Zeno dopo Freud. Per una lettura simmetrica del sogno

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Zeno dopo Freud. Per una lettura simmetrica del sogno
Valentino Baldi
Zeno dopo Freud. Per una lettura simmetrica
del sogno nella Coscienza.
Il quarto sogno di Zeno, più comunemente conosciuto come il ‘sogno di
Basedow’, è uno dei nodi che ha più stimolato l’attenzione della critica
sveviana. Su questo evento onirico, soprattutto a partire dagli anni Settanta, si
sono confrontati tutti i maggiori interpreti dello scrittore, eppure una simile
sovresposizione non ha prodotto numerosi conflitti d’interpretazione. Una
parte delle letture, tra cui risalta il modello proposto da Mario Lavagetto, ha
evidenziato l’impossibilità di ridurre all’interpretazione tutti gli elementi di un
sogno convoluto e oscuro, costruito esplicitamente attorno ad un ombelico
indecifrabile (Lavagetto, 1975, 90-96). Molti interpreti, al contrario, hanno
riconosciuto nella coraggiosa analisi di Saccone un modello critico che ha fatto
scuola. Anche un critico polemico come Elio Gioanola ha accettato senza
eccessive polemiche la correttezza dell’interpretazione contenuta nel Commento
a Zeno. Interpretazioni più recenti, come quelle proposte da Fabio Vittorini e
Giovanni Albertocchi, non hanno aggiunto elementi rilevanti, semmai hanno
prodotto qualche preziosa specificazione assieme a pericolose semplificazioni
(Vittorini, 2004, 1606-09; Albertocchi, 2008, 71-80). Quello che tutti i lavori
menzionati hanno in comune, però, è il ritorno di una costante: che venga
citato esplicitamente, sottinteso, completato o avversato, Freud ha costituito il
presupposto di base di qualsiasi saggio che dagli anni Sessanta in poi si è
focalizzato sul romanzo di Zeno.1
Su questo punto è importante registrare le differenze tra critica italiana e critica europea nell’affrontare il rapporto tra
Svevo e la psicoanalisi. Se oggi non è più possibile rilevare notevoli ‘resistenze’ a letture psicoanalitiche dell’opera di Svevo, è
soprattutto merito dei lavori di Saccone, 1973 e Lavagetto, 1975, che hanno inaugurato un tipo di impostazione critica che,
almeno fino agli anni Sessanta, non era stata approfondita come testimonia lo stesso Michel David riflettendo su Svevo
(David, 1966, 379-404). A questi due testi degli anni Settanta si uniscono quasi immediatamente i saggi di Gioanola, 1979 e
Petroni, 1979. Dopo una flessione registrabile negli anni Ottanta, nei Novanta c’è stata una generale ripresa degli studi su
Svevo e l’ipostazione psicoanalitica è divenuta predominante. Nel 1992, a Perugia, si è tenuto il convegno: Italo Svevo scrittore
europeo. Nel 1997 esce il primo numero di «Aghios. Quaderni di studi sveviani», diretti da G. A. Camerino e E. Guagnini. A
bilancio dell’ultimo quindicennio critico si segnala un consistente numero di monografie, saggi e opere a carattere
introduttivo in cui la psicoanalisi freudiana è importante punto di riferimento. Fra i numerosi contributi ricordo molto
parzialmente quelli essenziali per la composizione del presente lavoro: Mazzacurati, 1989; Savelli, 1990, 87-104; Agosti,
1
1
Il presupposto di partenza di questa ricerca potrebbe suonare
contraddittorio come qualsiasi formazione di compromesso: sarebbe possibile
superare Freud per studiare Svevo, lo scrittore che più di ogni altro ha legato il
proprio nome al padre della psicoanalisi? In una prospettiva rigorosamente
filologica la risposta non potrà che essere negativa e le recenti ricognizioni
proposte da Palmieri o Carrai dovrebbero dissuadere dal proseguire su una
simile strada.2 La ricerca del contenuto di verità, però, potrebbe offrire
quell’apertura che l’accertamento del contenuto di fatto sembrava negare: è
impossibile far tacere Freud quando si studia Zeno, ma è ipotizzabile -e forse
ormai opportuno- non limitarsi a lui.
