Le vendite alla Biennale dal 1920 al 1950 Appunti per una storia

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Le vendite alla Biennale dal 1920 al 1950 Appunti per una storia
Le vendite alla Biennale dal 1920 al 1950
Appunti per una storia del gusto attraverso l'analisi del mercato
Uno degli obiettivi che statutariamente la Biennale si pose fin dalla sua fondazione era di creare un
mercato artistico dal quale la città potesse ricavare un non lieve vantaggio. Il mercato dell'arte
contemporanea non aveva ancora né strutture né capacità di espansione nella società italiana della
fine del secolo scorso. L'individuare, nella grande rassegna internazionale, fra gli scopi anche
quello della nascita del mercato dell'arte e quindi del collezionismo sia pubblico che privato ritengo
sia stato un punto di sicura avanguardia, e i risultati ottenuti sono testimonianza di quanto
significativo e propositivo debba considerarsi l'aver indicato, in quella condizione socioeconomico-politica, il nodo del mercato come momento dinamico e dialettico attorno alla
manifestazione.
Per giungere all'analisi che mi sono proposta ho lavorato sui dati ricavati dall'Archivio Storico della
Biennale esaminando gli anni dal 1920 al 1950. L'indagine è stata condotta sulle vendite effettuate,
su chi era il compratore, e sui prezzi. Si è venuto delineando quindi un percorso che spesso rivela
dati di estremo interesse rispetto alle proposte, e che consente, a mio avviso, di leggere
trasversalmente la storia di quelle Biennali, interpretandone i dati con una chiave di lettura
assolutamente veridica, ma che può proporre più di una sorpresa.
Il primo dato che salta agli occhi è il numero dei visitatori, che va da un minimo di 76.679 nel 1942
ai 692.000 nel 1976, e che ha raggiunto e superato complessivamente i 10.000.000 nella sua XL
edizione del 1982. Se ne deduce quindi che la manifestazione biennale dell'arte a Venezia era ed è
considerata dal grande pubblico un evento non soltanto culturale ma anche mondano cui è
importante partecipare con una visita. Certo il luogo dove era stata pensata avvantaggiava il
successo, così come le inevitabili polemiche che ogni edizione suscitava e ancora suscita.
Soprattutto per i primi anni, e cioè fino alla prima guerra mondiale, gli organizzatori si
preoccupavano non poco circa il riscontro che l'esposizione avrebbe potuto avere da parte dei
cosiddetti benpensanti, sempre storicamente pronti a lanciare strali su quanto di nuovo in materia
d'arte si andava proponendo. Antonio Fradeletto, che sarà segretario generale della Biennale dalla
sua fondazione al 1914, fece di questa preoccupazione una linea di principio, così che il carattere di
queste prime edizioni si può dire rispecchiasse l'indirizzo artistico consolidato, anche un po'
accademico. Era tuttavia necessario che così fosse per raggiungere un pubblico ampio e non certo,
proprio per la sua ampiezza, interessato alle avanguardie, e quindi per decretare il successo e
l'affermazione non solo nazionale del progetto. E il successo venne, e quella che sembrava una
scommessa, nata con l'intento di ricordare in modo perpetuo con una istituzione di pubblica utilità e
di beneficenza il venticinquesimo anniversario delle nozze dei sovrani d'Italia, Umberto e
Margherita di Savoia, si trasformò ben presto in una vetrina prestigiosa dell'arte nazionale e
internazionale, suscitando dibattiti e diatribe, attacchi e plausi, e soprattutto divenendo il volano
interattivo per la diffusione della conoscenza dell'arte contemporanea e del relativo mercato.
Ogni due anni, con le inevitabili pause belliche, i Giardini di Castello, ampliando quasi ad ogni
edizione con nuovi padiglioni stranieri le superfici espositive, diventavano il luogo privilegiato
dagli amatori d'arte, dai direttori dei musei, dai grandi e mitici collezionisti, e anche da un più
anonimo pubblico, attratto comunque dall'evento culturale che la Biennale rappresentava e ancora
rappresenta.
Ma l'indagine che mi interessa condurre attraverso la particolare visione che il mercato può indicare
deve partire da alcuni elementi statistici, che pur nella loro aridità, costituiscono la griglia
necessaria per condurci ad una lettura interpretativa realistica e propositiva.
Come si è detto la nostra indagine parte dalla prima Biennale del dopoguerra, quella del 1920, che
vide una partecipazione di 288 artisti italiani con 739 opere, e 309 artisti stranieri con 1066 opere,
per un totale di 1805; di queste ne furono vendute 682 , delle quali 263 italiane e 419 straniere.
L'attenzione del pubblico, che in quell'anno raggiunse le 240.510 presenze, fu quindi maggiormente
rivolto agli artisti stranieri, che comunque erano presenti con un maggior numero di opere per
ciascun artista rispetto agli italiani. Complessivamente si vendette circa il 38% di quanto esposto,
per una cifra complessiva di L. 2.628.747, pari a
L. 3.684.543.500 attuali1. Non poco se si considera che gli anni del dopoguerra erano anni di crisi
economica e sociale molto grave.
1
Per calcolare il valore attuale equivalente ad oggi sono stati usati coefficienti di rivalutazione del potere d'acquisto
della lira (fonte Istat) in base al costo della vita
La Biennale del 1920 vede il critico d'arte Vittorio Pica in veste di Segretario Generale, in
sostituzione di Antonio Fradeletto che aveva ricoperto tale carica dalla fondazione. Pica, che nelle
Biennali del 1912 e del 1914 era stato vice di Fradeletto, rappresenta la parte moderna e innovatrice
del mondo degli storici dell'arte. La sua visione è aperta e curiosa di quanto nel mondo e in Italia si
va proponendo. Ritiene che il compito di una manifestazione internazionale sia non tanto di
consacrare le vecchie glorie, quanto di promuovere i nuovi linguaggi. E' molto attento a quanto
avviene fuori dai nostri confini, ed esemplificativa della linea culturale lungo la quale ha agito è la
lettera che nel 1927 scrive al Conte Pietro Orsi Podestà di Venezia, rassegnando le proprie
dimissioni dall'incarico: "... mi detti, con molta cura e con grande amore, a svolgere il complesso
programma a cui l'Esposizione Internazionale d'arte di Venezia deve il suo grande successo morale
e materiale, programma a cui io mi proposi di dare una sempre maggiore e più significativa
ampiezza. Pure serbandogli il necessario ma eletto carattere di eclettismo, aprii sempre più le
porte alle ardite e osteggiate manifestazioni, così straniere come italiane, dell'arte d'avanguardia.
Fu così che dopo avere, in un primo momento, presentato al pubblico italiano un Medardo Rosso,
un Paul Cézanne e un Vincente Van Gogh, sono riuscito, con prudenti soste, a fargli conoscere e a
fare, ad una parte almeno di esso, apprezzare e gustare così i postimpressionisti francesi come gli
espressionisti tedeschi, così i cubisti russi come i futuristi italiani.
Si deduce chiaramente quali problemi fossero alla base delle scelte non solo di metodo, ma anche di
linea culturale nell'organizzazione della manifestazione veneziana, che si trovava spesso e
volontieri al centro di accese polemiche, fra l'ala conservatrice, che veniva appoggiata da un'ampia
adesione di pubblico e di stampa, e l'ala novatrice che trovava nei personaggi più attenti e informati
un sostegno spesso solo morale, e sicuramente con numeri molto limitati, come sempre accade per
quanto concerne le emergenze culturali.
L'indagine che ho condotto permette di evidenziare in termini documentari proprio tale dicotomia e
cioè la forbice fra l'adesione del più vasto pubblico che con gli acquisti decretava la conferma delle
proprie scelte, e la minoranza più attenta e selettiva che spesso non trovava verifiche alle proposte
più d'avanguardia attraverso l'accettazione da parte del mercato e quindi l'inserimento in collezione.
L'esame degli archivi mi ha consentito di risalire al nome degli artisti e al titolo della relativa opera
venduta, agli acquirenti, e al prezzo pagato per ciascuna opera. Si evidenzia prima di tutto un certo
numero di acquirenti istituzionali, che venivano sollecitati all'acquisto da un esperto o da una
commissione all'uopo costituita. Primo fra tutti S.M. il Re d'Italia, che acquistava per la quadreria
del Palazzo del Quirinale o destinando a collezioni pubbliche indicate sempre dalla commissione.
Quindi i musei italiani, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, quella di Milano, di Torino,
di Venezia, di Genova e di Trento, per citare solo le gallerie civiche più importanti. E' interessante
sottolineare questo aspetto di affluenza al pubblico patrimonio artistico, che avveniva regolarmente
e con una entità, se non amplissima, certamente neppure modesta, sia per le scelte, sia per numero
di opere. Ciò ha consentito di conservare almeno in parte la memoria storica di quanto in Italia e nel
mondo si andava proponendo nelle arti figurative, e contemporaneamente di acquisire un
patrimonio spesso con valori decurtati rispetto al prezzo di mercato, perché all'artista, che veniva
contattato direttamente dagli organi della Biennale, si chiedeva un prezzo politico data la
destinazione pubblica e prestigiosa dell'opera. Questo sistema consentiva anche di supportare le
esigenze vitali di molti artisti, che certamente non godevano di un'economia sufficiente, e per i
quali entrare nelle collezioni di un importante museo rappresentava non solo la sopravvivenza, ma
anche il volano di una microeconomia prodotta da collezionisti privati da tale evento sollecitata.
Le scelte operate dalla commissione per gli acquisti istituzionali se non si possono definire
propriamente all'avanguardia, rispettano comunque le proposte più interessanti, anche se in un'area
quasi esclusivamente italiana, e qualche volta addirittura provinciale (ad esempio il Museo di
Trento acquista l'acquaforte di Benvenuto Disertori "Trento - La fontana vista dal campanile del
Duomo").
Certamente interessante è notare come Istituti bancari, Camere di Commercio, Società Elettriche e
di Navigazione e altri enti, sia pubblici che privati erano presenti nell'elenco degli acquirenti, non
con grosse cifre, è vero, ma tuttavia contribuivano a sostenere il mercato, e se ne può dedurre che a
questo venivano sollecitati dagli organi della Biennale, che in tal modo si faceva parte diligente
nella divulgazione e promozione dell'arte contemporanea.
La parte più consistente degli acquisti, non soltanto per numero ma anche per entità economica, era
di competenza del collezionismo privato. Salta all'occhio, ad esempio, che un unico collezionista
acquista in questa Biennale del '20 ben sedici opere di Antonio Mancini, un dipinto di Marius De
Maria, una scultura di Vitaliano Marchini, un dipinto di Pierangelo Stefani, per un totale di
L.1.017.500 pari a L. 1.426.128.000 attuali, un po' meno della metà delle intere vendite avvenute in
quella edizione.
Molti collezionisti acquistano più di un'opera, e in questo caso si tratta evidentemente di
collezionismo già preparato e attento, come nel caso di chi ha acquistato due dipinti di Federico
Beltran Masses (cui era dedicata una mostra individuale nel padiglione Italia), per ben 77.000 lire,
cinque acquerelli e due acqueforti di Paul Signac per 16.700, un olio di Enrico Lionne per 2.500
lire, sei dipinti di Plinio Nomellini per 47.500 lire, e il ritratto in bronzo di Nomellini realizzato da
Italo Amerigo Passani per 2.500 lire. E' chiaramente individuabile la linea della collezione in una
attenzione per il divisionismo italiano, che si specchia nella scelta di Beltran Masses e di Signac per
la parte straniera, e si può aggiungere che, rispetto alla maggior parte degli acquisti, ancora molto
segnati da una adesione a canoni ottocenteschi e a un vedutismo un po' di maniera (del napoletano
Pietro Scoppetta, morto in quell'anno, e al quale era dedicata una retrospettiva si vendettero tutti i
36 dipinti esposti per 59.500 lire pari a 83.395.200; 15 ne vendettero i Ciardi, Guglielmo, Beppe e
Emma, per 108.000 lire, pari a 151.372.800), questo collezionista avesse senz'altro una visione più
moderna e al passo con le nuove proposte.
