TdO_6-2011 - Ortho Academy

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TdO_6-2011 - Ortho Academy
Anno VI
ISSN 1970-741X
Le Fratture
di Bacino
Allergie
ai Metalli
EDITORIALE
Recentemente abbiamo presentato, nelle pagine di questo Giornale, un’iniziativa web dell’editore Griffin: il sito
OrthoAcademy (www.orthoacademy.it), un portale che
verrà gradualmente implementato con rassegne della letteratura internazionale, arricchito da casi clinici e ricerche originali e, nell’area riservata agli iscritti, corredato
da video chirurgici.
Perché questa iniziativa?
Le informazioni pubblicate nella letteratura cartacea (dai
manuali ai testi alla riviste professionali) rappresentano
una fonte autorevole di informazioni per una decisione
clinica ottimale. Tuttavia è generalmente difficile poter
localizzare tali informazioni rapidamente, per la carenza
di un’adeguata indicizzazione e per il problema di mantenere organizzato il materiale stampato. Inoltre passa un
sensibile lasso di tempo prima che nuove informazioni
vengano pubblicate e, una volta pubblicate, diventano
rapidamente datate: senza contare che è piuttosto
dispendioso dotarsi di gran quantità di informazioni su
stampa in modo accurato e aggiornato, completo e facilmente accessibile.
La maggior parte dei medici ha bisogno di consultare
altre fonti di conoscenza clinica e di esperienza, almeno
occasionalmente. (Per inciso, chi studia o lavora nel
campo medico conosce l’importanza di PubMed, il database bibliografico della National Library of Medicine,
contenente informazioni sulla letteratura scientifica biomedica dal primo dopoguerra a oggi, con milioni di riferimenti bibliografici derivati da migliaia di periodici e
riviste biomediche).
Peraltro, è praticamente impossibile per il clinico ricordare
Continua a pag. 2
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Poste Italiane Spa - Sped. in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. I comma I, DCB Milano Taxe Perçue
La Valutazione
Clinico-Metabolica
ORTHOviews
la Ricerca nel Mondo
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Un luogo virtuale
dove crescere insieme
Numero 6/2011
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Chirurgia
Ricostruttiva
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Paolo Rossi
Congresso Nazionale SIdA
Lo stato dell’arte
in chirurgia dell’anca
1-5 ottobre
96° CONGRESSO NAZIONALE SIOT
Materiali e rivestimenti in ortopedia
Biotecnologie applicate alla traumatologia
Rimini, Nuovo Palazzo dei Congressi
Presidenti del congresso
Francesco Greco, Nicola Pace
GUARDA LA PRESENTAZIONE VIDEO SU www.orthoacademy.it
Segreteria Organizzativa: Studio Ega
Tel. 06.328121 - Fax 06.3240143
www.congressosiot.it/2011 - [email protected]
GRIFFIN EDITORE
www.griffineditore.it - [email protected]
Corsi
e Congressi
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FACTS&NEWS
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nenti.
Stesso discorso va fatto per
la navigazione. A fronte di
un aumentato tempo chirurgico, i risultati non sono
diversi da quelli ottenuti con
le tecniche convenzionali.
La navigazione potrebbe
essere utile per un corretto
posizionamento delle componenti nelle tecniche mininvasive o nell’impianto di protesi di superficie. Tuttavia
restano le perplessità di cui
ho parlato prima.
Chirurgia dell’anca
specialità in forte sviluppo
Il punto con l'esperto su accoppiamento dei materiali, soluzioni
per il deficit osseo, protesi di superficie, chirurgia mininvasiva,
navigazione computer assistita e chirurgia conservativa
Uno degli eventi ortopedici più attesi quest’anno
si svolgerà a Torino tra il 9 e il 12 settembre: è il
congresso della Società italiana dell’anca
(Sida), in cui i principali esperti del settore
f a r a n n o i l p u n t o s u ll o s t a t o d e l l ’ a r t e e s u l l e
prospettive di questa chirurgia.
Alla presidenza del congresso un nome
illustre: Paolo Rossi, professore ordinario di
ortopedia e traumatologia all'Università di
Torino e direttore del dipartimento e della
prima clinica universitaria presso l’Azienda
Ospedaliera Cto - Maria Adelaide di Torino.
Professor Rossi, quali
caratteristiche sono
richieste ai materiali
utilizzati nelle protesi
d’anca?
Le caratteristiche ideali dei
materiali utilizzati negli
impianti protesici si possono
riassumere in cinque punti:
ottima osteointegrazione,
ottima resistenza a impatti e
sollecitazioni cicliche, scarsa
produzione di detriti e di
ioni, minimo attrito a livello
dell’accoppiamento, bassi
costi.
Gli ultimi quattro riguardano
maggiormente l’accoppiamento testina-inserto, mentre osteointegrazione, resistenza e costi sono i fattori
più rilevanti per le componenti metalliche (stelo e acetabolo). Tutti i materiali utilizzati devono inoltre essere
biostabili e bioinerti.
Nonostante il continuo
miglioramento delle proprietà biomeccaniche dei
materiali, una protesi con
tutte queste caratteristiche
purtroppo non esiste ancora.
Quali accoppiamenti
vengono usati e quali
sono le loro
caratteristiche?
Gli accoppiamenti testinainserto più comunemente
utilizzati sono metallo-polietilene, ceramica-polietilene,
ceramica-ceramica e metallometallo. Gli accoppiamenti
con il polietilene sono di
nuovo largamente utilizzati,
grazie al miglioramento delle
proprietà biomeccaniche del
polietilene stesso.
Alcuni studi di laboratorio e
clinici con follow-up lungo
(10-22 anni) hanno dimostrato un’usura minima del
polietilene di nuova generazione (highly cross-linked ultra
high molecular weight Uhmwpe), quasi non misurabile. Rimangono tuttavia
ancora dei dubbi a proposito
della resistenza a rottura del
Uhmwpe, soprattutto in caso
di malposizionamento dell’acetabolo e nelle protesi di
ginocchio postero-stabilizzate.
Anche le nuove ceramiche
(in ossido di alluminio)
hanno dimostrato minima
usura e produzione di detriti.
Con i nuovi materiali sono
anche disponibili teste in
ceramica di grande dimensione. Il rischio di rottura della
ceramica è presente, ma
molto raro (meno di 1 per
1000). Un altro rischio raro
della ceramica è quello dello
squeaking, il “cigolio”.
Gli accoppiamenti metallometallo, che hanno inizialmente avuto un grande successo grazie alla possibilità di
avere ridotta usura, teste di
grande dimensione e aumentata motilità, presentano tuttavia rischi di liberazione sierica di ioni metallici, reazioni
da ipersensibilizzazione e
allergiche.
Stiamo andando verso
degli standard o ancora
tutto dipende dalle
preferenze del chirurgo e
dalle caratteristiche del
caso clinico?
Un vero e proprio standard
non esiste ancora.
La netta superiorità di un
accoppiamento sugli altri
non è ancora stata dimostrata.
Cosa comporta l’utilizzo
della vitamina E?
Uno di problemi principali
legati all’utilizzo del polietilene è rappresentato dalla sua
ossidazione. Tale fenomeno
rende complessi anche i processi di sterilizzazione del
polietilene stesso.
L’utilizzo della vitamina E (o
alfa-tocoferolo),
inserita
nella polvere di polietilene
prima della consolidazione,
sembra ridurre in vitro questo
processo di ossidazione e
aumentare resistenza e longevità dell’inserto. Tuttavia la
reale efficacia di tale aggiunta
è supportata da poche evidenze in vivo.
I materiali hanno
importanza anche
relativamente al deficit
osseo. Quali sono i
principali sostituti d’osso,
biologici e non biologici,
e quali problematiche
presentano?
La revisione di vecchi
impianti protesici, con perdita di bone stock, è un problema con cui ci si confronta frequentemente nella pratica
clinica e con cui ci si confronterà sempre di più data
l’attuale tendenza a impiantare protesi d’anca in pazienti
giovani con alte richieste
funzionali, ovviamente quando non ci sono altre opzioni
terapeutiche.
La perdita di bone stock
rende il reimpianto molto
difficile. Quando possibile,
l’utilizzo di innesti d’osso
autologo od omologo rimane
la prima scelta. Diverse tecniche chirurgiche sono state
descritte per colmare difetti
di bone stock con innesti
ossei e tra queste ne ricordiamo alcune.
L’impaction grafting è indicato
nei deficit ossei di dimensioni ridotte, in cui delle chip di
osso, generalmente più grandi di 5 mm, vengono impattate a livello del difetto. Le
principali complicanze di
questa tecnica sono rappresentate dalla subsidenza
dello stelo e dalle fratture
intra e post-operatorie.
I cortical strut allograft, vere e
proprie stecche di osso corticale, vengono utilizzati per
trattare difetti ossei non contenuti o circonferenziali a
livello del femore o in caso di
fratture periprotesiche, con
limitatissimo bone stock.
Vengono fissati all’osso ospite
con dei cerchiaggi.
In caso di perdite ossee minori, il difetto può essere colmato con impianti protesici specificamente disegnati o, se la
perdita d’osso è soltanto
metafisaria, può essere semplicemente usato un impianto da revisione con presa diafisaria. Nei casi più gravi può
essere preso in considerazione
l’utilizzo di protesi da grandi
resezioni (le protesi da tumore per intenderci).
Anche a livello acetabolare si
possono adottare diverse
soluzioni, dall’impaction grafting, agli anelli da revisione
(Muller o Burke-Schneider),
a grandi innesti ossei omologhi con reimpianto protesico
in uno o due step.
I risultati di tali revisioni
sono in genere molto inferiori ai primi impianti, ma
accettabili considerando solitamente il grave quadro clinico iniziale.
Che cos'è la protesi di
superficie e a quali
esigenze viene incontro?
Premetto che io non uso la
protesi di superficie, che è
stata ideata per permetterne
l’impianto in pazienti giovani
- qualora non siano indicate
altre opzioni terapeutiche -,
in modo da preservare il bone
stock e permettere una più
facile revisione.
La protesi di superficie è
costituita da una cup metallica e da una testa metallica
con un piccolo stelo, che
viene inserita sul collo del
femore del paziente, preservando la maggior parte del
collo stesso.
Al momento questo intervento è gravato da una percentuale di complicanze
che, a mio avviso, sono
ancora troppo alte per giustificarne un ampio utilizzo.
Tra queste ricordiamo la frattura del collo femorale, la
mobilizzazione dell’impianto, il dolore inguinale e la
liberazione di ioni metallici.
Quando ci saranno più studi
in letteratura, con follow-up
più lunghi e minori complicanze, probabilmente mi
“convertirò” anch’io.
Quali le altre novità nella
chirurgia dell’anca?
Tra le novità - che vere e proprie novità non sono, perché
vengono ormai dibattute da
anni, senza ancora una vera e
propria soluzione - troviamo
le tecniche mininvasive e la
navigazione.
Le tecniche mininvasive
propongono l’impianto protesico attraverso una o due
mini incisioni; tuttavia non
hanno dimostrato netta
superiorità rispetto alle tecniche convenzionali da nessun punto di vista: perdita
ematica e risultati a breve e
medio termine. Hanno inoltre una curva d’apprendimento più lunga e possono
essere responsabili di malposizionamento delle compo-
3
Accanto allo sviluppo
della chirurgia protesica,
si sta affermando anche la
chirurgia conservativa
dell’anca. Meglio le
tecniche artroscopiche o a
cielo aperto?
Segue da pag. 1
tutte le informazioni disponibili su tutte le patologie che ha
la probabilità di incontrare, ovvero tutti i test alternativi e
l’arsenale farmacologico a disposizione. Verosimilmente,
persino gli esperti di un determinato settore hanno solo
informazioni selezionate, che a loro volta possono essere
non sistematiche, non rappresentative e viziate. Del resto,
un medico che si dedicasse all’approfondimento accurato
di un singolo caso probabilmente potrebbe seguire pochissimi pazienti e non accumulerebbe l’esperienza necessaria a gestire un’attività clinica come è richiesta nell’attuale
contesto sanitario.
Insomma, da sempre il problema è il reperimento di fonti
sicure e il confronto - anche trasversale - tra le informazioni: a questo provvede l’editoria medica che, in buona
sostanza, si può dire sia nata con la pubblicazione di
rassegne e casi clinici. Ecco che cos’è, venendo al dunque, il nostro OrthoAcademy: un database di rassegne e
casi clinici.
Va detto che l’editoria medica internazionale nel tempo, e
in modo particolare nell’ultimo decennio, è diventata più
rigorosa e, basandosi sull’analisi delle evidenze, tende a
pubblicare in prevalenza revisioni sistematiche. La preparazione di revisioni sistematiche presuppone però la
padronanza di una metodologia di lavoro per certi versi
complessa, tanto per gli autori quanto per i fruitori, motivo
che ci ha portato a prediligere, per OrthoAcademy, la
selezione di rassegne per così dire “narrative”. Non
abbiamo la pretesa né l’obiettivo di costruire un “sistema
esperto”, vale a dire uno di quei programmi di supporto
alla decisione clinica che, di vario tipo e differente complessità, oggi vengono progettati e organizzati proprio
per spostare e trasferire nella pratica clinica le evidenze
della letteratura internazionale.
Ritengo personalmente che in Italia introdurre in modo
molto veloce strumenti di questo tipo sia alquanto incauto: natura non facit saltus, e la legge evolutiva della
sanità italiana prevede ancora parecchi passaggi intermedi attraverso i gradi inferiori della scolarità informatica prima di arrivare a livelli davvero sofisticati. Tuttavia è
giusto adeguarsi all’utilizzo di strumenti multimediali per
l’informazione e la ricerca di dati: i più evoluti (forse i più
giovani, sulla base di competenze elettroniche maggiori
e di un minor... occhio clinico) saranno presto in grado
di padroneggiare le fonti non cartacee approvvigionandosi con velocità incredibilmente maggiore di dati e notizie scientifiche.
Chissà, forse è vero (almeno in parte) che il futuro dell’informazione sta nella rete. Per ora, e per i prossimi
anni, utilizziamo la rete a supporto della carta, o meglio
per ottimizzare la fruizione dei contenuti delle pubblicazioni cartacee.
OrthoAcademy non è certo uno strumento di precisione
ma vuol essere interattivo, almeno nel senso di accogliere volentieri suggerimenti e critiche costruttive dei lettorinavigatori. Torneremo comunque sull’argomento più
volte, seguendo il percorso di crescita e di sviluppo del
nostro portale, in parallelo allo sviluppo delle potenzialità della rete e alla maturazione delle competenze elettroniche dei medici fruitori.
(Paolo Pegoraro)
La chirurgia conservativa
dell’anca rappresenta un
argomento molto vasto, che
include tutta una serie di
patologie. Nel trattamento
dell’epifisiolisi, nelle forme
più gravi, e della displasia dell’anca sintomatica dell’adolescente e del giovane adulto,
la chirurgia a cielo aperto
rimane il gold standard nel
trattamento.
Le opzioni terapeutiche
includono osteotomie e riorientamenti della testa femorale in caso di epifisiolisi e
osteotomie femorali e periacetabolari nel caso della
FACTS&NEWS
diplasia d’anca sintomatica.
Dove attualmente sta
nascendo il dibattito è nel
caso di impingement femoro-acetabolare, in cui le tecniche artroscopiche si sono
aggiunte a quelle a cielo
aperto.