Fin dalle prime parole dalla Prefazione, il romanzo sembra proporre
implicitamente una doppia domanda psicoanalitica: «qual è la malattia, e/o per
quale ragione Zeno s’è rivolto a un analista?» (Saccone, 1973, 71). Il critico
Eduardo Saccone, all’inizio degli anni Settanta, aveva già adottato una
prospettiva alternativa a quella freudiana per rispondere a simili problematiche:
Lacan, più di Freud, sembrava fornire gli strumenti adeguati per commentare
Zeno e molti, da allora, hanno seguito questo modello (Minghelli, 2009). I
rischi di una simile lettura, però, sono tutti già in nuce nel Commento: Zeno,
personaggio «ossessionale», deprivato del «sacrificio narcissico» necessario «per
l’accesso alla dimensione della legge» è condannato alla contraddizione tra
desiderio di approdo alla legge e terrore che questo «evento castratore»
(Saccone, 1973, 94-106) si verifichi. «Evidentemente», commenta ironico
Maxia, «il rischio di far passare la Coscienza di Zeno per un’illustrazione delle
teorie di Lacan deve essere sembrato grande allo stesso Saccone» (Maxia, 1975,
89). Sia Freud che Lacan tendono irrimediabilmente a ridurre Zeno ad un caso
clinico, forzando l’interpretazione letteraria nei pericolosi confini della scienza
terapeutica. Purtroppo, fino ad ora, è estremamente difficile trovare letture che
non siano cadute nella duplice morsa di contenutismo e biografismo. Il
romanzo di Svevo è così denso di temi e contenuti psicoanalitici da
rappresentare un territorio particolarmente insidioso per chi si ponga
1991, 121-44; Lavagetto, 1992, 217-31; Catenazzi, 1994; L. Curti, 1994, 401-27; Aa. Vv., 1995; Contini, 1995, 593-624;
Palmieri, 1996; Tortora, 2003; Palumbo, 1996, 1-30; Lavagetto, 2000, 245-67; Minghelli, 2002; Aa. Vv., 2009. Mi permetto di
rinviare anche al mio recente Baldi, 2010, 289-308. In ambito comparatistico l’impostazione psicoanalitica è sempre stata
predominante a partire dagli anni Settanta. A titolo di esempio si possono segnalare gli importanti: Chardin, 1990 e F.
Kohler, 2004. In Francia, seconda patria critica di Svevo, un certo filone lacaniano nato attorno alla «Revue des études
italiennes» ha fornito spunti molto interessanti: se già Valery Larbaud, nel 1926, aveva attirato l’attenzione sulla psicoanalisi
presente nelle pagine di Senilità, i contributi più significativi sono quelli di Jonard, 1969; Wilden, 1969, 98-119; Schifano,
1970; Fusco, 1973. Per una panoramica esaustiva si veda l’ottima antologia critica Svevo. Storia della critica, a cura di Maxia,
1975, ma anche i più aggiornati Italo Svevo e la critica, a cura di Brossi, 1983; e Il caso Svevo. Guida storica e critica, a cura di
Ghidetti, 1984. Nelle note successive si faranno riferimenti specifici agli studi che si sono occupati specificatamente del tema
del sogno nella narrativa di Italo Svevo.
2 Stefano Carrai ha recentemente pubblicato due importanti contributi che ricostruiscono esaustivamente le conoscenze
psicoanalitiche di Svevo, Carrai 2003 e 2009. Si veda anche Palmieri, 1994.
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l’obiettivo di condurre un’analisi principalmente formale. È possibile superare
il contenutismo per elaborare dei modelli vuoti, formali e astratti, da riempire
di volta in volta con contenuti differenti? È possibile, in altri termini, superare
castrazioni e lapsus per capire se esiste e come funziona un modello che regola
e coordini i contenuti psicoanalitici del romanzo?
Simili problematiche teoriche possono trovare ampia applicazione attraverso
l’adozione di una prospettiva logica e, come noto, nessun interprete ha meglio
recepito ed utilizzato una simile impostazione per studio della letteratura e
dell’inconscio come Francesco Orlando. Muovendosi parallelo a Matte Blanco
negli anni Settanta, e includendolo nella propria ricerca durante gli anni
Ottanta, Orlando ha riassunto perfettamente l’essenzialità di un’impostazione
logica per lo studio della letteratura:
Siamo oggi finalmente testimoni, negli studi di Ignacio Matte Blanco, di
uno sforzo geniale, appassionante e convincente per definire con rigore il
cosiddetto inconscio su base logica-antilogica, anziché su base topica o
energetica. E questo sforzo comincia con l’allentare l’associazione fra la
cosa che è da definire, e il suo ormai consacrato e in pratica immutabile
nome (Orlando, 1990, 7).