Per quanto concerne gli acquisti di opere di artisti stranieri salta all'occhio come nessun museo
italiano (tranne la Galleria d'Arte Moderna di Roma, che peraltro acquista soltanto incisioni di
Oleffe, Baertsoen e Artot per L.843 pari a 1.181.548) decida di aprire le proprie collezioni alle
proposte che venivano d'oltralpe. Mentre il gallerista Lino Pesaro e sua sorella Velia comprano
rispettivamente due acqueforti di Signac, sei xilografie di Vallotton e due incisioni di Redon; e i
critici d'arte Margherita Sarfatti e Vittorio Pica scelgono la prima tre incisioni di Laermans e il
secondo tre disegni del russo Grigoriew, per cifre tutto sommato abbastanza modeste.
Gli artisti belgi, presenti sia con una sala di bianco e nero nel Padiglione italiano, sia con un ampio
panorama nel Padiglione del Belgio, hanno un buon riscontro di vendite, soprattutto per quanto
concerne le opere su carta.
Unico acquisto di un certo coraggio è attribuito a Silvius Paoletti, artista veneziano influenzato da
certo simbolismo internazionale, ordinatore della sala di Paul Cézanne, che compra "La bagnante"
scultura in gesso del russo Archipenko per L.1.100 pari a 1.541.760.
L'accenno alla personale dedicata a Cézanne, curata da Paul Signac e ordinata da tre artisti italiani,
(peraltro non fra i più propositivi) il già citato Paoletti, Plinio Nomellini e Beppe Ciardi, introduce
la parte più critica della nostra analisi, e cioè come il collezionismo non fosse indirizzato né
spontaneamente per propria preparazione culturale, né dalla critica d'arte che avrebbe dovuto
ricoprire un ruolo di informazione e di proposta, verso le scelte più interessanti fra quelle che
l'ampio panorama espositivo presentava. Sale personali erano dedicate oltre a Cézanne (28 dipinti),
allo svizzero da poco scomparso Ferdinand Hodler (40 dipinti e una scultura), e al russo Alexandre
Archipenko (86 opere fra sculture e disegni); ma molti altri artisti erano ben rappresentati, da
Matisse (due opere) a Bonnard (due dipinti), da van Gogh (nove dipinti) a Seurat (quattro olii, fra
cui "Il circo"), dalla Gontcharova (quattro opere) a Jawlensky (32 opere). Da questo breve elenco
se ne può dedurre come l'offerta proposta dall'esposizione fosse ricca e molto all'avanguardia, ma il
mercato evidentemente non era pronto a recepirne le indicazioni.
Fra gli artisti italiani della nuova generazione, e pertanto più innovativi rispetto alla stragrande
maggioranza delle presenze, il più fortunato fu Anselmo Bucci, presente con un solo dipinto "In
volo", venduto per ben 20.000 lire, pari a 28.000.000. Non ebbero la stessa fortuna altri artisti che
di lì a poco avrebbero costituito il gruppo del Novecento, (con lo stesso Bucci) Piero Marussig,
Gian Emilio Malerba e Arturo Tosi; quest'ultimo vendette solo "Sentiero" per L. 4.000 pari a
5.604.000. Neppure Virgilio Guidi e lo scultore Arturo Dazzi incontrarono i favori del pubblico.
Mentre Galileo Chini (cui si doveva la decorazione della cupola del padiglione centrale) e lo
scomparso capesarino Umberto Moggioli (cui era stata dedicata una sala commemorativa) ebbero
più successo. Chini vendette a S.M.il Re "Il voto ai dimenticati del mare" per L. 3.600 pari a
5.045.000, mentre di Moggioli furono vendute tre opere, di cui una alla Galleria d'Arte Moderna di
Venezia e una a quella di Roma, per un totale di L. 16.500 pari a 23.116.500.
Ultima considerazione per quanto concerne questa XII Biennale è relativa agli acquirenti stranieri.
In effetti tranne qualche raro nome tedesco o francese non risultano indicazioni in archivio
particolarmente significative circa l'apertura ad un mercato internazionale. Solo un collezionista del
Texas, ma con nome italiano, acquista un discreto numero di opere per ben 183.000 lire, pari
256.383.000. Gli artisti sono: Ambrogio Alciati, Amedeo Bocchi, Adele Carozzi, Amleto Cataldi,
Pietro Fragiacomo, Vincenzo Irolli (due), Antonio Mancini, Plinio Nomellini, Clemente Origo e
Arturo Tosi.
La XIII Biennale del 1922 presenta ben 714 artisti, di cui 326 italiani e 388 stranieri, per un totale di
2.564 opere, delle quali 1.127 italiane e 1.437 straniere. Il totale delle vendite ammonta a
L.1.251.456 (pari a circa 1.500.000.000 attuali) per 575 opere, il 23% circa dell'offerta, delle quali
380 italiane e 195 straniere. I visitatori raggiungono il considerevole numero di 380.544. Tuttavia,
benché l'incremento del pubblico fosse di quasi l'80% rispetto alla Biennale precedente, le vendite
non raggiunsero il 50% della edizione del '20. La situazione politica confusa e grave, che sarebbe
sfociata nell'ottobre nella marcia su Roma, e di conseguenza la crisi economica in atto, sono senza
dubbio i due fattori principali di tale disaffezione dal mercato dell'arte, che per sua natura prospera
quando le condizioni esterne sono positive.
Questa Biennale presenta un'apertura storica e perciò stesso significativa: la mostra di Antonio
Canova con ben venti sculture; cui fa da riscontro quasi provocatorio la mostra sull'arte negra,
esposta per la prima volta in Italia dopo la riscoperta fatta a Parigi dagli artisti d'avanguardia, primo
fra tutti Picasso. Attorno a queste due forti presenze, una neoclassica, l'altra primitiva, vengono
ordinate per la parte italiana un gran numero di personali di forte impronta ottocentesca, da
Francesco Hayez a Mosé Bianchi, da Paolo Troubetskoi a Lino Selvatico. Ma, e qui sta la capacità
della Biennale di proporre dialetticamente posizioni molto lontane e spesso antitetiche, non manca
una personale di Adolfo Wildt e soprattutto del giovane livornese da poco scomparso a Parigi,
Amedeo Modigliani. Per quanto concerne la partecipazione straniera va segnalata la personale
dell'olandese Jan Toorop e la partecipazione di Van Dongen, la presenza del belga Constant
Permeke, le mostre individuali dei francesi Maurice Denis, Emile Bernard, Pierre Bonnard, e le
straordinarie partecipazioni nel padiglione della Germania degli artisti espressionisti, da Feininger a
Kirchner, da Kokoschka a Pechstein, da Schmidt-Rottluff a Beckmann, per non parlare della bella
rassegna di Lovis Corinth e delle sculture di Lehmbruck.
Per quanto concerne le vendite, partendo sempre da quelle istituzionali, si nota che S.M.il Re,
rispetto alla precedente edizione, si avventurò in un certo numero di acquisti di opere di artisti
stranieri: E.Bernard, J. Lawson Kerr, A.Rassenfosse, J.Benlliure, P.Besrodny, B.Vidowscky,
G.Wrba, M.Fortuny, Ph.Zilcken, M.Liebermann, J.Pennell, E.Chahine, per una cifra totale di
L.19.154 pari a 22.831.568. Per quanto concerne gli acquisti di opere d'arte italiana (per le quali la
spesa fu di L. 23.100 pari a 27.535.200) l'interesse di S.M. il Re si indirizzò verso artisti tutto
sommato ancora legati a schemi ottocenteschi come: Castegnaro, Collivadino, Crepet, De Martini,
Irolli, Pigato, Scattola; solo gli acquisti di una scultura di Adolfo Wildt e di un paesaggio di Wolf
Ferrari indicano una maggiore attualità di scelta.
La Galleria d'Arte Moderna di Venezia acquista uno dei due dipinti presentati dal belga Eugène
Laermans "Ombre e raggi" per L.25.OOO (pari a 29.800.000), "Tavola di primavera" del francese
Henri Le Sidaner per L. 10.000 (pari a 11.900.000) e un dipinto di Severino Macchiati, del quale era
stata allestita una sala personale, per L. 1.500 (pari a 1.788.000). La Galleria d'Arte Moderna di
Roma acquista 3 puntesecche di Jan Toorop, due litografie di Max Liebermann, un'acquaforte di
Hans Meid, un disegno di Georg Kolbe e un olio del postmacchiaiolo Llewelyn Lloyd per un totale
di L.6.275 (pari a 7.479.800).
Un unico collezionista di cui si conoscono solo le iniziali e che è stato consigliato da Leopoldo
Brosch, responsabile dell'ufficio stampa della Biennale per la stampa estera, pur comprando solo
acquaforti e incisioni, fatta eccezione per la scultura di Lehmbruck, dimostra di avere attenzione per
le proposte più innovative di questa rassegna. Acquista in effetti venticinque opere soprattutto di
espressionisti tedeschi da Kirchner a Beckmann, da Kokoschka a Pechstein, per un totale di L.6.647
(pari a 7.923.224). Mentre un collezionista di Trieste compra diverse opere su carta e due figure in
porcellana di Barlach, incisioni di Kokoschka e di Lovis Corinth per un totale di L.15.080 (pari a
17.975.360).
Carlo Moser, cui è dedicata nel padiglione centrale una mostra di xilografie, ha certamente in questa
Biennale il record del venduto: cinquantotto fogli!
In complesso va sottolineato come non abbiano avuto alcun riscontro di mercato le opere di
Amedeo Modigliani, così come Bonnard, Maurice Denis, e Monet, solo per citare i casi più
eclatanti. Degli espressionisti tedeschi, che rappresentavano forse la più eccitante novità presentata,
al di là, come si è visto, di qualche foglio di grafica, non si è registrata nessuna vendita
significativa. Bisogna però aggiugere che alcune delle opere inviate in mostra erano di proprietà o
di musei o di collezioni private.
Per quanto concerne gli artisti italiani di nuova generazione, oltre al "Ritratto Solari" di Wildt
acquistato da S.M.il Re, va segnalato solo il dipinto di Felice Carena "La quiete" entrato nella
collezione della Galleria Ricci Oddi di Piacenza per L. 18.000 (pari a 21.456.000).
Nessun acquirente né istituzionale né privato per due capolavori di Carlo Carrà: "I dioscuri" e "La
casa dell'amore".
La XIV Biennale del 1924 offre un panorama ancora più ricco: 972 artisti di cui 363 italiani e 609
stranieri, con ben 3.307 opere, 1244 italiane e 2063 straniere. Il numero dei visitatori è calato
rispetto all'edizione precedente, in compenso si è più che raddoppiato l'incasso delle vendite che
hanno raggiunto L.2.548.901 pari 2.951.742.000 attuali, per un totale di 885 opere (circa il 27%
dell'offerta) delle quali 647 italiane (circa la metà di quelle esposte) e 238 straniere (un po' più del
10%).
Segretario generale è ancora Vittorio Pica che nella sua dimensione innovativa consentì a
Margherita Sarfatti di presentare il gruppo del "Novecento". Undici sono le mostre individuali, e di
diverso carattere; alcune commemorative di artisti scomparsi e legati al ceppo ottocentesco, come
Domenico Induno, Pietro Fragiacomo, Bartolomeo Bezzi, Antonino Leto e Ugo Valeri, altre
dedicate ad artisti delle generazioni emergenti: gli scultori Giuseppe Graziosi e Antonio Maraini,
Felice Casorati, Armando Spadini, Ferruccio Scattola e Ubaldo Oppi. Quest'ultimo era stato uno
dei fondatori del gruppo sarfattiano, e l'aver accettato la proposta di Ojetti, potente critico del
Corriere della Sera, di una sala personale, in deroga agli accordi di partecipare sempre tutti uniti
alle esposizioni, aveva creato un grosso scandalo, e lo aveva fatto tacciare di tradimento. Questa
Biennale viene ormai unanimamente considerata una Biennale di svolta. Infatti non solo si presenta
sulla scena internazionale il gruppo del "Novecento", che tanto segnerà la nostra storia dell'arte fra
le due guerre, ma anche consentirà a Margherita Sarfatti di verificare che la linea proposta, recupero
della tradizione classica, compattezza di forme e di costruzione, attenzione per una tematica meno
aulica, la si può ritrovare in molti altri artisti presenti, da Casorati, a Tozzi, da Guidi a Borra. E
l'anno successivo deciderà di chiamare a raccolta per il 1926 a Milano nelle sale della Permanente
ben 130 artisti riuniti sotto la fortunata definizione di "Novecento Italiano".
