costruttori di modernità

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costruttori di modernità
costruttori di modernità
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€ 80,00
costruttori
di
modernità
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costruttori di
modernità
Assimpredil Ance
1945_2011
a cura di Raffaella Poletti
Associazione imprese edili e complementari
delle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza
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Claudio De Albertis
Presentazione
9
Raffaella Poletti
Foto di gruppo con cantiere
13
Carlo Ferroni
Il contributo lombardo
alla presidenza Ance 1987-2006
17
Enrico Berbenni
L’ evoluzione della rappresentanza
edile a Milano
33
Giulio Ernesti
Costruire la modernità urbana
Milano nel secondo dopoguerra
71
Luca Mocarelli
Assimpredil e il comparto edilizio
immobiliare a Milano
147
Giulio Barazzetta
Progetto e cantiere, idea e costruzione
185
Tiziano Treu
Contrattazione collettiva
e bilateralità nell’edilizia milanese
231
Cronologia
271
Organi di rappresentanza
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Progetto e cantiere,
idea e costruzione
Giulio Barazzetta
Politecnico di Milano
Dipartimento Progettazione dell’Architettura
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
“… affinché alla tecnica dell’industria si
congiunga la fortuna dell’arte…” 1
1. In queste pagine si cercherà di delineare un profilo generale della
tecnica della costruzione nella città regionale lombarda negli ultimi sessanta
anni. Il testo, che si limita all’illustrazione di casi esemplari, non pretende di
essere esaustivo della complessità e della ricchezza della “costruzione”, un
campo in cui è possibile discernere periodi differenti, difficilmente definitivi
se non a costo di schematizzazioni banali. Si tratta di casi non privi di tensioni
di soglia temporale che precipitano in alcune realizzazioni, come altresì di
casi che dimostrano piuttosto una certa continuità, favorita dai tempi lunghi
dell’edilizia rispetto a quelli brevi dell’innovazione industriale. In questa
chiave, dai sondaggi parziali frammisti a possibili indagini o interrogativi, cui
eventualmente rispondere, scaturisce un’idea della costruzione che mostra il
carattere della produzione e dell’arte di edificare del nostro tempo a Milano.
La raccolta è indagata dalle pubblicazioni e da alcune fonti archivistiche, non
tutte disponibili, in cui hanno peso le testimonianze individuali2.
Dall’analisi sono esclusi per necessità, di spazio e trattazione, due importanti
capitoli: le reti ferroviarie metropolitane3 con le opere di scavo4 e le grandi
infrastrutturazioni del territorio con l’importante contributo dei costruttori
italiani all’estero5. Ne resta escluso per lo stesso motivo il capitolo del restauro
e delle modificazioni che ha particolare rilevanza nel nostro Paese, sia per la
conservazione dei monumenti e la trasformazione degli edifici esistenti, che
per le metamorfosi post-industriali dei quartieri della città storica dagli anni
ottanta a oggi.
Nella lettura dei casi si misura l’organizzazione del cantiere come luogo
dell’industrializzazione assieme alla pianificazione del progetto per la produ-
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zione edilizia6. Due aspetti strettamente correlati di cui non si è abituati a dar
conto quotidianamente nella progettazione integrata come di due facce della
stessa medaglia. Esaminare e discutere le tecniche vuol anche dire sondare i
rapporti reciproci non necessariamente biunivoci che intercorrono fra vari
aspetti. Significa legare coppie problematiche come quella di progetto e costruzione con quelle di cantiere e produzione senza dimenticare gli aspetti
contrattuali: considerare il nesso tra regole e strumenti concettuali e di messa
in opera, attivati dai dispositivi normativi. Infine vi si misurano la rilevanza
dei brevetti di materiali, attrezzature e di elementi costruttivi, procedimenti
di costruzione e di rappresentazione di utilizzo sempre più diffusi per l’edilizia
non solo speciale.
La separazione fra metodi costruttivi e processi di progettazione, di previsione dei procedimenti edificatori e di efficienza d’esercizio, si manifesta in
ibridazioni che sommano saperi in estinzione a normative e certificazioni.
Procedimenti sperimentali, tipici di un mestiere tradizionale in evoluzione,
stanno ora ponendo materiali e tecniche nuovi all’attenzione dei costruttori,
indirizzando alcuni settori verso l’innovazione profonda dei processi, dalla
progettazione direttamente alla produzione edilizia. All’opposto si continuano
ad affinare gli strati interposti fra scheletro e rivestimento, si lavora nella differenza fra rustico e finito, con l’isolamento e con modi diversi di fornitura
energetica, in cui alternative fra montaggio a secco, tecniche di carpenteria e
muratura tradizionali non sono ancora pienamente risolte. La soglia del
nuovo millennio implica la considerazione dei problemi che hanno attraversato
la costruzione nella rottura continua di equilibri e certezze imposta da circostanze economico-sociali e dal necessario adeguamento ai processi produttivi
e d’innovazione tecnologica. Una crisi che ha generato una certa confusione,
amplificata dal ruolo assegnato all’architettura nell’attuale fase economica
che vede il progetto impiegato come tecnica di mercato e acquisizione del
consenso.
2. L’edificio del Palazzo dell’Arte al Parco, realizzato in poco tempo per
ospitare la V Triennale fra il progetto del 1931 e l’apertura nel 1933, è costruito
in cemento armato rivestito di clinker; progettato da Giovanni Muzio, è fabbricato dall’impresa Ragazzi con la struttura dell’ing. Hoffmann, capo dell’ufficio tecnico dell’impresa7. La costruzione ha i caratteri imposti dai compiti
che deve svolgere per le esposizioni delle arti decorative, come la presenza simultanea di spazi per usi diversi in un unico fabbricato con teatro al piano
terreno, come un interpiano di sette metri e un sovraccarico dei solai di 600
kg/mq, luci libere delle campate più ampie possibile, con coperture a shed
per garantire la migliore illuminazione naturale delle gallerie d’esposizione.
L’edificio ha soluzioni innovative per il suo tempo, come la scala elicoidale a
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Il cantiere del Palazzo dell’Arte, 1931.
In alto, la campata superiore del Palazzo.
conclusione della galleria sud (la scala dello stadio Berta di P.L. Nervi a
Firenze è del 1932, la vasca dei pinguini allo zoo di Londra di Lubetkin e
Arup è del 1934) e una campata strutturale di una certa complessità per consentire l’uso del solaio di copertura del teatro, sorretta da quattro pilastri
d’angolo con luce libera di 14,50 x 22,70 m. L’aspetto più degno di attenzione
di questa costruzione è la sua generale natura di “contenitore” che ne deter-
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mina il carattere di asciutto edificio industriale, corrispondente alla necessità
di costruire un ambiente che non si imponga alle diverse rassegne che ospita.
Un’opportunità che Muzio persegue nell’assenza totale di decorazione degli
spazi espositivi a differenza degli spazi celebrativi del Palazzo, come il salone
al primo piano, l’impluvium e più tardi lo scalone.
Il telaio di cemento armato che vediamo reggere l’edificio in composizione
dialettica con il rivestimento in muratura e vetro è divenuto, all’inizio degli
anni trenta, forma rappresentativa dell’architettura moderna. Una figura che
dichiara la natura tettonica dell’architettura, rivelata dallo scheletro della
struttura mostrato nell’opera finita come resto permanente dell’edificazione
nella decorazione, una configurazione portata a perfezione linguistica nelle
opere di Giuseppe Terragni: oltre che casa del Fascio (1932-36) a Como, la
coeva casa Rustici a Milano, in corso Sempione, realizzata come altre tre abitazioni d’affitto milanesi8 in piazzale Lagosta, piazza Morbegno e via Pepe assieme a Pietro Lingeri. In questi edifici è rappresentata l’emancipazione del
portante dal portato permessa dalle strutture a telaio in cemento armato9,
svolta nello spessore delle murature e affermata nella separazione tra struttura
e rivestimento, ma non necessariamente conclusa nell’emancipazione dalla
natura essenzialmente muraria della costruzione italiana10.
Le esposizioni della Triennale si susseguono per tutti gli anni trenta sul
tema delle tecniche: dalla “casa elettrica” presentata a Monza nel 1930, alle
esposizioni dedicate all’espressione costruttiva della nuova architettura nella
prima edizione a Milano del 1933 come in quella successiva del 1936. Poi,
dopo la guerra, la mostra sulla casa e la costruzione della VIII Triennale
(1947) con la realizzazione del QT8 negli anni successivi, le mostre degli elementi costruttivi e dell’industrializzazione edilizia, con i padiglioni delle case
prefabbricate nel Parco della X Triennale (1954) e infine la mostra sulla struttura della XI Triennale del 1957. In tutto questo periodo il clima della
Triennale gioca un ruolo di stimolo all’innovazione sotteso allo scenario di
ricostruzione del dopoguerra, amplificato negli anni del miracolo economico
con le esposizioni della produzione industriale alla Fiera Campionaria. In
particolare, in questa descrizione, vanno citati i padiglioni Breda alla Fiera di
Milano del 1951 e 1952 “… puri fatti plastici… senza alcun rapporto, fuor
della tecnica, con l’edilizia…”11, un giudizio da rivedere, alla luce dell’architettura più recente.
La nuova tecnica della costruzione si è già dispiegata, accanto alle esposizioni e ai padiglioni nel Parco della Triennale, nei cantieri della seconda
metà degli anni trenta. Basti menzionare qui l’ampliamento della sede Montecatini di Gio Ponti, terminata nel 193912, come la sede dell’Università Commerciale Luigi Bocconi di Giuseppe Pagano al Parco Ravizza terminata nel
194113, che svolgono il tema dell’opera architettonica moderna e delle nuove
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tecniche dai versanti “novecento” e “razionalista”, utilizzando materiali e procedimenti moderni integrati con sistemi tradizionali, dovendo fare i conti
con committenti e autarchia14.
In questo stesso clima si era affermata un’idea di città moderna, grazie
anche alle proposte dei quartieri di “edilizia popolare”, che si traduce nella
costruzione del quartiere Fabio Filzi e nei progetti di quattro quartieri autonomi
periferici del gruppo di architetti razionalisti milanesi. Con la proposta infine
di una “Milano Verde” accanto all’asse di corso Sempione, si vede forse il
primo quartiere d’abitazione razionalista in cui la nuova costruzione e l’urbanistica moderna volgono verso un pensiero immobiliarista che proprio qui
si era d’altronde già espresso nelle edificazioni attorno al Castello e al Parco
tra XIX e XX secolo15.
3. L’edilizia milanese della Ricostruzione, sollecitata dalla situazione della
città bombardata e dal riavvio delle attività produttive, si trova a confrontare
le nuove tecniche con le ferite lasciate dalla guerra nella città.
