anno-VIII-numero-V

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anno-VIII-numero-V
L’editoriale
B
di Claudia Sangalli
uongiorno Carducciani!
Spero
abbiate
lasciato
da parte qualche uovo
di
cioccolato,
perchè
in questo ultimo mese
potrebbe rivelarsi il vostro
più caro amico. Maggio bussa alla
porta con violenza, urla e sbatte i
piedi per attirare l’attenzione. E’ un
mese difficile, pieno di insidie che
vogliono farvi saltare i nervi: occorre
essere armati fino ai denti! So bene
cosa significa avere il serbatoio pieno
di ansia, insicurezza e confusione
totale, le giornate bombardate da
interrogazioni o verifiche che spesso
distolgono la vostra attenzione da ciò
che invece è più importante... Nel
frattempo i fiori sbocciano, il sole
si mostra in tutto il suo splendore
e i bambini riprendono a mangiare
gelati, e noi? Noi siamo reclusi in
casa e piegati sui libri, con occhiaie
come uniche compagne di viaggio. E’
la maledizione di essere studente. Ma
per sopravvivere, dobbiamo ricordare
che noi non siamo i voti che ci danno.
Quelli sono una misera consolazione del
nostro lavoro individuale, un’illusione
che a qualcuno importi qualcosa delle
ore che spendiamo per prepararci
al meglio. Dobbiamo dare il giusto
peso alla scuola, alle sue valutazioni,
ai suoi insegnamenti: impegnarsi il
necessario, sentirsi soddisfatti se
pensiamo di aver fatto un buon lavoro.
Tutto qui. Noi ci troviamo tra queste
quattro mura per noi stessi, per poter
affrontare il mondo una volta fuori
senza crollare al primo soffio di vento.
Ma ricordate di dare più importanza
alle relazioni, ai compagni di banco
che vi trovate accanto ogni santo
giorno, perchè sono le persone che
un domani potranno aiutarvi nella
vita, non un otto in greco. Dunque in
questo ultimo mese, mentre correrete
al riparo dai debiti, ambirete a una
media iperbolica, piangerete per
l’avvento della maturità, non fate
lo sgambetto a chi corre insieme a
voi per arrivare prima, ma cercate
sempre una collaborazione: vedrete,
arriverete più lontano.
all’attenzione del lettore
Qualche tempo fa, su iniziativa dei redattori di “Attenzione”, giornalino scolastico del
Sacro Cuore, è stato fatto girare in alcuni licei milanesi un questionario che raccoglieva
le opinioni degli studenti in merito alla scuola. I dati sono stati poi elaborati e discussi
durante un incontro tenutosi il 6 maggio nella Sala della Provincia di via Corridoni,
aperto a studenti, insegnanti e giornalisti. Di lì a pochi giorni il “Corriere della Sera”
ha pubblicato un articolo nel quale, raccontando dell’intero progetto, si faceva il
nome dell’Oblò sul Cortile come giornale scolastico che aveva collaborato alla sua
realizzazione. Come redazione dell’Oblò smentiamo tale notizia e ci dissociamo
dall’intero progetto, che non ci ha mai visti coinvolti come gruppo e del quale il
docente referente non era stato informato. Il malinteso potrebbe essere sorto dal
momento che alcuni di noi erano stati informati e contattati, ma poiché non abbiamo
partecipato né alla stesura e alla diffusione del questionario, né alla elaborazione
dei dati raccolti, e non eravamo presenti all’incontro del 6 maggio, ci è sembrato
scorretto che il nostro nome venisse impropriamente citato.
La redazione dell’oblò
redattori | Cleo Bissong, Bianca Carnesale, Giulio Castelli, Julia Cavana, Rebecca
Daniotti, Alice De Gennaro, Federica Del Percio, Letizia Foschi, Sofia Franchini, Alice
de Kormotzij, Martina Locatelli, Edo Mazzi, Beatrice Penzo, Francesca Petrella,
Carlo Polvara, Beatrice Sacco, Claudia Sangalli, Andrea Sarassi, Sara Sorbo, Alessia
Tesio, Alessandra Venezia
vignettisti | Leonardo Zoia, Silena Bertoncelli
copertina | Francesco Bonzanino
DIRETTRICE | Martina Brandi
Capo redattore | Chiara Conselvan
Docente referente | Giorgio Giovannetti
Collaboratori esterni | Francesca Bassini, Bianca Brinza, Filippo Lagomaggiore, Matteo
Lorenzi, Marco Recano
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L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
Pag
sommario
3-5 euroscettici
6-7 europee 2014
8
9
rom
10 orientamento
11
12
emergency
orientamento
munch: non solo urlo
13
scritte sui muri
1415
cinema
1617
cinema
audiophiles
18
19 ai dissing
20
un nuovo giocatore
black out
21
2223
storie di rorschach
2425
another dance
26 fumetti
bakeka
27
28
ostriche
tweet anatomy
29
3031
giochi
32 ciss
euroscettici
non fascisti o antieuropeisti
di Matteo Lorenzi
C
i stiamo avvicinando alle
elezioni del parlamento
europeo, la campagna
elettorale è iniziata e
finalmente s’intravedono
alternative al PUDE. Il
PUDE? Esatto, il Partito Unico dell’Euro,
che per anni, pur nascondendosi sotto
diversi colori, ha dominato la scena
politica europea. Con ogni probabilità
alla fine di questo articolo sarò
accusato di essere fascista, leghista
o, nel migliore dei casi, grillino. Mi
auguro che, almeno all’interno della
scuola dove mi sono state insegnate
le basi per avere un giudizio critico
sulla realtà, non si senta la necessità
di etichettare un’idea differente dalla
propria per non scontrarsi con i fatti.
Voglio lo stesso fare una premessa
non scontata: essere contro l’Euro,
o euroscettici, non significa essere
antieuropeisti. Non rinnego il valore
dell’Europa come è stata pensata
nel secondo dopo guerra. Inoltre,
un’eventuale uscita dall’Euro non
significherebbe uscire anche dall’UE,
a meno che l’Euro non sia davvero
l’unica base su cui poggia ormai
quest’Europa.
Negli incontri con il professor Noera
le classi quinte hanno approfondito
il tema della crisi economica
dell’Eurozona, scoprendo che la causa
della catastrofe finanziaria che stiamo
vivendo non è stato il debito pubblico (in
Spagna e in Irlanda il rapporto debito/
pil era più basso che in Germania) nè
la spesa pubblica improduttiva, ma
un eccesso di debito privato verso
l’estero. Come afferma Krugman, tale
indebitamento incontrollato da parte
degli Stati della periferia europea nei
confronti delle banche del centro ha
provocato uno squilibrio nel bilancio
dei pagamenti dei paesi del sud Europa
(periferia). Tale divario si è riversato
sui conti pubblici per via della crisi
dei subprime che ha fatto chiudere
i rubinetti alle banche del nord
(centro). Da qui lo Spread, l’austerità,
Monti, eccetera. I Paesi in crisi hanno
in comune una variazione positiva del
debito estero, soprattutto privato,
come si può notare nel primo grafico.
Tutto ciò è stato possibile perché Paesi
con caratteristiche macroeconomiche
differenti si sono uniti sotto un’unica
moneta, eccessivamente forte per
alcuni e artificialmente debole
per altri, in concomitanza con la
deregolamentazione finanziaria. In
questa analisi bisogna tenere conto
che il nostro principale competitore
nell’esportazione di beni è la
Germania. In una situazione di cambi
flessibili, cioè prima dell’Euro (ma non
durante lo SME), quando un paese G
particolarmente forte esporta molto,
la sua moneta viene richiesta dai
mercati internazionali per comprarne
le merci. In questo modo i prodotti di
G diventano più cari per il resto del
mondo. Al contrario, un paese debole
I, che si trova in un momento di
difficoltà e ha un calo di esportazioni,
troverà la sua moneta deprezzata,
perché meno richiesta sui mercati,
perciò i suoi prodotti diventeranno
più convenienti per l’estero. Con
questo meccanismo di rivalutazionesvalutazione viene riequilibrato il
divario macroeconomico tra Stati da
dopo Bretton Woods. Con l’Euro, il
naturale processo dei cambi tra gli
stati dell’Eurozona non è più possibile.
Al momento dell’ingresso nell’Euro, la
Germania si è trovata un cambio molto
deprezzato e ciò ha favorito il suo
export; l’Italia, invece, si è scontrata
con una moneta molto più forte della
vecchia Lira e ciò ha inevitabilmente
messo in crisi l’apparato produttivo
del Paese. Quelli che dicono che l’Euro
prima del 2008 stesse funzionando
bene o non guardano i dati o sono in
malafede: risalgono proprio agli anni
precedenti alla crisi i problemi che
stiamo pagando ora.
Nella teoria economica esistono
studi riguardo alle Aree Valutarie
Ottimali (in inglese OCA, Optimum
Currency Area), ovvero quelle aree
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
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Attualità
che possono permettersi di adottare
una moneta unica senza gravi danni.
Le caratteristiche principali di un’Oca
sono: grande mobilità del lavoro,
flessibilità dei salari, ridistribuzione
fiscale e convergenza dei tassi
d’inflazione. Negli Stati appartenenti
all’Eurozona, tra la lingua e la cultura
differenti, è per ora impensabile una
grande mobilità del lavoro come è
avvenuto negli USA; la flessibilità dei
salari implicherebbe che i lavoratori
degli Stati più deboli accettassero
di farsi diminuire i salari (cosa che
stanno tentando di fare i vari governi),
mentre che negli Stati più forti
venisse attuata una politica espansiva
e crescessero i salari, esattamente il
contrario di quello che è stato fatto
in Germania; la ridistribuzione fiscale
italiana che si attua da nord a sud è un
esempio, ma personalmente preferirei
che i PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia,
Grecia e Spagna) non diventassero
il Sud Europa come per noi è il Sud
Italia. Come avete notato, l’Europa è
davvero lontana dall’essere un’Area
Valutaria Ottimale e dall’avere le
condizioni per sostenere la moneta
unica, e gli eurotecnocrati lo
sapevano. In più, l’Italia ha perso in
questi anni di Euro almeno venti punti
percentuali d’inflazione rispetto alla
Germania, che, nonostante il costante
surplus nel bilancio dei pagamenti (ha
esportato molto di più di quanto ha
importato), è riuscita a mantenere
tassi d’inflazione bassi comprimendo
la domanda interna, come si può
notare nel secondo grafico. Solo in
quest’ottica si spiega la deflazione,
la disoccupazione e i tagli al welfare.
E’ evidente che uscendo dall’Euro
e svalutando il cambio nominale, si
perderebbe potere d’acquisto verso
l’estero, ma paragonando questo
svantaggio coi benefici mi sembra
chiaro da che parte penda la bilancia.
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L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
Nella letteratura economica esiste
un’altra teoria, il “ciclo di Frenkel”,
elaborata dall’economista argentino
Roberto
Frenkel,
che
spiega
perfettamente cosa è successo
nell’Eurozona sia durante lo SME
sia dopo nell’Unione Monetaria.
Nel Sistema Monetario Europeo il
cambio nominale venne fissato a una
moneta virtuale chiamata ECU, che
inizialmente permetteva all’Italia
un’oscillazione del 6%, ma la cui la
riduzione nel 1991 al 2,5% portò alla
crisi; nell’Euro, invece, il cambio
viene fissato tramite l’adozione di una
moneta unica: le due situazioni sono
pressoché analoghe dal punto di vista
di un’analisi monetaria. Lo studio
vuole che quando in un’area valutaria
non ottimale il cambio di un Paese più
debole (periferia) viene agganciato
alla moneta di un Paese forte (centro),
il sistema va in crisi: viene liberalizzata
la circolazione dei capitali, arrivano
grandi finanziamenti alla periferia
dal centro, che investe dove i tassi
sono più alti ma non c’è più il rischio
del cambio, il paese della periferia è
drogato dal debito estero e crescono
quindi Pil, occupazione e consumi; di
conseguenza aumentano l’inflazione e
il debito privato e a causa di uno shock
esterno i paesi del centro, spaventati,
chiudono i finanziamenti: quindi
arriva la crisi. Inizia così un circolo
vizioso tra calo del Pil e aumento del
debito pubblico, mentre la recessione
viene aggravata da tagli di spesa e
aumento della tasse; infine diventa
insostenibile e il paese debole si
sgancia dall’unione valutaria. Sembra
esattamente il copione di quanto
accaduto in Europa dopo il fallimento
di Lehman Brothers nel 2008.
Di recente mi sono accorto che, tra
l’ammettere i danni che ci ha recato
l’Euro e ritenere che bisogni uscirne,
c’è un abisso. Che l’Euro sia stato
anzitutto un progetto politico prima
che economico penso sia ormai sotto
gli occhi di tutti. Della sua potenziale
dannosità erano al corrente tutti,
tant’è vero che molti attuali
sostenitori dell’Euro prevedevano
già ai tempi le nefaste conseguenze
della moneta unica. Ma perché farla
allora? Quale logica vi sottostà? L’idea
era che, adottando una moneta
comune, gli stati più deboli sarebbero
stati costretti a fare le riforme per
equilibrare l’Eurozona e accelerare il
processo d’integrazione politica. La
convinzione dilagante che “gli italiani
non possono governarsi da soli” ha
giustificato la soluzione alla nostra
“inadeguatezza”: porci un “vincolo
esterno” che ci costringesse a fare
“quello che dovevamo fare”. Ecco
il paternalismo che sta alla base di
questa Unione Europea. I tecnocrati
hanno deciso dall’Alto quale fosse il
Bene Superiore per i popoli europei,
ponendo un vincolo esterno che
costringesse “a fare la cosa giusta” (ed
evidentemente non ha funzionato).
Effettivamente, se pensate alle
riforme varate sotto il governo Monti,
appena caduto (o fatto cadere?)
Berlusconi, vi accorgereste che non
sarebbero mai state approvate in una
situazione di lucidità mentale. Lascio
a voi trarre le dovute conclusioni. Fare
una moneta unica prima di creare le
condizioni per la sua sostenibilità,
di fronte a evidenze storiche che
testimoniavano i rischi di una scelta
simile, è stata un’azione molto poco
lungimirante.
Uscire dall’Euro è possibile. Sottrarci
a questo strumento di potere,
paternalista,
antidemocratico
e
vessatorio è possibile. L’ideale
sarebbe che ciò avvenisse in
maniera coordinata, ovvero che si
creasse nel parlamento europeo una
maggioranza tale da permettere
uno smantellamento coordinato. I
metodi tecnici per uscire lasciamoli
a chi di dovere. Ciò che preme di
dire in questa sede è che la maggior
parte dei cataclismi preannunciati
in televisione se uscissimo dall’Euro
sono infondati (e spesso descrivono,
come conseguenza, quella che
è proprio la situazione attuale).