La situazione politica è mutata, e di molto, negli ultimi due anni. Benito Mussolini è andato al
potere con un progetto di ricostruzione moderna del paese. Margherita Sarfatti, molto vicina al
Duce, propone una piattaforma culturale sulla quale costruire anche un consenso intellettuale al
progetto politico.
In tale contesto è interessante vedere come il mercato abbia risposto alle nuove proposte. Non si
può dire che il gruppo sarfattiano abbia avuto riscontri importanti da parte né degli enti pubblici, né
dei privati. Anselmo Bucci presenta tre opere e ne vende una sola "La terra" alla Galleria d'Arte
Moderna di Venezia per L. 3.000 (pari a 3.474.000), Leonardo Dudreville espone un solo grande
dipinto "Amore: discorso primo" che resta invenduto; Achille Funi vende solo uno dei quattro olii
presentati, "Una persona due età" per L. 5.000 (pari a 5.790.000), Gian Emilio Malerba non vende
nessuna delle tre opere esposte, Piero Marussig vende per L.4.000 (pari a 4.632.000) un dipinto
"Strumenti musicali" su i quattro in mostra. Il caso più eclatante è quello di Mario Sironi,
certamente la figura più forte ed emblematica non solo del gruppo, ma di un contesto più vasto della
pittura italiana moderna, che, pur esponendo quattro importanti dipinti "L'allieva", "Architetto",
"Figura" e "Venere", non vende nulla. Indicativo è per contrasto il risultato ottenuto dal transfuga
Oppi, che, certamente grazie anche all'appoggio di Ojetti, vende ben 14 delle 23 opere esposte, di
cui una "I pescatori di S.Spirito" alla Galleria d'Arte Moderna di Roma, per un totale di L.90.300
pari a 104.567.400.
Comunque tutti gli artisti presentati con mostre individuali hanno un buon risultato di vendite:
delle 29 opere di Bartolomeo Bezzi, 10 trovano un compratore, e di queste due sono acquistate dalla
Galleria d'Arte Moderna di Venezia; delle 100 di Piero Fragiacomo ben 54 vengono vendute, sei
alla Galleria d'Arte Moderna di Venezia, e quattro alla Galleria d'Arte Moderna di Roma. Minor
fortuna per Domenico Induno, Antonino Leto e Ugo Valeri, del primo si vendono solo tre delle 28
opere esposte, del secondo una soltanto, del terzo nessuna. Per quanto riguarda i viventi già si è
detto del successo di Ubaldo Oppi, ma anche per Felice Casorati, presente con 14 dipinti, si può
parlare di un ottimo riscontro, avendone egli venduti addirittura 10 ("Meriggio" al Museo
Revoltella di Trieste) per un totale di L. 128.853 pari a 148.377.600. E' un luogo comune che la
scultura sia meno appetita dal mercato, ma la sala di Giuseppe Graziosi può considerarsi una
smentita, dato che su 23 sculture presentate ne furono vendute 16 ("L'anfora" alla Galleria d'Arte
Moderna di Firenze), per un totale di 93.000 lire pari a 107.136.000. L'altro scultore cui era stata
dedicata una sala, ricca di 32 opere, era Antonio Maraini, che ne vendette solo sette per L.35.500
pari a 40.896.000, e soltanto a collezionisti privati. Il veneziano Ferruccio Scattola, presentato in
catalogo da Nino Barbantini, e interprete di un vedutismo un po' di maniera, piacevole e luminoso,
vende 14 dipinti dei 27 esposti, di cui due alla Galleria d'Arte Moderna di Venezia, uno a S.M. il
Re, per un totale di L. 56.200 pari a 64.742.400. Meno fortunato Armando Spadini che delle 37
opere presentate ne vende soltanto tre, di cui una alla Galleria Ricci Oddi di Piacenza, per un totale
di L.27.000 pari a 31.104.000.
Per quanto concerne gli acquisti istituzionali, si può aggiugere a quanto già indicato che la Galleria
d'Arte Moderna di Venezia acquista la scultura di Libero Andreotti "Madonna col bambino" per
L.5.000, e un serie di opere di artisti stranieri: il ritratto di Anatole France di Antoine Bourdelle,
"Processione nuziale" dell'ungherese Giulio Rudnay, "Idoli" dell'ungherese Stefano Csòk, "Neve in
Fiandra" del belga Albert Saverys, "Testa di giovane contadino", bronzo del belga Rik Wouters,
"Ritratto di famiglia" del russo Pietro Koncialowsky, "Donne presso il mare" del tedesco Lothar
Bechstein, "Autunno" dell'americano F.C.Frieseke, per un totale di 48.080 lire pari a 55.388.160.
Due collezionisti privati, uno di Trieste e uno di Milano, acquistano per cifre davvero considerevoli,
sia artisti italiani che stranieri. Il primo compra ben 29 opere di artisti d'oltralpe per un totale di
212.845 lire (pari a 245.376.000), e 28 opere di artisti italiani per 314.600 lire (pari a 361.728.000).
L'interesse per quanto riguarda le proposte straniere vanno ad artisti dell'Est, dai russi agli
ungheresi, mentre più vario è il panorama italiano che ha una connotazione ottocentesca nelle scelte
di Milesi, Bazzaro, Bezzi, Italico Brass, Caprile, Laurenti, Romagnoli o Nomellini, ma si spinge poi
anche verso più contemporanei parametri con Casorati, Oppi, Cadorin e Graziosi.
Il collezionista milanese preferisce gli artisti russi, per le scelte straniere, e acquista sette opere per
un totale di L. 24.500 lire pari a 28.224.000. Mentre per le scelte italiane si fa notare per l'acquisto
di cinque olii di Casorati per un totale di 82.353 lire pari a 94.810.000, per un dipinto di Ubaldo
Oppi, "Il fratel prodigo", e uno di Virgilio Guidi, "Ritratto di mia madre", due nature morte di
Onofrio Martinelli e un Baccio M.Bacci "La raccolta delle olive". Ma vicino a questi artisti che
senza dubbio rappresentano la voce nuova dell'arte italiana, mette in collezione anche un certo
numero di opere di artisti più tradizionali come Fragiacomo (quattro dipinti), Pomi, Prati, Bezzi.
Complessivamente investe in arte italiana L. 160.852 pari a 185.470.000.
La stessa sorte toccata a Carrà nella Biennale precedente, tocca ora a due opere di notevole qualità e
dimensione di Giorgio De Chirico, presente per la prima volta a Venezia con "Ottobrata" e "I duelli
a morte" che non trovano acquirenti.
La XV edizione della Biennale presenta 876 artisti, dei quali 365 italiani e 511 stranieri, con 2.573
opere, delle quali 1007 italiane e 1.566 straniere. I visitatori scesero di un terzo, rispetto al 1924,
raggiungendo soltanto le 201.025 presenze. Anche le vendite furono abbastanza limitate nel
numero, meno della metà dell'anno precedente, 367, delle quali 192 italiane e 175 straniere, circa il
14% dell'offerta, per un totale di L.2.427.836, pari a 2.318.740.000, che comunque si avvicinava al
risultato della XIV Biennale.
Ancora vengono organizzate in questa Biennale alcune importanti mostre individuali,
dall'antologica di Giovanni Segantini, ricca di 41 opere fra dipinti e disegni, a quella del napoletano
Giacinto Gigante, dei lombardi scapigliati Emilio Gola e Daniele Ranzoni, alle retrospettive di due
artisti veneziani da poco scomparsi Mario De Maria e Lino Selvatico, e a quella di Armando
Spadini, precocemente mancato l'anno precedente. A queste si aggiungono le sale personali a due
scultori, Eugenio Baroni e Arturo Dazzi, e ai pittori Felice Carena e Ardengo Soffici (presente per
la prima volta a Venezia), oltre all'omaggio dato ai rappresentanti del secondo Futurismo, Fortunato
Depero ed Enrico Prampolini. Fra le mostre individuali organizzate dai paesi stranieri vanno
ricordate l'importante antologica di Arnold Bocklin nel padiglione svizzero, quelle dei belgi
Felicien Rops e George Minne, e dei francesi Marquet, Matisse e Utrillo.
La Galleria d'Arte Moderna di Roma acquista un dipinto di Utrillo, diverse incisioni di Matisse, del
belga Felicien Rops e dello svizzero Bischoff, per una cifra complessiva di L. 31.282 pari a
29.874.000. Mentre per quanto si riferisce all'Italia, entrano nella collezione del museo romano due
"Studi di espressione" dello scultore Baroni, un olio di Carena "Donna nuda", una scultura di Dazzi
"Sogno di bambina", due arazzi di Fortunato Depero, un bassorilievo in rame sbalzato e un arazzo
di Prampolini, due incisioni di Sensani, tre disegni di Sibellato, un olio di Silvio Pucci, un dipinto
di Ardengo Soffici "La toilette del bambino" e il marmo di Wildt "S.Francesco", per un totale di
107.800 pari a 102.949.000.
Analoghe le scelte della Galleria d'Arte Moderna di Venezia che acquista tre litografie di Matisse,
una di Bonnard, e cinque fogli di Felicien Rops per L. 18.758 pari a 17.913.890. Anche per quanto
riguarda gli artisti italiani, vi è quasi una sovrapposizione con il museo romano. Entrano in
collezione una scultura di Baroni e una di Dazzi, un dipinto di Felice Carena e un olio di Arturo
Tosi "Riviera ligure" per un totale di L. 21.500 pari 20.532.500.
La Galleria d'Arte Moderna di Firenze acquista opere dei toscani Baccio M.Bacci, Ardengo Soffici
e Caligiani, oltre a un Carena e un Tosi per un totale di 66.000 pari a 63.030.000.
Il gallerista Gaspare Gussoni acquista un dipinto di Agazzi per L.10.000 e l'unica opera di Filippo
de Pisis, "Natura morta", presente per la prima volta in Biennale, per L.1.000.
Ardengo Soffici acquista un dipinto del collega Pio Semeghini "Paesaggio veneziano" per L.1.500,
mentre Gabriele d'Annunzio compra per ben 30.000 lire una "Canefora" in gesso di Napoleone
Martinuzzi.
Il collezionista triestino che nella Biennale precedente aveva fatto acquisti di notevole importanza,
in questa edizione compra un dipinto di von Stuck "Bathseba" per L.26.750 e un bronzo di Joseph
Bernard "Ragazza alla teletta" per 6.055, due incisioni di Felicien Rops, un dipinto dell'inglese
McCannel per L.4.640, uno dello svedese Fjaestad per L.21.250, "Pont des Arts" di Albert Marquet
per L.13.200 e "Natura morta" di Ensor per L.16.000. Acquista nei padiglioni italiani un dipinto di
De Maria per ben L.25.000, e un disegno di Sibellato per L.1.000.
Va notato che la prima mostra del Futurismo italiano, ordinata da Marinetti nel padiglione
dell'URSS (gentilmente concesso per l'occasione), presenta venti artisti, fra i quali, per la prima
volta in Biennale, Balla, Boccioni e Russolo, soltanto tre dei firmatari del primo manifesto del
1910. Tuttavia il pubblico non dimostra entusiasmo, se nei registri di vendita troviamo esitati solo
degli arazzi di Depero e Prampolini.
Il prezzo più alto per una singola opera è per "Ora mesta" di Segantini (peraltro unico dipinto
venduto dei 10 in mostra) acquistato da una nobildonna di Genova per L. 53.000 pari a 50.615.000.
