Visualizza PDF - CONFESERCENTI Napoli

Transcript

Visualizza PDF - CONFESERCENTI Napoli
Francesca Vitelli
“Agli uomini
hanno insegnato
a scusarsi
per la loro debolezza;
alle donne,
per la loro forza”.
Lois Wyse
“Mostratemi
una donna che non
si senta in colpa
e io vi mostrerò
un uomo”.
Rachel Hare-Mustin
Donne sull’orlo
della Conciliazione
Appunti tra tempi di vita e di lavoro
Francesca Vitelli
Donne sull’orlo
della conciliazione
Appunti tra tempi di vita e di lavoro
Riconosco di non essere perfetta in tutto,
ma non posso fare a meno di volermi bene.
Elizabeth Gilbert
Provinciale di Napoli
Camera di Commercio I.A.A.
di Napoli
L’illustrazione in copertina è di Pietro Vanessi
Questo libro è dedicato alle donne che hanno lasciato
un segno nella mia vita. Mia madre perché sarebbe
orgogliosa delle sue figlie, la mia prozia Maria
perché mi ha insegnato a giocare a scopa e a ridere,
mia sorella perché le sorelle sono come il cioccolato,
non se può fare a meno, Tecla perché crede in quello
che stiamo costruendo e le amiche, loro sanno chi sono
e a tutte le donne del pianeta.
Quale pianeta? Quello delle donne, ovviamente!
3
Prefazione
Sembra sempre antico e “vintage” parlare di parità
fra uomo e donna, i miei due figli maschi mi guardano
con aria compassionevole quando mi occupo della mia
passione: le pari opportunità.
Si tratta di una questione culturale in cui, come in
tutte le cose, ci si deve impegnare, per il bene comune.
I miei figli cucinano e, spero, non per ultimo che
siano uomini attenti alla propria compagna. Ho
cercato di formarli con insegnamenti che partono dal
fare le cose di casa al rispetto per le donne, saranno le
loro mogli a valutare l’impegno di un lavoro lungo e
non sempre facile .
Il rispetto per l’altro sesso è la base per un diverso
sentire nei confronti di altre differenze, è un modus
pensandi che presta attenzione al rispetto delle
differenze e favorisce una più completa interpretazione dei bisogni degli altri.
Sembrano banalità, ma in Italia la legge 53 (congedo
parentale) ha visto fino ad oggi uomini che si
vergognano a chiederlo; padri che hanno inventato
malattie pur non di dichiarare la necessità, e perché
no, anche la voglia, di stare con i propri figli.
Le vignette scelte paradossalmente esprimono i
concetti essenziali del libro che racconta il “sentire”
5
dell’autrice e delle intervistate in cui le lettrici si
riconosceranno.
Un incrocio di impegni e di priorità si accavallano
quotidianamente nella vita della donna che lavora,
figuriamoci cosa succede quando ad una delle
tante pedine succede un imprevisto…tutto si
ingarbuglia e diventa una gestione impossibile,
invasiva e dilaniante.
La conciliazione è la sofferenza di tutte le donne,
sofferenza che costa e pesa anche molto sul sistema
sanitario.
Le donne sono le custodi e gestiscono la salute della
famiglia, ma troppo poco curano la propria. Sono le
meno attente alla loro cura e trascurano quasi
completamente la prevenzione.
Come posticipare la cura dei figli o dei genitori
anziani, come lasciarsi spazio per una passione, se si è
sempre arretrate sulla linea di marcia e i bisogni di
tutti aumentano…
La conciliazione deve confluire nel nuovo concetto
di integrazione perché i figli e i genitori sono di maschi
e femmine e non è lesivo per un padre o un fratello
aiutare e contribuire.
Ma anche questo non basta perché la società è
arretrata e una donna che lavora spende più per
pagare il nido del figlio di quello che guadagna, la
mamma di un bambino malato non può contare su
un’assistenza che copra un orario di lavoro normale
senza tener conto che i costi sono superiori. Come si
6
può non voler vedere questi aspetti a cui per mille
motivi e un milione di scuse non si è saputo far fronte?
A Reggio Emilia da oltre 20 anni c’è un servizio di
asilo innovativo ed avanzato che copre i tanti bisogni
delle madri lavoratrici, perché i buoni esempi non si
duplicano? L’esempio della Germania sui piccoli asili
di condominio da noi non si realizza. La banca delle
ore non piace…ma come resuscitare da questo sonno
che ci fa sognare non più un principe azzurro, ma un
compagno che condivida le nostre difficoltà, le nostre
corse e che sia Ministro delle Pari opportunità maschio
per provvedere con provvedimenti rapidi e concreti a
migliorare la sua vita domestica e… finalmente
interrompa la nostra maratona.
Auguri Francesca per avere scelto di essere ARIETE
di un percorso per noi tutte in salita e tanto affannoso.
Laura Frati Gucci
Presidente Les Femmes Chefs
d’Enterprises Mondiales
7
Introduzione
Rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena
conciliazione tra le aspettative lavorative delle
donne e l’organizzazione dei tempi e delle esigenze
della famiglia. E’ questo l’obiettivo centrato da
Confesercenti della provincia di Napoli attraverso
l’azione propositiva e divulgativa a sostegno delle
donne che lavorano dentro e fuori le mura di casa.
Il binomio lavoro e famiglia per l’universo
femminile rappresenta, da sempre, un cortocircuito
con effetti dirompenti per le donne lavoratrici e, in
particolare, per le donne madri. La tutela legislativa e
l’impegno delle parti sociali e datoriali per attenuare
le conseguenze derivanti dall’impostazione ancora
troppo “maschilista” del mercato del lavoro ha fatto
passi considerevoli negli ultimi anni. Ma non basta.
E’ necessario un impegno supplementare per dare
risposte concrete. A partire dalle esigenze di
redistribuzione dei carichi di lavoro, fino all’accesso
alla formazione e al fondamentale sostegno
all’autoimprenditorialità.
La Camera di Commercio di Napoli è impegnata a
tutto campo nel rafforzare e sostenere il ruolo delle
donne nel mercato del lavoro, attraverso iniziative
verticali di promozione e di sviluppo delle attività
imprenditoriali al femminile. Puntando sul poten9
ziamento delle propria funzione di snodo e di sintesi
tra la rappresentanza istituzionale e gli interessi reali
della nostra comunità economica e sociale, l’ente
camerale partenopeo è in prima linea, anche attraverso
questa pregevole pubblicazione, per garantire il
fondamentale diritto al lavoro e la parità di condizioni
di accesso e di svolgimento delle attività tra uomini e
l’altra metà del cielo.
Maurizio Maddaloni
Presidente della Camera di Commercio di Napoli
10
PARTE I
L’inverno del nostro scontento
(è reso estate gloriosa da questo sole di york,
e tutte le nuvole che incombevano minacciose
sulla nostra casa sono sepolte
nel petto profondo dell’oceano)
W. Shakespeare Riccardo III
11
Concilia?
Concilia? Questa domanda erano soliti formularla i
vigili urbani quando fermavano un automobilista
indisciplinato. Al malcapitato toccava scegliere tra il
riconoscere il proprio comportamento contrario al
codice della strada o avviare una discussione sulla
contestazione sollevata dal rappresentante dell’ordine
pubblico.
Altri tempi. Un secolo fa. Oggi le multe le trovi
nella cassetta delle lettere perché dei sofisticatissimi
marchingegni hanno registrato che la tua velocità era
di 51 km orari su di un tratto di strada dove il limite
era fissato a 50 km. La tecnologia ha cancellato
l’incontro/scontro con i vigili urbani e ci ha mostrato
un tutor che non è una persona in carne e ossa ma un
dispositivo che in autostrada calcola i tempi di
percorrenza da un punto A ad un punto B per stimare
la velocità di crociera. Ai giorni nostri la conciliazione
ha assunto altri significati che rimandano a contesti del
tutto diversi. Escludendo quello di natura giudiziaria
ci soffermeremo qui sulla conciliazione dei tempi di vita
e di lavoro. La domanda sorge spontanea, che roba è?
Proviamo a descrivere in cosa consiste:
- accudire con egual pazienza, amore e dedizione
tutto il parentado bisognoso senza distinzioni di
grado e/o consanguineità dai trisavoli ai pronipoti
- crescere i figli (spesso anche i loro padri!)
- prendersi cura dei figli pelosi a quattro zampe:
cani, gatti, conigli, criceti e quelli forniti di branchie
e/o pinne nonché quelli che vivono in gabbia
svolazzando e sputacchiando in giro gusci vuoti di
semini
15
- evitare che la propria casa venga dichiarata
inagibile dall’ufficio sanitario mantenendo un
accettabile grado di pulizia e ordine
- organizzare, accompagnare e recuperare la prole
nelle loro attività ludico/sportivo/sociale
- procacciare il cibo e presentarlo più o meno
commestibile (le cruditè, il sushi bar e la pizza a
domicilio sono l’eccezione non la regola…)
- vestire l’intero nucleo familiare con panni lavati e
stirati on demand (dov’è la mia camicia azzurra?
Perché la tuta che hai lavato solo ieri sera alle undici
non è ancora pronta? Perché in questa casa
scompaiono sempre i calzini e le mutande?)
- occuparsi del bucato (in alcune case la cesta dei
panni sporchi cresce di notte come i funghi magici,
al mattino ci trovi cose che la sera prima non
c’erano)
- andare dal parrucchiere almeno due volte l’anno
(passando gli altri dieci mesi a farsi la tintura in casa
pregando di non guardarsi allo specchio e ritrovarsi
con la capigliatura del colore prediletto da Biscardi)
- ritagliare del tempo libero da dedicare al lavoro
- varie ed eventuali.
Questo è un esempio di elenco, assolutamente non
esaustivo, delle attività che una donna quotidianamente svolge. Ma che donna? Wonderwoman? No,
quella è morta, l’hanno fatta fuori le femministe o forse
superman in preda a un raptus estivo, non si sa. No,
qui si parla di una comune donna non dotata di
16
superpoteri ma solo di una enorme forza di volontà,
una esauribile forza fisica, una sconfinata generosità e
un DNA in cui i geni le hanno trasmesso
l’informazione che tutte queste faccende spettano a lei.
Diva e donna? No. Donna ed essere umano. Queste
sono le dimensioni da coniugare. E a volte giunte alla
mezzanotte di una giornata intensa e prosciugate di
ogni forza fisica (quando ci si sente come un informe
ammasso di cellule) e mentale (crollo dopo la lettura
di una pagina del libro posato sul comodino, sempre
lo stesso da mesi) appare quasi impossibile replicare
tale stancante coniugazione il giorno successivo.
Come neologismo il vocabolo “conciliazione”,
inteso nel senso di convivenza non mortificante tra
lavoro e vita privata, appare all’inizio degli anni
Novanta nei documenti programmatici con i quali la
Comunità Europea indirizza suggerimenti agli Stati
membri affinché assumano comportamenti volti
all’adozione di iniziative legislative in favore di tutti
coloro che lavorano, non solo le donne, poiché siamo
nel campo delle pari opportunità, ed è bene ribadirlo,
queste non riguardano solo le donne. Affinché siano
pari le opportunità devono essere garantite ad ognuno
senza vincoli, limiti e preclusione alcuna. E’ tanto vero
questo che la legge 53/2000 tratta della materia del
congedo parentale e non materno.
E’ altresì interessante datare l’apparizione del
termine “genere” al 1975 ad opera dell’antropologa
Gayle Rubin che come ricordato da Marta Vinci si
riferisce a un sex/gender system: “un insieme di norme,
17
mediante il quale il materiale, bruto istinto biologico del
sesso e della procreazione è organizzato e soddisfatto. […] Il
sesso come noi lo conosciamo, l’identità di genere, […] è un
prodotto della società. Nella definizione di Rubin si
distinguono dunque il gender, ossia la codificazione sociale
della differenza tra sessi, e il sex inteso come natura; mentre
il genere denota il maschile e il femminile nel senso di
prodotto di un’istruzione storica e socio-culturale, il sesso è
un universale biologico, elemento costante ed immutabile
della specie umana”1.
La conciliazione, ovvero l’esigenza di contemperare
gli impegni di lavoro con la sfera privata, non
dovrebbe essere appannaggio delle donne ma del
genere umano nella sua interezza. Fin quando non ci
sarà una rivoluzione culturale in tal senso un datore
di lavoro prima di assumere un individuo valuterà se
di fronte si trova un uomo che, libero da carichi
familiari sarà tendenzialmente più presente, più
disponibile e maggiormente produttivo, o una donna
che si presume si assenterà per maternità e problemi
di cura legati alla crescita dei propri figli. E’ evidente
che posta in questi termini la valutazione farà
propendere per l’assunzione di un candidato uomo
che risulta, secondo gli stereotipi vigenti nella società
italiana contemporanea, più affidabile e meno
dispendioso in termini di assenze retribuite dal lavoro.
Per ovviare a considerazioni di questo tipo bisognerebbe lavorare ad un cambiamento culturale che,
per sua natura, richiede un tempo lungo ma si
____________
1
Scisci A. Vinci M. “Differenze di genere, famiglia, lavoro “Carocci 2002.
18
potrebbe, però, pensare anche a dei correttivi da
apportare alle normative vigenti tali da produrre
significativi mutamenti socio-culturali in tempi brevi.
Nello specifico si potrebbe, nell’ambito della legge
53/2000 in materia di congedi parentali, prevedere
l’obbligatorietà del congedo anche per il padre che ne
possa usufruire in alternanza con la moglie lavoratrice,
riconoscendo un trattamento economico se non al
100% almeno superiore a quello attuale del 30%. In
questo modo la nascita di un bambino non sarebbe più
soltanto un affare di donne e all’interno della coppia
non ci sarebbe il dato economico penalizzante a
scoraggiare la partecipazione paterna alla cura dei neo
arrivati figli.
Le pari opportunità tra uomo e donna nell’accesso
al mercato del lavoro si avranno quando un datore di
lavoro, facendo le sue valutazioni, non inserirà tra gli
elementi da considerare il tempo che una donna
potrebbe, eventualmente, sottrarre al lavoro per la
cura dei figli poiché questa sarà equamente distribuita
tra i genitori. Allo stesso modo la società non
colpevolizzerà più le mamme che continuano a
difendere strenuamente il loro lavoro quando si
comprenderà fino in fondo che lavorare per le donne
non vuol dire rinunciare ad avere dei figli, ma al
contrario, come si nota laddove i sistemi di servizi
all’infanzia funzionano, il lavoro femminile stimola la
domanda di servizi per l’infanzia e non provoca il
crollo dei tassi di natalità.
Secondo uno studio condotto dalla Banca d’Italia
nel 2008 la domanda di asili nido sarebbe pari,
19
sull’intero territorio nazionale, al 40%, superiore,
quindi, a quanto previsto dalla strategia di Lisbona che
fissava per il 2010 il tetto da raggiungere nella misura
del 33%. L’attuale offerta di posti disponibili negli asili
nido si ferma ad una copertura che oscilla tra il 10 e il
12%.
20
Il concetto di indispensabilità
Immagine tratta dal sito www.blog.libero.it
Ellen Sue Stern è l’autrice di un bestseller
“Riflessioni per donne indispensabili ma esauste” in
cui si trovano delle perle di saggezza meditate nel
corso del tempo anche grazie allo svolgimento di
seminari in cui si era posta l’obiettivo di “guarire
uomini e donne indispensabili”. Un distillato di stelle
e strisce. (Dubito che la componente maschile presente
ai seminari fosse molto numerosa). “Il dramma delle
preoccupazioni ci frastorna e non ci permette di provare
emozioni più profonde, come la tristezza e la nostalgia. Ed è
proprio questo dramma che tiene in scacco la nostra mente,
facendo tacere il nostro cuore. La mia vita è troppo preziosa
per sprecarla preoccupandomi”.2
Giusto e sacrosanto. Ma se provassimo a dare alle
preoccupazioni la valenza di organizzazione delle cose
da fare per evitare che ti stacchino la luce e il gas o ti
sequestrino l’automobile perché non hai fatto fare la
revisione e via enumerando?
Il dilemma è di lunga data. Chi è più saggio la cicala
che si gode la vita frinendo tra le frasche o la formica
che si stanca trasportando cibo per assicurarsi la
sopravvivenza? Non c’è dubbio che la cicala si diverta
un mondo e non abbia problemi di colite da stress
mentre la formica probabilmente avrà il mal di schiena
per tutto quell’andare in giro a portare pesi e sarà di
pessimo umore la sera ma, a loro, nessuno chiede di
conciliare le due realtà.
Proseguendo nella lettura della Stern ci si imbatte
in un’altra affermazione: “dimentichiamo troppo spesso
____________
2
E. S. Stern “Riflessioni per donne indispensabili ma esauste”, pag. 17.
23
che amare significa anche permettere agli altri di donare. Ci
barrichiamo dietro responsabilità così gravose da meritare
la precedenza assoluta e finiamo per respingere coloro che ci
amano. Siamo troppo occupate per provare sentimenti e
questo ci preclude ogni occasione di intimità. Tuttavia la
nostra determinazione a essere indispensabili non sostituisce
l’amore: ci trasforma in freddi e solitari robot. L’intimità ha
bisogno di dolcezza e di comprensione per le necessità degli
altri. E’ un rischio che vale la pena correre. Se le persone mi
conoscessero veramente, saprebbero che sono una persona
meravigliosa”.3 Ho una curiosità: ma di quanta
collaborazione domestica può disporre la dottoressa
Stern? A di là del fatto che la maggioranza delle donne
è veramente molto occupata a farsi bastare le 24 ore per
riuscire a tenere tutta la giostra in piedi (lavoro, casa,
famiglia etc.) non vedo perché auto-flaggellarsi
affinché gli altri sappiano che esse sono delle persone
meravigliose. Tutti questi sentimenti e tramonti
meravigliosi fa pensare molto all’irrefrenabile
ottimismo di Leo Buscaglia.4 Non tutte le mattine si ha
la forza di iniziare la giornata cercando un albero da
abbracciare. Anche perché, forse, gli alberi non
gradiscono affatto.
Altro spunto di riflessione è dato dalle parole:
“Focalizzare la nostra attenzione sugli altri ci fa sentire
necessarie e ci dà modo di accampare la scusa perfetta per
evitare di soffrire, ma anche di maturare, affrontando i nostri
problemi. Io sono l’unica responsabile di me stessa. Gli altri
____________
3
op. cit., pag. 19.
4
Felice Leonardo Buscaglia è uno scrittore americano (1924-1998) conosciuto per
i suoi libri in cui racconta la felicità di vivere declinata in ogni sua variante.
24
lo sono per loro stessi”.5 Quest’ultima affermazione è
very american! Ma se qui non riusciamo neanche a
spostarci di 50 chilometri con il pensiero di lasciar soli
dei genitori anziani e nei film americani non fanno
altro che andare da una costa all’altra chiudendo
baracca e burattini e saltando su una station wagon!
Del resto è proprio perché sono una persona
responsabile che mi faccio in quattro! E poi la
dottoressa non aveva detto che l’intimità ha bisogno di
dolcezza e di comprensione per le necessità degli altri? Alla
faccia della comprensione.
Poche pagine oltre ci si imbatte in queste righe:
“Eppure vi stupireste nel vedere quanto gli altri possano
essere premurosi e attenti se soltanto ci decidiamo a rivelare i
nostri veri sentimenti, comprese le debolezze”.6 La mia
esperienza mi insegna che ci sono dei rischi non
calcolabili correlati a questa condotta. Se mi mostro
debole nel mondo del lavoro apro la porta al killer che
sta insidiando la mia posizione in aspra competizione,
se assumo un simile atteggiamento in famiglia sto già
assaggiando una sconfitta perché non dovrei star lì a
tener un simposio sui miei sentimenti e le mie debolezze
perché entrambi dovrebbero essere già noti. Se così non
è vuol dire che ho rappresentato me stessa in modo
completamente diverso da come sono e ciò significa che
ho dei problemi a palesare la mia vera natura anche con
chi mi vive accanto. In entrambi i contesti sono molto
scettica sui risultati che si potrebbero sortire andando
in giro a sbandierare le proprie debolezze.
____________
5
E. S. Stern “Riflessioni per donne indispensabili ma esauste”, pag. 21.
6
op. cit., pag. 23.
25
Continuando a sfogliare il testo si legge una
esortazione sull’importanza di saper aspettare come
esercizio per raggiungere la serenità. Ma aspettare
cosa? Un esercito di fatine notturne che come falene
impazzite mettano tutto in ordine e puliscano
freneticamente? C’è una tabella di marcia da osservare
per tenere in equilibrio la quotidianità. Va bene non
farsi venire un infarto ma se si indugia troppo a lungo
poi sarà più faticoso far fronte a tutto. Far filone un
giorno è, a volte, salutare ma assumere una posizione
di meditazione attendendo soluzioni da entità
esterne non funziona. Altra esortazione di grande
appeal è “meglio piegarsi che spezzarsi” presentato come
proverbio svedese. Beh a noi lo ha insegnato quel gran
depresso e sfigato di Giacomo Leopardi con il canto
sulla ginestra del Vesuvio. La Stern prende come
esempio la palma che sta dritta sotto il sole ma si piega
alla violenza dell’uragano. Qualcuno dovrebbe dire
alla Stern che le palme da noi si stanno estinguendo
grazie alle instancabili mascelle del punteruolo rosso
che le sta divorando tutte, mentre la ginestra sono
millenni che attecchisce fra le aride rocce. Forse
Leopardi nella sue cupe riflessioni aveva lampi di
genio…
La Stern incentra le sue riflessioni sul concetto
di indispensabilità che ha molto di femminile.
L’approccio culturale americano è distante anni luce
da quello europeo ma rimanda, sempre e comunque,
a un idem sentire delle donne come depositarie di più
funzioni da svolgere, più compiti da assolvere, più
necessità da soddisfare, più esigenze a cui dare
risposte, più istanze di cui tener conto, più…più…più.
26
Un po’ di autocritica andrebbe fatta. Non possiamo
lamentarci che nessuno ci aiuti e poi saltare dal divano
se vediamo che chi sta lavando i piatti non lo fa
esattamente come lo faremmo noi perché sta lasciando
colare l’acqua sulla superficie dei mobili. Non
possiamo chiedere supporto e pretendere che questo
ci venga dato nella stessa forma in cui noi lo
immaginiamo.
Certo mette a dura prova il sistema nervoso trovare
sporchi quattro piatti, due zuppiere, un tagliere, dieci
posate e due mestoli per scoprire che tutto ciò è
servito a preparare niente meno che… un pomodoro
all’insalata! Ma questo, purtroppo, appartiene al Dna
dei maschi. Non sono recuperabili. E’ meglio girarsi
dall’altra parte e pensare, almeno per oggi, i piatti non
li lavo io. Una donna quando fa una cosa pensa prima
di agire. Per questo motivo non si avvicina ai cassetti
della cucina con le mani sporche e non apre il
rubinetto dell’acqua some se fossero i propulsori dello
shuttle sulla rampa di lancio di Cape Canaveral. Un
maschio no. Pensa ad altro. Cosa non si sa, ma di
sicuro nulla che abbia a che fare con il fatto che dopo
il suo passaggio qualcuno dovrà pulire. I ragazzini,
però, offrono delle speranze. Vanno coltivati. In
presenza di madri che portano il caffé a letto sarebbe
consigliabile l’uso del lanciafiamme. Ma senza
giungere a tali estremi è sufficiente avviare i giovani
virgulti ad una sana capacità di sopravvivenza
autonoma. Bisogna far passare il messaggio, anche a
costo di immane fatica (pure i disegnini possono essere
utili) che in casa si può vivere con decoro anche in
assenza di un bipede femmina.
27
In questo la dottoressa Stern è apprezzabile: ”Noi,
donne indispensabili, preferiamo fare tutto per i figli
piuttosto che insegnare loro a cavarsela da soli. Questo
atteggiamento ha una duplice motivazione: da un lato ci
permette di controllare i risultati ottenuti; dall’altro ci fa
diventare la loro eroina o la loro serva (a seconda del punto
di vista…) […] Sono l’insegnante dei miei bambini, non la
loro schiava“.7 Tre Urrà per la dottoressa Stern!
Il leitmotiv del libro sembra essere un guardarsi
allo specchio di continuo per chiedersi ”ciao come
stai ?” Il messaggio che ho colto fra le pagine
riguarda la capacità di amare se stesse riequilibrando
il baricentro tra la dimensione individuale e quella
dell’alterità. Se è vero che la felicità non si raggiunge
accontentando tutti è necessario essere consapevoli
che per maturare tale convinzione bisogna
raggiungere una personalità forte e strutturata in
grado di non pensare a se stessi fondandosi
esclusivamente sul giudizio degli altri.
Il mio star bene deriva dal fatto che mi piace la
persona che sono o mi soddisfa l’immagine che gli altri
hanno di me? Mi Definisco a partire da me o dagli
altri? La risposta a questa domanda non è cosa da
poco perché rimanda alla dicotomia tra rispetto e
approvazione. Cosa è importante per me, che gli altri
mi rispettino per quello che sono a prescindere dalla
mia adesione a dei modelli sociali condivisi e
dominanti o che mi approvino perché in tali modelli
mi riconosco ad essi conformandomi?
____________
7
ibidem, pag.142.
28
“Passare da un sistema di valori culturalmente approvato
a uno più personale sembra quasi impossibile, soprattutto
quando non ci sono modelli di riferimento reali da seguire.
Eppure se non lo facciamo noi, nessuno lo farà per noi. […]
Finché non ridefiniamo il successo e il sistema di valori in
modo che essi possano includere equilibrio e ricchezza di
significato per la nostra vita, rimarremmo bloccate in
carriere che ci richiedono di scegliere tra il nostro mondo e
un altro artificialmente diviso”. Queste sono le parole di
Elizabert McKenna in “Donne che lavorano troppo”. 8
Leslie Carroll in “Amore e centrifughe” fa dire all’io
narrante, una psicoterapeuta che presta soccorso alle
vicine nel locale adibito a lavanderia comune: “Carol
lavora a Wall Street e incarna molti degli stereotipi più
negativi spesso associati alle avvocatesse: cercano di
comportarsi da uomini per essere competitive in un
ambiente che per molti versi è ancora dominato dal sesso
maschile; sono più dure con i dipendenti di quanto lo siano
i loro colleghi uomini; non hanno senso dell’umorismo; si
vestono come suore e non saprebbero riconoscere una scarpa
elegante neanche se gliela sfilasse dal c… e gliela mostrasse;
e dimostrano un’ignoranza altrettanto abissale nell’uso dei
cosmetici. Lavoro con Carol per insegnarle ad apprezzare la
sua femminilità e a gioirne, anziché cercare di rispecchiare
criteri impossibili, molti dei quali imposti artificiosamente”.
L’analisi di Gabriella Sforza in “Tempo Comune –
conciliazione di vita e lavoro e armonizzazione dei
tempi della città” uno studio condotto sul Sistema
Locale del Lavoro di Bari giunge a queste conclusioni:
____________
8
McKenna E. P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002.
29
«L’appartenenza generazionale delinea tre tipi di donna.
Le più adulte, ultra-cinquantenni, onnipotenti deluse, sono
cresciute e si sono formate con la cultura della
rivendicazione in campo sociale e in relazione alla propria
condizione ma, figlie della transizione, hanno vissuto con
colpa l’allontanamento dalla casa, per cui si sono fatte carico
di ogni impegno, non cercando aiuto nella rete parentale e
talvolta rifuggendolo. Interpretano le pari opportunità
prevalentemente come pari trattamento sul lavoro,perché è
ciò che ha significato per la loro generazione, ma anche come
diritto alla divisione dei compiti domestici, stanche per una
scelta totalizzante che le ha penalizzate […] Le intermedie,
ultra-quarantenni, rampanti, hanno vissuto in un contesto
sociale che in buona parte ha posto riparo alle discriminazioni formali, per cui interpretano il concetto di pari
opportunità come parità di trattamento sul posto di lavoro,
ponendo l’accento sul diritto alla carriera che ritengono si
conquisti con la competenza. Investono molto nel lavoro e
nella possibilità di accedere, come gli uomini, a posti di
comando comprendendo bene, forti dell’esperienza delle
sorelle maggiori, che per raggiungere tale obiettivo devono
fare una scelta. Rinunciano ai figli e scelgono il lavoro di cui
accettano le regole- compreso il regime di orario – e di cui si
dichiarano attualmente soddisfatte, perché si è rivelato
adeguato alle aspettative, ad eccezione della carriera sulla
quale, però, avevano investito tutte le loro risorse […] Le
più giovani, poco più che trentenni, strumentali, appaiono
più laiche delle loro colleghe nel senso che, più socialmente
garantite delle altre nei diritti, sembrano trovare un maggior
equilibrio tra privato e lavoro. Investono poco in battaglie
ideologiche (una percentuale minoritaria è a conoscenza
delle leggi sulla condizione femminile),delegano buona parte
30
degli impegni domestici – che non percepiscono
inevitabilmente di loro competenza – alla rete parentale,
coniuge compreso, intendono il lavoro come un’opportunità
per sé di conquistare l’indipendenza economica e di intessere
una vita di relazioni fuori dalla famiglia. Ritengono di avere
diritto alla carriera che si realizza mettendo in campo qualità
“al femminile” (creatività, capacità di adattamento,
flessibilità), testimoniando così un modo specifico di essere
protagoniste del sistema produttivo, cioè senza diventare
vittime ma anche senza imitare gli uomini. Ciò che invece
accomuna le lavoratrici intervistate è la progressiva perdita
di centralità del lavoro nella loro vita e una tendenza a
rientrare nel privato, attraverso la richiesta comune
della risorsa tempo. […]ciò potrebbe documentare un
approccio differente al problema, ma in generale un diverso
modo di intendere la conciliazione, determinato proprio
dall’appartenenza generazionale: le donne della generazione
dell’onnipotenza operano strategie orientate a moltiplicare
il tempo per essere in grado di assolvere a tutti gli impegni;
le donne giovani, per le quali esiste già in natura un diritto
alla corresponsabilità, anche in relazione agli affari
domestici, chiedono di poter decidere i modi della
conciliazione.»
31
La coabitazione
è un atto contro natura
Immagine tratta dal sito www.solleviamoci.wordpress.com
Da quando gli uomini vivevano nelle caverne le
cose andarono progressivamente complicandosi. Tutto
cominciò nel momento in cui un maschio della specie
abbrancò una femmina per la chioma e la trascinò nel
suo antro. Confessiamo a noi stessi, chi non vorrebbe
poter disporre di tutta la casa solo per se stesso senza
doverla condividere con nessuno? Niente file per il
bagno, niente fastidiosi flaconcini sulle mensole e sul
lavandino, niente tubetti del dentifricio spremuti a
metà, telefoni sempre disponibili, nessuna competizione per il controllo del telecomando, nessun
obbligo, insomma, se non quello di scegliere e decidere
per sé stessi. Questo è tanto più vero quando lo spazio
vitale si riduce e i metri quadri a disposizione
scarseggiano. In tale realtà la coabitazione diventa un
atto contro natura in cui bisogna combattere per
difendere il proprio territorio. Non c’è spazio a
sufficienza per contenere gli oggetti e le estensioni
delle singole personalità. Libri, vestiti, cd, scarpe,
giocattoli, fogli di carta sciolti, appunti, biglietti e
ammennicoli vari si depositano ovunque perché non
ci sono armadi in grado di contenerli. C’è bisogno di
un generale in grado di tenere il campo. Su chi ricadrà
la scelta? Le statistiche dicono che nel 99,9% dei casi si
tratta dell’individuo di sesso femminile presente nella
coppia genitoriale. Sarà un caso? Mah. Quel che è certo
è che suddetto esponente del sesso femminile si
cimenta in sforzi sovraumani per rendere vivibili
anche 40 metri quadrati calpestabili con uno slancio e
uno sfoggio di abilità strategica degni di Napoleone.
Si adottano regole ferree per mantenere in ordine
l’accampamento ed evitare diserzioni. Si mettono a
35
dura prova i fondamentali delle leggi della fisica
sull’impenetrabilità dei corpi. Come riuscire a far
entrare tutto il necessario in un casa di Barbie? No,
Barbie non è l’esempio giusto perché nella sua casa è
sempre tutto in ordine, meglio le case dei Puffi che
sembra che nessuno ci spazzi e spolveri da almeno tre
mesi. E’ necessario adeguare lo stile di vita agli spazi
disponibili. La domanda fatidica di fronte a qualsiasi
oggetto che concupisce non è più: me lo posso
permettere? Ma, diventa, dove lo metto? All’IKEA ti
propongono con convinzione soluzioni abitative
improbabili che ricordano molto da vicino Jurij
Gagarin nello spazio.
Certo si potrebbe pensare di sfruttare il soffitto che
lasciato così inutilizzato è uno spreco…
Non è facile contrarre i propri spazi fisici perché
questi rappresentano l’ingombro delle nostre menti
sotto forma di interessi che coltiviamo. (Anche le
amebe che si limitano a grugnire davanti alla
televisione hanno necessità di un tavolino per
poggiare piedi e birra).
Perciò alle donne non resta che trovare soluzioni
fantasiose, mettere in ordine di continuo e sperare
di vincere alla lotteria per potersi permettere una casa
più grande. Conosco una donna che non smania
davanti alle vetrine delle gioiellerie ma che insegue
disperatamente un oggetto del desiderio: un
ripostiglio.
36
Le donne chiocciola
Immagine tratta dal sito www. it.123rf.com
Il rapporto fra le donne e lo spazio che occupano
dice molto di loro stesse e del modo in cui la razza
umana declinata al femminile interpreta la vita. Nella
maggioranza dei casi entrando in un ufficio si capisce
se a lavorarci è una donna o un uomo. Da cosa lo si
comprende. Dall’odore? Per fortuna capita raramente.
No, ciò che contraddistingue la personalizzazione
dello spazio sono gli oggetti che lo abitano
testimoniando frammenti di vita vissuta, ricordi,
storie, emozioni, traguardi raggiunti, affetti presenti e
perduti. Le donne tendono a riempire di significato lo
spazio in cui trascorrono il loro tempo sia che si tratti
di quello lavorativo, in un ufficio, sia che si tratti di
quello privato, in un alloggio. La scelta del termine
alloggio non è casuale perché una donna, anche
quando si trasferisce per un periodo non lunghissimo,
tende a portare con sé degli oggetti che le trasmettano
accoglienza, calore, serenità. Negli uffici sulle scrivanie
accanto ai computer spuntano piantine, magneti,
fotografie, piccoli oggetti, souvenir, bomboniere
ricevute in occasione di battesimi e oggetti di varia
natura.
Nei luoghi di soggiorni temporanei legati a trasferte
di lavoro si trovano testimonianze della vita
trasportate con sé. Se potessero le donne si
porterebbero dietro, sempre, l’intera casa come le
lumache. Non mi riferisco alla fin troppo banale
immagine di una donna alle prese con il bagaglio
vacanziero di valigie e beauty –case ma parlo di
qualcosa di più profondo. Di un bagaglio fisico ed
emotivo, concreto e astratto. Di quella parte del
39
proprio mondo che una donna porta quando si sposta
per lavoro pagando un prezzo elevato in termini
affettivi e di dilatazione dei tempi lavorativi a scapito
di quelli di vita. In queste trasferte affiora la chiocciola
che è in noi. Vorremmo poter ricomporre nel luogo in
cui andremo se non tutto, almeno una parte, del nostro
spazio. Il nostro bagaglio tende ad essere composito,
un collage di cose e sensazioni. Ci sono mille modi
diversi per declinare questo mix. Per dirla con le
parole di mia sorella ci sono persone che viaggiano
intorno al mondo portandosi dietro un cofanetto
“Sperlari” e altre che per stare fuori casa tre
giorni si trascinano dietro il baule per far visita a
Sant’Elisabetta. Ognuno cerca e sperimenta il proprio
modo di riempire i bagagli. Come il cammello fa scorta
d’acqua noi abbiamo bisogno di fare scorta di segni
identitari distintivi. Abbiamo bisogno di circondarci
di cose che rivestono un significato e che in quanto tali
ci ricordano chi siamo e come siamo arrivate ad esserlo
donandoci una piacevole sensazione di tranquillità.
Non è il mio indirizzo che mi conferisce identità ma
l’esatto contrario. Sono io ad avere valore non il nome
della strada dove abito o della città dove risiederò per
un certo tempo.
40
Eta Beta e Mary Poppins
Immagine tratta dal sito
www. kijiji.it
www. lemcronache.blogspot.com
Cosa hanno in comune Eta Beta e Mary Poppins?
Che dalle tasche dell’uno e dalla borsa dell’altra esce
di tutto. Hanno il mondo a portata di mano. E noi
misere comuni mortali come scegliamo il contenitore
degli oggetti ritenuti indispensabili per affrontare
l’uscita quotidiana dalle mura domestiche? La borsa
racconta molto di una donna. Partiamo dalle
dimensioni. Assomiglia a un accessorio femminile o a
un cargo umanitario? E’ piccola, media o grande?
Dentro c’è spazio solo per chiavi, cellulare e rossetto o
per chili di derrate alimentari (ho visto estrarre interi
barattoli di nutella!), agende, telefoni, fazzolettini
imbevuti e non, ricambi di vestiario, cassetta di pronto
soccorso. E la proprietaria della borsetta /cargo come
si relaziona con l’imprescindibile accessorio? E’ un
coordinato di risibili dimensioni poco più che inutile o,
invece, la sua ancora di salvezza? Siamo in presenza di
una cosina luccicante e modaiola o di un pozzo di San
Patrizio dal quale fuoriescono inenarrabili meraviglie?
L’osservazione non deve, poi, tralasciare il conteggio
dell’uso congiunto dell’oggetto in questione. Eh, sì ci
sono persone che si muovono anche con più borse…
dimmi cosa c’è nella tua borsa e ti dirò chi sei!
Nel caso in cui mi imbatto nel formato mini
immagino che la donna che l’ha scelta abbia le idee
molto chiare su come affrontare le sue esigenze in
modo soddisfacente con il minimo sforzo. Il pensiero
che mi trasmette è: non ho bisogno di portar niente con
me poiché qualunque cosa succeda troverò il modo di
rimediare ciò che occorre. Se incontro una donna con
una borsa dalle dimensioni medie so che ha raggiunto
43
dei compromessi tra quello che è assolutamente
indispensabile portare con sé e quello che non lo è. Ma
se le dimensioni sono impegnative… allora so che mi
sono imbattuta o in una persona molto previdente, o
in una versione moderna di Florence Nightingale, o in
una mamma. Le novelle Florence Nightingale hanno
una naturale vocazione a prendersi cura dell’universomondo, motivo per il quale, non possono in nessun
caso allontanarsi da casa senza aver racimolato il
necessario per soccorrere il prossimo. Per quanto
riguarda le mamme va detto che esse tendono a
rimanere tali anche al crescere dei figli.
Ciò significa che le grosse borse non scompaiono
con il superamento della tenera età dei pargoli. Con il
passare degli anni non c’è un ridimensionamento del
bagaglio. Se ciò accade si tratta di un fenomeno raro
perché il modello della mamma previdente tende ad
essere inossidabile, resiste al passare del tempo.
Il conforto e le comodità si regalano a chi si trova a tiro,
che poi sia figlio di qualcun altro poco importa sempre
figlio è e come tale bisognoso di assistenza. Se
gettiamo l’occhio oltre il bordo della borsa, e poco
educatamente, osserviamo il modo in cui l’interno
della borsa è organizzato et voilà il gioco è fatto.
Abbiamo scattato la fotografia del carattere delle
donna che è seduta accanto a noi. Il suo io più
recondito è messo a nudo. Le portatrici sane di borse
si dividono in tre categorie: organizzate maniacali,
organizzate-disorganizzate e casiniste pure.
Nella prima categoria rientrano le donne ossessivocompulsive che devono tener sotto controllo ogni
44
minimo dettaglio. L’incubo degli acari, le persecutrici
dei microbi, la benedizione dei commercianti di
elettrodomestici, delle case farmaceutiche e dei
produttori di detersivi e disinfettanti, di tutti coloro,
cioè, che propongono prodotti per combattere la
crociata contro lo sporco. Parlo di quelle donne che per
controllare l’inarrestabile avanzata della polvere in
casa scrutano le superfici in controluce con il
microscopio da laboratorio. Fuori casa, temendo
assalti assassini da parte di terrificanti morbi in
agguato, spruzzano disinfettante con abbondante
frequenza su ignari bambini.
Nel secondo gruppo si collocano le donne
consapevoli che tenere sotto controllo ogni aspetto
della vita non è sano perché porta all’esaurimento
nervoso. Esse si concedono, perciò, un caos
organizzato comprensibile solo a loro stesse in cui ad
una apparenza sconclusionata corrisponde un ordine
rilassato. Sotto controllo ci sono solo le variabili
ritenute cardinali.
Le appartenenti al genus consapevole hanno
bisogno di scavare nella borsa. L’operazione di scavo
è resa necessaria dalla presenza di stratificazioni
sedimentate: penne, agenda, vecchie liste della spesa,
biglietti usati dell’autobus, mazzi di chiavi da far
invidia a San Pietro, telefono cellulare, telecomando
del garage, rossetto, specchietto, articoli di giornali
ritagliati, mentine e caramelle, vecchi accendini
inutilizzabili, cartacce da non gettare a terra e
conservate per buttare una volta giunte a casa…
Nell’ultimo gruppo riconosciamo le casiniste DOC.
45
Per loro non necessitano delucidazioni al riguardo.
L’essere casinista è una categoria di pensiero, uno stile
di vita. Nelle loro borse non alberga nessun ordine, né
apparente né sostanziale, in esse impera trionfante
l’anarchia. Non è possibile rintracciare alcun nesso
logico tra gli oggetti presenti che non sia l’accumulo.
Attinenze e collegamenti sfuggono all’umana
comprensione.
Personalmente mi riconosco nella seconda
categoria, quella delle organizzate-disorganizzate,
nella mia borsa c’è sempre una gran confusione ma
tutto quel che serve è reperibile. Periodicamente metto
ordine e mi disfo della zavorra. Forse non la
penserebbe così un malcapitato a cui chiedessi di
recuperare qualcosa da lì dentro che verrebbe colto da
un attacco di panico. Ma, si sa, ognuno sa gestire il
proprio caos.
C’è da dire che rispetto all’epoca delle nostre madri
sono cambiate molte cose. Potremmo stilare una lista
delle cose cadute in disuso e di quelle sconosciute alla
loro generazione. Tra le prime un posto d’onore spetta
al portacipria. Oggetto di grande fascino e seduzione.
C’era quello da mattina e quello da sera. Oggetti artistici
con i quali le donne potevano tenere sotto controllo il
maquillage e tirarsi elegantemente fuor d’impaccio in
svariate situazioni. Oggi potremmo rifugiarsi giusto nel
blackberry! O meglio ci si possono rifugiare coloro che
in fatto di tecnologia non sono analfabete di ritorno. O
anche solo di andata, senza ritorno. Al secondo posto
metterei il portapillole. Immancabile nelle borse di
nonne e vecchie zie. Anche questi, oggetti che potevano
46
assurgere a punte di notevole raffinatezza,
sconfinavano nell’accessorio gioiello. A Natale ne ho
cercato uno da regalare e hanno tentato di
contrabbandarmi una costosissima, quanto sgraziata,
bomboniera. Scavando ancora ci si poteva imbattere nei
fazzoletti con le cifre. Di cotone, ovviamente, anzi
batista. Mai stropicciati, leggermente imbevuti della
fragranza profumata usata dalla proprietaria,
rappresentavano un rifugio sicuro in numerose e
disparate occasioni: improvvise lacrime da
commozione (vere o simulate), filtro contro gli odori
molesti (i sali dopo l’Ottocento erano stati dimessi),
medicazioni di bambini caduti dalla bicicletta, memento
di amori passati (quando la nonna si chiamava Ortensia
e l’iniziale ricamata era la C e non si trovava un parente
con un nome che cominciasse con quella lettera fino
alla quarta generazione manco a pagarlo oro…).
Accanto al fazzoletto il ventaglio. Immancabile.
Anch’esso declinabile nella versione da mattina e da
sera. Realizzato in diversi materiali era un accessorio
dalle molteplici funzioni: sollievo alla calura, oggetto da
tormentare con le mani in momenti di rabbia e/o
agitazione come ottimo deterrente contro lo
strangolamento di soggetti molesti, vezzo da abbinare
all’abbigliamento, oggetto contundente alla bisogna.
Altro must i guanti. Qualcuno potrà obiettare che sono
in uso ancora oggi. Sì, ma sfido chiunque a rintracciarne
un paio estivi! Una vera signora non usciva mai senza.
Altro emblema delle femminilità che impazzava: il
bocchino per fumare. All’improvviso le nostre madri
erano diventate tutte Greta Garbo. D’ambra, d’avorio,
d’osso, di plastica colorata e chi più ne ha più ne metta.
47
Una mia zia lo trovava troppo lezioso e fumava le STOP
senza filtro. Grandi boccate di catrame accompagnate
da un bicchierino di Sambuca. Roba da bocche rivestite
d’amianto. Il decalogo delle buone maniere di mia
madre recitava che una signora può fumare in pubblico
ma mai camminando per strada e, sempre, con stile (con
o senza bocchino). Anche gli ombrelli erano accessori
di moda. Costosi ed eleganti in legno e stoffa con
pomelli istoriati. Guai a perderli. Niente a che vedere
con i nostri piccolissimi e tascabili. Non a caso c’era chi
gli ombrelli li aggiustava. La filosofia “usa e getta” era
di là da venire. Ricordo che quando frequentavo le
scuole elementari, per insegnarmi a non perderli, me ne
fecero scegliere uno tutto per me. Era di plastica
trasparente con due ranocchi blu e l’asta celeste. Lo
adoravo. Facevo la danza della pioggia tutte le sere nella
speranza di averne bisogno la mattina seguente.
Quando si ruppe dovetti elaborarne il lutto. Adesso ne
perdo un paio all’anno, di quelli fatti in Cina e senza
ranocchi.
Sul fondo della borsa materna, sempiterno oggetto
del desiderio, tastando con le nostre manine paffutelle
(in verità non so se le mie lo siano mai state), ci
potevamo imbattere in un oscuro oggetto del desiderio:
un porta profumo. Che classe le nostre madri! Ricordo
che la mia aveva un minuscolo imbutino per travasare
il Cabochard dalla bottiglia posata sul comò al
portaprofumo da borsetta. Bastava spruzzarne un po’
e subito nell’aria aleggiava odore di mamma.
Le bambine di oggi fanno più fatica a far aleggiare
l’odore della propria mamma perché nelle nostre borse
48
abbonda la tecnologia. Essa assolve principalmente a
due funzioni: essere rintracciabili 24 ore su 24 e
proteggere la propria casa. Al posto di tutti quegli
eleganti oggetti che costituivano il contenuto delle
borse delle nostre progenitrici abbiamo telefoni
cellulari, palmari, i-phone, i-pod, dispositivi per
controllare la segreteria telefonica a distanza, chiavi di
porte blindate da mezzo chilo che mettono a dura
prova fodere di borse e tasche, telecomandi di cancelli
e garage, telecomandi di antifurti.
E che dire dell’evoluzione delle penne. Le penne che
popolavano le borse materne erano sottili, dorate,
piccole, aggraziate, ultra femminili. Le nostre sono di
tre tipi. Lo status symbol: la Mont Blanc. Lo strumento
utile da battaglia: la biro. Quelle rivelatrici della
personalità: le penne pennarello con punta sottile.
Tutte hanno in comune una cosa: immancabilmente
perdono metà dell’inchiostro all’interno della borsa e
te ne accorgi al cambio di stagione. Agli oggetti finora
individuati vanno aggiunte le gomme da masticare.
