Venture capital informale e imprenditorialità innovativa

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Venture capital informale e imprenditorialità innovativa
Venture capital informale
e imprenditorialità innovativa
MARIO SORRENTINO*
Abstract
I business angel group e le strutture di intermediazione costituiscono due forme
organizzative che stanno giocando un ruolo importante nel mercato dell’informal venture
capital. I primi sono molto sviluppati negli USA, le seconde hanno trovato diffusione in
Europa. I business angel group sono delle unioni volontarie di investitori informali nel
capitale di rischio che decidono di mettere insieme risorse e know-how per migliorare i
risultati dell’attività di investimento nelle start up innovative. Le strutture di intermediazione,
spesso di matrice pubblica, sono invece network che favoriscono lo scambio di informazioni
tra domanda e offerta di capitale di rischio informale. Lo scopo del lavoro è di studiare le
due forme organizzative citate. Partendo da questa analisi, l’attenzione si concentra sul
mercato italiano dell’informal venture capital, in cui i gruppi di business angel non emergono
e le strutture intermedie non riescono ad operare efficacemente.
Parole chiave: capitale di rischio informale, start up innovative, gruppi di business angel
Two organized systems that are recently playing an important role in the organization of
the informal venture capital market are angel groups and business intermediaries. While the
former has grown fast in the US, the latter predominates in Europe. US angel groups are
alliances made by investors providing a more efficient marketplace for innovative start ups.
Business intermediaries are usually founded or supported by public organizations and mainly
operate as a matching mechanism. The aim of this paper is to provide an analysis of the
activities of these two organization forms. Building on this analysis, special attention is given
to the Italian informal venture capital market, where angel groups still don’t emerge and
business intermediaries are not really developing the market. Implications for public policy
and a new mission for Italian business intermediaries are also discussed.
Key words: new firms, informal venture capital, business angel groups.
1. Il problema del finanziamento delle idee innovative
Vi è oggigiorno in Italia un generale consenso sull’opportunità di promuovere la
nascita e lo sviluppo di start up innovative, operanti in settori emergenti e/o ad alta
*
Straordinario di Business planning e creazione di impresa - Seconda Università di Napoli
e-mail: [email protected]
sinergie n. 71/06
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intensità di conoscenza. Il fermento che caratterizza il mercato delle idee
imprenditoriali innovative è testimoniato dal crescente numero di iniziative dirette a
promuovere la nascita di imprese e/o a favorire processi di spin-off promosse da
centri di ricerca, atenei e strutture intermedie dedite all’innovazione ed al
trasferimento tecnologico (Phan et al., 2005). L’opzione dello sfruttamento
economico dei risultati dell’attività di ricerca tramite l’avvio di iniziative
imprenditoriali ad elevata innovazione sembra ormai una strada da seguire in diversi
campi della ricerca fra cui le biotecnologie (farmaceutiche, industriali, ambientali),
le nanotecnologie, l’informatica e le telecomunicazioni, la fisica della materia,
l’aerospaziale, il design. Quasi tutte le Università italiane hanno definito regolamenti
e procedure per promuovere gli spin-off accademici ed un numero crescente di
atenei e politecnici ha creato incubatori universitari con l’esplicito intento di dare
vita a start up innovative promosse da professori e ricercatori (contribuendo peraltro
ad indebolire un modus pensandi secondo cui l’accademico non deve essere
coinvolto in attività di impresa). La crescente partecipazione delle facoltà
scientifiche ad iniziative quali le business plan competition, in cui si sensibilizzano
aree di ricerca universitaria tradizionalmente estranee alle logiche di impresa a
proporre idee imprenditoriali e business plan, è un ulteriore segnale dello sviluppo
del mercato delle idee innovative.
La promozione e lo sviluppo di piccole start up in settori ad elevata innovazione
rientrano frequentemente in misure di public policy. Sono numerose le iniziative ed i
programmi sia comunitari che nazionali che supportano e finanziano atenei, centri di
ricerca e strutture dedite all’innovazione nel promuovere e realizzare processi di
spin-off; molto spesso a livello locale le agenzie di sviluppo regionale e le camere di
commercio affiancano tali strutture nel far emergere idee e progetti di impresa. La
presenza di una convergenza di interessi da parte di stakeholder di diversa natura ed
il coinvolgimento di strutture pubbliche molto spesso di eccellenza in iniziative di
commercializzazione dei risultati dell’attività di ricerca fanno intravedere la
possibilità che si inneschino circoli virtuosi di produzione di innovazione basati
sulla creazione cluster di piccole imprese ad alta tecnologia fortemente connesse ai
luoghi di produzione delle conoscenze.
Tuttavia, in questo circuito potenzialmente virtuoso ciò che sembra mancare nel nostro paese più che in altri contesti - è la risorsa finanziaria. Moltissimi progetti
trovano infatti enormi difficoltà ad acquisire capitali cui finanziare lo sviluppo
dell’idea imprenditoriale (dal finanziamento del business plan alla creazione di un
team) ed il successivo eventuale avvio delle attività (realizzazione del prototipo,
prima produzione, commercializzazione), fasi per le quali con ogni probabilità i
mezzi propri investiti dal gruppo imprenditoriale sono insufficienti.
Il finanziamento delle fasi iniziali (c.d. di seed e start up) della vita delle imprese
innovative presenta rischi elevati dal momento che le operazioni finanziate si
presentano fortemente incerte e ad elevata varianza di risultato. Un’impresa in fase
di seed è di fatto un’idea-progetto che sconta tutte le incertezze connesse alla
sperimentazione della novità (Stinchcombe, 1965) a cui vanno aggiunte le incertezze
connesse con l’innovatività dell’idea stessa, che spesso si riferisce a settori di
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nicchia, poco conosciuti o addirittura a nuovi business (Sorrentino, 2003). Anche la
fase di start up, in cui in genere si arriva ad avviare le attività di produzione e
commercializzazione del prodotto, spesso a valle di una sua prototipazione, si
presenta particolarmente rischiosa; rispetto a quella di seed esprime fabbisogni
finanziari più elevati, richiedendo il finanziamento dell’avvio delle attività di
produzione e vendita.
E’ noto che il mercato del venture capital ha giocato un ruolo fondamentale nel
finanziare le nuove imprese ad alta tecnologia. Sviluppatosi originariamente nel
mercato USA, il venture capital ha offerto capitale di rischio ad un tessuto di
imprese che diversamente non avrebbero avuto accesso al mercato finanziario. Con
riferimento agli Stati Uniti, è dimostrato che lo sviluppo del mercato del venture
capital ha contribuito fortemente all’emergere ed al consolidarsi di settori innovativi
(Kortum, Lerner, 2000) ed, in definitiva, a sancire la leadership statunitense nel
commercializzare l’innovazione tecnologica. In Europa, e dunque anche in Italia, il
mercato del venture capital si è sviluppato con ritardo rispetto agli Usa ed ha
assunto un ruolo meno pervasivo rispetto a quanto si è registrato oltreoceano. In
ogni caso, il venture capital ha rappresentato un intermediario in grado di finanziare
la nascita e lo sviluppo di piccole imprese innovative, molto spesso prive di asset
tangibili (fra gli altri, Sandri, 1994; Mustilli, 1999).
Tuttavia, le statistiche più recenti sull’attività dei venture capitalist sia
nordamericani che europei evidenziano in modo inequivocabile un crescente
disinteresse verso le imprese nella fase iniziale della loro vita. Negli ultimi 4-5 anni
si è infatti registrato un netto calo di investimenti verso operazioni di seed e start up
financing. Il calo concerne sia l’ammontare di risorse finanziarie investite che il
numero di accordi (deal) conclusi. Ad esempio, negli Stati Uniti, secondo i dati
forniti da NVCA (National Venture Capital Association), la percentuale di risorse
finanziarie investite dai venture capitalist nelle fasi di seed e start up (il c.d. early
stage) è calata dal 6,1% del 1999 (dunque, prima della bolla speculativa) al 2% del
2003, passando in valore assoluto da 3,3 miliardi di dollari a 354 milioni di dollari;
in termini di numero di operazioni, si è passati da 809 operazioni del 1999 (14,1%
del totale) a 166 operazioni del 2003 (6,1%) (NVCA, 2005). Analogamente, in
Europa, nel 2004, la percentuale di risorse investite negli stadi seed e start up è stata
del 6,4% contro il 14,4% del 1999 (EVCA, 2005). In Italia, secondo gli ultimi dati
disponibili, l’incidenza percentuale dell’ammontare delle operazioni di seed e start
up sul totale delle operazioni di venture capital e private equity è passata dall’8%
del 1999 all’1% del 1° semestre 2005; in termini di numero di deal, si è passati da
153 operazioni del 1999 a 50 del 2004 (per un ammontare complessivo investito di
soli 23 milioni di euro contro i 147 del 1999). Mentre nel 2000 figuravano 44 società
di venture capital attive nel segmento early stage, nel 1° semestre del 2005 il
numero di operatori attivi in tale segmento è pari a 8 (AIFI, 2005).
In tutti i contesti analizzati, il disinteresse verso le operazioni di early stage è
bilanciato da un aumento di investimenti verso imprese in fase di espansione e,
ancora di più, verso operazioni di private equity (in particolare di buy out, ovvero di
acquisizione di maggioranza o totalitarie), caratterizzate da minor rischio. In Italia,
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l’incidenza dell’ammontare delle operazioni di buy out è salita dal 50% del 1999
all’82% del 1° semestre del 2005; l’investimento medio in operazioni di buy out è
aumentato da 16,4 milioni di euro del 2000 ad oltre 27 milioni di euro del 2005.