L’inconscio come insiemi infiniti e Pensare, sentire ed essere consentono al critico
letterario di economizzare l’ingombrante concetto di ‘inconscio’ e gli
permettono di condurre una valutazione più orientata sul piano della forma del
contenuto. «La fondamentale scoperta di Freud», recita Matte Blanco, citato
anche da Orlando, «non è quella dell’inconscio […] ma quella di un mondo
[…] retto da leggi completamente diverse da quelle da cui è retto il pensiero
cosciente» (Matte Blanco, 2000, 107). L’opera dello psicoanalista cileno
soddisfa il compromesso su cui questo studio intende basarsi sin dal suo titolo:
muoversi oltre Freud senza tuttavia negarlo: «Egli [Freud] non fu il primo a
parlare dell’inconscio […] ma fu il primo a fare la fondamentale scoperta di
questo strano “regno dell’illogico” sottomesso, malgrado il suo essere illogico,
a determinate leggi che scoprì con un colpo straordinario di genio» (Ibidem).
Fin dalle prime parole del romanzo è chiaro che l’enorme disponibilità di
materiale psicoanalitico offerto dai diari di Zeno operi sia a livello formale che
contenutistico (Genco, 1998, 173-99). Appartengono al contenuto tutti i
racconti di sogni, atti mancati, lapsus, sintomi veri o presunti, transfert e
resistenze. A livello formale, invece, si distinguono l’organizzazione tematica, i
salti temporali e le anacronie, gli spostamenti, i flashback e, soprattutto, le
innumerevoli assurdità e contraddizioni logiche, materia di indagine privilegiata
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del presente lavoro. Purtroppo (o per fortuna) è impossibile condurre un
discorso sull’inconscio che separi nettamente forma e contenuto:
Il discorso dell’inconscio non può parlare di ciò, se non ne parla così […]
Non
può
esserci
per
esempio
condensazione,
spostamento,
rappresentazione mediante il contrario, negazione, formazione di
compromesso, a meno che simili “forme” non si intreccino a
“contenuti” quali per esempio il complesso di edipo o quello di
castrazione, le fasi orale o sadico-anale, il masochismo o l’esibizionismo,
il parto o le feci, il fallo o la vagina (Orlando, 1990, 6).
Ma anche Bottiroli, di recente, ha evidenziato come il tentativo di separare
forma e contenuto sia uno dei luoghi comuni teorici più vani e facilmente
falsificabili (Bottiroli, 2006). Ricercare la forma non significherà isolarla dal
contenuto: partendo dall’analisi dei contenuti di un sogno, questa indagine si
focalizzerà soprattutto sulle strutture formali, cercando di evitare il più
possibile qualsiasi appiattimento biografico o contenutistico, pericolo che nel
caso-Svevo è più che concreto (Genco, 1998, 161).
Dopo alcuni anni di relativo silenzio, il critico Giovanni Albertocchi è
tornato sulla questione dei sogni nella Coscienza, ponendo particolare attenzione
alla struttura dell’evento più complesso e oscuro: il sogno di Basedow.
Albertocchi, dopo una rapida sintesi del brano onirico, risolve rapidamente la
questione centrale. Commentando la reazione sgomenta di Augusta alle
confessioni mattutine di uno smemorato Zeno, il critico chiosa:
Il pallore di Augusta ci fornisce la chiave più probabile del sogno che è
quella del desiderio di Zeno per la cognata che costituisce un percorso
narrativo di una certa consistenza, fatto di rimandi e di ricordi che
possiamo considerare, alla stregua di Saccone, come momenti sostitutivi
delle libere associazioni, a cui non abbiamo accesso, essendo, ripetiamo,
l’inconscio di Zeno pura finzione narrativa (Albertocchi, 2008, 78).
Simile atteggiamento testimonia una vera e propria cristallizzazione di letture
critiche psicoanalitiche relative al caso Svevo. È ancora possibile (ed
accettabile) ridurre il sogno di Basedow - soprattutto nella sua seconda parte –
a una manifestazione «del desiderio di Zeno per la cognata»? La lettura di
Albertocchi ha comunque il merito di porsi perfettamente a metà strada tra
Saccone e Lavagetto: l’assunto del critico, infatti, è che il sogno sia una messa
in scena di un desiderio profondo, ma Zeno è pur sempre un personaggio di
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carta e le sue libere associazioni non nascondono alcun inconscio da
decodificare, solo strategie narrative da interpretare. Ricostruire le conoscenze
psicoanalitiche di Svevo e correggere le ardite proposte di Saccone sembrano le
sole cose che la critica possa ormai accettare e propugnare. Ripercorrendo a
ritroso l’evoluzione della malattia immaginaria di un protagonista immaginario,
Albertocchi propone un’interessante lettura del rapporto Zeno-Ada. Il morbo
ha evidentemente segnato in profondità il rapporto di relazione che legherebbe
i due personaggi: «La malattia ha trasformato Ada in un ossimoro che si regge
sui valori contrastanti di salute e di malattia a cui si affiancano quelli di bellezza
e di bruttezza» (Albertocchi, 2008, 71). Il desiderio di Zeno, secondo il critico,
assume un carattere «intermittente»: nel sogno verrebbe prima autorizzato dalla
fuga di Basedow (prima parte) e poi censurato dalla sua riapparizione (seconda
parte). Albertocchi rimane particolarmente fedele all’interpretazione sacconiana
per cui un Basedow padre depotenziato assumerebbe una funzione castrante
«nei riguardi di un eros che non fa che riprodurre il modello edipico» (Ibidem).
