ADL - T.Vettor - Scuola di Giurisprudenza

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Ordinati da Mattia Persiani e Franco Carinci
3.La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione: una riflessione
venticinque anni dopo. Atti dell’incontro di studio, Roma 28 gennaio 1999 (1999).
4.Parlamento e concertazione. Atti dell’incontro di studio, Roma 18
febbraio 1999 (1999).
5.Problemi della sicurezza nei luoghi di lavoro. Ricerche, giurisprudenza, e prospettive di riforma. AA.VV. (2003).
6.
Previdenza complementare: esperienze e prospettive. Giancarlo
Falcucci (2004).
7.Diritto del lavoro e riforme universitarie. Stati giuridici, carriere
dei docenti ed ordinamenti didattici. AA.VV. (2007).
8.Lavoro autonomo e riforma delle professioni. A cura di Sandro
Mainardi e Andrea Carinci (2008).
9. Tecnica e politica delle citazioni. AA.VV. (2009).
10.Percorsi di ricerca e di carriera: i convegni, i concorsi e le conferme. AA.VV. (2011).
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11.E tu lavorerai come apprendista (L’apprendistato da contratto
“speciale” a contratto “quasi unico”). Franco Carinci (2012).
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2.Nuove forme di retribuzione e attualità dei principi costituzionali. Atti dell’incontro di studio, Roma 3 febbraio 1997 (1998).
ARGOMENTI DI DIRITTO DEL LAVORO
1.Rappresentanze e contributi sindacali dopo i referendum. A cura di Arturo Maresca, Giuseppe Santoro Passarelli e Lorenzo Zoppoli (1996).
Pubblicazione bimestrale - Anno XVIII, n. 3 maggio-giugno 2013 - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane s.p.a. - Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. I, comma I, DCB Milano
QUADERNI DI ARGOMENTI DI DIRITTO DEL LAVORO
3 /2013
ANNO XVIII
ISSN 1126-5760
ADL
ARGOMENTI DI DIRITTO DEL LAVORO
FONDATI DA MATTIA PERSIANI
DIRETTI DA
Mattia Persiani e Franco Carinci
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Ripensando il “nuovo “ art. 18 dello Statuto dei lavoratori
Assetti contrattuali fra tradizione e innovazione
Brevi osservazioni sugli aspetti processuali della riforma
dell’art. 18 St. Lav.
Il termine nel contratto di lavoro:
riflessioni a margine della riforma Fornero
L’assicurazione obbligatoria degli infortuni
nella nuova legge professionale forense
Documentazione aziendale riservata e diritto alla difesa – Finalità antielusiva del contratto
di lavoro a progetto – Successione negli appalti e conseguenze per i lavoratori –
Potere disciplinare e diritto di critica del lavoratore – Licenziamento per giusta causa ed uso
di sostanze stupefacenti – Comunicazione alle OO.SS. di notizie aziendali e violazione
dell’art. 2105 Cod. Civ. – Esclusione e contestuale licenziamento del socio lavoratore
di cooperativa – Somministrazione e contratto a termine – Questione di legittimità
costituzionale dell’art. 19 Stat. Lav. – Congedo di maternità, di paternità e parentale
2013
12/06/13 10.14
GIURISPRUDENZA
RASSEGNA
Tiziana Vettor
Prof. ass. dell’Università di Milano-Bicocca
CONGEDO DI MATERNITÀ, DI PATERNITÀ E PARENTALE
TRA ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
E RECENTI NOVITÀ LEGISLATIVE
Sommario: 1. Quadro normativo. – 2. Congedo di maternità. – 2.1. Trattamento economico e
normativo. – 3. Congedi di paternità. – 4. Congedi parentali. – 4.1. Voucher e congedi parentali ad ore: cenni. – 5. Adozioni e affidamenti. – 6. Maternità, paternità e lavoro autonomo. – 7. Una parità imperfetta: spunti conclusivi.
1. – L’ordinamento riserva un cospicuo insieme di discipline in tema di
maternità e paternità. Le regole in proposito, già contenute nelle principali
ll. nn. 1204 del 1971, 903 del 1977 e 53 del 2000, sono ora riprodotte e
confluite nel d.lgs. n. 151 del 2001 (« Testo unico delle disposizioni legislative
in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità », d’ora in poi
t.u.) e successive modifiche.
Gli elementi essenziali della disciplina del 2001, con la quale il Governo ha provveduto a un’opera di riordino e riorganizzazione della previgente normativa dando atto al contempo delle innovazioni e abrogazioni già
intervenute, consistono nel riconoscimento di un’astensione dal lavoro a
favore della madre (Capo III t.u.), denominata congedo di maternità (art.
2, comma 1, lett. a, t.u.), nonché del padre (Capo IV t.u.), definita congedo
di paternità (art. 2, comma 1, lett. b, t.u.), e di una successiva astensione a
titolo di congedo parentale (art. 2, comma 1, lett. c, t.u.), riconosciuto a entrambi i genitori (Capo V t.u.).
Utili riferimenti normativi nella materia in oggetto sono inoltre quelli
contenuti nelle recenti ll. nn. 92 e 228 del 2012 (1). In particolare, con la
legge ‘Fornero’, prima, e con quella di stabilità, poi, sono state introdotte
(1) Trattasi, rispettivamente, della legge recante “Disposizioni in materia di riforma del
mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, in Gazz. Uff. del 23 luglio 2012, Suppl. Ordinarion. 170 (c.d. legge Fornero) e della legge recante “Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, in Gazz. Uff. del 29 dicembre 2012, Suppl. Ordinario n. 212 (legge di stabilità 2013).
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alcune importanti novità per quanto concerne il congedo di paternità, parentale e di maternità.
Come si osserverà meglio nel prosieguo, sotto il primo profilo, è infatti
ora previsto che il lavoratore padre, in aggiunta a quanto disposto dal t.u.,
possa fruire sia di un congedo obbligatorio della durata di un giorno entro
i cinque mesi dalla nascita del figlio, sia della possibilità, entro il medesimo
arco temporale e previo accordo con la madre, di due ulteriori giorni di
astensione (v. oltre, § 3). Per quanto concerne la materia dei congedi parentali, le modifiche più salienti sono invece quelle che riguardano, da un
lato, la possibilità, operante nei confronti della sola lavoratrice madre, di
beneficiare, al termine del periodo di congedo di maternità, in alternativa
alla fruizione del congedo parentale, della corresponsione di voucher per
l’acquisto di servizi di baby sitting, ovvero per far fronte ai costi dei servizi
pubblici privati accreditati per l’infanzia, dall’altro, le modalità di fruizione,
per entrambi i genitori, del medesimo congedo (v. oltre § 4.1.). Infine, rispetto al congedo di maternità le innovazioni di maggior rilievo attengono
all’ampliamento dei soggetti titolari dello stesso congedo nell’ambito del
lavoro autonomo (v. oltre § 6).
2. – Dopo avere brevemente inquadrato la disciplina contenuta nel t.u.,
l’esame della normativa ivi prevista richiede che si muova anzitutto dal
congedo di maternità, ossia dal divieto per la lavoratrice di svolgere qualsiasi attività di lavoro.
A questo proposito, l’art. 16 t.u. conferma l’astensione prevista dall’art.
4 della l. n. 1204 del 1971 per la madre nei due mesi precedenti e nei tre
mesi tre successivi al parto (c.d. astensione obbligatoria ante e post partum)
(comma 1, lett. a e c), aggiungendo però, a seguito della l. n. 53 del 2000,
un elemento di flessibilità: la madre può infatti posticipare l’astensione dal
lavoro, iniziandola un mese prima della data presunta del parto e facendola
continuare sino a tutto il quarto mese successivo (art. 20, t.u.) (2).
In forza dello stesso t.u. sono, inoltre, previsti meccanismi di salvaguardia in relazione alle ipotesi di parto ritardato o prematuro, nonché l’estensione del congedo di maternità precedente il parto in particolari situazioni
che la rendano necessaria a tutela della gestante e del nascituro.
In particolare, ove il parto avvenga oltre la data presunta, l’interdizione
al lavoro opera per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto (art. 16, comma 1, lett. b, t.u.). Qualora, invece, il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, il t.u. stabilisce che gli
(2) Conforme Cass. 30 aprile 2013, n. 10180, in Guida Lav., 2013, n. 22, pag. 21, con il
commento di R. Schiavone, Maternità flessibile: congedo pieno anche con certificazione in ritardo.
