni che la
svolgono direttamente, in ambiti e secondo modalità da definire con
apposito regolamento governativo emanato ai sensi dell'articolo 17
della legge 23 agosto 1988, n. 400, nonchè le attività di promozione
295
Si evidenzi inoltre la precisazione del successivo III co, secondo cui beneficiari
possono essere anche soci, associati, partecipanti, fondatori etc. purchè siano soggetti
svantaggiati; in particolare, si afferma: “[3]. Le finalità di solidarietà sociale s'intendono
realizzate anche quando tra i beneficiari delle attività statutarie dell'organizzazione vi siano
i propri soci, associati o partecipanti o gli altri soggetti indicati alla lettera a) del comma
6, se costoro si trovano nelle condizioni di svantaggio di cui alla lettera a) del comma 2”.
144
della cultura e dell'arte per le quali sono riconosciuti apporti economici
da parte dell'amministrazione centrale dello Stato” 296.
In estrema sintesi, le caratteristiche principali delle Onlus sono:
1) l’esclusiva finalità solidaristica perseguita;
2) l’eterodestinazione dei vantaggi derivanti dall'attività sociale
svolta, destinati prevalentemente a soggetti esterni alla compagine
sociale o ai soci che si trovino in particolari condizioni di svantaggio; ad
eccezione delle attività di assistenza sociale, beneficenza, tutela,
promozione e valorizzazione delle cose di interesse artistico e storico,
Come evidenziato nel testo, i settori dell’assistenza sociosanitaria, come anche
quello dell’assistenza sociale, beneficenza o della tutela artistica e ambientale, non esigono
che l’attività sia svolta a favore di determinati soggetti, in quanto ritenute oggettivamente di
utilità sociale; viceversa le atre attività (assistenza sanitaria, istruzione, formazione, sport
dilettantistico, tutela dei diritti civili) sono ritenute di utilità sociale solo se rivolte a
determinati soggetti in situazione di svantaggio fisico, psichico, economico o sociale.
Cfr. Circolare Ministeriale n. 168/E del 26 giugno 1998, intervenuta a fornire
istruzioni operative sulla corretta applicazione delle disposizioni contenute nel d. lgs. 460/97;
essa , in riferimento ai settori per i quali tali finalità sono correlate alle condizioni dei
destinatari (assistenza sanitaria; istruzione; formazione; sport dilettantistico; promozione
della cultura e dell'arte; tutela dei diritti civili), chiarisce che la valutazione della condizione
di “svantaggio” costituisce un giudizio complessivo inteso ad individuare categorie di
soggetti in condizioni di obiettivo disagio, connesso a situazioni psico-fisiche
particolarmente invalidanti, a situazioni di devianza, di degrado o grave disagio economicofamiliare o di emarginazione sociale; si pongono i seguenti esempi: disabili fisici e psichici
affetti da malattie comportanti menomazioni non temporanee; tossico-dipendenti; alcolisti;
indigenti; anziani non autosufficienti in condizioni di disagio economico; minori
abbandonati, orfani o in situazioni di disadattamento o devianza; profughi; immigrati non
abbienti. Per quanto riguarda i settori per i quali le finalità menzionate si considerano
immanenti, chiarisce che ivi la condizione di svantaggio dei destinatari è presupposto
essenziale dell'attività stessa, senza necessità di ulteriori precisazioni normative. Inoltre,
viene affermato che in settori, quali la tutela e valorizzazione del patrimonio storico ed
artistico ovvero della natura e dell'ambiente e la ricerca scientifica, il fine solidaristico si
intende perseguito indirettamente a beneficio non di singole persone ma della collettività
diffusa.
296
145
etc. per le quali si presume in ogni caso il perseguimento della finalità
solidaristica a prescindere dalla qualità dei soggetti beneficiari297.
Il decreto prevede anche ulteriori vincoli che consistono in
particolare:
- nel divieto di distribuzione, anche indiretta, di utili, avanzi di
gestione, riserve o capitale, durante la vita delle Onlus, ai sensi dell’art.
10, I co., lett. d
298
; si fa presente che sono comunque ammesse
destinazioni imposte per legge o effettuate a favore di altre Onlus che
facciano parte della stessa ed unitaria struttura;
- nell’impiego degli utili per la realizzazione delle attività
istituzionali e di quelle connesse (art. 10, I co., lett. e) 299;
297
La sussistenza dei requisiti è accertata dalle Direzioni Regionali delle Entrate.
Cfr., Cass., sez. un., 24883/2008, in Giust. civ. Mass., 2008, 10, 1459, che rileva che il
pagamento del corrispettivo del prezzo in una casa di riposo per anziani non esclude il fine
solidaristico dell’attività.
Altresì, Comm. Trib. Reg. Lazio, sez. 35, n. 46/2009, che precisa che non ricorrono i
requisiti per assumere la qualifica di Onlus, e le relative agevolazioni fiscali, quando vi sia
carenza di solidarismo sociale anche in una sola delle attività dell’ente.
298
Ai sensi dell’art. 10, VI co., si presume in via assoluta che rientri nella fattispecie
di “distribuzione indiretta di utili o avanzi di gestione” la cessione di beni o servizi a
condizioni economiche più favorevoli a tutti coloro che sono coinvolti nella gestione della
Onlus o ne facciano parte nonché a coloro che sovvenzionano l'organizzazione (con le
dovute eccezioni previste dalla norma stessa), oppure la corresponsione senza valide ragioni
economiche, di corrispettivi superiori al valore normale dei beni o servizi acquistati (si pensi
ad es. alla corresponsione ai consulenti della Onlus di corrispettivi superiori a quelli stabiliti
dalle tariffe professionali). Si prevedono, inoltre, altre fattispecie di distribuzione indiretta di
utili o avanzi di gestione vietati: la corresponsione ai componenti gli organismi
amministrativi e di controllo di emolumenti individuali annui superiori al compenso
massimo previsto per il presidente del collegio sindacale delle società per azioni; la
corresponsione a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, di
interessi passivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di 4 punti al tasso ufficiale
di sconto; la corresponsione ai lavoratori dipendenti di salari o stipendi superiori del 20 per
cento rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi di lavoro per le medesime qualifiche.
299
Tale obbligo di destinazione è assolto anche con la costituzione di riserve
vincolate agli anzidetti fini.
146
- nella devoluzione del patrimonio finale ad altre Onlus o a fini di
pubblica utilità, sentita l’apposito organismo di controllo (art. 10, I co.,
lett. f) 300 301;
- nel principio di democraticità a cui devono informarsi gli statuti
(art. 10, I co., lett. h)302 303;
- nell’utilizzo, nella denominazione ed in qualsivoglia segno
distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, della locuzione
“Organizzazione non lucrativa di utilità sociale” oppure dell’acronimo
“ONLUS”304.
Al fine di una gestione basata su criteri di trasparenza (ed
efficienza), l’art. 10, I co., lett. g, prevede l’obbligo di redigere il
bilancio o rendiconto annuale ed è prevista la tenuta della tenuta delle
scritture contabili con tutta una serie di obblighi formali; l’ art. 25,
“Disposizioni in materia di scritture contabili e obblighi formali delle
organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, che ha inserito nel
D.P.R. n. 660/1973 l’art. 20bis, richiede due categorie di scritture
La ratio della disposizione è tesa ad impedire all’ente, che cessa per qualsiasi
ragione di esistere come Onlus, la distribuzione del patrimonio, costituito anche in forza di
un regime fiscale privilegiato, o la sua destinazione a finalità estranee a quelle di utilità
sociale tutelate dal decreto legislativo n. 460/97.
301
Le norme contenute nelle lettere d), e) ed f) del I co. dell’art. 10, dimostrano,
secondo l’opinione prevalente, un tenore antielusivo, teso ad evitare che si possa pensare di
utilizzare strumentalmente le Onlus per conseguire finalità estranee a quelle di utilità sociale
e che l’utilizzo dell’ente non profit venga fatto per mascherare l’esercizio di attività
commerciali.
302
In conformità al principio della libera eleggibilità degli organi amministrativi, al
principio del voto singolo di cui all’art. 2532, II co., c.c., al principio di sovranità
dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti, nonché ai criteri sull’ammissione ed
esclusione.
303
Come avremo modo di chiarire infra, ex art. 10, VII co., sono escluse da questo
principio le fondazioni, ma soprattutto “gli enti riconosciuti dalle confessioni religiose con le
quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese”.
304
Sono esclusi da questa disposizione “gli enti riconosciuti dalle confessioni
religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese”.
300
147
contabili: quelle relative all’attività complessivamente svolta e quelle
relative alle attività direttamente connesse305.
In estrema sintesi, è prevista la redazione obbligatoria di un
rendiconto finanziario di contabilità separata per le attività commerciali;
a pena di decadenza dei benefici fiscali, le scritture contabili
In particolare, “[1]. Nel decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600, dopo l'articolo 20, è inserito il seguente: "Art. 20-bis (Scritture contabili delle
organizzazioni non lucrative di utilità sociale). – (1). Le organizzazioni non lucrative di
utilità sociale (ONLUS) diverse dalle società cooperative, a pena di decadenza di benefici
fiscali per esse previsti, devono: a) in relazione all'attività complessivamente svolta,
redigere scritture contabili cronologiche e sistematiche atte ad esprimere con compiutezza
ed analiticità le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione, e rappresentare
adeguatamente in apposito documento, da redigere entro quattro mesi dalla chiusura
dell'esercizio annuale, la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della
organizzazione, distinguendo le attività direttamente connesse da quelle istituzionali, con
obbligo di conservare le stesse scritture e la relativa documentazione per un periodo non
inferiore a quello indicato dall'articolo 22;b) in relazione alle attività direttamente connesse
tenere le scritture contabili previste dalle disposizioni di cui agli articoli 14, 15, 16 e 18;
nell'ipotesi in cui l'ammontare annuale dei ricavi non sia superiore a lire 30 milioni,
relativamente alle attività di prestazione di servizi, ovvero a lire 50 milioni negli altri casi,
gli adempimenti contabili possono essere assolti secondo le disposizioni di cui al comma 166
dell'articolo 3 della legge 23 dicembre 1996, n. 662. (2). Gli obblighi di cui al comma 1,
lettera a), si considerano assolti qualora la contabilità consti del libro giornale e del libro
degli inventari, tenuti in conformità alle disposizioni di cui agli articoli 2216 e 2217 del
codice civile. (3). I soggetti richiamati al comma 1 che nell'esercizio delle attività
istituzionali e connesse non abbiano conseguito in un anno proventi di ammontare superiore
a lire 100 milioni, modificato annualmente secondo le modalità previste dall'articolo 1,
comma 3, della legge 16 dicembre 1991, n. 398, possono tenere per l'anno successivo, in
luogo delle scritture contabili previste al primo comma, lettera a), il rendiconto delle entrate
e delle spese complessive, nei termini e nei modi di cui all'articolo 20. (4). In luogo delle
scritture contabili previste al comma 1, lettera a), le organizzazioni di volontariato iscritte
nei registri istituiti dalle regioni e dalle provincie autonome di Trento e di Bolzano ai sensi
dell'articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266, le organizzazioni non governative
riconosciute idonee ai sensi della legge 26 febbraio 1987, n. 49, possono tenere il rendiconto
nei termini e nei modi di cui all'articolo 20. (5). Qualora i proventi superino per due anni
consecutivi l'ammontare di due miliardi di lire, modificato annualmente secondo le modalità
previste dall'articolo 1, comma 3, della legge 16 dicembre 1991, n. 398, il bilancio deve
recare una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori iscritti nel registro dei
revisori contabili. [2]. Ai soggetti di cui all'articolo 10, comma 9, le disposizioni del comma
1 si applicano limitatamente alle attività richiamate allo stesso articolo 10, comma 1, lettera
a)”. Quest’ultimo comma, come avremo modo di chiarire, si riferisce agli enti ecclesiastici
civilmente riconosciuti.
305
148
cronologiche e sistematiche devono essere predisposte in modo tale da
evidenziare con compiutezza le operazioni commerciali effettuate, in
relazione all’attività complessivamente svolta. I dati contabili emergenti
dalle scritture devono confluire nel bilancio (o rendiconto) da redigersi
entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio finanziario; relativamente
alla disciplina delle attività direttamente connesse a quelli istituzionali, si
prevede l’obbligo di istituire le scritture contabili previste dalla
normativa tributaria per gli enti non commerciali 306.
E’
necessario
infine
effettuare
apposita
comunicazione
all’anagrafe Onlus costituita presso il Ministero delle Finanze307.
Dall’analisi fin qui svolta, appare ancor più evidente la volontà del
legislatore di porre in primo piano la natura solidaristica dell’attività
Al fine di evitare l’introduzione di obblighi particolarmente onerosi che possano
essere di intralcio all’attività istituzionale degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti,
come vedremo, è prevista l’applicazione degli obblighi contabili limitatamente alle sole
attività ammesse al regime delle Onlus (art. 10, VI co.).
307
Cfr. art. 11, “Anagrafe delle ONLUS e decadenza dalle agevolazioni”, secondo
cui “[1]. E' istituita presso il Ministero delle finanze l'anagrafe unica delle ONLUS. Fatte
salve le disposizioni contemplate nel regolamento di attuazione dell'articolo 8 della legge 29
dicembre 1993, n. 580, in materia di istituzione del registro delle imprese, approvato con il
decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 1995, n. 581, i soggetti che
intraprendono l'esercizio delle attività previste all'articolo 10, ne danno comunicazione
entro trenta giorni alla direzione regionale delle entrate del Ministero delle finanze nel cui
ambito territoriale si trova il loro domicilio fiscale, in conformità ad apposito modello
approvato con decreto del Ministro delle finanze. La predetta comunicazione è effettuata
entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto da parte dei soggetti
che, alla predetta data, già svolgono le attività previste all'articolo 10. Alla medesima
direzione deve essere altresì comunicata ogni successiva modifica che comporti la perdita
della qualifica di ONLUS. [2]. L'effettuazione delle comunicazioni di cui al comma 1 è
condizione necessaria per beneficiare delle agevolazioni previste dal presente decreto. [3].
Con uno o più decreti del Ministro delle finanze da emanarsi, entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23
agosto 1988, n. 400, sono stabilite le modalità di esercizio del controllo relativo alla
sussistenza dei requisiti formali per l'uso della denominazione di ONLUS, nonchè i casi di
decadenza totale o parziale dalle agevolazioni previste dal presente decreto e ogni altra
disposizione necessaria per l'attuazione dello stesso”.
306
149
svolta dalle Onlus e l’assenza dello scopo di lucro anche indiretto sia
sotto il profilo soggettivo che oggettivo.
Va in ogni caso evidenziato che la dottrina ritiene unanimamente
che con la disciplina in materia di ONLUS non si deroga al principio di
capacità contributiva; infatti, non si è di fronte a manifestazioni di
reddito, esistendo un preciso divieto di distribuzione, anche in modo
indiretto, degli utili e degli avanzi di gestione (c.d. no distribution
constraint); in altri termini, “eventuali redditi non rientrano mai nella
disponibilità delle Onlus perché dovranno essere impiegati per le
specifiche finalità istituzionali di solidarietà sociale”308.
2.9.2. Le principali agevolazioni fiscali sancite dal decreto.
Per quanto concerne le agevolazioni, l’art. 12 (“Agevolazioni ai
fini delle imposte sui redditi”) del decreto prevede l’inserimento
all’interno del T.U.I.R. dell’art. 111ter (oggi art. 150), rubricato
“Organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, in base al quale per le
ONLUS (ad eccezione delle società cooperative) lo svolgimento delle
attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà
sociale “ non costituisce esercizio di attività commerciale” ed inoltre “i
proventi derivanti dall'esercizio delle attività direttamente connesse non
308
Le parole tra virgolette sono di G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti
ecclesiastici, cit., 245. L’A. rileva altresì che il regime agevolativo previsto per le Onlus, “a
ben vedere determina una diminuzione solo apparente delle entrate statali, in quanto
l’intervento diretto dello Stato nei tradizionali settori operativi delle Onlus, comporterebbe
una spesa di gran lunga superiore, rispetto alle minori entrate derivanti dalla concessione di
agevolazioni ed esenzioni fiscali a tali organismi”. Inoltre, “il riferimento economico,
seppure importante, non costituisce l’unico vantaggio, considerato che le strutture in esame
sicuramente sono in grado di poter agire, in modo più efficiente e razionale, dei tradizionali
soggetti pubblici, per la mancanza di vincoli burocratici ed amministrativi che rendono
sicuramente più rapidi e diretti i processi decisionali ed organizzativi”.
150
concorrono alla formazione del reddito imponibile”, e ciò anche se tali
attività connesse vengano considerate commerciali309 310.
In materia di I.V.A.311, l’art. 14 (“Disposizioni relative all’imposta
sul valore aggiunto”) prevede l’inserimento di alcune modifiche al
D.P.R. n. 633/1972; in particolare, sono ritenute operazioni esenti
dall’imposta le cessioni gratuite di beni a favore delle ONLUS (cfr. art.,
10, I co., n. 12, D.P.R. n. 633/1972) ed anche alcune operazioni poste in
essere dalle medesime come il trasporto autoambulanze, ricovero e cura,
le prestazioni educative, giovani e didattica, formazione professionale, le
prestazioni socio – sanitarie, l’assistenza domiciliare (cfr. art. 10, I co,
D.P.R. n. 633/1972). Inoltre è prevista l’esclusione dall’I.V.A. per le
operazioni di divulgazione pubblicitaria a favore del beneficiario Onlus
(art. 3, III co., D.P.R. n. 633/1973).
Inoltre, ai sensi dell’art. 15 (“Certificazione dei corrispettivi ai fin
dell’imposta sul valore aggiunto”), non vi è l’obbligo di certificazione
dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale per le operazioni
riconducibili alle attività istituzionali (fermi in ogni caso gli obblighi
formali dei contribuenti)312.
Si è già evidenziato che l’esercizio di attività connesse è consentito a condizione
che, in ciascuno esercizio e nell’ambito dei settori elencati alla lett. a del I co. dell’art. 10,
non risulti prevalente ed i relativi proventi non superino il 66% delle spese complessive
dell’organizzazione.
310
Preme evidenziare che le Onlus possono sempre produrre redditi di capitale,
redditi diversi ed anche redditi fondiari.
311
Cfr. Comm. Trib. prov. Treviso 16 gennaio 2008, n. 145, che afferma che è
soggetta ad IVA la donazione di un terreno edificabile a favore di una Onlus (che ha
provveduto ad iscrivere il bene nel registro dei beni ammortizzabili).
312
Cfr., E. GULMANELLI, Aspetti giuridici dell’imposizione indiretta delle ONLUS,
in Rass.trib., 1999, 85 ss.
309
151
Ai sensi dell’art. 16 (“Disposizioni in materia di ritenute alla
fonte”) sui redditi di capitale corrisposti alle ONLUS le ritenute alla
fonte sono effettuate a titolo d’imposta; non si applica inoltre la ritenuta
del 4% sui contributi corrisposti alle Onlus da Enti Pubblici.
L’art. 17 (“Esenzioni dall’imposta di bollo”) sancisce l’esenzione
totale dall’imposta di bollo per tutti gli atti (anche quelli modificativi ed
estintivi), documenti, istanze, contratti, copie (anche se dichiarate
conformi), estratti, certificazioni posti in essere o richiesti dalle Onlus,
mentre l’art. 18 (“Esenzioni dalle tasse sulle concessioni governative”)
afferma l’esenzione da tasse sulle concessioni governative per atti e
provvedimenti concernenti le Onlus.
L’art. 22 (“Agevolazioni in materia di imposta di registro”) ha
previsto l’imposta fissa di registro (168 Euro) per gli atti traslativi o
costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento a favore di ONLUS
(art. 1, Tariffa parte I, d.p.r. 131/1986). Il beneficio si applica, ai sensi
della nota II quater, a condizione che la ONLUS dichiari in atto che
intende utilizzare i beni direttamente per lo svolgimento della propria
attività e se l’utilizzazione avviene entro due anni dalla data di acquisto.
In caso di dichiarazione mendace o mancato utilizzo, oltre all’imposta in
misura ordinaria, è dovuta anche sanzione pari al 30% dell’imposta
dovuta313. Stessa imposta fissa è prevista per la registrazione di atti
costitutivi e modifiche statutarie di ONLUS (art. 11-bis Tariffa parte I,
d.p.r. 131/1986)314.
La Risoluzione n. 194/E del 21/12/2000 ha chiarito che l’agevolazione si applica
nei soli casi in cui si trasferisca o costituisca un diritto reale e non invece, personale di
godimento, come in caso di contratto di locazione.
314
L’opinione prevalente ritine che l’agevolazione si possa applicare già al momento
del preliminare.
313
152
Ai sensi dell’art. 19 (“Esenzioni dall’imposta sulle successioni e
donazioni”), le successioni e donazioni (cfr. art. 3, I co., d.lgs. n.
346/1990) a favore di Onlus non sono soggette all’imposta315.
L’art. 21 (“Esenzioni in materia di tributi locali”) prevede che gli
enti territoriali possano prevedere riduzioni o esenzioni dal pagamento
dei tributi di loro competenza per le Onlus.
Inoltre, esenzioni dall’imposta sono previste per attività
spettacolistiche (art. 23) se realizzate occasionalmente per celebrazioni,
ricorrenze o campagne di sensibilizzazione, se data comunicazione
preventiva alla Siae; ed anche ulteriori agevolazioni vi sono per tasse di
concessioni governative (art. 18), lotterie, tombole, pesche e banchi di
beneficienza (art. 24).
Sono infine previste agevolazioni per i soggetti che compiono
erogazioni liberali, donazioni, in denaro o in natura, alle ONLUS. Si
tratta in particolare di:
- detrazione Irpef (per oneri) (cfr. art. 15, lett. i bis, Tuir) del 19%
degli oneri, fino a un massimo di 2.065,83 Euro, a condizione che il
versamento sia avvenuto secondo precise modalità (bonifico, vaglia
postale, ecc.);
- deducibilità dal reddito di impresa (cfr. art. 100, II co., lett h,
Tuir) di un importo non superiore a € 2.065,83 ovvero al 2 % del reddito
d’impresa dichiarato;
Inoltre, cfr. L’art. 55, ultimo comma, d.lgs. 346/90, secondo cui gli atti che hanno
per oggetto i medesimi trasferimenti sono registrati gratuitamente. Altresì, l’esenzione è
prevista per le imposte ipotecarie e catastali, ai sensi degli artt. 1, II co. e 10, III co., d.lgs.
347/90.
315
153
- deducibilità delle spese relative all’impiego di lavoratori
dipendenti a tempo indeterminato utilizzati per prestazioni di servizi a
favori delle ONLUS, nel limite del 5 per mille dell’ammontare
complessivo delle spese per prestazioni di lavoro dipendente (cfr. art.
100 lett. i);
- ai sensi dell’art. 14 d.l. 35/2005 (convertito, con modificazioni,
in legge n. 880 del 14/5/2005), le liberalità in denaro o in natura erogate
alle ONLUS da persone fisiche e soggetti Ires sono deducibili dal reddito
complessivo nel limite del 10% del reddito dichiarato e per un massimo
di 70.000 Euro per anno. È necessaria, da parte di chi riceve
l’erogazione, la tenuta di scritture contabili complete ed analitiche, la
redazione di un apposito documento contabile entro 4 mesi dalla
chiusura dell’esercizio. Tale beneficio non è cumulabile con altre
deduzioni/detrazioni,
come
confermato
dall’interpretazione
dell’Agenzia316.
316
Cfr. Ris. n. 401/E del 24/10/2008, che ha esaminato il caso di una S.p.A. che
erogava finanziamenti ad una ONLUS, che operava nel campo della beneficenza. La
ONLUS raccoglieva fondi per devolverli al Fondo speciale di solidarietà sociale (d.l.
112/2008). La Agenzia ha affermato la deducibilità ai fini Ires, anche se la beneficienza era
esercitata dalla ONLUS in modo indiretto.
154
2.9.3. Le organizzazione non lucrative di utilità sociale come nuovo
modello di riferimento per gli enti religiosi. Le c.d. Onlus
parziali317
Gli enti ecclesiastici318, in sé considerati, non possono essere
inclusi automaticamente tra le Onlus, che per legge devono perseguire in
via esclusiva fini di utilità sociale.
Va rilevato infatti che, ai sensi dell’art. 10, IX co., d.lgs. n.
460/1997, “gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo
Stato ha stipulato patti, accordi o intese319
317
320
… sono considerati Onlus
Sul tema, cfr., in particolare, P. FLORIS, Il regime ONLUS e la sua compatibilità
con la natura ecclesiastica degli enti, in J. I. ARRIETA (a cura di), Enti ecclesiastici e
controllo dello Stato Venezia, 2007, 241ss; A. FUCCILLO, Enti ecclesiastici ed onlus…, cit.,
893; F. NIEDDU, Gli enti ecclesiastici e le onlus, in Riv. Guardia di Finanza, 2002, 1, 265 ss.
318
Preme rilevare che la terminologia scelta dal legislatore nel decreto quando fa
riferimento al fenomeno religioso è eterogenea e suscita qualche perplessità; si parla di
“associazioni religiose” (art. 5, I co. 1, lett. a), di “associazioni riconosciute dalle
confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese” (art. 5, I co.,
lett. b), di “associazioni religiose riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha
stipulato patti, accordi o intese” (art. 5, I co., ult. cpv.; art. 5, II co., ult. cpv.), “enti
ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili” (art. 6), “enti
riconosciuti dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o
intese” (art. 10, VII co.), “enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato
ha stipulato patti, accordi o intese” (art. 10, IX co.). Inoltre, non si rinviene più, nel testo
normativo in vigore, l’espressione «enti di ispirazione religiosa» che emerge nell’art. 1 del
disegno di legge n. 2420 per la Disciplina fiscale delle organizzazioni non lucrative di utilità
sociale (Onlus), presentato al Senato dal Ministro delle finanze Augusto Fantozzi in data 3
gennaio 1996 e che corrisponde, pur con numerose modifiche, al testo dell’attuale art. 10 del
d.lgs. n. 460/1997. L’uso della dizione «enti di ispirazione religiosa» era giustamente stato
apprezzato dai primi commentatori del disegno di legge come testimonianza della volontà di
rispetto della 'qualità religiosa' degli enti nella misura più ampia possibile, comprendendovi
tutta una serie di soggetti estremamente diversificati e socialmente rilevanti, anche se non
sempre facilmente inquadrabili nel concetto di 'ente ecclesiastico' e rispettando
conseguentemente l’identità strutturale degli enti di ispirazione religiosa, qualunque essa sia,
sulla scia della più moderna elaborazione dottrinale ecclesiasticistica.
