Gustavo Mastrodomenico GUSTAV KLIMT

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Gustavo Mastrodomenico GUSTAV KLIMT
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Gustavo Mastrodomenico
GUSTAV KLIMT: EROTISMO E ART NOUVEAU
TRA CHAOS E KOSMOS
L’arte di Gustav Klimt trova la sua genesi nella Vienna della belle époque, una
città di due milioni di abitanti che grazie al movimento secessionista ed a intellettuali
come Sigmund Freud, architetti come Otto Wagner e musicisti come Gustav Mahler
si avviava a una fioritura culturale destinata a celebrare il tramonto di un impero.
Protagonista della rinascita artistica fu senza dubbio anche la ricca borghesia
viennese, che grazie al suo status di classe dominante e al suo sfrenato desiderio di
sfarzo e divertimento aveva la funzione di committente e di catalizzatore per gli
artisti.
Proprio questo rapporto di apparente sudditanza genera il seme dell’arte di Klimt
che fonde il neonato Jugendstil con elementi simbolisti e che più tardi non rimarrà
indifferente alle influenze espressioniste.
Klimt lotta per affermare la sua visione della vita fatta di erotismo e di poesia in
una società che vuole invece ammirare solamente il grande artista, il fine artigiano
destituito di ogni “pericolosità” che realizza opere come Schubert al
pianoforte(1899), quadro totalmente innocuo nel quale in più viene rappresentato il
compositore preferito dalla sentimentale borghesia viennese.
Questo contrasto esplose in tutta la sua veemenza quando l’artista realizzò tre
pannelli per l’Aula Magna dell’università di Vienna Filosofia, Medicina e
Giurisprudenza. Nonostante la commissione del Ministero della Cultura risalisse al
1893, Klimt presentò la prima tela Filosofia soltanto nel 1900, destando uno scandalo
che avrebbe screditato l’intero ambiente culturale viennese, anche perché l’opera,
presentata all’Esposizione Universale di Parigi dello stesso anno, vinse la medaglia
d’oro come migliore opera straniera: ne fu apprezzato infatti l’acuto simbolismo,
decisamente in sintonia con le contemporanee tendenze dell’arte europea.
In patria, invece, solo i critici più progressisti decantarono il capolavoro, mentre
la committenza, la stampa e l’opinione pubblica furono profondamente deluse nelle
loro aspettative che prevedevano un grande quadro storico sul modello della Scuola
di Atene di Raffaello, con in primo piano una grande rappresentazione dei più illustri
pensatori del passato. Klimt realizza invece un’opera che si nutre di irrazionalismo,
affermando una visione del pensiero filosofico del tutto nichilista che distrugge il
positivismo e la razionalità, ritenuta l’arma dell’umanità contro il grande mistero
della vita; nel momento in cui l’uomo ne rimane privo, può solo disperarsi di fronte
all’ignoto ed a una verità troppo scomoda da sopportare.
Nella metà sinistra una colonna di corpi umani fluttua nell’universo nei più vari
atteggiamenti, dall’amore alla tristezza che colgono tanto il bambino quanto
l’anziano. Accanto ad essi traspare dalle stelle un volto, l’enigma del mondo, che
chiude gli occhi di fronte alle vicende umane, mentre sotto di essi c’è la filosofia, un
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affascinante viso di donna avvolto da una fluente chioma di neri capelli che dal basso
governa l’intera opera.
Il destino dell’uomo appare cosi nelle mani di misteriose ed insondabili potenze,
ben lontane dalla razionalità di Atene.
Il secondo pannello Medicina segue sia dal punto di vista della composizione sia
da quello stilistico Filosofia, anche se, come ci testimonia Hevesi1, dal punto di vista
cromatico in quest’ultimo le tinte fredde sono dominanti, mentre in Medicina l’artista
predilige toni più caldi che vanno dal rosa al porpora.
Siamo però ancora una volta di fronte ad un’enorme massa di corpi fluttuanti con
Igea, la dea della salute, che domina dal basso l’intera opera voltando le spalle ad una
umanità sofferente ed ormai in balìa della morte, eterna alleata del destino di fronte al
quale la razionalità scientifica rimane impotente.
Solamente una donna riesce a distaccarsi dal vortice del fato rappresentando la
liberazione dal dolore, ma la più profonda assenza di dolore non è forse la morte
stessa?