L’impingement
femoro-acetabolare è una
malattia dell’anca che deriva
da una non perfetta conformazione dell’acetabolo o
della testa del femore o di
entrambi, che entrano in
conflitto nell'escursione articolare. L’impingement può
essere cam (“a camma”),
quando la testa femorale
non presenta una conformazione perfettamente sferica o
pincer (“a tenaglia”), quando
l’acetabolo ricopre eccessivamente la testa del femore.
In alcuni casi entrambe le
malformazioni possono essere associate.
La lussazione chirurgica dell’anca, le tecniche artroscopiche e le tecniche combinate
sembrano tutte migliorare la
sintomatologia dei pazienti
con impingement femoroacetabolare e nessuna ha
dimostrato di essere significativamente superiore alle
altre. Tuttavia gli approcci
artroscopici sembrano essere gravati da una minore
percentuale di complicanze
e da un più veloce recupero
post-operatorio.
Renato Torlaschi
IL CONGRESSO SIDA DI TORINO
Il congresso della Società italiana dell'anca (Sida)
si terrà a Torino presso il Molecular Biotechnology
Center (Mbc) della Scuola universitaria - interfacoltà per le biotecnologie (via Nizza, 52) nelle
giornate di venerdì 9 e sabato 10 settembre.
Il meeting sarà incentrato sullo stato dell'arte e sulle
prospettive della chirurgia dell'anca.
L'aspetto delle innovazioni in ambito medico e ortopedico in particolare merita una riflessione da
parte del professor Paolo Rossi, direttore del
dipartimento e della prima clinica ortopedica
dell'Università degli Studi di Torino, presidente del
congresso e della Società scientifica. «La nostra è
una scienza a elevato impatto tecnologico - spiega
il chirurgo - dove le conquiste in questo ambito
spesso si confondono con operazioni di marketing.
Ecco allora la necessità di assumere una precisa
rotta di comportamento verso le innovazioni: prima
fermarsi a capire, criticare, valutare e solo alla fine
muoversi verso il nuovo». È una riflessione che sarà
alla base di tutte le relazioni congressuali, che si
concentreranno in particolare sulle soluzioni chirurgiche e protesiche.
Tra gli altri temi affrontati, segnaliamo: la diagnosi, la terapia conservativa, il resurfacing, gli interventi di revisione e un’importante riflessione sui
registri protesici, con l'intervento di esperti di diversa estrazione professionale.
Nell’ambito del congresso, in uno spazio dedicato,
è prevista un’esposizione di prodotti farmaceutici e
diagnostici, apparecchiature elettromedicali e pubblicazioni scientifiche.
Per informazioni: OIC srl
Tel. 055.50351 - Fax 055.5001912
[email protected] - www.chirurgiaanca.com
4
FOCUS ON
Fratture di bacino
Trattamento complesso
e in due step
Alberto Nicodemo
Dall'intervento salvavita in pronto soccorso al trattamento definitivo,
affidato a chirurghi estremamente esperti e super specializzati
A Orbassano, vicino a Torino, presso l’Azienda
ospedaliero universitaria San Luigi Gonzaga,
esiste un centro di riferimento per la patologia
traumatica e ricostruttiva dell’anca e del bacino.
Diretto da Alessandro Massè, offre la possibilità di
trasferimento e trattamento a tutte le altre
strutture che ne facciano domanda per un loro
paziente. Il dottor Alberto Nicodemo fa parte di
questo team specialistico e ci offre un
approfondimento delle tematiche cliniche
affrontate nel centro piemontese.
Dottor Nicodemo,
parliamo di fratture di
bacino. Ha qualche
dato epidemiologico da
fornirci?
Le fratture di anello pelvico sono lesioni rare, con
un’incidenza inferiore al
5% di tutte le fratture.
Questa percentuale sale
però al 20% se consideriamo i politraumi.
La mortalità per shock
emorragico supera in
alcune casistiche il 10%.
Secondo quali
dinamiche avvengono
queste fratture?
Sono quasi sempre conseguenti a traumi a elevata
energia come incidenti
motociclistici e automobilistici o cadute dall’alto.
Esistono pericoli legati
a certe attività sportive?
Queste fratture sono raramente conseguenti ad
attività sportiva. Possono
però saltuariamente verificarsi in alcuni sport particolarmente
violenti
come l’hockey e il football americano o attività
sportive che comportino
elevate velocità, come lo
sci e la mountain bike.
Qual è lo stato dell’arte
relativamente al
trattamento di queste
fatture?
Al contrario di ciò che è
capitato con il trattamento delle fratture acetabolari, che è stato codificato
già negli anni Settanta da
Letournel, per il trattamento delle fratture pelviche solo negli ultimi
anni sono state formulate
delle regole universalmente riconosciute.
Fino a pochi anni fa non
era infrequente sentir dire
che questi pazienti erano
“troppo gravi” per essere
operati o che il trattamento chirurgico non
dava comunque risultati
superiori a quello conservativo. La letteratura
internazionale e anche
noi con la revisione dei
nostri casi abbiamo dimostrato il contrario. Se queste fratture sono trattate
correttamente, i risultati
funzionali possono essere
buoni o ottimi.
Grazie a questa standardizzazione, si stanno veri-
ficando notevoli miglioramenti nella cura di questi
pazienti, anche se, a mio
modo di vedere, tanto
deve essere ancora fatto.
Quali evoluzioni si
stanno attualmente
verificando in questo
tipo di chirurgia?
L’argomento è ultimamente molto vivo, con
numerose pubblicazioni
scientifiche che propongono nuovi tipi di trattamento.
Tra tutti cito il sistema di
navigazione per le osteosintesi più complesse, che
però necessita ancora di
alcuni miglioramenti, e
tutti i sistemi di riduzione
e sintesi mininvasiva che,
quando applicabili, evitano ingenti sanguinamenti
intraoperatori. Si ricorre
inoltre all’utilizzo dell’angiografia nel controllo del
sanguinamento in fase
acuta.
Passi avanti devono essere
fatti anche nella gestione
e cura delle lesioni urolo-
EPIDEMIOLOGIA
DELLE COMPLICANZE
NELLA CHIRURGIA DELLA PELVI
È il dottor Alberto Nicodemo a presentarci i
risultati di uno studio effettuato dall’équipe del
centro di chirurgia del bacino e dell’anca del
reparto di ortopedia dell’Ospedale San Luigi
Gonzaga di Orbassano, guidato dal professor
Alessandro Massè.
«Da un recente lavoro di revisione di 129 fratture instabili di anello pelvico da noi trattate è
emersa una frequenza di lesioni vescicali e uretrali del 9% circa e di lesioni neurologiche periferiche del 6,5% - ci ha spiegato Nicodemo -.
Queste lesioni sono più frequenti nelle fratture
con maggiore scomposizione. Le lesioni urinarie
sono frequentemente associate a quelle dell’ambito sessuale. Un dato molto interessante emerso
dal nostro studio è che la qualità della riduzione
della frattura è correlata in modo statisticamente
significativo con l’outcome funzionale sia nell’ambito osteomuscolare sia in quello sessuale e
urinario» ha concluso il chirurgo.
R. T.
UN CASO CLINICO
PARTICOLARMENTE
SUGGESTIVO
Paziente maschio di 55 anni,
con frattura scomposta
Fig. 1: la ricostruzione TC-3D mostra
una frattura scomposta
di anello pelvico tipo C3
Fig. 2: taglio TC che evidenzia le lesioni
posteriori (frattura ala sacrale a destra
+ lussazione sacro iliaca a sinistra)
Fig. 1
Fig. 3
Fig. 3: il fissatore esterno è stato
applicato in urgenza, la riduzione
e sintesi posteriore con viti sacro-iliache
e placca transiliaca è stata invece
eseguita a distanza di alcuni giorni
dal trauma
Fig. 4: risultato a 3 mesi circa
Fig. 2
Fig. 4
5
FOCUS ON
giche, neurologiche e sessuali associate frequentemente a queste fratture e
che spesso sono responsabili di esiti molto invalidanti.
Purtroppo la sperimentazione in questo campo,
almeno in Italia, ha poche
risorse a disposizione, al
contrario di quello che
succede ad esempio per la
chirurgia protesica, dove
le aziende produttrici, per
motivi commerciali, sono
disposte a investire molto
di più.
Ci può descrivere le due
fasi tipiche per il
trattamento delle fratture
di bacino?
Come ho già detto, questi
pazienti sono quasi sempre
vittime di gravi incidenti e
spesso hanno più lesioni
associate. Per questo motivo
le lesioni instabili di anello
pelvico sono trattate in due
fasi.
Nella fase acuta si applicano
i principi del “damage control orthopaedics”, effettuando interventi poco
IL CENTRO PER LA PATOLOGIA
TRAUMATICA E RICOSTRUTTIVA
DELL’ANCA E DEL BACINO
A sinistra il professor Reinhold Ganz di Berna,
a destra il professor Alessandro Massè
invasivi e rapidi per stabilizzare la frattura senza traumatizzare ulteriormente il
paziente.
Quando le condizioni generali sono migliorate si riduce
e stabilizza la frattura in
modo definitivo, la maggior
parte delle volte con un’osteosintesi interna. In questa
fase gli interventi sono complessi, possono essere piuttosto invasivi e utilizzano strumentari e mezzi di osteosintesi dedicati. Per questi
motivi il trattamento non in
acuto dovrebbe essere gestito da ortopedici super specializzati nella chirurgia
pelvica.
Riassumendo si può dire
che l’intervento ortopedico
può essere considerato inizialmente quasi un gesto
rianimatorio che ha lo
scopo di contenere il sanguinamento, mentre successivamente serve a contenere gli esiti e migliorare il
risultato funzionale finale.
Quanto è utile riferirsi a
protocolli?
Il nostro gruppo, guidato dal professor
Alessandro Massè, lavora all’ospedale San
Luigi di Orbassano (Torino) dove ogni anno sono
inviati da altri ospedali del Piemonte e da altre
Regioni circa 70 pazienti con fratture di anello pelvico e acetabolo per il trattamento definitivo. Fino
ad oggi abbiamo trattato più di 400 casi.
I pazienti, alcuni giorni dopo l’intervento, vengono
nuovamente inviati negli ospedali di provenienza.
Grazie a questa esemplare collaborazione tra colleghi e ospedali riusciamo ad affrontare la patologia traumatica, ma ad avere spazio anche per le
nostre altre attività che sono la chirurgia protesica
e la chirurgia conservativa dell’anca.
Quest’ultima in particolare è un argomento molto
attuale, che portiamo avanti grazie alla collaborazione con il professor Reinhold Ganz di
Berna e con il Gruppo italiano di chirurgia conservativa dell’anca (Gicca). Scopo di questo trattamento è la correzione delle deformità articolari
per evitare di arrivare alla sostituzione protesica,
o perlomeno ritardarla il più possibile. Le patologie più frequentemente affrontate sono la displasia dell’anca, l’epifisiolisi e il conflitto femoroacetabolare, che trattiamo con tecniche a cielo
aperto, mininvasive e artroscopiche.
Abbiamo anche la fortuna di lavorare con degli
specializzandi che ci aiutano quotidianamente
nell’attività clinica e chirurgica oltre che in quella
scientifica, che ha prodotto su questi argomenti
numerose pubblicazioni e relazioni a congressi.
Tutti questi temi saranno affrontati come capita
da tre anni a questa parte dal corso di chirurgia traumatica e conservativa dell’anca e
del bacino che si svolge nel Polo Universitario
all’interno del nostro ospedale per un ristretto
numero di ortopedici che vogliono cimentarsi con
una chirurgia molto difficile e affascinante al
tempo stesso.
Dott. Alberto Nicodemo
L’utilizzo di un protocollo di
gestione dei traumi dell’anello pelvico è fondamentale in acuto, quando bisogna
essere rapidi ed efficaci.
Considerando che in questa
fase intervengono più specialisti - anestesista, chirurgo
generale, ortopedico, radiologo - non si devono aver
dubbi su chi è il team leader e
quali sono le priorità.
Esistono moltissimi protocolli di questo genere; noi
utilizziamo quello da noi
ideato in collaborazione con
anestesisti e chirurghi generali del Cto di Torino nel
2004 e pubblicato nel 2008
sul Journal of Orthopaedics
and Traumatology. Esso è il
risultato della nostra esperienza personale e della revisione della letteratura internazionale e ha dato fino ad
oggi ottimi risultati. Deve
essere però chiaro che non
esiste un protocollo ideale,
ma si deve scegliere quello
più adattabile alla struttura
nella quale si lavora e alle
proprie capacità.
Come avviene
tipicamente il decorso
post-operatorio?
Molto dipende dalla presenza o meno di lesioni associate, ma in linea di massima
dopo la sintesi definitiva il
carico è proibito dal lato
affetto per due o tre mesi.
Nelle lesioni più complesse
si limita anche la flessione
dell’anca nei primi 40 giorni.
Frequentemente sono necessarie delle trasfusioni post
operatorie.
Quali sono le principali
complicanze?
Le complicanze in questi
traumi purtroppo non sono
rare. Dal punto di vista scheletrico possono esitare delle
dismetrie e dolori cronici
soprattutto in sede sacroiliaca, ma molto gravi sono
anche le disfunzioni della
sfera urologica e sessuale e le
lesioni neurologiche in
generale. Queste ultime possono essere anche conseguenti a stiramenti di radici
o nervi periferici che si verificano durante le procedure
chirurgiche, con conseguenti problemi sensitivi o motori agli arti inferiori.
Il trattamento di queste
complicanze richiede a volte
ulteriori interventi chirurgici, come può capitare per le
lesioni uretrali. Anche in
questo caso è importante la
collaborazione con altre specialità.
Qual è l’importanza della
specializzazione in
questo campo e qual è il
ruolo dei centri
specialistici?
Nella fase acuta qualunque
ortopedico di pronto-soccorso dovrebbe essere in
grado di gestire una frattura
di anello pelvico, ad esempio applicando un fissatore
esterno. È compito delle
scuole di specializzazione formare i giovani ortopedici in
tal senso, considerando che
questa è una delle poche
procedure
ortopediche
potenzialmente salvavita.
Il discorso è completamente
diverso per il trattamento
definitivo. Essendo lesioni
rare, ma molto complesse e
gravate da numerose complicanze anche di tipo iatrogeno, non devono essere trattate da chi affronta quattro o
cinque casi l’anno.
Il valore della super specializzazione in questo campo è
già riconosciuto anche all’estero. In Inghilterra esistono
ad esempio degli ospedali di
riferimento in cui lavorano
dei “pelvic team”. In Italia
da questo punto di vista
siamo ancora indietro,
anche se devo dire che il
gruppo nel quale lavoro
costituisce un riferimento
per questa patologia per
tutto il Piemonte e non solo.
Voglio ricordare che per il
buon funzionamento del
nostro team non è sufficiente il lavoro che noi svolgiamo in sala operatoria, ma
serve anche quello degli
anestesisti, dei nostri strumentisti, che ormai hanno
un’ottima padronanza degli
strumenti utilizzati nella chirurgia pelvica, e degli infermieri e fisioterapisti che
gestiscono nel pre e post
operatorio questi pazienti.
Renato Torlaschi
EDITORIA SCIENTIFICA
REALIME, LA RIVISTA
DI REAL LIFE MEDICINE
Forse troppo spesso sottovalutati, i case report esprimono
a pieno la loro valenza didattica nel momento in cui riescono a chiarire la successione delle tappe logiche del
ragionamento clinico alla luce dei fatti. Sono queste le
premesse da cui nasce ReaLiMe - Real Life Medicine,
esperienze cliniche a confronto - l’iniziativa editoriale di
Agave Farmaceutici, che mira a sviluppare la condivisione e il confronto sulla pratica clinica in ortopedia.