Il problema dell’inflazione non
sarebbe così grande come vorrebbero
farci credere, perché inflazione e
svalutazione non coincidono, come
si può vedere nell’ultimo grafico. Nei
paesi avanzati non si è mai assistito
a iperinflazione anche a seguito di
grandi svalutazioni, senza considerare
che in un momento in cui i consumi
sono bassi per via della crisi è difficile
che i prezzi aumentino così tanto.
Inoltre, a livello di costi umani, è più
sopportabile un po’ d’inflazione che
la deflazione che ci aspetta nell’Euro.
Non è vero che andremmo sicuramente
in default perché nessuno comprerà
più i nostri titoli: “l’Italia storicamente
ha avuto meno bisogno rispetto ad
altri Paesi di ricorrere al risparmio
estero per finanziare la propria
economia; e anche se la svalutazione
venisse considerata default, le
esperienze
storiche
dimostrano
che i Paesi che riportano la propria
economia su un sentiero sostenibile
ritrovano rapidamente la fiducia dei
mercati” (“Il tramonto dell’Euro”,
Alberto Bagnai). Inoltre, recuperando
la sovranità monetaria potremmo
finanziarci a tassi d’interesse più bassi
e reintrodurre nelle banche vincoli
di portafoglio, senza considerare
che l’Italia è uno dei paesi con
saldo primario più elevato (sempre
da Bagnai). Inoltre, continuando
su questa strada, il default prima
o poi arriverà ugualmente, così
come l’uscita dalla moneta unica:
si tratta solo di limitare i danni.
Se anche venissero fatti gli Eurobond
o l’Italia, come vuole la teoria
keynesiana, andasse in deficit per far
ripartire l’economia, non verrebbe
risolto il problema di fondo: la
liquidità messa in circolo andrebbe a
squilibrare ulteriormente la bilancia
dei pagamenti, perché i prodotti
esteri rimarrebbero più competitivi
dei nostri e più comprati dagli italiani.
E’ necessario precisare che nessuno
in questa sede sostiene che uscendo
dall’Euro tutti i problemi dell’Italia
verrebbero risolti. No! Di lavoro da
fare ce n’è molto e non possiamo
sottrarci. Che spendiamo male i
soldi pubblici è un dato di fatto, così
come la corruzione che grava sulla
nostra amministrazione pubblica, il
problema legato alla produttività,
l’evasione fiscale, lo squilibrio
tra nord e sud d’Italia, l’elevata
pressione fiscale, l’assenza di una
vera politica industriale... Tutto ciò è
reale, ma non è la vera causa della
crisi. Uscire dall’Euro è condizione
necessaria, ma non sufficiente, per
risollevare il nostro Paese dal baratro
in cui sta penosamente cadendo.
Quanto affermato in questo articolo
non sono mie teorie, ma quanto appreso
avendo seguito per tutto l’anno il
dibattito sull’Euro. Di particolare
importanza è stata la lettura de
“Il tramonto dell’Euro” di Alberto
Bagnai, ma anche l’aver seguito
in streaming numerose conferenze
tenute dallo stesso Bagnai, da Claudio
Borghi e da Antonio Maria Rinaldi.
Da un iniziale scetticismo nei loro
confronti, ha vinto col tempo la forza
delle loro argomentazioni. Inoltre,
benché noi non ne siamo al corrente,
fuori dall’Eurozona, in cui è iniziato
molto recentemente a divenire reale
argomento di discussione, il dibattito
sull’Euro è attivissimo da anni (anche
in Inghilterra), e molti sono i Premi
Nobel che hanno espresso perplessità
sulla moneta unica. I paraorecchie e i
paraocchi, volutamente o no, li hanno
solo i media europei.
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
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Attualità
europee 2014
come, cosa, perchè votare?
di Martina Brandi
Cari colleghi maggiorenni,
siamo qui riuniti oggi per scambiarci due
amichevoli parole sulle elezioni europee
che si terranno da qui a pochi giorni e
che per noi rappresentano la prima vera
occasione di esercitare il nostro diritto
di voto. Non sarò certo io a dovervi
spiegare quanto questo famoso diritto
sia altrettanto prezioso ma ci terrei a
ricordare, come G. faceva sempre, che
“libertà è partecipazione”. Dunque,
tornando al diritto di voto, andare a
mettere crocette sui nomi più eufonici
non mi sembra il modo migliore di farne
uso; d’altra parte su queste elezioni
circolano informazioni così vaghe e
confuse che non è facile farsi un’idea su
chi, cosa e perché andare a votare né si
ha ben chiara la portata dell’evento. In
merito, perciò, vorrei spendere qualche
considerazione.
Tra il 22 e il 25 maggio si voterà in tutti i
28 Stati membri dell’Unione Europea per
eleggere i nuovi membri del Parlamento
Europeo (EP), 751 deputati che per i
prossimi cinque anni rappresenteranno
gli interessi di 500 milioni di cittadini
in sede europea. L’EP, infatti, è l’unica
istituzione dell’UE eletta direttamente
dai cittadini.
I seggi sono ripartiti tra i vari Stati in base
alla consistenza demografica; all’Italia
spetta così la nomina di 73 deputati.
In ogni Paese si voterà secondo la
legislazione nazionale, dal momento che
gli unici vincoli imposti dall’Unione sono
il suffragio universale diretto, gratuito
e riservato. In Italia vige un sistema
proporzionale puro a liste aperte, il che
significa che gli elettori potranno indicare
una preferenza per uno o più candidati
della lista (massimo 3), purché di sesso
diverso, pena l’annullamento della terza
preferenza. In aggiunta, in occasione
delle europee, il territorio italiano
sarà suddiviso in cinque circoscrizioni
elettorali
(Nord-Occidentale,
NordOrientale, Centro, Sud, Isole), ciascuna
delle quali eleggerà un numero di
deputati proporzionale al numero di
abitanti. In base a questo criterio alla
circoscrizione
Nord-Occidentale,
di
cui fanno parte Lombardia, Piemonte,
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L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
Liguria e Valle d’Aosta, spetta la nomina
di 21 dei 73 eurodeputati italiani.
I candidati provengono per la maggior
parte da partiti nazionali o movimenti
preesistenti (Partito Democratico, Forza
Italia, Nuovo Centrodestra, Movimento 5
Stelle, Lega Nord, Fratelli d’Italia), ma
alcuni si candidano con liste costituitesi
appositamente in vista delle europee,
quali Scelta Europea, nata dall’unione
di partiti e movimenti politici liberali tra
cui Scelta Civica, e L’altra Europa con
Tsipras. I partiti che voteranno i cittadini
di ciascuno Stato, dunque, a parte
eccezioni, non sono partiti europei, bensì
partiti nazionali che hanno adottato nei
confronti dell’Europa una determinata
posizione politica, posizione che, portata
in Parlamento, influirà sulle strategie
politiche dell’Unione. Sarà nel giorno
delle elezioni europee che gli elettori
decideranno, attraverso il voto, i rapporti
di forza tra le varie parti politiche.
Nel Parlamento Europeo converge dunque
una vasta gamma di opinioni e nazionalità.
Per convogliare tale varietà in un sistema
funzionale, l’EP è organizzato in gruppi
politici transnazionali, composti cioè
da membri provenienti da paesi diversi
ma con convinzioni politiche simili. In
base alle regole del Parlamento, infatti,
i deputati legati da una stessa “affinità
politica” possono organizzarsi in un
gruppo politico, purché esso comprenda
un minimo di 25 membri provenienti
da almeno un quarto degli Stati
rappresentati (dunque 7). Cooperare
con colleghi di altri paesi, che in linea
di massima condividono le opinioni
politiche, è infatti il modo più efficace per
i deputati per raggiungere i loro obiettivi
a livello europeo. È presente anche una
minoranza di “non iscritti”, alla quale
appartengono tutti coloro che non
vogliono o non possono aderire ad alcun
gruppo. I deputati italiani provenienti
dalle diverse forze politiche nazionali,
dunque, una volta eletti si inseriranno
nel gruppo politico all’interno dell’EP
che maggiormente rispecchia la linea
politica del loro partito di provenienza,
o, nel caso dei candidati “indipendenti”,
gli obbiettivi della propria lista. Tuttavia,
con l’emergere di nuove correnti
ideologiche nel tessuto dell’UE, non è da
escludersi la possibilità che nuovi gruppi
politici nascano o modifichino la loro
composizione.
Attualmente in seno al PE esistono sette
gruppi politici, che riassumono in sé le
principali correnti ideologiche spaziando
attraverso tutto lo spettro politico; in
essi confluiscono i rappresentanti di oltre
160 partiti nazionali. Alcuni di questi
gruppi, poi, sono affiliati a partiti politici
europei. A differenza dei gruppi politici,
i partiti europei non sono vere e proprie
istituzioni parlamentari, direttamente
coinvolte nelle manovre politiche; il loro
compito, infatti, si svolge al di fuori del
Parlamento e consiste nel formare una
coscienza politica europea tra i cittadini
dell’Unione. Essi, infatti, nascono
dall’unione di più partiti nazionali (anche
più d’uno per Paese) che, accomunati
da uno stesso orientamento politico,
si aggregano in macro-partiti per
diffondere e concretizzare una comune
idea di Europa. Ciascun partito, inoltre, è
chiamato a presentare un candidato alla
carica di presidente della Commissione,
l’esecutivo dell’UE.
Ad oggi esistono 13 partiti europei. Tra
questi, i due maggiori schieramenti
politici in campo sono indubbiamente i
partiti europeisti PPE (Partito Popolare
Europeo) e PSE (Partito del Socialismo
Europeo), il “centro-destra” e il “centrosinistra” europeo.
Per le elezioni del 2014 il PPE ha proposto
come candidato alla Commissione
Jean-Claude Juncker; l’idea portata
avanti da Juncker prevede un’Europa
unita ma non centralizzata, che sia in
grado di uscire dalla crisi economica
attraverso un programma di riforme
“talora difficili” ma necessarie, come si
è rivelata la politica di austerity portata
avanti dal 2008. In ambito lavorativo il
PPE s’impegna a creare condizioni atte
a favorire le piccole e medie imprese
e vede nella mobilità del lavoratore
attraverso i Paesi dell’Unione un diritto
assoluto, da cui trarrebbero profitto le
persone quanto le aziende. Considera
l’Euro una moneta affidabile, che
garantisce stabilità e rende competitivi
a livello internazionale. Valuta inoltre
le liste italiane
possibile un eventuale ampliamento
dell’Unione, purché questo della tenga
conto della sua capacità di integrazione,
e ambisce a una maggior cooperazione
tra i paesi dell’UE in materia di gestione
dei confini per dimostrare solidarietà a
quei paesi coinvolti in prima linea nel
fenomeno dei flussi migratori. In Italia
fanno riferimento al PPE i partiti nati
dalla scissione del PdL: Forza Italia
(Berlusconi) e Nuovo Centro Destra
(Alfano).
Il PSE, invece, appoggia la candidatura
di Martin Schulz e con lui un programma
per l’Europa incentrato maggiormente
sul lavoro: di primaria importanza
sono
l’occupazione,
specialmente
giovanile, i diritti dei lavoratori e delle
organizzazioni sindacali, un salario
minimo stabilito per legge in tutta
Europa e la tutela dei diritti umani e degli
standard ambientali sul lavoro. Ritiene
inoltre che la realizzazione dell’Unione
economica e monetaria sia ancora da
completare attraverso l’attuazione di
un reale coordinamento delle politiche
economiche e fiscali della zona euro
e un’ulteriore regolamentazione del
settore bancario. Appoggia un’Europa
che sostenga una ridistribuzione equa
ed efficace della ricchezza e delle
opportunità tra gli Stati membri, più
democratica nelle strategie politiche e
attenta alle problematiche ambientali,
alfiere
nel
mondo
dei
principi
fondamentali di pace e rispetto per i
diritti umani: un’Europa che agisca da
attore globale. In Italia al PSE è associato
il Partito Democratico.
Altra storia è quella dell’EAF (Alleanza
Europea per la Libertà), l’europartito
di estrema destra. Fino ad oggi poco
rilevante all’interno del panorama
politico europeo, potrebbe quest’anno
ottenere una forte vittoria elettorale a
seguito del recente affermarsi di forze
nazionaliste in diversi Paesi dell’UE. Se
ciò dovesse accadere, nascerebbe in
Parlamento un nuovo gruppo politico
anti-europeista e anti-euro, che si
batterebbe per porre fine ai prestiti agli
Stati in difficoltà, i quali dovrebbero
essere liberi di uscire dalla moneta
unica, reintrodurre i dazi doganali, far
sì che solo gli Stati si occupino di come
gestire i flussi migratori, senza alcuna
intromissione da parte dell’UE, e infine
riconfigurare il peso dei singoli Stati
nelle politiche europee. Attualmente,
l’EAF è composto dai partiti euroscettici
“più temuti” in Europa: Lega Nord in
Italia, Front National in Francia, United
Kingdom Independence in Gran Bretagna,
Partito per la Libertà in Olanda, Alba
Dorata in Grecia. Marine Le Pen avrebbe
dovuto essere il candidato dell’EAF, ma
la candidatura è stata ritirata per non
dare l’idea che l’estrema destra legittimi
un’istituzione che invece contesta alle
radici. Anche il partito italiano Fratelli
d’Italia (guidato da Meloni, Crosetto,
La Russa) ha da poco gettato le basi per
un’alleanza con la Le Pen, candidandosi
alle europee con un programma che
appoggia innanzitutto un’Europa dei
popoli e propone altresì l’uscita dall’euro
e la revisione del Trattato di Lisbona.
Un caso particolare è poi quello della
lista italiana L’Altra Europa con Tzipras,
formatasi in vista delle Europee del 2014
per appoggiare la candidatura di Alexis
Tsipras, leader del partito greco Syriza.
L’idea è stata lanciata il 17 gennaio
dagli intellettuali Andrea Camilleri,
Paolo Flores d’Arcais, Luciano Gallino,
Marco Revelli, Barbara Spinelli e Guido
Viale, tramite un appello pubblicato su
“il manifesto”. L’appello è stato accolto
da diversi partiti, tra cui SEL, PRC,
Azione Civile di Antonio Ingroia, e altre
organizzazioni della sinistra radicale,
che hanno approvato la proposta
decidendo di costituire una lista unitaria
per le elezioni europee. La lista Tsipras
chiede la fine immediata delle politiche
di austerità imposte dall’UE agli Stati
membri, che hanno diviso non solo
gli Stati ma anche i popoli. Altri punti
fondamentali del programma della lista
sono: la contrarietà alla costruzione della
TAV in Val di Susa, il potenziamento del
budget destinato all’educazione e alla
ricerca scientifica, la tassazione delle
transazioni finanziarie, la promozione
dell’agricoltura biologica e la tutela della
biodiversità, il potenziamento dei poteri
del Parlamento Europeo. Tra i nomi noti
dei candidati italiani ci sono Giuliana
Sgrena, Moni Ovadia, Curzio Maltese,
Barbara Spinelli ed Ermanno Rea.