Il terzo pannello Giurisprudenza presenta la dominante cromatica nero-oro, e
offre una rappresentazione della Giustizia e della Legge, oscura e al tempo stesso
inquietante ed imponderabile.
In primo piano, l’artista pone il condannato dal corpo logoro e quasi deforme,
avvolto dai tentacoli della sua coscienza che prende le forme di una piovra, mentre le
tre Parche (Divinità mitologiche che presiedono il corso dell’esistenza) lo attorniano
in un atteggiamento distante, quasi assente.
Sullo sfondo, sempre più lontane assistono, avvolte in una fredda e monumentale
rigidità, Legge, Verità e Diritto che, come le tre Parche, sembrano abbandonare il
peccatore al suo destino ed ai tormenti della sua coscienza, i quali assurgono così ad
estremo supplizio in un nuovo rimando all’inconscio secondo le contemporanee
teorie di Freud.
Lo scandalo suscitato da questi dipinti sarà tale che costituirà l’argomento di
un’interrogazione parlamentare, in occasione della quale verrà espressa la totale
condanna delle opere klimtiane; di conseguenza l’artista, profondamente deluso,
decise di riacquistarle.
Ma l’aperta condanna dell’arte progressista che aveva come più insigne portavoce
proprio la secessione da parte dello Stato, non tarpò le ali all’artista che disse
amaramente all’amica giornalista Berta Zuckerkandl:
Ne ho abbastanza della censura (…) Voglio essere libero (…) Ciò che più conta,
voglio fare muro contro il modo in cui le opportunità artistiche vengono trattate e
condotte all’interno dello Stato austriaco, del Ministero della Cultura (…) Lo stato
non deve giocare a fare il mecenate quando concede al massimo l’elemosina. Non
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I pannelli sono andati perduti nel 1945 nell’incendio del castello di Immendorf appiccato dai reparti delle SS in
ritirata; rimangono soltanto fotografie in bianco e nero.
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deve arrogarsi la dittatura dei criteri espositivi e dei pronunciamenti artistici (…) Non
deve invadere le scuole d’arte di burocrati e scacciarne gli artisti (…) senza che
contro una simile politica artistica esercitata nel più duro dei modi, non si prenda
minimamente posizione (…) Con simili autorità, con simili fattori, l’arte vera non
vuole avere più nulla a che fare2.
Queste parole sono la testimonianza lampante di una metamorfosi ormai
compiuta che ha portato l’artista dalla crisalide della pur egregia pittura storicista ed
accademica alla farfalla di un’arte ormai libera che trova nella femme fatale, la donna
al tempo stesso terribile e dominatrice, il suo simbolo.
Nelle opere dello stesso periodo dei pannelli universitari è lei la protagonista
assoluta generata da un’opera come Pallade Atena del 1898, che si trasformerà nella
Nuda Veritas dell’anno dopo, una mutazione che va dal kosmos di Atena al chaos
della femme fatale.
La Nuda Veritas, opera chiave del nuovo corso dell’arte klimtiana, rappresenta
una donna vista frontalmente, in una immagine quasi ieratica che gia nella
rappresentazione del pelo pubico attenta all’ideale classico.
La donna, che è rappresentata nell’atto di tenere in mano uno specchio nel quale
si riflette il decadimento dell’impero austro-ungarico ed il perbenismo di un pubblico
incapace di cogliere l’innovazione artistica, diventa non solo un tramite tra l’uomo ed
il mondo, ma l’unico mezzo grazie al quale l’uomo può arrivare a scrutare la verità.
Di quest’ultima si coglie soprattutto la dimensione inquietante, amplificata dalla
raffigurazione di un serpente che insinuandosi tra le gambe della donna la consegna
ad una dimensione quasi satanica, sottolineata del sorriso beffardo e crudele della
donna.
Da notare inoltre come l’artista consegni la donna ad un ambiente acquatico come
aveva già fatto con opere quali Acqua Mossa e Ondine(Pesci d’Argento). L’acqua
diventa cosi l’habitat eletto della donna nel quale mostra completamente tutta la sua
grazia e la sua sensualità.
