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ANIMALI DA PELLICCIA Insospettabili segreti della brava gente di Lucania di Dino Nicolia I PARTE La birra di Ziza "Prepara o' café, per piacere", chiese a Ciaramella, trafelato. Poi si rivolse a Ziza, "te lo pigli pure tu?" "No, a me, dammi ‘na birra", rispose Ziza, che aveva davvero sete. "Cominciamo bene, `na birra di prima mattina", sorrise Pinuccio di Gina. In paese lo chiamavano cosi perché era figlio di Gina e, dato che il nome Pinuccio era alquanto comune a Bigliano, occorreva distinguerlo, facendo riferimento alla provenienza familiare. Sorrise anche Ziza. Ciaramella era di spalle, non sapeva se ordinare ancora del cordial. Il commesso sarebbe passato nella mattinata. "Dovrebbe consegnarmi un paio di casse, ma forse non basta". Ziza afferrò il bicchiere di birra con la mano destra e se lo portò sull'uscio del bar. Vide passare Zi’Nardo dall'altra parte della strada, sul marciapiede, appena rimesso a nuovo. Provò a chiamarlo con un fischio ma non rispose. Ziza lo chiamò ancora una volta, ma non più con un fischio. Capì che non sarebbe servito. Urlò, "Zi' Na', ‘na birra?” Zi' Nardo si girò dapprima dietro, poi guardò in alto, finalmente vide Ziza, che gli faceva cenno con la mano di avvicinarsi. Guardò di nuovo in alto, si batté due volte la mano sui pantaloni per pulirsela e si avvicinò. "Guagliò, sempre dentro a ‘sto bar", disse a Ziza. Poi si rivolse a Pinuccio di Gina, che si era 2 avvicinato, "…ma ‘na fatica quando se la trova?" Gli chiese, parlando di Ziza. "E che vuole trovà questo sciagurato", rispose Pinuccio di Gina. Poi lo indicò con il palmo della mano destra ed aggiunse, "non vedi che non tiene voglia di faticà". Ziza, che fino ad allora aveva sorriso ed aveva seguito in silenzio, continuando a sorseggiare la sua birra, si fece serio. Rientrò all'interno del bar, lasciando Zi’ Nardo e Pinuccio di Gina sull’uscio. Posò per un attimo la birra sul banco del bar e si girò verso Ciaramella, che, intanto, aveva smesso di occuparsi delle bottiglie di cordial. "Questi tengono voglia di sfottere", disse, a voce alta, facendo una breve torsione della testa, per indicare Pinuccio di Gina e Zi' Nardo. Riprese in mano il bicchiere di birra, attese ancora due secondi e si rimise a bere. "Ahhh!" Sospirò. La birra se la gustava per davvero. Lo si capiva dai rutti, che faceva seguire ad ogni sorso. Lui ruttava e gli altri ridevano. Ziza era un maestro del rutto. Nessuno era capace di farne tanti quanto lui. "Da queste parti, fatica non ce n'è, o' capite o no?" Aggiunse tra un rutto e l’altro. Mentre lo diceva, Ciaramella fece una smorfia. Ziza se ne accorse e chiese spiegazioni, "perché fai ‘ste mosse? Non è accussì come dico io?" "Qua non c'è fatica per chi non tiene voglia di faticà", rispose Ciaramella, scuro in volto. Per lui é naturale essere scuro in volto. Sembra un arabo con i tratti somatici che si ritrova. Gli occhi neri, lo sguardo intenso, le labbra pronunciate e la pelle scura, a 3 testimonianza del passaggio saraceno in terra lucana. Ha assistito a mille discussioni sul lavoro che non c'è e sulla voglia di fare che manca. come un confessore, sa tutto di tutti. Tutti a Bigliano sanno tutto di tutti, ma Ciaramella ne sa un po’ di più. Lo si intuisce dalle smorfie che fa, quando i suoi clienti parlano nel suo bar. Alza le sopracciglia, strabuzza gli occhi, muove le labbra in alto o in basso. Solo i biglianesi sono capaci di decifrare la sua mimica facciale. Come Ciaramella i Biglianesi comunicano senza parlare. Per sapere cosa Ciaramella pensi realmente basta seguire le espressioni del suo volto. Ziza