Casi clinici: utilità nell’era dell’Ebm
Chi segue le riviste di medicina sa che vale la pena di dedicare del tempo alla lettura di casi clinici. Negli ultimi anni
la validità dei case report è stata spesso messa in dubbio.
Forse perché in passato i casi descritti in letteratura si sono
soffermati su manifestazioni “bizzarre” di disturbi o di
patologie se non su episodi assolutamente sorprendenti,
sovente riscontrabili nella pratica clinica quotidiana.
Eppure il caso clinico serve moltissimo. È utile a riconoscere e descrivere una nuova malattia; a individuare
effetti sconosciuti di farmaci, sia indesiderati sia benefici;
ad approfondire la patogenesi delle malattie; a riconoscere manifestazioni rare delle patologie; a supportare
l’attività formativa del medico.
In medicina occorre raggiungere evidenze su cui poter
basare le decisioni cliniche. È su questo concetto che si
fonda la medicina basata sulle evidenze (Ebm), che organizza e struttura le decisioni mediche sul processo sistematico di reperimento, valutazione e uso dei risultati
della ricerca. Ma, in assenza di trial clinici più importanti, spesso i report di casi singoli sono l’unica evidenza
disponibile. Per questo oggi si valorizza l’osservazione
dei casi clinici come realtà di prima linea in grado di
offrire elementi preziosi per prendere decisioni mediche.
Si parla pertanto di Real Life Medicine (Rlm): in pratica,
un impegnativo lavoro sul campo.
Spesso molte differenze tra Ebm e Rlm sono
determinate da fattori del tutto personali,
socioeconomici o geografici, di cui occorre tener
conto per mediare e integrare queste due vie,
che portano entrambe a una decisione clinica.
In apparenza l’una sembra interpretare la
scienza e l’altra l’intuizione e la pratica, ma
insieme concorrono a una visione più ampia
della medicina.
Non a caso, alcune prestigiose riviste hanno mantenuto
la tradizione del case report: le più emblematiche sono
certamente il New England Journal of Medicine e Lancet.
ReaLiMe nasce quindi con ottimi precedenti e illustri progenitori per dare spazio alla professionalità che si misura quotidianamente sul campo.
Il progetto editoriale
L’oggetto d’attenzione è l’apparato osteo-muscolo-tendineo, ovvero l’articolazione nel suo complesso in quanto
vero e proprio organo.
Un board scientifico di primo piano selezionerà i casi in
pubblicazione su ogni numero della Rivista.
L’intento di ReaLiMe è quello di stimolare il confronto, il
dibattito, lo scambio di idee, e tutto ciò è amplificato dal
sito www.realime.it, dove è possibile partecipare alla
discussione e leggere on line la Rivista.
Al termine di ogni anno di pubblicazioni, il board premierà
il miglior caso clinico - il più originale, il più curioso e stimolante, in definitiva quello che ha qualcosa da insegnare.
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FACTS&NEWS
Al Galeazzi si studia
l'allergia ai metalli
Nasce un Centro interdisciplinare per la prevenzione e la diagnosi
delle allergie ai metalli con cui sono costruite le protesi chirurgiche
N
egli ultimi anni
una sempre maggiore attenzione è
stata riservata ai materiali
utilizzati per le protesi
ortopediche che, pur
mostrando generalmente
una buona biocompatibilità, per il contatto con i
tessuti biologici e per l’azione meccanica possono
andare incontro a corrosione, degradazione e
usura, con conseguente
produzione di detriti e
ioni metallici.
Metalli e polimeri sono i
principali materiali di cui
sono costituite le protesi
che, in contatto con fluidi
biologici, possono rilasciare ioni e molecole in grado
di attivare non solo il
sistema immunitario e
indurre una reazione di
ipersensibilità di tipo
ritardato (Dht, delayed
type hypersensitivity), ma
anche alterazioni infiammatorie legate alla reazione macrofagica dei tessuti
periprotesici.
I materiali a rischio
I metalli ortopedici riconosciuti come i più comuni sensibilizzanti sono il
nichel (Ni), il cobalto
(Co) e il cromo (Cr),
mentre il titanio (Ti) e il
vanadio (V) appaiono
come allergeni di secondo
piano.
Fino ad oggi sono stati
tenuti in scarsa considerazione i biomateriali polimerici (cementi ossei acrilici) che, pur non essendo
facilmente suscettibili a
una degradazione, possono
anch’essi essere la causa di
reazioni immunologiche e
infiammatorie pari a quelle legate ai metalli.
Le dimensioni
del problema
Le prime segnalazioni di
dermatiti legate alla sensibilizzazione ai materiali
degli impianti risalgono al
1966. Successivamente
diversi case report hanno
documentato sia forme
localizzate, interessanti la
cute sovrastante l’impianto (eczema, prurito), sia
forme generalizzate (prurito diffuso, eczema, orticaria, vasculite).
Malgrado la sostanziale
prevalenza della sensibilizzazione ai metalli dopo un
impianto protesico, le sensibilizzazioni sintomatiche
che si presentino come
complicanze dermatologiche sono comunque rare e
si stima che insorgano in
meno dell’1% dei pazienti.
L’ipersensibilità di tipo IV,
o Dht, sembra invece giocare un ruolo chiave nell’influenzare la performance dell’impianto: dati
derivanti da diversi studi
riportati in letteratura
hanno evidenziato una più
alta percentuale di sensibilizzazione ai metalli
(60%) nei pazienti con
una minor durata o perdita della protesi. La maggior parte degli autori
attribuisce alla risposta
immunologica locale una
probabile importanza nell’iniziare o accelerare tutti
quegli eventi che portano
al fallimento o a un accorciamento della vita della
protesi.
Quale strumento
per la diagnosi?
Ancora oggi si discute su
quali siano i test (in vivo o
in vitro) più idonei ad evidenziare una sensibilizzazioni ai metalli delle protesi.
I test allergologici in vivo
effettuati direttamente sul
paziente (test epicutanei a
lettura ritardata) per la
facilità di esecuzione e per
il costo limitato sembrano
a tutt’oggi i più adatti per
essere usati come screening in pazienti canditati
a un intervento protesico,
e potrebbero essere annoverati tra gli esami di routine prericovero almeno
in quei pazienti con note
anamnestiche positive per
allergie
intercorrenti
(vedi box a lato). Da tener
presente che tali test
devono essere a nostro
avviso assolutamente eseguiti in quei pazienti nei
quali si debba re-intervenire per una revisione o
per una seconda protesizzazione.
I test in vitro effettuati sui
linfociti dei pazienti (Ltt,
lymphocyte transformation
test) sono considerati da
alcuni autori ancora più
sensibili rispetto ai test
epicutanei sopra citati.
Tali indagini, essendo dei
test che utilizzano dei
traccianti radioattivi, prevedono però laboratori
I PRINCIPALI METALLI CONTENUTI
NELLE PROTESI, CAUSA DI ALLERGIA
Nichel, Cromo, Cobalto, Vanadio, Titanio
particolarmente attrezzati
e alti costi di effettuazione. Pertanto devono essere
ritenuti
test
di
approfondimento o di
conferma solo per pochi
allergeni e in casi selezionati o per sensibilizzazioni
non facili da dimostrare,
con il solo patch test (es.
titanio) per problemi tecnici.
La ricerca del Galeazzi
Allo scopo di individuare
in maniera prospettica o
attuale l’eventuale allergia
ai componenti delle protesi e valutarne il reale
impatto sulla qualità della
vita del paziente e sulla
performance della protesi
abbiamo istituito presso
l’Irccs
Ortopedico
Galeazzi di Milano un
Centro interdisciplinare
per la prevenzione e la
diagnosi dell’allergia ai
metalli, in collaborazione
con allergologi, ortopedici
e dermatologi sotto l’egida
della Società italiana di
dermatologia allergologica
professionale e ambientale
(Sidapa).
Tra le finalità del Centro
si annoverano non solo la
ricerca nel campo dell’allergologia diagnostica ma
anche lo studio e l’affinamento di metodiche con
lo scopo di semplificare e
diffondere la possibilità di
diagnosticare la presente o
possibile allergia ai metalli contenuti nelle protesi
di qualunque tipo ed interessanti qualsiasi organo e
numerose branche medico-chirurgiche (ortopedia,
odontostomatologia, cardiologia, patologia vascolare, gastroenterologia e
urologia).
Inoltre il Centro contempla anche la pubblicazione e la diffusione di articoli scientifici di implantoprotesi e diagnostica
allergologica. Ci proponiamo infine di organizzare convegni e corsi di
aggiornamento
sulle
nuove acquisizioni e tecniche sviluppate in tema
di protesizzazione ortopedica e prevenzione nel-
Il professor Gianfranco Altomare è responsabile del servizio
di dermatologia e malattie a trasmissione sessuale
dell'Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano ed è docente
alla scuola di specializzazione in dermatologia
e venereologia dell'Università degli studi di Milano
l’ambito dell’allergologia
ai metalli.
Il particolare interesse allo
sviluppo e alla finalità del
Centro stesso consentirà
di interessare giovani specialisti con l’istituzione di
borse di studio e assegni di
ricerca finanziati da enti e
istituzioni che presentino
interessi convergenti.
Ci auguriamo inoltre che
questo sia un primo passo
per l’istituzione di altri
centri simili o di strutture
interessate a far convergere presso di noi dati
riguardanti problemi allergologici legati alla protesizzazione, per istituire un
domani un registro nazionale che possa evidenziare
il reale impatto di questi
eventi avversi sull’impianto stesso e sulla qualità di
vita del paziente.
Prof. Gianfranco Altomare
ALLERGENI TESTATI AL GALEAZZI
(TEST EPICUTANEI)
• nichel
• cobalto
• bicromato di potassio o cromo cloruro
• molibdeno o molibdato di ammonio
• manganese ossido
• vanadio cloruro
• titanio biossido titanio IV ossido
• rame
• niobio
• benzoilperossido
• idrochinone
• Metilmetacrilato
• Idrossietilmetacrilato
• nn dimetilparatoluidina
• gentamicina
+ eventuali altri allergeni in base ai dati anamnestici
8
FACTS&NEWS
Si apre il confronto
sulla chirurgia articolare
Le Società scientifiche Sia e Sigascot aprono i lavori del congresso
di Palermo, nel quale i maggiori esperti mediterranei di chirurgia
articolare si confronteranno sulle diverse esperienze cliniche
«Dopo circa due anni di preparazione, annunci e
rinvii, in un momento non certo sereno in buona
parte dell’area mediterranea dal punto di vista
politico, dal 16 al 18 giugno si svolgerà a Palermo
il primo congresso di chirurgia articolare dei
Paesi del Mediterraneo». Sono le parole di
Vincenzo Adriano Paolillo, che presiederà il
congresso con Antonino Niceforo, affiancati da
Raul Zini e Claudio Zorzi, presidenti
rispettivamente di Sia - Società italiana di
artroscopia – e di Sigascot - Società italiana di
artroscopia, traumatologia dello sport, chirurgia
di ginocchio e tecnologie ortopediche.
Tabloid di Ortopedia ha intervistato il dottor
Paolillo per fare il punto sulla chirurgia
articolare e per capire meglio cosa ci riserva un
congresso che presenta molti aspetti particolari e
di sicuro interesse.
Responsabile dell’Unità operativa di chirurgia e
artroscopia del ginocchio presso la Nuova casa di
cure Demma di Palermo, Vincenzo Adriano
Paolillo vanta un’esperienza quasi trentennale
nella chirurgia articolare del ginocchio, di cui è
certamente uno tra i più stimati esperti, non
solamente in campo nazionale.
Dottor Paolillo, quali
motivi alla base
dell'organizzazione di
un congresso di questo
tipo?
Per la prima volta punteremo lo sguardo verso il sud
del mondo, verso quei
Paesi tanto vicini a noi e
al tempo stesso, fatta qualche eccezione, poco conosciuti dal punto di vista
professionale. Per la Sia è
una vera e propria sfida,
una scommessa che vuol
vincere e per la quale ha
messo a punto il “Progetto
del Mediterraneo”, del
quale è responsabile il dottor Antonino Niceforo,
che mira a creare rapporti
solidi e duraturi con i chirurghi articolari che operano nell’area mediterranea, finalizzati a una crescita culturale e professionale reciproca.
Il Congresso rappresenta
un primo passo verso la
costruzione di scambi
scientifici che, ne siamo
certi, oltre a riaffermare
l’ottimo livello della
nostra comunità medica,
servirà a creare e condividere progetti comuni per
ciò che riguarda la formazione e perfezionamento
dei chirurghi articolari. A
condividere motivazioni e
finalità del progetto è stata
la Sigascot, che con il proprio contributo scientifico
ha dato ulteriore spessore
all’iniziativa.
La tematica
è tra le più attuali...
L’innalzamento della vita
media e l’aumento di esposizione a occasioni traumatiche
(motorizzazione,
sport ecc.) che caratterizzano le società del benessere hanno determinato
un sensibile incremento di
patologie degenerative e
traumatiche che colpiscono l’apparato locomotore.
Quotidianamente
nei
nostri ambulatori o corsie
ci confrontiamo con
pazienti che, in misura
sempre crescente, necessitano di chirurgia protesica,
di trapianto meniscale,
condrale o di una plastica
legamentosa.
Anche in questo settore si
sta sempre più andando
verso la specializzazione
su una singola
articolazione.
Cosa ne pensa?
Ormai il paziente non si rassegna più al fatto che una
limitazione funzionale possa
in qualche modo pregiudicare la sua normale vita di relazione, ivi compresa quella
sportiva; richiede ai chirurghi articolari, oggi più che
mai, interventi tempestivi e
appropriati che possano permettergli un più rapido e
ottimale ritorno alle proprie
attività.
Per ottenere questo risultato,
a mio avviso, è importante
seguire l’esempio dei colleghi americani, ovvero prediligere e perfezionarsi verso la
chirurgia di una singola articolazione, anche se magari
non in modo così spinto ed
esagerato... Ricordo a tal
proposito le enormi difficoltà incontrate da un noto
chirurgo americano, esperto
nella chirurgia protesica del
ginocchio, di fronte a una
banale meniscectomia selettiva in artroscopia: temo,
ogni volta che ritorno negli
Stati Uniti, di trovare chirurghi ortopedici per il
ginocchio destro e per il sinistro.
Al di là delle battute, sono
convinto che l’esperienza e
Vincenzo Adriano Paolillo
un’ottima manualità si
acquisiscano solo dedicandosi quotidianamente preferibilmente a una sola articolazione, e ciò ci viene richiesto dagli stessi pazienti, che
pretendono dal chirurgo il
più alto livello di specializzazione. Infatti oggi è sempre
più frequente imbattersi in
pazienti che chiedono al
proprio medico curante di
essere indirizzati allo specialista della spalla, anca o
ginocchio per il trattamento
della propria patologia, piuttosto che al chirurgo ortopedico in senso lato.
Un altro fenomeno è il
ruolo sempre più ampio
della biologia...
Il trattamento di lesioni
osteo-condrali, capsulo-legamentose, tendinee o meniscali trova oggi interessanti
ed entusiasmanti nuove possibilità. L’orientamento riparativo che ne ha caratterizzato l’impostazione terapeutica
sta progressivamente cedendo il passo alla ricerca della
rigenerazione
tissutale.
Dunque non si tratta più di
sostituire o vicariare le strutture lese o degenerate bensì
di puntare alla loro rigenerazione.