Anche in questa Biennale Carrà, presente con un "Paesaggio" e "L'attesa" non trova compratori. La
stessa sorte tocca a Gino Rossi, che per la prima volta è accolto a Venezia con due olii e un
disegno, e a molti altri artisti del Novecento, da Funi a Marussig, da Dudreville a Oppi.
Ancora una volta le scelte del mercato non vanno, se non per qualche rara eccezione, nella
direzione del nuovo, se neppure il bel padiglione tedesco che presenta opere, fra gli altri, di Otto
Dix, Beckmann, Pechstein, Kanoldt, Feininger e Schrimpf trova acquirenti.
La XVI edizione della Biennale del 1928 è la prima che vede Antonio Maraini, lo scultore di cui era
stata presentata una sala personale nel 1924, in veste di segretario generale al posto del
dimissionario Vittorio Pica. Sono presenti 1043 artisti con 2725 opere, 476 sono gli italiani e 567
gli stranieri, rispettivamente con 1023 e 1702 opere. Le vendite, per un totale di L.1.434.747 (pari a
1.618.454.400), non superano il 13% dell'offerta e raggiungono il numero complessivo di 350
opere, delle quali 243 italiane e 107 straniere. I visitatori sono ancora in calo con 172.841 presenze.
In questa Biennale non vengono organizzate mostre individuali, ma, per la parte storica, una grande
mostra retrospettiva dell'Ottocento italiano ricca di ben 93 artisti con 224 opere. Per quanto
concerne i padiglioni stranieri molte sono invece le sale personali fra le quali vanno segnalate quelle
di Gauguin, Bourdelle e Matisse, per la Francia, e quelle di Lovis Corinth, Franc Marc e Nolde per
la Germania.
La documentazione epistolare relativa a questa Biennale, mancante per le precedenti edizioni, ci
consente di meglio analizzare lo svolgimento di alcune vendite pubbliche. Ad esempio da una
lettera a Piero Orsi, Podestà di Venezia e Presidente della Biennale, si evince come a lui fossero
affidate le scelte di S.M.il Re. In effetti la Real Casa inviava al Conte Orsi un vaglia di L. 25.000
(pari a 28.200.000) incaricandolo degli acquisti, ed è probabile che tale incarico egli abbia avuto
anche precedentemente. Bisogna però aggiungere che le scelte non sono felicissime, essendo
distribuita la cifra un po' a pioggia su opere di artisti non certo di primo piano e che rivelano un
gusto un tantino vecchio stile (Cainelli, Mauroner, Dani, De Martino, Favai, Farina, Montezemolo,
Petrella da Bologna, Ravenna, Salietti, Santagata, Scarpa Bolla).
Anche gli acquisti della Galleria d'Arte Moderna di Venezia, realizzati con uno stanziamento del
Comune, venivano, se non imposti, suggeriti dal Conte Orsi. Tuttavia in questo caso le scelte sono
senza dubbio più interessanti: per gli acquisti di opere straniere entra nelle collezioni del museo
veneziano "Il rabbino" di Marc Chagall, acquistato a L. 25.000 (la stessa cifra spesa dalla Real
Casa!). Mentre per la parte italiana vengono acquistati dipinti di Carrà, Funi, Morandi (una natura
morta e un paesaggio), Semeghini, Springolo, e Trifoglio, per un totale (comprensivo di Chagall e
di altre due opere di artisti stranieri) di L. 53.353 pari a 60.182.184.
Gli acquisti per la Galleria d'Arte Moderna di Milano erano invece affidati a una commissione
composta da Giorgio Nicodemi, Antonio Maraini e Margherita Sarfatti, che scelsero opere di Tosi,
Carrà, Funi, Salietti, Campigli, Marussig, Tozzi e Dudreville per un totale di L. 44.000 pari a
49.632.000. Dai registri è possibile anche evidenziare la differenza fra prezzo di richiesta e prezzo
di vendita, che, come si è detto, quando si trattava di destinazione museale, veniva fortemente
decurtato. L'esempio più eclatante è relativo al dipinto "Cavalli" di Carrà la cui richiesta era di
L.70.000 e che è stato venduto alla Galleria d'Arte Moderna di Roma per L. 25.000 (che comunque
era il prezzo pagato per "Il rabbino" di Chagall). Oltre al Carrà entrarono nella collezione della
Galleria Nazionale dipinti di Bacci, Casorati, De Grada, Guidi, Arturo Martini (lo straordinario
altorilievo in pietra "Orfeo" per sole 15.000 lire), Martinuzzi, Morandi (12 acqueforti), Mazzoni
Zarini, Pizzirani, Salietti, Semeghini, Sironi e Trifoglio, per un totale di L. 82.750 pari a
93.342.000.
Questa Biennale segna senza dubbio un grande successo per Carrà, infatti dei 19 dipinti presentati
(tre dei quali di proprietà privata), ne vendette sei, e di questi quattro furono acquistati dai musei di
Torino, Milano, Venezia e Roma. Ma anche Sironi vende quattro dipinti dei nove esposti, e due ai
musei di Roma e Milano, così Funi, Marussig e Salietti; insomma tutta l'area novecentesca
finalmente incontra il favore non solo del pubblico, ma soprattutto delle collezioni pubbliche.
Fra gli acquisti da parte di privati collezionisti va segnalato un industriale di Philadelfia che sceglie
quattro sculture di Antoine Bourdelle, quattro di Matisse, tre di Pompon, e tre di Pablo Gargallo,
una di Maraini, un dipinto di Innocenti e altre opere di artisti meno significativi, spagnoli e inglesi,
per un totale di L. 156.513 pari a 176.543.400. Da notare che le tre sculture di Pablo Gargallo sono
vendute a L. 12.000, quasi il doppio delle quattro di Matisse, per le quali spese L. 6.500, mentre " I
quattro evangelisti" di Maraini gli costarono L. 4.000.
Non ebbero fortuna in questa Biennale Nolde, Gauguin, Zadkine, la Gontcharova, tutta la scuola di
Parigi, e in genere gli artisti tedeschi, peraltro ben rappresentati (da Dix a Beckmann, da Kirchner a
Schmidt-Rottluff).
La Biennale del 1930 vedeva un numero ancora più alto di espositori, ben 1329, dei quali 611
italiani e 718 stranieri, con 3000 opere, rispettivamente 1365 e 1635. Le vendite, tuttavia toccarono
uno dei punti più bassi, con soltanto 350 opere collocate (243 italiane e 107 straniere), poco meno
del 12% rispetto all'offerta, per un totale del L.1.407.892 pari a 1.613.568.000. Evidentemente la
depressione economica del '29 colpiva anche il mercato dell'arte. Per contro il numero dei visitatori
registra un lieve incremento rispetto all'edizione precedente: 193.003 presenze.
Il presidente non è più il Podestà Orsi, che è stato peraltro sostituito da Ettore Zorzi, ma il Ministro
di Stato Giuseppe Volpi di Misurata. Segretario generale è ancora Antonio Maraini. Da una lettera
del Podestà Zorzi al Segretario Amministrativo Bazzoni, si viene a conoscenza della Commissione
istituita per gli acquisti destinati alla Galleria d'Arte Moderna di Venezia, composta da Bordiga,
Maraini, Barbantini, B.Ciardi e I.Brass; e della cifra disponibile che è stata ridotta a sole L. 10.000
pari a 11.460.000. Dagli elenchi risulta acquistato solo un dipinto di Dudreville per L. 6.000 per
quanto riguarda gli artisti italiani. Il dipinto "Georgica" di Lorenzo Viani entra nella collezione del
museo veneziano, ma è acquistato da S.M.il Re per L. 8.000.
Sempre dalla corrispondenza trovata in archivio si conosce la commissione per gli acquisti della
Galleria d'Arte Moderna di Milano, composta da Sironi, Wildt, Sarfatti, Pratelli, Carrà, Conte e
Nicodemi, che scelgono una scultura di Romanelli, e dipinti di Casorati, Funi, Canegrati e Morandi.
E' interessante notare che il prezzo pagato per la grande natura morta di Morandi (L. 2.200) è il più
basso rispetto a quello degli altri artisti, mentre è certamente quello che ha avuto nel tempo la
maggiore rivalutazione. Infatti per Casorati furono spese L. 9.000, per Funi L. 6.500, per Canegrati
L. 3.300 e per Romanelli L. 9.000.
La Galleria d'Arte Moderna di Roma è il museo che maggiormente si arricchisce di opere in questa
Biennale, acquistandone ben 29 per un totale di 113.000 lire pari a 129.498.000. Il panorama delle
scelte è abbastanza diversificato: da de Pisis a Libero Andreotti (il cui costo per "Il brandano
pescatore" era di L. 20.000, quattro volte più alto della "Donna dormente" in terracotta di Marino
Marini), da Donghi a Prampolini, da Messina a Innocenti, con un contorno di minori come Pigato,
Marchesini, Settala o Monti. Da sottolineare come il dipinto di Amerigo Bartoli "Gli amici al caffè"
sia stato pagato quasi cinque volte di più della "Natura morta" di de Pisis.
Anche le Gallerie d'Arte Moderna di Palermo, Genova, Torino e Firenze acquistano in questa
Biennale, ma nessuna opera di rilievo, se si escludono i tre Casorati entrati nelle collezioni di
Torino, Firenze e Genova, il Donghi "Donna alla Finestra" a Firenze, e "Il pugilatore" di Messina
(L.15.000) a Torino.
Quest'anno le mostre storiche organizzate dal Padiglione Italia sono solo due, e molto distanti fra
loro: Amedeo Modigliani con 38 olii, due sculture e 40 disegni, ed Ettore Tito con 45 dipinti.
Affianca il panorama delle arti maggiori la Mostra dell'orafo, organizzata per la prima volta, e che
incontra un buon successo di vendite.
Nei padiglioni stranieri si spazia da una ricca mostra di incisioni di Toulouse-Lautrec, a van
Dongen, da Klee a Schmidt-Rottluff, da Epstein a Moore, per citare solo le presenze più importanti.
In archivio si è rintracciata la lista dei prezzi in franchi francesi delle opere di Modigliani, che si
presentavano per la seconda volta in Italia dopo l’edizione del 1922. Il cambio del franco era circa
0.75, si può pertanto ricostruire i valori richiesti, che andavano da un minimo di FF.10.000 pari a
7.500 lire (8.595.000 attuali), per i disegni a un massimo di FF. 375.000 pari a 281.250 lire
(322.312.500 attuali) . Sta di fatto però che, mentre sono stati venduti otto dipinti di Tito (sei allo
stesso collezionista) a cifre oscillanti fra le 25.000 e le 40.000 lire, nessun quadro e neppure disegno
di Modigliani ha trovato compratori. Stessa sorte è toccata a Klee, ai giovani Moore e Max Ernst, a
Feininger o a Hopper, e a tutti gli altri importanti artisti stranieri presenti. Da segnalare solo due
vendite interessanti da parte di collezionisti stranieri: un van Dongen per 59.960 lire pari a
68.760.000, e una "Natura morta" dell'inglese Malcolm Milne per L.52.100 pari a 59.592.000.
Molto pochi in questa Biennale i collezionisti privati, aumentati di numero i collezionisti stranieri,
soprattutto americani e inglesi. Va sottolineato che molti acquisti sono riconducibili a banche,
società, Federazioni e Municipi.
Ultima notazione: Alberto Magnelli acquista tre opere: due
acqueforti di Bartolini e un de Pisis per L.1.500; anche Romano Romanelli acquista un Bartolini,
mentre C.E. Oppo compra un dipinto di Graziani per L.1.000.
La Biennale del 1932 offre un panorama di ben 3229 opere di 916 artisti, 325 italiani e 591
stranieri, rispettivamente con 1579 e 1650 opere. Se ne vendono 516, il 16% dell'offerta, delle quali
457 italiane e solo 59 straniere per un totale, che è il più basso registrato nella storia della Biennale
fino ad ora, di L. 1.154.675 pari a 1.501.000.000. I visitatori hanno un incremento di circa il 30%
rispetto all'anno precedente e raggiungono le 249.960 presenze.