Uno dei cantieri di riferimento del periodo è quello del palazzo de “la Rinascente” in piazza Duomo tra il 1948 e il 1950. Il vecchio edificio, danneggiato
gravemente dal bombardamento del 13 agosto 1943, fu abbattuto per lasciare
il posto a uno interamente nuovo con struttura metallica, fornita dalle Officine
Bossi, azienda di costruzioni metalliche del Gruppo Edison, e con un partito
architettonico di finestroni d’ordine gigante dai tratti di modernità novecentista
rivestito dal marmo di Candoglia fornito attraverso l’opera del Duomo. Ultimato nel 195116, su progetto di Aldo Molteni e di Ferdinando Reggiori, questo
è un cantiere in cui le esigenze di uno spazio aperto commerciale, allestibile
liberamente, per necessità statiche e impiantistiche danno luogo alla realizzazione di una forte integrazione fra struttura e installazioni meccaniche ed
elettriche. Questa necessità comporta la scelta di una struttura in acciaio in
cui la differenza fra travi e soletta consenta l’alloggiamento dei canali e delle
condutture17. Le travi secondarie si traducono in travi reticolari composte in
profili a “I” da 36 cm, uguali in altezza a quelle principali ortogonali in modo
da ottenere l’orditura complanare del solaio. La realizzazione dell’edificio
sul lotto del suo stesso sedime, nel fitto tessuto delle vie centrali, impone
anche una soluzione di cantiere senza magazzino, in cui le parti di struttura
sono fornite al momento del loro montaggio e trasportate in quota con
derrick integrati alla struttura metallica completata piano per piano.
Altro cantiere milanese tipico della Ricostruzione è quello di via Broletto
3718 realizzato tra il 1947 e il 1949 su progetto di Luigi Figini e Gino Pollini,
anch’esso su un lotto bombardato. Si tratta di un complesso di due edifici,
uffici e abitazioni, intervallati con spazi aperti di passaggi, corti e giardino interno. Un complesso edilizio di dispositivo planimetrico e volumetrico che
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formula la tradizione d’intervento nel centro storico per “innesto” piuttosto
che per totale sostituzione. Nel corpo di fabbrica a uffici su strada il prospetto
del fronte, largo 12 metri, è retto da un’unica trave, sagomata a “C” in modo
da contenere i ventil-convettori, che corre sotto le aperture delle finestre.
Nel fabbricato d’abitazione a torre, interno, la facciata è arretrata rispetto
alla struttura a telaio in cemento armato in modo da formare un loggiato
continuo per tutta l’altezza dell’edificio, sui due lati prospicienti il cortile e il
giardino, in cui il tema strutturale dell’edificazione acquista l’autonomia del
partito decorativo19.
4. La mostra sull’abitazione e sulla costruzione della VIII Triennale e la
costruzione del quartiere sperimentale QT8 dal 1948 mettono in campo le
tecniche della prefabbricazione applicata alla residenza in un gruppo di edifici
di quattro piani in via Diomede finanziati dal Ministero dei lavori pubblici.
Abitazioni che condensano gli studi e le proposte del gruppo di architetti e
tecnici legati alle esperienze della Triennale, aperta in quest’occasione al
tema dell’industrializzazione edilizia.
I sistemi compendiati20 sono di struttura a telaio con travi e pilastri in cemento armato o ferro, uno di questi montato a secco, un solo sistema di muratura portante a pannelli e infine uno a cassero montante Breda-Fiorenzi.
Per questo motivo le case prefabbricate del QT8 sono realizzate da un’unica
pianta tipica di progetto, adattata ai diversi sistemi da sperimentare nella costruzione, controllati secondo una raccolta-dati sul cantiere per tempi, metodi
e costi, quantità e qualità dei materiali, impiego di mano d’opera e infine verifica delle finiture e qualità dell’isolamento termico e acustico. La casa che
esemplifichiamo è realizzata, su progetto di Gabriele Mucchi, con il sistema
della Società costruzioni edili prefabbricate brevetti Gaburri di Milano21 in
elementi di pilastri e travi, prefabbricati fuori opera e resi solidali colando
calcestruzzo nella cavità corrispondente all’incastro trave-pilastro, e con solai
prefabbricati con cappa sovrapposta gettata e infine pannelli di tamponamento
prefabbricati. Il montaggio e la costruzione sono effettuati senza ponteggio.
A opera finita la struttura, semi-incassata all’esterno del tamponamento, è
verniciata di rosso per farne risaltare il ruolo ordinatore. Agli esordi della Ricostruzione le case prefabbricate al QT8 aprono con successo22 il fronte dell’edilizia residenziale prefabbricata, concludendone anche il primo momento
istituzionale, cominciato con il Convegno nazionale per la Ricostruzione a
Roma nel 194523, seguito nel 1946 dalla nascita dell’Associazione nazionale
costruttori edili e, allo stesso tempo, del Centro industriale lombardo di coordinamento per l’edilizia. Dopo la mostra del Centro studi per la ricostruzione
del 1946, la VIII Triennale s’inserisce in questa situazione tra il 1947 e il 1948,
con le mostre su alloggio e costruzione, e con il QT8, con il convegno sulla
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A sinistra, edificio in via Broletto 37 di Figini e Pollini in costruzione, 1947.
A destra, la struttura di copertura della nuova Rinascente, 1950.
tecnica e infine con la creazione del Centro studi sull’abitazione. L’anno successivo il Ciam Bergamo riflette per un’ultima volta sull’urbanistica nuova accanto all’industrializzazione della costruzione, quasi a fissare fra Triennale e
Ciam i termini della discussione nel dopoguerra e una sua conclusione, aprendo il dibattito sul cuore delle città e sullo spazio delle relazioni dei successivi
congressi. Analogamente si può fissare nei due eventi dell’assemblea generale
della Federazione internazionale costruttori a Parigi e della fondazione della
Cidb (Conseil international de documentation du bâtiment a Ginevra), un
organismo di coordinamento di una commissione europea ancora inesistente,
che a partire dal 1953 diverrà Cib (Conseil international du bâtiment) lo stabilirsi di un sistema di relazioni internazionali per normare le questioni
tecniche della costruzione.
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Il quartiere QT8 in costruzione, 1948.
5. L’esperienza maturata nell’abitazione porta, nel 1955, alla formazione
di un comitato di esperti per lo Iacpm (Istituto autonomo case popolari di
Milano) presieduto da G. Ciribini e composto, fra gli altri, da E. Gentili Tedeschi, C. Rusconi Clerici, S. Zorzi, E. Ratti, M. Villa allo scopo di rendere
possibile la normalizzazione degli elementi costruttivi, cioè a dire di “ordinare
sistematicamente e a un fine determinato di convenienza formale, tecnica ed
economica… di utilità il nostro operare”. A questi segue, sempre per iniziativa
dello Iacpm, la fondazione del Craper (Centro per la ricerca applicata sui
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
problemi dell’edilizia residenziale)24 con il concorso di enti pubblici, industrie
e costruttori, e l’Istituto di edilizia del Politecnico di Milano. Il Centro promuove un primo progetto di sperimentazione che, denominato “progetto reattivo” perché “concepito per il controllo delle possibilità d’uso di metodologie
industriali nell’edilizia”, è tra gli edifici di maggior pregio del quartiere Comasina, pionieristico esempio di grande edificio realizzato con parti prefabbricate. Particolarmente interessante dal punto di vista tecnico l’impianto
centralizzato per la produzione di acqua calda ed energia elettrica, il primo
realizzato in Italia25.
A iniziativa del Craper è anche il “progetto edilizio sperimentale”, elaborato
per l’Istituto nazionale case impiegati dello stato (Incis), presentato nel 1961
per l’Italia all’Agence européenne de productivité (Ape) per l’Organizzazione
per la cooperazione economica europea (Oece). Il progetto, non realizzato,
studia la possibilità di normalizzazione di un tipo edilizio di dimensioni
20x20x32 m che distribuisce quattro alloggi quadrilocale per piano su nove
piani. È il contributo italiano al progetto Ape, che in termini d’indagine sui
problemi di organizzazione produttiva edilizia si misura con il salto qualitativo
nella normazione del “modulo”, come elemento unificante della produzione
edilizia europea26. Negli anni immediatamente precedenti era uscito un numero monografico della rivista «La Casa» dell’Incis dedicato all’industrializzazione edilizia (1957). Fra i contributi di tecnici-operatori e intellettuali spiccavano l’articolo di Argan “Modulo-misura e modulo-oggetto” e l’articolo di
Paci “L’applicazione del metodo industriale all’edilizia e il problema estetico”.
Il numero raccoglieva interventi di Albini, Rogers, Labò, Libera, Ponti ecc. e
anche il punto di vista di Emilio Pifferi, allora vicedirettore della Società generale immobiliare: “…è inevitabile che l’architettura debba decidersi a considerare i metodi e i procedimenti giacché essi ed essi soltanto possono portarla
a esprimere i valori dello spirito moderno e a risolvere gli infiniti problemi
che angustiano l’edilizia moderna…”. Ma lo stesso scriveva a proposito27: “non
bisogna dimenticare che le categorie imprenditoriali vedono nell’industrializzazione solo un mezzo per produrre di più a costi più bassi e possibilmente
anche meglio… [e dunque che] … l’iniziativa potrebbe partire da qualcuna
di quelle organizzazioni imprenditoriali che hanno allargato il loro campo
d’azione a tutto il ciclo produttivo, dall’ideazione di programmi urbanistici
sino alla vendita degli appartamenti finiti”.
Sono i temi della mostra e del congresso sulla prefabbricazione organizzati
nel 1958 a Napoli dall’Associazione italiana per lo studio e lo sviluppo di materiali e sistemi di prefabbricazione (Aip), dal Centro studi per l’edilizia di
Napoli affiancati dal Comitato nazionale per la produttività. È questo il primo
atto “pubblico” dell’Associazione Aip, fondata a Milano l’anno prima, cui
sono stati chiamati a far parte “… i principali fabbricanti italiani di pannelli
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mobili per l’edilizia, i costruttori di materiali isolanti, gli ingegneri e gli
architetti interessati all’impiego dei nuovi materiali e le imprese edili che intendono avvalersene…”.
6. Pragmaticamente, a seguito di questo interesse e delle esperienze intraprese, per iniziativa della stessa Aip nel 1961, si organizzano viaggi in
Francia per gli operatori italiani al Salone della costruzione 3° Expomat, che
si estendono in visite ai principali produttori di sistemi di prefabbricazione.
Lo scopo è ottenere licenze per l’Italia di brevetti francesi.