In termini generali, la tendenza dei venture capitalist sembra essere duplice: alla
volontà di concentrarsi maggiormente su operazioni relative ad imprese già esistenti
e consolidate, associano quella di realizzare mediamente operazioni di dimensione
unitaria maggiore. I motivi per cui i venture capitalist tendono ad allontanarsi dal
mercato delle piccole start up innovative sono noti. In primo luogo, dovendo
garantire determinate soglie di remunerazione dei capitali raccolti sul mercato, gli
operatori in esame preferiscono finanziare operazioni relativamente meno rischiose
ed a minor varianza di risultato. Inoltre, sopportando elevati costi fissi di struttura
(costi di due diligence, degli analisti professionisti, ecc.), le società di venture
capital prediligono investimenti di taglia maggiore che - a parità di probabilità di
successo rispetto a quelli di minore dimensione - consentono di recuperare meglio
tali costi. Essendo le operazioni nelle fasi di seed e start up nella quasi totalità dei
casi di piccola dimensione, i venture capitalist tendono di fatto a trascurarle.
Il progressivo allontanamento dei venture capitalist dalle imprese in fase di seed
e start up ha generato nel mercato una condizione di scarsità di capitali per le nuove
iniziative imprenditoriali. Tale condizione viene generalmente definita di equity gap
(Mason, Harrison, 1995; Sohl, 1999). Esiste cioè sul mercato un vuoto di offerta di
capitali di rischio per le nuove imprese innovative, non essendo disponibili risorse
finanziarie in grado di colmare il divario esistente fra il fabbisogno espresso dalle
start up e l’ammontare di risorse, sensibilmente più elevato, investito in media dai
venture capitalist.
In questo quadro, assume rilievo concentrare l’attenzione su fonti di
finanziamento innovative, potenzialmente in grado di colmare l’equity gap. In
particolare, da circa venti anni è oggetto di un numero crescente di studi il mercato
del venture capital informale che - come diverse fonti dimostrano - sembra
possedere caratteri tali da ridurre il gap di capitale di rischio per le start up
innovative. Il mercato dell’informal venture capital si basa sulla figura dei business
angel, i quali sono degli investitori privati, non istituzionali, che agiscono quasi
sempre in modo informale ed anonimo; tali soggetti investono liquidità personali per
acquisire partecipazioni nel capitale di piccole start up a caratterizzazione
innovativa, con l’intento di rivenderle nel medio periodo al fine di ottenere un
capital gain.
Uno dei caratteri più singolari del mercato dell’informal venture capital è che i
business angel sono (e aspirano ad essere) poco visibili. Non esistono liste ufficiali
di tali investitori che quasi mai si pubblicizzano nel contesto in cui operano. Di
conseguenza, le imprese alla ricerca di capitali fanno fatica ad entrare in contatto
con gli investitori, i quali a loro volta non riescono a ricevere un numero
soddisfacente di progetti in cui investire. Il mercato dell’informal venture capital è
dunque tendenzialmente inefficiente, nella misura in cui domanda e offerta
sopportano elevati costi per entrare in contatto. Da questa angolazione, diviene
importante soffermare l’attenzione su come il mercato in esame possa darsi forme
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organizzative che ne aumentino l’efficienza allocativa preservando però al contempo
i tratti distintivi dei business angel (riservatezza, informalità).
Un esempio in tale direzione viene dagli USA, dove si sono affermati e diffusi i
business angel group, organizzazioni spontanee di investitori informali che hanno
dato grande impulso al mercato delle start up innovative. Attualmente negli Stati
Uniti l’informal venture capital rappresenta la principale fonte di finanziamento
delle imprese in fase di seed e start up. Secondo alcune fonti, negli USA sono attivi
oltre 227.000 business angel, i quali hanno dato vita, nel 2005, ad un mercato di
circa 23,1 bilioni di dollari (CVR, 2006). Di fatto quello nordamericano costituisce
il mercato dell’informal venture capital più avanzato a livello mondiale.
Per quanto concerne l’Europa, il mercato dell’informal venture capital è
abbastanza sviluppato nei paesi dell’UK e meno nell’Europa continentale, dove è
comunque in crescita. A differenza degli USA, nel mercato europeo si assiste alla
diffusione di strutture intermedie, spesso di matrice pubblica, che tentano di favorire
l’incontro tra business angel ed imprese. Tali organizzazioni, definite Business
Angel Network (in sintesi BAN), di fatto favoriscono lo scambio di informazioni tra
domanda e offerta di capitale di rischio raccogliendo e selezionando progetti ed idee
imprenditoriali che poi trasmettono ai business angel che decidono di iscriversi al
network. Nei paesi UK i BAN aggregano un numero sempre maggiore di investitori
e contribuiscono a realizzare una parte consistente delle operazioni di investimento
ufficialmente concluse in tutta la rete europea dei network. Un crescente numero di
BAN è attualmente rilevabile in Italia, Belgio, Germania, Francia e Danimarca.
In Italia il mercato dell’informal venture capital stenta a decollare, almeno nella
sua componente visibile. Pur essendo stati creati - dal 1999 ad oggi - ben 12 BAN
regionali, il numero di deal ufficialmente conclusi nella rete dei network è infatti
irrisorio (solo 5 accordi nel biennio 2003-2004). L’impressione è che in Italia il
mercato sia ancora fortemente inefficiente poiché non ha (ancora) dato vita ad una
forma organizzativa coerente con le specificità dei business angel della penisola,
molto propensi ad operare in forma privata ed individualistica.
L’obiettivo del presente lavoro è pertanto approfondire “il caso” del mercato
italiano del venture capital informale. L’analisi verrà svolta derivando spunti di
riflessione dallo studio delle forme organizzative che si sono diffuse nel mercato
USA (i business angel group) ed in quello europeo e britannico in particolare (i
Business Angel Network). A tal fine, nel prossimo paragrafo viene operata una
ricognizione dei connotati di fondo del comparto dell’informal venture capital,
ponendo particolare attenzione alla figura del business angel ed alle imperfezioni del
mercato che generano le inefficienze allocative. Nel terzo paragrafo viene svolta
un’analisi dei meccanismi di operatività dei business angel group nordamericani,
che - come accennato - costituiscono l’ossatura del mercato dell’informal venture
capital statunitense. Nel quarto paragrafo l’attenzione si sposta sui Business Angel
Network, principalmente di area UK, di cui si analizzano meccanismi di
funzionamento e condizioni di operatività. Infine, nell’ultimo paragrafo, si pone al
centro dell’analisi il contesto italiano in cui - come detto - il mercato stenta a
decollare. La trattazione mette in evidenza alcuni aspetti peculiari del mercato, in
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particolare per quanto concerne il profilo comportamentale dei business angel, ed
arriva a proporre una riformulazione del posizionamento dei BAN già presenti sul
territorio da cui potrebbe derivare un significativo sviluppo del mercato italiano
dell’informal venture capital.
2. Il mercato del venture capital informale: caratteri di base ed
inefficienze allocative
2.1 I caratteri di fondo dell’operato dei business angel
Si è detto in precedenza che il mercato dell’informal venture capital si basa sui
business angel. Questi investitori, apparentemente nuovi, coincidono in realtà - ed in
estrema sintesi - con il socio d’affari o socio di capitale, figura abbastanza
consolidata nel panorama delle possibilità di finanziamento delle imprese.
L’informal venture capital non è dunque un nuovo fenomeno; esso rappresenta un
segmento consolidato del mercato del venture capital. A causa della sua invisibilità,
tale segmento è stato però sempre scarsamente analizzato.
In effetti l’offerta del mercato del venture capital informale è costituita da
individui che non sono facilmente rintracciabili perché non sono iscritti ad alcun tipo
di lista o elenco ufficiale (come invece accade per i formal venture capitalist). In
teoria, ogni persona facoltosa, che disponga cioè di sufficiente liquidità da investire,
rappresenta un potenziale business angel; così come ogni impresa che esprima dei
fabbisogni finanziari non soddisfatti dai mezzi propri della compagine societaria
esprime una potenziale domanda di capitale di rischio. Ne deriva che è molto
difficile stimare l’effettiva partecipazione al mercato dell’informal venture capital,
sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda.
Numerosi studi svolti in contesti diversi (Wetzel, 1986; Mason, Harrison, 1995;
1999; 2000; 2002; Mustilli, 1999; Sohl et al., 2000; Trotta, 2001; Malte, 2002;
Sorrentino, 2003a; Maggioni, Sorrentino, 2003; Stuart et al., 2003; Kotler et al.,
2004; Lazzaretti et al., 2004; Markku et al., 2005) hanno indagato la figura del
business angel, arrivandone a delineare un “profilo tipo” nonostante sia comunque
rilevabile una certa eterogeneità di comportamenti. In genere si tratta di individui
facoltosi, quasi sempre maschi, di provenienza manageriale o imprenditoriale, con
età compresa fra 45 e 65 anni, disposti ad acquistare quote di capitale di rischio di
imprese molto spesso nella fase di early stage e con elevate potenzialità di crescita,
di cui acquisiscono spesso la minoranza del capitale. Al pari degli operatori
professionali di venture capital, i business angel sono interessati ad ottenere elevati
ritorni dalla vendita delle quote delle imprese nelle quali investono e sono disposti
ad attendere nel medio periodo (in genere, non meno di 3-5 anni) prima di
recuperare l’investimento. Tuttavia, a differenza dei formal venture capitalist, i
business angel investono liquidità personali e non di terzi. Non dovendo garantire
soglie di rendimento a terzi, gli “angel” possono investire anche in imprese molto
rischiose e questo permette loro di finanziare anche realtà imprenditoriali agli esordi
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del proprio ciclo di vita (che, come visto, sono sempre di meno oggetto di interesse
da parte dei venture capitalist professionali). Inoltre, essendo investitori non
organizzati, i business angel non sopportano costi fissi di struttura; ciò consente loro
di investire anche su dimensioni ridotte realizzando operazioni di piccola o
piccolissima taglia. Se ne deduce che i business angel rappresentano effettivamente
un potenziale strumento in grado di colmare l’equity gap descritto nel paragrafo
precedente (Mustilli, Sorrentino, 2003).