Un’altra lista costituitasi appositamente
in vista delle Europee è Scelta Europea,
che riunisce al suo interno i movimenti
liberali e liberal-democratici italiani tra
cui Scelta Civica. Fortemente europeista,
essa appoggia Guy Verhofstadt, candidato
a presidente della Commissione per
ALDE (Alleanza dei Democratici e dei
Liberali per l’Europa) per un Europa di
stampo federale, sempre più forte e
meno frammentata, autorevole sullo
scenario mondiale, basata su una vera
democrazia, attenta ai diritti e alla
sicurezza dei suoi cittadini.
Infine vi è il Movimento 5 Stelle, candidato
autonomamente senza riferimenti ad
alcun partito europeo e dal programma
non ben definito.
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
7
Attualità
italia, terra d’emergenza
Anche in Italia il diritto alla cura è spesso un diritto mancato.
di Rebecca Daniotti
“
32
La Repubblica tutela la
salute come fondamentale
diritto
dell’individuo
e
interesse della collettività,
e garantisce cure gratuite
agli indigenti”. (articolo
della
Costituzione
Italiana)
Emergency. Al sentire questa parola
si pensa subito alle zone di guerra
colpite dalla fame, dalla povertà
e dalla distruzione. E si collega
all’Italia solo perché è nata qui e
perché i suoi fondatori, Gino Strada
e la moglie Teresa Sarti, sono italiani.
Invece Emergency è da collegare
all’Italia perché anche la nostra
terra è bisognosa di assistenza. È
estremamente bisognosa di assistenza.
Infatti, sebbene in Italia il diritto alle
cure sia riconosciuto dalla legge, nella
pratica migranti, stranieri e poveri
non hanno accesso alle cure a causa
della scarsa conoscenza dei propri
diritti, delle difficoltà linguistiche,
dell’incapacità di orientarsi all’interno
di un sistema sanitario complesso e a
volte per paura di essere denunciati se
irregolari.
Per assicurare in modo tempestivo
cure mediche a chi ne ha bisogno,
dal 2006 la Onlus ha distribuito in
Italia i poliambulatori, strutture nelle
quali vengono somministrate cure
gratuite a tutti coloro che ne hanno
bisogno. In questi centri, a eccezione
di alcune figure che garantiscono
la continuità e l’organizzazione del
8
L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
servizio, il personale opera a titolo
gratuito; inoltre sono sempre presenti
mediatori culturali. Poiché lo spirito
del Poliambulatorio è di collaborazione
e integrazione con il Sistema sanitario
nazionale, al suo interno viene anche
svolto un servizio di orientamento dei
pazienti verso le strutture pubbliche,
quando necessario.
È dal 2006 quindi che Emergency con le
sue strutture ha come obiettivo quello
di fornire cure alle persone in stato
di bisogno. Il primo poliambulatorio
nasce a Palermo, per aiutare gli
immigrati che sbarcano numerosi sulle
coste. Da sud a nord: nel 2010 nasce il
secondo centro a Marghera (Ve): due
pullman sono trasformati in ambulatori
mobili e portano assistenza sanitaria
ai migranti impegnati nell’agricoltura.
Nel 2012 l’organizzazione umanitaria
apre a Sassari uno sportello di
orientamento socio-sanitario e nel
2013 iniziano le attività di quello di
Polistena (RC).
Da un mese anche le prostitute sono
diventate una priorità di Emergency,
infatti la Onlus ha dato vita a un
progetto interamente dedicato alle
donne che si prostituiscono nel
Casertano. L’obiettivo è quello di far
conoscere le malattie sessualmente
trasmissibili e i comportamenti da
tenere per evitare situazioni a rischio.
Nella prima settimana di attività sono
state contattate 65 donne di diverse
nazionalità, tra cui una donna al
quinto mese di gravidanza che non
aveva mai effettuato un controllo.
Solo poche di loro hanno un medico di
base o si sono rivolte in passato a un
ambulatorio; la maggior parte non ha
mai avuto accesso al Servizio sanitario
nazionale, non sa che cosa sia un
consultorio, né conosce i propri diritti
in tema di salute.
Emergency ha allestito anche quattro
ambulatori mobili che prestano
servizio per determinati periodi di
tempo in aree con forte presenza di
migranti, come quelle agricole, nei
campi nomadi o nei campi profughi.
Ovviamente anche le cure erogate
da questi ambulatori sono gratuite. E
fino a oggi sono state effettuate oltre
23.000 visite. I poliambulatori mobili
hanno viaggiato soprattutto in Puglia,
dove oltre all’assistenza ai braccianti
agricoli, hanno affrontato le situazioni
di indigenza delle aree urbane e
aiutato le fasce più vulnerabili della
popolazione, uomini senza permesso
di soggiorno impiegati nell’agricoltura
e nell’edilizia e molto spesso in
condizioni di pesante sfruttamento.
A Napoli è già in programma la
creazione di un poliambulatorio
per migranti, poveri e senza fissa
dimora. Qui collaboreranno i volontari
di Emergency, che si occuperanno
della gestione con la presenza
di tre medici della Asl Napoli 1.
Fino a oggi, nelle sue strutture
in Italia Emergency ha offerto
oltre 80 mila prestazioni gratuite.
E noi?
rom: un altro punto di vista
di Alessandra Venezia
L
a domenica di Pasqua mi è
capitata una cosa strana:
dopo la consueta abbuffata
con
lasagne,
agnello,
colombe, uova di cioccolato,
zii, nonni, cugini e parenti
vari, proprio nel momento della
pennichella sul dondolo in giardino, la
mia attenzione è stata attirata da una
musica allegra e vivace, proveniente
dai campi dietro casa. Una delle poche
fortune di abitare in un paesino di
periferia, ai confini del mondo, dove
non arriva neppure la metropolitana,
è che ci sono molti spazi verdi e campi
dove giocare e andare in bicicletta.
Ebbene in questi campi, almeno tre o
quattro volte all’anno, si stanzia una
comitiva rom. È divertente avere dei
vicini occasionali, oltre a quelli soliti
che dopo un po’ diventano pure noiosi,
perché prima di tutto non ci si sente
soli e poi si scoprono un sacco di cose.
Per esempio questa della discoteca
pasquale. È fantastico vedere come
cambiano le tradizioni da popolo a
popolo. A pasqua noi abbiamo i pranzi
infiniti, loro le ballate a piedi nudi
sull’erba. Dopo lo strano pomeriggio
a base di musica gitana ho iniziato
a interessarmi alla cultura rom,
concentrandomi non sulla paura che
essi scatenano negli italiani, bensì
sulla paura per le loro vite.
I Naga (un’associazione di volontariato
laica e apartitica, costituitasi a Milano
nel 1987 allo scopo di promuovere
e difendere i diritti dei cittadini
stranieri) hanno pubblicato sulla
rivista “Epidemiologia e prevenzione”
una ricerca effettuata dal 2009 al
2011, analizzando quattordici campi
irregolari, cioè non autorizzati, a
Milano. La ricerca testimonia quanto
siano pessime e totalmente al di sotto
della media di decenza le condizioni di
vita e di socialità in questi campi. Sono
1142 i rom visitati dai Naga nel corso
di questa ricerca. Il 54% è costituito
da donne, il 45% da uomini. I fattori
di rischio per la popolazione rom sono
più alti di quelli della popolazione
italiana. Sono loro che hanno un
problema di sicurezza ed è un problema
strettamente legato alla vita. Per
esempio sono pochissimi i bambini
rom che frequentano regolarmente
la scuola, la media è di cinque anni
e sono molti gli analfabeti. Un quinto
dei ragazzi fra i sei e i quattordici anni
non è mai andato a scuola. Il problema
è
fondamentalmente
culturale,
ma interviene anche il fattore
dell’integrazione. Per quanto riguarda
il lavoro, il 16% delle persone visitate
dichiara di avere un’occupazione,
sono soprattutto uomini e svolgono
attività di muratori o operai. I dati,
sia della scolarizzazione che del
lavoro, potrebbero non essere precisi
a causa del fatto che solo una parte
della popolazione si è fatta visitare
e quindi ha rilasciato informazioni e
inoltre alcuni lavorano in nero e non
hanno dunque parlato per non dover
dichiarare di avere un lavoro non
regolare. Sicuramente l’emergenza
più grave è nell’ambito sanitario:
non esistono strutture ospedaliere
nei loro campi e quasi nessuno è
iscritto al servizio sanitario italiano e
neppure ha la tessera di assicurazione
europea. Sono dunque totalmente
scoperti da questo punto di vista.
È solo grazie al sostegno dei Naga e
di altre associazioni di volontariato
che queste persone ricevono cure e
medicine. I Naga, infatti, organizzano
delle spedizioni notturne nei campi,
con medici e mediatori culturali, così
da sottoporre la popolazione rom
almeno a visite e controlli. Le nascite
rappresentano un altro disagio: una
ragazza rom su quattro dai quattordici
anni in su ha subito almeno un’
interruzione di gravidanza, spesso è già
madre. La sposa più giovane fra quelle
visitate aveva appena tredici anni. Nei
campi mancano anche i beni primari,
come l’acqua, che è potabile solo in
cinque zone su quattordici. L’igiene è
spaventosa, in molte aree non viene
nemmeno ritirata la spazzatura e i
campi sono spesso sovraffollati.
Sono ormai due decenni che i Naga
si occupano dei rom. Dai loro studi
risulta evidente che non esiste
un’emergenza rom, come invece
vogliono farci credere alcuni politici. I
rom oggi a Milano sono circa 5000, così
com’erano 5000 vent’anni fa. In media
un rom si ferma nella stessa area per
circa sedici anni, poi si sposta. Quella
dei rom non è un’emergenza attiva,
bensì passiva. Non è la nostra vita ad
essere messa in pericolo, è la loro.
Certo i cambiamenti non possono
venire solo da noi, è forse necessaria
una rivoluzione culturale. Però, per
lo meno, noi abbiamo il dovere di
informarci e approfondire prima di
dare giudizi: sono loro in pericolo e
sono loro che hanno bisogno di aiuto.
È il momento di cambiare il nostro
punto di vista.
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
9
cronache carducciane
C
ingegneria
osa fare dopo, questo è il dilemma. Beati quelli, pochi, che sin dalla prima elementare hanno già idea di “cosa fare da
grandi” e fin da allora non hanno fatto altro che perseguire quel sogno. Per gli altri comuni mortali, invece, arrivati
solitamente a questo punto della vita, il futuro si prospetta come un grosso punto di domanda, a partire dalla scelta
dell’università. Ecco dunque che mille dubbi si affollano nella testa. Ed è proprio questi dubbi che le seguenti pagine
di orientamento tentano di risolvere, almeno parzialmente. Si succederanno, perciò, di numero in numero, le risposte che
ex carducciani hanno dato alle nostre domande, ogni volta in merito a facoltà universitarie diverse, una scientifica e una
umanistica. Purtroppo, per motivi di spazio, alcune risposte sono state tagliate; troverete tuttavia la versione integrale sulla
pagina facebook dell’Oblò, unitamente agli scritti di altri ex carducciani. Tutti loro, inoltre, hanno dato la disponibilità a
essere contattati privatamente per ulteriori chiarimenti. Buon orientamento!
le domande
1) Dopo un percorso di 5 anni
al Carducci, quali difficoltà si
riscontrano scegliendo la facoltà
di (...) dal punto di vista della
preparazione ai contenuti, del
metodo e delle ore di studio? In
cosa invece si è facilitati?
2) A cosa va incontro lo studente
che sceglie la facoltà di (...)? Che
cosa si studia, di fatto? Quali
competenze si assumono? A quali
aspettative risponde un tale
corso di studi?
3) Quanto è impegnativa questa
facoltà in termini di ore di lezione
+ ore di studio individuale?
Ci sono materie riconosciute
dalla
maggior
parte
come
particolarmente ostiche?
4)
E’
previsto
un
test
d’ammissione? Se sì, quanto lo hai
trovato difficile, quanto e come ti
sei preparato, quanto il risultato
incide sulla possibilità di essere
ammessi o meno all’università? In
generale, quali competenze sono
richieste allo studente di (...), in
cosa dev’essere portato?
5) Quale università (milanese/
italiana/estera)
frequenti?
Come hai trovato la qualità
dell’insegnamento? Quali servizi
(laboratori/stage/scambi....)
offre la tua università? Com’è
l’ambiente che si viene a creare
fra gli studenti?
6) Sei soddisfatto della scelta che
hai fatto? Perché? Consiglieresti
la tua facoltà (o il tuo corso nello
specifico)? Perché?
7) Se sei al terzo anno: quali
sbocchi concreti per il futuro
offre il tuo corso di studi? Sai già
cosa vuoi fare dopo?
10
L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
maria zanoni,
ingegneria dei materiali e delle nanotecnologie
al politecnico, i anno
1) Scegliendo la facoltà di ingegneria la difficoltà maggiore che ho riscontrato il tipo
di studio: negli ultimi anni di liceo, infatti, lo studio diventa sempre più teorico e per
prepararsi ai compiti o alle interrogazioni è necessario leggere, comprendere e ripetere
i contenuti; studiando materie scientifiche, invece, è necessario affiancare alla fase
di comprensione della teoria molto tempo dedicato allo svolgimento di esercizi che
richiedono un tipo diverso di attenzione e comprensione. I 5 anni trascorsi al Carducci
mi hanno dato una buona capacità di concentrazione e un buon metodo che mi ha
permesso di adattarmi presto alle nuove esigenze dello studio. Anche le ore di lavoro
non sono aumentate di molto, ma è aumentata la responsabilità che mi è chiesta nella
gestione del tempo poiché la verifica avviene solo nel momento dell’esame e sta alla
capacità di ciascuno trovare e gestire il tempo necessario allo studio.
2) Scegliendo la facoltà di Ingegneria si va incontro ad uno studio inizialmente teorico
e impegnativo con esami di analisi matematica e fisica, necessari all’acquisizione di
un linguaggio tecnico e alla comprensione degli argomenti che si affrontano negli anni
successivi, sempre più specifici e più rivolti ad un’applicazione pratica: vero obbiettivo
di questo corso di studi. Anche al primo anno, comunque, si introducono in piccolo degli
aspetti applicativi frequentando laboratori, ad esempio, di chimica o elettrotecnica, o
attraverso gli esempi dei professori a lezione.
3) La facoltà è molto impegnativa poiché le lezioni, pur non avendo obbligo di
frequenza, sono fondamentali per la comprensione degli argomenti e occupano buona
parte della giornata in università; anche lo studio individuale è molto importante:
durante la settimana per la ripresa dei contenuti spiegati a lezione e specialmente nel
periodo di sessione. La facoltà presenta alcune materie particolarmente complesse,
ma anche la possibilità di ripetere l’esame in più appelli e i docenti/esercitatori sono
spesso disponibili per la soluzione di eventuali dubbi.