La bioingegneria e soprattutto l’ingegneria tissutale,
applicata
all’ortopedia,
aprono una nuova frontiera
verso la medicina rigenerativa, il cui fine è la ricostruzione biologica dei tessuti
dell’apparato locomotore.
Ecco dunque imporsi l’impiego delle cellule (fattori
di crescita-staminali) e
terapia genica nonché degli
scaffold sintetici e biomimetici, verso i quali si guarda con entusiasmo ma
anche con cautela in attesa
di definitive conferme
scientifiche.
Sarà possibile in un futuro
prossimo fare a meno delle
protesi o delle ricostruzioni
legamentose ad esempio?
Forse sì, ma l’attuale entusiasmo non ci deve distogliere
da quelli che sono allo stato
attuale limiti scientifici,
etici, giuridici ed economici
di tale impiego.
Renato Torlaschi
LA RICOSTRUZIONE DEL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE
A Palermo, al primo congresso di chirurgia articolare dei
Paesi del Mediterraneo, uno degli argomenti al centro
della discussione sarà la ricostruzione del legamento crociato anteriore, che rappresenta una delle più frequenti
patologie articolari con la quale gli ortopedici si confrontano giornalmente. Sulla chirurgia di questo legamento
sono numerosissimi i lavori scientifici, i corsi e i congressi che si tengono a livello nazionale e internazionale.
Un tema, questo delle lesioni del Lca, sul quale
Vincenzo Adriano Paolillo, che presiederà il congresso con Antonino Niceforo, vanta una notevole
esperienza, clinica e didattica. «Per quanto si possa considerare chirurgia routinaria, essa resta comunque complessa e destinata a chirurghi esperti, poiché non è scevra da insidie che solo i professionisti più abili riescono
a gestire senza compromettere l’esito positivo dell’intervento - spiega il chirurgo -. La ricostruzione del Lca ci
pone di fronte a problematiche legate alla scelta del trapianto, alla tecnica d’impianto, al tensionamento e fissazione del neolegamento e al protocollo riabilitativo. La
prima problematica, dunque, è quella legata al tipo di
trapianto da utilizzare: autograft, allograft o sintetico.
Per quanto gli allograft siano affidabili sotto tutti i punti
di vista e ormai largamente impiegati non soltanto nelle
lesioni complesse o nelle revisioni, restano gli autograft,
ove possibile, la prima scelta nella ricostruzione del Lca,
poiché i tempi di maturazione e osteo-integrazione sono
ridotti rispetto agli allograft e i risultati a distanza considerati mediamente migliori. I legamenti artificiali, anche
se quelli di ultima generazione sembrano aver risolto
buona parte dei problemi che ne avevano decretato il
fallimento (degradazione del materiale, sinoviti croniche
reattive), lasciano ancora oggi gran parte degli ortopedici alquanto scettici su un loro ampio impiego.
Personalmente - dice Paolillo - preferisco utilizzarli nei
pazienti oltre i 40-50 anni».
Ma i dubbi sono anche relativi alla tecnica chirurgica.
Come ci ha spiegato Vincenzo Adriano Paolillo, che
l’impianto vada fatto in artroscopia sono tutti d’accordo,
ma le diverse varianti tecniche utilizzabili dividono i chirurghi articolari. «Dalla consolidata ricostruzione a un
fascio che prevede l’esecuzione di un tunnel tibiale e
femorale (o, più frequentemente, half tunnel) si fa oggi
sempre più strada la ricostruzione a doppio fascio, che
invece prevede l’esecuzione di due tunnel tibiali e due
half tunnel femorali. In questo caso, oltre al fascio antero mediale (ricostruzione a singolo fascio) verrebbe ricostruito anche il postero-laterale, realizzando pertanto
una ricostruzione “anatomica” e quindi più vicina a quella fisiologica. Le due varianti di ricostruzione possono
eseguirsi con tecnica out-in, in-out e all-inside.
Quest’ultima è possibile solo grazie a uno specifico strumentario dedicato».
Sempre secondo il chirurgo siciliano, la fissazione del
neo-legamento rappresenta ancora oggi, anche se in
misura nettamente inferiore rispetto al passato, l’anello
debole dell’impianto. Lo dimostra l’attenzione che i ricercatori mettono da anni nel progettare sistemi di fissazione sempre più sicuri e affidabili, grazie anche ai nuovi
materiali (biomateriali) che li costituiscono.
«Nonostante sia una chirurgia difficile e non priva di
complicanze oltre che di problematiche, la ricostruzione del Lca a mio parere rappresenta in assoluto uno
degli interventi maggiormente gratificanti per un chirurgo articolare - dice Paolillo -. Ridare la corretta stabilità articolare significa poter riprendere a camminare correttamente, correre e saltare, gesti certamente
importanti per tutti ma che per uno sportivo assumono
una valenza ben più grande e profonda, che investe
non soltanto lo stato fisico ma anche quello psicologico dell’atleta. Gli studi di biomeccanica, la bioingegneria e la biotecnologia hanno tracciato un solco
profondo, una via che ha radicalmente modificato le
prospettive future in ortopedia. Guardiamo pertanto
con interesse e fiducia a tali ricerche, per poter offrire
sempre ai nostri pazienti le soluzioni più valide a risolvere ogni tipo di lesione articolare, ma al tempo stesso attenti a non cadere in facili entusiasmi, le cui ricadute negative potrebbero determinare battute d’arresto
nel processo di crescita scientifica».
R. T.
ORTHOviews
Review della letteratura internazionale
ANCA
S PA L L A
Molte applicazioni e poche
La revisione degli interventi
complicanze per l’artroscopia di stabilizzazione della spalla
d’anca in età evolutiva
L’anca può essere affetta da
una serie di patologie,
sempre più spesso trattate
chirurgicamente con procedure
artroscopiche.
Alcune di queste caratterizzano in particolare l’ambito pediatrico ed evolutivo, come l’epifisiolisi, l’osteocondrosi o la displasia
congenita.
Con l’estendersi del ricorso all’artroscopia si sono
evidenziati, oltre ai vantaggi, diverse complicanze
segnalate da molti studi
scientifici. Mancava però
un approfondimento che
affrontasse nello specifico
le complicanze dell’artroscopia d’anca nei bambini
e degli adolescenti: se ne è
incaricato un team di ortopedici di Boston, che
hanno progettato uno studio retrospettivo i cui
risultati sono stati pubblicati sul Journal of Pediatric
Orthopaedics.
Il campione esaminato è
stato costituito da 218
artroscopie d’anca effettuate su 175 pazienti al
massimo
diciottenni,
lungo un periodo di nove
anni. Le complicanze complessivamente individuate
sono state dell’1,8%: una
percentuale bassa e molto
vicina a quella riscontrata
da altri studi che avevano
preso in esame procedure
artrosocpiche praticate su
pazienti adulti (Clarke et
al: 1,6%; Griffin e Villar:
1,4%).
I 218 interventi sono stati
indirizzati al trattamento
di una grande varietà di
patologie. La principale
indicazione alla chirurgia
è stata la lesione del labbro cotiloideo, isolata in
131 casi e associata ad
altre patologie in 37. Le
lesioni del labbro, infatti,
si accompagnano spesso a
lesioni cartilaginee localizzate alla testa femorale o
all’acetabolo.
Nonostante le lesioni isolate siano in genere caratterizzate da prognosi decisamente migliore, nel
complesso dei soggetti esaminati con lesione labrale
si sono avute solo due
complicanze, di paralisi
transitoria del nervo
pudendo, entrambe in presenza di lesione isolata. Le
altre patologie che avevano determinato la decisione di intervento sono
state: malattia di Perthes,
displasia dell’anca, artrite
reumatoide giovanile, lassità capsulo-legamentose,
frattura
osteocondrale,
sinovite dell’anca, necrosi
avascolare, lesione condrale e tendinite dell'ileopsoas.
Le sole due complicanze
osservate in questi interventi sono state: un caso
di rottura degli strumenti
in articolazione e uno di
ascesso formatosi intorno
alla sutura artroscopia.
Forse per il numero non
elevatissimo di pazienti
esaminati, i ricercatori
non hanno riscontrato
nessuna delle complicazioni segnalate talvolta in
letteratura per procedure
artroscopiche effettuate su
soggetti adulti, come:
lesioni cutanee da trazione, lesioni neurologiche
da stiramento, lesioni neurovascolari maggiori, rigidità o instabilità articolare, rottura del collo del
femore (dopo fresatura per
conflitto femoro-acetabolare), ematomi post-chirurgici, necrosi avascolare
della testa del femore, ipotrofia muscolare della
coscia.
I risultati ottenuti sono
stati commentati molto
favorevolmente
dagli
autori
della
ricerca.
Dall’elenco delle indicazioni chirurgiche traspare
la versatilità dell’uso delle
procedure artroscopiche e
nel complesso si dimostra
che «l’artroscopia in età
evolutiva è una procedura
sicura con un numero relativamente basso di complicazioni, destinata a espandersi grazie al suo utilizzo
come strumento diagnostico e terapeutico».
Giampiero Pilat
Nwachukwu BU, McFeely
ED, Nasreddine AY, Krcik
JA, Frank J, Kocher MS.
Complications of hip arthroscopy in children and adolescents. J Pediatr Orthop.
2011 Apr-May;31(3):227-31.
Negli ultimi due decenni,
in letteratura si è sviluppato un dibattito in merito alle tecniche chirurgiche di stabilizzazione
della spalla. Già nel 1993
Green e Christensen propugnavano i vantaggi
delle procedure artroscopiche, sostenendo che
riducessero la durata degli
interventi, la perdita
ematica, l’utilizzo di farmaci anestetici, il periodo
di ospedalizzazione e le
complicanze.
Le tecniche chirurgiche si
sono affinate negli anni,
gli strumentari sono
migliorati e le conoscenze
delle patologie articolari
sono aumentate, così
come l’esperienza dei chirurghi nella tecnica artroscopica. Nelle lesioni
capsulolabrali acute e
negli episodi post-traumatici, la stabilizzazione
artrosocopica della spalla
si è così progressivamente
affermata fino a essere
riconosciuta da molti
equivalente, in termini di
risultati, alla chirurgia a
cielo aperto.
Le controversie si sono
però rivolte altrove e oggi
si cerca di capire quali
siano
le
indicazioni
migliori nei casi di instabilità cronica e nel trattamento delle recidive dopo
una prima chirurgia artroscopica.
Elementi utili alla discussione sono forniti da un
articolo comparso su The
american journal of sports
medicine, la pubblicazione
ufficiale dell’associazione
ortopedica americana per
la medicina dello sport. Vi
si discute di uno studio
condotto in Germania,
presso il centro di chirurgia muscolo-scheletrica
dell’Università di Berlino,
in cui si sono analizzati i
risultati di interventi chirurgici di revisione di stabilizzazione artroscopia di
spalla, con utilizzo delle
ancore di sutura.
Lo studio è stato condotto
su 40 pazienti suddivisi in
due coorti omogenee per
età e genere: i soggetti del
gruppo 1 sono stati sottoposti a intervento primario mentre sugli appartenenti al gruppo 2 si sono
effettuati interventi di
revisione, con la medesima tecnica chirurgica. Il
periodo minimo di followup è stato di 24 mesi,
durante il quale i pazienti
dei due gruppi sono stati
sottoposti a controlli a
entrambe le spalle. La
valutazione è stata effettuata tramite una serie di
schede con cui si è attribuito un punteggio alla
funzionalità, al dolore,
alla stabilità e alla mobilità, consentendo in ultima analisi di verificare il
successo dell’intervento.
Si tratta di una lunga serie
di strumenti, come le
schede di Rowe, di
Walch-Duplay,
il
Melbourne
Instability
Shoulder Score o il
Western
Ontario
Shoulder
Instability
Index, a cui si sono
aggiunte radiografie standard per determinare la
presenza di eventuali
segni di osteoartrosi.
Nonostante
l’evidente
limite dato dal numero
piuttosto esiguo di pazienti analizzati, che non permette valutazioni statisticamente significative, lo
studio fornisce indicazioni
interessanti. In nessuno
dei due gruppi si sono
osservate
dislocazioni
ricorrenti, ma l’intervento di stabilizzazione di
instabilità recidiva ha
avuto globalmente un
esito
meno
positivo
rispetto a quello primario:
infatti i test di apprensione sono risultati positivi
in due pazienti del gruppo
2 e più in generale, al di là
dei riscontri oggettivi, i
soggetti sottoposti a revisione hanno soprattutto
espresso una peggiore
valutazione soggettiva dei
risultati ottenuti con l’intervento.
G. P.
Krueger D, Kraus N, Pauly S,
Chen J, Scheibel M.
Subjective and objective
outcome after revision arthroscopic stabilization for
recurrent anterior instability
versus initial shoulder stabilization. Am J Sports Med.
2011 Jan;39(1):71-7.
12
ORTHOviews
ORTHOviews
Cortisonici
Antiepilettici (fenitoina, carbamazepina, barbiturici)
Un protocollo per la valutazione
clinico-metabolica del paziente
sottoposto a chirurgia ortopedica
Antidepressivi (inibitori selettivi del re-uptake della serotonina)
Antiretrovirali (tenofovir)
Inibitori di pompa protonica (omeprazolo, pantoprazolo)
Inibitori dell’aromatasi (anastrazolo, letrozole, exemestano)
Analoghi del GnRH (goserelin, buserelin, flutamide)
Progesterone (medrossiprogesterone acetato)
La Società scientifica multidisciplinare OrtoMed propone
un percorso ideale di valutazione del paziente da sottoporre
a intervento o reintervento di chirurgia ortopedica
Eparine non frazionate
Inibitori della calcineurina (es. ciclosporina A)
Tiazolinedioni (rosiglitazone, pioglitazone)
Tab. 3: l’elenco dei farmaci osteopenizzanti
Fonte: www.quadernidellasalute.it
1
FABBISOGNO QUOTIDIANO DI CALCIO
FASCE DI ETÀ O CONDIZIONI FISIOLOGICHE
mg/die
LATTANTE
0-6 mesi
6-12 mesi
400
600
BAMBINO
1-6 anni
7-10 anni
800
1000
ADOLESCENTI
11-17 anni
1200
UOMINI
18-29 anni
30-59 anni
>= 60 anni
1000
800
1200-1500
DONNE
18-29 anni
30-59 anni
>= 50 anni
Gravidanza
Allattamento
Donne in menopausa con ERT
1000
800
1200-1500
1200
1500
1500
Tab. 1: il fabbisogno quotidiano di calcio varia
per genere, periodo di vita e condizioni fisiologiche
• Raloxifene
• Estrogeni/ormone terapia
ANABOLICI
DOPPIA AZIONE
• Stronzio Ranelato
riore a quella riscontrabile
nella popolazione pediatrica di riferimento.
Questi dati suggeriscono
che soggetti con scoliosi
idiopatica adolescenziale
possono avere un deficit di
mineralizzazione con bassa
BMD, anche per alterazioni meccaniche e, successivamente, un mancato o
ridotto raggiungimento di
un PMO adeguato in
un’età giovane-adulta.
Una correlazione diretta
fra Op/Opm e scoliosi
idiopatica dell’adulto è
stata descritta con elevata
incidenza in donne in post
menopausa.
Il picco di massa ossea
Il PMO è la massima
quantità di mineralizzazione scheletrica che viene
fisiologicamente raggiunta
in età giovane-adulta,
intorno alla metà della
terza decade di vita.
Il raggiungimento di un
PMO adeguato e il mantenimento dello stesso in
età matura, rappresentano
momenti importanti per
un equilibrio ideale fra
parametri quantitativi e
qualitativi dello scheletro,
mantenendone l’integrità
e riducendone la fragilità.