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ulteriori giorni non goduti prima del parto (fermo restando che, anche in
tale caso, non può essere superato il limite massimo di cinque mesi di
astensione obbligatoria) (3), devono essere aggiunti al periodo di congedo
dopo il parto (art. 16, comma 1, lett. d, t.u.).
Quest’ultima ipotesi, assente nella l. n. 1204 del 1971, costituisce la ricezione delle indicazioni provenienti dalla Corte costituzionale, la quale
aveva dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 4, comma 1, lett. c) della
legge del ’71, nella parte in cui non prevedeva che in caso di parto prematuro l’astensione decorresse in modo tale da assicurare un’adeguata tutela
della madre e del bambino (4).
Peraltro, e sempre a seguito di un pronunciamento della Consulta, con
il quale è stata accertata l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1,
lett. c), t.u., in caso di parto prematuro e successivo ricovero del neonato in
una struttura sanitaria la madre lavoratrice può usufruire, a sua richiesta e
compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo di maternità che le spetta, o di parte di esso, a
far tempo dall’ingresso del bambino nella sua casa familiare (5).
Come anticipato, la normativa in esame, ex art. 17 t.u., prevede altresì,
in continuità con la l. n. 1204 del 1971, l’estensione del divieto di adibizione al lavoro precedente il parto in particolari situazioni, rese necessarie a
tutela della salute della lavoratrice gestante e del nascituro (comma 1).
Trattasi di un’ipotesi che, secondo una pronuncia giurisprudenziale, deve
essere definita, non diversamente dal divieto di cui all’art. 16 t.u., di
« astensione obbligatoria » (6).
L’interdizione anticipata al lavoro, che deve essere disposta dalle Direzioni territoriali del lavoro sulla base di accertamento medico avvalendosi
dei competenti organi del Servizio Sanitario Nazionale (7), è prevista, per
uno o più periodi, per i seguenti motivi: « a) nel caso di gravi complicanze
(3) Cfr. App. Firenze, Sez. Lav., 22 settembre 2011, in www.tosclavgiur.it.
(4) Cfr. Corte cost. 30 giugno 1999, n. 270, in Giur. It., 2000, pag. 246; Cass. 7 febbraio
2008, n. 2886, in Guida Dir., 2008, n. 17, pag. 65.
(5) Cfr. Corte cost. 4 aprile 2011, n. 116, in Guida Lav., 2011, n. 17, pag. 23, con il commento di D. Gottardi, Congedo di maternità per parto prematuro: la Consulta trova una soluzione; msg. Inps 11 aprile 2011, n. 14448.
(6) Cfr. Trib. Forlì 2 dicembre 2011, n. 341, in Guida Lav., 2012, n. 23, pag. 30, con il
commento di D. Zavelloni, C. Pozzobon, Nozione di astensione obbligatoria e trattamento economico.
(7) Cfr. art. 17 t.u., come modificato, dapprima, dall’art. 2 del d.lgs. 23 aprile 2003, n.
115 del 2003 e, successivamente, dall’art. 15, comma 1, lett. a), del d.l. 9 febbraio 2012, n. 5,
conv. con l. 4 aprile 2012, n. 35. Per un commento cfr. R. Schiavone, Gravidanza a rischio:
competenza alle Asl sull’interdizione anticipata, in Guida Lav., 2012, n. 9, pag. XII segg. Cfr. inoltre circ. Min. lavoro 29 marzo 2012, prot. n. 7247; msg. Inps 27 aprile 2012, n. 7250; nota
Min. lavoro 24 aprile 2013, n. 7553.
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della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano
essere aggravate dallo stato di gravidanza; b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del
bambino; c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12 » (art. 17, comma 2,
t.u.).
A tale proposito, si ricorda che il t.u., in caso di adibizione ad altre
mansioni, in ipotesi anche inferiori, derivante dal divieto a svolgere specifiche attività potenzialmente lesive per la salute della gestante e, poi, della
madre, stabilisce che la lavoratrice conservi il mantenimento del trattamento retributivo acquisito in precedenza (art. 7, comma 3 e 5, art. 12, comma
2). Sul punto è intervenuta una sentenza della Corte di Giustizia, secondo
la quale la lavoratrice, il cui stipendio è composto dalla paga base e da una
serie di integrazioni, assegnata a mansioni diverse non ha diritto di esigere
la conservazione dell’intera retribuzione che percepiva in precedenza ma
può invece mantenere gli elementi della retribuzione che si collegano al
suo status professionale (8).
L’inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 16 e 17 sopra richiamati è punita, ai sensi del successivo art. 18 t.u., con l’arresto sino a sei
mesi. Tale disposizione, dal contenuto non equivocabile, è stata tuttavia recentemente interpretata dal Tribunale di Ivrea nel senso che la sanzione in
caso di violazione dell’art. 16 citato non sarebbe espressamente prevista (9).
2.1. – Nei confronti della lavoratrice in congedo di maternità è riconosciuta la corresponsione di un’indennità giornaliera di carattere previdenziale pari all’80% della retribuzione (art. 22, comma 1, t.u.). Presupposto
per poter beneficiare del trattamento economico è che all’inizio del periodo di congedo esista un valido rapporto di lavoro (10), mentre non sono richiesti requisiti di tipo contributivo o di anzianità assicurativa (art. 25 t.u.).
L’indennità di maternità, comprensiva di ogni altra indennità spettante
(8) Cfr. Corte Giust. UE 1 luglio 2010, causa C-471/08, in Riv. It. Dir. Lav., 2011, II, pag.
202 e segg., con il commento di E. De Gregorio, Sui limiti della garanzia retributiva spettante
alla lavoratrice madre adibita ad altre mansioni per la tutela della salute e della sicurezza sua e del
bambino.
(9) Cfr. Trib. Ivrea 10 novembre 2011, n. 170, in Giur. Merito, 2012, pag. 1288 e segg.,
con il commento critico di A. Enrichens, C. Manassero, Eguaglianza, discriminazione e linguaggio giuridico: un rapporto ancora stridente.
(10) Tuttavia, si ricordi che vi sono specifiche ipotesi in presenza delle quali, in deroga
alla regola sopra enunciata, l’indennità viene ugualmente riconosciuta alla lavoratrice quale
prolungamento del trattamento economico di maternità. In proposito cfr. art. 24 t.u.
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per malattia e calcolata in base a quanto stabilito dall’art. 23 t.u. (11), è corrisposta con le modalità di cui all’art. 1 del d.l. n. 663 del 1979 (conv., con
modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33), e con gli stessi criteri
previsti per l’erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria
contro le malattie; perciò il trattamento è a carico dell’Inps, anche se di regola, grava sul datore di lavoro l’obbligo di anticiparla salvo successivo
conguaglio (art. 22, commi 1 e 2, t.u.) (12). La lavoratrice può infatti sempre richiedere il pagamento dell’indennità direttamente all’Inps; in particolare, questa potrà agire giudizialmente nei confronti dello stesso Istituto, il
quale, secondo un orientamento giurisprudenziale prevalente, rappresenta
l’unico debitore effettivo della prestazione, essendo il datore di lavoro, un
mero adiectus solutionis causa (13). Eventuali integrazioni della suddetta indennità, sino a concorrenza della normale retribuzione, in forza di previsioni dei contratti collettivi, sono invece a carico dei datori di lavoro.
La Corte costituzionale aveva dichiarato illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., l’art. 15, comma 1, della l. n. 1204 del 1971 nella parte in cui
escludeva dal diritto all’indennità in parola, per il periodo compreso tra la
fine del terzo mese dopo il parto e la fine del settimo mese dopo il parto, la
lavoratrice madre addetta a lavori pericolosi, faticosi ed insalubri che, non
potendo essere spostata ad altre mansioni, fosse stata costretta ad assentarsi dal lavoro per avviso dell’ – allora competente in materia – Ispettorato
del lavoro (14) (v. supra § 2.1). Tale principio trova ora esplicito accoglimento nell’art. 22, comma 1, t.u., ove viene infatti precisato che le « lavoratrici hanno diritto ad un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione (...) anche in attuazione degli articoli 7, comma 6, e 12, comma 2 ».
Il diritto all’indennità di maternità, per consolidata giurisprudenza, anche della Corte costituzionale pronunciatasi nel contesto dell’art. 15 della l.
n. 1204 del 1971 (15), è assoggettato, in mancanza di una previsione in
(11) Su cui cfr. Trib. Busto Arsizio 1 ottobre 2012, in Riv. Giur. Lav., II, pag. 80.