319
Come supra evidenziato, trattasi di enti non commerciali anche ove svolgano
attività di tipo commerciale. Si noti inoltre quanto affermato da G. CASUSCELLI (a cura di),
Nozioni di diritto ecclesiastico, cit., 314, secondo cui è “arduo comprendere perché siano
ancora una volta escluse le confessioni disciplinate dalla legge sui culti ammessi, limitando
155
limitatamente all’esercizio delle attività elencate alla lettera a) del
comma 1” e cioè le attività svolte nel perseguimento di finalità di
solidarietà sociale [n.d.r. dell’art. 10 del d.lgs. 460/97] (c.d. Onlus
parziali)321
322
. La seconda parte dell’art. 10, IX co., precisa inoltre che
“fatta eccezione per la prescrizione di cui alla lettera c) del comma 1 323,
agli stessi enti e associazioni si applicano le disposizioni anche
agevolative del presente decreto, a condizione che per tali attività siano
tenute separatamente le scritture contabili previste all'articolo 20-bis del
così in maniera discriminatoria il contributo dei soggetti religiosi alla solidarietà sociale,
specie se si tiene conto che in generale, ai fini dell’acquisizione della qualifica di Onlus, il
legislatore assume il criterio qualificante del regime dell’attività e non quello soggettivo”.
320
Analogamente,
“le Associazioni di Promozione sociale le cui finalità
assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell’Interno”.
321
Si ricorda che trattasi delle seguenti attività: 1) assistenza sociale e sociosanitaria; 2) assistenza sanitaria; 3) beneficenza; 4) istruzione; 5) formazione; 6) sport
dilettantistico; 7) tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico
di cui alla legge 1 giugno 1939, n. 1089, ivi comprese le biblioteche e i beni di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409; 8) tutela e valorizzazione della
natura e dell'ambiente, con esclusione dell'attività, esercitata abitualmente, di raccolta e
riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 5
febbraio 1997, n. 22; 9) promozione della cultura e dell'arte; 10) tutela dei diritti civili; 11)
ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente da fondazioni ovvero da
esse affidata ad università, enti di ricerca ed altre fondazioni che la svolgono direttamente, in
ambiti e secondo modalità da definire con apposito regolamento governativo emanato ai
sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400. Con l’introduzione del d.lgs. n.
460/1997, si assiste dunque ad un consistente ampliamento dello spettro delle attività di
utilità sociale che un ente di ispirazione religiosa può svolgere; diversamente da quanto
avvenuto nel passato, le stesse non restano più circoscritte prevalentemente ai settori
dell’istruzione e formazione nonché dell’assistenza e beneficenza.
322
Parlano di Onlus parziali, tra gli altri, la Circolare del Ministero delle finanze,
Dipartimento delle Entrate, in data 22 gennaio 1999, n. 22 e prima ancora la Circolare n.
168/E.
323
Secondo il qual principio – si ricordi – è fatto divieto alle ONLUS di svolgere
attività diverse da quelle relative ai settori tassativamente indicati alla lett. a), dell’art. 10. In
altri termini, agli enti ecclesiastici è consentito svolgere (anche) le attività diverse di
religione e di culto (che sono le loro attività istituzionali) e di strutturarsi come Onlus
soltanto limitatamente alle attività svolte nell’esclusivo perseguimento di finalità di
solidarietà sociali.
156
decreto del Presidente delle Repubblica 29 settembre 1973, n. 600,
introdotto dall'articolo 25, comma 1”.
In estrema sintesi, agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti la
qualifica di ONLUS può essere riconosciuta soltanto in presenza di
presupposti tassativi, costituiti dall'esercizio di determinate attività324 e
dalla tenuta, per tali attività, di scritture contabili separate325. E si parla di
regime agevolativo riferito ai c.d. “rami onlus” dell’ente ecclesiastico326.
La
ratio
per
la
gli enti ecclesiastici possono
quale
il
essere
legislatore
ha
stabilito
che
considerati Onlus limitatamente
all'esercizio delle attività svolte all'interno dei settori caratterizzanti
l'utilità sociale, elencate nel primo comma dell'art. 10, d. lgs. n.
460/1997, risiede nel fatto che, diversamente, l’intero ente sarebbe
assoggettato alla disciplina delle Onlus, ovvero ad una legge dello Stato
italiano, e ciò provocherebbe una palese violazione delle norme
Di esse si deve dare atto nel regolamento che il costituendo ramo Onlus dell’ente
ecclesiastico è tenuto a redigere.
325
Devono essere altresì rispettati i requisiti statutari e i vincoli sostanziali imposti
dall’art.10, ferme le deroghe di cui al settimo comma, e sia rispettato l’onere di iscrizione
presso l’anagrafe delle Onlus (relativamente alla quale cfr. P. PICOZZA, Gli enti
ecclesiastici: dinamiche concordatarie tra innovazioni normative e disarmonie del sistema,
in Quad. dir. e pol. eccl., 1/2004, 179). Si rileva dunque una pesantezza gestionale non
indifferente in particolare per la tenuta di contabilità separata e la distinzione dei beni fra le
diverse attività svolte ecc.
326
Il decreto legislativo, nel presupporre l’esistenza del rapporto organico che
collega l’ente alla istituzione confessionale di appartenenza, impone il rispetto del principio
di conformità confessionale, per gli enti cattolici, attraverso la costituzione o approvazione
del ramo Onlus dell’ente ecclesiastico con decreto della competente autorità ecclesiastica,
per quelli delle confessioni diverse dalla cattolica con la dimostrazione delle proprie origini
confessionali. È sufficiente, ad esempio, una delibera sinodale motivata di erezione della
Onlus, richiesta da parte dell’organo competente della confessione diversa dalla cattolica,
ovvero la circostanza di “essere ricollegati, in modo più o meno intenso, ad un gruppo
confessionale che abbia concluso accordi con l’autorità governativa”.
324
157
costituzionali sia quelle concordatarie in materia di indipendenza e
sovranità della Chiesa cattolica, sia di quelle delle intese 327
328
.
La Circolare Ministeriale – Ministero delle Finanze Dipartimento
Entrate – 26 giugno 1998, n. 168/E, ha chiarito che, per quanto concerne
gli enti ecclesiastici onlus, “ai fini dell’applicazione di vincoli formali e
sostanziali” previsti dal decreto n. 460/1997 “devono tenersi presenti
anche le norme pattizie che regolamentano gli enti delle confessioni
religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese”.
In particolare, il documento conclusivo della Commissione
paritetica Italo-Vaticana329 prevede che agli enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti “non sono applicabili le norme dettate dal codice civile in
tema di costituzione, struttura, amministrazione ed estinzione delle
persone giuridiche private; da ciò deriva che non può chiedersi ai
medesimi la costituzione per atto pubblico, il possesso in ogni caso di
uno statuto o la conformità del medesimo alle prescrizioni riguardanti le
persone giuridiche private”.
Non è quindi necessario che tali onlus parziali predispongano uno
specifico statuto; per i rami onlus di un ente ecclesiastico basta che si
provveda alla predisposizione di un “regolamento nella forma della
Cfr., relativamente agli enti cattolici, l’art. 7, comma 3, dell'Accordo di revisione
del Concordato, che ha avuto ratifica ed esecuzione con la legge 25 marzo 1985, n. 121, in
base al quale “Le attività diverse da quelle di religione e di culto, svolte
dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e finalità di tali enti, alle
leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime” e,
pertanto, soltanto le attività diverse eventualmente svolte dagli enti ecclesiastici possono
essere disciplinate, nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti, dalla normativa
italiana.
328
La dottrina rileva che non è la qualificazione ecclesiastica dell'ente che gli
consente di per sé di essere considerato ONLUS, ma è il singolo settore di attività in cui
opera (compresa l'attività di religione e di culto), che può rientrare nell'elenco tassativo del
primo comma dell'art. 10 del d.lgs. n. 460/1997.
329
In suppl. ord. n. 210, G. U. 15 ottobre 1997, n. 241.
327
158
scrittura privata che recepisca le clausole di cui all’art. 10, I co., del
d.lgs. n. 460/1997330”. Da esso devono pertanto risultare il settore (o i
settori) di attività prescelto, l'esclusiva finalità solidaristica, l'attività di
interesse collettivo svolta, il divieto di distribuire (anche in modo
indiretto) utili e avanzi di gestione durante il perdurare dell'attività,
l'obbligo di impiegare gli utili o avanzi di gestione per la realizzazione
dell'attività svolta, l'obbligo di devolvere il patrimonio residuo
dell'attività331, in caso di sua chiusura per qualunque causa, ad
altre Onlus o a fini di pubblica utilità, ed infine l'obbligo di redigere il
rendiconto annuale332.
Come già evidenziato, registrato il regolamento, l’apposita
successiva
comunicazione
all'anagrafe
330
delle Onlus
ha
carattere
La redazione del regolamento è finalizzata non solo a dare rilievo al collegamento
tra l’ente e il ramo Onlus, ma anche a distinguere dal punto di vista patrimoniale i beni che
fanno capo all’ente ecclesiastico rispetto a quelli del ramo Onlus (distinzione opportuna ai
fini, ad esempio, del rispetto dei vincoli di destinazione in caso di scioglimento della Onlus).
331
Un chiarimento si rende necessario relativamente all'obbligo di devoluzione del
patrimonio in caso di cessazione dell'attività. Se l'immobile in cui si svolge l'attività del
ramo-Onlus era stato acquistato dall'ente con i fondi e le agevolazioni della Onlus, alla
cessazione dell'attività vi è l'obbligo di devoluzione ad altre Onlus o a fini di pubblica utilità;
se l'immobile era invece già di proprietà dell'ente prima dell'inizio dell'attività, o comunque
era stato dallo stesso acquisito con fondi diversi da quelli del ramo-Onlus e senza usufruire
di quelle agevolazioni, la chiusura dell'attività Onlus riporterà semplicemente l'immobile
nella piena disponibilità dell'ente.
332
Come rilevato in precedenza, la normativa ha previsto espressamente che agli enti
ecclesiastici Onlus non debbano essere applicati il vincolo dell’ordinamento democratico e
l’uso dell’acronimo Onlus. In particolare, relativamente al primo aspetto, G. FELICIANI,
Organizzazioni “non profit” ed enti confessionali, in Quad. dir. e pol. eccles., 1997, 1, 20ss.
rileva, già prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 460/97, l’esigenza che gli enti ecclesiastici,
confessionali, d’ispirazione religiosa non vadano discriminati attraverso l’imposizione del
requisito della democraticità che li vedrebbe esclusi dalle agevolazioni fiscali. L’eccezione
prevista in loro favore, infatti, si fonda sul “rispetto della struttura e della finalità loro proprie
che è espressamente tutelato dall’accordo concordatario del 1984 e dalle intese con alcune
confessioni religiose. In generale, si può dire che la ratio delle suddette eccezioni risiede
nella natura peculiare degli enti ecclesiastici e delle attività dagli stessi svolte in via
principale (di religione e di culto) ed è coerente con la disciplina ad hoc prevista per tale
tipologia di enti nella misura in cui cerca di contemperare il proprium dell’ordinamento
confessionale con le finalità perseguite dal legislatore statale.
159
costitutivo, ai fini della qualificazione come Onlus della/e attività
svolta/e e consente dunque di poter usufruire delle agevolazioni.
Deve essere chiaro che l’ente ecclesiastico non è obbligato a
seguire il regime Onlus; può infatti svolgere attività di utilità sociale
secondo il regime ordinario previsto per gli enti ecclesiastici333.
Ad ogni modo, la normativa di cui al d.lgs. n. 460/1997 permette
dunque agli enti ecclesiastici che spesso gestiscono attività (c.d. diverse
rispetto a quelle di religione e di culto) nei settori dell’assistenza sociale,
sociosanitaria ecc. di godere di ulteriori agevolazioni, previste per le
Onlus, oltre a quelle previste per gli enti non commerciali334.
Può rivelarsi pertanto importante a questo punto evidenziare, con
un esempio pratico, i vantaggi tributari che può ottenere un ente
ecclesiastico civilmente riconosciuto ad essere considerato Onlus.
Ebbene, come abbiamo visto, in materia di imposte dirette, gli enti
ecclesiastici civilmente riconosciuti vedono l’aliquota IRES ridotta alla
metà335; ove invece l’ente ecclesiastico assuma l’ulteriore qualifica di
Onlus risulta destinatario di una condizione giuridica di maggior favore,
in quanto le attività istituzionali svolte nel perseguimento di esclusive
finalità di solidarietà sociale non costituiscono esercizio di attività
commerciale (Cfr. art. 150, I co., T.U.I.R.) ed allo stesso modo i proventi
333
Istruzione in materia amministrativa C.E.I. (Comitato per gli enti e i beni
ecclesiastici) 2005, in Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana, 2005, cap. V, 83.
334
G. CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, cit., 316, rileva che il
riconoscimento civile della qualifica di ente ecclesiastico alla luce dell’art. 20 Cost. non può
essere di ostacolo a che altre qualifiche (come quella di Onlus) coesistano e “sarebbe
auspicabile, tuttavia, una normativa di coordinamento al fine di evitare cumuli di trattamenti
privilegiari”.
335
Cfr. art. 7, punto 3), Accordo 18 febbraio 1984 (l. n. 121/1985), che equipara, agli
effetti tributari, gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto a quelli aventi fine di
beneficenza ed istruzione, combinato ad art. 2, I co., l. n. 222/1985 e art. 6, lett. c), D.P.R. n.
601/1973, che ha disposto la riduzione alla metà dell’IRES nei confronti degli enti il cui fine
risulti equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione.
160
derivanti dall’esercizio delle attività direttamente connesse non
concorrono alla formazione del reddito imponibile (cfr. art 150, II co.,
T.U.I.R.)336: si parla al riguardo di decommercializzazione delle attività
istituzionali svolte per fini di solidarietà sociale.
Va inoltre rilevato che, in considerazione della detraibilità delle
erogazioni liberali (in denaro e beni) in favore della Onlus, può accadere
che un cittadino sia maggiormente stimolato a dare il proprio contributo
anziché alla parrocchia come tale, ad una specifica attività di solidarietà
sociale svolta in forza Onlus337 338 339.
Cfr. art. 150 T.U.I.R., “Organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, in base al
quale: “[1]. Per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), ad eccezione
delle società' cooperative, non costituisce esercizio di attività commerciale lo svolgimento
delle attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale. [2]. I
proventi derivanti dall'esercizio delle attività direttamente connesse non concorrono alla
formazione del reddito imponibile”. Per esempio, la gestione della casa di riposo per la
parrocchia è attività commerciale, mentre per il ramo-Onlus è istituzionale; pertanto, se
l'attività viene svolta direttamente dall'ente, è fiscalmente rilevante, mentre se è esercitata in
forma di ramo-Onlus è detassata.
337
La dottrina sottolinea che l'importanza di queste agevolazioni può talvolta essere
tale da giustificare lo sforzo per una riorganizzazione gestionale e contabile della quale,
spesso, gli enti ecclesiastici hanno comunque necessità.
338
Si ricordino altresì le già ricordate altre agevolazioni fiscali in materia di IVA
(art. 14), certificazione dei corrispettivi ai fini IVA (art. 15), ritenute alla fonte (art. 16),
esenzioni dalla imposta di bollo (art. 17), esenzioni dalle tasse sulle concessioni governative
(art. 18), esenzioni in materia di tributi locali (art. 21)100, agevolazioni in materia di imposta
di registro (art. 22), esenzione sull’imposta degli spettacoli (art. 23) agevolazioni per lotterie,
tombole, pesche e banchi di beneficienza (art. 24).
339
Da ultimo, devono ricordarsi due importanti agevolazioni di recente adozione: la
prima è quella introdotta dall’art. 14 comma 1, della legge n. 80 del 14 maggio 2005 (con cui
è stato convertito il D.L. n. 25/2005); la citata norma prevede che: “Le liberalità in denaro o
in natura erogate da persone fisiche o da enti soggetti all'imposta sul reddito delle società in
favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui all'articolo 10, commi 1, 8 e 9,
del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, nonché quelle erogate in favore di
associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale previsto dall'articolo 7,
commi 1 e 2, della legge 7 dicembre 2000, n. 383, e in favore di fondazioni e associazioni
riconosciute aventi per oggetto statutario la tutela, promozione e la valorizzazione dei beni di
interesse artistico, storico e paesaggistico di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42,
sono deducibili dal reddito complessivo del soggetto erogatore nel limite del dieci per cento
del reddito complessivo dichiarato, e comunque nella misura massima di 70.000 euro annui”;
la piena fruibilità di tale rilevante agevolazione da parte delle Onlus parziali (art. 10 comma
336
161
Si evidenzi infine gli enti ecclesiastici non riconosciuti sono
esclusi dall'ambito operativo dell'art. 10, IX co., d.lgs. n. 460/1997, per
le notevoli difficoltà “di controllo dei presupposti qualificativi” di tali
enti340 341.
9, d. lgs. 460/1997) e quindi da parte degli enti ecclesiastico Onlus è stata sancita e chiarita
dall’Agenzia delle Entrate con circolare del 19.8.2005 n. 39/E102. Non ultima deve essere
considerata l’agevolazione prevista dagli artt. 337-340 della legge n. 266/2005 (legge
finanziaria 2006) con cui è stato introdotta la possibilità per il singolo contribuente di
destinare il proprio 5 per mille dell’IRPEF per le finalità e in favore dei tipi di enti precisati
nella ridetta normativa, tra cui rientrano non solo le Onlus ex art. 10 d. lgs. 460/1997 ma
anche le «associazioni e fondazioni riconosciute» che operano nei settori di cui all’art. 10 d.
lgs. 460/1997. “E così il 5 per mille finisce per interessare tanto gli enti ecclesiastici che
abbiano scelto la veste aggiuntiva di Onlus, quanto gli enti ecclesiastici di tipo associativo o
fondatizio che semplicemente abbiano scelto di operare nei settori elencati nel decreto 460”.
Come sostenuto in dottrina, l’auspicio è che le agevolazioni previste dal d.lgs. sulle Onlus
anche per gli enti confessionali “potrebbero costituire le condizioni di partenza per la
definizione di un diritto comune, a vantaggio di tutte le diverse formazioni sociali operanti a
fini solidaristici, in cui le motivazioni e le ispirazioni religiose, pur acquisendo un loro
specifico rilievo, non dovrebbero assumere carattere privilegiario, né costituire elemento di
discriminazione”.
340
Quanto tra virgolette risulta dalla Relazione di accompagnamento al d.lgs. n.
460/1997.
Cfr. A. GUARINO, La giungla delle agevolazioni fiscali fiscali “religiose”…, cit.,
134 ss, che afferma che detta motivazione è non solo poco convincente, ma anche errata ed
incongruente, in quanto ignora che, tra gli enti ecclesiastici riconosciuti, esiste anche la
categoria degli enti confessionali riconosciuti ai sensi della legislazione unilaterale sui culti
ammessi del 1929-1930, che nella discriminazione vengono, senza sufficienti giustificazioni,
accomunati agli enti non riconosciuti. Inoltre, G. CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto
ecclesiastico, cit., 314, rileva che “è arduo comprendere perché siano ancora una volta
escluse le confessioni disciplinate dalla legge sui cuti ammessi, limitando così in maniera
discriminatoria il contributo dei soggetti religiosi alla solidarietà sociale, specie se si tiene
conto che in generale, ai fini dell’acquisizione della qualifica di onlus, il legislatore assume il
criterio qualificante del regime di attività e non quello soggettivo”.
341
In dottrina si è ritenuto che “la parificazione alle Onlus solo degli enti delle
confessioni religiose che abbiano stipulato patti, accordi o intese con lo Stato sembra di
dubbia conformità con gli art. 8, 1° comma, 19 e 20 della Costituzione, in quanto agevola
l’esercizio di un aspetto pratico della libertà religiosa – prestare assistenza ai deboli – solo a
una parte delle confessioni religiose esistenti in Italia, escludendo le altre”; altri hanno
individuato come ratio a fondamento della normativa la considerazione che la confessione
che ha stipulato l’intesa con lo Stato ha assunto un ruolo significativo per la collettività.
Pertanto, secondo tale tesi non può parlarsi di contrasto con gli artt. 20, 3 e 8, primo comma
della Costituzione, trattandosi di una“peculiarità la cui ratio deve farsi risalire a quella
rilevanza sociale della confessione religiosa cui gli enti in questione appartengono, che è
162
Si ritiene comunque pacificamente che tali enti possano assumere
la qualifica di vere e proprie Onlus (e quindi non parziarie) se svolgono,
in via esclusiva, le attività di rilevanza sociale, fermo restando il rispetto
dei requisiti generali richiesti dalla normativa Onlus e, quindi in
particolare, se svolgono la loro attività nei settori elencati nell’art. 10, co.
1, fra i quali non rileva come socialmente utile l’attività religiosa.
stata accertata tramite l’intesa e che, in qualche modo, è giustificativa dell’intesa stessa”.
L’acquisizione di quella rilevanza sociale, cui potrebbe ambire una confessione,
incontrerebbe, tuttavia, ostacolo nella impossibilità di accedere al regime fiscale agevolativo
che, in caso contrario, attraverso lo svolgimento di attività nel campo dell’assistenza, della
carità o della beneficenza, consentirebbe di diffondere la propria fede religiosa in conformità
alle previsioni degli artt. 8, 1 comma e 19 Cost., e, quindi, di far maturare le condizioni che
permetterebbero alle stesse di richiedere un’intesa. In effetti l’intesa presuppone un
preventivo esame sulla “natura religiosa della confessione, sulla affidabilità del suo assetto
organizzativo e del suo modo di agire”. Certamente il fondamento del d. lgs. 460/97 sembra
essere coerente con lo scopo promozionale dell’art. 20 della Costituzione: “tale ratio è
finalizzata a rendere possibile la riconduzione de “il carattere ecclesiastico e il fine di
religione o di culto” ad un universo di significati comparabile con quello degli enti
esponenziali dei gruppi promotori di analoghe iniziative e attenti al progresso spirituale della
società”. Gli ostacoli maggiori che un ente non convenzionato si troverebbe ad affrontare per
diventare Onlus ai sensi della disciplina di carattere generale sarebbero vari: innanzitutto la
compatibilità tra l’attività di utilità sociale e le attività di religione o di culto che lo stesso
ente potrebbe continuare a svolgere solo se esse fossero direttamente connesse alla prima
che, dovrebbe essere, pertanto, principale; inoltre non va sottovalutato l’obbligo di darsi un
ordinamento democratico a fronte del principio gerarchico che è proprio di non poche
confessioni religiose; non ultimo l’obbligo di utilizzare l’acronimo Onlus. Riteniamo che,
ove pure l’ente riesca a superare gli indicati ostacoli, non potrebbe non farlo, se non a costo
di subire un evidente snaturamento della propria originaria e peculiare configurazione
confessionale. Tanto potrebbe evitarsi solo costituendo un ente parallelo ad un ente
ecclesiastico non convenzionato che risponda a tutti i requisiti richiesti dal d. lgs. 460/97 per
le Onlus profane.
163
CAPITOLO III
IMPRESA SOCIALE ED ENTI ECCLESIASTICI.
NUOVE SOGGETTIVITÀ GIURIDICHE TRA
SPECIFICITÀ E CONVERGENZE
SOMMARIO: 3.1. D.lgs. n. 155/2006 e dimensione etica del fare
impresa. I soggetti interessati e l’attività principale svolta. –
3.2. La costituzione e l’iscrizione. – 3.3. I settori di riferimento
e gli ulteriori requisiti. – 3.4. La struttura proprietaria e di
controllo. – 3.5. – Il coinvolgimento dei lavoratori. – 3.6. La
responsabilità patrimoniale. – 3.7. Le scritture contabili, il
controllo gestionale e contabile e le operazioni straordinarie. –
3.8. Il lavoro nell’impresa sociale ed il monitoraggio. – 3.9.
Enti ecclesiastici imprenditori sociali. Una nuova prospettiva
per gli enti ecclesiastici pur sempre caratterizzata da specialità
di regime. – 3.9.1. Problemi di incertezza soggettiva. – 3.9.2.
Le attività imprenditoriali, il regolamento e la sua iscrizione
nel registro delle imprese. – 3.9.3. La responsabilità
patrimoniale dell’ente ecclesiastico. – 3.10. Problematiche
relative all’applicabilità della disciplina di diritto comune.
L’assoggettamento alla procedura fallimentare per l’ente
ecclesiastico non in grado di adempiere regolarmente le
proprie obbligazioni. – 3.11. La responsabilità amministrativa
degli enti ai sensi d.lgs. n. 231/2011. – 3.11.1. Gli aspetti
principali del decreto. – 3.11.2. La rilevanza della disciplina
anche per gli enti religiosi.
164
3.1. D.lgs. n. 155/2006 e dimensione etica del fare impresa. I soggetti
interessati e l’attività principale svolta.
Il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155
342
(“Disciplina dell’impresa
sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118”), entrato in vigore
il 12 maggio 2006, in attuazione della legge delega 13 giugno 2005, n.
118
343
, definisce e disciplina la c.d. impresa sociale344, indicandone i
settori di attività.
342
In G.U., 27 aprile 2006, n. 97.
