Documento della Direzione Nazionale delle ACLI sui referendum

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Documento della Direzione Nazionale delle ACLI sui referendum
Documento della Direzione Nazionale delle ACLI
sui referendum relativi alla legge 40
Roma, 5.5.2005
La vita non è bipolare
La prossima scadenza referendaria del 12 giugno riguardante la Legge 40/2004, va anzitutto
sottratta alle logiche di schieramento riconducibili al cosiddetto bipolarismo etico. L’approccio
referendario corrisponde ad un semplicistico e indebito trasferimento dello schema bipolare
politico nel campo delle opzioni di bioetica.
Un’analisi culturale più approfondita e una visione scientifica più puntuale delle questioni
riguardanti la fecondazione medicalmente assistita bastano a definire un campo problematico di
tale complessità da far apparire fuorviante il volerlo affrontare mediante uno strumento per sua
natura semplificatorio qual è il referendum abrogativo. Occorre disfarsi degli schemi riduttivi e
delle logiche di contrapposizione binaria (scienza contro etica, laici contro cattolici,
permissivismo contro integralismo etc). Sono queste logiche a guidare la scelta referendaria, sia nel
metodo (cioè nella scelta dello strumento) che nel merito ( nei contenuti dei quesiti referendari
v. allegato).
Occorre recuperare una visione più libera, meno ancorata a schemi interpretativi vecchi, magari
legati a passate stagioni ideologico-politiche nelle quali il confronto tra coscienza religiosa e scelte
politiche avveniva nel quadro di un’unità politica dei cattolici, oggi tramontata.
Occorre infine riconoscere che questi schemi sono del tutto inadeguati a fronte della vastità e
crucialità delle sfide che le biotecnologie lanciano all’etica, costringendola a misurarsi con le nuove
frontiere della vita.
La vita come nuova frontiera della questione sociale
La necessità di ripensare il rapporto tra etica e vita non è nata come un problema accademico. E’
entrata prepotentemente nella nostra quotidianità, insieme allo sviluppo delle conoscenze
scientifiche e delle loro applicazioni tecnologiche alla vita, allo spostamento dei confini finora
conosciuti dei processi vitali, del nascere e del morire.
E’ per questa dimensione concreta che definiamo la vita come “nuova frontiera della questione
sociale”, poiché essa attraversa e interpella tutte le dimensioni del vivere insieme, l’intera trama
delle relazioni che danno forma alla nostra convivenza, di oggi e di domani. Ed è ancora per questo
che, come ACLI, riteniamo questo aspetto decisivo in ordine alla necessità del nostro impegno,
radicata nel nostro “dna” originario.
L’incremento esponenziale di tali conoscenze/applicazioni ha progressivamente ridotto il dominio
della natura sulla vita. La sfera delle nostre possibilità di intervento si è enormemente ampliata e
di conseguenza ne risulta dilatata la problematica etica.
La vita sembra offrirsi al campo sterminato delle possibilità umane, diventa problema e questione,
non è più un“dato” ancorato ad una Natura immodificabile.
Di qui le nostre responsabilità inedite nei confronti della vita, a fronte di possibilità impensate
di intervenire nei suoi domini, nei suoi più segreti processi.
Dobbiamo essere consapevoli della novità della sfida per prendere coscienza della sua decisività
anche per il futuro. Dobbiamo essere anche consapevoli che i tempi della scienza e quelli della
riflessione etica non coincidono, specialmente in fasi di accelerazione scientifico-tecnologica
quali quelle a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni. Diventa scientificamente possibile quello
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sulla cui legittimità e ricaduta etica ancora non abbiamo riflettuto . Non come singoli individui, ma
come “famiglia umana”.
Occorre superare questo scarto tra conoscenza e coscienza, tra saperi e valori, a partire dalla
persuasione che ciò che è scientificamente possibile non è per ciò stesso eticamente legittimo e
dunque umanamente auspicabile.