Ma quali sono i fattori che
possono alterare il raggiungimento e il mantenimento del PMO?
L'ambiente e le abitudini
di vita - ad esempio una
scarsa esposizione solare,
un inadeguato apporto di
calcio con la dieta (tab.
1), una scarsa attività fisica -, abitudini comportamentali come il fumo e
l'abuso di alcol, condizioni quali la magrezza, il
ritardo puberale, la gravidanza, particolari patologie (tab. 2), l’uso di farmaci ad azione osteopenizzante, tra più importanti i glucocorticoidi,
(tab. 3) e la menopausa
(precoce e non).
PATOLOGIE OSTEOPENIZZANTI
MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE
Iperparatiroidismo
Ipogonadismo
Tireotossicosi
Iperadrenocorticismo
Diabete tipo I
Anoressia nervosa
Ipofosfatasia
DISORDINI DEL COLLAGENE
Osteogenesis Imperfecta
S. Ehlers-Danlos
S. Marfan
ALTERAZIONI NUTRIZIONALI
Sindromi da malassorbimento
Celiachia
Deficit di calcio
Alcolismo
ALTRE CONDIZIONI
Artrite reumatoide
Mieloma multiplo
Trapianto d’organo
Malattie infiammatorie intestinali
Tab. 2: l’elenco delle condizioni osteopenizzanti
La Società italiana
di ortopedia e medicina (OrtoMed)
OrtoMed è una società scientifica multidisciplinare
nata nel 2009 sotto l’impulso di Marco Italo
Gusso, con lo scopo di sostenere e essere attivi
nella ricerca scientifica nel settore delle malattie
metaboliche dell’osso e delle loro ricadute in campo
ortopedico. «OrtoMed colma un vuoto nel nostro
Paese, che è quello che considera l’ortopedico
come il chirurgo dell’osso, e non lo prende in considerazione quando si parla di metabolismo osseo»
spiega Gusso.
Oggi presieduta da Paolo Tranquilli Leali, la
Società scientifica è impegnata a identificare i centri italiani attivi nella realizzazione di un connubio
scientifico e clinico tra scienze ortopediche chirurgiche e scienze metaboliche, allo scopo di offrire
modelli di gestione clinica delle fratture da fragilità.
«Le statistiche ci dicono che nel 2052 in Italia avremo più del 30% della popolazione sopra gli
ottant’anni e noi ortopedici opereremo quasi solo
fratture di femore e protesi negli anziani - spiega il
professor Tranquilli Leali -. Quindi è necessario
assolutamente riuscire a influire su questo trend, sia
riducendo il numero delle fratture che si svilupperanno, sia aumentando la velocità di guarigione di queste fratture e la qualità della stessa».
Uno dei progetti della società scientifica è il Bone
care nurse: supervisionato da Cristiana Casentini,
infermiera professionale, si propone di costruire un
percorso clinico organizzativo affinché anche il personale infermieristico possa lavorare attivamente e
con una chiara specificità alla gestione del paziente fratturato, risolvendo tra l’altro anche il problema
della compliance alla terapia farmacologica, vera
sfida nella terapia dell’osteoporosi.
Organo ufficiale di OrtoMed è la rivista Clinical
cases in mineral and bone metabolism, un periodico di elevata qualità scientifica in ambito nazionale
e internazionale diretto da Maria Luisa Brandi.
Con periodicità quadrimestrale vengono presentati
in lingua inglese articoli originali, review e case
report sui maggiori argomenti riguardanti i disordini del metabolismo elettrolitico e minerale. Sono
riportati anche i più attuali studi sperimentali e clinici inerenti queste patologie e le relative nuove
acquisizioni in ambito terapeutico.
Da giovedì 15 a sabato 17 dicembre 2011
a Firenze (Palazzo degli Affari)
si terrà il VI congresso OrtoMed
Per informazioni: www.ortomed-siom.com
La valutazione clinica
in chirurgia ortopedica
A tutt’oggi è purtroppo
ancora frequente che soggetti sottoposti a chirurgia
ortopedica abbiano un
elevato rischio, sottostimato e/o non riconosciuto, di essere affetti da
Op/Opm, con conseguenze negative in termini di
stabilizzazione, osteointegrazione e di riuscita dell’intervento stesso.
La maggior parte dei
pazienti con fratture da
fragilità viene dimessa
senza una valutazione
osteometabolica accurata
e senza pertanto l’individuazione di fattori causali
la frattura stessa.
In un’alta percentuale di
pazienti la diagnosi di
Op/Opm non è posta e, di
conseguenza, non viene
attuata alcuna terapia farmacologica e non vengono prescritti farmaci efficaci nel ridurre il rischio
fratturativo (tab. 4).
Per tutti questi motivi è
molto importante una
valutazione clinica/osteometabolica del paziente
sottoposto a interventi di
chirurgia ortopedica.
Essendo il chirurgo ortopedico il medico che per
primo gestisce clinicamente questi pazienti, la
Società italiana di ortopedia e medicina (OrtoMed)
Il percorso diagnostico proposto
da OrtoMed si articola in sette fasi:
I) Valutazione clinica
II) Individuazione dei fattori di rischio
III) Misurazione della Bmd
IV) Esecuzione di esami radiologici
V) Esecuzione di test biochimici
VI) Interventi non farmacologici e
farmacologici
VII) Follow-up
• Denosumab
Tab. 4: i principi attivi dei farmaci impiegati
nella terapia dell’osteoporosi e per la riduzione
del rischio fratturativo
Da sinistra a destra la professoressa Maria Luisa Brandi,
il dottor Alberto Falchetti e la dottoressa Roberta Cosso
2
Scoliosi e osteoporosi
Ad esempio i rapporti tra
picco di massa ossea
(PMO) e densità minerale ossea (BMD) in soggetti affetti da scoliosi idiopatica adolescenziale non
sono stati finora adeguatamente indagati, nonostante sia stata descritta una
ridotta BMD con una prevalenza di Op pari al 25%,
significativamente supe-
ESTROGENO AGONISTI/ANTAGONISTI (SERM)
UN PROTOCOLLO
PER LA VALUTAZIONE
CLINICO-METABOLICA
DEL PAZIENTE
ANTICORPO MONOCLONALE ANTI-RANKL
Inibitori tirosinochinasi (imatinib)
e in maschi e femmine
con cause di secondarietà
della stessa.
L’Opm è più frequente nei
soggetti
anziani
di
entrambe i sessi.
Op e Opm sono rare in età
infantile e adolescenziale
in cui, tuttavia, esistono
condizioni patologiche
(congenite o acquisite)
predisponenti a fragilità
scheletrica che, a causa
del fisiologico invecchiamento, tenderà a peggiorare.
Aminobisfosfonati:
• Alendronato (orale)
• Risedronato (orale)
• Ibandronato (orale o IV)
• Zoledronato (IV)
Ormoni tiroidei (L-tiroxina a dosi soppressive)
ROBERTA COSSO1
ALBERTO FALCHETTI2, 3
MARIA LUISA BRANDI2
Casa di cura Villa Erbosa, Bologna e Club masteristi Società OrtoMed
SOD malattie del metabolismo minerale e osseo, AOUC Firenze
3
Commissione osteoporosi Società OrtoMed
ANTIRIASSORBITORI/ANTICATABOLICI
• Teriparatide [rhPTH (1-34)]
• Paratormone 1-84
Inibitori delle lipasi (orlistat)
Chemioterapici (metotressato)
Secondo la definizione
stabilita dalla Consensus
conference del National
Institutes of Health (Nih)
del 2001, l'osteoporosi
(Op) è una condizione
caratterizzata da una riduzione della massa ossea cui
si associa un’alterazione
della microarchitettura del
tessuto osseo, con conseguente aumento della fragilità dell’osso e del rischio di
frattura.
L’ o s t e o ( p o r o ) m a l a c i a
(Opm) è invece una condizione di insufficiente mineralizzazione della matrice
organica del tessuto osseo,
con conseguente rallentamento della produzione della
matrice ossea stessa e alterazione dei normali processi di
ossificazione.
Entrambe sono patologie
metaboliche dello scheletro che rappresentano
importanti problemi di
salute pubblica.
L’Op è prevalente in
donne in post menopausa
FARMACI PER LA TERAPIA
DELL’OSTEOPOROSI
FARMACI OSTEOPENIZZANTI
L AVO RO O R I G I N A L E
13
propone che, in strutture
ortopediche specializzate,
vengano istituiti protocolli clinici omogenei che
implementino la diagnosi
e
il
trattamento
dell’Op/Opm. Viene quindi suggerito un protocollo
multidisciplinare per la
valutazione clinico-metabolica del paziente, da
effettuarsi prima dell’intervento di chirurgia e nel
successivo follow-up, considerando
l’eventuale
introduzione di una terapia medica mirata.
I vantaggi del protocollo
proposto da OrtoMed
Attraverso questo approccio metodologico potrà
essere valutata l’incidenza
reale di Op/Opm in questa popolazione di pazienti e rapportata nel followup all’outcome clinico.
La diagnosi permetterà
anche di impedire o quantomeno rallentare la comparsa dell’Op/Opm, oltre
a correggere i fattori di
rischio o eliminare quelli
modificabili come il fumo,
l’abuso di alcol, i rischi
ambientali di cadute.
Potranno inoltre essere
istituiti interventi non
farmacologici, a partire da
una dieta appropriata, con
adeguato apporto di calcio, supportata da una
moderata attività fisica.
Una dieta adeguata con
giusto apporto di calcio e
vitamina D può essere
infatti utile per ottimizzare il PMO, per mantenerlo e per prevenire le fratture da fragilità.
Sarà possibile inoltre istituire interventi farmacologici avendo oggi a
disposizione una vasta
gamma di farmaci efficaci
nel ridurre significativamente il rischio relativo
di fratture da fragilità e
nel favorire l’osteointegrazione dei mezzi di sintesi.
È quindi fondamentale
che tutti gli specialisti, al
momento della chirurgia,
non si trovino più “inaspettatamente” di fronte a
un tessuto osseo fragile,
che possa inficiare la riuscita dell’intervento stesso. Sarà importante identificare il più precocemente
possibile i soggetti a
rischio per Op/Opm al fine
di mettere in atto tutte
quelle misure e strategie
idonee per ottenere il
miglior risultato possibile
dell’intervento chirurgico,
effettuare un adeguato follow-up e ridurre il rischio
relativo di nuove o ulteriori fratture da fragilità,
utilizzando presidi terapeutici efficaci.
II) Individuazione dei fattori di rischio
Importante è la loro individuazione. Oggi abbiamo
a disposizione degli algoritmi che permettono di
valutare a 10 anni il rischio di frattura di femore
(Frax), uno strumento che il sanitario può utilizzare
on line (www.shef.ac.uk/frax).
III) Misurazione della Bmd
Rappresenta un buon indicatore per un aumentato
rischio fratturativo. Il gold standard per la
valutazione della BMD è la tecnica DXA. Il rischio
di frattura aumenta in modo esponenziale con
valori densitometrici di T-score <-2,5 deviazioni
standard (Ds), che secondo l’Oms rappresentano il
valore soglia per diagnosticare la presenza di
osteoporosi. Più il T-score diminuisce, più aumenta
il rischio di frattura. Il rischio relativo di frattura
aumenta di 1,5-3 volte per ogni Ds di riduzione
(circa il 10%) del valore della BMD.
IV) Esecuzione di esami radiologici
Rx standard e, nello specifico, esame morfometrico
dei corpi vertebrali: utile complemento per la
diagnosi di microfratture, prevalentemente
asintomatiche e misconosciute.
V) Esecuzione di test biochimici
Permette una diagnosi di Op secondaria e in
particolare di deficit di vitamina D, largamente
presente nella popolazione Italiana.
Particolarmente utili sono i marcatori del turnover
osseo, identificabili in marcatori di neoformazione
(es. fosfatasi alcalina ossea) e di riassorbimento
(es. piridinoline urinarie), che permettono una
predizione di perdita ossea, di frattura, nonché il
monitoraggio della terapia con predizione della
risposta e miglioramento della compliance.
LETTURE CONSIGLIATE
• Cheng JC, Guo X. Osteopenia in adolescent idiopathic
scoliosis. A primary problem or secondary to the spinal
deformity? Spine (Phila Pa 1976). 1997 Aug
1;22(15):1716-21.
• Cheng JC, Guo X, Sher AH. Persistent osteopenia in
adolescent idiopathic scoliosis. A longitudinal follow up study.
Spine (Phila Pa 1976) 1999 Jun 15;24(12):1218-22.
• NIH Consensus Development Panel on Osteoporosis
Prevention, Diagnosis, and Therapy. JAMA. 2001 Feb
14;285(6):785-95.
• Osteoporosi e malattie metaboliche dell'osso. Clinica e
diagnostica a cura di C. Albanese, R. Passariello, SpringerVerlag, Italia, 2009.
I) Valutazione clinica
Anamnesi familiare e fisiologica (in particolare
pubertà e comportamento alimentare), storia di
fratture da fragilità personali e/o familiari; storia di
rachialgie acute e/o croniche; esame obiettivo
generale, con attenzione alla valutazione dell’indice
di massa corporea, riduzione staturale,
accentuazione di cifosi dorsale, spinalgia alla
digitopressione e motilità del rachide.
• Adami S, Bertoldo F, Brandi ML, Cepollaro C, Filipponi
P, Fiore E, Frediani B, Giannini S, Gonnelli S, Isaia GC,
Luisetto G, Mannarino E, Marcocci C, Masi L, Mereu C,
Migliaccio S, Minisola S, Nuti R, Rini G, Rossini M,
Varenna M, Ventura L, Bianchi G; Società Italiana
dell'Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle
Malattie dello Scheletro. Guidelines for the diagnosis,
prevention and treatment of osteoporosis. Reumatismo.
2009 Oct-Dec;61(4):260-84.
• Quaderni del Ministero della Salute, n° 4, 2010.
Appropriatezza diagnostica e terapeutica nella
prevenzione delle fratture da fragilità da osteoporosi.
www.quadernidellasalute.it
VI) Inter venti non farmacologici
e farmacologici
Eliminazione di fattori di rischio modificabili (fumo,
abuso di alcol, rischi ambientali di cadute) e dieta
adeguata con giusto apporto di calcio e vitamina D,
ma anche equilibrata come contenuto di proteine,
carboidrati e lipidi possono essere utili per
ottimizzare il PMO anche in età giovanile. Quando
necessari si ricorrerà all’utilizzo di farmaci efficaci
nel ridurre il rischio fratturativo (tab. 4).
VII) Follow-up
Valutazione clinica e della risposta e aderenza ai
trattamenti.
15
CORSI E CONGRESSI
Perdite di sostanza
in chirurgia della mano
I due presidenti del congresso della Società italiana di chirurgia
della mano: a sinistra Italo Pontini, a destra Bruno Battiston
La chirurgia ricostruttiva si avvale oggi di nuove tecniche e coglie sempre
più le opportunità offerte dai progressi dell’ingegneria dei tessuti.
Sono questi i temi che verranno approfonditi nel prossimo congresso
della Società italiana di chirurgia della mano
Dal 6 all’8 ottobre si svolgerà a Torino, presso il
Centro congressi unione industriale, il 49°
congresso nazionale della Società italiana di
chirurgia della mano (Sicm).
Tabloid di Ortopedia ha intervistato Bruno
Battiston, che sarà alla presidenza dell’evento
assieme al collega Italo Pontini, responsabile del
servizio di chirurgia della mano del Cto Maria
Adelaide di Torino.