Vera rivoluzione generazionale. Le nostre madri
(nonne e zie) dispensavano caramelle. Di tutti i tipi. Di
gelatina, di zucchero, con il ripieno morbido,
sciroppose, colorate. Di tutti i gusti: menta, frutta,
violetta. Rendevano i nostri baci di bambini
appiccicosi e profumati. Quelle assolutamente da
evitare, anche simulando uno svenimento, erano
quelle all’anice. Terribili. Le gomme da masticare
erano vietate. Off limits. “Fanno male ai denti. Se le ingoi
ti si attaccano all’appendice. Una signorina non rumina”.
49
Oggi ce le presentano come uno dei più efficaci
strumenti di igiene orale. Evidentemente non si
attaccano più all’appendice. Sono state sdoganate
come la coca cola e la nutella che nella nostra infanzia
furono messe al bando.
Una carissima amica mi ha confessato: “A volte mi
sento una SS, le mamme delle amichette di Sofia spacciano
nutella, merendine e coca cola a tutte le ore del giorno e della
notte in tutti i mesi dell’anno, io se cedo alle sue insistenze
e le consento qualcosa di diverso da un panino, un po’ di
frutta o un dolce fatto in casa mi sento Lucrezia Borgia che
stilla veleno!”.
Con l’avvento del consumismo anche l’ora della
merenda ha subito dei cambiamenti. Le quarantenni
sono cresciute facendo spuntini con pane, burro e
zucchero, pane e cioccolata (cioccolata non nutella!),
banane, torte margherite, prussiane, maddalene,
brioche (biscotti secchi insomma perché creme: Niet!),
succhi di frutta e latte. Anche le feste erano così,
organizzate rigorosamente in casa si giocava sotto la
supervisione dei fratelli maggiori e poi si mangiavano
graffette, panini dolci con salumi, pizzette e una torta.
Tutto preparato dalle mamme. Oggi le feste dei treenni
contemplano ricevimenti in ludoteche e buffet
sostanziosissimi. Ne sa qualcosa la mia amica Valeria
che scandalizzata mi ha informata di una nuova
pratica in voga secondo la quale il regalo al bambino
va scelto in una lista predisposta dalla mamma del
suddetto presso un negozio. Io potrei aggiungere che
sono stata invitata a una festa di diciotto anni in cui il
regalo fatto in gruppo è stato una busta con dei soldi
50
“perché tanto i ragazzi oggi hanno tutto!”. Mia madre
sarebbe inorridita, Valeria ed io anche. C’è una misura
in tutte le cose. Le madri che lavorano e hanno un
discreto equilibrio mentale che non le porta verso il
martirio e l’autoflaggelazione si organizzano. Si può
dare una festa per bambini nella propria casa senza
farsela distruggere, si possono alternare le merendine
con delle cose cucinate, e soprattutto, si può evitare di
scadere nel cattivo gusto.
Esistono dei gruppi di supporto tra amiche per
l’organizzazione di una festa che funzionano meglio
dell’anonima alcolisti. Se non fosse stato per il pronto
soccorso di Melina e Raella all’ultimo festeggiamento
di compleanno di famiglia una parte delle cibarie non
sarebbero mai arrivate sulla tavola…
51
Il superamento del concetto di
“doppia presenza”
Immagine tratta dal sito: www. ilcivennese.blogspot.com
Negli anni Settanta Laura Balbo introdusse il
concetto di “doppia presenza” riferendosi al duplice
ruolo svolto dalle donne nel mondo del lavoro e in
famiglia.9 Era il decennio di attività del movimento
femminista in cui molto si rifletteva sul ruolo della
donna nella società contemporanea. Oggi, dopo oltre
quarant’anni, la situazione è cambiata. Parlare di
doppia presenza è riduttivo, non tiene conto di altri
ambiti nei quali le donne operano. E’ senz’altro vero
che le donne sono capaci di lavorare in multitasking ma
è innegabile che si rischia spesso, molto spesso,
l’overload! Quando è troppo è troppo! La moltitudine
di compiti cui le donne sono chiamate a far fronte per
gestire la vita quotidiana assomiglia agli esercizi dei
giocolieri. Il lavoro, la scuola dei figli, la spesa, la
pulizia della casa, il bucato, l’ufficio postale, la
lavanderia, l’accudimento di genitori o suoceri anziani,
l’idraulico, l’elettricista, il dentista, l’oculista, l’accompagnamento in piscina, al calcetto, alle feste dei
compagni di scuola, il meccanico per l’automobile …
la lista potrebbe allungarsi all’infinito. Si corre sempre
in preda all’ansia di non riuscire a fare tutto, di
dimenticare qualcosa. Si rivede di continuo la lista
delle priorità. E ci si stanca. Molto, moltissimo. La
pianificazione è fondamentale, tutto deve funzionare
a incastro. E se si è in ritardo sulla tabella di marcia si
finisce con il trascinarsi tutto il giorno quell’ora di
impegni non prevista che pregiudica tutti gli
appuntamenti prefissati. Se già la doppia presenza
____________
9
Balbo L., “La doppia presenza”, Inchiesta n. 32, 1978.
55
creava problemi di identità frammentata figurarsi la
presenza multipla! Roba da schizofrenici conclamati.
La situazione si complica quando il lavoro non è
stabile ma precario. Altro che frammentarietà siamo
di fronte alla smolecolarizzazione. Il precariato è una
declinazione recente che si aggiunge alle difficoltà di
una donna che si interroga innanzitutto sulla capacità
di tenuta: riuscirò a fare tutto (senza accoltellare
nessuno)? Sarò una buona madre (sarà poi vera ‘sta
storia sulla qualità del tempo al posto della quantità o
qualcuno se lo è inventato per evitare la disperazione)?
Riuscirò ad avere una vita degna di questo nome
(tempo per me)? Scamperò allo schiacciante senso di
colpa (che mi spinge a fare cose che hanno del
sovraumano)?
Ci si interroga, poi, sull’economicità del continuare
a lavorare (soprattutto se il lavoro è precario) quando
quel poco che si guadagna si spende per baby sitter o
per scuole che garantiscono il tempo prolungato.
Ci si dilania, insomma, tra mille interrogativi nel
continuo lavorio per trovare la quadra.
E’ interessante notare come il significato
dell’espressione “doppia presenza” si presti a più
interpretazioni. Per Marina Piazza la scelta del termine
presenza rimanda al significato che le donne
attribuiscono al lavoro come elemento costitutivo della
propria identità, non si tratta solo di una modalità
reddituale. Il “doppio” è vissuto come alternanza tra
due mondi che si modifica nel corso degli anni: «In una
prima fase (anni Settanta/primi anni Ottanta) sembra
prevalere un tipo di comportamento, rispetto alla doppia
56
presenza, caratterizzato dal tentativo di mantenimento
parallelo dei due poli del lavoro e della famiglia. Esso
apparirebbe connotato da onnipotenza, fatica, disagi, scarsità
di strumenti culturali, ostilità del clima culturale. Quanto
più rigidi sono i vincoli esterni (orari lunghi nell’industria,
mancanza di servizi o di reti interfamiliari efficienti) e forti
i vincoli interni (scarsa comprensione familiare, incapacità
di leggere la propria esperienza invece che come forma di
inadeguatezza, come vissuto condiviso da un sempre
maggiore numero di donne) tanto più si moltiplicano le
fuoriuscite verso il polo familiare. In una seconda fase
(seconda metà degli anni Ottanta/primi anni Novanta)
sembra prefigurarsi un intreccio che potremmo definire
improntato a “strategie di diacronicità”, connotato da
posposizione della maternità, strumenti culturali più precisi,
legami più forti con il mondo del lavoro, strategie di
posizionamento su quel mercato verso professioni non
“ostili”».10
Per Anna Scisci e Marta Vinci il concetto di
presenza va preso in considerazione insieme al suo
opposto, l’assenza, che mette in evidenza la solitudine
in cui le donne dovevano gestire e ancora gestiscono
il loro tempo e i loro impegni. La presenza è da
intendere – per le autrici- come partecipazione ad un
“mondo vitale” quale contesto pregno di significati
che risente fortemente di limiti culturali prima che
organizzativi.11
Si potrebbe suggerire un neologismo per la
“multipresenza” femminile parlando delle donne
____________
10
Piazza M. “Le trentenni-Fra maternità e lavoro, alla ricerca di una nuova
identità” Mondadori 2003.
11
Scisci A. Vinci M. “Differenze di genere, famiglia, lavoro” Carocci 2002.
57
come “allwinner” visto che gli uomini sono stati
definiti nella società industriale “breadwinner” ovvero
procacciatori di cibo, di sostentamento.
Emma Chiaia sul sito internet www.vitafelice.it ha
scritto una interessante riflessione sul rapporto tra le
donne e il tempo. Secondo l’autrice fino all’età adulta
la percezione del tempo declinata al femminile è di un
tempo dilatato, infinito, in cui ci sono continue
chiacchiere con le amiche, diari da scrivere, impegni
rilassati. Tutte attività che contemplano un percorso di
introspezione. Per i ragazzi, invece, niente introspezione ma sport e attività di gruppo, l’espressione
usata dalla Chiaia per descrivere questo tempo
maschile è: “l’uomo trova se stesso nel tempo riempito”.
Arrivata all’età di maggior impegno, quello della
presenza multipla, le donne cercano di difendere con
le unghie e con i denti piccoli scampoli di tempo per
loro stesse. In linea di massima sono tutti d’accordo
nel ritenere che ciò sia giusto e sacrosanto ma nei
fatti… La Chiaia fa notare come gli uomini tendano ad
essere comprensivi quando gli spazi delle loro
compagne sono ritagliati in un tempo in cui loro sono
comunque impegnati (al lavoro, al bar con gli amici,
al calcetto…) ma guai a organizzarlo in un tempo in
cui loro sono a casa. “L’idea che un uomo debba tornare a
casa e cenare da solo – scrive la Chiaia - perché la moglie
sta per conto suo (magari per un programma innocente come
una serata tra amiche) sembra ancora a tanti uomini un
affronto inconcepibile”.
Sull’uso del tempo delle donne Marita Ramazzi
scrive: «Il tempo per se, che le donne hanno sempre
58
appezzato e rivendicato, anche perché ne hanno sempre
avuto così poco, è un tempo solo apparentemente “da
sprecare” perché, in realtà, è quello della riflessività, quello
in cui si ritrova il senso di sé, ridando voce a ciò che non è
visibile immediatamente dall’esterno e ricostruendo, così i
presupposti che danno un senso e un valore all’intimità”».12
La variabile rappresentata dal tempo è, per le
donne, molto importante. Non stupisce, perciò, che
l’invenzione della Banca del tempo sembra sia da
attribuire proprio a loro. Essa è una versione moderna
e più strutturata di una società di mutuo soccorso. Chi
vi si iscrive mette a disposizione delle ore del proprio
tempo per svolgere compiti diversificati: badare ai
bambini, prendersi cura di anziani anche facendo la
spesa, fare consulenza gratuita in materie di propria
competenza. In un’ottica di scambio con offerta a
catalogo ognuno offre parte del proprio tempo per
usufruire di quello degli altri. Si sistematizza, così, un
collaudato sistema di collaborazione esistente tra
parenti, amici e vicini di casa ampliando la rete dei
contatti.
A giugno di quest’anno sono stata invitata insieme
al Direttore della Confesercenti di Napoli (donna
volitiva affetta da una cronica insufficienza di tempo
disponibile) dalla Confesercenti di Reggio Emilia per
una discussione sul precariato delle donne. In un
caldissimo pomeriggio estivo si sono incontrati due
mondi diversi, noi sembravamo appena atterrate da
Marte su un pianeta in cui le donne, lavorano, hanno
____________
12
Ramazzi M. “Tempo di vita/tempo di lavoro nell’esperienza femminile” corso
“Donne, Politica, Istituzioni” a.a. 2005-06.
59
potere decisionale, contano, si sostengono e sono
tostissime. Nel celebrare il centocinquantenario
dell’unità d’Italia si sono incontrate due Italie
differenti. Il nostro racconto di donne meridionali che
fanno molta fatica ad affermarsi in un mondo ancora
fortemente declinato al maschile nei suoi ruoli apicali
ha dato l’impressione che la parte bassa dello stivale
sia intrappolata, per uno strano fenomeno tipo stargate,
in un epoca passata. Arrivati al Garigliano c’è uno
strappo spazio-temporale. Una delle partecipanti, una
donna sessantenne, mi ha detto che il precariato delle
quarantenni dipende anche da una loro responsabilità:
perchè esse avrebbero vanificato il risultato delle
battaglie condotte dalle loro madri negli anni Settanta.
Avremmo abbandonato il campo disperdendo i
risultati ottenuti dalla generazione di donne che ci ha
preceduto. Le ho risposto che non penso sia andata
proprio così. Non abbiamo preferito non lottare
pensando che tutto fosse scontato abbiamo, soltanto,
seguito il modello che la famiglia, la scuola e la società
ci avevano indicato: studiate, laureatevi, lavorate,
sposatevi, compratevi una casa e fate dei figli. Ma il
sistema si è inceppato perché il mercato del lavoro,
mentre noi studiavamo e ci laureavamo, è cambiato.
Le regole del gioco sono cambiate in corsa e noi ci
siamo trovate spiazzate senza strumenti per
controbattere. Quando lo abbiamo capito abbiamo
elaborato, o meglio stiamo elaborando, nuove strategie
di sopravvivenza. Ci stiamo riprendendo la parola
creando luoghi di incontro, di discussione e di
confronto per formulare proposte ai detentori pro
tempore del potere decisionale. Non sono i collettivi e
60
i gruppi di autocoscienza ma degli spazi di dibattito
costruiti sulle mutate condizioni storiche, sociali,
culturali ed economiche. Le relazioni industriali e lo
scenario produttivo sono cambiati, stiamo cercando di
cambiare anche noi.
61
Necrologio di Wonderwoman
Immagine tratta dal sito www. soundonsight.org
Wonderwoman è morta, le indagini sulla sua morte
continuano. Chi ne sente la mancanza sono soprattutto
gli uomini. Solo lei, infatti, era in grado di sostenere i
ritmi richiesti quotidianamente alle donne. Quelle
comuni, le povere mortali senza superpoteri, devono
cercare sistemi organizzativi tarati sulle proprie
esigenze concedendosi dei margini di fallibilità tali da
impedire il crollo (fisico e mentale). Per affrontare la
quotidianità esistono piccoli trucchi e strategie di
sopravvivenza che le amiche si confidano ma, per lo
più, si tratta di impegno costante e amore a palate per
le persone che costituiscono il proprio mondo
affettivo. Non esistono ricette miracolose. Non ci sono
piani perfetti. E’ consigliabile essere consapevoli della
propria capacità di resistenza e saper riconoscere i
segnali di cedimento in tempo utile per evitare il
peggio.
Fondamentale è la capacità di porsi (e porre agli
altri) dei limiti. Essere intransigenti come la signorina
Rottermaier non paga, l’aspirazione al martirio non
conduce alla felicità (solo alla probabile strage per
omicidio). Si fa del proprio meglio e non è poco. Si
operano continue scelte sulle priorità da soddisfare e
si finisce, di solito, per posporre nella lista il tempo per
se stesse.
“Un errore nel quale facilmente si cade è quello di cedere
al ricatto del tutto o niente. E poi, in un crescendo
pericolosissimo si pretende di fare tutto; di fare tutto bene e
in fretta. Solo a leggerla questa sequenza mette un’ansia
terribile: pretendere di compiere questi tre passi in
successione conduce alla delusione e non consente di fare
65
neppure le cose semplici”. Sono le parole scritte da Cinzia
Sasso e Susanna Zucchelli in Un’ora sola io vorrei. A
leggerle il loro pensiero appare chiaro eppure,
andando avanti con le pagine, ci si imbatte in un
suggerimento che lascia perplessi: “[…] attività che
possono efficacemente essere svolte in contemporanea perché
sono simili o perché impegnano parti diverse della nostra
attenzione […] cucinare il risotto e controllare le spese della
carta di credito”. Mah. Non saprei.
“Bè non ci sono superdonne, non è possibile che le donne
riescano a svolgere tutte le mansioni che credono sia loro
compito svolgere. Non si può fare tutto senza modificare
l’organizzazione del lavoro. […] Non possiamo inserirci nel
mondo del lavoro così come è concepito. Non c’è alcuna
possibilità per le donne di adeguarsi con pari opportunità
alla struttura economica oggi esistente: non è possibile. Non
con tutte le altre responsabilità che pesano sulle loro spalle,
non finché il ruolo degli uomini all’interno della casa e della
famiglia non è pari a quello delle donne, così come
quest’ultime sono pari a loro al di fuori di queste realtà. Non
finché non abbiamo trasformato il sistema”. Così la pensa
Elizabeth McKenna.13 E qui dubbi non me ne sorgono.
Tra le tante donne incontrate nel corso degli anni ce
ne sono alcune che raccontano con raccapriccio di aver
vissuto un periodo della propria vita nel quale anche
farsi una doccia era impossibile perché vivevano con
un bambino piccolo letteralmente incollato addosso.
Una mi disse che l’ultima volta che aveva dormito per
otto ore consecutive risaliva ad un decennio prima.
____________
13
McKenna E.P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002 pag. 172.
66
Altre riflettono ad alta voce sul fatto che vorrebbero
poter dedicare più tempo ai propri interessi e quasi
tutte si rammaricano di non aver tempo per svolgere
un po’ di attività fisica.
Ma chi sono le donne di cui scrivo? Non sono le
manager degli anni Ottanta descritte da Cinzia Sasso
in “Donne che amano il lavoro e la vita – La via
femminile al successo” nel quale emerge un quadro di
donne realizzate in un mondo del lavoro diverso da
quello odierno. Un mondo in cui essere giovani era un
opportunità ed essere una donna un privilegio. Donne
che hanno avuto un percorso formativo arricchito da
significative esperienze all’estero. Donne che svolgono
un lavoro in posizione apicale. No, le donne di cui qui
si ragiona sono impiegate del settore pubblico, di
quello privato, libere professioniste, artigiane,
commercianti, precarie di tutti i settori economici:
primario, secondario e terziario. Donne comuni che
incontriamo tutti i giorni e che circa l’uso del tempo
sanno inconsciamente quel che Elizabeth Gilbert ha
scritto in “Mangia, prega, ama”: “i giorni qualche volta
si contano e qualche volta si pesano”.
67
Donne e lavoro
Immagine tratta dal sito www.jobtalk.blog.ilsole24ore.com
Il tema è di quelli che appassiona. Da quando le
donne sono entrate numerose nella forza lavoro nel
nostro Paese, negli anni Settanta, sono state condotte
numerose indagini. Le scienze sociali si interrogano da
lungo tempo sui cambiamenti prodotti nel tessuto
socioculturale dalle modificazioni economico
produttive.
«Dire di una donna che è una donna che lavora non è così
ovvio come dire di un uomo che è un uomo che lavora. Dietro
la prima affermazione c’è sempre una sospensione di senso,
un’interrogazione su che cosa vuole questa donna:
guadagnarsi il pane, aiutare la famiglia, costruire la propria
indipendenza economica e psicologica, salvaguardarsi
rispetto a possibili esiti negativi del matrimonio, fare
carriera, dimostrare al mondo che le donne valgono come e
più degli uomini. C’è sempre dunque un retropensiero, che
in qualche modo mette in discussione l”ovvietà”, pescando
nel grande mare della tradizione e degli stereotipi, tanto che
spesso questo “pensiero nascosto” arriva persino a
formularsi in risentita esclamazione: ma perché nel mondo
del lavoro sono entrate anche loro, che cosa vogliono queste
donne?”».14 Queste sono le parole di Marina Piazza per
illustrare un concetto strisciante secondo il quale una
donna che lavora deve sempre motivare, in qualche
modo, la sua scelta. Secondo la Piazza se si vogliono
comprendere l’evoluzione del mondo del lavoro
e i cambiamenti sociali bisogna abbandonare un
paradigma di lettura basato sulla contrapposizione per
adottarne uno costruito sulla compresenza. Bisogna
____________
14
Piazza M., “Le trentenni fra maternità e lavoro , alla ricerca di una nuova
identità” Mondatori, 2003.
71
guardare all’inclusione e alla convivenza e non più al
rigido scartare una cosa in favore di un’altra. Sta tutto
insieme. Non si può per facilitare le cose (agli uomini,
perché le donne lo sanno che non si può fare) scindere
gli ambiti per trattarli separatamente. Il fatto che una
donna lavori continua a non essere un fatto scontato
ma risponde a una logica da ricercare, un continuo
domandarsi qualche motivo ci dovrà pur essere.
Soprattutto risulta difficile capire la tenacia delle
donne che benché brave, capaci e competenti
continuano a guadagnare meno degli uomini, ad
occupare raramente ruoli decisionali e a essere messe
da parte dopo la nascita di un figlio. In diversi casi
avere delle donne in squadra è un’ottima scelta di
marketing perché presenta l’azienda come progressista e attenta alle pari opportunità. Ma bisogna vedere
quanto potere è stato accordato a questa donna che
viene esibita alla società come segno di riconoscimento
delle sue capacità.
«Le donne sono di moda, e gli uomini di cinquant’anni e
più che oggi, statisticamente, controllano la maggior
quantità di potere nel nostro paese lo sanno e di solito se lo
ricordano, almeno quando si tratta della propria immagine
o di quella della propria azienda. E’ una grande possibilità,
da conoscere e da esplorare. Ma…ma, nonostante questo, le
donne sono ancora più disoccupate degli uomini. I loro
risultati scolastici, costantemente migliori di quelli maschili,
non sono ancora sufficienti a garantire la parità nella
carriera, quando di “carriera” si tratta”». Questa è la
riflessione di Vera Schiavazzi in “Il lavoro è il miglior
amico delle donne”.
72
I ministeri affidati alle donne sono esemplificativi
di questo ragionamento così come lo sono le posizioni
verticistiche di aziende e organizzazioni sindacali
importanti.
Riccardo Zuffo sull’esibizione delle donne in
azienda quale simbolo di progresso e ossequio alle
pari opportunità scrive: “Un’attenzione alla diversità
quasi artificiale dunque, troppo spesso adottata o come
strategia interna alle company per contenere la cultura della
competitività maschilista, banalizzante nella sua tramontata
razionalità e mono-orientata verso comportamenti
semplificanti, oppure come strategia esterna per apparire e
tutelare quote di mercato”.15
Con l’avvento della società industriale quando la
produzione del reddito si trasferisce al di fuori delle
mura domestiche si configura la diversità di ruoli tra
l’uomo che va a lavorare e la donna che accudisce figli
e casa. “La transizione da un’economia fondata
sull’agricoltura e sull’artigianato, in cui spesso la casa e il
luogo di lavoro venivano a coincidere e tutti i membri della
famiglia lavoravano insieme, ad una di tipo industriale in
cui la forza lavoro usciva dalle mura domestiche e si vendeva
per un salario, non deve tuttavia far pensare che questa
forza fosse solo maschile. In realtà, nella prima fase di questo
passaggio, la componente principale della manodopera era
di sesso femminile, ma era costituita generalmente da donne
sole appartenenti alle classi più povere. A fronte di questo
fenomeno si registrava quindi una progressiva esclusione
dal mercato del lavoro delle donne sposate, che non
____________
15
Bombelli M.C. Cuomo S. “Il tempo al femminile” Etas 2003.
73
potevano più svolgere una attività a casa propria e
contemporaneamente prendersi cura dei figli e della
famiglia”.16 Quando sopra riportato è parte
dell’argomentazione di Marta Vinci per sostenere che
la differenza tra la sfera di azione maschile e quella
femminile non è stata il frutto di una necessità
scaturente dalle diverse caratteristiche biologiche che
connotano gli uni e le altre ma, piuttosto, una
costruzione socio-economico-culturale.
Questa separazione dei ruoli ha comportato una
modellizzazione del contesto lavorativo sulle specificità maschili. Il mondo del lavoro è maschile. I
parametri della produzione sono maschili. I tempi
della produzione sono maschili. Le modalità della
produzione sono maschili. Non si tratta di una
esagerazione ma del frutto di osservazioni e
approfondimenti condotti da diversi studiosi, non
tutte donne.
Partiamo dal lavoro di Georg Simmell che nel 1911
scrisse nel suo saggio “Il relativo e l’assoluto nel
problema tra i sessi”: “Nel misurare la produttività e
l’indole, l’intensità e le forme strutturali della natura
maschile e femminile ricorriamo a determinati parametri di
tali valori, ma ci accorgiamo che questi parametri non sono
neutrali, equidistanti tra i due sessi: essi risultano di tipo
maschile […] Se attribuiamo a queste idee che si presentano
come assolute il nome Oggettivo per eccellenza, allora nella
vita storica della nostra specie vale l’eguaglianza:oggettivo
= maschile”.17
____________
16
Schiavazzi V. “Il lavoro è il miglior amico delle donne” Sperling & Kupfer 2004.
17
Scisci A., Vinci M. “Differenze di genere, famiglia, lavoro” Carocci, 2002.
74
Simmell si sofferma, inoltre, sulle differenze di tipo
ontologico tra i due generi e mentre all’uomo riconosce
una mente analitica fondata sulla scomposizione nella
donna riscontra la capacità di unitarietà, di coesione.
Carol Pateman definisce un modello dualistico o di
genere della “cittadinanza”nelle moderne democrazie
in cui le donne non possono raggiungere lo status di
cittadinanza in quanto donne e quindi soggetto
lontano e diverso dall’uomo. Lister alla fine degli anni
Novanta ha cercato il superamento di questo pensiero
attraverso la teoria dell’universalismo differenziato che
tende all’armonizzazione universalistica delle
politiche in cui lasciare spazio alla differenza nei
processi creativi di tipo democratico. In quest’ultimo
modello le donne dovrebbero ritagliarsi il loro spazio
rivendicando una diversità di genere in modo
negativo, per sottrazione da tutto ciò che è dato ed è
codificato secondo una declinazione maschile.
La difficoltà di definire le peculiarità della presenza
delle donne nel mondo del lavoro viene rilevata anche
nel testo curato da Adriana Nannicini “Le parole per
farlo – Donne al lavoro nel postfordismo”18 in cui si
evidenzia come ci sia una questione lessicale da
ridefinire.
“…non disponiamo di un lessico capace di dire la
soggettività del rapporto con il lavoro/i. E si rafforza se si
pensa che il lavoro è l’oggetto centrale dei discorsi informali
____________
18
Nannicini A.“Le parole per farlo – Donne al lavoro nel postfordismo”
DeriveApprodi 2002.
75
tra donne, occupa più spazio e riceve più attenzione che non
l’amore o il sesso. E questo scivolamento di centralità non
appare tanto collegato a una particolare generazione di
donne quanto piuttosto a determinati luoghi e contesti
lavorativi. Si può ipotizzare che, per chi lavora in situazioni
di elevata flessibilità, derivi dalla necessità di rinnovare
continuamente l’osservazione e di sviluppare una
conoscenza sempre più consapevole delle condizioni in cui
il proprio lavorare si attua. […] C’è dunque da inventare
un lessico. E che non sia conservatore, ma conservativo di
una storia trascorsa…”.
Che i modelli di riferimento nei contesti lavorativi
siano maschili vien fuori anche dalle storie raccontate
da Cinzia Sasso in “Donne che amano il lavoro e la vita
– La via femminile al successo” e nelle pagine di Vera
Schiavazzi in “Il lavoro è il miglior amico delle
donne” quando scrive: “Nel panorama generale del
lavoro, le donne occupano le posizioni più basse in ciascun
settore, salgono più lentamente, o non salgono affatto, lungo
la scala gerarchica, quindi anche se in pratica svolgono lo
stesso lavoro, il loro livello contrattuale risulta comunque
più basso, le donne lavorano per meno tempo, e/o
interrompono per la maternità, quindi la loro anzianità è
minore, ricevono più difficilmente aumenti salariali a titolo
di riconoscimento per le loro prestazioni (anche perché li
chiedono meno spesso), alle donne tocca buona parte dei
contratti economicamente meno vantaggiosi, come quelli
part time”.19
____________
19
Schiavazzi V. “Il lavoro è il miglior amico delle donne” Sperling & Kupfer 2004.
76
Elizabeth McKenna sostiene: «Le donne componevano
la loro vita aggiungendo alla propria identità femminile
l’identità di successo definita dagli uomini. Se le donne
volevano riuscire, dovevano imparare a valutarsi nel modo
in cui lo facevano gli uomini. Dovevano compararsi agli
uomini mentre entravano in competizione con loro. Nel fare
questo si arriva a un’impercettibile ma consistente
atrofizzazione di altri aspetti importanti nella vita di una
donna. Come dichiarò la dirigente di una società
immobiliare: Qualsiasi cosa odori di “mamma e torte”
indebolisce la mia posizione in azienda. Debbo competere
con gli uomini alle condizioni imposte dagli uomini».
E ancora: “… come può sgualcirsi il tessuto della nostra
vita quando andiamo a lavorare in un mondo maschile se
facciamo quel lavoro come donne ma alle condizioni degli
uomini. Il mondo del lavoro ci ha aperto le porte, ma con
tutto il nostro idealismo non siamo riuscite a cambiare il
modo in cui opera o le ricompense che offre. Il mondo del
lavoro rimane un luogo discriminante. Un luogo costruito
per gli uomini che hanno una moglie a tempo pieno che
rimane a casa a prendersi cura del resto della vita”.20
In un intervista fatta da Lili Gruber alla psicanalista
Simona Argentieri sul rapporto tra donne e mercato
del lavoro si legge: “E’ un problema di autostima: una
donna per avere successo deve necessariamente possederne
una solida. Per gli uomini è il contrario: l’autostima è il
frutto dei traguardi tagliati”.21
____________
20
McKenna E.P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002 pag. 20.
21
Gruber L. “Streghe-la riscossa delle donne d’Italia” Rizzoli 2008.
77
Allison Pearson in “Ma come fa a far tutto” scrive:
“Un uomo che annuncia di doversi assentare dall’ufficio per
andare a vedere sua figlia in piscina passa per un padre
esemplare, affettuoso e sensibile. Una donna che annuncia
di doversi assentare dall’ufficio per restare al capezzale del
figlio malato, invece, viene tacciata di disorganizzazione,
irresponsabilità e scarsa disponibilità. Che un padre faccia
il Padre è una dimostrazione di forza; che una madre
ammetta di essere Madre è segno di deplorevole
vulnerabilità. Belle le pari opportunità eh? […] Credo nella
parità tra i sessi? Non lo so. Un tempo ci credevo con tutta
l’appassionata certezza di chi è molto giovane e sa
assolutamente tutto, ovvero niente di niente. Era una bella
idea, quella della parità, dell’uguaglianza, nobile e
innegabilmente giusta, ma come diavolo la si poteva mettere
in pratica? Possono offrirci ottimi posti di lavoro e tutta
l’aspettativa possibile in caso di maternità, ma finché gli
uomini non saranno programmati per notare che è finita la
carta igienica, qualsiasi progetto è destinato a fallire. Le
donne pensano costantemente ai problemi della vita
domestica, ce li hanno sempre in testa, non c’è niente da
fare”.
Il mio professore di filosofia del liceo ci raccontava
di trovare singolare il modo in cui la cinematografia
americana di una certa epoca facesse apparire le donne
lavoratrici. Il suo esempio era Doris Day le cui giornate
erano pressappoco così organizzate: ore 9 colazione in
terrazzo con il marito e lettura dei giornali avvolta in
vaporose e merlettate vestaglie, ore 10 toilette, ore 10,
30 – 13,00 sopralluogo in ufficio, o altro luogo ad esso
assimilabile, ore 13,30 colazione con le amiche, ore
16,00 salone di bellezza, ore 18,00 shopping, ore 19,00
78
aperitivo con marito e poi vestito da sera e a cena fuori
e a ballare. Il saggio uomo ammoniva noi, sue giovani
allieve, a diffidare di quei film e nel bel mezzo di una
interrogazione sui filosofi presocratici ci chiedeva se
avevamo imparato a preparare il tortano (noto rustico
napoletano del periodo pasquale) cosa altrettanto
importante e di pari dignità per la nostra formazione
del pensiero presocratico. E ho detto tutto.
Il Global Gender Gap Report da cinque anni valuta
i Paesi secondo criteri di distribuzione di risorse e
opportunità tra uomini e donne a prescindere dal
livello globale di risorse.
Secondo il Rapporto 2010 del World Economic
Forum sul Gender gap a livello globale si nota una
riduzione delle disparità uomo/donna negli ambiti
dell’educazione e della salute.
Ma per quanto riguarda la performance del nostro
paese c’è poco da stare allegri. L’Italia scivola dal
72esimo posto dell’anno precedente all’attuale
74esimo sui 134 censiti nella classifica che misura il
divario di opportunità tra uomini e donne. Siamo
posizionati dopo il Malawi e il Ghana non lontani
dall’Angola e dal Bangladesh. Non male. Ai primi
posti dell’hit parade (manco a dirlo) Islanda, Norvegia,
Finlandia e Svezia. Prima di arrivare a leggere l’italico
nome nell’elenco bisogna superare quello del
Mozambico (22esimo) e del Botswana (62). Tra i Paesi
ad alto reddito, solo una manciata registra risultati più
bassi dell’Italia: Malta (83), Giappone (94) e Arabia
Saudita (129). Gli USA risalgono rispetto all’anno
precedente dal 31esimo posto al 19esimo. Una bella
79
rimonta. Spiegano al World Economic Forum: “La
scalata riflette il più alto numero di donne con ruoli di
rilievo nell’attuale amministrazione e i progressi nel
divario degli stipendi”. Buone prestazioni per Spagna
(11), Germania (13) e Regno Unito (15) mentre la
Francia precipita in serie B perdendo 28 posizioni (dal
18esimo al 46esimo posto). Chiudono la classifica
Pakistan (132), Ciad (133) e Yemen (134). I parametri
di valutazione presi in considerazione per l’analisi
sono: la partecipazione e opportunità economica delle
donne, l’accesso all’educazione, le differenze tra uomo
e donna in termini di salute e di aspettative di vita e
l’accesso femminile al potere politico. Rispetto al
primo l’Italia ha guadagnato la 97esima posizione, per
il secondo ha conquistato la 49esima, il terzo la vede
alla 95esima e per l’ultimo strappa un 54esimo posto.
Non c’è che dire: un campionato da urlo. Sì, ma di
disperazione!
80
L’imparità salariale
Immagine tratta dal sito: www. leiweb.it
82
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di
lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le
condizioni di lavoro le devono consentire l’adempimento della
sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al
bambino una speciale adeguata protezione”. Qualcuno
potrà pensare che stia citando il contenuto delle
letterine a Babbo Natale di molte donne, qualcun altro
che abbia riportato parte della legislazione di un paese
lontano, molto lontano e invece no, il virgolettato è il
testo dell’articolo 37 della Costituzione italiana.
Quando si dice la distanza tra la costituzione formale e
quella materiale… Vogliamo parlare di differenziale
salariale, di come cioè uomini e donne a parità di
mansioni svolte, responsabilità attribuite, ore lavorate
e anzianità di carriera vengono pagati diversamente?
Ma sì, facciamoci del male. Le teorie economiche
spiegano il differenziale salariale di genere basandosi
sull’analisi di due aspetti delle dinamiche del mercato
del lavoro. La prima si fonda sull’interpretazione di
Bergmann secondo cui l’esclusione delle donne da
alcune professioni e mestieri crea un conseguente
affollamento (crowding hypothesis) di determinati
settori, definiti ad occupazione femminile, dove
l’aumento dell’offerta di forza lavoro fa diminuire i
salari. La seconda si basa sull’ipotesi avanzata da Filer
per il quale le donne scelgono il lavoro prediligendo un
aspetto anche a discapito di altri. A prevalere è sempre
la ricerca della conciliazione dei tempi di vita e di
lavoro. Una percentuale significativa delle donne
presenti nel mercato del lavoro accetta una minor
retribuzione a fronte della possibilità di contemperare
i propri impegni familiari con l’occupazione lavorativa.
83
Secondo una recente (2009) ricerca condotta sul tema
da Sda Bocconi – HayGroup le retribuzioni delle donne
sono inferiori del 3% a quelle degli uomini a parità di
posizione ed incarico, ma la verità è che questa parità
di incarico è cosa rara. Dopo tre anni di ricerca, 97
aziende coinvolte e la posizione di 31.882 lavoratori
analizzata, la conclusione è che le donne sono
concentrate nei segmenti di lavoro più bassi. L’analisi
svolta mostra che le impiegate guadagnano l’1,9% in
meno, i quadri il 3,6% in meno e le dirigenti il 3%. La
media ponderata è pari al 2%. L’Istat dichiara, invece,
una media del 7% (dati Istat 2007) Unioncamere il 17%
(dati Unioncamere 2008) l’Isfol l’8,75% (dati Isfol 2009),
l’Eurispes il 16% (dati Eurispes 2009) e i documenti
del Patto europeo dell’uguaglianza di genere il 18%
(2010). La media assoluta nazionale dà un dato diverso,
le donne italiane guadagnano meno rispetto agli
uomini, la forbice è tra il 22,8% (retribuzione annua
lorda) ed il 25,2% (retribuzione globale annua). Meglio
di noi la Germania dove la forbice è del 20% mentre in
Spagna si attesta al 27%, in Belgio al 29% ed in Francia
al 42%.
Di entità più preoccupante è il dato dichiarato
dall’Isfol nel I Rapporto sull’occupazione femminile
in Italia reso pubblico nel 2010 in cui si legge:
“il persistente divario di genere nella retribuzione è
stabilmente assestato sul 15% dal 2003”.
Caterina Soffici in “Ma le donne No – Come si vive
nel paese più maschilista d’Europa” a riguardo scrive:
“A parità di lavoro, le donne italiane guadagnano il 26
percento in meno dei colleghi maschi. Nel 2004 il divario è
84
stato il più alto del ultimi venticinque anni. E da allora il
trend non si è più invertito. Anzi, complici la crisi
economica globale e il tracollo occupazionale con aumento
del lavoro precario e atipico, il gap è aumentato
ulteriormente. Quando si legge che la parità salariale è stata
raggiunta o che gli scarti sono inferiori all’8 per cento, i dati
si riferiscono ai casi di lavori non qualificati o agli impieghi
statali. Perché le donne italiane non reagiscono? Perché non
hanno gli strumenti per farlo”.
Il differenziale salariale tra uomini e donne non
viene in rilievo solo attraverso la lettura della cifra
netta percepita in busta paga perché nell’analisi del
fenomeno bisogna tener conto, della continuità
retributiva, delle indennità di posizione, dei premi di
produttività, degli avanzamenti di carriera e degli
effetti, e nel caso delle donne dei mancati effetti, che si
produrranno nel trattamento pensionistico e in caso di
applicazione di ammortizzatori sociali. Le donne
lavorano come o più degli uomini ma guadagnano
meno. Questo è vero per tutti i settori e i comparti
produttivi. Lo è da sempre. Le argomentazioni a
sostegno sono le più fantasiose, come l’inadeguatezza
anatomica a svolgere lavori pesanti, ma allora non si
capisce perché le braccianti agricole che fanno lo stesso
lavoro degli uomini che, leggero non è, siano pagate
meno, all’inattitudine ad assumere ruoli dirigenziali
perché gli uomini si sentirebbero a disagio a prendere
ordini da una donna fino a giungere alla mancanza di
tempo perché assorbite dalle necessità familiari. A ben
vedere sono argomentazioni fragili ma, nonostante ciò,
esse continuano a penalizzare e mortificare le donne.
85
Nel percorso lavorativo di molte donne ci sono delle
interruzioni i cui effetti sulla contribuzione si palesano
al momento del calcolo della pensione o nel caso di
indennità di disoccupazione o cassa integrazione.
L’indagine condotta dalla UE EU_SILC mostra come,
a parità di condizioni, nel 2007 una donna (nubile)
abbia percepito un sussidio di disoccupazione inferiore
di circa il 17% a quello di un uomo (celibe) perché i
guadagni della prima erano, rispetto a quelli del suo
collega uomo, inferiori, su base annua, del 27%.
La Soffici interrogandosi sui motivi che disincentivano le donne dall’insorgere e protestare li
rintraccia nell’assenza di modalità per intervenire. Io la
penso diversamente. Sono convinta che molto si possa,
e si debba fare, con la contrattazione di secondo livello,
con la revisione della materia dei contratti di lavoro. Il
ruolo dei sindacati e delle associazioni di categoria è lo
snodo fondamentale per raggiungere dei risultati degni
di questo nome. Non viviamo negli Stati Uniti dove le
class action proposte da migliaia di dipendenti di grandi
catene scuotono il sistema dalle fondamenta, noi
viviamo in una realtà in cui le donne si sentono isolate
e non sanno come difendere i propri diritti. Le battaglie
per il riconoscimento del merito e della professionalità,
unito all’intangibile diritto alla maternità, nel mondo
del lavoro non si possono portare avanti in solitudine.
Anche perché si profila il rischio di appiattire il
concetto di conciliazione su un’unica dimensione che
non tenga conto delle tante, diverse istanze. Gabriella
Sforza avverte: «Paradossalmente, nella battaglia per la
conquista delle pari opportunità si potrebbe correre il rischio
86
di elaborare un unico modello di emancipazione femminile,
provocando un nuovo processo di discriminazione.
L’emancipazione è un obiettivo realizzabile con l’esercizio
della tolleranza e nel rispetto della diversità, attraverso la
rimozione di tutti gli ostacoli, compresi quelli creati da una
cultura “ideologicamente” al femminile. Il quadro che
comincia a delinearsi racchiude, in estrema sintesi,
l’equivalenza che si intende sostenere: l’emancipazione delle
donne attraverso la conquista delle pari opportunità è un
processo da coniugare insieme all’idea di libertà. Libertà di
sperimentare il modello organizzativo e lavorativo
dominante, nonché libertà di esprimere le proprie capacità e
le proprie attitudini mettendo in discussione il modello
dominante come l’unico possibile – in ambedue i casi per
realizzare le proprie aspirazioni attraverso la crescita
professionale e lavorativa – ma anche libertà di non scegliere
un modello di realizzazione attraverso il lavoro, secondo un
progetto di vita che al lavoro riserva un ruolo marginale».
Non bisogna tralasciare l’interpretazione del
combinato disposto dell’art 37 della Costituzione,
citato in apertura, e degli articoli 28 e 29 del Decreto
Legislativo 198/2006 (Codice delle Pari opportunità
tra uomo e donna) che recitano rispettivamente: “La
lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore
quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore.
I sistemi di classificazione professionale ai fini della
determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri
comuni per uomini e donne” e “E’ vietata qualsiasi
discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda
l’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la
progressione nella carriera”. Entrambi gli articoli
87
riprendono i contenuti di una legge del 1977 (903/1977
artt. 2 e 3).
Nel marzo del 2010 il Consiglio Europeo ha
adottato il “Patto europeo per l’uguaglianza di genere”
uno strumento per contrastare la discriminazione
salariale attraverso azioni che possano produrre un
cambiamento culturale: sensibilizzare i datori di
lavoro, sostenere azioni per la realizzazione delle pari
opportunità e supportare lo sviluppo di strumenti per
la misurazione del gender pay gap.
Immagine tratta dal sito www.ingenere.it
88
Gli effetti della crisi economica
sull’occupazione femminile
La vignetta di Pat Carra è tratta dal sito: www.nadirpress.net.
Nel I rapporto sull’occupazione femminile in Italia
pubblicato dall’Isfol nel 2010 si legge: “Dai dati Istat, la
situazione occupazionale delle donne appare comparativamente migliore di quella degli uomini. Ma si tratta di
un riparo apparente. Se, sempre sulla base dei dati Istat,
l’identikit del nuovo disoccupato corrisponde ad un uomo
tra i 35 e i 54 anni, residente al centro-nord, con titolo di
studio inferiore alla laurea – che nella maggior parte dei casi
ha perso il lavoro nell’industria e si tratta di un padre di
famiglia, bisogna in realtà considerare alcuni fattori prima
di definire le donne estranee a questo quadro”.
A voler analizzare la posizione delle donne sul
mercato del lavoro si osserva un quadro che si connota
per una doppia fragilità: una prima di tipo strutturale
alla quale se ne aggiunge una seconda di carattere
congiunturale derivante dallo scossone della crisi
economica che ha investito come un’onda d’urto
l’Europa dove aver mietuto le sue vittime oltreoceano.
L’ingresso significativo delle donne nel mercato del
lavoro, iniziato con il nuovo millennio, mostrava un
trend di crescita lento ma di segno positivo passando
dal 39% del 2000 al 47% del 2009 22, ma il trend si è
bruscamente interrotto invertendo il valore da positivo
in negativo facendo registrare un meno 2 punti
percentuali. La fuoriuscita della componente
femminile dal mercato del lavoro è da rintracciarsi in
diversi fattori. I primi che vengono in rilievo sono
quelli a carattere strutturale, e precisamente, il
massiccio ricorso ad una tipologia contrattuale atipica
____________
22
Dati Istat 2010.
91
e discontinua trasversale ai settori economici, la
femminilizzazione di alcuni settori con la conseguente
esclusione delle donne da segmenti del mercato del
lavoro e le peculiarità territoriali che penalizzano
l’accesso al mercato del lavoro per motivi di esiguità
di domanda e modelli culturali che prescrivono per la
donna un lavoro di cura parentale di tipo domestico.
In seconda battuta bisogna prendere in considerazione
i fattori congiunturali che contribuiscono alla
disoccupazione femminile. All’inizio della crisi le
rilevazioni sull’andamento occupazionale mostravano
una tenuta dell’occupazione femminile rispetto al
crollo di quella maschile. Ciò è dovuto alla scarsa
presenza di forza lavoro femminile nei settori
economici più colpiti dalla crisi come quello
dell’edilizia, il metalmeccanico e quello delle attività
finanziarie e al non trascurabile dato che la rilevazione
dell’andamento occupazionale si basa anche sulla
quantificazione delle forme di sussidio e sostegno
erogate ai lavoratori, interventi questi ultimi, che
hanno carattere di continuità solo per i lavoratori
stabili e non per chi ha sottoscritto un contratto a
progetto, un contratto di lavoro a termine o una
qualsiasi altra fattispecie contrattuale non standard.
Tutte tipologie contrattuali, queste ultime, dove la
presenza femminile è molto alta. Ma per condurre
un’analisi attendibile oltre all’incrocio tra le
caratteristiche strutturali del mercato del lavoro e le
dinamiche congiunturali sarebbe, poi, importante
prendere in considerazione un intervento valutativo
dell’ impatto di genere al fine di adottare decisioni
strategiche mirate.
92
La mancanza di un’analisi di genere comporta una
non visibilità di fenomeni significativi su cui
interrogarsi. Uno di questi è l’interdipendenza tra i
dati rilevati relativamente alla variazione dei tassi di
occupazione e quelli relativi all’andamento dei tassi di
inattività. Nel III trimestre del 2009 il tasso nazionale
di inattività femminile ha raggiunto il 49,5%, quasi il
doppio rispetto a quello maschile rilevato al 26,5% . Se
poi si leggono i dati relativi al Mezzogiorno i numeri
dell’inattività femminile schizzano al 64,2%.23
Quest’ultima triste fotografia viene spiegata da
Alessandro Rosina2 4come risultante del fattore G
composto da tre elementi: genere, generazione e
geografia. Un tris di assi al contrario, di carte cioè, che
il destino ha distribuito alle giovani donne nate al Sud
se, non per far perdere la partita fin dall’inizio, quanto
meno per renderla molto difficile. La trasposizione in
numeri di tale difficoltà la si può leggere nel
Documento di programmazione “Italia 2020 –
Programma di azioni per l’inclusione delle donne nel
mercato del lavoro” elaborato dal Ministero per le Pari
Opportunità con la collaborazione del Ministero del
Lavoro: “Rispetto alla Unione Europea a 27 l’Italia registra
un tasso di occupazione femminile più basso di circa 12
punti percentuali e distante di quasi 14 punti percentuali
dagli obiettivi fissati a Lisbona per il 2010. Nel complesso il
divario occupazionale tra i generi è assai più marcato in
Italia rispetto agli altri Paesi europei. Il tasso di occupazione
____________
23
Indagine Istat sulle forze di lavoro.
