per una geografia dei mercati a roma. la città antica e alto

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per una geografia dei mercati a roma. la città antica e alto
PER UNA GEOGRAFIA DEI MERCATI A ROMA.
LA CITTÀ ANTICA E ALTO-MEDIEVALE
APPUNTI PER L’ ESCURSIONE DIDATTICA NELL’AREA DEI
FORI
Le origini di Roma prendono le mosse da una posizione di contatto tra realtà territoriali diverse: a
nord la confederazione delle città etrusche controllava l’area a nord del Tevere; a sud Cuma e Napoli
erano gli avamposti settentrionali del mondo coloniale greco nell’Italia meridionale; arroccate sui rilievi del
Lazio interno vivevano le comunità agricole e pastorali dell’età del ferro (Volsci, Sanniti, Sabini, Ernici). La
decadenza e la scarsa coesione delle città etrusche e le rivalità esistenti tra le comunità greche, incapaci di
aggregarsi in una federazione, generò quella loro debolezza che agevolò la conquista da parte dei romani.
Il sito originario è il guado in corrispondenza dell’Isola Tiberina, che divide la corrente del fiume,
facilitando il passaggio sulla sponda opposta. Ben presto l’isola venne collegata da ponti (Ponte Fabricio e
Ponte Cestio) alla terraferma. Una ipotesi giustifica la sua formazione al rallentamento della corrente a valle
del meandro e allo sbocco di 2-3 fossi che scaricavano sedimenti in quel tratto (R. Funiciello et alii, I Sette
Colli, p. 105). Resta nel tempo la sua funzione come area sanitaria separata dalla città (Tempio di Esculapio,
293 a.C.; e oggi l’Ospedale Fatebenefratelli).
La carta storica riproduce l’ansa del Tevere in età classica, nel basso impero. Si notano infatti il Teatro
Marcello, oltre al cosiddetto Tempio di Vesta (circolare a forma di tholos, ma del II sec. a.C.) e il pons Aemilius a valle
dell’Isola Tiberina.
La posizione è di crocevia: il Tevere, nord-sud, come via d’acqua e la via (via Campana) che dalle
saline di Ostia prelevava il sale e, passando sul guado tiberino, riforniva le popolazioni pastorali della Sabina
e nell’Italia centrale attraverso la via Salaria.
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Il Tevere, sulle cui sponde sorge la città, provenendo dall’Appennino Tosco-Romagnolo (Monte Fumaiolo) si
è aperto un varco tra gli apparati vulcanici dei Monti Sabatini, a nord-ovest, e del Vulcano Laziale a sud-est,
intagliando e colmando alternativamente la sua valle. Il colle Gianicolo e i cosiddetti Sette Colli sono le propaggini
estreme (ignimbriti) dei rispettivi apparati vulcanici, la cui struttura è prevalentemente tufacea. Il fondovalle è invece
costituito dai sedimenti depositati dalle acque del Tevere (cfr. fig. sotto).
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Fonte: R. Funiciello, I Sette Colli.
Le origini e la fase regia
(753 -509 a.C.)
Secondo la tradizione e i miti di fondazione la città sarebbe stata fondata a metà dell'VIII secolo a.C.
per iniziativa dei gemelli leggendari Romolo e Remo. La data ufficiale, 21 aprile del 753 a.C., è
convenzionale.
Il villaggio di capanne - le cui tracce sono state rinvenute sulla sommità del Palatino, a controllo del Portus
Tiberinus - impose il suo primato sui villaggi circostanti sui colli vicini (sinecismo). Tracce di un muro di
cinta sono state rinvenute intorno alle pendici del Palatino e darebbero fondamento alla menzione del
pomerio, limite sacro dovuto ad un atto di fondazione. L’evidenza di una città-stato risalirebbe solo al tardo
VII sec. L’urbanizzazione coincide con l’avvio di relazione con le colonie campane e basso Lazio (Ischia,
Cuma).