Direttore del centro di ortopedia e traumatologia
a indirizzo traumatologia muscolo scheletrica
presso l’azienda ospedaliera Cto Maria Adelaide
di Torino, Battiston e il suo team vantano una
notevole esperienza sulle tematiche più innovative
della chirurgia ricostruttiva e delle lesioni del
sistema nervoso periferico.
Dottor Battiston,
l’argomento centrale
del congresso di Torino
sarà la ricostruzione
delle perdite di
sostanza dell’arto
superiore. Come mai è
stato scelto questo
tema?
Aumentano sempre più
nella nostra attività chi-
rurgica le possibilità di
ricostruire morfologicamente e funzionalmente
lesioni anche molto gravi,
con perdite di sostanza
tissutale. Nasce quindi la
necessità di chiarire con
precisione gli strumenti
che abbiamo a disposizione, i risultati ottenibili e
di conseguenza le indicazioni precise a ricostruire
IL 49° CONGRESSO SICM
Il congresso della Società italiana di chirurgia della
mano (Sicm) si terrà a Torino dal 6 all’8 ottobre
e, oltre ad affrontare l’argomento delle perdite di
sostanza, che costituisce il tema principale, dedicherà ampio spazio alla presentazione di esperienze
originali e approfondimenti su patologie della mano
e dell’arto superiore che presentano ancora aspetti
controversi di diagnosi o trattamento. Ciò avverrà
attraverso corsi di istruzione, sessioni di comunicazioni libere raggruppate per argomenti, presentazioni di case report.
«La riparazione dei tessuti verrà affrontata da letture
specifiche che metteranno a fuoco lo stato dell’arte e
le possibili innovazioni - ci ha spiegato Bruno
Battiston, presidente del congresso assieme a Italo
Pontini -. Sarà poi compito di altri relatori quello di
suggerire i percorsi nella ricostruzione delle differenti regioni anatomiche utilizzando le diverse tecniche
a seconda del problema specifico di quel settore anatomico e del tipo di lesione che si è prodotta».
Una lettura magistrale metterà a fuoco il tema del trapianto di mano alla luce dell’ultimo caso effettuato in
Italia, sottolineando le indicazioni (ricostruzione di
amputazioni bilaterali) e i risultati ottenibili grazie
soprattutto ai progressi in campo immunologico.
Pur essendo un congresso nazionale, l’interesse verrà
ulteriormente accresciuto dalla partecipazione della
delegazione di un’altra società europea. Una sessione verrà infatti dedicata alla presentazione di esperienze di chirurghi della mano della Società greca.
Per informazioni e iscrizioni: StudioProgress
Tel. 030.290326 - Fax 030.40164
[email protected] - www.sicm.it
o meno gravi lesioni in
campo traumatologico od
oncologico.
Quali tipi di pazienti
sono interessati da
queste procedure
innovative?
Si tratta di pazienti che
hanno subito lesioni traumatiche ad alta energia,
con distruzione di uno o
più tessuti, oppure soggetti affetti da gravi neoplasie che richiedono ampie
demolizioni chirurgiche.
Queste lesioni in passato
avevano come destino
finale un grave esito funzionale o addirittura l’amputazione del segmento
danneggiato.
Quali sono le
problematiche in
ambito traumatologico?
Il salto di qualità dato
dalle tecniche di microchirurgia ricostruttiva ha
consentito non solo il salvataggio di importanti
lesioni devascolarizzanti
attraverso delicate rivascolarizzazioni, ma anche
la sostituzione dei tessuti
danneggiati grazie all’apporto di tessuti ben vascolarizzati
prelevati
a
distanza (lembi liberi).
Soprattutto ha permesso
la restituzione della funzione - e non solo della
morfologia del segmento
danneggiato - mediante la
ricostruzione di nervi
periferici o l’apporto di
lembi muscolari reinnervati a supplire l’unità
muscolo-tendinea danneggiata.
E quali le applicazioni
in ambito oncologico?
La possibilità di ricostruire asportazioni di importanti “blocchi” di tessuto
ha cambiato non solo la
prognosi funzionale dei
pazienti, ma ha anche
influenzato la programmazione chirurgica, consentendo interventi con maggiore radicalità. Protesi
articolari modulari consentono di adattare il progetto ricostruttivo all’ampiezza della demolizione
richiesta.
L’apporto di tessuti ben
vascolarizzati permette
inoltre di affrontare localmente in modo efficace le
terapie richieste dai pro-
tocolli oncologici, come
la radioterapia.
Questo difficile campo
chirurgico sarà trattato
nel congresso insieme al
Club italiano oncologia
muscolo
scheletrica
(Ciosm), società superspecialistica che raggruppa i migliori esperti in
questo settore e che lavorano ormai da anni sulla
condivisione di linee
guida nella diagnosi e nel
trattamento della patologia.
Le novità derivano
principalmente dalle
tecniche chirurgiche o
dai progressi legati alla
biologia dei tessuti e
alla disponibilità di
materiali artificiali?
Le principali novità, oltre
alla descrizione di nuovi
lembi o la costruzione di
protesi articolari sempre
più sofisticate, consistono
soprattutto in un approccio diverso alla ricostruzione attraverso l’integrazione di tecniche chirurgiche, di sistemi stimolanti la rigenerazione tessutale (Vac, scaffolds per la
rigenerazione dermica o
per quella nervosa), l’impiego di tessuti di banca e
di fattori di crescita tissutale.
Si parla sempre più spesso
di medicina rigenerativa e
talvolta di vera e propria
ingegneria tissutale. In
una ricostruzione di un
difetto creato dall’asportazione di un tumore è
ormai consuetudine la
programmazione di un
“assemblaggio” costituito
da un tessuto di banca, ad
esempio un tendine,
coperto e rivascolarizzato
da un lembo libero.
Ha citato le banche dei
tessuti: in che modo
vengono utilizzate?
Nei Centri regionali autorizzati vengono preparati
e “stoccati” componenti
fondamentali per tutte le
possibili riparazioni e
addirittura, su richiesta
dei chirurghi che devono
effettuare una ricostruzione, vengono prelevati
appositamente e preparati
blocchi di tessuti “personalizzati” per un certo
paziente e una ben precisa
lesione: segmenti scheletrici, articolazioni con
inserzioni legamentose e
Gli approfondimenti sul sistema nervoso periferico
pubblicati in queste pagine si riferiscono all’esperienza e alle ricerche nel settore condotte presso
l'unità operativa complessa di traumatologia del
Cto di Torino che, insieme all'unità operativa
distrettuale di microchirurgia e all'unità operativa
complessa di chirurgia della mano, porta avanti
da molti anni esperienze cliniche e ricerche sperimentali, in modo particolare nel settore della ricostruzione del sistema nervoso periferico.
SUTURE NERVOSE
TERMINO-LATERALI
Di recente è stata descritta una nuova tecnica di riparazione nervosa in grado di risolvere lesioni da avulsione o con moncone nervoso prossimale non reperibile per poter effettuare una riparazione nervosa tradizionale di tipo termino-terminale: la sutura “terminolaterale”.
La coaptazione di un moncone nervoso distale danneggiato a un nervo sano vicino ha dato origine a
rigenerazione nervosa in molti lavori sperimentali e i
primi report clinici sembrano suggerire un ruolo promettente per questa nuova tecnica, che rappresenta
un paradosso in quanto si richiede a un nervo sano
di rigenerare in un’altra branca nervosa, fenomeno
non automatico nei processi riparativi del nostro
corpo. Uno dei punti principali in favore di questa
tecnica sembra essere la possibilità di recuperare la
funzione di un nervo danneggiato senza perdere la
funzione di un nervo donatore (come neurotizzatore
o anche solo usato come innesto). Lo sprouting degli
assoni che dal nervo sano vanno al moncone suturatogli in termino-laterale appare avvenire a livello dei
nodi di Ranvier.
Per comprendere realmente i meccanismi di reinnervazione e l’efficacia funzionale delle nuove fibre nervose che crescono verso il bersaglio (muscolo o cute
denervata) gli esperti del Cto di Torino hanno eseguito ricerche sperimentali che hanno dimostrato l’efficacia di questa tecnica, tanto da indurli successivamente ad applicare questa riparazione anche in casi clinici. I ricercatori hanno poi recentemente rivisto insieme a un altro centro di riferimento (quello dell'ospedale di Legnano) i primi casi clinici operati. Dal 1999
al 2001 hanno trattato 25 casi di lesione del plesso
brachiale utilizzando una sutura termino-laterale da
sola o insieme ad altre metodiche ricostruttive. Solo
una parte ha però mostrato buoni risultati, indipendentemente dal livello di lesione o del nervo utilizzato. «Quindi - commentano al Cto - si tratta di una tecnica valida ma che presenta ancora alcune incognite, perché non siamo in grado di decidere noi quale
componente del nervo sano entrerà a reinnervare il
nervo danneggiato: riteniamo che sia una tecnica in
più nel nostro armamentario chirurgico, ma da utilizzare quando non siano possibili altre metodiche ricostruttive».
16
CORSI E CONGRESSI
tendinee e altro ancora.
Al Cto di Torino è presente una fra le prime
banche a livello internazionale dedicata al prelievo e conservazione della
cute da cadavere. Nata
più per il trattamento dell’ustionato, consente oggi
copertura temporanea di
difetti cutanei importanti,
in attesa di successivi
innesti o lembi.
Ricostruzione articolare,
nervosa e
osteotendinea: quali
problematiche pone
ciascun tipo di tessuto e
a che punto siamo nella
capacità di ripristinarne
l’anatomia e la
funzionalità?
Ovviamente ogni tessuto
o struttura pone problemi
specifici.
La riparazione del mantello cutaneo – e quindi la
copertura delle strutture
nobili sottostanti – verrà
affrontata in una tavola
rotonda al congresso.
L’introduzione di tecniche
come la Vacuum Assisted
Closure (Vac), che stimola la formazione di tessuto
di
granulazione
ben
vascolarizzato o di membrane costruite in laboratorio a base di acido ialuronico o di altro tipo, ha
ridotto in parte l’utilizzo
di interventi chirurgici
maggiori. Negli ultimi
anni viene sempre più utilizzato un template biodegradabile a base di collagene per la rigenerazione
dermica che funge da
scaffold per l’invasione
cellulare e la crescita di
neocapillari, preparando
un letto ideale per l’applicazione successiva di
innesti cutanei. In questo
congresso si cercherà di
definire meglio quando
possiamo riparare con tec-
niche poco invasive e che
non richiedono il sacrificio di tessuti da altre zone
donatrici, oppure quando
è necessario ricorrere a
lembi cutanei per garantire una ricostruzione funzionalmente valida, come
accade ad esempio in zone
che richiedono tessuto
soffice e plicabile per consentire movimento articolare o scorrimento di
gruppi tendinei.
Nelle ricostruzioni articolari a livello dell’arto
superiore, il recupero
della mobilità deve essere
ottenuto
scegliendo
impianti protesici che
siano allo stesso tempo
dotati di una buona stabilità intrinseca. La problematica ricostruttiva può
cambiare in un soggetto
molto giovane, nel quale
si cerca di scegliere una
soluzione più duratura
rispetto a una protesi,
ricorrendo quindi a soluzioni biologiche come
allograft (innesti massivi
di banca), eventualmente
rivascolarizzati con innesti ossei trasferiti con tecniche microchirurgiche.
Per i difetti ossei diafisari,
oltre alle consolidate tecniche di rigenerazione
ossea tramite trasporto
con fissazione esterna, si
fa sempre più strada il
concetto di riparazione
tramite tecniche di ingegneria tessutale, per cui
viene creata una "camera
biologica" a livello del
difetto contenente fattori
di crescita e cellule staminali. Una lettura magistrale del congresso verterà proprio su quest’ultima frontiera.
Le ricostruzioni muscolotendinee richiedono talora semplici trasposizioni
tendinee locali, ma si può
arrivare alla trasposizione
di un gruppo muscolare
libero, a cui vengono
restituite con tecniche
microchirurgiche
la
vascolarizzazione e l’innervazione.
Ancora, elemento fondamentale per il recupero
funzionale di una grave
lesione demolitiva è il
ripristino dei nervi periferici
danneggiati.
Specialmente a livello
dell’arto superiore una
buona riparazione nervosa
è importante non solo per
il ripristino motorio ma
anche per il recupero
della sensibilità. Una
mano che presenta buoni
movimenti ma non ha
sensibilità è un organo
cieco, la cui funzionalità è
notevolmente ridotta. Le
ricostruzioni di un nervo
periferico mediante tecniche tradizionali, come
suture o innesti nervosi,
spesso sono insufficienti
di fronte a un danno
molto esteso. Un aiuto
può essere dato da tecniche innovative come le
neurotizzazioni con altri
rami nervosi integri o le
suture termino-laterali.
Anche questo è un argomento che sarà ampiamente discusso nella
tavola rotonda.
Rigenerazione cutanea
e degli altri tessuti: qual
è la realtà oggi e quali
le prospettive?
Si parla tanto di rigenerazione tessutale, argomento estremamente affascinante ma che per il
momento presenta ancora
parecchie incognite e
tanta ricerca ancora da
fare. Parecchie cose sono
già una realtà consolidata,
ad esempio l’utilizzo di
proteine come la Bmp,
che ha capacità osteoinduttive e che viene impiegata per stimolare in
modo rilevante le capa-
cità riparative del tessuto
osseo.
In molti altri casi quanto
viene proposto non ha
ancora una valenza definita e manca di evidenze
scientifiche. È proprio su
queste nuove frontiere
che ci si confronterà nella
tavola rotonda.
Dottor Battiston, quali
difficoltà deve
affrontare oggi uno
specialista in questo
settore?
Le difficoltà maggiori
nella chirurgia ricostruttiva di queste complesse
lesioni sono di tipo organizzativo: la creazione di
reti per le emergenze che
convoglino le lesioni
traumatiche nei centri di
II livello accreditati e in
grado di affrontare ricostruzioni complesse è un
percorso ancora da completare.
Anche nel caso di lesioni
tumorali si devono seguire
ormai percorsi spesso ben
definiti che portano i
pazienti a essere trattati
da gruppi di lavoro interdisciplinari costituiti da
oncologo, radiologo, chirurgo ortopedico e chirurgo plastico, microchirurgo. La destinazione di
risorse adeguate è poi un
problema quotidiano, specie quando la soluzione
ricostruttiva ideale richiede strumenti e tecniche
sofisticate e spesso molto
costose.
Funzionalità ed
estetica: quanto e come
convergono nel lavoro
degli specialisti della
mano e dell’arto
superiore?
Il recupero morfologico e
funzionale di queste lesio-
LE LESIONI NERVOSE PERIFERICHE: STORIA DI UN TRATTAMENTO
La prima descrizione organica del sistema nervoso
periferico, con l’identificazione del midollo e delle
radici nervose con la distinzione fra componente
motoria e sensitiva, risale a Herophilus nel III secolo
a.C. Bisogna però attendere Galeno (131-201 d.C.)
per una più organica descrizione delle strutture nervose e per le prime descrizioni di riparazioni chirurgiche
dagli incredibili risultati. Nel corso dei secoli si raccolgono indicazioni di specifici trattamenti, come la sutura nervosa attuata da Paolo di Aegina (625-690 d.C.)