La decisività delle questioni qui evocate, e dunque anche quelle che fanno da sfondo alla Legge
40, come del resto sta a significare il suo travagliato iter legislativo, deve inoltre fornirci qualche
elemento di riflessione sulla congruità e opportunità di soluzioni affidate alla libertà di coscienza,
intesa come “tribunale” personale e privato a cui affidare l’ultima parola.
Questo non significa negare il valore della coscienza, poichè è chiaro che è la coscienza ad essere
interpellata in prima e ultima istanza, tuttavia è altrettanto evidente che la vita come questione,
ovvero come complesso di problemi aperti dallo sviluppo scientifico-tecnologico, tende ad
assumere sempre di più una rilevanza pubblica, dal momento che è necessario un ethos condiviso,
condivisibile e comunicabile rispetto a scelte che investono il futuro dell’umanità, e non di questo
o quel modello culturale e politico.
In altri termini, la bio-etica tende a configurarsi come bio-politica, con tutti i rischi e le ambiguità
che questo comporta, e tuttavia con l’impossibilità di sottrarsi a scelte e pronunciamenti pubblici. Si
tratta di dare valore alla politica, per non far prevalere in questo campo l’individualismo radicale,
che riconduce tutto ad un individuo irresponsabile, senza legami e senza vincoli.
No ad una visione privatistica delle questioni bioetiche
La legge 40/ 2004 è intervenuta a regolamentare il campo delle biotecnologie applicate alla
fecondazione rimasto a lungo nel nostro Paese, com’è noto, privo di riferimenti normativi. Il ritardo
di questa regolamentazione, mentre da un lato è rivelatore delle difficoltà che lo stesso legislatore
ha trovato ad esprimersi su una materia così complessa, ha favorito lo sviluppo di un mercato
riproduttivo senza regole, un vero e proprio “Far West”. A questo ha innanzi tutto inteso rispondere
la Legge suddetta.
I limiti previsti dal suo articolato ai “diritti riproduttivi” sono stati all’origine del movimento
referendario che li ha ritenuti lesivi della “salute riproduttiva”, in particolare delle donne e portatori
di una sorta di “crudeltà” (è l’espressione ricorrente) nei confronti dei loro desideri di maternità
nonchè delle possibilità terapeutiche che la scienza ha aperto rispetto a gravi malattie, attraverso
l’uso degli embrioni e delle loro cellule staminali.
L’accusa ricorrente mossa alla Legge 40 dai suoi oppositori e dal fronte referendario è stata quella
di oscurantismo, sia perchè limitativa dei diritti riproduttivi (anzi della salute riproduttiva delle
donne e delle coppie) sia perchè conflittuale rispetto ai diritti della ricerca scientifica, coincidenti
per giunta con i diritti dei malati, condannati da questa limitazione.
Tale oscurantismo, com’è noto, è stato semplicisticamente interpretato, nell’attuale scontro
referendario, come una nuova edizione del conflitto tra laici e cattolici, anzi tra Stato e Chiesa.
Su questo punto appare opportuno riflettere sulla circostanza che in realtà la Legge 40 rappresenta
non già una visione cattolica della fecondazione assistita, ma piuttosto un compromesso e una
mediazione rispetto a posizioni di principio che ne rifiuterebbero anche questo impianto, come è
stato più volte rilevato.
Un’analoga riflessione, pacata e lontana dalle logiche propagandistiche, andrebbe fatta a proposito
dei bisogni delle donne e delle coppie. Ci si potrebbe utilmente interrogare (fermo restando il
legittimo desiderio di maternità e di genitorialità, che si accompagna a vicende talora drammatiche
e comunque dolorose, a esperienze e vissuti che vanno rispettati) sul rapporto tra desiderio e diritto,
sul cortocircuito tra bisogni e diritti che rappresenta un connotato della nostra cultura e dei suoi
modelli dominanti. In altri campi, a questo proposito, le ACLI si sono espresse più volte in modo
critico.