La parte alta del quadro è dominata da una citazione da Schiller «Non puoi
piacere a tutti con la tua azione e la tua arte. Rendi giustizia a pochi. Piacere a molti è
male», secca risposta alle critiche e, al tempo stesso, quasi un tentativo di
autoconsolazione dell’artista che in Pesci d’oro (1901/02), opera in cui ritorna uno
dei temi cardine dell’iconografia klimtiana costituito dal connubio donna-acqua,
risponderà definitivamente ai suoi critici ponendo in primo piano un’irriverente
naiade che mostra senza pudore il suo grazioso sedere, affermando ancora una volta
quella componente erotica che sembra essere indispensabile nel percorso artistico di
Klimt e che troverà in un grande talento come Egon Schiele, anche se con accenti più
drammatici, un degno seguace.
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F. Armiraglio, La vita e l’arte, in AA.VV. , Klimt, “I Classici dell’Arte – Il Novecento” 4, Milano 2004, p. 56.
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L’erotismo si fonde con un inquietante senso di morte nella Giuditta 1 (1901) che
rappresenta forse ancora di più della Nuda Veritas il manifesto della femme fatale
qui, infatti, la donna si trasforma in un’assassina che accarezza in estasi la testa di
Oloferne in preda ad una fatale associazione tra amore e morte.
L’uso dell’oro viene esaltato nello sfondo, nello splendido gioiello che cinge il
collo di Giuditta e nella cornice, realizzata dal fratello dell’artista Georg, che diventa
parte integrante dell’opera.
Klimt realizzerà anche una versione sullo stesso tema nella Giuditta 11 (1909),
dove la carica erotica ed ammaliatrice viene meno mentre si rafforza l’altro volto di
Giuditta, quello della fredda e determinata assassina
Nel 1902 si apre la XIV esposizione della Secessione, che vuole essere per gli
artisti del movimento un’occasione per realizzare l’opera d’arte globale generata da
una magica fusione tra le arti guidate dalla musica.
La mostra si attua in onore di Max Klinger, la cui statua di Beethoven sarà il
nucleo della rassegna: proprio l’insigne musicista infatti, visto da Klimt e colleghi
come il genio redentore dell’umanità intera, tramite la Nona Sinfonia ispirerà il fregio
klimtiano che rappresenterà per l’artista un nuovo spunto di riflessione sulla vita.
Il fregio si compone di tre parti: L’anelito della felicità, che scontrandosi con Le
forze ostili trionfa con L’inno alla gioia. L’anelito della felicità rappresenta un
gruppo di uomini consunti e dimessi, i quali rappresentano la debolezza del genere
umano prostrata al cospetto della forza raffigurata tramite il cavaliere che presenta le
fattezze di Gustav Mahler, il noto musicista che curò l’allestimento musicale della
mostra.
Attorniato da due donne che rappresentano la compassione e l’ambizione, il
cavaliere impugna la spada e accetta l’impresa; in tale raffigurazione alcuni studiosi
hanno visto un momento dello scontro tra Klimt ed i suoi innumerevoli detrattori che
raggiunse il proprio apice nella presentazione dei primi due pannelli realizzati per
l’Aula Magna dell’Università.
Ma un nuovo scandalo fu scatenato dalla parete con Le forze ostili, per la quale
l’artista venne accusato di pornografia, giacché secondo i benpensanti aveva dipinto
un’autentica orgia mentre, in realtà, l’opera manifesta grande simbolismo e pregevoli
effetti cromatici. Nella parte sinistra della parete si possono vedere le tre Gorgoni
Malattia, Follia e Morte accompagnate da Voluttà, Lussuria ed Eccesso, mentre
isolata al centro è rappresentata l’Angoscia, sola con il suo tormento interiore; sullo
sfondo svetta il gigante Tifeo, un orrendo mostro dall’aspetto scimmiesco contro il
quale persino gli dèi lottarono invano. Ma nella terza parete la tensione scatenata
dalle forze ostili viene sconfitta dalla poesia, vista come rigeneratrice dell’umanità e
impersonata dalla donna che suona la lira, mentre su di lei librano leggeri nell’aria i
sogni e i desideri dell’uomo. Questa visione trova una definitiva composizione nella
parte conclusiva del fregio che rappresenta la felicità raggiunta, perfetta
raffigurazione dell’ Inno alla Gioia di Schiller messa in musica da Beethoven nella
Nona Sinfonia.