4) È previsto un test di ammissione che, se sostenuto nelle date anticipate, è semplice
da superare poiché è sufficiente conseguire un punteggio di 60/100. L’ingresso è più
difficile nelle date di settembre perché per essere ammessi è prevista una graduatoria.
Io ho superato il test in una delle date di maggio e per prepararmi ho sfruttato il testo
messo a disposizione della stessa università, per superare il test di settembre è però
possibile partecipare anche ai pretest organizzati da alcuni studenti (quest’anno nelle
date 25-27 agosto). Lo studente che desidera iscriversi a ingegneria deve essere portato,
ma soprattutto avere interesse, per le materie scientifiche e per la loro applicazione
alla risoluzione di problemi pratici. Vengono richieste alcune conoscenze pregresse
nelle materie scientifiche, questo richiede un maggiore impegno nei primi mesi ad
alcuni studenti, in particolare a coloro che non provengono da un liceo scientifico, ma
le differenze con i compagni di corso si livellano spesso dopo il primo semestre.
5) Io frequento il primo anno di Ingegneria dei Materiali e delle Nanotecnologie al
Politecnico di Milano. La qualità dell’insegnamento è nel complesso buona e l’università
offre laboratori e possibilità di esperienze in università/aziende all’estero o in Italia,
possibilità che si concretizzano in particolare per studenti con un buon rendimento.
L’ambiente tra gli studenti è sereno, non particolarmente competitivo e vengono
offerte, grazie ai laboratori, occasioni di lavorare in gruppo. Inoltre le organizzazioni di
studenti offrono in alcuni periodi dell’anno un servizio di aiuto allo studio e propongono
visite in luoghi di interesse per i vari indirizzi (come aziende, impianti, cantieri...)
6) Per quello che ho potuto vedere finora sono soddisfatta della mia scelta, poiché
questo tipo di studio risponde all’interesse che avevo di vedere e scoprire la natura
della materia che ci circonda e poter lavorare su di essa per renderla sempre più
rispondente alle necessità di utilizzo. Consiglierei la mia facoltà, e il mio corso
nello specifico a tutti coloro che hanno voglia di studiare le materie scientifiche per
metterele in campo nella risoluzione di problemi pratici; inoltre questo indirizzo di
studio (in particolare il ramo di nanotecnologie), si colloca in un settore ancora poco
esplorato e promettente per il futuro.
lingue
STEFANO GRASSO,
LINGUE E LETTERATURE STRANIERE in statale, ii anno
1) Avendo scelto un indirizzo umanistico Lingue e Letterature Straniere devo dire che non ho riscontrato difficoltà particolari.
Il tipo di studio è diverso rispetto a quello del liceo, si trattano argomenti più in profondità, ma spesso se ne trattano anche
meno rispetto al liceo, o meglio gli argomenti generali trattati sono più ridotti. Perciò riguardo alle ore di studio posso dire che,
personalmente, credo di aver studiato più al liceo. Certo tutto dipende dal come si vuol affrontare la questione e molto sta anche
nell’organizzazione del tempo a livello individuale.
2) Chi scelga la facoltà di Lingue e Letterature Straniere va incontro a corsi che mirano a studiare la cultura di paesi europei –ed
extraeuropei tramite studi sulle loro colonie- tramite la storia della letteratura, per affrontare la quale viene data una base di
conoscenza linguistica. La preparazione linguistica è affidata a professori madrelingua molto preparati e, per quel che riguarda la
mia esperienza, capaci di insegnare e con voglia di aiutare i ragazzi, siano questi principianti o meno. All’inizio del triennio vengono
scelte due lingue, delle quali ogni anno si devono dare esami di letteratura, grammatica/conversazione/composizione e storia della
lingua. Nel corso del triennio è poi possibile scegliere una terza lingua.
3) Teoricamente il corso di laurea non prevede lezioni a frequenza obbligatoria, anche se spesso la frequenza aiuta a superare
gli esami, come nel caso di lingua, dove la frequenza caldamente consigliata permette di dare esami parziali durante l’anno,
che, se superati, danno la possibilità di non dare l’esame totale, più lungo e impegnativo. Non ci sono materie particolarmente
e universalmente ostiche; personalmente gli esami di lingua sono i più difficili, forse anche perché i più diversi rispetto a ciò che
ho fatto fin’ora –al contrario degli esami di letteratura, quelli di lingua, ovviamente, devono essere sostenuti in lingua-. Le ore di
studio individuali, come ho accennato prima, proprio in quanto individuali variano da persona a persona. La cosa ottimale sarebbe
studiare le lingue ogni giorno, anche solo mezz’ora; credo già questo aiuti molto e permetta di vivere meglio l’anno scolastico.
4) Non sono previsti test d’ammissione.
5) Frequento l’Università Statale di Lingue e Letterature Straniere a Milano. La qualità dell’insegnamento mi è sempre parsa molto
alta, con professori preparati e sempre disponibili per chiarimenti e quant’altro. La facoltà offre la possibilità di esperienza Erasmus;
vedo annunci di stage come traduttore anche se non so come funzionino poiché spesso rivolti agli studenti della specialistica
biennale. Sono offerti laboratori su argomenti vari, necessari per maturare il numero di crediti formativi per potersi laureare.
L’ambiente dei ragazzi è piuttosto eterogeneo, il che non rende difficile trovare persone con cui socializzare e legare, facendo
nascere rapporti che vadano oltre le aule universitarie.
6) Sono soddisfatto sì della scelta che ho fatto. Consiglierei la mia facoltà perché dà strumenti in più per conoscere il mondo, credo
aiuti a tenere aperti gli orizzonti e offra continui stimoli su più aspetti.
alice pinti,
mediazione linguistica in statale, iii anno
1) Le facoltà di lingue sono per molti versi uno dei percorsi più sensati dopo 5 anni di liceo classico. Se si ha una certa predisposizione
e passione per le lingue, non si trovano particolari difficoltà. Il metodo di studio imparato al Carducci facilita notevolmente nella
preparazione di grandi esami, come possono essere diritto o le culture relative alle lingue, mentre gli anni passati a studiare e
analizzare versioni sono un ottimo punto di partenza per lo studio della linguistica.
2) Le lingue che si possono studiare nei curricula sono inglese, francese, spagnolo, tedesco, russo, hindi, cinese, giapponese e arabo.
Lo studio delle lingue inizia sempre dal livello base, ma nel caso di inglese, consiglio di avere già un livello medio per non rimanere
indietro. Al posto delle letterature relative alle lingue scelte, ci sono i corsi di cultura, il cui argomento può variare di anno in anno
per concentrarsi su un particolare aspetto. Dal secondo anno si può scegliere tra 2 curricula, di cui uno più linguistico e uno più
incentrato sugli studi internazionali. In realtà la differenza è poca e c’è molta libertà nella scelta degli esami. Ci sono quindi corsi di
diritto internazionale, sociologia, antropologia, linguistica, storia, economia. Lo scopo di tali corsi è fornire una formazione adatta ad
un ambito lavorativo internazionale o di incontro tra culture.
3) Rispetto ad altre facoltà, non ritengo Mediazione Linguistica particolarmente impegnativa. Ci sono certamente esami più pesanti
da preparare, come possono essere quelli di economia e diritto, per cui servirebbe una preparazione più approfondita. Ma ovviamente
per poter parlare bene una lingua, serve molto lavoro personale, le lezioni in sé bastano a far passare gli esami, ma per raggiungere un
livello alto, soprattutto per le lingue iniziate da zero, è necessario molto lavoro a casa e iniziativa. Sono necessari tempo e pazienza,
dopo solo 3 anni non è possibile passare da A2 a C2 per nessuna lingua. Vi porto il mio esempio, io studio inglese e russo. L’esame del
primo anno di inglese è livello B2. Per russo la questione è molto diversa, partendo da zero al terzo anno il nostro livello è tra A2 e B1.
4) Non c’è test di ammissione, ma essendo una facoltà a numero chiuso – 600 posti all’anno – l’ammissione va in base al voto di
maturità. Non tutti quelli che hanno passato la graduatoria finiscono però per iscriversi e ogni anno molti posti si liberano. Ad ottobre
si tiene un ripescaggio a cui bisogna essere fisicamente presenti, i posti liberi vengono assegnati fino ad esaurimento, sempre seguendo
la posizione in graduatoria. L’ammissione varia molto in base al numero delle pre-iscrizioni, ci sono stati anni in cui sono stati ripescati
tutti, quindi anche fino ai voti più bassi, e anni in cui si è scesi massimo a 70-80.
5) Io sono iscritta all’Università degli Studi di Milano, e devo dire che seppur per certi versi l’organizzazione potrebbe essere migliorata,
non ci si può lamentare. Alcuni corsi sono tenuti meglio di altri, in base alle capacità e competenze dei professori. Russo è tenuto
molto bene, non ho particolari critiche. Di inglese invece non sono completamente soddisfatta, il corso nei 3 anni diventa per certi
versi molto ripetitivo, a causa forse dell’alto numero di partecipanti che non consente un approccio troppo diretto alla lingua.
L’università è inoltre sede dell’Istituto Confucio e del Centro Russo, per gli studenti di lingua cinese e russa.
6) Nel complesso sono abbastanza soddisfatta della mia scelta, e consiglierei la facoltà a chi come me è appassionato di lingue e
culture differenti. Ma bisogna tener conto che alla fine della triennale non ci si deve aspettare di finire con una formazione perfetta.
La vera specializzazione avviene dopo, attraverso esperienze lavorative, o continuando il percorso di studi, in Italia e all’estero.
7) Dopo Mediazione di sbocchi ce ne sono tanti, partendo dalla traduzione specialistica, al lavoro in azienda o in ambito internazionale
e sociale. Ma essendo appunto un campo abbastanza vasto, sta poi alla singola persona capire in che direzione puntare e dimostrare
le proprie capacità. Personalmente, essendo al terzo anno e avendo in programma di laurearmi il prossimo autunno, ho intenzione di
cercare lavoro con l’EXPO 2015 e successivamente proseguire con una laurea magistrale all’estero.
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
11
cultura
munch:
non solo urlo
L
di Chiara Conselvan
a mostra di Munch a Genova
è stata aperta al pubblico il 6
novembre e sarebbe durata fino
al 27 maggio, se non fosse che
la grande affluenza di pubblico
ha regalato una settimana in
più all’esposizione. Circa un’ora e mezza
di percorso che offre una piacevole
mattinata tra diverse sale divise per tema,
tutte da godersi con le immancabili audio
guide comprese nel prezzo del biglietto.
L’accoglienza è consueta: un video
esauriente racconta la vita dell’artista
lasciando molto spazio agli eventi tragici
che hanno segnato la sua arte, come la
morte della madre e della sorella e le
numerose crisi depressive che, a partire
dal 1908, lo hanno progressivamente
isolato dal mondo. I primi dipinti
appaiono nella sala successiva, grande e
piena di paesaggi di stampo naturalistico.
Il messaggio che ha voluto trasmettere
questa mostra è che la grandezza di
Edvard Munch non deriva solo dal suo
ben noto “Urlo”, non presente all’interno
dell’esposizione, ma da un percorso
molto caratteristico in quanto unico nel
suo genere. Munch è infatti un artista
isolato, che non si riconosce in alcun
movimento e neppure ne fonda uno:
questo è il frutto della sua natura riflessiva
e concentrata su di sé, ma anche di una
cultura nordeuropea. Tale singolarità
non indica, però, che l’artista norvegese
non abbia subito influenze. Infatti, i
paesaggi di stampo naturalistico sono il
frutto del primo approccio di Munch con
l’arte di Krogh, pittore di paesaggi, che
aveva il predominio culturale a Kristiania
(nome di Oslo fino ai primi del ‘900).
Ed è dalla stessa Kristiania che Munch
presenta per la prima volta al pubblico
“La bambina malata”, nel 1886. Tale
esposizione avviene dopo il suo viaggio
a Parigi dal quale, incuriosito dalla forza
dell’Impressionismo francese, torna con
un tocco più leggero e una luce più viva,
senza però essersi fatto conquistare dai
soggetti impressionisti e dalla pittura “en
plein air”. Dal momento in cui rientra in
Norvegia si può dire che la sua pittura
sia già per lo più formata: dal punto di
12
L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
vista tematico non avrà mai dubbi nel
dipingere ciò che proviene dalla sua
interiorità, mentre dal punto di vista
stilistico rimarrà uno sperimentatore per
tutto il corso della sua vita.
Le sale sono divise per temi e ciò
deriva dal fatto che Munch, una volta
riconosciuta l’importanza di un soggetto,
lo rappresenta in modo quasi ossessivo,
non limitando la ripetizione dell’opera
a un determinando periodo, ma, come
nel caso della già citata “La bambina
malata”, riproducendola fino alla morte.
A tale tema, infatti, è dedicata una sala
intera, piena di schizzi, bozzetti e oli su
tela, tutti simili, ma concentrati ognuno
su particolari diversi: in uno il profilo
della bambina viene osservato con più
attenzione, lasciando la madre che le
tiene la mano in un groviglio indefinito,
in un altro, invece, anche il viso della
bambina si fa più pallido e bianco, quasi
tutt’uno col cuscino su cui appoggia il
capo.
La sala successiva, forse quella più ricca,
contiene dipinti che hanno come soggetto
la donna e ne evidenziano la brutalità.
La donna domina l’opera, mostrando
la sua supremazia sull’uomo che lascia
inerte dietro o sotto di sé. Manifesta in
questo la sua crudeltà come “femme
fatal” e il suo erotismo spiazzante.
“Madonna” è l’opera che più incarna
queste caratteristiche, assai facilmente
paragonabile alla “Giuditta” di Klimt,
almeno nelle intenzioni. Le due donne
sono le indiscusse protagoniste, mostrano
con orgoglio il volto segnato dal piacere e
il petto fiero, sicure della loro forza.
La vera “chicca” della mostra è la sua
conclusione: due sale dedicate alla serie
di opere “Warhol after Munch”. L’artista
pop, infatti, affascinato dalle innovazione
tecniche introdotte dal pittore norvegese
e già abituato a rivisitazioni di opere di
maestri antichi e moderni, ha riprodotto
diverse stampe a partire dall’opera di
Munch, senza modificarne il soggetto,
come invece era solito fare. L’esempio
senza dubbio più interessante e originale
è la rivisitazione di “Eva Mudocci”:
immagine di una donna che in questo caso
non sembra impersonare completamente
la “femme fatal”, ma appare fragile e
insicura. Warhol la carica di colori forti
che rendono la sua presenza ingombrante
e carica di significato.
La novità è stata, per me, anche il
considerevole numero di quadri: può
sembrare un appunto banale, ma
ultimamente si notano esposizioni sempre
più curate nei minimi dettagli, ma con
un numero ridicolo di opere e questa
mostra è la testimonianza che si possono
combinare entrambe le cose senza
appesantire il percorso.
scritte sui muri
CHE LIMITI DI COLORI HA LA LIBERTÁ DI PAROLA?