“… Quando circa un anno fa la presidenza dell’istituto di Milano decise
di inviare una commissione qualificata… anche il Collegio dei costruttori
edili della Provincia di Milano fu invitato a inviare un proprio rappresentante
in Francia… Il predetto collegio inviò a Parigi il proprio vicepresidente”28.
Questi avvenimenti affiancano la decisione dello Iacp di Milano di costruire
nuovi quartieri periferici anche nei comuni limitrofi al capoluogo. I sistemi
francesi sono preferiti per motivi tecnici ed economici d’esecuzione oltre che
per la qualità finale ritenuta superiore alla produzione italiana. Si tratta in
genere di sistemi a setti e solai portanti realizzati in pannelli delle dimensioni
di un vano per un piano di altezza con tamponamento esterno di un pannello
rivestito di mattoni o ceramica. Nel 196229 è stipulata una convenzione tra
Iacp e imprese appaltatrici, tra cui Mbm Meregaglia, Sicop, Fintech, Sepi,
Romagnoli, concessionarie delle licenze francesi dei sistemi di prefabbricazione
integrale a pannelli in calcestruzzo e misti come Balency, Coignet, Barets, Camus, Fiorio, in cui l’Istituto e i costruttori s’impegnano per lotti di circa 1000
alloggi per anno, per cinque anni30 31.
In base alla convenzione con queste imprese e sistemi tra il 1962 e il 1974
sono in produzione e terminati gli interventi per più di 21500 alloggi: a
Milano nei quartieri Gallaratese, Gratosoglio, Bovisasca, Fulvio Testi, Olmi,
Quarto Oggiaro, nei comuni limitrofi a Rozzano, Corsico, Cesano Boscone.
Tra il 1967 e il 1974 altri interventi sono realizzati direttamente dal
Comune di Milano: 2450 al quartiere Sant’Ambrogio e 265 in via La Spezia
dall’impresa Astaldi, 900 alloggi in via San Leonardo con l’impresa Bertani &
Baselli, procedimento Estiot.
La stagione comprende anche l’intervento dello Iacp di Brescia che
appalta 520 alloggi, di cui il primo lotto 370 all’impresa Cogefar con sistema
di prefabbricazione integrale in pannelli, e il secondo di 150 al Consorzio di
Produzione e Lavoro di Bologna.
7. La vicenda dell’edilizia residenziale prefabbricata conclude le sperimentazioni degli anni sessanta e settanta con la proposta dell’istituzione di
un repertorio di tipologie d’abitazione. Esito di un concorso per produttori
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Ludovico Magistretti, ufficio tecnico Mbm, case torri nel quartiere Gallaratese, 1969-1972.
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M. Scheichenbauer,
assonometria costruttiva
della casa in via Cernaia
a Sesto San Giovanni,
1971.
e progettisti consorziati, organizzato nel 1978 dalla Regione Lombardia, ha
l’inaspettato risultato, non opinabile nel clima sociale di quegli anni molto
critico riguardo alle esperienze intraprese, di cristallizzarsi nella sua attuazione
come manuale tipologico degli alloggi per i piani consortili degli anni ottanta
riattuazione della legge 167.
Tra gli episodi degli anni di sperimentazione merita una citazione la “casa
di plastica”, un edificio di tre piani, quattro corpi e scala, 24 appartamenti,
oggi in demolizione, realizzato in sei mesi nel 1972 dallo Iacpm, su progetto
dell’arch. Mario Scheichenbauer, in via Catania a Sesto San Giovanni. Studiato
negli ultimi anni sessanta come prototipo di facile trasporto e montaggio,
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
per la struttura utilizza il sistema Gaburri, ancora efficiente e concorrenziale
per costruire telai di cemento armato, prodotto da Alcos a vent’anni dal QT8,
mentre i pannelli di rivestimento, completi di serramenti, sono prefabbricati
in fibra di vetro e resina poliestere gialla, così come le porte e il rivestimento
delle scale in resina traslucida.
8. I progetti e gli interventi per le emergenze rappresentano una sorta di
conclusione nella vicenda della prefabbricazione per l’edilizia residenziale.
Questa soluzione è ritenuta necessaria e utile ancora oggi date le impellenti
esigenze di ricostruzione, come si è visto per le realizzazioni del bando del
progetto Case (Complessi antisismici sostenibili eco-compatibili)32 consegnate
in genere a 8-10 mesi dall’evento sismico che ha interessato L’Aquila nel
2009, anche se in questo caso si è preferito sostituire, per la struttura, il telaio
di calcestruzzo con il legno ignifugo per la leggerezza di trasporto e montaggio
e facilità d’esecuzione, cui si aggiungono qualità ambientali ed energetiche.
Il sistema di prefabbricazione “Spazio 3”33, vincitore del concorso per la
ricostruzione del Friuli (1977), di Morassutti Associati (Bruno Morassutti,
Maria Gabriella Benevento, Giovanna Gussoni e Mario Memoli) è rappresentato in copertina nel numero di «Domus» dedicato alla ricostruzione dopo il
terremoto del 1976. Il progetto è un sistema di elementi prefabbricati in calcestruzzo leggero, efficace, di facile trasporto e immediato montaggio. La soluzione di tipo modulare è vincolata alla maglia spaziale di 3 metri di spigolo
definito da un solaio a piastra e quattro pilastri in calcestruzzo. Dalla sua declinazione derivano gli alloggi da 45 a 95 mq, aggregati nei diversi tipi di
edifici a schiera o collettivi come richiesto dal bando e dalla normativa stabilita
dal Comitato per l’edilizia residenziale (Cer). Il progetto, affidato all’impresa
Bortolaso, che ottenne anche vari riconoscimenti dall’Associazione italiana
prefabbricazione (Aip), non fu mai realizzato. Il progetto tipo “333” di edifici
residenziali per il repertorio di progetti-tipo per la Regione Lombardia del
1978 ne costituisce il perfezionamento.
La parziale ricostruzione di Castelnuovo di Conza (SA) nel 1981, dopo il
sisma dell’Irpinia del 1980, ha come precedente il sistema di prefabbricazione
pesante “FacepCasa”, prodotto nel 1977 dall’impresa Facep di Mantova con
gli stessi Morassutti Associati. L’elemento base del sistema è un setto verticale
prefabbricato in cemento armato della profondità del corpo di fabbrica, che
corrisponde alla dimensione trasportabile su di un bilico, 2,5x12 m, con due
testate per le facciate contrapposte e con una mensola centrale per parte per
gli sbalzi di logge e ballatoi. Il modulo del sistema si basa su una griglia di 120
centimetri di lato, che regola il dimensionamento dei vari elementi prefabbricati. Con questo sistema sono realizzati a Staranzano (GO) due edifici prefabbricati a tre piani, con 42 alloggi di superfici da 45 a 100 mq. “Il montaggio
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della struttura e dell’involucro del complesso ha richiesto 21 giorni lavorativi… che riferito al numero degli alloggi equivale alla fornitura del rustico di
2 alloggi al giorno.” L’esperienza di Castelnuovo di Conza è invece il risultato
dell’aggiudicazione del concorso-appalto organizzato da «Il Giornale» di
Indro Montanelli, che promosse una sottoscrizione dei lettori per finanziare
l’iniziativa con quattro miliardi di lire. L’intervento interessa 54 alloggi di tre
tipi, da 46 a 91 mq, in sette edifici di due piani su seminterrato. Realizzato
con caratteristiche antisismiche in 14 mesi dalle imprese Marani e Facep, il
quartiere è disposto su terrazzamenti del pendio che permettono a tutti i
corpi di fabbrica la stessa esposizione e veduta.
9. Non si può non accennare agli scenari della costruzione della residenza
nella città metropolitana e regionale lombarda, osservando che in genere
proprio nel settore residenziale hanno trovato luogo le innovazioni della costruzione più lente, di “lungo periodo”, giacché la casa, il settore di maggiore
resistenza della tradizione, è quello in cui più difficile risulta coniugare le
novità costruttive con il mercato privato.
La questione della costruzione della residenza dopo il 1978 va inquadrata
nei diversi progetti definiti dagli strumenti legislativi di attuazione e finanziamento. Questa complessa articolazione d’intervento ha portato alla saturazione
delle aree di espansione residenziale di Milano e dei comuni dell’area metropolitana, alla saldatura dei territori urbanizzati, estesa, in alcuni casi, alla
regione che gravita sulla centralità milanese. Il progressivo emergere in questo
quadro di soggetti privati, di cooperative di produzione e di abitazione e di
imprese, comporta la sostanziale obsolescenza della programmazione edilizia
sovvenzionata pubblica (Comune di Milano ed enti locali con Iacp/Aler), a
fronte dell’azione di coordinamento degli interventi privati e pubblici su tutta
l’area metropolitana del Cimep (Consorzio intercomunale milanese per
edilizia popolare) che, per il primo piano consortile 1971-1991, dichiara di
aver realizzato 46 milioni di metri cubi. L’ordine di grandezza della trasformazione nel ventennio 1980-1999 è stimabile in una quantità totale di costruzione della residenza di circa 60.000 alloggi sul territorio comunale di Milano.
Se nel quadro metropolitano la produzione ha oscillato fra valori medi di
13.000/14.000 abitazioni per anno dei primi anni ottanta a quelli del 19891994 di 11.000/12.000, si può sintetizzare il risultato complessivo della modificazione continua del territorio in 250.000/300.000 abitazioni costruite fra
il 1980 e il 2000 nella provincia di Milano.
10. La stagione attuale, inaugurata dall’urbanistica del documento d’inquadramento del Comune di Milano 1999 e la legislazione nazionale urbanistica che ne è derivata assieme a quella regionale, approda alla gestione del
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
In alto, Ruatti Studio, case prefabbricate
per l’Abruzzo, 2010.
A fianco, Morassutti Associati, modello
del sistema di prefabbricazione
Spazio 3, 1977, riportato anche sulla copertina
della rivista «Domus».
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Giulio Barazzetta
La copertura assemblata
della chiesa di Baranzate,
1958 e il materiale a piè
d’opera.
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
Pgt in corso di discussione oggi a Milano ed eredita la tradizione dei “grandi
progetti” compresi fra la realizzazione di Pirelli-Bicocca e gli attuali cantieri
di centro direzionale Isola Garibaldi − Repubblica e di Fiera CityLife. Una
stagione in corso in cui i sistemi costruttivi integrano le opportunità di mercato,
le necessità normative e i procedimenti, che utilizzano sempre più la differenza
fra strutture efficienti e di veloce costruzione e montaggio, a volte miste acciaio/calcestruzzo, con sistemi di finitura compresi fra sistemi a secco e metodi
tradizionali di muratura e isolamento, in cui sono il rivestimento e il sistema
energetico quelli che fanno la differenza.