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L’abbraccio, racchiuso in una campana che funge da paradisiaco microcosmo,
suggella il tutto mentre un coro di angeli funge da celebrazione ed al tempo stesso da
decorazione insieme al colore oro che crea un’aurea di sacralità.
Nella parte conclusiva del fregio la donna perde il suo aspetto perverso e terribile
messo in luce nelle Forze Ostili e denota una visione della vita velata di ottimismo da
parte dell’artista tramite il mezzo artistico, molto lontana da quella dei pannelli per
l’università.
L’arte assurge così a nuova religione in un momento di profonda crisi di valori,
anche se questa si rivelerà presto una realtà illusoria tanto che già nel 1909 Hermann
Bahr si domanderà se proprio l’arte non sia il peggior inganno per allontanarci dalla
vita3.
Si innalza forse a sintesi di questo continuo oscillare tra la vita e la morte
l’ennesimo capolavoro dell’artista austriaco: la Speranza 1 (1903). Dal punto di vista
cromatico, si avvisano in quest’opera già le prime influenze espressioniste, i cui toni
vivaci sono sintomo di una vita che sboccia proprio nel ventre di una donna, i
fiammeggianti capelli rossi della quale sono il segno della femminilità pericolosa che
Klimt è solito incoronare con dei fiori.
L’artista sprigiona tutto il suo lessico erotico che culmina nel simbolico
riferimento alla penetrazione, caricando questa donna, che impudicamente mostra la
sua diafana bellezza, di un’energia che gli permette di proteggere il nascituro nella
lotta contro le grottesche figure che aleggiano sullo sfondo, un’energia riflessa come
in uno specchio nel suo sguardo tagliente e determinato.
Klimt ritornerà sullo stesso tema nell’opera La Speranza 11 (1907/8), ma questa
volta scompaiono tutti gli elementi di contrasto ed aggressività privilegiando la
celebrazione della donna ed i caratteri stilistici e decorativi.
Forse nessun artista ha incentrato la sua arte sulla figura femminile come Klimt,
ma, se la donna è stata fino ad ora una creatura misteriosa e terribile, l’artista si
dedica adesso a fondere questa con il suo ambiente eletto, l’acqua, analizzando il
tema dell’amore saffico che si manifesta nelle opere Bisce d’acqua 1 e 11.
Bisce d’acqua 1 è un’opera di piccole dimensioni, ma presenta a livello
artigianale un lavoro finissimo, che ha come supporto la pergamena sulla quale
vengono adoperate le più svariate tecniche, dall’acquarello, alla tempera fino ad
utilizzare le foglie d’oro e d’argento che consegnano le due figure rappresentate a una
dimensione quasi ornamentale, perdendo così quella carica di sensualità che passa in
secondo piano.
L’opera acquista una dimensione di icona antica, nella quale la donne si fondono
con l’ambiente circostante diventando elementi naturali.
In Bisce d’acqua 11 l’elemento erotico torna ad essere dominante, dando vita così
a una vera e propria situazione di amore saffico, nella quale lo spettatore sembra
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F. Armiraglio, I capolavori, in AA.VV., Klimt, “I Classici dell’Arte – Il Novecento” 4, Milano 2004, p. 113.
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quasi un elemento di disturbo rispetto alla scena, che immortala le sirene klimtiane
come avvolte nel torpore dell’eros.
Negli stessi anni, Klimt si dedica anche alla pittura di paesaggio, considerata
dall’artista alla stregua di uno svago, anche se favorita da un grande successo di
vendite. L’artista consegna al paesaggio quello stesso carattere di sensualità proprio
delle sue donne, con un grande senso della decorazione che rende le sue vedute quasi
ipnotiche.
Nel 1905, Klimt realizza un’opera che rappresenta una profonda riflessione
sull’essenza femminile, Le tre età della donna, vincitrice della medaglia d’oro
all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911, la quale segna il grande successo di
Klimt a livello internazionale.
L’opera presenta in primo piano la maturità e l’infanzia rappresentate da una
donna con in braccio una bambina; esse risaltano in tutta la loro dolcezza proprio
perché avvolte da un bozzolo decorativo che esclude la senilità. Quest’ultima, invece,
rimane sola, mentre affonda il volto nella mano scagliandosi contro un fondo austero
– quasi un preannuncio dell’astrattismo –, che avvolge una figura la quale, nella
propria decadenza, rivela come lo stile di Klimt stia virando verso l’espressionismo.