Analogamente ai formal venture capitalist, anche i business angel supportano lo
sviluppo dell’impresa finanziata facendo leva sulle proprie conoscenze, competenze
e relazioni. Molto spesso le competenze fornite dagli angeli sono determinanti per il
successo dell’impresa finanziata, in particolar modo per quanto concerne lo
sfruttamento del circuito relazionale del business angel. Quest’ultimo incide infatti
positivamente sulla credibilità della start up in cui investe poiché ne favorisce
l’inserimento nei mercati di sbocco e/o di fornitura e ne agevola la capacità di creare
partnership con stakeholder rilevanti per l’affermazione del progetto. Inoltre, la
tendenza ad investire in imprese operanti in settori di attività dai quali provengono
consente ai business angel di fornire conoscenze e competenze specializzate,
preziose per lo sviluppo dell’idea imprenditoriale. In diversi casi si è riscontrato che
i business angel si affiancano all’imprenditore nella gestione del business,
contribuendo alla formulazione di scelte strategiche e partecipando anche alle
attività operative, pur se con una disponibilità di tempo limitata (Sorrentino, 2003a).
La tendenza a concentrarsi su settori di attività conosciuti consente ai business
angel di specializzarsi nell’attività di valutazione delle proposte di investimento.
Questa specializzazione implica la capacità di acquisizione ex ante di informazioni
che riducono il rischio del progetto. In tal modo il business angel riesce a
fronteggiare le forti asimmetrie informative che sussistono fra i proponenti dei
progetti e gli investitori e che, in generale, contraddistinguono il mercato dei capitali
per le start up. In tale mercato infatti le informazioni sugli investimenti da finanziare
(bontà, prezzo, possibilità di successo) sono scarsissime, difficili da trasmettere e tali
da lasciare comunque i proponenti in una posizione di vantaggio informativo
rispetto agli investitori. La specializzazione nell’ottenere informazioni specifiche
consente al business angel di contenere i noti problemi di selezione avversa secondo
cui - in presenza di informazioni fortemente asimmetriche tra gli attori - sul mercato
vengono di fatto selezionati i progetti peggiori (Akerlof, 1970; Amit et al., 1990).
Inoltre, anche se condizionata dalla effettiva disponibilità di tempo del business
angel, la sua presenza nella gestione dell’impresa finanziata consente anche di
ridurre la possibilità di comportamenti opportunistici degli imprenditori dopo che è
avvenuto il finanziamento (il c.d. moral hazard). Di fatto, l’esercizio di un ruolo
attivo consente al business angel di avere un presidio informativo sulle scelte postfunding dell’imprenditore il che significa di fatto un suo monitoraggio.
Quanto più il business angel dispone di informazioni specifiche su un
determinato business, tanto più il valore di queste informazioni è circoscritto al
singolo progetto da valutare e non può essere esteso ad altre opportunità di
investimento. Per poter valutare un numero consistente di proposte il business angel
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dovrebbe pertanto specializzarsi in una molteplicità di settori, il che è difficilmente
realizzabile. Ciò spiega il numero limitato di investimenti mediamente realizzati (34 all’anno; VanOsnabrugge, Robinson, 2000) e la generale insoddisfazione espressa
dai business angel sul numero di proposte che periodicamente arrivano a valutare (il
deal flow, su cui a breve si ritornerà). Analogamente, esercitando spesso un ruolo
attivo, che implica una presenza fisica nelle imprese finanziate, il business angel non
può incrementare il numero di imprese contemporaneamente in portafoglio, non
avendo tempo sufficiente per farlo.
La limitata disponibilità di tempo e la volontà di esercitare un ruolo attivo nella
gestione spiegano la tendenza dei business angel a selezionare le imprese in un’area
geograficamente limitata, facilmente raggiungibile nell’arco di una giornata (in
genere entro un raggio di 150 km/2 ore dal luogo di provenienza dell’investitore). La
concentrazione spaziale dell’attività di investimento si collega del resto anche al
fatto che i business angel - come si approfondirà tra breve - tendono a ricercare le
informazioni sulle opportunità di investimento nell’ambito del proprio network
locale di informatori di fiducia (amici, professionisti, imprenditori, ecc.).
Un ulteriore elemento che contraddistingue i business angel è costituito dalle
motivazioni sottostanti l’attività di investimento. Diverse indagini hanno dimostrato
come accanto alle motivazioni prettamente finanziarie, tipiche degli investitori
istituzionali, per i business angel siano rilevanti anche fattori di natura extraeconomica (Sullivan, Miller, 1996). Volontà di realizzarsi in una nuova iniziativa,
desiderio di ri-mettersi alla prova, possibilità di creare legami di fiducia con i partner
finanziati, volontà di sperimentare sul campo conoscenze specialistiche, altruismo,
possibilità di divertirsi, sono alcune motivazioni non finanziarie che spesso
coabitano con l’intento di ottenere interessanti ritorni dai capitali investiti.
2.2 Le imperfezioni del mercato
Uno degli aspetti più caratteristici ed importanti dell’informal venture capital
market è la scarsissima visibilità degli attori che lo compongono. Si è detto che i
business angel non sono iscritti a liste ufficiali e che essi generalmente preferiscono
mantenere riservata la loro condizione di investitore informale, rinunciando a
qualsiasi forma di pubblicità/contatto strutturato con l’esterno. Ciò differisce da
quanto accade invece nel comparto formal, dove le società di venture capital
adottano sempre più approcci proattivi verso il mercato (sono in genere presenti sul
web e rendono noti i criteri di investimento). I motivi che spingono i business angel
all’anonimato sono molteplici e vanno dall’esigenza di riservatezza alla volontà di
non rendersi eccessivamente visibili al fisco fino al timore di essere sommersi di
business plan spesso non interessanti. Al riguardo, è interessante notare come i
business angel tendano a mantenere la propria scarsa visibilità nonostante numerose
indagini abbiano rilevato la loro generale insoddisfazione sullo scarso numero di
progetti che periodicamente riescono a valutare.
I business angel operano una ricerca diretta delle imprese in cui intendono
investire, basandosi in prevalenza sulle informazioni fornite dal proprio network
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informale di fiducia (amici, colleghi, associazioni imprenditoriali, ecc.). Questo
processo di ricerca è dunque costoso in termini di tempo e spesso - come detto - fa
fluire poche proposte agli investitori. Inoltre, i progetti pervenuti ai business angel
non necessariamente sono coerenti con il loro profilo di investimento che nella
maggior parte dei casi non è noto agli imprenditori proprio perché non
pubblicizzato. Dal lato della domanda, anche le imprese interessate ad entrare in
contatto con un business angel faticano a raggiungere la controparte, proprio perché
poco visibile, e spesso rinunciano alla ricerca perché ritenuta troppo difficoltosa.
Inoltre, i progetti di investimento che pervengono all’investitore sono spesso poco
analitici o non in grado di essere valutati in modo esaustivo perché carenti di
informazioni essenziali (denotando così una bassa investment readiness). In pratica
si verifica una situazione per cui da un lato, i business angel, non disponendo di
efficaci fonti informative, impiegano molto tempo per ottenere proposte di
investimento che spesso non coincidono con il loro profilo di investitore; dall’altro,
le piccole imprese non riescono ad ottenere visibilità presso i potenziali investitori,
molti dei quali anonimi e sconosciuti. Il mercato dell’informal venture capital è
pertanto inefficiente e gli elevati costi di ricerca e di informazione presenti finiscono
per scoraggiare gli attori (Kotler et al, 2004, p. 68). E’ importante sottolineare come
l’inefficienza del mercato consista in un mancato incontro tra domanda ed offerta.
Le inefficienze dovute agli alti costi di ricerca determinano un potenziale di
mercato non sfruttato. Numerose indagini riferite sia al mercato UK che a quello
italiano hanno rilevato una generale volontà dei business angel intervistati di
investire maggiori risorse ed in modo più frequente (Mason, Harrison, 2002;
Sorrentino, 2003a). Inoltre, è opinione diffusa che in tutti i paesi ad economia
avanzata vi sia una popolazione di business angel potenziali, disposti a tramutarsi in
investitori effettivi, di numerosità di molto superiore a quella degli investitori già
attivi. Tale popolazione potrebbe contribuire a soddisfare le esigenze inevase della
domanda di capitale di rischio già evidenziate in precedenza.
In definitiva, la ridotta capacità di incontro fra domanda e offerta è dovuta alla
scarsa visibilità dei comportamenti degli attori ed alla assenza di forme
organizzative su entrambi i fronti del mercato. Per ridurre gli effetti della scarsa
visibilità delle parti sono stati introdotti negli ultimi anni dei sistemi più o meno
organizzati, imperniati sulla volontà di promuovere e favorire i processi di incontro
(matching) tra domanda e offerta. Partendo da una classificazione fornita da Sohl,
vanOsnabrugge e Robinson (Sohl et al., 2000), i principali meccanismi di matching
del mercato dell’informal venture capital possono essere individuati nei seguenti:
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il c.d. gatekeeper, vale a dire una persona fisica qualificata (avvocato d’affari,
consulente, ecc.), ben interconnessa, che mette in contatto i business angel con le
opportunità di investimento che lui stesso seleziona. Si tratta molto spesso di
soggetti che rientrano nel network informale di fiducia dell’angelo;
organizzatori di forum/meeting di investimento: si tratta di organizzazioni che si
limitano a fornire l’occasione di incontri periodici informali tra investitori e
proponenti, curandone gli aspetti logistici;
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gruppi di business angel (business angel group): il riferimento è ad unioni
spontanee di business angel che mettono insieme risorse e know-how per
migliorare il deal flow ed i risultati dell’attività di investimento;
strutture di intermediazione, altrimenti definite Business Angel Network (BAN):
l’accento è su strutture ed organizzazioni di servizio che si pongono come
intermediari tra domanda e offerta del mercato. Tipicamente i BAN raccolgono,
selezionano e smistano proposte di investimento al circuito di business angel che
si iscrivono al network.