La disciplina è completata da alcuni decreti del 24 gennaio 2008: 1) “Linee guida
per le operazioni di trasformazione, fusione, scissione e cessione d'azienda, poste in essere
da organizzazioni che esercitano l'impresa sociale”, emesso dal del Ministero della
Solidarietà Sociale; 2) “Linee guida per la redazione del bilancio sociale” da parte del
Ministero della Solidarietà Sociale; 3) “definizione degli atti che devono essere depositati
presso il registro delle imprese, e delle relative procedure” da parte del Ministero dello
Sviluppo Economico; 4) “definizione dei criteri quantitativi e temporali per il computo della
percentuale del settanta per cento dei ricavi complessivi dell'impresa sociale” da parte del
Ministero dello Sviluppo Economico.
343
Va evidenziata l’esistenza di rilevanti difformità tra la legge delega ed il decreto
delegato.
In particolare, la legge delega proponeva la creazione di un nuovo modello di ente no
profit, un ente con specifiche caratteristiche, un ente volto allo svolgimento di attività
economica ma con intento solidaristico. Il decreto legislativo ha invece ritenuto opportuno
lasciare libertà all’autonomia privata nella possibilità di scelta dello schema organizzativo ed
ha ritenuto privilegiare gli aspetti “utilità sociale” dell’attività svolta e finalità non lucrativa;
in particolare, si è ritenuto opportuno introdurre la necessità di alcuni elementi strutturali
come l’assenza dello scopo di lucro, l’indipendenza ed autonomia tra organi di indirizzo,
gestione e controllo, una partecipazione attiva dei soggetti immediatamente coinvolti
nell’attività svolta dall’impresa sociale (lavoratori, beneficiari dell’attività stessa, i
finanziatori), un’organizzazione democratica ed improntata alla trasparenza.
344
Sul tema, ex multis, F. ALLEVA, L'impresa sociale italiana, Milano, 2007; A.
BETTETINI, Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto e disciplina dell’impresa sociale.
L’esercizio in forma economica di attività socialmente utili da parte di un ente religioso, in
Ius Ecclesiae, n. 18, 2006, 719-740; A. BUCELLI, Riflessioni problematiche sulla disciplina
dell'impresa sociale, in Non profit, 2006, 4, 747-754; F. CAFAGGI, La legge delega
sull'impresa sociale: riflessioni critiche tra passato (prossimo) e futuro (immediato), in
Impresa sociale, 2005, 5, 62 ss.; A. FICI, La nozione di impresa sociale e le finalità della
disciplina, in Impresa sociale, 2006, 3, 26 ss.; A. FUCCILLO, Disciplina dell’impresa
sociale…, cit., 317-336; A. PERRONE, La nuova disciplina dell'impresa sociale, in
Cooperazione di credito, 2006, 73-79; S. PETTINATO, L'impresa sociale al debutto
normativo tra luci e ombre, in Dir. prat. delle società, 2006, 11, 6 ss.
165
In particolare, possono acquisire tale qualifica “tutte le
organizzazioni private… che esercitano in via stabile e principale
un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello
scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di
interesse generale” (cfr. art. 1 I co.)345.
Si tratta degli enti di cui al Libro I del Codice Civile, associazioni,
riconosciute e non, fondazioni e comitati; inoltre, la norma sopra indicata
afferma che vengono esplicitamente “compresi gli enti di cui al libro V
del codice civile”
346
, e quindi le società, di persone e di capitali, le
cooperative ed i consorzi 347.
G. SALATINO, L’impresa sociale, in Contratto e Impr., 2011, 2, 394, parla di
libertà delle forme sotto il profilo organizzativo. L’impresa sociale, dunque si caratterizza
non tanto per una struttura organizzativa tipica, ma per la finalità che intende perseguire
all’interno di schemi già preesistenti all’interno del nostro ordinamento: associazioni,
comitati, fondazione, società di persone, società di capitali, società cooperative e qualunque
altra forma di organizzazione collettiva.
Molti Autori sottolineano che la necessità di una normativa ad hoc sull'impresa
sociale, nasce dalla considerazione che le forme giuridiche più diffuse nel terzo settore
(associazione, fondazione e cooperative sociali), essendo caratterizzate da sistemi di
governance inadeguati, insufficienti risorse patrimoniali e più in generale da pregnanti limiti
legislativi, pongono seri limiti alla crescita dimensionale e all'ampliamento degli ambiti
d'intervento a servizi di utilità sociale diversi da quelli socio-assistenziali e di inserimento
lavorativo.
346
P. CONSORTI, La disciplina dell’impresa sociale e il 5 per mille, in Quad. dir. pol.
eccl., n. 2, 2006, 464, pone l’accento sulla possibilità dell’esclusione dello scopo di lucro per
le società inizialmente nate al fine di esercitare attività economiche con lo scopo di dividerne
gli utili.
347
Da notare quanto affermato da M. PARISI, Enti ecclesiastici, onlus ed impresa
sociale tra libertà religiosa e concorrenza di mercato, in Dir. di famiglia e delle persone,
fasc, 4, 2012, 1781 ss, secondo cui “la cifra distintiva degli ultimi interventi legislativi
concernenti il settore della solidarietà sociale e delle azioni di sostegno alle fasce di
popolazione in situazione di disagio sembra essere data dalla assunzione di una
considerazione unitaria delle varie figure di enti e di organizzazioni operanti in quest'ambito,
con l'obiettivo di inquadrarli in una sola categoria generale e di favorire il superamento,
almeno in via tendenziale, delle specifiche caratterizzazioni di ciascuna delle soggettività
considerate”; si tratta dunque di un’operazione di riconduzione ad unità condotta
345
166
Si noti che la norma afferma “possono acquisire” e che dunque
l’accesso alla disciplina delle imprese sociali è volontario.
L’art. 1, II co., esclude espressamente dalla possibilità di acquisire
la qualifica di impresa sociale “le amministrazioni pubbliche di cui
all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni, e le organizzazioni i cui atti costitutivi limitino,
anche indirettamente, l'erogazione dei beni e dei servizi in favore dei
soli soci, associati o partecipi”.
Le amministrazioni pubbliche cui si fa riferimento sono, in
particolare, le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e
scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed
amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le
Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e
associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case
popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e
loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali,
regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio
sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle
pubbliche amministrazioni.
Secondo l’opinione preferibile, tali enti sono esclusi in ragione di
quella che è la ratio stessa dell’impresa sociale, uno strumento con cui
sostituire l’amministrazione pubblica nella realizzazione di talune
finalità di carattere generale normativamente individuate.
valorizzando le attività concrete poste in essere dalle singole entità attive nell’ambito degli
interventi di utilità sociale.
167
Va segnalato che una particolare disciplina è prevista a favore
delle cooperative sociali e dei loro consorzi di cui alla legge 8 novembre
1991, n. 381. A tali enti non viene infatti richiesto di uniformarsi alla
nuova disciplina (cfr. art. 17, III co.), se non per quanto concerne
l'obbligo di redigere e depositare presso il registro delle imprese il
bilancio sociale (secondo linee guida adottate con decreto del ministro
del lavoro e delle politiche sociali, sentita l’Agenzia per le
organizzazioni non lucrative di utilità sociale), in modo da rappresentare
l'osservanza delle finalità sociali da parte dell'impresa sociale, nonché
per ciò che concerne la previsione (anche attraverso la redazione di
appositi regolamenti) di forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei
destinatari delle attività.
L’art. 17, IV co., afferma che “entro dodici mesi dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, ai soli fini di cui al comma 3, le
cooperative sociali ed i loro consorzi, di cui alla legge 8 novembre 1991,
n. 381, possono modificare i propri statuti con le modalità e le
maggioranze previste per le deliberazioni dell'assemblea ordinaria”;
pertanto, i suddetti vincoli devono essere espressamente previsti negli
statuti.
Al riguardo, preme dunque rilevare che per gli enti da ultimi citati
rimane in vigore la normativa preesistente in tema di utili e ristorni e non
è dunque applicabile la norma contenuta nell’art. 3 concernente il divieto
di distribuzione di utili, diretto o indiretto.
Si deve inoltre evidenziare che l’art. 1, III co., afferma inoltre che
le norme sull'impresa sociale si applicano anche “agli enti ecclesiastici e
agli enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato ha
stipulato patti, accordi o intese limitatamente allo svolgimento delle
168
attività elencate dall’art. 2” (attività di utilità sociale), purchè, però, “per
tali attività adottino un regolamento, in forma di scrittura privata
autenticata, che recepisca le norme del presente decreto” (n.d.r. d.lgs. n.
155; in particolare, l’assenza dello scopo di lucro) e che “deve contenere
i requisiti che sono richiesti dal presente decreto per gli atti costitutivi”.
Inoltre, “per tali attività devono essere tenute separatamente le scritture
contabili”. Della disciplina speciale sugli enti ecclesiastici ne parleremo
infra.
E’ opportuno chiarire che cosa debba intendersi per “attività
principale ai sensi dell'articolo 1, comma 1”.
L’art. 2, III co., afferma che “si intende quella per la quale i
relativi ricavi sono superiori al settanta per cento dei ricavi complessivi
dell'organizzazione che esercita l'impresa sociale”.
Il decreto del 24 gennaio 2008 del Ministero dello Sviluppo
Economico348 (“Definizione dei criteri quantitativi e temporali per il
computo della percentuale del settanta per cento dei ricavi complessivi
dell'impresa sociale”) rileva che, per il computo della soglia minima del
settanta per cento, si prendono in considerazione, per ogni anno di
esercizio, soltanto i ricavi direttamente generati dalle attività di utilità
sociale (c.d. criterio quantitativo).
Rientrano nella nozione di ricavo ai fini dell’applicazione del
decreto:
348
In G.U., n. 86 11 aprile 2008. Tale decreto è stato emanato sulla base di quanto
affermato dal medesimo art. 2, III co. che afferma “con decreto del Ministro delle attività
produttive e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali sono definiti i criteri quantitativi
e temporali per il computo della percentuale del settanta per cento dei ricavi complessivi
dell'impresa”.
169
- tutti i proventi che concorrono positivamente alla realizzazione del
risultato gestionale dell'esercizio contabile di riferimento, se nella
propria ordinaria gestione, compatibilmente con i vincoli di legge,
l’organizzazione che esercita l’impresa sociale adotta principi di
contabilità per competenza;
- tutte le entrate temporalmente riferibili all'anno di riferimento,
nell'ipotesi di contabilità per cassa.
Non vengono, invece, considerati nel computo del rapporto tra
ricavi prodotti da attività di utilità sociale e ricavi complessivi
dell'impresa, i ricavi relativi a:
- proventi da rendite finanziarie o immobiliari;
- plusvalenze di tipo finanziario o patrimoniale;
- sopravvenienze attive;
- contratti o convenzioni con società ed enti controllati dall'impresa
sociale o controllanti la medesima.
Inoltre, nell'ipotesi di ricavi provenienti da una commistione di
diverse attività, oppure non facilmente attribuibili ad un determinato
settore, si ricorre al criterio del numero di addetti impiegati per ciascuna
attività.
Al fine di rappresentare l'osservanza del suddetto computo,
l'impresa sociale, è tenuta: (i) a pubblicare le informazioni inerenti i
settori di attività dell'impresa sociale considerati di “utilità sociale”
unitamente ai dati annuali di bilancio, i quali vanno evidenziati anche
all'interno del bilancio sociale; (ii) ad effettuare, in caso di mancato
rispetto del limite minimo del settanta per cento, apposita segnalazione al
170
Ministero della Solidarietà Sociale ed all'ufficio del registro delle
imprese, entro il termine di trenta giorni dall'approvazione del bilancio
da parte degli organi societari349.
3.2. La costituzione e l’iscrizione.
La costituzione dell'impresa sociale deve avvenire con atto
pubblico (forma ad substantiam)350, che deve contenere, oltre “a quanto
specificamente
previsto
per
ciascun
tipo
di
organizzazione”,
un’esplicitazione circa il carattere sociale dell’impresa ed indicare
l'oggetto sociale, con particolare riferimento all'utilità sociale, ed altresì
l'assenza di scopo di lucro351.
349
Va notato che nel caso del mancato rispetto del limite minimo del 70 % non sono
previste particolari sanzioni o conseguenze a carico dell’organizzazione che esercita
l’impresa sociale.
350
L’adozione dell’atto pubblico è dunque prevista anche per la costituzione di
quegli enti, quali le associazioni non riconosciuta, le società in nome collettivo, i comitati,
etc., non soggetti, secondo il regime che li riguarda, a particolari requisiti di forma ovvero
soggetti alla sola forma scritta imposta per soddisfare esigenze di pubblicità.
Ci si chiede quali possano essere le conseguenze del vizio di forma prescritta; la
soluzione preferibile parrebbe essere quella secondo cui l’ente costituito possa essere
mantenuto in vita quando sia possibile la conversione del negozio, ai sensi dell’art. 1424 c.c.,
ricorrendone tutti i presupposti.
351
In particolare, deve risultare: 1) l'oggetto sociale, in conformità all'art. 2; 2)
l'assenza di scopo di lucro, in conformità all'articolo 3; 3) la denominazione contenente la
locuzione “impresa sociale”; 4) la disciplina delle cariche sociali, tenendo conto dei vincoli
previsti dall’art. 8 (la nomina della maggioranza dei componenti delle cariche sociali non
può essere riservata a soggetti esterni alla organizzazione che esercita l'impresa sociale, salvo
quanto specificamente previsto per ogni tipo di ente dalle norme legali e statutarie e
compatibilmente con la sua natura; non possono rivestire cariche sociali soggetti nominati da
soggetti pubblici o imprese private con finalità lucrative; devono essere previsti specifici
requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza per coloro che assumono cariche
sociali); 5) l'obbligo di nomina, nel caso del superamento di due dei limiti indicati nel
comma 1 dell'articolo 2435-bis del codice civile ridotti della metà, di uno o più sindaci, che
vigilino sull'osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta
amministrazione, sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile; i
sindaci possono in qualsiasi momento procedere ad atti di ispezione e di controllo, e chiedere
171
E, quindi, sulla base di quanto si avrà modo di approfondire anche
infra, ai sensi dell’art. 5, I co., relativamente all’atto costitutivo (o allo
statuto) il contenuto previsto dal codice civile, deve essere integrato in
maniera tale da esplicitare il carattere sociale dell'impresa, in conformità
a quanto previsto dalla nuova disciplina.
E’ previsto l’obbligo di iscrizione, che ha natura costitutiva ai fini
dell’acquisizione della qualifica, presso l’apposita sezione del Registro
delle imprese riservata alle imprese sociali (entro i trenta giorni
successivi alla costituzione).
La competenza attiene alla circoscrizione del luogo ove è stabilita
la sede legale dell’impresa 352
agli amministratori notizie, anche con riferimento ai gruppi di imprese sociali,
sull'andamento delle operazioni o su determinati affari; essi, inoltre, esercitano anche compiti
di monitoraggio dell'osservanza delle finalità sociali da parte dell'impresa, dei cui risultati
deve essere data risultanza in sede di redazione del bilancio sociale; 6) l'obbligo di nomina,
nel caso in cui l'impresa sociale superi per due esercizi consecutivi due dei limiti indicati nel
comma 1 dell'articolo 2435-bis del codice civile, di uno o più revisori contabili iscritti nel
registro istituito presso il ministero della giustizia cui affidare il controllo contabile dell'ente;
tale funzione può essere attribuita agli stessi sindaci, qualora questi siano revisori contabili ;
7) le modalità di ammissione ed esclusione dei soci, e il rapporto sociale nel rispetto del
principio di non discriminazione; in particolare, deve essere prevista la facoltà dell'aspirante
socio o del socio di adire l'assemblea nei casi, rispettivamente, in cui sia destinatario di un
provvedimento di diniego di ammissione o di esclusione; 8) in mancanza di appositi
regolamenti, le forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari delle attività; per
coinvolgimento deve intendersi qualsiasi meccanismo, ivi comprese l'informazione, la
consultazione o la partecipazione, mediante il quale lavoratori e destinatari delle attività
possono esercitare un'influenza sulle decisioni che devono essere adottate nell'ambito
dell'impresa, almeno in relazione alle questioni che incidano direttamente sulle condizioni di
lavoro e sulla qualità dei beni e dei servizi prodotti o scambiati; 9) l'obbligo, in caso di
cessazione dell'impresa, di devolvere il patrimonio residuo ad organizzazioni non lucrative di
utilità sociale, associazioni, comitati, fondazioni ed enti ecclesiastici, secondo le norme
statutarie.
352
Sul tema, cfr. M. MACERONI, L'iscrizione dell'impresa sociale nell'apposita
sezione del registro delle imprese, in Giur. comm., 2010, n. 2, p. 282.
172
Dal momento di tale iscrizione si instaura un regime di
responsabilità limitata, a condizione che l'impresa abbia un patrimonio
superiore ad una determinata soglia353.
Si evidenzi che nessuna norma del decreto prevede che con
l'iscrizione nel registro delle imprese l'impresa sociale acquisti la
personalità giuridica, tuttavia ciò sembra desumibile dalla Relazione di
accompagnamento.
Ovviamente, anche le modificazioni degli atti costitutivi e gli altri
fatti relativi all'impresa devono essere depositati entro trenta giorni a
cura del notaio o degli amministratori presso l'ufficio del registro delle
imprese354.
Inoltre, si sottolinei che la pubblicità in oggetto è integrativa di
quella prevista per gli enti che sono già obbligati al relativo deposito
presso il registro delle imprese.
3.3. I settori di riferimento e gli ulteriori requisiti.
Dette organizzazioni, per le quali è sancito l’obbligo dell’uso della
locuzione “impresa sociale”355 (cfr. art. 7), devono possedere altresì
alcuni specifici requisiti che sono previsti dagli artt. 2, 3 e 4 del
353
Cfr. art. 6, I co.
Il D.M. Sviluppo Economico del 24 gennaio 2008, in G.U. 11 aprile 2008, n. 86,
“Definizione degli atti che devono essere depositati presso il registro delle imprese, e delle
relative procedure”, emanato ai sensi dell’art. 5, V co. del decreto, specifica gli atti che
devono essere depositati presso il registro delle imprese, nonché le procedure da rispettare
per il deposito.
355
L’uso della medesima locuzione è vietato, così come quello di altre parole o
locuzioni idonee a trarre in inganno, a soggetti diversi dalle organizzazioni che esercitano
un'impresa sociale (art. 7, III co.).
354
173
medesimo decreto, che riguardano gli ambiti di operatività dell’impresa,
la non lucratività ed i vincoli alla struttura proprietaria.
L’ art. 2, I co., chiarisce quali sono i c.d. beni e servizi di utilità
sociale (undici settori), alla cui produzione o scambio è diretta l’attività
imprenditoriale sociale e che, come detto, devono realizzare finalità di
interesse generale356.
Si tratta di “quelli prodotti o scambiati nei seguenti settori:
assistenza
sociale357;
assistenza
sanitaria358;
assistenza
socio-
sanitaria359; educazione, istruzione e formazione360; tutela dell'ambiente
e dell'ecosistema361; valorizzazione del patrimonio culturale362; turismo
sociale363; formazione universitaria e post-universitaria; ricerca ed
E’ evidente che il requisito della realizzazione di finalità di interesse generale sarà
riscontrabile solo secondo un giudizio ex post effettuata dall’autorità preposta alla
sorveglianza ed al monitoraggio delle imprese sociali.
357
Cfr. legge 8 novembre 2000, n. 328, in G.U., n. 265 del 13 novembre 2000, suppl.
ord. n. 186, recante “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e
servizi sociali”.
358
Per l’erogazione delle prestazione di cui al Decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri 29 novembre 2001, in G.U. 8 febbraio 2002, n. 33, recante “Definizione dei
livelli essenziali di assistenza”, e successive modificazioni.
359
Ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 febbraio
2001, in G.U. n. 129 del 6 giugno 2001, recante “Atto di indirizzo e coordinamento in
materia di prestazioni sociosanitarie”.
360
Ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, in G.U. 2 aprile 2003, n. 53, recante
“Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli
essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale”.
361
Ai sensi della legge 15 dicembre 2004, n. 308, in G.U., n. 302 del 27 dicembre
2004, suppl. ord. n. 187, recante “Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e
l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione”, con
esclusione delle attività, esercitate abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani,
speciali e pericolosi.
362
Ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in G.U. n. 45 del 24
febbraio 2004, suppl. ord. n. 28, recante “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi
dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”.
363
Di cui all’articolo 7, comma 10, della legge 29 marzo 2001, n. 135, in G.U. n. 92
del 20 aprile 2001, recante “Riforma della legislazione nazionale del turismo”.
356
174
erogazione di servizi culturali; formazione extra-scolastica, finalizzata
alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e
formativo; servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti
in misura superiore al settanta per cento da organizzazioni che
esercitano un'impresa sociale 364”.
Va peraltro evidenziato che, ai sensi dell’art. 2, II co.,
indipendentemente dall'esercizio dell’ attività di impresa nei settori
menzionati (e, quindi, anche se l’impresa non opera in uno dei settori
individuati dalla normativa), “possono acquisire la qualifica di impresa
sociale le organizzazioni che esercitano attività di impresa al fine
dell'inserimento
lavorativo
di
soggetti
che
siano:
lavoratori
svantaggiati365; lavoratori disabili 366”..
364
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit. 2008, 274 ss,
evidenzia che l’individuazione delle materie di particolare rilevo sociale è stata condotta alla
luce di un’indagine nei campi all’interno dei quali è più consistente la presenza di operatori
del terzo settore. Peraltro, i settori menzionati coincidono in larga parte con quelli previsti
nel d.lgs. n. 460/1997 in materia di ONLUS; non sono però indicati i settori dello sport
dilettantistico, della beneficenza e della tutela dei diritti civili.
Cfr., altresì, M. PARISI, Enti ecclesiastici, onlus ed impresa sociale tra libertà
religiosa e concorrenza di mercato, cit., 1781 ss, che afferma che l'ampia gamma di settori
considerati attiene ad una varietà di interessi promuoventi il benessere materiale e spirituale
della persona umana e della società, nei quali, tuttavia, la religione non viene considerata;
sembrerebbe quindi essere prevalsa la considerazione secondo cui la religione, in virtù del
suo essere costituito da un insieme complesso di valori e di principi relativi al rapporto della
persona umana con il trascendente, non potrebbe essere compresa, quantomeno direttamente,
nel novero della solidarietà sociale; tuttavia, tenendo conto della attuale considerazione ex
parte publica delle attività di religione e di culto, non si può non osservare l'attenzione che i
pubblici poteri manifestano per il rilievo sociale di tali attività.
365
Lavoratori svantaggiati ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), punti i, ix e
x, del regolamento (CE) n. 2204/2002 del 12 dicembre 2002 della Commissione relativo
all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore
dell’occupazione.
366
Lavoratori disabili ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera g), del regolamento
(CE) n. 2204/2002 del 12 dicembre 2002 della Commissione relativo all’applicazione degli
articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell’occupazione.
175
A tal riguardo, è sufficiente che i lavoratori svantaggiati o disabili
siano impiegati “in misura non inferiore al 30%” rispetto a tutti gli altri
lavoratori che a qualunque titolo prestino la propria attività lavorativa
all’interno dell’organizzazione367.
Ulteriore requisito richiesto dal decreto, e direi anche “elemento
fondamentale ai fini della qualificazione giuridica in esame”368, è
l’assenza dello scopo di lucro soggettivo (c.d. no distribution constraint).
La nozione di non lucratività369 che emerge dall’art. 3 è una
nozione in positivo.
Sono anche indicate alcune operazioni ritenute vietate, con
presunzione legale soggetta a prova contraria.
In particolare, si afferma che “l'organizzazione che esercita
un’impresa sociale destina gli utili e gli avanzi di gestione allo
svolgimento dell'attività statutaria o ad incremento del patrimonio”; è
quindi vietata la distribuzione, anche in forma indiretta, di utili e avanzi
Cfr., art. 2, IV co., “I lavoratori di cui al comma 2 devono essere in misura non
inferiore al trenta per cento dei lavoratori impiegati a qualunque titolo nell'impresa; la
relativa situazione deve essere attestata ai sensi della normativa vigente”. In questa ipotesi
la finalità di interesse generale coincide con la particolare relazione solidaristica che si
inserisce nello svolgimento dell’attività imprenditoriale.
G. SALATINO, L’impresa sociale, cit., 394, afferma che “lo scopo incentivante che si
aveva avuto l’impressione di scorgere dalla lettura dei primi articoli del testo risulta del tutto
frustrato ….dall’ultima disposizione del decreto…l’art. 18 stabilisce infatti che all’attuazione
del decreto debba provvedersi senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.
368
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 277.
369
P. PIANTAVIGNA, Profili fiscali dell’impresa sociale: esigenze di disciplina e di
sistema, in Riv. dir. fin., 2012, 01, 62, rileva che “è il lucro c.d. soggettivo quello di cui si
predica l'assenza, che postula la differenza fra il conferimento effettuato dal socio ed il
patrimonio netto della società, che non esclude che la gestione sia ispirata a ricercare il lucro
proprio per favorire gli scopi istituzionali dell'ente medesimo (c.d. “lucro oggettivo”)”. E’
invece possibile ed auspicabile il conseguimento del lucro oggettivo in quanto risorsa da
reimpiegare nell’attività o da destinare ad altre finalità di rilevanza sociale.
367
176
di gestione, comunque denominati, nonché fondi e riserve in favore di
amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori; l’assenza di
scopo di lucro è dunque innanzitutto vincolo di destinazione (allo
svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio) del
profitto dell’impresa collettiva.