Il dipinto diventa cosi una libera riflessione sull’essere femminile simboleggiando ciò
che lo scrittore Peter Altenberg chiamava «Il tragico ed il romantico dell’essere
donna, quindi il Nirvana e lo sguardo nel vuoto» 4.
Nel frattempo, Klimt continua ad essere il ritrattista prediletto dell’alta società
viennese e, nella sua galleria di ritratti, appare palesemente come si vada liberando
sempre più dalle convenzioni sociali per immergere i soggetti nel suo stile.
Se il Ritratto di Sonia Knips (1898) appare ancora molto convenzionale, nel
ritratto della sua compagna Emilie Floge (1902) si assiste ad una vera e propria svolta
nella quale la dimensione ornamentale prende il sopravvento sulla verosimiglianza,
tanto che la donna appare come un flessuoso arabesco che si scaglia contro il fondale.
Nel Ritratto di Margaret Stonborough-Wittgenstein (1905), che conobbe una difficile
gestazione, l’artista rinuncia al suo stile nella fattura dell’abito che, pur apparendo
come una soffice nuvola bianca, sullo sfondo costruisce un’autentica architettura
ornamentale dalla quale è messo in risalto il volto della donna, altrimenti proiettata su
un piano neutro. La struttura del quadro, pur cosi rigorosamente geometrica da creare
un mirabile equilibrio di forme, non incontrò, tuttavia, il plauso della committenza
con il risultato di finire nella casa di campagna dove più tardi fu ritrovata in pessimo
stato.
Tutto cambia nel Ritratto di Fritza Riedler (1906), dove la bidimensionalità ed il
gusto ornamentale prevalgono, fondendosi con lo spazio e richiamando alla memoria,
come sottolinea Hevesi5, i ritratti a mosaico di Giustiniano e Teodora nell’abside di
San Vitale che Klimt aveva potuto ammirare in un viaggio a Ravenna.
4
F. Armiraglio, I capolavori, in AA.VV., Klimt, “I Classici dell’Arte – Il Novecento” 4, Milano 2004, p. 128.
5
F. Armiraglio, I capolavori, in AA. VV. , Klimt, “I Classici dell’Arte – Il Novecento” 4, Milano 2004, p. 138.
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Se osserviamo l’aspetto compositivo, non si notano grandi cambiamenti rispetto
al Ritratto di Sonia Knips: siamo di fronte, infatti, al decentramento del soggetto che
lascia spazio alla superficie vuota; tuttavia, il ritratto della Riedler perde qualsiasi
connotazione simbolista sull’altare di un tessuto ornamentale che avvolge e glorifica
la donna, fino a metterne in risalto il volto grazie ad un arabesco geometrico che,
nella forma, rappresenta indubbiamente un richiamo a Velázquez.
Ma il vero capolavoro della ritrattistica klimtiana è senza dubbio il Ritratto di
Adele Bloch-Bauer 1 (1907), un’opera nella quale realismo ed astrazione trovano la
sintesi in fluire di motivi esotici che vanno dall’occhio egiziano alla voluta micenea
che risaltano sull’oro del vestito.
Nel dipinto la spazialità è completamente fusa con il personaggio, il collo del
quale è fregiato da Klimt con lo stesso pregevole collare della Giuditta 1. Esso rende
la Bloch-Bauer un’autentica femme fatale di cui solamente il volto, le mani
nervosamente intrecciate e le spalle nude regalano all’opera un accenno di
tridimensionalità, apparendo come una diafana immagine nel mezzo della
decorazione che invade la scena creando più che un dipinto un autentico gioiello.