Secondo una formula estremamente fortunata, ne consegue che il desiderio
profondo di Zeno consisterebbe nel fatto che «il suo desiderio di fare all’amore
con Ada sia frustrato» (Saccone, 1973, 202).
Notevole attenzione merita l’analisi che di questo sogno ha proposto il critico
Giuseppe Genco. Nonostante la posizione di Genco rientri grossomodo nella
prospettiva freudiana, merito dello studioso è quello di aver interrogato il
sogno primariamente come deposito di strategie narrative e stilistiche: «I sogni,
dunque, vanno letti come […] codici linguistici attraverso i quali lo scrittore
vuole dare un senso alla sua comunicazione […]. E se, in quanto codici, i sogni
parlano una propria lingua, è lecito parlare di una loro natura metalinguistica»
(Genco, 1998, 161). È proprio rispettando un simile approccio, ma adottando
una prospettiva variata, che ho intenzione di procedere nelle successive letture
del sogno.
È il momento di confrontarsi direttamente con l’opera per provare sul
campo l’efficacia degli assunti teorici rapidamente presentati. Spesso, per brani
letterari così celebri, è necessario far tacere brevemente la folla di voci critiche
e dare spazio al testo. Anche in una lettura che si proponga matteblanchiana,
rimangono saldi tutti gli elementi freudiani che la critica ha puntualmente
rilevato nel corso di questi anni: il sogno di Basedow è diviso in tre momenti e
la sua sezione finale, con Zeno che racconta tutto ad Augusta, ne è ovviamente
parte integrante. L’immagine paterna di Basedow e quella materna di Ada sono
forze evidentemente operanti negli episodi onirici di Zeno, così come sarà
ovvio confermare il massiccio uso di una simbologia sessuale (le finestre, gli
ambienti chiusi e interni, l’atto di salire e scendere le scale). Come ha ben
5
scritto Vittorini, questo sogno «sembra essere il centro da cui si irradia, per via
di similitudini o di scarti, il senso dell’intera serie dei nove sogni della Coscienza»
(Vittorini, 2004, 1609).3 Quali sono, però, le conseguenze della sostituzione di
un modello interpretativo dinamico di marca freudiana con una lettura che
ponga in primo piano le relazioni logiche tra i contenuti manifesti?
Probabilmente la l’interpretazione complessiva del sogno rimarrà la medesima,
ma l’angolatura da cui si osserva il linguaggio onirico permetterà di introdurre
nuovi elementi e di proporre quel modello astratto e formale a cui si faceva
riferimento poco prima.
In via del tutto preliminare è possibile notare come il sogno sia scomponibile
in poche sequenze. Se ne contano undici e sarà utile elencarle brevemente,
anche con lo scopo di riassumere il lungo brano senza citarlo interamente:
1)Augusta, Ada e Zeno sono alla finestra sul corso di Trieste,
«precisamente la più piccola che ci fosse stata nelle nostre tre abitazioni»
(Svevo, 2004, 961); 2) Ada, tra Zeno e la moglie, che aderisce col corpo
al protagonista per via dello spazio angusto («aderiva proprio a me»,
961); 3) lo sguardo di Zeno: «Io la guardai e vidi che il suo occhio era
ridivenuto freddo e preciso e le linee della sua faccia purissime fino alla
nuca ch’io vedevo coperta dei suoi riccioli lievi» (Ibidem); 4) lo stupore
di Zeno nel constatare che Ada, fredda e severa («tale mi pareva la sua
salute», Ibidem) non rinuncia a rimanere vicina a lui; 5) Zeno parla ad
Augusta chiedendole di Basedow; 6) Zeno cerca Basedow e alla fine lo
vede in basso, in strada; 7) descrizione di Basedow inseguito dalla folla:
«un vecchio pezzente coperto di un grande mantello stracciato», 962; 8)
dopo l’intervallo di «notte vuota», Zeno ed Ada soli sulla scala; 9) Zeno
che abbraccia le gambe di Ada, prima sfigurata ma poi («guardandola con
affanno») di nuovo «bella e sana» (ibidem); 10) Basedow con la sua figura
Sull’importanza di questo sogno hanno concordato tutti i commentatori dell’opera sveviana. Per Petroni il personaggio di
Zeno vive in una vera e propria «dimensione onirica» (Petroni, 1973, 99). Simile posizione, però, era già stata valutata e
contraddetta da Saccone che, proprio all’inizio della sua analisi sui Sogni nei testo, ricorda: «La scrittura di Svevo, ben dentro la
“corrente letteraria cosiddetta realistica”, come si esprimerebbe Roman Jakobson, mal sopporterebbe, suppongo, la