Opportunamente, la seconda parte dell’art. 3, II co., chiarisce
anche che cosa debba considerarsi per distribuzione indiretta di utili; si
tratta della corresponsione agli amministratori di compensi superiori a
quelli previsti nelle imprese che operano nei medesimi o analoghi settori
e condizioni, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di
acquisire specifiche competenze, ed in ogni caso con un incremento
massimo del venti per cento; inoltre, della corresponsione ai lavoratori
subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori a quelli
previsti dai contratti o accordi collettivi per le medesime qualifiche,
salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche
professionalità; infine, della remunerazione degli strumenti finanziari
diversi dalle azioni o quote, a soggetti diversi dalle banche e dagli
intermediari finanziari autorizzati, superiori di cinque punti percentuali
al tasso ufficiale di riferimento370 371.
G. SALATINO, L’impresa sociale, cit., 394, afferma che il divieto di dividere gli
utili (previsto al fine di garantire in ogni caso il carattere non speculativo della
partecipazione all’attività d’impresa, e che dovrebbe rappresentare una garanzia riguardo alla
virtuosità dell’impresa in quanto il profitto individuale non prenderebbe il sopravvento sulla
qualità dei beni scambiati) non può che avere effetti pregiudizievoli sul piano applicativo. In
particolare, l’impresa sociale potrebbe andare incontro a problemi di sottocapitalizzazione.
371
Cfr. Relazione che ha accompagnato il Disegno di Legge n. 3045 (che si è poi
trasformato nel d.lgs in esame) ai sensi della quale, relativamente ai caratteri dell’impresa
sociale, si afferma: “È dall'essenzialità di tali fattori (assenza di lucro soggettivo, attività
finalizzata verso settori sociali preindividuati e regole organizzative a salvaguardia
dell’autonomia della “governance”) dalla loro mutevole combinazione, che trae origine il
delinearsi di una vera e propria imprenditorialità sociale, del tutto affrancata da letture
370
177
In estrema sintesi, dunque, la norma intende evitare (salve le
eccezioni menzionate) un possibile arricchimento personale da parte di
coloro che, a vario titolo (socio o associato, amministratore, lavoratore
dipendente, collaboratore), partecipano all’attività dell’impresa e
comprende anche i c.d. ristorni (che sono la forma tipica di
remunerazione del rapporto mutualistico)372.
Conformemente all’assenza dello scopo di lucro, l’art. 13, III co.,
prevede che, in caso di cessazione dell’impresa, la devoluzione del
patrimonio avvenga soltanto in favore di determinati soggetti
(“organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni, comitati,
fondazioni ed enti ecclesiastici, secondo le norme statutarie”); il tutto
fatto “salvo quanto previsto in tema di cooperative373”.
L’atto di devoluzione deve essere autorizzato (anche con il
meccanismo del silenzio assenso) dal Ministero del lavoro e delle
manichee nelle quali l’ideale ed il profitto, il lavoro e l’azione benefica si vorrebbero
rigidamente separati così come, in natura, non si sono mai presentati. Il valore di
un’iniziativa legislativa organica sull’impresa sociale, in fondo, è tutto qui: non ostacolare
ed assecondare l’originaria spinta della persona a costruire, ad un tempo, per sé e per gli
altri”.
372
Ciò salvo quanto sopra detto con riferimento alla speciale disciplina prevista
dall’art. 17 per le cooperative sociali.
Cfr., altresì, A. FICI, Art. 3 , in A. FICI e D. GALLETTI (a cura di) Commentario al
decreto sull’impresa sociale (d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155), Torino, 2007, 56 ss, che afferma
che si tratta di una non lucratività rafforzata perché il divieto è assoluto, riguarda anche il
c.d. vantaggio mutualistico (cioè derivante all’impresa sociale da rapporti intrattenuti con i
propri soci o associati), riguarda anche, entro certi limiti, i vantaggi percepibili da
amministratori, lavoratori e finanziatori attraverso rapporti diretti con l’impresa sociale, ha
ad oggetto anche fondi e riserve.
373
E cioè la devoluzione del patrimonio, dedotto il capitale sociale e i dividendi
eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della
cooperazione.
178
politiche sociali, sentita l’Agenzia per le organizzazioni non lucrative di
utilità sociale 374 375.
Pertanto,
i
partecipanti
all’organizzazione
non
potranno
remunerare il capitale investito in sede di liquidazione dell’ente376.
Conformemente, si afferma peraltro che sussista anche un divieto
di restituzione dei conferimenti in sede di eventuale esercizio del diritto
di recesso (che, come noto, invece, nelle società lucrative, presuppone
una liquidazione a valori economici). In particolare, va segnalato che, nel
silenzio del decreto sull’impresa sociale si ritiene debba applicarsi, per
analogia l’art. 24, IV co., c.c., secondo cui i partecipanti che abbiano
receduto o comunque smesso di far parte dell’organizzazione “non
possono ripetere i contributi versati, né hanno alcun diritto sul
patrimonio”.
3.4. La struttura proprietaria e di controllo
L’art. 4 del decreto prevede la disciplina in materia di struttura
proprietaria e gruppi di imprese sociali.
374
Gli atti non autorizzati sono inefficaci.
Per evitare all’elusioni all’obbligo devolutivo, l’art. 13 sottopone a particolari
cautele anche le operazioni straordinarie di trasformazione, fusione, scissione e cessione
d’azienda.
In particolare, ai sensi dell’art. 13, I co., le operazioni di trasformazione, fusione e
scissione devono essere realizzate in modo da preservare l’assenza di scopo di lucro dei
soggetti risultanti dagli atti, la cessione d’azienda deve essere realizzata in modo da
preservare il perseguimento delle finalità di interesse generale da parte del cessionario. Tali
operazioni sono sottoposte al controllo del Ministero del Lavoro, la cui autorizzazione
condiziona l’efficacia degli atti.
376
Per quanto riguarda le società, si precisa che il patrimonio residuo è quello
risultante dopo la restituzione dei conferimenti effettuati dai soci, che non realizza un
arricchimento del socio.
375
179
La struttura proprietaria377 dell'impresa sociale viene sottoposta a
vincoli particolari, al fine di evitare che soggetti pubblici o imprese
private con finalità lucrative possano detenere il controllo di imprese
sociali e possa dunque verificarsi un’elusione degli obiettivi caratteristici
dell’impresa stessa.
In particolare, l’art. 4, III co., prevede che “le imprese private con
finalità lucrative e le amministrazioni pubbliche … non possono
esercitare attività di direzione e detenere il controllo di un'impresa
sociale” ed il successivo comma afferma che “nel caso di decisione
assunta con il voto o l'influenza determinante dei soggetti (sopra
menzionati) ….il relativo atto è annullabile378, e può essere impugnato in
conformità delle norme del codice civile entro il termine di 180 giorni”,
Cfr. Sul tema cfr. anche A. ZOPPINI, Presentazione dell’edizione italiana, in H.
HANSMANN, La proprietà dell’impresa, Bologna, 2005, IX, che ha precisato che la
“governance” nelle varie tipologie di enti collettivi “in linea di tendenza” si identifica con
quei soggetti che possono essere qualificati “proprietari” in ragione delle finalità, di volta in
volta perseguite, dell’ente stesso e, quindi, distinguendo opportunamente, l’A. afferma che
nelle società di capitali, la proprietà, nella generalità dei casi, è direttamente collegata a
coloro che detengono il capitale o, più precisamente, al maggior potere detenuto in ragione
del maggior investimento effettuato nel capitale di rischio, secondo il modello standard
d’impresa caratterizzato dall’obiettivo di massimizzare il profitto; proprietari sono, dunque,
gli investitori. Nelle società mutualistiche, viceversa, la proprietà coincide con la volontà
della maggioranza dei soci, senza alcuna alterazione dipendente dalla diversa misura di
capitale detenuto, proprietari sono i lavoratori ovvero il gruppo di soggetti legati alla società
dal rapporto mutualistico. Nelle associazioni, la proprietà, allo stesso modo coincide con la
volontà della maggioranza degli associati, quindi “proprietari” (rectius, titolari del potere di
indirizzo e di controllo) sono gli stessi associati, secondo criteri improntati alla parità di
posizione all’interno del rapporto associativo”, i quali possono anche essere destinatari
dell’attività dell’associazione. Nelle fondazioni valore preminente è dato alla volontà di colui
che ha destinato un determinato patrimonio ad uno specifico scopo con l’atto di fondazione.
L’A. afferma dunque che la proprietà, pertanto, in linea tendenziale, coincide con quel
gruppo di soggetti titolari degli interessi immediati (lucrativi, mutualistici, altruistici, etc)
che intende perseguire l’ente stesso.
378
L’annullamento è possibile dunque anche se le decisioni sono solo influenzate da
detti soggetti, purché l’influenza abbia il requisito della dominanza ossia dell’impossibilità di
un soggetto di determinarsi (ad esempio per patto parasociale) in modo difforme da quanto
deciso dal dominus occulto.
377
180
inoltre “la legittimazione ad impugnare spetta anche al Ministero del
lavoro e delle politiche sociali”.
Va segnalato inoltre che il I co.379 estende ai gruppi di imprese
sociali, in quanto compatibile, la disciplina prevista dal codice civile in
materia di direzione e controllo380 e di gruppo cooperativo paritetico (“le
norme di cui al capo IX del titolo V del libro V e l'articolo 2545septies del codice civile
381
”), seppure con le specificazioni appresso
indicate:
- “si considera, in ogni caso, esercitare attività di direzione e
controllo il soggetto che, per previsioni statutarie o per qualsiasi
altra ragione, abbia la facoltà di nomina della maggioranza degli
organi di amministrazione” (art. 4, I co., ult. parte);
Si è sottolineata in dottrina l’importanza di tale disciplina che ha il fine di far
emergere all’esterno il controllo o il collegamento tra imprese e di evitare che ad una
governance solo “apparente” all’interno dell’impresa sociale si sostituisca una governance,
esterna all’impresa, che di fatto detenga la “proprietà” ed abbia, quindi, la possibilità di
influenzare, in modo decisivo, e trarre indebiti vantaggi che possono condizionare ed eludere
gli obiettivi assegnati all’impresa sociale stessa. Tale aspetto si presenta peraltro di indubbia
rilevanza nell’ambito dell’impresa sociale dove interessi generali e l’impiego di risorse
pubbliche o comunque destinate a finalità altruistiche, impongono la massima trasparenza e
rigore per evitare indirette finalità speculative ovvero occulte deviazioni egoistiche estranee
agli obiettivi prefissati ed all’interesse generale invocato nell’art. 2 del d.lgs. in esame.
380
Si tratta della disciplina dettata per le società di capitali in tema di direzione e
coordinamento (dall’art. 2497 al 2497 – septies) relativa alla responsabilità dei soggetti che
esercitano attività di direzione e controllo, alle forme di pubblicità obbligatoria che deve
essere data in tutte le ipotesi in cui ci sia un’attività di direzione e controllo da parte di
soggetti terzi, alle problematiche connesse alla trasparenza delle decisioni.
381
Tale articolo attiene alla disciplina del gruppo cooperativo paritetico ed ai
requisiti che il relativo contratto costitutivo del gruppo paritetico deve contenere. Si tratta del
contratto con il quale più cooperative, appartenenti anche a categorie diverse, regolano la
direzione ed il coordinamento delle rispettive imprese, imponendo, tra l’altro, l’obbligo di
indicare, la cooperativa o le cooperative cui è attribuita la direzione del gruppo ed i relativi
poteri.
379
181
- “i gruppi di imprese sociali sono tenuti a depositare l'accordo di
partecipazione presso il registro delle imprese” (art. 4, II co.,
prima parte);
- “i gruppi di imprese sociali sono inoltre tenuti a redigere e
depositare i documenti contabili ed il bilancio sociale in forma
consolidata, secondo le linee guida di cui all’articolo 10” (art. 4,
II co., seconda parte), e cioè quelle adottate con decreto del
ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita l'Agenzia per
ONLUS.
L’art. 8 delinea, unitamente all’art. 11, i profili essenziali della
governance in senso stretto dell’impresa sociale382 e cioè la disciplina
degli organi di amministrazione e controllo della società e dei loro
reciproci rapporti.
Per quanto concerne le cariche sociali, l’art. 8, I co., prevede che
negli enti associativi “la nomina della maggioranza dei componenti delle
cariche sociali non può essere riservata a soggetti esterni alla
organizzazione
che
esercita
l’impresa
sociale,
salvo
quanto
specificatamente previsto per ogni tipo di ente dalle norme legali e
statutarie e compatibilmente con la sua natura”383.
382
G. MERUZZI, Art. 8, in A. FICI e D. GALLETTI (a cura di) Commentario al decreto
sull’impresa sociale (d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155), Torino, 2007, 56 ss,, 123.
383
La Relazione governativa al decreto (in Guida al dir., n. 33/2006) chiarisce che il
riferimento alla “compatibilità con la sua natura” riguarda gli enti confessionali (su cui v.
infra), nei quali la nomina delle cariche sociali è riservata alle autorità ecclesiastiche.
Ci si chiede se l’eccezione al divieto comprenda le ipotesi di nomina esterna da parte
delle associazioni che demandino la nomina di parte degli amministratori ad altre
associazioni o enti; ed altresì se sia in ogni caso vietata la nomina esterna della maggioranza
degli amministratori da parte degli enti pubblici, e ciò in parziale deroga a quanto previsto
dall’art. 2440, c.c., ai sensi del quale “se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in
182
Il riferimento a tale categoria di soggetti è sicuramente dettato
dalla preponderanza del ruolo in essi assunto dalla partecipazione
personale degli aderenti e dalla conseguente preoccupazione di garantire
l’apporto democratico di ciascuno di essi alla vita sociale384.
Altresì, ai sensi dell’art. 8, II co. “non possono rivestire cariche
sociali soggetti nominati dagli enti di cui all’art. 4, comma 3” e cioè
quelli poco sopra identificati385.
Specifici requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza
per coloro che assumono cariche sociali sono previsti dall’atto
costitutivo o dallo statuto.
Relativamente all’ammissione e l’esclusione dei soci nelle
imprese sociali, va rilevato che l’art. 9 dispone che “le modalità di
ammissione ed esclusione….nonchè la disciplina del rapporto sociale
sono
regolate
secondo
il
principio
di
non
discriminazione,
compatibilmente con la forma giuridica dell’ente” .
Quanto all’ammissione dei soci, esistono tipologie di enti
(associazioni, società cooperative) nelle quali l’ingresso di nuovi
partecipanti che condividono le finalità perseguite dall’ente stesso è del
tutto normale ed anzi è un connotato essenziale della struttura (la cd.
porta aperta), mentre nelle società lucrative la struttura organizzativa si
una società per azioni, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare uno o più
amministratori o sindaci ovvero componenti del consiglio di sorveglianza”.
384
G. MERUZZI, Art. 8, cit., 133.
385
La Relazione governativa al decreto (in Guida al dir., n. 33/2006) sembra avere
chiarito che sia esclusa la possibilità di nomina degli amministratori designati da soggetti for
profit e dalla Pubblica amministrazione e non la possibilità che i suddetti soggetti partecipino
alle assemblee ai fini della deliberazione del quorum, interpretazione peraltro in sintonia con
quanto previsto dall’art. 4 in tema di struttura proprietaria.
183
caratterizza per essere poco disponibile all’ingresso di nuovi partecipanti
in aggiunta o in sostituzione dei soci partecipanti alla società.
La non discriminazione attiene non ad un generico diritto di
entrare a far parte dell’ente, attribuito a qualunque soggetto portatore di
un interesse qualificato, ma alla procedura di ammissione o più
genericamente d’ingresso di nuovi partecipanti che deve rispettare il
principio della non discriminazione, fatti salvi i principi che regolano
l’ingresso di nuovi soci o associati all’interno dei vari schemi
organizzativi prescelti.
In altri termini in una società di capitali non sarà consentito
l’inserimento di una clausola di mero gradimento, mentre sarà possibile
condizionare l’acquisizione della partecipazione sociale all’esistenza di
particolari requisiti soggettivi (non discriminanti) a giustificazione della
condivisione delle finalità perseguite dall’ente. Analoghe riflessioni
valgono per l’esclusione di un partecipante dall’ente, anche per questa
fattispecie il principio della non discriminazione non consentirà di
stabilire ipotesi che possano prevedere trattamenti differenziati per
tipologie di partecipanti all’ente collettivo.
Per consentire un controllo efficace del rispetto del principio della
non discriminazione da parte dell’organo di gestione, l’art. 9, II co.,
prevede che “gli atti costitutivi devono prevedere la facoltà dell'istante
che dei provvedimenti di diniego di ammissione o di esclusione possa
essere investita l'assemblea dei soci”.
184
3.5. Il coinvolgimento diretto dei lavoratori.
L’ art. 12, I co., prevede che “nei regolamenti aziendali o negli
atti costitutivi devono essere previste forme di coinvolgimento dei
lavoratori386 e dei destinatari delle attività” alla gestione dell’impresa, e
precisa, al II co., che “per coinvolgimento deve intendersi qualsiasi
meccanismo, ivi comprese l’informazione, la consultazione o la
partecipazione, mediante il quale lavoratori e destinatari delle attività
possono esercitare un’influenza sulle decisioni che devono essere
adottate nell’ambito dell’impresa, almeno in relazione alle questioni che
incidano direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei beni e
dei servizi prodotti o scambiati”.
E’ dunque pacifico e logico (considerato anche il fatto che non è
ricercata una massimizzazione del profitto in termini di utili da dividere)
che in questo modo il legislatore abbia voluto consentire un forte
coinvolgimento, in modo che possano esercitare una certa influenza, di
soggetti (rectius, di categorie di soggetti) per la realizzazione di obiettivi
di efficienza e qualità dei servizi resi.
Inoltre, l’art. 14, III co., dispone che i lavoratori, che a qualunque
titolo prestino la loro opera, “hanno i diritti di informazione,
consultazione e partecipazione, secondo termini e modalità specificate
386
Va dunque evidenziato il ruolo dei lavoratori nel sistema di governance così come
disegnato dal legislatore, ruolo che li investe in generale e non soltanto in qualità di soggetti
svantaggiati o disabili ai quali si fa riferimento nel decreto nell’ambito della verifica dei
requisiti di utilità sociale dell’attività ai fini dell’accesso alla qualifica di impresa sociale. In
tal senso, l’impresa sociale deve poter fornire ai lavoratori informazioni in grado di dare
concreta attuazione ai meccanismi ed agli strumenti di coinvolgimento e partecipazione dei
lavoratori alla “vita” dell’impresa e di influenzare le decisioni della società.
185
nei
regolamenti
aziendali
o
concordati
con
gli
organi
di
amministrazione dell’impresa sociale con loro rappresentanti”.
Il grado d’influenza e di coinvolgimento non è specificato ma in
ogni caso si prevede che “degli esiti del coinvolgimento deve essere fatta
menzione nel bilancio sociale”387.
3.6. La responsabilità patrimoniale.
Fondamentali norme sono previste anche relativamente alla
responsabilità patrimoniale.
In particolare, l’art. 6 afferma che “nelle organizzazioni che
esercitano un’impresa sociale il cui patrimonio è superiore a ventimila
euro, dal momento della iscrizione nella apposita sezione del registro
delle
imprese,
delle
obbligazioni
assunte
risponde
soltanto
l'organizzazione con il suo patrimonio”; ciò “salvo quanto già disposto
in tema di responsabilità limitata per le diverse forme giuridiche
previste dal libro V del codice civile” e, quindi, ad esempio, quanto
previsto dall’art. 2325, I co., c.c., secondo il quale nelle società per
azioni per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo
patrimonio.
In seguito all’iscrizione nel registro delle imprese, se il
patrimonio388 è superiore ad € 20.000,00, dunque, l’organizzazione
Va evidenziato che l’effettività del coinvolgimento è soggetta alla valutazione e
monitoraggio da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e degli organi
preposti che, eventualmente, se riterrà non sufficienti le misure dirette al coinvolgimento dei
lavoratori e dei beneficiari potrà porre in essere quelle diffide previste dall’art. 16 del d.lgs.
155/2006, dirette ad evitare il protrarsi di comportamenti di gestione contraria alle finalità
dell’impresa sociale.
387
186
acquisisce l’autonomia patrimoniale; ne deriva una limitazione della
responsabilità al solo patrimonio anche per quegli enti e associazioni per
i quali tale limitazione non sia già prevista dalla disciplina generale che
li riguarda.
Tale deroga alla disciplina di diritto comune per quei soggetti che
non siano eretti in persona giuridica sembra dunque portare, in presenza
ovviamente del requisito della consistenza patrimoniale superiore ad €
20.000,00, ad un’autonomia patrimoniale perfetta.
Tuttavia, va rilevato che, a tutela dei creditori dell’impresa sociale,
si prevede la possibilità del venir meno del beneficio della responsabilità
limitata (rilevandosi che “quando risulta che, in conseguenza di perdite,
il patrimonio è diminuito di oltre un terzo rispetto all'importo di
ventimila euro, delle obbligazioni assunte rispondono personalmente e
solidalmente anche coloro che hanno agito in nome e per conto
dell’impresa” 389 390).
Vi è dunque un meccanismo sanzionatorio di estensione della
responsabilità per gli amministratori, e quindi una decadenza dal regime
di favore, quando il patrimonio diminuisca, ed un regime di
388
Va evidenziato che si fa riferimento al patrimonio (netto) e non al capitale sociale.
Ciò deriva dal fatto gli enti collettivi che possono assumere la qualifica di impresa sociale
possono essere caratterizzati non da un capitale fisso ma da un capitale variabile.
389
Cfr. art. 38 c.c. che afferma che, oltre al fondo comune, rispondono delle
obbligazioni personalmente e solidalmente anche le persone che hanno agito in nome e per
conto dell’associazione. E’ una forma di responsabilità solidale, accessoria e non sussidiaria.
390
L’opinione preferibile è quella secondo cui la responsabilità illimitata e solidale
deve essere riferita alle sole obbligazioni dell’ente sorte nel periodo in cui il patrimonio è al
di sotto del limite legale. Tale opinione si fonda su un’estensione del principio dettato dagli
artt. 2325 e 2462 c.c. in tema di socio unico.
187
responsabilità limitata collegato al superamento di una soglia di
consistenza patrimoniale391.
L’opinione prevalente ritiene che si tratti di norma di carattere
generale che si aggiunge e non sostituisce i casi in cui siano già previste
forme di responsabilità limitata nello schema strutturale dell’ente che
assume la veste di impresa sociale.
Come avremo modo di approfondire infra, inoltre, l’art. 15,
rubricato “Procedure concorsuali”, sancisce l’assoggettamento alla
liquidazione coatta amministrativa per le imprese sociali insolventi, salvi
comunque gli obblighi (sopra menzionati e di cui all’art. 13, III co.) di
destinazione dell’eventuale patrimonio residuo.
3.7. Le scritture contabili, il controllo gestionale e contabile e le
operazioni straordinarie.
Al fine di una compiuta rappresentazione delle attività svolte, è
stabilita la tenuta di scritture contabili (art. 10); vi è l’obbligo del libro
giornale e del libro degli inventari, in conformità alle disposizioni di cui
G. SALATINO, L’impresa sociale, cit., 394, afferma che molto dibattuta è
l’individuazione dei soggetti cui il regime dettato dall’art. 6 sarebbe applicabile. Alcuni
affermano che l’art. 6 sarebbe applicabile soltanto nei riguardi di associazioni non
riconosciute e società di persone, in quanto si tratta di organizzazioni che non godono già di
per sé del beneficio della responsabilità limitata. Peraltro, relativamente al regime dettato dal
II co. del medesimo articolo, la dottrina più attenta rileva che tale regime, con riguardo alle
società di persone, da un lato, comporterebbe un effetto vantaggioso (in quanto
restringerebbe il novero dei soggetti responsabili, atteso che ex artt. 2267 c.c. e 2291 c.c.
rispondono delle obbligazioni sociali tutti i soci e non solo quelli che hanno agito in nome e
per conto della società, ed ex art. 2313 c.c. rispondono illimitatamente i soci accomandatari),
dall’altro, comporterebbe un risvolto assai pregiudizievole e cioè la non possibilità di
opporre il beneficium excussionis.
391
188
agli articoli 2216 e 2217 del codice civile, nonché di redigere e
depositare presso il registro delle imprese un apposito documento che
rappresenti adeguatamente la situazione patrimoniale ed economica
dell'impresa392.
Rispetto
a
quest’ultimo
documento
non
è
stato
fatto
semplicemente rinvio alle norme del codice civile in materia di bilancio
in quanto alcune voci di esso non sarebbero compatibili per le forme
giuridiche associazioni e fondazioni.
In merito si afferma l’obbligo di “redigere ….il bilancio sociale393,
secondo linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, sentita l'agenzia per le organizzazioni non lucrative di
utilità sociale, in modo da rappresentare l'osservanza delle finalità
sociali da parte dell'impresa sociale”.
Il bilancio sociale deve essere poi depositato presso il registro
delle imprese.
Per le imprese sociali che non siano già obbligate, per la tipologia
di forma giuridica adottata, alla nomina di organi di controllo gestionale
e contabile, il d.lgs.155/2006 prescrive altresì l’obbligo di inserire
nell’atto costitutivo la nomina obbligatoria di uno o più sindaci nel caso
392
La limitazione della responsabilità patrimoniale di coloro che agiscono in nome e
per conto dell’ente, prevista dall’art. 6 è di fatto condizionata al deposito del suddetto
documento presso il registro delle imprese; in questo modo, si dà dunque la possibilità al
terzo non solo di verificare se il patrimonio sociale è superiore al limite minimo di 20.000,00
euro, prescritto dal richiamato art. 6, ma anche di verificare che il patrimonio, in
conseguenza di perdite, non sia diminuito di oltre un terzo rispetto al suddetto limite.
393
La redazione del bilancio sociale ha come finalità quella di favorire l'espressione,
da parte degli interlocutori, di un giudizio consapevole sull'osservanza delle finalità sociali
da parte dell'impresa sociale.
189
in cui siano superati due dei limiti indicati nell’art. 2435 – bis, I co.,
c.c.394, ridotti della metà.
Il contenuto dell’attività di controllo è precisato nei primi due
commi dell’art. 11 del d.lgs.155/2006 (rubricato “Organi di controllo”).