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Per quanto riguarda la questione, in particolare, del desiderio di maternità, a cui le tecniche di
fecondazione assistita rispondono, vale la pena chiedersi perché, in tante argomentazioni che sono
state avanzate nel dibattito referendario a nome delle donne, non sono apparse alcune acquisizioni
proprie del pensiero femminile . Ci riferiamo a quella scienza del limite, divenuta anche
coscienza, che nel punto di vista femminile è stata spesso contrapposta alla scienza onnipotente ,
frutto di un pensiero ritenuto tipicamente “maschile”. Questo binomio scienza/coscienza, per altro,
ha caratterizzato altri versanti del pensiero politico-culturale, quali quelli attinenti
all’ambientalismo e alla riflessione sulla sobrietà e sullo sviluppo sostenibile.
L’interrogativo riguarda infatti proprio il limite e la sostenibilità etica di questi diritti riproduttivi,
quando essi si ispirino ad un’etica individualistica di tipo radicale e ad una visione “privatistica”
delle questioni bio-etiche.
La vita è relazione
Biologia ed etica su un punto appaiono sorprendentemente convergenti: l’ orizzonte relazionale
entro cui si inscrive l’intero processo vitale, fin dalla sua origine.
La vita umana nasce e si sviluppa in un contesto di relazioni, che la rendono biologicamente
possibile e simbolicamente significativa. La trama di queste relazioni - a partire da quella madrefiglio e da quella, non meno originaria, uomo-donna - è quella in cui si costituisce il senso, la storia,
l’identità e l’unicità della vita di ogni persona.
Questa relazionalità dovrebbe pertanto costituire anche il valore di riferimento per le scelte etiche
che riguardano la vita umana. Dobbiamo essere consapevoli che in queste scelte non sono mai in
gioco solo problemi parziali o immediati, ma il modello antropologico a cui ci riferiamo o che
prefiguriamo. E’ opportuno ricordare, a questo proposito, che il nostro modello non può non
coincidere con quello dell’antropologia cristiana, che vede nell’amore, ovvero nella capacità di
essere in relazione con l’altro, il suo fondamento.
Da questo punto di vista, l’aver evocato - in questa legge - i “diritti dell’embrione” va al di là della
questione dell’inizio del suo essere persona, ma piuttosto si colloca in questa istanza di tenere
presente, in tutta la sua complessità, l’orizzonte relazionale che viene chiamato in causa dal venire
al mondo e dall’esservi chiamati.
Escludere da questa realtà il figlio, che è poi il soggetto debole, e guardarla esclusivamente
nell’ottica del “diritto riproduttivo” dei genitori appare eticamente parziale e perfino unilaterale.
Anche in questo senso vanno comprese le critiche alla fecondazione eterologa, che uno dei quesiti
referendari vorrebbe ripristinare: essa viene a negare - in forza di questa unilateralità- al figlio il
diritto a conoscere la sua origine nella figura genitoriale oscurata nell’anonimato tecnologico.
A partire da queste considerazioni, possiamo individuare il criterio per limitare l’onnipotenza
scientifica o meglio scientista: non si tratta di negare valore alla scienza, di chiuderci al dialogo e
al confronto con il sapere scientifico, ma di volerne contenere le pretese illimitate nelle questioni
che investono la vita umana, dove appare decisivo il valore della relazionalità, alla cui luce
valutare appunto ciò che è scientificamente possibile in ordine al bene relazionale che ne deriva.
Si tratta di una posizione eminentemente dinamica, e non conservatrice o ciecamente difensiva.
Non andare a votare: una scelta attiva e responsabile
La scadenza referendaria ci obbliga dunque ad un’ attenta disamina del merito delle questioni e del
metodo con cui le si intende affrontare.
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Sulle questioni di merito, rinviamo all’analisi più dettagliata dei quesiti referendari e dei loro
contenuti, prospettata nelle schede allegate a questo documento.
Le riflessioni qui esposte hanno inteso soprattutto richiamare alcune questioni di cornice, per dire
così, preliminari, legate al senso delle problematiche evocate dalla Legge 40.
Da esse risulta chiara almeno la complessità della materia, negli stessi contenuti scientifici,
giuridici e legislativi, e nel dibattito che ne è scaturito.