Le forme organizzative che sembrano poter incidere maggiormente sullo
sviluppo del mercato dell’informal venture capital sono i business angel group e le
strutture di intermediazione. Come detto, mentre i primi sono molto diffusi negli
USA, le seconde si sono sviluppate in Europa. L’analisi delle due forme
organizzative - condotta nei due paragrafi successivi - servirà come base di
riflessione per individuare potenziali linee di intervento per l’Italia, in cui entrambe
le organizzazioni stentano a decollare ed il mercato dell’informal venture capital
presenta un forte ritardo di sviluppo rispetto ai due contesti considerati.
3. L’esperienza dei business angel group nordamericani
Stime recenti indicano che negli ultimi 30 anni l’informal venture capital
statunitense ha fatto registrare investimenti pari al doppio di quelli realizzati dal
comparto formal (Preston, 2004, p. 3). Come accennato in precedenza, secondo le
ultime stime disponibili, nel 2005 il livello di investimenti informal ha toccato 23,1
miliardi di dollari per circa 49.500 deal conclusi da oltre 227.000 business angel
(CVR, 2006). Si tratta di un ammontare analogo a quello investito dal segmento
formal, che però - come visto - destina solo il 2% alle operazioni di seed e start up
financing. Altre stime meno recenti hanno indicato un numero di business angel
attivi oscillante tra le 100.000 (Wetzel, 1987) e le 250.000 unità (Freear et al.,
1996).
Queste cifre, seppur frutto di stime non sempre verificabili, danno l’idea
dell’evoluzione raggiunta dal segmento dell’informal venture capital statunitense e
giustificano l’interesse dello studioso per le modalità con cui il relativo mercato si è
organizzato. Al riguardo, si è detto che un ruolo determinante nello sviluppo del
mercato informal statunitense è giocato dai gruppi di business angel. Dal 1996 al
2003 il numero di tali gruppi presenti sul territorio nordamericano è passato da 10 a
circa 200 (Preston, 2004, p. 1). Molti di questi gruppi hanno aderito all’Angel
Capital Association (A.C.A.), che di fatto equivale alla NVCA del segmento formal.
I business angel group sono delle unioni tra investitori informali nel capitale di
rischio che decidono di mettere insieme risorse e know-how per migliorare il deal
flow ed i risultati dell’attività di investimento (CVR, 2005). I business angel group
(in diversi casi definiti anche come Club di business angel) sono abbastanza recenti
e presentano una certa eterogeneità sia di struttura che di comportamento. In linea
MARIO SORRENTINO
109
generale, si va da organizzazioni informali che condividono l’attività di valutazione
dei progetti (la due diligence) a strutture più formalizzate con management
stipendiato e fondo di investimento dedicato. Fra le caratteristiche comuni va
segnalato che si tratta di organizzazioni spontanee, promosse e composte quasi
esclusivamente da business angel (sono infatti per lo più formate da “investitori
accreditati”, gli Individual Accredited Investors, così come definiti dal Securities
Act), e che le decisioni di investimento sono prese dagli stessi investitori e non da un
management professionale specializzato.
I business angel group nascono in genere dall’azione propulsiva di uno o più
investitori promotori, dotati di connessioni e visibilità tali da attirare nell’alleanza
altri angel. La dimensione media è di 50 membri, e la maggior parte degli angeli è
operativa a livello locale. Una recente indagine statistica (Esposito, 2004) ha
evidenziato che i business angel group nordamericani tendono a localizzarsi in
contesti ad elevata innovazione, caratterizzati cioè da un addensamento di attività di
ricerca e di output innovativi superiori alla media generale del paese.
Dalla bibliografia esistente sui business angel group nordamericani (Mit
Entrepreneurship Center, 2000; Sohl et al., 2000; Sohl, Sommer, 2002; May, 2002;
Lange et al., 2003; Esposito, 2004; Preston, 2004) è possibile derivare
l’esemplificazione di un processo “tipo” di investimento realizzato da tali
organizzazioni. In genere, la proposta di investimento viene portata da uno dei
membri del gruppo all’attenzione degli altri business angel attraverso la sua
presentazione nell’ambito di un forum. A valle di questa presentazione gli investitori
interessati all’iniziativa iniziano a cooperare per svolgere la due diligence del
progetto. L’investimento viene effettuato individualmente dagli investitori coinvolti
o mediante la creazione di un fondo dedicato, nel quale confluiscono le risorse
apportate dai singoli angeli, ai quali spetta sempre la decisione di investire.
Al riguardo, emerge subito che un importante ambito dei business angel group
riguarda le modalità con cui viene svolto il processo di investimento. Tali modalità
non sono omogenee per tutti i gruppi e tendono a variare in relazione alla numerosità
degli angel iscritti all’alleanza ed alla tipologia di struttura organizzativa prescelta.
Una prima modalità con cui si realizza l’attività di investimento è quella in cui sia la
due diligence del progetto che l’investimento sono svolti individualmente dai
business angel. Questa modalità è tipica dei piccoli gruppi non strutturati, composti
da pochi investitori (in genere meno di 20) che preferiscono preservare la loro
autonomia e riservatezza nel valutare i progetti ed effettuare gli investimenti.
Diverso è il caso in cui l’investimento individuale viene realizzato a seguito di una
due diligence di gruppo dell’iniziativa. In questo caso la valutazione della bontà del
progetto viene condivisa con gli altri angel del gruppo, il che consente di fare leva
su esperienze e competenze differenziate. La decisione di investimento è però
sempre individuale. In questa ipotesi è anche possibile che all’attività di
investimento dei singoli si affianchi un fondo aggiuntivo (c.d. side-car fund) che
investe nelle imprese finanziate dagli angeli e che risponde ad un comitato di
investimento separato. Un’ulteriore modalità di investimento è quella in cui i
business angel del gruppo costituiscono - con formule partecipative diverse - un
110
VENTURE CAPITAL INFORMALE E IMPRENDITORIALITÀ INNOVATIVA
fondo che opera come entità separata. In questo caso per investire occorre una
decisione del gruppo, molto spesso maggioritaria. La presenza di un fondo di
investimento autonomo è tipica delle organizzazioni più strutturate, dotate spesso
anche di un management professionale cui gli investitori affidano la gestione e
l’organizzazione delle attività necessarie al funzionamento della struttura.
Anche da un punto di vista organizzativo, le soluzioni adottate sono abbastanza
eterogenee. Per quanto concerne la forma legale, la maggior parte dei gruppi di
business angel statunitensi utilizza la formula delle organizzazioni non profit, che
risulta in particolare diffusa nei gruppi che utilizzano processi di investimento
individuale e non danno vita a processi di aggregazione di risorse finanziarie. In
presenza invece di un fondo di investimento dedicato risulta più diffusa una forma
legale di tipo societaria.
Al pari della forma organizzativa, anche le modalità con cui si entra a far parte
dell’organizzazione non sono univoche. In genere, la membership viene concessa a
seguito di una presentazione/invito da parte di uno o più business angel del gruppo;
più raramente è possibile accedere all’organizzazione direttamente attraverso il web.
Oltre alla già citata qualifica di Investitore Accreditato, alcuni gruppi di business
angel, focalizzati su determinati settori di attività, richiedono il possesso di
esperienze manageriali o imprenditoriali specifiche, coerenti con la specializzazione
settoriale dell’organizzazione. I piccoli gruppi più informali e destrutturati tendono a
limitare il numero degli iscritti al fine di preservare l’intimità e la compattezza
socio-valoriale del nucleo promotore. Limitazioni al numero di investitori presenti
nel gruppo sono possibili anche quando viene raggiunta la dimensione desiderata del
fondo di investimento con cui l’organizzazione ha pianificato di operare.
La maggior parte dei business angel group (61%) dispone di management
stipendiato responsabile del funzionamento complessivo dell’organizzazione
(Preston, 2004). Il ricorso a personale di struttura è, come detto, indicato quando il
gruppo opera come fondo di investimento separato o quando all’attività di
investimento dei singoli si affianca quella di un fondo aggiuntivo dedicato. Il ricorso
a management professionale è comunque necessario in presenza di gruppi di mediogrande dimensione e nei casi in cui i business angel non dispongono di tempo
sufficiente per presidiare e gestire tutte le attività operative dell’organizzazione
(dallo screening delle adesioni all’organizzazione dei meeting fino alla gestione del
sito web, ecc.).
I costi operativi relativi al funzionamento dell’organizzazione sono in genere
coperti da quote fisse periodiche a carico dei business angel iscritti al gruppo. Altre
modalità di copertura delle spese di funzionamento possono riguardare una
percentuale delle risorse apportate dagli investitori nell’eventuale fondo di
investimento, commissioni prestabilite da calcolare sulle risorse investite nei singoli
deal, sponsorizzazioni (anche di singoli eventi) e quote a carico delle imprese
ammesse ai meeting di investimento. A fronte della propria contribuzione, il
business angel si attende di ricevere una pluralità di servizi di valore
(organizzazione di meeting, screening preliminare di progetti, contatti con altri
angel) che si traducono nella possibilità di valutare un elevato numero di progetti di
MARIO SORRENTINO
111
buona qualità oltre che coerenti con il proprio profilo di investimento.