La città di Romolo sorge in un paesaggio di insediamenti d’altura (i colli) che affacciano sul
Tevere e sulle bassure paludose dell’attuale area dei Fori. Il termine Velabro, presso il Foro Boario, nel
linguaggio arcaico vuol dire palude. Il sito presenta una idrografia mutevole a causa delle periodiche
esondazioni del Tevere. Le stesse paludi proteggevano le alture vicine e i suoi insediamenti. Le prime opere
di drenaggio della valle del Foro furono create già in epoca arcaica.
La Roma quadrata nasce come villaggio pastorale. Presso il clivus victoriae sono state rinvenute le
cosiddette capanne di Romolo. Una serie di fori sul terreno rivela la presenza di capanne risalenti all’8-9
secolo. a. Cr. con una forte coincidenza con le leggende sulla fondazione di Roma. Nei pressi avanzi di due
cisterne arcaiche e di alcuni pozzi. In età imperiale, il Palatino, ovvero quello che era stato il centro storico
della città e che godeva di un duplice affaccio sul Tevere e sui Fori, diverrà il luogo delle residenze imperiali
e aristocratiche (Casa di Livia, dimora di Augusto; palazzi di Tiberio, Caligola, dei Flavi, di Settimio Severo,
serviti dall’acquedotto neroniano, dotati di giardini e parchi).
La fase della monarchia dura circa 250 anni. Il fondatore e primo re, Romolo, avrebbe dotato la città delle
prime istituzioni politiche, militari e giuridiche.
Numa Pompilio, il secondo re, (716- 673 a.C.), è un nome tipicamente italico, di origine osco-umbra. La
leggenda lo vuole creatore delle principali istituzioni religiose, tra cui i collegi sacerdotali delle vestali, dei
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flàmini, dei pontefici, e degli àuguri; istituì anche la carica di pontefice massimo (pontifex maximus), nonché
la suddivisione dell'anno in dodici mesi e la precisa regolamentazione di tutte le feste e le celebrazioni,
precisando i giorni fasti e nefasti.
Tullo Ostilio sedette sul trono fino al 641, sconfiggendo i Sabini e conquistando Alba Longa, iniziando
l’espansione territoriale di Roma nel Lazio. Al re venne attribuita anche la prima pavimentazione del Foro.
Anco Marzio (640 al 617 a.C.) ne proseguì l'opera fondando la prima delle colonie, Ostia, che diverrà ben
presto il porto marittimo di Roma, e che tale resterà fino al I sec. d.C., ma che intanto era necessaria per di
controllare il corso del Tevere a valle della città. Nei pressi vennero anche create le saline, protagoniste di
un commercio fondamentale nella economia di Roma.
La Tabula Peutingeriana (mappa itineraria di età basso imperiale) evidenzia l’importanza attribuita al posto di Ostia. A
vignetta che lo indica mostra i magazzini, il faro, la diga foranea.
Sotto gli ultimi tre sovrani, la città entrò nell'orbita etrusca.
Tarquinio Prisco effettuò diversi lavori pubblici, come il drenaggio delle zone pianeggianti attraverso la
Cloaca Massima. Istituì anche un esercito guidato dai tribuni militum, a capo di 3.000 fanti e 300 cavalieri.
Concesse ai privati terreni intorno al Foro per edificare portici e tabernae.
Servio Tullio, diede una prima sistemazione a tutta l’area di affaccio su Tevere all’altezza dell’Isola
Tiberina, nella quale sorgeva il porto antico della città, il Portus Tiberinus. In questa politica dei lavori
pubblici rientra anche la erezione della prima cinta muraria, le mura serviane che sfioravano il porto su cui si
aprivano con ben tre porte (Porta Carmentalis, Porta Flumentana, porta Trigemina). Il re fa anche scavare la
Cloaca Maxima, grande collettore fognario destinato a liberare dall’acquitrino l’area dei Fori. La
conseguenza di questa attività urbanistica fu una riorganizzazione dell’attività commerciale intorno al porto.
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Le mura serviane (linea rossa). In realtà le mura oggi visibili ad es. presso la stazione Termini sono di età repubblicana,
ma forse seguivano il tracciato della cinta serviana di cui parla la tradizione. All’esterno, la linea nera individua il
percorso delle mura aureliane che fissano l’estensione raggiunta dalla città ‘milionaria’ nel basso impero.
