gravity - sala ARGENTIA

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gravity - sala ARGENTIA
GRAVITY
di Alfonso Cuaròn
Mercoledì 19 FEBBRAIO 2014 ore 21,00 - presentazione e dibattito a cura del dott. Claudio Villa
Giovedì
20 FEBBRAIO 2014 ore 21,00 - con scheda critica di presentazione
Drammatico – 92 minuti - Tematiche: Avventura; Famiglia - genitori figli; Metafore del nostro tempo; Morte;
Tematiche religiose
 VENEZIA 2013 –VINCITORE PREMIO FUTURE FILM FESTIVAL DIGITAL AWARD
 THE LOS ANGELES FILM CRITICS ASSOCIATION AWARDS 2013 – VINCITORE MIGLIOR FILM; MIGLIORE
REGISTA, MIGLIORE FOTOGRAFIA, MIGLIORE MONTAGGIO
Soggetto: A bordo di uno Shuttle c'è un equipaggio ridotto, formato dal pilota Matthew Kovalsky e dalla
dottoressa Ryan Stone. Dovrebbe essere vicino il momento del rientro sulla Terra ma qualcosa di imprevisto
accade. I collegamenti si interrompono, i comandi non rispondono, nelle operazioni di spostamento i due
finiscono col restare fluttuanti nell'aria. Ben presto appare evidente che Kowalsy e Stone sono gli unici due
superstiti di tutto l'equipaggio. Il tentativo di restare uniti risulta oltremodo complicato. Kowalsky resta
all’esterno mentre Stone risale a bordo per trovate il modo di dirigersi verso una base spaziale cinese...
Titolo originale: GravityNazione: Stati Uniti Anno: 2012
Cast: Sandra Bullock (Ryan Stone), George Clooney (Matthew Kowalsky).
Produzione: Alfonso Cuaron, David Heyman Distribuzione: Warner Bros Pictures Italia
Valutazione Pastorale CEI:
“Gravity" riesce a scegliere un genere (fantascienza) e un tema (il viaggio) classici dell'immaginario americano e
a collocarli nel nostro disperato, amarissimo ruolo di naufraghi della post modernità. L'avventura negli spazi
sconfinati è uno scenario ineludibile nella mente dell'avventura oltre oceano, un terreno nel quale per eccellenza
si incontrano e arrivano alla resa dei conti il confronto bene/male; legge/illegalità; eroi/antieroi. Di più lascia
soli un Uomo e una Donna e disegna intorno a loro la crescente angoscia di una situazione mai provata prima,
quella delle solitudine difronte all'ignoto e quando ogni collegamento è ormai interrotto. Dopo l'uscita di scena
di Kowalsky, Stone regge per intero il peso del racconto, quando la paura prende alla gola, e cuore e mente
entrano in conflitto, la vita, la memoria, gli affetti battono forte nelle pieghe di una fine non voluta.
Una sensazione di abbandono che chiede alla ragione di fare appello a risorse nascoste e di lasciarsi andare
alla richiesta liberatoria di una preghiera. Una precisa linea metafisico/spirituale lega immagini e parole in un
film ricco di spunti, inquieto, emozionante, sempre di spiccata sensibilità narrativa e filosofica.
Appuntamento al 26/27/28
febbraio con
LA PRIMA NEVE
di Andrea Segre
Critica
"A testa in giù, con le gambe all'aria, roteanti come pale di un mulino, leggeri come foglie al vento, uniti da un cavo che si
tende e si aggroviglia sbatacchiandoli senza pietà, il corpo che si contrae lottando contro l'assenza di peso, di controllo, di
direzione. Non si erano mai visti due divi come George Clooney e Sandra Bullock strapazzati come in 'Gravity'.
Quasi invisibili, nascosti da tute e caschi spaziali per buona parte del film (Clooney ha una sola scena a volto scoperto),
calati dentro due personaggi che sono una somma di archetipi senza precedenti e insieme una metafora flessibile e
potente. (...) Naturalmente si pensa alla fantascienza filosofica di Kubrick, il nome più citato uscendo dal film del messicano
Alfonso Cuarón, regista anomalo e sempre spiazzante (...). Ma è in parte una falsa pista. Anzi per certi versi 'Gravity' è
l'opposto di '2001'. Non solo per la coloritura ironica dei dialoghi, ma perché è l'orizzonte stesso del film a essere diverso.