qualificazione di onirica» (Saccone, 1973, 189). Recentemente Sandro Briosi è ritornato sulla questione nel suo saggio Il sogno
raccontato da Svevo: «È vero dunque che il narratore Zeno “non stabilisce alcun nesso, non tenta un’interpretazione globale
della propria vita”; ma non è vero affatto che egli viva in una dimensione onirica. Nessun narratore pone mai, al centro del
proprio narrare, il fine di una “interpretazione” nei termini univoci di una razionale parafrasi […]. Il senso che La coscienza di
Zeno trasmette (nei modi simbolici, indiretti, non riducibili a parafrasi che sono sempre i modi della letteratura) è del tutto
cosciente, ed è parafrasabile (e non riducibile ad essa) nell’impossibilità, nel nostro universo, di trovare salvezza sia nella
Salute che nella Malattia. Potremmo dire addirittura che, da questo punto di vista, il suo mondo è l’esatto contrario di un
mondo onirico: in esso tutto ha, di volta in volta, un significato chiaro – fin troppo chiaro; tutto si svolge secondo una
“logica” fin troppo “prevedibile”», in Briosi, 2009, 221. Sulla retorica del sogno in Svevo si veda anche Luti, 2009, 209-16.
Ottimi gli spunti presenti in Verbaro, 2009, 85-105.
3
6
malsicura che fa capolino dalla porta della soffitta in cima alle scale; 11)
fuga finale.
L’equilibrio a tre dei personaggi non è contraddetto dalla seconda parte del
sogno visto che Zeno, appena sveglio, sente la necessità di ricollocare Augusta
nel racconto riportandole, «trafelato», «tutto o parte del sogno» (962-63).
Nonostante questo, però, gli unici personaggi a risultare attivi e ben definiti,
oltre il protagonista/narratore, sono Basedow e Ada: personaggi-chiave, ma
anche elementi maggiormente oscuri e problematici. Le riflessioni di Saccone
hanno enucleato tutta la simbologia condensata nel personaggio del medico
immaginato da Zeno. Già Teresa De Laurentis aveva notato che Basedow
assumeva in sé tutte le caratteristiche del ‘rivale’ (De Laurentis, 1973, 208-222),
essendo formato da una sorta di condensazione tra Guido e le altre figure
paterne nel racconto. Basedow, completa acutamente Saccone, non è soltanto
il rivale, ma piuttosto una figura ossimorica, un personaggio capace di fornire
resa plastica al desiderio del protagonista, anch’esso contraddittorio e difficile
da definire (Saccone, 1973, 196-98). Dopo aver accettato, ma anche
ridimensionato l’interpretazione a base edipica con cui è possibile leggere il
sogno di Zeno, Saccone si sofferma molto opportunamente sulla struttura e sul
movimento che il sogno mette in atto. Attraverso l’analisi delle caratteristiche
di Basedow, il critico giunge all’interpretazione che ancora oggi fa scuola: «La
struttura messa in opera nel testo e nel sogno –nel sogno come nell’intero
testo– non è infatti solo genericamente edipica. Più esattamente tutto qui
sembra girare intorno alla legge, simbolica, della castrazione» (Saccone, 1973,
199). Castrato Zeno, che è continuamente inibito da istanze censorie autoinflitte; castrata anche la stessa istanza castrante: la Legge a cui il protagonista si
trova davanti è continuamente degradata e demistificata, una diminuzione che
il corpo povero e malsicuro di Basedow incarna alla perfezione. Se a questo
punto si adotta una prospettiva basata sulla logica del pensiero inconscio sarà
possibile giungere a risultati non contemplati dalla critica. Seguendo alla lettera
la struttura onirica così come presentata da Zeno, il personaggio di Basedow
appare in due sequenze: nella prima è un vecchio pezzente «coperto di un
grande mantello stracciato, ma di broccato rigido, la grande testa coperta di una
chioma bianca disordinata, svolazzante all’aria, gli occhi sporgenti dall’orbita
che guardavano ansiosi con uno sguardo ch’io avevo notato in bestie inseguite,
di paura e di minaccia»; nella seconda scena, invece, Basedow sembra aver
riconquistato una posizione dominante: in cima alle scale della soffitta
«sporgeva la testa chiomata e bianca […] con quella sua faccia fra timorosa e
minacciosa. Ne vidi anche le gambe malsicure e il povero misero corpo che il
7
mantello non arrivava a celare» (962, il corsivo è mio in entrambe le citazioni).