(12) Nel lavoro presso le pubbliche amministrazioni l’indennità è invece pagata direttamente da queste.
(13) Cfr. Cass. civ. 15 novembre 2002, n. 16140, in Mass. Giur. Lav., 2003, pag. 68; Cass.
15 dicembre 1997, n. 12673, in Giust. Civ. Mass., 1997, pag. 2378; Cass. 19 agosto 1996, n.
7649, in Giust. Civ. Mass., 1996, pag. 1191; Cass. 21 novembre 1991, n. 12511, in Giust. Civ.
Mass., 1991, fasc. 11; Trib. Salerno 8 maggio 2006, in Lav. Giur., 2006, pag. 824. In argomento si. v. quanto ha inoltre affermato la S. C., secondo cui il comportamento del datore di lavoro che con artifizi induca l’ente pubblico assicuratore in errore sul conguaglio delle somme di
indennità di maternità mai corrisposte integra il reato di truffa aggravata ex art. 640, comma 2,
n. 1, c.p., cfr. Cass. pen., sez. II, 8 settembre 2011, n. 16140, in Giuda Lav., 2011, n. 38, pag. 68,
con il commento di S. Imbriaci, Indennità di maternità: la falsa erogazione è truffa aggravata nei
confronti dell’Inps.
(14) Cfr. Corte cost. 19 ottobre 1988, n. 972, in Foro It, 1998, I, col. 3165.
(15) Cfr. Corte cost. 9 novembre 1988, n. 1021, in Foro It., 1989, I, col. 3002.
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senso contrario, alla prescrizione breve di un anno (16). A questo proposito, la Suprema Corte ha chiarito che il procedimento amministrativo derivante dalla presentazione di ricorso avverso il provvedimento di diniego (o
il silenzio rifiuto) dell’ente previdenziale ha effetto sospensivo del suddetto termine di prescrizione, che comunque matura di giorno in giorno, risolvendosi in un complesso di diritti a ratei giornalieri (17).
Sempre nel solco del previgente ordinamento, l’articolo in parola, conferma, poi, la computabilità dei periodi di congedo di maternità nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, ivi compresi quelli relativi alla tredicesima
e alle ferie (art. 22, comma 3, t.u.). Tale formulazione, secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia, va interpretata nella sua portata generale
idonea a comprendere ogni istituto collegato al decorrere del rapporto di
lavoro (18).
Peraltro, i periodi di congedo di maternità, a mente dello stesso articolo, sono « considerati, ai fini della progressione di carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari
requisiti » (art. 22, comma 5, t.u.). I giudici di legittimità, espressisi nella vigenza dell’art. 3, comma 2, della l. n. 903 del 1977, di contenuto analogo
alla norma appena menzionata, hanno ritenuto che i “particolari requisiti”,
in relazione ai quali la contrattazione può far venire meno la rilevanza dei
periodi di astensione obbligatoria, non comprendono la mera “effettività
della prestazione lavorativa” (19), o il “semplice decorso del tempo” (20),
giacché la norma troverebbe in sé stessa la propria negazione. Si è invece
ritenuta valida la pattuizione collettiva in deroga alla disciplina legale nel(16) Cfr. T.A.R. Potenza Basilicata 10 settembre 2010, n. 621, in Foro Amm. TAR, 2010,
pag. 2971; Cass. 5 febbraio 2001, n. 1616, in Giust. Civ. Mass., 2001, pag. 205; Cass. 2 marzo
1998, n. 2277, in Giust. Civ. Mass., pag. 480; Cass. 27 ottobre 1992, n. 11638, in Lav. Prev. Oggi, 1993, pag. 2287; Cass. 1 marzo 1993, n. 2509, in Inf. Prev., 1993, pag. 904.
(17) Cfr. Cass. 30 novembre 2012, n. 21509, in Arg. Dir. Lav., 2013, pag. 415 e segg., con
il commento di M. D. Ferrara, La prescrizione dell’indennità di maternità tra certezza della spesa
pubblica e garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale; Cass., Sez. Un., 6 aprile 2012, n.
5572, in Riv. Dir. Sic. Soc., 2012, pag. 415 con il commento di S. Catini, Sulla sospensione del
termine prescrizionale del diritto alle prestazioni previdenziali durante il procedimento amministrativo; Cass. 14 febbraio 2004, n. 2865, in Riv. It. Dir. Lav., 2004, II, con il commento di G. Carullo, La decorrenza della prescrizione dell’indennità di maternità.
(18) Cfr. D. Gottardi, La tutela della maternità e della paternità, in L. Lenti (a cura di),
Tutela civile del minore e diritto sociale di famiglia, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P.
Zatti, vol. VI, ed. II, Milano, 2012, pag. 937 e ivi il riferimento a Corte di giust. 30 aprile 1998,
causa C-136/95.
(19) Cfr. Cass. 3 aprile 1993, n. 4022, in Riv. Giur. Lav., 1994, II, pag. 496; Cass. 18 maggio 1989, n. 2377, in Giust. Civ. Mass., 1989, fasc. 5; Cass. 23 maggio 1986, n. 3485, in Foro It.,
1988, I, col. 254.
(20) Cfr. Cass. 10 agosto 1987, n. 6879, in Giust. Civ. Mass., 1987, fasc. 8-9; Cass. 17 dicembre 1985, n. 6427, in Giust. Civ. Mass., 1985, fasc. 12; Cass. 6 dicembre 1984, n. 6448, in
Giust. Civ. Mass., in 1984, fasc. 12.
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l’ipotesi in cui i contratti avessero previsto, come condizione della promozione a mansioni superiori, l’effettuazione di periodi propedeutici di prova
ed addestramento in quelle mansioni (21). In argomento, la Cassazione ha,
infine, precisato che è il datore di lavoro ad avere l’onere di dimostrare
l’esistenza di una pattuizione completa e operante ai fini dell’ipotesi derogativa alla regola generale di cui all’art. 3, comma 2, della l. n. 903 del 1977,
e non già la lavoratrice che faccia valere in giudizio l’anzianità di servizio
per la progressione nella carriera (22).
L’art. 22, al pari di quanto disponeva la l. n. 1204 del 1971, stabilisce
poi che le ferie e le altre assenze eventualmente spettanti alla lavoratrice
non possano essere godute contemporaneamente ai periodi di astensione
obbligatoria (comma 6) (23) e che, in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 423 del 1995 (24), i periodi di astensione dal lavoro della lavoratrice per gravidanza e puerperio siano computabili al fine del raggiungimento del limite minimo di sei mesi di lavoro effettivamente prestato per poter beneficiare dell’indennità di mobilità (comma
4).
Rimane ancora non nominata la questione della computabilità o meno
dell’indennità di maternità nel trattamento di fine rapporto, per la quale
manca una esplicita previsione legislativa, ma che risulta risolta almeno in
sede applicativa (25).
3. – Il diritto all’astensione spetta anche al padre, « per tutta la durata
del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice », ma solo al verificarsi di alcuni casi particolarmente gravi e tassativamente previsti, e cioè « in caso di morte o di grave infermità della madre » – fattispecie, queste, che erano già state prese in considerazione dalla
(21) Cfr. Cass. 18 maggio 1989, n. 2377, in Giust. Civ. Mass., 1989, fasc. 5; Cass. 27 gennaio 1989, n. 514, in Giust. Civ. Mass., 1989, fasc. 1; Cass. 10 agosto 1987, n. 6879, in Giust.
Civ. Mass., 1989, fasc. 8-9; in senso contrario cfr. Cass. 5 novembre 1990, n. 10576, in Riv. It.
Dir. Lav., 1991, II, pag. 580; Cass. 8 febbraio 1988, n. 1339, in Foro It., 1998, I, col. 1132.
(22) Cfr. Cass. 6 novembre 1989, n. 4629, in Orient. Giur. Lav., 1990, pag. 101; Cass. 14
maggio 1989, n. 2377, in Giust. Civ. Mass., 1989, fasc. 5; Cass. 1 febbraio 1989, n. 623, in Giur.
It., 1990, I, 1, pag. 256.
(23) Sul punto cfr. in senso analogo Corte di Giustizia 18 marzo 2004, causa C-342/01,
in Riv. It. Dir. Lav., 2004, I, pag. 703 e segg., con il commento di A. Occhino, Il congedo di maternità nella giurisprudenza della Corte di Giustizia: due variazioni sul tema.
(24) In Foro It., 1995, I, col. 2350.