24
“Mercato del lavoro e politiche di genere – I rapporto sull’occupazione
femminile in Italia” Isfol.
93
maschile è, infatti, di 22 punti percentuali superiore rispetto
a quello femminile (dato al II trimestre 2009). Il ritardo
rispetto all’Europa e ai benchmark di Lisbona è pertanto
attribuibile per intero ai modesti tassi di occupazione
femminile nelle Regioni del Mezzogiorno che, infatti, si
colloca sui livelli più bassi di tutti i restanti Paesi
dell’Unione. In un trend positivo di crescita (1998-2008) le
problematiche della occupazione femminile nel nostro Paese
sono, dunque, largamente imputabili ai persistenti
differenziali tra Nord e Sud rispetto alla domanda di lavoro
e alle reali opportunità occupazionali offerte dalle economie
locali”. Che l’andamento occupazionale non sia
uniforme sul territorio nazionale è un fatto acclarato.
Al Nord si registra un tasso di occupazione femminile
del 57%, al Centro del 52,3% mentre al Sud e nelle Isole
è fermo al 30,7%.25
Ma il fenomeno va letto nella sua complessità, non
ci si può limitare a considerare esclusivamente il tasso
di occupazione o disoccupazione, bisogna incrociare
questi ultimi con il tasso di inattività e con i dati
relativi al lavoro sommerso, quello a pelo d’acqua e la
sottoccupazione.
Al Meridione la forza lavoro femminile è costituita
da una numerosa componente di donne con basso
livello di istruzione che, scoraggiate dalla difficoltà di
trovare una collocazione, abbandonano il mercato del
lavoro e da una sempre più numerosa pattuglia di
donne con un livello di istruzione-medio alto
sottooccupate o intrappolate in forme di lavoro
____________
25
Dati tratti da: “I Rapporto sull’occupazione femminile in Italia” Isfol 2011.
94
precario. A tal riguardo è sintomatico il dato riportato
dall’Eurostat nel 2010 secondo cui il tasso di
femminilizzazione degli studenti universitari italiani è
pari al 57,4% più alta della media europea pari al 55,3%.
Al di là della differente incidenza della crisi
economica sul territorio, che fa emergere distinzioni e
lontananze all’interno del nostro paese, vi sono effetti
che investono con schiacciante difficoltà le donne di
ogni parte dello stivale. Un significativo numero di
collaborazioni e contratti a termine giunti a scadenza
nel dicembre del 2010 non sono stati rinnovati
generando al contempo due diversi fenomeni,
entrambi negativi. Il primo riguarda la perdita del
lavoro, seppur precario, per moltissime donne mentre
il secondo è relativo alla cancellazione di servizi alle
famiglie.
Si è innescato un circolo vizioso per il quale con i
tagli alla spesa pubblica molte donne non solo sono
scivolate nell’incubo della disoccupazione ma si sono
anche ritrovate prive di una rete di prestazioni che
permettevano la conciliazione dei tempi di lavoro con
quelli di vita. Esse si ritrovano oggi nella ancor più
difficile situazione di dover cercare una nuova
occupazione non sapendo come sostenere i costi
relativi alla cura e l’accudimento di figli, soggetti
anziani e/o disabili.
La crisi ha un impatto negativo, inoltre, su un altro
aspetto del lavoro femminile, quello della cura
familiare non retribuito. In presenza di diminuzione
del reddito le famiglie tendono a contrarre i consumi
95
e soddisfare le esigenze con un maggior impegno
domestico. Va’, poi, fronteggiata la cancellazione di
servizi di assistenza pubblica per i soggetti con
disabilità o patologie che richiedono assistenza. In
entrambi i casi all’interno del nucleo familiare ad
aumentare è il lavoro delle donne.
Per favorire e incentivare l’ingresso delle donne nel
mercato del lavoro da diversi anni si dibatte sul tipo
di intervento da perseguire. Secondo alcuni sarebbe
auspicabile una tassazione con aliquote differenziate
per genere. Riserve al riguardo sono state avanzate da
più parti. I motivi per i quali le aliquote non fanno
registrare molti consensi sono da rintracciare nella
discriminazione che ne nascerebbe per gli uomini,
anche alla luce del nostro dettato costituzionale.
All’aspetto di equità di trattamento si aggiunge la
forte rigidità salariale verso il basso dove l’aumento
dell’offerta di lavoro femminile lascerebbe invariata la
domanda. Vi è, poi, chi suggerisce come correttivo una
diminuzione della contribuzione sociale. Ma tale
strada, percorsa in passato, è applicabile solo in alcune
aree geografiche riconosciute come svantaggiate
perché, altrimenti, si configurerebbe la fattispecie
dell’Aiuto di Stato ritenuta dalla UE una forma di
distorsione della libera concorrenza. Altri ipotizzano
l’adozione di una misura adottata negli Stati Uniti
negli anni Settanta e vigente oggi in alcuni stati
europei: il credito fiscale sul reddito da lavoro EITC
(Earned income tax credit) che introduce un sussidio
proporzionale alle ore lavorate erogato fino ad una
soglia stabilita di guadagno e scalato in misura
96
proporzionale, fino a scomparire, all’aumento del
guadagno. In Gran Bretagna è stato adottato per
sostenere un segmento specifico di popolazione, le
madri sole con figli. Questo tipo di sostegno non è
previsto, quindi, per tutte le donne lavoratrici ma solo
per quelle che hanno stipendi molto bassi al fine di
evitare che abbandonino il mercato del lavoro. Questo
fa parte delle misure definite in-work benefits (IWB)
in cui rientra anche il sistema britannico Working Tax
Credit (WTC) basato sul sussidio concesso alle
famiglie a condizione che almeno un individuo lavori
per 16 o più ore alla settimana (in assenza di figli le ore
minime di lavoro salgono a 30). L’ammontare del
sussidio erogato dipende dalla composizione familiare
(le famiglie con figli hanno diritto ad una sussidio più
alto) e dal reddito complessivo della famiglia
(l’ammontare del sussidio percepito decresce
all’aumentare del reddito familiare). Nel 2010, per una
coppia con figli, l’entità massima del sussidio era pari
a 380 sterline al mese e si azzerava per famiglie con un
reddito di 1500 o più sterline al mese. Il regime WTC
interviene anche attraverso un sostegno alle famiglie
in cui entrambi i genitori lavorano a tempo pieno
tramite il rimborso di parte (il 70%) delle spese per la
cura dei figli, fino a un massimo 120 sterline alla
settimana in presenza di un figlio e 210 per quelle con
due o più figli.
In Italia si parla ultimamente di quoziente familiare,
una misura di sostegno al reddito calcolata in base alla
composizione del nucleo familiare e al suo reddito
complessivo. Ma c’è chi fa notare che questa misura
97
finirebbe per favorire due aspetti negativi. Il primo a
venire in rilievo sarebbe l’applicazione di una forma
di agevolazione estesa a tutti senza distinzione tra chi
ne ha più bisogno e chi meno, il secondo
riguarderebbe l’effetto scoraggiamento all’ingresso
delle donne nel mercato del lavoro. Queste ultime,
infatti, potrebbero scegliere di non voler alterare lo
status di famiglia monoreddito dal quale discende il
diritto alle agevolazioni per il quoziente familiare. Qui
il dibattito è sulla contrapposizione tra due modelli
sociali da perseguire: una società più equa in cui la
povertà tenda a diminuire per tutti e un’altra che si
fondi sull’efficienza di un mercato del lavoro in cui il
maggior numero di individui trovi spazio.
Per ovviare all’effetto disincentivante del quoziente
familiare alla Conferenza nazionale sulla famiglia
svoltasi a Milano nel novembre del 2010 è stata
avanzata la proposta del “fattore famiglia” in cui ai fini
dell’imponibilità fiscale il soggetto è l’individuo,
indipendentemente dal reddito del coniuge.
Altri spostano la leva fiscale dall’offerta alla
domanda di lavoro immaginando agevolazioni alle
imprese che assumano donne. Questa strada è già stata
percorsa in passato ma, per mancanza di dati sul
monitoraggio, non si rintracciano documenti sugli
effetti che hanno prodotto come nel caso della
riduzione dell’Irap prevista per le imprese
meridionali.
L’Advisory Committee on Equal Opportunities
della Commissione Europea ha presentato delle
98
raccomandazioni agli stati membri per contrastare gli
effetti della crisi nel breve, medio e lungo periodo. Nel
primo scenario, quello del breve periodo, si suggerisce
una rivisitazione, alla luce dei nuovi andamenti
economico-produttivi, dell’impianto di misure di
sostegno al reddito e di riequilibrio nell’accesso al
mercato del lavoro tra uomini e donne. Per superare
la disparità di trattamento andrebbe preferito un
sussidio di pari ammontare per tutti i lavoratori
indipendentemente dalla continuità lavorativa
pregressa e dallo stipendio percepito. Per il secondo
scenario, quello del medio periodo, l’organismo
europeo individua il ricorso al congedo parentale
come misura per ridurre lo svantaggio delle donne
nell’accesso al lavoro che si concretizza come
conseguenza al carico di lavoro di cura familiare di cui
esse sono destinatarie. Per il lungo periodo il modello
indicato è quello della creazione di infrastrutture
sociali. Investendo in queste ultime si creerebbero i
presupposti per una ripresa dello sviluppo: crescita
occupazionale ed erogazione dei servizi necessari
affinché le donne possano conciliare il lavoro con la
vita familiare.
Relativamente alle misure suggerite dalla UE per il
lungo periodo bisogna soffermarsi su un aspetto
importante: il ruolo delle infrastrutture sociali. Esse
rappresentano il perno intorno al quale gira la vita di
molte donne per due diversi aspetti. Il primo riguarda
l’organizzazione del ménage quotidiano, senza servizi
di supporto una madre che non possa contare su una
rete di sostegno parentale incontra enormi difficoltà
99
nel conciliare il lavoro con i figli, la casa e la famiglia.
Il secondo investe l’analisi del settore economico nel
quale le infrastrutture sociali si collocano, un settore
nel quale la presenza lavorativa femminile è
storicamente alta: scuola, sanità, cultura e servizi di
cura.
100
I percorsi di istruzione
in un ottica di genere
Immagine tratta dal sito: www frasiaforismi.com
E’ un fatto risaputo che le ragazze siano, a scuola e
all’università, più brave dei loro colleghi. In media
raggiungono più numerose il traguardo della laurea
facendo registrare tassi di abbandono scolastico
inferiori a quelli maschili conseguendo, oltretutto,
risultati più brillanti. Dedicano più impegno allo
studio e sono maggiormente determinate nel
conseguire dei buoni voti. Nello Studio sulla
disuguaglianza tra i sessi nell’istruzione pubblicato dalla
Commissione europea nel 2010, basato sui lavori della
rete Eurydice che raccoglie e analizza i dati relativi ai
sistemi educativi di 29 paesi, si denota una persistenza
degli stereotipi di genere. Androulla Vassiliou,
Commissario europeo responsabile per l’istruzione, ha
affermato: “La correlazione tra genere e risultato educativo
è mutata notevolmente nell’ultimo cinquantennio ed ora le
differenze acquistano forme più complesse. Il personale
scolastico è costituito per lo più da donne, ma i sistemi
educativi sono gestiti da uomini. Il numero maggiore di
laureati sono donne mentre il fenomeno della dispersione
scolastica interessa maggiormente i ragazzi. Dobbiamo
basare le politiche per la parità tra i sessi su questa
situazione di fatto”.
Dall’analisi comparativa condotta emerge che quasi
tutti i paesi europei hanno affrontato il tema delle
differenze di genere nei percorsi scolastici attraverso
la predisposizione di strumenti positivi. Tra gli
obiettivi da perseguire attraverso iniziative mirate vi
sono l’aumento della presenza delle donne negli
organi decisionali, il superamento dei pattern relativi
ai risultati educativi in funzione del sesso e la lotta
103
contro le molestie basate sul genere nelle scuole. Ciò
su cui non vi è azione da parte dei paesi presi in
considerazione è una azione informativa rivolta ai
genitori sulle tematiche della parità tra i generi che
comporta una assenza di predisposizione di misure e
interventi per un loro coinvolgimento nella promozione di tale parità nel mondo scolastico. Scendendo
nel dettaglio dello studio condotto si nota come in
circa un terzo dei sistemi educativi considerati le
materie nelle quali è possibile fare una distinzione tra
attitudini di genere mostrino una una performance
migliore per le donne nell’ambito della lettura rispetto
all’ambito matema-tico in cui vi sarebbero non
altrettanto brillanti prestazioni. Un intervento per
migliorare questo stato di fatto è stato intrapreso da
Austria e Regno Unito. In tutti gli altri paesi si
continua a perpetrare uno stereotipo che vede una
netta suddivisione tra mestieri e professioni maschili
e femminili. Tale dicotomia si evidenzia nella scelta
degli istituti professionali. Solo la metà dei paesi
europei ha messo in campo delle azioni di
orientamento di genere, e per lo più, le indirizza alle
ragazze per incoraggiarle a scegliere percorsi di
istruzione di carattere scientifico e tecnologico.
La UE interviene sul tema sostenendo azioni
multinazionali nel campo dell’istruzione per favorire
lo scambio di buone prassi e per agire sui punti di
criticità individuati.
Di più, non si limita a finanziare attività progettuali
solo relativamente ai soggetti in età scolare ma,
attraverso il longlife learning (apprendimento lungo
104
tutto l’arco della vita), promuove programmi di
contrasto all’esclusione sociale e la disparità di genere.
Questa attenzione al diritto alla conoscenza in tutti i
momenti della vita sostanzia il concetto di cittadinanza
inteso come accesso all’opportunità di accrescere il
proprio capitale umano. Se il modello sociale che si
persegue è quello della società della conoscenza non
ci si può limitare a dispiacersi per coloro che non
hanno avuto la possibilità di godere di una istruzione
degna di questo nome in età scolare ma è necessario
investire affinché si possa comunque usufruire della
possibilità di acquisire le conoscenze per esercitare una
cittadinanza attiva. Come diceva il conduttore di una
nota trasmissione televisiva degli anni Sessanta non è
mai troppo tardi26.
____________
26
Alberto Manzi ha condotto dal 1959 al 1968 il programma Rai “Non è mai
troppo tardi”. La trasmissione era dedicata all’insegnamento della lingua
italiana per ridurre l’alto tasso di analfabetismo.
105
Come ci si veste al lavoro?
Immagine tratta dal sito: www.trivalley365.com
Per fortuna gli anni Ottanta sono finiti. Non se ne
poteva più di passare il tempo a cucire spalline. Le
donne sembravano tutte giocatrici di rugby, con le
spalline attaccate anche al pigiama! Quelli erano gli
anni dello yuppismo, dei film americani con le donne
in carriera. La celluloide mostrava donne vestite come
uomini. Giacca e pantaloni, qualcuna arrivava anche
ad usare la cravatta. Come a dire se vuoi avere
successo in questo ambito ti devi omologare. Vuoi
essere presa in considerazione e allora adeguati al
contesto. Per essere prese sul serio le donne dovevano
maschilizzarsi. La donna manager non faceva
concessioni alla femminilità. Oggi non è più così. Ma
con il passare degli anni la presenza delle donne nel
mondo del lavoro si è consolidata e ci si è potute
affrancare dal guardaroba maschile. Si è capito che
non è l’abito che fa il monaco. Anzi, se il monaco può
scegliere come farsi l’abito per sentirsi più a suo agio,
ne guadagnano tutti, anche quelli che lavorano con chi
era stato privato di una parte importante della sua
personalità. Non è una gran scoperta, infatti, che il
modo in cui ci vestiamo racconta molto di noi. Ci sono
giorni in cui le donne non hanno né il tempo né la
voglia di vestirsi e allora si limitano a coprirsi. Chiaro
sintomo di stanchezza e apatia. È importante
ricordare, però, che anche sull’orlo di un esaurimento
fisico va rispettata un minimo di decenza. Le informi
e incolori tute da ginnastica, terribile indizio
dell’abbrutimento casalingo, vanno nascoste nel
ripostiglio. Mia madre diceva che vestirsi bene e
truccarsi un po’ era un dovere perché la mattina non
si può uscir di casa e andare in giro a spaventare i
109
bambini. Per scegliere cosa indossare bisogna passare
in rassegna il guardaroba e non sempre si riesce a
propendere per il vestito al quale si era pensato perché
spesso gli armadi delle madri sono saccheggiati
nottetempo dalle figlie e quelli delle sorelle maggiori
dalle sorelle minori (mia sorella sostiene che una
mattina non trovò le scarpe). Le figlie di una amica,
tre per la precisione, quando si allontanano da casa
separatamente chiudono l’armadio a chiave per
scongiurare l’assalto delle sorelle in loro assenza e non
perdere tempo al ritorno ad accusare la madre per
culpa in vigilando. Ma se si riesce a sopravvivere ai
lanzichenecchi che ognuno di noi si alleva in casa ci
sono delle mattine in cui è piacevole vestirsi
abbinando gli accessori e indugiando in qualche
frivolezza. Ho chiesto a diverse donne che ho
incontrato e intervistato a cosa non avrebbero
rinunciato nella loro tenuta da lavoro, le risposte sono
state le più disparate: dalle scarpe con i tacchi alti, a
quelle con i tacchi bassi, alla borsa capiente, ad almeno
un gioiello, ai cardigan comodi e rassicuranti, alle
t-shirt colorate, alle calze coprenti, alle gonne, al
giubbotto di pelle anche d’estate ai foulard e le sciarpe
sempre e comunque con la pioggia e con il sole. Poiché
le donne sono le principali fashion victims ci si
aspetterebbe di trovare loro ai vertici dell’industria
della moda. Invece, caso strano, non è così. No, la
moda è come la ristorazione, è qualcosa di cui le donne
si occupano quotidianamente ma, per qualche strana
ragione, sono ritenute capaci di gestirle solo a livello
domestico e dilettantistico. Due pasti al giorno, nella
quasi totalità delle famiglie del nostro pianeta,
110
vengono preparati dalle donne ma i grandi chef sono
uomini. Le donne, tutt’al più, gestiscono trattorie con
cucina casereccia. Le donne dedicano molto tempo alla
moda e al vestiario imparando la raffinata arte di
coniugare budget e buon gusto ma ai vertici delle
maison ci sono stilisti uomini. Sono questi ultimi che
decidono come si devono vestire le donne
immaginando modelli che, a volte, risultano molto
distanti dalla realtà. Chissà se l’idea dei pantaloni a
vita bassa fino alle caviglie e le scarpe a punta fino alla
necrosi del piede siano idee germogliate in cervelli
maschili o femminili.Qualcosa, però, lentamente sta
cambiando, pian pianino delle brave e talentuose
ragazze si stanno battendo sul campo. Senza riserva di
colpi, a suon di batoste.
Nel frattempo le donne che lavorano sono diventate
più sicure e distese, non hanno bisogno di
mimetizzarsi vestendosi da maschi, e possono
scegliere di abbigliarsi come più si confà al loro modo
di essere. Liberate dalla necessità di camuffare le loro
doti sotto abiti maschili si concedono il lusso di vestire
in modo da esprimere loro stesse. E questo è tanto più
vero quanto più si invecchia. A qurant’anni si è
raggiunta una discreta dose di sicurezza sulle proprie
capacità tale da permettere l’affermazione di un
proprio stile. Tra i venti e i trenta ci si guarda intorno
alla ricerca di un modello che appaia vincente. Tra i
trenta e i quaranta si imita e si ripropongono i modelli
che ci si è scelte. Arrivate ai quaranta, per lo più, si è
trovata la propria strada. So chi sono e quanto valgo.
Non si hanno più timori a presentarsi con una propria
111
cifra stilistica. Molto dipende dal carattere. Ma anche
in assenza di cuor di leoni si constata un superamento
dell’incertezza. A volte mi stupisco di come,
inconsciamente, molte donne tendano ad abbigliarsi
come le proprie madri o le proprie zie, come quelle
donne, cioè, che hanno rappresentato i primi modelli
femminili presenti nella vita. In alcuni casi le zie sono
da scartare perché abbigliate malissimo e decisamente
impermeabili al buon gusto, mentre il tratto di
continuità con la genitrice appare evidente. Si può
essere dei cloni consapevoli o inconsapevoli. Con
taglia diversa magari ma, innegabilmente, dei cloni
materni. E della madre si può tendere a perpetrare
alcune scelte in tema di abbigliamento che risultano
inspiegabilmente irrinunciabili: la passione per le
scarpe bicolori e i sandali, l’attrazione per le borse, la
profusione di perle, una collezione di leggeri vestiti
estivi, un intero cassetto si scialli, stole, foulard e
sciarpe, il rossetto decisamente rosso…tutti sassolini
che le madri lasciano lungo il cammino per non farci
smarrire la strada e sentirci sole quando non ci saranno
più.
112
Donne e demografia
Immagine tratta dal sito: www.forum.leparole.info
Una donna che ha dei figli non può aspirare a
superare un certo livello di carriera perché deve
dedicare parte del suo tempo alla famiglia. Motivo per
il quale un annuncio di imminente maternità al datore
di lavoro comporta una automatica, quanto irrazionale
e inspiegabile, perdita di affidabilità di quest’ultima.
In Italia il tasso di natalità è crollato, la nostra società
è fatta di vecchi.
Se le donne vogliono lavorare e veder riconosciuti i
loro meriti devono posporre la decisione di avere dei
figli. Se il mercato del lavoro continua a penalizzarle,
contro ogni logica economica produttiva, nessuno si
meravigli che nascono meno bambini. Innanzitutto
l’orologio biologico non è un’invenzione femminile ma
un dato di fatto e come la sveglia ingoiata dal
coccodrillo di Capitan Uncino ha il vizio di ticchettare.
Ma il ticchettio non può essere il modo per scandire
una condanna. Negli anni Settanta per analizzare la
situazione si discuteva di funzione produttiva e di
funzione riproduttiva. Coniugandole insieme si
sostiene che una donna che va in maternità è un costo
passivo per l’azienda. Secondo uno studio condotto
dalla SDA Bocconi27 del 2009 il costo standard di una
unità di personale in maternità incide per lo 0,23%.
Nella maggior parte dei casi al rientro al lavoro
dalla maternità le donne vengono sollevate dai loro
precedenti incarichi con la motivazione che non hanno
più il tempo e le energie sufficienti per dedicarvisi. La
carriera subisce un arresto. Chi può farlo continua a
lavorare da casa anche nel periodo obbligatorio del
____________
27
Osservatorio Diversity Management “Maternità quanto ci costi?” Milano 2009.
115
congedo di maternità e torna in ufficio il prima
possibile per scongiurare il pericolo di una
retrocessione. Poiché le donne sanno cosa accadrà nel
momento in cui avranno un figlio tendono a
raggiungere un punto della carriera che si possa
considerare “meno vulnerabile” per potersi concedere
il tempo necessario all’arrivo di un neonato. Molte
abbandonano e non riescono più a rientrare nel
mercato del lavoro. Uno spreco di risorse, know how,
talenti e competenze.
Nel resto d’Europa - non solo nei Paesi scandinavi
- le donne che lavorano hanno figli perché possono
contare su strutture pubbliche per la prima infanzia,
su una mentalità per la quale i padri fanno i padri e
non sono degli estranei che compaiono saltuariamente
e le imprese non penalizzano il lavoro femminile.
Francesca Bettio e Paola Villa contrappongono al
modello nordico europeo, in cui le donne lavorano e
hanno figli perché supportate da strutture pubbliche,
un modello mediterraneo in cui non solo le donne se
lavorano devono limitare il numero dei figli per
l’assenza di strutture di supporto ma, peggio, vivono
in una realtà in cui al basso tasso di natalità non fa
seguito un aumento della partecipazione femminile al
mercato del lavoro.
I ginecologi sostengono da tempo che le donne
devono affrontare la maternità da giovani perché la
fertilità è inversamente proporzionale all’età quindi,
non sempre, se si decide di avere un figlio a 38 anni ci
si riesce. Il nostro considerare che la vita comincia a 40
anni è la conseguenza dell’allungamento della vita
116
media e dello stile di vita che conduciamo ma ciò non
comporta, ipso facto, una coincidenza tra età anagrafica
ed età biologica. Una donna di 40 anni oggi si considera
giovane e nel fiore degli anni ma da un punto di vista
riproduttivo le cose non stanno proprio così.
Nella pubblicazione della Fondazione Anci
Ricerche Cittalia “Le donne e la rappresentanza - una
lettura di genere nelle amministrazioni comunali” si
legge: “Quasi un milione e mezzo di donne italiane tra i 18
e i 55 anni denuncia di aver rinunciato almeno una volta
alla maternità per paura di perdere il lavoro. Se poi a questa
cifra si aggiungono i circa tre milioni di donne che hanno
rinviato la decisione per il timore di non riuscire a conciliare
maternità e lavoro o di vedersi bloccate nella carriera, tale
valore cresce fino ad un totale di quattro milioni e mezzo di
figli negati dal lavoro”.28
La libertà delle donne sta quindi nello scegliere
come rispondere a questo dilemma. Mi sentirò più
realizzata grazie al mio lavoro o a un figlio? Devo
sacrificare tutti gli sforzi fatti per costruirmi un
percorso di lavoro o la costruzione di una famiglia?
In fin dei conti alle donne viene chiesto senza sosta di
buttare qualcosa o qualcuno giù dalla torre.
Marina Piazza fa rilevare come le donne abbiano
superato la fase di rivendicazione di un diritto e si
trovino in quella della gestione di tale diritto. Nelle sue
parole le donne si sono “emancipate” ma non
“liberate”. «La nostra libertà per ora è tutta in negativo: si
____________
28
Fondazione Anci Ricerche Cittalia “Le donne e la rappresentanza - Una lettura
di genere nelle amministrazioni comunali” Luglio 2010.
117
può scegliere di “non” fare i figli, di “non” stare in casa; ma
la parte creativa della libertà, quella dobbiamo ancora
inventarcela. In questa libertà che avviene per sottrazione
di doveri sta un’altra differenza tra la generazione delle
quasi trentenni e quella delle nostre madri. Siamo forse
emancipate, ma non ancora liberate. All’interno della nostra
generazione l’elemento di maggiore differenziazione tra le
donne forse non è la scolarizzazione o il titolo di studio, ma
il grado di coscienza di sé in quanto protagoniste attive e
non passive delle scelte che riguardano la nostra vita e il
nostro modo di essere, e il grado di coscienza critica rispetto
ai modelli cui continuamente veniamo invitate ad
adeguarci».
Irene Bernardini scrive : “E mi fa una rabbia che non
puoi nemmeno immaginare che una donna oggi – qui da noi,
almeno – si trovi troppo spesso a dover scegliere tra lavoro
e famiglia, tra realizzazione professionale e maternità. E
sempre, se vuole o deve lavorare pur avendo una famiglia,
la sua vita è un’acrobazia. Estenuante e perciò stesso
pericolosa. Perché i salti mortali logorano le giunture
dell’anima, così che poi troppo spesso qualcuno o qualcosa
alla fine s’incrina o si rompe: la relazione di coppia, la
relazione con i figli, i rapporti sul lavoro. Difficile riuscire a
nutrire e coltivare come sarebbe necessario tutte le parti di
sé che occorre mettere in campo. Difficile specie quando il
mondo, là fuori, ti propone modelli o, meglio, stereotipi
contraddittori: la casalinga prima o poi è disperata; la donna
in carriera è una diavola che veste Prada, una iena sterile o,
se sventuratamente madre, inadeguata di default”.29
____________
29
Bernardini I. “Elogio di una donna normale – storie di donne e dei loro
spericolati sogni di tutti i giorni” Mondatori 2010.
118
Il termine di confronto con le donne della propria
famiglia, e della madre in particolare, è pregnante.
I modelli di riferimento a noi più vicini, comunque
interpretati sia in positivo che in negativo, sono e
rimangono la misura di fondo per lo sviluppo della
nostra personalità. Non diventerò mai come mia
madre, vorrei diventare come mia madre, mia nonna
era una donna forte e indipendente, mia sorella
maggiore è il mio mito, mia zia incarna il tipo di donna
che vorrei essere…
Ogni donna ha la possibilità di decidere cosa fare
della propria vita poiché oggi le madri tendono a
garantire questo alle loro figlie: la possibilità di
scegliere.
Le madri vogliono liberare le proprie figlie dalla
trappola del destino biologico per cui una donna che
non può avere figli è da compatire mentre una che
decide di non averne è una persona arida ed egoista
che pensa solo alle propria carriera e le proprie
comodità non volendosi accollare la fatica di crescere
un figlio.
Sono in molti a sostenere che il livello di democrazia
e civiltà di una società si misura anche attraverso la
partecipazione paritaria che le donne in essa hanno.
Ognuno tragga le sue conclusioni sulla società in cui
ci troviamo a vivere.
La mia esperienza mi ha visto crescere con un’etica
del lavoro calvinista e un sistema di valori culturali
composito, variegato, che sperimentano tutti coloro
che hanno genitori di nazionalità diversa. Nel mio caso
119
una madre americana che ha sempre cercato di
lavorare mi ha trasferito l’importanza dell’indipendenza e la assoluta necessità di scegliere il modo in
cui realizzarmi: lavoro, famiglia, impegno sociale,
impegno politico e ogni altro tipo di impegno che
possa dare gratificazione e crescita personale.
Quando all’indomani della laurea sprofondai
nell’avvilimento per la difficoltà di trovare lavoro e la
accusai di avermi cresciuta instillandomi delle
convinzioni impossibili da applicare nella realtà
circostante, la sua laconica risposta fu: “Ti ho dato
l’intelligenza e una istruzione adesso sta a te decidere
l’uso che vuoi farne e scegliere chi e che cosa vuoi
diventare”.
Il lavoro non si limita ad assicurare l’indipendenza
che deriva dal reddito ma conferisce dignità per sé
stessi e và rispettato anche quando non è remunerato,
come accade per quello svolto tra le proprie mura
domestiche.
120
La condizione femminile
Immagine tratta dal sito: www. it.wikipedia.org
La locuzione “condizione femminile” ha ancora un
senso? Esiste forse una condizione dell’essere uomo e
un’altra dell’essere donna? O non sarebbe più giusto
parlare di una condizione delle persone? Raccomando
a tutti la lettura di un godibilissimo scritto di Cristina
di Belgioioso apparso nel 1866 a Firenze nella “Nuova
antologia di scienze, lettere ed arti” grazie alla
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli facilmente
reperibile in Internet.
Donna intelligente e acuta l’autrice già dalle prime
battute osserva: “Ma s’egli è vero che la società moderna è
figlia dell’antica, si deve verificare altresì che la giovane
società non sia del tutto spoglia dei pregiudizi della vecchia.
[…] Dopo di aver persuaso alle donne consistere il colmo
della gloria di esse nel piacere al gran numero di loro, nel
piacer più fortemente e più lungamente, gli uomini si
accinsero a persuaderle che le loro simpatie non si potevano
ottenere se non col mostrarsi al tutto diverse da essi. Il vile
è sprezzato, scornato, perché dall’uomo si richiede il
coraggio; ma questa virtù non è permessa alla donna che
ricerca l’ammirazione dell’uomo. I sapienti, gli scienziati, i
poeti, gli uomini di stato ecc. godono dell’universale rispetto,
mentre l’ignorante e l’ozioso sono derisi e tenuti in nessun
conto. Ma dalla donna si richiede espressamente la più
perfetta ignoranza. […] Gli uomini persuasero le donne che
la loro ammirazione, il loro affetto era a prezzo della loro
inferiorità intellettuale, e le donne hanno così creduto, e ve
n’hanno di colte che nascondono la loro coltura pel timore
di essere annoverate fra le donne superiori, le pedanti, ed
altre simili abominazioni. Il maggior danno che risultò da
tale inganno, si è, a parer mio il carattere fittizio, di cui le
123
donne si sono rivestite per piacere agli uomini.[…] Perché
erano state avvertite che agli uomini piaceva la donna
debole, bisognosa del loro sostegno, e che nulla era loro più
antipatico del coraggio e della forza femminile. […] la
leggerezza, la incostanza, la volubilità e la pieghevolezza
delle donne è diventata proverbiale, e che nessuno si
sognerebbe di contrastare e di discutere un così vecchio
assioma. Tutti lo accettano, e nessuno lo esamina. Eppure
tengo per certo, essere la donna la creatura più tenace, la più
costante, la più irremovibile nei suoi propositi. […] Che
avverrebbe della famiglia così costituita, se la donna fosse
iniziata agli studi virili, se dividesse coll’uomo le cure
pubbliche, sociali e letterarie?” E se poi fosse iniziata a
tali saperi a chi spetterebbe il compito di giudicarne il
valore? Agli uomini, naturalmente. La qual cosa
creerebbe maggior scompiglio senza badare al fatto
che all’epoca le donne a vent’anni erano già mogli e
madri quindi la strada per l’istruzione era bella che
sbarrata. La Belgioioso dopo aver affrontato il tema
dell’importanza dell’istruzione si ritrova innanzi un
dilemma di non facile soluzione: se solo ad alcune
donne fosse riservata l’opportunità di coltivare
l’intelletto attraverso la via del sapere ciò
significherebbe che le escluse, quelle di “mente
inferiore”, sarebbero relegate ai lavori domestici e
l’accudimento della famiglia. Come potrebbero queste
ultime aver stima di sé stesse o essere degne di stima
da parte di altri? Ma da donna del suo tempo non può
ignorare il ruolo di collante svolto dalle donne
nell’assicurare la stabilità della conduzione domesticofamiliare e si chiede: “Che cosa avverrebbe della crescente
generazione, se un gran numero di madri di famiglia sciolte
124
per legge da ogni obbedienza al marito e da tutti i doveri, i
quali sin qui loro incombevano, si accendessero subitamente
di passione per quelli studi virili che potessero aprir loro la
via ai pubblici officii, alle pubbliche carriere? Chi si
sostituirebbe alla madre nelle cure e nella educazione dei
figli, mentre la madre educherebbe se stessa a vita diversa?
Chi si sostituirebbe alla moglie nella fiducia del marito, nel
governo della casa?”
E avvertendo tutti i limiti della sua epoca e del suo
genere l’autrice afferma: “Le donne che ambiscono un
nuovo ordine di cose, debbono armarsi di pazienza e di
abnegazione, contentarsi di preparare il suolo, di seminarlo,
ma non pretendere di raccogliere la mèsse”.
E come auspicio finale il saggio si conclude così:
“Vedo cessati i contrasti, le usurpazioni, le recriminazioni;
cessato il bisogno della dissimulazione, e la tendenza alla
falsità, coll’aver posto sopra più salde basi la domestica
felicità, e coll’aver permesso alla donna d’innalzarsi alla pari
dell’uomo. Vedo la società arricchita dall’ingegno, dei
consigli e dell’opera femminile, in quelle faccende almeno
che richiedono prontezza di concepimento e di criterio,
umanità e disposizione al sacrificio. Vedo che alla mia patria
spetteranno le lodi e la gratitudine universale per avere
felicemente e saggiamente troncata la questione del valor
femminile, e della condizione che alla donna si compete”.30
Dopo quasi centocinquant’anni c’è da domandarsi
quanto e come sia cambiato? Per certi versi è
scoraggiante constatare che nello stesso arco di tempo
____________
30
Cristina di Belgioioso “Della presente condizione delle donne e del loro
avvenire” Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
125
nel quale la vita umana è stata sconvolta da una
accelerazione tecnologica inarrestabile non vi sia stato
un pari cambiamento nella concezione dei ruoli sociali.
L’umanità va a zonzo nelle galassie, interviene sulle
sequenze genetiche di ogni essere vivente del pianeta
sul quale abita, ha creato sistemi di comunicazione che
rendono possibile raggiungere tutto e tutti eppure, per
quanto riguarda il ruolo delle donne sembra essere
rimasto non all’Ottocento ma all’età della pietra!
126
Lavori da donna e lavori da uomo
Immagine tratta dal sito:www. womenomics.it
Le donne fanno le insegnanti, le infermiere, le
segretarie, le cameriere, le commesse e le impiegate
gli uomini gli avvocati, gli ingegneri, gli architetti, i
medici e gli astronauti. Le donne fanno le
presidentesse delle associazioni non profit (quelle
piccole, of course!) gli uomini fanno i presidenti delle
multinazionali, del governo, della repubblica, delle
province, delle camere di commercio. Chissà forse un
domani …ma i lavori che sono inespugnabili per le
donne sono l’idraulico, l’elettricista, il meccanico, il
gommista e il tecnico delle caldaie. Mai viste in vita
mia donne svolgere simili attività. Almeno non nel
luogo in cui vivo. Chissà altrove…
La logica impone che l’esistenza di attività
lavorative maschili distinte da altre di tipo femminile
scaturisca da attitudini diverse. Se questo è vero allora
qualcuno illustri il paradosso degli chef uomini. Come
mai le donne che cucinano ogni giorno della loro
vita mediamente un pasto al giorno non sono la
maggioranza fra i cuochi? Perché i più importanti chef
del mondo sono uomini e solo negli ultimi anni
faticosamente le donne si stanno facendo strada? Tutte
le donne del mondo cucinano male? Solo pochi maschi
eletti sanno cucinare bene? Qualcun altro, poi, provi a
spiegare il perché le donne sono brave infermiere ma,
solo ultimamente, anche bravi medici (ma quasi mai
in posizione dirigenziale).
Secondo diversi autori la spiegazione risiede nelle
codifiche socio-culturali che hanno artificiosamente
stilato delle liste di pertinenza differenziate per genere
e negli stereotipi.
129
Gli uomini sono bravi a organizzare e comandare
mentre le donne hanno spiccate abilità relazionali,
sono empatiche, hanno capacità d’ascolto. Guarda
caso tutte caratteristiche, queste ultime, indispensabili
nel rapporto medico-paziente. La verità è che le donne
pongono maggior attenzione al modo in cui si lavora
che nel lavoro fine a se stesso. Non è solo l’obiettivo a
essere importante ma anche il modo in cui lo si
raggiunge. Le donne investono molto nei rapporti
umani senza mai tralasciare l’aspetto relazionale.
Benché questo investimento sia rischioso quasi come i
titoli tossici, poiché espone a grosse delusioni, risulta
essere irrinunciabile per quasi tutte le donne.
Sull’importanza che le donne riconoscono alle
modalità di lavoro esistono posizioni e opinioni
differenti. Secondo una scuola di pensiero non
bisognerebbe parlare della propria vita familiare
nel luogo di lavoro perché ciò testimonierebbe
vulnerabilità e scarso attaccamento al lavoro. Per non
apparire in cattiva luce sarebbe, perciò, necessario
adottare un atteggiamento, un comportamento che
tenesse distinte e separate le sfere caratteriali: nel
tempo libero si è se stessi ma nel tempo lavorativo
bisogna, se necessario, soffocare il proprio carattere
per non compromettere la posizione.
Quanti, al contrario, sostengono l’importanza di
non censurare il proprio modo di essere nel luogo di
lavoro, anche a costo di incorrere in penalizzanti
categorizzazioni sessiste, avvertono che l’ipotetica
penalizzazione sarebbe comunque da preferire alla
scissione degli ambiti di vita dell’individuo. Tale
130
dicotomia appare per essi cosa insana poiché la
segmentazione in compartimenti stagni, tra loro non
comunicanti, rappresenta una forzatura esercitata
sulla personalità. Nel peggiore dei casi suona
inquietante, nel migliore triste. Dottor Jekill e Mister
Hyde. Ma al di là dello spirito di autoconservazione
dell’individuo ritengo ci sia un motivo squisitamente
economico per il quale l’equlibrio mentale debba
essere salvaguardato: la produttività. La possibilità di
vivere in equilibrio e armonia tutti gli aspetti della vita
comporta una capacità di comprensione dei fenomeni,
e quindi dei problemi che si incontrano nel lavoro, a
tutto tondo. E’ un modo di vivere che stimola la
creatività non chiedendo all’individuo di rinunciare a
nessuna parte di sé. Non si richiede nessuna
automutilazione. Perché imporre di scegliere tra il
lavoro e la famiglia significa chiedere questo: rinuncia
a una parte di te stessa! Se si eccettua il mitico popolo
delle amazzoni che si automutilava un seno per tirare
meglio con l’arco (ma che in compenso disponeva
della presenza maschile come meglio aggradava) non
sovvengono validi motivi per cui una donna dovrebbe
essere costretta a rinunciare a una parte importante di
se stessa. Tanto meno per rendere la vita facile a
qualcun altro. Lili Gruber in “Streghe – la riscossa delle
donne d’Italia” scrive: “L’analisi dei testi scolastici delle
elementari, ripresa da una ricerca del 2006, è
particolarmente preoccupante. Non solo i protagonisti di
gran parte dei brani di lettura (e di tutte le biografie) sono
uomini, ma al 70% lavorano mentre per i personaggi
femminili la percentuale scende al 56%. E quali professioni?
Per lui: re, cavaliere, mago, maestro, dottore, navigatore,
131
architetto, giornalista, crociato, geologo e via dicendo. Per
lei: maestra, scrittrice, nutrice, principessa, fata, casalinga,
castellana e simili. Lui in giro per il mondo, lei in casa”.31
Personalmente non avrei dubbi, se incontrassi il
principe azzurro gli chiederei gentilmente di scendere
da cavallo e mentre lui aspetta che cada ai suoi piedi,
abbraccerei il cavallo e lo porterei con me lasciando il
principe appiedato.
Siamo state cresciute come “brave ragazze” a cui è
stato instillato un atavico senso del dovere e un
terrificante senso di colpa che affonda le radici nel
paradiso perduto per colpa di Eva. Siamo lacerate
perché non riusciamo a raggiungere la perfezione. Ci
sfianchiamo nello studio e nel lavoro per eccellere,
siamo preda di mille dubbi quando decidiamo se
diventare madri o meno, ci fiondiamo da un luogo
all’altro per non deludere nessuno: marito, figli,
genitori, sorelle, fratelli (gli unici a mostrare un po’ di
tolleranza sembrano essere gli amanti!)
Arriviamo allo strenuo delle forze per non venir
meno alle aspettative che gli altri hanno nei nostri
confronti quando sarebbe tanto più rilassante e
divertente comportarsi da cattive ragazze. Su una
maglietta anni fa lessi qualcosa che descriveva bene il
concetto: LE BRAVE RAGAZZE VANNO IN
PARADISO MA LE CATTIVE SI DIVERTONO
MOLTO DI PIU’!
La maggior parte delle donne sa di essere senza
speranza, non verrà mai meno ai principi che ha
____________
31
Gruber L. “Streghe_ La riscossa delle donne d’Italia” Rizzoli, 2008.
132
succhiato con il latte, perciò per evitare lunghi e
dispendiosi anni di analisi è preferibile farsene una
ragione e venire a patti con la realtà. Nessuna donna
raggiunge la quadratura del cerchio. Se lo dice o mente
o è già fusa.
In uno sketch proposto anni fa Francesca Reggiani
elencava gli impegni della giornata, una infinità, e alla
domanda di Serena Dandini sul come facesse a far
tutto rispondeva “Io? Io sniffo!”
Ecco, appunto. Il senso di colpa, però, è duro a
morire. Su quello scivoliamo in tante. Quando si è al
lavoro si pensa al tempo sottratto alla famiglia mentre
a casa si rimugina sulle cose ancora da fare per il
lavoro imbottigliate nel traffico, poi, ci si danna per lo
spreco del poco prezioso tempo a disposizione. La
lettura di un quotidiano, una rivista o un libro sono
alternativamente la trasgressione estrema o il massimo
dell’abominio. Una telefonata a una amica passi (mai
in corrispondenza dell’ora di preparazione della cena)
ma una passeggiata o una chiacchierata sono attività
riservate a quelle tra le donne che sono già a buon
punto nel superamento del senso di colpa, se no, si
rischia di rimanere sopraffatte. Come si riesce a vivere
così? Ogni donna elabora personali strategie di
sopravvivenza. Ad alcune piace il genere Giovanna
d’Arco e sulla via del martirio si sentono a casa, per
altre, quelle che hanno la stessa curiosità intellettuale
di una cozza, certe rinunce non pesano molto, non
aver tempo da dedicare alla lettura non provoca stress,
se si rompesse la televisione, quello sì, le manderebbe
in tilt! Ciò che accomuna la moltitudine è lo stringere
133
i denti e andare avanti sperando che i figli crescano in
fretta e che il lavoro non svanisca.
Elizabeth McKenna al riguardo la pensa così:
«Probabilmente la cosa che maggiormente ci trattiene in
situazioni lavorative infelici è la sindrome della “brava
ragazza”. Dal momento che siamo convinte che ci sia
un’inevitabile meccanismo di causa-effetto tra la denuncia
e la successiva messa al bando (con l’immediata perdita
dell’identità) stiamo in silenzio, ci adeguiamo, ingoiamo
l’immaginabile rospo. […] Siccome il compito di una brava
ragazza è quello di inserirsi con discrezione, questa non può
– per definizione – mettere in discussione alcunché. Rimarrà
ermeticamente sigillata in un ambiente che non la onorerà
mai. […] Dietro il nostro perfezionismo spesso si
nascondono due silenziose richieste: “Saremo perfette se non
ci lascerete mai (se non ci
licenzierete)” e “Se siamo perfette, si
amerete per sempre (e ci gratificherete
con denaro e promozioni)”. […]
Quando tutti si decideranno a
barattare la perfezione con la pienezza
della vita, quando le donne
rinunceranno a eccellere sempre e
comunque, allora troveremo delle
madri lavoratrici felici».32
Immagine tratta dal sito: www.it.123rf.com
____________
32
McKenna E. P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002 pag. 203.
134
Le donne fanno squadra?
Immagine tratta dal sito: www.cs-evolution.com
Le donne fanno gioco di squadra? La risposta a
questa domanda è sì e no. Sì, perché l’approccio
femminile al lavoro tende a valorizzare i singoli talenti
e le competenze individuali amplificandone il
potenziale in un lavoro corale in cui si possano creare
delle connessioni. Più che ricercare la cumulazione si
lavora per raggiungere l’esponenzialità. In questo
modo si stimolano i processi creativi attraverso la
costruzione di un clima disteso e collaborativo.
Quando il team manager è una donna le cose che non
vanno bene vengono discusse con l’interessato e con
la squadra in modo soft, raramente si cerca lo scontro,
per lo più si persegue il superamento della difficoltà.
Le donne sono tendenzialmente orientate al risultato,
soprattutto nell’attuale mercato del lavoro in cui
ricoprono ruoli che, grazie a contratti precari, scadono
come lo yogurt. Le donne puntano all’ottimizzazione
del lavoro. Un coordinatore di progetto deve produrre
risultati, non timbrare cartellini, deve inoltre gestire
risorse umane con il loro corredo di conflittualità e
peculiarità.
Perciò, se prendiamo in considerazione questi
aspetti, si può dire che le donne facciano squadra.
Credo che la scelta di questo atteggiamento sia
influenzata anche dalle caratteristiche del mercato del
lavoro nel quale si agisce, o meglio, dalla tipologia
contrattuale con la quale si lavora. La situazione,
infatti, differisce nel caso di rapporto consolidato e
stabile da quello di precario e instabile.
Nel primo dei contesti indicati si sviluppano delle
dinamiche orientate alla convivenza quotidiana di
137
lunga durata in cui, sembrerebbe paradossale, ma c’è
maggiore conflittualità che in un contesto fluttuante.