Kubrick girava nel 1968, all'alba dell'era informatica, e partiva dal divenire umano delle macchine, ovvero dalla
possibilità di simulare il cervello (Hal 9000). Cuarón ribalta la prospettiva. Non parte dalla mente ma dal corpo: che ne è
del nostro corpo - gambe, braccia, sensi, riflessi - oggi che le macchine sono parte integrante della nostra vita? Che cosa ci
succede se a forza di delegare, smaterializzare, implementare, non distinguiamo più alto e basso, vicino e lontano, reale e
virtuale? 2001 coglieva nella nascita della tecnica (l'osso che diventava astronave) il punto di non ritorno della specie
umana. 'Gravity' è figlio di Google Earth, della finta onnipotenza e della profonda malinconia dei nostri anni. La corsa
allo spazio è finita da un pezzo. Oggi è lo spazio (virtuale) che entra in noi, svuotandoci, non viceversa. Siamo noi i pianeti
da (ri)conquistare. Anche se «l'alba sul Gange», come dice Clooney, vista da lassù è meravigliosa."
(Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 9 agosto 2013)
"(…) Il set non è più l'area protetta di un veicolo spaziale, ma è lo spazio profondo, dove non c'è forza di gravità e in
quella enorme discarica che è diventato il cosmo si potranno trovare basi spaziali in disarmo e componenti di shuttle
distrutte, lanciate in orbita alla velocità di migliaia di chilometri all'ora. (...) è impossibile non restare affascinati dalla
situazione di crescente pericolo quando un bolide in corsa annienta l'astronave e i due si trovano scaraventati nel nulla
agganciati solo da quello che sempre più appare come un cordone ombelicale, prolunga che permette la comunicazione,
in uno scenario difficile da immaginare, con soluzioni che il pubblico non ha la capacità di suggerire, dove tutto è perduto.
(...) Mentre lo sguardo è catturato dai colpi di scena imprevedibili e sempre più incessanti (che dire dei comandi sui
pulsanti in cinese?), si fa largo, senza prendere il sopravvento sulla pura avventura, il racconto morale che rimane
sotto il controllo dell'ironia e della suspense. La sfida supertecnologica degli apparecchi utilizzati per simulare la
mancanza di gravità («la scatola» la chiama Cuarón) grazie al quale è stato ottenuto anche il piano sequenza iniziale di
diciassette minuti è decisamente vincente e perfino la minuscola lacrima che diventa una goccia rotonda che si fa strada
verso il pubblico in sala perde la sua connotazione di disperazione per diventare sorpresa. Al pubblico anche se non ha
familiarità con i misteri del cosmo, il film suggerisce che quando le avversità si susseguono e tutto sembra perduto, si
possono chiudere gli occhi e abbandonare tutto oppure tenerli ben aperti, continuare a lottare e trovare una
soluzione. L'importante è che poi avrai un'altra storia pazzesca da raccontare."
(Silvana Silvestri, 'Il Manifesto', 29 agosto 2013)
"(…) Un film che è un trionfo visuale, non sempre sostenuto da una narrazione originale o imprevedibile. Ma che tuttavia,
insieme al suo grande fascino spettacolare, mantiene anche un valore metaforico. Diventa una riflessione sul nostro stare
al mondo. E su come affrontare quel fluttuare senza ritorno nello spazio che inevitabilmente, prima o poi, ci è destinato.
(...) Le prime immagini sono di una bellezza ipnotica e astratta: pochissimi tagli di montaggio, mentre vediamo i due
astronauti fluttuare nello spazio, in quello che sembra un rallenti eterno. Il film (...) a parte alcuni aspetti vagamente
fumettistici - è una riflessione seria, su come affrontare quello che Franco Battiato chiama «lo spavento supremo». E ci dice
che, in fondo, dovessimo morire oggi o tra cent'anni, l'unica cosa che possiamo fare è rimboccarci le maniche e provare,
comunque sia, a sopravvivere. E, magari, persino a vivere." (Luca Vinci, 'Libero', 29 agosto 2013)