(25) Cfr. D. Gottardi, La tutela della maternità e della paternità, op. cit., pag. 938 e ivi il richiamo a circ. Inps 12 marzo 2001, n. 11 e a Cass. 22 febbraio 1993, n. 2114, in Riv. Giur.
Lav., 1994, II, pag. 737, con il commento di L. Fiori, Il problema della onnicomprensività della
retribuzione ancora al vaglio della Corte di Cassazione.
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PARTE SECONDA - GIURISPRUDENZA - RASSEGNA
Corte costituzionale con la sentenza n. 1 del 19 gennaio 1987 (26) –, ovvero, a seguito della l. n. 53 del 2000, « di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre » (art. 28, comma 1, t.u.) (27).
L’estensione al padre del suddetto periodo di sospensione sulla scorta
della citata giurisprudenza costituzionale prescindeva dalla condizione che
la madre fosse titolare di un rapporto di lavoro subordinato (28). Nello
stesso senso si è orientata la successiva giurisprudenza di merito, secondo
cui il termine lavoratrice menzionato nell’art. 28, comma 1, t.u., deve intendersi come madre di guisa che la fruizione del suddetto congedo spetta al
padre lavoratore indipendentemente dalla circostanza che la madre sia o
sia stata una lavoratrice (29).
L’astensione fruita dal padre in alternativa alla madre comprende solo
il periodo post partum e non si estende alla fase, pure obbligatoria, precedente il parto (30). Di diverso avviso è, tuttavia, il Tribunale di Firenze, secondo cui qualora la madre non abbia utilizzato il congedo di maternità, la
durata del congedo è da intendersi di cinque mesi (31).
Da notare inoltre che, come chiarito dall’Inps (32), a seguito della sentenza della Consulta n. 116 del 2011 (v. supra § 2), in caso di parto prematuro con conseguente ricovero del neonato in struttura ospedaliera, anche
il lavoratore padre – nei casi già menzionati dall’art. 28 t.u. – può iniziare a
fruire del congedo di paternità dalla data di ingresso del neonato nella casa
familiare (33).
Il congedo di paternità è infine sottoposto alla medesima disciplina
economico-normativa e previdenziale applicabile al congedo di maternità
(artt. 22, 29 e 30, t.u.) (v. supra § 2.2.).
Accanto al congedo ex art. 28, t.u., occorre, poi, richiamare quanto disposto dall’art. 4, comma 24, lett. a) della l. 92 del 2012 (c.d. legge Fornero), a mente del quale, al fine di promuovere una cultura di maggiore con(26) In Dir. Fam., 1987, pag. 507.
(27) Sul punto si leggano anche: circ. Inps 6 giugno 2000, n. 109 e 2 aprile 2001, n. 82;
msg. Inps 4 aprile 2007.
(28) Cfr. A. Bollani, Astensione dal lavoro del padre, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2001, pag.
1343.
(29) Cfr. Trib. Firenze 16 novembre 2010, in Riv. Giur. Lav., 2010, II, 323, con il commento di L. Calafà, Sull’autonomia del congedo di paternità del lavoratore subordinato; Riv. Crit.
Dir. Lav., 2010, 288, con il commento di A. Ranfagni, L’« autunno caldo » del Tribunale di Firenze: due sentenze importanti sui congedi di paternità e di maternità. Nello stesso senso v. inoltre
circ. Inps, 17 agosto 2003, n. 8.
(30) Cfr. App. Firenze, Sez. Lav., 22 settembre 2011, cit.
(31) Cfr. Trib. Firenze 16 novembre 2009, cit.
(32) Cfr. msg. Inps del 11 luglio 2011, n. 14448.
(33) Cfr. R. Schiavone, Maternità e paternità dopo la riforma Fornero, in Il punto (Suppl.
a), Guida Lav., 2012, n. 10, pag. 5.
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divisione dei compiti genitoriali e favorire la conciliazione dei tempi di vita
e di lavoro, viene riconosciuto nei confronti dei lavoratori, in via sperimentale per gli anni 2013-2015, un congedo di paternità obbligatorio della durata di un giorno entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, nonché la possibilità, entro lo stesso periodo, di astenersi per un ulteriore periodo di due
giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima (34).
Più nello specifico in base a quanto disposto dal d.m.l. del 22 settembre del 2012, attuativo dell’articolo succitato della legge n. 92 del 2012: il
congedo obbligatorio di un giorno sarà fruibile dal padre in aggiunta al
congedo di maternità anche durante la fruizione da parte della lavoratrice
dello stesso congedo, e, inoltre tale giorno obbligatorio spetterà anche al
padre che utilizzerà il congedo ex art. 28 t.u.; i due giorni di congedo di paternità facoltativo potranno essere fruiti a patto che la madre rinunci ad altrettanti giorni del proprio congedo di maternità, con la conseguenza, dal
punto di vista pratico, di un’anticipazione del termine finale del congedo
post partum per un numero pari di giorni a quello dei giorni fruiti dal padre (35).
Per quanto attiene il trattamento economico e previdenziale per i giorni di astensione dal lavoro del padre (id est, sia per quello obbligatorio, sia
per gli eventuali altri due goduti in sostituzione della madre), l’art. 4, comma 24, lett. a), stabilisce un rinvio all’art. 22, comma 2, t.u., nella parte in
cui questo precisa che essi sono a carico dell’Inps e sono pari al 100% della
retribuzione, e agli art. 29 e 30 t.u. per i quali, in relazione al trattamento di
paternità non è richiesta alcuna anzianità contributiva pregressa ai fini dell’accreditamento dei contributi figurativi per il diritto alla pensione e per la
determinazione della stessa (36).
(34) Per un commento all’art. 4, comma 24, lett. a), l. n. 92 del 2012, cfr. D. Gottardi,
Maternità e paternità, in F. Carinci, M. Miscione (a cura di), Commentario alla Riforma Fornero (Legge n. 92/2012 e Legge n. 134/2012). Licenziamento e rito speciale, contratti ammortizzatori
sociali e politiche attive, in (Suppl. a) Dir. Prat. Lav., 2012, n. 33, pag. 114 e segg.; Ead, La condivisione delle responsabilità genitoriali in salsa italiana, in Lav. Dir., 2012, pag. 607 e segg.; R.
Caragnano, Le misure a sostengo della genitorialità: congedo obbligatorio di paternità e voucher, in
M. Magnani, M. Tiraboschi (a cura di), La nuova riforma del lavoro. Commentario alla legge 28
giugno 2012, n. 92 recante disposizioni in una prospettiva di crescita, Milano, 2012, pag. 325 e
segg.
(35) Cfr. art. 1, comma 2 e 3, d.m.l. citato, in Guida Lav., 2013, n. 3, pag. 17 e segg. con il
commento di R. Schiavone, Congedo per i padri e voucher per le madri: attuate le norme della riforma Fornero.; R. Caragnano, Congedo obbligatorio di paternità, i voucher baby-sitting e la
fruizione ad ore del congedo parentale, in Dir. Rel. Ind., 2013, pagg. 194-195; circ. Inps. del 14
marzo 2013, n. 40.
(36) Cfr. art. 2, d.m.l. 22 settembre 2012, cit.; R. Caragnano, Congedo obbligatorio di pa-
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PARTE SECONDA - GIURISPRUDENZA - RASSEGNA
Alla luce della medesima disposizione si afferma, infine, che, per poter
usufruire sia del giorno di congedo obbligatorio che di quelli facoltativi, il
padre lavoratore è tenuto a dare preventiva comunicazione, almeno quindici giorni prima, dei giorni prescelti per astenersi dal lavoro. In particolare, per il congedo di paternità facoltativo, poiché la fruizione è alternativa a
quella del congedo di maternità, il padre lavoratore dovrà anche allegare
alla richiesta una dichiarazione della madre di non fruizione del congedo
di maternità a lei spettante, per un numero di giorni equivalente a quello
fruito dal padre. La stessa comunicazione dovrà essere poi trasmessa anche
al datore di lavoro della madre. Il datore di lavoro, dal canto suo, dovrà comunicare all’Inps le giornate di congedo fruite dal lavoratore padre attraverso i canali telematici messi a disposizione dall’Istituto stesso (37).
4. – La protezione della lavoratrice madre e del lavoratore padre comporta la garanzia, in un’ottica paritaria, dello svolgimento della funzione
genitoriale.
Tale dimensione è stata esaltata soprattutto dalla l. n. 53 del 2000 che,
in attuazione della direttiva 96/34/CE (38), successivamente abrogata e
confluita, non priva di importanti modifiche, nella direttiva 2010/18/
UE (39), ha previsto la disciplina dei congedi parentali in sostituzione della
previgente normativa in tema di astensione facoltativa.
