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strega Baba-Yaga. Ravel usa l’orchestra come fosse un enorme e variegato strumento a percussione, placato solo nell’inquieta sezione centrale e collegato senza soluzione di continuità alla grandiosa immagine dell’ultimo quadro, che, sfruttando anche varianti della Promenade, raffigura il progetto hartmanniano di una chiesa sostitutiva del vecchio portale di Kiev. Qui, a parte i delicati interventi dei legni per gli inserti nello stile sacro del corale, l’orchestra è perlopiù sfruttata in sonorità gigantesche, con protratte iterazioni intervallari e rintocchi di campane che rinviano alla maestosa scena dell’incoronazione del Boris Godunov: un po’ come se lo schivo Ravel volesse cedere l’ultima parola a Musorgskij, sottintendendo che il merito di questo capolavoro è tutto suo. WIENER SYMPHONIKER Testi di Gianni Ruffin Wiener Symphoniker. Nell’ottobre dell’anno 1900 l’Orchestra, allora denominata Wiener Concertverein, diede il suo primo concerto pubblico, al Musikverein di Vienna, guidata da Ferdinand Löwe. Da allora i Wiener Symphoniker, che assunsero la denominazione attuale nei primi anni Trenta, hanno eseguito première di composizioni che sono divenute punti di forza del loro repertorio, come la Nona Sinfonia di Bruckner, Gurre Lieder di Shönberg, il Concerto per pianoforte per mano sinistra di Ravel. Nel corso della sua lunga storia, direttori quali Bruno Walter, Richard Strauss, Wilhelm Furtwängler, Sergiu Celibidache, Leonard Bernstein, Lorin Maazel, Zubin Mehta, Claudio Abbado hanno avuto profonda influenza sull’orchestra. Tra i direttori stabili nella seconda metà del Novecento si sono susseguiti Herbert von Karajan (1950-1960) e Wolfgang Sawallisch (1960-1970), quindi Carlo Maria Giulini, Gennadij Roshdestvenskij, Georges Prêtre, Rafael Frühbeck de Burgos, Vladimir Fedosejev, Fabio Luisi e, da due stagioni, lo svizzero Philippe Jordan. I Wiener Symphoniker eseguono oltre 150 concerti e esecuzioni d’opera all’anno, che affiancano a tournée in tutto il mondo. W W W. T E AT R O U D I N E . I T Charles Dutoit direttore graphic: anthes Charles Dutoit, nato a Losanna (Svizzera), è Direttore Artistico e Direttore Principale della Royal Philharmonic Orchestra e collabora regolarmente con le maggiori orchestre di tutto il mondo: Chicago Symphony Orchestra, Boston Symphony Orchestra, Berlin Philharmonic Orchestra, Royal Concertgebouw Orchestra di Amsterdam e Israel Philharmonic Orchestra. Charles Dutoit ha ricoperto prestigiosi incarichi per importanti istituzioni: dal 1977 al 2002 è stato direttore artistico della Montreal Symphony Orchestra, dal 1991 al 2001 è stato direttore musicale dell’Orchestre National de France, nel 1996 è stato nominato direttore musicale della NHK Symphony Orchestra (Tokio), dal 2008 è direttore principale della Philadelphia Orchestra e dalla stessa è stato nominato Conductor Laureate. Nell’estate del 2009 è diventato, infine, direttore musicale della Verbier Festival Orchestra. Ha inciso oltre 170 CD per Decca, Deutsche Gramophone, EMI, Philips ed Erato ricevendo più di 40 premi e riconoscimenti internazionali. Giovanissimo, Dutoit fu invitato da von Karajan per dirigere la Vienna State Opera. Da allora, ha diretto regolarmente al Covent Garden, Metropolitan Opera di New York, Deutsche Oper di Berlino e Teatro Colón di Buenos Aires. ph: Chris Lee (Dutoit) e Andreas Balon (Wiener Symphoniker) Quadri detengono il probabile record assoluto delle trascrizioni (integrali o selettive), contando circa un’ottantina di diverse vesti strumentali, estese dallo strumento singolo alla grande orchestra. Tanta dovizia testimonia l’attitudine coloristica della scrittura di Musorgskij, colta fra i primi da un grande maestro dell’orchestrazione come Ravel, la cui versione semi-integrale (omessa è l’ultima Promenade) fu presentata all’Opéra di Parigi il 19 ottobre 1922 ed è ancor oggi la più eseguita. Fonte di tale predilezione è probabilmente l’equilibrio che Ravel ha saputo trovare fra le sezioni strumentali, sfruttando ampiamente il timbro caratterizzante dei fiati ma evitando il tranello