Ed è proprio la possibilità di aumentare sia numericamente che qualitativamente
il deal flow una delle ragioni dell’esistenza e della diffusione dei business angel
group. Rispetto alla condizione di investitore “isolato”, infatti, queste organizzazioni
consentono di:
- avere accesso ad un numero consistente di occasioni di investimento,
sicuramente maggiore di quello cui si accede in qualità di investitore singolo.
Questa circostanza è ancora più evidente quando ai business angel group
pervengono le proposte di investimento ricevute da altre strutture analoghe
affiliate, presenti spesso in aree territoriali limitrofe;
- ricevere proposte maggiormente in linea con l’eventuale profilo di investimento
desiderato. In molti casi, infatti, il focus e le specializzazioni dell’organizzazione
di angel sono note nel contesto locale, essendo molto spesso descritte nel relativo
sito web; di conseguenza i progetti pervenuti hanno una maggiore probabilità di
essere in linea con il focus di investimento, circostanza che conferisce maggiore
efficienza al processo di matching. Su questo aspetto si ritornerà tra breve;
- ridurre il rischio delle proposte di investimento grazie alla possibilità di operare
una due diligence di gruppo, su base cooperativa. Infatti, l’aggregazione delle
competenze e delle specializzazioni favorita dalla valutazione di gruppo dei
progetti riduce il rischio delle proposte di investimento più di quanto sarebbe
possibile fare valutandole individualmente;
- avere accesso - grazie alla possibilità di dare vita a fondi di investimento dedicati
- ad opportunità di investimento di dimensione unitaria maggiore, non
percorribili individualmente;
- entrare in contatto con altri investitori beneficiando così dello scambio di
informazioni derivante dal confronto delle esperienze di investimento reciproche.
La possibilità di aumentare il flusso di proposte di investimento, di ridurre il
rischio delle operazioni e di mettere in comune risorse finanziarie con altri
investitori non rappresentano le uniche ragioni - di tipo “razionale” - che spingono i
business angel statunitensi ad aggregarsi. L’ingresso in un business angel group è
spiegato anche dalla presenza dell’investitore in un circuito di relazioni di fiducia e
di scambio sociale preesistenti che spesso lo spingono a diventare membro del
gruppo. L’appartenenza ad un business angel group va infatti anche vista come
un’occasione per condividere obiettivi e valori facendo leva sulle forti connessioni
sociali fra i membri dell’organizzazione. Nei gruppi più piccoli, meno strutturati, la
volontà di condividere valori e atmosfere in alcuni casi molto esclusive e ricercate è
spesso alla base della decisione di limitare il numero massimo di membri.
In ogni caso, sia che prevalgano ragioni razionali che esigenze di tipo sociale,
l’appartenenza ad un business angel group richiede una forte propensione alla
connessione ed alla interazione con gli altri investitori. Si tratta di una dimensione
comportamentale importante, in assenza della quale, verosimilmente, i business
angel group non hanno ragione di esistere. La figura 1 sintetizza i fattori che
inducono un investitore informale a far parte di un business angel group.
112
VENTURE CAPITAL INFORMALE E IMPRENDITORIALITÀ INNOVATIVA
ELEVATO DEAL FLOW
PROPOSTE IN LINEA
CON PROFILO DI
INVESTIMENTO
BUSINESS
ANGEL GROUP
RIDUZIONE RISCHIO
GRAZIE A DUE DILIGENCE
DI GRUPPO
POSSIBILITÀ DI
FINANZIARE PROGETTI
DI MAGGIORE DIMENSIONE
CONFRONTO DELLE
ESPERIENZE
DI INVESTIMENTO
CONDIVISIONE DI VALORI
E SCAMBIO SOCIALE
Fig. 1: Le motivazioni che spingono un investitore informale ad aderire
ad un business angel group
Fonte: nostra elaborazione
E’ evidente, a questo punto dell’analisi, che i business angel group aumentano la
visibilità degli investitori informali e riducono le inefficienze che il mercato “non
organizzato” presenta. La visibilità raggiunta sul territorio dai gruppi di angeli
catalizza e favorisce l’incontro tra domanda e offerta e riduce i costi di ricerca e di
informazione reciproci. Di fatto, tali forme organizzative hanno permesso di creare
un sistema visibile in grado di preservare l’anonimato dei business angel. Come
detto, in molti casi i gruppi in esame rendono noti (di regola attraverso il sito web) i
criteri di selezione dei progetti, il range di investimento, la mission di fondo del
gruppo (più o meno orientata al profitto degli investitori, più o meno filantropica),
l’eventuale focalizzazione su determinati settori di attività e/o tecnologie emergenti,
le modalità di investimento, le partnership con strutture di vario tipo presenti sul
territorio (centri di ricerca, università, incubatori di imprese, società di consulenza,
ecc.). Talvolta è possibile avere informazioni sull’identità dei business angel ed in
alcuni casi - molto rari - è addirittura possibile scaricarne il curriculum.
La disponibilità di informazioni sull’attività di investimento realizzata dai gruppi
di business angel consente di fatto alle imprese di capire in anticipo quali sono le
esigenze e le preferenze degli investitori cui intendono rivolgersi. Adottando questa
prospettiva, è possibile immaginare di ribaltare i ruoli esistenti sul mercato ed
MARIO SORRENTINO
113
assumere che le imprese tentano di vendere quote del proprio capitale di rischio agli
investitori, i quali agiscono come potenziali acquirenti di tali quote. In queste
condizioni, la disponibilità di informazioni sul modus operandi dei business angel
group consente alle imprese di adottare un approccio orientato al marketing, nella
misura in cui la disponibilità delle informazioni sui comportamenti degli investitori
permette ai promotori dei progetti di rilevare ex ante esigenze e bisogni del target di
potenziali acquirenti considerato. In termini operativi, ciò significa che per i
promotori di un progetto innovativo di un’area in cui opera un determinato business
angel group sarà necessario compiere una ricognizione delle modalità di
investimento dell’organizzazione e conseguentemente adattare - fin dove possibile il progetto da presentare, in modo da essere quanto più possibile coerente con le
caratteristiche e le preferenze di investimento degli angeli che ne fanno parte. Un
esempio può essere fatto per quanto concerne il tipo di mission dell’organizzazione.
In presenza di un gruppo di investitori che esplicitamente adotta una mission che
pone in primo piano la volontà di produrre ricchezza e sviluppo per l’area in cui
opera (e che dunque non è in primis interessato ai ritorni finanziari per i propri
membri), è opportuno che la proposta di investimento - a parità di rendimenti
finanziari ipotizzati - informi compiutamente anche sulle possibili ricadute positive
per il territorio che il progetto potrà avere. In termini generali, per gli imprenditori
alla ricerca di capitale di rischio la disponibilità di informazioni sulle modalità di
investimento e sulle preferenze del gruppo di business angel consente - a parità di
altre condizioni - di aumentare la probabilità di vedere finanziato il progetto.
4. I Business Angel Network europei
In Europa, nonostante vi sia un rilevante potenziale di investimento, i business
angel sono nel complesso rimasti piuttosto latenti (Iban, 2005). Il mercato
dell’informal venture capital è per molti versi ancora sommerso e difficile da
misurare; in ogni caso, le stime disponibili segnalano livelli di diffusione del
mercato inferiori rispetto a quelli rilevabili negli Stati Uniti. Una stima non
recentissima quantificava in circa 125.000 i business angel attivi in Europa (Eban,
2002).
A livello politico, già nel 1998 la Commissione Europea ha lanciato un’azione
pilota (nota come “the Business angel Pilot Action”) nella quale sono stati affrontati
diversi problemi del mercato dell’informal venture capital (dalla scarsa visibilità
degli attori alla possibilità di individuare e trasferire buone pratiche). Nel 1999, con
il supporto dell’azione pilota citata, nasce Eban (European Business angel Network),
un’istituzione che riunisce a livello europeo le reti nazionali e locali degli investitori
privati informali. Di fatto, la creazione di Business angel Network in Europa viene
vista come una strada da intraprendere per favorire lo sviluppo del mercato del
capitale di rischio informale (European Commission, 2002).
Più recentemente, nell’ambito del processo di revisione della strategia di
Lisbona, è emerso un rinnovato interesse per i business angel. In tale ambito, il
114
VENTURE CAPITAL INFORMALE E IMPRENDITORIALITÀ INNOVATIVA
Consiglio Europeo ha, tra l’altro, inviato il FEI (Fondo Europeo per gli Investimenti)
ad orientare le proprie attività anche verso il finanziamento delle piccole imprese
innovative avvalendosi dei BAN.
Come anticipato in precedenza, un BAN è una struttura di intermediazione il cui
scopo prioritario è favorire l’incontro tra domanda e offerta di capitale di rischio
informale. Molto spesso il BAN è promosso da soggetti ed enti di emanazione
pubblica quali business innovation center, agenzie di sviluppo locale, camere di
commercio, ecc. In alcuni casi sono coinvolte associazioni imprenditoriali locali,
finanziarie regionali e, dove presenti, gruppi/club di business angel. Una recente
analisi di Eban (Eban, 2005) individua alcuni servizi di base che un BAN dovrebbe
offrire:
-
identificazione ed inserimento di business angel;
creazione di un database da utilizzare per il matching;
raccolta e prima valutazione di progetti;
organizzazione di seminari, forum ed incontri per la presentazione dei progetti;
servizi di supporto (newsletter, matching elettronico, ecc.).