M
di Alessia Tesio
olti
attribuiscono
la
colpa dei muri imbrattati
da disegni o altro ai
giovani d’oggi; potrebbe
sembrare incredibile, ma
non è così. Infatti, l’arte
dei graffiti, murales e scritte ha origini
lontane nella storia.
Esempi di questi ‘’sfoghi artistici’’, se così
possiamo definirli, possiamo ritrovarli
anche nel 1848, ai tempi della primavera
dei popoli, quando sui muri dei vicoli del
nostro paese, si scriveva ‘’ viva VERDI’’.
Questo che a prima vista poteva sembrare
un grande incitamento alla musica del
contemporaneo
musicista
Giuseppe
Verdi, in realtà era un semplice acronimo
che serviva per ingannare,le autorità, le
quali non avrebbero di certo apprezzato
le scritte ‘’viva Italia’’. Difatti, se ci si
presta un pochino di attenzione, non
ci vuole molto a smascherare il trucco:
basta aggiungere dei punti tra le lettere
, diventando così ‘’viva V.E.R.D.I.”; di
conseguenza se le attribuissimo alle
iniziali di un nome, scopriremmo che ce
ne ricorda uno in particolare, sulla bocca
di tutti a quei tempi:Vittorio Emanuele Re
D’Italia.
Ci risulta anche qualche testimonianza di
opposizione al fascismo, sempre espressa
con questo sistema; non essendoci,
infatti, la libertà d’opinione si ricorreva
a questa pratica per esprimere il proprio
disappunto.
Insomma, l’arte ha sempre avuto un
valore secondario, che andava oltre
il primo sguardo. La vera domanda,
tuttavia, sta nel chiedere ‘’ oggi possiamo
considerare forme d’arte i disegni in
cui ci imbattiamo mentre camminiamo
per strada, e che fino a poco tempo fa
occupavano le pareti delle nostre aule,
ora ridipinte?’’ Come sempre, la verità
non è né bianca né nera, in questo caso
poi può essere molto colorata: un radicale
‘’no’’ da parte di coloro che hanno un
certo tipo di parere sul decoro urbano, o,
al contrario, un convinto “sì” da parte di
‘’artisti urbani’’ possono entrambi essere
facilmente messi in discussione.
La legge italiana prevede che ogni
imbrattatura dei muri è considerata
motivo valido d’arresto per l’eventuale
colpevole colto in fragrante. Le scritte o
le raffigurazioni volgari nelle nostre vie, a
primo impatto, si potrebbero considerare
senza ritegno, ed è così; ma ovviamente
gli autori dei misfatti nella maggior parte
dei casi si auto-giustificano citando la
legge, che permette la libertà di parola.
In questi casi si potrebbe pensare ad altri
modi per diffondere i nostri pensieri,
chissà, magari riprendendo quelle
abitudini che ormai le nuove generazioni
hanno in parte perso con l’uso frequente
di telefonini o di social - network:
esprimere direttamente le proprie idee
in appositi comizi e manifestazioni, che
già si svolgono nelle nostre città, oppure
utilizzare la scrittura come mezzo per
rielaborare e diffondere le nostre opinioni,
senza dover imbrattare i muri delle
nostre città. Fortunatamente non siamo
nel periodo del fascismo o nell’età della
Restaurazione, e per esporre liberamente
le nostre idee, disponiamo di molti mezzi.
Il vero dilemma si ha, invece, quando ci
si trova a discutere davanti ai grandi e
spettacolari disegni, che certe volte si
estendono per metri e metri, così colorati
che è impossibile non notare.
In passato, molti pittori hanno iniziato così
il loro debutto, e infondo tutt’ora non si
può certo negare che basta andare vicino
alle stazioni metropolitane newyorkesi
per rimanere a bocca aperta di fronte alle
loro opere. Nella nostra città, si nota che
i graffiti sono più popolari nelle periferie,
dove l’eleganza del centro città si dissolve
e non vi arriva, o arriva solo in parte.
In questi casi di spettacolari raffigurazioni
che non presentano elementi di volgarità
o insulti, non si può certo negare che
siano una forma di arte urbana.
Insomma, il dibattito sulla risposta alla
precedente domanda è tutt’ora aperto
e molto discusso; il punto è se schierarsi
dalla parte di un colore netto come la
propria decisione, o se invece preferire le
sfumature.
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
13
INGLORIOUS REVIEWERS
Noah
I
di Cleo Bissong
n principio, decisi di andare
al cinema. La scelta era il film
Transcendence, con Johnny Depp e
Morgan Freeman. All’ingresso vidi la
locandina del film Noah, sulla quale
riconobbi i visi di Emma Watson e
Logan Lerman. Pensai al divertimento di
vedere attori, i cui visi avevo impresso
in precisi luoghi, in altri contesti, e
allora dissi: “Sia Noah!”. E Noah fu. E il
film iniziò e finì. Quindi, con la mente
pregna di battute ridicole causate da
tale visione, uscii dal cinema. Tornata
a casa, mi sedetti davanti al computer
per la scrittura di un articolo e allora
dissi: “Sia demenzialità!”. E qualcosa
di vagamente simile al demenziale
fu. E mi avvidi che non era stata cosa
buona e giusta.
Il film, diretto da Darren Aronofsky,
è tratto dal primo dei due libri
della famosissima saga La Bibbia,
L’Antico Testamento, scritta da
svariati autori e conclusa nel corso
di circa millecinquecento anni. Il
film è incentrato sul primo capitolo
del libro, La Genesi, e narra di come
il protagonista, Noè abbia costruito
un’enorme Arca grazie alla quale è
stato possibile mettere in salvo la
maggior parte degli esseri viventi. Noè
aveva avuto da Dio stesso le istruzioni:
il Creatore avrebbe mandato un diluvio
per lavare il peccato dalla terra e
sterminare i peccatori discendenti del
fratricida Caino. Noè si dimenticò però
di un particolare vagamente rilevante:
gli esseri umani. Difatti, l’unica donna
destinata a sopravvivere, oltre a sua
moglie, era Eilah, la compagna di
Sem, il primogenito, purtroppo sterile
14
L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
a causa di un’antica ferita ma che
in seguito tornerà miracolosamente
fertile, avvenimento che sarà la
causa di vari problemi. Un'altra
questione piuttosto ingombrante della
trama è quello creato dalla tribù di
uomini malvagi che, venuta a sapere
dell’imminente fine del mondo, vuole
mettersi in salvo salendo sull’arca di
Noè. La questione verrà parzialmente
risolta grazie ad una alleanza con gli
Angeli Caduti, trasformati in giganti di
pietra dal Creatore stesso.
Dal punto di vista cinematografico,
Aronofsky ha voluto dare la sua
interpretazione della Genesi rendendo
l’episodio ancora più fantasy di quanto
già non sia. Ad esempio, la battaglia tra
i giganti di pietra e la tribù, pur essendo
molto scenografica e ben realizzata, mi
ha portato a pensare che probabilmente
una battaglia tra dei Transformer e
qualche flotta di Galli sarebbe molto
simile. La computer grafica, come si
può immaginare, è stata molto usata.
Confesso di non intendermene molto,
ma posso dire che in alcuni punti, come
nell’arrivo degli animali all’arca, mi è
tornata in mente la grafica utilizzata
nella serie di videogiochi di The Sims 3.
Invece, i sogni o le allucinazioni di Noè,
o i vigilanti di pietra sono resi in modo
piuttosto realistico.
Dal punto di vista interpretativo devo
confessare che non riesco a togliermi
dalla testa Emma Watson come
Hermione di Harry Potter, sebbene
essa abbia recitato, come sempre,
egregiamente. Ciononostante ho fatto
un paio di congetture basate sulla
mia idea fissa riguardo all’identità
cinematografica dell’attrice: Eilah
(Emma Watson) è in realtà Hermione
Granger che ha conservato nei
precedenti dieci anni un pezzo della
pietra filosofale, e lo presta alla
moglie di Noè, Naamah, dal momento
che essa non invecchia mai in tutta la
durata del film. I protagonisti passano
anni a costruire un’arca e a navigare e
rischiano più volte di morire.
Se non sono i vigilanti di roccia a
tentare di ucciderli all’inizio del film,
sono una legione di disperati molto
ben armati, un’inondazione, o Noè
stesso che si convince che il volere di
Dio sia lo sterminio del genere umano.
Alla fine però –a dieci anni dall’inizio
della trama- Naamah resta senza un
filo di capello bianco in capo e senza
alcuna ruga. Non c’è altra spiegazione
logica alla sua eterna giovinezza se
non l’utilizzo della pietra filosofale.
Di miracoli ce ne sono stati già in
abbondanza.
Confesso di aver formulato alcune
ipotesi molto simili a quella sopraccitata
anche su Cam, interpretato da Logan
Lerman, già protagonista della saga
di Percy Jackson, per quanto meno
impresso nella mia memoria rispetto
alla Watson. Se però fosse stato
effettivamente un semidio, figlio del
signore dei mari, Poseidone, avrebbe
potuto benissimo risolvere il problema
“diluvio”. In conclusione posso dire
di aver apprezzato l’interpretazione
moderna di Aronofsky del testo,
nonostante, e non perché siano presenti
nel testo originale, alcuni aspetti della
storia restino inesplicabili.
revolutionary road
S
di Julia Cavana
iamo in America e sono gli
anni '50. Quando April e Frank
vanno a vivere nel pulito
sobborgo Revolutionary Hill
tutti credono siano speciali:
sono giovani, carini, colti
e sofisticati; lui ha un buon posto da
impiegato e lei è una casalinga dai
modi garbati, i due bambini adorabili
completano il delizioso quadretto.
E sarebbe tutto meravigliosamente
giusto se, tra i dialoghi composti e
serrati, i movimenti morbidi, gli sguardi
caldi, le pettinature ordinate e i colori
pastello, non si avvertisse l'imminente
ingiallimento di una fotografia felice.
Crescere, sposarsi, avere dei figli,
andare a vivere in un posto piacevole,
circondati
da
gente
piacevole,
questa sembra l'unica ambizione
dell'americano medio della media
borghesia. E se i vicini
dovessero chiedere, è
così semplice inscenare
un sorriso e convincersi
di credere alla favola
della vita perfetta, tra
fiocchetti rosa, torte e
feste di compleanno.
“Se uno vuole giocare
alla casa deve trovarsi
un lavoro, se uno vuole
giocare alla casa molto
carina, una delizia di
casa, allora deve avere
un lavoro che non gli
piace.”
Ad April e Frank
scappare in Europa
sembra la soluzione,
sembra
finalmente
un tuffo nella verità,
nei loro sogni e nelle
loro ambizioni, con
la certezza di essere
davvero
“speciali”,
affinché la vita non passi
loro
semplicemente
accanto, ma li prenda in pieno
travolgendoli. Non ci vuole troppo
tempo perché ci si accorga di quanto
sia potente il risucchio conformista
dell'America degli anni '50, di quanto
poco spazio ci sia per sgranchire le ali.
Ad un certo punto ci si rende conto di
non essere poi così diversi e superiori
agli altri, ma di essere tutti uguali,
tutti tragicamente coinvolti nello
stesso gioco, tutti tormentati dallo
stesso desiderio di essere felici.
“La nostra intera esistenza qui è basata
sulla grande premessa che noi siamo
speciali e superiori a tutto il resto, ma
non lo siamo, siamo tali e quali agli
altri. Guardaci, abbiamo accettato la
stessa ridicola illusione, l'idea che uno
deve ritirarsi dalla vita e sistemarsi
nel momento in cui ha dei figli...e ci
stiamo punendo a vicenda per questo.”
April rimane incinta, il sogno crolla, la
nascita di una nuova vita evidentemente
ne ostacola un'altra. E fuggire da se
stessi è comunque impossibile.
Dietro l'immobilità di entrambi pulsa
una vita soppressa e sostituita con un
prototipo facile di vita conformista,
imposta da occhi conservatori ma
anche dai propri, dietro l'immobilità
della loro vita perfetta si annida un
dolore più profondo: la fine di un
amore, l'incapacità di afferrarsi e
comprendersi, l'insoddisfazione, il
risentimento, la paura, il bisogno di
uscire dal guscio. Lentamente ma
inesorabilmente tutto si deteriora,
marcisce e ingiallisce; deve arrivare
un “folle” che mastica la verità più
di quanto lo facciano i “sani” per far
scoppiare il palloncino pieno di tensioni
represse. John Givings, figlio dei vicini
di casa, ricoverato in psichiatria,
rovescia addosso alla coppia la verità
non più filtrata da altre lenti, gliela
offre direttamente, senza chiedere il
permesso; accende la luce su tutto quel
buio e le ferite iniziano a sanguinare.
Quando la maschera “famiglia felice”
cade e dietro le immobili tendine di
pizzo della casa di Revolutionary Road
si inizia ad intravedere il disagio e il
dolore covati così a lungo, ormai non
c'è più nulla da salvare, e la tragica
fine di April che muore dopo aver
cercato di procurarsi un aborto, è una
fine aspettata con rassegnazione, una
fine prevista, incombente sin dalla
scena iniziale del film. Sam Mendes ha
creato qualcosa di molto simile a un
capolavoro, utilizzando
le contrapposizioni e
rendendole il punto
forte del film: con
i
colori
pastello
dall'azzurro al beige ha
raccontato il grigiore,
attraverso la staticità ha
descritto la tempesta,
con gli sguardi ha
parlato di quello che le
bocche non dicevano.
Nient'altro si può dire
sulle
interpretazioni
della Winslet e Di
Caprio se non che
risultano
perfette,
profonde, spontanee,
approfondite,
sicure,
appassionate.
Revolutionary Road non
è solo la storia di com'era
l'America conservatrice
del dopoguerra e di una
coppia che soccombe
ad essa, Revolutionary
Road è un grande
interrogativo sulla felicità vera e
quella immaginata, sui rapporti, sulla
comunicazione, sulla comprensione,
sulle verità omesse.
Questo film è un invito a guardarsi
allo specchio, per scoprire che forse
anche noi siamo come April e Frank,
vivi e immobili, solo che non ce ne
accorgiamo.
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
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INGLORIOUS REVIEWERS
divergent
di Bianca Carnesale
D
ivergent (USA, 2014), diretto da Neil Burger, tratto
dall’omonimo romanzo di
Veronica Roth, prima parte
di una trilogia fantascientifica, ha ricevuto più critiche che consensi, da parte sia della
critica –che ne ha salvato solo la cupa
ambientazione scenografica– sia del
giovane pubblico, che pur ha riempito
le sale.