Moltissime le mostre individuali: cinque storiche: Boldini, Bugatti, Gemito, Michetti, Romolo
Romani; e ben diciannove di artisti contemporanei: Carpi, Colacicchi, Dazzi, De Chirico, De
Grada, Depero, de Pisis, Funi, Marchini, Arturo Martini, Minerbi, Montanari, Morozzi, Prampolini,
Salietti, Severini, Sobrero, Vagnetti e Viterbo. A questa imponente schiera si affiancava una mostra
retrospettiva di trent'anni d'arte veneziana (1870-1900) con venti artisti e 66 opere. Molto minore,
proporzionalmente, il numero delle mostre individuali organizzate dai padiglioni stranieri, fra le
quali vanno ricordate quella di Monet, di Kisling, di Zadkine, di Bellows e di Arthur B.Davies.
I musei sono i grandi acquirenti di questa Biennale, e coprono più del 70% del venduto. Il
Ministero dell'Educazione Nazionale acquista, destinandole alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna
di Roma, ben 45 opere, per L.133.000 pari a 173.299.000. La commissione per gli acquisti è
composta da Libero Andreotti, Carena, C.E.Oppo, Ojetti e lo scultore Selva. Gli artisti più noti sono
de Pisis, De Chirico, Borra, Tosi, Cagnaccio, Funi, Salietti, Depero, Fillia e Dottori. E' interessante
notare che l'opera di De Chirico "Natura morta" è stata pagata lo stesso prezzo del dipinto di Baccio
M.Bacci "Entrata a Boboli", 4.000 lire; così come la "Via di Parigi" di de Pisis valeva la stessa cifra
di "Case di Marignolle" di Achille Lega, 1500 lire.
Diverse informazioni emergono dalla documentazione epistolare conservata negli archivi della
Biennale. Prima fra tutte la frequente domanda da parte degli artisti meno fortunati di ottenere un
appoggio per poter entrare negli interessi degli acquirenti istituzionali (Ministero delle
Corporazioni, Conf. Gen. Fascista, Conf. Naz. Artisti, Opera Naz. Balilla ecc.). In secondo luogo le
lamentele di alcuni vecchi artisti di stampo più tradizionale, come Milesi o Scattola, che, dopo anni
di fortuna mercantile, vedono passare quasi sotto silenzio le loro presenze in Biennale. In effetti il
gusto, al giro di boa degli anni Trenta, sta decisamente cambiando, e se ancora non si può dire che
gli acquirenti pubblici e privati siano diventati coraggiosi, certamente si può affermare che la linea
ottocentesca ha sempre minori estimatori. Un altro elemento interessante sono le pressioni da parte
di alti funzionari del partito fascista circa alcuni nomi da sottoporre alle commissioni acquisti.
Aumentano di numero i collezionisti stranieri, ma soprattutto per la prima volta incontriamo due
musei importanti stranieri che acquistano in Biennale: lo Whitney Museum di New York, e la
Galleria Nazionale di Berlino. Quest'ultima acquista quasi esclusivamente arte italiana, con scelte di
ottima qualità: Modigliani, Carrà, Casorati, due Sironi, due De Chirico, Severini, Tozzi, due Funi,
Gigiotti Zanini, Montanari, Salietti, Colacicchi, per una cifra complessiva di L. 92.000 pari a
119.876.000 (la metà dei quali per Modigliani).
Il prezzo più alto per singola opera è pagato dall'Amministrazione Provinciale di Pescara per la
vasta tela di Michetti "La figlia di Jorio", acquistata per ben 169.200 pari a 221.000.000 dalla
Galleria Nazionale di Berlino, che ne era proprietaria. E' evidente che il direttore del museo tedesco
aveva individuato la possibilità nella vendita del dipinto del maestro abruzzese di rinnovare la
propria collezione inserendo artisti contemporanei più collegati con i nuovi linguaggi.
Giorgio De Chirico, che presenta 15 dipinti nella sala degli italiani di Parigi, ha un buon successo
di vendite, avendone esitati ben sei. Margherita Sarfatti acquista per L. 5.000 i "Maratoneti".
Sironi, che presenta 7 dipinti, ne vende 6: oltre ai due alla Galleria Nazionale di Berlino, la grande
"Famiglia" a Marcello Piacentini, il "Pastore" al Museo Revoltella di Trieste, "Meriggio" alla
Galleria d'Arte Moderna di Firenze, e "Eremo" ai Principi di Piemonte.
Ancora presenti gli aeropittori futuristi, coordinati da Marinetti, con un miglior esito di vendite
rispetto alle edizioni precedenti, Depero vende tre opere, Prampolini due, Fillia due, Dottori tre,
Tato due.
La XIX Biennale del 1934 presenta ben 4222 opere delle quali 1813 di artisti italiani, e 2409 di
artisti stranieri, che sono rispettivamente 608 i primi e 827 i secondi. Malgrado il numero delle
opere esposte fosse maggiore del 30% rispetto all'edizione precedente, il venduto è per contro
inferiore di circa il 30%, raggiungendo per le 563 opere collocate solo le 915.185 lire, pari a
1.336.170.100 attuali. I visitatori hanno un forte incremento raggiungendo le 361.917 presenze.
Nel Padiglione Italia viene allestita una importante mostra dedicata a "Il ritratto dell'800" che
raccoglie circa 500 opere di artisti di 14 paesi. Di queste circa 200 sono di artisti italiani. Unica
mostra personale è la retrospettiva dello scultore Libero Andreotti, scomparso l'anno precedente,
che allinea una quarantina di opere, fra sculture, bozzetti e medaglie. Ancora affidata a Marinetti la
"Mostra degli aeropittori futuristi italiani" ricca di ben 80 opere di 42 artisti. Nei padiglioni
stranieri molte le mostre retrospettive e personali fra le quali ricordiamo quella di Edouard Manet e
di Pierre Bonnard, e quella del belga Armand Rassenfosse. Il padiglione della Germania, che torna
alla Biennale dopo l'assenza del 1932, causata da problemi economici che lo aveva fatto cedere
all'Austria, rappresenta non soltanto il profondo mutamento politico intervenuto con la presa di
potere di Hitler, ma anche il mutamento del clima culturale. In effetti molti degli artisti presenti alle
Biennali precedenti sono stati tacciati di 'arte degenerata' e i loro quadri bruciati. Molti di loro sono
emigrati in America. L'atmosfera che si respira nel padiglione della Germania in questo 1934, con
la presenza del Reich all'inaugurazione, è quella di una pittura e una scultura intrisa di demagogia e
di falso perbenismo.
Dai registri delle vendite risultano molto pochi gli acquisti di opere di artisti stranieri (solo 159),
che hanno un maggior successo per quanto riguarda il Padiglione delle Arti Decorative. L'unico
acquisto di rilievo fra le proposte d'oltralpe è quello del dipinto di Pierre Bonnard "Toilette Vernon"
entrato a far parte della collezione della Galleria d'Arte Moderna di Venezia per L. 27.100 pari a
39.566.000 attuali.
Ancora molti gli acquisti istituzionali. Prima di tutto i musei, come sempre. Per la Civica Galleria
di Torino gli acquisti sono condotti dal direttore Vittorio Viale affiancato da una commissione
composta da G.Pacchioni, E.Zanzi, M.Guerrisi, D.Valinotti, C.Borbonese. Vengono scelte opere di
Carena, Oppo, Romanelli, Casorati, Terzolo, Terracini, Rassenfosse, Guerrisi e Lipinsky per circa
L. 70.000 pari a 102.200.000. Da notare che l'"Estate" di Carena, opera che anche il Ministero
dell'Educazione avrebbe desiderato acquistare per la Galleria Nazionale di Roma, fu pagata ben
28.000 lire, quasi tre volte il ritratto di "Daphne" di Casorati (L.10.000).
La Galleria Ricci Oddi di Piacenza acquista una scultura di Libero Andreotti per L. 30.000, "Donne
in barca" di Casorati per L.8.000, un monotipo di Romeo Costetti per L.500 e una "Natura morta" di
Piero Marussig per L.1.500.
La Galleria d'Arte Moderna di Genova acquista una scultura di Andreotti per L.12.000, e un gruppo
di opere di artisti genovesi, Dodero per L.3.000, Peluzzi per L.2.000, Rambaldi per L.1.800,
Saccorotti per L.2.000, Salietti per L.4.000 e Santagata per L.2.500, confermando la linea regionale
nelle scelte per le civiche raccolte.
Più diversificati e interessanti gli acquisti del Ministero dell'Educazione Nazionale che sceglie, con
una apposita commissione e con destinazione Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, quattro
sculture, fra le quali una molto importante di Andreotti "Africo e Mensola" per L. 40.000 (pari a
58.400.000), quattordici dipinti, per un totale di L. 33.800 (pari a 49.348.000), fra i quali un Rosai,
un Pirandello, un Marussig e un Cagnaccio, ben 26 opere dalla sezione 'Bianco e nero' (fra le quali
un acquaforte di Morandi per L.150), e sette opere di artisti stranieri per un totale di L.40.880 (pari
a 59.684.800), fra cui un'opera di Dunoyer de Segonzac.
Anche la Presidenza del Consiglio compie diversi acquisti, destinati alla Galleria d'Arte Moderna di
Venezia, e dagli archivi risulta che questi erano di competenza degli organi della Biennale, in base
soprattutto al parere espresso da Mussolini. Vengono scelte opere di Brancaccio, Bucci, Caligiani,
Casorati, Delisi, Ferrazzi, Gregori, Lilloni, Marchig, G.Montanari, Prini, Rosai, Salietti, Stefani,
Tato, Vellani Marchi, Sgarlata, Tavolara e Wolf Ferrari, per una cifra complessiva di L. 37.900
(pari a 55.334.000). Interessante notare che la cifra più alta per singola opera è stata spesa per il
dipinto "Estate" di Giannino Marchig: L. 5.000, più del doppio di quanto pagato per il dipinto
"Ritratto" di Casorati (L. 2.000). Sempre dagli archivi è possibile confrontare il prezzo di domanda
e il prezzo di offerta, che complessivamente è meno della metà della richiesta. Ad esempio l'opera
di Bucci "Il barroccio nuovo" viene pagata L. 2.000 contro un prezzo iniziale di L. 6.000; stessa
sorte per "Ritratto" di Casorati per il quale, come si è detto, vengono pagate L. 2.000 mentre la
richiesta era di L. 6.000.
Crescono le confederazioni fasciste che acquistano opere d'arte, da quella del Commercio, a quella
degli Artisti, a quella degli Industriali. Presente costantemente fra gli acquirenti S.M. il Re, ma con
scelte sempre di tono moderato, così come le grandi banche e i municipi. I privati non raggiungono,
per quanto concerne le vendite di opere italiane, il 30% degli acquirenti.
Dalla corrispondenza a Maraini o a Romolo Bazzoni, cui era affidato l'incarico di coordinare
l'ufficio vendite, spesso emergono scontenti e malumori da parte di artisti che si vedono fare
controfferte bassissime, o che si vedono tralasciati dalla rosa dei possibili acquisti istituzionali.
Nel fascicolo "Statistiche" si trova un elenco interessante a proposito delle preferenze del pubblico
circa i padiglioni stranieri. Nel padiglione del Belgio i più ammirati sono Rassenfosse e Opsomer,
mentre in Francia incontrano interesse le opere di Bonnard (ma se ne venderà una sola, come si è
visto). Nel padiglione della Grecia suscitano apprezzamenti soprattutto le opere di Argyros e di
Gheralis, con anche qualche vendita. Da sottolineare che il ricco padiglione degli Stati Uniti non
registra nessuna vendita, malgrado che vi espongano fra gli altri personaggi come Georgia
O'Keeffe, Edward Hopper, Thomas Benton e Charles Sheeler.
Fra gli italiani la retrospettiva di Andreotti ha un buon successo con ben nove opere vendute, di cui
tre a musei, a prezzi anche molto elevati (dalle 3.000 alle 40.000 lire); Filippo de Pisis vende tre
delle quattro opere esposte a L. 1.000 ciascuna (pari a 1.460.000), Piero Marussig ne vende due su
cinque, e Rosai tre su sette, così come Felice Casorati.