11. Il repertorio delle tecniche edilizie della costruzione industriale si dispiega pienamente nella metà degli anni cinquanta nel settore della costruzione
di impianti industriali e infrastrutture. Settori in cui grande importanza rivestono
la programmazione della produzione e le economie di scala garantite dal controllo dei processi produttivi: qui, a differenza della costruzione della residenza
e della trasformazione della città, la previsione tipica della progettazione avanzata, della prefabbricazione e della produzione dei componenti riesce finalmente ad affermarsi come tecnica propria dell’industrializzazione edilizia.
Non a caso il capitolo dedicato all’industrializzazione edilizia di Costruire
in Lombardia34 esordisce con un immagine delle struttura della chiesa di Baranzate costruita nel 1958 dalla piccola impresa Merone di Bollate, su progetto
di Bruno Morassutti, Angelo Mangiarotti e Aldo Favini nel quadro del programma del cardinal Montini per le nuove chiese destinate alle periferie profondamente interessate dal fenomeno dell’immigrazione della nuova forza
lavoro impiegata nella rinascita industriale della metropoli lombarda. Si tratta
di un cantiere esemplare per l’esperienza delle tecniche consentite dal cemento
armato precompresso, per la realizzazione con tecnica e cura artigianali di
un modello di esecuzione interamente predisposto nella progettazione. Qui
il montaggio dei conci prefabbricati della copertura, precompressi in opera,
procede concettualmente assieme al rivestimento di ferro e vetro dell’aula liturgica e prelude alla produzione dello spazio modulare dell’impianto industriale, anche con le tecniche di montaggio a secco che completano la prefabbricazione industriale. Un’esperienza per così dire simmetrica al cantiere
del Palazzetto dello Sport di Roma opera di Nervi di poco successiva35.
Lo stesso Favini, a quel tempo direttore tecnico dell’impresa Tamburini
di Milano che sta costruendo gli edifici di Muzio e Reggiori per l’Università
Bocconi, proseguendo la propria attività d’ingegnere progettista dopo l’esperienza di Baranzate, procede nella sperimentazione per produrre un elemento
di copertura per gli impianti industriali, precompresso prefabbricato, autoportante e appoggiato direttamente all’orditura primaria. Chiamato convenzionalmente “tegolo”, nel caso del brevetto di Favini si tratta di un elemento
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Giulio Barazzetta
curvo chiamato “coppone ALFA”. È questo il capostipite di quei sistemi ancora
in uso per la copertura di edifici industriali prefabbricati, che riassume le tecniche del cemento armato precompresso con quelle delle volte sottili, assolvendo assieme i compiti statici per luci di copertura sino a 30 metri con quelli
di displuvio, e che può essere direttamente posato in opera e finito con la saldatura dell’impermeabilizzazione predisposta. Le tappe di questo percorso
sono rintracciabili a partire dalla realizzazione del deposito Birra Poretti a
Mestre del 196236: qui per la prima volta un elemento di copertura integra in
un solo elemento l’orditura primaria e la secondaria con il piano della copertura, gettato a piè d’opera, sollevato e posto direttamente sui pilastri già
pronti. Uno degli edifici più rappresentativi di questi sistemi di prefabbricazione
pilastri-travi-copertura, in questo caso sistemi aperti al completamento del rivestimento con accennate finiture di muratura a vista, è lo stabilimento Max
Market a Trezzano sul Naviglio (MI) del 196937. Caratteristica peculiare di
questo “capannone” è l’appoggio, a “telai zoppi” nella dizione di Silvano
Zorzi, delle travi di orditura primaria a sbalzo su un solo pilastro e con
appoggio di tipo Gerber alla trave posta in opera in precedenza. Tale tecnica,
che ottimizza l’annullamento del momento flettente con la curvatura dei cavi
di precompressione, permette un buon risparmio nell’armatura ordinaria.
Gli edifici industriali così composti sono il risultato di processi costruttivi
ridotti all’essenziale, come nel magazzino nello stabilimento Alfa Romeo di
Arese, realizzato nel 1973 dall’impresa Mbm Meregaglia38, su progetto dello
studio Finzi, con luci di 24 m coperti da tegoli a sezione “pi greco” gettati a
piè d’opera e posti su travi principali prefabbricate fuori opera di 16 m di
luce. In altri casi possono essere ricondotti a un esemplare studio della decorazione architettonica del nodo trave-pilastro, come gli edifici dello stabilimento
Elmag di Lissone progettati da Angelo Mangiarotti e dall’ing. Sbriscia realizzati
nel 1963 dall’impresa Facep.
12. Nelle costruzioni per l’industria, che definiscono le proprie caratteristiche di campata per la maggiore luce fra gli appoggi e per la maggiore
altezza, la necessità di maggior spazio libero indifferenziato per lo stoccaggio
segna una certa divaricazione fra gli edifici di produzione e quelli destinati a
magazzino. In questo modo sono state reinterpretate le forme delle capriate.
È questo il caso dei magazzini portuali a Lagos Nigeria, costruiti dall’impresa Co.Ge.Far. nel 1963-1966 per conto dell’autorità di porto su progetto
di Silvano Zorzi39: si tratta “di telai a padiglione incastrati con sbalzi laterali”
con luce libera al centro fra gli opposti pilasti di 45,7 metri e campate ogni
7,5 metri, lo balzo laterale libero di 12 metri circa e l’altezza massima interna
16 metri circa. Una diversa interpretazione dello stesso problema arricchito
in complessità dallo scambio merci ferro-gomma, dunque dalla sezione
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
richiesta dalle Ferrovie dello Stato, lo mostrano gli edifici dei magazzini Gondrand40 a Segrate, 45 metri d’interasse con campate ogni 7,2 metri, progettato
da Aldo Favini e realizzato dall’impresa Bonomi & Vecchi, questa volta con
archi a tre cerniere formate da due costole realizzate a piè d’opera, unite in
chiave e poggianti sui cavalletti laterali, per garantire un’altezza interna
massima di 17 metri.
13. Nella produzione serrata di stabilimenti e magazzini che trasformano
le periferie nell’attuale città senza soluzione di continuità, i tipi delle coperture,
dei sistemi di trave-pilastro, dei pannelli di rivestimento, dell’intera produzione
di sistemi prefabbricati di questo tipo, sono frammisti a quelli realizzati per
progetti specifici. Nei casi in cui la copertura a shed, icona dell’industria, permane come forma di riferimento per l’illuminazione zenitale, essa viene
inclusa in diversi sistemi di costruzione per l’integrazione degli impianti. È il
caso del reparto montaggio dello stabilimento Alfa Romeo ad Arese41, costruito
dal 1962 al 1963, progettista Gian Carlo Giuliani, impresa Icis, in cui l’elemento
di copertura è una volta sottile prefabbricata, inclinata a formare il lucernario,
posata in opera su travi a cassone con interasse a 16 metri. Il vuoto della trave
che viene gettata a piè d’opera è un plenum di sezione percorribile 2 x 1 m,
destinato all’immissione dell’aria trattata. Una soluzione che aveva trovato
espressione nello stabilimento di Rescaldina costruito dall’impresa Meregaglia
nel 1961, in cui i progettisti Carlo Rusconi Clerici e Aldo Favini sorreggono
una volta sottile per la copertura a shed, gettata in opera e precompressa di
luce massima 31 metri, su una trave cava di 4 x 2,40 m con campate ogni 7
metri che sostengono gli shed con travi secondarie a “U”, ospitando anche la
distribuzione dell’aria dal cavidotto della trave principale su tutta le sezione
dello stabilimento. Lo stesso tipo di struttura su maglia equivalente di circa
20 metri viene realizzato lo stesso anno dall’impresa Sogene per lo stabilimento
Perugina a Perugia.
Le opere che cercano di risolvere il problema della presenza degli impianti
integrandola alla struttura hanno il precedente negli stabilimenti Olivetti a
Buenos Aires e San Paolo progettati da Marco Zanuso tra il 1954 e il 1959, e
la successiva interpretazione, in chiave di prefabbricazione, nei tre stabilimenti
di Scarmagno, Crema e Marcianise, sempre di Marco Zanuso con Eduardo
Vittoria, per le strutture Antonio Migliasso e per programmazione e direzione
lavori Tekne42. Le imprese sono Bonomi & Vecchi e Precast di Milano. I
cantieri sono condotti generalmente per tempi di sei mesi in stagioni successive, con posa in opera di circa 500 mq di copertura per giornata lavorativa:
a Scarmagno per 143.000 mq di area coperta, a Crema 51.700, a Marcianise
59.000 dal maggio 1968 al maggio 1970. La struttura in cemento armato ordinario e precompresso di pilastri prefabbricati altezza 6,20 metri, a interasse
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Giulio Barazzetta
12 x 18 m, regge travi in cemento armato, le principali con forma ad “Y”, le
secondarie appoggiate a sezione triangolo rovesciato. Il sistema costruttivo
garantisce l’ampliamento dei fabbricati grazie alla complanarità delle coperture e a un unico tipo di pilastro. Gli impianti di termoventilazione sono all’interno delle travi secondarie, le altre reti portate da staffe inserite nelle
travi secondarie.
L’esperienza Olivetti rappresenta la sperimentazione più attenta della
produzione in serie della prefabbricazione edilizia per l’industria: la ripetibilità
degli interventi permette lo studio del rapporto fra programmazione e progettazione integrata, costruzione e cantiere, con ottimizzazione economica e
velocità di costruzione, obiettivi dell’industrializzazione edilizia, che per
Zanuso anticipano la realizzazione della sede Ibm Italia di Segrate.
14. Nel panorama italiano per l’edilizia industrializzata nei primi anni
duemila si è imposta all’attenzione la costruzione del polo esterno di Fiera
Milano a Rho-Pero. Omettendo il nesso finanziario/immobiliare fra realizzazione del polo esterno e costruzione in corso del progetto CityLife sul vecchio
sedime, non soffermandoci sul percorso del progetto, dal programma e dimensionamento predisposto dallo stesso committente, alla gara a inviti per la
nuova Fiera e la sua ingegnerizzazione, si evidenzia in questo caso il ruolo
dell’affidamento dei lavori a un soggetto unico che ha dimostrato in questa
realizzazione la sua efficacia nell’intero procedimento progetto/costruzione
dei grandi interventi. Il consorzio d’impresa Npf (Nuovo Polo Fieristico),
vincitore della gara con le proposte di Fuksas, ha assunto così il controllo di
tutti gli aspetti della produzione in fase di progettazione e in quella cantieristica,
dovendo garantire con la sua strategia organizzativa tempi e costi di esecuzione
con la qualità della realizzazione, richiesta dalla committente Fondazione
Fiera Milano.
