Il «dramma» dei preti cattolici
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Il «dramma» dei preti cattolici
Nuovo Oggi Martedì 30 Gennaio 2007 E’ STATA una via diversa dal solito quella scelta dal Teatro Palladium per celebrare la Giornata della Memoria, il giorno in cui viene ricordata la liberazione dei prigionieri dal campo di sterminio di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio di 62 anni fa ad opera dell’Armata Rossa. In programma sabato scorso nello spazio teatrale della Garbatella la proiezione di un film incentrato sull’atrocità dei campi predisposti dai nazisti per "ripulire" il mondo da tutti quegli individui considerati "indesiderabili". Ma al centro della pellicola non c’erano gli ebrei, come normalmente si tende a credere quando si pensa ad un lungometraggio che tratti della Shoah, bensì l’olocausto dei religiosi. Sono infatti i preti i protagonisti de "Il nono giorno", la pellicola firmata da Volker Schlondorff, regista tedesco noto al pubblico italiano soprattutto per "Il tamburo di latta", lavoro del 1979 tratto dall’omonimo romanzo di Gunter Grass e premiato a Cannes con la Palma d’Oro e ad Hollywood con l’Oscar per il miglior film straniero. Basato sul diario di Jean Bernard, "Il nono giorno" racconta l’esperienza autenticamente vissuta da questo sacerdote lussemburghese arrestato dalla Gestapo ed internato a Dachau in quanto persona "scomoda": il religioso, allora trentaquattrenne, non approvava infatti l’annessione del suo Paese fatta da Hitler. Quando pensava di essere ormai prossimo alla fine, Padre Bernard scrisse le pagine che hanno ispirato il film, un diario che sconvolge per l’acuto contrasto tra la pacatezza dello spirito del religioso e il racconto minuzioso delle atrocità di cui egli è stato vittima e testimone a Dachau. Nel film la sua esperienza è resa dal personaggio di Henri Kremer. Dopo oltre un anno di prigionia, il prete cattolico viene fatto uscire dal campo; ma non si tratta di una liberazione definitiva, bensì di una breve "vacanza" di nove giorni, durante la quale deve compiere una missione per conto della Gestapo: gli viene chiesto di adoperarsi affinché la sua diocesi si convin- LITORALE SPETTACOLI L’attore Ulrich Matthes Una scena del film «Il nono giorno» Il regista Volker Schlondroff 7 innocenti, se persisterà nel portare avanti le proprie convinzioni? Un tremendo conflitto di coscienza magnificamente reso sul grande schermo grazie al felice incontro di un regista elegante ed incisivo come Volker Schlondorff e un attore del calibro di Ulrich Matthes. Una curiosità: Matthes è lo stesso interprete che ha indossato i panni di Joseph Goebbels ne "La caduta", il film di Oliver Hirschbiegel sugli ultimi giorni di Hitler. «Ha detto di essere stato felice di poter fare il mio film per liberarsi dell’energia negativa che gli era rimasta addosso, una sorta di "purificazione"», racconta in tono scherzoso Schlondorff. Ci sono tante croci, ne "Il nono giorno". Quelle votive, fatte con un pezzetto di fil di ferro ritorto, posate sui tavolacci dei campi di internamento per ricordare a se stessi che si è ancora uomini e che, nonostante l’orrore che si eleva tutt’intorno, Dio non è morto. E quelle di legno, pesanti, enormi, fatte trascinare in spalla dai religiosi torturati e su di esse issati, con una corona di spine sul capo, in un una sorta di metamorfosi immediata e sconvolgente tra il corpo del sacerdote-testimone e quello del Cristo testimoniato. E ce ne sono poi altre, che pendono dal collo di quei prelati che non hanno ritenuto di trovare contraddizione alcuna tra il pensiero di cui esse sono simbolo ed altre croci, quelle uncinate, non sempre viste come nemiche del messaggio evangelico. Il volto di Ulrich Matthes, scavato fino all’inverosimile, gli occhi scuri e lucenti che sembrano interrogare febbrilmente l’orrore su cui si posano, è una maschera straordinaria, che ci restituisce in pieno la sofferenza di ogni creatura che ha dovuto subire l’indicibile, ma in grado anche di trasmettere allo