Si tratta, in particolare, della vigilanza sull’osservanza della legge
e dello statuto, del rispetto dei principi di corretta amministrazione,
dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile.
Inoltre, dell’attività di monitoraggio dell’osservanza delle finalità sociali
da parte dell’impresa, monitoraggio del quale è data risultanza in sede di
redazione del bilancio sociale.
Nel caso in cui l’impresa sociale superi per due esercizi
consecutivi due dei limiti indicati dall’art. 2435-bis c.c. deve essere
previsto anche il controllo contabile, esercitato da uno o più revisori
contabili o dai sindaci, purchè iscritti all’albo dei revisori contabili.
E’ in ogni caso fatta salva la disciplina ulteriore prevista per
ciascun tipo giuridico adottato dall’organizzazione che esercita l’impresa
sociale.
I poteri attribuiti ai sindaci sono specificati nel III comma dell’art.
11 e consistono nell’attività di ispezione e controllo e nella possibilità di
chiedere notizie agli amministratori sull’andamento delle operazioni o su
determinati affari.
394
Sono i limiti utilizzati per stabilire se una società può redigere oppure o no il
bilancio in forma abbreviata. Cfr., art. 2435-bis, c.c. (“Bilancio in forma abbreviata”)
secondo cui: “Le società, che non abbiano emesso titoli negoziati in mercati regolamentati,
possono redigere il bilancio in forma abbreviata quando, nel primo esercizio o,
successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti
limiti:1) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro; 2) ricavi delle vendite e
delle prestazioni: 8.800.000 euro; 3) dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 50
unità”.
190
L’art. 13 del d.lgs.155/2006 (“Trasformazione, fusione, scissione e
cessione d'azienda e devoluzione del patrimonio”)395 dispone poi che,
per
le
organizzazioni
che
esercitano
un’impresa
sociale,
la
trasformazione396, la fusione e la scissione in associazione, fondazioni,
comitati, enti ecclesiastici, devono essere realizzate in modo da
preservare l’assenza di scopo di lucro dei soggetti risultanti dagli atti
posti in essere.
La ratio di tale disciplina è di evitare che risorse destinate a
finalità di carattere generale, accumulate anche con il concorso di
agevolazioni, contributi e più in generale di provvidenze pubbliche,
venga distratto, per mera volontà della “proprietà” in altro ente con
finalità di carattere speculativo e, quindi che la struttura dell’impresa
sociale possa essere utilizzata allo scopo di distrarre per profitti privati
risorse destinate al “terzo settore”.
Il nuovo ente potrà avere anche finalità diverse da quelle previste
dall’art. 2 del d.lgs.155/2006, ma non potrà distribuire gli utili, gli avanzi
Le cautele (in merito alle finalità sociali ed all’assenza di scopo di lucro in tutte le
organizzazioni che risultano a seguito dell'operazione straordinaria) poste dal legislatore
all’art. 13 sono chiaramente volte ad ovviare ad operazioni con intento elusivo della
disciplina.
396
L’impresa sociale può trasformarsi (fondersi o scindersi) in altre imprese sociali
senza particolari procedure; nel diverso caso in cui l’operazione abbia come soggetto finale
un ente diverso, il decreto pone come condizione essenziale, per la legittimità
dell’operazione, che il soggetto risultante dall’operazione non abbia scopo di lucro. La
valutazione dell’operazione è rimessa al Ministero del lavoro e delle politiche sociali al quale
deve essere notificata l’intenzione di procedere alla trasformazione (fusione o scissione)
allegando la documentazione comprovante la conformità dell’operazione alle linee guida
fissate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentita l’agenzia per le
O.N.L.U.S. , il quale deve anche autorizzare i relativi atti, ai sensi del V comma dell’art. 11
del d.lgs.155/2006 (l’autorizzazione si intende concessa decorsi novanta giorno dalla
ricezione della notifica).
395
191
di gestione, comunque denominati, fondi e riserve, in favore di
amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori.
Una disciplina parzialmente diversa è, invece, prevista per la
cessione di azienda397. Il d.lgs.155/2006 in luogo di porre, come
condizione essenziale per l’operazione, la salvaguardia dell’assenza di
“scopo di lucro” (ex art. 3 del d.lgs.155/2006) dei soggetti risultanti dagli
atti posti in essere, pone come condizione essenziale la salvaguardia del
“perseguimento delle finalità di interesse generale di cui all’art. 2 del
d.lgs. stesso, da parte del cessionario”; e quindi il beneficiario potrà
avere finalità di lucro, tuttavia dovrà produrre o scambiare beni o servizi
di utilità sociale nei settori indicati nell’art. 2 del d.lgs. stesso ovvero
dovrà avere la finalità di inserimento nell’attività economica di persone
svantaggiate o disabili.
Probabilmente l’intento del legislatore è stato quello di consentire
che determinate attività, meritorie da un punto di vista sociale,
strategiche per il “terzo settore”, potessero continuare anche in quelle
ipotesi in cui i profili strutturali e funzionali del modello prescelto si
fossero rivelati inadeguati.
397
Anche la cessione di azienda è soggetta alle medesime notifiche ed autorizzazioni
previste per la trasformazione, fusione e scissione. L'operazione è, pertanto, soggetta al
vaglio degli organi preposti alla vigilanza (Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
sentita l’agenzia per le O.N.L.U.S.), così come sarà oggetto di valutazione il nominativo del
beneficiario dell'operazione. Il tipo di verifica da parte dell’autorità preposta, in caso di
cessione di azienda, avrà ovviamente altri presupposti rispetto alle ipotesi di trasformazione
(fusione o scissione) dell’ente essendo diretta a valutare innanzitutto la congruità dell’offerta
di acquisto dell’azienda, ma anche la garanzia che il cessionario può offrire nella
prosecuzione dell’attività economica già svolta dall’impresa sociale.
192
3.8. Il lavoro nell’impresa sociale ed il monitoraggio.
Relativamente al lavoro nell’impresa sociale, l’art. 14 impone
l’obbligo del rispetto dei contratti collettivi e che quindi non possa
“essere corrisposto un trattamento economico e normativo inferiore”.
E’ ammessa la prestazione di lavoro volontario, fermi restando
alcuni diritti concessi al lavoratore dalla l. n. 266/1991398; inoltre “i
lavoratori dell'impresa sociale, a qualunque titolo prestino la loro
opera, hanno i diritti di informazione, consultazione e partecipazione nei
termini e con le modalità specificate nei regolamenti aziendali o
concordati dagli organi di amministrazione dell'impresa sociale con
loro rappresentanti”; si tratta di forme di coinvolgimento dei lavoratori
e dei destinatari delle attività; degli esiti del coinvolgimento deve essere
fatta menzione nel bilancio sociale399.
E’ la c.d. “Legge-quadro sul volontaraito”, in G.U., n. 186 del 22 agosto 1991.
In particolare, la prestazione di attività di lavoro volontariato è ammessa nei limiti del
50% dei lavoratori a qualunque titolo impiegati nell’impresa sociale.
399
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 279 ss, evidenzia
il collegamento diretto tra la partecipazione dei lavoratori in esame ed i contenuti
dell’ecclesiologia conciliare sulla stessa tematica; in particolare, cfr. Gaudium et spes, 68,
secondo cui “Nelle imprese economiche si uniscono delle persone, cioè uomini liberi ed
autonomi…perciò prendendo in considerazione le funzioni di ciascuno – sia proprietari, sia
imprenditori, sia dirigenti, sia operi – e salva la necessaria unità di direzione dell’impresa,
va promossa, in forme da determinarsi in modo adeguato, la attiva partecipazione di tutti
alla gestione dell’impresa. Poiché, tuttavia, in molti casi non è più a livello dell’impresa, ma
a livello superiore in istituzioni di ordine più elevato che si prendono le decisioni
economiche e sociali da cui dipende l’avvenire dei lavoratori e dei loro figli, bisogna che
essi siano parte attiva anche in tali decisioni, direttamente o per mezzo di rappresentanti
liberamente eletti. Tra i diritti fondamentali della persona umana bisogna annoverare il
diritto dei lavoratori di fondare liberamente proprie associazioni, che possano veramente
rappresentarli e contribuire ad organizzare rettamente la vita economica, nonché il diritto di
partecipare liberamente alle attività di tali associazioni senza incorrere nel rischio di
rappresaglie. Grazie a tale partecipazione organizzata, congiunta con una formazione
economica e sociale crescente, andrà sempre più aumentando in tutti la coscienza della
propria funzione e responsabilità: essi saranno così portati a sentirsi parte attiva, secondo
398
193
In una prospettiva antielusiva, è prevista inoltre un’attività di
monitoraggio da parte del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali
(art. 16), che “avvalendosi delle proprie strutture territoriali, esercita le
funzioni ispettive, al fine di verificare il rispetto delle disposizioni del
presente decreto da parte delle imprese sociali”400 (art. 16, II co.) e che
“svolge i propri compiti e assume le determinazioni di cui al presente
articolo sentita l'Agenzia per le organizzazioni non lucrative di utilità
sociale” (art. 16, V co.).
In estrema sintesi, i principali compiti del Ministero attengono a:
1) promozione e sviluppo di azioni di sistema, svolgimento di
attività di monitoraggio e ricerca401;
2) ispezione “al fine di verificare il rispetto delle disposizioni
dettate dal d.lgs.155/2006”;
le capacità e le attitudini di ciascuno, in tutta l’opera dello sviluppo economico e sociale e
della realizzazione del bene comune universale”.
400
La procedura prevista dall’art. 16 è la seguente: “[3]. In caso di accertata
violazione delle norme di cui al presente decreto o di gravi inadempienze delle norme a
tutela dei lavoratori, gli uffici competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
assunte le opportune informazioni, diffidano gli organi direttivi dell'impresa sociale a
regolarizzare i comportamenti illegittimi entro un congruo termine, decorso inutilmente il
quale, applicano le sanzioni di cui al comma 4. [4]. In caso di accertata violazione delle
norme di cui agli articoli 1, 2, 3 e 4, o di mancata ottemperanza alla intimazione di cui al
comma 3, gli uffici competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali dispongono
la perdita della qualifica di impresa sociale. Il provvedimento e' trasmesso ai fini della
cancellazione dell'impresa sociale dall'apposita sezione del registro delle imprese. Si
applica l'articolo 13, comma 3.”.
401
Ai sensi dell’art. 16, I co., al “fine di sviluppare azioni di sistema e svolgere
attività di monitoraggio e ricerca”, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali può
coinvolgere anche altre amministrazioni dello Stato, l'Agenzia per le organizzazioni non
lucrative di utilità sociale e le parti sociali, le agenzie tecniche e gli enti di ricerca di cui
normalmente si avvale o che siano soggetti alla sua vigilanza, e le parti sociali.
194
3) diffida a regolarizzare comportamenti illegittimi, nel caso in
cui, assunte informazioni, siano accertate violazioni delle norme del
d.lgs.155/2006, o gravi inadempienze delle norme a tutela dei lavoratori;
4) irrogazione della sanzione della perdita della qualifica di
impresa sociale, nel caso di accertata violazione delle norme di cui agli
art. 1, 2, 3, e 4 del d.lgs.155/2006, ovvero in caso di mancata
ottemperanza all’intimazione in caso di previa diffida a regolarizzare
comportamenti illegittimi. “Il provvedimento che dispone la perdita
della qualifica di impresa sociale è trasmesso al registro delle imprese
per la relativa cancellazione dell’ente dall’apposita sezione”.
3.9. Enti ecclesiastici imprenditori sociali. Una nuova prospettiva pur
sempre caratterizzata da specialità di regime.
3.9.1. Problemi di incertezza soggettiva.
Come rilevato, l’art.1, III co., afferma che “agli enti ecclesiastici e
agli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato
patti, accordi o intese si applicano le norme di cui al presente decreto
limitatamente allo svolgimento delle attività” di utilità sociale da essi
svolte (e cioè le attività sopra menzionate elencate all’articolo 2, I co.,
d.lgs. n.155/2006).
Prima di esaminare il regime speciale previsto dal decreto per tali
enti occorre svolgere alcune considerazioni.
195
In primis occorre verificare con precisione a quali enti faccia
riferimento la norma402; ciò, attesa l’incertezza della tecnica legislativa
utilizzata.
Secondo una prima opinione403, la norma sembrerebbe applicabile
agli enti ecclesiastici “civilmente riconosciuti” della confessione
cattolica
e
delle
confessioni
che abbiano
stipulato
un’intesa;
risulterebbero quindi esclusi gli enti non riconosciuti e quelli delle
confessioni prive di intesa404.
Una parte della dottrina ritiene invece che nell’espressione
utilizzata dal legislatore debbano essere ricompresi non soltanto gli enti
civilmente riconosciuti (c.d. enti di struttura, che dunque sono iscritti nel
registro delle persone giuridiche), ma anche i c.d. enti di funzione405, enti
che possono essere definiti ecclesiastici non perché abbiano ottenuto il
A. FUCCILLO, Disciplina dell’impresa sociale…., cit., 321, afferma che
occorreranno vari atti di coraggio nell’interpretazione del testo del d.lgs. n. 155/2006, al fine
di assumere una nozione di ente ecclesiastico nel sistema dell’impresa sociale, condivisibile.
403
Al riguardo, si ritiene che la mancata previsione della forma solenne ex art. 5 del
decreto induce a ritenere che il legislatore delegato abbia avuto riguardo solo agli enti di
natura ecclesiastica che hanno già superato lo scoglio procedurale della loro specifica
costituzione in “forma solenne”, vale a dire il riconoscimento da parte dello Stato; anche lo
strumento del regolamento (che sembra quello più adatto a salvaguardare le specificità
proprie di questo tipo di enti) parrebbe confermare questa lettura.
404
G. CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, cit., 319, evidenzia la
criticità della disciplina sotto questo aspetto. Ed infatti, la disparità di trattamento tra
confessioni che hanno stipulato intese e confessioni che non le abbiano stipulate
comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza combinato al principio di libertà
religiosa.
405
Cfr., A. FUCCILLO, Disciplina dell’impresa sociale…., cit., 321 ss; A. P. TAVANI,
“Frate sole” e il fotovoltaico. Il ruolo della parrocchia e la tutela dell’ambiente tra
normativa statale e Magistero della Chiesa cattolica, in Diritto e Religioni, 2 (2011), 305
ss.. Si rileva, in particolare, che non si può negare la presenza di imprese sociali che nascono
da mere organizzazioni di ispirazione religiosa (per lo più associazioni o fondazioni) sorte su
iniziativa di laici, ma anche di chierici e non solo da enti ecclesiastici civilmente riconosciuti
o da enti ecclesiali che possano fregiarsi della qualifica di “cattolici”, enti di ispirazione
religiosa che hanno apportato un significativo contributo in vari settori di rilevanza sociale,
dall’istruzione fino all’assistenza socio – sanitaria, un tempo riservati allo Stato.
402
196
riconoscimento della personalità giuridica, ma per le finalità che si
prefiggono, per il “collegamento teleologico con una confessione
religiosa”, per il solo effettivo esercizio di un’attività di religione o di
culto sancita dal proprio statuto; per questi ultimi il discorso varrebbe
comunque a patto che venga seguita la procedura costitutiva utilizzando
la forma solenne e cioè l’atto pubblico previsto come regola per tutte le
imprese sociali406.
Occorrerebbe guardare dunque esclusivamente al collegamento
con la confessione di appartenenza e non rileverebbe il possesso di un
decreto formale di approvazione della confessione cui l’ente appartiene,
ma basterebbe la dimostrazione delle proprie origini confessionali, il
collegamento teleologico.
Rientrerebbero dunque nella seconda classificazione, oltre agli enti
approvati dalla confessione religiosa ma privi di riconoscimento civile
(come le associazioni private di fedeli riconosciute dalla Diocesi), anche
gli enti di ispirazione religiosa, semplici organizzazioni di fatto non
riconosciute neppure dalla confessione di appartenenza, enti che si
sottraggono ai controlli dell’autorità ecclesiastica e disciplinati dalle
leggi civili407.
Secondo A. FUCCILLO, Disciplina dell’impresa sociale…. cit., 325, per le forme
organizzative caratterizzate teleologicamente da un oggetto sociale “religioso” o
“ecclesiastico”, purchè costituite per atto pubblico, sarà possibile ottenere i benefici di cui
alla normativa sull’impresa sociale, purchè e limitatamente agli effetti dell’esercizio delle
attività di impresa sociale si muniscano del regolamento previsto dall’art. 5, IV co.
407
A. FUCCILLO, Disciplina dell’impresa sociale…, cit., 322 ss. L’A. rileva che tale
tesi ha ricevuto l’avallo della giurisprudenza e anche degli uffici fiscali, che non richiedono
la particolare qualificazione strutturale ai fini della applicazione di normative di favore,
peraltro direttamente riservate agli enti ecclesiastici. In altri termini, non è più richiesta
dall’autorità tributaria la registrazione strutturale per riconoscere ad un’organizzazione
collettiva le esenzioni fiscali tipiche a favore degli enti ecclesiastici, come l’esenzione
dall’imposta di registro per l’acquisto di un immobile, ma è richiesta solo la comprovata
406
197
3.9.2. Le attività imprenditoriali, il regolamento e la sua iscrizione nel
registro delle imprese.
Premesso tutto ciò, preme adesso esaminare le deroghe che il
decreto prevede per gli enti ecclesiastici408, ovvero, melius, per il ramo
impresa sociale dell’ente ecclesiastico409; ed infatti è più corretto
funzione religiosa o cultuale dell’ente richiedente. Secondo l’A., la tesi, secondo cui la
nozione di ente ecclesiastico rilevante è quella comprensiva degli enti funzionali, è l’unica
che consente un collegamento con altri settori dell’ordinamento ove tali organismi sono
nominati e peraltro è l’unica ad escludere un criterio selettivo di tali organismi basato sulla
discriminazione confessionale.
408
M. PARISI, Enti ecclesiastici, onlus ed impresa sociale tra libertà religiosa e
concorrenza di mercato, cit., 1781 ss, rileva che gli enti ecclesiastici sono stati fatti
destinatari di una serie di deroghe al rispetto delle disposizioni generali (eccezioni operanti
relativamente ai vincoli sulla struttura, all'organizzazione interna, alle regole di gestione
autonoma di tali enti) in quanto “il legislatore è apparso sensibile alle esigenze di protezione
della vita interna di queste peculiari soggettività presentanti un diretto collegamento con
specifiche realtà confessionali, la cui autonomia ed indipendenza (beneficiarie di tutela
costituzionale) le rende restie ad accettare imposizioni rispetto alla eterodirezione delle scelte
organizzative e di disciplina della struttura adottata, sottoposte alla loro libera
autodeterminazione”.
Cfr., A. FUCCILLO, Disciplina dell’impresa sociale…., cit., 317, evidenzia che
l’attenzione del legislatore deriva dalla particolarità di tali enti per via delle loro principali
attività statutarie e che tale attenzione dimostra la rilevanza che il fenomeno religioso riveste
nell’attuale società. Già da tempo la dottrina ha rilevato la peculiarità di detti enti (cfr. S.
BERLINGÒ, Enti e beni religiosi in Italia, Bologna, 1992, 63 ss).
409
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 2008, 285,
sottolinea che, con riferimento alla procedura di assunzione della qualifica di impresa sociale
(ed anche di Onlus), l’Autorità ecclesiastica viene a trovarsi in una situazione di assoluta
estraneità e ciò a differenza di quanto accade per l’assunzione della qualifica di ente
ecclesiastico civilmente riconosciuto; da ciò deriva che l’Autorità ecclesiastica, da una parte,
potrebbe subire gli effetti negativi di condotte poco trasparenti; dall’altra, sul piano
normativo, risulta sprovvista di prerogative preventive di controllo, finalizzate ad evitare
indebiti abusi della qualifica di impresa sociale (o Onlus) da parte di enti ad essa
riconducibili.
Con riferimento alle Onlus, ma lo stesso discorso può valere per le imprese sociali,
P. PICOZZA, Gli enti ecclesiastici…., cit., 177, che rileva che si potrebbe parlare di una
diminuzione giuridica del ruolo dell’Autorità ecclesiastica, in quanto, mentre ai fini
dell’assunzione della qualifica di “ente ecclesiastico civilmente riconosciuto”, il ruolo di
198
affermare che non è l’ente ecclesiastico che assume la qualifica di
“impresa sociale”, ma la sua branca di attività imprenditoriale di
produzione o di scambio di beni o di servizi di utilità sociale410.
In ogni caso, va evidenziato che gli enti ecclesiastici non hanno
l’obbligo
di
utilizzare
la
locuzione
“impresa
sociale”
nella
denominazione (cfr. art. 7, III co.); ciò in quanto per essi non esiste una
formale distinzione tra l’ente che esercita l’impresa sociale, sia pure
limitatamente ad un “ramo d’azienda”, e l’ente ecclesiastico o religioso;
inoltre l’utilizzo della suddetta locuzione striderebbe con le usuali
denominazioni degli enti ecclesiastici riferite inequivocabilmente alla
sfera religiosa411.
E’ opportuno affrontare il tema delle attività (imprenditoriali
commerciali) di utilità sociale
412 413
, che si intendono effettivamente
svolgere414.
garanzia di detta autorità è ben definito, in questo caso la sua funzione è stata completamente
trascurata dal legislatore.
G. CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, cit., 319, afferma che
l’estraneità dell’Autorità ecclesiastica da tale procedura comporta anche che essa è
impossibilitata a intervenire nella procedura di trasformazione dell’ente al fine di impedire
condotte poco trasparenti. In ogni caso “vero è che, la possibilità contemplata dal sistema di
svolgere anche attività diverse, consente l’applicazione agli enti religiosi della normativa
relativa ai nuovi modelli organizzativi degli enti no profit senza che sia necessario ricorrere a
forme di consultazioni bilaterali”.
410
A. BETTETINI, Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto e disciplina
dell’impresa sociale…., cit., 727.
411
A. FUCCILLO, La nuova disciplina dell’impresa sociale, cit., 320 ss.
412
A. BETTETINI, Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto e disciplina dell’impresa
sociale......, cit., 727, per il quale per l’assunzione della qualifica rileva essenzialmente il
settore di attività che viene qualificato come imprenditorialmente socialmente utile. Va
comunque ricordato che, ai sensi del decreto, le attività (anziché rivolte alla produzione o
allo scambio di beni o servizi di utilità sociale) possono essere dirette all’occupazione di
lavoratori svantaggiati o disabili.
413
Esaminando le attività di utilità sociale elencate dall’art. 2 appare di tutta
evidenza che la maggior parte di esse sono in realtà le medesime attività già contenute alla
199
Esse, in ogni caso, non possono essere né prevalenti, né
costitutive, ma necessariamente strumentali a quelle aventi finalità di
religione o di culto; inoltre, devono essere menzionate nel regolamento
che gli enti ecclesiastici devono adottare in forma di scrittura privata
autenticata (che “deve contenere i requisiti che sono richiesti dal
presente decreto per gli atti costitutivi”, e cioè recepire le norme del
d.lgs. n. 155/2006) e che sostituisce la formalità dell’atto pubblico
richiesta dalla normativa per la costituzione dell’impresa sociale.
La normativa in questione, unitamente a quella già vista in materia
di Onlus, ha creato dunque un ampliamento dello spettro delle “attività
diverse” di utilità sociale che un ente religioso può svolgere; non solo,
quelle “tipiche” di assistenza e beneficenza, ma anche quelle finalizzate
ad assicurare una migliore qualità delle condizioni di vita (tutela
dell’ambiente, ecosistema)415.
Come già rilevato supra, tali attività imprenditoriali socialmente
non possono perseguire il fine di ottenere ricavi e ripartizione degli utili
(lucro oggettivo), ma perseguono il rispetto del c.d. agire con metodo
economico, l’equiparazione tra costi e ricavi416.
lett. b) dell’art. 16 della l. n. 222/1985, ovvero attività diverse da quelle di religione o di
culto.
414
La precisazione formale contenuta nel regolamento, accompagnata dall’esercizio
effettivo di quella stessa attività, diviene condicio sine qua non per costituire e mantenere in
vita l’impresa sociale dell’ente ecclesiastico.
415
A. P. TAVANI, “Frate sole” e il fotovoltaico…., cit., 305 – 326, che rileva che
tutto ciò è sintomo dell’attenzione sempre più crescente nella nostra società verso il ruolo
giocato dal fattore religioso, anche attraverso la normativa unilaterale statale, come quella
sull’impresa sociale, che in dottrina viene interpretata come “nuova modalità di tutela della
libertà religiosa. Cfr., altresì, A. FUCCILLO, Giustizia e religione, vol. I, Torino, 2011, 62 ss.
416
P. CONSORTI, La disciplina dell’impresa sociale e il 5 per mille, cit.,, n. 2, 2006,
470, rileva che l’assenza dello scopo lucrativo inteso nella forma del no distribution
constraint non costituisce un ostacolo per gli enti ecclesiastici, in quanto “appare
200
Pertanto l’ente ecclesiastico è imprenditore417 non in quanto
esercita un’attività allo scopo di produrre ricavi superiori ai costi, oppure
perché tesa alla ripartizione degli utili fra i soci, ma piuttosto in quanto
agisce con metodo economico, perseguendo l’equivalenza tra costi e
ricavi.
L’attività economica svolta al fine di procurare i mezzi
patrimoniali necessari al perseguimento del fine di religione o di culto,
non può mutare la natura dell’ente ecclesiastico, ma anzi ne rafforza
l’essenza.
Ciò che importa è che l’attività economica e commerciale non sia
prevalente rispetto a quella di religione o di culto, ma ad essa
strumentale.
E’ prevista inoltre un’espressa deroga al limite quantitativo per la
qualificazione dell’attività principale e per il personale dipendente.
Al riguardo, infatti, l’art. 2, V co., chiarisce che per gli enti
ecclesiastici si applicano, limitatamente allo svolgimento delle attività
coessenziale alla ecclesiasticità”. Lo stesso A. rileva anche non devono comunque verificarsi
modifiche alla natura soggettiva che dà luogo all’ecclesiasticità dell’ente.