La ratio di fondo dei BAN è di favorire la circolazione di informazioni tra
domanda e offerta di capitale di rischio con lo scopo di ridurre i costi di ricerca
sopportati dagli attori del mercato. Agendo come intermediari, i BAN raccolgono
progetti ed informazioni sulle opportunità di investimento che poi selezionano e
veicolano ai business angel iscritti alla rete, preservandone l’anonimato. A tal fine,
vengono utilizzate modalità diverse quali l’invio personalizzato di business plan, i
forum di investimento, la diffusione di newsletter, il matching elettronico, guidato
cioè dal computer. Di fatto, l’obiettivo è creare dei marketplace che facilitino
l’incontro tra business angel disposti ad investire ed imprese alla ricerca di capitale
di rischio. Fra le attività offerte rientra anche quella di assistere gli imprenditori
nella redazione del progetto al fine di renderlo presentabile alla platea di investitori
(incidendo positivamente sull’investment readiness). Dal momento che questa
attività richiede disponibilità di personale qualificato, non tutti i BAN riescono ad
offrire compiutamente questo servizio e molti network si limitano ad operare uno
screening dei business plan da proporre agli investitori.
Va al riguardo ricordato che le strutture in esame operano molto spesso in
condizione di scarsità di risorse organizzative e finanziarie. Le modalità di
finanziamento dei BAN - dalle percentuali sugli accordi conclusi alle
sponsorizzazioni fino alle quote a carico delle imprese in occasione delle
presentazioni dei progetti - non riescono a coprire i costi operativi che molto spesso
sono sopportati anche dalle strutture promotrici/ospitanti. Secondo fonti ufficiali,
circa la metà dei BAN europei ha ricevuto supporto pubblico da autorità locali,
regionali o nazionali (European Commission, 2002), la maggior parte dei network
ha la natura di organizzazione non profit e solo una minoranza (15% circa) è di
natura commerciale e ha come finalità il profitto (Eban, 2005a).
MARIO SORRENTINO
115
Il numero di BAN presenti in Europa è cresciuto esponenzialmente negli ultimi
cinque anni passando da 66 unità rilevate nel 1999 a 227 unità censite nel primo
semestre del 2005 (Eban, 2005a). Oltre che nell’UK, dove il mercato dell’informal
venture capital è da tempo sviluppato (51 unità), si rileva un buon addensamento di
Business Angel Network in Germania (43 unità), Francia (38 unità), Svezia (28
unità), Spagna (20 unità) e Italia (12 unità). E’ tuttavia interessante notare come i
BAN abbiano fatto ingresso in numerosi paesi europei il che è verosimilmente frutto
di una politica di diffusione sul territorio europeo promossa da Eban.
I dati sul numero di business angel iscritti e di deal conclusi nell’ambito dei
network afferenti ad Eban (tabella 1) necessitano di una pluralità di commenti.
Come sottolineato dalla stessa Eban, va ricordato che le cifre presentate non sono
rappresentative della reale dimensione del mercato dell’informal venture capital
europeo dato che esse non quantificano l’attività svolta dagli investitori al di fuori
dei BAN. Secondo due importanti studiosi del mercato dell’informal venture capital
britannico, la percentuale di business angel che ricorre ad un network oscilla fra il 5
ed il 20% del totale degli investitori informali (Mason, Harrison, 2000). Ciò
significa che per stimare la reale numerosità dei business angel presenti nel mercato
occorrerebbe moltiplicare i dati forniti dai BAN per un fattore che oscilla fra 5 e 20.
Ad esempio, con riferimento al 2004, considerando il valore centrale di questo
intervallo (10), il numero di business angel attivi in Europa sarebbe di circa 125.000.
Numero BAN
Numero Angel
Numero Deal
Deal/angel
1999
66
1.487
320
0,22
2000
132
2.333
416
0,18
2001
155
3.129
454
0,15
2002
177
4.347
573
0,13
2003
197
13.218
600*
0,05
2004
230
12.578
615
0,05
Tab. 1: Attività dei BAN europei
Fonte: nostra elaborazione su dati EBAN (2005a); * stima personale
Dall’analisi dei dati riportati emerge che, nonostante siano numericamente in
crescita, i BAN europei non sembrano esercitare un grande impatto in termini di
operazioni di investimento realizzate. Pur riuscendo a drenare un numero crescente
di investitori, il numero di deal per singolo angel iscritto alle reti è infatti contenuto
ed in netto calo (da 0,22 del 1999 a 0,05 del 2004). Il quadro si presenta ancora
meno brillante se si escludono dall’analisi i paesi del Regno Unito, nei quali - come
detto - il mercato dell’angel financing è più consolidato. Concentrando il focus sui
BAN europei continentali, si nota un peggiore rapporto deal per angel pur in
presenza di un significativo incremento sia dei network che del numero di business
angel (tabella 2).
116
VENTURE CAPITAL INFORMALE E IMPRENDITORIALITÀ INNOVATIVA
Numero BAN
Numero Angel
Numero Deal
Deal/angel
1999
17
609
86
0,14
2000
79
1.385
164
0,12
2001
106
2.146
215
0,10
2002
128
3.037
274
0,09
2003
144
8.944
300
0,03
2004
180
9.281
450
0,05
Tab. 2: Attività dei BAN europei senza il Regno Unito
Fonte: nostra elaborazione su dati EBAN (2005a; 2005b)
Sulla modesta incisività dei BAN è possibile muovere diverse ipotesi. Secondo
alcuni (Kelly, Hay, 1999) ai BAN si rivolgono in genere gli investitori più deboli,
vale a dire soggetti con circuiti relazionali più poveri e minori disponibilità di
capitali. Secondo questa tesi, i business angel che ricorrono ai BAN sarebbero molto
spesso investitori potenziali, non ancora attivi. Ciò spiegherebbe le modeste
performance delle reti in termini di affari conclusi a fronte del cospicuo numero di
investitori iscritti al network.
Una recente indagine svolta da Mason e Harrison su un campione di investitori
informali iscritti alla rete nazionale britannica NBAN porta invece a considerazioni
diverse (Mason, Harrison, 2002). L’analisi ha messo in evidenza che la maggior
parte dei business angel iscritti ai BAN del Regno Unito vorrebbe investire di più e
con maggiore frequenza e, soprattutto, incontra delle pesanti barriere all’attività di
investimento. Tali barriere concernono in particolare:
1) la bassa qualità delle proposte di investimento ricevute, molte delle quali non
sono risultate valide ed articolate per poter essere valutate;
2) la riluttanza dei business angel ad investire in settori non familiari, in particolar
modo sul versante tecnologico;
3) la difficoltà nel definire con gli imprenditori gli aspetti contrattuali dell’accordo
(dal prezzo di cessione della partecipazione al tipo di controllo da esercitare fino
alle modalità di uscita dall’impresa partecipata).
Secondo i due autori, tali barriere sono destinate a persistere fin quando i BAN si
comporteranno da semplici intermediari, limitandosi a mettere in contatto domanda
e offerta del mercato ed esercitando uno scarso ruolo nella definizione degli accordi.
Per contro, la presenza delle citate barriere deve indurre le reti locali ad assumere un
ruolo più pervasivo che, tradotto in termini operativi, implica:
-
-
adottare un approccio proattivo nei confronti della domanda, stimolando le
imprese a ricorrere all’informal venture capital con l’intento ultimo di aumentare
la massa critica di progetti da sottoporre agli investitori;
supportare e formare gli imprenditori sulle modalità di strutturazione e
presentazione dei business plan;
educare e formare i business angel sugli aspetti più critici dell’attività di
MARIO SORRENTINO
-
117
investimento nel capitale di rischio (dagli aspetti societari alla contrattualistica
fino alla governance dell’impresa finanziata), con l’obiettivo di tramutarli in
soggetti ready to invest. In tal senso vanno viste le Angel Accademia
recentemente sperimentate in Francia ed Inghilterra (Iban, 2005).
fornire ai business angel servizi di due diligence tecnologica indipendente
relativa a progetti per i quali gli investitori non dispongono di conoscenze
adeguate per poterli valutare.
Ovviamente, per svolgere questo ruolo più attivo i BAN necessitano di risorse
finanziarie che difficilmente possono essere generate dalle normali fonti di
finanziamento di tali strutture. E’ in questo ambito che Eban ha più volte richiesto a
livello comunitario il sostegno finanziario pubblico all’attività dei BAN, ed in tale
direzione vanno visti gli interventi agevolativi a favore delle reti di business angel
attualmente esistenti in Francia ed in Belgio.
In ogni caso, prescindendo dalle valutazioni circa l’opportunità di destinare
risorse pubbliche per il funzionamento del mercato dell’informal venture capital
(Lerner, 1998; Lipper, Sommer, 2002), si può evidenziare che il modello di business
angel network descritto da Mason e Harrison opera come una “mano visibile” del
mercato, capace di orientare ed educare sia la domanda che l’offerta. E’ evidente che
per poter svolgere questo nuovo ruolo, il BAN dovrebbe interagire attivamente non
solo con le imprese ma anche con i business angel.
Ciò tuttavia sembra contrastare con le esigenze di anonimato e di riservatezza
generalmente espresse da tali investitori. Sembra cioè che le possibilità di recupero
di efficacia dei BAN europei - che deriverebbero dal passaggio da semplice struttura
di intermediazione a soggetto attivo del mercato - siano in parte condizionate dalla
natura tendenzialmente riservata dei business angel.