, ma la prima chiara descrizione organica di una riparazione nervosa deve essere attribuita ai persiani
(Rhazes 850-923, Avicenna 980-1036, Ali Abu Ibn
Sina 980-1037). I trattamenti chirurgici, scarsi nei
risultati e funestati dalle frequenti infezioni, portarono
i chirurghi del Medioevo a rifiutare la riparazione nervosa. Notevole impulso al trattamento delle lesioni nervose, durante il XX secolo, viene dato nei periodi bellici, durante la prima guerra mondiale per il notevole
numero di casi, ma soprattutto durante la seconda
guerra mondiale, per la possibilità di controllare le
infezioni e successivamente con l’introduzione dell’uso
in sala operatoria del microscopio. La sutura nervosa
o neurorraffia richiede ormai sempre l’utilizzo di
mezzi di ingrandimento. Il forte ingrandimento facilita
la valutazione dello stato del nervo e dei suoi fascicoli mentre il medio e il piccolo ingrandimento consentiranno di effettuare la sutura con buona definizione e
profondità di campo.
Negli anni sono state proposte diverse tecniche di
sutura, ma in ogni caso va ricordato che la neuroraffia deve essere eseguita in modo atraumatico, con
materiali inerti che non evochino reazioni da corpo
estraneo e in assenza di tensione che produrrebbe
un’importante reazione cicatriziale in grado di “strozzare” il nervo e impedire la rigenerazione assonale.
Ulteriore fondamentale evoluzione nel trattamento chirurgico è stata l’introduzione degli innesti nervosi
autologhi (Millesi, 1967) per colmare perdite di
sostanza nervosa senza dover effettuare suture sotto
tensione o per poter riparare lesioni in precedenza
irreparabili.
L’innesto si comporta come un tratto di nervo in degenerazione e fornisce tubi endonevriali ripieni di cellule di Schwann utili a guidare gli assoni e ad avvolgerli di mielina. Vengono utilizzati quali donatori di innesti nervi sensitivi la cui perdita non rappresenti un
danno significativo per i pazienti quali il cutaneo
mediale dell’avambraccio, il radiale superficiale, il
safeno e il surale.
ni va di pari passo.
L’attenzione sempre maggiore del chirurgo verso
un ripristino della funzione deve tenere presente le
richieste dei pazienti sempre più preoccupati anche
dell’estetica. Nella scelta
di una tecnica chirurgica
a parità di possibilità ricostruttive si cerca di sceglierne una che non
richieda il prelievo da
un’altra regione sana o
che comunque determini
il minor danno possibile a
livello della zona donatrice.
Anche
per
l’aspetto
morfologico comunque si
sono fatti grossi progressi
utilizzando tecniche di
rigenerazione tessutale,
come ad esempio il lipofilling, che punta a
migliorare cicatrici o
disarmonie morfologiche
grazie all’introduzione di
centrifugati di cellule del
tessuto adiposo contenenti elementi staminali.
Renato Torlaschi
LA TUBULIZZAZIONE:
UN’ALTERNATIVA
ALL’INNESTO NERVOSO AUTOLOGO
Le lesioni dei nervi periferici con perdita di sostanza
vengono trattate con innesti la cui tecnica risulta ben
standardizzata e affidabile e i cui risultati sono generalmente buoni.
Però l’innesto autologo richiede comunque un allungamento significativo dei tempi chirurgici, una o più incisioni supplementari e produce un danno iatrogeno
aggiuntivo (la perdita di un nervo sensitivo).
Negli anni diversi autori hanno pertanto sentito la
necessità di trovare un’alternativa altrettanto valida.
Già agli inizi del Novecento Foramitti utilizzò innesti
arteriosi, mentre Wrede (1909) si servì di vene. Nel
1981 Lundborg esaltò i vantaggi della tubulizzazione
evidenziando nei suoi studi su camere endoteliali artificiali la ricerca spontanea degli assoni in rigenerazione
della propria destinazione (chemiotropismo). Altri autori utilizzarono in seguito con buoni risultati innesti di
muscolo fresco o degenerato (Jiming e Glasby, 1986).
Ultimamente sono numerosi gli studi relativi a tubuli artificiali vuoti o ripieni di fattori di crescita (Lundborg
1982, Dellon 1990).
Tutti questi tipi di “condotti” però sono risultati validi per
distanze non superiori ai due centimetri poiché oltre
tale lunghezza la maggior parte di essi (vene, arterie,
ecc.) si collassano, mentre altri consentono la dispersione assonale. Sulla base di ricerche sperimentali portate avanti a Torino presso il Cto, si è iniziato a utilizzare da alcuni anni la tubulizzazione con “muscolo in
vena” i cui primi risultati sono già stati oggetto di pubblicazione. La vena, come molti altri tubuli, funge da
guida agli assoni rigeneranti. Il muscolo, che può essere prelevato nella zona di lesione, riempie la vena e
non solo le impedisce di collassare, ma fornisce un supporto trofico e di adesione alle fibre rigeneranti sostenendo e fornendo una guida sia agli assoni che alle
cellule di Schwann. Il muscolo inoltre permette la diffusione di quelle sostanze neurotropiche rilasciate dal
moncone distale che permettono il corretto orientamento degli assoni rigeneranti verso gli organi bersaglio. Le
cellule di Schwann e la lamina basale del muscolo sembrano essere gli elementi chiave dell’intero fenomeno
rigenerativo.
Sottolineiamo i vantaggi di questa metodica: 1) consente riparazioni di perdite di sostanza anche superiori ai
due centimetri (che costituiscono generalmente il limite
oltre il quale altre tecniche di tubulizzazione descritte
non forniscono più risultati); 2) consente di prelevare la
vena e il muscolo dalla zona di lesione senza creare
(pur limitati) deficit funzionali ed estetici al paziente.
Questo può essere utile soprattutto in urgenza per ricostituire la continuità di una perdita di sostanza nervosa
senza il sacrificio di un nervo donatore; 3) permette
alle fibre nervose rigeneranti di orientarsi all’interno del
tubulo e di ricercare la propria destinazione finale,
richiamate da segnali chimici o di altro genere provenienti dal segmento nervoso distale (chemiotropismo).
18
CORSI E CONGRESSI
Come stabilizzare
gli impianti da revisione
Su questo argomento sarà focalizzato il prossimo appuntamento
dell’Associazione italiana di riprotesizzazione, nell’ambito
di una chirurgia difficile ma sempre più necessaria
Tabloid di Ortopedia ha intervistato
il professor Massimo Innocenti,
docente di malattie dell’apparato
locomotore alla facoltà di medicina
dell’Università di Firenze e direttore
della struttura dipartimentale di
ortopedia generale 1 dell’Azienda
Ospedaliero Universitaria di
Careggi.
Innocenti è esperto di protesi delle
grandi articolazioni, alle quali
applica tecniche di chirurgia
mininvasiva e computer assistita;
ha un'ampia esperienza nell’uso di
protesi in materiale ceramizzato e
anallergico per la maggiore durata
degli impianti; è esperto in
chirurgia artroscopica del
ginocchio per il trattamento di
lesioni legamentose, meniscali e
cartilaginee e si interessa di
tecniche ricostruttive con cellule
staminali e fattori di crescita
dell’osso per revisione di protesi,
necrosi ossee ed esiti di fratture non
consolidate.
Il professor Innocenti presiederà a
settembre la quinta edizione del
congresso dell’Associazione italiana
di riprotesizzazione (Air).
Professor Innocenti,
quanto spesso si
presenta la necessità di
revisione di un
impianto?
Attualmente il ricorso alla
chirurgia di revisione è
sempre più frequente e
legato principalmente a
due fattori: l’allungamento della vita media e il
crescente numero di protesi impiantate in pazienti
in giovane età.
Gli ottimi risultati che
oramai garantiscono le
protesi articolari hanno
permesso di estendere
questo tipo di interventi
anche a pazienti relativamente giovani, con elevate richieste funzionali, che
espongono tuttavia la loro
protesi a maggiori sollecitazioni e quindi a lungo
andare ad usura e necessità di revisione.
Quali sono le cause
prevalenti che portano
a un intervento di
revisione?
È inevitabile che le protesi
giungano ad un dato
momento al “fine servizio”.
Nel 75% dei casi si tratta
di scollamento dell’impianto
dall’osso, definito
“allentamento asettico”; se
il paziente è in buone condizioni generali e ha un'età
adeguata, occorre una revisione; in altri casi lo scollamento è più precoce e in
questo caso costituisce un
fallimento.
Altre cause possono essere
le infezioni; esse incidono
in particolari categorie di
pazienti, come diabetici,
obesi, reumatoidi ed emofilici, raggiungendo in
questi soggetti un’incidenza di circa il 6-7%. Con le
accortezze necessarie, corretta profilassi antibiotica,
uso di caschi o flussi laminari, ridotta invasività
chirurgica, nella popolazione non a rischio l’infezione incide circa per
l’1% dei casi.
Il fallimento può essere
determinato da un’instabilità dell’impianto, sotto
forma di lussazione nelle
protesi di anca o di vario
grado
di
instabilità,
comunque sintomatico e
causa di deficit funzionale
nel ginocchio.
Un evento che si riscontra
sempre più frequentemente, specie nel paziente più
anziano e con fragilità
ossea, è costituito dalle
fratture periprotesiche,
che possono richiedere sia
un reimpianto sia un’osteosintesi.
Infine esiste una modalità
di insuccesso molto difficile da trattare costituito
dalla protesi dolorosa,
nella quale non sono evidenti le cause del dolore
che persiste dopo l’impianto; si ipotizza in questo caso un’infezione torpida, ma va tenuta presente la possibilità di una sensibilità individuale del
paziente ai metalli. Si
tratta di un argomento
molto dibattuto, che
richiede un approccio preventivo
individuando
accuratamente il soggetto
a rischio di allergia
mediante
un’anamnesi
accurata e utilizzando
quando necessario test
diagnostici di studio dell’attività linfocitaria.
L’intervento di revisione
comporta problematiche
differenti rispetto
all’intervento primario.
Quali, in particolare?
Il primo aspetto che va
affrontato è la diagnosi
della causa di fallimento,
che influenza le strategie
chirurgiche e la scelta
della protesi da revisione.
La tecnica chirurgica è
sicuramente più complessa, a cominciare dalla via
di accesso e dalle modalità
di rimozione dell’impianto, che deve essere eseguita con strumentari dedicati, oggi disponibili, allo
scopo di non accentuare il
deficit osseo presente in
maniera più o meno rilevante nei diversi casi.
Il deficit di bone stock
richiede modelli protesici
adeguati, in grado di offrire modalità accessorie di
fissazione, ma soprattutto
richiede apporto di tessuto
osseo o di materiali sintetici in grado di colmare la
perdita di tessuto e favorire la fissazione.
Proprio su questo argomento si incentrerà il
dibattito in occasione del
congresso Air di Firenze:
ci sarà una sezione dedicata ai materiali con i quali
sono costruite le moderne
artroprotesi da revisione,
una sezione dedicata alle
possibilità di stimolazione
della
crescita
ossea
mediante l’impiego di fattori di crescita e di cellule
e una sezione nella quale
si esaminerà la possibilità
di incrementare la risposta
osteoformativa mediante
farmaci.
Materiali, fattori
biologici e farmaci:
quali particolarità
riguardano nello
specifico gli interventi
di revisione?
Esiste oggi tutta una serie
di materiali metallici altamente biocompatibili con
elevate proprietà osteointegrative con cui vengono
realizzati i rivestimenti
delle superfici protesiche.
È importante conoscere
19
quali possibilità vengono
offerte al chirurgo.
Si dispone inoltre di
materiali realizzati specificamente per pazienti
allergici al nickel o che
comunque abbiano sviluppato una sensibilizzazione
in seguito all’introduzione
di un precedente dispositivo metallico, anche non
ortopedico.
I fattori biologici da
impiegare nelle revisioni
sono gli stessi che si utilizzano per la rigenerazione
ossea in qualsiasi altro
campo. I fattori di crescita
e le cellule staminali
hanno dato risultati eccellenti in traumatologia nel
trattamento dei difetti di
consolidazione; la loro
applicazione alle revisioni
di protesi, pur non essendo ancora consolidata,
appare comunque un tema
di grande interesse e le
prime evidenze saranno
presentate al congresso
da importanti chirurghi
italiani e stranieri.
Abbiamo infine oggi a
disposizione
un’ampia
gamma di farmaci che
consentono di regolare il
metabolismo osseo. In
particolare l’impiego di
farmaci antiriassorbitivi o
osteoinduttivi, sia nel
CORSI E CONGRESSI
trattamento precoce dell’allentamento asettico sia
nel
post
operatorio,
potrebbe rallentare la
cascata di degradazione
ossea e permettere una
maggiore integrazione dell’impianto all’osso dell’ospite. Anche su questo
aspetto ho ritenuto utile
che gli autori più accreditati portassero la loro
esperienza sulla quale
aprire un dibattito.
Tornando ai materiali:
quali si stanno
affermando per gli
scaffold?
Gli scaffold sono argomento di notevole ricerca
in campo delle biotecnologie e sicuramente l’aspetto della rigenerazione
tissutale in maggiore sviluppo.
Numerosi materiali vengono impiegati per la loro realizzazione tra cui vari tipi di
ceramiche, polimeri o
materiali compositi costituiti sia da particelle in
ceramica che da strutture
polimeriche. Particolare
attenzione viene rivolta
attualmente alle nanotecnologie, ovvero alla fabbricazione di strutture in grado
IL V CONGRESSO AIR
Il quinto congresso dell’Associazione italiana di
riprotesizzazione (Air) si terrà a Firenze da giovedì 22 a sabato 24 settembre.
Come è noto la riprotesizzazione articolare è un
argomento che, inizialmente di nicchia e trattato in
pochi centri specializzati, ha assunto nel tempo un
interesse anche numerico crescente e sono sempre
di più i chirurghi chiamati ad affrontare questi difficili interventi.
«Il congresso si rivolge sia ai più esperti cultori della
materia, sia a coloro che desiderano acquisire le
conoscenze necessarie per affrontare questo aspetto così complesso dell’ortopedia ricostruttiva; la difficoltà della chirurgia di revisione protesica non
deve scoraggiare chi si appresta a costruire la propria carriera di ortopedico e spero che numerosi
giovani colleghi adeguatamente formati possano
portare avanti sempre meglio questo tipo di chirurgia nei loro ospedali. Credo che questo sia il principale compito della nostra società scientifica superspecialistica» afferma il professor Massimo
Innocenti, presidente di questa edizione del congresso Air.
Le aspettative riposte nel congresso di Firenze sono
la diffusione delle conoscenze, oltre al franco dibattito fra i partecipanti. «Posto che la corretta indicazione e una tecnica chirurgica adeguata costituiscono i capisaldi del successo dell’intervento, ho ritenuto fosse utile affrontare tre aspetti legati alla possibilità del nuovo impianto di ottenere una fissazione
ossea valida e duratura nel tempo: i materiali, oggi
sempre più evoluti ed efficaci, la componente biologica costituita dalle tecniche in grado di incrementare l’osteogenesi e i farmaci attivi sul metabolismo
osseo - ci ha spiegato Innocenti -. Ognuno di questi
argomenti sarà trattato dal punto di vista della scienza di base e da quello dell’esperienza clinica».
Per informazioni e iscrizioni: CSR Congressi srl
Tel. 051.765357 - Fax 051.765195
[email protected] - www.riprotesizzazione.eu
di mimare il tessuto osseo
anche a livello submicroscopico.
Che vantaggi offrono i
cosiddetti metalli
porosi?