417
Molto interessante si presenta l’esempio di impresa sociale riportato da A. P.
TAVANI, “Frate sole” e il fotovoltaico…., cit., 305 ss, Si tratta del consorzio di sette
parrocchie della Diocesi di Mantova, imprenditori sociali nel settore dell’ambiente e
dell’ecosistema ed, in particolare, nella produzione e vendita di energia elettrica mediante
impianti fotovoltaici integrati. Tali parrocchie consorziate perseguono il duplice scopo di
produrre energia pulita (e dunque permettendo una riduzione dell’uso di prodotti petroliferi
ed un ambiente più salutare) e di utilizzare il ricavato derivante dalla vendita dell’energia
elettrica prodotta a Gestore Servizi Energetici S.p.A. per realizzare opere di manutenzione e
conservazione dei setti edifici di culto e delle annesse strutture; la produzione di energia
elettrica si pone come strumentale al fine di religione e di culto dell’ente ecclesiastico
parrocchia (ciò si evince anche chiaramente dai regolamenti che le parrocchie hanno
depositato). Dai regolamenti emerge altresì la possibilità di destinare gli utili e gli avanzi di
gestione allo svolgimento dell’attività statutaria in generale o ad incremento e/o salvaguardia
e recupero del patrimonio dell’Ente”; nonchè la possibilità di effettuare erogazioni liberali
perseguendo scopi di utilità sociale.
201
sociali, la disposizioni di cui al III co. (inerente al fatto che per attività
principale si intende quella per la quale i relativi ricavi sono superiori al
settanta per cento dei ricavi complessivi dell'organizzazione che esercita
l'impresa sociale) e la disposizione di cui al IV co. (secondo la quale i
lavoratori svantaggiati o disabili devono essere in misura non inferiore al
trenta per cento dei lavoratori impiegati a qualunque titolo nell'impresa).
Con riferimento allo strumento del regolamento (in forma di
scrittura privata autenticata) che recepisca le norme del decreto, va
rilevato che esso si presenta particolarmente adatto al fine di
salvaguardare le specificità proprie degli enti ecclesiastici; con esso
infatti sono individuate le attività qualificate come impresa sociale,
all’interno di quelle più ampie perseguite dai medesimi, e l’insieme delle
risorse organizzative e umane ad esse destinate418.
Il regolamento (e le eventuali modificazioni allo stesso) deve
essere depositato, a cura del notaio autenticante o degli amministratori,
“presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è
stabilita la sede legale, per l'iscrizione in apposita sezione” (cfr. art. 5,
IV co.)419.
Tale pubblicità rappresenta una forma di garanzia per i terzi che
vengono in contatto con l’ente ecclesiastico esercente attività di impresa
sociale.
418
G. RIVETTI, La disciplina tributaria degli enti ecclesiastici, cit., 2008, 274.
Cfr. A.CETRA, Art. 6 – Responsabilità patrimoniale. Disciplina dell’impresa
sociale, in Nuove leggi civ., 2007, fasc. 1-2, 417, secondo cui tale iscrizione dovrà essere
proceduta o, quanto meno, essere contestuale con l’iscrizione nella sezione ordinaria del
registro delle imprese; un’eventuale omissione di quest’ultima iscrizione, non creando il
presupposto per la realizzazione della pubblicità commerciale, solleciterebbe la
responsabilità di coloro che hanno agito (cfr. quanto detto relativamente all’art. 6),
rappresentando la regola ordinamentale dell’impresa non pubblicizzata.
419
202
Si pone comunque un problema inerente alla tutela dei terzi e cioè
“se questi, per le attività compiute da tali enti nell’esercizio della propria
attività di impresa, possano fare riferimento alle sole risultanze del
registro delle imprese, limitandosi ad individuare attraverso dette
risultanze chi sia il rappresentante dell’ente ecclesiastico ovvero debbano
comunque verificare la sussistenza delle eventuali autorizzazioni
canoniche necessarie” 420.
L’opinione prevalente al riguardo ritiene che, rispetto all’attività di
impresa di cui al regolamento, vigono le regole generali previste per tutte
le imprese 421.
Va segnalato inoltre che per le sole attività imprenditoriali di cui
all’art. 2 (ed indicate nel regolamento) “devono essere tenute
separatamente le scritture contabili previste dall’art. 10” rispetto a
quelle relative alle attività di religione e di culto; si rimarca così la
distinzione tra attività principale e quella secondaria e strumentale (cfr.
art. 1, III co.). Ovviamente, il monitoraggio dell’eventuale organo di
controllo interno nonché quello della autorità amministrativa (Ministero
della solidarietà sociale) è circoscritto a tali attività secondarie.
420
Il quesito è posto in questi termini da A. FUCCILLO, Art.1, III – Nozione…, cit.,
319 ss.
A. FUCCILLO, Art.1, III – Nozione…, cit., 325; altresì, A. CAVANA, Enti
ecclesiastici e controlli confessionali, II, Il regime dei controlli confessionali, Torino, 2002,
116 ss., che ha affermato che il regime dei controlli delle autorità confessionali sembrerebbe
costituire un eccessivo ostacolo alla esplicazione dell’ordinaria diligenza del terzo in
difformità con le garanzie poste a fondamento del regime di pubblicità delle imprese.
421
203
3.9.3. La responsabilità patrimoniale dell’ente ecclesiastico
Particolarmente interessante è il disposto dell’art. 6, III co., che
esclude gli enti ecclesiastici dal regime (previsto dai commi precedenti
della medesima norma) di responsabilità patrimoniale acquisibile con un
patrimonio superiore ad € 20.000,00 e della responsabilità personale e
sussidiaria in capo a chi abbia agito in nome e per conto dell’ente al
verificarsi di perdite che comportino una diminuzione del patrimonio di
oltre un terzo.
La ratio della suddetta esclusione per gli enti ecclesiastici è da
rinvenirsi essenzialmente nella circostanza secondo cui il regime di
responsabilità previsto dalla norma è destinato a trovare applicazione
solo con riferimento ad enti che non esercitino in via secondaria
l’impresa sociale; ma, come abbiamo più volte detto, gli enti
ecclesiastici, avendo come finalità istitutiva e primaria l’esercizio di
attività di religione e di culto, non possono svolgere le attività previste
dal decreto sull’impresa sociale in via primaria.
Tali enti possono pertanto esercitare un tale di tipo di impresa con
il proprio regime di responsabilità che è altresì di responsabilità limitata,
ove essi siano “civilmente riconosciuti”.
Va comunque rilevato che l’esercizio di attività imprenditoriali
può imporre all’ente ecclesiastico obblighi di carattere patrimoniale e
pubblicitario in virtù dell’applicabilità a tutte le imprese (di cui quelle
sociali sono una species) della disciplina generale dell’imprenditore
commerciale di cui agli art. 2082 c.c. ss.
Attenta dottrina sottolinea che “alla decisione di un ente
ecclesiastico di avviare un’impresa sociale devono riconoscersi effetti
204
non diversi da quelli che si riconoscono alla decisione di un ente del
libro I del c.c. di cominciare un’impresa in via non esclusiva e, in
particolare, quello di rendere attuale l’obbligo di selezionare una quota di
attivo del patrimonio disponibile in quel momento, sul quale imprimere
il vincolo di destinazione”422.
Si ritiene423 che tale destinazione patrimoniale non comporti un
effetto reale ma un effetto circoscritto esclusivamente al piano
organizzativo “rendendo autonoma l’impresa a livello gestionale”
(rispetto alle diverse iniziative poste in essere dall’ente).
In questo modo, chi gestisce l’impresa non potrebbe compiere atti
di confusione tra il patrimonio destinato ed il restante; “benchè nella
prospettiva dei creditori tutto il patrimonio dell’ente rappresenti garanzia
per il soddisfacimento delle loro obbligazioni, i gestori saranno tenuti a
provvedere solo con la prima massa patrimoniale all’adempimento delle
obbligazioni sorte nel corso della gestione: in pratica recuperando
all’interno quella reciproca insensibilità tra sfere patrimoniali, che verso
l’esterno risulta inammissibile”424.
Ulteriori deroghe alla disciplina generale attengono alle norme in
tema di trasformazione, fusione, scissione e cessione d’azienda (anche in
Le parole tra virgolette sono di A.CETRA, Art. 6 – Responsabilità patrimoniale….,
cit., 415 ss.
423
Ibidem. L’A. rileva che l’autonomia gestionale dell’impresa è necessaria, da un
lato, per creare il presupposto per l’applicazione del differenziato statuto di disciplina che
distingue la prima attività dalle altre; dall’altro, per instaurare un vincolo di gestione ispirato,
in primo luogo, al rispetto della destinazione impressa sul patrimonio e, in secondo luogo, al
suo mantenimento finchè la stessa viene tenuta in vita. Evidenzia inoltre che siffatta
destinazione patrimoniale dovrebbe essere suggellata dall’inserimento di una clausola nel
documento istitutivo da sottoporre poi al vaglio dell’autorità amministrativa competente per
il riconoscimento della personalità giuridica; ciò sarebbe opportuno atteso che tale
destinazione postula l’utilizzo di beni per attività precedentemente non esercitate e
statutariamente non previste e potrebbe comportare un mutamento sostanziale nel fine.
424
Ibidem.
422
205
questo caso applicabili limitati alle sole attività indicate nel regolamento,
art. 13, I co.)425, alle norme in tema di obbligo di devoluzione del
patrimonio residuo in caso di cessazione dell’impresa (art. 13, III co.).
La ratio della deroga da ultimo citata è da rinvenirsi nella
circostanza secondo cui “negli enti ecclesiastici, come d’altra parte, negli
enti del libro I del c.c., la cessazione dell’iniziativa imprenditoriale non è
di per sé sinonimo di distrazione del patrimonio dagli ambiti socialmente
rilevanti e, quindi, evento in grado di frustrare le aspettative dei (non
member) patrons che hanno offerto sostegno finanziario, posto che tali
enti, quale che sia la natura della loro iniziativa, operano
istituzionalmente a sostegno di interessi non diversi da quelli sottesi
all’art. 2, commi 1° e 2°. La devoluzione del patrimonio consegue solo
in caso di estinzione o soppressione dell’ente da parte dell’autorità
ecclesiastica competente, peraltro secondo quanto stabilito all’interno del
relativo provvedimento”426.
Va rilevato inoltre che l’art. 11, che prevede l’obbligo (in
determinati casi) della nomina di organi di controllo, non sancisce una
E’ stato correttamente osservato che “negli enti ecclesiastici, quand’anche titolari
di imprese sociali, è impossibile o assai poco realistico immaginare il compimento di gran
parte delle operazioni menzionate dalla norma in commento e, in particolare, di quelle di
ristrutturazione dell’organizzazione che ospita l’iniziativa imprenditoriale, vale a dire la
trasformazione, la fusione e la scissione…è realisticamente prospettabile solo la cessione
d’azienda”; in questi termini, A.CETRA, Art. 13 – Trasformazione, fusione, scissione e
cessione d’azienda. Disciplina dell’impresa sociale. Commento al decreto legislativo 155/2006,
in Nuove leggi civ., 2007, fasc. 1-2, 289 ss.
426
Ibidem. Va quindi evidenziato che, per gli enti cattolici, in caso di cessazione
dell’impresa, il patrimonio si liquiderà nelle forme determinate dalla l. n. 222/1985,
lasciando impregiudicata la competenza dell’autorità ecclesiastica in materia.
425
206
deroga al riguardo per gli enti ecclesiastici e si ritiene pertanto
applicabile anche ai medesimi427.
3.10. Problematiche relative all’applicabilità della disciplina di diritto
comune. L’assoggettamento alla procedura fallimentare per l’ente
ecclesiastico non in grado di adempiere regolarmente le sue
obblgazioni.
Il decreto che disciplina l’impresa sociale sancisce l’esclusione
degli enti ecclesiastici dall’ambito di applicazione della norma secondo
cui “[1]. In caso di insolvenza, le organizzazioni che esercitano
un'impresa
sociale
sono
assoggettate
alla
liquidazione
coatta
amministrativa, di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267” (art. 15).
La ratio dell’esclusione è identificata da autorevole dottrina428
nella circostanza che la liquidazione coatta amministrativa (pur
conducendo ad una esecuzione collettiva ed ad una definizione dei
rapporti di impresa) culmina con l’estinzione dell’ente. Ebbene,
sappiamo che gli enti ecclesiastici non appartengono all’ordinamento
statale e che l’unica autorità legittimata in materia di estinzione dell’ente
427
F. LOFFREDO, Le persone giuridiche e le organizzazioni senza personalità
giuridica… cit., 33. In particolare, si afferma che, sebbene la lettera della norma lasci la
possibilità di una interpretazione restrittiva, in quanto la norma si riferisce a previsioni da
contenere negli atti costitutivi (mentre per gli enti ecclesiastici è richiesta la sola redazione di
un apposito regolamento), è preferibile ritenere applicabile la norma anche agli enti
ecclesiastici.
428
A.CETRA, Artt. 15 – Procedure concorsuali. Disciplina dell’impresa sociale.
Commento al decreto legislativo 155/2006, in Nuove leggi civ., 2007, fasc. 1-2, 501, rileva che
non potrebbero essere prese in considerazione ipotesi come quella secondo cui “tale
esclusione (dall’assoggettabilità alla liquidazione coatta amministrativa) possa essere intesa
come la presa d’atto da parte del legislatore che lo stato di insolvenza non si possa
manifestare negli enti ecclesiastici” ed anche quella secondo cui “l’esclusione dipenda dal
ruolo solo secondario che deve mantenere l’impresa negli enti ecclesiastici”.
207
può essere l’autorità confessionale cui esso appartiene; ne deriva che la
suscettibilità
dell’assoggettamento
alla
liquidazione
coatta
amministrativa si paleserebbe incompatibile429.
Ci si chiede dunque quale sia il rimedio più opportuno in caso di
“incapacità
dell’ente
(ecclesiastico
imprenditore)
a
soddisfare
regolarmente le proprie obbligazioni” (è la definizione di stato
insolvenza contenuta nell’ art. 5 L.F.)430 ed, in particolare, se si possa
fare ricorso alla procedura fallimentare.
Alcuni argomenti sembrerebbero condurre ad una risposta
negativa.
Innanzitutto, è stato sostenuto che l’esigenza della par condicio
creditorum, che caratterizza il concorso dei creditori sul patrimonio del
429
In Diritto e Pratica del Fallimento (archivio), 1 febbraio 2008, n.1, 10, si legge
che “con la recente riforma è stata prevista (art. 118, ultimo comma, legge fall.) anche per
il fallimento - come ultimo adempimento del curatore - la cancellazione d'ufficio della
società dal Registro delle imprese, con previsione del tutto analoga a quella (preesistente e
persistente) dell'art. 213 legge fall.
Ne conseguirebbe che il problema della sopravvivenza si pone oggi in termini
assolutamente analoghi per entrambe le procedure. Il che deve far ritenere che anche per la
l.c.a. non possa a fortiori ipotizzarsi un provvedimento di cancellazione di
un ente appartenente ad un diverso ordinamento giuridico.
La ratio dell'esclusione degli enti ecclesiastici dalla liquidazione coatta
amministrativa dovrebbe allora, più ragionevolmente, “individuarsi nella stessa impostazione
che il legislatore (art. 1, comma 3) ha dato al rapporto con gli enti ecclesiastici e delle altre
confessioni religiose: minime regole e minima interferenza”. E ciò fatto comunque salvo
che, ricorrendone le condizioni, l'ente ecclesiastico o religioso possa essere assoggettato
al fallimento.
430
Il rischio che l’ente possa finire in tale stato è tanto più probabile ove l’ente
intraprenda, seppure secondariamente, un’iniziativa imprenditoriale senza una dotazione
patrimoniale in grado di favorire l’equilibrio finanziario; è quindi di assoluta importanza che
la dotazione patrimoniale destinata alla gestione sia in grado di assicurarne funzionalità.
A.CETRA, Art. 15 – Procedure concorsuali…., cit., 501, evidenzia che non è detto
che un eventuale “deficit possa trovare copertura nel patrimonio generale dell’ente o, se si è
costituito un patrimonio destinato all’impresa, nel patrimonio residuo, atteso che questo
potrebbe essere inesistente o tutt’altro che ingente e comunque legato alle specifiche
esigenze delle altre iniziative svolte”.
208
fallito, si scontrerebbe “con quegli interessi religiosi, costituzionalmente
protetti, al cui soddisfacimento sono primariamente destinati tali enti” ed
inoltre la “sostituzione degli organi ordinari di gestione da parte degli
organi fallimentari è ritenuta un’inammissibile ingerenza statale
nell’organizzazione della Chiesa, rendendo vana l’autonomia degli
organi ecclesiastici interni”431 432.
Inoltre, vi sarebbe un’incompatibilità logica tra ente ecclesiastico
ed impresa, in ragione dei rispettivi inconciliabili fini ed ancor prima in
ragione di quanto previsto dall’art. 149 T.U.I.R. (“Perdita della qualifica
di ente non commerciale”), ai sensi del quale, ai fini tributari, non sono
considerati enti commerciali gli enti ecclesiastici ed il IV co.
dell’articolo citato afferma che in alcun caso essi possono perdere la
qualifica di enti non commerciali.
Andrebbe considerata altresì l’inevitabilità della perdita del
patrimonio con conseguente interferenza nell’area finalistica, poichè
l’ente non può perseguire i suoi scopi senza una base patrimoniale433.
431
Quanto detto è riportato da G. CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto
ecclesiastico, cit., 299, che ricorda peraltro che l’art. 14, ult. co., r.d. n. 289 del 1930,
prevede la nomina di un commissario governativo per la temporanea gestione degli istituti
degli enti delle confessioni diverse dalla cattolica in caso di gravi irregolarità o di
impossibilità di funzionamento; inoltre, afferma che le riportate argomentazioni che
condurrebbero ad una risposta negativa al quesito possono essere superate nel caso in cui
l’ente ecclesiastico eserciti un’attività commerciale riferibile a un autonomo centro di
imputazione che può rilevare quale imprenditore/società di fatto con conseguente possibilità
di applicazione dell’art.147, L.F.
432
La procedura fallimentare, comportando il passaggio dei beni dell’ente dai suoi
organi ordinari a quelli della procedura, nominati dall’autorità giudiziaria, determinerebbe
un’alterazione della struttura e della finalità dell’ente stesso (e – si ricordi – che l’art. 7, III
co., l. n. 121 del 1985, impone, nell’applicazione delle leggi civili, il “rispetto della struttura
e delle finalità” dell’ente).
433
In questi termini, S. BERLINGÒ, Enti e beni religiosi in Italia, Bologna, 1992, 180
ss. L’A. insiste inoltre sul discorso della sostituzione degli organi dell’ente con organi
209
In realtà, già in dottrina434 alcuni autori da tempo si esprimono
invece nel senso dell’assoggettabilità, partendo dal principio sancito
dalla sentenza Cass., sez. un., 11 aprile 1994, n. 3353, che ha affermato
che “un istituto d'istruzione gestito da una congregazione religiosa può
essere considerato imprenditore quando, oltre agli altri requisiti di cui
all'art. 2082 c.c., agisca con metodo “economico”, ovvero con il
perseguire il tendenziale pareggio tra costi e ricavi, non inerendo alla
qualifica di imprenditore l'esercizio di attività allo scopo di produrre
ricavi eccedenti i costi”.
In considerazione di ciò, è stato evidenziato che “se le attività
economiche
esercitate rientrano nell’elencazione dell’art. 2195 c.c.,
l’ente assumerà propriamente la qualifica di imprenditore commerciale,
con l’importante conseguenza del suo potenziale assoggettamento al
regime delle procedure concorsuali”435. Tra l’altro, non sussistono dubbi
sul fatto che la natura ideale dell’ente non possa impedire al medesimo
l’assunzione della veste di imprenditore ove l’attività esercitata abbia le
caratteristiche dell’attività commerciale.
esterni, con conseguente perdita di controllo da parte della Chiesa sull’uso dei beni, non
essendo gli organi fallimentari tenuti al rispetto delle norme canoniche.
434
A. FUCCILLO, Enti ecclesiastici e impresa commerciale: finalmente un binomio
compatibile! (nota a Cass. 11 aprile 1994, n. 3353), in Dir. eccl., 1995, 04, 470 ss.
I primi Autori ad occuparsi del tema sono stati E.E. GRIMALDI MARCELLI,
L’esercizio dell’impresa commerciale e il fallimento degli enti ecclesiastici, in Dir. giur.,
1977, 484 ss. ed ancor prima S. LANDOLFI, Considerazioni sugli enti ecclesiastici
imprenditori, in Dir. giur., 1975, 484 ss., che ha sostenuto la cumulabilità delle qualifiche di
ente ecclesiastico da un lato e soggetto imprenditore dall' altro allorchè l' ente esercita un’
attività di tipo imprenditoriale. L’A. è stato il primo a sostenere che sono applicabili all' ente
ecclesiastico che svolga attività imprenditoriale tutte quelle norme dello statuto
dell'imprenditore non destinate a modificare il modo di essere dell’ente. Ha affermato altresì
l’assoggettabilità al fallimento.
435
A. FUCCILLO, Enti ecclesiastici e impresa commerciale…, cit., 470.
210
Recentemente, è stata la stessa giurisprudenza di merito ad
affermare che “ove l'ente ecclesiastico svolga stabilmente attività
organizzata di produzione o scambio di beni e servizi con metodo
economico dovrà qualificarsi come imprenditore, con conseguente
applicazione della relativa disciplina ivi compresa quella fallimentare”.
La dichiarazione di fallimento ha riguardato, nel caso di specie ,
un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto esercitante stabilmente
attività di produzione di un servizio in via organizzata, erogando servizi
sanitari-assistenziali in regime di convenzionamento tramite una
complessa organizzazione di mezzi e persone (oltre 500 dipendenti e
struttura
immobiliare
valutata
milioni
di
euro)
ed
ottenendo
remunerazione commisurata ai costi medi necessari e pari a quella
ottenuta da tutti i privati operanti nel sistema integrato socioassistenziale436.
Il provvedimento parla di un ente, che aveva chiesto ed ottenuto
“sgravi contributivi riservati alle imprese industriali del mezzogiorno”
ed era “divenuto erogatore professionale” di attività socio-assistenziale,
inserito nel sistema integrato del servizio socio-assistenziale, “con
l'obiettivo della remunerazione dei fattori di produzione”, con “un
ingente numero di personale dipendente”.
Ebbene, i giudici di merito partono dalla considerazione secondo
cui, in base alla normativa pattizia, tale tipologia di ente è sottoposto, in
relazione alle attività esercitate diverse da quelle di religione e culto, alle
leggi dello Stato e al regime tributario previste per le medesime (e ciò,
come più volte detto, ex art. 7 n. 3, II co., dell’accordo tra Repubblica
436
Tribunale di Paola, sentenza del 3 dicembre 2009, in banca dati dejure, ed
annotata da C. TRENTINI, Il fallimento di ente ecclesiastico che esercita attività d’impresa, in
Fall., 2010, 8, 979 ss.
211
Italiana e Santa Sede del 18 febbraio 1984); ne deriva che debbano,
dunque, applicarsi in toto le leggi civili (alle attività di assistenza e
beneficenza, istruzione, educazione e cultura, ed) alle attività
commerciali o a scopo di lucro poste in essere dagli enti ecclesiastici.
Pertanto, la natura ideale dell'ente non gli impedisce l'assunzione
della qualifica di imprenditore, ove l'attività esercitata abbia natura
commerciale.
Si afferma inoltre che due elementi normativi giustificherebbero il
fatto che non possano esservi speciali deroghe per gli enti ecclesiasticiimprenditori nella specifica applicazione della legge fallimentare.
Innanzitutto, dall’art. 1 L.F. non è evincibile infatti alcun
argomento da cui poter trarre la non assoggettabilità dell’ente
ecclesiastico-imprenditore insolvente alla regola generale del fallimento;
ed infatti la limitazione soggettiva alla regola generale della fallibilità
dell’imprenditore commerciale prevista dall’art. 1 L.F. per i soli casi
“nominati” degli enti pubblici e del piccolo imprenditore, proprio per la
sua natura di eccezione, non tollera estensioni analogiche, mentre la
diversità ontologica tra ente pubblico ed ente ecclesiastico impedisce la
possibilità di una annessione per la via dell’interpretazione estensiva del
secondo ente al primo.
In secondo luogo, la normativa sull’impresa sociale di cui al d.lgs.
n. 155 del 2006, sul presupposto di una mancanza di distinzione tra beni
destinati all’esercizio dell’impresa sociale e beni dell’ente437, ha escluso
l’assoggettabilità degli enti ecclesiastici alla liquidazione coatta
437
Cfr., la Relazione al decreto, sub art. 6.
212
amministrativa ed intende, quindi, assoggettare alle regole generali della
responsabilità e della fallibilità gli enti ecclesiastici-imprenditori.
In definitiva è stato espressamente affermato che “gli enti
ecclesiastici ai sensi dell’art. 16 della l. n. 222/1985 sono soggetti alle
leggi civili per le attività degli enti ecclesiastici diverse dalla religione
ed il culto e, pertanto, ove svolgano stabilmente attività organizzata di
produzione o scambio di beni e servizi con metodo economico sono
imprenditore cui si applica la relativa disciplina ivi compresa quella
fallimentare”.
Anche la dottrina prevalente438 è nel senso dell’assoggettabilità
degli enti ecclesiastici al fallimento439.
Si è evidenziato peraltro che la chiusura di tale procedura non è di
per sé causa di estinzione dell’ente ad essa assoggettato440. Ed infatti il
Ministero dell’Interno deve valutare l’attualità delle condizioni per
mantenere il riconoscimento della personalità giuridica e l’autorità
ecclesiastica deve valutare l’opportunità di sopprimere o estinguere detto
ente441; ciò in quanto la specifica procedura del fallimento colpisce solo
le c.d. attività extrareligiose.