Allo stesso tempo, è però possibile assumere che un tratto comportamentale
quale la tendenza alla riservatezza degli investitori possa differire tra i diversi paesi
europei che - come è noto - presentano ambienti e contesti socio-culturali anche
molto diversi fra loro. In altri termini, per poter valutare la praticabilità di un
modello di BAN quale quello ipotizzato occorre fare i conti con i tratti
comportamentali dei business angel del singolo contesto socio-culturale analizzato.
In tal senso va vista l’analisi riferita al contesto italiano, svolta nel paragrafo
successivo.
5. Il mercato italiano dell’informal venture capital: peculiarità e
prospettive di sviluppo
Senza dubbio il mercato dell’informal venture capital italiano è uno dei più
sommersi e meno visibili fra quelli europei. La reale dimensione del mercato sfugge
a qualsiasi tentativo di quantificazione e ad una generale scarsa consapevolezza del
fenomeno dell’angel financing negli ambienti socio-economici va aggiunta l’assenza
di un riconoscimento legislativo degli investitori informali.
118
VENTURE CAPITAL INFORMALE E IMPRENDITORIALITÀ INNOVATIVA
La scarsa visibilità del mercato è peraltro accompagnata dalla presenza di un
discreto numero di BAN sorti in Italia a partire dal 1999 (Tabella 3). L’attivismo
dell’Italian business angel network (istituzione di riferimento di Eban in Italia, di
seguito Iban) ha portato alla costituzione di BAN a valenza locale-regionale in tutte
le aree del paese (nord ovest, Lombardia, Toscana, Bologna, Friuli, Umbria, Lazio,
Sardegna, Campania, Calabria, Puglia). Dei 10 network, nove sono strutture non
profit ed uno ha natura commerciale; si tratta in genere di strutture sorte presso
incubatori di imprese, finanziarie regionali ed agenzie di sviluppo locale (Serio, Lo
Valvo, 2003). Fra gli obiettivi strategici dichiarati dai vertici dell’associazione Iban
vi è anche quello di istituire un BAN in ogni regione di Italia (Iban, 2005a).
Numero BAN
Numero progetti
accreditati
Numero Angel
Numero Deal
Deal/angel
1999
2
2000
5
2001
12
2002
11
2003
10
2004
12
0
70
70
101
30
437
65
0
0
183
3
0,016
300
2
0,007
350
3
0,009
350
2
0,006
219
12*
0,055
Tab. 3: Attività dei BAN italiani anni 1999-2004
Fonte: nostra elaborazione su dati IBAN; * di cui nove conclusi all’interno del Club
Milano Business Angel
I dati sull’attività dei BAN italiani evidenziano una buona capacità di raccolta di
progetti (437 business plan accreditati nel 2004) ed una soddisfacente capacità di
drenaggio di business angel (219 investitori iscritti al network nel 2004 dopo un
filtro - diretto ad eliminare i nominativi inattivi - operato sugli oltre 350 del 2003).
Tuttavia, l’impatto esercitato sul numero di deal realizzati è pressoché irrilevante.
Va subito precisato che dei 12 deal registrati nel 2004, 9 sono stati conclusi
nell’ambito del primo Business Angel Group formalmente creatosi in Italia (il “Club
Milano Business Angel”), organizzazione che ha deciso di affiliarsi ad Iban.
Un’indagine svolta in Italia nel 2002 su un campione di convenienza di 41
business angel ha rilevato 73 deal realizzati nel periodo 1998-2002 (Sorrentino,
2003a). Nonostante quasi l’80% degli investitori intervistati fosse iscritto ad un
BAN facente parte del circuito ufficiale Iban, quasi tutti i deal rilevati sono stati
conclusi al di fuori di tale circuito. Questo dato, se da un lato segnala che il mercato
dell’informal venture capital è scarsamente rilevato dalla rete ufficiale, dall’altro
denota anche una preferenza dell’investitore italiano ad operare al di fuori di un
organismo di riferimento.
In termini più generali, questi dati inducono a chiedersi quali possano essere le
strade per far emergere il mercato dell’informal venture capital italiano. Non vi è
dubbio che un aumento di visibilità del mercato influisce positivamente sulla
consapevolezza del fenomeno a cui si associano gradi crescenti di sfruttamento del
potenziale di investimento (Mason, Harrison, 2002; Esposito, 2004). In Italia, la
MARIO SORRENTINO
119
necessità di far esprimere appieno il potenziale del comparto informal è molto
avvertita dato che l’allontanamento dei venture capitalist dalle operazioni di early
stage è stato drastico e la propensione a dare vita ad imprese innovative è comunque
molto elevata. Un segnale positivo, seppur statisticamente poco rilevante, è quello
fornito dal business angel group milanese che in pochi mesi di attività è riuscito a
realizzare e ad ufficializzare un numero di deal di poco inferiore a quello
complessivamente ottenuto dal circuito Iban in cinque anni di attività. Altri gruppi di
investitori informali potrebbero esistere, ma non se ne ha notizia.
Al riguardo, si è già evidenziato come l’esperienza dei business angel group
nordamericani abbia contribuito ad aumentare la visibilità del comparto informal e
l’efficienza del mercato, incrementando le opportunità di finanziamento delle neoimprese innovative. E’ tuttavia impossibile pensare di “importare” in Italia
l’esperienza statunitense sostenendo che il driver da seguire per far emergere e
consolidare il mercato italiano è sviluppare i business angel group. Ciò per due
ordini di motivi. In primo luogo, perché i gruppi di business angel sono fenomeni
spontanei; come tali non possono essere creati artificialmente. In secondo luogo,
perché essi sono nati e si sono sviluppati in un contesto socio-culturale molto
diverso da quello italiano, nel quale si registra una maggiore propensione
all’ostentazione della ricchezza personale. Tale propensione è - come visto - uno dei
fattori alla base della decisione di aderire ad un gruppo di business angel.
Ci sono tuttavia due aspetti relativi alle modalità con cui i gruppi di business
angel hanno reso più visibile ed efficiente il mercato nordamericano che possono
essere considerati poiché potenzialmente applicabili al contesto italiano. Il primo
aspetto concerne l’addensamento delle operazioni di informal venture capital nelle
aree ad elevata innovazione. Si è visto che i business angel group tendono a
formarsi e ad operare in aree in cui il tasso di innovazione è particolarmente elevato,
spesso in prossimità di luoghi in cui si addensano gli attori dell’innovazione (parchi
scientifici, centri di ricerca, imprese, cluster tecnologici, ecc.). Se si ammette che
questo aspetto sia trasferibile anche all’Italia, non è da condividere la strategia di
Iban secondo cui è opportuno creare una struttura di intermediazione in ogni regione
del paese. Seguendo l’esperienza statunitense, i BAN dovrebbero essere
selettivamente promossi e creati solo nelle aree in cui vi è addensamento di attività
innovative e di ricerca capaci di alimentare il mercato delle idee imprenditoriali ad
elevata innovazione. Del resto, che l’offerta di capitale di rischio informale tenda a
concentrarsi in determinate aree del territorio è già emerso dall’indagine empirica
cui si è fatto riferimento all’inizio del paragrafo. Quasi tutti i business angel del
campione intervistato operavano, infatti, in poche aree del nord e del centro del
paese (Sorrentino, 2003a).
Il secondo aspetto relativo al funzionamento dei gruppi di business angel
d’oltreoceano che occorrerebbe considerare riguarda la possibilità, per le imprese in
cerca di capitale di rischio, di conoscere in anticipo le caratteristiche e le preferenze
degli investitori cui intendono rivolgersi. Si è visto in precedenza che i business
angel group, pur mantenendo l’anonimato degli angel, rendono visibili le
dimensioni rilevanti del comportamento di investimento dei propri membri, e che la
120
VENTURE CAPITAL INFORMALE E IMPRENDITORIALITÀ INNOVATIVA
possibilità di conoscere tali dimensioni aumenta l’efficienza del mercato perché
consente alle imprese di far arrivare proposte di investimento maggiormente in linea
con le aspettative degli investitori. In Italia, come detto, i business angel group sono
pressoché assenti; tuttavia, quello che si ritiene debba essere replicato nel contesto
italiano è la necessità di rilevare e studiare le reali modalità di comportamento e le
peculiarità dei business angel prima di promuovere strategie e azioni dirette a
favorirne l’incontro con la domanda.
Da questa angolazione, è utile partire dai risultati dell’indagine empirica già
citata (l’unica al momento di cui si dispone per l’Italia) e riassumere gli elementi
originali e le peculiarità del business angel italiano che sembrano differenziarlo
dall’investitore di stampo anglosassone che la letteratura straniera da tempo studia e
descrive. Le peculiarità dell’angel italiano sembrano essere le seguenti (Sorrentino,
2003a):
-
-
-
gli investitori informali italiani manifestano una fortissima tendenza
all’anonimato ed alla riservatezza; ciò si traduce in una bassissima propensione
ad apparire in pubblico ed in una scarsa disponibilità ad interagire con altri
business angel;
la maggioranza dei business angel ricopre il ruolo di imprenditore-consulente,
essendo attivo nella gestione di altre aziende-società di consulenza;
pur essendo iscritto al circuito ufficiale di riferimento, l’investitore italiano vi si
identifica molto poco; si è anzi rilevata una tendenza ad “eludere” il circuito,
anche per opportunità di investimento alle quali si era pervenuti tramite la rete
ufficiale dei network locali. Fra le cause della scarsa rappresentatività dei BAN
locali vi è il fatto che talvolta queste organizzazioni sono percepite dai business
angel italiani prevalentemente come strutture pubbliche, di tipo burocratico,
probabilmente anche a causa della presenza - fra i promotori di tali strutture - di
soggetti di matrice pubblica di varia natura (province, camere di commercio,
ecc.). In tale quadro la tendenza ad iscriversi comunque ad un circuito ufficiale
(che, come detto, è stata rilevata in oltre l’80% degli intervistati) va
probabilmente vista come una pura dimostrazione di interesse verso una fonte di
potenziali opportunità di investimento;
fra le fonti informative utilizzate dai business angel italiani per accedere alle
opportunità di investimento, quella più frequente e diffusa è la banca (6
investitori su 10 ne fanno uso sistematico). Si tratta di una peculiarità non
riscontrabile né negli USA né nel Regno Unito, dove invece prevalgono le fonti
di tipo “informale”, rappresentate da amici, associazioni di affari, altri
imprenditori, ecc., ed in cui le banche sono utilizzate con percentuali
notevolmente inferiori (Mustilli, 1999).