Ferruccio Scattola, che nella Biennale del '24 aveva riscosso un enorme consenso di pubblico e di
vendite, si lamenta per le poche e bassissime offerte in una lettera a Bazzoni. In dieci anni il gusto è
cambiato e il pubblico sta volgendosi, anche se lentamente, verso le nuove espressioni dell'arte.
La Biennale del 1936, giunge alla XX edizione, sempre sotto la presidenza di Volpi di Misurata e il
Segretario Generale Maraini. Sono presentate 3.604 opere di 1.252 artisti, dei quali 737 italiani e
515 stranieri, rispettivamente con 1.859 opere i primi, e 1.745 i secondi. I visitatori calano di quasi
il 40%, raggiungendo solo le 194.702 presenze. Anche le vendite non sono brillanti, per le 516
opere vendute la cifra pagata è di 912.500 lire, pari a 1.221.837.500 attuali. Poche e non
particolarmente significative le vendite da parte degli artisti stranieri. Interesse suscitano gli artisti
ungheresi, belgi e polacchi. La Francia presenta una retrospettiva di Edgar Degas con ben 23 opere,
quasi una personale di Maurice Denis con quindici tele, quattro dipinti di Gromaire, tre della
Laurencin, dodici di Albert Marquet, senza però suscitare l'interesse né dei musei né dei privati.
La commissione per gli acquisti del Ministero dell'Educazione Nazionale, è composta da Ojetti,
Rubino, Arch.Forlati (Sovrintendente per l'Arte Medievale e Moderna di Venezia) e prof.Aru.
Vengono scelte opere di B.M.Bacci, L. Bartolini (incisione), Berti, Biancini, Caffassi, Casarini,
Chessa, Conti, Crocetti, Ferrazzi, Marini, Martinuzzi, Mascherini, Pigato, Pozzi, Prini, Privato,
Rivalta, Salietti, Seibezzi, Steffenini, Striccoli, Stultus, Terracini, Tofanari, Vagaggini, Valinotti,
Viani (illustrazione), per un totale di L. 94.250 pari a 126.200.750 attuali. Notiamo che le sculture
di Berti, di Crocetti e di Biancini vengono pagate ciascuna L. 5.000, l'"Antilope morente" di
Tofanari ben L.10.000, mentre solo 3.000 lire il "Ritratto" di Marino Marini.
La Galleria d'Arte Moderna di Venezia acquista per complessive L.31.050 alcune opere di artisti
stranieri (dipinti del francese Lotiron, dei belgi Rudnay e Paerels, un acquerello del cecoslovacco
Slavigek, due sculture del tedesco Utech e del danese Henning), e, per quanto riguarda l'Italia, il
"Centometrista" di Martini (richiesta L. 7.000, prezzo finale L. 4.500), un affresco di Barbisan, un
olio di Seibezzi, una terracotta di Lucarda, e un olio di Da Venezia, decurtato drasticamente da L.
4.000 a L. 1.000.
Gli acquisti della Galleria d'Arte Moderna di Milano vengono scelti da Giorgio Nicodemi. Entrano
pertanto nelle civiche raccolte milanesi opere di B.M.Bacci, Biancini, Bracchi, Donghi, Fabricatore,
Ferrazzi, Festa Piacentini, O.Grosso, Guerrini, Guerrisi, B.Innocenti, Lucarda, Marchig, E.Martini,
P.Marussig, Messina, Michaelles ("Il Duce"), Palazzi, Pomi, Severini, Soffici, G.Tallone, Tofanari,
Tosi, Usellini, Vellani Marchi, per una cifra complessiva di L. 84.750 pari a 113.480.250 attuali. Da
notare che il grande dipinto "Bagutta" di Palazzi viene venduto a ben L. 8.000, mentre sia Severini
che Soffici, pur nelle dimensioni più ridotte delle opere, raggiungono soltanto le 3.000 lire
ciascuno; e che "Luce di un giorno d'estate" di Marchig viene pagato L. 6.000, il ritratto di Guido
Tallone L. 5.000, contro le 4.650 spese per "Margherita" di Donghi o le 2.000 per la "Natura morta"
di Tosi.
La Galleria d'Arte Moderna di Torino acquista per complessive L.37.850 pari a 50.681.150 attuali
sculture di B.Innocenti, Gelli, Berti, un affresco di Vagnetti, dipinti di Ferrazzi (pagato L. 5.000
contro le 10.000 richieste), Paulucci e Deabate, acquerelli di Chessa e Quaglino, incisioni di
Mauroner, Zamboni, Chiappelli e Branca.
Il Comune di Genova acquista per le civiche raccolte "Il pastore" di Arturo Martini , dipinti di De
Grada, De Salvo, Saccorotti, Santagata e Vagnetti, per un totale di L. 15.200. Va sottolineato che
l'opera di Santagata viene pagata L. 3.300 mentre solo L. 2.500 vanno alla scultura di Martini.
Il Museo Jeu de Paume di Parigi acquista per la prima volta in Biennale, scegliendo "Ponte
caricatore" di Carrà per L. 3.000, e "La tempesta" di Ferrazzi per L. 1.600.
Margherita Sarfatti sceglie "Torso di donna" di Carrà per L. 2.000.
Ettore Tito, il vecchio pittore veneziano di cui si presenta una mostra individuale con 26 tele, vende
ben dieci opere, tutte a collezionisti privati e a prezzi sostenuti (dalle 5.000 alle 23.000 lire).
De Pisis presenta nove dipinti, fra i quali "Natura morta, con pani" e "Natura morta aerea", ma
vende soltanto il paesaggio "Casa di Guascogna" per sole L. 1.200. Savinio espone tre opere, fra le
quali "Adamo ed Eva", ma vende soltanto il "Paesaggio tropicale" a L. 1.500 a un collezionista
privato. Severini, presente con una sala personale, vende solo tre delle 17 opere presentate.
Pirandello espone sette dipinti fra i quali l'importante "Donne di casa", ma vende soltanto "Veduta
di Roma" alla Confederazione Fascista Artisti per L. 1.200. Virgilio Guidi non vende nessuno degli
undici dipinti esposti. A Gigi Chessa, scomparso prematuramente nel 1935, viene dedicata una
retrospettiva ricca di ben 45 opere, delle quali tuttavia solo tre vengono vendute. Marino Marini
presenta una bella sala con 9 sculture in terracotta, pietra e gesso, ma vende solo il "Ritratto" di cui
si è già detto. Il padiglione dell'URSS ospita ancora una volta la mostra dei Futuristi italiani con
ben 39 artisti e 113 opere, ma con uno scarsissimo successo di vendite: una "Aeropittura" di
Korompay e "Meriggio coloniale" di Pippo Oriani.
Mancano in questa edizione gli acquisti della Presidenza del Consiglio.
La XXI Biennale del 1938 presenta 3.388 opere di 822 artisti, 394 italiani e 428 stranieri,
rispettivamente con 1.203 e 2.185 opere. I visitatori subiscono ancora un calo rispetto all'edizione
precedente, raggiungendo le 175.619 presenze. Malgrado ciò l'importo totale delle vendite (pur per
un numero inferiore di opere vendute, solo 459), cresce di oltre il 33%, con un traguardo di L.
1.225.456 pari a 1.392.168.000 attuali.
Vengono istituiti in questa Biennale i Gran Premi, 25.000 lire l'uno per la pittura e la scultura,
italiana e straniera, e 5.000 per gli incisori, per un totale di 110.000 pari a 125.000.000 attuale.
Ignacio Zuloaga e Felice Casorati vinceranno i premi per la pittura; Herman Hubacher e Venanzo
Crocetti quelli per la scultura; Huges Stanton Blair e Mario Delitala per la grafica.
Due grandi mostre occupano il padiglione centrale: la Mostra internazionale del paesaggio
dell'ottocento (con 238 opere di 204 artisti europei e americani, con la sola esclusione della
Germania, per propria rinuncia) e la Mostra nazionale dei concorsi per la decorazione murale, per il
ritratto e il paesaggio, la stampa e la medaglia. A queste si aggiunge la mostra retrospettiva di Piero
Marussig, morto l'anno precedente, e la mostra dell'Aeropittura futurista. La Francia presenta una
retrospettiva di Renoir.
La commissione incaricata degli acquisti per il Ministero dell'Educazione Nazionale, destinati alla
Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, è composta da C.E.Oppo, Roberto Papini, Maccari,
Roberto Longhi, Griselli, Biscottini (direttore generale Belle Arti del Ministero). Acquistano due
puntesecche di Anselmo Bucci, dipinti di Daphne M. Casorati, Emanuele Cavalli, Ceracchini,
Ciardo, Colacicchi, Davoli, De Grada, De Salvo, Gordigiani, Menzio (due), Rosai, Saetti (due),
Seibezzi, Luigi Tito, Palazzi , Prampolini e Vellani Marchi; sculture di Oscar Gallo, Crocetti,
Fazzini, Guerrisi, Bruno Innocenti, Manzù, Mascherini, per circa 70.000 lire pari a 79.520.000
attuali. A queste si aggiungono dodici opere di artisti stranieri, scelti da Pallucchini e Maraini, fra i
quali segnaliamo "Cagnes" dell'inglese Paul Nash, e "Figura di donna" dello spagnolo Pedro Pruna.
Il comune di Venezia acquista, destinandoli alla Galleria d'Arte Moderna, due tempere di Charles
Dufresne, un dipinto del belga Pierre Paulus, due acquerelli dell'ungherese Eugenio Kirchner, e un
affresco di Guido Cadorin. Mentre la Galleria d'Arte Moderna di Firenze sceglie dipinti di Caffè,
Brancaccio e Casorati per complessive 7.500 lire pari a 8.542.500 attuali.
Il Museo Civico di Torino acquista dipinti di Brancaccio, Tosi, Casorati e Peluzzi per complessive
31.000 lire pari a 35.309.000 attuali.
S.M.il Re acquista diversi dipinti di artisti italiani, Primo Conti, Gianniotti, Tonello, Wolf Ferrari,
Dottori, Cadorin, e tre opere di artisti stranieri, Boznanska (Polonia), Maks (Olanda), Skold
(Svezia).
Sempre presenti gli acquisti delle grandi banche, delle Confederazioni Fasciste, delle Pubbliche
Amministrazioni e di vari Ministeri, oltre a quello dell'Educazione, già menzionato.
Compaiono per la prima volta nomi di importanti collezionisti, come Jesi (che acquista due
Vagnetti, un Rosai e un De Grada), Stramezzi (che sceglie due dipinti di Italico Brass, un Menzio,
un Fabricatore, due artisti belgi, e tre francesi), Hintermann, Marinotti, o Marzotto.
Notevole il successo di vendite del giovane scultore triestino Marcello Mascherini che vende otto
delle sedici sculture esposte, così come il napoletano Giovanni Brancaccio vende otto dei sedici
dipinti presentati. Anche Mino Maccari che espone una cinquantina di opere in bianco e nero, ha
un buon riscontro di mercato, con sedici fogli venduti.
Da un resoconto circa le vendite effettuate nei diversi padiglioni stranieri risulta che la Germania è
la nazione con il più alto importo di vendite: 131.718 lire, di cui 109.481 spese dal Ministero della
Propaganda del Reich, per l'acquisto dei propri artisti. Al secondo posto c'è la Francia con 128.116
lire, delle quali 73.528 (pari a 83.530.000 attuali) spese da Romano Gazzera per l'acquisto di due
Renoir.
La XXII edizione della Biennale apre i battenti il 18 maggio 1940, in un clima di guerra, e con la
defezione, certamente politica, di molti paesi stranieri: Francia, Gran Bretagna, Danimarca, Austria,
Polonia e Russia. L'Italia entrerà in guerra pochi giorni dopo, esattamente il 10 giugno. Le opere
presentate sono 3.204, di 935 artisti, 445 italiani, con 1.808 opere, e 490 stranieri, con 1.396. Se
ne vendettero soltanto 438 per una cifra complessiva di L. 1.070.295 pari a 997.240.000 attuali. I
visitatori subiscono ovviamente un calo del 50% rispetto all'edizione precedente: 87.391 presenze.