Il paradosso consiste nel fatto che dovrebbe essere la
minaccia di rimanere senza lavoro a innescare processi
di accesa competizione, del tipo mors tua vita mea,
mentre la sicurezza di un lavoro stabile dovrebbe
scoraggiare dal confronto a muso duro. Così non è.
Nelle realtà di lavoro stabile accade spesso che le
donne si accusino a vicenda di mancanza di
solidarietà. In certi casi l’accusa arriva al sabotaggio.
Ci sono donne che si lamentano di colleghe che
adotterebbero uno stile di lavoro maschile mortificante
per le madri che chiedono misure di flessibilità per
dedicare più tempo alla famiglia. Altre narrano di aver
vissuto situazioni di mobbing da parte di colleghe che
si ribellavano alla loro richiesta di modalità di tempo
flessibile poiché questa, a loro dire, si sarebbe tradotta,
per le altre, in un maggior carico di lavoro. Rosa
Giannetta Alberini a proposito di un articolo scritto su
di lei da una donna osserva: “Il mio pensiero torna a te,
Cinzia, al lungo articolo in cui parli di me. Tu prendi le mie
difese, almeno così sembra. Eppure, nelle tue parole, c’è
qualcosa che mi turba, mi irrita. Mi indichi un modello.
L’hai buttato lì, con noncuranza, preciso. Non devi essere
schietta, spontanea, ingenua, mi dici. Non devi essere
immediata, far trasparire così le emozioni. Devi essere
controllata, astuta. Devi affrontare gli altri armata, pronta
a ribattere così colpo su colpo, con battute fulminee, come
fanno gli uomini. […] Adesso sento come una morsa sul
cuore. Ho capito. Nel profondo mi rimproveri di essere
quello che sono, una donna, con emozioni da donna. Di aver
voluto conservare intatta quella parte di me più intima, più
138
vibrante, più sognante che è il centro della mia femminilità.
E’ questa voce fresca, che vorresti far tacere, per sostituirla
con un professionale eloquio maschile”.33 Per alcune, poi,
la tenacia di un’altra donna, capo o pari grado che sia,
viene vissuta come testardaggine. La combattività
viene interpretata alla stregua di ostinazione a voler
primeggiare e la determinazione letta come sintomo
eclatante di spietatezza. Attenzione a non cadere
nell’errore di confondere questi atteggiamenti –
tenacia, combattività e determinazione - con
l’aggressività. Sono due cose diverse, le prime figlie
della perseveranza e del duro lavoro mentre la
seconda discende dall’insicurezza e dall’arroganza.
Nei contesti di lavoro stabili, strano a dirsi, ci si
sofferma molto meno sulle scelte e sui percorsi di
ognuno, la comunicazione è superficiale si parla del
più e del meno. Eppure le persone si frequentano
quotidianamente per decenni. Nei rapporti di lavoro
precari in cui ci si incontra, e a volte re-incontra, ci si
racconta e aggiorna, ci si confronta. La comunicazione
è più profonda e meno banale. La dimensione della
precarietà ha avvicinato molto le donne che si
scambiano esperienze e si sostengono vicendevolmente. In questo, forse, c’è un recupero della
discussione come strumento di presa di consapevolezza nata negli anni Settanta. Non sono più i
collettivi e i gruppi di autocoscienza ma momenti di
sostegno in un percorso di vita e di lavoro che procede
per balzi, sussulti, accelerate e ritorni al VIA come nel
gioco del Monopoli. La frammentarietà del mercato
____________
33
Alberoni R. G. “Io voglio” Rusconi 1990 pag. 9.
139
del lavoro precario ha riprodotto in maniera
esponenziale la parcellizzazione delle vite femminili
in cui coesiste tanto, in certi momenti, decisamente
troppo. Ci sono giorni in cui ci si sente svuotate dopo
aver vissuto in apnea periodi di incredibile frenesia.
Dopo una fibrillazione esasperata i neuroni chiedono
pietà. Se poi si prende in esame la capacità di fare
squadra nel sostenere le proprie simili in caso di
candidatura a una qualche carica di prestigio la
risposta è deludente. «Anche dove le donne costituiscono
la maggioranza dei lavoratori – scrive Marta Vinci – gli
uomini tendono ad essere favoriti nell’assumere posizioni di
comando, perché uomini e donne accettano entrambi che sia
un uomo a farsi portavoce dei loro interessi, mentre
ritengono che una donna rappresenterebbe solo gli interessi
delle donne. Perciò nei settori dove la maggioranza della
forza lavoro è femminile, come nel caso delle infermiere e
degli assistenti sociali, gli uomini tendono ad essere presenti
agli alti livelli di amministrazione, mentre le donne che
svolgono lavori prettamente “maschili” di rado raggiungono
posizioni e cariche elevate. Quando gli uomini scelgono una
donna per ricoprire posizioni di potere e di prestigio, spesso
la considerano in prova».34
In caso di battaglia per la rappresentanza e per
l’ascesa a luoghi decisionali e/o di potere no, le donne
non fanno squadra. Si potrebbe obiettare che l’analisi
da condurre dovrebbe investire il rapporto esistente
tra le donne e il potere. Rapporto troppo giovane e
ancora troppo poco diffuso per aver reso possibile la
crescita di una cultura della leadership femminile.
____________
34
Scisci A. Vinci M. “Differenze di genere, famiglia, lavoro” Carocci 2002.
140
Come per il lavoro, anche in questo caso, non ci
si può appiattire su un modello di potere declinato
unicamente al maschile ma bisogna proporne uno
diverso che tenga conto delle specificità di cui
l’intelletto femminile è portatore. Del resto, escluso
qualche raro caso, l’accostamento tra i due termini –
donna e potere – appare di là da venire. Motivo per il
quale lascio ad altri questo compito di indagine.
Qualcosa di simile al fare squadra è, però, innato
nelle donne. In loro si rinviene una tendenza a scrivere
la propria storia intrecciandola con quella delle donne
delle famiglie di cui sono parte. La letteratura è ricca
di esempi. Sono tante le scrittrici che narrano saghe
familiari in romanzi e biografie. Donne forti, donne
deboli, donne talentuose, donne con doti particolari
che sconfinano nel sopranaturale, donne tenaci, donne
del passato e del futuro.
Ma anche chi fra noi non scrive nel pensare alla
propria vita passa mentalmente in rassegna le parole
e le azioni di nonne, madri, sorelle, zie, cognate. Una
donna nel pensare a se stessa non lo fa mai
prescindendo dalle altre presenze femminili che
ne hanno caratterizzato la vita. Vi è un muto
riconoscimento per il lavoro fatto su di noi da altre
donne. Un insolito modo di fare squadra riconoscendo
il ruolo svolto con un non detto. So di essere come
sono per aver incrociato la mia vita con quella di altre
persone senza bisogno di dichiararlo. Si avverte la
necessità di ricostruire la trama e l’ordito del proprio
essere attraverso il ricordo delle esperienze vissute e
tramandate da donne che ci hanno precedute e
141
attraverso la condivisione con donne della nostra
generazione. Questo muto bisogno delle altre nella
vita di ognuna, fiume carsico che lento scorre, si
cristallizza come dono prezioso che porgiamo a quelle
tra noi che sono più giovani.
142
L’approccio relazionale
144
Che le donne abbiano un loro modo di lavorare,
diverso da quello degli uomini, pochi lo negano.
Adesso sappiamo che c’è addirittura bisogno di
scrivere un lessico per differenziarli. Non un modo di
lavorare migliore o peggiore, solo diverso. Ma in cosa
consiste questa diversità? Dove riposano le differenze,
le caratteristiche di un modus lavorandi femminile? Per
molti questo si estrinsecherebbe nell’approccio
relazionale. Alle donne viene riconosciuta, da più parti
senza differenza di genere, una abilità comunicativa
empatica e partecipata. Le donne non si limitano,
quindi, a seguire un processo di lavoro ma lo
arricchiscono con il loro stile di affrontare la vita.
Ricordo un caro collega scomparso che di fronte a una
questione spinosa me la trasferiva dicendo: “Pensaci
tu, a te non mancano i modi…”. E non stiamo parlando
di bon ton, o almeno non solo. Una donna, per sua
connaturata abitudine, tende ad analizzare un
problema da più punti di osservazione, ad
evidenziarne i molteplici aspetti nella convinzione che
per ricercare una soluzione sia utile disporre di quante
più informazioni possibile. E fin qui siamo ancora nel
campo della razionalità. Altri alla ragione accostano
l’intuito femminile. Forse siamo più interessate degli
uomini a capire il nostro interlocutore, ad andare oltre
l’apparenza e in questo andare al di là della superficie
ci poniamo molte domande. Perché ha agito in quel
modo? C’è qualcosa che lo/la fa sentire minacciato?
Deve marcare il territorio sottolineando i ruoli? C’è
una questione gerarchica? Ho sbagliato a porre la
questione nei termini in cui l’ho presentata? Era solo
di cattivo umore? E’ sotto stress? Ha problemi in
145
famiglia? E queste domande ce le portiamo dentro, a
spasso con noi, anche a casa, oltre l’orario di lavoro.
Questo lavorio mentale è per noi un processo
automatico e non meditato. Non credo che il motivo
sia l’essere cervellotiche, è banale. Credo, piuttosto,
che l’aspetto relazionale sia per noi pregnante. Siamo
creature sociali. Ricerchiamo un clima disteso in cui
far emergere le potenzialità al meglio instaurando un
ambiente accogliente che ispiri fiducia e senso di
appartenenza. Ci sforziamo di allontanare la conflittualità, di sminare gli atteggiamenti e le situazioni che
creano disagio, disarmonia. Questo era vero nel
modello di società tramontato in cui la struttura
familiare allargata fondata sulle donne rappresentava
il perno su cui girava la vita e lo è, a maggior ragione
oggi, quando la famiglia mononucleare è attanagliata
da mille problemi, mille ombre, che non si possono più
dissipare nell’ambito di un contesto parentale che vive
a stretto contatto. Oggi, orfane di una rete di sostegno
parentale, tendiamo a creare rapporti allargati che ci
conferiscano delle piccole sicurezze, minime certezze,
che possano alleviarci il carico dei quotidiani affanni.
In luogo di grandi famiglie con nonni, zie zitelle, zii
preti e carrettate di fratelli e cugini ci sono piccole
famiglie, padre-madre-figlio, in cui gli amici, i vicini
di casa e anche i colleghi diventano un’estensione
importante. Questo nostro modo di essere e di
lavorare ci aiuta? Secondo Marta Vinci no. “Le
caratteristiche che le aspettative socio-culturali pongono
nella donna – la comprensione, l’attenzione verso l’altra
persona, il prendersi cura, la capacità di cogliere le
sfumature e lo stato d’animo nel comportamento altrui –
146
hanno anche l’effetto di tenere le donne lontane dai livelli
più alti negli affari, nella politica e nelle libere professioni”.35
Anna Scisci al riguardo scrive: “[…]mentre l’etica
maschile pone in primo piano la capacità di prestazione
individuale, la strumentalità, la struttura gerarchica del
comando, il potere, il valore della prestazione, in una parola
il successo (achievement) strumentale, l’etica femminile
sottolinea l’espressività, la processualità, la razionalità, la
cura, la qualità sia del prodotto, sia del servizio, in una
parola il lavoro come compimento coordinato, non
frammentato, tale da implicare, autonomia e responsabilità.
Le donne, più e meglio degli uomini, pongono attenzione
alla connessione tra qualità e risultati del lavoro e ciò
consente loro di cogliere l’utilità sociale (in senso
relazionale) di ogni attività che svolgono, sia in ambito
domestico, sia al di fuori. […] In concreto, le donne
introducono nella dimensione lavorativa la propria,
originaria contrarietà ad una visione economicistica
dell’esistenza, in quanto non legata allo scambio simbolico,
ma allo scambio tra equivalenti. In senso più generale, le
donne tendono a trasferire all’interno del lavoro
professionale logiche, capacità ed atteggiamenti tipici della
propria esperienza, tanto che già nel 1978 Ulrike Prokop
giungeva ad indicare l’esistenza di un “modo di produzione
femminile”.36
Secondo la Scisci esistono codici simbolici
contrastanti, uno maschile l’altro femminile, che, uniti
alla differenziazione dei tempi di lavoro e di vita
familiare, pongono le donne di fronte ad una lacerante
____________
35
Scisci A. Vinci M. “Differenze di genere, famiglia, lavoro” Carocci 2002 pag. 48.
36
op. cit., pag. 109.
147
dicotomia. Una dicotomia che per Elizabeth McKenna
deborda in schizofrenia quando: “Le donne vogliono
rimanere fedeli a quello che le rende donne e
contemporaneamente si rendono conto che molte di queste
qualità femminili contribuiranno ad alienarle dalla cultura
maschile del lavoro […] Abbiamo bisogno del lavoro per
sentirci completamente realizzate come donne ma per
svolgere il nostro lavoro dobbiamo mettere a tacere buona
parte di noi stesse […] Passare da un sistema di valori
culturalmente approvato a uno più personale sembra quasi
impossibile, soprattutto quando non ci sono modelli di
riferimento reali da seguire. Eppure se non lo facciamo noi,
nessuno la farà per noi.[…] Finché non ridefiniamo il
successo e il sistema di valori in modo che essi possano
includere equilibrio e ricchezza di significato per la nostra
vita, rimarremo bloccate in carriere che ci richiedono di
scegliere tra il nostro mondo e un altro artificialmente
diviso”.37
Secondo Alba Bonetti: “Se la cura degli aspetti
relazionali è qualcosa alla quale le donne tendono a dare
un’enfasi particolare, investendo energie anche laddove non
è richiesto dal ruolo, forse è perché su questa dimensione, su
questa area noi costruiamo la nostra identità e il nostro ruolo
sociale. […] Invece che un diario alla Bridget Jones per
tenere il conto delle calorie e del consumo di alcool e
sigarette, sarebbe interessante scrivere il diario di una donna
alle prese con l’operazione quotidiana di aggiustare, trovare
un compromesso o mettere più distanza tra sé e le attese che
l’educazione e la cultura le costruiscono intorno, in famiglia
come al lavoro. Sarebbe una storia difficile da raccontare, il
____________
37
McKenna E.P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002 pag. 66.
148
confine tra occuparsi del benessere degli altri e usarli ai
propri scopi è sottile…”.38 Per esemplificare il concetto
la Bonetti fa un paragone tra le protagoniste del
romanzo Via col vento: Rossella e Melania. Mentre
quest’ultima si prodigava per la felicità degli altri
Rossella faceva di tutto e di più per ottenere ciò che
voleva. Le donne, dunque, lavorano relazionandosi.
Tale comportamento si compone di fasi di ascolto e di
racconto biografico che si alternano e si intrecciano. Si
avverte, nel processo di lavoro, una necessità non
solo di comprendere l’altrui pensiero, ma anche di
spiegare il proprio. La dinamica che si persegue è di
tipo dialogico. C’è una attenzione allo “spiegarsi”
percepito come fase fondante di un rapporto di lavoro.
Per carità nulla in comune con la banale, pedante,
ipocrita richiesta, troppo spesso figlia del
chiacchiericcio e del pettegolezzo, di chiarimento. Al
solo sentir pronunciare la frase “c’è bisogno di un
chiarimento” mi sorge il sospetto che ciò che si vuole
sia qualcosa di molto lontano da un disvelamento ma
che, piuttosto, si ricerchi uno spazio e un tempo per
avere delle conferme al proprio ruolo, alle proprie
prerogative, e alla bisogna, per avanzare anche delle
rivendicazioni. La mia esperienza di richieste di
chiarimento mi ha lasciato questo convincimento.
Vi è, poi, un altro modo di intendere la natura
relazionale dell’approccio femminile al lavoro che si
connota per essere denigratorio e sminuente:
l’emotività. Molto spesso, delle donne si dice che
sono emotive lasciando intendere che sono nevrotiche,
____________
38
Nannicini A. “Le parole per farlo-Donne al lavoro nel postfordismo” Derive
Approdi 2002 pag. 130.
149
fragili, insicure. L’emotività viene caricata di significati
negativi. Essa non viene rappresentata come la
capacità di esercitare un metodo di analisi ulteriore che
possa essere affiancato ad un altro, quello razionale,
per integrarlo. No, l’emotività viene colta nella sua
accezione peggiorativa per sottolineare l’incapacità ad
esprimere un giudizio freddo, lucido, razionale. Quasi
che la razionalità fosse l’unica dimensione degna di
rispetto. In quest’ottica l’abilità di comprendere le
persone e le situazioni nella loro complessità viene
bollata come carente e indicata come prassi da
scoraggiare. Al contrario essa andrebbe lodata per la
sua completezza. Considerare anche l’aspetto emotivo,
oltre quello razionale, permette di capire meglio i
fenomeni valutandone le implicazioni. Le donne
avvertono l’esigenza di una complementarietà,
l’aspetto razionale e quello emotivo non confliggono,
non si contrappongono ma si completano. Sottolineando, invece, l’esclusiva abilità femminile al dato
emotivo si è a lungo sostenuto che le donne non sono
portate per le scienze. Per fortuna negli ultimi anni si
sono compiuti dei passi avanti e sta emergendo una
realtà diversa: le donne sono molto portate per le
materie scientifiche perché sono rigorose, metodiche,
pazienti, determinate e curiose. Certo sono ancora una
minoranza ma una strada importante è stata aperta.
Elizabeth McKenna a proposito di un seminario
svolto con donne lavoratrici racconta: «Durante le
nostre discussioni, una dopo l’altra, le partecipanti
spiegarono dettagliatamente in che modo le loro decisioni di
lasciare un particolare impiego fossero state minimizzate.
[…] Generalmente la conclusione era che loro erano emotive
150
(cioè femminili) o che l’istinto materno aveva alla fine
trionfato sulla capacità di essere ottime donne d’affari.
Lasciare una posizione aziendale per allontanarsi da pratiche
professionali poco etiche o discutibili o da un ambiente dove
la differenza tra i sessi è ancora marcata viene visto come
una “mancanza di sportività” o come “difficoltà a farcela».39
A diffondere la convinzione che le donne siano
creature inclini a lasciarsi trascinare dall’emotività
contribuisce certo accanimento dei mass media che
vorrebbe le donne impegnate da mane a sera a litigare
in programmi televisivi o a chattare compulsivamente.
Questa deriva svilente affonda le radici in un equivoco
ben affrontato da Irene Bernardini che puntualizza
come sia importante non confondere le emozioni con
i sentimenti e quanto sia fastidioso sentir ciarlare di
“emozionalismo” da quattro soldi. Sembra che parte
dell’umanità impegni molto del suo tempo e delle sue
energie alla ricerca del brivido, non necessariamente
quello estremo no limits (che poi di limits ne ha molti),
ma quello più a buon mercato che faccia sentir vivi.
Come se per vivificare l’esistenza bastasse incontrare
sconosciuti in Internet e inventarsi una vita virtuale.
L’emotività come tratto arricchente di cui le donne
sono portatrici è, per me, tutt’altra cosa. E’ quel di più
che fa diventare un obiettivo da 50 millimetri un
grandangolo. E’ la capacità di percepire, cogliere e
rispettare i sentimenti degli altri senza calpestarli o
ridicolizzarli, è il dono grazie al quale l’orizzonte di
chi guarda si apre allargando il campo visivo.
____________
39
McKenna E.P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002 pag. 128.
151
Ci sono aziende che fingono di voler valorizzare le
competenze trasversali delle donne, le abilità
relazionali, esaltandole in occasioni pubbliche come
buone prassi da seguire salvo poi sminuirle all’interno
dell’impresa liquidando l’iniziativa svolta come azione
di marketing. Ciò sembra trovare conferma nelle
parole di Riccardo Zuffo: “Se da una parte infatti le
aziende si orientano oggi verso la ricerca di competenze
trasversali (o meta-competenze) considerate tipicamente
femminili – competenze che, liquidate troppo spesso come
stereotipi, sono riconosciute oggi essere strategiche per il
funzionamento delle aziende- dall’altra si nota la fatica con
cui si battono i paradigmi culturali dominanti che tendono
a relegare le donne a livelli gerarchici non competitivi”.40
Per dirla con una battuta di Peter Sellers nel film
“invito a cena con delitto”: “le domande sono come carta
igienica vetrata, alla lunga irritano!” Le domande delle
donne sembrano sortire questo effetto: irritare.
____________
40
Bombelli M.C. Cuomo S. “Il tempo al femminile” Etas 2003.
152
Ma perché le donne piangono?
Immagine tratta dal sito www.tempiespazi.it
Sfatiamo un mito non sono solo le donne a
piangere. I dotti lacrimali non sono un apparato
femminile. L’emotività non è appannaggio esclusivo
del gentil sesso. E soprattutto non c’è niente di più
stupido che dire a un bambino: “non piangere è roba da
femminucce”.
Davanti a quei bei filmoni strappalacrime o in
occasione di lauree, matrimoni, nascite, funerali, saluti
all’aeroporto, recite a scuola e successi sportivi dei
figli, di un ricordo e comunque quando vi pare, è
sempre consentito abbandonarsi al flusso delle proprie
lacrime. In nome di quale regola sociale dovremmo
reprimere il nostro modo di partecipare e vivere gli
avvenimenti che ci riempiono la vita. Nessuno
dovrebbe arrogarsi il diritto di dire agli altri come
reagire di fronte alle emozioni. Certo a qualcuno può
capitare di vergognarsi in presenza di mamme e
vecchie zie che si sciolgono in lacrime, ma trovo che
sia di gran lunga più triste trovarsi in presenza di
persone che cementano i propri sentimenti in grumi
che si sedimentano nell’anima fino a diventare
macigni.
Le donne possono piangere per la gioia, il dolore, la
rabbia, l’impotenza e per l’intera gamma di sentimenti
che riescono a provare. Non lo ritengo un segno di
debolezza, al contrario, un tratto di profonda umanità.
La capacità di commuoversi rende gli esseri umani
migliori, li allontana dall’aridità. Appartiene alla
cronaca recente la commozione di un ministro,
Elsa Fornero, che nel presentare provvedimenti
“draconiani” non ha trattenuto le lacrime. A dire il
155
vero neanche noi quando abbiamo capito la portata del
cambiamento.
Una amica racconta che quando scorge sul viso della
sorella i segnali premonitori pensa: “Ecco la diga sta per
cedere…si salvi chi può” Le convenzioni sociali sono
indulgenti verso le donne che si abbandonano alle
lacrime in nome di una supposta emotività femminile
mentre sono feroci con gli uomini. A loro non è
consentito piangere, è disdicevole. Che ipocrita
fesseria. E che pericolosa abitudine quella di perpetrare
uno stereotipo in base al quale i forti non piangono.
Sono ben altre le fragilità degli uomini. Le lacrime non
versate sono quelle che si induriscono e non potendo
uscire e liberare il pathos che le ha generate creano un
percorso carsico che scava, scava…
Trovo che le persone che mostrano i propri
sentimenti senza infingimenti siano da apprezzare ed
emulare. Il veterinario che cura i miei cani li guarda
negli occhi con tenerezza, si fa leccare la faccia e li
abbraccia. Quest’uomo riscuote tutta la mia stima e il
mio affetto. Non ho mai incontrato un medico capace
di tale empatia con i suoi pazienti. Non che sia
auspicabile farsi leccare la faccia da un medico ma un
po’ più di umana partecipazione non guasterebbe. A
volte, però, succede, di incontrare qualcuno che faccia
ben sperare per il futuro. Ho conosciuto una
ginecologa che nel suo studio ha una lavagna a fogli
mobili e quando gliene ho chiesto il motivo mi ha
risposto: “Quella serve per fare disegni buffi e spiegare alle
mie pazienti che patologia hanno senza farle spaventare”.
Dovrebbero darle il Nobel!
156
Durante il periodo dell’università ho conosciuto un
ragazzo che aveva la capacità di farmi ridere fino alle
lacrime, in maniera irrefrenabile, da quando abbiamo
terminato gli studi e ci siamo persi di vista non ho mai
più riso così di gusto. Recentemente mi è capitato di
essere accanto a donne e uomini che spargono lacrime
per le più svariate situazioni, che meraviglia!
Che senso di liberazione guardare queste persone e
pensare che tutti dovrebbero avere la stessa sicurezza
in sé stessi e non nascondere i propri sentimenti.
La scrittrice Elizabeth Gilbert in “Mangia, prega,
ama” fa dire a uno dei personaggi: “Le vostre lacrime
sono le mie preghiere”. Spero che non arrivi mai il giorno
nel quale non ci commuoveremo più.
157
Lo stereotipo delle favole
Immagine tratta dal sito www.fattenarisata.com
Gli stereotipi sulle donne che ci consegnano le
favole sono aberranti. Una autentica tragedia.
Sguattere come Cenerentola, governanti per nani come
Biancaneve, comatose e crioconservate come la Bella
Addormentata, cretine come Cappuccetto Rosso. Una
galleria di disadattate ai margini della società. Tutte in
attesa di un principe azzurro che le salvi. Solo
Cappucceto rosso sarà salvata da un uomo privo di
nobili natali ma in compenso abbigliato in maniera
seria: un cacciatore. Aghi e mele avvelenate a gogò che
fanno addormentare fanciulle per decenni (le streghe
che gliele hanno, gentilmente, fornite in verità
speravano in un sonno più lungo). Ricordo che da
piccola ebbi in regalo il disco della favola della Bella
Addormentata, (adesso si direbbe un audiolibro) mi
scatenava attacchi di panico e crisi isteriche al solo
sentire la voce della strega cattiva. Mia madre lo
sequestrò dopo poche ore. Per non parlare della
truculenza con cui Barbablù, un serial killer,
assassinava le sue mogli. Roba da telefono azzurro!
In quasi tutte le favole c’è una contrapposizione tra
un modello di donna cattiva determinata a
raggiungere il suo scopo ma costretta a soccombere
innanzi ad un personaggio che incarna un modello
positivo. Che si tratti di far sposare il principe ad una
delle sorellastre assicurandosi vita natural durante una
colf a costo zero o che la posta in gioco sia il primato
tra le belle del reame le Crudelie sono destinate allo
scontro. Ma non con altre donne, no, sempre con
principi in calzamaglia attillata, pantaloncini a sbuffo
e copricapi piumati a forma di pizza in sella a bianchi
161
destrieri. Le altre donne che rappresentano il modello
positivo sono di contorno, sia le comuni mortali che
quelle dotate di poteri fatati. Perché il duello non
avviene tra le matrigne, le streghe e le fate? Perché a
queste ultime è riservato il ruolo di comparsa. A loro
e non già agli insipidi e scialbi principi. Altro che finale
alla vissero felici e contenti, in realtà morirono tutti
due anni dopo, dalla noia. Ma contro ogni logica il
mito del principe azzurro è duro a morire. Questa è
l’indicibile verità. Schiere di fanciulle sbaciucchiano
rospacci e non si arrendono neanche innanzi
all’evidenza di mancate trasmutazioni. L’assenza di
magiche appari-zioni di muscolosi e prestanti
giovanotti in luogo di simpatici rospi non le fa
desistere. Eppure di calzamaglie azzurre o bluette non
si vede neanche l’ombra, tutto ciò che si scorge sono
solo zampine verdastre… oltretutto quando il principe
azzurro è arrivato, poi, le donne non è che abbiano
dato un bell’esempio.
Basti pensare alll’ingratitudine di Biancaneve che al
passaggio del primo pivello molla i teneri nanetti che
l’hanno accolta in casa o ai i topini di Cenerentola che
tanto si erano prodigati per farla andare al ballo.
Qualcuno gli darà una crosta di formaggio? Queste
donne, sleali e ingrate, sono un modello di virtù
casalinga, tutte a spazzare l’uscio, lavare pavimenti e
sudare in cucina. La scema del villaggio, poi, la
mandano in giro da sola a trovare il lupo…Ma una
favola in cui una donna abbia coraggio, iniziativa, una
vita decente munita di lavatrice e lavastoviglie no eh?
Meno male che abbiamo avuto Gianni Rodari. Alcune
162
di noi nella carriera scolastica hanno incontrato
maestre illuminate che alle elementari hanno
insegnato a leggere favole moderne. Certo, anch’io ho
imparato che la pigrizia andò al mercato e un cavolo
comprò, il resto della filastrocca era che la pigrizia,
invece di correre a casa a cucinarlo, aveva perso tempo
a fare shopping compulsivo dimostrando così tutta la
sua inaffidabilità. La storiella andava imparata a
memoria per imprimere nelle giovani menti un
monito: mai allontanarsi dai propri doveri casalinghi.
I tempi sono cambiati basti pensare a Sophie Kinsella
che scrivendo di donne che fanno shopping si è
costruita una professione. Che dire di Hansel e
Gretel… Due deficienti che si fanno abbindolare da
una casa fatta di pan di zenzero e dolciumi nella
foresta. Dove mai si è vista una casa così? Due bambini
finiti nelle grinfie della strega solo perchè Hansel non
ha ascoltato le parole intelligenti della sorella. Sorella
a cui è pure toccato tirarlo fuori dai guai. Senza
parlare, poi, del trionfo dello sfruttamento minorile
con la piccola fiammiferaia. Questo sciagurato
campionario di donnette prive di capacità,
sopravvissute solo grazie all’intervento salvifico da
parte di un uomo, rende eloquente la divisione dei
ruoli previsti per genere nelle favole.
163
Identità personale
e identità professionale
Immagine tratta dal sito: www.casasimpson.it
La differenza tra l’identità personale e quella
professionale è un tema sul quale mi soffermo
spesso. E’ una distinzione fondante nel processo di
costruzione identitaria dell’individuo. Lo diviene tanto
più nella società contemporanea in cui la flessibilità e
il precariato impongono dei cambiamenti professionali
tali da generare fratture e momenti di confusione.
Alcuni si definiscono attraverso il lavoro che
svolgono presentandosi come un medico, un avvocato,
una parrucchiera, un’estetista declinando il verbo
essere. Perché ciò che fanno sostanzia la loro
personalità. “Io sono un medico” e non “Io faccio il
medico”.
Per alcune persone il biglietto da visita è una
rappresentazione del proprio status irrinunciabile. Un
ancora a cui aggrapparsi saldamente. A tutti è
immediatamente chiaro cosa fa quella persona e il
riconoscimento che la società gli tributa. Anche i
bambini imparano presto a domandarsi tra di loro
cosa fanno i genitori. I figli di medici, avvocati,
impiegati e macellai non avranno nessun problema a
rispondere. Chi farà fatica saranno i figli dei lavoratori
precari che a loro volta incontrano delle difficoltà a
spiegare che tipo di lavoro fanno (spesso hanno
difficoltà a spiegarlo anche a loro stessi). Questo senso
di smarrimento deriva dal fatto che le persone non
vengono valutate per ciò che sono ma per quello che
hanno. Ciò che viene in rilievo non è il patrimonio di
valori, principi e comportamenti posti in essere
all’interno del sistema sociale di relazioni condivise
ma la capacità produttiva da quantificare in termini
167
reddituali. Quel che la società contemporanea ha
codificato come imperativo è la funzione produttiva
come unico fattore di successo. Io valgo se ho potere
di acquisto. La mia personalità si esprime attraverso
ciò che compro e non grazie a come mi conduco. Alla
stessa stregua degli oggetti le relazioni umane, e quelle
con gli animali, vengono considerate intercambiabili e
sostituibili (usa e getta). Nulla è inarrivabile e proibito
poiché ogni cosa ha un prezzo. In questo tipo di società
in cui prevale l’aspetto mercantile l’interesse per le
competenze, le conoscenze e le abilità risulta residuale.
“Quando adottiamo lo scenario convenzionale di una
persona di successo – scrive Elizabeth McKenna – siamo
costretti a vivere secondo i suoi stessi valori. Questi ci
chiedono di giudicare noi stessi in base al nostro
comportamento, alla nostra immagine e ai risultati ottenuti
sul lavoro. Veniamo valutati per quello che facciamo, non
per quello che siamo”.41
Risale all’epoca dei miei 16 anni una dedica
scrittami da mia sorella su un libro: “Scegliamo l’essere
con la speranza, un giorno, anche di avere”. Chi sceglie
l’essere è considerato nella migliore delle ipotesi un
naïf , nella peggiore un perdente. La maggior parte
delle donne tende a privilegiare un lavoro che
consenta di avere del tempo da dedicare alla famiglia,
fenomeno questo che ha creato la femminilizzazione
di alcune attività come l’insegnamento e l’impiego
pubblico in genere o le attività di cura delle persone.
Questa scelta consente di realizzarsi come donne
capaci di essere indipendenti e contribuire al reddito
____________
41
McKenna E. P. “Donne che lavorano troppo” Mondatori 2002 pag. 64.
168
familiare ed essere madri. Per quelle che non hanno la
fortuna di un lavoro stabile il precariato dà l’illusione
di poter riuscire a gestire i tempi in maniera flessibile.
Ma in entrambi casi, sia quello del lavoro stabile che
quello del lavoro precario, le donne tendono a cercare
una occupazione che sia gratificante non solo
economicamente ma anche professionalmente e
umanamente. Le donne non hanno, quasi mai, in
mente solo l’avere ma anche l’essere. Non viene in
rilievo esclusivamente quello che si fa ma anche il
come lo si fa. Pur se a volte ci si sente frastornate è
ferma la consapevolezza di essere non solo medici,
parrucchiere o estetiste ma tanto altro. Ed è questo
altro che conferisce la capacità di non appiattirsi su di
un’unica dimensione, quella professionale. L’identità
è composita, nel caso poi delle lavoratrici precarie,
caleidoscopica.
La vita è piena di attività, a volte troppe, che si
riescono a tenere insieme grazie al carattere e la
personalità. Chi si occupa di bilancio delle competenze
nota che le donne descrivono le loro competenze in
maniera quasi univoca tralasciando molto. Descrivono
esclusivamente quello che hanno imparato a fare nelle
ore di lavoro retribuite come se tutto il resto non
esistesse. Solo scavando vengono alla luce le altre
competenze, quelle non menzionate perché ritenute
non rilevanti. Cucinare per trenta persone, tagliare e
cucire, ricamare, restaurare, pittare, praticare iniezioni,
prestare cure mediche che vadano oltre la
somministrazione di pillole, accudire infermi costretti
a letto. Tutto questo non viene avvertito come
169
spendibile nel mercato del lavoro perché appartiene
ad una quotidianità che non conferisce loro nessun
apprezzamento. E’ scontato. Bisognerebbe smetterla
di pensarla così. Sarebbe ora di dare il giusto valore a
quello che si fa e a quello che facendo si diventa. Non
condivido l’opinione di chi pensa che solo perché si è
in presenza di una persona che ha successo secondo i
canoni sociali contemporanei ci si trovi al cospetto di
una bella persona. Così come non aderisco alla
corrente di pensiero dei “buonisti ad oltranza”
composta da coloro che sono fermamente convinti che
ci sia del buono in ogni essere umano. Mi piacerebbe
molto che fosse così ma troppe volte ho constatato il
contrario. Molti di noi quando cercano un medico si
informano su quale sia il più bravo e quando hanno
bisogno di un avvocato chiedono ai conoscenti se ne
conoscano uno agguerrito. Va benissimo perché quello
di cui si ha bisogno in quel frangente è una prestazione
professionale e non un nominativo da segnalare al
concorso per la miglior persona dell’anno. La
preparazione professionale non fa degli individui, ipso
facto, delle splendide persone. Saranno i migliori nel
loro campo ma forse anche cinici, spietati, senza
compassione e privi di scrupoli. Nessuno dovrebbe
arrogarsi il diritto di giudicare gli altri ma di scegliere
chi sia una persona da considerare “bella”, questo sì.
Non tutti considerano le persone esclusivamente per
il tipo di lavoro che fanno o per la macchina che
guidano. Quando ho chiesto alle donne che ho
intervistato cosa augurassero alle loro figlie e alle
giovani donne, tutte, mi hanno risposto che il loro
170
augurio è che possano fare il lavoro che desiderano e
diventare ciò che vogliono. Mi piace leggere ciò che
vogliono come chi vogliono.
171
Insulti e turpiloquio di genere
***§§####***
*#########***
###############
Immagine tratta dal sito www. it.freepik.com
Se una donna vuole offendere un uomo lo apostrofa
chiamandolo stronzo, se l’insulto è indirizzato a
un’altra donna ricorre allo stesso vocabolo. Un uomo
no. Quando vuole offendere un esponente del suo
stesso sesso lo chiama stronzo, se l’offesa è proferita in
un contesto calcistico e il destinatario del disappunto
è l’arbitro allora la scelta cadrà su cornuto, ma se
l’oggetto del suo turpiloquio è una donna, allora, la
parola prediletta sarà quella che designa coloro che
esercitano il mestiere più antico del mondo. Perché?
Perché si va oltre l’insulto per cercare l’oltraggio?
Se una donna è arrabbiata con un uomo dice che è
un figlio di puttana. Se questa espressione la usa un
uomo a proposito di un altro uomo è un complimento
perché sta a significare che è veramente in gamba. E’ un
vivo apprezzamento: “è proprio un figlio di buona donna!”
Riconoscere che un uomo si fa pagare dalle donne
per la sua compagnia, anche in presenza di
ragguardevoli differenza d’età, non costituisce motivo
di infamia. A parti invertite, quando è la donna che si
fa pagare da un uomo è tutt’altra storia. Anche perché
nel primo caso, quello del gigolò, la cronaca non
riporta storie di abusi, violenze e sfruttamento mentre
nel secondo caso, quel che si legge è solo la punta di
un iceberg di scempio perpetrato ai danni delle donne.
Gli insulti non sono democratici ma discriminanti.
Che nostalgia per le fantasiose perifrasi di lontana
memoria come quella partenopea: “hai più corna tu di
una sporta di maruzze”! 42
____________
42
Le maruzze sono le lumachine di mare.
175
Ma perché il turpiloquio maschile è così ripetitivo,
monotematico e svilente? Perché gli uomini quando
offendono una donna non scelgono per lanciare i loro
strali l’assenza o la carenza di caratteristiche come
l’intelligenza, l’affettività, la disponibilità? Perché
l’unica sfera su cui si accendono i riflettori è quella
sessuale? Perché bisogna andare oltre l’insulto per
cercare di degradare, umiliare, demolire?
Mancano di fantasia, gli difetta la capacità di analisi,
si emulano tra di loro? Non lo so. Quel che so è che mi
fa rabbia che anche nell’offesa, umano sentimento
connaturato al confronto e al contrasto, alle donne non
venga riconosciuta una pari dignità di soggetto in
controversia.
Della mia rabbia recentemente mi hanno detto che
si scatena perchè le cose me le prendo a cuore, che ho
un carattere spinoso, insomma che c’ho l’aculeo facile!
E poiché l’osservazione è stata fatta da un uomo nutro
speranze che il genere maschile non difetti, tout court,
di originalità, umorismo a capacità di inventiva in
quanto a complimenti e insulti.
176
L’imperativo della trasparenza
Immagine tratta dal sito www.hdg.de
178
Come tutte le persone della mia generazione ho
ammirato enormemente quell’uomo incredibile che è
Gorbaciov. La sua presenza sulla scena internazionale
ha cambiato il mondo. Ma ci ha lasciato una eredità
terribile, intollerabile e non più sostenibile: la glasnost.
Tradotto in italico idioma la trasparenza. La
perestrojka non ha fatto danni ma con la glasnost sono
dolori! Non se ne può più. Chiunque apra bocca
sembra essere ossessionato da una incombente opacità
che, alone mortifero, ammorba ogni aspetto dell’agire
umano. Dal politico di turno che rilascia dichiarazioni
roboanti sulla condotta etica e morale che i partiti
dovrebbero inculcare nei loro accoliti al venditore
ambulante che ti propone lo sbucciapatate son tutti lì
a declamare l’imprescindibile valore del fare le cose in
trasparenza. Mi è capitato addirittura di ricevere la
richiesta di fissare un appuntamento di lavoro “in tutta
trasparenza!” E come si fa? Io non riesco nemmeno a
immaginare cosa sia un appuntamento in opacità.
Direbbe Mimma, collega emiliana e donna di
consumate battaglie lavorative, ragassi ma siam passi?
Appunto, sono impazziti tutti. Ma che cos’è questa
fissazione della trasparenza. E l’onestà che fine ha
fatto? E’ passata di moda? Archiviata in nome di un
neologismo che piace di più? Perché non lasciamo le
trasparenze alle acque fluviali e marine e a certi capi
di vestiario femminile e ritorniamo a usare le parole
adatte per esprimere concetti densi e pregnanti. A
forza di nominarla in tutte le salse, anche quelle prive
di attinenza, questa parola ha perso significato. Già
perché l’abuso delle parole ha questo effetto, svuota di
179
significato. Ci sono dei periodi in cui alcune parole
impazzano come tormentoni, basta aspettare che
passino, ma in questo caso ciò che trovo pernicioso e
ipocrita è il ricorso alla trasparenza come
salvacondotto per testimoniare la propria immacolata
immagine di persone che osservano le regole
garantendo correttezza di comportamento. Questo
eccessivo ricorso alla trasparenza mi fa piuttosto
pensare ad una personalità torbida che per
“chiarificarsi” agli occhi del mondo sbandiera il suo
agire trasparente.
E di abusi di parole e di cattivo uso di espressioni si
potrebbe scrivere a lungo. Circa la locuzione
“condizione delle donne” ho già espresso il mio pensiero,
è cosa da seppellire con la Belgioioso. Nello stesso
scavo riporrei anche un vocabolo molto frequentato
quando si parla del lavoro delle donne: rosa,
intendendo il colore. All’improvviso tutto si tinge di
un appiccicoso e melenso rosa confetto, le donne
imprenditrici sono menzionate come “le imprese in
rosa”, le quote per difendere con le unghie e con i denti
uno spazio che la Costituzione dovrebbe garantire
senza bisogno di interventi sono le “quote rosa”. Mi
viene l’orticaria. Eppure io amo il rosa in tutte le sue
nuances dal più pallido e tenue corallo al carico e
deciso viola, ma il rosa confetto con cui si etichetta
tutto quel che riguarda la vita lavorativa e istituzionale
delle donne, no quello proprio non lo sopporto.
Affibbiare questa connotazione cromatica a ciò che le
donne fanno e sono è demenziale. Chi si sognerebbe
di dire che il management di una impresa è azzurro?
180
Forse avrebbe un senso se stessimo parlando di una
azienda in cui lavorano i puffi!
E che dire di una impresa verde che si occupa di
energie pulite gestita in rosa? Provate a mischiare il
verde e il rosa su una tavolozza ne viene fuori un bel
grigio topo!
181
Un rapporto di amore-odio
Immagine tratta dal sito www.messin.it
Un rapporto difficile, tormentato, che non risparmia
nessuna donna. Tutto il genere femminile almeno una
volta l’anno deve fare appello all’autocontrollo e
respirare profondamente per non uccidere. Non sto
parlando del rapporto con le madri né di quello con
mariti, fidanzati, compagni e concubini. Sto parlando
del rapporto con i parrucchieri. Quando entra dal
parrucchiere ogni donna sa perfettamente cosa vuole.
Quando esce non sa più chi è. Taglio, colore e messa
in piega diventano materia di trattative diplomatiche
degne di grandi statisti. I parrucchieri hanno la sadica
e nascosta passione per i tagli tipo marine americani: si
e no ti lascerebbero in testa due centimetri di capelli.
La parola d’ordine delle donne che si accomodano in
poltrona, con la stessa gioia di quando lo fanno dal
dentista, è: “mi raccomando solo una spuntatina per
eliminare le doppie punte!” E zac, zac, zac…i capelli si
accumulano tristemente numerosi sul pavimento,
troppo numerosi. Ma dove arrivavano queste doppie
punte? Un capello che non fosse biforcuto non c’era?
Alla sbigottimento della donna decespugliata arriva la
risposta : “Andavano rinforzati e poi non vede questo taglio
la sveltisce”. Perché ero lenta? E se volessi indugiare
nella mia assenza di sveltezza? Dopo il trauma delle
forbici, e in qualche caso anche del rasoio (sa lei ha
l’attaccatura bassa…), arriva lo scoglio della messa in
piega: “Glieli asciugo naturali così non li pettina ma li apre
con le mani”. Li apro con le mani? E che ho in testa un
rovo? “Glieli phono e le metto un bel pò di lacca così la piega
tiene”. Risultato finale Orietta Berti a Sanremo nel 1965.
Deliziosa, ma nel 1965. “Li facciamo con un look giovane
185
spettinato” Se devo andare in giro spettinata che sono
venuta a fare dal parrucchiere? “Glieli asciugo lisci così
rimane in ordine”. Pericolosissimo. A volte liscio vuol
dire piatto come se ti avessero dato un ferro da stiro
in testa. “Li asciughiamo gonfi così danno volume”.
Rischioso. Ci si può ritrovare come un soffione a
primavera. O come un muflone, dipende dall’enfasi di
chi gonfia. Ma dove può consumarsi il misfatto è sulla
scelta del colore. La denominazione data alle diverse
tonalità tra cui scegliere è fuorviante. Alcune aziende
produttrici devono essersi affidate a dei tecnici
daltonici. Come si può chiamare biondo scuro una
tinta che bionda non è. Perché è castana, fidatevi. E
perché il castano si chiama cioccolato? E se li volessi
color cappuccino? Quando ero piccola era di moda per
le signore anziane una gamma cromatica che andava
dall’azzurrino, modello fata turchina, al violetto di un
fiore. Era una tinta pastello delicata, discreta,
dignitosa. Una riunione fra nonne in giugno poteva
facilmente mimetizzarsi in un giardino di ortensie in
fiore. Oggi mi capita di vedere signore di ottanta anni
di un biondo inverosimile e di un rosso improbabile.
Ci sono donne fortunate che si intendono
perfettamente con il parrucchiere scelto e vi si recano
una volta alla settimana concedendosi un momento di
relax. Si seggono, sorseggiano caffè, leggiucchiano
riviste ricche di succulenti pettegolezzi, aggiungono
gustosi pettegolezzi su comuni conoscenze chiacchierano e tornano a casa rinfrancate. Tutte le altre
vanno dal parrucchiere quando oramai girano con un
ciuffo di licheni informi e tricolori in testa. Entrano, si
186
guardano in giro spaurite, si lanciano in spiegazioni
su che cosa vogliono per i propri capelli e…recitano in
silenzio una preghiera!
Temono di imbattersi in parrucchieri subdoli che le
blandiscano annuendo con fare empatico e dicendo
“ma sì, sì ho capito” ben sapendo che stanno fingendo.
Perché la verità è che non hanno capito nulla e
fremono impazienti dalla voglia di dare libero sfogo
all’estro. Se sono modaioli, poi, l’epilogo sarà
inquietante. Ci si può ritrovare con doppia lunghezza,
frangetta a barboncino e colore fluorescente…
187
L’importanza del pensiero laterale
e la dimensione temporale
Immagine tratta dal sito www.milano.repubblica.it
“Per gli uomini la vita è come una strada, per le donne
come una mappa. Noi pensiamo sempre agli itinerari
alternativi, agli svincoli, al viaggio di ritorno. Loro tirano
dritto sulla corsia di sorpasso e basta. Il loro unico diversivo
è, di tanto in tanto, la brillante idea di una scorciatoia che
nella maggior parte dei casi si rivela più lunga e insidiosa
del percorso originario”. Questo brano è tratto dal libro
di Allison Pearson Ma come fa a far tutto? In cui si
descrivono le acrobazie di una mamma in carriera.