A questo riguardo, si ricorda che nel quadro legislativo delineato dalla
l. n. 1204 del 1971 la lavoratrice poteva godere, in aggiunta all’interdizione
obbligatoria dal lavoro di un ulteriore periodo di astensione, costituente
una mera facoltà, della durata di sei mesi (anche frazionabile) fruibile entro il primo anno di età del bambino (art. 7, l. citata e art. 8, d.p.r. n. 1026
del 1976).
Peraltro, anche il padre, nel contesto della l. n. 903 del 1977, poteva
godere della suddetta astensione, ma solo in via sussidiaria o in alternativa
alla madre, in tutti quei casi nei quali quest’ultima si fosse trovata nell’accertata impossibilità, derivante da malattia, o da altre cause impeditive, di
assistere il bambino (40). In particolare, ai sensi dell’art. 7 della legge sopra
ternità, i voucher baby-sitting e la fruizione ad ore del congedo parentale, op. cit., pagg. 195-196;
circ. Inps. del 14 marzo 2013, n. 40.
(37) Cfr. art. 3, d.m.l. 22 settembre 2012, cit.; R. Schiavone, Congedo per i padri e voucher
per le madri: attuate le norme della riforma Fornero, op. cit., pag. 16; circ. Inps. del 14 marzo
2013, n. 40.
(38) Cfr. D. Izzi, Congedi parentali: un passo avanti verso la parità lavoratori-lavoratrici, in
Dir. Prat. Lav., 1997, n. 38, 2069 e segg.
(39) Cfr. D. Gottardi, Congedi parentali: l’accordo quadro diventa direttiva, in Guida Lav.,
2010, n. 17, pag. 23 e segg.
(40) Cfr. Corte cost. 21 aprile 1994, n. 150, Giust. Civ., 1994, pag. 1165.
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727
citata, egli poteva fruirne, nel primo anno di vita del bambino, in alternativa alla madre lavoratrice qualora, i figli fossero affidati solo a lui e previa
dichiarazione di rinuncia da parte della madre. La Corte costituzionale è,
poi, intervenuta ad ampliare l’ambito di applicazione della norma in commento, prevedendo la possibilità per il padre lavoratore di fruire del diritto
all’astensione facoltativa nei casi in cui la madre fosse deceduta o gravemente inferma al punto da non poter accudire il figlio (41).
L’emanazione dell’art. 3 della l. n. 53 del 2000, ora confluito nell’art. 32
t.u., ha comportato che il diritto all’astensione facoltativa, ribattezzata
« congedo parentale » (v. supra § 1), non spetti più, come in precedenza,
principalmente alla madre e solo in via derivata al padre, ma ad entrambi i
genitori, i quali, pertanto, adesso ne beneficiano in modo paritario (42),
anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto (art. 32, comma 4,
t.u.).
L’attuale disciplina dell’istituto in commento prevede inoltre che il titolare del diritto ai congedi parentali possa scegliere quando fruirne nell’ambito dei primi anni otto di vita del bambino, per un periodo complessivo di
dieci mesi (art. 32, comma 1, t.u.) (43). In particolare, ciascun genitore, nel
rispetto di tale limite massimo, ha diritto ad un congedo parentale della
durata di sei mesi, continuativi o frazionati (art. 32, comma 1, lett. a e b,
t.u.).
Peraltro, anche il « genitore solo » – espressione con la quale si contemplano ipotesi quali la morte dell’altro genitore, l’abbandono del figlio da
parte di uno dei genitori o l’affidamento esclusivo del figlio ad un solo genitore, il non riconoscimento del figlio da parte di un genitore, la grave infermità di un genitore (44) – ha diritto al congedo parentale per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a dieci mesi (art. 32, comma 1,
lett. c, t.u.).
L’esercizio del beneficio in questione, il quale, come ha chiarito la Cor(41) Cfr. Corte cost. 19 gennaio 1987, n. 1, cit.
(42) Cfr. A. Occhino, Congedi parentali, formativi e tempi delle città. Commento all’art. 3 –
Congedi dei genitori, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2001, pag. 1227 e segg.; Cass. 16 giugno 2008,
n. 16207, in Riv. It. Dir. Lav., 2009, II, pag. 277, con il commento di L. Calafà, Congedo parentale e cura del minore. Limiti funzionali al diritto potestativo del padre; Cons. St., 13 settembre
2001, n. 4785, in Lav. Giur., 2001, 1052, con il commento di R. Nunin, Congedi parentali e tutela dei diritti del padre lavoratore: novità normative ed orientamenti della giurisprudenza.
(43) Rispetto alla durata complessiva, tuttavia, si ricordi quanto stabilito dall’art. 32,
comma 2, t.u. a mente del quale, allo scopo di incidere sulla tradizionale distribuzione dei
ruoli familiari, è stata altresì prevista l’elevazione ad undici mesi del periodo complessivo di
godimento dei congedi parentali a condizione che il padre lavoratore eserciti il proprio diritto
al congedo per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a tre mesi.
(44) Cfr. circ. Inps: 6 giugno 2000, n. 109; 29 luglio 2002, n. 139, 17 gennaio 2003, n. 8;
msg. 20 settembre 2007, n. 22911.
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PARTE SECONDA - GIURISPRUDENZA - RASSEGNA
te di Giustizia sulla base alla clausola 2.1. dell’accordo quadro contenuto
nell’allegato della direttiva 96/34/CE, non attribuisce un diritto a tanti
congedi parentali quanti sono i figli nati (45), è subordinato all’obbligo di
preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai
contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non inferiore
a quindici giorni « con l’indicazione dell’inizio e della fine del periodo di
congedo » (art. 32, comma 3, t.u.). Tale ultimo inciso, come si osserverà
meglio tra breve, costituisce il portato dell’art. 1, comma 339, lett. b) della l.
n. 228 del 2012 (aggiunto dall’art. 3, comma 1, lett. b) del d.l. 11 dicembre
2012, n. 216, non conv. in legge) (v. oltre in § 4.1.).
Ad ogni modo, secondo quanto affermato dalla S. C., pronunciatisi sulla disposizione in parola ante novella del 2012, il t.u. non ha affatto inteso
subordinare la possibilità di godimento del suddetto diritto alle necessità
dell’impresa (46). A tale proposito, la giurisprudenza di merito ha in particolare precisato che condizione del diritto al congedo parentale di cui all’art. 32 t.u. è il suo collegamento con le esigenze organizzative della famiglia, non avendo invece rilievo se i congedi siano o meno utilizzati nella
cura del bambino (47). Di diverso avviso si è, tuttavia, pronunciato sul punto il Tribunale del lavoro di Trieste, con l’ordinanza del 13 giugno 2007,
confermata, poi, in sede di reclamo, dalla successiva ordinanza del 25 luglio 2007 (48), il quale ha infatti ritenuto che l’art. 32 citato, nella parte in
cui non prevede la possibilità di subordinare la concessione dei congedi
parentali anche alle oggettive esigenze aziendali, possa essere in contrasto
con l’art. 41 Cost., nella misura in cui ‘ipertutelando’ l’interesse dei genitori
comprima in modo assoluto quello dell’impresa.
Quanto, infine, al trattamento economico e normativo, si ricorda che ai
lavoratori che fruiscono del congedo parentale è dovuta un’indennità previdenziale pari al 30% della retribuzione da corrispondersi con le modalità
di cui di cui all’art. 22, comma 2, t.u. (v. supra § 2.1.) (art. 34, comma 1 e 4,
t.u.). Peraltro, analogamente a quanto avviene per il congedo di maternità,
anche nel caso di queste astensioni la contrattazione collettiva può preve(45) Cfr. Corte giust. UE 16 settembre 2010, causa C-149/10, in Dir. Rel. Ind., 2011, pag.
553 e segg., con il commento di T. De Virgilio, Congedi parentali e figli gemelli: la Corte europea nega il diritto al doppio congedo.
(46) Cfr. Cass. civ. 16 giugno 2008, n. 16207, cit.; Cass. 25 marzo 2011, n. 7011, in Dir.
Prat. Lav., 2012, n. 1, pag. 51, con il commento di G. Farina, A. La Mendola, Congedo parentale: lavoro occasionale e licenziamento.