Fino ad ora le due scene sono sempre state considerate distanti, opposte,
contraddittorie: un Basedow passivo, braccato dalla folla ed un Basedow attivo,
capace di sovrastare gli altri personaggi. Adottando una prospettiva logica a
caratterizzazione inconscia, invece, le due scene possono essere considerate
assolutamente equivalenti. Più precisamente, Matte Blanco ha mostrato come
la tendenza del pensiero inconscio è quella di lavorare per classi sempre più
ampie a seconda che si penetri nei livelli più profondi.4 Seguendo questo
assunto, il personaggio di Basedow inseguito e inseguitore (oppure, se si
preferisce, elemento sia passivo che attivo), assolve la medesima funzione
proposizionale. Mettendo a confronto le due descrizioni nelle rispettive scene è
possibile sostenere che la funzione in questione sia espressa dall’aggettivo:
«minaccioso». La classe minacciosità, quindi, palesa sia la minaccia subita dal
personaggio (essere inseguito dalla folla) che quella da lui operata (sovrastare
Zeno ed Ada dalla cima delle scale). Una simile classe proposizionale sembra
operativa in tutti i punti di una rappresentazione onirica che sta descrivendo il
doppio scacco a cui è soggetto il protagonista. In una prospettiva di logica
dell’inconscio profondo è totalmente irrilevante che Basedow minacci o venga
minacciato: egli rende noi lettori consapevoli della classe minacciosità. Si noti che
fino a questo punto la lettura operata da Saccone è ancora compatibile con
queste riflessioni. Lo scarto decisivo sarà rappresentato dalle ipotesi sulla
natura della minaccia che il sogno sta comunicando: è qui che una lettura in
chiave logica potrebbe consentire di formulare un modello interpretativo
astratto e capace di far luce sulle strategie narrative dell’intero romanzo.
Prima di procedere oltre nell’analisi è però utile operare una sospensione e
riflettere sulla natura del rapporto che lega i personaggi di Zeno e Ada. La
sapienza descrittiva di Svevo, infatti, risiede tutta nella capacità di rendere in
maniera convenzionale l’ambiguità e le approssimazioni di un sogno reale, ma è
solo fuori dallo spazio del sogno che sarà possibile comprenderne tutte le
implicazioni.
Nelle immagini oniriche Ada subisce un’alterazione sia fisica che psicologica: la
fanciulla appare giovane e bella, ma «Ad onta di tanta freddezza (tale mi pareva
la sua salute) essa rimaneva aderente a me come avevo creduto lo fosse quella
sera del mio fidanzamento intorno al tavolino parlante» (961, il corsivo è mio).
Perché Zeno sente il dovere di una simile specificazione? Ada, fredda perché
bella, rimane comunque accanto a lui. Non è l’unico punto del romanzo in cui
«Ogni volta che in una manifestazione dell’inconscio ci troviamo davanti a un elemento concreto (per esempio nei sogni) ci
rendiamo subito conto che quest’elemento è sempre adoperato come rappresentante di una classe e che ciò che conta è la
classe, che è sempre un insieme infinito (classe dei seni, padri, madri, ecc.)», Matte Blanco, 1975 b, 26.
4
8
Zeno elabora l’equazione salute/freddezza. Sembra che la malattia di Basedow
abbia radicalmente modificato il carattere, oltre che i tratti, della ragazza. Dopo
il difficile parto in cui Ada dà alla luce i due «morticini scoloriti», il narratore
nota che qualcosa di essenziale è radicalmente cambiato: «- Sono belli, Zeno?
Restai sorpreso dal suono di quella voce. Mi parve più dolce: era un vero grido
perché vi si sentiva uno sforzo, eppure rimaneva tanto dolce» (952). È proprio
quella voce, che durante la salute suonava roca e severa, a farsi anticipazione di
uno stravolgimento che coinvolgerà la vita del protagonista.5 La voce dolce e
malsicura di Ada diviene un mezzo con cui Zeno entra sempre più in
metaforico contatto con la fanciulla. In occasione del primo incontro dopo il
parto, mentre Augusta ed Ada chiacchierano nel salotto di casa sua, Zeno si
imbatte nuovamente in quelle note che tanto lo avevano colpito la prima volta:
Per recarmivi [nello studio] dovevo passare il lungo corridoio, e dinanzi
alla stanza di lavoro di Augusta mi fermai perché sentii la voce di Ada.