lo sa e sa anche che Ciaramella non stima gli emigranti che hanno lasciato il paese per andare a cercare il lavoro lontano. Ha ancora meno stima di quelli, come Ziza, che il lavoro non ce l’hanno e non provano nemmeno a cercarlo. Gli emigranti sono egoisti e quelli come Ziza degli opportunisti. "Tu 'a fatica ce l'avevi. Non te la sei saputa mantenere e, una volta che l'hai persa, non ti sei manco sforzato di cercane 'nata bona". Ziza, invece, racconta un'altra storia. Non si offende quando Ciaramella gli dice che é uno sfaticato. Dice che lui ha provato a lavorare in fabbrica ma, purtroppo, non ci riesce. "Io non fatico per questi bastardi del nord. Non faccio arricchire questi stronzi dell’alta Italia, che vengono a rubare li soldi da noi”, disse guardando Zi’ Nardo, che continuava a parlare con Pinuccio di Gina. "Guaglio'…niente politica qua dentro", lo riprese immediatamente Ciaramella. "Tu prima mi sfroculi e poi non vuoi parlare. Sei uno strano tipo, Ciaramé". "Parla e dici quello che ti pare ma niente politica qua dentro. Io devo lavorare", ripeté seccamente Ciaramella. 4 "Allora lasciamo perdere ‘sto discorso che è meglio", aggiunse Ziza. "Non lasciamo perde' proprio niente", intervenne Zi' Nardo. "Per favore, Zi' Na', non vi ci mettete pure voi", implorò Ciaramella, "a Bigliano, di lavoro ce n'é talmente poco, che quel poco che c'é occorre difenderlo con le unghie e con i denti”. Gli stronzi dell'altra Italia ai quali fa riferimento Ziza sono i ladri legittimati dalla legge e dalla politica a fare carne di porco della regione. Per i biglianesi sono pur sempre meglio di niente ma Ziza li odia. Il problema è che Ziza detesta anche lavorare. Dunque, non si sa con esattezza se abbia scelto di non lavorare sulla base di un principio etico, legato al rispetto della propria terra oppure se la questione etica non sia altro che una brillante scusa per astenersi dal lavoro. "E come devi fà per mantené la famiglia?" Gli chiese Zi’ Nardo, con un tono serio. Ziza non rispose. Fece semplicemente un cenno con la mano, come per dire che giorno per giorno si sarebbe trovata la soluzione. "Per fortuna che c'è 'A bionda", rispose Pinuccio di Gina. "Lo senti che dice Pinuccio?" Disse Zi' Nardo, rivolgendosi a Ziza, "tua moglie fatica e tu stai inda o’ bar". "Basta che fatica uno nella famiglia", gli rispose Ziza, sempre più strafottente. ‘A bionda è la moglie di Ziza. Pochi a Bigliano conoscono il suo vero nome. Da sempre per tutti è semplicemente ‘A bionda. In un paese di mori, le persone con i tratti somatici normanni possono contarsi sulle dita di una mano e ‘A 5 bionda é una di queste. Tuttavia, ‘A bionda é ‘A bionda soprattutto perché é un gran pezzo di donna e non solo per via dei tratti somatici normanni. Eppure non é una bellezza, come quelle che vanno di moda oggi. relativamente alta, non è certamente magra e non ha le gambe lunghe e sfilate. una bellezza degli anni sessanta. È in carne, ha le labbra evidenti e la mandibola piuttosto pronunciata. "È fortunata! È fortunata!" Dicevano i biglianesi. Non perché avesse sposato Ziza. Quella non era una fortuna. Certo, Ziza, era un brav'uomo, non aveva mai fatto male a nessuno, ma ha il difetto di passare intere giornate nel bar di Ciaramella. Forse Ziza lo fa per un principio etico, ma la sostanza non cambia. "Meno male che c'è 'A bionda che porta li soldi a casa", concluse Zi' Nardo. I primi anni di matrimonio erano stati molto difficili perché Ziza lavorava poco e ‘A bionda doveva arrangiarsi. Faceva un po' di tutto. Dalle pulizie domestiche ai lavori al cantiere, dalla raccolta delle fragole alla cameriera negli