(47) Cfr. App. Milano 30 agosto 2004, in Giur. Cost. e Civ., I, col. 2868; Trib. Venezia 3 luglio 2001, in Lav. Giur., 2001, pag. 956 e segg., con il commento di R. Nunin, Diritti dei padri
lavoratori: primi orientamenti della giurisprudenza a tutela della fruizione dei congedi parentali.
(48) In Lav. Giur., 2007, pag. 1118 e segg., con il commento di S. Slataper, Congedi parentali e buona fede oggettiva.
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729
dere trattamenti economici più favorevoli, ma la maggiorazione è a carico
del datore di lavoro (v. supra § 2.1.).
Tale indennità, precisa inoltre l’articolo in commento, è dovuta fino al
terzo anno di vita del bambino per un periodo massimo complessivo tra i
genitori di sei mesi ed a condizione che il congedo sia goduto entro il terno anno di vita del bambino (art. 34, comma 1, t.u.); infatti, per gli ulteriori
periodi di congedo parentale spetta la stessa indennità, ma soltanto « a
condizione che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione
generale obbligatoria » (art. 34, comma 3, t.u.) (49).
4.1. – Le norme sin qui richiamate non esauriscono la disciplina in materia di congedo parentale. A queste occorre infatti aggiungere ai nostri fini
quanto disposto dalle recenti ll. n. 92 e 228 del 2012.
In particolare, con la prima di esse è stato introdotto l’art. 4, comma 24,
lett. b), che, sempre allo scopo di promuovere una maggiore condivisione
dei compiti di cura dei figli all’interno della coppia e favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, in via sperimentale per gli anni 2013-2015
(v. supra § 3), prevede la possibilità, entro specifici limiti di spesa, di concedere alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternità,
in alternativa alla fruizione del congedo parentale, ex art. 32, comma 1, lett.
a), t.u., la corresponsione di voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting,
ovvero per far fronte ai costi dei servizi pubblici privati accreditati per l’infanzia (50). In base a quanto successivamente specificato dal d.m.l. del 22
dicembre 2012, l’importo degli stessi voucher, da modularsi sui parametri
ISEE, è erogato dall’Inps. Tale scelta comporta per la madre la riduzione di
un mese del periodo di congedo parentale, a lei spettante, per ogni quota
mensile richiesta. L’importo erogabile previsto è pari a 300,00 euro mensili, per un periodo massimo di 6 mesi (51).
Quanto invece alle innovazioni introdotte dalla l. 228 del 2012, il riferimento va all’art. 1, comma 339, lett. a), b) e c) (aggiunto dall’art. 3, com(49) Per il personale contrattualizzato si ricorda che valgono le regole della contrattazione collettiva, le quali prevedono, in particolare, la retribuzione piena dei primi 30 giorni, anche se il bambino abbia superato i tre anni di età, cfr. Cass. 7 marzo 2012, n. 3606, in Lav.
Pubb. Amm., 2012, II, pag. 420.
(50) Per un commento all’art. 4, comma 24, lett. b), della l. n. 92 del 2012, cfr. D. Gottardi, Maternità e paternità, in F. Carinci, M. Miscione (a cura di), op. cit.; Ead, La condivisione
delle responsabilità genitoriali in salsa italiana, op. cit.; R. Caragnano, Le misure a sostengo della
genitorialità: congedo obbligatorio di paternità e voucher, in M. Magnani, M. Tiraboschi (a cura
di), op. cit.
(51) Cfr. R. Caragnano, Congedo obbligatorio di paternità, i voucher baby-sitting e la fruizione ad ore del congedo parentale, op. cit.
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PARTE SECONDA - GIURISPRUDENZA - RASSEGNA
ma 1, lett. a, b e c, del d.l. 11 dicembre 216 del 2012, non conv. in legge)
che, in recepimento della direttiva 2010/18/UE, stabilisce nuove modalità
di fruizione, per entrambi i genitori, del congedo parentale (52). Tale articolo, infatti, modifica non soltanto il previgente art. 32, comma 3, t.u. nei
termini già ricordati (v. supra § 4) (lett. b), ma introduce altresì nello stesso
articolo del t.u., sia il nuovo comma 4-bis (lett. c), ai sensi del quale « Durante il periodo di congedo, il lavoratore e il datore di lavoro concordano,
ove necessario, adeguate misure di ripresa dell’attività lavorativa, tenendo
conto di quanto eventualmente previsto dalla contrattazione collettiva »,
sia il nuovo comma 1-bis (lett. a), con il quale la novella del 2012 dispone
la fruizione a ore del congedo. Tuttavia, a mente della stessa disposizione, i
lavoratori non potranno immediatamente fruire di tale possibilità in quanto la norma succitata prevede un previo intervento della contrattazione
collettiva di settore che dovrà stabilire: « le modalità di fruizione del congedo parentale (...) su base oraria, nonché i criteri di calcolo della base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa » (art. 32, ex novo comma 1-bis, t.u.).
5. – Tutti i diritti analizzati fin qui sono riconosciuti, con qualche adattamento, anche in favore dei genitori adottivi e affidatari.
Rispetto al congedo di maternità o paternità, coerentemente alle indicazioni della giurisprudenza costituzionale, ma anche a quelle della Suprema Corte espresse nel previgente quadro normativo (53), il t.u. riconosce,
con gli artt. 26, 27, 31, come modificati dall’art. 2, commi 452, 453 e 454,
della l. n. 244 del 2007, alla lavoratrice o, in alternativa, al lavoratore che
abbia adottato un minore il diritto a fruire del congedo di maternità per un
periodo massimo di cinque mesi. Nel caso di affidamento di minore, il congedo può essere fruito entro cinque mesi dall’affidamento per un periodo
massimo di tre mesi.
Se si tratta di adozione nazionale, il congedo fruito spetterà per i primi
cinque mesi successivi all’effettivo ingresso del minore in famiglia, mentre
in caso di adozione internazionale, il congedo – a scelta della lavoratrice (o
del lavoratore) – potrà essere goduto (nel limite complessivo dei cinque
mesi predetti): a) prima dell’ingresso del minore in Italia, durante il perio(52) Cfr. R. Schiavone, Maternità: fruizione ad ore del congedo parentale, in Guida Lav.,
2103, n. 2, pag. VIII e segg.; Ead., Congedo parentale: possibile la fruizione ad ore, ivi, 2012, n.
50, pag. 18 e segg. Sul punto v. anche circ. Inps 28 marzo 2013, n. 48.
(53) Cfr. Corte cost. 24 marzo 1988, n. 332, in Giur. Cost., 1988, I, pag. 1385; Corte cost.
15 luglio 1991, n. 341, in Giur. It., 1991, I, 1, col. 1249, con il commento di Di Nunzio, Un altro passo verso la parità tra i sessi nel diritto del lavoro; Cass. 11 aprile 1990, n. 3073, in Foro It.,
1990, I, col. 3056; Cass. 9 giugno 1989, n. 2816, in Foro It., 1989, I, col. 2784.
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do di permanenza all’estero per l’incontro con il minore e gli adempimenti
della procedura adottiva; b) entro i cinque mesi successivi all’ingresso del
minore in Italia.
La lavoratrice (e il lavoratore) che, per il periodo di permanenza all’estero necessario per l’incontro con il minore e gli adempimenti relativi alla procedura, non richieda o richieda solo in parte il congedo di maternità, può
fruire di un congedo non retribuito, senza diritto ad indennità. A questi fini,
la durata del periodo di permanenza all’estero è certificata dall’ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione (54).
Come anticipato, e sempre in continuità con la precedente giurisprudenza costituzionale e di legittimità relativa al previgente quadro normativo, questa volta, in tema di astensione facoltativa (55), il t.u. riconosce poi,
ex artt. 36 e 37, come modificati dall’art. 2, comma 455 e 456, della l. n. 244
del 2007, il congedo parentale e la relativa indennità retributiva in caso di
adozioni e affidamenti (nazionali e internazionali).
Più esattamente, questa astensione può essere fruita, a prescindere dall’età del minore, entro un periodo di otto anni dall’ingresso del medesimo
in famiglia, e comunque non oltre il raggiungimento della maggiore età.
Nei primi tre anni dall’ingresso in famiglia del minore spetta l’indennità
per astensione facoltativa nei limiti previsti dalla legge (56).