dell’eccesso coloristico in cui sono caduti altri, che hanno finito per rendere il piatto troppo speziato. Beninteso, quella di Ravel non fu un’operazione filologica: lo testimonia il ricorso ad uno strumento, il sassofono, probabilmente sconosciuto a Musorgskij e certo estraneo alla tradizione musicale russa. La bravura di Ravel si esercitò nel saper riconoscere, nel modo ad oggi considerato il più felice, l’adattabilità delle idee musicali musorgskiane alle peculiarità idiomatiche dei diversi strumenti e delle varie sezioni orchestrali, riuscendo a trasformare il virtuosismo della stupenda suite pianistica in virtuosismo orchestrale di stupefacente suggestione evocativa ed acustica. Riguardo alla Promenade, oltre alle diverse strumentazioni ideate da Ravel, è da segnalare l’asimmetria delle semifrasi (allineate in membri di 5+6 o 7+4 battute), cui probabilmente si deve il rinvio localistico della titolazione («in modo russico»), ma del pari efficace a rappresentare l’irregolarità dei passi di un camminatore. Il seguito dei quadri propone via via: l’immagine grottesca d’uno gnomo che si contorce sulle gambe rattrappite (Gnomus); l’ipnotico canto malinconico di un trovatore, effigiato da Ravel nel sassofono, ai piedi di un maniero (Il vecchio castello); il quadro lieve di un bisticcio infantile alle Tuileries parigine (evidentemente per Musorgskij nella capitale dell’eleganza anche i bimbi litigiosi hanno una propria compostezza). Segue il quadro di un carro polacco (Bydlo) faticosamente trainato dai buoi, che offre a Ravel il destro per un’orchestrazione cupa e pesante. Il Balletto dei pulcini nei loro gusci è invece, già in Musorgskij, uno strepitoso esempio di virtuosistica leggerezza, trasferita da Ravel ai mobilissimi soli orchestrali tramite una scrittura che addirittura richiama la tecnica medievale “a singhiozzo” detta appunto hoquetus. Ravel ha poi buon gioco, nei ritratti di due ebrei dall’opposto carattere, Samuel Goldenberg e Schmuyle, rispettivamente ricco e povero, con il timbro preponderante degli archi gravi chiamato a definire la tronfia prosopopea del primo, nello stile alto del recitativo strumentale, in opposizione alla petulanza lamentosa del secondo, affidata allo stridente crepitio della tromba. Ricco di contrasti strumentali utili a definire la vivacissima scena è il n. 7, che dipinge il mercato di Limoges, con l’ulteriore vantaggio di un nettissimo effetto chiaroscurale rispetto all’immagine rabbrividente delle Catacombe nel visionario n. 8, che procede per successive esplosioni accordali avviate dai tromboni (strumenti frequentemente associati a scene tenebroso-metafisiche). Nella seconda parte ritorna tra presaghi tremoli degli archi, intimidito, il tema della Promenade; oltre al sottotitolo latino Cum mortuis in lingua mortua, esplicativo dell’originale linguaggio sonoro adottato, Musorgskij v’inserì la didascalia «Lo spirito creatore di Hartmann mi conduce ai teschi, mi chiama a loro, i teschi si illuminano leggermente». Potentissimo già in Musorgskij ed elevato all’ennesimo grado da un’orchestrazione in verità raffinatissima (ma tutta votata ad un violento effetto ossessivo, grottesco e minaccioso) è, nel n. 9, il tumulto che dipinge la capanna dalle zampe di gallina ove dimora la fiabesca MARTEDÌ 10 NOVEMBRE 2015 – ORE 20.45 EVENTO WIENER SYMPHONIKER Charles Dutoit direttore SERGEJ PROKOF’EV (1891-1953) Romeo e Giulietta, Suite scelta dei brani di Charles Dutoit Montecchi e Capuleti dalla Suite n. 2 op. 64b La giovane Giulietta dalla Suite n. 2 op. 64b Madrigale dalla Suite n. 1 op. 64a Minuetto dalla Suite n. 1 op. 64a Masques dalla Suite n. 1 op. 64a Romeo e Giulietta dalla Suite n. 1 op. 64a Morte di Tebaldo dalla Suite n. 1 op. 64a Romeo sulla tomba di Giulietta dalla Suite n. 2 op. 64b *** CLAUDE DEBUSSY (1862-1918) Prélude a l’après-midi d’un faune Églogue pour orchestre d’après Stéphane Mallarmé MODEST MUSORGSKIJ (1839-1881) orchestrazione di MAURICE RAVEL (1875-1937) Quadri di un’esposizione Promenade - Allegro giusto, nel modo russico; senza allegrezza, ma poco sostenuto Gnomus - Sempre vivo Promenade - Moderato