L’osservazione sui percorsi mentali declinati secondo
il genere è interessante. Le donne sembrano essere
inclini a un pensiero di tipo laterale, quello teorizzato
dallo psicologo Edward De Bono, in cui alla sequenza
logica viene preferito un percorso composito in cui
compaiono e soccorrono intuizioni, idee, correlazioni,
contrapposizioni, sovrapposizioni. Un puzzle che dà
luogo a delle mappe creative. Il pensiero laterale è
sempre originale, unico e soggettivo. Non esiste un
modello prestabilito a cui rifarsi, ognuno sviluppa
una propria dimensione della lateralità. Si allenta la
rigidità dell’approccio lineare per procedere come i
granchi, camminando di lato. Si allarga il campo visivo
estendendo la visione periferica per prendere in
considerazione elementi altri che a una prima lettura
di tipo razionale diretto non hanno nessun significato.
A volte gli elementi che si passano in rassegna
appartengono al surreale o costituiscono parte di un
paradosso. Questo modo di procedere mentalmente
rende possibile comprendere come possano le donne
affrontare e risolvere problemi tra loro così diversi che
si susseguono con ritmi frenetici giorno dopo giorno.
Tutto viene preso in considerazione, nulla è scartato
191
aprioristicamente, ogni punto di vista e angolazione
va esplorato per comporre e mantenere in equilibrio
un universo esistenziale complesso. Una baby sitter
che viene meno all’ultimo momento, una febbre
improvvisa del figlio più piccolo, un guasto all’auto in
una giornata di pioggia, il frigorifero vuoto, la
relazione non consegnata in tempo al proprio capo e
l’ennesimo ritardo accumulato in ufficio possono
coesistere e abitare nella mente di una donna come un
refrain infinito fino a quando non si trova una
soluzione, o qualcosa che ad essa assomigli, per ogni
cosa. Il problem solving elevato ad espressione artistica.
Raramente una donna va in crisi davanti
all’affastellarsi di problemi che affronta come delle
criticità, delle asperità da levigare e non come dei
drammi. Se esistessero dei campionati mondiali di
pensiero laterale le donne surclasserebbero gli uomini.
Ma poiché questo modo di ragionare non è stato
ancora riconosciuto come disciplina olimpica il campo
di gioco è, nella maggior parte dei casi, l’ambiente
domestico e in qualche altro un contesto lavorativo.
Esercitare la mente per trovare soluzioni fantasiose
a situazioni che appaiono irrisolvibili significa andare
oltre l’esercizio del brainstorming43 nel quale si stimola
la tempesta collettiva di idee in gruppi di lavoro. La
tempesta a cui penso è solitaria e tutta declinata al
femminile, quella che si scatena a giorni alterni per
mettere insieme vita familiare, vita lavorativa e nei
ritagli di tempo spazi individuali. Ritagli di quale
____________
43
Il termine letteralmente tradotto tempesta di cervelli sta a significare una
tempesta di idee. Il metodo del brainstorming iniziò a diffondersi nel 1957, grazie
al libro Applied Imagination del dirigente pubblicitario Alex Faickney Osborn.
192
tempo? Roger Sue44 si sofferma sul concetto di tempo
dominante come declinazione sociologica che connota
i periodi storici. Nel Medio Evo la vita era scandita da
un tempo religioso, prima ancora da un tempo sacro
mentre nella modernità ciò che conferisce significato è
il tempo del lavoro. Ma nella società contemporanea
si vive una frammentazione del lavoro a cui
corrisponde una asimmetria temporale che scompagina le certezze legate ad un orario di lavoro
standardizzato. Il quotidiano non è più immediatamente riconducibile alle otto ore lavorative e ad un
tempo libero calcolato in modo residuale. Le nuove
forme contrattuali generano tempi liberati dal lavoro
di intensità e durata differenziate. Il nuovo tempo
dominante, quello che sta prendendo il sopravvento
nella società occidentale industrializzata, è il tempo
libero. La dimensione temporale è, perciò, prioritaria
nella costruzione del processo identitario in qualsiasi
epoca storica. Quanto tempo della mia vita è dedicato
al lavoro, quanto alla famiglia, quanto agli interessi
personali? Le risposte a queste domande conferiscono
status e concorrono alla realizzazione dell’individuo.
Se dedico un numero di ore elevato al lavoro sono una
persona in carriera che sta investendo nella crescita
professionale, se la maggior parte del tempo è
impegnata con la famiglia sto allevando dei figli e
tenendo insieme un nucleo affettivo che considero
prioritario, se spendo tempo per me stesso/a scelgo di
non rinunciare a degli interessi. Come si realizza il mix
fra queste attività è l’alchimia che ognuno insegue per
____________
44
Sue R. “Il tempo in frantumi. Sociologia dei tempi sociali”Dedalo 2001.
193
raggiungere la serenità. Maria Cristina Bombelli in
proposito scrive: “In sintesi si potrebbe dire che mentre il
valore economico è il rapporto di scambio nell’economia del
consumo, il tempo è il valore di scambio nell’economia dei
sentimenti. E’ possibile che una riflessione più ampia
relativamente alla conciliazione dei tempi si possa sviluppare
solo con una più approfondita ricerca dei nessi di
collegamento e regolamentazione di questi due universi”.45
Immagine tratta dal sito: www. webopac.csbno.ne
____________
45
Bombelli M.C. Cuomo S. “Il tempo al femminile” Etas 2003.
194
PARTE II
Quadro normativo di riferimento e
azioni positive per la conciliazione
dei tempi di vita e di lavoro
Immagini tratte dal sito: www.ingenere.it
Il mainstreaming –
la genesi di un cambiamento culturale
Comprendere il significato del vocabolo
mainstreaming è fondamentale per analizzare
l’evoluzione della normativa comunitaria e, a cascata,
nazionale che rispecchia un cambiamento culturale. La
traduzione letterale è stare nella corrente principale. Il
significato completo è inserirsi in un contesto in modo
armonico, organizzato e stabile, non in maniera
sporadica. La prima volta esso viene abbozzato nei
documenti della Conferenza promossa dalle Nazioni
Unite a Nairobi alla metà degli anni Ottanta. Ma il suo
esordio ha una data precisa: il 21 febbraio 1996, data
riportata in calce alla Comunicazione della
Commissione Europea. La comunicazione matura
nell’ambito della Quarta Conferenza Mondiale
dell’ONU sulle donne tenutasi a Pechino l’anno
precedente “Lo sguardo delle donne sul mondo”, nel cui
documento finale è scritto: “Gli Stati devono promuovere
una attiva e visibile politica di mainstreaming di genere in
tutte le politiche e programmi, in modo che prima di
assumere decisioni, sia condotta una analisi dei loro effetti
rispettivamente sugli uomini e sulle donne”.
L’atto con cui l’organismo comunitario si rivolge
agli stati membri contiene la raccomandazione
all’adozione di misure e azioni positive affinché:
197
“le differenze tra le condizioni, le situazioni e le
esigenze degli uomini e delle donne” siano tenute
sempre presenti nella predisposizione delle politiche
di sviluppo. Ciò vuol dire andare al superamento di
una concezione ghettizzata di azioni specifiche mirate
al recupero del gap uomo/donna per adottare una
visione equilibrata e dignitosa del concetto delle pari
opportunità inteso come necessità imprescindibile da
tener presente nei momenti decisionali e di
pianificazione. Il cambiamento culturale è evidente.
Bisogna ripensare il modo di garantire pari accesso alle
donne alle diverse sfere della vita sociale, politica ed
economica. Non più azioni residuali da dedicare alla
risoluzione di “questioni femminili” ma un modo di
concepire l’agire a partire da una considerazione, che
purtroppo scontata non è, che ogni attività concertata,
decisa, programmata e realizzata presupponga il
rispetto del diritto della più ampia partecipazione di
individui –persone a prescindere dal genere di
appartenenza. Ciò che ci si aspetta dagli stati membri
è che si superino secoli di incrostazioni socio-culturali
che hanno relegato le donne in ruoli subalterni e di
contorno alla presenza maschile riconoscendo loro
pari diritti e opportunità.
L’anno successivo, il 1997, il Trattato di Amsterdam
sancisce per il mainstreming di genere carattere di
cogenza strategica. E l’anno seguente ancora il Gruppo
di esperti sul mainstreming del Consiglio d’Europa
stabilisce: “il mainstreaming di genere è l’organizzazione,
il miglioramento, lo sviluppo e la valutazione dei processi
politici, in modo che la prospettiva dell’uguaglianza di
198
genere venga integrata in tutte le politiche, a tutti i livelli,
in tutte le fasi, dagli attori normalmente coinvolti nella
programmazione e nelle decisioni politiche”.
L’atto delle Commissione del 1996 si è tradotto
nella predisposizione di Programmi quinquennali
per le pari opportunità. La “Tabella di marcia per la
parità fra le donne e gli uomini” ha riguardato il periodo
2006-2010.
Il gender mainstreaming è, quindi, diventato un
modo di concepire le politiche a partire dalla
considerazione che la realtà si declina su due
dimensioni: quella maschile e quella femminile.
In questo senso va letta l’affermazione di Manuela
Naldini: “…necessità di nuove politiche che superino il
vecchio paradigma secondo cui politiche di conciliazione =
politiche di pari opportunità = politiche per le donne.
E’ necessaria una trasformazione del pensiero organizzativo
ancora fondato sulla logica binaria: al “maschile” il tempo
di lavoro e al “femminile” la conciliazione e gli strumenti
per la conciliazione”. 46
____________
46
Naldini M. “Tempi di lavoro e tempi di vita. Strumenti di “genere” per la
conciliazione:alcuni dati e riflessioni a margine di uno studio di caso” Atti del
convegno Che “genere” di conciliazione? Famiglia, Lavoro e Genere: equilibri
e squilibri.
199
Le azioni comunitarie:
la road map per la parità di genere e il
patto europeo per l’uguaglianza di genere
Con la Comunicazione al Consiglio, al Parlamento
Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al
Comitato delle Regioni 47 la Commissione ha presentato,
nel marzo del 2006, la Tabella di marcia per la parità tra
donne e uomini per il periodo 2006-2010.
Nella tabella vengono individuati sei ambiti
prioritari in cui concentrare le azioni:
1. pari indipendenza economica per ambo i generi
2. equilibrio tra attività professionale e vita privata
3. pari rappresentanza nel processo decisionale
4. eradicazione di tutte le forme di violenza fondate
sul genere
5. eliminazione di stereotipi sessisti
6. promozione nella parità tra i generi nelle politiche
esterne e di sviluppo.
Nella programmazione, in cui si tiene conto dei
risultati conseguiti con le esperienze precedenti, 48si fa
____________
47
COM 2006 92 definitivo.
48
Le esperienze alle quali si fa riferimento sono quelle realizzate nell’ambito della
strategia quadro in tema di parità di genere nel periodo 2001-2005.
201
un esplicito riferimento alla necessità di una azione
combinata tra il mainstreaming di genere e la
predisposizione di azioni specifiche e mirate. Nel
documento si legge: “La parità tra donne e uomini è un
diritto fondamentale, un valore comune dell’UE e una
condizione necessaria per il conseguimento degli obiettivi
comunitari di crescita, occupazione e coesione sociale. L’UE
ha compiuto notevoli progressi nell’attuazione della parità tra
i generi grazie alla normativa sulla parità di trattamento,
all’integrazione della dimensione di genere nelle politiche, ai
provvedimenti specifici volti a promuovere la condizione
femminile, ai programmi d’azione, al dialogo sociale e al
dialogo con la società civile. Il Parlamento europeo è stato un
partner importante per la realizzazione di questi progressi.
Numerose donne hanno raggiunto i più alti livelli
d’istruzione, sono entrate nel mercato del lavoro e hanno
svolto ruoli importanti nella vita pubblica. Tuttavia, le
diseguaglianze rimangono e possono aggravarsi, poiché
l’incremento della concorrenza economica su scala mondiale
richiede una forza lavoro più mobile e flessibile. Tali esigenze
possono pregiudicare maggiormente le donne, spesso costrette
a scegliere tra figli e carriera a causa della scarsa flessibilità
degli orari di lavoro e dei servizi di custodia dei bambini, del
persistere degli stereotipi di genere nonché dell’ineguale carico
di responsabilità familiari rispetto agli uomini. I progressi
compiuti dalle donne in settori chiave della strategia di
Lisbona come l’istruzione e la ricerca, non si riflettono
pienamente nella posizione delle donne nel mercato del lavoro.
Si tratta di uno spreco di capitale umano che l’UE non può
permettersi. Nel contempo i tassi di natalità ridotti e
l’assottigliarsi della manodopera costituiscono una minaccia
per il ruolo economico e politico dell’UE”.
202
Il Patto Europeo, allegato alla Tabella di marcia, è
lo strumento attraverso il quale il Consiglio europeo
incoraggia e promuove l’iniziativa degli stati membri
e di Unione nei seguenti settori:
P misure per colmare i divari di genere e combattere
gli stereotipi di genere nel mercato del lavoro
P misure per promuovere un migliore equilibrio tra
vita professionale e vita privata per tutti
P misure per rafforzare la governance tramite l’integrazione di genere e un migliore monitoraggio.
Con il regolamento (CE) n. 1922/2006 del 20
dicembre 2006 il Parlamento europeo e il Consiglio
istituiscono l’Istituto europeo per l’uguaglianza di
genere. L’Istituto, come previsto all’articolo 3 sub e)
“coordina una Rete europea sull’uguaglianza di genere, con
la partecipazione di centri, organismi, organizzazioni ed
esperti impegnati nel settore delle problematiche
dell’uguaglianza di genere e dell’integrazione della
dimensione di genere, con l’obiettivo di sostenere e
incoraggiare la ricerca, ottimizzare l’uso delle risorse
disponibili e promuovere lo scambio e la diffusione di
informazioni”.
203
La consigliera di parità
La figura istituzionale del consigliere di parità è
sancita dalla legge 125 del 1991. Le attribuzioni e i
compiti di quest’ultimo sono stati rivisitati dal Decreto
Legislativo 196 del 2000. Nel tempo trascorso tra la
redazione della prima norma e quella successiva sono
intervenuti diversi cambiamenti. Primo fra tutti un
adeguamento lessicale alla declinazione di genere. Nel
testo del 1991 si fa espressamente riferimento ai
consiglieri al maschile (cfr. art. 8), in quello successivo,
del 2000, viene introdotta la doppia declinazione, al
maschile e al femminile, fin dal titolo. Si auspica che il
progresso avvenuto negli ultimi vent’anni nella
declinazione di genere non si limiti alla sola sfera
formale di tipo grammaticale ma investa, invece,
fenomeni di carattere sostanziale.
I compiti demandati dal legislatore al Consigliere/a
di Parità prevedono funzioni di promozione e
controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza
di opportunità e non discriminazione per donne e
uomini nel lavoro. Essi svolgono il loro operato a
livello regionale e provinciale e, nell’esercizio delle
funzioni loro attribuite, sono pubblici ufficiali, e come
tali, hanno l’obbligo di segnalare i reati di cui vengono
a conoscenza all’autorità giudiziaria. Essi sono
nominati con Decreto del Ministero del Lavoro e il loro
205
mandato dura quattro anni con la possibilità di due
rinnovi. In particolare la loro azione si articola in
interventi volti a:
a) rilevare situazioni di squilibrio di genere, al fine di
svolgere le funzioni promozionali e di garanzia
contro le discriminazioni previste dalla legge 10
aprile 1991, n. 125;
b) promuovere progetti di azioni positive, anche
attraverso l’individuazione delle risorse comunitarie, nazionali e locali finalizzate allo scopo;
c) promuovere la coerenza della programmazione
delle politiche di sviluppo territoriale rispetto agli
indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia
di pari opportunità;
d) sostenere le politiche attive del lavoro, comprese
quelle formative, sotto il profilo della promozione
e realizzazione di pari opportunità;
e) promuovere l’attuazione delle politiche di pari
opportunità da parte dei soggetti pubblici e privati
che operano nel mercato del lavoro;
f) collaborare con le direzioni provinciali e regionali
del lavoro al fine di individuare procedure efficaci
di rilevazione delle violazioni alla normativa in
materia di parità, pari opportunità e garanzia contro
le discriminazioni, anche mediante la progettazione
di appositi pacchetti formativi;
g) diffondere la conoscenza e lo scambio di buone
prassi e attività di informazione e formazione
culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle
varie forme di discriminazioni;
206
h) verificare i risultati della realizzazione dei progetti
di azioni positive previsti dalla legge 10 aprile 1991,
n. 125;
i) collaborare con gli assessorati al lavoro degli enti
locali e con organismi di parità degli enti locali.
Al fine di armonizzare e monitorare l’azione delle
consigliere/i presenti sul territorio il decreto
legislativo 196/2000 ha istituito un ufficio nazionale,
con una consigliera nazionale, che svolge funzione di
raccordo e coordinamento. L’articolo 7 del decreto
elenca le azioni positive che si possono intraprendere.
A queste si aggiungono quelle previste dall’articolo 9
della legge 53 del 2000 (Disposizioni per il sostegno
della maternità e della paternità, per il diritto alla cura
e alla formazione e per il coordinamento dei tempi
delle città) e precisamente:
a) progetti articolati per consentire alle lavoratrici e ai
lavoratori di usufruire di particolari forme di flessibilità
degli orari e dell’organizzazione del lavoro, quali part
time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, banca
delle ore, orario flessibile in entrata o in uscita, sui turni
e su sedi diverse, orario concentrato, con specifico
interesse per i progetti che prevedano di applicare, in
aggiunta alle misure di flessibilità, sistemi innovativi per
la valutazione della prestazione e dei risultati;
b) programmi ed azioni volti a favorire il reinserimento delle
lavoratrici e dei lavoratori dopo un periodo di congedo
parentale o per motivi comunque legati ad esigenze di
conciliazione;
c) progetti che, anche attraverso l’attivazione di reti tra enti
territoriali, aziende e parti sociali, promuovano interventi
207
e servizi innovativi in risposta alle esigenze di
conciliazione dei lavoratori. Tali progetti possono essere
presentati anche da consorzi o associazioni di imprese, ivi
comprese quelle temporanee, costituite o costituende, che
insistono sullo stesso territorio, e possono prevedere la
partecipazione degli enti locali anche nell’ambito dei piani
per l’armonizzazione dei tempi delle città.
(Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
del dicembre 2010 è lo strumento attraverso il quale
sono stati finanziati i progetti previsti dall’art. 9 della
legge 53/2000 presentati nella primavera del 2011).
In questo quadro si inserisce nell’aprile del 2006
(Decreto Legislativo198/2006) il Codice delle Pari
opportunità tra uomo e donna a norma dell’articolo 6
della legge 28 novembre 2005, n. 246.
Alla dichiarazione di intenti sintetizzata all’articolo
1: “Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le
misure volte ad eliminare ogni distinzione, esclusione o
limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o
come scopo, di compromettere o di impedire il
riconoscimento, il godimento o l’esercizio dei diritti umani
e delle libertà fondamentali in campo politico, economico,
sociale, culturale e civile o in ogni altro campo” fa seguito
l’organizzazione degli organismi attraverso i quali
garantire l’ossequio di quanto scritto. Si descrivono,
perciò, la composizione e i compiti di una Commissione
per le Pari Opportunità fra uomo e donna (art. 3)
che, istituita presso il Dipartimento per la pari
opportunità, fornisce consulenza e supporto al
Ministero competente al ramo e il Comitato nazionale
per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed
208
uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici,
istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, per promuovere nell’ambito della competenza
statale, la rimozione dei comportamenti discriminatori
per sesso e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto
l’uguaglianza fra uomo e donna nell’accesso al lavoro
e sul lavoro e la progressione professionale e di
carriera (art. 8).
Il Capo IV della norma (artt. 12- 19) è dedicato alle
consigliere e i consiglieri di parità.
Il Codice prende, poi, in esame al Capo V del testo
(art. 21 e 22) il ruolo e i compiti del Comitato per
l’imprenditoria femminile così come istituito dalla
legge 215/92. Il Libro II tratta della parità in tema di
rapporti etico-sociali e del contrasto alla violenza nelle
relazioni familiari facendo un espresso rimando alle
norme vigenti che regolano le materie. Nel primo caso
il rimando è al codice civile, nel secondo alla legge 154
del 2001.
Il Libro III è dedicato alle pari opportunità nei
rapporti economici. L’articolo 25 recita: “Costituisce
discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi
atto, patto o comportamento che produca un effetto
pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in
ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno
favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un
altro lavoratore in situazione analoga.
2. Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente
titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un
atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri
209
mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato
sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a
lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti
essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché
l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo
conseguimento siano appropriati e necessari”. Il Capo II è
dedicato ai divieti di discriminazione nell’accesso al
lavoro, nella retribuzione, nella progressione di
carriera, nell’accesso alle prestazioni previdenziali,
nell’accesso agli impieghi pubblici, nell’arruolamento
nelle forze armate e nei corpi speciali, nelle carriere
militari e al licenziamento per causa di matrimonio.
Il Capo III si occupa di legittimazione processuale,
provvedimenti avverso le discriminazioni, ricorsi in
via d’urgenza, onere della prova e adempimenti
amministrativi e sanzioni. Il Capo IV disciplina
l’aspetto della attività e le azioni positive di
promozione delle pari opportunità. Il Capo V si
occupa di tutela e sostegno della maternità e paternità
rimandando al Decreto Legislativo 151 del 2001.
Il Titolo II del III Libro è dedicato all’esercizio delle
pari opportunità nelle attività imprenditoriali
attraverso la riproposizione di contenuti della legge
215 del 1992. L’ultima parte del testo, il Libro IV, è
dedicato alle pari opportunità nei rapporti civili e
politici con espresso riferimento all’elezione dei
membri del Parlamento europeo per i quali una lista
non può candidare rappresentanti dello stesso sesso
nella misura superiore ai 2/3.
Nel giugno del 2010 il Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali ha presentato il Programma – obiettivo
210
per l’incremento e la qualificazione dell’occupazione
femminile, per il superamento delle disparità salariali e nei
percorsi di carriera, per la creazione, lo sviluppo e il
consolidamento di imprese femminili, per la creazione di
progetti integrati di rete. Il programma prevede diversi
tipi di azione. Le prime riguardano quelle rubricate al
numero 1. Si tratta di azioni positive volte a promuovere la presenza delle donne negli ambiti
dirigenziali e gestionali attraverso percorsi formativi
mirati. Il numero 2 risponde all’esigenza di introdurre
attività e comportamenti con cui modificare l’organizzazione del lavoro e della valutazione delle prestazioni
attraverso l’adozione della certificazione di genere, la
sperimentazione di forme incentivanti la conciliazione
e il perseguimento di azioni integrate che possano
essere documentate e misurate in base ai seguenti
parametri:
t Superamento delle discriminazioni di genere
t Superamento del differenziale retributivo tra
uomini e donne
t Progressione delle carriere femminili
t Occupabilità femminile con flessicurezza
Il numero 3 prende in carico le azioni per l’ingresso
nel mondo del lavoro di neo laureate e neo diplomate
a cui offrire la possibilità di stabilizzazione e il
reinserimento di donne uscite precedentemente dal
mercato. Al punto 4 l’obiettivo è il consolidamento
delle attività di impresa a titolarità e/o prevalenza
femminile nella compagine societaria attraverso studi
di fattibilità per lo sviluppo di nuovi prodotti anche in
211
settori emergenti come la Green Ecomony e interventi
di mentoring, counselling e formazione. L’ultimo
punto, il 5, riguarda la qualità della vita delle
lavoratrici migranti che dovrà essere presa in carico da
un ampio partenariato tra cui è richiesta l’obbligatoria
presenza di un ente pubblico e di una associazione
femminile.
Successivamente al Programma Obiettivo nel
febbraio 2010 è entrato in vigore il Decreto Legislativo
n. 5 che ha dato attuazione alla Direttiva 2006/54/UE
relativa al principio delle pari opportunità e della
parità di trattamento fra uomini e donne in materia di
occupazione e impiego.
Risale al marzo del 2010 la pubblicazione della
Direttiva 2010/18/UE in materia di congedi parentali
che abroga e sostituisce la precedente direttiva
96/34/CE del 1996 recependo l’accordo quadro
sottoscritto a giugno del 2009 dalle parti sociali
europee. Nella nuova formulazione, improntata ad un
generale miglioramento della conciliazione tra tempi
di vita e di lavoro, si dà la possibilità agli stati membri
di legiferare in modo più favorevole rispetto a quanto
previsto dall’accordo quadro, si stabilisce la durata del
congedo parentale in 4 mesi (per la nascita o
l’adozione di un figlio) da usufruire fino al
raggiungimento degli otto anni di età del bambino, si
configura l’applicazione del dettato di legge a tutti i
lavoratori dipendenti di ambo i sessi indipendentemente dalla forma del contratto o del rapporto di
lavoro, si riconosce ai genitori che rientrano al lavoro
al termine del congedo parentale la possibilità di
212
chiedere, per un periodo di tempo determinato,
l’adattamento delle loro condizioni di lavoro, si
riconosce maggiore protezione contro il licenziamento
nonché contro ogni trattamento sfavorevole legato
all’esercizio del diritto al congedo parentale e si
obbligano gli Stati membri a predisporre un impianto
sanzionatorio per le violazioni delle disposizioni
nazionali adottate ai sensi della direttiva stessa. Le
sanzioni, per essere degne di questo nome, devono
essere effettive, proporzionate e dissuasive.
Il congedo parentale è definito come un diritto
individuale e non come una possibilità di accordo tra
i coniugi pertanto per incoraggiare i padri a usufruirne
la Direttiva suggerisce agli Stati membri di prevedere
che, almeno uno dei quattro mesi, non sia
assolutamente trasferibile tra i genitori. Dati i tempi di
recepimento accordati dalla UE per fare una
valutazione di impatto sulle nuove norme bisognerà
attendere la fine del 2012.
L’applicazione del principio delle pari opportunità
per coloro che svolgono un lavoro in forma autonoma,
o che ad essa con il loro operato contribuiscano, in tutti
i settori produttivi, anche quello agricolo, è previsto
dalla Direttiva 2010/41/UE (che abroga la 86/613/CE)
che espleterà appieno i suoi effetti entro l’agosto del
2014.
Nel settembre del 2010 la Commissione UE si è
incamminata su un percorso strategico di durata
quinquennale organizzato in una Road map incardinata
su cinque linee prioritarie da perseguire in raccordo
con quanto previsto dal quadro della Strategia Europa
213
2020. In particolare si tratta di lavorare su: economia e
mercato del lavoro, parità salariale, parità nei posti di
responsabilità, contrasto alla violenza di genere e
promozione della parità nei paesi extra UE.
Non vanno dimenticate le norme introdotte dal
Collegato al Lavoro, la legge 183/2010, con gli articoli
dedicati al lavoro delle donne. In particolare è da
menzionare l’articolo 16 del Testo che disciplina la
possibilità per la Pubblica amministrazione di valutare
la concessione del part time. Si introduce, così, una
rilettura del rapporto contrattuale del pubblico
impiego parificato a quello al settore privato per
agevolare la flessibilità lavorativa.49
Degno di nota è anche l’articolo 21 che istituisce il
Comitato unico di garanzia nella Pubblica
amministrazione per la promozione e la tutela delle
Pari opportunità. Al comma 3 si legge: “Il Comitato
unico di garanzia, all’interno dell’amministrazione
pubblica, ha compiti propositivi, consultivi e di verifica e
opera in collaborazione con la consigliera o il consigliere
nazionale di parità. Contribuisce all’ottimizzazione della
produttività del lavoro pubblico, migliorando l’efficienza
delle prestazioni collegata alla garanzia di un ambiente di
lavoro caratterizzato dal rispetto dei principi di pari
opportunità, di benessere organizzativo e dal contrasto di
qualsiasi forma di discriminazione e di violenza morale o
psichica per i lavoratori”. Il successivo art. 23 delega il
Governo al riordino della normativa in materia di
congedi, aspettative e permessi mentre l’art. 33
____________
49
La norma va’ letta alla luce della legge 150/2009.
214
ridisegna la conciliazione e l’arbitrato nelle
controversie di lavoro e introduce una pluralità di
mezzi di composizione di queste ultime. L’articolo 46,
poi, riapre i termini per l’esercizio delle deleghe in
materia di ammortizzatori sociali, servizi per
l’impiego, incentivi all’occupazione e apprendistato e
la revisione dell’occupazione femminile 50 fino al 2011.
____________
50
Le deleghe oggetto di conferimento sono previste dalla legge 247/2007.
215
Le nuove professioni nate dalla
conciliazione tra tempi di vita e di lavoro
Dai progetti svolti in materia di conciliazione tra
tempi di vita e di lavoro e buone prassi individuate
emergono nuove figure professionali, in parte mutuate
dal mondo della formazione professionale e l’orientamento al mercato del lavoro, in parte rintracciabili
nell’esperienza aziendale e in parte nate ad hoc.
Del primo gruppo fa parte l’esperto di bilancio delle
competenze, un soggetto in grado di lavorare con le
persone per sostenerle nel processo di individuazione
delle conoscenze/competenze/abilità maturate nel
corso del tempo. Questa figura assume importanza
nell’attuale mercato del lavoro poiché è di aiuto nel
ricostruire il percorso biografico e professionale di
coloro che hanno svolto lavori e prestazioni diverse
nell’arco del tempo. Ricostruire il bagaglio professionale che un individuo può spendere nel mercato del
lavoro non è un’operazione asettica e indolore poiché
porta a riflettere su ciò che a volte si tende a far
scivolare ai margini della consapevolezza attraverso
un meccanismo di rimozione volto a ridurre lo stress
e il senso di disagio. Indagare su ciò che si è imparato,
mettendo insieme percorsi di studio formali e
informali, esperienze di lavoro regolari e irregolari,
opportunità mancate e aspettative andate deluse
217
rappresenta un processo di analisi esistenziale che ha
un costo in termini emotivi. Non ci si limita a elencare
quello che si sa fare e che può trovare collocazione sul
mercato ma ci si addentra nei motivi delle scelte
compiute in materia di studi, di creazione di una
famiglia, di desiderio di maternità, di accudimento di
genitori e/o parenti malati o anziani. E’ un’operazione
delicata cui vanno dedicati tempo e attenzione. Alla
fine del percorso il soggetto guidato avrà una maggior
consapevolezza del proprio bagaglio professionale.
Al termine di questo intervento di consulenza
si pone un’altra figura, anch’essa appartenente
all’area della formazione professionale, l’orientatore.
Quest’ultimo, presente anche nelle strutture pubbliche
dei centri per l’impiego e in alcune amministrazioni
locali che si sono dotate di sportelli di consulenza, ha
il compito di indirizzare il soggetto in cerca di
occupazione tenendo conto del bilancio di
competenze. Ad egli/ella spetterà illustrare le
modalità e gli strumenti per una ricerca attiva del
lavoro attraverso la predisposizione di un curriculum
vitae e il suo inserimento in banche dati on line,
l’iscrizione alle agenzie di lavoro interinali, la
consultazione degli annunci di lavoro etc.
Una figura che si è sviluppata a cavallo tra il
contesto della formazione professionale e quello
aziendale è il tutor. Nel primo caso si tratta di una
persona che rappresenta il trait d’union tra il
coordinatore del corso e i discenti perché il suo lavoro
si sostanzia nell’accompagnare lo svolgimento delle
attività corsuali attraverso il disbrigo di alcune
218
pratiche amministrative come far firmare le presenze
sul registro, calcolare le ore di presenza, assicurarsi che
i docenti siano in aula secondo quanto previsto dal
calendario didattico etc. ma svolge anche il compito di
raccordo tra docenti, coordinatore e allievi rilevando
le esigenze dei vari soggetti che insorgono durante le
attività. Nel secondo caso, il contesto aziendale, il tutor
è la persona che prende in carico una o più persone,
per un periodo di apprendimento limitato nel tempo
(stage, apprendistato, borsa di studio) o per
l’inserimento di un lavoratore in azienda.
Nel secondo gruppo, quello che fa capo al mondo
aziendale, si è sviluppata la figura del coach. Esso svolge
il suo lavoro di supporto prima, durante e dopo
l’assenza dal lavoro per il congedo di maternità. Di
norma ci si rivolge al rientro al lavoro quando il
congedo è terminato. Nella delicata fase in cui una
donna deve riprendere il ritmo lavorativo e conciliarlo
con quello familiare. Il ruolo del coach è
fondamentalmente rivolto al supporto motivazionale.
La figura di supporto facilita un processo di
consolidamento della consapevolezza della madre che
si è allontanata dal luogo di lavoro facendola riflettere
sulle proprie capacità e aiutandola nello sviluppo delle
proprie potenzialità.
Ancora nello stesso gruppo troviamo il counsellor
che fornisce un aiuto psicologico, non terapeutico, alle
madri che rientrano al lavoro dopo il congedo di
maternità. La figura del counsellor è presente
nell’esperienza realizzata nell’ambito della legge
53/2000 sui congedi parentali.
219
Vi è, poi, il mentor, una figura professionale
assimilabile al tutor poiché ha il compito di trainer dei
neoassunti. Ad egli/ella vengono affidate le persone
che sostituiscono i lavoratori in congedo di maternità
o parentale per il periodo della sostituzione e, una
volta terminata questa, segue i lavoratori che rientrano
in azienda.
Dell’ultimo gruppo fa parte il diversity leader cui
viene affidato il compito di mediare le diversità di
genere, cultura ed etnia ed età nel processo di
conciliazione tra i tempi di vita e quelli di lavoro. Il suo
compito è agevolare un processo di armonizzazione in
cui ognuno dia il suo contributo per la crescita del
contesto lavorativo in cui opera.
Nuova figura professionale è anche il mobility
manager, nata a seguito del Decreto Ministeriale che
riguarda la mobilità sostenibile nelle aree urbane.51
Questa figura professionale è prevista per due ambiti:
quello pubblico e quello privato. Nel primo caso essa
opera negli uffici comunali deputati all’organizzazione
del traffico sul territorio cittadino dei grandi comuni.
Nel secondo caso, quello delle imprese, essa viene in
rilievo perché interviene a individuare soluzioni
alternative allo spostamento con auto privata (car
pooling, car sharing, taxi collettivo, navette etc.). Il
Decreto menziona come realtà in cui debba essere
presente un responsabile della mobilità del personale
l’impresa con oltre 800 dipendenti e l’ente pubblico
con oltre 300 dipendenti per “unità locale”.
____________
51
Decreto del 27.03.98.
220
Altro profilo professionale di recente apparso sul
mercato è il referente aziendale per il coordinamento
dei problemi di conciliazione tra tempi di vita e tempi
di lavoro. Questa figura è, di solito, ricoperta dal
responsabile del personale o dallo psicologo del
lavoro. Il suo compito è quello di trasferire ai
lavoratori le informazioni sulla normativa di settore e
sull’esistenza di organismi che si occupano della
materia. Ascolta le istanze e le necessità dei dipendenti
e le presenta ai vertici dell’impresa e alle
rappresentanze sindacali per favorire l’adozione di
misure volte alla conciliazione.
Altrettanto innovativa è la figura del coordinatore
work-family che ricerca soluzioni per la conciliazione
dei tempi di vita e di lavoro attivandosi anche per la
sottoscrizione di convenzioni da parte dell’azienda
affinché i lavoratori possano usufruire di servizi utili
attivi sul territorio. L’obiettivo è quello di soddisfare
sia le esigenze dell’impresa che quelle dei lavoratori.
In ultimo, vi è, il maggiordomo aziendale. Questa
figura, che sta prendendo piede in diverse realtà
produttive del Centro Nord del Paese, si prodiga per
risolvere problemi quotidiani come il reperimento di
baby sitter, di artigiani per interventi di manutenzione
domestica, la prenotazione di biglietti per eventi, la
prenotazione di alberghi, la spesa, il pagamento delle
bollette. Il risultato può essere garantito anche
attraverso l’emissione di voucher o di stipula di
convenzioni con agenzie esterne che forniscono i
servizi richiesti.
221
Le nuove professioni fin qui richiamate sono volte
a connotare l’azienda come luogo e contesto family
friendly in cui le necessità quotidiane vengono
affrontate insieme nella consapevolezza che tale
atteggiamento renda più facile destreggiarsi tra
l’organizzazione della vita quotidiana e il lavoro. In tal
modo l’impresa fidelizza i suoi lavoratori, ne aumenta
la produttività e li supporta nella gestione del tempo
“altro”.
222
La normativa di settore
La legge 125/91 recante “Azioni positive per la
realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro” è la
pietra miliare con la quale si sono introdotte delle
attività volte a favorire la conciliazione tra tempi di vita
e di lavoro. Con questo strumento si può intervenire
per rimuovere gli ostacoli che, di fatto, rendono
impossibile tale parità. La prima finalità perseguita
dalla norma riguarda il cambiamento culturale. Fino a
quando rimarranno vivi e radicati gli stereotipi in base
ai quali gli uomini lavorano e le donne si occupano
della casa e della famiglia le donne lavoratrici saranno
l’eccezione e non la regola. Fino a quando le donne
saranno le sole a doversi occupare di accudimento di
figli e/o parenti anziani e non autosufficienti il loro
diritto al lavoro sarà residuale. La loro funzione di
produttrici di reddito, sembra infatti, essere bene
accetta a patto che non pregiudichi il loro ruolo di
conduzione della vita familiare quotidiana. Per tale
motivo la progressione di carriera viene subordinata
alla nascita e l’accudimento dei figli. Con la legge 125
si è cercato il superamento di tale mentalità veicolando
un messaggio dirompente: non esistono lavori da
uomo e lavori da donna. Basta con la segregazione
orizzontale e verticale. Basta, cioè, con il restringere gli
ambiti di lavoro delle donne ai soli ritenuti “femminili”
e via allo sfondamento una volta per tutte del “soffitto
223
di cristallo”. Secondo alcuni il concetto di sfondamento
andrebbe graduato distinguendo il soffitto di vetro per
i casi in cui la frangibilità risulta difficile ma possibile
e il soffitto di cristallo laddove la chiusura sia totale e
quindi non superabile.
Lo strumento legislativo in esame consente di
presentare progetti per il finanziamento di azioni
positive da parte di soggetti pubblici, soggetti privati,
sindacati e associazioni. L’intento è chiaro: tutti si
possono impegnare affinché cambi il mondo del
lavoro. E il cambiamento deve essere sostenuto dal
basso secondo un approccio bottom up. La letteratura
riporta numerose esperienze, alcune più efficaci altre
meno, tutte accomunate dalla volontà di partecipare
al processo di cambiamento. Un processo che le meno
giovani tra le donne sanno essere difficile e ostacolato
dalle resistenze tanto più un cambiamento di tale
portata, un sovvertimento di un modello socioculturale stratificato e consolidato.
Un altro passo importante sulla via dell’emancipazione femminile risale al 2000 con l’approvazione
della legge n. 53 che reca: “Disposizioni per il sostegno
della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla
formazione e per il coordinamento dei tempi delle città” La
norma accorda la possibilità, non solo alle donne ma
anche agli uomini, di astenersi dal lavoro in occasione
della nascita di un figlio, di usufruire di interventi
formativi, prevede un sostegno ai soggetti portatori di
handicap e si preoccupa della flessibilità di orario
anche nell’organizzazione della vita urbana. Il duplice
intento risponde a esigenze di natura diverse. Il primo
224
di essi riguarda un’innovativa rivisitazione del ruolo
paterno. Anche gli uomini possono beneficiare di un
tempo da dedicare al proprio figlio appena nato o al
figlio adottato che si inserisce nel nucleo familiare.
Purtroppo i dati mostrano, ad oggi, uno scarso ricorso
a questa possibilità da parte dei genitori maschi.
L’esiguità dei congedi maschili viene spiegata da
alcuni alla luce di un ragionamento economico, da altri
come una resistenza culturale. Secondo parte dei
commentatori, poi, quella di far rimanere la madre, e
non il padre, con il figlio sarebbe frutto di una
decisione condivisa all’interno della coppia, secondo
altri il risultato di una decisione monocratica della
donna. Il secondo intento perseguito dal legislatore
verte sulla riorganizzazione dei tempi urbani da
realizzarsi tenendo conto delle esigenze delle famiglie.
Secondo uno studio condotto dalla Fondazione ANCI
Ricerche CITTALIA nel 2010 il giudizio che le donne
danno, dopo dieci anni di vigenza della norma, è
negativo. Ciò che si lamenta è il perdurare di orari di
fruizione di alcuni servizi ritenuti inadeguati
all’organizzazione della tempistica lavoro/famiglia.
Nello specifico si lamenta la difficoltà a recarsi presso
sportelli comunali, studi medici di base, ambulatori e
scuole. I suggerimenti dati per migliorare la situazione
riguardano un orario di apertura più lungo
e una maggior informatizzazione della Pubblica
Amministrazione con la possibilità di fruire di
maggiori servizi on line, una riduzione del traffico
stradale che possa ridurre i lunghi tempi per gli
spostamenti e una maggior flessibilità negli orari delle
strutture medico-sanitarie.
225
Accanto al comportamento dei singoli (i genitori) e
della Pubblica amministrazione (uffici locali) la norma
si occupa anche del settore privato. Al contesto
aziendale si chiede, in accordo con le parti sociali, di
sperimentare percorsi che possano conciliare tempi di
vita e di lavoro. Su quest’ultimo aspetto si sofferma
l’articolo 9 della legge che riguarda la flessibilità degli
orari lavorativi, l’organizzazione di interventi
formativi al momento del rientro in azienda, la
sostituzione per i titolari di impresa. Le azioni previste
da quest’articolo sono state ampliate dalla legge
finanziaria per l’anno 2007 (296/2006) che rende
possibile alle madri e i padri usufruire di particolari
forme di flessibilità nell’organizzazione e nei tempi del
lavoro (part time reversibile, lavoro a domicilio,
telelavoro, etc.) accordando una priorità ai genitori di
bambini fino ai 12 anni di età, e in caso di adozione o
affidamento, fino ai 15. Sono previsti, inoltre,
interventi formativi per il reinserimento al lavoro per
i genitori che si siano allontanati per un periodo
superiore ai 60 giorni, sostituzioni per i lavoratori
autonomi, e misure di accompagnamento per i
lavoratori con figli minori disabili o anziani non
autosufficienti.
Due anni più tardi con la legge 69 del 2009 l’articolo
38 recepisce le istanze manifestatesi nel corso del
tempo disponendo modifiche in ordine ai soggetti
proponenti, alle condizioni di accesso alle
agevolazioni, all’introduzione del criterio della
valutazione degli interventi, all’introduzione di servizi
innovativi e reti territoriali e alla possibilità per i
226
lavoratori autonomi non solo di avvalersi di una
sostituzione ma anche di finanziare una
collaborazione.
Il processo legislativo fin qui richiamato è la
risultante di diverse azioni e buone prassi. Tra queste
è importante ricordare il Trattato di Amsterdam del
1997 che ha sancito l’impegno della Comunità europea
nell’adozione del mainstreaming di genere e la
strategia di Lisbona che ha individuato tra le priorità
fondamentali l’innalzamento del livello occupazionale
delle donne fissato al 60% e la copertura territoriale dei
servizi per l’infanzia da 0 a 3 anni al 33% per il 2010.
Traguardi purtroppo ancora lontani. L’Isfol, infatti, nel
primo caso riporta un mancato raggiungimento
dell’obiettivo con tassi di occupazione femminile
fermi al 46,4% che fanno registrare un gap di
genere intorno ai 20 punti percentuali e nel
secondo, la numerosità degli asili nido, segnala un
raggiungimento insufficiente fermo appena al 12%. In
entrambi i casi i numeri si riferiscono a medie
nazionali ma la situazione è profondamente diversa
da regione a regione. Va inoltre menzionato,
nell’elenco delle azioni che hanno portato linfa al
processo legislativo, il regolamento COM 2004/92 con
cui la Commissione Europea ha tracciato le linee per
la programmazione strategica per il periodo 2007-13.
In esso compaiono, tra i servizi di qualità da
promuovere, anche quelli relativi alla conciliazione.
Per facilitare l’adozione di nuove prassi nel 1999 il
Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza
del Consiglio dei Ministri ha istituito il VISPO
227
(Valutazione Impatto Strategico Pari Opportunità) cui
è affidato il compito di affiancare gli enti locali nella
predisposizione di attività progettuali trasferendo
modelli metodologici di successo, elaborando modelli
valutativi circa l’attuazione del mainstreming di
genere e promuovendo la formazione di reti e
partenariati locali.
La struttura ministeriale fornisce informazioni utili
e indirizzi in merito alle aree strategiche individuate
dai Fondi strutturali sulle quali lavorare: miglioramento delle condizioni di vita per rispondere alle
necessità delle donne, rimozione degli ostacoli
all’accesso del mercato del lavoro, accesso alla
formazione continua, redistribuzione dei carichi di
lavoro di cura e sostegno all’autoimprenditorialità.
Il 29 aprile 2010 la Conferenza Unificata ha sancito
l’Intesa sui criteri di ripartizione delle risorse le finalità, le
modalità attuative nonché il monitoraggio del sistema di
interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di
lavoro, ai sensi dell’articolo 8 comma 6 della legge
131/2003. Tale Intesa, sottoscritta da Governo,
Regioni, Province Autonome ed Enti Locali, rientra
nello strumento di programmazione sottoscritto dal
Ministro per le Pari opportunità e dal Ministro del
Lavoro nel dicembre 2009 “Italia 2020. Programma di
azioni per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro”.
Essa si propone di rafforzare la disponibilità dei
servizi e/o degli interventi di cura alla persona per
favorire la conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro
e potenziare i supporti finalizzati a consentire alle
donne la permanenza, o il rientro, nel mercato del
228
lavoro. Tali obiettivi sono da realizzare attraverso: la
creazione o l’implementazione di nidi, nidi famiglia,
servizi e interventi similari (mamme di giorno,
educatrici familiari o domiciliari etc.) definiti nelle
singole realtà territoriali, facilitazione per il rientro al
lavoro di lavoratrici che abbiano usufruito di congedi
e per motivi comunque legati a esigenze di
conciliazione anche tramite percorsi formativi e di
aggiornamento, acquisto di attrezzature hardware e
pacchetti software, attivazione di collegamenti ADSL
etc, erogazione di incentivi all’acquisto di servizi di
cura in forma di voucher per i servizi offerti da
strutture specializzate (nidi, centri diurni/estivi per
minori, ludoteche, strutture sociali diurne per anziani
e disabili etc.) o in forma di “buono lavoro” per
prestatori di servizio (assistenza domiciliare, pulizia
etc.), sostegno a modalità di lavoro e tipologie
contrattuali (part time, telelavoro) e tutti gli altri
interventi predisposti dalle Regioni e dalle Province
autonome in linea con gli obiettivi dell’Intesa.
All’intesa fa seguito l’accordo siglato dal Ministero
del Lavoro e dalle Parti sociali il 7 marzo del 2011 in
cui si ribadisce la centralità della flessibilità come
strumento di conciliazione tra lavoro e vita familiare.
Affinché essa diventi corredo naturale previsto dai
contratti le parti si sono impegnate a vagliare le buone
prassi esistenti e diffonderle come pratiche da
adottare.
229
Tipologie di congedo
previste dalla normativa
Il congedo per maternità prevede un periodo di
astensione obbligatoria dal lavoro. Alle donne è
riconosciuto il diritto di astenersi dal lavoro due mesi
primi dalla presunta data del parto e tre mesi dopo la
nascita del figlio. Ma si può scegliere, laddove il
medico competente certifichi la buona salute di madre
e nascituro, di continuare a lavorare fino a un mese
prima del parto per rimanere a casa quattro mesi dopo
la nascita del figlio.
Le lavoratrici in attesa di un figlio hanno diritto ad
usufruire di permessi retribuiti per sottoporsi ad esami
clinici e visite mediche nel caso in cui queste debbano
essere eseguite durante l’orario di lavoro.