Immagine della Cloaca Maxima in un acquerello di Franz Roesler (Roma sparita). Sullo sfondo il Tempio di Vesta e il
campanile duecentesco di S- Maria in Cosmedin.
Tarquinio il Superbo venne cacciato nel 509 a.C., dando origine alla fase del governo repubblicano. Ma
Roma appariva ormai una città-stato aperta agli scambi con i popoli vicini (Etruschi, Sabini, Greci, altri
popoli italici).
Il Vicus Tuscus, che risale a questo periodo a che correva ai piedi del Palatino, costituiva un asse
commerciale che congiungeva il foro romano con il Circo Massimo. All’epoca di Tarquinio il Superbo era
sorto lì un quartiere di maestranze ed artisti etruschi per la costruzione del tempio di Giove Capitolino.
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La fase repubblicana e imperiale
A partire dal II secolo a. C., dopo la sconfitta di Cartagine ed una conseguente fase di forte sviluppo
del dominio romano, si assiste ad una espansione dell’abitato sui colli circostanti, Campidoglio Quirinale,
Viminale, Esquilino, Celio, Aventino. Alla carenza idrica si sopperisce con la costruzione di acquedotti
che prelevano l’acqua dall’Appennino Sublacense o dalla Campagna Roman. Viene rinnovato il paesaggio
del Foro. La crescita urbanistica del II sec. comporta uno slittamento a valle dell’antico porto fino a
scavalcare l’Aventino e occupare la piana dell’attuale Testaccio (scarichi anforari), che viene attrezzata con
le strutture portuali come il Porticus Aemilia, l’Emporium, via Marmorata (botteghe dei marmorari).
L’urbanistica romana subisce, tra incendi e esondazioni del Tevere, forti rimaneggiamenti. Scompare un
tratto delle mura serviane presso il fiume, e queste vengono allargate ad includere il Trans-Tiberim (oggi
Trastevere) sulla sponda opposta, come testa di ponte, destinato ad ospitare soprattutto agli stranieri.
L’area tiberina resta uno spazio dedicato al commercio (Foro Boario, Foro Olitorio) e alla funzione
annonaria. Cambia invece il profilo socio-economico del Foro che con l’impero evolve verso un assetto
monumentale e celebrativo. L’area circostante vede abbandono delle botteghe popolari che migrano verso
la Suburra e l’Argiletum e accoglie il commercio di lusso (argentarii, orefici della via Sacra , margaritari,
mercanti di perle). In età imperiale si assiste alla costruzione di una serie di magazzini in laterizio presso il
porto fluviale. Alle spalle del Foro si tiene il mercato del pesce fino al 210 a C. (incendio). Ai piedi
dell’Aventino, a partire dal IV sec a. C. sorgono i magazzini del sale. Domiziano fa costruire magazzinimercato delle spezie: horrea piperataria e il porticus fabarum per stoccaggio legumi. Per il bestiame c’era
in origine il Foro Boario, ma in età imperiale i mercati del bestiame vennero specializzandosi: Campo
Pecuario, foro boario, e infine foro suario che venne situato a nord di Campo Marzio, dove iniziavano il
Suburbio e la campagna Romana . La rilevante funzione mercantile ed annonaria di Roma è provata dalla
presenza, consolidatasi nel tempo, di numerosi depositi e magazzini, privati e pubblici. Il primo (Horrea
Sempronea) fu fatto costruire da Gaio Gracco. Si andava da piccoli magazzini a strutture enormi come gli
Horrea Galbana a Testaccio. Ai piedi del Palatino si trovano resti degli Horrea Agrippiana. Le distribuzioni
pubbliche di grano, a partire dal tempo di Claudio, o forse anche di Augusto, erano effettuate nella porticus
Miunucia frumentaria a campo Marzio. Ci si presentava, muniti di tessera, presso uno dei 44 sportelli della
porticu e si riceveva la razione. Ma sotto Aureliano veniva distribuito il pane su diverse scalinate della città.