In sintesi, si può affermare che il business angel italiano presenta il profilo di un
investitore molto riservato, autonomo, al limite schivo, spesso già imprenditore, alla
ricerca di opportunità in primo luogo nei circuiti finanziari e creditizi locali. Se si
tiene conto di questi caratteri comportamentali peculiari, è possibile proporre un
MARIO SORRENTINO
121
diverso posizionamento dei BAN italiani la cui azione potrebbe essere
maggiormente in linea con le esigenze e le preferenze degli investitori. La volontà di
concentrare l’attenzione sui BAN del circuito Iban deriva dal fatto che, essendo
praticamente inesistente o ancora del tutto invisibile il fenomeno dei business angel
group ed in assenza di interventi pubblici diretti a sviluppare il comparto, le strutture
di intermediazione della rete ufficiale rappresentano l’unica forma organizzativa
rilevabile nel mercato italiano. L’idea di fondo alla base del diverso posizionamento
che si propone è che i BAN dovrebbero intervenire su due versanti: promuovere una
strategia di upgrading della loro immagine nei confronti dei business angel e creare
con questi ultimi un legame di tipo debole.
L’upgrading di immagine potrebbe derivare da più fattori: dalla presenza dei
BAN nei luoghi e nelle aree a maggiore performance innovativa del paese;
dall’inserimento dei network nei circuiti finanziari e creditizi locali; dalla
realizzazione di partnership con i club di business angel eventualmente esistenti.
L’inserimento dei BAN nei circuiti finanziari locali potrebbe essere favorito dalla
creazione di legami “dal basso” con i professionisti della finanza d’affari, che spesso
annoverano fra i propri clienti imprenditori e professionisti alla ricerca di
opportunità di investimento (cioè, business angel).
La creazione di un legame di tipo debole (loosely coupled) tra Iban ed i business
angel implica che tra le parti dovrebbe sussistere un rapporto essenzialmente non
regolamentato, relativamente poco coordinato, in cui vi sia piena delega di
responsabilità e ridotta ispezione delle attività realizzate dalle parti (Weick, 1976).
Di fatto, instaurare un legame debole implica che il BAN dovrebbe essere percepito
dagli investitori come una fonte informativa affidabile ma non vincolante. Ciò
significa che la struttura di intermediazione dovrebbe limitarsi a fornire informazioni
qualificate sulle opportunità di investimento senza però sovrintendere anche alle fasi
successive del processo di matching, nelle quali il business angel preferisce agire in
condizioni di riservatezza. Inoltre, diversamente da quanto ipotizzato da Mason e
Harrison, non sembra praticabile che i business angel siano destinatari di attività
formativa diretta ad aumentare la loro capacità di concludere gli accordi di
investimento. La natura schiva e riservata degli investitori non sembra infatti
coerente con l’essere destinatario di attività formative. Per lo stesso motivo, i BAN
dovrebbero preferire modalità riservate di comunicazione delle opportunità di
investimento agli investitori piuttosto che promuovere riunioni plenarie di
presentazione dei progetti quali ad esempio i forum di investimento. Simili
meccanismi di incontro plenario hanno maggiori possibilità di essere efficaci (e di
avere partecipanti) quando sono promossi direttamente dagli investitori, ad esempio
attraverso l’attività dei gruppi di business angel.
Un altro versante del rapporto debole che occorrerebbe creare tra BAN e
business angel è quello relativo all’attività di lobbying che le strutture di
intermediazione possono svolgere a livello politico ed istituzionale a beneficio degli
investitori informali. Il sistema dei BAN potrebbe essere infatti impegnato nel
perseguire lo sviluppo di alcuni aspetti del mercato del capitale di rischio informale
che possono determinare - nel medio termine - un aumento delle attività di
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VENTURE CAPITAL INFORMALE E IMPRENDITORIALITÀ INNOVATIVA
investimento dei business angel. Il riferimento è ad aspetti quali lo sviluppo
dell’identità e della consapevolezza del mercato del capitale di rischio o l’attività di
lobbying politica diretta al riconoscimento giuridico dell’investitore informale e/o
alla previsione di regimi di tassazioni differenziati per i business angel (così come
da tempo felicemente sperimentato nel Regno Unito) (Gangi, 2003). Un certo
attivismo in tal senso è del resto già rilevabile in Italia ad opera di Iban (Iban, 2005).
Dalle prime interazioni createsi tra Iban ed il Club di Business angel di Milano è
emerso che uno dei motivi che ha portato i membri del club ad associarsi al circuito
ufficiale è proprio la possibilità di conseguire dei vantaggi in termini di lobbying
politica (v. riquadro).
Il rapporto fra il Club Milano Business Angel ed Iban
….Intanto dieci business angel che fanno questo mestiere da tempo hanno deciso di
mettersi assieme e costituire una sorta di club nel quale trovarsi e discutere delle opportunità
di investimento che via via incontrano. Si tratta di imprenditori milanesi o che, comunque,
pur avendo attività altrove, hanno degli uffici e la famiglia a Milano. Ognuno di loro ha un
profilo diverso. C’è chi ha il patrimonio di famiglia da amministrare, chi è socio in una
società, chi è unico imprenditore. … Tutti i dieci angeli che hanno deciso di fare da soli
erano iscritti a un BAN e quindi a Iban. Il passo ulteriore, però, verrà fatto sempre nella
cornice di Iban, perché ritengono che la partecipazione all’associazione fornisca dei
vantaggi importanti in termini di lobbying con le autorità e di relazioni internazionali…”
Tratto da Milano Finanza “Private Equity”, del 12 dicembre 2003. Intervista al segretario
generale di Iban, Tommaso Marzotto.
Anche se di tipo debole, il legame che i BAN creano con i diversi business angel
dovrebbe essere in grado di sviluppare nel tempo un bagaglio conoscitivo sulle
dimensioni rilevanti del comportamento di investimento di questi ultimi, anche
mediante la realizzazione di studi mirati sugli investitori. Sulla base di queste
conoscenze i BAN potrebbero selezionare le proposte di investimento facendo
pervenire ai diversi business angel progetti maggiormente in linea con le loro
aspettative, raggiungendo lo stesso effetto positivo prodotto dalla visibilità dei criteri
di investimento dei business angel group nordamericani.
Diversamente da quanto visto per i business angel, i BAN dovrebbero creare con
le imprese alla ricerca di capitale di rischio un legame di tipo forte. Il radicamento
dei BAN all’interno dei luoghi dell’innovazione dovrebbe consentire di identificare
e proporre agli investitori progetti ad elevato potenziale di sviluppo, relativi a settori
strategici o emergenti. Si è visto che questo radicamento contribuisce al
miglioramento dell’immagine dei BAN nei confronti dei business angel. In questo
ambito, è dunque opportuno che le strutture di intermediazione intensifichino il
supporto agli imprenditori nella definizione e/o nella revisione dei business plan con
l’obiettivo di inserire nel circuito degli investitori progetti di qualità.
MARIO SORRENTINO
123
La necessità di dedicare risorse qualificate per elevare la qualità dei progetti e
per realizzare studi conoscitivi sulle modalità di investimento dei business angel
pone per i BAN problemi di reperimento di risorse finanziarie. Nell’ipotesi di
creazione di un legame debole con i business angel, la scarsità di risorse finanziarie
deriva anche dal fatto che i BAN non possono contare sui ricavi delle commissioni
sui deal realizzati, dal momento che questi sono definiti e conclusi al di fuori della
struttura di intermediazione, su base riservata.
Stante la scarsa diffusione nel contesto italiano delle sponsorizzazioni, che in
altri paesi coprono percentuali non marginali dei costi operativi dei network, le
attività svolte dai BAN potrebbero essere oggetto di un intervento agevolativo
pubblico. Le forme di aiuto potrebbero essere corrisposte in forma di premialità,
individuando quali parametri di corresponsione delle agevolazioni il numero di
progetti intermediati, le partnership con i luoghi dell’innovazione, gli eventi di
sensibilizzazione realizzati, il numero di business angel iscritti al network.
In conclusione, il sistema dei rapporti tra gli attori del mercato italiano
dell’informal venture capital potrebbe essere quello descritto in figura 2. La diversa
natura dei legami ipotizzati dovrebbe riuscire a generare un complesso di interazioni
dal quale potrebbe derivare uno sviluppo propulsivo del mercato. La natura forte del
legame ipotizzato tra i business angel e le imprese innovative indica che tra questi
soggetti l’eventuale connessione è diretta ed immediata. In tale sistema di rapporti
un ruolo complesso è quello svolto dalle strutture di intermediazione che dovrebbero
riuscire a radicarsi nei luoghi in cui si produce l’imprenditorialità innovativa e
contestualmente creare un contatto qualificato con i circuiti relazionali dei business
angel. Si tratta di un ruolo per il quale occorrerebbe prevedere figure professionali
specifiche, ad alta qualificazione.
Fig. 2: Il sistema dei legami fra gli attori del mercato dell’informal venture
capital italiano
Fonte: nostra elaborazione
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