alberghi durante i matrimoni. Lavorava alla giornata, ma non si lamentava. "È fortunata! È fortunata!" Dicevano i biglianesi. Una donna in queste condizioni non può essere considerata fortunata. Che fortuna è andare a raccogliere le fragole, fare la cameriera, lavorare alla giornata e avere un marito come Ziza? Invece, per i biglianesi 'A bionda era fortunata. Era stata assunta come assistente di fascia B al comune, per ottocento euro al mese. Ziza era stato felicissimo il giorno che la moglie aveva ricevuto la lettera dal Comune. Aveva festeggiato con tutti i suoi amici, offrendo un giro di birra a tutti. Poi, aveva giocato a carte serenamente, pensando che, finalmente, la pressione, che per tanto tempo aveva avvertito su di lui, si sarebbe finalmente allentata. A Zi' Nardo la serenità ostentata di Ziza non era 6 andata giù e non aveva perso l’occasione per farglielo notare. "Io, ormai so' vecchio ma tu, cazzo, perché non vai a faticare?" In realtà, neanche Zi' Nardo è vecchio per davvero. Ha sessantacinque anni. Il suo problema è che ne dimostra molti di più. Il lavoro nei campi lo ha reso più vecchio degli anni che ha. Ha il viso particolarmente rugato ma, quel che è peggio, non ha rughe normali. Fanno impressione per quanto sono pronunciate. Sembrano solchi profondi, come se fossero stati tracciati da un fiume di sudore e lacrime. "Pensiamo alla birra che sennò diventa calda e non sape più bona", propose Pinuccio di Gina, per mettere fine a quella discussione senza via d’uscita. "Massì, pensiamo alla birra", rispose Zi’ Nardo. Qualche minuto dopo, ringraziò per la bevuta, diede una pacca sulle spalle a Ziza e andò via. Quella mattina ci sarebbe stato bisogno del ventilatore. Erano appena le otto, ma faceva già caldo. Più degli altri giorni e più delle altre estati. Nel pomeriggio sarebbe piovuto, come spesso accade durante l'estate in montagna. Intanto, ci si godeva lo splendido sole del mattino. Non era ancora alto nel cielo, ma le montagne, che facevano da contorno a Bigliano, assorbivano con naturalezza la sua luce fioca. Intorno si creava una specie di aureola, che le rendeva ancora più misteriose. Bigliano è un paese misterioso. Si trova in mezzo al nulla, tra le montagne. Lontane le autostrade, ancora più lontane le stazioni. Se uno vuole andarci, deve scegliere deliberatamente di farlo, perché a Bigliano non si può capitare per caso. Bisogna arrampicarsi per arrivarci. Solo chi ci vive può comprenderlo fino in fondo. E chi non ci vive può arrivare a pensare che Bigliano non esista e che sia stato inventato dalla fantasia di uno scrittore. 7 La scomparsa di Mariella la bella "'Nata birra, Ciaramé", chiese Ziza. Ciaramella gliela porse. Lui afferrò il bicchiere per il manico e uscì fuori. Come ogni estate, Ciaramella aveva tirato fuori dal bar quattro tavoli, con qualche sedia di legno intorno. Ziza prese una delle sedie, la girò con lo schienale di spalle al muro e si sedette, incrociando le gambe. Posò la mano sinistra sul ginocchio e iniziò a bere la sua seconda birra. Ogni tanto gettava uno sguardo dall'altra parte della strada. Ad un certo punto vide passare l'avvocato Di Cillio. Si conoscevano dai tempi della scuola. Lo vide e lo salutò con un cenno. "Buongiorno, Mario", urlò l'avvocato Di Cillio, per rispondere al saluto. “’Na birra, avvocà”, gli urlò Ziza. "Non posso. Mi aspettano", rispose l'avvocato, sempre urlando per farsi capire e non solo da Ziza. In realtà non lo stava aspettando nessuno. Di Cillio, ogni mattina, esce presto di casa per andare al suo studio. Sempre con il passo svelto a voler dare l'impressione di avere mille cose da fare. È