La legislazione in vigore prevede l’astensione
obbligatoria pari a tre mesi anche per i genitori
adottivi o affidatari di bambini di età non superiore
ai sei anni. I tre mesi presi in considerazione sono
quelli successivi all’ingresso del bambino nel nucleo
familiare. Nel caso di adozioni e/o affidamenti
internazionali il limite dei sei anni è innalzato. La
misura dell’indennità è pari all’80% del trattamento
economico.
Alle lavoratrici dipendenti che partoriscono
prematuramente è riconosciuto il diritto di sommare i
giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del
231
parto al periodo di astensione successiva alla nascita
del figlio.
Il congedo per paternità prevede l’astensione dal
lavoro nei tre mesi successivi alla nascita del figlio in
caso di morte o grave infermità della madre,
abbandono del figlio da parte di quest’ultima o
affidamento esclusivo del padre. L’indennità prevista
è pari a quella per il congedo di maternità. In caso di
adozione il padre può chiedere il congedo in
alternativa a quello della madre lavoratrice
dipendente.
Il congedo parentale è il diritto riconosciuto ad
entrambi i genitori che lavorano di astenersi dal lavoro
durante i primi 8 anni di età del bambino per un
periodo massimo di dieci mesi così suddiviso: alla
madre che lavora allo scadere dell’obbligatorietà per
massimo sei mesi frazionati o continuativi, al padre
per massimo sei mesi frazionati o continuativi, se il
padre usufruisce di almeno tre mesi consecutivi il
limite di 6 mesi passa a 7 e il limite massimo previsto
da 10 a 11 mesi. I due genitori possono usufruire
contemporaneamente del congedo.
Per quanto riguarda il trattamento economico esso
prevede una indennità pari al 30% della retribuzione
sino ai 3 anni del bambino e per un periodo massimo
complessivo di 6 mesi copertura figurativa normale,
per il restante periodo sia che venga effettuata dopo i
6 mesi entro i 3 anni del bambino, sia che venga
usufruito dai 3 agli 8 anni, l’indennità del 30% è
prevista solo se il reddito del richiedente è inferiore ad
un certo importo.
232
I congedi parentali valgono anche in caso di
adozione e affidamento nazionale e internazionale.
Dal 1° gennaio del 2000 anche alle lavoratrici
autonome è stato riconosciuto il diritto all’astensione
facoltativa. Tale diritto non è riconosciuto ai padri
lavoratori autonomi.
Il congedo per malattia del figlio riconosce un
periodo di astensione dal lavoro per entrambi i
genitori che alternativamente possono richiederlo fino
al compimento dell’ottavo anno d’età. Le assenze per
malattie di figli con meno di tre anni non hanno limite.
Nel periodo compreso fra i tre e gli otto anni del
bambino ciascun genitore ha diritto a cinque giorni
all’anno. La copertura figurativa è normale fino ai tre
anni del bambino ed è assimilata a quella del congedo
parentale nel periodo compreso fra i tre e gli otto anni.
La materia del congedo parentale è stata rivisitata
dall’Accordo quadro sul congedo parentale firmato dalle
parti sociali europee nel giugno del 2009. Esso è
parte integrante della Direttiva comunitaria
2010/18/UE del marzo 2010. In base a tali disposizioni
gli stati membri sono tenuti ad ottemperare al disposto
entro il marzo 2012 o, in caso di oggettive difficoltà,
possono chiedere di beneficiare di una proroga di 12
mesi. E’ interessante notare che la clausola numero 2
dell’Accordo quadro recita: “il congedo è accordato per un
periodo minimo di quattro mesi e, per promuovere la parità di
opportunità e di trattamento tra gli uomini e le donne,
andrebbe previsto, in linea di principio, in forma non
trasferibile. Per incoraggiare una più equa ripartizione del
congedo parentale tra i due genitori, almeno uno dei quattro
mesi è attribuito in forma non trasferibile. Le modalità di
233
applicazione del periodo non trasferibile sono fissate a livello
nazionale attraverso la legislazione e/o contratti collettivi,
tenendo conto delle disposizioni sul congedo in vigore negli
Stati membri”. Allo stesso modo è interessante segnalare
quanto previsto alla successiva clausola 5 riguardo al
rientro al lavoro successivamente al congedo: “Al termine
del congedo parentale, il lavoratore ha diritto di ritornare allo
stesso posto di lavoro o, qualora ciò non sia possibile, ad un
lavoro equivalente o analogo che corrisponde al suo contratto
o al suo rapporto di lavoro”. La menzione esplicita della
clausola trova una ragion d’essere nella numerosità dei
casi segnalati da donne che, dopo la nascita del primo
figlio, hanno visto un arresto della propria progressione
di carriera con cambio di mansioni.
Il congedo per la formazione si riferisce a tutte le
attività diverse da quelle organizzate e poste in essere
dal datore di lavoro durante l’orario di lavoro. Del
congedo possono usufruire i dipendenti, pubblici e
privati, che hanno maturato almeno cinque anni di
anzianità presso la stessa azienda per un periodo
massimo di undici mesi continuativo o frazionato
nell’arco dell’intera vita lavorativa. Il datore di lavoro
può non accogliere la richiesta e differirla in ragione
di motivi organizzativi interni .
Il congedo per la formazione continua è previsto
poiché la politica di programmazione della UE
riconosce la formazione come uno dei pilastri
fondamentali sia nelle politiche a favore dei cittadini
che in quelle a favore dei lavoratori. Nel caso in cui sia
l’azienda a organizzare le attività formative, pagandole
o accedendo alle risorse dei fondi interprofessionali, la
formazione si svolge durante l’orario di lavoro.
234
La programmazione in Campania
Nel 2000 la Regione Campania istituisce, per la
prima volta, la delega assessorile in materia di Pari
opportunità che, successivamente, sarà affiancata dal
servizio Pari Opportunità e dagli organismi paritetici:
Comitato per le Pari Opportunità, Commissione
Regionale per le Pari Opportunità e Consulta
Regionale Femminile. Con l’attuazione del Piano
Operativo Regionale 2000-2006 furono nominati un
Comitato Tecnico e un team di animatrici.
Attualmente sono in via di insediamento le rinnovate
Commissione Regionale per le Pari Opportunità e
Consulta Regionale Femminile.
Il Quadro Strategico Nazionale del 2006 individua
come uno dei fattori di ritardo nello sviluppo regionale
il basso tasso di presenza delle donne nel mercato del
lavoro ed evidenzia la necessità di adottare misure di
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per porvi
rimedio. In esso viene acclarato che allinearsi al
principio di mainstreaming di genere risulta cardine
trasversale della programmazione dei Piani Operativi
2007-2013.
Nel 2007 la Campania interviene sulla materia con
la legge regionale n. 11 che reca: “legge per la dignità
sociale e la cittadinanza sociale, attuazione della legge 8
novembre 2000, n. 328”. Con questa norma si disciplina
235
il contesto degli interventi di sostegno sociale volti a
garantire pari diritti di cittadinanza attraverso la
creazione di un modello territoriale improntato alla
coesione. Successivamente si è proceduto ad adottare
il Piano Sociale Regionale attraverso cui si sono
programmati gli interventi. In esso è fatta espressa
menzione del rispetto del principio delle pari
opportunità in ogni attività.
Nel febbraio del 200852 viene approvato il Piano
strategico Triennale per l’attuazione delle politiche delle pari
opportunità e dei diritti per tutti che troverà attuazione
nella successiva Delibera di Giunta Regionale n. 661
dell’11 aprile. Il piano si fonda su tre pilastri: sviluppo,
inclusione sociale e sicurezza. Gli obiettivi strategici
da perseguire sono:
1) sostegno dell’occupazione femminile, miglioramento della partecipazione attiva al mercato del
lavoro e riequilibrio della presenza femminile nei
contesti di sottorappresentazione,
2) conciliazione tra tempi di vita privata e di lavoro,
3) prevenzione e contrasto a ogni forma di discriminazione, violenza e sfruttamento ai danni delle
donne e dei soggetti svantaggiati.
La prima priorità strategica vede come aree di
intervento:
t riduzione della segregazione orizzontale e verticale,
inserimento e il reinserimento lavorativo
____________
52
D.G.R. 278 del 08.02.08.
236
t potenziamento e razionalizzazione dei servizi di
supporto alla partecipazione attiva al mercato del
lavoro
t valorizzazione delle propensioni all’autoimpiego e
all’autoimprenditorialità
t promozione della flexicurity nei contesti lavorativi,
incentivazione delle forme di stabilizzazione dei
posti di lavoro
t riequilibratura della presenza nei settori lavorativi
in cui le donne sono sottorappresentate
t incentivazione dell’emersione del lavoro sommerso
t tutela del diritto all’istruzione e pari opportunità
di accesso alla formazione.
Le azioni chiave individuate sono:
t erogazione di aiuti alle imprese per favorire
l’inserimento delle donne nel sistema produttivo
t sperimentazione di strumenti integrati di finanza
innovativa (microcredito, istituzione di un fondo di
garanzia, maternale) a sostegno dell’autoimpiego,
della creazione e del consolidamento delle imprese
femminili
t consolidamento di servizi per l’occupabilità e
l’occupazione, attraverso l’adozione di protocolli
e/o forme di raccordo e l’integrazione con le altre
politiche del lavoro e di sviluppo delle attività
produttive
t costruzione di sistemi di certificazione e premialità
per le imprese che adottino condotte socialmente
237
responsabili, orientate al rispetto della qualità del
lavoro e gender sensitive
t attivazione di percorsi formativi per la costruzione
di un modello identitario di pianificazione e
gestione delle politiche di sviluppo gender oriented
t adozione di forme di incentivi per l’attivazione di
progetti life-long training finalizzati alla valorizzazione, all’adeguamento e al potenziamento delle
competenze professionali femminili
t costruzione di percorsi di emersione rivolti principalmente alle figure professionali operanti nei
settori dei servizi alla persona, di cura e di
prossimità.
Relativamente al secondo obiettivo strategico,
quello della conciliazione tra tempi di vita privata e
professionale/lavorativa, le azioni sono state
programmate secondo un approccio definito nel
documento di programmazione “multifattoriale”
poiché tiene conto di tre dimensioni : lo stile di vita, le
condizioni in cui si esplicano le attività lavorative e la
gestione dello spazio territoriale e del tempo libero. Le
finalità da perseguire indicate sono:
t promuovere la cultura della qualità della vita e
dell’armonizzazione dei tempi e favorire la libertà
di scelta degli individui in relazione ai propri stili
di vita
t favorire il miglioramento e il potenziamento delle
infrastrutture per il sociale e il tempo libero,
incrementando la dotazione strutturale e i servizi,
in un quadro di redistribuzione del lavoro di cura
238
t promuovere sistemi integrati di servizi che adottino
modalità organizzative personal e family friendly, con
particolare riferimento alle aree rurali e agli
agglomerati industriali
t favorire la flessibilità dei contesti lavorativi per
renderli più compatibili con le esigenze degli
individui e delle famiglie
t favorire l’armonizzazione dei tempi delle città, con
particolare riguardo al sistema dei trasporti e ai
servizi pubblici locali.
Le azioni chiave individuate:
t elaborazione di approcci, percorsi e strumenti in
grado di implementare politiche di conciliazione
integrate
t incentivi alla costruzione e alla gestione flessibile di
strutture e servizi a supporto della conciliazione per
le famiglie (asili nido, baby parking, ludoteche,
centri ricreativi e socio-riabilitativi, campi scuola
estivi, centri diurni, auditorium)
t formazione specializzata continua e regolamentazione delle professioni di cura e assistenza (baby
sitter, badanti, educatrici, collaboratori/trici
domestici, operatori socio-assistenziali e sociosanitari)
t introduzione di strumenti per il ricorso al lavoro
flessibile da parte della forza lavoro maschile a
integrazione e supporto della vigente normativa
nazionale
239
t erogazione voucher di conciliazione per l’acquisto
di servizi finalizzati a favorire l’armonizzazione dei
tempi (cura, custodia, educazione, formazione,
ricreazione, accompagnamento, trasporto)
t adozione di protocolli per la programmazione
integrata dei servizi sociali e sanitari in ottica di
conciliazione
t sottoscrizione di protocolli di intesa con gli Enti
locali per la sperimentazione di azioni pilota sui
tempi della città
t creazione e potenziamento di servizi a sostegno
delle famiglie che vivono nelle aree rurali con
particolare riferimento ai servizi di sostituzione,
anche attraverso l’attivazione di protocolli con
l’Assessorato all’Agricoltura e Attività Produttive
t definizione concertata di strategie/programmi/
interventi per l’adeguamento delle aree di
insediamento produttivo con strutture e servizi alla
persona
t ideazione di campagne di sensibilizzazione e di
azioni info/formative rivolte al vasto pubblico e
agli stakeholder territoriali.
L’ultima dimensione presa in carico dal Piano è
quella della Prevenzione e contrasto ad ogni forma di
discriminazione, violenza, sfruttamento, traffico e
prostituzione ai danni delle donne e delle bambine.
Per quest’ultima gli obiettivi da perseguire sono:
t promuovere una cultura di contrasto ad ogni forma
di violenza ai danni delle donne e delle bambine
240
t promuovere politiche di inclusione sociale per le
donne vittime del traffico
t creare sistemi integrati e reti di prevenzione e
assistenza costituite dai diversi attori istituzionali e
operatori sociali
t contribuire alla creazione di nuovi modelli di
accoglienza e assistenza alle donne vittime di
violenza e/o traffico
t potenziare e valorizzare le strutture di servizi
materiali e immateriali a sostegno delle donne
vittime di violenza o tratta
t consolidare le buone prassi già attivate in tema di
inserimento socio-lavorativo delle vittime della
tratta, le prostitute o prostituite
t promuovere la diffusione di interventi di riduzione
del danno per le prostitute
Le azioni chiave da esperire:
t campagne di sensibilizzazione e informazione
rivolte al vasto pubblico e/o mirate a utenze
specifiche (scuole, pubbliche istituzioni, servizi
territoriali) contro la violenza di genere
t sottoscrizione di protocolli di intesa e partenariati
tra attori istituzionali (forze dell’ordine, ASL,
Aziende Ospedaliere, questure) e organizzazioni
del privato sociale per la creazione di protocolli
integrati di prevenzione, assistenza e presa in carico
delle donne vittime di violenza e maltrattamento
t organizzazione di percorsi formativi specialistici
per gli operatori delle Forze dell’Ordine, delle
241
emergenze ospedaliere e di tutti i soggetti coinvolti
nella denuncia e nella presa in carico di donne
soggetti di violenze e/o maltrattamenti e abusi
t regolamentazione della L.R. 11/05 e ridefinizione
della dotazione finanziaria in funzione dei
fabbisogni territoriali emersi
t mappatura delle strutture di accoglienza,
classificazione in funzione della tipologia di utenti
(donne vittime di violenza, donne trafficate, donne
prostituite) e potenziamento dei servizi
t rilevazione delle presenze e delle caratteristiche
della popolazione di prostitute e vittime del traffico
in Regione Campania
t formazione di base e/o professionalizzante per
l’inserimento socio-lavorativo delle donne vittime
di tratta e/o sfruttamento sessuale
t sottoscrizione di convenzioni e/o protocolli con
associazioni datoriali e/o imprese per la
costruzione di percorsi individualizzati di
inserimento lavorativo delle donne vittime di tratta
e/o della prostituzione
t incentivazione e rafforzamento dei servizi di bassa
soglia orientati alla riduzione del danno per
prostitute
t azioni di prevenzione e riduzione del rischio di
esclusione sociale per le bambine residenti in
contesti svantaggiati e di degrado.
La Regione nell’aprile 2011, in vista della firma
dell’Intesa sui criteri di ripartizione delle risorse le finalità,
242
le modalità attuative nonché il monitoraggio del sistema
di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di
vita e di lavoro, predispone le schede tecniche per la
realizzazione delle seguenti finalità specifiche:
t creazione o implementazione di nidi, nidi famiglia,
servizi e interventi similari definiti nelle diverse
realtà territoriali
t erogazione di incentivi all’acquisto di servizi di cura
in forma di voucher/buono per i servizi offerti da
strutture specializzate o in forma di “buono lavoro”
per prestatori di servizio
t sostegno a modalità di prestazione di lavoro e
tipologie contrattuali facilitanti come banca delle
ore, telelavoro, part time, programmi locali dei
tempi e degli orari etc.
t altri eventuali interventi innovativi e sperimentali
proposti dalle Regioni e dalle Province Autonome
purché compatibili con le finalità dell’Intesa.
Nello specifico ciò che si intende realizzare riguarda
per la prima finalità due bandi emanati dagli Uffici
competenti degli Ambiti territoriali per una
sperimentazione da effettuarsi a livello comunale di
impegno di educatrici domiciliari e mamma
accogliente. La prima tra le figure professionali
individuate, l’educatrice domiciliare, offre un servizio
da svolgere o presso il proprio domicilio o presso
locali messi a disposizione da scuole, comuni o
istituzioni religiose purché esse mantengano la
connotazione di “ambiente domestico”. L’educatrice
può seguire fino a un massimo di 5 bambini e, in
243
questo caso, deve essere affiancata da un assistente a
tempo parziale che non necessita di titoli di studio
attinenti alla materia.
La seconda figura scelta, la mamma accogliente, si
riferisce ad una madre che accoglie in casa propria
bambini dai tre mesi ai tre anni di età fino a un
massimo di tre bambini compresi quelli della famiglia
ospitante.
Relativamente ai voucher e i “buoni lavoro” la
scheda tecnica presentata rimanda le modalità
operative alla successiva fase dell’attuazione.
Per quanto riguarda il sostegno a modalità di
prestazione di lavoro e tipologie contrattuali facilitanti
la Regione ha optato per il telelavoro per i dipendenti
regionali che afferiscono all’Area generale di
Coordinamento Assistenza sociale, Attività Sociali,
Sport, Tempo libero e Spettacolo. Nella scheda tecnica
si legge: “Si intende promuoverne l’estensione anche ad
altre Aree dell’amministrazione regionale, nonché finanziare
eventuali progettazioni provenienti da altre amministrazioni pubbliche, attraverso una eventuale prosecuzione
della collaborazione con il Formez PA”.
Infine per quanto attiene ad altri interventi
innovativi la Regione propone l’apertura di una
ludoteca aziendale, da realizzarsi tramite bando
pubblico, che ospiti non solo i figli dei lavoratori ma
anche i bambini inseriti nelle liste di attesa degli asili
nido comunali ubicati nell’ambito della municipalità
ove sia localizzato il servizio.
Nella scheda riservata agli eventuali interventi già
programmati dall’amministrazione regionale si legge:
244
“avviso pubblico per nidi e micro-nidi comunali, progetti
per servizi integrativi, innovativi e/o sperimentali, avviso
pubblico per nidi e micro-nidi aziendali, sperimentazione del
telelavoro domiciliare presso l’amministrazione regionale,
realizzazione di una sperimentazione di una ludoteca
regionale”. Il totale delle risorse previste per gli
interventi ammonta a 3.371.361,00 euro.
La Giunta regionale nel dicembre del 201153 ha
adottato la Carta per le pari opportunità e l’uguaglianza
sul lavoro presentata dai Ministeri del Lavoro e delle
Pari opportunità nel 2009. L’intento perseguito è
quello di contrastare, in ambito lavorativo, le
discriminazioni riconducibili al genere, l’età, la
disabilità, l’etnia, la fede religiosa e l’orientamento
sessuale.
Affinché ciò produca dei risultati positivi tangibili
le azioni predisposte riguardano la progressione di
carriera basata su criteri meritocratici, il monitoraggio
dell’effettiva pratica delle pari opportunità intesa come
garanzia di accesso per tutti alle stesse possibilità, la
valutazione delle buone prassi. Particolarmente
interessante è il passaggio che riguarda l’intervento in
materia contrattuale per favorire la conciliazione tra i
tempi di vita e di lavoro accompagnato dalla possibilità
di convenzioni con i servizi pubblici e privati integrati
unitamente alla formazione al rientro al lavoro al
termine del congedo parentale.
L’elaborazione di una Carta per le pari opportunità
e l’uguaglianza sul lavoro risale in Europa al 2004
____________
53
D.G.R. Campania n. 682 del 06.12.2011.
245
anno in cui la Francia, prima fra gli stati, presentò la
Charte de la Diversitè.
Ciò che accomuna le “Carte” adottate nei diversi
paesi è riconducibile ad elementi come la volontarietà
dell’impegno assunto singolarmente dalle imprese che
sottoscrivono l’adesione, l’ iniziale aggregazione di un
gruppo ristretto di grandi imprese promotrici,
l’elaborazione di testi concisi accompagnati da un
preambolo valoriale e la predisposizione di azioni
concrete, la valorizzazione della diversità come fattore
di arricchimento e non solo di equità e una forte
partnership con le istituzioni pubbliche. Il limite di
tale strumento è la volontarietà dell’adesione. Non
essendovi nessun tratto di cogenza la sottoscrizione
della Carta è demandata alla sensibilità delle aziende.
A queste si chiede di perseguire almeno uno degli
impegni elencati nel decalogo e l’impegno ad un
monitoraggio annuale sull’effettivo conseguimento. Le
azioni previste dal decalogo sono:
t Definizione e attuazione politiche PO, partendo dal
vertice
t Attribuzione di precise responsabilità PO a
persone/funzioni
t Superamento degli stereotipi di genere
t Integrazione del principio nei processi di gestione
del personale
t Sensibilizzazione e formazione di tutti i livelli
aziendali
t Valutazione di impatto delle azioni poste in essere
246
t Predisposizione di strumenti di garanzia per il
personale
t Predisposizione di attività concrete per il
perseguimento della conciliazione tra i tempi di vita
e quelli di lavoro
t Comunicazione al personale dei
predisposti e dei risultati conseguiti
progetti
t Disseminazione dei risultati conseguiti e delle
buone pratiche sviluppate
Nel febbraio del 2012 le aziende aderenti dichiarate
dal Ministero sono circa 180 e il numero dei dipendenti
coinvolti supera le 600.000 unità.
247
Le buone prassi nelle diverse realtà italiane
A maggio del 2011 la Regione Marche ha
annunciato la predisposizione di due linee di
intervento, LIFE e OASIS, per la creazione di nidi per
l’infanzia e la predisposizione di voucher per l’acquisto
di servizi socio educativi per i minori. Tra le tipologie
di intervento previste da LIFE vi è quello delle
educatrici domiciliari e delle mamme di giorno. OASIS
prevede tra le sue azioni, l’emissione di voucher di
1.500 euro da utilizzare per l’acquisto di servizi di
baby sitting, centri estivi, ludoteche e prestazioni per
figli disabili. Lo stanziamento ammonta a 1.014.008
euro, e tranne i costi trattenuti dall’amministrazione
Regionale per l’assistenza tecnica, saranno distribuiti
alle Province in ragione della numerosità della
popolazione femminile residente.
La Provincia di Pesaro e Urbino ha dato vita ad un
progetto durato 12 mesi compresi tra giugno 2007 e
maggio 2008 nell’Ambito Territoriale Sociale 1
comprendente i Comuni di Pesaro, Colbordolo,
Gabicce Mare, Gradara, Lombaroccio, Monteciccardo,
Montelabbate, Sant’Angelo in Zizzola e Tavullia
attraverso una forma di concertazione sociale estesa.
L’Associazione temporanea di scopo, forma giuridica
scelta per l’intervento, annoverava tra i partecipanti
oltre la Provincia in qualità di soggetto capofila,
comuni e aziende. Per arrivare a tale partecipazione
249
condivisa ha operato un Comitato di indirizzo
politico-economico composto da rappresentanti degli
enti locali e delle parti sociali. Accanto ai sindacati
CGIL, CISL e UIL erano presenti Ali-Clai, Casartigiani
artigianato metaurense, Cna, Confartigianato,
Confcommercio, Confesercenti, Coldiretti, Upa,
Confcooperative e Legacoop.
Destinatarie degli interventi sono state 235 donne
lavoratrici e disoccupate o inoccupate (ma frequentanti
attività di formazione o assegnatarie di Borse
Lavoro/assegni di ricerca con un reddito familiare
annuo dichiarato non superiore a 16.000 euro). Le
spese ammissibili hanno riguardato servizi di baby
sitting, asili nido, badanti, accompagnatori, assistenze
domiciliari, servizi di cura. Il contributo è stato erogato
mensilmente fino a 250 euro per avente diritto.
Il Comune di Pesaro ha puntato ad intervenire sulla
mobilità promuovendo l’uso di taxi collettivi per il
trasporto pomeridiano di bambini da e verso le sedi di
attività sportive, il potenziamento delle linee di
trasporto autobus tra il centro città e la periferia nelle
fasce orarie corrispondenti all’orario di lavoro e la
promozione e realizzazione del car pooling.
Le aziende partenariate in ATS hanno realizzato
progetti volti alla flessibilità oraria del lavoro in
azienda.
Tra le buone prassi riscontrate si annoveranno
esperienze diverse, alcune di esse riguardano l’operato
di nuove figure professionali. Il gruppo editoriale
De Agostini, ad esempio, ha istituito la figura del
250
maggiordomo aziendale per supportare i dipendenti
nell’adempimento di commissioni, disbrigo di
pratiche burocratiche e reperimento di artigiani per
riparazioni e lavori domestici. La Tetra Pak ha
realizzato un asilo aziendale, una palestra, servizi di
supporto alla famiglia e postazioni internet per il
telelavoro.
Il comune di Faenza, nell’ambito del progetto “Tra
lavoro e famiglia”, ha commissionato la ricerca
“Conoscere per conciliare” per studiare a fondo le
caratteristiche socio-culturali-economiche del territorio
al fine di predisporre dei tavoli di concertazione per lo
sviluppo di azioni positive per la conciliazione dei
tempi.
Nel settore delle telecomunicazioni si sono distinte
at&t Europe dove si concede il part-time a dipendenti
con esigenze di conciliazione e si lavora al supporto
delle lavoratrici al rientro dal periodo di maternità, la
Telecom Italia vincitrice nel 2009 del miglior sistema
integrato di conciliazione con People caring insieme di
asili nido, intrattenimento, servizi di time saving e
strumenti di flessibilità, Vodafone dove sono previsti
part-time e orari flessibili fino al raggiungimento dei
30 mesi di vita del bambino, l’integrazione dello
stipendio nel periodo di maternità facoltativa, 6 mesi
di aspettativa, convenzioni con asili e corsi di
formazione e Wind che si è aggiudicata il premio
Famiglia Lavoro 2008 attraverso il Programma Wind
per Te basato sul coinvolgimento del personale nel
definire politiche aziendali di conciliazione integrata.
Nel settore farmaceutico si distinguono Abbot per la
251
realizzazione di programmi di sostegno per le
lavoratrici che rientrano in azienda dopo la maternità,
Boheringer Ingelheim dove è stato predisposto un
programma articolato che si sostanzia in un percorso
formativo per agevolare il rientro al lavoro delle
mamme, i percorsi individuali di bilancio delle
competenze personali e professionali e un percorso di
sensibilizzazione e informazione sul tema della gender
diversity, Bracco che ha vinto nel 2009 il premio
Famiglia Lavoro per il miglior programma dedicato a
figlie e anziani che opera per i primi attraverso servizi
di formazione, studio e tempo libero e per i secondi
con attività di assistenza sociale e domiciliare e Ely
Lilli che prevede un part-time di 6 mesi al rientro del
periodo di congedo sia per madri che padri e 5 giorni
di permesso retribuito per padri entro 1 mese dalla
nascita del figlio. Nel settore siderurgico vi è la ASO
Siderurgica dove oltre all’affiancamento alle neomamme che tornano al lavoro si prevede il part time,
la convenzione con un asilo nido e il ricorso alla banca
delle ore. Nel settore della cosmesi l’AVON ha messo
in campo oltre il part time anche il lavoro in
autonomia. Nel terziario la BEM Service ha dato vita
al progetto madri laboriose d’eccellenza e prevede diverse
forme di flessibilità accompagnate da nuove
assunzioni e programmi di formazione continua per i
dipendenti. Nel settore chimico si afferma la Dupont
Italia per l’orario flessibile in entrata, la settimana di
lavoro compressa e il luogo di lavoro flessibile. Per la
produzione di elettrodomestici va citata la Elettrolux
Zanussi Italia dove è possibile usufruire della banca
delle ore e del part time suddiviso tra più operaie a
252
turni. Per la produzione di strumentazione di
precisione va ricordata la Codevintec, miglior progetto
di PMI per il premio Famiglia Lavoro 2009 con un
programma per la gestione della genitorialità in
azienda con flessibilità di orari e supporto economico
ai genitori. Per il settore dell’alimentare si fa notare
Kraft foods Italia con il miglior progetto di diffusione
della cultura della conciliazione vincitrice del Premio
famiglia Lavoro 2009 grazie a una serie integrata di
misure per la promozione del work-life balance in
azienda dagli orari flessibili al reinserimento dopo la
maternità. Nella produzione degli imballaggi si
distingue la Somova dove si pratica il part time e sono
attivi team di lavoro per gestire la flessibilità di orari e
facilitare lo scambio di informazioni. Nel settore
bancario va menzionata la Banca Popolare di Milano
miglior iniziativa di supporto alla genitorialità per il
premio Famiglia Lavoro 2008, grazie all’asilo nido
aziendale e al costante monitoraggio delle esigenze dei
genitori in azienda. Nel settore tessile vanno ricordate
quattro esperienze. La prima è quella condotta dalla
Canclini Tessile, vincitrice del premio famiglia Lavoro
2008 per il miglior programma di coinvolgimento dei
dipendenti con il progetto Follow up, la seconda
riguarda l’azienda Cittadini che segue reti di
solidarietà al femminile in India, la terza è
rappresentata da Lubiam vincitrice del premio
Famiglia Lavoro 2008 per il miglior programma di
sviluppo di partnership con il territorio per il suo
storico impegno nel territorio mantovano nella
creazione di un network di coinvolgimento di
istituzioni, sindacati ed enti territoriali al fine di
253
implementare politiche di conciliazione famiglia
lavoro in azienda. L’ultima, la quarta, è quella di Preca
Brummel mamme fanno impresa . Con questa formula
l’azienda assiste delle mamme che vogliono avviare
una attività di franchising scommettendo su di loro.
254
Bilancio di genere
Accanto al bilancio sociale esiste anche quello di
genere. Ciò che con esso si vuole indagare è quanto
l’azienda, pubblica o privata, abbia investito, non solo
in termini ecomico-finanziari, per incentivare la
presenza delle donne al suo interno tenendo conto
delle specificità di genere al fine di garantire pari
opportunità tra i lavoratori. Il punto di partenza per la
redazione del documento è l’analisi di contesto con cui
si fotografa la realtà del territorio di riferimento. Le
variabili prese in considerazione riguardano le
caratteristiche della popolazione (età, stato civile,
occupazione,
titolo
di
studio,
dinamiche
demografiche), le peculiarità e le dinamiche del
mercato del lavoro locale, il territorio e le caratteristiche
ambientali (ecosistema urbano, sicurezza sociale). In tal
modo si ricerca l’eventuale presenza di gender gap e si
attribuisce un peso alla qualità della vita che il territorio
offre alla sua popolazione residente.
Un secondo segmento dell’analisi per la redazione
del bilancio riguarda lo studio della domanda
dei servizi da parte della popolazione (potenziale e
reale) e dell’offerta degli stessi garantita dall’amministrazione.
Alcuni bilanci di genere adottano come variabili la
numerosità di donne presenti in organico, le mansioni
255
e i ruoli ad esse affidate, l’inquadramento contrattuale
e la retribuzione, la progressione di carriera e il tempo
con cui questa è avvenuta, la percentuale di donne e
uomini in posizioni apicali. Nel passaggio dalla fase
propedeutica della raccolta dei dati per l’inquadramento contestuale a quella successiva della
valutazione viene in rilievo la scelta della metodologia
della riclassificazione delle informazioni raccolte e
dell’attribuzione di pesi per la valutazione. Negli
ultimi anni in Italia si è diffuso un modello che
considera come strategiche nella riclassificazione le
attività e le risorse rivolte alle pari opportunità, le
attività destinate a specifici target che hanno un
impatto sulle differenze di genere. Fra queste si
possono citare i servizi per l’infanzia, la presenza e
l’incidenza della criminalità, la sicurezza, i trasporti,
la presenza di strutture per lo sport e le iniziative
culturali. Terminato il lavoro di riclassificazione si
apre la delicata fase della valutazione in cui si
osservano le politiche adottate per determinarne
l’efficacia e l’efficienza rispetto alle esigenze di bilancio
generali, agli obiettivi prefissati e ai bisogni espressi
da uomini e donne lavoratrici. Le difficoltà che
insorgono nell’attività di valutazione riguardano il
mancato sviluppo di indici e parametri per una analisi
gender oriented. Tale assenza di strumenti è da
ascriversi alla brevità delle esperienze maturate che
ancora non ha permesso di testare e consolidare dei
sistemi di riferimento. L’adozione del primo bilancio
di genere risale alla metà degli anni Ottanta e su
iniziativa di un paese non europeo l’Australia. Ad essa
fecero seguito il Sudafrica, il Canada, la Gran Bretagna,
256
la Francia, Israele, la Svizzera, la Norvegia, la Svezia e
la Danimarca. Bisognerà attendere la Quarta
Conferenza delle Donne (Pechino 1995) dove nella
“Beijing Platform for Action” si afferma il bilancio di
genere come azione utile per la promozione e
l’attuazione del principio del gender mainstreaming per
una sua maggior diffusione.
Sei anni dopo lo storico evento cinese l’Unione
Europea recepisce le indicazioni emerse in quella sede
e avvia la promozione dell’adozione del bilancio di
genere come strumento di affermazione per la parità
di genere. Risale al 2003 la presentazione al
Parlamento Europeo, da parte della Commissione per
i diritti della donna e le pari opportunità, di una
relazione e una proposta di risoluzione in tema
di bilancio di genere (“Gender Budgeting - la
costruzione dei bilanci pubblici secondo la prospettiva
di genere”).
Ad oggi la numerosità dei bilanci di genere
elaborati non lascia ben sperare. Se il bilancio sociale
è una pratica volontaristica adottata da pochi quello di
genere è quasi una astrusità. Pochi ne conoscono
l’esistenza e ancor meno ravvisano la necessità di
praticarlo. Dalla sua applicazione si apprendono cose
interessanti, scomode o deprimenti, dipende dai punti
di vista. Ciò che è innegabile è la fotografia che esso
permette di fare della realtà. Quando si prendono in
considerazione parametri oggettivi come la
numerosità di donne in posizione apicale o i tempi
della progressione di carriera c’è poco da opinare o da
stare allegri.
257
Patto sociale di genere
Le esperienze delle Regioni Puglia e Liguria
Il Patto sociale di genere è un istituto previsto dalle
legislazioni di alcune regioni. Nella fattispecie
disciplinano la materia la legge regionale della Puglia
7 del 2007 e la legge regionale della Liguria 26 del
2008.54 Il Patto si sostanzia in un accordo territoriale
promosso dalla Regione e stipulato tra una pluralità
di attori che operano sul territorio, fra questi oltre agli
enti locali, vi sono i sindacati e le associazioni di
categoria, le scuole, le ASL e i consultori. L’accordo
rientra nel più ampio quadro del Piano sociale di zona.
La genesi dei patti va rintracciata nel disposto della
legge nazionale 53/200055 e, nel caso della Puglia, con
il combinato disposto della legge regionale 19/200656.
L’ambito territoriale in cui lo strumento concertativo
esplica i suoi effetti non è prescritto dalla legge ma è
disegnato dai soggetti che si incontrano al tavolo di
concertazione che ne stabiliscono il perimetro in base
alle esigenze. I confini possono essere quelli di una
municipalità o allargarsi per arrivare a coincidere con
l’area geografica di più province. Il risultato che si
intende conseguire riguarda la creazione di spazi di
____________
54
Cfr. art. 15 co. L. R. Puglia 7/2007 e art. 22 L. R.Liguria 26/2008.
55
Cfr. art. 9 legge 53/2000.
56
Cfr. art. 23,24 e 28 L. R. Puglia 19/2006.
259
concertazione in cui rendere operativo il dettato di
legge nazionale e regionale in materia di flessibilità
oraria e divisione dei carichi di lavoro e di cura
all’interno del nucleo familiare. Il settore pubblico e
quello privato dialogano, insieme agli altri attori del
mondo economico e sociale, per elaborare forme di
conciliazione innovative volte a migliorare la qualità
della vita. Le due leggi regionali che istituiscono il
Patto elencano le stesse finalità:
a) promuovere e divulgare con azioni mirate la cultura
della conciliazione e la corresponsabilizzazione dei
padri nella cura e nella crescita dei figli e nei lavori
di cura;
b) promuovere e diffondere l’utilizzo dei congedi di
maternità e parentali in una logica territoriale di
equilibrio tra la fruizione dei congedi e la
disponibilità di servizi di cura;
c) incrementare la quantità e la qualità dei servizi alla
persona disponibili sul territorio regionale in
osservanza delle disposizioni;
d) garantire il valore sociale della maternità e della
paternità e sostenere la genitorialità come scelta
consapevole soprattutto presso le fasce più
deboli della popolazione attraverso campagne di
informazione e sensibilizzazione;
e) promuovere processi di contrattazione decentrata
per estendere alle lavoratrici e ai lavoratori
precari le tutele riconosciute ai lavoratori a tempo
indeterminato;
260
f) promuovere corsi di aggiornamento per donne e
uomini che rientrano dopo il congedo obbligatorio
e facoltativo di maternità e parentale;
g) favorire l’utilizzo del part time per motivi parentali
anche attraverso l’attivazione di meccanismi di
incentivazione economica;
h) favorire l’inserimento lavorativo delle donne in
particolari condizioni di disagio, quali madri sole
con figli minori di tre anni, donne immigrate e
famiglie monoparentali con carichi di cura;
i) realizzare progetti di formazione dei lavoratori che,
sulla base di accordi contrattuali, prevedano quote
di riduzione dell’orario di lavoro, nonché progetti
di formazione presentati direttamente dai lavoratori
di cui all’articolo 6 della l. 53/2000.
Ciò che differenzia le due normative locali riguarda
gli organismi di settore. Nel caso della Puglia l’art 17
della legge del 2007 istituisce l’Ufficio garante di
genere con la funzione di “integrare la dimensione di
genere e fornire una valutazione di merito sui programmi e
gli atti di indirizzo regionali …omissis…svolge sulla base
dei criteri definiti dalla Giunta regionale, le attività di
monitoraggio e valutazione sull’attuazione della presente
legge, riconducendone i risultati all’interno del bilancio di
genere” a cui si aggiungono l’operato di un Centro
risorse regionale per le donne in cui confluiscono la
Commissione Pari opportunità, la Consulta femminile,
la Consigliera di parità regionale, il Comitato Pari
opportunità e il Gruppo di animazione delle pari
opportunità. La Liguria al capo I del Titolo IV della
261
legge del 2008 57 prevede quali istituzioni regionali di
parità una Commissione consiliare permanente, 58 le
consigliere di parità provinciali e regionali, i comitati
pari opportunità d’Ente59 e la commissione regionale
di concertazione. E’, inoltre, istituita, una rete
regionale di concertazione per le pari opportunità
composta dall’assessore con delega alle pari
opportunità della regione, delle province, dei comuni
capoluogo di provincia, da un assessore comunale per
provincia in rappresentanza dei comuni liguri del
territorio provinciale designato dall’associazione dei
comuni, dalla consigliera di parità regionale, da una
rappresentante della rete regionale delle consigliere e
dei consiglieri di parità e da un membro della
commissione consiliare.
La filosofia sottesa agli interventi del legislatore
regionale, in entrambi i casi, è quella di dare
concretezza al dettato della legge 53 del 2000
intervenendo a creare degli strumenti territoriali
attraverso i quali rendere possibile la conciliazione tra
tempi di vita e di lavoro. La visione è già oltre quella
del Piano orario predisposto dagli uffici comunali
poiché qui sono chiamati in causa soggetti altri rispetto
a quelli istituzionalmente deputati a svolgere i compiti
____________
57
Cfr. art. 29 L. R. Liguria 26/2008.
58
Commissione consiliare permanente VIII – Pari opportunità (Affermazione e
tutela dell’uguaglianza dei diritti dei cittadini e dei diritti di parità e pari
opportunità tra uomo e donna, realizzazione della parità giuridica, sociale,
economica e di rappresentanza).
59
Nominati ai sensi del d. lgs.198/2006 e previsti dagli accordi derivanti dal
Contratto collettivo nazionale dei comparti del pubblico impiego per la
dirigenza 1998/2001 e del Contratto collettivo nazionale per il personale non
dirigente.
262
organizzativi di una comunità locale. Questi soggetti
altri sono quelli che rivestono un ruolo centrale nella
vita quotidiana: il sistema scolastico, i sindacati e le
associazioni rappresentative della parte datoriale e le
aziende sanitarie locali.
263
Donne e rappresentanza
Nella rappresentanza sindacale si è recentemente
respirata una ventata di novità. Un certo numero di
donne in posizione verticistica sono state sdoganate in
sindacati e associazioni di categoria. Donne che in
queste associazioni ci sono cresciute per dieci,
quindici, vent’anni sono arrivate a ricoprire il ruolo di
direttore o segretario generale. Una promozione
guadagnata sul campo e a lungo meditata. Lacrime e
sudore. Battaglie e vita di organizzazione. Orari
impossibili e bocconi amari. Viene da chiedersi come
mai queste donne tenaci, coriacee e preparate ci
abbiano messo così tanto tempo rispetto ai loro
colleghi uomini a raggiungere una posizione apicale.
Chissà magari perché a un certo punto hanno dovuto
rallentare il ritmo di lavoro per crescere i figli. Quelle
fra di loro che hanno avuto figli non si sono certo
risparmiate. Mi appare chiaro, invece, che la loro
fedeltà, la loro capacità e competenza sia stata a lungo
saggiata, fino alla nausea, fino a non poterne più, fino
a quando risultava molto difficile continuare a
mantenerle in “prova” procrastinando all’infinito una
più che meritata promozione.
Sul versante della rappresentanza politica ci sono
cose da dire. Alcune Regioni hanno previsto
nell’ultima tornata elettorale la possibilità di esprimere
una doppia preferenza, uomo e donna, per vedere
265
eletta una pattuglia di consigliere. E’ quanto accaduto
in Campania. Risultato positivo. Ma qualcuno si
chiede dove siano queste consigliere, cosa facciano.
Siamo in attesa di vedere un concreto agire. Forse ci
aspettavamo una possibilità di incontro, di dialogo.
Una vittoria elettorale, che al di là delle convinzioni
politiche, lascia l’amaro in bocca per un’opportunità
mancata. Ad oggi nella Giunta regionale campana non
esiste ancora la delega per le Pari Opportunità. I dati
delle ultime consultazioni amministrative fanno
registrare un significativo incremento di donne nelle
amministrazioni locali. Ciò lascia ben sperare.
Rimaniamo in attesa di conoscerne l’evoluzione
La Fondazione Anci Ricerche Cittalia ha pubblicato
nel 2010 uno studio “Le donne e la rappresentanza. Una
lettura di genere nelle amministrazioni comunali” dove
riguardo alla presenza di donne italiane elette al
Parlamento Europeo si legge: “[…] che le eurodeputate
del nostro paese rappresentano soltanto il 21% della
rappresentanza italiana, valore indubbiamente molto basso
se rapportato alla percentuale totale europea delle donne
eletta, che è andata crescendo nel tempo dal 16% nel 1979
al 35% nel 2009. Il valore del 21%, medesima percentuale
della precedente legislatura, colloca l’Italia al terzultimo
posto. […] Ma la sottorappresentazione delle donne nelle
istituzioni è un fenomeno riconducibile, con diversa
intensità, a quasi tutti i paesi dell’area occidentale […] Il
permanere di una situazione di scarsa partecipazione
femminile nelle istituzioni, nonostante decenni di
provvedimenti e programmi, tesi ad eliminare le barriere è
un fenomeno che può essere letto con argomentazioni
diverse. […] Mancanza di servizi, ostacoli nel mercato del
266
lavoro, legislazione fiscale che rafforzano modelli tradizionali
di divisione di compiti non aiutano le donne a fare ciò che
sempre preferiscono, tanto più quando la scelta per la “cosa
pubblica” rappresenta un “terzo blocco” di impegno che si
aggiunge al lavoro e alla cura della famiglia. Gli studi
comparati tra le diverse realtà internazionali sulla presenza
delle donne nei processi decisionali, come quelli fatti a livello
europeo, provano che nei paesi dove la divisione del lavoro
tra donne e uomini ha perso il carattere sessuato, come nei
paesi scandinavi, si elevi, considerevolmente, il numero delle
donne in politica”.
Del resto sarebbe difficile vivere una realtà diversa
in Italia se è vero quanto dichiarato nel 2008 dal World
Economic Forum a proposito della rilevazione annuale
del Global Gender Gap Index (l’indice di misurazione
del divario tra uomini e donne) che ci colloca al 67°
posto con uno scivolamento al di sotto di tale soglia
nel Meridione.
La scarsa presenza di donne in politica si traduce in
un’alterazione del rapporto di rappresentanza poiché
esiste un divario tra il numero di elettrici e quello delle
candidate elette a rappresentarle. Una metà della
società è esclusa dalla rappresentanza. L’evoluzione
del sistema può avvenire solo se all’interno di esso si
coagulano delle spinte in tal senso. Se le donne
continueranno ad essere tagliate fuori dalla politica,
perciò, il processo del loro inserimento sarà lungo e
difficile. Nel mondo del lavoro, a costo di enormi
sacrifici, le donne stanno mutando le regole che le
vogliono spinte ai margini e, se pur in posizione
precaria e raramente apicale, non demordono dal
267
ricercare pari spazi, dignità e retribuzione. Come
raggiungere una pari rappresentanza politica tra
uomini e donne costituisce oggetto di interesse e dà
spazio alla discussione. Nel 1993 la legge elettorale
sancì che nessuno dei due generi potesse essere
presente in misura superiore ai 2/3 nelle liste
elettorali. La Corte Costituzionale dichiara tale norma
illegittima. I possibili correttivi avanzati sono diversi,
c’è chi sostiene le quote di rappresentanza stabilite
all’interno dei partiti, chi propone regole che
stabiliscano che la soglia di presenza per genere sia
superiore al 40%, altri ancora suggeriscono la
penalizzazione dei partiti che non rispettino le quote
di parità. Le donne si dividono fra chi ritiene che le
quote, (definite con un termine odioso “rosa”), siano
ghettizzanti e per tale motivo da non prediligere e chi,
invece, le sostiene affermando che, per quanto
detestabili, siano un male necessario ad assicurare la
presenza femminile nei contesti percepiti come
maschili e pertanto da essi gestiti in via esclusiva. Su
una cosa tutte concordano: la molteplicità di ostacoli
di cui il cammino per l’impegno politico è costellato.
Il primo fra questi è rappresentato dalla moltitudine
di impegni di cui le donne si fanno carico all’interno
della famiglia che prosciugano, insieme al lavoro,
tempo ed energie. Non va, poi, sottovalutato l’aspetto
economico. Per impegnarsi in politica e sostenere
campagne elettorali servono risorse. Se si riesce, poi, a
superare tutto ciò non bisogna ignorare un altro tipo
di impedimento costituito dal comportamento
ambiguo degli elettori nei confronti delle donne.
Secondo numerosi studi, infatti, nonostante molti
268
(uomini e donne) lamentino la scarsa presenza
femminile sulla scena politica giunti all’appuntamento
elettorale preferiscono dare il loro voto ad un uomo.