C’erano anche le mensae olearie (olio) ed il forum suarium (carne suina). La pratica delle distribuzioni
alimentarie verrà ripresa nel medioevo dalla Chiesa come sussidio per i poveri della città. Presso il Teatro
Marcello si tenne per qualche tempo il mercato delle carni con presenza di botteghe di macellaio,
Fonte: A. Giardina (a cura di) Roma Antica, Laterza.
La città bizantina
(V-VIII sec.)
Con l’imperatore Aureliano (270-275) e con la crisi del III secolo la città viene dotata di una nuova
cinta, le mura aureliane. Nel 313 l’editto di Costantino segna la fine delle persecuzioni (Domiziano,
Adriano) e l’ inizio per i cristiani della libertà di culto, come culto pubblico. Lo stesso Costantino fece
erigere diverse: le basiliche patriarcali di S. Giovanni in Laterano come sede del Vescovo di Roma, S.
Croce in Gerusalemme, S. Pietro, S. Paolo fuori le Mura, S. Maria Maggiore, che formavano un grande
quadrilatero. Esse sorgevano ai margini della città compatta o lungo le consolari (S. Paolo) che ospitavano
aree sepolcrali.
Nel 476 la caduta dell’ Impero d’Occidente vede la deposizione dell’ultimo imperatore, ma già prima
i Goti avevano compiuto una feroce incursione a Roma nel 410; nel 455 furono i Vandali. Terme e spettacoli
pubblici avevano già cessato di funzionare. Acquedotti, strade, fognature monumenti registravano assenza
di manutenzione, erano usati come discariche o cave di materiale di spoglio.
Roma è ancora una città popolosa, conta infatti ancora 3-500.000 abitanti. Più tardi la popolazione si ridurrà
a 50.000 abitanti o ancora meno. Nel V e VI sec. restano attive alcune magistrature, il praefectus urbi e il
senato, ma la perdita del controllo militare e fiscale sull’Impero aveva ridotto l’area di approvvigionamento
della città. Grandi sono le turbolenze vissute tra il V-VI sec; emerge la difficoltà di trovare una nuova
autorità di riferimento e di difesa: è il tempo del vescovo di Roma, il tempo di Gregorio Magno (590-604).
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L’avvento di Giustiniano sul trono di Bisanzio (528-65, impero d’Oriente) segna l’arrivo dei
bizantini a Roma. Erano funzionari dell’imperatore di Bisanzio per l’amministrazione, e una guarnigione
militare. L’antico palazzo imperiale sul Palatino restava la sede del governo. Mentre si rompe l’unità
politica della penisola italiana, Roma diventa parte dell’ Esarcato di Ravenna (VI-VIII sec.).
Dopo il Concilio di Calcedonia (451) si erano formate nell’Impero d’Oriente alcune chiese locali o nazionali
(armena, siriaca, etiopica, copta) di orientamento monofisita ed iconoclasta (divieto di rappresentazione
iconografica della divinità). Per sfuggire alle persecuzioni scatenati dagli iconoclasti in Oriente si forma a
Roma una colonia (schola graeca, ovvero comunità che parlava la lingua greca di Bisanzio). Quanti erano
rimasti fedeli al Papa di Roma vennero sulle sponde del Tevere, crearono centri di cultura greco-bizantina,
laboratori di produzione di codici sacri e testi patristici, ma assunsero anche funzioni si assistenza caritativa
come avveniva in Oriente, un vero innesto culturale nel mondo religioso, mentre l’impero bizantino non
riesce più ad assicurare forme di controllo giuridico e militare a Roma. Notare l’impronta greca di tutto il
tessuto urbanistico dell’area. L’argine presso il Tevere era chiamato ripa graeca, quello opposto, cioè a
Trastevere, era detto la ripa romea (romei, pellegrini che andavano a S. Pietro). La via laterale a S.Maria in
Cosmedin ancora oggi si chiama Via della Greca. Il termine Kosmidion in greco vuol dire ornamento (da
cui cosmesi). Le chiese intorno (S. Giorgio, S. Teodoro) sono intitolate a santi orientali.