Il lungo nastro di vetro e acciaio della nuova Fiera che copre l’asse centrale
di distribuzione e il centro servizi mediano, anch’esso coperto in vetro e
acciaio, hanno richiesto tecniche di progettazione parametriche e, per la copertura, test nel tunnel del vento del Politecnico di Milano. La struttura verificata da Schlaich Bergermann è stata prodotta a elementi singoli da montare
sul posto in fabbriche tedesche e polacche. Gli otto padiglioni sono invece
spazi allestibili sostanzialmente monopiano di 64 x 224 m, annessi a un edificio
di accesso con sale conferenze e aree di servizio. Al tempo della sua costruzione
l’andamento del cantiere si sintetizzava così “… lo scorso 30 ottobre, il primo
dei due padiglioni del nuovo polo della Fiera a Rho-Pero è stato consegnato,
cinque settimane in anticipo, alla Fondazione Fiera Milano dal consorzio di
imprese Npf formato da Astaldi, Vianini Lavori e Impresa Pizzarotti & C. Il
prossimo appuntamento sarà sabato 2 aprile, data di apertura del primo
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
Stabilimento a Rescaldina (MI), 1961.
Sotto, la passerella della cementeria di Rezzato (BS), 1963.
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Il viadotto Certosa-Monte Ceneri, 1964.
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Giulio Barazzetta
evento 2005 “Progetto Città”. A quell’epoca saranno passati appena 30 mesi
dalla data della firma del contratto due anni fa…”43
La struttura in acciaio degli edifici, così come il rivestimento e le finiture
nei diversi materiali metallici con pochi elementi prefabbricati in calcestruzzo,
si è imposta come necessità. Come qui si è dimostrato fra il 2002 e il 2005, la
carpenteria in acciaio ha garantito flessibilità e versatilità per una grande opera
con la semplicità dei nodi e di dettagli ripetibili e facilmente adattabili. Questa
condizione ha incontrato sulla sua strada la difficoltà dell’aumento del costo
della materia prima ma anche la liberazione concorrenziale sul mercato della
carpenteria in ferro dei paesi dell’est europeo. È forse questa, oltre alla strategia
organizzativa della sua realizzazione, la caratteristica precipua del polo esterno
nel panorama della costruzione nel nostro Paese. Entrambe insistono sull’efficacia e sul controllo del nesso progetto/costruzione.
15. Le sperimentazioni costruttive delle infrastrutture affiancano quelle
dell’edilizia per l’industria a cui abbiamo accennato. Entrambe raccontano
l’essenza delle realizzazioni dell’ingegneria italiana e meriterebbero un’esposizione generale, qui impossibile44, limitando la trattazione a esempi particolarmente significativi degli esordi di un lungo itinerario − ancora in corso,
seppure con notevoli differenze − che ha visto i costruttori lombardi protagonisti di questa straordinaria stagione.
La passerella della cementeria di Rezzato (BS), realizzata nel 1963 dall’impresa Farsura di Milano, con il progetto di Silvano Zorzi45 per Italcementi
di Bergamo, è una semplice trave scatolare bianca destinata a contenere il
nastro trasportatore del materiale scavato e il passaggio pedonale, appoggiata
ogni 32 metri fra eleganti pilastri rastremati alti 26 metri, che si dividono a
forcella in sommità per ospitare la passerella. La trave è precompressa dopo
la maturazione del getto in opera realizzato in situ all’altezza del finito.
La stessa misurata eleganza diversamente applicata è il lascito dei due viadotti progettati per il Comune di Milano e costruiti sempre dall’impresa
Farsura nel 1964. Si tratta di uno dei primi esempi d’impalcato a piastra continua in cemento armato precompresso semplicemente appoggiata alle pile
in cemento armato ordinario. Notevole il disegno rastremato della sezione di
15 metri che snellisce ad ala l’impalcato delle carreggiate, così come l’appoggio
alle pile allargate per raccogliere la sezione centrale della trave che si abbassa
estendendosi sull’appoggio.
Tipica l’attenzione, nell’esecuzione specifica, alle caratteristiche d’esercizio
e a quelle di realizzazione che ottimizza il risultato ai tempi d’esecuzione.
Qui per esempio “i manufatti in cemento armato precompresso sono stati
eseguiti con precedenza rispetto agli impalcati contigui in cemento armato
allo scopo di consentire agevolmente le operazioni di tiro e d’iniezione dei
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
Le centine autovaranti della tangenziale Est di Milano e dell’autostrada Palermo-Catania, 1970-71.
cavi… ognuno dei due attraversamenti è stato realizzato in un tempo molto
breve: solo tre mesi”46.
Il viadotto Certosa - Monte Ceneri è l’archetipo di viadotti e ponti che sviluppano secondo varianti il medesimo tema costruttivo, così come il disegno
architettonico della struttura anticipa il ponte realizzato a Roma sul Tevere
nel 1972. Il viadotto Docciola a San Casciano della superstrada Firenze-Siena
realizzato dall’impresa Girola nel 1965, che utilizza lo stesso schema statico di
trave appoggiata, realizza l’opera con tre travi precompresse contigue autoportanti per ogni campata su cui viene gettato l’impalcato ordinario solidarizzato con le sottostanti travi: qui la tipizzazione della campata e delle luci
permette di riutilizzare centine e casseforme per l’intera superstrada.
Piastra a sezione rastremata e appoggio semplice alle pile conducono alle
realizzazioni di viadotti costruiti con centina auto-varante mobile. Il dispositivo
consente di attrezzare un cantiere mobile a sbalzo tra le pile “… che rappresenta
la soluzione ideale per ponti e viadotti di grande lunghezza e luci ripetute di
moderata ampiezza…” e che verrà adottata per l’autostrada Palermo-Catania
e per il viadotto dei parchi della tangenziale di Milano nel biennio 1970-1972.
Lo schema statico dell’autostrada siciliana è sempre a piastra continua in appoggio sulle pile distanti circa 25 metri, nel viadotto della tangenziale milanese
l’impalcato solidarizza con i piedritti distanti 24 metri. La centina mobile del
cantiere siciliano è a sbalzo, lunga quanto una campata, si appoggia sul solaio
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Giulio Barazzetta
realizzato alle spalle per gettare il seguente “quasi una macchina trafilatrice
in movimento anziché fissa”47. La centina del cantiere milanese è appoggiata
alle pile sottostanti mediante una trave reticolare in acciaio lunga quanto due
campate, che permette la casseratura, il getto in appoggio, la successiva scasseratura e l’avanzamento delle centine. Entrambi i viadotti sono realizzati
“come una serie indefinita di telai zoppi… con appoggi scorrevoli di tipo
Gerber nel punto del momento ideale nullo sotto i carichi permanenti” che,
si è visto, comporta notevoli economie di materiali48.
16. Il cantiere del 1951 de “la Rinascente” di Milano è il caso d’esordio,
nella Ricostruzione milanese, della naturale integrazione degli elementi costruttivi in acciaio e calcestruzzo. Vedere questo tipo di ibridazione di tecniche
all’opera nei cantieri contemporanei evidentemente testimonia la perdurante
efficacia dei suoi vantaggi, soprattutto se abbinati ad appalti affidati a un soggetto unico. Proprio per questo la costruzione mista acciaio e calcestruzzo è
stata caratteristica delle realizzazioni di grandi edifici di sedi istituzionali o di
gruppi societari. Il recente restauro del grattacielo Pirelli ha posto in luce
quanto efficace, in termini di efficienza e durata, sia stato l’abbinamento
della struttura in cemento armato progettata da Nervi e verificata da Danusso
con la facciata continua in alluminio prodotta da Feal per l’edificio di Ponti
e Rosselli: questa virtù ne ha permesso il recupero integrale.
17. All’epoca della costruzione dei tre edifici gemelli realizzati a Segrate
nel 1975 per la sede dell’Ibm Italia49 si notava che il progetto aveva garantito
la massima razionalizzazione del processo in termini di utilizzo/gestione e di
progetto/costruzione. L’edificio tipo progettato da Marco Zanuso rappresentò
il modello italiano di landscaped office, il più aderente al modello flessibile di
lavoro a gruppi interrelati.
“È quanto mai interessante, inoltre, notare come il progetto sia nato dalla
integrazione delle tre fasi di esecuzione (architettonica, strutturale, impiantistica) e come in realtà … [esso] non considera più queste discipline, la strutturale e l’impiantistica, come di servizio alla progettazione stessa, ma come
partecipi alle scelte creative in un piano coordinato”.50 Le altre scelte derivano
dall’impostazione della struttura e dal metodo del montaggio a solai montanti
di 14 x 14 m con martinetti idraulici sulle campate dei pilastri.
Questo sistema ha consentito, anche nell’organizzazione di cantiere, una
forte industrializzazione… Tutto ciò ha permesso di montare fino a 1.200 mq
di solaio in un giorno. Le caratteristiche dei pilastroni, completamente cavi e
alleggeriti da grandi fori, e delle travi principali hanno consentito di canalizzare
gli impianti all’interno del traliccio strutturale, distribuendo in modo omogeneo,
su tutto l’edificio e con la più ampia disponibilità, la strumentazione tecnica51.
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
Sempre a Segrate, proprio di fronte all’Ibm di Zanuso, negli stessi anni
tra il 1968 e il 1975, Arnoldo Mondadori Editore realizza la propria sede milanese secondo il progetto di Oscar Niemeyer52, con l’impresa Ragno di Verona
e la carpenteria Bonfiglio di Milano. Tralascio anche qui le vicende del progetto53 affidato a Niemeyer da Giorgio Mondadori dopo la visita a Brasilia, i
preliminari e l’esecutivo con le sue varianti richieste dal committente e l’intervento delle Assicurazioni Generali che rilevano la proprietà del complesso.
Il cantiere si avvia nell’autunno del 1971 e s’impone per l’applicazione non
convenzionale di tecniche in uso ma eseguite con notevole perizia artigianale.
Ci si riferisce ai casseri delle grandi campate dell’ordine ad archi che garantiscono il disegno decorativo dello scheletro gigante di cemento armato, come
alla realizzazione della doppia soletta di copertura, cui è appeso l’edificio
uffici, che richiede un ponteggio per la centina di 25 metri d’altezza. Il corpo
degli uffici in struttura metallica è invece integralmente prefabbricato e montato sul posto. Anche qui è decisiva, per la riuscita del progetto e la sua costruzione, l’organizzazione del progetto che il committente assume direttamente affidandolo a Giorgio Calanca, supportato da uno staff da lui diretto
allargato a consulenti specialisti.