Dovremmo assumere nei confronti della questione della vita umana e del processo del suo
sviluppo, a partire dallo stato embrionale, almeno un atteggiamento, di prudente rispetto, analogo a
quello che ci fa guardare con preoccupazione alle manipolazioni degli organismi naturali. Appare
paradossale che la nostra sensibilità per la questione degli OGM e le precauzioni che invochiamo
negli interventi in questo campo, scompaiano di fronte a ciò che così decisivamente interviene nella
vita dell’essere umano. L’ottica precauzionale appartiene a buon diritto ad un atteggiamento
razionale e ragionevole, autenticamente scientifico.
Ulteriori considerazioni bastano a far comprendere l’inadeguatezza dello strumento referendario.
La finalità abrogativa di tale strumento non può che produrre risposte schematiche e semplificate
(sì/no). Quando lo stesso strumento, come avviene ormai da molto, viene piegato ad una funzione
propositiva, cioè con l’intento di sostituire, di fatto, un’azione legislativa e un iter parlamentare
capace di ben altre mediazioni, anche di posizioni e sensibilità politico-culturali molto distanti, si
producono guasti e contraddizioni palesi, come per altro accade anche per gli attuali quesiti
referendari. Occorre ribadire che questa deriva referendaria ha finito con lo svilire lo strumento del
referendum e tradire lo stesso spirito della sua presenza nel dettato costituzionale. Dire “no” a
questa deriva e in questo preciso caso non segna un cambiamento di posizione delle ACLI, ma
significa rifiutarsi ad un uso improprio della democrazia diretta, che viene piegata a svolgere
surrettiziamente una funzione legiferatrice, che è invece compito degli organismi parlamentari.
Significa ridare la parola alla politica come luogo di mediazione e di sintesi.
Da qui l’opportunità e la congruità della scelta di non andare a votare. Non è una scelta
rinunciataria, né facile. Si tratta di una scelta legittima, come del resto è provato dall’esistenza
stessa del quorum previsto in questo tipo di consultazione elettorale.
Non andiamo a votare, ma non ci asteniamo in nessun modo dal pensare, dal discutere, dal
confrontarci e dallo scegliere.
La vita è per noi un valore da affermare nella concretezza, e non per via ideologica. Per questo
riteniamo, sulla scorta di un fondamentale monito del pontefice Giovanni Paolo II, che essa va
difesa insieme alla pace, alla libertà, al pane. Un “quadrante” di valori da difendere nella loro
profonda unità, con un impegno radicale e coerente.
Siamo dunque di fronte ad una scelta politica ed etica di grande rilevanza. Bisogna ridare alla
politica il suo compito e il suo profilo alto. Non andare a votare è il modo migliore per farlo.
Infatti, pur rifiutando lo stravolgimento di una legge che comunque, in quanto tale, è sempre
perfettibile e auspicando un impegno convergente verso il suo perfezionamento, riteniamo che il
dibattito non possa essere esaurito nella semplificazione di una demolizione referendaria, ma vada
approfondito con strumenti più pacati e costruttivi.
Occorre in altri termini riavviare una riflessione più ampia su questi temi della vita, che chiedono
un pensiero capace di radicalità e complessità.
Bisogna infine ricordare che la partecipazione alla vita democratica e l’esercizio dei diritti politici
hanno senso in quanto esprimono la libertà dei cittadini, la quale evidentemente ri-comprende
anche quella di non andare a votare come scelta attiva e responsabile.
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Allegato al Documento della Direzione Nazionale
sui referendum relativi alla legge 40
Quesito referendario n.1
Il divieto di compiere ricerche ed esperimenti
sull’embrione
In questo quesito il movimento referendario ha voluto esprimere il conflitto tra le ragioni della
scienza e della ricerca, i diritti dei malati e i limiti imposti dalla Legge 40 alla produzione di
embrioni “soprannumerari” rispetto a quelli che verranno effettivamente impiantati.
Il referendum vuole reintrodurre la possibilità del “congelamento” e la sperimentazione distruttiva
degli embrioni, nonchè la clonazione embrionale, ovvero la creazione di embrioni che siano “cloni”
del paziente adulto.