438
Cfr. A. FUCCILLO, Enti ecclesiastici e impresa commerciale: finalmente un
binomio compatibile!, cit., 470 ss.; C. TRENTINI, Il fallimento di ente ecclesiastico che
esercita attività d’impresa, cit., 979 ss.
439
A.CETRA, Art. 15 – Procedure concorsuali…cit., 503, rileva che la procedura
fallimentare sostituisce il procedimento di liquidazione che dovrebbe attivare il Ministero
dell’Interno, allorchè deve disporre la devoluzione di un patrimonio di un ente soppresso o
estinto o se vi siano ragioni di terzi da salvaguardare (cfr. art. 20, III co., l. n. 222/1985).
440
Cfr., altresì, Tribunale Paola, 3 dicembre 2009, cit., che afferma che “il fallimento
non implica l’estinzione dell’ente ecclesiastico (cfr. art. 118 l. fall., 2484 c.c., art. 20 l. n.
222/1985), nel pieno rispetto del principio di separazione tra soggetto ecclesiastico e regime
delle attività da questo svolte”.
441
A.CETRA, Art. 15 – Procedure concorsuali….,, cit., 503.
213
Va rilevato inoltre che, con decreto del 29 marzo 2013, il
Ministero dello Sviluppo Economico, “accertato che è ente ecclesiastico
di diritto pontificio riconosciuto dello Stato italiano come persona
giuridica”, ha ammesso la Provincia Italiana della Congregazione dei
Figli dell’Immacolata Concezione, esercente attività sanitaria, alla
procedura di amministrazione straordinaria, nominando tre commissari
straordinari442.
442
Preme evidenziare che è stata chiesta anche l'ammissione alla procedura di
amministrazione straordinaria delle Opere ospedaliere della Provincia Italiana,
rispettivamente denominate “"Ospedale San Carlo di Nancy” e “Istituto Dermopatico
dell’Immacolata” (comprensivo dell’unità distaccata di Capranica, denominata “Villa
Paola”).
Il provvedimento afferma che “tali Opere, dotate di soggettività giuridica di diritto
canonico, non possono ritenersi, per il diritto comune, soggetti giuridici autonomi rispetto
alla Provincia; i due enti ospedalieri infatti non sono iscritti né nel registro delle persone
giuridiche, né nel registro delle imprese (in tali registri essendo iscritta la sola Provincia
Italiana) e non godono di reale autonomia finanziaria e operativa, atteso che innegabile è la
dipendenza strutturale con la Provincia Italiana, che svolge attività nel campo sanitario
attraverso le due Opere, non potendosi disconoscere che esse siano unite all'ente
ecclesiastico di appartenenza, che di fatto assume come proprie le obbligazioni delle Opere
e ne risponde nei confronti dei terzi. Né la circostanza che la Congregazione per gli Istituti
di Vita Consacrata e la Società di Vita Apostolica - ufficio a ciò deputato - abbia rilasciato
Licenza canonica alle Opere ospedaliere con le connesse attività e strutture in forma di
"Nulla Osta" può assumere decisiva valenza. Nell'ordinamento italiano le Opere possono
essere configurate, come del resto già evidenziato dalla Suprema Corte nella sentenza
n.25813/11, come aziende ospedaliere appartenenti alla Provincia Italiana; come tali,
quindi, insuscettibili di assumere una autonoma personalità giuridica e, come tali, non
assoggettabili alla disciplina della legge fallimentare che, com'è noto, prevede la fallibilità
dell'imprenditore e non dell'azienda, oggetto dell'impresa. Né a diversa conclusione può
addivenirsi con riferimento alle norme del Nuovo Concordato tra Stato e Chies . Infatti la
circostanza che l'art. 6 n. 2 preveda che lo Stato italiano assoggetti alle sue leggi "le attività
diverse da quelle di religione o di culto svolte tali enti ecclesiastici nel rispetto della
struttura e della finalità di tali enti" non postula, quale corollario, che debbano
nell'ordinamento interno essere riconosciute come autonome entità le diverse articolazioni
dell'ente ecclesiastico (nel caso di specie le "opere"), ma il rispetto della "struttura" deve
interpretarsi nel senso che lo Stato deve rispettare le forme adottate dalla Chiesa e le finalità
cui tali organismi sono preposti”.
214
Il Tribunale di Roma, con sentenza 30 maggio 2013 n. 432/13443,
ha poi dichiarato lo stato di insolvenza ai sensi e per gli effetti di cui al
d.l. 23 dicembre 2003 n. 347444 (convertito, con modificazioni, con l. 18
febbraio 2004, n. 39445) della stessa Provincia Italiana della
Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione ed ha sostenuto
che “ciò che rileva allo scopo di ritenere l'assoggettabilità di un ente
ecclesiastico ad una procedura concorsuale disciplinata dalla legge
italiana è il reale ed effettivo svolgimento di attività commerciale
organizzata in forma di impresa sul territorio italiano e, dunque,
l'instaurazione di rapporti a contenuto patrimoniale con altri soggetti la
cui disciplina è regolata dal diritto italiano, posto che ogni debitore che
svolge attività imprenditoriale sul territorio italiano è soggetto
all'accertamento dello stato di insolvenza, salvo che sussistano
specifiche ipotesi di immunità dalla giurisdizione italiana”; peraltro,
“l’immunità dalla giurisdizione italiana della Chiesa Cattolica o degli
enti che ne sono legittima emanazione secondo l'ordinamento canonico
ha carattere eccezionale e può riguardare solo atti che siano
espressione diretta dell'esercizio della potestà d'imperio di altro ente
sovrano ovvero emanati dal soggetto quale ente sovrano e ciò alla luce
della corretta interpretazione dell'articolo 11 del trattato tra la Santa
sede e l'Italia del 1929 e della norma consuetudinaria di diritto
internazionale “par in parem non habet jurisdictionem”, recepita
nell'ordinamento italiano attraverso l'articolo 10 della Costituzione”.
In particolare, i giudici del Tribunale capitolino hanno evidenziato
l’ “applicabilità integrale delle norme di diritto civile all'ente
443
In banca dati deiure.
“Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di
insolvenza”, in G.U., n. 298 del 24 dicembre 2003.
445
In G.U., 20 febbraio 2004, n. 42.
444
215
ecclesiastico imprenditore, anche se ciò dovesse implicare forme di
ingerenza da parte dello Stato nella struttura e negli organi del governo
dell'ente stesso, in quanto l'ente non perde la propria identità giuridica
originaria, non potendosi confondere l'attività imprenditoriale con
quelle di religione o di culto proprie dell'ente stesso”.
Ed infatti “l'accertamento dello stato di insolvenza dell'ente e il
suo assoggettamento alle procedure concorsuali non incidono, infatti,
sulla struttura e sulla esistenza dell'ente, ma refluiscono direttamente
solo sul segmento propriamente economico-imprenditoriale dell'attività
dall'ente stesso esercitata; senza quindi comprimere la sua identità
giuridica e in alcun modo impedirgli lo svolgimento delle attività di
natura confessionale”.
Inoltre non va sottaciuto che “la disciplina della responsabilità
patrimoniale e l'attivazione delle procedure concorsuali rispondono ad
esigenze pubblicistiche, che vanno al di là della tutela del singolo
creditore, sì che sarebbe ben ardua impresa ipotizzare con un qualche
senso una inapplicabilità delle norme concorsuali a una persona
giuridica che operi sul mercato e sia accreditato dallo Stato o da sue
articolazioni territoriali a ciò preposte per esercitare l'attività di
impresa sanitaria sul territorio”.
Il provvedimento
menzionato si presenta interessante per
un’ulteriore specificazione; si sottolinea infatti che “la liquidazione
dell’intero patrimonio dell’ente non può non tenere conto della rilevante
duplicità delle finalità e delle funzioni cui l’ente stesso è preposto” e che
dunque l’attività di impresa deve essere valutata separatamente da quelle
religiose e di culto anche nell’ottica liquidatoria di quelle parti del
patrimonio dell’ente specificamente destinate a tale attività ovvero non
216
riferibili, neppure indirettamente, a quelle di religione e di culto. Di
conseguenza, non rientrano nel patrimonio oggetto della procedura “i
beni appartenenti alla Provincia Italiana che, per loro natura e
destinazione, sono funzionali al compimento delle attività di religione e
di culto dell’ente non potranno costituire oggetto di liquidazione
concorsuale in funzione del pagamento dei debiti dell’ente ecclesiastico
nella sua funzione di imprenditore”; si ritiene infatti che essi non
facciano parte del patrimonio dell’imprenditore posto a garanzia
generica ex art. 2740 c.c.; tutti gli altri beni sono invece destinati a
costituire l’attivo della procedura “e ciò indipendentemente da atti di
accertamento o dispositivi riferibili alla Provincia o alle Autorità
ecclesiastiche che sulla stessa esercitano controllo”.
E’ opportuno inoltre ricordare un’ulteriore opinione secondo cui il
fallimento di ente ecclesiastico dovrebbe essere dichiarato soltanto dopo
la revoca del riconoscimento agli effetti civili “ossia dopo l’accertamento
del loro mutato carattere da enti intrinsecamente non commerciali in enti
commerciali”446 447.
446
Sul tema della revoca, cfr. quanto affermato nel cap. I, ricordando che la revoca è
disciplinata, per quanto concerne gli enti ecclesiastici cattolici, dall’art. 19, II co., legge n.
222 del 1985; per quanto concerne le leggi delle approvazioni delle intese, cfr., art. 12, legge
n. 449 del 1984; art. 27, legge n. 516 del 1989; art. 15, legge n. 116 del 1995; art. 20, legge
n. 520 del 1995.
447
Le parole tra virgolette sono di S. BERLINGÒ, Enti ecclesiastici – enti delle
confessioni religiose, cit., 39 ss., che afferma anche che “il contrappunto della revocabilità
spiega altresì come la qualifica della ecclesiasticità (o confessionalità), dell’ente possa
ragionevolmente operare da “filtro” perché la giusta estensione delle regole di diritto comune
alle “attività connesse” con il fine di religione o di culto non comprometta il rispetto della
struttura e della stessa finalità degli enti ecclesiastici (o confessionali). Ciò può indurre a
ritenere che siano non arbitrari privilegi ma norme speciali ragionevolmente giustificabili
alcune disposizioni intese ad evitare che detti enti risultino intercettati dalla traiettoria di
previsioni di controllo sulla coerenza istituzionale di tutti gli altri enti non commerciali (o
commerciali di un certo tipo) dei cui benefici fruiscono anche gli enti ecclesiastici (o
confessionali). Ad esempio, l’art. 149 del D.P.R. n. 917 del 1986, nel testo attualmente in
217
Sarebbe dunque necessaria la ricorrenza di un’ “impresa di fatto”,
sussistente in modo autonomo e distinto rispetto all’ente nel suo
complesso.
Sempre nell’ambito delle procedura concorsuali non si può
sottacere i casi dei due ospedali pugliesi (il “F. Miulli” di Acquaviva
delle Fonti, un presidio che garantisce trentanovemila ricoveri e
seicentoquindicimila prestazioni ambulatoriali l'anno, e quelle della
“Casa della Divina Provvidenza” che gestisce centri di cura e
riabilitazione a Bisceglie, Foggia e Potenza) gestiti da enti ecclesiastici,
entrambi accomunati da una forte esposizione debitoria (il primo di oltre
150 milioni ed il secondo di circa trecentomilioni), che hanno
vigore dopo l’ultima modifica introdotta dal D. Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, nel suo primo
comma sancisce che un “ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti
prevalentemente attività commerciale per un intero periodo” (d’imposta), fornendo, nel
secondo comma, alcuni parametri abbastanza ben definiti perché si possa oggettivamente
pervenire ad una valutazione su detta “prevalenza“. Per altro, il quarto comma di questa
medesima previsione normativa stabilisce che i primi due commi suddetti “non si applicano
agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili”. Inoltre, si
continua ad affermare che un analogo disposto può rinvenirsi nella recente normativa
emanata a proposito delle “imprese sociali” e, precisamente, nel primo comma dell’art. 15
del D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 (“Disciplina dell’impresa sociale, a norma della legge
13 giugno 2005, n. 118”), in cui è previsto l’assoggettamento di questo tipo di enti, in caso
d’insolvenza, alla procedura concorsuale della liquidazione coatta amministrativa, ma si
stabilisce, altresì, che detta disposizione non si applica “agli enti di cui all’articolo 1, comma
3”, dello stesso decreto, ossia agli “enti ecclesiastici e agli enti delle confessioni religiose
con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese”. Lo stesso A. deduce dunque che può
fondatamente sostenersi che queste norme (o altre consimili) non intendano porre gli enti
ecclesiastici (o confessionali), così individuati, in una posizione privilegiata rispetto a tutti
gli altri enti non commerciali (o commerciali di un certo tipo, ad esempio: le imprese
sociali), come pure rispetto a tutti gli altri enti con finalità di religione o di culto (non
inquadrabili fra quelli “ecclesiastici” o “confessionalizzati” sulla base di accordi o intese con
lo Stato).
218
recentemente depositato domanda di ammissione alla procedura di
concordato preventivo.
3.11. La responsabilità amministrativa degli enti ai sensi d.lgs. n.
231/2011
3.11.1. Gli aspetti principali del decreto
Ulteriore questione di assoluto rilievo è quella relativa
all’applicabilità agli enti ecclesiastici (che svolgano attività “diverse” di
tipo imprenditoriale) della disciplina di diritto comune contenuta nel
d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231448, in materia di “Responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle
associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo
11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”.
In particolare, come noto, mentre antecedentemente all’entrata in
vigore di tale normativa, non era mai stato scalfito il secolare principio
societas delinquere non potest, e quindi si riteneva potesse rispondere
penalmente della commissione di una condotta illecita nell’interesse o a
vantaggio di un ente collettivo soltanto la persona fisica rappresentante
di questo (o, comunque, legata all’ente), il decreto menzionato ha
introdotto nel nostro ordinamento il principio in base al quale, a fronte
della commissione di certi comportamenti illeciti, oltre alla singola
persona fisica che ha commesso il reato, ne risponde anche l’organismo
collettivo.
448
In G.U. n. 140 del 19 giugno 2001. Esso è stato introdotto in esecuzione della
Convenzione OCSE del 17 settembre 1997 ed a seguito della legge delega n. 300/2000. La
ratio dell'introduzione del d.lgs. n. 231 del 2001 è proprio quella di colpire il soggetto
(l’ente, appunto) che beneficia degli effetti della commissione del reato, ma che non sarebbe
penalmente responsabile. Il decreto recepisce un orientamento di derivazione anglosassone e
poi comunitario.
219
Si tratta di una responsabilità (quella dell’ente)449 che si aggiunge,
e non si sostituisce, a quella penale della singola persona fisica autrice
del fatto penalmente rilevante reato.
In particolare, l’art. 5 del decreto, rubricato “Responsabilità
dell'ente”, identifica chi può causare la responsabilità dell’ente e quando
ciò avvenga, affermando che “[1]. L'ente è responsabile per i reati
commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di
amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa
dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonchè da persone che
esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei
soggetti di cui alla lettera a).
Correttamente si precisa anche che: “[2]. L'ente non risponde se le
persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo
proprio o di terzi”.
I presupposti della responsabilità dell’ente sono pertanto:
l’appartenenza della fattispecie in uno dei reati per i quali è prevista la
responsabilità dell’ente, il compimento della condotta criminosa
nell’interesse e a vantaggio dell’ente e l’esistenza di un rapporto
organico
(amministrazione,
rappresentanza,
subordinazione
o
Essa trova il suo fondamento nel concetto di “colpa” (e non di dolo) dell’ente e
nell’intento del legislatore di responsabilizzare l’ente al fine di evitare la commissione di
reati di chiaro danno socio economico.
449
220
parasubordinazione) tra l’autore del fatto penalmente rilevante e l’ente
che se ne avvantaggia450.
In particolare, l’art. 6, rubricato “Soggetti in posizione apicale e modelli di
organizzazione dell'ente”, afferma che “[1]. Se il reato e' stato commesso dalle persone
indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che: a) l'organo
dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di
organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il
compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro
aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di
iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i
modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da
parte dell'organismo di cui alla lettera b). [2]. In relazione all'estensione dei poteri delegati
e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono
rispondere alle seguenti esigenze: a) individuare le attività nel cui ambito possono essere
commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e
l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare
modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul
funzionamento e l'osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a
sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. [3]. I modelli di
organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al
comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative
degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri
competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a
prevenire i reati. [4]. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del
comma 1, possono essere svolti direttamente dall'organo dirigente. [5]. E' comunque
disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato, anche nella forma per
equivalente”.
L’art. 7, rubricato, “Soggetti sottoposti all'altrui direzione e modelli di
organizzazione dell'ente”, prevede invece che “[1]. Nel caso previsto dall'articolo 5, comma
1, lettera b), l'ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile
dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza. [2]. In ogni caso, è esclusa
l'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l'ente, prima della commissione del
reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e
controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. [3]. Il modello prevede,
in relazione alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attività
svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a
scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.[4]. L'efficace attuazione del
modello richiede: a) una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso quando sono
scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti
nell'organizzazione o nell'attività; b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato
rispetto delle misure indicate nel modello”.
450
221
In realtà, i successivi artt. 6 e 7 distinguono a seconda che il reato
sia commesso dai soggetti di cui all’art. 5, lett. a) ovvero dai soggetti di
cui alla lett. b).
Come si può evincere, peraltro, gli enti a cui tale normativa è
destinata (su cui v. infra) si possono dotare di strumenti previsti dalla
legge per limitare o escludere la loro responsabilità.
Nel caso di commissione della fattispecie criminosa da parte del
soggetto in posizione apicale, l’ente è presunto responsabile ed è tenuto,
nel senso che è dunque (per andare esente) a dimostrare la propria
estraneità, in particolare provando di aver adottato ed attuato
efficacemente modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire
reati della specie di quelli verificatisi e di aver affidato i compiti di
vigilanza sulla effettiva operatività e sull’osservanza di tali modelli ad un
organismo costituito al suo interno dotato di poteri autonomi e
specificamente preposto a questi compiti e che non vi sia stata omessa o
insufficiente vigilanza da parte di esso.
Nel caso di commissione da parte del “sottoposto” invece, l’ente è
responsabile soltanto se detta commissione “è stata resa possibile
dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza” (cfr. art. 7, I
co.).
Peraltro “in ogni caso, è esclusa l'inosservanza degli obblighi di
direzione o vigilanza se l'ente, prima della commissione del reato, ha
adottato ed efficacemente attuato” il modello di organizzazione,
222
gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello
verificatosi (cfr. art. 7, II co.)451.
L’adozione dei modelli organizzativi e la creazione di un
organismo di controllo preposto a vigilare sull’osservanza di tali modelli
permette dunque agli enti di poter godere di un trattamento favorevole
(limitazione
o
esclusione
della
responsabilità)
a
fronte
della
commissione da parte di un suo dirigente o suo dipendente di un fatto nel
suo interesse o a suo vantaggio, commissione che altrimenti porterebbe
ad una sua responsabilità452. Va considerato anche quanto previsto
dall’art. 8, “Autonomia delle responsabilità dell'ente”, ai sensi del quale
“[1]. La responsabilità' dell'ente sussiste anche quando:
a) l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;
b) il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia.
[2]. Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei
confronti dell'ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione
al quale è prevista la sua responsabilità e l'imputato ha rinunciato alla
sua applicazione. [3]. L'ente può rinunciare all'amnistia”.
L’art. 7, III co., afferma che “il modello prevede, in relazione alla natura e alla
dimensione dell'organizzazione nonchè al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo
svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente
situazioni di rischio”; il successivo IV co. recita poi “L'efficace attuazione del modello
richiede: a) una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte
significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti
nell'organizzazione o nell'attività; b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato
rispetto delle misure indicate nel modello”.
452
E’ evidente dunque che lo scopo principale dei modelli organizzativi è quindi, da
una parte, quello di realizzare un sistema strutturato ed organico di procedure e di attività di
controllo e di vigilanza in modo tale da ridurre al minimo la possibilità che vengano
commessi reati compresi tra quelli elencati dalla normativa in esame e, dall’altra, quello di
rendere consapevoli tutti coloro che operano in nome e per conto dell’ente dell’esigenza di
un puntuale rispetto del modello e delle leggi vigenti in materia alla cui violazione
conseguono determinate sanzioni disciplinari.
451
223
Tale autonomia della responsabilità sussiste ovviamente alla
condizione che sia imputabile all’ente una colpa organizzativa
consistente nella mancata adozione o nel carente funzionamento del
modello preventivo.
L’art. 2 del decreto sancisce il noto principio del nullum crimen
nulla poena sine lege, affermando che “l’ente non può essere ritenuto
responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità
amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono
espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della
commissione del fatto”.
In particolare, l’ente può essere sanzionato soltanto in relazione
alla commissione453 di c.d. reati presupposto454 (la cui disciplina prevede
espressamente la punibilità dell’ente in aggiunta a quella dell’autore
Si evidenzi anche quanto afferma l’art. 26, rubricato “Delitti tentati”, ai sensi del
quale “[1]. Le sanzioni pecuniarie e interdittive sono ridotte da un terzo alla metà in
relazione alla commissione, nelle forme del tentativo, dei delitti indicati nel presente capo
del decreto. [2]. L'ente non risponde quando volontariamente impedisce il compimento
dell'azione o la realizzazione dell'evento”.
454
Relativamente alle sanzioni previste dalla normativa, esse dimostrano che la
responsabilità è di tipo penale (pur essendo definita “amministrativa”); occorre considerare,
al riguardo, gli artt. 9 e ss; si tratta di: a) la sanzione pecuniaria; b) le sanzioni interdittive
(limitatamente a taluni reati-presupposto ed in presenza di precisi requisiti); c) la confisca
(obbligatoria con riguardo a tutti i reati presupposto); d) la pubblicazione della sentenza. Al
ricorrere di almeno una delle condizioni indicate dall’art. 15 (“a) l'ente svolge un pubblico
servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave
pregiudizio alla collettività; b) l'interruzione dell'attività dell'ente può provocare, tenuto
conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato,
rilevanti ripercussioni sull'occupazione”), se sussistono i presupposti per l'applicazione di
una sanzione interdittiva che determina l'interruzione dell'attività dell'ente, il giudice, in
luogo dell'applicazione della sanzione, dispone la prosecuzione dell'attività dell'ente da parte
di un commissario giudiziale per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che
sarebbe stata applicata. Questo, “nell'ambito dei compiti e dei poteri indicati dal giudice, …
cura l'adozione e l'efficace attuazione dei modelli di organizzazione e di controllo idonei a
prevenire reati della specie di quello verificatosi. Non può compiere atti di straordinaria
amministrazione senza autorizzazione del giudice”.
453
224
materiale del fatto); si tratta delle seguenti fattispecie: reati di indebita
percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente
pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode
informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico (art. 24), reati
informatici e trattamento illecito di dati (art. 24-bis), delitti di criminalità
organizzata (art. 24-ter), concussione, induzione indebita a dare o
promettere utilità e e corruzione (art. 25), falsità in monete, in carte di
pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di
riconoscimento (art. 25-bis), delitti contro l'industria e il commercio (art.
25-bis.1), reati societari (art. 25-ter), delitti con finalità di terrorismo o di
eversione
dell’ordine
democratico
(art.
25-quater),
pratiche
di
mutilazione degli organi genitali femminili (art. 25-quater.1), delitti
contro la personalità individuale (art. 25-quinquies), abusi di mercato
(art. 25-sexies), omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse
con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza del lavoro
(art. 25-septies), ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o
utilità di provenienza illecita (art. 25-octies); delitti in materia di
violazione del diritto d'autore (art. 25-novies), induzione a non rendere
dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria
(art. 25-decies), reati ambientali (art. 25-undecies), impiego di cittadini
di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (art. 25-duodecies).
3.11.2. La rilevanza della disciplina anche per gli enti religiosi.
Premesso ciò, al fine di verificare l’assoggettabilità degli enti
ecclesiastici alla suddetta normativa, preme a questo punto rilevare
quanto previsto dall’art. 1 del decreto (rubricato “Soggetti”) che
individua i soggetti destinatari della suddetta disciplina; in particolare,
225
esso, dopo aver affermato che il “decreto legislativo disciplina la
responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da
reato”, afferma che “[2]. Le disposizioni in esso previste si applicano
agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni
anche prive di personalità giuridica455. [3]. Non si applicano allo Stato,
agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici
nonchè agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale456”.
Ulteriore requisito perché la disciplina possa essere ritenuta
applicabile attiene alla finalità di profitto e all’imprenditorialità, il che si
può evincere dal sistema sanzionatorio e dai meccanismi riparatori
contemplati dal d.lgs. n. 231 del 2001, orientati a colpire il “fine di
profitto in senso economico”457
458
.
455
Vi rientrano dunque inequivocabilmente: le associazioni riconosciute e le
fondazioni; inoltre, le società di capitali per le quali è previsto l’acquisto della personalità
giuridica come effetto dell’iscrizione al Registro delle imprese, ed altresì le società estere, e
cooperative, le società consortili; infine, le associazioni non riconosciute, dei comitati e delle
società di persone.
456
D. FONDAROLI - A. ASTROLOGO - G. SILVESTRI, Responsabilità “amministrativa” ex
d.lgs. n. 231 del 2001 ed enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, . in Stato, Chiese e
pluralismo confessionale (rivista telematica in http://www.statoechiese.it), 10
dicembre, 20, rileva che per enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale, secondo
l’opinione preferibile, devono intendersi gli organi “nominativamente indicati nella
Costituzione (Parlamento, Corte costituzionale, sindacati, etc.).
457
In questi termini, ibidem.
Cfr. anche la Relazione governativa (par. 2), che, sia pure con riferimento al
problema degli enti pubblici economici, afferma “con ragionevole certezza che il legislatore
delegante avesse di mira la repressione di comportamenti illeciti nello svolgimento di
attività di natura squisitamente economica, e cioè assistite da fini di profitto”.