Il centro istruzione Ibm Italia di Novedrate, progettato nel 1969 da Morassutti Associati con Aldo Favini e realizzato nel 1973 dall’impresa Gadola è
ora occupato dal college di un’università privata. Il complesso costruito in acciaio cor-ten e cemento armato, rivestito in lamiera cor-ten, è composto da
12 unità di 24 camere ciascuna sopra piastre didattiche continue disposte in
successione e 2 blocchi di servizi generali a contatto con il parco in pendio
della adiacente villa settecentesca. Le unità residenziali in cor-ten, sorrette e
suddivise dai corpi scale e ascensori, si susseguono in lunghezza, mentre a
terra le unità didattiche sono unite da percorsi orizzontali in ferro e vetro,
una terrazza separa le piastre dai blocchi sospesi54.
Per queste caratteristiche strutturali e costruttive nel 1975 la Giuria internazionale della Convenzione europea della costruzione metallica assegna al
progetto di Morassutti e Favini il Premio Cfcm Italia, con la motivazione “Bell’esempio dei vantaggi delle strutture metalliche modulate in combinazione
con il cemento armato, che interessa un vasto campo di applicazione”. Si
tratta di elementi a torre in cemento armato, destinati ai collegamenti verticali,
distanziati ogni 12,40 metri e utilizzati come elementi portanti delle strutture
orizzontali. Sulle pareti verticali si attestano coppie di travi di acciaio che portano ortogonalmente un particolare coppone in cemento armato ordinario
delle dimensioni di 19,20 x 18,22 m. Un getto di calcestruzzo completa il collegamento dei copponi con le travi di acciaio.
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Giulio Barazzetta
18. “Trasformazione non demolizione”, questo incipit di Fulvio Irace55 introduce la costruzione della nuova sede de «Il Sole 24 ore», realizzata dal
1999 al 2004 da un consorzio di imprese e di produttori compresi fra le opere
degli scavi e di consolidamento, sino all’arredo degli uffici, cogliendone il
senso nelle opere di Rpbw, Renzo Piano building workshop, ma anche mettendo in evidenza in quest’opera l’attenzione al riuso delle aree industriali
urbane. In questo caso si conserva il bordo dell’isolato sui lati della maglia
stradale, confermando il ruolo urbano dell’edificio Siemens preesistente seppure ridotto al telaio di cemento armato, mentre il quarto lato esterno svuotato
forma il nuovo paesaggio dell’intervento. Se l’aver utilizzato una “fabbrica”
esistente rappresenta il punto di forza e la caratteristica interessante di questa
realizzazione, lo è anche saper dare un senso alle necessità del parcheggio interrato e dei servizi. Ciò ha permesso di donare lo sfondo di un giardino boscoso in pendenza al complesso. Organizzando le vedute della corte interna
sul fuoco prospettico dei servizi sottostanti la collina interna, si è anche offerta
una buona vista dall’alto dalla molteplicità degli uffici, disposti ai piani sul
perimetro interno.
Come rileva Gabriele Del Mese, di Arup Italia che con Milano Progetti ha
elaborato il progetto d’ingegneria, per la costruzione della nuova sede de «Il
Sole 24 ore»: “quest’occasione rappresenta un caso particolare, quasi antologico, in cui si sono affrontati molti problemi costruttivi di diversa natura con
un mix di soluzioni strutturali. … Aver dovuto operare con un interpiano
molto basso per creare uffici e spazi di alto livello … e l’uso impiantistico di
travi fredde, tra i primi esempi del genere in Italia”56.
19. Con il cantiere della nuova sede dell’Università Bocconi in via Roentgen
dal 2003 al 2008 si conclude la costruzione del campus fra il parco Ravizza e
viale Bligny, cominciato nel 1941 con la realizzazione di Pagano e Predaval.
La Bocconi, grande istituzione milanese, racchiude così in diversi edifici lo
sviluppo delle tecniche di costruzione nel nostro intervallo. Un tragitto a
tappe di rilievo riferito all’ambiente milanese e lombardo che riallinea lo
scarto dalla cultura globale con la realizzazione dell’edificio di Grafton Architects, contrassegnando la sua presenza di stampo europeo nel panorama
internazionale contemporaneo. Una differenza che sta già negli esordi quando,
poco dopo la conclusione dei lavori delle aule di Ignazio Gardella, nel 2001
l’università milanese opta invece per un concorso internazionale a inviti per
la progettazione di un nuovo edificio dedicato alla ricerca scientifica con aula
magna, aule per conferenze e uffici per i docenti, secondo la conclusione
prevista dal “Piano Bocconi 2000” che programmava nel 1983 l’espansione
delle attrezzature universitarie su tutta l’area a disposizione compresa fra le
vie Sarfatti, Bocconi, Bligny e Roentgen. Giuria internazionale e presidente
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
L’opera in cemento armato che regge la struttura metallica degli uffici Mondadori a Segrate.
decidono unanimemente nel gennaio del 2002 di assegnare la vittoria al progetto di Yvonne Farrel e Shelley McNamara, architetti irlandesi titolari di
Grafton Architects. Il progetto si distingue per la continuità dello spazio pubblico al piano terreno, per l’ingresso verso l’aula magna e gli altri edifici del
campus attraverso i cavedi del corpo uffici. Fin dagli elaborati di concorso il
fitto tessuto degli spazi è sostenuto dalla distribuzione disposta in profondità
per la lunghezza dell’edificio secondo l’estensione del lotto su via Roentgen,
mentre l’aula magna occupa strategicamente l’angolo su viale Bligny con il
vuoto sotto il volume sagomato a cavea. Il dispositivo strutturale dell’edificio
è in cemento armato ordinario con elementi in cemento armato precompresso,
“presollecitati” o “post-tesi”57, portati da travi parete alte quanto l’edificio, accoppiate per la misura della distribuzione in profondità, che reggono i corpi
di fabbrica degli uffici disposti in lunghezza sulla campata di 24 metri, sostanzialmente appesi alle travi di copertura. “Il più singolare elemento sono le
cosiddette travi-parete che sostengono in copertura le travi principali, cui
sono appesi tutti i solai”. Sopra di esse saranno realizzate le travi principali in
calcestruzzo post-teso, sulle quali verranno ancorati tiranti di acciaio di sostegno
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Giulio Barazzetta
Università Bocconi. Pianta delle fondazioni
e veduta degli edifici progettati
da Pagano e Predaval, 1941.
dei solai sottostanti58. Com’è testimoniato dalle immagini dell’avanzamento
lavori dal 2004 al 2007, quello che sarà l’edificio completo è già evidente nel
cantiere della nuova sede dell’Università Bocconi di Gdm Costruzioni.
Una soluzione strutturale della costruzione di un edificio a pianta libera
sollevata sul piano terreno era già stata annunciata dalla costruzione della
sede Olivetti di Firenze (1969-1971) di Alberto Gilardi con Silvano Zorzi e
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
Sezioni delle struttura e veduta del complesso in
costruzione su progetto di Grafton Architects, 2007.
Foto Federico Brunetti.
fotografia di architettura © Federico Brunetti - www.federicobrunetti.it
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Giulio Barazzetta
dal progetto di Luigi Moretti e Silvano Zorzi per la sede Enpdep costruita a
Roma nel 1970-197259. Il carattere predominante di queste opere della migliore
ingegneria e architettura italiana e della nuova Bocconi è la macchina strutturale in calcestruzzo, la trama ordinata di pilastri, setti, muri, travi che sorreggono piastre di solai sospesi nel vuoto per costruire un grande edificio alleggerito, che imita il tessuto urbano, sollevato sullo spazio pubblico ininterrotto
del piano terreno. Così struttura e tecnica, progetto e cantiere, idea e costruzione garantiscono l’arte del costruire.
20. Come è illustrato negli esempi di questo repertorio, l’impresa di costruzioni, la tradizione imprenditoriale della messa in opera60 del manufatto
edilizio come di sistemi di prefabbricazione integrata, è stata oggi progressivamente sostituita dalla produzione organizzata per appalti e subappalti centralizzati da società capo-commessa61, sostanzialmente operanti come coordinamento tecnico ed economico di forniture. La costruzione procede per
opere specialistiche, per intere fasi contrattate separatamente e susseguente-
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
Schizzi preliminari di Renzo Piano per la sede de «Il Sole 24 ore», 1998.
A fianco, assemblaggio in officina di una trave a grande luce del corpo di fabbrica interno.
mente realizzate in cantiere, completate da forniture di parti in elementi prefabbricati e/o prodotti industriali posati artigianalmente. Un’egemonia logistica
e finanziaria che corrisponde per molti versi a un impoverimento del contenuto
specifico della produzione edilizia in cui all’edificazione dell’opera completa
si è aggiunta, se non sostituita, una prevalenza di aspetti commerciali, garanzie
di fornitura, standard di qualità livellati su obiettivi certificabili. A questi si aggiunge il controllo dei costi, con il rischio di appiattire differenze qualitative,
nelle quali il contributo più rilevante è sempre di più quello impiantistico.
Impianti e produzione di energia sommano importi di spesa che si sono
venuti allineando nel tempo a quelli strutturali e delle finiture per superarli:
se prima il fenomeno era circoscritto agli edifici pubblici e produttivi, ora è
riscontrabile sempre più nella produzione dell’edilizia residenziale. Ciò corrisponde all’incremento di valore d’uso che va progressivamente assumendo
il contributo energetico e impiantistico nella costruzione.
In questo stesso quadro di efficienza si è voluto recentemente dimostrare
il superamento delle esperienze a basso contenuto tecnologico tradizionale
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
Il montaggio della vela del Nuovo Polo Fiera Milano a Rho, 2004. Foto Federico Brunetti.
A fianco, fasi di costruzione del padiglione Breda alla Fiera di Milano, 1951.
fotografia di architettura © Federico Brunetti - www.federicobrunetti.it
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
dell’edilizia rivolgendo l’industrializzazione del settore verso la costruzione
high-tech. Qui ha trovato spazio la tendenza al trasferimento di tecnologie
dai settori della ricerca sui materiali avanzati dell’industria navale e aeronautica,
della produzione di cavi e membrane, a quello della costruzione civile in una
sorta di esibizionismo tecnologico. L’aspetto energetico, in primo piano come
questione tecnica preponderante, è stato investito fin dalla crisi degli anni
settanta dalla ricerca di una possibile sostenibilità ambientale, ma sta diventando
solamente ora a tutti gli effetti un orientamento di base del progetto, come
lo sono stati a suo tempo la struttura e la tecnica delle costruzioni.