Al tempo di Papa Gregorio Magno (fine del VI sec.) la popolazione si era venuta concentrando
nell’area di Trastevere ma soprattutto nell’ansa del Tevere, tra Campidoglio e via Arenula, dove l’acqua
era più facilmente attingibile mediante pozzi o con prelievo diretto dal fiume. Gli acquedotti che
approvvigionavano l’area alta dei colli - molti entravano in città da Porta Maggiore - erano ormai fuori uso.
Ma c’era anche il problema di assicurare gli approvvigionamenti. E la Chiesa amministrava e
controllava terre e possedimenti, eredità e lasciti governati dall’autorità pontificia nell’Italia centrale. I
raccolti erano dunque ammassati negli horrea ecclesiae, granai papali, talora si acquistava altro grano e
veniva distribuito ai poveri. Nel V sec. tale distribuzione dei viveri avveniva direttamente nella residenza
pontificia del Laterano. Grano, vino, formaggi, verdure, lardo, carne, olio, pesce venivano distribuiti il 1° di
ogni mese. Venivano allestite cucine mobili per assicurare pasti caldi a infermi e poveri. Ma il Laterano era
lontano ed eccentrico rispetto alla popolazione (ansa del Tevere). Vennero dunque istituite altre diaconie più
prossime all’abitato. Esse distribuivano viveri, erano provviste di bagni visto che le terme non
funzionavano più; gestivano ospizi per i pellegrini che venivano in visita alla tomba di S. Pietro. Queste
istituzioni di carità erano finanziate con lasciti ereditari e con i proventi delle le terre della Chiesa. Avevano
un oratorio, ma non erano esattamente luoghi di culto in cui si celebrassero liturgie sacre. Spesso avevano
sede in edifici adibiti fin dall’età romana all’ immagazzinamento e distribuzione delle derrate. Molte di esse
si collocarono nella antica zona del porto accessibile per il vettovagliamento delle derrate. E il Velabro
sorgeva ai margini del popoloso quartiere che si stava formando a nord e era in contatto con Trastevere
attraverso i ponti. S. Maria in Cosmedin diviene dunque, come S. Giorgio al Velabro, una delle numerose
diaconie della zona. La struttura occupava i locali della antica Statio annonae, sovrintendenza dei
rifornimenti di viveri della città antica; era sede del prefetto dell’annona. Oggi è una chiesa cristiana di rito
greco.
La chiesa cristiana era orientata a 90° rispetto ai locali dell’annona pagana che sono conservati nelle sue fondamenta
(linea scura)
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Altre diaconie nei pressi erano quella dei santi Sergio e Bacco e S. Angelo in Pescheria, detta in foro
piscium essendo istituita nel 755 presso il mercato ittico del pesce.
L’attività assistenziale veniva svolta anche dalle xenodochiae, ostelli mantenuti e finanziati dal papa
direttamente, che si dedicavano anche alla cura delle malattie. Sorgevano in aree di grande afflusso, presso
basilica vaticana, San Paolo, san Lorenzo fuori le mura; talora anche in case private. Per i poveri
funzionavano anche i portici delle chiese o gli atri, a volte attrezzati con fontane e latrine. Per i pellegrini
che volevano restare a lungo nella città del papa vennero istituite dalla fine del VII sec. le scholae
peregrinorum, destinate alle diverse nazionalità: schola saxonum (Inghilterra meridionale) da cui l’ospedale
di S. Spirito in Sassia. Il burgus vaticanus viene in tal modo consolidando il suo tessuto urbanistico. Dopo il
saccheggio subito dalla basilica di S Pietro (ma anche quella di S. Paolo) da parte dei Saraceni che avevano
risalito le acque del Tevere, l’ager vaticanus si trasforma in cittadella fortificata (papa Leone IV,847-855)
col nome di Civitas leonina, e la mole adriana, l’antica tomba che l’imperatore Adriano aveva fatto erigere
per le sue spoglie viene fortificata diventa Castel S. Angelo. Il ponte dell’Angelo resta per secoli l’unico
ponte che collega le due sponde della città a monte dell’Isola Tiberina.