I Gran Premi vengono assegnati: per la pittura a Vilmos Aba Novak (Ungheria) e Felice Carena; per
la scultura ad Arno Breker (Germania) e Guido Galletti; per l'incisione a Maurice Brocas (Belgio) e
Marcello Boglione. Il premio per l'incisione viene alzato a L.10.000.
Nel Padiglione Italia vengono organizzate retrospettive di Giacomo Grosso, dello scultore De
Veroli, di Cesare Ferro, di Vincenzo Migliaro, di Francesco Sartorelli, di Bresciani da Gazzoldo, e
una serie di mostre individuali: Carena, Carrà, Ciardo, Crali, Galletti, Oppo, Romagnoli, Severini,
Tallone, Ettore Tito, Tosi, Vecchi e Usellini. Sempre presente la mostra dell'aeropittura futurista
curata da Marinetti con circa 70 opere di 26 artisti. Da notare che Mario Radice e Manlio Rho,
artisti del gruppo degli astrattisti di Como, partecipano a questa mostra con opere cui vengono
attribuiti titoli come "Aeroritratto di uno stato d'animo" o "Triplice aeroritratto segreto", che in
seguito verranno dagli stessi artisti mutati. Se ne può dedurre che per poter partecipare a queste
esposizioni gli astrattisti modificassero i titoli dei dipinti in formule aderenti all'aeropittura.
Nel Padiglione del Belgio è presentata un'importante scelta di opere di Constant Permeke, da
considerarsi la migliore fra le proposte internazionali. Non ne viene registrata vendita alcuna, come
peraltro non risultano acquisizioni significative di altri artisti stranieri. Per quanto riguarda le opere
di pittura, scultura e grafica esposte nei padiglioni italiani, solo il 24% viene acquistato da
collezionisti privati. Sante Astaldi di Roma (la cui collezione è stata donata recentemente al Museo
di Udine) acquista due dipinti di Felice Carena e due di Usellini per L. 18.000 pari a 16.776.000
attuali. Paolo Stramezzi di Crema acquista dipinti di Carena, Carrà, Ciardo e Monti. Da notare che
il prezzo dell'opera di Cesare Monti (L.4.000) è pari al doppio di quanto pagato per "Abeti" di
Carrà.
Vittorio Cini acquista il dipinto di Carena "La Pietà" per ben 50.000 lire, il prezzo più alto pagato
per singola opera in tutta questa Biennale. Goffredo Petrassi acquista per L. 2.000 "Marina" di
Carrà. La FIAT acquista un'opera di Tonello "Bacino di S.Marco" per L. 2.000, mentre la Snia
Viscosa compra "Sfiorando la città" di Tullio Crali per L. 5.000.
Il Ministero dell'Educazione Nazionale sceglie, sempre con destinazione la Galleria Nazionale di
Roma, opere di Bacchelli, Barbisan, Afro Basaldella, Bresciani da Gazzoldo, Bugiani, Capocchini,
Carrà, De Veroli, Fioresi, Oscar Gallo, Gallucci, Gambetta, Graziosi, Guidi, Lilloni, Minguzzi,
L.Montanari, Monteleone, C.E.Oppo, Ortolani, Pizzirani, Romagnoli, Filippo Tallone, Tamburini,
Tealdi, Tosi, Valinotti, Vellani Marchi e Vitali, per una cifra complessiva di L. 107.100 pari
99.817.200 attuali.
La Galleria d'Arte Moderna di Milano acquista opere di Carena, Tosi e Vellani Marchi per L.
19.500 pari a 18.174.000 attuali.
Il Museo Civico di Torino sceglie opere di Ciardo, Ferro, Galletti, Maggi, Prada e Terzolo per L.
29.800 pari a 27.773.600 attuali.
I Comuni di Firenze, Palermo, Napoli, Venezia, Genova compaiono nell'elenco degli acquirenti,
con cifre abbastanza modeste e con preferenze regionalistiche.
S.M. il Re è ancora presente con qualche acquisto: Caffè, Ciardo, Dalla Zorza, De Veroli e
Romagnoli per L. 12.500 pari a 11.650.000 attuali.
E' da segnalare il buon esito di mercato di Felice Carena (peraltro vincitore del Gran Premio), con
ben nove dipinti venduti. E quello di Tullio Crali che colloca tutte le otto opere esposte per L.
14.225 pari a 13.257.700 attuali.
La XXIII Biennale ha luogo dal 21 giugno al 20 settembre del 1942, malgrado l'Italia sia in guerra
da ormai due anni. Fra mille difficoltà organizzative ed economiche, la rassegna non manca
l'appuntamento, anche se con molte defezioni (quasi tutte politiche) di paesi stranieri: Austria,
Francia, Belgio, Gran Bretagna, Cecoslovacchia, Grecia, Jugoslavia (sarà invece presente la
Croazia), Olanda, Polonia, URSS e Stati Uniti. Gli artisti presenti sono 878, dei quali 587 italiani e
solo 291 stranieri, con ben 3560 opere, così suddivise: 2520 italiane e 1040 straniere. I visitatori
sono leggermente inferiori rispetto alla precedente edizione e raggiungono le 76.679 presenze.
Tuttavia si vendono ben 795 opere, con un aumento di quasi il 100%, per un totale di L.3.715.286
pari a 2.589.355.000 attuali, un ottimo successo, se si tiene conto del contesto economico e politico
provocato dalla guerra.
Per quanto riguarda l'Ufficio Vendite vi è da registrare un fatto nuovo: l'incarico a Ettore Gian
Ferrari della gestione di tale delicato comparto. L'idea era stata proposta dallo stesso Gian Ferrari,
mercante d'arte, con galleria in Milano, che riteneva particolarmente importante la presenza, per
quanto attineva alle vendite, non tanto di un funzionario dell'Ente, ma di una persona con
competenza di mercato e capace di indirizzare, consigliare e riscuotere la fiducia del pubblico, dei
direttori dei musei, delle singole commissioni acquisti, facendo anche da tramite positivo nelle
trattative con gli artisti. Gian Ferrari lavorava a percentuale sul venduto, il 2%, che gli veniva
riconosciuto sul 15% che la Biennale tratteneva come commissione.
Nei Padiglioni stranieri l'unica presenza interessante è quella dello scultore croato Ivan Mestrovic.
Ma nessuna vendita di rilievo è registrata, fatta eccezione per le incisioni di Borglind e per qualche
opera di artisti spagnoli e tedeschi.
Il Padiglione Italia presenta una ricca serie di mostre personali: Bartolini, Cadorin, Casorati, De
Chirico, de Pisis, Arturo Martini, Martinuzzi, Messina, Minguzzi, Notte, Parente, Salietti e Sciltian.
La mostra dell'Aeropittura futurista è sempre presente. Nei padiglioni lasciati vuoti dai paesi che
non hanno partecipato a questa edizione viene allestita una mastodontica e greve Mostra delle
Forze Armate, con ben 486 opere di 192 artisti militari.
I Gran Premi sono assegnati per la pittura a Arthur Kampf (Ungheria), e Alberto Salietti, per la
scultura a C.O.Banninger (Svizzera) e Francesco Messina, per l'incisione a Stif Borglind (Svezia) e
Luigi Bartolini.
L'assegnazione del Gran Premio per la scultura a Messina (che esponeva una serie di 16 ritratti e
altrettanti disegni), destò non poche polemiche negli ambienti artistici, in quanto poche sale più
avanti venivano presentate sedici sculture di Arturo Martini sicuramente fra le sue più innovative e
formalmente ardite: fra queste il grande legno del "S.Giacomo" e il marmo "La donna che nuota
sott'acqua", solo per citare due illuminanti esempi. Martini, con il suo carattere aggressivo e
burbero, troppo spesso creava attorno a sé inimicizie e invidie, che non gli giovavano poi sul piano
dei rapporti istituzionali. Certo va detto che quella sala con quelle sculture aveva scritto una pagina
nuova e rivoluzionaria nella nostra storia dell'arte contemporanea. Ne fu venduta solo una, e
neppure la più significativa, "Testa di monaca" per L. 8.000. Messina ebbe ovviamente più fortuna
anche nelle vendite, avendone collocate ben sette, fra le 5 e le 15.000 lire l'una, delle dieci
disponibili per la vendita.
Per quanto riguarda il ricco panorama delle vendite nel Padiglione Italia va sottolineata una
variazione importante rispetto alle edizioni precedenti: gli acquirenti istituzionali, musei, ministeri,
municipi, confederazioni, banche calano al 24%, invertendo una tendenza che si poteva dire ben
consolidata fin dalle prime Biennali. A tutto vantaggio del collezionismo privato che con il 76% fa
la parte del leone e costituisce l'asse portante del successo economico di questa Biennale. Due, a
mio avviso, le ragioni: la prima è di carattere contingente e trova la sua origine nella crisi
istituzionale provocata dalla guerra che evidentemente faceva affluire in minore ampiezza denaro
pubblico a sostegno delle arti. La seconda sta nell'aver compreso che istituire un direttore
dell'ufficio vendite, esperto del mercato dell'arte, consentiva l'apertura a contatti interpersonali fra
l'incaricato della Biennale e il mondo dei collezionisti privati.
Analizzando gli elenchi delle vendite troviamo ancora il Ministero dell'Educazione Nazionale come
maggior acquirente istituzionale, perlomeno in termini di numero: vengono scelte per la Galleria
Nazionale di Roma opere di Amato, Bartolini, Birolli, Bucci, Bugiani, Cantatore, Cesetti, Conte,
Crali, de Pisis, Frisia, Gallo, Gallucci, Gentilini, Giarrizzo, Giuliani, Quarti Marchiò, Martina,
Minguzzi, Mucchi, Notte, Ortolani, Pancheri, Paulucci, Pierucci, Pigato, Quaglino, Salietti,
Scattola, Springolo, Steffenini, F. Tallone, Tomba, Tomea e Tosi per complessive L. 135.500 pari a
94.443.500. Non molti, bisogna dirlo, i nomi di spicco nella lista, e con prezzi abbastanza analoghi
gli uni agli altri; ad esempio Cesetti e Bartolini furono pagati L. 6.000 l'uno, e il "Ritratto" di
Paulucci L. 9.000, mentre solo 5.000 lo straordinario "Ritratto di buongustaio" di de Pisis. Ancora
presenti gli acquisti di S.M. il Re: Bracchi, De Grada, B.Guzzi, Tealdi e Scattola per complessive L.
18.625 pari a 12.981.625 attuali. La Galleria Ricci Oddi di Piacenza acquista Amato, Bracchi, De
Grada, Morelli e Steffenini per L. 17.200 pari a 11.988.400. La Galleria Nazionale di Lubiana
acquista "Ritratto di Quasimodo" di Birolli, una scultura di Mascherini e un acquerello di Tosi per
L. 11.500.
Fra i collezionisti privati incontriamo nomi importanti come Giovanni Falck (Bracchi, Fiumi, De
Grada, Cantatore, Salietti, Steffenini), Alberto Della Ragione (quattro dipinti di Prampolini per
L.7.000), Riccardo Jucker (Bartolini, Casorati, Tamburi), Vittorio Cini (de Pisis, Cadorin,
Cobianco, Pigato, Salietti, Scattola, Vellani Marchi), Volpi di Misurata (Crisconio, De Chirico, due
De Grada, de Pisis, Cadorin, M.Cascella, Casorati, due sculture di Mascherini, Steffenini), Sante
Astaldi (Birolli, Gentilini, Cantatore, Tomea), Franco Marinotti (due dipinti di Gaudenzi), Paolo
Stramezzi (Frisia, Casorati, Monti, Dialma Stultus). Scelte, come si può vedere, non sempre felici,
se lette nella prospettiva storica, ma che rispettavano le aspettative del panorama delle proposte e
dell'omologazione prodotta dall'essere, questi artisti, stati tutti invitati alla stessa tavola imbandita
internazionale.