Nel 1912 Klimt immortalerà nuovamente Adele Bloch-Bauer secondo il suo
nuovo stile ormai sempre più vicino all’espressionismo. L’artista infatti, dopo aver
raggiunto l’apice a livello di ornamentazione fondendo perfettamente pittura e
decorazione, sente forte l’esigenza di nuovi spunti, consapevole del fatto che i
protagonisti delle sue opere andavano verso una rigida stilizzazione che finiva col
renderli come idoli bellissimi ma, al tempo stesso, freddi e inarrivabili. Essi si
caratterizzavano proprio per risultare privi di quell’espressività che emergeva dalle
opere di artisti come Munch, Bonnard e Matisse, esposte alla Kunstschau del 1909, in
occasione della quale Klimt rimase profondamente impressionato dalle loro tele
ricavandone nuovi spunti che adattò al suo personalissimo stile. Altra influenza
fondamentale fu quella delle stampe giapponesi che avevano già influenzato artisti
come Monet e Van Gogh, creando una vera a propria moda artistica sia per il loro
fascino esotico sia per gli aspetti innovativi che presentavano dal punto di vista
stilistico e compositivo.
Così Adele Bloch-Bauer ci appare questa volta come una distinta signora
borghese che si erge in modo monumentale nel mezzo di una decorazione floreale dai
colori accesi, attraverso una tridimensionalità messa in rilievo dal cappello e dal
tappeto che si staglia contro un fondo piatto composto da larghe campiture di colore
che richiamano degli arazzi.
L’associazione donna-fiore, nuovo spunto dell’arte klimtiana, trova la sua
massima realizzazione nel Ritratto di Eugenia Primavesi (1913-1914), dove il motivo
floreale investe l’intera opera, sia nello sfondo, brillante di un giallo acceso, sia nel
vestito, e genera un’immagine che, nonostante la posa rigida e composta, emana un
grande senso di solarità e di entusiasmo. La pennellata, qui, diventa più sciolta fino a
ricordare i fauves, mentre un’aureola floreale incornicia il volto della donna
mettendone in evidenza l’espressività, proprio come Klimt aveva già fatto nel
Ritratto di Fritza Riedler; ora, persino le gote si tingono di un tenue accento di rosa
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in contrasto con la tradizionale diafanità che contraddistingue la pelle delle figure
dell’artista.
Ma se la ritrattistica ci offre un’ampia visione dei cambiamenti stilistici del
pittore, essa non rimane comunque l’unico punto di contatto tra l’arte di Klimt e la
società dell’epoca, tanto che l’artista lavora tra il 1905 ed il 1909 alla decorazione
della sala da pranzo del palazzo dell’industriale Adolph Stoclet a Bruxelles; qui
Klimt torna sull’eterno tema della vita affrontato, questa volta, in chiave sicuramente
più ottimistica rispetto al Fregio di Beethoven.
Dei nove pannelli realizzati da Klimt, alcuni sono composti di motivi geometrici
puramente astratti che fungono completamente da decorazione, ma il motivo
principale è sicuramente L’albero della vita che estende i suoi rami sull’intera
composizione realizzata a mosaico.
Meritevoli di una analisi approfondita sono anche i pannelli L’attesa e
L’abbraccio.
L’attesa viene resa attraverso una donna che rappresenta quasi un pretesto per un
esteso motivo ornamentale che rende l’idea di una danzatrice, la cui posa sembra
ispirata dall’arte orientale di cui i Stoclet erano collezionisti. In questo modo l’artista
adattò così l’opera ai gusti esotici dei committenti.
L’abbraccio rappresenta, rispetto all’Attesa, l’antitesi: viene meno infatti quella
rigidità propria di quest’ultima delineata dall’uso di motivi decorativi rigorosamente
geometrici a cui si contrappongono le figure circolari dell’Abbraccio, indici di una
raggiunta serenità tra uomo e donna che fa da preludio ad uno dei quadri più famosi
di Klimt Il bacio.
Il bacio (1907-08) rappresenta una delle opere di Klimt più amate dal pubblico,
tanto che alla Kunstschau del 1908 fu ritenuto l’opera migliore della mostra; essa fu
apprezzata dal pubblico perché, spoglia dell’erotismo fatale tipico dei quadri di
Klimt, rappresenta un momento di intimità tipico di ogni uomo nel quale molti hanno
visto l’instaurazione di un rapporto di equilibrio tra i due sessi. Ma questa tesi viene
minata da alcuni elementi manifesti nell’opera come, ad esempio, i piedi della donna
che appaiono visibilmente contratti quasi a voler manifestare un tentativo di
ribellione sostenuto dall’espressione lasciva del volto e dalla contrapposizione tra i
motivi geometrici che adornano la veste dell’uomo e quelli circolari e fioriti
dell’abito femminile. Sembra quasi che la femme fatale si spogli qui delle sue
caratteristiche di dominatrice e si sottometta all’uomo solo per compiacere lo sguardo
ipocrita della buona società viennese.