Il quadro normativo in materia di adozioni e affidamenti è infine completato dal riferimento al d.m.l. 22 settembre 2012 che, a specificazione
dell’art. 4, comma 24, lett. a), della l. n. 92 del 2012, riconosce, da un lato,
al lavoratore padre la titolarità del nuovo congedo obbligatorio e facoltativo di paternità (57), tenuto conto del fatto che, anche in questi casi, il termine del quinto mese decorre dall’effettivo ingresso in famiglia del minore,
ovvero per le adozioni internazionali, dall’ingresso del minore in Italia (58),
dall’altro, alla lavoratrice madre le provvidenze di cui all’art. 4, comma 24,
lett. b), della ‘Fornero’ citata in sostituzione ai benefici di cui all’art. 32,
comma 1, t.u. (v. supra § 3) (59).
(54) Cfr. Inps 4 febbraio 2008, n. 16.
(55) Cfr. Corte cost. 24 marzo, 1988, n. 332, in Giust. Civ., 1988, I, pag. 1385; Corte cost.
19 gennaio 1987, cit.; Cass. 23 maggio 1990, n. 4638, in Notiz. Giur. Lav., 1990, pag. 532;
Cass. 1 febbraio 1984, n. 787, in Dir. Lav., 1984, II, 261; Trib. Milano 28 giugno 2006, n.
2068, Orient. Giur. Lav., 2006, pag. 564.
(56) Circ. Inps 4 febbraio 2008, n. 16.
(57) Cfr. art. 1, comma 5, d.m.l. 22 settembre 2012, cit.; R. Caragnano, Congedo obbligatorio di paternità, i voucher baby-sitting e la fruizione a ore del congedo parentale, op. cit., pag.
195; R. Schiavone, Congedo per i padri e voucher per le madri: attuale le norme della riforma
Fornero, op. cit., pag. 15; circ. Inps. del 14 marzo 2013, n. 40.
(58) Cfr. circ. Inps. del 14 marzo 2013, n. 40.
(59) Cfr. circ. Inps: 14 marzo 2013, n. 40; 28 marzo 2013.
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PARTE SECONDA - GIURISPRUDENZA - RASSEGNA
6. – In conclusione una specifica attenzione merita di essere riservata al
tema dei congedi di maternità, paternità e parentali nel lavoro autonomo.
Sotto questo aspetto il riferimento va alle lavoratrici autonome, artigiane
commercianti e agricole, alle libere professioniste, nonché alle lavoratrici
c.dd. parasubordinate e a progetto.
Quanto alle prime, cui vengono incluse, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale (60), le imprenditrici agricole a titolo principale, nonché,
per effetto delle modifiche apportate dalla l. n. 228 del 2012, attuativa della direttiva 200/41/UE (61), le pescatrici autonome della piccola pesca marittima e delle acque interne (62), il t.u. riconosce anzitutto un’indennità
giornaliera di maternità, indipendentemente da un’effettiva astensione dal
lavoro, per una durata complessiva di cinque mesi (63), ossia pari a due mesi antecedenti la data presunta del parto e tre mesi successivi alla data effettiva dello stesso anche in caso di parto pretermine (artt. 66 e 68
t.u.) (64).
Alle suddette lavoratrici la medesima legislazione riconosce poi l’estensione del « diritto al congedo parentale di cui all’art. 32, compresi il relativo
trattamento economico (...) e previdenziale di cui all’art. 35, limitatamente
ad un periodo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino » (art.
69, comma 1, t.u., come modificato dall’art. 6 del d.lgs. n. 115 del 2003 e
dall’art. 2 della l. n. 228 del 2012).
Infine, sia l’indennità giornaliera di maternità, sia il congedo parentale,
trovano riconoscimento anche nei confronti dei genitori adottivi e affidatari (art. 69, comma 1-bis, t.u., come modificato dall’art. 6, d.lgs. n. 115 del
2003).
Per quanto concerne le libere professioniste, in conformità al previgente quadro normativo delineato dalla l. n. 379 del 1990, l’art. 70 t.u., come
modificato dall’art. 7 del d.lgs. n. 115 del 2003, riconosce il diritto all’indennità di maternità, indipendentemente dall’astensione (65), per i due
mesi precedenti la data del parto e per i tre mesi successivi, mentre non
(60) Cfr. Corte cost. 26 luglio 2000, n. 361, in Giust. Civ., 2000, I, pag. 3076.
(61) Cfr. T. Esposito, Parità di trattamento tra uomini e donne che esercitano un’attività autonoma: la direttiva 2010/41/UE, in Dir. Rel. Ind., 2010, pag. 875 e segg.
(62) Cfr. art. 66, comma 2-bis, comma aggiunto dall’art. 1, comma 336 della l. n. 228 del
2012; R. Schiavone, Congedo parentale: possibile la fruizione ad ore, in Guida Lav., 2012, n. 50,
pag. 20.
(63) Cfr. Cass. 7 febbraio 2008, n. 2886, in Guida Dir., 2008, n. 17, pag. 65.
(64) Cfr. Corte cost. 9 maggio 2002, n. 197, in Giust. Civ., 2000, I, 3076.
(65) Cfr. Corte cost. 29 gennaio 1998, n. 3, in Riv. It. Dir. Lav., 1998, II, pag. 226, con il
commento critico di G. Pera, Indennità di maternità senza danno?; Cass. 9 settembre 2008, n.
23090, in Giust. Civ. Mass., 2008, fasc. 7, pag. 1338; Cass. 22 gennaio 1999, n. 612, in Foro It.,
1999, I, col. 469.
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consente l’estensione di questo diritto, in alternativa alle madri, ai lavoratori liberi professionisti. Peraltro, la suddetta indennità è riconosciuta, ai sensi del successivo art. 72, anche in caso di adozione e affidamento, purché il
bambino al momento dell’ingresso in famiglia non abbia superato i sei anni di vita. Anche in questo caso a beneficiare dell’indennità sarebbero, in
base al dato letterale della disposizione normativa solo le lavoratrici, e non
anche i lavoratori, senonché sulla questione ha avuto modo di intervenire
la Corte costituzionale, la quale, con la sentenza n. 385 del 2005, ha affermato che il riconoscimento alle sole lavoratrici libere professioniste della
indennità di maternità « rappresenta un vulnus sia del principio di parità di
trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e dipendenti,
sia del valore di protezione della famiglia e della tutela del minore » (66).
Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha, dunque, corretto la previsione
legislativa dichiarando illegittimi i due richiamati passaggi del t.u. nella
parte in cui essi negano al padre libero professionista di fruire, in alternativa alla madre, della predetta indennità (67).
La stessa Corte con sentenza 28 luglio 2010, n. 285 ha invece ritenuto
che l’art. 70 t.u. non leda il principio di parità di trattamento nella parte in
cui non prevede il diritto del padre biologico, libero professionista, a percepire l’indennità di maternità in luogo della madre (68).
In base all’art. 70, comma 2, t.u., come modificato dall’art. 1 della l. n.
289 del 2003, ai fini del calcolo della indennità delle libere professioniste
occorre fare riferimento « al solo reddito professionale percepito e denunciato a fini fiscali come reddito di lavoro autonomo ». Secondo la S.C. con
tale espressione il legislatore ha inteso fare riferimento all’utile derivante
dall’attività professionale, ovvero alla differenza tra i compensi percepiti e
le spese sostenute, deponendo in questo senso la inequivoca lettera della
norma che si riferisce al reddito dichiarato a fini fiscali (69). Gli stessi giudici, peraltro, hanno escluso che possano sussistere dubbi di legittimità costituzionale della norma in oggetto, la quale garantisce l’erogazione dell’indennità di maternità anche laddove la professionista non abbia percepito
nel periodo di riferimento alcun reddito fiscalmente rilevante, tenuto altre(66) Cfr. Corte cost. 14 ottobre 2005, n. 385, in Dir. Rel. Ind., 2006, pag. 1139, con il
commento di V. Forti, Il riconoscimento dell’indennità di maternità anche al padre libero professionista affidatario in preadozione di un minore.
(67) Conforme Trib. Firenze 29 maggio 2008, in Riv. Crit. Dir. Lav., 2008, pag. 1291.
(68) In Riv. It. Dir. Lav., 2010, II, pag. 12, con il commento diL. De Angelis, La Corte costituzionale esclude il diritto all’indennità di maternità per il padre libero professionista.
(69) Conforme Cass. 9 settembre 2008, n. 23090, in Fam. Dir., 2008, pag. 1163; sulla
portata innovativa e non meramente interpretativa di tale disposizione v. Cass. 17 dicembre
2007, n. 26568, in Lav. Giur., 2008, pag. 422; Cass. 28 ottobre 2010, n. 22023, in Dir. Prat.