Anche sui prezzi vi sarebbero da fare delle considerazioni: ad esempio per una veduta di Portofino
di Cascella furono spese L. 15.000, e L. 18.000 per "Combattimento di cavalli" di De Chirico. Lo
stesso dicasi per "Lavandaia" di Stultus pagata lo stesso prezzo di una "Composizione" di de Pisis:
L. 12.000. "Luisa" di Frisia è stata pagata L. 8.000, mentre "Figura seduta" di Casorati solo L.
7.000.
Molti artisti già affermati ebbero un ottimo successo di vendite, Casorati vendette nove dipinti,
dieci De Chirico, otto de Pisis, Salietti addirittura ventuno, Tosi cinque, Frisia tredici, De Grada
dodici; ma anche i più giovani incontrarono un discreto successo: Cantatore ne vendette dieci,
Gentilini sei, Birolli tre, Tomea addirittura undici.
Si può e si deve aggiungere a questa analisi un po' noiosa sui numeri che il collezionismo sta
crescendo e anche maturando nelle scelte. La Biennale è stata certamente una ottima palestra per la
sua formazione, e se, da una parte si è visto scendere il numero dei visitatori, dall'altra senza dubbio
si può affermare che il pubblico è però più motivato e via via più preparato.
L'analisi che mi ero proposta dovrebbe concludersi alla Biennale del 1942, in rapporto con il
periodo da me preso in considerazione espositivamente. Ritengo tuttavia che il giro di boa dei primi
anni Cinquanta indichi nuove aperture culturali da parte degli organismi dell'Ente e
contemporaneamente rappresenti anche una nuova maturità del mercato dell'arte. Per questa ragione
ho scelto di ampliare un poco la mia ricerca, dando soltanto qualche indicazione generale.
Dopo la guerra la Biennale riapre i battenti nel 1948, con una commissione presieduta da Rodolfo
Pallucchini, in qualità di Segretario Generale, e composta da Nino Barbantini, Roberto Longhi,
Felice Casorati, Giorgio Morandi, Carlo Carrà, C.L.Ragghianti, Marino Marini, Pio Semeghini e
Lionello Venturi. Quindici i paesi partecipanti, compresa l'Italia, con 3.065 opere di più di mille
artisti, 664 italiani e 444 stranieri.
I visitatori hanno un incremento notevole e raggiungono le 216.471 presenze. Le vendite invece
subiscono un calo, rispetto alla Biennale del periodo di guerra, con solo 409 opere vendute per
complessive L. 19.580.613 pari a 450.800.000 attuali. Se si considera il numero dei visitatori del
1942 che rappresenta solo il 33% di quelli del '48, e si confrontano le vendite delle due edizioni
che, in valori attuali, non raggiungono nella XXIV Biennale neppure il 20% di quella precedente,
con un indice quindi assolutamente opposto fra frequenza e interesse del pubblico all'acquisto, è
necessario fare qualche analisi. Prima fra tutte che, se è vero che la Biennale del '42 si era svolta in
piena guerra, e quindi in condizioni assolutamente contrastanti con l'idea di un mercato in
espansione, è anche vero che un nuovo soggetto era entrato in campo: il direttore dell'Ufficio
Vendite, nella persona di Ettore Gian Ferrari, molto impegnato nel definire i nuovi confini del
mercato dell'arte con funzione di promozione, di consigliere, e di intermediatore qualificato. Nel
1948 la situazione italiana era certamente di grave crisi economica interna, quindi si sarebbe dovuto
puntare molto sul mercato internazionale, che certamente non aveva gli stessi nostri problemi. Ma
in quell'anno fu chiamato all'Ufficio Vendite V.E. Barbaroux, mercante d'arte con lunga esperienza
e con galleria in Milano. Probabilmente Barbaroux non aveva lo stesso entusiasmo di Gian Ferrari,
e la stessa disponibilità a una presenza costante nei giardini della Biennale per tutto il lungo periodo
dell'esposizione. E i risultati furono inversamente proporzionali all'affluenza del pubblico. Sta di
fatto che dal 1950 al 1968 fu di nuovo incaricato Gian Ferrari, con esiti sempre in continua crescita
per qualità e importanza delle vendite.
In questa prima edizione del dopoguerra vengono organizzate molte mostre storiche importanti:
"Tre pittori metafisici italiani: Carrà, Morandi e De Chirico", il "Fronte nuovo delle arti", la
"Mostra degli artisti tedeschi" (Dix, Pechstein, Heckel, Schmidt-Rottluff ecc.), la "Mostra degli
impressionisti", la "Collezione Peggy Guggenheim". Pablo Picasso è presente per la prima volta con
una mostra individuale (19 opere tutte di collezione privata), significativamente presentata da
Renato Guttuso. Le sale personali italiane furono dedicate a Campigli, de Pisis, Maccari e Mafai. I
Gran Premi vengono assegnati: per la pittura a George Braque e Giorgio Morandi, per la scultura a
Moore e Manzù, per la grafica a Chagall e Maccari.
Scorrendo rapidamente gli elenchi delle vendite suscita interesse il panorama di acquisti della
Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, che mette in collezione un piccolo bronzo e un
acquarello di Moore per L.150.000, e, per quanto riguarda gli italiani, opere di: Agostoni, Badodi,
Bartolini, Birolli, Cappello, Colucci, Del Bon, Fabbri, Fontana (ceramica), Levi, Licini, Maccari,
Mafai, Mazzacurati, Paulucci, Santomaso, Scipione, Semeghini, Soldati, Valenti, per una cifra
complessiva di L.1.542.000 pari a 36.144.480 attuali. La cifra più alta pagata per singola opera:
300.000 lire per il "Ritratto di Ungaretti" di Scipione. La più bassa, esclusa naturalmente l'incisione
di Bartolini, e tenuto conto dell'importanza dell'artista, L.50.000 per il Licini "Memorie d'oltre
tomba". Interessante notare che Riccardo Jucker acquista in questa Biennale per L. 600.000 (pari a
14.064.000 attuali) "L'ovale delle apparizioni" di Carrà, che alla fine degli anni Ottanta venderà alla
Galleria Nazionale per una cifra a molti zeri.
La Galleria d'Arte Moderna di Venezia acquista opere di: Cesetti, De Luigi, Gaspari, Guberti,
Pigato, Pizzinato, Gino Rossi, Vedova e Vellani Marchi per complessive L. 765.000 pari a
17.931.600 attuali. La cifra più alta per singola opera: L. 350.000 per "Burano" di Gino Rossi.
Il Museo Civico di Torino acquista una tempera di Chagall "Dans mon pays" per 440.000 lire, e
"Ragazza seduta" di Manzù per 400.000.
Emilio Jesi sceglie una "Pomona" di Marino Marini per L. 200.000. Pochi gli acquirenti stranieri,
da segnalare soltanto l'acquisto di un "Cardinale" di Manzù per L. 150.000 da parte della Tate
Gallery di Londra.
Luchino Visconti acquista "Massacro di agnelli" di Guttuso per L.100.000.
Non si registrano vendite né di Morandi, né di De Chirico presenti assieme a Carrà nella mostra
sulla Metafisica.
La Biennale del 1950 vede la partecipazione di ben 23 paesi, compresa l'Italia, con 3.342 di 921
artisti, dei quali 574 italiani e 347 stranieri. Pablo Picasso è presente con 13 dipinti nella mostra
"Quattro maestri del cubismo". Molte altre significative esposizioni storiche arricchiscono questa
Biennale: "Mostra dei fauves", "Mostra del Cavaliere azzurro", "Scultori d'oggi", "I firmatari del
primo manifesto futurista"; cui si aggiungono personali di Mario Broglio, Giacomo Favretto,
Medardo Rosso, Lorenzo Viani, Ensor, Bonnard, Kandinskij, Rousseau, Seurat, Barlach, Constable
e Orozco. I Gran premi vanno a Matisse e Carrà per la pittura, Zadkine ed ex-aequo Mascherini e
Minguzzi per la scultura, Masereel e Viviani per la grafica. I visitatori sono in leggero calo, con
171.414 presenze. Si vendono 576 opere per un totale di L. 47.831.235 pari a 1.119.245.400 attuali.
Il Ministero della Pubblica Istruzione acquista, con destinazione Galleria Nazionale d'Arte Moderna
di Roma: "Cavallo cavaliere e caseggiato" di Boccioni per L. 1.000.000, una scultura di Cappello
per L.250.000, "Amalassunta" di Licini per L.100.000, e "Ritratto" di Melli per L.250.000. Fa
pensare il rilevare che oltre al Boccioni solo due altri dipinti futuristi siano stati venduti:
"Primavera" di Balla (acquistato da Riccardo Jucker per 550.000 lire) e "Danzatrici al Monico" di
Severini (acquistato per L.1.500.000 da un collezionista di Ginevra), per cifre tutto sommato
abbastanza basse se confrontate con i prezzi pagati da due collezionisti italiani e dal Museo Civico
di Torino per i dipinti di Utrillo, dai 2.500.000 ai 3.200.000 lire; uno di questi dipinti fu acquistato
da Vittorio De Sica.
La Biennale di Venezia acquista molte opere: Barbisan, Broggini, Bucci, Butera, Carena, Carrà,
Cassinari, de Pisis, Fhon, Guidi, Lanaro, Leoncillo, Maccari, Minassian, Mori, Omiccioli, Perotti,
Ravenna, Medardo Rosso (disegno), Saetti, Salvadori, Santomaso, Savinio (tempera), Semeghini,
F.Tallone, Tosi, Turcato e Varagnolo, per complessive L. 1.951.000 pari a 45.653.400 attuali.
Lucio Fontana acquista per L. 50.000 "Amalassunta n.3" di Osvaldo Licini.
Si registra un incremento di collezionisti stranieri, soprattutto americani, che acquistano
particolarmente arte italiana.
Le grandi mostre storiche offrono pochissime opere in vendita, quasi tutte provengono da musei o
da collezioni private. Non è possibile quindi verificare la disponibilità del pubblico all' acquisto.
La nostra ricerca si ferma qui, alle soglie del dopoguerra e con questo breve sguardo sul mutato
clima culturale italiano e internazionale, che nell'appuntamento biennale trova il momento di
verifica e di confronto, sia per quanto si è andato facendo nei precedenti due anni, sia per quanto si
riferisce alla riproposizione di grandi momenti del passato. Un'avventura pensata e avviata per
commemorare l'anniversario delle nozze del Re, e cresciuta fino a diventare la più importante
manifestazione d'arte del mondo, l'unica giunta al secolo di vita ancora vivace, provocatoria,
stimolante, pur fra le molte, e inevitabili, polemiche, che ne costituiscono tuttavia anche l'aspetto di
curiosità e di interesse. L'unica che comprese fin dal suo statuto l'importanza che la possibilità della
vendita delle opere esposte potesse promuovere e incrementare l'interesse per la manifestazione
stessa. E' un peccato che dopo il 1968 (tranne un unico tentativo negli anni Settanta), l'Ufficio
Vendite non sia stato più ripristinato. Ma bisogna anche dire che il mercato è cambiato, che ormai
gli artisti che partecipano alle Biennali non lo fanno più in prima persona, ma filtrati dai grandi
mercanti internazionali, che preferiscono trattare direttamente con i collezionisti e con i musei. Nel
mondo della comunicazione globale, della cultura orizzontale e non più verticale, anche questo
ruolo della Biennale si è modificato. E bisogna prenderne atto.
Trarre dall'indagine che ho proposto un'analisi sui comportamenti del mercato sia pubblico che
privato è certamente difficile e forse fuorviante. Le occasioni mancate, gli errori di valutazione su
alcuni artisti, sia in positivo che in negativo, non possono e non devono essere giudicati soltanto
come disattenzioni o incapacità critica. E' facile oggi, con la storia alle spalle, dare giudizi. Più
difficile è nella contemporaneità individuare le vere personalità di spicco e gli equi valori da
attribuire. Questo saggio vuole essere soltanto una lettura di quanto è accaduto, da cui trarre semmai
qualche utile insegnamento.