solo un'impressione. Di Cillio ha pochi clienti. Qualcuno di famiglia, qualche amico che può contare su un prezzo speciale e poco più. La gente di Bigliano lo sa, ma l'avvocato Di Cillio é pur sempre un avvocato e deve comportarsi come tale. Esce presto di casa, sottobraccio la valigetta di pelle marrone regalatagli dallo zio notaio il giorno della laurea, si incammina verso la piazza, la attraversa tutta per essere certo di essere visto e poi si infila, sempre al passo da bersagliere, nel portone del suo studio. Ha pochi clienti, ma una bellissima targa di bronzo, affissa il giorno stesso in cui ha superato l'esame da avvocato. 8 "Che cazzo fa tutto il santo giorno in quello studio? Fa pure caldo!" Si chiese Ziza. Abitualmente Di Cillio vi resta dalle otto la mattina all'una, poi va a pranzo e dopopranzo dorme. Alle cinque vi ritorna e alle nove se ne torna definitivamente a casa. Anche Ciaramella conosce bene le abitudini di Di Cillio. Sebbene non siano amici, sono in buoni rapporti ma a differenza di Ziza, Ciaramella non può permettersi di dare del tu a Di Cillio. Per Ciaramella, Di Cillio resta l'avvocato e come tale va rispettato, sebbene abbia pochi clienti. "Sono stanco, mille cose da fare", è il refrain di Di Cillio. Tutti fanno finta di credergli e nessuno osa contraddirlo. Una volta era capitato che avesse bevuto una birra insieme a Ziza, nel bar di Ciaramella, all’uscita dal suo studio. "Troppa fatica, caro Mario", aveva detto. Ziza aveva guardato Ciaramella, facendo una smorfia per significare il dubbio, mentre Di Cillio si era distratto. Ziza e Ciaramella non si erano fatti scorgere da Di Cillio, perché nel momento in cui l’avvocato risollevò la testa, entrambi si dedicarono ad altro. Ciaramella sciacquò i bicchieri, mentre Ziza si avvicinò al suo bicchiere con il manico, per buttare giù la birra. I gesti e le smorfie danno molte più informazioni delle parole. Per questo i biglianesi li prediligono per comunicare. Con le parole si può dire di tutto, specie quello che non si pensa. Non stava bene prendere apertamente in giro Di Cillio, che andava rispettato e non solo perché era avvocato. Proveniva da una famiglia tradizionalmente benestante. Ziza, per rispetto, evitò di ruttare come faceva di solito. “Uno sforzo enorme”, lo considerò Ciaramella, che 9 lo conosceva bene. Finita la birra, Di Cillio pagò il conto. Prima che uscisse dal bar, Ciaramella esclamò, “che si sa di Mariella, avvocà?” “Niente di niente, Ciaramella”, rispose Di Cillio. “Possibile che sta’ femmina si é persa nel nulla?” “Possibile, possibile, visto che non si sa niente”, concluse Di Cillio, girando la maniglia della porta e uscendo dal bar. Mariella era scomparsa da qualche tempo e nessuno a Bigliano sapeva che fine avesse fatto. Era scomparsa improvvisamente, una sera di dicembre, quando era uscita di casa senza ritornarvi la sera. Non era ritornata neanche il giorno dopo, né l’altro ancora. "Non é mai capitato che fosse rimasta fuori di casa per due giorni di seguito", dichiararono gli zii ai carabinieri. Il terzo giorno ne venne ufficialmente dichiarata la scomparsa. "Non avremmo voluto per non far parlare la gente del paese ma é inevitabile". Gli zii non avrebbero saputo dove cercarla e non avrebbero potuto contare sull’aiuto del padre. "Da quando é morta la moglie, ha iniziato a bere regolarmente". Anche il giorno della scomparsa di Mariella, il padre bevve. Gli fecero notare che la figlia era scomparsa, ma non seppe fare altro che bere ancora. Il giorno stesso in cui gli zii presentarono la denuncia, la gente iniziò a parlarne, come Zi’ Antonio e la moglie temevano. Se ne parlò da Ciaramella, se ne parlò al circolo e se ne discusse anche nel negozio di Lucia. 