Nello stesso periodo, Klimt realizza un’opera che segna un ritorno al tema
mitologico, anche se ben lontano dalla monumentale storicità delle rappresentazioni
di dieci anni prima. L’opera, intitolata Danae (1907-08), rappresenta la fanciulla
colta nel sonno da Zeus, tramutato in pioggia d’oro, che la feconda dando vita a
un’estasi che si evince dall’espressione del volto, in uno stato di totale abbandono, e
dalla lieve contrazione della mano che richiama il fremito del piacere sessuale,
incoronando la donna come regina dell’istintività e delle passioni.
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Dal punto di vista stilistico, l’opera segna l’imminente fine del periodo d’oro che
perde la caratteristica di colore dominante mentre la decorazione viene sacrificata
sulla scia di un ritorno alla figurazione. Cade così l’ideale utopico della Secessione –
estetizzare ogni aspetto della vita –, con la conseguenza di una profonda crisi artistica
da parte di Klimt, la quale segnerà la sua virata verso l’espressionismo e si esplicherà
in chiave tutta personale, tanto da dar luogo a quello che sarà chiamato “stile fiorito”.
Se la Signora con cappello e boa di piume (1909) apre la nuova fase,
caratterizzata dall’uso di una pennellata rapida e sintetica e dall’abbandono di
qualunque ornamentazione, è solo nel 1912 che si avranno le opere più significative
della nuova impronta stilistica, soprattutto nella Vergine. Qui ornamentazione e
anatomia si fondono in chiave espressionista, dando vita a una vivacità cromatica che
mette in risalto un universo strettamente e intimamente femminile, simboleggiato da
diverse figure di donna avvolte nel torpore del sonno oppure sensualmente
ammiccanti.
Il sonno assurge anche ad antidoto contro la morte nell’opera Morte e Vita
(1916), tema cardine dell’arte klimtiana, questa volta riproposto secondo una visione
positiva grazie alla quale nella danza della vita gli uomini, come assopiti, non
sembrano accorgersi della minaccia della morte che incombe reggendo tra le mani
uno scettro, quasi a voler dimostrare come essa rimanga la regina incontrastata
dell’esistenza.
In ogni caso, uno dei temi prediletti dall’artista rimane quello della sensualità
femminile, anche di natura omosessuale. In una delle ultime opere, Le Amiche (191617), egli ritrae infatti l’amore saffico in un profluvio di decorazioni orientaleggianti,
che spiccano per la vivacità dei colori e fanno da sfondo all’unione delle due donne
che sembrano incastonate l’una con l’altra. Le Amiche diventa così il testamento
sull’amore omosessuale dell’artista, mentre in Adamo ed Eva (1917-18) Klimt ritorna
sul tema uomo-donna in un’opera che la morte non gli permetterà di portare a
compimento. Qui le due figure sono viste frontalmente, soluzione compositiva volta
ad accentuare l’incapacità di comunicare, e con le teste reclinate su un lato per
mettere in risalto come esse siano perdute nei loro pensieri, in special modo l’uomo
che, messo in secondo piano, subisce l’iniziativa della donna la quale si impone sulla
scena e sembra quasi venire incontro allo spettatore.
Klimt rimane così fedele alla sua visione del mondo fino alla fine, una visione
che nasce dallo scontro di forze ostili che possono essere vinte solo tramite la
bellezza. Essa non nasce dal kosmos della razionalità, ma dal chaos delle passioni e
dell’erotismo che rendono il bello sublime.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
F. Armiraglio, La vita e l’arte, in AA. VV., Klimt, “I Classici dell’Arte – Il Novecento” 4,
Milano 2004, pp. 29-70
www.chaosekosmos.it ISSN 1827-0468
10
F. Armiraglio, I capolavori, in AA. VV., Klimt, “I Classici dell’Arte – Il Novecento” 4, Milano
2004, pp. 71-172
G. Neret, Klimt, Milano 2001 (ed. orig. Köln 2000)

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