In un futuro apocalittico gli abitanti di
Chicago, si sono divisi in base a differenze caratteriali in cinque fazioni:
Abneganti (sono al governo, visto che
in loro non prevalgono mai interessi
personali su quelli della collettività),
Intrepidi (coraggiosi, vestiti di nero,
abitanti del sottosuolo, pronti ad ogni
impresa), Candidi (onesti, incapaci di
mentire), Eruditi (intellettuali, dediti
alla sapienza, ma in realtà manipolatori, grazie alla loro superiore intelligenza e assetati di potere e conoscenza) e Pacifici (i cui valori sono
l’amicizia e la concordia). Al compimento dei sedici anni, ogni ragazzo
viene sottoposto ad un test, dal quale
si desume a quale fazione è più adatto, ma i ragazzi possono poi scegliere
il gruppo a cui sentono di appartenere.
Pochi ragazzi risultano avere caratteristiche di più fazioni: sono i Divergenti, che, se scoperti, sono condannati a
morte perché costituiscono un pericolo sociale. L’eroina Beatrice Prior, interpretata da Shailene Woodley, figlia
di Abneganti, risulta Divergente, ma le
viene evitata la morte grazie ad una
falsificazione del risultato. Pur inserita negli Abneganti, Beatrice sceglierà
di entrare negli Intrepidi e di chiamarsi Tris. Tra prove di iniziazione sotto
la guida del misterioso Quattro, salti
dal treno in corsa, tentativi di colpi
di Stato da parte degli Eruditi contro
gli Abneganti, rivelazioni sulla natura
violenta del capo degli Abneganti Marcus, padre di Quattro (così chiamato
dalle sue quattro paure), la trama si
articola in un crescendo di cupa tensione che, però, ad ogni passo svela
nuove contraddizioni. Pur avendo in
linea teorica tutti gli elementi per
affascinare (una società rigidamente
costituita in cui la protagonista deve
16
L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
trovare il proprio ruolo, abbandonando la sicurezza della famiglia, il difficile percorso di scelta e di crescita,
l’incontro e l’innamoramento con
un altro personaggio Divergente, il
coinvolgimento in un’azione mirata
a sconvolgere l’ordine costituito, la
consapevolezza superiore della protagonista proprio perché Divergente,
quindi più umana, rispetto agli altri),
la storia è forse eccessivamente ricca
di riferimenti e di continui colpi di
scena, che la rendono più adatta ad
una serie televisiva (Arrow, Tomorrow
People), ma difficilmente trasponibile
nel linguaggio cinematografico.
Divergent è stato paragonato a Hunger Games e a Harry Potter, ma a ben
guardare l’unico aspetto in comune
è quello del pubblico al quale si rivolgono. Anche le opere che nascono
come operazioni commerciali possono
riuscire o fallire: dove Harry Potter
portava per mano i suoi lettori fin da
bambini in una lotta contro il male
all’interno di una realtà parallela,
dove Katniss di Hunger Games, in un
futuro dalle esasperate contraddizioni
sociali, lottava non solo per la propria
sopravvivenza, ma per una migliore
umanità, in Divergent Beatrice/Tris è
coinvolta in troppe e poco lineari vicende, da lei osservate e subite, più
che vissute consapevolmente.
Il personaggio di Tris affascina perché
in un mondo rigido è l’unico veramente umano, con tutte le sue contraddizioni e debolezze: simile a noi,
mostra come l’essere umano nella sua
imperfezione sia comunque migliore
di quanto non siano gli esseri umani
modificati attraverso l’esaltazione assoluta di caratteristiche positive, che
si rivelano poi inadeguate a creare una
società migliore. Gli Intrepidi, che appaiono agli occhi di Tris e degli spettatori come la fazione migliore per lo
spirito di libertà che li anima, finiscono col diventare burattini nelle mani
degli Eruditi, perché in loro il coraggio non si accompagna alla consapevolezza delle paure. Solo i Divergenti
mantengono la loro autonomia, consapevoli dei propri limiti e delle proprie
fobie, unici umani, il cui tratto caratteristico è proprio questo: non essere
univoci, essere contradditori, contenere in sé una ricchezza di scelte
possibili, superando qualsiasi determinismo e costrizione. Essere umano
è essere Divergente, quindi non lineare, non buono né cattivo, intrepido
ma con paure nascoste, abnegante ed
egoista, erudito e a volte saggio. Fortunatamente, restiamo umani e siamo
tutti Divergenti.
il grande gatsby
S
di Francesca Petrella
i è fatto conoscere con
“Romeo+Juliet”
e
ha
incantato con “Moulin Rouge”.
Ci ha sorpreso ancora una
volta grazie alla trasposizione
cinematografica del romanzo
di Scott Fitzgerald. “Il grande Gatsby” è
un film effervescente di Baz Luhrmann
che mostra la passione che egli nutre
per danze sfrenate, musica e giochi
pirotecnici. Questa sua attenzione
gli ha fatto guadagnare l’Oscar per
i Migliori Costumi. Il film sembra
conservare la forte componente visiva
e visionaria per la quale Luhrmann
è diventato famoso: visiva perché
riesce a colpire lo spettatore grazie
alle luci, colori e suoni, mentre è
visionaria perché riesce a cogliere e a
trasmettere quella visione che era il
sogno americano. Siamo nell’America
degli anni ’20, epoca di sregolatezze,
dove imperano il jazz sfavillante e
la Borsa di Wall Street. Da questo
scenario dissoluto e ricco di eccessi
emerge la figura enigmatica di Jay
Gatsby, interpretato dal
superbo Leo Di Caprio,
che di segreti ne ha troppi
da celare. Per alcuni è
contrabbandiere,
per
altri ricco di famiglia…
nessuno sembra sapere la
verità. Il film verte sulla
sua vita, soprattutto
sul sogno incorruttibile:
Daisy
Fay,
vecchia
fiamma.
Accompagnato dal coprotagonista
narratore Nick Carraway, un inedito
Tobey Maguire, Luhrmann evidenzia
come quest’America sregolata sia priva
di affetti autentici, di comunicazione,
come crolli il mito del protagonista.
Soprattutto, si afferma con violenza
la solitudine. Una solitudine terribile,
resa evidente in una frase del romanzo,
in occasione del funerale di Gatsby:
“non venne nessuno”. Tre parole che
segnano il destino di quest’uomo
controverso, dotato di un’incredibile
forza vitale che lo contraddistingue.
Forse, per chi ha studiato latino,
ricorda un po’ il ritratto di Catilina di
Sallustio: “Vastus animus immoderata,
incredibilia,
nimis
alta
semper
cupiebat”, “Il suo animo insaziabile
anelava alle cose smisurate, incredibili,
troppo grandi”. Gatsby organizza feste
sfarzose piene di gente, frequenta
persone della migliore società, ma
è un uomo profondamente solo. È in
preda dei suoi sogni, irrealizzabili,
convinto di poter replicare il passato.
Il romanzo, in un certo senso anche
il film, si conclude con questa frase:
“Cosi continuiamo a remare, barche
controcorrente, risospinti senza posa
nel passato”.
Spider-Man 2
P
di Alice de Kormotzij
eter Parker torna nei panni
dell’uomo ragno nel secondo
capitolo del sequel. Ormai
egli non è più il supereroe
impacciato
del
primo
capitolo, ma è pienamente
consapevole dei suoi poteri e si trova
perfettamente a suo agio a saettare
tra i grattacieli di Manhattan. La
sua vita però è molto movimentata:
il suo potere comporta una grande
responsabilità, risaltata dalla presenza
di Gwen Stacy, figlia del tenente, il cui
fantasma compare ovunque e al quale
Peter ha promesso di sorvegliare la
figlia. Tutto si complica con l’arrivo di
Harry Osborne (Dane Dehaan), amico di
vecchia data, che diventa il presidente
della Oscorp. A nuove scoperte sugli
esperimenti condotti da suo padre, la
vicenda si intreccia con la comparsa di
Electro (Jamie Foxx), manipolatore di
elettricità e avversario per l’eroe. Marc
Webb, dietro la macchina da presa
anche in questo secondo capitolo, si
distacca dai precedenti
film di Raimi. Punto
centrale diventa a coppia
Peter-Gwen
(Andrew
Garfield ed Emma Stone),
analizzata in tutte le
sue
dinamiche
che,
ben orchestrate, fanno
emergere la psicologia dei
personaggi. Spider-Man appare come
l’eroe tormentato senza però cadere
nella banalità, mentre Gwen è un
notevole protagonista femminile, una
ragazza bella, intelligente e testarda,
che non è disposta a sottomettersi
a Peter. Non mancano i momenti
d’azione: eccezionali grazie alla
computer grafica sono le inquadrature
soggettive di Spider-Man, che ondeggia
tra i grattacieli di Manhattan;
eccezionali a tal punto da diventare
in alcuni momenti molto simili a un
videogioco, cosa che toglie realismo
alle inquadrature e fa perdere punti al
film. Un altro punto debole rilevante
è il ruolo di secondo piano che i villain
principali, in primis Electro, assumono
nel film. Questa subordinazione
dei cattivi è probabilmente dovuta
ad un’analisi più approfondita del
rapporto tra Peter e Gwen e del
passato di Richard Parker, che però, a
mio parere, non costituiscono affatto
una giustificazione. Il film risulta
dunque un connubio di romanticismo
e azione che, nei suoi pur lunghi 160
minuti, regala emozioni e immerge in
un’atmosfera veramente irripetibile,
soprattutto se in 3D e magari, se ne
avete l’occasione, in IMAX.
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
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musica
audio philes
“Mosh now or die/If I get sniped tonight you know why/
Cause I told you to fight” (Eminem, Mosh)
Eminem Encore (Shady Records, 2004)
Sixto Rodriguez Cold Fact (A&M Records, 1970)
di Andrea Sarassi
di Edo Mazzi
I
l 16 novembre 2004
Marshall
Bruce
Mathers III elaborò un
disco dall’esplicito
linguaggio di denuncia politica, sociale e
musicale. La copertina
dell'album, che mostra
il rapper mentre s'inchina davanti ad una platea, esprime
la sua intenzione di voler abbandonare presto la carriera da
musicista. Ciò è suggerito anche dal finale della title track,
in cui Slim Shady ( letteralmente 'un uomo magro e losco,
l'alterego musicale di M&M) uccide il pubblico con una pistola e poi si sucida. La quinta traccia,“Like Toy Soldiers”, è
un'aperta denuncia della ventennale faida tra East e West
Coast,: «This ain't what I'm in hip-hop for,/ it's not why I
got in it /That was never my object for someone to get
killed/Why would I wanna destroy something I help build?/
It wasn't my intentions, my intentions was good(...)». “Slim
Shady esprime tutto il suo rammarico per come al giorno d'oggi ogni singola rima sia politicizzata fino a causare
vendette e assassini in nome del hip hop, genere musicale
che, paradossalmente, è stata la via di salvezza per molti
uomini, nati in estrema povertà e destinati a un destino
di illegalità o a una morte prematura. Subito dopo segue
“Mosh”, traccia in cui M&M sfoga il suo malcontento per
la mala politica dell'ex-presidente Bush: «No more blood
for oil/we got our own battles/to fight on our own soil(...)
assemble our own army /To disarm this Weapon of Mass Destruction/That we call our President». Em', riferendosi alla
Guerra del Golfo, incita tutto il popolo americano a sollevarsi contro un presidente guerrafondaio dall’ «evil grin».
Dalla denuncia politica Slim passa alla critica sociale con
“Just Lose It”, in cui accusa pesantemente Michael Jackson
di pedofilia, rappando ironicamente, però, che «That's not
a stab at Michael/That's just a metaphor, I'm just psycho/ I
go a little bit crazy sometimes/I get a little bit out of control with my rhymes». Il beat cambia e le rime diventano
più sofferte e personali nella sedicesima traccia, “Mockingbird”. Parla della relazione di Eminem con sua figlia Hailie
Jade, e delle difficoltà ad accudirla insieme all'ex-moglie
Kim. Le parole all’inizio e il testo riassicurano ad Hailie
che, malgrado le difficoltà di famiglia, "it will be all right"
perché ci sarà sempre suo padre ad aiutarla e ad amarla:
«And if you ask me too/ Daddy's gonna buy you a mockingbird / I'mma give you the world /I'mma buy a diamond ring
for you /I'mma sing for you /I'll do anything for you to see
you smile».
18
L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
C
old Fact è il primo dei due soli
album di Sixto
Rodriguez, un
cantautore statunitense
di origini messicane.
Del tutto sconosciuto
in America, e in Occidente, ma conosciutissimo in Sudafrica; Le sue canzoni
di denuncia sociale, scritte nel grigio ambiente della città
industriale di Detroit, sono state, infatti, in Sudafrica, gli
inni della popolazione nella lotta contro l’Apartheid.
L’album inizia, e subito Rodriguez si rivolge, in “Sugar
Man”, a uno spacciatore: «Sugar man you're the ansie/That
makes my questions disappear». Arpeggi di chitarra e percussioni aprono le danze di “Crucify Your Mind”, e dolorosi
risuonano i veWWrsi: «Soon you know I’ll leave you/And I’ll
never look behind/ ‘Cos I was born for the purpose/That
crucifies your mind». Le parole di “This Is Not A Song, It's
an Outburst: Or, The Estabilishment Blues” sono piene di
rabbia e denunciano il degrado di una città, Detroit, nelle
mani della mafia, e abbandonata dalle autorità politiche;
« Politicians using people, they've been abusing/The mafia's getting bigger, like pollution in the river». Nel disco
la melodia, semplice e poco elaborata, passa in secondo
piano, e lascia spazio ai testi delle canzoni. Sixto Rodriguez è un cantautore, e sono la sua voce e le sue parole le
protagoniste –una voce che ricorda molto quella di un certo
Bob Dylan-. Nel lato B emerge un bagliore di speranza con
la spensieratezza di “I Wonder”, che sembra far
dimenticare dolore, e problemi: «I wonder how many times
you've had sex/And I wonder do you care who'll be next»
Un’altra curiosa canzone è “Gomorrah (a Nursery Rhyme)”,
che si apre con arpeggi al basso, e la voce di Sixto, che, nei
ritornelli, si confonde con quella di un malinconico coro di
puerili voci stonate. Il disco si chiude con “Jenny S. Piddy”,
che mi fa pensare a “La Canzone del Sole” del nostro Battisti; al termine di questa è possibile udire Sixto pronunciare la frase: «Thanks for your time/And you can thank me
for mine/And after that's said/Forget it».
Per sapere di più sull’umile uomo che si cela dietro la figura di questo straordinario artista, vi consiglio la visione
del film-documentario “Searching for Sugar Man” di Malik
Bendjelloul; la singolare vita cantante, ma innanzitutto di
un uomo, che con le sue parole ha saputo dar voce ai profondi disagi sociali dell’America degli anni 70 attraverso le
sue parole, la sua musica, le sue canzoni.
dalla
poesia bucolica
ai dissing
di Andrea Sarassi
N
el termine «Βουκολιασδομεζα»,
si racchiude una tradizione
della Grecia arcaica fondamentale per la nascita e lo
sviluppo di tutta la poesia successiva, ovvero “gareggiare in
canti bucolici”. Prima che i Greci organizzassero la loro vita in grandi e popolose 'polis', la maggior parte della popolazione viveva nelle campagne, avendo
come principale forma di sostentamento
l'agricoltura. La vita di un pastore greco
di allora era caratterizzata da tre costanti
principali: il contatto con la natura, la vita
dei campi e un grande isolamento. Infatti,
uno o piccoli gruppi di pastori trascorrevano il più del loro tempo a prendersi
cura dell'agricoltura o dell'allevamento,
rimanendo molto isolati dagli altri uomini.