Anche le superfici di rivestimento delle componenti protesiche vengono
oggi realizzate in materiali altamente biocompatibili macro e micro strutturati per accogliere il tessuto osseo. Ciò significa che
il titanio e il tantalio, che
sono i biomateriali più
frequentemente utilizzati
per realizzare queste
superfici, sono stati lavorati in modo da ottenere
delle strutture tridimensionali in grado di mimare
l’osso trabecolare.
Tali materiali sono chiamati anche metalli trabecolari o porosi proprio per
la loro affinità morfologi-
ca con l’osso. Grazie a
questi il tessuto osseo riesce facilmente a penetrare
e crescere all’interno fino
a permettere la perfetta
integrazione dell’impianto con l’organismo.
Professor Innocenti, ci
può fare una rassegna
delle applicazioni delle
tecnologie di
ingegneria tissutale?
Oggi si parla largamente e a volte impropriamente
- di ingegneria tissutale.
Quella utilizzata dall’ortopedico nella pratica chirurgica ricostruttiva è una
tecnica semplificata, definita anche “in line procedure”, che può essere
direttamente eseguita in
sala operatoria; si tratta di
allestire un composito
costituito da uno scaffold,
spesso osso di banca morcellizzato, fattori di cre-
scita ottenuti dal sangue
periferico del paziente
sotto forma di plasma
ricco di piastrine e cellule
staminali o meglio mesenchimali adulte, comunque
in grado di proliferare
verso la linea osteoblastica, anch’esse ottenute dal
paziente attraverso un
aspirato di sangue midollare dalla cresta iliaca.
Le cellule staminali sono
concentrate per centrifugazione o per filtrazione e
applicate direttamente
all’interno del difetto
osseo da colmare nella
stessa seduta operatoria
assieme allo scaffold e ai
fattori di crescita. Questa
è sicuramente una procedura pratica, utile al chirurgo e con buoni risultati
clinici.
Non fa ancora parte del
nostro bagaglio clinico la
procedura ben più complessa che prevede invece
l’espansione cellulare.
Gli studi futuri stanno
rivolgendo il loro interesse alla realizzazione di
scaffold così definiti intelligenti (smart scaffold) che
contengono al loro interno tutte le informazioni
necessarie per guidare il
processo di rigenerazione
ossea. Si tratta infatti di
incorporare all’interno
degli scaffold dei fattori di
crescita che vengono rilasciati lentamente e in
modo preordinato, così da
richiamare le cellule staminali del paziente e da
indirizzarle verso la rigenerazione ossea. Sarà dunque possibile rigenerare
osso
semplicemente
impiantando questi tipi di
dispositivi all’interno del
difetto.
Renato Torlaschi
21
CORSI E CONGRESSI
108° Congresso Spllot
In primo piano a sinistra
il professor Paolo
Cherubino, presidente
Spllot; a destra
il professor Federico
Grassi di Novara,
presidente del congresso.
Insieme a loro,
i componenti
del consiglio direttivo
della Società scientifica.
Le protesi articolari nelle fratture e nei loro
esiti sarà il tema attorno al quale si svilupperanno le relazioni del congresso annuale della Società piemontese, ligure e lombarda di ortopedia e traumatologia, che
si terrà a Novara da giovedì 15 a sabato 17 settembre presso il campus universitario ex caserma “Perrone”, moderno polo
universitario dell’Università del Piemonte
Orientale, dotato di una prestigiosa aula
magna e di numerose aule didattiche multimediali.
«Il tema scelto rappresenta un ideale punto
d’incontro tra l’ortopedia e la traumatologia, dove ognuno di noi può trovare spunti di riflessione per la pratica clinica quotidiana» spiega Federico Grassi, presidente del congresso e direttore della struttura
complessa di ortopedia e traumatologia
dell'Azienda ospedaliero universitaria
Maggiore della Carità di Novara. Il chirurgo, che è anche professore ordinario di
malattie
dell'apparato
locomotore
all'Università degli studi del Piemonte
Orientale "A. Avogadro", guiderà i lavori
congressuali affiancato dal presidente
onorario dell'evento, Franco Ghisellini, e
dal presidente Spllot Paolo Cherubino.
Il congresso vedrà alternarsi sul palco
numerosi relatori di alto livello che affronteranno la tematica dal punto di vista
delle principali articolazioni: anca,
ginocchio, spalla, gomito, polso e
mano. Da segnalare la sessione di apertura dedicata agli specializzandi: nella
mattinata di giovedì i più giovani presenteranno i risultati delle attività scientifiche
delle rispettive scuole di ortopedia e le
due migliori comunicazioni verranno premiate dalla faculty congressuale.
Concluderà i lavori la sessione del sabato
mattina dedicata a infermieri e fisioterapisti. «Negli ultimi anni queste categorie professionali hanno partecipato con entusiasmo alle attività scientifiche della Spllot ed
è doveroso, da parte mia, impegnarmi ad
organizzare delle sessioni che possano
soddisfare il loro bisogno di aggiornamento e comunicazione» ha sottolineato
Grassi.
La riunione della Società scientifica sarà
infine l'occasione per eleggere il nuovo
consiglio direttivo che sarà in carica per il
biennio 2012-2013.
Per informazioni
Keyword Europa
Tel. 02.54122513 - Fax 02.54124871
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www.keyword-europa.it - www.spllot.it
Spine Symposium
Torino ospiterà nelle giornate di venerdì 9
e sabato 10 settembre un meeting internazionale di alto livello sulle patologie della
colonna vertebrale, che sarà presieduto da
Francesco Biroli, direttore dell'unità operativa di neurochirugia degli spedali Riuniti di
Bergamo, e da Alessandro Ducati, direttore della clinica di neurochirurgia
dell'Università degli studi di Torino.
«Per questo simposio abbiamo scelto tre dei
più comuni, importanti e controversi temi di
chirurgia spinale: le fratture, i tumori e la
patologia degenerativa» spiegano i due
presidenti. Questi argomenti rappresentano
senza dubbio i temi più discussi nei meeting
nazionali e internazionali ma il simposio di
Torino ha il merito di affrontarli con un
approccio e un format didattico ben diverso
rispetto a quello a cui siamo abituati.
«L'idea alla base dell'organizzazione di
questo evento didattico e formativo è quella
di offrire ai partecipanti un approccio al
problema maggiormente in linea con la
nostra pratica clinica» afferma Marco
Brayda-Bruno, direttore scientifico del congresso e responsabile della III chirurgia vertebrale dell'Istituto ortopedico Galeazzi di
Milano. Direzione scientifica ricoperta insieme a Claudio Lamartina, responsabile
della II chirurgia vertebrale presso lo stesso
istituto milanese, che ci ha spiegato più nel
dettaglio come si svilupperanno i lavori
dello Spine Symposium: «Eseguiremo in
sala l'analisi di casi clinici, portando tutti gli
elementi per effettuare il percorso diagnostico, per stilare il piano di trattamento e per
valutare gli outcome clinici, basandoci sia
sulle evidenze scientifiche che sull'esperienza personale - ci ha detto il chirurgo vertebrale -. Questo approccio favorirà il dibattito e lo scambio di opinioni, analizzando
soprattutto casi complessi, che verranno sottoposti ad analisi critica».
Una sessione conclusiva avrà infine l'obiettivo di riassumere i punti chiave emersi dai
due giorni di intensi lavori scientifici.
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Congresso Sotic
Giunto alla sua settantesima edizione, il
congresso nazionale della Società italiana di ortopedia e traumatologia
dell'Italia centrale (Sotic) si occuperà
del follow up a 10 anni delle protesi di
ginocchio e delle fratture di fragilità.
L'appuntamento è fissato per giovedì
30 giugno a Pisa, quando Giulio
Guido, direttore della clinica ortopedica dell'Università degli studi di Pisa
aprirà i lavori del congresso, che si concluderanno nella mattinata di sabato 2
luglio.
«Entrambi gli argomenti congressuali
sono temi di attualità e di estremo interesse - commenta Guido -. Per quanto
riguarda le protesi di ginocchio vorrei
che fosse centrata l’attenzione sui risultati di casistiche che abbiano almeno
10 anni di follow up, sperando che un
così lungo periodo possa chiarire alcuni
aspetti ancora in discussione, quali la
cementazione, la protesizzazione della
rotula, il sacrificio del crociato posteriore. Per quanto riguarda invece le fratture da fragilità - continua il chirurgo - è
certamente un argomento che sta riscuotendo negli ultimi anni un’attenzione da
parte di numerosi operatori sanitari e in
particolare di noi ortopedici che ci stiamo riappropriando di una patologia,
l’osteoporosi, il cui trattamento avevamo
demandato ad altri specialisti. Credo
quindi che discutere sul trattamento chirurgico e medico, sull’evoluzione del
callo osseo nelle fratture da fragilità, sul-
Giulio Guido
l’efficacia e sull’uso dei vari farmaci che
vengono impiegati in queste lesioni,
possa essere un motivo di ampia riflessione e confronto per cercare di dare
chiarezza a questo argomento».
Il congresso Sotic sarà anche teatro dell'ultima lezione accademica del professor Alessandro Faldini, past president
Siot, che avrà per titolo «Come è cambiata l’ortopedia in 50 anni» e che
segnerà il termine del suo lungo impegno di docenza universitaria.
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22
CORSI E CONGRESSI
Rizzoli elbow advanced course
Roberto Rotini
Graham JW King
Lunedì 5 e martedì 6 settembre presso l'Istituto
Ortopedico Rizzoli di Bologna si terrà la terza edizione del meeting «Elbow soft tissue reconstruction and
arthroplasty», che sarà presieduto da Roberto Rotini,
responsabile del servizio di chirurgia della spalla e del
gomito dello stesso istituto bolognese.
Il corso va idealmente a completare il ciclo di tre corsi
avanzati sulla patologia del gomito iniziato nel 2007,
anno in cui furono approfonditi i temi dell’artroscopia
di gomito con il dottor Shawn W. O’Driscoll della
Mayo Clinic di Rochester; il secondo corso, tenutosi
nel settembre 2009, con la presenza del dottor John
M. Itamura della Southern California University di Los
Angeles, delineò invece lo stato dell’arte sulle osteosintesi di gomito e sulle protesi della testa radiale. «In
questo terzo corso - spiega Rotini - avremo il piacere di
confrontarci con il dottor Graham JW King, leading
expert di fama mondiale nel trattamento delle patologie del gomito, che ci porterà l’esperienza del St.
Joseph’s Helth Care di London, Canada».
Ampio spazio verrà dedicato alla descrizione delle
tecniche chirurgiche, grazie anche all’ausilio di filmati e di collegamenti con le sale operatorie del
Rizzoli.
Il programma del corso si compone globalmente di 7
sessioni, che verteranno, nella prima giornata, sullo
studio anatomico e cinematico del gomito, sull’inquadramento dell’instabilità articolare, sulla descrizione
delle lesioni tendinee e del loro trattamento (grazie
anche alle re-live surgery) e sulla discussione del gomito del tennista. La seconda giornata sarà dedicata a
live surgery, re-live surgery e alla discussione sulle tecniche di artroplastica del gomito.
«L’impostazione di tutto il corso mira a creare una
straordinaria opportunità di interazione dei partecipanti con gli esperti, allo scopo di esaltare l’anima didattica, che da sempre rappresenta l’obiettivo primario di
questi meeting» sottolinea Roberto Rotini.
Il corso può vantare la partecipazione dei migliori relatori a livello italiano della disciplina e gode inoltre del
patrocinio dell'Associazione ortopedici e traumatologi
ospedalieri d'Italia (Otodi) e della Società italiana di
chirurgia della spalla e del gomito (Sicseg).
Per informazioni
Symposia srl
Tel. 055.4936321 - Fax 0584.1712005
[email protected] - www.symposiaeventi.it
IL PROGRAMMA DEL CONGRESSO
Il pomeriggio del sabato sarà dedicato ai corsi di istruzione rivolti ad argomenti già conosciuti e all’approfondimento delle nuove tecniche chirurgiche oggi disponibili, quali ad esempio le “Pmcb” (patient matching cutting block), le protesi di anca a conservazione e utilizzo del collo.
Protesi totale di gomito di terza generazione
Tabloid di Ortopedia
Mensile di informazione, cultura, attualità
Anno VI - numero 6 - giugno 2011
Direttore responsabile
Paolo Pegoraro [email protected]
Redazione
Andrea Peren [email protected]
Tel. 031.789085
96° congresso Siot
Il tradizionale appuntamento congressuale con la
Società italiana di ortopedia e traumatologia quest'anno arriva in anticipo: si terrà infatti da sabato 1 a mercoledì 5 ottobre a Rimini. Per la prima volta il congresso Siot non si svolge su palcoscenici di grandi città italiane, e la scelta di Rimini è stata una scommessa che i
presidenti si augurano, con l’aiuto di tutti, possa risultare vincente. La sede sarà il nuovo palazzo dei congressi: struttura moderna fra le più belle in Europa, grande
e funzionale, con sale dotate di tecnologie innovative.
«Queste caratteristiche dovrebbero permetterci di avere
a disposizione una location ideale per ospitare i lavori
del congresso nazionale, appuntamento di riferimento
per tutti gli ortopedici italiani» hanno commentato i presidenti del congresso, che sono Francesco Greco, direttore del laboratorio di biomeccanica e biomateriali
della clinica ortopedica dell'Università Politecnica delle
Marche, e Nicola Pace, direttore del dipartimento dell’apparato locomotore dell’Asl 5 di Jesi.
I due chirurghi hanno scelto come argomenti delle main
session il tema dei materiali e dei rivestimenti in ortopedia e quello delle biotecnologie applicate alla traumatologia. «Argomenti attualissimi e che tendono a conciliare due aspetti basilari dell'attività chirurgica ortopedica: da una parte la biologia e dell’altra la meccanica spiegano Greco e Pace -. È lo studio, la conoscenza e
l’approfondimento di queste due materie che potrà permetterci di crescere continuamente e di poter offrire ai
pazienti ogni giorno il massimo possibile per il raggiungimento di quel benessere fisico e psichico che è obiettivo naturale della professione e della società civile a
cui tutti apparteniamo».
Rottura sottocutanea del tendine distale del bicipite
Consulenza grafica
Minù Art - boutique creativa. www.minuart.it
Hanno collaborato Gianfranco Altomare, Giampiero Pilat,
Renato Torlaschi
Nelle giornate di sabato e domenica si svilupperanno
le riunioni delle società superspecialistiche. Dalla mattina di lunedì prenderanno il via i lavori della main session. Contemporaneamente inizieranno interventi dedicati a vari aspetti professionali tra cui il contratto di
lavoro, la compliance e il rapporto con gli specialist
aziendali nell’ambito delle attività di sala operatoria.
Ci si occuperà anche dell’organizzazione delle banche dell’osso in Italia e della creazione di centri di riferimento regionali per la chirurgia metastatica ossea.
Per la prima volta, si affronterà il tema della contestazione medico-legale da parte dell’utenza e si cercherà
in particolare di spiegare ai più giovani il comportamento da attuare nell’immediatezza di un evento di
questo genere.
Un argomento di grande rilievo riguarderà la discussione dei percorsi formativi universitari e superspecialistici
del medico ortopedico ospedaliero.
Ampi spazi verranno riservati a temi affini all’ortopedia
e traumatologia: la radiologia interventistica, le nuove
strategie in campo anestesiologico e infine le tecniche
riabilitative mirate al più rapido recupero del paziente
“fast track”.
La collocazione geografica di Rimini al centro della
penisola, la bellezza del territorio e le sue ricchezze
artistiche, la cucina e rinomata ospitalità della terra di
Romagna faranno da cornice a questo evento.
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