spettatore la stupefacente forza interiore del personaggio che ha ispirato il suo ruolo: la fermezza di una convinzione, il coraggio che deriva dal possedere una fede incrollabile; la bellezza, in sostanza, di un cammino terreno che trova un senso superiore. Aurora Acciari Il film del regista tedesco, realizzato nel 2004, arriva in Italia Il «dramma» dei preti cattolici Al Palladium della Garbatella presentato «Il nono giorno» La pellicola ispirata alla vera storia di Padre Bernard Dall’Università Roma Tre una valida risposta alla richiesta di spazi per pellicole di qualità «Il nono giorno», la genesi del lungometraggio Il premio Oscar Schlondorff racconta come è arrivato al mondo del cinema «SPESSO mi hanno chiesto: ’Perché voi tedeschi non fate film sui campi di sterminio?’. Dapprima ho pensato che fosse per pudore; poi ho capito che poteva essere per vigliaccheria». Volker Schlondorff spiega le ragioni che l’hanno portato a girare nel 2004 un film come "Il nono giorno", la cui storia è basata sui diari di Jean Bernard, un sacerdote lussemburghese rinchiuso a Dachau. «Da ragazzo mi recai in Francia, in un collegio di Gesuiti, per studiare la lingua; doveva essere un soggiorno di due mesi, alla fine sono rimasto tre anni. Ricordo che mi fecero veder subito "La passione di Giovanna d’Arc" di Theodor Dreyer. E furono loro ad incoraggiarmi a fare cinema. L’incontro con questi religiosi fu una cosa straordinaria. Quando ho visto le pagine scritte da Padre Bernard, ho capito che era arrivato il momento di restituire il ca a collaborare con i nazisti. Se accetta, godrà della libertà; se si rifiuta, i suoi familiari e i suoi amici periranno. Cosa farà il religioso? Sceglierà di tradire la propria coscienza, pur di aver salva la vita e non favore: dovevo fare un film con un prete». «Anche dopo essere uscito da Dachau - sottolinea Schlondorff quest’uomo ha mantenuto intatta la caratteristica descritta nel film: il coraggio». Sembra quasi superfluo sottolineare come la pellicola di un artista come Schlondorff, autore peraltro del premio Oscar "Il tamburo di latta", sia assolutamente da vedere; uno di quei titoli che meritano di occupare un posto d’onore sugli scaffali di una lista virtuale di film dedicati alla Shoah. Eppure, sono pochi coloro che l’hanno potuto vedere; specialmente spettatori spagnoli e statunitensi. Il film, nonostante gli innegabili valori di contenuto e di stile, non è stato ritenuto "interessante" da chi ha il potere di farlo vedere nelle grandi sale. E’ la stessa maledizione condivisa da altri capolavori. Pensiamo ad esempio a "Il pianeta azzurro" macchiarsi della morte dei suoi cari? O sceglierà di rimanere fedele alle proprie convinzioni? Il film, dunque, parla degli orrori della Seconda Guerra Mondiale ma, nello stesso tempo, affronta un tema di respiro di Franco Piavoli, per far vedere il quale Agosti ha dovuto addirittura aprire un cinema ad hoc, pena la completa invisibilità dell’opera. Ecco perché è importante ricominciare a pensare a spazi adeguati dove poter far vedere il cinema di qualità. E l’Università Roma Tre, con il palcoscenico del Palladium, offre in tal senso una valida risposta. Termina con una riflessione che non ti aspetteresti, da uno che ha fama di ’autore impegnato’ come lui: «Per molto tempo - dice Schlondorff - sono stato attratto dal lato ’militante’ dell’arte. Ma adesso ritengo che non ha alcuna importanza se si è cristiani, musulmani, atei, marxisti, democristiani o quant’altro. Le ideologie sono tutte sbagliate. Quello che conta è l’umanità delle persone. Il ’politico’ non mi interessa più». Aur.A. più universale: quello, etico, della scelta. Un uomo si trova dinnanzi ad un tremendo dilemma: che valore darà in questa situazione ai propri ideali? Quanto conteranno, nella valutazione di ciò che è giusto o non è giusto fare, l’umano desiderio di sopravvivere ma anche - e questa è la "complicazione morale" presente nella storia narrata - il terribile senso di colpa che deriverà dal macchiarsi del sangue di diverse persone