In realtà, le terapie oggi esistenti ricavate dalle cellule staminali riguardano solo le cellule
provenienti dagli adulti e dal cordone ombelicale. In questo ambito sono stati ottenuti risultati
scientificamente significativi.
Ai problemi sollevati da questo quesito si può rispondere in altro modo:
- è piuttosto necessario concentrare gli sforzi in questa seconda direzione di ricerca,
promuovendone lo sviluppo attraverso l’investimento di risorse economiche e umane, componendo
le necessità della ricerca per combattere il dolore e le malattie con tecniche rispettose della vita.
- si deve invocare almeno il principio precauzionale rispetto ad interventi di tecniche biogenetiche
che intervengono radicalmente nella vita umana
Quesito referendario n. 2
Il limite di tre embrioni destinati all’impianto
e l’accesso consentito alle sole coppie sterili
Questo quesito intende eliminare il limite (tre) degli embrioni prodotti per un unico immediato
impianto, nonchè il “principio di gradualità” nell’uso delle tecniche.
Esso inoltre vuole consentire il ricorso alla procreazione artificiale anche alle coppie di cui non sia
stata accertata la sterilità, dunque elimina il carattere terapeutico di “ultima istanza” della
fecondazione artificiale, rispetto alle altre cure oggi disponibili.
Vuole che sia consentito alle coppie di “ritirare il proprio consenso” all’impianto, anche dopo la
fecondazione artificiale.
Vuole consentire la selezione e l’eliminazione degli embrioni malati.
Ai problemi riguardanti questo quesito si può rispondere in altro modo:
- la stimolazione ovarica per la produzione di embrioni in numero “illimitato” è in realtà una
tecnica invasiva per la salute della donna
- la diagnosi pre-impianto consente di individuare solo una percentuale minima delle malattie
genetiche
- il “ripensamento” consentito alla coppia deresponsabilizza completamente chi accede alla
fecondazione artificiale
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Quesito referendario n. 3
I diritti del concepito
Questo quesito è sostanzialmente identico a quello precedente. Se ne discosta perchè aggiunge la
richiesta dell’eliminazione dell’art. 1, comma 1 della Legge 40. ovvero quello che riconosce tutti i
diritti dei soggetti coinvolti, compreso l’embrione.
Alla logica di questo quesito si può rispondere che
- l’eliminazione di questo articolo elimina in realtà un elemento fondamentale dell’assetto delle
legge. e non semplicemente un suo “particolare”
- assumere il “punto di vista” dei “diritti del concepito” significa prendersi cura del soggetto più
“debole”
- la considerazione dei “diritti del concepito” riguarda il riconoscimento del contesto relazionale
entro cui avviene il ricorso stesso alla fecondazione assistita, contesto che è alla radice della
responsabilità della coppia che vi ricorre
- l’eliminazione dei “diritti del concepito” finisce di fatto per cancellare i diritti di tutti i soggetti
coinvolti, compresi quelli degli aspiranti genitori, a cui fa riferimento l’articolo di cui si propone
l’abrogazione
Quesito referendario n. 4
Il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa
Questo quesito intende eliminare dalla Legge 40 il divieto di ricorrere all’utilizzazione di ovuli e
spermatozoi provenienti da persone estranee alla coppia.
Alla proposta di questo quesito si può rispondere
- la fecondazione eterologa nega al concepito il diritto di conoscere le proprie origini, conoscenza
fondamentale per ragioni psicologiche ma anche biologiche ( necessità dell’anamnesi della storia
sanitaria dei propri genitori per la cura di alcune malattie)
- vanno attentamente valutate le difficoltà frequentemente riscontrate all’interno della coppia
nell’accettazione di un figlio “biologicamente” solo di uno/a dei due
- è opportuno segnalare il ripensamento di alcuni Paesi in cui tale pratica è consentita, nei quali o
si è tornati sulla decisione o si è previsto l’obbligo di rendere noto il nome del donatore/della
donatrice
l’imparagonabilità della fecondazione eterologa con l’adozione, che pone rimedio ad una
situazione di abbandono di cui un bambino è vittima, laddove la fecondazione eterologa “produce”
figli che non conoscono uno dei propri genitori
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