Era dolce o malsicura (ciò che si equivale, io credo) come quel giorno in
cui era stata indirizzata a me. Entrai in quella stanza spintovi dalla strana
curiosità di vedere come la serena, la calma Ada, potesse vestirsi di quella
voce che ricordava un po’ quella di qualche nostra attrice quando vuol
far piangere senza saper piangere essa stessa. Infatti era una voce falsa, o
io la sentivo così, solo perché senza neppur aver visto chi la emetteva, la
percepivo per la seconda volta dopo tanti giorni sempre ugualmente
commossa e commovente (954).
Quasi in maniera sineddotica, la voce di Ada contiene in sé la trasformazione di
tutta la persona: «mi bastò di aver vista Ada per intendere che quella voce non
era falsa» (955). La severità dello sguardo è smarrita con la voce e con questi
elementi si dissolve l’essenza tutta del carattere:
Intanto io, che sapevo a mente quell’occhio, quell’occhio ch’io tanto
avevo temuto perché subito, m’ero accorto che freddamente esaminava
cose e persone per ammetterle o respingerle, potei constatare subito
ch’era mutato, ingrandito, come se per vedere meglio avesse forzata
l’orbita (955).
È un personaggio diverso, nuovo, quello che Zeno si trova davanti: una
persona dolce, fragile, sempre sull’orlo del pianto; una donna che ha smarrito
5
Ottimi gli spunti presenti in Minghelli, 2002, 65-70.
9
ogni freddezza assieme alla bellezza che la contraddistingueva. Ada non è più
sé stessa, il suo corpo è ormai una tela che può solo «simulare tutte le
emozioni» (965). L’occhio freddo e severo si è smarrito, «mutato, ingrandito,
come se per vedere meglio avesse forzato l’orbita» (ibidem). Da questo
momento in poi i suoi occhi, le sue guance, la sua bocca subiranno continue
trasformazioni:
La faccia di Ada era male costruita perché aveva riconquistate delle
guancie ma fuori di posto, come se la carne, quando ritornò, avesse
dimenticato dove apparteneva e si fosse piegata troppo in basso.
Avevano perciò l’aspetto di gonfiezze anziché di guance. E l’occhio era
ritornato nell’orbita, ma nessuno aveva saputo riparare i danni ch’esso
aveva prodotto uscendone (ibidem).
Ada è un manichino che porta evidenti i segni di mani che hanno tentato di
ricomporne i bei connotati: la sua apparenza è riprodotta forzatamente, «ma
nessuno aveva saputo riparare i danni» (ibidem). Quelle alterazioni ritornano
nel sogno che condensa e assieme anticipa in un attimo plastico la malattia del
personaggio: «Per un istante mi parve sfigurata» (962). Basedow comporta una
totale perversione dell’organismo, fisica e «psichica» assieme. È proprio
considerando questa dinamica generale che è utile ritornare all’evento onirico
seguendo un percorso nuovo:
Ora che sapevo che cosa fosse stata la salute da Ada. Non poteva la sua
perversione portarla ad amare me, che da sana aveva respinto?
Io non so come questo terrore (o questa speranza) sia nato nel mio
cervello!
Forse perché la voce dolce e spezzata di Ada mi parve di amore
quando s’indirizzò a me? La povera Ada s’era fatta ben brutta ed io non
sapevo più desiderarla (959).
Saccone è arrivato fin qui, ma la sua interpretazione ha proseguito per altre
strade fino a giungere alla nota spiegazione contenutistica basata sul complesso
di castrazione. Sembra quasi che la critica sveviana, ossessionata dal leggere
dentro le bugie del testo, abbia dimenticato l’altro termine della dicotomia:
quelle «tante verità» (625) che, a detta del Dottor S., sono comunque
disseminate nel memoriale. Affetto da un complesso di Cassandra retroattivo,
Zeno sembra condannato a mentire. Sarebbe il caso di notare che ogni
affermazione del protagonista non è mai totalmente falsa: funziona proprio
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come una formazione di compromesso. È possibile spiegare in altri termini il
terrore e la speranza che si assommano nella mente di Zeno? Come è possibile
ignorare le coppie antitetiche che si susseguono in questo breve brano? Terrore
e speranza, dolcezza e fragilità, bellezza e deformità: siamo davanti alla chiave
del sogno, nel momento in cui la malattia si trasforma in un vero e proprio
mezzo per ottenere l’oggetto del desiderio. Dalla voce al corpo Ada sembra
destinata a riunirsi finalmente a colui che aveva imparato ad amarla, ma nella
mente del protagonista - questo il messaggio del sogno - il desiderio convive
con la paura. Il terrore/speranza che accompagna ogni pensiero di Zeno
rivolto ad un’Ada malata e quindi accessibile è la perfetta formazione di
compromesso che testimonia di un regime logico simmetrico continuamente