commodo e con delicatezza Il vecchio castello - Andante Promenade - Moderato non tanto, pesante Tuileries (Dispute d’enfants après jeux) - Allegretto non troppo, capriccioso Bydlo - Sempre moderato pesante Promenade - Tranquillo Balletto dei pulcini nei loro gusci - Scherzino. Vivo leggiero Samuel Goldenberg e Schmuyle - Andante Limoges: Le marché - Allegretto vivo sempre scherzando Catacombae: Sepulchrum Romanum - Largo La cabane sur des pattes de poule - Allegro con brio, feroce La grande porta di Kiev - Allegro alla breve. Maestoso. Con grandezza Concerto realizzato con il sostegno di Prokof’ev, Romeo e Giulietta, Suite Concluso nel 1935 e rappresentato nel 1938, a Brno, Romeo e Giulietta si è velocemente imposto quale capolavoro fra i più rappresentativi del compositore. Sul piano della scrittura il prezioso termine che meglio ne condensa le caratteristiche è “eclettismo”, indicativo della ricercata disomogeneità d’ascendenti che ne qualifica l’ideazione: Prokof’ev necessitava d’una pluralità assai differenziata di modi espressivi, ragion per cui in fondo non stupisce che egli guardasse addirittura ad un campione della tendenza ultraromantico-decadente come Čajkovskij. Certo, Prokof’ev ne raccolse gli stimoli soprattutto su un piano astratto, assumendone il modello da balletti, come Schiaccianoci, che allineano deliziose miniature poco o nulla inclini all’abbandono lirico. Eppure non è fuori luogo ritenere che a far breccia in Prokof’ev siano state anche talune delle prerogative più romantiche di Čajkovskij, chiamate in causa al fine della lirica definizione dell’amore fra i due protagonisti. È abbastanza evidente, ad esempio, che le indugiate dolcezze del brano Romeo e Giulietta (n. 6 della suite in programma) trovano più d’un precedente nella musica di Čajkovskij, a partire dal poema sinfonico d’egual soggetto. Nell’autobiografia del 1956 fu lo stesso Prokof’ev ad evidenziare il suo eclettismo, distinguendo per la propria arte cinque direttrici stilistiche: classica, modernista, motoria, lirica, grottesca o scherzosa. Considerato che il teatro musicale è per sua natura incline al polistilismo, va da sé che le suddette opzioni siano tutte rilevabili in Romeo e Giulietta. Contaminazioni si osservano ad esempio in Romeo sulla tomba di Giulietta (n. 8), il cui lirismo afflitto lascia spazio nelle fasi più strazianti ad aspre dissonanze e cacofonie moderniste. Anche nel n. 2, La giovane Giulietta, il tono scherzoso si alterna ad episodi lirico-sognanti che servono a dipingere il lato più intimo del carattere della ragazza. Ma convive con l’inclinazione lirica – motivata dall’ambientazione bucolica, en plein air – anche la pacata caratterizzazione classica di Madrigale (n. 3). In generale solo i brani più semplici di Romeo e Giulietta risultano inquadrabili in maniera esclusiva da una sola delle cinque categorie. Fra quelli presentati oggi lo è solo il n. 4 (Minuetto), dal carattere alternativamente solenne e delicato, ma già il n. 5 (Masques) combina il registro motorio con quello scherzoso. La motricità è ravvisabile nella prima parte del n. 7 con le volate che dipingono l’impeto dello scontro culminante nel luttuoso evento evocato dal titolo (Morte di Tebaldo); trattandosi di una marcia funebre, anche la seconda parte del brano è motoria, ma contaminata con un modernismo polifonico-dissonante che spinge il registro solenne della marcia ad una visionarietà apocalittica. Analogo è il caso del n. 1, Montecchi e Capuleti, dove le violente dissonanze iniziali evocano la feroce aggressività dei due clan nemici, alternandosi a flebili accordi consonanti tenuti, correlabili all’armoniosa ma fragile unità dei due amanti. Emblematica, nella seconda parte, è l’indicazione Allegro pesante, che evidenzia la conduzione del tipo motorio coreutico ad un’“esagerata” durezza e fissità dell’incedere ritmico, tale da stravolgere l’eleganza compìta dell’ambiente cortese proiettandola nella dimensione di una meccanica, disumana ritualità. nell’Après-midi d’un faune». Soprattutto nelle parti iniziale e conclusiva i criteri tradizionali della composizione sette-ottocentesca (tematismo, sviluppi, correlazione delle idee musicali, articolazione differenziata in zone tonali) sono rivisitati in maniera tale da dar loro un sapore sonoro radicalmente nuovo, ripulito, aurorale; a predominare è un senso d’indeterminata sospensione che dona all’ascoltatore l’effetto di una musica nella quale anche la melodia e l’armonia assumono un significato luministico, coloristico; timbrico, insomma. È lecito ipotizzare che l’ispirazione per il Prélude fosse venuta a Debussy non solo leggendo l’omonimo poema di Stéphane Mallarmé che ne funge da referente programmatico, ma soprattutto dalla condivisione di un basilare intento poetico: quello volto, per usare le parole del poeta simbolista, a «dare un senso più puro alle parole della tribù». In poesia ciò significava disincrostare la parola dall’approssimazione e dal grigiore indotti dall’uso quotidiano, riscoprendone il fascino sonoro quale valore in sé, dunque timbrico; ma proprio perciò tale programma sembrava elettivamente votato alla musica, arte assai meno esposta al rischio della contaminazione con la banale quotidianità. Nulla di più significativo, dunque, dell’apprezzamento di Mallarmé, che riconobbe la superiore capacità evocativa debussyana proprio nel nome dell’aspetto coloristico: «la musica evoca l’emozione del mio poema e ne dipinge lo scenario con le tinte più vivide, che nessun colore linguistico avrebbe saputo rendere». Difficilmente, però, le epifanie sonore di una concezione puramente timbrica riescono a reggere l’espansione temporale, la lunga durata: la concezione debussyana implica il frammento, il pezzo breve. In tal senso, però, dieci minuti di durata non sono pochi: non stupisce dunque che, nel prosieguo del Prélude, la melodia iniziale assuma maggior nettezza di contorni e che la sezione centrale accolga una scrittura meno rapsodica, più continua, fatta di concatenazioni armoniche meno innovative ed ampi archi melodici, non aliena al richiamo d’un idolo polemico di Debussy come Wagner e perfino tale da accettare un principio architettonico tradizionale come la “ripresa” (beninteso debitamente variata). La diafana atmosfera sospesa della prima parte torna però nella conclusione, condotta ad esaurirsi misteriosamente nel silenzio. Va rammentato che, secondo l’iniziale progetto, il Prélude avrebbe dovuto essere seguito da altri due movimenti, Interludio e Parafrasi finale; ancorché non si tratti, storicamente, della prima volta (si pensi a Chopin), l’incompiutezza implicita in un preludio senza sèguito, cioè in un preludio che non prelude a nulla (ovvero che prelude ad un enigmatico silenzio), corrisponde perfettamente ad una concezione che in Debussy prende sì le mosse da Wagner («la musica inizia là dove la parola è incapace di esprimere, la musica è destinata all’inesprimibile»), ma che egli declina in maniera affatto personale: «vorrei che [la musica] uscisse dall’ombra e che vi rientrasse: che fosse sempre discreta». Vladimir Jankélévič avrebbe sostenuto che la musica di Debussy mira alle «sfumature dell’impercettibile e, attenuando i decrescendo, al punto in cui il quasi-niente e il niente sembrano divenire indiscernibili»; il perché ce lo spiega il vecchio Arkel in Pelléas et Mélisande: «bisogna parlare a voce bassa. L’anima umana è silenziosissima». Debussy, Prélude a l’après-midi d’un faune Un dato emblematico: per una composizione la cui durata esecutiva in genere stenta a raggiungere i dieci minuti, a Debussy fu necessario ben un triennio di lavoro, dal 1892 al 1894 (anno quest’ultimo della “prima” del 22 dicembre, per la parigina Société Nationale de Musique). La motivazione fu chiaramente esposta da Pierre Boulez: «la musica moderna si sveglia Musorgskij-Ravel, Quadri di un’esposizione Composti per pianoforte da Musorgskij nel giugno 1874, i Quadri di un’esposizione furono ispirati da una serie di tele, in parte conservate, dell’artista ed architetto Victor Hartmann: nella successione dei diversi pezzi descrittivi, alternati al periodico ritorno d’una Promenade, l’opera simula la visione dei quadri da parte di un visitatore che passeggia da una sala all’altra. I