La costruzione è presieduta dalla profusione di competenze che ha sostituito la triade architetto-ingegnere-costruttore, una guida molteplice che circonda progetto e cantiere in tutto il processo della realizzazione, dall’individuazione di un sito per l’attuazione di un programma, sino all’opera finita, al
collaudo e alla sua gestione nell’uso. A questo stato di cose si giunge convogliando l’esperienza del progetto integrato e della sua ingegnerizzazione, la
necessità di direzione di diverse figure concorrenti che corrispondono alle
diverse competenze, così come l’ineluttabile necessità di controllo e conduzione
delle fasi: preliminare, definitiva ed esecutiva, concettuale e costruttiva. Ne
risulta, per ora, un modo di fare che sottomette a criteri di amministrazione
d’affari e di gestione aziendale e finanziaria, un progetto destinato alla costruzione, ma questa condizione pone in luce e spinge all’identificazione le
diverse parzialità professionali dell’edificazione come presupposto di nuove
possibilità.
L’introduzione di procedimenti di calcolo e di disegno computerizzati
ha sottoposto a tensioni il progetto nei termini di un suo esibizionismo nella
rappresentazione e lo mette costantemente alla prova in direzioni opposte.
Per un verso nel senso di un sempre maggiore adattamento a strumento esecutivo di previsione dei processi e anticipazione dei fatti, separando le parti e
gli elementi in livelli compresenti e rendendo possibile la loro integrazione;
adattamento indirizzato ora alla parametrizzazione che permette di procedere
sempre più analiticamente verso la costruzione, ma che ha per conseguenza
la riduzione dei procedimenti d’invenzione a favore di quelli di ricalco nella
rappresentazione. All’opposto, la direzione è quella della modellazione virtuale,
che non ha più solo lo scopo della valutazione anticipata degli effetti o di comunicazione delle operazioni immobiliari, ma permette direttamente la simulazione dell’edificio come costruzione e diviene sempre più strumento
privilegiato di produzione parametrica diretta delle forme disegnando anche
i procedimenti, le tecniche della costruzione. Come si è visto, anche nei casi
di cui abbiamo parlato, queste condizioni corrispondono a nuove possibilità
del progetto e della costruzione.
A fianco, Porta Nuova, lavori in corso, 2011.
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Dedica della prima pietra del Palazzo
dell’Arte al Parco, sede della Triennale,
Milano, 1931.
Si riportano in nota alcuni estratti dalle
interviste realizzate nel gennaio-marzo
2010 ai membri degli organi direttivi di
Assimpredil all’interno del progetto Storia
Assimpredil curato dal Centro per la cultura
d’impresa.
Intervista a Luca Beltrami Gadola
(22/1/2010) da trascrizione: “La
costruzione della metropolitana era stata
una grande dimostrazione, mai più
ripetuta, di affinità ideologica tra il mondo
dell’imprenditoria edile milanese e la
società civile. Non c’erano i soldi, la
metropolitana fu fatta tutta con risorse
milanesi, fu emesso un prestito
obbligazionario, i milanesi sottoscrissero le
obbligazioni… quello fu, in realtà, un vero
project financing, nel senso che le imprese
accettarono il pagamento da parte della
metropolitana di obbligazioni sottoscritte
dai cittadini milanesi per la realizzazione di
questa cosa. Allora c’era una grande fiducia
dei milanesi nella pubblica
amministrazione comunale e, diciamo, una
sorta di solidarietà generale… la città viveva
questa iniziativa come una grande opera
collettiva”.
Intervista a Mario Lodigiani (2/2/2010) da
trascrizione: “Mi sono sempre occupato più
di infrastrutture, ma se lei guarda come si
scavava una galleria 40 anni fa e come la si
scava adesso, sono due cose che non sono
parenti. Anche i materiali in cui 40 anni fa
neppure si sarebbe potuto scavare, per
esempio il materiale sciolto… 40 anni fa sì,
60 anni fa no, e si scava senza dare fastidio
a nessuno: per la linea 1 si è sventrata
Milano, la linea 3 si è fatta senza che
nessuno se ne accorgesse, adesso la linea 5
pure… sui metodi costruttivi certamente
c’è stata forte innovazione, io credo anche
sui materiali…”.
Ibidem: “Kariba 1956, è una delle date
storiche della nostra storia e della storia
delle costruzioni… A Kariba eravamo:
Impresit che è Fiat, Girola, Lodigiani e
Torno, in consorzio, perché eravamo quelli
all’epoca che sapevamo fare le dighe in
calcestruzzo, in Italia non ce n’erano, c’era
Farsura oltre a noi… Al termine del lavoro
si è creata l’Impregilo pariteticamente tra
Impresit, Girola e Lodigiani, quindi Fiat e
due famiglie, e la società aveva come unico
scopo lavori idroelettrici al di fuori
dell’Europa. L’Impregilo di quegli anni,
del periodo tra il 1960 e gli anni novanta,
credo che sia stata la prima impresa del
mondo nel suo settore dal punto di vista
dimensionale, non in termini di fatturato;
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forse di fatturato nelle dighe. L’Impregilo
fa fatica a limitare a venti dighe importanti
quelle che ha fatto e che sta facendo
ancora… quando ero amministratore
delegato dell’Impregilo ho firmato il primo
contratto per una diga in Cina; tre anni
dopo il mercato cinese per le imprese
straniere, relativamente alle dighe, era già
finito, perché fanno tutto loro, quindi non
si servono neanche più di consulenti”.
Cfr. S. PORETTI, Struttura e architettura nel
modernismo italiano, in «Rassegna di
Architettura e Urbanistica», 2007, n.
121/122.
Cfr. O. HOFMANN, Le strutture in cemento
armato del palazzo dell’arte di Milano, in
«Rassegna di Architettura», 1933, n. 3.
Cfr. D. VITALE, Edilizia residenziale. Lingeri,
Terragni e le case milanesi, in Costruire in
Lombardia 1880-1980, Milano, Electa, 1985.
Come il cantiere dell’impresa Porqueddu,
Genova, 1906 e la ricostruzione di Messina,
1908; cfr. TULLIA IORI, Il cemento armato in
Italia dalle origini alla seconda guerra
mondiale, Roma, Edilstampa, 2001.
Su questo argomento cfr. S. PORETTI,
Struttura e architettura nel modernismo italiano,
cit.
Cfr. G. VERONESI, Baldessari, in Luciano
Baldessari architetto, Trento, 1957; G.
CONTESSI, Une promenade architecturale
metallurgique, Luciano Baldessari: i padiglioni
Breda alla fiera di Milano, in Accoppiamenti
giudiziosi, a cura di A. Giorgi e R. Poletti,
Milano, Skira, 1995; M. SAVORRA, Capolavori
brevi /Luciano Baldessari, la Breda e la Fiera di
Milano, Milano, Electa, 2008.
Cfr. «Rassegna di Architettura», 1939, n. 5.
Cfr. «Costruzioni Casabella», 1942, n. 170171 e 1946, n. 195-198.
S. PORETTI, Struttura e architettura nel
modernismo italiano, cit.
Cfr. S. GUIDARINI, Ignazio Gardella e
l’architettura italiana, Milano, Skira, 2002; F.
Aprà, Case da pigione borghesi a Milano in
«Controspazio», 1972, n. 11-12.
Cfr. F. REGGIORI, Un palazzo a Milano a fianco
del Duomo. Pareri, dispareri, notizie, commenti,
Milano, Officine Grafiche Esperia, 1951.
Cfr F. DE MIRANDA e L. STRATA, Le strutture
degli edifici ad alto contenuto tecnologico, in
Milano ricostruisce 1945-1954, Milano, Ed.
Cariplo, 1990.
Cfr. ARCHITETTI FIGINI E POLLINI, in Figini e
Pollini,a cura di S. Protasoni, Milano,
Electa, 2010.
Committente dell’edificio di via Broletto 37
a Milano è la Banca Manusardi con
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l’Istituto Centrale Banche Popolari; cfr. F.
CARPANELLI, Come si costruisce oggi nel mondo,
Milano, Hoepli, 1955.
Cfr. P. BOTTONI, Antologia degli edifici moderni
in Milano, Editoriale Domus, Milano, 1954;
A. M. TALANTI, Storia dell’industrializzazione
edilizia in Italia 1945-1974, Milano, A.I.P.,
1979.
Progettata da Gabriele Mucchi, cfr. Case di
Abitazione prefabbricata al QT8, catalogo n.
37, in Archivio dei disegni e dei progetti di
architettura di Gabriele Mucchi, a cura di A.
Rossari, Politecnico di Milano, Dpa,
Milano, 1993.
Alcuni sistemi sono stati in uso sino agli
anni settanta.
Al convegno partecipa anche il Collegio
lombardo delle imprese edili Clie, da
costituito, con contributi poco di diversi
imprenditori. Degli aspetti tecnici e
costruttivi si occupa l’ing. Arnoldo
Ferraresi con una proposta di
miglioramento delle forme di produzione.
Cfr. L’aspetto economico e pratico del problema
della ricostruzione edilizia. Brevi memorie di
alcuni costruttori milanesi, a cura di Clie,
Milano 14-15-16 dicembre 1945.
Cfr. A.M. TALANTI, Storia
dell’industrializzazione edilizia in Italia 19451974, cit., vol. 2, p. 2.
Cfr. «Edilizia popolare», 1956, n. 8.
Questa esperienza di unificazione rivolta ai
problemi dell’industrializzazione ha sullo
sfondo anche la discussione sul “modulo”
seguita al Ciam di Bergamo.
Cfr. A.M. TALANTI, Storia
dell’industrializzazione edilizia in Italia 19451974, cit. p. 36.
M. Villa direttore tecnico Iacpm. Cfr. A. M.
TALANTI, Storia dell’industrializzazione edilizia
in Italia 1945-1974, cit.
Ibidem; M. GRANDI e A. PRACCHI, Milano,
guida all’architettura moderna, Bologna,
Zanichelli, 1980.
Intervista a Luca Beltrami Gadola,
(22/1/2010) da trascrizione: “Quando
arrivai all’Assimpredil era il grande
momento dell’edilizia residenziale
pubblica, il periodo dagli anni ’65 fino a
tutti gli anni ’73, ’74, ’75, della grande
stagione della prefabbricazione. Molte
imprese si consorziarono per utilizzare dei
brevetti di prefabbricazione secondo diversi
filoni tecnologici… questa esperienza non
fu così felice come fu in Francia. Tutti noi
avevamo come obiettivo, come miraggio, le
tecnologie francesi di prefabbricazione
perché i francesi si erano mossi prima di
noi, avevano messo a punto dei brevetti…
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c’erano i sistemi Balency, Tracoba, Coignet,
eccetera… non ebbe molta fortuna questa
cosa perché la cultura diffusa, il sentire
della gente per quanto riguarda la casa, in
Italia è sempre stato molto particolare
rispetto agli altri Paesi. Si è sempre
attribuito alla casa un valore simbolico,
molto più alto di quanto non si fosse
attribuito all’estero. Quindi la
prefabbricazione, che era un po’ brutale
nei suoi progetti, nei suoi aspetti, molto
scarna, parsimoniosa, non c’era molta
possibilità di divagazioni architettoniche, …
in fondo non piacque. Fu molto rigida…
Lo stesso Istituto autonomo case popolari
oggi Aler favorì queste cose ma doveva
essere lui il principale committente e lui
stesso, al suo interno, aveva dei conflitti,
come dire, tecnico-culturali, alcuni erano
d’accordo, altri no quindi quell’esperienza
non non fu così felice. Molti ci lasciarono
anche un po’ di soldi, poi si cercò, negli
anni successivi, di affrontare l’altro tema,
che era non più la prefabbricazione totale
ma la prefabbricazione per componenti,
che era una versione un po’ diversa, più
riduttiva del problema della
prefabbricazione e, proprio in quegli anni,
in Assimpredil, per merito di Riccardo
Meregaglia si sviluppò … un approccio
tecnologico a questi problemi, (affiancato
da) un approccio culturale. Fu una
stagione in cui l’Assimpredil rappresentava
effettivamente il mondo delle costruzioni
milanesi”.