10 “La guagliona se n’è andata di casa, insieme con un guaglione”, disse Filomena, nel negozio di Lucia. “E come fai a saperlo?” Le chiese Lucia. “L’ha vista la madre di Tonino o’ sarconese, all”uscita della messa. Era insieme ad un guaglione”, rispose Filomena. “E non poteva dirlo agli zii, invece di farli preoccupare?” “Con quel padre, come avrebbe fatto a dirlo agli zii?” “Che c’entra il padre? Proprio per questo doveva dirlo agli zii. Il padre ormai non capisce niente”. “Non capisce niente ma quel ribusciato è all’antica”. “Ma quale antica”, mormorò maliziosamente Torino Concetti, “quanti fidanzati, diciamo accussì, ha avuto quella guagliona? Di uomini ne ha conosciuto, date retta a me”. “Di guaglioni che gli stavano intorno ne ha avuti…eccome che ne ha avuti”, ripeté Filomena. “Perciò il padre si sarebbe potuto pure incazzare una buona volta”, fece notare Torino Concetti, “non è proprio una buona cosa per una guagliona di venti anni andare in giro con tutti ‘sti guaglioni”. “Ormai tutti vanno con i guaglioni. Mariella non era né peggio, né meglio delle altre”, fece notare Lucia. “Era lei che si sarebbe dovuta arrabbiare con il padre che si ritrovava”, intervenne la figlia di Paolino. “Io non ho mai sentito niente. Il padre non le ha mai creato problemi”, rispose Filomena. “E che vuol dire? Prima o poi, il povero cristiano si sarebbe pure potuto incazzare”, ribadì Torino Concetti. La figlia di Paolino continuò a discuterne con 11 Torino Concetti, mentre Lucia e Filomena si appartarono per discutere di altro. “ vero che il padre conta quanto il due di picche, ma non è piacevole vivere con un uomo alcolizzato”. “Si dice anche che il padre la picchiasse quando la sera tornava a casa ubriaco”. “Chiunque in quella situazione si sarebbe allontanato da casa. Io stessa l’avrei fatto se avessi avuto la sfortuna di vivere la stessa situazione in cui si trovava la povera Mariella”, disse la figlia di Paolino. “Ma quale mazzate”, urlò Lucia, dal banco dei salumi. Aveva continuato a seguire la conversazione, nonostante si fosse allontanata. Aggiunse, maldicenze”. “possono essere anche frutto di “Io non ho mai sentito niente”, confermo Filomena. Nel bar di Ciaramella, invece, si avanzava l’ipotesi che la ragazza si fosse trasferita a Roma. “Io ho sentito un‘altra voce”, disse Giannino, “pare che la guagliona, senza dire niente al padre, ha preso armi e bagagli e se n’è andata a Roma”. “A Roma?” Chiese Ciaramella, incuriosito. “A Roma. Si, a Roma”, ripeté Giannino. “E dove l’avrebbero vista esattamente?” “L’hanno vista lavorare in una pasticceria”. “Mariella ha preso il diploma da ragioniera. Non ha un lavoro fisso ma guadagna i soldi come barista, alla discoteca di Montegiro. Non avrebbe certo bisogno di andare a Roma per guadagnare”, fece notare Pinuccio di Gina. 12 “Se proprio volete sapere chi lo ha detto, ve lo posso anche dire. L’ha vista il cugino di Radiouno, che vive a Roma”, precisò Giannino. “Dove?” Chiese Pinuccio di Gina. “Radiouno, dove l’ha vista tua cugina?” Chiese Giannino a Radiouno, che giocava a carte. “In una pasticerria, via dei due Macelli, vicino Piazza di Spagna”. “E che ci faceva tuo cugino a Piazza di Spagna?” Chiese ironicamente Ciaramella. Tutti risero. Radiouno continuò a giocare a carte. Nel circolo, non si dava molto credito all’ipotesi del bar di Ciaramella. Non si era mai sentito parlare di un cugino di Radiouno che vivesse a Roma. “Quel rimbambito si è inventato la notizia pur di vivere un momento di protagonismo. Lo sapete com’è fatto”, disse Mimmo o’ greco. Nel circolo si preferiva seguire un’ipotesi più suggestiva. “La ragazza era ‘na bella figliola, tra di noi ce lo possiamo dire”, disse il dottor D’Eugenio, “e le belle figliole se le prendono e se le portano”. “L’ho sentito dire pure io”, aggiunse Mimmo o’ greco, “le belle figliole finiscono in mano alla malavita”. “Si, ma dove se le portano?” “Dove non si sa ma se le portano e poi le mettono in mezzo alla strada”. “Povera guagliona”, commentò Penelope, steccando la palla. “Si parla di una ricca località del mediteraneo”, aggiunse Rocco Locantore, “Barcellona, Palermo, forse addirittura Spalato”. 13 “E dove si trova Spalato?” Chiese Penelope. “Pensa a giocare al biliardo, ignorante”, gli rispose Mimmo ‘o greco. L’ipotesi del circolo, a sua volta, non trovava credito né nel bar di Ciaramella, né nel negozio di Lucia. Si facevano nomi di città senza fornire alcun dettaglio. I primi interrogatori del sostituto procuratore Trapanese Nel circolo, il personaggio che gode di maggiore credito é il maresciallo a riposo, De Stefano. È solito incontrarsi con il ragioniere La Spina e il dottor D’Eugenio per giocare a carte. Sebbene da anni abbia smesso i panni del carabiniere, rimane il punto di riferimento per spiegare i casi di cronaca. "Marescià, voi che ne pensate?" Chiese D' Eugenio. "Un caso grosso", rispose De Stefano. "E che volete dire, marescià? Se dite così ci fate mettere paura". "Un caso grosso. Vedrete, un caso grosso", ripeté De Stefano. A partire dal giorno della denuncia, la scomparsa di Mariella divenne l’argomento più dibattuto a Bigliano. "Dopo anni trascorsi a discutere di siccità, finalmente un vero caso di cronaca nera scuote il lento trascorrere del tempo dei biglianesi", commentò Mimmo o' greco. Una fotografia di Mariella venne fatta stampare e distribuire in tutta la regione. Si diceva che, da qualche giorno, era scomparsa una ragazza di anni ventidue, di corporatura delicata, alta 1.72, con i capelli scuri lunghi e gli occhi neri. 14 Chiunque l’avesse vista era pregato di contattare immediatamente le autorità competenti. Seguivano alcuni numeri di telefono ed anche un numero di fax. Mentre osservava la foto di Mariella, affissa nel circolo, vicino al biliardo, il maresciallo a riposo, De Stefano, fece notare le strane circostanze della scomparsa. “Ma secondo voi, è normale che una ragazza scompaia nel nulla in un posto così piccolo come Bigliano e nessuno ne sappia niente?” “In effetti tutto sembra troppo strano”, rispose il dottor D’Eugenio. “Appunto!” Esclamò De Stefano, lasciando intendere maliziosamente, “Tutto appare molto strano. Ci dev’essere qualcosa sotto, non credete signori?”. De Stefano non aveva detto nulla di particolarmente eclatante e non aveva fornito alcuna prova alle sue argomentazioni. Del resto, come avrebbe potuto? Si trattava di un maresciallo a riposo che argomentava, come tutti, sulla base del sentito dire. Eppure, l’uscita pubblica di De Stefano, inclusa la domanda retorica finale, fece il giro del paese, non tanto per la rivelazione che non aggiungeva nulla a quanto già si sapesse, quanto per l’autorevolezza della fonte ed il dubbio insinuato. De Stefano era stato un ottimo maresciallo, serio e professionale, che nel corso della sua carriera aveva soggiornato anche a Bagheria, in provincia di Palermo. Il soggiorno siciliano gli aveva fatto acquisire un’aureola di competenza, che gli era rimasta appiccicata per sempre. "A Bagheria, ho svolto i primi due anni di servizio effettivo. Poi sono stato trasferito in Puglia, a Novoli e infine a Bigliano, da dove non mi sono più mosso". Raccontava episodi che lo avevano direttamente, o