A questo comportamento si aggiunge quello
contraddittorio di chi applica alla sfera politica le
stesse convinzioni maturate in ambito lavorativo
secondo le quali se una donna si comporta con uno
stile avvertito come maschile si sta snaturando
attraverso la negazione della propria femminilità
mentre, se adotta un comportamento femminile, non
è degna di credibilità, difetta di sufficiente esperienza.
Corollario offensivo a questo stereotipo è quello
definito motherhood bind per il quale se una donna non
ha figli ha fallito la sua esistenza, se ne ha, non dispone
di tempo da dedicare alla politica. Tertium non datur.
Le donne non hanno alcuna possibilità, un motivo
perché siano da considerare inadatte si trova sempre.
Del resto i mass media non sono estranei a questo
ragionamento alimentando il luogo comune che vuole
le donne alle prese con questioni squisitamente
femminili, sulle quali vengono pedantemente
intervistate. Nei loro confronti c’è una forte attenzione
per le scelte di vestiario e per gli accadimenti della vita
sentimentale. Le donne impegnate in politica sono
troppo spesso segnalate dalla stampa per il loro
abbigliamento o per le frequentazioni che avvengono
nella vita privata. Per questioni più serie ci si rivolge
ai loro colleghi uomini.
Esiste un grosso limite culturale sul quale lavorare.
L’esclusione delle donne dal mondo della politica, così
come quello da alcuni ambiti lavorativi, è un gap non
colmabile in tempi brevi. E’ necessaria, perciò,
269
un’opera di informazione, formazione e dibattito
affinché il problema non venga ignorato.
I cambiamenti vanno coltivati e accompagnati. Ma alle
donne la politica interessa? Secondo una ricerca
commissionata nel 2005 dalla Commissione Pari
Opportunità nazionale all’ISTAT esistono sei tipologie
di gruppi al riguardo.
La prima tipologia è costituita dalle donne che non
si informano e non discutono di politica, esse
costituiscono il 35,6% del campione considerato. A
determinare il disinteresse è anche la scarsa capacità
di comprensione del linguaggio, si tratta infatti, di
donne che hanno conseguito la licenza elementare,
non giovani e residenti al Meridione. Ci sono, poi, le
donne che si informano ma non si attivano, esse
rappresentano il 34,5% del campione. Il loro canale
informativo è quello televisivo e non parlano di
politica se non saltuariamente. La loro attività si limita
all’espressione del voto. Esse sono diplomate o hanno
conseguito la licenza media e risiedono prevalentemente nell’Italia Nord Occidentale. La loro età va dai
20 ai 54 anni. Il terzo gruppo è quello delle donne che
seguono la politica, il 17,4% del campione. Chi rientra
in questo gruppo acquista i quotidiani, segue i dibattiti
televisivi, quelli pubblici e discute di politica con altre
persone. Si tratta di donne tra i 25 e i 54 anni,
diplomate e laureate che lavorano e risiedono
soprattutto nel Centro-Nord. Vi è, poi, il gruppo delle
donne impegnate attivamente nel sociale pari al 6,7%
del campione. Chi rientra in questa tipologia si
informa di politica ma non profonde in essa lo stesso
270
impegno che riserva al settore sociale. Vivono, per lo
più, nel Nord del Paese e il loro titolo di istruzione è
la licenza media inferiore o superiore. Nel penultimo
gruppo sono presenti le donne libere professioniste e
dipendenti iscritte e impegnate nel sindacato e/o nelle
associazioni di categoria. Esse rappresentano il 4% del
campione. Sono donne impegnate anche in attività
culturali e si interessano di politica leggendo
quotidiani, partecipando a dibattiti pubblici e
discutendo con altre persone. La metà di loro è
laureata e ha una età compresa tra i 35 e i 54 anni.
Dell’ultimo gruppo fanno parte le donne militanti nei
partiti e nei sindacati, esse rappresentano l’1,8% del
campione.
La pubblicazione dell’ANCI “Le donne e la
rappresentanza. Una lettura di genere nelle amministrazioni
comunali” riporta in premessa una fotografia nota del
nostro paese, una fotografia con due diverse Italie.
Una centro- settentrionale in cui 9 province vedono
più del 20% dei comuni guidati da sindaci donne e
l’altra, meridionale, in cui la presenza delle donne nel
ruolo apicale delle case comunali è ancora residuale.
La ricerca si conclude citando parte dei risultati
conseguiti da uno studio condotto da Business Link,
agenzia della Camera di Commercio di Londra, sulle
imprenditrici come nocciolo duro dell’approccio
femminile alla politica che potrebbe essere di grande
giovamento al governo locale: “le imprenditrici sono in
posizione di vantaggio rispetto ai colleghi uomini nei periodi
di crisi economica, proprio in virtù di alcune caratteristiche:
management condiviso che coinvolge e responsabilizza i
271
collaboratori, minori motivazioni economiche, ma maggior
investimento sulla realizzazione di sé e dei propri valori nel
fare impresa, flessibilità intesa come capacità di cambiare
strategia e impostazione iniziale in base agli eventi, realismo
che le spinge a chiedere aiuto prima che sia troppo tardi”.
Il numero delle amministratici sta crescendo ma c’è
ancora tanto da fare.
272
Banca del tempo e banca delle ore
La banca del tempo sulla scorta delle esperienze
maturate in Inghilterra, Francia, Germania e Canada
fa la sua comparsa in Italia verso la fine degli anni
Ottanta. E’ una associazione che si propone di favorire
lo scambio gratuito di tempo. Chi entra a far parte
della banca “deposita” ore che mette a disposizione di
altri per svolgere delle attività. Il tempo che si offre
può
riguardare
l’insegnamento
di
lingue,
l’accudimento e l’intrattenimento di bambini,
l’accompagnamento di bambini, anziani o disabili, la
cura di piante e animali, le riparazioni domestiche, lo
scambio di attrezzature, le lezioni di cucina. Lo
scambio è paritario, non si fa differenza tra le diverse
prestazioni offerte. Un’ora vale quanto un’altra. Non
ci sono pagamenti in danaro salvo il versamento delle
quota associativa e l’eventuale rimborso concordato
per gli spostamenti. Si incentiva il supporto solidale
creando una struttura associativa che regolamenti un
rapporto che, nel modello sociale precedente, avveniva
spontaneamente all’interno di nuclei familiari allargati
e tra vicini di casa. Oggi si contabilizza il tempo che si
offre. Per ogni ora di attività prestata si matura un
credito equivalente. Le banche del tempo sono
presenti in tutta la penisola e si sono organizzati anche
dei coordinamenti nazionali. Esse sono citate anche
nella legge 53/200 (Disposizioni per il sostegno della
273
maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla
formazione e per il coordinamento dei tempi delle
città) all’art. 27 che recita: “Per favorire lo scambio di
servizi di vicinato, per facilitare l’utilizzo dei servizi della
città e il rapporto con le pubbliche amministrazioni, per
favorire l’estensione della solidarietà nelle comunità locali e
per incentivare le iniziative di singoli e gruppi di cittadini,
associazioni, organizzazioni ed enti che intendano cambiare
parte del proprio tempo per impieghi di reciproca solidarietà
e interesse, gli enti locali possono sostenere e promuovere la
costituzione di associazioni denominate «banche dei tempi».
Gli enti locali, per favorire e sostenere le banche dei tempi,
possono disporre a loro favore l’utilizzo di locali e di servizi
e organizzare attività di promozione, formazione e
informazione. Possono altresì aderire alle banche dei tempi
e stipulare con esse accordi che prevedano scambi di tempo
da destinare a prestazioni di mutuo aiuto a favore di singoli
cittadini o della comunità locale. Tali prestazioni devono
essere compatibili con gli scopi statutari delle banche dei
tempi e non devono costituire modalità di esercizio delle
attività istituzionali degli enti locali”.
Cosa diversa è la banca delle ore. Essa è prevista
dalla legge 53/2000 che norma gli interventi innovativi
in materia di politica del lavoro e di politica sociale. Si
tratta di uno strumento per la gestione della
prestazione lavorativa. Consiste nell’accantonamento,
su di un conto individuale, di un numero di ore
prestate in più rispetto all’orario normale, la cui entità
è definita dalla contrattazione. La banca delle ore è
volta a conseguire la flessibilità di orario e il
godimento di ferie e permessi aggiuntivi nel rispetto
delle esigenze dell’azienda.
274
La fruizione del tempo “in più” maturato può
avvenire secondo tre modalità. La prima stabilisce che
il recupero deve essere preventivamente autorizzato
dal datore di lavoro che può opporre un diniego, non
immotivato, ma ancorato all’esistenza di esigenze
tecniche, organizzative e legate alla produzione. La
seconda modalità prevede che il recupero del tempo
sia concordato tra lavoratore e datore di lavoro mentre
la terza sancisce per il lavoratore l’obbligo di dare un
congruo preavviso al datore di lavoro circa i termini
con i quali vuole godere del suo diritto di recupero.
Di queste tre diverse declinazioni del dettato di legge
la dottrina offre interessanti spunti di discussione. Tra
questo vi è il dibattito circa la possibile perdita del
diritto ai recuperi in caso di mancata fruizione degli
stessi entro il termine previsto dalla contrattazione
collettiva. Nel caso in cui il lavoratore non usufruisca
del recupero, e la fruizione sia subordinata in maniera
vincolante all’autorizzazione del datore di lavoro o ad
un accordo, la perdita del monte ore sarebbe ingiusta.
Per riequilibrare le cose si potrebbe immaginare che il
lavoratore abbia diritto alla monetizzazione delle ore
non fruite poiché il mancato esercizio di un suo diritto
non è a egli imputabile in quanto non vi è un atto
formale di rinuncia al godimento dello stesso.
All’utilizzo delle ore maturate si può anche rinunciare.
In tale evenienza è ammissibile ipotizzare una espressa
volontà di rinuncia alla fruizione del diritto al
recupero o del decorso di un termine di decadenza (ex
art. 2964 cod. civ.) preclusivo alla fruizione stessa. Ma
si può invocare la sua surrogazione, in via alternativa,
con la monetiz-zazione. In quest’ultimo caso bisogna,
275
però, prendere in considerazione l’eventuale presenza
di cause di sospensione della prestazione lavorativa,
come nei casi di malattia, infortunio e maternità. In tali
casi appare credibile poter applicare una dilazione del
termine finale per la fruizione del recupero che tenga
conto del periodo della sospensione della prestazione
lavorativa. Infine nel caso di cessazione del rapporto
di lavoro più interpretazioni della norma stabiliscono
che vada riconosciuto il diritto del lavoratore a
percepire le somme corrispondenti ai recuperi non
effettuati.
276
PARTE III
fàÉÜ|x w| ÉÜw|ÇtÜ|t ÑxÜ|Ñxé|t
Immagine tratta dal sito: www.convivendo.net
277
TÇÇt
In parte mi riconosco nell’irrequietezza di “una donna”
di Sibilla Aleramo ma non mi appartengono le sue nevrosi.
Alle giovani donne auguro di stare bene nella propria
pelle, di saper stare sole e di saper stare in compagnia.
55 anni ben portati, volto fresco e sereno Anna è
sposata, ha due figli grandi e molti interessi. Sono di
fronte a una storica mancata. Da piccola sognava di
guadagnarsi da vivere scrivendo, crescendo ha
scoperto una passione per il basso Medioevo con la
nascita e lo sviluppo dello Studium Urbis. Ma non sono
queste passioni a riempire le sue giornate lavorative.
Il suo lavoro di funzionaria statale la vede, comunque,
alle prese con molti documenti. Si dice contenta di
questa scelta per la competenza acquisita in campo
giuridico-amministrativo e per aver contribuito con il
suo impegno a scrivere un pezzo di storia dei servizi
socio previdenziali dei quali si è occupata fino ad un
anno fa ma è profondamente scontenta e delusa
perché il contesto storico-politico attuale non le
consente ulteriori passi in avanti. Per mantenere in
equilibrio l’impegno lavorativo con la vita privata si
organizza e si attrezza, soprattutto mentalmente: “di
solito – racconta - temo la noia che mi deriva
dall’inattività”. Il suo ruolino di marcia giornaliero
prevede: sveglia alle 6.15, colazione, ufficio, rientro a
casa, cena, tv/lettura ma aggiunge: “Si tratta di un
elenco di cose asettico, in realtà nella giornata tipo si fanno
molte più cose”.
L’attività per la quale le dispiace non avere tempo
né energie disponibili è quella fisica che ritiene utile
per esercitarsi ad affrontare le mischie di ogni giorno.
Quello a cui non rinuncerebbe mai è quel lungo
momento di solitudine per pensare, ricordare ed
elaborare strategie di vita.
La rinuncia che le brucia di più è non aver raccolto
la proposta, fattale al termine degli studi universitari,
281
di rimanere nel mondo accademico. I risultati che la
rendono più orgogliosa sono il riuscire a dare un tocco
personale all’attività lavorativa e la capacità di trovare
la giusta concentrazione sempre e comunque in
qualsiasi momento, anche quando costa molta fatica.
Il suo segreto per preservare un discreto equilibrio
mentale è sperare fortemente che il meglio debba
ancora venire e continuare a cercarlo. Lei, che il settore
pubblico lo vive dal di dentro, ritiene che per
supportare le donne bisognerebbe impegnarsi a far
funzionare davvero la sussidiarietà attraverso la
capillarizzazione dei servizi potenziando, in tal modo,
l’offerta che spesso si rivela carente.
Le chiedo cosa comprerebbe dal settore privato in
assenza di offerta di servizi pubblici e la risposta è:
«tutto ciò che il pubblico non riesce a fornire, in termini di
assistenza, cultura e formazione, potrebbe essere oggetto di
convenzioni con il privato. Purtroppo il privato, senza un
“sostegno” pubblico, è spesso inaccessibile».
Dal suo punto di vista se si volesse ricercare un
valore aggiunto femminile esplicito nell’esercizio
dell’amministrazione pubblica questo sarebbe
rappresentato dalla capacità di reazione alle avversità
che spinge e motiva le donne a ripartire con più
determinazione. La stessa determinazione che lei
dispiega per difendere con le unghie e con i denti, per
non farseli scippare, gli spazi conquistati lottando.
Alle generazioni future di donne augura di trovare
sempre la passione in ciò che si fa, passando attraverso
una conoscenza profonda e mai superficiale. La sua
speranza è che possano ritrovare il giusto equilibrio
282
tra i generi, senza antagonismi sciocchi e castranti.
Augura, soprattutto, di stare bene nella propria pelle,
di saper stare sole e di saper stare in compagnia. Di
non vivere perennemente nell’irrequietezza, ma di
essere “innamorate” per tutta la vita.
283
Uxààç x g|àà|
Betty: “se fossi qualcun altro sarei Amelia Earhart la
prima donna aviatrice ad attraversare l’Atlantico e a volare
in solitaria, una indimenticabile pioniera”.
Titti: “se fossi un animale, benché mitico, sarei un
unicorno”.
Le immagini sono tratte dai siti: www.bliztquotidiano.it e www.fatemagia.it
Betty e Titti fanno le erboriste. Entrambe poco più
che quarantenni, sposate e separate hanno dei figli che
adorano. Lo spazio commerciale che hanno scelto e
arredato con cura è un oasi di pace e serenità. La cifra
stilistica della casa è l’accoglienza. Entrare nel loro
negozio significa prendersi una pausa dal tran tran
quotidiano. Varcando la soglia il tempo rallenta e ci si
concede una piacevole pausa distensiva. Aromi
delicati e tinte tenui, unite ai loro sorrisi di benvenuto,
fanno pensare di aver fatto la cosa giusta a fermarsi,
anche solo per scambiare quattro chiacchiere.
Betty da piccola sognava di fare l’astrologa o il vigile
urbano ma poi ha scoperto che: “nelle mie vene scorrevano
tracce di sangue diluite in linfa vegetale”. Il suo lavoro la
appassiona e si sente gratificata quando percepisce la
soddisfazione di un cliente che si sente ascoltato. “Chi
entra in erboristeria- dice - ha bisogno di essere ascoltato e
indirizzato a cercare il giusto rimedio per i suoi problemi, che
non sono generici e validi per tutti, ma peculiari, perché
riguardano la persona nella sua unicità”. Titti da bambina
immaginava di diventare medico.“A ben vedere –
racconta- non ho abbandonato del tutto la mia inclinazione
perché, anche se con metodi diversi, il mio obiettivo rimane
curare la salute delle persone”. Alla domanda circa il modo
in cui conciliano l’attività del negozio con l’accudimento
della famiglia Betty risponde mimando un trapezista
pronto per una doppia giravolta e il triplo salto mortale
mentre Titti alza le spalle per significare che finisce per
penalizzare sé stessa in molti modi. La loro giornata tipo
prevede la sveglia alle 7 e trenta, ma per Betty fino alle
7 e quarantacinque, nessun altro è autorizzato a
287
svegliarsi e interferire con l’assunzione di caffeina
necessaria a far carburare il suo organismo. Nel
momento in cui i figli mettono i piedi giù dal letto parte
il ruolino di marcia: vestizione, accompagnamenti a
scuola, negozio, acquisto al volo del pane, negozio, ore
13.00 di corsa a prelevare i più piccoli a scuola, ci si
catapulta a casa per preparare il pranzo, si mette un po’
in ordine e si torna in negozio o si accompagnano i figli
a praticare attività sportive o al dopo scuola, si rientra
alle 20,00 circa per preparare la cena e trascorrere un po’
di tempo tutti insieme per finire la giornata verso le
23,00.
Entrambe vorrebbero tanto avere il tempo per
dedicarsi ad una passione che le accomuna: cantare.
Ma quello a cui non rinuncerebbero, neanche sotto la
minaccia della tortura, è per Betty un’ora al giorno da
dedicare a se stessa: “e con ciò intendo – dice- non sentire
i bambini o qualcun altro che parla, chiede o invade il mio
silenzio, ho bisogno di svuotare la mente per ricaricarmi
altrimenti divento isterica”! per Titti l’irrinunciabile è la
dignità: “non potrei vivere senza”. La rinuncia che è
costata di più a Betty è stata abbandonare l’attività
agonistica di atletica leggera che ha praticato fino
all’ultimo anno delle scuole superiori ma precisa:
“in fondo non ho dovuto rinunciare a nulla di veramente
importante nella mia vita, sono contenta di quello che ho e
prendo le cose e le persone per quello che sono”.
Per Titti l’unica vera rinuncia riguarda il legame
matrimoniale. Ha dovuto rinunciare per continuare a
vivere.
288
Quello che inorgoglisce entrambe come chiocce
sono i figli, Betty racconta: “guardo i miei tre figli e
sono orgogliosa non solo perché sono venuti al mondo ma
anche perché li vedo sereni, affettuosi tra di loro e io so
quanta fatica ci ho messo per arrivare a creare
quest’armonia” Titti dice: “quando nelle mie due figlie
riconosco un comportamento che evidenzia che le ho tirate
su bene scoppio dall’orgoglio e mi dico brava stai andando
alla grande!” Il loro segreto per mantenere un buon
equilibrio mentale è da ricercarsi, per Betty,
nell’intoccabile ora al giorno tutta per sé e per Titti
nella fede. “E’ la fede che mi sostiene” è il suo commento.
L’intervento del settore pubblico dovrebbe prevedere,
per Betty, un maggior ricorso al part time e un
sostegno economico alle donne che lavorano e
crescono da sole dei figli perché: “il bagaglio emozionale
di un individuo, quello che diventerà da grande, lo può dare
solo la madre, il padre è una figura che supporta e integra
ma non sostituisce quella materna. Una donna che lavora
tutto il giorno non ha la possibilità di dedicare il tempo
necessario ai propri figli e questo non è giusto e non fa bene
alla società che dovremmo voler costruire”. Titti è
d’accordo e aggiunge: “il lavoro delle donne dovrebbe
essere più tutelato”. Alle loro figlie augurano entrambe
l’indipendenza economica “me lo ha sempre detto mia
madre – dice Betty – e so che è vero, una donna non deve
dipendere da nessuno” e di non rinunciare mai alla
propria dignità “le mie figlie lo sanno – dice Titti – perché
glielo dico spesso, la propria dignità è fondamentale e non
va mai messa in discussione”.
289
VtÜÅxÇ
Sono una formichina o una leonessa? A volte l’una a
volte l’altra
Immagine tratta dal sito www.furrymania.it - www.eccomimi.blogspot.com
291
Carmen è una ragazza di 35 anni che sprizza
energia e combattività. Napoletana si è trasferita
sull’isola d’Ischia da tempo dove lavora come
giornalista in una piccola televisione locale. Gira
instancabile armata di microfono e accompagnata da
un collega cameraman a caccia di notizie. Da piccola
sognava di fare la ballerina. Il suo lavoro le piace molto
e lo fa con passione ma la gratificazione economica
quella proprio non c’è. Mi racconta: “E’ bello imparare,
incontrare e vivere tra la gente ma è triste ogni mese
rischiare di non avere i soldi per fare la spesa... nel mio
privato sono contenta di essere single e non separata con tre
figli da gestire ma sono scontenta di essere single e non avere
una famiglia... difatti sono fuori di testa, o così dicono gli
altri, e pensare che non ho figli e marito ma solo un papà con
cui vivo e con cui ho pochissimi rapporti... eppure gli assurdi
orari giornalieri di lavoro, spezzettati durante la giornata
che inizia di mattina e finisce, spesso, anche a notte inoltrata
non mi permettono di organizzare la giornata, nè una vita
sociale accettabile. Mi sento, quindi, di diritto nel gruppo
delle fuori di testa”.
La sua giornata non è niente male: mattinata a
lavoro, interviste varie e corsa in macchina da un
lato all’altro dell’isola per incontrare, ascoltare,
domandare, prendere appunti, poi redazione. A
pranzo raggiunge la madre, che gestisce un
ristorantino in spiaggia, dove lavora ai tavoli e dà una
mano in cucina. Subito dopo casa, doccia e nel tardo
pomeriggio ritorno a lavoro tra redazione, dirette
video, interviste e presentazioni. Rientro a casa
previsto: non prima della mezzanotte. Pranzo, cena,
293
spesa, parrucchiera e palestra quando? Di fretta tra un
lavoro e l’altro quando si riesce... Le piacerebbe
enormemente poter avere tempo per trascorrere un
pomeriggio in casa, per riposare, per leggere un bel
libro, per stare con se stessa e i suoi cari, fare una
vacanza ma, soprattutto, le piacerebbe avere il tempo
per prepararsi un pranzo decente e non ricorrere
sempre ai cibi precotti.
Non rinuncerebbe mai al lavoro e alla famiglia. Un
tutt’uno problematico e inscindibile. La rinuncia che
invece ha dovuto fare, e le è costata, è crearsi una
famiglia. Pochi soldi e poco tempo le hanno fatto
lasciare sul campo anche l’amore per qualcuno di
importante. Ciò che la rende orgogliosa è: “Pur con
tutte le difficoltà e rinunce il lavoro mi permette, nel mio
piccolo, di essere utile agli altri e di essere indipendente
economicamente dalla mia famiglia (anche se non per tutto,
come la casa ad esempio)”. La sua valvola di sfogo sono
le passeggiate in solitudine ascoltando della buona
musica. Dal settore pubblico vorrebbe meno
assistenzialismo e più lavoro mentre al privato chiede
di creare sull’isola più aree di parcheggio o un
migliore servizio di trasporto. Alle giovani donne
augura di: “sentir parlare di pari opportunità allo stesso
modo nel quale io ho sentito parlare dell’impervio cammino
affinché le donne ottenessero il diritto di voto: un fatto
storico importante ma per me un dato di fatto.... ecco: pari
opportunità battaglie lontane, un dato di fatto...”.
294
VÄÉà|Äwx
“Questa terra sarà mia, domani è un altro giorno”
Immagine tratta dal sito: www.mymovies.it
Clotilde non si arrende mai. Può fermarsi a
riprendere fiato, può prendersi una pausa per riflettere
o può interrogarsi per decidere che strada imboccare
ma mollare no, questo proprio no, non le appartiene.
Da bambina riteneva che la miglior carriera da
intraprendere fosse quella dell’ereditiera ma, essendo
venuta meno quest’opportunità, oggi fa la dirigente
scolastica di uno storico e famoso liceo partenopeo con
una platea scolastica numerosa come la tifoseria di una
grande squadra. Una volta si diceva preside, oggi
dirigente scolastico. Ha iniziato a insegnare perché,
seguendo il consiglio dei genitori, scelse un lavoro che
le avrebbe permesso, poiché donna, di conciliare il suo
impegno fuori casa con la vita familiare. Oggi, con il
carico di lavoro che si ritrova, riesce a conciliare
a malapena l’essenziale. E a volte le categorie
dell’essenzialità vanno anche rivisitate. Quarantanove
anni, sposata e con figli odia lo spreco di tempo e
risorse e ama il rapporto con gli studenti. Per seguire
casa, famiglia, lavoro, varie ed eventuali tiene duro e
non si lascia abbattere. Certo, in qualche momento
vorrebbe spegnere la luce e recuperare un po’ di
sonno, ma stoicamente va avanti ripetendosi che la
domenica potrà concedersi una pennica. E se la
domenica durasse 56 ore sarebbe magnifico… Il tempo
che proprio non riesce a trovare è quello da dedicare a
se stessa, magari per andare in palestra e scongiurare,
così, il pericolo di svegliarsi una mattina e sentire
scricchiolare le ossa sinistramente. La rinuncia più
pesante che ricorda è legata al sacrificio di preziosi
momenti di vacanza. Il risultato che la rende più
297
orgogliosa è essere riuscita a valorizzare delle persone
che ora credono in loro stesse e sono cresciute molto.
La sua ricetta per mantenere un discreto equilibrio
mentale prevede: ridersela in cuor proprio di tutto
cogliendo il lato grottesco delle situazioni, stare ogni
tanto sola con se stessa a ripensare alle cose fatte
perdonandosi un po’. Senza rinunciare a deprimersi
in santa pace in compagnia di amiche che hanno
subito la stessa sorte. Una sana e collaudata ricetta:
chiacchiere e cioccolato. E’ convinta che il settore
pubblico potrebbe migliorare la vita dei cittadini
offrendo una buona assistenza legale. Alla domanda
circa l’esistenza di eventuali barriere che ha incontrato
all’ingresso nelle istituzioni risponde: «Apparentemente
la barriera da superare era rappresentata dalla difficoltà di
un pubblico concorso, in realtà gli ostacoli che ho incontrato
sul cammino sono stati il corredo di stereotipi di una
mentalità, propria anche di alcune donne, sostanzialmente
maschilista. Ti chiedono di essere un “maschio” per
rispettarti, ma tu dentro hai una visione delle cose
diametralmente opposta e se cerchi di imporla, credono che
tu sia debole. Macchè debolezza, dentro siamo rocce. Per
conservare e promuovere gli spazi conquistati, prevenendo
i colpi bassi di quanti mi circondano, mi devo ammazzare
di lavoro». Le chiedo se la differenziazione dei ruoli ha
condizionato il successo nella vita pubblica e la
risposta che ricevo è: “Parecchio, quasi nessun uomo,
soprattutto più vecchio d’età di te, accetta il tuo ruolo
quando è apicale. La tua famiglia, poi, è un covo di detrattori
incalliti”. Ma esiste un valore aggiunto femminile
esplicito nell’esercizio dell’amministrazione pubblica
298
e cosa le ammini-stratrici sono riuscite a fare di diverso
rispetto ai colleghi uomini? “Le donne sono più energiche
e fattive in ogni piccola cosa - continua - nel ricondurre le
cose all’ordine, poi, sanno essere inflessibili”.
A sua figlia e alle giovani donne augura di trovare
compagni/mariti più comprensivi e collaborativi e, in
generale, di poter vivere in un contesto sociale più
favorevole, anche se dichiara “Temo che ci vorranno
secoli”!
299
VxÄxáàx
I miei cugini mi hanno sempre chiamato Signorina
Rottermaier (la governante della casa di Heidi) per il mio
essere svizzera.
Immagine tratta dal sito: www.tiffany.blog.rai.it
Minuta, capelli castani e voce garbata. Celeste
colpisce per la sua disponibilità. Ti accoglie sorridente
da dietro il bancone della farmacia di un paesino
pedemontano in provincia di Avellino dove lavora
come dipendente. Da piccola si immaginava a
difendere i diritti dei più deboli in un’aula di tribunale
o a lavorare in un qualsiasi posto ci fossero frotte di
bambini. Il suo lavoro le piace perché le porta il
contatto umano con le persone ma, il rovescio della
medaglia, è che le impegna la maggior parte del tempo
quotidiano. Da un anno e mezzo lavora e si prende
cura della casa in cui vive con il padre e il fratello. La
sua giornata procede in questo modo: sveglia alle 6:00,
subito il caffé e poi di corsa a organizzare il pranzo,
rifare i letti, pulire il bagno, stendere il bucato e alle
8:20 si esce di casa per andare a lavoro. Alle 13:00
rientro a casa, passando per il panificio, mangiare e
risistemare la cucina, ritirare il bucato steso, preparare
la cena e alle 16:20 ritornare a lavoro fino alle 21:00.
Rincasare, mettersi comoda, trascorrere qualche
minuto al telefono con i cari lontani e addormentarsi…
domani si rivà in scena. Quel che le manca è il tempo
per poter coltivare le sue passioni: il giardinaggio, la
lettura e l’attività fisica anche se, per il momento, si
ritiene fortunata perché non ha dovuto rinunciare a
niente di veramente importante. Ciò su cui non accetta
compromessi è il tempo da dedicare a se stessa la
domenica pomeriggio. Quello è intangibile. Il suo
orgoglio è costruire, giorno dopo giorno, il rapporto
con le persone, il dipanarsi di una storia quotidiana.
Ciò che la gratifica sono le persone che entrano in
farmacia e la chiamano per nome palesando un
303
rapporto che và al di là di quello commerciale per
inoltrarsi verso il delicato territorio della confidenza
che, a volte, se ben curato può far germogliare
l’amicizia.
Il suo segreto per star bene è essere in armonia con
se stessa godendosi anche i piccoli piaceri della vita:
”La nostra è una realtà davvero cruda, - dice - sembra che
per lavorare si debba scendere sempre a compromessi,
soprattutto al meridione dove il tasso di disoccupazione
cresce ogni giorno di più”. Alle giovani donne augura di
realizzarsi senza perdere la libertà.
304
WtÇ|ét
A mia figlia auguro di non smettere mai di essere donna!
Se mi dovessi identificare in un’attrice sarei Anna
Magnani.
Immagine tratta dal sito www.filmscoop.it
Napoletana trapiantata a Roma poco dopo la laurea
in Scienze Politiche, 43 anni, un marito e una bambina
piccola, tanti riccioli e una vita a metà tra Roma e
Milano. Ci siamo conosciute una mattina di più di
vent’anni fa al primo giorno di corso di economia
politica. In un cinema porno. Sì, in un cinema porno
perché mentre i nostri amici iscritti a giurisprudenza,
per la cronica carenza di aule degli atenei partenopei,
erano ospitati nelle sale in cui si proiettavano film
d’essai, noi iscritti all’Istituto Orientale, venivamo
dirottati verso un cinema a luci rosse. Non l’ho mai
potuto dire a mia madre che, da americana, non
avrebbe capito. Avrebbe solo immaginato sua figlia
sulla via della perdizione. Mio padre ci ha messo del
tempo a memorizzare il suo bellissimo e insolito nome,
i primi tempi mi diceva: “ha telefonato Danzica ti
cercava…”. Da piccola avrebbe voluto fare la
veterinaria invece fa la business developer per una
multinazionale. Il lavoro e l’indipendenza li ha scelti
e se li è conquistati: non sempre è stato facile. Del suo
lavoro le piace l’attività non ripetitiva e statica, un
continuo variare che la tiene informata su ciò che
accade intorno, quello che le piace meno è che non
sempre ha la sensazione che i suoi sforzi siano
apprezzati e valorizzati. Riesce a gestire un non facile
mènage familiare (la maggior parte della settimana la
trascorre a Milano lasciando a casa marito e figlia) con
molta organizzazione e aiuto da parte della famiglia.
Ogni tanto arriva l’instancabile e ciarliera mamma che
le scaravolta casa e le permette di tirare un sospiro di
sollievo (in sottofondo si sente il suo tranquillizzante
e incessante cicaleccio con la nipotina). Quando è a
307
Roma la sua giornata tipo si svolge così: mattina
sveglia presto, figlia a scuola, sistemare casa per quel
che si riesce a fare, macchina e traffico fino al lavoro
dove si rimane fino a dopo le 18 con un pranzo al volo,
ri-traffico per prendere figlia dai nonni, spesa se c’è il
tempo, cena, qualche faccenda a casa, 5 minuti di
televisione e chiacchiera con il marito e poi tracollo sul
letto. Le chiedo se ha mai pensato di mollare: “tengo
troppo alla mia indipendenza economica per farlo e poi c’è il
mutuo da pagare!”. Quello a cui ha dovuto rinunciare è
lo sport e, sospetto, anche parecchio sonno. Il suo
segreto è ritagliarsi, anche solo un ora, per stare fuori
casa da sola. Ritiene che sarebbe d’aiuto se il settore
pubblico supportasse la famiglia nella gestione del
tempo dei ragazzi: “Per chi lavora 8/10 ore al giorno –
dice - avere l’aiuto delle istituzioni nel tenere i ragazzi
impegnati in attività sicure e produttive sarebbe davvero
utile. Come lo sarebbe una seria azione di prevenzione
sanitaria”. Ma quel che proprio la fa andare in
escandescenza è la viabilità: “non è possibile impiegare
un’ora per fare 12Km per gli spostamenti lavoro/casa!
E’ tempo sottratto alla famiglia e a se stessi”.
A sua figlia augura un mondo in cui ci sia vera
parità tra uomini e donne e di non smettere mai di
essere donna!
308
XÅtÇâxÄt
Il mio personaggio di riferimento è
Elisabeth Bennet in “Orgoglio e Pregiudizio”.
Immagine tratta dal sito www.blog.libero.it
Emanuela al telefono ha una voce calda, pacata e
gentile. Come me, quando chiama qualcuno al
cellulare, teme sempre di disturbare. Ha 44 anni e da
piccola pensava che le sarebbe piaciuto diventare una
scrittrice. Di fatto traduce e corregge quello che
scrivono gli altri. Gli altri sono i suoi studenti a cui
insegna lingue straniere negli istituti superiori. Mi
spiega: “E’ un lavoro che mi gratifica molto, naturalmente
non dal punto di vista economico! Mi piace stare con gli
adolescenti, osservare i loro progressi durante una fase di
crescita particolarmente problematica e, quando è possibile,
aiutarli a superare i momenti di crisi. Ovviamente vi sono
anche situazioni problematiche ma immagino che ciò sia vero
per tutte le professioni”. La gratificazione economica
insoddisfacente non è da ascrivere ad una tendenza ad
essere spendacciona ma al fatto che Emanuela è una
insegnante precaria. Riesce a lavorare, seguire la casa,
i figli, i genitori anziani, i suoceri e i parenti senza
andare fuori di testa grazie ad una organizzazione
attenta: “provo ad organizzare tutto alla perfezione e non mi
risparmio mai, però se sento che è necessario, mi concedo un
pomeriggio di ozio completo o di shopping con le amiche”.
La sua giornata tipo procede nel seguente modo:
sveglia alle 6.30 e poi tutto di corsa, pulizia della casa,
“servizio taxi” per i figli, ore di lezione a scuola,
pranzo, faccende, acquisti necessari, correzione dei
compiti, aiuto ai figli nei compiti a casa, telefonate alla
mamma per controllare che stia bene e imprevisti vari
da gestire.
Le piacerebbe poter frequentare lezioni di ballo,
rileggere i grandi classici della letteratura europea e
311
gli ultimi romanzi degli autori contemporanei che
preferisce ma, quello di cui non fa a meno in nessun
caso, è una “pausa caffè” con le amiche, almeno una a
settimana. La rinuncia che le pesa di più è non poter
frequentare corsi di approfondimento all’estero e
viaggiare per visitare le capitali europee con i suoi
amici. Ciò che la rende orgogliosa dei suoi sforzi sono,
nel lavoro, la stima dei colleghi e l’affetto degli
studenti mentre nella vita privata si sente soddisfatta
e ripagata dall’affetto dei parenti unito al buon
rapporto costruito con i figli. Il suo segreto per
rilassarsi è barricarsi in camera da letto a leggere un
buon libro isolandosi da tutto quanto accade fuori
dalla porta. Per staccare la spina è necessario rendere
noto alla famiglia che è stata sancita la no fly zone
intorno al perimetro della stanza. Al settore pubblico
chiede maggiore sostegno per le mamme che lavorano
in termini di flessibilità dell’orario lavorativo e
infrastrutture adatte ad accogliere i figli in età
prescolare mentre, a quello privato, si rivolge per le
attività sportive dei figli. Alle giovani donne augura:
“Di non dover rinunciare mai alle proprie ambizioni
professionali ma, soprattutto, di non arrendersi alle difficoltà
quotidiane, poiché sono realmente convinta delle
innumerevoli potenzialità dell’universo femminile”.
312
Z|ÉätÇÇt
Immagine tratta dal sito: www.aitan.tumblr.com
Giovanna è una donna con i piedi per terra. 56 anni,
un marito e due figlie. Una famiglia in cui tutti hanno
le idee chiare su cosa vogliono essere e fare da grandi.
E anche su come sia importante rispettare i desideri
degli altri. Giovanna ha paura degli animali ma le sue
figlie hanno un cane a cui è stato notificato un
ordinanza restrittiva: si può avvicinare a tutti i membri
della famiglia tranne che a lei. Ciò non di meno,
Giovanna al cane si è affezionata. Le sue figlie amano
i cavalli e la più piccola, diciassetenne, è una brava
amazzone che sbaciucchia e abbraccia i cavalli, anche
quelli giganteschi, come fossero cuccioli di barboncino.
La verità è che molti di loro, a dispetto delle
dimensioni, si comportano con lei come tali. Il rispetto
della madre per l’amore che le figlie nutrono per gli
animali ha fatto sì che queste crescessero equilibrate
e rispettose dei propri sentimenti e dei timori altrui.
Giovanna da bambina si immaginava professoressa di
Lettere e invece fa il segretario comunale. Dopo una
parentesi vissuta in Piemonte con il marito, docente di
filosofia alle superiori, hanno deciso di tornare in
provincia di Napoli dove sono nati. Ancora se ne
pentono. Giovanna racconta: “La mia più grande
rinuncia è stato tornare da Alba nel cuneese ad Acerra nel
napoletano. E quello che mi fa rabbia è che la mia carriera si
è arrestata quando sono nate le mie figlie. Eppure io ero
sempre la stessa, lavoravo con la stessa dedizione e
scrupolosità”. Le chiedo se si sente realizzata e mi
risponde di sì è soddisfatta di quello che ha costruito
nella sfera professionale e in quella privata, quella
degli affetti. Cerca di conciliare le cose organizzandosi
al meglio e controllando che tutti abbiano il necessario,
315
che a nessuno manchi nulla. Quello che vorrebbe poter
fare, ma proprio non le riesce per scarsità di tempo ed
energie fisiche, è curare i rapporti sociali al di fuori
della sfera lavorativa e viaggiare di più. Il suo segreto
per mantenere la serenità è razionalizzare le situazioni.
Dal settore pubblico, che ben conosce, vorrebbe
maggior senso di responsabilità in modo diffuso. Le
piacerebbe che diventasse patrimonio comune una
diversa cultura in cui lavorare per lo Stato non fosse
un sentirsi al sicuro e abusare dei privilegi che un
contratto a tempo indeterminato può garantire ma
volesse dire, invece, lavorare al servizio della comunità
non perdendo mai di vista la dignità per sé e per gli
altri. “Un certo uso della legge 104 sull’assistenza ai parenti
disabili – continua – mi aborrisce e mi fa infuriare.
E’ vergognoso usare chi vive una situazione di menomazione
come paravento per sottrarsi al proprio dovere. Ne va della
dignità dei disabili”. Quando le chiedo cosa aiuterebbe
concretamente da parte del settore privato, quale
servizio, mi risponde lapidaria: “che il privato non
vendesse servizi”. Alle sue figlie e alle altre giovani
donne augura di poter camminare a testa alta senza
superbia, ma con la dignità di chi fa affidamento sulle
proprie forze.
316
\ÄxtÇt
Se fossi un animale sarei senza alcun dubbio un cane!
Non si fa fatica ad immaginare che se fosse un
animale sarebbe un cane. Ileana, 31 anni, grandi occhi
nocciola e sorriso aperto, i cani li ama. I cani le
restituiscono, aggiungendone dell’altro, tutto il loro
affetto. Gli umani che i cani li hanno voluti e accolti
in famiglia (non mi piace la parola padroni, credo che
si possa e si debba, essere responsabili della vita di un
altro essere senziente, ma mai proprietari) le
indirizzano immensa gratitudine e stima. I suoi tratti
distintivi sono la dolcezza e la capacità di ascolto di
chi non parla ma si esprime perfettamente. Una
dolcezza capace di avvicinare anche un mastino
ringhiante. Le sue mani hanno un tocco delicato e
sensibile quando frugano nel pelo, tastano le zampe o
scrutano le orecchie. Ha coronato il suo sogno di
bambina: fare la veterinaria. La sua vita è tra i piccoli
animali da affezione domestici: cani e gatti. Lavora in
un ambulatorio veterinario a Palma Campania, vicino
Napoli, guidato con piglio deciso e tanta, tanta
esperienza da un uomo che come lei gli animali li
capisce, li rispetta, li cura e li coccola.
Quando le domando della sua giornata mi
risponde: “Il mio orario di lavoro è dalle 8:30 alle 20.30 (in
realtà non si finisce prima delle 21) con un paio di ore per la
pausa pranzo. Nello stesso tempo scuola di specializzazione
e un paio di giorni al mese a Bari per un corso di
approfondimento. Fino a qualche mese fa lavoravo anche di
domenica con turni di 24 ore ma ho dovuto lasciare per
questioni di tempo… e di salute! Per fortuna vivo con i miei
genitori e al momento sono loro che mi danno un grande
aiuto”. Non rinuncerebbe mai alla famiglia mentre ha
319
dovuto far a meno di frequentare gli amici e andare in
palestra. La privazione che le pesa di più è non avere
tempo per se stessa. Ma tutto questo viene compensato
dalla consapevolezza di fare il lavoro che le piace. Alle
generazioni future di donne augura di non essere mai
costrette a dover scegliere tra famiglia e lavoro.
320
^tà|t
Se fossi un animale sarei un gatto perché cade sempre in
piedi!
Immagine tratta dal sito www.100caniegatti.it
Katia ha fatto della pacatezza e della concretezza i
suoi tratti distintivi. Posata e diretta ispira fiducia e
affidabilità. E’ una donna che trasmette una immagine
di solidità e pragmaticità, la persona che vorresti avere
accanto nel momento di una scelta impegnativa.
Quarant’anni, una famiglia, due figli e un lavoro
iniziato da giovane che l’ha portata lontano dalla sua
casa pugliese facendola approdare in provincia di
Napoli. Da grande le sarebbe piaciuto fare l’architetto.
A ben vedere non si è allontanata di molto dalla
passione originale, quella cioè, di supportare le
persone che decidono di mettere su casa visto che
lavora in banca e si occupa di credito e investimenti.
Perciò anche di mutui. E’ soddisfatta di quello che fa
perché ritiene di aver ottimizzato le risorse disponibili
raggiungendo il miglior risultato possibile. Nella sua
vita quotidiana si organizza delegando quello che si
può, trovando il tempo per essere presente quando è
importante per la famiglia, lasciandosi guidare dallo
spirito di sopravvivenza e affrontando ogni situazione
con ironia.
La sua giornata inizia alle 7 con la colazione,
momento intangibile, nel quale non ammette
intrusioni da parte di niente e di nessuno. Dopo la
prima colazione si può affrontare il mondo. Dalle 8 e
mezza in ufficio fino alle 13 e 30 ora in cui va a casa
per preparare il pranzo, ritorna in ufficio alle 14 e 45 e
lì rimane fino alle cinque. Terminato il lavoro si dedica
ai figli e alle loro attività sportive, alla spesa e a
qualche faccenda domestica. La giornata si conclude
alle ventitrè.
323
Quello che le piacerebbe poter fare se avesse tempo
a disposizione è leggere. “Ultimamente- dice- mi capita
di leggere molto per lavoro e poco per diletto”. Quello a cui
non rinuncerebbe mai è riposare quando sa di averne
bisogno: “Quando mi accorgo di essere stanca mando tutto
e tutti al diavolo, ho bisogno di ricaricare le pile”. Le
domando se nella vita ha rinunciato a qualcosa con
difficoltà ma mi risponde di no spiegandomi che le
rinunce fatte sono state il frutto di una valutazione
svolta in vista del raggiungimento di un traguardo più
importante. Si è trattato di rinunce strategiche. Il
risultato che la rende più orgogliosa è la sua vita così
come è. Il suo segreto per mantenere un discreto
equilibrio mentale è avere la certezza che tutto passa,
scegliere e sbagliare consapevolmente e ricominciare
daccapo con rinnovata energia, senza invidia e senza
recriminazioni. Ritiene che il settore pubblico
dovrebbe fornire assistenza per i figli attraverso la
disponibilità di asili nido e scuole che avviino allo
sport e aiutino i ragazzi a scoprire e coltivare attitudini
e talenti. Dovrebbe, inoltre, esserci da parte dello Stato,
l’organizzazione di servizi di assistenza alle persone
anziane da coinvolgere in attività ricreative e spazi da
condividere con i ragazzi per mantenere vivo il
rapporto intergenerazionale. In assenza di ciò si è
rivolta al settore privato per avere supporto nella cura
dei familiari: “sono stata soddisfatta delle persone alle quali
ho affidato i miei figli, altre donne che mi hanno aiutato
tanto nella fase della prima infanzia con le quali ho
conservato un ottimo rapporto. Sono stata fortunata. Per
quanto riguarda collaboratrici domestiche e badanti:
nemiche pagate!”.
324
Alla figlia adolescente augura di trovare la sua
strada senza inseguire il Dio danaro a tutti i costi, senza
tradire se stessa. Vorrebbe che crescendo scegliesse le
sue priorità e le perseguisse con serenità, senza
scendere a compromessi.
325
_ÉÜxÇét
Sono un ariete nella vita vado avanti determinata.
Immagine tratta dal sito: www.affaritaliani.libero.it
Lorenza di professione fa l’avvocato civilista.
Separata con due figli grandi, cinquantasette anni
portati con eleganza. Fin da piccola pensava che le
sarebbe piaciuto fare l’avvocato. E di questa scelta
ancora oggi è convinta, il lavoro la gratifica, la stimola
e la appassiona. “Certo – dice – non dimentichiamoci del
contesto in cui vivo e lavoro, esercitare la professione forense
in Campania non è la stessa cosa che esercitarla in
Lombardia o altrove. Sebbene la tradizione dell’avvocatura
napoletana abbia dato lustro alla nostra categoria e il foro
partenopeo abbia brillato grazie alla presenza di
indimenticati avvocati oggi la situazione è critica”.
Ma nonostante questo Lorenza crede in quello che
fa. Due mattine alla settimana è presente nell’ufficio
del gratuito patrocinio in una municipalità in cui
ricade il centro storico partenopeo ed è membro del
Comitato per le Pari Opportunità dell’Ordine degli
avvocati di Napoli. Negli altri giorni la si trova nel suo
piccolo studio dove, una volta accomodatisi, ci si sente
a proprio agio. E’ un luogo accogliente, trasmette la
sensazione di trovarsi di fonte ad una donna che
ascolta attenta e partecipe i problemi che le vengono
esposti. Non è un ufficio freddo e impersonale
organizzato per infondere soggezione e subalternità
ma uno spazio, in cui se si hanno delle domande da
porre, Lorenza spende del tempo a spiegare e far
comprendere le risposte.