Fu proprio questa condizione di solitudine che li spinse a raccontare, in rima, il
loro ritmo di vita e le loro vicissitudini; i
temi principali sono amori non corrisposti
e la bellezza della natura. L'inventore di
questo genere letterario è considerato
Teocrito, il primo che vi si cimentò e vi
diede una forma. Un esempio emblematico di questo genere di poesia è l'agone
bucolico, tratto dal quinto idillio del poeta appena citato, nel quale due pastori,
Comata e Lacone, intraprendono una sfida
all'ultimo verso cantando in esametri le
loro vicissitudini d'amore; lo scopo dei due
contendenti è sminuire la concezione di
bellezza dell'altro.
Il testo tradotto dei versi 90-99:
« Lac. Anche a me, il pastore, fa impazzire
Cratida, dalle guance liscie quando mi
viene incontro;
splendente sul collo ondeggia la
chioma
Com. Ma la rosa selvatica e l'anemone
non sono confrontabili con le rose che
crescono in aiuole al
riparo dai muretti.
Lac. Nè le mele montane
con le ghiande:queste
dal leccio ricevono la
buccia fine, ma quelle
sono
dolci come il
miele.
Com. Alla ragazza presto donerò una colomba,
tirandola giù dal ginepro;
la si è posata.
Lac. Ma io un morbido
vello per vestito io voglio
senz'altro donare a Cratida, quando toso quella
pecora nera ».
Questo genere di poesia
ebbe così successo nella
letteratura antica che fu
molto ben tramandato
nei secoli successivi, al
punto tale da influenzare la letteratura medievale europea. Celebre
è la tenzone poetica tra
Dante Alighieri e Forese
Donati, cugino della
moglie. È costituita da
tre sonetti di Dante e tre di Forese, dei
quali due sono i seguenti:
Dante a Forese
«Chi udisse tossir la mal fatata
moglie di Bicci vocato Forese,
potrebbe dir ch’ell’ha forse vernata
ove si fa ’l cristallo ’n quel paese.
Di mezzo agosto la truovi infreddata;
or sappi che de’ far d’ogn’altro mese!
E no·lle val perché dorma calzata,
merzé del copertoio c’ha cortonese.
La tosse, ’l freddo e
l’altra mala voglia
no·ll’adovien per omor’
ch’abbia vecchi,
ma per difetto ch’ella
sente al nido.
Piange la madre, c’ha
più d’una doglia,
dicendo: «Lassa, che per
fichi secchi
messa l’avre’ in casa il
conte Guido!».
se fu di Salamon o d’altro saggio.
Allora mi segna’ verso ’l levante:
e que’ mi disse: «Per amor di Dante,
scio’mi»; ed i’ non potti veder come:
tornai a dietro, e compie’ mi’ viaggio.
Dante da'della donna di strada alla moglie,
per questo motivo raffreddata, di Forese,
che, in risposta, immagina di compiere un
viaggio durante il quale vede il rivale morto, impiccato, in una fossa. Ovviamente,
il tono è solamente scherzoso e volutamente provocatorio.
La tradizione di queste tenzoni continua
ancora nei giorni nostri con le piccole differenze che a misurarsi non sono più poeti
bensì rapper e che ora queste sfide vengono chiamate 'dissing'. Particolarmente recente è quello avvenuto tra i rapper Fabri
Fibra e Vacca, della quale tenzone riporto
un parte qua sotto.
Vacca a Fibra
«Io in 11 minuti ho capito che sei ridicolo
Che sei sei scemo, sei sei sei una groupie
di Lucifero
Sei un artista insensato, figurarsi come
uomo
Stai da 10 anni a Milano e non hai ancora
visto il Duomo (vergogna)
Tu sei il capo di nessuno, non sei un boss,
non sei un vip».
Fibra a Vacca
«Tu non hai le rime, lo stile, hai testi
flosci
vali tanto quanto un giornaletto di gossip
questa qui è la prova che non sei un vero
artista
in Italia, in Giamaica, sei solo un turista
resti intrappolato in mezzo a questi due
mondi
in entrambi i casi stai a secco, non sfondi».
Forese a Dante
L’altra notte mi venn’
una gran tosse,
perch’i’ non avea che
tener a dosso;
ma incontanente dì [ed
i’] fui mosso
per gir a guadagnar ove
che fosse.
Udite la fortuna ove
m’adusse:
ch’i’ credetti trovar perle in un bosso
e be’ fiorin’ coniati d’oro
rosso,
ed i’ trovai Alaghier tra
le fosse
legato a nodo ch’i’ non
saccio ’l nome,
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
19
Racconti
un nuovo giocatore
continua dallo scorso numero...
di Silena Bertoncelli
A
vete presente quando
l’atmosfera intorno a
voi vi attanaglia? La
sentite dentro, la filtrate
attraverso la pelle? I loro
sguardi sono come i due
capi di una corda di violino, l’aria è
tesa: una nota sbagliata e salta.
«Siamo arrivati» e dà due pugni al
furgone per far segno di salire a Rusty,
che apre lo sportello e con un filo
di voce «Devo proprio..?» «Rusty..»
riesce ad avere quel tono fermo e
greve ma dolce che non puoi non fare
come dice. «È piena di sorprese questa
Sally2, il reparto travestimenti me
l’ero perso»: ha in mano un vestito da
sera e un giubbotto dell’FBI. «Perché
devi sempre rompere, Marcus?» «Ehi
Rusty non fare il liceale, stavo solo..»
«Ficcanasando dove non devi, come
sempre. E non è una “NUOVA Sally”,
nessun furgone potrebbe sostituirla
dopo che tu me l’hai distrutta» ‘Fa’
qualcosa prima che la situazione
degeneri!’ «Ragazzi, non ora: Marcus,
credo tu ci debba delle spiegazioni.»
«Certo! Sempre così: io mi ritrovo
ammanettato in un furgone e sono
io a doverti spiegazioni» «Perché
eri alla mostra?» «Senti babe, vuoi
davvero che risponda alla domanda
‘cosa fa un ladro d’arte ad un’asta coi
controfiocchi’?» «Si, considerato che
antiquariato e pezzi d’epoca non sono
nel tuo campo d’interesse. Inoltre
non c’era solo la Polizia a starti alle
costole: alto, rasato, tatuaggio sul
collo, ah, eh, sì: una 9 millimetri
con silenziatore nel fodero sotto la
giacca blu Yves Saint Laurent» «Non ti
sfugge niente, allora in fondo non sei
cambiata d’una virgola. Parliamone
davanti a un gin tonic, inizio a
soffocare qua dentro»
Fa una lunga sorsata, poi: «Dopo il caso
Woodstock ho installato un sistema
d’allerta in caso qualcuno cercasse
in rete informazioni su di me» «Vuoi
dire il MIO sistema d’allerta» «Oh,
beh, come preferisce, re dei nerd.
Comunque funziona benissimo: sono
risalito ad un server. Non cercava me:
20
L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
stava indagando su di te» «E i russi
in tutto questo cosa c’entrano?» «Mi
hanno commissionato un lavoro in
città: pensavo di fare un salto da quel
ficcanaso, fare quattro chiacchiere»
«E poi? Cazzotti e minacce? Davvero,
Marcus? Di Dumont mi sono occupata
io, i fascicoli sono al sicuro e lui non
ha nulla in mano, dovresti conoscermi
ormai» «Dumont? Quali fascicoli?»
«Lucas Dumont, investigatore per la
Limier Assicurazioni, moro, completo
su misura e Testoni in cervo navy con
cucitura norvegese »
«Il capellone-occhi sognanti, terza
colonna nordest? Non sapevo chi fosse
fino a poco fa»
Gelo nella stanza. Quando tutto
acquista forma il castello di carte
crolla. ‘In cosa ci stiamo imbarcando?
Devo risolvere la cosa’: «Che nome
hai, allora?» «Nessun nome, solo un
indirizzo, nei pressi del porto a nord
di Île Seguin»
‘Come poteva mancare il suo
sandwich doppio formaggio ad un
appostamento?’ «Certe abitudini non
muoiono mai» «Siamo qui da ore,
concedi zuccheri al mio cervello»
«Oh, allora com’è che è così grande
quel panino?» «Piuttosto,vogliamo
stare qui tutto il giorno o entriamo a
dare un’occhiata?» «Non prima di un
sopralluogo, non entro al buio» «Beh,
questa non è la te che mi ricordo,
quella di Tijuana, 2002 se non erro»
«2001. Rusty?» toccando con il dito il
suo auricolare «Secondo i miei radar
è pulito, no telecamere, dispositivi
di allarme o movimenti all’interno»
«Ok. E tu: stammi dietro e non fare
cavolate»
«Che
lo
spettacolo
cominci»
‘Appunto.’
‘Qualcosa mi puzza, troppo facile
forzare quel lucchetto’. Spalancata la
pesante porta in lamiera si accende
un sistema di lampade al neon, di cui
una tremolante: i corpi si pietrificano
guardandosi intorno. Le pareti
traboccano di foto sue, recenti, copie
dei fascicoli di Dumont, piantine,
grafici e scritte che riguardano i suoi
furti, i suoi agganci, la sua vita.
«Ragazzi, cosa succede? Non vorrei
interrompere nulla ma un pick-up
rosso ha appena parcheggiato qui
fuori..»
Dal palazzo di fronte si ha una visione
perfetta dell’ingresso e della porta,
soprattutto con il suo binocolo:
«Rusty, riscontro facciale: donna, sui
trenta» «E che donna! Dammi quel
coso» «Bionda, alta circa 1,70» ‘Non
l’ho mai vista e non so cosa voglia’
«Wowo un momento, è arrivato un
uomo, Rusty, l’entrata non è tua?»
«Scusa se ho solo un paio di occhi
per cinque monitor. Cerco subito il
suo volto se si toglie dal palo» «Non
ce n’è bisogno: è Milad Afanasyev,
Izmajlovskaja» «Perché una delle
più antiche organizzazioni criminali
di Mosca ha un magazzino tappezzato
della mia storia?» Lui è sgomento,
attonito e pallido «Cercano te per
punire me. Ho un debito di gioco
con loro» «A quanti zeri?» i russi non
scherzano mai. «Ehi ascolta: io ti ho
messo in questo guaio, io ti ci tiro
fuori». D’altronde da queste parti
senza guai ci sia annoia.
Black out
il racconto di un redattore ispirato al quadro
“il bacio” di edvard munch (1892)
di Claudia Sangalli
M
i
sveglio
urlando.
Provo ad aprire gli
occhi, ma l’oscurità
che avvolgeva i miei
sogni avvolge anche la
realtà. Questa notte
la città ha perso la sua luce. L’unico
bagliore che riesco a scorgere dalla
finestra della mia camera è quello
della luna. Era molto che non la
notavo: solitamente la luce artificiale
dei lampioni inghiotte tutto il suo
splendore, rubandole la scena. Ora
però è lei la protagonista.
Mi ricorda tanto Iris: candida, pallida.
E bianca: come il nostro rapporto. Due
anime incatenate da un matrimonio
combinato, combinato come il guaio
di un bambino che ha rotto il vaso
pregiato dei genitori, e non si può più
aggiustare.
Ci siamo conosciuti in fuga: per
anni abbiamo condiviso gli stessi
nascondigli, le stesse speranze di
salvezza. Fuggivamo da ombre.
Ombre silenziose e invisibili, di
cui non potevamo liberarci perché
penetravano nella mente, come un
veleno. Io scappavo dalla figura di mia
madre, la donna che mi ha dato la
vita e voleva donarmi anche la morte;
Iris voleva lavarsi gli occhi e il cuore
dall’immagine di un fratello morto tra
le sue braccia.
Siamo stati compagni in un viaggio
difficile. Siamo entrati in simbiosi, e
grazie a quello che ci sembrava amore,
siamo usciti dal baratro. Lontani anni
luce da qualunque luogo avessimo mai
chiamato casa, ci siamo ricostruiti
una vita lasciando alle spalle le paure
del passato.
Ora vivo in una casa spoglia. Non
penso rimarrò molto da queste parti.
Sono alla ricerca di qualcosa tra
la folla del mondo. O di qualcuno,
chissà. Ma per stasera mi godo la
città buia, seduto su un letto, ancora
avvolto da un sogno. Il vento che mi
accarezza mi provoca brividi e ricordi.
Iris era accanto a me, tempo fa.
Comprava cianfrusaglie per colorare
la nostra casa, o forse servivano a
colorare il nostro rapporto. Il posto
dove vivevamo era abbastanza grande
da permetterci di ignorarci. Ognuno
aveva le sue stanze, linee di confine
da non oltrepassare per non rischiare
una guerra sanguinosa.
Le nostre anime erano molto vicine,
ma non riuscivano a trovarsi. Vagavano
in una nebbia di indifferenza soffocate
dal nostro egoismo, senza sapere che
poco più in là esisteva il sole, esisteva
un abbraccio capace di trasmettere
calore: un semplice contatto tra corpi,
tessere di uno stesso mosaico che,
se solo avessero voluto, avrebbero
combaciato perfettamente, dando
vita a una forma d’arte meravigliosa.
Ma non ne siamo stati capaci, e le
nostre anime ormai sono disperse.
Io sono disperso, da quando non sei con
me. Pioveva, il giorno in cui te ne sei
andata. Le gocce che picchiettavano
sui vetri delle finestre tuonavano nel
mio cuore come pugnalate. Se avessi
guardato fuori avrei visto un ombrello
giallo allontanarsi, come un sole che
lasciava la mia terra.
Mi avevi avvisato. Il nostro ultimo
bacio ti aveva causato un crisi di
nervi. “Troppo freddo”, avevi gridato.
“Vuoi stare lontano dalla finestra
perchè ti vergogni di me, perchè non
vuoi che il mondo ci veda insieme.
Ma cosa vuoi che veda, il mondo? Due
persone incatenate dall’abitudine,
senza sentimento, senza un briciolo
di identità, abbandonata per strada
man mano e portata via dal vento o
calpestata dai passanti. Ora vorrei
soltanto andarmene, ritrovare me
stessa e ricominciare a vivere.”
E così ha fatto. Non ho più pace, da
quel giorno. Vago senza speranza, con
l’immagine di lei stampata negli occhi.
E’ una sorta di rischio professionale
per le anime gemelle: una non vale
molto, senza l’altra.