attivo nelle pagine del romanzo. Desiderare Ada e respingerla sono alternative
equivalenti nella mente di Zeno, un’assenza di mutua contraddizione che solo
un regime logico alternativo potrebbe sopportare. È proprio tenendo in
considerazione questo brano che il sogno di Basedow può fornire indizi
interessanti. Attraverso un ragionamento basato su classi e funzioni
proposizionali, il sogno permette di elaborare un modello generale di pensiero
che Zeno rende continuamente attivo nel corso del romanzo. Basedow, nel
sogno, è l’unico veicolo che permette al personaggio di ottenere la
soddisfazione del proprio desiderio: Ada. L’essenza del sogno, però, è
rappresentata dalla classe minacciosità che simile soddisfazione sembra portare
con sé: nell’evento onirico convivono due pensieri che, nella logica diurna, si
auto-annullerebbero: ottenere e respingere Ada. Zeno sa, almeno ad un livello
logico simmetrico, che Basedow è l’unico strumento attraverso cui ottenere
Ada, ma quella che stringerebbe sarebbe un’Ada depotenziata, brutta, deforme:
Ada priva di tutta la sua bellezza, più dolce e remissiva. Senza Basedow, Ada
sarebbe ancora bella, sana e di conseguenze fredda: in altri termini decisamente
proibita. La situazione che si viene a creare è dunque la seguente:
Basedow – Ada deforme – NON Zeno
NON Basedow – Ada sana – NON Zeno
L’inconscio simmetrico, che raccoglie nel personaggio di Basedow la classe
minacciosità, sta esprimendo il doppio fallimento che investe il protagonista:
Zeno sarebbe in grado di ottenere Ada solo attraverso il morbo di Basedow
che gliela consegnerebbe malata e depotenziata. Il protagonista non può
desiderarlo, tanto che nel sogno, non appena Ada gli appare deforme, egli
prova affannosamente a figurarsela bella e sana. Senza Basedow, allo stesso
modo, Zeno non arriverebbe mai ad Ada. Il risultato è contraddittorio da un
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punto di vista logico classico, ma perfettamente accettato e propugnato
dall’inconscio: Zeno rifiuta Ada deforme (sarebbe un doppio di Augusta) e
Zeno rifiuta Ada sana (non può ottenerla). Ecco che la lettura di Saccone, fin
qui perfettamente rispettata, ha seguito strade differenti: la demistificazione
dell’istanza paterna (o della Legge), a cui il critico è giunto per via lacaniana,
perde centralità se si adotta una prospettiva che tiene conto dell’apporto di
logica simmetrica nel testo. Ritengo essenziale sottolineare come una simile
lettura non contraddica le precedenti ipotesi interpretative: è solo una
prospettiva differente con cui guardare in modo nuovo ad un segmento
testuale ipertrattato dalla critica. L’incompatibilità dell’inconscio con la
coscienza è conseguenza dell’impossibilità per una mente razionale di
accogliere le classi nelle loro infinite dimensioni. Il simmetrico è costantemente
presente nella vita cosciente, ma gli è necessario esprimersi forzando le regole
della logica bivalente. Zeno desidera Ada, ma nel sogno la rifiuta sia sana che
deforme. Ritengo che simile lettura offra una potenziale rivalutazione dei
numerosi ossimori di cui questo racconto onirico è pervaso. Come si nota, è
necessario per l’inconscio trovare qualche aggiustamento che renda la classe
particolarmente ampia così da includere situazioni fra loro molto diverse.
Ancora una volta, seppure attraverso una angolatura molto differente, è
necessario essere d’accordo con le parole di difesa del protagonista: «Non Ada
era importante per me, ma Basedow» (963). Proprio come avviene nei
procedimenti inconsci, Zeno ha svuotato Basedow di qualsiasi singolarità: egli
è importante nel romanzo solo come strumento per raggiungere l’oggetto del
proprio desiderio, uno strumento che però sfigura Ada tanto da renderla
‘inservibile’. Di qui l’emozione di partenza che ha messo in moto il sogno: un
forte sentimento di minacciosità che attanaglia il protagonista come una morsa e
che il sogno esprime sottoforma di Basedow in posizione sia passiva che attiva.
Il vantaggio principale di un’impostazione logico-simmetrica nello studio di
testi letterari è quello di consentire al critico di superare coppie oppositive
ingombranti come esterno/interno, conscio/inconscio e, al contempo, quello
di fornire una delega nella ricerca contenutistica di sintomi e complessi psichici.
Simili potenzialità sono ancora più preziose per un romanzo come la Coscienza
e potrebbero portare le successive letture critiche in un contesto in cui Zeno
rimane anche dopo (mai senza) Freud.
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