La città medievale
Il periodo tra il VI sec. e il 1377, anno del ritorno di papa Gregorio XI da Avignone segna una
lunga stagione di regressione demografica ed economica, sia pur con una alternanza al suo interno di crisi
e riprese. Pare che nel 1377 la città contasse appena 17.000 ab. Si assiste insomma ad un radicale
scompaginamento della vita urbana. Il degrado demografico e le esigenze della sussistenza determinarono
probabilmente il sorgere di orti e campi nelle aree interne alla città e rimaste spopolate. E’ una ripresa
dell’agricoltura di sussistenza. In alcuni periodi si costruisce ancora, ma senza la antica monumentalità.
Semmai si riutilizzano i marmi e le decorazioni prelevate dall’area del Foro romano
Nel X e XI sec. si assiste ad una fase di ripresa demografica e urbanistica. Sono i grandi proprietari fondiari,
monasteri e baroni che organizzano delle lottizzazioni. Concedono delle terrae vacantes ad domos
faciendas. Il concessionario riceve la particella edificabile; entro l’anno innalzava la casa e iniziava a
versare un canone modesto per un tempo da 19 anni a tre generazioni. Poi la particella tornava al monastero
con valore aggiunto. Oppure era concessa praticamente in uso perpetuo. Dove si costruisce? Per lo più nella
piana di Campo Marzio, ma a volte sorgono anche piccoli nuclei dispersi nella parte alta della città, sui colli
Ma il fiume resta centrale, per l’acqua, per il trasporto merci. Il vecchio porto romano di Testaccio è ormai
andato in declino, anche per le difficoltà della navigazione marittima. Aumenta invece il flusso dei
pellegrini sulla Ripa Romea, sulla sponda opposta e un poco più a monte, ma sempre a valle dell’Isola
Tiberina. Presso la Porta Portuensis (oggi Porta Portese) sorge dunque un nuovo scalo, quello di Ripa
Grande che resterà funzionante per secoli fino a quando, dopo la proclamazione di Roma Capitale (1870 si
deciderà di costruire a valle e fuori delle mura aureliane il porto industriale della città, ad Ostiense.
Ma già nel 955 viene menzionato un portus maius vicino alla schola saxonum , sugli argini della città
Leonina, dove barche a fondo piatto, le sandalae scaricavano le merci dell’alto Lazio. Lì sorgono nuove
case. Il grano sbarcato veniva macinato sui mulini galleggianti.
La Roma dei baroni è ormai una città turrita. Dal VII al XIV secolo la città è militarizzata. L’ insediamento
si sviluppa a cellule staccate, con case intorno a piazzette quasi chiuse dotate di magazzini, forno, bagni.
Infatti ogni famiglia o gruppo parentale organizza un suo sistema difensivo locale attorno alla casa-torre,
simbolo della coesione del gruppo: le torri delle Milizie , dei Conti, dei Crescenzi, ecc. I gruppi parentali
creano insediamenti confinanti, comunicanti tra loro con poggioli, scale esterne, passetti o sovrappassi,
logge, porticati, gallerie, mignani o mignanelli. Strutture che permettevano di sbarrare le strade e fortificare
gli accessi. Ne derivano vicoli sinuosi e irregolari, ben diversi dalla planimetria della Roma classica.
Più volte l’emergere di una autorità centrale (Cola di Rienzo) impone lo smantellamento delle torri e dei
signa sulle case che indicavano l’estensione del patrimonio immobiliare baronale sulle vicinanze.
Manca una pianificazione, a volte le strade sono costituite su terreni acquisiti per dare accesso a un
palazzo o ad una chiesa. Per una pianificazione bisogna aspettare papa MARTINO V COLONNA ( 1417-31)
che avocò a sé la cura di vie piazze luoghi pubblici e privati , edifici in muratura e in legno (Bolla Estsi in
cunctarum, 1425). Ma a questo punto siamo in periodo di Umanesimo, ed è un’altra storia…
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