458
La giurisprudenza più recente ritiene che l’impresa individuale sia ricompresa tra i
soggetti destinatari del decreto. Cfr., in particolare, Cass. Sez. III pen., 15 dicembre 2010 20 aprile 2011, n. 15657, in www.rivista231.it, 28 ottobre 2012, che afferma che “l'impresa
individuale (sostanzialmente divergente, anche da un punto di vista semantico, dalla c.d.
"ditta individuale"), ben può assimilarsi ad una persona giuridica nella quale viene a
confondersi la persona dell'imprenditore quale soggetto fisico che esercita una determinata
attività”; in particolare, il concetto di ente “fornito di personalità giuridica” non va inteso “in
226
In linea con la ratio dichiarata nei lavori preparatori della legge, i
presupposti di applicabilità del decreto sarebbero individuabili
nell’esistenza di un “soggetto di diritto metaindividuale” quale autonomo
centro di interessi (c.d. presupposto soggettivo) ed altresì nello
svolgimento
di
attività
cui
si
possano
ravvisare
i
caratteri
dell’imprenditorialità (presupposto oggettivo)459.
La dottrina460 ha esaminato innanzitutto la questione se le
confessioni religiose di per sé (e non i singoli enti che ad esse si
riconducono) siano esonerate o meno dalla suddetta normativa.
Al riguardo, lascia aperta ogni possibile soluzione al problema.
Sussistono infatti argomenti che potrebbero deporre in un senso
ovvero nell’altro.
Ove si consideri che le confessioni religiose sono assolutamente
separate dall’organizzazione dello Stato, e da questa totalmente
indipendenti, si potrebbe rispondere in senso affermativo al quesito.
senso formalistico”, ma abbraccia anche i soggetti (del tipo delle imprese individuali)
comunque caratterizzati da complessità organizzativa.
459
In questi termini, E. VITALI-G. CHIZZONITI, Manuale breve Diritto Ecclesiastico,
cit., 126.
460
G. CASUSCELLI (a cura di), Il Nozioni di diritto ecclesiastico, cit.2, 384 ss., ha
rilevato che il casus dell’Istituto Buddista Italiano, che “con l’obiettivo di garantire una
buona gestione e di tutelare il proprio patrimonio, ha aderito al Decreto legislativo 231/01”
(v. nel testo infra), appare scarsamente conferente, in quanto l’Istituto, benché autodefinito
come “confessione buddista” (art. 2, primo periodo, dello Statuto, pubblicato in www.sgiitalia.org, 1° dicembre 2012), “è un ente di religione e di culto, e persegue anche fini di
educazione, cultura e umanitari coessenziali alla propria concezione buddista” (art. 1, terzo
periodo dello Statuto), ed in quanto tale (non certo in quanto confessione religiosa), stando
alle informazioni pubblicate nel citato sito web, è stato “riconosciuto con decreto del
Presidente della Repubblica del 20 novembre 2000” (“it is a non profit coorporation
recognized by the President of the Republic with a decree dated 20th November 2000”).
227
Considerando invece che, dal punto di vista funzionale, le
confessioni svolgono “funzioni di rilievo costituzionale”, concorrendo
alla realizzazione della vocazione pluralista del nostro sistema
costituzionale, si potrebbe dare una risposta negativa.
In particolare, è stato evidenziato che “applicare la disciplina
delle sanzioni interdittive dell’ attività previste dagli artt. 13 e 14 del
d.lgs. n. 231/2001 o della nomina del commissario giudiziale per la
prosecuzione dell’attività (in sostituzione della misura interdittiva ai
sensi dell’art. 15 del citato decreto legislativo) risulterebbe difficile nei
confronti delle confessioni religiose, proprio perché violerebbe l’ordine
proprio costituzionalmente garantito delle medesime confessioni”461.
Non sembra invece potersi ipotizzare un’esclusione degli enti
ecclesiastici civilmente riconosciuti dall’applicabilità della disciplina.
Ed infatti, in primo luogo, essi non sono elencati tra gli enti
espressamente esclusi dall’art. 1, III co.; in secondo luogo, è pacifico che
essi siano dotati di personalità giuridica civile462.
461
G. CASUSCELLI (a cura di), Il Nozioni di diritto ecclesiastico, cit., 384 ss.
Cfr. D. FONDAROLI - A. ASTROLOGO - G. SILVESTRI, Responsabilità
“amministrativa” ex d.lgs. n. 231 del 2001 ed enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, cit.,
24 ss., osserva che alcuni autori ascrivono l’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto a un
tertium genus, per il quale il riconoscimento dà luogo a una sorta di “personalità giuridica”
sui generis, caratterizzata da un’estensione parziale e condizionata della normativa italiana,
retta da un rigido sistema pattizio ribadito dall’art. 7 Cost., che esclude l’applicazione delle
norme del diritto comune se non espressamente previste o richiamate; la circostanza che
nessuna norma (né bilaterale né unilaterale) attualmente vigente evoca la disciplina de qua
sarebbe di ostacolo all’estensione dell’applicazione del d.lgs. n. 231 del 2001.
Gli AA. affermano che si potrebbe tuttavia obiettare che il citato art. 7 l. n. 121 del
1985, in punto di esercizio di “attività diverse”, contiene in realtà un rinvio generale alle
“leggi concernenti” dette attività, non escluso quindi il d.lgs. n. 231 del 2001 (se ritenuto
comunemente operante in relazione a tali attività). Accogliendo questa interpretazione, non
sembrerebbe possibile neppure appellarsi al limite del “rispetto della struttura e della finalità
di tali enti”, atteso che il sistema organizzativo fondato sul modello delineato dal d.lgs. n.
231 del 2001 (art. 6), e orientato alla prevenzione dei reati, non è incompatibile, anzi, sembra
462
228
Peraltro, come più volte ripetuto nel presente lavoro, tali enti
possono svolgere c.d. “attività diverse di natura c.d. imprenditoriale”463,
assoggettate alle leggi civili, ma nel “rispetto della struttura e della
finalità di tali enti” (ex art. 7.3, l. n. 121/1985), e pertanto possono
astrattamente incorrere nelle fattispecie di illecito sanzionate dal decreto
231.
Ove pertanto vi sia un interesse dell’ente ecclesiastico che possa
essere distinto da quello della persona fisica che compie il reato, una
organizzazione che lo differenzi dalla persona fisica che compie l’atto,
un patrimonio ad esso riconducibile, non vi sono ragioni per escludere
gli enti de qua dalla disciplina del d.lgs. n. 231/2001464 465.
pienamente rispettoso del modello “etico” sotteso al regime delle responsabilità degli
amministratori dei beni ecclesiastici e dei controlli sull’attività sancito dall’ordinamento
canonico per la persona giuridica (canonica) pubblica: naturalmente, sempre che l’ente
ecclesiastico civilmente riconosciuto appartenga a quest’ultima categoria.
463
S. GHERRO – M. MIELE, Corso di diritto ecclesiastico, Padova, 2009, 131, rileva
che è da escludere che il decreto legislativo sia applicabile agli enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti con riferimento alle attività di religione e di culto e che nessun impedimento
sembra invece sussistere a che il medesimo decreto legislativo sia applicato a tali enti in
ragione dello svolgimento di attività diverse e ciò giusto il principio generale di cui all’art. 7,
n.3, l. n. 121/1985.
464
In questi termini, P. VENEZIANI G. GARUTI, A. CADOPPI (a cura di), Enti e
responsabilità da reato, Padova, 2010, 88, che rileva che una precisazione deve essere fatta
in relazione alla Santa Sede, espressione di sintesi, che indica, secondo il can. 361 c.i.c., non
solo il Romano Pontefice, ma anche, se non risulta diversamente dalla natura della questione
o del contesto, la Segreteria di Stato, il Consiglio degli affari pubblici della Chiesa e gli altri
organismi della Curia Romana. A questi enti ecclesiastici è stata riconosciuta personalità
giuridica, per antico possesso di stato; essendo tuttavia la Santa Sede anche un soggetto di
diritto internazionale, gli enti centrali della stessa assumerebbero, all’interno di questo
ordinamento straniero, una natura pubblicistica e questa duplice natura (enti di diritto privato
per l’ordinamento interno ed enti di natura pubblicistica per l’ordinamento dello Stato
Pontificio), porta l’A. a ritenere che gli enti centrali della Santa Sede (in quanto enti pubblici
di uno Stato estero) siano comunque esclusi dall’applicazione della disciplina della
responsabilità degli enti da reato.
Lo stesso A. rileva anche che alcune confessioni religiose presenti in Italia, come
quella musulmana, non adottano una struttura unitaria o piramidale e non hanno quindi enti
propri, preferendo organizzarsi attraverso una pluralità di soggetti collettivi, che assumono le
diverse forme giuridiche previste dal nostro ordinamento (associazioni, società di persone,
229
Va peraltro segnalato che l’Istituto Buddhista Italiano Soka
Gakkai ha dato attuazione alla normativa in questione; il modello
organizzativo, composto dal “Modello di organizzazione, gestione e
controllo ex d.lgs. n. 231/01” e dal “Codice di comportamento” è stato
approvato il 16 novembre 2009; è stato nominato anche l’Organismo di
Vigilanza Monocratico.
Ulteriori esempi di enti ecclesiastici,
che hanno approvato il
proprio modello di organizzazione e gestione, sono la “Congregazione
delle Suore di Carità delle Sante B. Capitanio e V. Gerosa”466 (il 4
marzo 2011) e l’ “Ospedale Israelitico” (giugno 2011).
società di capitali, etc.), pur perseguendo principalmente finalità religiose; ebbene, l’A.
afferma che “indubbiamente ciascuno di questi enti è tenuto a rispettare la disciplina del
decreto legislativo”.
465
E. TARTAGLIA, Compendio di diritto ecclesiastico, Rimini, 2012, 194ss, precisa
che la disciplina dettata dal d.lgs. n. 231/2001 non si deve applicare a quegli enti che non
presentino un carattere associativo (come ad esempio le chiese o le fondazioni di culto ai
sensi degli artt. 11 e 12 della l. n. 222/1985) ed a quegli enti collegati alle confessioni
religiose ed ai quali sia stata riconosciuta la qualifica di enti pubblici non economici, tra cui
l’Università Cattolica del Sacro Cuore, l’Istituto Universitario di Magistero Suor Orsola
Benincasa, le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. Analogamente, G.
CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, cit., 384.
466
Ivi si legge, tra l’altro, che: “La Congregazione ha ritenuto essenziale adottare un
proprio Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo ai sensi del D. Lgs. 231/2001,
affinché tutti coloro che operano all’interno dell’Ente osservino, nello svolgimento delle
proprie attività e prestazioni, comportamenti tali da prevenire il rischio di commissione dei
reati previsti dal D. Lgs. 231/2001. Nel corso del 2008, la rappresentante legale della
Congregazione, su apposito mandato della superiora generale, ha avviato le attività
necessarie alla costruzione di tale Modello. Ai fini dell’elaborazione del Modello, la
Congregazione ha individuato una serie di aree che, per natura e modalità di svolgimento
delle attività di competenza, sono potenzialmente suscettibili di porre in essere
comportamenti astrattamente idonei a configurare fattispecie penalmente rilevanti. In data 5
luglio 2010 la rappresentante legale dell’Ente, all’uopo autorizzata dalla superiora
generale, ha nominato un proprio Organismo di Vigilanza (di seguito “OdV”) e adottato un
Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo ex D. Lgs. 231/01, adeguandosi così ai
dettami del Decreto”.
230
Ci si chiede se anche gli enti religiosi che non siano anche
civilmente riconosciuti possano essere sottoposti alla disciplina e si
ritiene possibile dare una risposta positiva al riguardo solo ove detti enti
vengano equiparati ad enti stranieri467 e nei limiti in cui questi sono
sottoposti alla normativa in questione468.
Affermata dunque l’applicabilità del decreto in questione anche
agli enti ecclesiastici, occorre chiedersi quali soggetti possano compiere
nel contesto dell’ente religioso, nell’interesse o a vantaggio dello stesso,
le fattispecie incriminate che possono comportare la c.d. responsabilità
amministrativa dell’ente469.
Tra le persone fisiche che rivestono posizioni di vertice si ritiene
facciano parte, ad esempio, i legali rappresentanti dell’Istituto religioso, i
soggetti che materialmente dirigono od amministrano un’attività di un
467
P. VENEZIANI G. GARUTI, A. CADOPPI (a cura di), Enti e responsabilità da reato,
cit., 89, sostiene l’applicabilità del decreto anche agli enti stranieri, in quanto il decreto
stesso non differenzia in alcun modo i soggetti attivi in relazione alla natura di ente di diritto
straniero o nazionale e ove si attribuisse rilievo a tale circostanza si finirebbe per introdurre
un requisito aggiuntivo non previsto dal legislatore.
468
Cfr. D. FONDAROLI - A. ASTROLOGO-G. SILVESTRI, Responsabilità
“amministrativa” ex d.lgs. n. 231 del 2001 ed enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, cit.
24.
469
CASUSCELLI (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, cit., 386 ss., esamina
anche il diverso problema della responsabilità civile degli enti ecclesiastici per i reati
commessi da funzionari o dipendenti dell’ente, venuto all’attenzione a seguito di condanne
di sacerdoti per delitti di pedofilia e alla affermata responsabilità civile della diocesi di
appartenenza che ha portato negli Stati Uniti d’America al fallimento di alcune di esse a
causa dei risarcimenti dovuti alle vittime degli abusi. L’A. ha evidenziato che il Pontificio
Consiglio per i Testi Legislativi ritiene che il vescovo, in generale, come pure nello specifico
caso del delitto di pedofilia commesso da un presbitero o da un sacerdote della diocesi, non
ha alcuna responsabilità giuridica in base al rapporto di subordinazione canonica esistente tra
essi e che l’eventuale risarcimento dei danni vada imputato al solo sacerdote. Allo stato non
risulta alcuna pronuncia della giurisprudenza in merito alla responsabilità civile dell’ente
parrocchia o dell’ente diocesi, sebbene non manchino sentenze penali di condanna di parroci
o diaconi (ad esempio, Cass. pen n. 44729/2008, n. 46191/2008, n. 46376/2008, n.
20928/2009).
231
ente e quindi il Superiore della singola Casa e, ancora ad esempio, il
religioso o il laico che dirige una casa di cura, una casa per ferie, un
pensionato ecc.
Tra le persone fisiche sottoposte alla direzione o vigilanza da parte
di uno dei Soggetti Apicali, vi sono indubbiamente i sacerdoti470.
E’ indubbia l’importanza, al fine di non incorrere nelle sanzioni
previste dal decreto, dell’adozione del modello organizzativo e delle
altre misure menzionate anche per gli enti ecclesiastici, seppure ciò
possa creare problemi di inconciliabilità con il diritto della Chiesa e con
la particolare natura degli enti stessi471.
470
A questo proposito, giova rilevare che, secondo un orientamento dottrinale ormai
consolidatosi sull’argomento, non è necessario che i Soggetti Sottoposti abbiano con l’Ente
un rapporto di lavoro subordinato, dovendosi ricomprendere in tale nozione anche quei
prestatori di lavoro che, pur non essendo dipendenti dell’ente, abbiano con esso un rapporto
tale da far ritenere sussistere un obbligo di vigilanza da parte dei vertici dell’ente medesimo.
Il Modello 231 dell’Ospedale Israelitico indica, a titolo esemplificativo, i seguenti
soggetti:
a) i membri degli organi sociali (Consiglio di Amministrazione, Collegio dei
Revisori, Comitato Etico); b) i soggetti preposti alla direzione dell’Ente (ad es., il Direttore
Generale ed il Direttore Sanitario); c) il personale dipendente; d) il personale sanitario non
dipendente; e) i soggetti esterni all’Ente che operano in nome e/o per conto di quest’ultimo
(ad es., rappresentanti, consulenti, professionisti esterni).
471
Va sottolineato però che la concreta adozione ed attuazione di tali modelli
organizzativi per gli enti ecclesiastici dà luogo ad una serie di difficoltà e di problemi di non
poco conto in quanto si tratta, come già ampiamente detto, di una normativa prevista per le
società e che quindi non tiene assolutamente in considerazione la natura del tutto peculiare di
tali enti.
Basti considerare, ad esempio, i problemi derivanti dalla necessità di raccordare
quanto disposto dalla legge in esame con le regole contenute nelle costituzioni degli enti
ecclesiastici e con la loro specifica natura e finalità di religione e di culto. Si tratta, infatti, di
adattare a tali enti uno strumento normativo ideato e pensato per soggetti aventi una natura e
delle caratteristiche completamente diverse. E’ pertanto assai complicato predisporre un
modello organizzativo per un ente ecclesiastico, ancor più poi per quegli enti che svolgono
molteplici e diverse attività, spesso in realtà e con modalità organizzative assai disparate
l’una dall’altra. Nei casi poi in cui sia consigliabile costituire, ai sensi della legge in esame,
un Organismo di vigilanza, considerato che nella maggior parte dei casi esso non esiste e non
è previsto dalle Costituzioni stesse dell’ente ecclesiastico, occorre procedere con estrema
232
Appare quindi di tutta evidenza l’importanza nella scelta da parte
dell’ente religioso dei propri collaboratori laici, nel loro inquadramento
in modo corretto e completo; è opportuno altresì vigilare sul loro
operato.
Va anche chiarito che il filtro dell’interesse o vantaggio
dell’organizzazione collettiva, avendo riguardo alla natura, alle finalità,
alla struttura ed all’attività svolta dal singolo ente ecclesiastico, consente
di ridurre sensibilmente l’elenco dei reati-presupposto rilevanti ai fini
della responsabilità ex d.lgs. n. 231 del 2001 salvo la prova di un
(improbabile) interesse o vantaggio dell’ente.
cautela in quanto ciò può creare dei conflitti con quanto stabilito dalle norme contenute nel
Codice di Diritto Canonico. Il problema della configurazione ed organizzazione di tale
organismo richiede quindi una prudente valutazione alla luce delle Costituzioni o Regole di
ciascun ente del cui disposto bisognerà necessariamente tener conto armonizzandosi con esse
e con il Codice di Diritto Canonico. Analoghe difficoltà e problematiche derivano anche
dalla previsione, richiesta dalla legge in oggetto, di un meccanismo sanzionatorio di carattere
interno e disciplinare nei casi in cui tale meccanismo debba essere applicato ai religiosi stessi
dell’ente. Per la concreta predisposizione dei modelli organizzativi occorre quindi effettuare
una valutazione caso per caso di ciascuna realtà, valutando la natura peculiare dell’ente in
esame, le attività da esso svolte, le persone coinvolte e non dimenticando di considerare gli
orientamenti che saranno espressi dalle Autorità ed Organismi religiosi, al fine di evitare
contrasti con il Diritto Canonico. Si ricordi in tal senso che (can. 590 del Codice di Diritto
Canonico) “gli Istituti di Vita Consacrata … sono per un titolo peculiare soggetti alla
suprema autorità della Chiesa stessa”, con la precisazione che (can. 593), con i limiti di cui
innanzi, “gli Istituti di diritto pontificio sono soggetti in modo immediato ed esclusivo alla
potestà della Sede Apostolica in quanto al regime interno ed alla disciplina”. Ciò nel rispetto
della “giusta autonomia di vita specialmente di governo” riconosciuta a ciascun Istituto
religioso e nelle “costituzioni” di cui al can. 587, a norma del quale “per custodire più
fedelmente la vocazione e l’identità dei singoli istituti il codice fondamentale, o costituzioni,
di ciascuno deve contenere, oltre a ciò che è stabilito da osservarsi nel can. 578, le norme
fondamentali relative al governo dell’Istituto e alla disciplina dei membri, alla loro
incorporazione e formazione, e anche l’oggetto proprio dei sacri vincoli”. E’ evidente
dunque la delicatezza del problema di dover adottare uno schema di modello organizzativo
che deve rispettare il Diritto Canonico e le costituzioni di un Istituto religioso e cioè in
sintesi la sua peculiare natura (can. 1 e art. 1 Accordo di revisione del Concordato
Lateranense).
233
Si ritiene pertanto che i reati presupposto astrattamente realizzabili
possano essere per lo più i seguenti472 473: reati commessi contro lo Stato,
concussione, corruzione, reati contro la personalità individuale, reati di
omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione
delle norme sulla tutela della salute e sicurezza del lavoro (si pensi, ad
esempio, a tutte le attività svolte da un Istituto religioso nel cui ambito si
debba rispettare per i dipendenti la normativa a tutela della salute del
lavoro, D. Lgs. n. 81/2008 e adempimenti connessi), riciclaggio e
impiego di denaro beni o utilità di provenienza illecita.
Attenta dottrina474, partendo dall’esame di una recente sentenza di
merito475, che differenzia la situazione inerente alle vicende modificative
dell’ente (la cui disciplina è contenuta negli artt. 28 ss. del d.lgs. n.
231476 ed è volta a far sì che le diverse forme di ristrutturazione dell’ente
siano funzionali a permettere all’ente stesso di “scampare” alla
472
Cfr. D. FONDAROLI - A. ASTROLOGO - G. SILVESTRI, Responsabilità
“amministrativa” ex d.lgs. n. 231 del 2001 ed enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, cit.,
15, afferma che “a mero titolo esemplificativo, come in linea di principio è da escludersi la
responsabilità di una società che esercita attività di rottamazione rispetto al delitto di
mutilazione degli organi genitali femminili eventualmente commesso da un apicale o da un
subordinato (art. 25-quater.1 d.lgs. n. 231 del 2001), salvo la prova di un (improbabile)
interesse o vantaggio dell’ente, analogamente è presumibile che per l’ente ecclesiastico non
trovi concreta applicazione il d.lgs. n. 231 del 2001 in ordine ai delitti contro la personalità
individuale richiamati dall’art. 25-quinquies d.lgs. n. 231 del 2001 (c.d. reati di
pedopornografia), riformati dalla legge 1 ottobre 2012, che ha ratificato e dato esecuzione
alla Convenzione di Lanzarote, introducendo disposizioni (penali e processuali) di
adeguamento dell’ordinamento interno”.
473
Si esclude, in particolare, la possibilità di commissione di reati di abuso di
mercato, reati societari (per diversa soggettività giuridica dell’ente religioso), così come di
reati informatici e delitti di terrorismo e di falsità in monete (reati tutti di ben poco probabile
commissione).
474
Cfr. D. FONDAROLI - A. ASTROLOGO-G. SILVESTRI, Responsabilità
“amministrativa” ex d.lgs. n. 231 del 2001 ed enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, cit.,
26.
475
Tribunale di Milano, 20 ottobre 2011, in www.rivista231.it, 28 ottobre 2012.
476
Si tratta delle vicende di “Trasformazione dell’ente” (art. 28); “Fusione
dell’ente”; (art. 29), “Scissione dell’ente” (art. 30), “Cessione d’azienda” (art. 33).
234
responsabilità) da quella inerente all’ estinzione della società a seguito
della sua liquidazione e della sua cancellazione dal registro delle
imprese, applica il principio espresso dal Tribunale agli enti ecclesiastici.
In particolare, arriva ad evidenziare che nelle ipotesi previste dagli
artt. 19 e 20 della l. n. 222/1985477, l’ente ecclesiastico è in una
condizione analoga a quella della società estinta e cancellata dal registro
delle imprese, con le conseguenti estinzione dell’illecito addebitato
all’ente ed improcedibilità dell’azione, analogamente a quanto avviene
nel caso di morte della persona fisica cui sia ascritto un reato478.
Si ricordi che, ai sensi dell’art. 19, l. n. 222/1985, il riconoscimento della
personalità giuridica (di diritto interno) dell’ente ecclesiastico può essere revocato. In
particolare, si afferma che “ogni mutamento sostanziale nel fine, nella destinazione dei beni
e nel modo di esistenza di un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto acquista
efficacia civile mediante riconoscimento con decreto del Presidente della Repubblica,
udito il parere del Consiglio di Stato. In caso di mutamento che faccia perdere all'ente
uno dei requisiti prescritti
per il suo riconoscimento può essere revocato il
riconoscimento stesso con decreto del Presidente della Repubblica, sentita l'autorità
ecclesiastica e udito il parere del Consiglio di Stato”. L’art. 20 disciplina invece i casi di
estinzione o soppressione della persona giuridica (canonica) pubblica, con regolazione anche
del regime di devoluzione dei suoi beni; in particolare, afferma che, “La soppressione degli
enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e la loro estinzione per altre cause hanno efficacia
civile mediante l'iscrizione nel registro delle perone giuridiche del provvedimento
dell'autorità ecclesiastica competente che sopprime l'ente o ne dichiara l'avvenuta
estinzione. L'autorità ecclesiastica competente trasmette il provvedimento al Ministro
dell'interno che, con proprio decreto, dispone l'iscrizione di cui al primo comma e provvede
alla devoluzione dei beni dell'ente soppresso o estinto. Tale devoluzione avviene secondo
quanto prevede il provvedimento ecclesiastico, salvi in ogni caso la volontà dei
disponenti, i diritti dei terzi e le disposizioni statutarie, e osservate, in caso di trasferimento
ad altro ente, le leggi civili relative agli acquisti delle persone giuridiche”.
478
Ulteriore questione attiene al se il locus commissi delicti non sia l’Italia ma un
paese estero, ad esempio lo Stato del Vaticano. Al riguardo, occorre esaminare l’art. 4,
“Reati commessi all'estero”, ai sensi del quale: “[1]. Nei casi e alle condizioni previsti dagli
articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale (n.d.r., ipotesi di reato commesso all’estero, delitto
politico commesso all’estero, delitto comune del cittadino all’estero e delitto comune dello
straniero all’estero) gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale rispondono
anche in relazione ai reati commessi all'estero, purche' nei loro confronti non proceda lo
Stato del luogo in cui e' stato commesso il fatto. [2]. Nei casi in cui la legge prevede che il
477
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