Lav., 2011, n. 17, pag. 1054; Cass. civ., 20 gennaio 2005, n. 1102, in Lav. Giur., 2005, pag. 584.
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sì conto del fatto che tale diritto, come aveva precedentemente chiarito la
Corte costituzionale, compete indipendentemente dall’effettiva astensione
dal lavoro durante la gravidanza (70).
Infine, anche le lavoratrici parasubordinate, iscritte alla gestione separata INPS, possono fruire del trattamento economico di maternità (art. 64
t.u., e, ivi, il rinvio all’art. 59, comma 16, l. n. 449 del 1997 e al d.m. 4 aprile
2002). Il diritto al congedo (anche parentale) è stato inoltre riconosciuto
alle stesse collaboratrici a progetto, anche adottive e affidatarie, nonché ai
collaboratori, anche adottivi e affidatari (art. 64, comma 2, d.lgs. n. 276 del
2003, come modificato dalla l. n. 247 del 2007) (71).
Tuttavia, in argomento si segnala che la Corte costituzionale, con sentenza del 22 novembre 2012 n. 257, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 64, comma 2, t.u., come integrato dal d.m. 4 aprile 2002, nella
parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla gestione separata che
abbiano adottato o avuto un affidamento preadottivo un minore, prevede
l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi, anziché di cinque mesi (72).
Infine, sempre con riguardo alla categoria delle lavoratrici iscritte alla
gestione separata, la legge ‘Fornero’, da un lato, riconosce, in sostituzione
del congedo parentale, le provvidenze di cui all’art. 4, comma 24, lett. b),
ma solo “per un periodo fino a un massimo di tre mesi” (laddove per le lavoratrici dipendenti, come si è detto, tale periodo è di sei mesi, v. supra §
4.1.) (art. 7, comma 3, del d.m.l. 22 settembre 2012) (73), dall’altro, non
chiarisce se nel suddetto ambito di applicazione debbano farsi rientrare
anche le lavoratrici autonome adottive e affidatarie. Del resto, analoga situazione è quella che si riscontra per quanto concerne il nuovo congedo di
paternità, obbligatorio e facoltativo, ex lege n. 92 del 2012 (v. supra § 3). Infatti, sia l’art. 4, comma 24, lett. a) della l. n. 92 del 2012, sia il successivo
d.m.l. 22 settembre 2012 attuativo dello stesso, non offrono alcuna indica(70) Cfr. Corte cost. 29 gennaio 1998, n. 3, in Riv. It. Dir. Lav., 1998, II, pag. 226, con il
commento di G. Pera, Indennità di maternità senza danno; Cass. 28 ottobre 2010, n. 22023, in
Giust. Civ. Mass., 2010, pag. 1378; Cass. 9 settembre 2008, n. 23090, in Lav. Giur., 2009, pag.
303; Cass. 17 dicembre 207, n. 26568, in Lav. Giur., 2008, pag. 422; Cass. 13 luglio 1999, n.
7447, in Mass. Giur. It., 1999, pag. 1634; Cass. 22 gennaio 1999, n. 612, in Foro It., 1999, I, col.
469; Cass. 21 novembre 1998, n. 11817, in Giust. Civ., 1999, I, pag. 419.
(71) Su cui sia consentito rinviare a v. T. Vettor, Le collaborazioni coordinate e continuative: la stabilizzazione dei rapporti e i miglioramenti previdenziali, in Note Inform., 2007, pag. 20 e
segg.
(72) In Guida Lav., 2012, n. 7, pag. 18 con il commento di R. Schiavone, Adozione e affido: indennità di 5 mesi per le iscritte alla gestione separata. Sul punto cfr. inoltre msg Inps 30
gennaio 2013, n. 1785.
(73) Sul punto v. inoltre circ. Inps 28 marzo 2013 n. 48.
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zione quanto alla titolarità dello stesso nei confronti dei lavoratori autonomi, anche adottivi e affidatari.
7. – Alla luce di quanto detto sin qui è forse utile svolgere qualche considerazione conclusiva.
L’analisi della normativa a tutela della maternità e paternità, coerentemente allo sviluppo storico della materia (74), deve muovere anzitutto dalla
legislazione a protezione della donna lavoratrice. Sotto questo profilo a venire in considerazione è il congedo di maternità, il quale consiste nel divieto a svolgere qualsiasi attività di lavoro allo scopo di garantire la tutela della salute e della vita del nascituro e della madre (artt. 16 e 17 t.u.). Peraltro,
anche il lavoratore padre è titolare di tale astensione in via derivata, ovvero
quando la madre, al verificarsi di specifiche e tassative ipotesi, non possa
fruirne (art. 28 t.u.).
La disciplina del congedo di paternità appena richiamata esprime una
linea di sviluppo legislativo, avviata con la sentenza della Corte cost. n. 1
del 1987, volta alla parificazione del lavoratore padre rispetto alla lavoratrice madre. Tale tendenza risulta peraltro confermata, benché più sul piano
simbolico che fattuale (vista l’esiguità del periodo di astensione), dal riconoscimento del congedo di paternità, obbligatorio e facoltativo, ex novo art.
4, comma 24, lett. a) della l. n. 92 del 2012 (75).
Analoga evoluzione, e sempre su impulso della Corte costituzionale,
ma anche del legislatore europeo (con le direttiva 96/34/CE e 2010/18/
UE), è quella che, del resto, si riscontra in tema di congedi parentali. Ne offre testimonianza la totale equiparazione del lavoratore padre alla lavoratrice madre operata dall’art. ex art. 32 t.u., e successive modifiche, da leggersi in stretto collegamento con la ratio ispiratrice di queste astensioni:
garantire, in un’ottica paritaria, lo svolgimento della funzione genitoriale.
Differenze di trattamento sotto il profilo della richiamata disciplina sono semmai quelle riscontrabili in rapporto al tipo contrattuale nel quale la
prestazione di lavoro viene dedotta. Da questo punto di vista, la legislazione si caratterizza anzitutto per un’evidente disparità di trattamento tra la
madre lavoratrice dipendente e la lavoratrice autonoma, anche collaboratrice coordinata e continuativa e a progetto (76), e questo nonostante il recente intervento della Consulta con la sentenza n. 257 del 2012 teso a una
(74) Cfr. M.V. Ballestrero, La protezione concessa e l’eguaglianza negata: il lavoro femminile nella legislazione italiana, in A. Groppi (a cura di), Il lavoro delle donne. Storia delle donne in
Italia, Bari, 1998.
(75) Cfr. D. Gottardi, Maternità e paternità, op. cit., pag. 125.
(76) Cfr. D. Gottardi,La tutela della maternità e della paternità, op. cit., pag. ...
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uniformazione di diritti tra le lavoratrici dipendenti e quelle iscritte alla gestione separata che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo
un minore. Sempre per quanto concerne queste ultime, si pensi, ad esempio, a quanto stabilito dalla recente disciplina introdotta dall’art. 4, comma
24, lett. b) della l. n. 92 del 2012 ed integrata dal d.m.l. del 22 settembre
2012, la quale riconosce sì alle collaboratrici autonome la possibilità di beneficiare di voucher in sostituzione del congedo parentale per l’acquisto di
servizi di baby sitting, ovvero per far fronte ai costi dei servizi pubblici privati accreditati per l’infanzia, ma solo fino a un massimo di tre mesi, ossia
in misura dimezzata rispetto a quella spettante alle lavoratrici con contratto
di lavoro subordinato. Tale disparità, peraltro, è quella che si rintraccia anche tra il padre dipendente e quello autonomo (77), anche adottivo e/o affidatario. Sotto questo profilo a venire in considerazione è, ancora, l’art. 4,
comma 24, lett. a) della legge ‘Fornero’ che, infatti, alla luce dell’intervento
ministeriale del 2012, riconosce il congedo di paternità obbligatorio e facoltativo soltanto nei confronti dei primi.
Alla luce di quanto detto sin qui, non resta allora che formulare l’auspicio di un futuro intervento correttivo ad opera del legislatore, ma anche in
via di interpretazione giurisprudenziale, capace di dare piena attuazione al
principio di eguaglianza scolpito nell’art. 3 Cost., nonché in altri importanti
atti e documenti internazionali. E ciò a fortiori oggi alla luce delle più recenti e significative novità introdotte in via legislativa nella materia oggetto
di questo contributo.
(77) Cfr. M. Grattoni, La tutela del padre lavoratore in Italia, in L. Calafà (a cura di), Paternità e lavoro, Bologna, pag. 63 e segg.
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