Intervista a Marcello Botta (21/1/2010), da
trascrizione: “Meregaglia Riccardo era un
altro costruttore notevolissimo, uno dei
pochi che ha avuto il coraggio di fare
edilizia prefabbricata quando noi di edilizia
prefabbricata non sapevamo nulla.
L’Istituto Case Popolari ha fatto un grosso
bando per quei grandi quartieri che ancora
oggi vediamo… grossi insediamenti
insomma, 100 case, perché per fare la
prefabbricazione ci vogliono dei numeri.
Cinque imprese sono state capaci di andare
in Francia, pattuire delle joint venture con
aziende francesi… la Francia è molto più
tranchant, non fa le case bene come noi:
tubi in vista, parliamo di case di edilizia
popolare, chiamiamola così, loro sono degli
innovatori. E avevano delle aziende
prefabbricate perché disponevano di
manodopera algerina… la prefabbricazione
ti consente di fare delle case rapidamente
con manodopera relativamente
specializzata, perché non hai più da far
l’intonaco, il muro… viene tutto da casseri.
Allora Meregaglia ha avuto il grande
merito, insieme ad altre quattro importanti
imprese italiane, di credere nella
prefabbrcazione … poi, non solo di
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crederci, ma di farla diventare un fiore
all’occhiello suo. Nella sua azienda, ad
Assago, aveva un grande stabilimento di
prefabbricazione, ogni tanto faceva dei
convegni per i costruttori e allora mostrava
i disegni. Poi abbiamo preso anche noi un
sistema che si chiamava Utinor dopo avere
vinto una sciagurata gara della Regione,
sciagurata perché, dopo tanta fatica,
abbiamo vinto la gara che consisteva nel
costruire 100 case nei paesi dell’hinterland
milanese, ci siamo messi in cinque o sei
imprese, sono andato a Parigi un mesetto,
poi abbiamo preso accordo con questo
Utinor e abbiamo lavorato bene, cioè siamo
arrivati a dei rendimenti simili a quelli
francesi… Quando abbiamo imparato, la
Regione ha chiuso il bando: abbiamo fatto
quattro case. Abbiamo speso una barcata di
soldi! Ho riempito il magazzino di ferro,
che è diventato polvere, sbriciolato… Ed è
stata forse la delusione più grossa della mia
vita… Non ho più concorso a gare di
questo tipo. Mi meraviglio di come mai io e
i miei amici non abbiamo fatto causa…”.
Cfr. «Dedalo», 2010, n. 17.
Cfr. «Domus», 1978, n. 583, dedicato al
concorso per le ricostruzione del Friuli con
il progetto “Spazio 3” in copertina.
GUIDO NARDI, Industria e industrializzazione
edilizia, in Costruire in Lombardia 1880-1980,
Industria e terziario, a cura di O. Selvafolta,
Milano, Electa, 1986.
Cfr T. IORI, L’ingegneria del miracolo italiano,
in «Rassegna di Architettura e Urbanistica»,
2007, n. 121/122, p. 33.
Progettisti A. Mangiarotti e A. Favini,
impresa Friserio, Conegliano.
Impresa Cooperativa Lavoranti e Muratori,
Prefabbricazione Astori.
Prefabbricazione in situ: stabilimento Alfa
Romeo, Arese, magazzino, 1973, progettisti
U.T. Alfa Romeo, studio Finzi e Nova,
impresa Mbm Meregaglia, in Costruire in
Lombardia, Industria e Terziario, cit.
Cfr. Realizzazioni italiane in cemento armato
precompresso 1962-1966, Anicap-Aitec in
supplemento a «L’industria italiana del
cemento» 1966, n. 6.
Cfr. L. BIRAGHI, Il nuovo centro operativo dei
F.lli Gondrand a Segrate, in «L’industria
italiana del cemento», 1968, n. 8; Aldo
Favini architettura e ingegneria in opera, a cura
di G. Barazzetta, Milano, Libreria Clup,
2004.
Cfr. Realizzazioni italiane in cemento armato
precompresso 1962-1966, cit.
Cfr. Marco Zanuso Architetto, a cura di M. de
Giorni, Milano, Skira, 1999; F. CIGLIANO,
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Marco Zanuso Adriano Olivetti,
industrializzazione e progetti, tesi di laurea
Politecnico di Milano, a.a. 2009/2010.
Cfr. L. SPINELLI, Steel for the new exhibition pole
in Milan, in «Domus-network», 2004.
Rimandiamo per completezza a «Rassegna
di architettura e urbanistica» a cura di T.
Iori e S. Poretti, 2005, n. 121/122.
Cfr. AA. VV. Silvano Zorzi, ingegnere 19501990, a cura di A. Villa, Milano, Electa,
1996.
Cfr. Realizzazioni italiane in cemento armato
precompresso 1962-1966, cit.
Cfr. S. ZORZI, Ponti e viadotti, evoluzione e
tecnologia in funzione dello sviluppo della rete
autostradale italiana, Roma, De Luca, 1981;
AA.VV., Silvano Zorzi, ingegnere 1950-1990, a
cura di A. Villa, cit.
Ibidem.
Dal 1968 Zanuso, Crescini e Cegnar.
Cfr. ALFREDO PASSERI, La sede Ibm a Segrate, in
«L’Industria delle Costruzioni», 1977, n. 72.
Cfr. S. BRANDOLINI, Gli uffici Ibm a Segrate, in
AA.VV., Costruire in Lombardia. Industria e
Terziario, cit.
Affiancato dagli ingegneri Pozzo Campello
e Calanca.
Cfr. R. DULIO, Il palazzo Mondadori, Milano,
Electa, 2007.
Cfr. G. BARAZZETTA e R. DULIO, Bruno
Morassutti, opere e progetti 1920-2008, Milano,
Electa, 2009.
Cfr. F. IRACE, La fabbrica dell’informazione, in
Renzo Piano Building Workshop, nuova sede per
il sole 24 ore, a cura di R. Poletti, Milano, Il
Sole 24 ore, 2004.
Qui preme evidenziare che le differenti
tecniche di costruzione in calcestruzzo e in
acciaio, con la costruzione dei piani
interrati e seminterrati e del corpo dei
servizi interno, l’integrazione del
fabbricato esistente con la sopraelevazione
degli uffici di direzione, della copertura e
di quella vetrata della collina interna,
rappresentano una precisa e circostanziata
interpretazione del concetto di basamento
come sistemazione del terreno, in dialogo
con quelli di copertura e rivestimento in
vetro e laterizio, come intreccio di
carpenteria e di riparo: earthwork e roofwork
della migliore tradizione.
Cfr. E. PEREIRA, Ingegneria dell’architettura, in
AA.VV., Un cuore di cristallo per Milano, la
nuova università Bocconi, Milano, Editoriale
Domus, 2008.
Cfr. S. CASCIANI, Un cuore di cristallo per
Milano in AA.VV., Un cuore di cristallo per
Milano, la nuova università Bocconi, cit.
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Progetto e cantiere, idea e costruzione
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Cfr. Realizzazioni italiane in cemento armato
precompresso, VII congresso FIP, New York,
1974, AITEC; F. GRAF, Le strutture in tensione
come sentimento della costruzione, in Luigi
Moretti, a cura di B. Reichlin e L. Tedeschi,
Roma- Milano, Mendriso, 2010.
Intervista a Guido Bellani (19/1/2010), da
trascrizione: “L’impresa tradizionale era
un’impresa che costruiva… c’era allora, per
dire, mio nonno che conosceva il
commendator Rossi, che diceva: “Guardi, io
voglio costruire una casa” e… non dico
senza contratto, ma quasi: con una stretta
di mano gli dava l’incarico e si fidava e la
casa veniva costruita. Oggi è un po’ tutto
diverso, perché oggi nel lavoro per conto
terzi i prezzi sono tirati, la concorrenza è
forte, ci sono tante ditte non milanesi che
operano con cottimisti e magari con operai
non tutti in regola eccetera, per cui alla
fine, magari con il rischio di non avere
qualche pagamento, tanti costruttori, nei
momenti favorevoli, perché ci son stati
anche momenti peggiori, si sono dati a
costruire per conto proprio e poi a
vendere. E allora l’impresa si è trasformata
da una vera impresa di costruzione a
general contractor, cioè [non è più]
un’impresa che aveva parecchi tecnici,
studiava i progetti, analizzava le parti
tecniche e poi dopo subappaltava i getti di
cemento armato, le carpenterie o gli
impianti eccetera…”.
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Intervista a Mario Lodigiani (13/5/2010)
da trascrizione: “Il problema di fondo è,
sempre, come si organizza o come si può
influire a far organizzare la committenza.
Ovviamente, la grande impresa tende ad
avere pochi grandi appalti, la media
impresa e ancor più la piccola, tende ad
avere tanti piccoli appalti…
La politica italiana ha sempre favorito la
media o piccola impresa, facendo pochi,
cioè tanti piccoli appalti. In realtà gli
appalti sono stati di taglio medio, perché
anche la linea 3 della Metropolitana non è
stata realizzata con un unico appalto come
oggi la linea 5 in project financing eccetera, è
stata fatta in una decina di appalti, quindi
appalti medi. Appalti medi dove le imprese
si sono ugualmente raggruppate, anche
proprio per perché non si creassero eccessi
di rivalità all’interno del sistema. Era in
quegli anni un’abitudine che agli appalti le
imprese partecipassero in raggruppamento
tra grandi e medie… Se lei oggi guarda le
dimensioni degli appalti e li paragona con
quelli di 15 anni fa, quello che allora era
considerato un grosso appalto oggi non è
neppure medio… Credo che la
discriminante sia stata l’alta velocità, cioè
l’alta velocità ha moltiplicato gli importi
degli appalti per alcuni ordini di
grandezza”.
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