“Quando una persona con un problema legale viene da
me è importante che capisca cosa farò per aiutarlo e quali
saranno le azioni che intraprenderò per tutelare i suoi diritti,
ci tengo a che capisca che non partiamo con l’idea di fare la
329
guerra a tutti i costi ma che l’obiettivo che ci diamo è di
rimettere le cose a posto”. Niente strategie d’assalto ma
moderazione e buon senso. Ciò che mi colpisce è la
costante declinazione al plurale: faremo, intraprenderemo, cercheremo. Oltre l’avvocato anche l’assistito
ha diritto di cittadinanza. Entrando nello studio di
Lorenza non ci si spoglia della propria capacità di
comprendere per cedere dogmaticamente il testimone
ad un legale che non vuole dedicare del tempo a
spiegare cosa accadrà e come.
Quando le chiedo come fa a conciliare la vita
familiare con quella lavorativa mi risponde: “è la
passione per il lavoro che mi ha sempre fatto superare tutte
le difficoltà e quando capitano i giorni in cui c’è un
cedimento ne prendo atto senza farne una tragedia, fa parte
del gioco, l’avevo messo in conto”. La sua giornata inizia
alle 6 e trenta e si dipana tra il tribunale e lo studio fino
alle otto e mezzo di sera, quando chiuso lo studio ci si
dedica alla preparazione della cena e al tempo da
trascorrere con gli affetti familiari.
Quello per cui le manca il tempo sono le relazioni
amicali, vorrebbe poter fare più cose in buona
compagnia ma la giornata è troppo breve. Ciò a cui
non rinuncerebbe mai è seguire la sua casa. E a
proposito di rinunce racconta di non averne mai fatte
di serie. Il risultato che la rende più orgogliosa è essere
un buon avvocato donna. “La difficoltà che una donna
incontra nella mia professione – spiega- deriva dal fatto che
i clienti quando devono scegliere un legale tendono, tranne
nei casi che riguardano la materia del diritto di famiglia, a
fidarsi più di un uomo che di una donna. E’ una questione
330
culturale. Non si valuta la preparazione, la disponibilità o
altro ma per tradizione si tende a preferire un uomo ad un
donna, come se ancora ci fosse un distinguo di genere a
proposito del cervello e delle capacità intellettuali. Questo
fa, purtroppo, sì, che alcune donne per superare il gap
diventino aggressive”.
Il suo segreto per mantenere un discreto equilibrio
mentale è non soffermarsi troppo sulle cose, l’eccessiva
speculazione è rischiosa perché può far scivolare in
comportamenti autolesionisti. Dal settore pubblico
vorrebbe una maggior organizzazione sui tempi,
quelli della scuola, degli uffici, dei trasporti etc. A sua
figlia augura di poter lavorare senza mai perdere la
passione e l’entusiasmo.
331
`tÜt
Immagine tratta dal sito: www.sportingdog.it
Mara ha cinquantuno anni ed è una donna
disponibile e socievole che ha realizzato il suo
desiderio lavorativo, fa esattamente ciò che le è sempre
piaciuto fare. Fin da bambina ha coltivato la passione
per i libri e oggi, con il marito, ha una casa editrice.
Cura la redazione dei testi, segue l’impaginazione, si
occupa delle fotografie, dei rapporti col distributore e
con le librerie fuori dalla regione. L’unico neo che
trova nel suo lavoro è l’incertezza che discende
dall’essere un imprenditore. Non ha figli e i suoi
genitori sono autonomi, perciò, non soffre di cronica
mancanza di tempo e quello che ha lo spende in modo
soddisfacente. La sua organizzazione quotidiana
prevede due spazi: quello della mattina dedicato
alle incombenze domestiche e quello pomeridiano
riservato al lavoro. Quello che proprio le manca è
avere tempo, energie e risorse per poter viaggiare e
visitare i musei e i siti archeologici in giro per il
mondo. “La verità - dice - è che quando uno lavora in
proprio non deve saper fare un solo lavoro, ma quaranta,
dalle pubbliche relazioni all’amministrazione, dalla
commercializzazione alla grafica, dalla correzione delle bozze
alla stampa, alla comunicazione, al digitale, non ultimo il
facchino perché l’editoria SEMBRA un lavoro intellettuale,
ma in realtà devi continuamente spostare pesi per archiviare
i libri, per fare le spedizioni o le consegne al distributore!!”
La cosa a cui non rinuncerebbe mai è leggere
mentre, quel che la pesa di più, è aver perso
la spensieratezza: “Non stacco mai, anche quando
apparentemente faccio altro mi accorgo che sto pensando a
un’immagine da inserire in un testo o a una libreria che non
ho sollecitato”.
335
Il risultato che la rende più orgogliosa è aver
realizzato una sua idea: l’EnoLibro. A pensarci bene
come si fa a non essere d’accordo con lei che ha messo
insieme due cose che per molti, fra noi mortali,
rendono la vita degna di essere vissuta: un bel libro e
un buon bicchiere di vino.
Il suo segreto per preservare un decente equilibrio
mentale è giocare con la vita e non prendersi mai
troppo sul serio. Il settore pubblico, a suo giudizio,
potrebbe migliorare la vita investendo sulla cultura e
sulle piccole imprese. Alle giovani donne augura una
vera parità non solo nella sfera lavorativa ma anche in
quella domestico-familiare dove il ruolo femminile
continua ad essere preponderante. “Non si può –
commenta- continuare a pensare alle donne come persone
che stanno in casa e possono perdere una intera mattinata
per il disbrigo di qualunque commissione”.
336
`tÜ|xÄÄt
“ …E la società può scrivere sulle sue bandiere:
Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi
bisogni”.
Karl Marx
Mi piacerebbe essere Socrate, ma mi sento molto vicino a
Paperino!
Immagine tratta dal sito: www.it-it.abctribe.com - www.paid2write.org
Mariella è nata in Calabria ma si è trasferita a
Napoli per studiare all’università e poi ci è rimasta,
a Napoli non all’università. E’ una donna con
un’interiorità magmatica. Quando la ascolti puoi
quasi sentire il rumore frenetico degli ingranaggi nel
suo cervello. Un lavorio tutto femminile del tipo Schopenhauer aveva ragione su quella cosa …devo
ricordarmi di comprare il detersivo per la lavatrice…mia
figlia ha bisogno del certificato medico per tornare a scuola…
fra tre mesi mi scade il contratto come farò? - 47 anni di
introspezione. Ha due figli, uno all’università e l’altra
al ginnasio, che non solo invece di bisticciare come
cane e gatto si abbracciano e si fanno le coccole ma che
non si indirizzano nemmeno irrepetibili invettive l’un
l’altro (almeno non in mia presenza, ma ho la
sensazione che non lo facciano d’abitudine). La
domanda che si affaccia alla mente è: cosa metteva nei
loro biberon oltre al latte? Una laurea in filosofia e una
consistente esperienza sul campo nella scuola e nella
formazione professionale.
Le sarebbe piaciuto dedicarsi alla ricerca ma si è
scoperta con una passione per la didattica.
Una vita di precariato. Minuta con un impeccabile
caschetto castano quando è in aula con i ragazzi perde
tutta la sua compassatezza e si infervora. Li stimola al
dibattito, all’apprendimento consapevole, alla critica
e l’autocritica. A volte sfinita dal tran tran quotidiano
pensa ma chi me lo fa fare? Ma questo pensiero
negativo dura una frazione di secondo. Si rituffa subito
in una didattica che non lascia spazio alla “muffa” del
rapporto antico di tipo frontale con il docente in
339
cattedra e i discenti silenti nei banchi. Forse anche
perché dove sono più questi alunni silenti. A cercarli
nemmeno li si trova se non nella nostra memoria
quando la sola minaccia di una sospensione o di un
colloquio con il preside ci faceva tremare portandoci a
più miti consigli. Ha sempre voluto fare l’insegnante
ma non si aspettava di farlo in modo discontinuo,
frammentato, precario.
Alla domanda se si sente realizzata risponde: “Sono
contenta perché ho sempre svolto attività affini ai miei
interessi ma, nello stesso tempo, scontenta perché niente di
quello che ho fatto mi ha consentito quella stabilità
professionale ed economica che mi permetterebbe oggi di
essere pienamente realizzata come donna, madre, e
professionista”. Il suo ruolino di marcia quotidiano
prevede: sveglia alle 5,00 - 5,30. Caffè, caffè, caffè per
carburare. Poi subito sui libri per rivedere gli
argomenti da trattare in classe, pulizia casa e
organizzazione pranzo, preparazione per uscire (non
senza aver prima preparato la colazione e svegliato i
figli). “Esco di casa – continua - ed incomincia l’odissea
per raggiungere il posto di lavoro. Se posso torno a casa ad
ora di pranzo, nel pomeriggio mi occupo della casa, dei
ragazzi, ma soprattutto programmo il lavoro per il giorno
dopo. Infine, sopraffatta dalla stanchezza, mi abbandono tra
le braccia di Morfeo”. Quello a cui non rinuncerebbe
neanche per tutto l’oro del mondo è la sua famiglia,
quello di cui deve fare a meno è viaggiare. Il suo
segreto è non perdere di vista le cose importanti e
commenta: “io so di averle”. Dal settore pubblico
vorrebbe un impegno serio per risolvere il problema
del precariato e per migliorare la viabilità. Per lei che
340
si sposta con il trasporto pubblico dovendo fare tre ore
di lezione in una scuola al centro della città ed altre
due in un comune della provincia è un calvario
costante lottare con il traffico, gli scioperi e le
interruzioni per lavori stradali. Alla domanda su che
cosa acquisterebbe dal settore privato risponde: “Tutto
quello che può rendere più facile ed agevole la mia giornata,
ma anche più piacevole e significativa. Comprare, però, è un
verbo quasi in disuso nel mio vocabolario”.
A sua figlia e alle giovani donne augura di scoprire
e realizzare i loro talenti.
341
ctÉÄt
Sono come una tartaruga gigante.
Immagine tratta dal sito: www.t.123rf.com
Paola è come Bianconiglio, il personaggio di Alice nel
Paese delle Meraviglie, sempre di corsa. Fare una
riunione con lei fa venire l’ansia. E’ sempre con una
gamba protesa fuori dalla sedia pronta a scattare in
piedi e scappare via. Con scatto felino ed agile mossa
è fulminea nel guadagnare l’uscita. Sguscia come una
anguilla di Comacchio. Da piccola fantasticava di fare
l’arredatrice di giardini, una passione che ancora
coltiva (mai verbo fu più calzante). Non avendone
potuto fare una attività remunerativa ha optato per il
mondo bancario nel quale è una funzionaria. Le
domando come riesce a lavorare, seguire la casa e i
figli senza andare fuori di testa: “Vorrei saperlo anch’io.
Fondamentale è non essere mai intransigenti con se stessi.
Non è possibile, con tutti i ruoli che le donne sono chiamate
a ricoprire, essere perfette. L’errore è sempre in agguato!!!
Il preziosissimo aiuto di mia madre con i bambini, la
possibilità di pagare qualcuno che metta a posto casa (non
proprio come vuoi tu… ma meglio di niente), una
indispensabile agenda su cui scrivere tutto quello che devi
fare ed entro quando (ovviamente con margini di errore sui
tempi), e un ottimo senso dell’umorismo sono indispensabili
per mantenere l’equilibrio”.
La sua giornata tipo procede grosso modo così: ore
6.30 si parte con la preparazione della colazione per
tutti, sveglia bambini, vestizione e preparazione ed
avvio degli stessi a scuola o al campo estivo o dalla
nonna, ore 8.15 si parte con i bambini per le
destinazioni giornaliere, ore 9.00 – 18.00 ufficio
(lavoro pesante e organizzazione telefonica della
famiglia sia relativamente alle problematiche dei
nonni ormai vecchiarelli che dei bambini), ore 18.30
345
casa della nonna a prelevare i bambini che,
ovviamente, non aspettano altro che te per essere
ascoltati … ore 19.00 spesa per la cena, incombenza
cui qualche volta il marito si presta, ore 20.00 circa – e
a questo punto Paola dichiara “qui è la mia vera fortuna
mio marito, date le mie incertezze culinarie, mi ha proibito
di usare i fornelli e fa tutto lui” ore 21.00 circa –continua:
“il risvolto della medaglia: la cucina e’ un disastro e la devo
mettere a posto io perchè lui ha cucinato.” Ore 22.00
lavaggio bambini, pigiamini e tutti sul lettone per il
racconto della storiella prima di dormire, preceduta da
salti sul letto, cuscinate e reiterati appelli “state attenti
che vi fate male!”ore 23,30 bisogna innaffiare le piante
sul balcone (avendo scoperto la passione di Paola non
si tratta di qualche geranio in coma e due piantine di
basilico sbilenche) ore 24.00 – ultimo biberon di latte
al più piccolo, ore 24.10 finalmente si dorme … se non
fa troppo caldo. Alla domanda se le manchino il
tempo e le energie per fare qualcosa a cui tiene
risponde: “sistemare le foto dei bimbi, con le macchine
fotografiche digitali non si riesce mai a farlo… che nostalgia
il rullino di una volta!”. Quello a cui non rinuncerebbe
mai sono i bambini che le saltano addosso e la
sbaciucchiano quando torna a casa. Il suo segreto per
rimanere sana di mente è ridere di se stessi e degli
altri. Dal settore pubblico vorrebbe una maggiore
assistenza all’infanzia e un’organizzazione che
permetta alle donne di essere al lavoro con la
tranquillità di un reale supporto alla famiglia. Ad
esempio se il nonno deve andare dal cardiologo chi lo
accompagna? Se la nonna deve sbrigare una faccenda
all’ASL chi l’accompagna? Per principio non vorrebbe
346
dover ricorrere al settore privato ma è costretta a farlo
comprando servizi di assistenza. Alle generazioni di
donne future augura: “Certamente non un mondo in cui
siano previste le quote rosa perché mi sembrano i posti
sull’autobus riservati ai diversamente abili, la parità anche
attraverso il riconoscimento della maternità, maggiori
agevolazioni rispetto a quelle di oggi, come diritto proprio
del ruolo femminile nella famiglia. Noi non siamo uomini
(siamo superiori ovviamente) e molte di noi non vogliono
esserlo! Le discriminazioni sono insopportabili. Auguro
loro, inoltre, di poter vivere in un mondo più verde e
sensibile all’ambiente. Un mondo da cui venga bandita la
violenza”.
347
eÉátÇÇt
E’ una vitaccia, ma ce la faremo!
Se fossi un animale sarei un delfino perché adoro il mare
e perché è un animale socievole ed è ottimista nonostante
tutto!
Immagine tratta dal sito: www.liguriatg24.it
Sarà perché è ischitana ma Rosanna è decisamente
una persona solare. 42 anni anche se lei afferma: “in
realtà 18 e sei mesi!”. Sorridente, ottimista, instancabile.
Si acciglia solo quando il cielo si rabbuia. Una giornata
di brutto tempo è, per lei, è un insulto personale da
parte del Padre Eterno. E’ metereopatica o forse è solo
abituata a vivere su un isola dove il mal tempo non è
di casa. Capelli ricci e sguardo diretto ha una tabella
di marcia quotidiana ferrea: sveglia alle 5.30, un po’ di
pulizie in casa, alle 7.00 in azienda, a pranzo un
panino, pomeriggio tra l’azienda e le varie faccende
amministrative, alla sera spesa e cena dopo di che
viene sopraffatta dallo sfinimento. Da piccola pensava
che sarebbe diventata una mamma e un insegnante. La
vita le ha portato altro. Insieme al marito Michele, la
versione nostrana di Tyron Power, ha provato a far
decollare diversi progetti lavorativi, tra i quali c’è stata
anche una parentesi statunitense.
All’inizio del nuovo millennio hanno avviato un
allevamento di conigli allo stato semi-brado. Il famoso
coniglio ischitano. Rosanna è una imprenditrice
agricola. Una vera combattente. Rapporti con le
banche, con i fornitori, con i veterinari, con i
collaboratori, con la pubblica amministrazione, con i
clienti, con i ristoratori e gli albergatori. Non c’è
persona con la quale non parli, tratti e…sorrida.
“Certo- mi racconta- non è stato facile. Ancora oggi ci sono
uomini che entrano in azienda e chiedono di parlare con il
proprietario… e io serafica gli rispondo che lo stanno già
facendo”. E’ contenta del suo lavoro perché può
decidere come gestirne tempi e modalità ma questa
351
libertà ha un risvolto, le giornate di lavoro sono lunghe
e faticose e poi aggiunge: “Fare l’imprenditrice al Sud
non è come farla al Nord. Qui ci sono mille ostacoli, mille
pastoie burocratiche che ti rallentano e ti rendono le cose
molto più difficili. Ho comprato un macello semovente a
capacità limitata che nel resto d’Italia è autorizzato dalle
autorità sanitarie, da noi no. Lo sto ancora pagando e non
lo ho mai potuto usare, un danno enorme”. Per non uscire
fuori di testa si è creata uno spazio tutto per sé, la
domenica dopo aver foraggiato gli animali stacca la
spina e fa quello che la distende ovvero, finché il
tempo lo permette, si fionda a mare. Le manca
terribilmente non aver tempo per viaggiare, dedicarsi
di più alla lettura, poter seguire un corso avanzato di
inglese e imparare a fare i dolci perché allevare degli
animali significa non conoscere domeniche né feste
comandate. Quello a cui non rinuncerebbe mai sono la
famiglia e il cioccolato. Il suo segreto per mantenere
un discreto equilibrio mentale è sorridere e parlare con
persone intelligenti. La prima delle due è facile la
seconda un po’ meno perché le persone intelligenti
bisogna prima trovarle. Al settore pubblico chiede
maggior sostegno nelle difficoltà quotidiane,
formazione qualificata calibrata sulle reali esigenze del
settore agricolo e la concretizzazione delle filiere corte
che porterebbero all’eliminazione di molti dei passaggi
tra il produttore e il consumatore. Vorrebbe potersi
permettere una collaborazione domestica e un
collaboratore in azienda in grado di sostituirla per
poter fare una piccola vacanza. Alle donne più giovani
augura di occupare più posti di potere decisionale e di
riuscire a sviluppare, tra loro, una vera complicità.
352
eÉátÜ|t
Immagine tratta dal sito: www. cartamagia.com
Chicca è una signora. Non c’è altra parola per
definirla, o almeno quando l’ho conosciuta questa è
quella che mi è venuta in mente. Capelli castani e occhi
chiari brillanti striati da una vena di malinconia. Ha
studiato per realizzare il sogno che accarezzava fin da
bambina, andare a cercare le tracce del passato. Chicca
fa l’archeologa e dice: “Ora ho una gran paura di non
poterlo più fare perché la mancanza di lavoro mi rende troppo
instabile economicamente. A volte penso di essere tra le
fortunate che, almeno per un periodo della loro esistenza,
hanno potuto fare quello che desideravano e che quindi non
mi devo lamentare se ad un certo punto “il senso di
responsabilità” mi spingerà ad abbandonare il sogno e
mettere i piedi per terra. Altre volte però mi dico che questa
è una sciocchezza e che non posso, non devo e sopratutto non
è giusto abbandonare tutto e buttare al vento anni di
sacrificio, di studio e di lavoro perché questo paese è
governato da incapaci che non capiscono che la cultura non
è “a fondo perduto”. Le domando come si organizza le
giornate per far tutto senza andare fuori di testa e mi
risponde: «Il problema per me non è andare fuori di testa
quanto piuttosto mi piacerebbe non vivere nei sensi di colpa.
La mattina mi sveglio con un’angoscia tremenda pensando
alla giornata che mi aspetta e a come mi districherò tra mille
cose e la sera vado a letto pensando che potevo fare meglio e
di più se solo… E così va un giorno dietro l’altro sentendomi
in colpa per non “essere passata un momentino da mamma”,
per non essere riuscita a trovare il tempo di fare “quella
telefonata alla mia carissima amica”, per non aver avuto il
tempo di andare a trovare quella persona che è così sola e alla
quale ho pensato tutto il giorno, per essermi dimenticata il
latte ed essermelo ricordato solo nell’attimo in cui ho infilato
355
la chiave nella toppa della porta di casa… insomma per aver
fatto tante cose, ma forse non quelle davvero importanti. La
domanda alla fine della giornata è … e domani come faccio?»
Quello che le piacerebbe tanto fare è mettere ordine
nella sua vita. Quello per cui sta lottando affinché non
diventi una rinuncia bruciante è continuare a fare
l’archeologa. Ma di rinunce ne ha già fatte. “Le rinunce
che ho fatto – continua - sono quelle relative al dover
sottostare a dei compromessi in ambito lavorativo e non
all’inizio della carriera ma continuamente. Credo nel lavoro
come stimolo e gratificazione personale. A volte penso che il
risultato che mi rende più orgogliosa sia l’essere riuscita a
diventare un archeologo come sognavo. Quando torno in me
mi rendo conto che questo non è un risultato vista la
condizione di precarietà in cui mi trovo e allora penso di aver
sbagliato tutto”.
Il suo segreto per mantenere un accettabile
equilibrio mentale è sedersi al bar con un’amica,
raramente mi dice, o passare del tempo in libreria. Dal
settore pubblico vorrebbe maggiore fiducia, stima e
rispetto per il lavoro che ogni giorno portano avanti
migliaia di donne. «Sarebbe “utile” - afferma - se si
cominciasse a pensare davvero che il lavoro non sia per le
donne solo un bel passatempo per scappare dalle incombenze
familiari. Su questa idea si potrebbero anche promuovere
leggi a favore di una riduzione del costo del lavoro
(naturalmente questo non riguarda solo le donne ma anche i
cosiddetti “giovani” che giovani non lo sono più da un
pezzo!)». Al settore privato si rivolge per avere una
persona che la aiuti in casa. A sua figlia e alle giovani
donne augura di riuscire ad essere serena qualunque
strada scelgano di seguire nella vita.
356
f|ÄätÇt
Immagine tratta dal sito: www.pilatesfirenze.it
Silvana è una donna gentile. Quando la incontro è
quasi nascosta dai faldoni di carte che affollano la
scrivania dell’ufficio di un ente locale partenopeo per
il quale lavora. 57 anni, un marito, dei figli e la
consapevolezza che per loro sarà molto più difficile di
quanto non lo sia stato per i loro genitori trovare un
lavoro. Da bambina le sarebbe piaciuto fare la maestra
elementare insegnando ai più piccoli. Poi ha preso
altre strade. Le domando se è contenta del lavoro che
fa e mi risponde: “Sono scontenta perchè faccio un lavoro
ripetitivo, però non mi lamento perché ho avuto la grande
fortuna di lavorare”. Onesta e sincera. Concilia la sua
vita in ufficio con quella familiare ricorrendo ad una
buona organizzazione e a una collaborazione
domestica tre volte la settimana. La sua giornata tipo
contempla la sveglia alle 6, il timbro il cartellino alle
7,45 e il lavoro fino alle ore 15,30, se non ci sono
straordinari, ritorno a casa verso le 16,30 per occuparsi
di tutto ciò che c’è da fare (la spesa, cucinare,
riordinare). Quello di cui non si priverebbe mai è
andare in palestra due volte la settimana: “il pilates mi
scarica tantissimo” – mi racconta. Ciò per cui le
scarseggia il tempo è leggere un bel libro ma, almeno
la sera, cerca di leggere i quotidiani. Il suo segreto per
preservare un discreto equilibrio mentale consiste nel
non farsi sottrarre almeno due spazi a settimana da
dedicare solo a se stessa per fare qualcosa di
gratificante: andare in palestra, frequentare un corso
di ballo, qualsiasi cosa faccia star bene e funzioni come
stanza di compensazione. Di quel che vorrebbe dal
settore pubblico dice: “sicuramente in ogni ente pubblico,
come anche nel settore privato, ci vorrebbero degli asili nido
359
per aiutare le mamme che lavorano e che spendono tra baby
sitter e asili privati buona parte del loro stipendio (mio figlio
per cinque lunghi anni ha avuto una baby sitter) e poter
avere degli orari più flessibili in modo da conciliare famiglia
e lavoro e non essere sempre penalizzate in quanto donne in
carriera”. Alle giovani donne augura di poter lavorare.
360
itÄxÜ|t
Se mi dovessi identificare in un animale sarei un cavallo
per la sua ambivalenza di fondo che lo vede da un lato come
un essere tenero e mite, profondamente libero, dall’altro
come un concentrato di forza istintuale, capace di incutere
anche paura ma solo per pura difesa.
In realtà è un animale che non attacca, ma si difende,
cerca il contatto ed entra volentieri in comunicazione con
chi sappia farsi con lui disponibile a cercare un linguaggio
comune… cosa importante in una società come la nostra!
Valeria ha lunghi capelli castani sempre
compostamente raccolti. E’ seria e professionale. Al
lavoro indossa scarpe chiuse anche in pieno agosto con
50 gradi e mai la si è vista in ufficio con una gonna.
Forse con il passare degli anni si rilasserà
concedendosi qualche frivolezza. Ma come dice di sé:
“Sono bella e cara ma non fatemi perdere la tramontana!”.
Mi racconta di aver visto diverse prepotenze di
stampo decisamente “maschilista” in contesti
lavorativi. Mi piacerebbe esserci in una situazione di
turbolenza atmosferica per vederla all’opera. Da
piccola immaginava di guadagnarsi da vivere
scrivendo come giornalista, sempre sulla notizia o, in
maniera più rilassata e meditabonda, come scrittrice.
Per scrivere, scrive, ma come consulente per le
imprese. Le domando se è soddisfatta della scelta
lavorativa. Risponde: “Sono contenta di aver conseguito
la laurea in giurisprudenza per la completezza del percorso
di studi ma scontenta per l’impossibilità di svolgere la
professione forense nella mia città, (Napoli), a causa di un
sistema disordinato e poco trasparente”. Da poco sposata
alle prese con muratori, idraulici, spesa, bucato e
cambi di stagione (non se lo aspettava così faticoso e
impegnativo) si organizza prediligendo un approccio
“elastico” senza penalizzare i propri spazi e soffocare
le proprie ambizioni. Quando le chiedo come è
scandita la sua giornata mi racconta: «Lavoro in ufficio,
lavoro a casa, continuamente in giro per lavoro saltando
quasi quotidianamente qualsiasi spacco o pausa pranzo/cena
che si rispetti… week end “preferibilmente” senza lavoro!».
Quello a cui non rinuncerebbe mai sono le buone
letture e i momenti di relax con marito e amici. Quello
363
che proprio non riesce a fare per mancanza di tempo
ed energie è praticare sport. Salvaguarda il suo
equilibrio mentale con un notevole sforzo e spirito
organizzativo unito ad una buona dose di tolleranza e
rispetto. Dal settore pubblico desidererebbe ricevere
lo snellimento dei passaggi burocratici per la richiesta
di qualsiasi documento o prestazione. E puntualizza:
“Ci sono numerosi servizi gestiti dal settore pubblico ma
l’offensiva a cui sono esposti, negli ultimi anni, porta a un
mondo dove tutto è sempre più una merce. Certo il settore
pubblico, nella gestione di questi servizi, svolge un ruolo
essenziale per la solidarietà sociale e per la pratica dei diritti
fondamentali ma si sente sempre più il bisogno di un
prodotto finale migliore e di una maggiore trasparenza”.
Alle donne delle generazioni future augura il meglio
che la vita possa offrire in ogni ambito, in particolare
una situazione lavorativa stabile che rifletta le
proprie ambizioni personali e le proprie competenze
professionali.
364
Postfazione
Essere giunti alla seconda annualità del progetto
Donna e Impresa rappresenta, già da solo, un non
trascurabile traguardo. Parlare di economia, lavoro e
impresa con pari dignità scrollandosi di dosso l’odiosa
etichetta di “imprenditrici in rosa” non è scontato. Le
donne che con il proprio lavoro e impegno quotidiano
contribuiscono alla crescita del nucleo familiare e
dell’economia sono ancora oggi costrette a lottare con
modelli culturali che le vogliono subalterne. Relegate
in ruoli minori in ambito lavorativo, nella carriera, nei
luoghi decisionali, nella politica, nelle istituzioni e, in
certi casi anche nella sfera affettiva e familiare. In
verità facciamo una fatica enorme e ci tocca sempre, in
ogni momento e ogni occasione, dimostrare di essere
brave. Grazie alla possibilità offerta dalla Camera di
Commercio di Napoli, che ha finanziato il progetto, da
due anni incontro donne, in tutt’Italia, che sollecitate
rispondono agli interrogativi sollevati dalla
Confesercenti in tema di contratti di lavoro,
legislazione in materia di conciliazione di tempi di vita
e di lavoro e prospettive future. Ho partecipato a
numerosi incontri e dibattiti in cui ho avuto il piacere
di presentare le due pubblicazioni realizzate, quella
dell’anno scorso sul precariato, Una vita da precaria –
riflessioni di una quarantenne sul mercato del lavoro e
questa sulla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro
365
e ovunque sia andata ho sempre ricevuto una calorosa
accoglienza da persone che si sono complimentate per
aver affrontato con coraggio e serietà temi che, troppo
spesso, vengono liquidati sbrigativamente e con
fastidio come “cose di donne”. Beh l’economia non è
cosa né di uomini né di donne, così come non lo sono
il lavoro, l’impresa e la famiglia. Sono argomenti,
questi, che ci riguardano tutti e da vicino, oggi più di
prima. Come direttore della Confesercenti di Napoli e
come imprenditrice vivo tutti i giorni le enormi
difficoltà legate alla vita delle piccole e medie imprese
del nostro territorio e so che non ci si può più
permettere il lusso di perder tempo in sterili e inutili
contrapposizioni di genere. E’ di vitale importanza
valorizzare le attitudini, le competenze e le esperienze
di ogni persona a prescindere dal genere cui essa
appartenga. Il valore su cui puntare è la persona nella
sua interezza, l’individuo con il corredo personale che
mette in gioco nel lavoro di squadra. Sono fermamente
convinta che lavorare in squadra sia la sfida più
importante da cogliere. Solo coniugando le
potenzialità di più soggetti che lavorano insieme in
armonia si raggiungono obiettivi impegnativi. E
davanti a noi ce ne sono tanti di traguardi da
raggiungere. Le donne devono finalmente poter
esprimere le proprie capacità al meglio senza rimanere
intrappolate in stereotipi e pregiudizi. Basta con la
declinazione di uno stile di lavoro “al maschile” in cui
le donne adottano stili di comportamento e abiti dei
loro colleghi uomini. Le donne sono portatrici di idee,
metodologie, innovazione, dedizione, creatività e
attitudine alle relazioni interpersonali. Sono
366
naturalmente portate a prendersi cura degli altri,
anche delle idee e dei progetti degli altri se vissuti
come condivisi. Sono, quindi, orgogliosa e contenta dei
risultati del lavoro che stiamo svolgendo poiché essi
testimoniano la bontà delle mie parole: una buona
squadra può fare grandi cose.
Il mio ringraziamento va al Presidente della Camera
di Commercio, Maurizio Maddaloni, per la sensibilità
e l’intelligenza mostrata nel partecipare alle iniziative
organizzate nell’ambito delle attività e a chi condivide
le idee che sono alla base di questo progetto e mi fa da
sprone ogni qual volta vengo colta dalla stanchezza,
Francesca Vitelli. A Francesca va riconosciuto, tra gli
altri, il merito di essere riuscita a trattare argomenti
seri e complessi in modo lieve e scorrevole e, non
ultimo, di postulare con me una filosofia di vita: non
mollare, mai!
Tecla Magliacano
Direttore Confesercenti Provinciale di Napoli
367
Ringraziamenti
Ringrazio il direttore della Confesercenti di Napoli,
Tecla Magliacano, per la sensibilità, l’intelligenza e la
lungimiranza con cui accoglie e condivide le proposte.
Per l’entusiasmo e l’instancabile impegno con cui ha
portato avanti, e continua a portare avanti, i progetti
che riguardano il lavoro delle donne. Ho il sospetto
che la si possa di diritto annoverare tra le donne che
hanno iniziato ad esercitarsi su come ottimizzare i
tempi e organizzare gli impegni della famiglia, della
casa, degli affetti e del lavoro fin dalla culla!
A lei va riconosciuto il merito della realizzazione di
questa pubblicazione e la capacità di commuoversi in
ogni occasione che ritiene consona.
E’ altrettanto doveroso ringraziare la Camera di
Commercio di Napoli che ha finanziato questo lavoro
riconoscendone la bontà. Desidero, inoltre, ringraziare
tutte le donne che mi hanno dedicato tempo e
attenzione rispondendo alle domande e raccontando
frammenti della loro vita. So di non aver potuto render
loro giustizia a pieno ma spero di averne colto i tratti
salienti. E un grazie va alle mie impareggiabili e
adorate figlie a quattro zampe (in ordine di
apparizione): Dalmatica, Maruzzella, Luà e Betty
che mi seppelliscono sotto tonnellate di affetto
incondizionato e costante allegria. Non passa giorno
369
che non mi stupisca di quanto riempiano la mia
esistenza regalandomi serenità e momenti di gioia.
Un grazie è per Paolo Pignalosa e Rosario Spagnolo
della tipografia Pignalosa che con pazienza e
attenzione collaborano alle fatiche di chi scrive.
Chiunque volesse commentare il contenuto di
questa pubblicazione potrà farlo inviando una mail
all’indirizzo: [email protected]
370
Riferimenti bibliografici
Agenzia locale di sviluppo Città del fare Scpa “Le pari
opportunità di genere: condizione per lo sviluppo e il benessere
sociale” 2008
Alberoni R.G. “Io voglio” Rusconi 1990
Alliance for Work-Life progress, “Flexible Rightsizing as a
Cost-Effective Alternative to Layoffs, www.worldatwork.org
Alesina A, Gavazzi F. “Una svolta per la crescita-Dieci
proposte (a costo zero) per dare una scossa all’Italia ” Corriere
della Sera 24.10.2011
Allegretti S. “La conciliazione famiglia e lavoro: una nuova
cultura aziendale” Il Sole 24 ore
Allegretti S. “La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e
la normativa di riferimento” Il Sole 24 ore
Allegretti S. “La conciliazione che funziona: esperienze di
successo e di miglioramento della qualità del lavoro” Il Sole 24
ore
ANCI “I Comuni e le politiche familiari – spunti di analisi e
di proposta” 2010
AREL, “Flessibilità e sicurezze: il nuovo welfare dopo il
protocollo del 23 luglio” 2007
AA.VV. “Conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro.
Quali politiche e quali indicatori” Centro documentazione donna
di Modena
371
Bartolini S., Morga C., Volpi F. “Conciliazione dei tempi di
vita e di lavoro – l’esperienza di un progetto europeo” Enaip
Formazione & lavoro 1/2008
Bavaro V., Carabelli U., Sforza G., Voza R. “Tempo Comune –
conciliazione di vita e lavoro e armonizzazione dei tempi della
città” Franco Angeli 2009
Benini F. “Economia femminile: qual è il ruolo delle donne
italiane?”Markup 201
Bernardini I., “Elogio di una donna normale – storie di donne
e dei loro spericolati sogni di tutti i giorni” Mondadori 2010
Bersani D. “Indignate è arrivato il momento di dire basta”
Newton Compton editori 2011
Bettio F., Smith M., Villa P., “Le donne nella grande crisi. Sfide
e opportunità” www.InGenere.it
Bettio F. Smith M Villa P. “Women in the current recession .
Challenges and Opportunities “2009
Bianco R., Salimbene M.R. “Il ruolo della donna nell’economia
locale: indagine a livello della provincia di Napoli” 2009
Bianchi L., Provengano G., “Il Sud e la condizione delle
donne” Svimez 2010
Bombelli M.C., Cuomo S. a cura di “Il tempo al femminile”
Etas 2003
Boston College Center for work and family, “Overcoming the
implementation gap: how 20 leading companies are making
flexibility work” 2008
Boston College Center for work and family, “The work life
evolution study” 2007
372
Boston Consulting Group, “The future of HR in Europe – Key
challenges through 2015”
Burundarena M. “Donne a fior di nervi” Mondadori 2003
Burundarena M. “Vite smagliate – (Donne a fior di nervi 2)”
Mondadori 2004
Buzan T., “Mappe mentali” Alessio Roberti Editore 2008
Cardarello C., “Le assenze nel rapporto di lavoro
subordinato”- Giuffrè 2003
Carlini R. “Fisco per le donne, un Renzi in due staffe” 03.11.11
www.ingenere.it
Centra M. Cutillo A. “Differenziale salariale di genere e lavori
tipicamente femminili” Isfol 2009
Censis “ Donne e politica. Vecchie legature e nuove chances.”
2003
Chiaia E. “Il tempo delle donne” www.vitafelice.it
Cittalia Fondazione ANCI Ricerche “Le donne e la
rappresentanza – una lettura di genere nelle amministrazioni
comunali” 2010
Cittalia Fondazione ANCI Ricerche “Il futuro in mano a chi?
Giovane Italia: una generazione sospesa tra incertezze e voglia di
partecipazione” 2009
CNEL “Il lavoro delle donne in Italia” 2010
CNEL “ La nuova Strategia di Lisbona post 2010”, 2010
Colombino U. “Meno tasse per tutte? Proposta a rischio”
21.04.2011
Commissione Europea “Flexible working time arrangements
and gender equality”
373
Commissione Europea COM (2006) 92 definitivo “Una tabella
di Marcia per la parità tra uomini e donne”
Commissione Europea, Directorate-General for Employment,
Social Affairs and Equal Opportunities Unit G.1, “Report on
equality between women and men 2010”, 2009
CONSOB Quaderno n. 70 “Women on boards in Italy”
Ottobre 2011
Cremer & al., Tagging and Income Taxation: Theory and an
Application, American Economic Journal: Economic Policy, 2010,
2(1): 31–50
Cristina di Belgioioso “Della presente condizione delle donne
e del loro avvenire” Nuova Antologia di Scienze lettere ed arti
Firenze 1866 – Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Damioli G. “Un credito fiscale per le donne che lavorano”
21.09.11 www.ingenere.it
D’Ippoliti C. “Attente alla trappola del quoziente familiare”
29.01.10 www.ingenere.it
“Donna e impresa – una storia da raccontare” Camera di
Commercio di Firenze 2010
Figari, F. “From housewives to independent earners: can the
tax system help Italian women to work?”. ISER Working paper
2011-15. Colchester: University of Essex 2011
Gobbi D. “Conciliare famiglia e lavoro: un aiuto dai fondi
Articolo 9 della legge 53/2000” Isfol 2009
Gruber L. “streghe – La riscossa delle donne d’Italia” Rizzoli
2008
Fonter “Sìgnora – occupazione femminile nel terziario
un’opportunità trascurata, una risorsa da valorizzare” 2008
374
INAIL – “La conciliazione dei tempi di vita e lavoro fa bene
alle aziende. La ricerca di I-Csr “www.inail.it - 2011
Indiretto G., Belmonte S., Addobbo T., De sanctis A., “Fiscalità
e offerta di lavoro: una prospettiva di genere” Isfol 2008
ISFOL – “Mercato del lavoro e politiche di genere I Rapporto
sull’occupazione femminile in Italia 2009-2010”
ISFOL “Occupazione e maternità: modelli territoriali e forme
di compatibilità” 2010
ISTAT – “Indagine multiscopo sull’uso del tempo” (2008-09)
ISTAT –“Rapporto annuale sulla situazione del Paese nel
2008” 2009
“Italia 2020. Programma di azioni per l’inclusione delle donne
nel mercato del lavoro”, Ministero Pari Opportunità e Ministero
del Lavoro 2009
King J., “Cose da donne – bizzarre verità sulle donne… dalle
teenagers alle nonne” Edicart 2002
“Conciliazione tempi di vita e di lavoro, le linee guida per gli
interventi” www.regione.marche.it
Leonardi M. “Conciliare i tempi di vita e lavoro, qualche
novità” Officina Genitori – 2011
Losito Bellavigna E., Zavanella T. “Le donne: motore per lo
sviluppo e la competitività” 2010
McKenna E. P. “Donne che lavorano troppo – vita privata,
lavoro e identità” Mondadori 2002
Mckinsey&Company, “Donne ai vertici: un acceleratore della
performance aziendale” Associazione Valore D
Mckinsey&Company, “A business case for women” 2008
375
Naldini M. “Tempi di lavoro e tempi di vita. Strumenti di
“genere” per la conciliazione:alcuni dati e riflessioni a margine
di uno studio di caso” atti del Convegno Che “genere” di
conciliazione? Famiglia, lavoro e Genere: equilibri e squilibri
Nannicini A. “Le parole per farlo – Donne al lavoro nel
postfordismo”Derive approdi 2002
OCSE – Employment Outlook 2010
Ocmin L., “Conciliazione CISL punta su 2° livello” Conquiste
del Lavoro 10.04.11
Ocmin L., “Conciliazione, nati primi modelli virtuosi”
Conquiste del Lavoro 15.05.11
Paladini R. “Tasse e figli, le novità del “fattore famiglia”
18.10.11 www.ingenere.it
Paladini R. “Il quoziente familiare serve a pochi”
www.ingenere.it
Piazza M., “Le trentenni – fra maternità e lavoro, alla ricerca
di una nuova identità” Mondadori 2003
Pearson A., “Ma come fa a far tutto?” Mondadori 2004
Progetto di ricerca “Conoscere per conciliare” per Comune di
Faenza www.vivanetworking.it
Rampazi M. “tempo di vita/tempo di lavoro nell’esperienza
femminile” lezione tenuta al corso “Donne, Politica, Istituzioni”
a.a. 2005-06
Reggiani F. “Tutto quello che le donne (non) dicono” Piemme
2005
Regione Campania “Piano strategico triennale per
l’attuazione delle politiche per le Pari Opportunità e per i diritti
di tutti” 2008-2010
376
Regione Campania “Calipso. Primo rapporto sull’imprenditoria femminile in Campania”
Regus, “Flexible working mums – A study of mothers
returning to work across the globe” 2009
Ricci A. “La retribuzione integrativa e disuguaglianza di
genere: il ruolo dei fattori osservabili” Isfol 2010
Saraceno C., “Alcune considerazioni in tema di quoziente
famigliare” www.nelmerito.com
Sasso C. “Donne che amano il lavoro e la vita. La via
femminile al successo” Sperling & Kupfer editori 2002
Sasso C. Zucchelli S., “Un’ora sola io vorrei” Sperling &
Kupfer 2005
Schiavazzi V., “Il lavoro è il miglior amico delle donne –
vantaggi (e svantaggi) di un tempo pienissimo” Sperling &
Kupfer 2004
Scisci A., Vinci M., “Differenze di genere, famiglia, lavoro”
Carocci 2002
SDA Bocconi, “maternità, quanto ci costi?” Milano 2009
Shipman C., Kay K. “Womenomics” Cairo 2010
Silverstein M., Sayre K, Butman J. a cura di Pianon N., Regazzi
M. “Le donne vogliono di più” Rizzoli, 2010
Sistemi Formativi Confindustria S.c.p.a.,”La promozione delle
pari opportunità nelle piccole e medie imprese” 2009
Soffici C., “Ma le donne no – come si vive nel Paese più
maschilista d’Europa” Feltrinelli 2010
Sorrenti R.” Diversity Management & Work-Family Balance,
vie possibili tra equilibrio personale e competitività aziendale”
377
Statistics on Discrimination and Database on Complaints A
contribution from national equality bodies – Equinet 2009
Strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione.
Programma nazionale di riforma per l’Italia 2008-2010 Stato di
attuazione al 2009 e risposta alla crisi economica, CIACE –
Dipartimento per le Politiche Comunitarie della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, 2009
Stern E.S., “Riflessioni per donne indispensabili ma esauste”
Corbaccio 2003
Sue R. “Il tempo in frantumi. Sociologia dei tempi
sociali”Dedalo 2001
The Socio-Economic Impact of Pension Systems on Women,
2009
Trivellato U. “Regolazione, welfare e politiche attive del
lavoro” in atti del convegno Il lavoro che cambia Roma 2009
Viale V. “Un approccio comparato alla conciliazione tra vita
lavorativa e vita familiare” Isfol 2011
378
Indice
Prefazione di Laura Frati Gucci
Presidente Les Femmes Chefs d’Enterprises
Mondiales
pag.
5
Introduzione di Maurizio Maddaloni
Presidente Camera di Commercio di Napoli
pag.
7
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
13
21
33
37
41
53
63
69
81
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
89
101
107
113
121
127
135
143
153
159
165
Parte I – L’inverno del nostro scontento
Concilia?
Il concetto di indispensabilità
La coabitazione è un atto contro natura
Le donne chiocciola
Eta Beta e Mary Poppins
Il superamento del concetto di “doppia presenza”
Necrologio di Wonder woman
Donne e lavoro
L’imparità salariale
Gli effetti della crisi economica sull’occupazione
femminile
I percorsi di istruzione in un ottica di genere
Come ci si veste al lavoro?
Donne e demografia
La condizione femminile
Lavori da donna e lavori da uomo
Le donne fanno squadra?
L’approccio relazionale
Ma perché le donne piangono?
Lo stereotipo delle favole
Identità personale e identità professionale
379
Insulti e turpiloquio di genere
L’imperativo della trasparenza
Un rapporto di amore-odio
L’importanza del pensiero laterale e la
dimensione temporale
pag.
pag.
pag.
173
177
183
pag.
189
Parte II – Quadro normativo di riferimento e azioni positive per
la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro
Il mainstreaming – la genesi di un cambiamento
culturale
pag.
197
Le azioni comunitarie: la road map per la parità
di genere e il patto europeo per l’uguaglianza di
genere
pag.
201
La consigliera di parità
pag.
205
Le nuove professioni nate dalla conciliazione tra
tempi di vita e di lavoro
pag.
217
La normativa di settore
pag.
223
Tipologie di congedo previste dalla normativa
pag.
231
La programmazione in Campania
pag.
235
Le buone prassi nelle diverse realtà italiane
pag.
249
Bilancio di genere
pag.
255
Patto sociale di genere – Le esperienze delle
Regioni Puglia e Liguria
pag.
259
Donne e rappresentanza
pag.
265
Banca del tempo e banca delle ore
pag.
273
Parte III – Storie di ordinaria peripezia
Anna
Betty e Titti
Carmen
Celeste
380
pag.
pag.
pag.
pag.
279
285
291
295
Clotilde
Daniza
Emanuela
Giovanna
Ileana
Katia
Lorenza
Mara
Mariella
Paola
Rosanna
Rosaria
Silvana
Valeria
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
301
305
309
313
317
321
327
333
337
343
349
353
357
361
Postfazione di Tecla Magliacano
pag.
365
Ringraziamenti
pag.
369
Riferimenti bibliografici
pag.
371
Direttore Confesercenti Provinciale di Napoli
381
FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI MARZO 2012
NELLA TIPOGRAFIA PAOLO PIGNALOSA - PORTICI
LA PUBBLICAZIONE È STATA REALIZZATA CON IL FINANZIAMENTO
DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI NAPOLI
NELL’AMBITO DEL PROGETTO
“DONNA E IMPRESA: SVILUPPO E CONCILIAZIONE”
LA PUBBLICAZIONE È FUORI COMMERCIO.
I contenuti della pubblicazione non possono essere riprodotti nè manipolati con alcun mezzo senza
l’autorizzazione scritta di Confesercenti Napoli.
Francesca Vitelli
“Agli uomini
hanno insegnato
a scusarsi
per la loro debolezza;
alle donne,
per la loro forza”.
Lois Wyse
“Mostratemi
una donna che non
si senta in colpa
e io vi mostrerò
un uomo”.
Rachel Hare-Mustin
Donne sull’orlo
della Conciliazione
Appunti tra tempi di vita e di lavoro