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
21
Racconti
STORIE DI RORSCHACH #2
continua dallo scorso numero...
di Andrea Sarassi
U
n tepore alcoolico mi
appesantisce gli occhi fissandoli sulla
foto e, soprattutto,
sulla donna. Chissà
chi sarà mai stata; a
giudicare dalla data potrebbe essere una parente di questo cupo
barista che, muto, mi serve da
bere oppure, persino, un suo vecchio amore. Pensare alla felicità
altrui, sebbene antica, mi sveglia
improvvisamente e inizio a sollevare gli occhi dalla cornice. Il
lento ma progressivo sollevarsi
del mio sguardo coincide con una
brusca e progressiva presa di coscienza a al punto che, quando
oramai il volto di Alberto è ben
centrato nel mio campo visivo, ho
riconquistato perfettamente la
padronanza di me stesso. Ora gli
occhi blu dell’uomo sono piantati
nei miei e per un lungo ma singolo istante intravedo quella che
potrebbe essere l’ultima onda
del mare della sua anima. Devo
sembrare particolarmente ubriaco perchè Alberto, sorridendo,
distoglie lo sguardo e dice: « Ti
vedo allegro, perfetto. Adesso
possiamo parlare di affari. Rammenti il mio viaggio di due anni fa
a Barcellona?» Annuisco.« Beh,»
continuò «in quell’occasione mi
accadde un’esperienza davvero
singolare. Il mio datore di lavoro,
mecenate teatrale, mi raccomandò di andare al teatro ‘De Libertad’ per assistere e recensire la
performance di un’attricetta del
luogo, una tale Carmen Esperanca....Insomma, assistei allo spettacolo e ne rimasi meravigliato!
Quale pathos! Quale interpretazione!...». «Cosa c’entra tutto
questo con me?» lo interruppi
bruscamente, «Fammi finire, per
favore» soggiunse TRUCEmente e
22
L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
poi continuò «Tutta questa storia
ti riguarda per un semplice e strabiliante motivo. Per quanto possa
sembrare assurdo e incredibile, ti
giuro che quell’attricetta da due
soldi è la sosia perfetta della tua
donna! Carmen è del tutto uguale
a Lumiè!». Nei pochi istanti che
seguirono a questa frase l’alcool
che avevo ingerito ribollì nelle
vene e mi uscì dalla bocca sotto
forma di parole di ira «Ma come ti
permetti?! Non osare prendermi in
giro! Quella donna non può essere
lei! Non può! Sai benissimo che
Lumiè si è trasferita in qualche
città francese a me sconosciuta
ed è per questo motivo che ora mi
trovo a Gràs». Alberto scosse la
testa in segno di dissenso e immediatamente mi riprese « Questo è
quello che sapevo e pensavo anche
io, ma, credimi, non è così. Credi
forse che tirerei in ballo questa
storia se non fossi del tutto sicuro
di quello che ho visto? Sapevo non
mi avresti creduto per questo ho
portato una prova». «Quale prova?!» tuonai io; «Una foto: guarda
e convinciti» disse e, immediatamente dopo, mi allungò la fotografia. Vi era ritratta una giovane
donna inchinata su un grande palcoscenico in direzione del pubblico in atti di giubilo e festa.
Nonostante la posa oscurasse un
poco le sue fattezze, il volto e
le sembianze della donna si distinguevano perfettamente e....
Lumiè! Quella donna o era Lumiè
o l’esatta sua copia! Mentre ammiro sbalordito la foto in cerca di
qualche differenza che possa confutare i fatti, Alberto finalmente
mi espresse la proposta di lavoro
per cui mi aveva incontrato: « Io
non sono completamente certo
che sia lei, ma sicuramente questa faccenda merita una conferma.
Ho parlato col mio capo che, col
falso pretesto di aver io trovato
nell’attrice un grande talento e
di voler, perciò, rivederla, mi ha
concesso un altro viaggio a Barcellona. Ecco, io questo viaggio lo
dono a te. Avrai una settimana di
tempo per incontrarla e scoprire
se è davvero lei la donna che agogni tanto. Te la senti?». Avevo gli
occhi ancora incollati sulla foto
quando questa proposta mi scosse
letteralmente dallo sgabello. In
un attimo un miscuglio di brutte
sensazioni e ricordi mi balenò in
mente e si trasformò in una singola e ben precisa volizione, un desiderio che solo una parola poteva esprimere « Si». Si, si si si si!
Avevo deciso! Forse per la prima
volta nella mia strana e disperata
vita avevo deciso, e sapevo esattamente cosa fare! Dovevo andarmene, partire e lasciare tutto e
tutti, solo per inseguire il sogno
di una donna, della mia donna.
Un sogno che così inaspettatamente aveva fatto capolino nel
mondo reale e che mi avrebbe
finalmente dato la svolta che aspettavo. Ognuno sa cosa lo rende
felice, ognuno sa dove rifugiarsi
nei momenti di crisi. Da quel giorno anche io lo scoprì e, da allora,
io non fui mai più lo stesso.
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
23
sport
ANOTHER
DANCE
IS IT THE LAST?
di Marco Recano e Filippo Lagomaggiore
G
ara-6, 18 Giugno 2013,
American
Airlines
Arena, casa Miami
Heat. San Antonio
è avanti nella serie
finale per 3-2 e nel
punteggio per 95-92 a pochi secondi
dalla sirena. La tripla della speranza
di LeBron James va ad incocciare
sul ferro prima e sulla tabella poi,
rimbalzo per Bosh, palla della
disperazione scaricata all’infinito
Ray Allen che arretra nell’angolo,
e tira in precario equilibrio:
ciuf. 95 pari a 5.2 dalla fine. Il
contraccolpo psicologico è troppo
forte e gli Spurs perdono la partita
all’overtime e il titolo NBA in gara 7.
“The end of an era”, tuonano nei
giorni successivi i principali giornali
sportivi Usa. Tutti hanno pensato:
“questa era l’ultima chiamata,
ora il telefono dell’Nba riattacca e
rivedranno i titoli solo nei dvd”. Ma
non si può chiudere così, non si può
continuare a sognare gara-6 tutte le
notti: una rivincita è obbligatoria,
bisogna provarci un’altra volta,
questo è l’unico pensiero degli Spurs.
La vera storia della franchigia del
Texas inizia nel 1996 (sebbene
gli annali dicano 1967), anno che
coincide con l’avvento sulla panchina
24
L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
dei neroargento di Gregg Popovich (Ginobili) si sono allora guardati e
che, scegliendo Timothy Duncan al chiesti: “why not?”: che sia il 2014
Draft del 1997, e non solo, cambia “the last dance”, una rivincita
per sempre la storia della squadra. è obbligatoria, bisogna prpvarci
Nel 1999, infatti, gli Spurs un’altra volta. E cosí la regular
conquistano il primo anello della loro season 2013-14 dice 60 vittorie - 22
storia grazie alla coppia composta sconfitte, secondo miglior record
dal caraibico e da David Robinson. di franchigia di sempre; vincitori
Coach Pop prende poi con sè nel della Western Conference, record
2001 il francese Tony Parker e nel dell’intera lega e testa di serie
2002 l’argentino Emanuel Ginòbili, numero 1, per l’ennesima volta, ai
due scelte che si rivelano visionarie: playoffs. Gli Spurs sono tornati e lo
è grazie a loro (e a Tim Duncan) che dimostra il loro gioco: Parker se non è
gli Spurs vincono
il miglior playmaker
i titoli del 2003,
della lega, è il
2005 e 2007. Di lì in
primo a parimerito
Ma non si può
poi, i “vecchietti”
con chi volete. Di
chiudere così,
neroargento
fianco a lui, Danny
non si può
vengono dati ad continuare a sognare Green continua a
ogni inizio stagione gara-6 tutte le notti: tirare a ripetizione
per
finiti,
e
dall’arco:
dalle
una rivincita è
durante ogni postFinals
dell’anno
obbligatoria,
season riescono a
scorso non ha più
bisogna provarci
far ricredere gli
smesso.
Con
il
un’altra volta,
scettici;
accade
numero 3 gioca
questo è
questo fino al giugno
Kawhi
Leonard:
l’unico pensiero
2013, al termine di
braccia
tentacolari,
degli Spurs.
quella che doveva
capacità di marcare
essere
l’ultima
indifferentemente
stagione, sublimata dall’ultimo qualsiasi avversario e una grande
titolo, la ciliegina sulla torta. Il motivazione: gioca a basket per
destino, invece, era diverso. Il il padre, ucciso nel 2008, mentre
9 (Parker), il 21 (Duncan) e il 20 lavava la macchina da non-si-
sa-chi. L’ala grande è sempre,
“infinitamente, meravigliosamente”
Tim Duncan, giunto alla sua 17esima
stagione Nba: 14 volte All-Star,
leader di franchigia per punti,
minuti giocati e rimbalzi catturati, è
stato nominato da Sports Illustrated
“Miglior giocatore della decade
2000-2010”. Lui può tutto e con la
sua leadership continua a guidare
i compagni: la palla in mano a
“Timmy” equivale a “money in the
bank”. Il centro è quel Tiago Splitter
passato agli albori della cronaca
sportiva più per un monster block
ricevuto da LeBron James la scorsa
stagione che per propri meriti: sul
fatto che sia un buon giocatore non
ci sono dubbi, che non sia al livello
dei compagni di quintetto, pure.
Il segreto dei neroargento, però,
sta in panchina: sí, perché oltre a
Pop (eletto coach dell’anno per la
terza volta dopo il 2003 e il 2012),
in panchina siedono sua maestà
Manu Ginobili, guardia “di riserva” e
“sesto uomo” del secolo, Boris Diaw,
un francese con la passione per la
buona tavola e con mani da principe
del parquet, Patty Mills, “nano” di
1.83 che ha più punti nelle mani di
¾ dei playmaker titolari della lega,
e Marco Belinelli, orgoglio italiano
nell’Nba, vincitore del Three-Point
Shootout all’All Star Saturday. Al
primo turno dei playoffs gli Spurs ora
hanno trovato i Mavericks di Ellis e
dell’infinito Wunder-Dirk Nowitzki:
ogni serie però è complessa, sarà
veramente dura, soprattutto se si
pensa che “Timmy”, l’uomo della
cui carriera si parlerà anche fra
200 anni, l’uomo che ha dato alla
pallacanestro quanto i Beatles hanno
dato alla musica inglese, ha 39 anni.
Forse non arriveranno in finale, gli
altro sono più giovani e prestanti,
ma una rivincita è obbligatoria,
bisogna provarci un’altra volta. E
poi, chi ha detto che questa debba
essere per forza “The Last Dance”?
Un ringraziamento speciale va alla
pagina Facebook “La Giornata Tipo”,
fonte di ispirazione per l’articolo.
Follow us on Twitter:
@FLagomaggiore
@Marcorek96
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
25
vari e
26
L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
LA VOSTRA
BAKEKA
Se vuoi pubblicare un
messaggio in bakeka,
lascia un biglietto
nella scatola dell’Oblo’...
la trovi in ingresso
presso il banco
della signora
Elena.
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
27
vari e
ostriche
senza perla
Quanto spesso quei signori che vogliono parire dotti e ineccepibili ai
vostri occhi si tradiscono nel modo più brutale ed esilarante? Inviaci
a nche tu le peggiori frasi dei TUOI prof...
SUL FUTURO DEGLI STUDENTI
Prof: Quindi voi avete scelto medicina eh?
X, Y, Z: sì!
Prof: Prima bisogna vedere se medicina ha scelto voi!
A MAGGIO SUL LIBRETTO DEI RITARDI INIZIA A COMPARIRE
“Non è suonata la sveglia”
“Dormivo”
“Stavo facendo un sogno bellissimo: era domenica”
DURANTE LA LEZIONE DI STORIA
Prof: Gli Aztechi non conoscevano la ruota...al che uno si domanda se non fossero scemi...
DURANTE LA LEZIONE DI ARTE
Prof: Gli artisti più importanti di questo periodo sono Raffaello, Michelangelo e Leonardo...come le tartarughe ninja!
COME CATTURARE L’ATTEZIONE DELLA CLASSE...O FORSE NO
Prof, parlando di Ludovico Gonzoga che se la spassava con le donne: Ma neanche quando parlo di sesso
state più attenti?!?
NON C’E’ PIU’ TEMPO
Prof: X quando pensi di farti interrogare, il 9 di Giugno???
X: Prof siamo al 9 di Maggio, c’è ancora un mese!
Prof: E allora perchè non andiamo tutti quanti allo zoo comunale?
PROBLEMI DI ALLERGIA
Prof (che continua a soffiarsi il naso): Ragazzi non sono cocainomane.
PROF CHE NON CE LA FANNO PIU’
Prof (a X beccato col cellulare): metti via il cellulare!
Y: E certo, ad alcuni lo ritira e ad altri no....
Prof: Ti ritiri tu tarataratà!
FISCHI PER FIASCHI
Prof a X:Ti risento la prossima volta, ma vedi di cambiare atteggiamento!
Y: Prof non la viva male, è solo un po’ iraconda...
Prof: Eh certo, un’anaconda!!
IRONIA DEL PROF
X (interrogato in greco): E questo verbo significa “parlare”...
Prof: AHAHAHAHA no.
VERSIONE IN CLASSE
Prof: Questa versione si intitola “il citaredo”, che era colui che suonava la cetra.
X:Prof mi scusi chi era il citaredo?
Prof: Colui che suonava la cetra.
Y: Prof chi era il citaredo?
Prof: Colui che suonava la cetra
Z (leggendo “o cutaredos”): Prof mi scusi ma Ocutaredos era una persona?
28
L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
tweet anatomy
Verba volant, screenshot manent...
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
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30
L'Oblo' sul Cortile | Anno VIII, n° 5
preside
pasqua è passata da un pezzo ma la succulenta foto che è arrivata in redazione dal paese delle uova di
cioccolato non potevamo non pubblicarla! pare che il preside si sia rifugiato quaggiù durante le sue vacanze...
vari e
i
ch
g io
Il cadavere di una donna è ancora riverso sul marciapiede. Ci sono quattro
uomini indiziati per l’omicidio. Alle prime domande della polizia rispondono
ANTONIO: Ho visto Carlo e Dario sul luogo del delitto, quindi uno di loro è
l’assassino.
DARIO: è stato Bernardo. L’ho visto mentre fuggiva.
CARLO: è stato Dario. L’ho visto sparare.
BERNARDO: Non sono stato io.
Se solo l’assassino ha mentito, chi è il colpevole?
Aprile - Maggio 2014 | L'Oblo' sul Cortile
31
come ogni anno, in occasione del festival del giornalismo, si è tenuto a perugia il
convegno italiano di stampa studentesca.
come ogni anno la redazione dell’oblò ha partecipato con alcuni suoi membri per
presentare il giornalino al di fuori delle mura scolastiche e confrontare il proprio
lavoro con quello di altre redazioni studentesche di tutta italia.
come ogni anno è stata un’occasione per imparare molto e conoscere persone nuove.