indirettamente, protagonista. visto 15 “L’esperienza siciliana mi ha temprato”, diceva lui, “ ho visto e sentito di tutto”. Raccontava, per esempio, di quando, insieme a due soli colleghi, era andato ad arrestare un tale, "definito un autentico mafioso”. “Lo sorprendemmo in casa all’alba, mentre stava facendo l’amore con la moglie. Carabinieri! Gli urlai io, mentre il mio collega mi copriva le spalle. Lo prelevammo direttamente dalla camera da letto, in mutande. La moglie, che era rimasta sotto le coperte, si lamentava non tanto per l'arresto, quanto per il momento che avevamo scelto per farlo. Almeno fatelo finire, ci disse”. Lui raccontava e gli altri ridevano. Raccontava anche “di un conflitto a fuoco” nelle campagne di Bagheria dove “i proiettili fischiavano veramente vicino le orecchie”. Parlava e accompagnava le parole con i gesti, spostandosi da una parte all’altra del circolo, per rendere bene l’azione. De Stefano era fatto così. Parole e gesti si confondevano. Sarebbero stati molto più efficaci se De Stefano avesse evitato di tagliarsi i baffi. Invece, il giorno in cui era andato in pensione aveva deciso di privarsene. "Non mi servono più", disse alla moglie, "da carabiniere mi davano identità ed autorevolezza, da pensionato non sarebbero altro che un inutile orpello". I baffi contribuivano a movimentargli la fisionomia, altrimenti troppo piatta. De Stefano ha un viso quadrato, la mascella forte, il naso pronunciato come un turco di Istambul, le sopracciglia folte. Nonostante i mille pensieri, conserva quasi tutti i capelli. Neanche la Sicilia é riuscito a farglieli perdere. Non ha più la vista da falco di quando era giovane, ma gli occhiali a goccia non gli stanno male. Probabilmente gli restituiscono l’autorevolezza che il taglio dei baffi gli ha tolto. Inforca gli occhiali solo quando gioca a 16 carte e quando deve leggere il giornale. Lo fa secondo una liturgia ben precisa. Li prende dal taschino della giacca, li pulisce sempre con un panno, che poi ripiega con attenzione. Precisione e attenzione sono i suoi principi ispiratori. Li ha appresi in caserma e non li ha più dimenticati. Odia il disordine e le cose fatte in fretta. Si muove attraverso gesti lenti e pensati. Solo quando ce n’é bisogno accelera i movimenti. Il giorno in cui disse che, nel caso della scomparsa di Mariella, c’era sotto qualcosa di importante, i biglianesi inziarono a pensarci. L’unico che sembrava non farci molto caso era Ziza. A casa non ne poteva parlare perché ‘A bionda non voleva. Per gli altri biglianesi, invece, divenne un chiodo fisso. Anche i carabinieri, che fino ad allora si erano mossi con discrezione, iniziarono a fare indagini più approfondite. Il primo obiettivo delle loro indagini fu Simone Di Cillio, fratello dell’avvocato. “Andatelo a trovare nella sua proprietà e ditegli gentilmente che vorrei vederlo in caserma”, ordinò il maresciallo Turtino all’appuntato Scapagnin e al carabiniere scelto D’Ottavio. “Quale proprietà?” Chiese Scapagnin. “Tu sei sempre fuori dal mondo, Scapagnin!” “Mi scusi, maresciallo, ma io non conosco bene la zona”. “Proprio un appuntato veneto mi dovevano mandare?” Imprecò Turtino. Poi ordino a D’Ottavio, “andate a Iadd’’. Tre delle proprietà dei Di Cillio sono concentrate a Iadd', una località a nord di Bigliano, sulla strada che dolcemente porta in montagna. Sono leggermente defilate rispetto alla morfologia del paese e, tranne che in alcuni giorni dell'anno, quando per Iadd' passa la processione della 17 Madonna, non le si può certamente definire a portata di mano. “Lo troveremo a Iadd’, maresciallo?” Chiese Scapagnin. “E dove lo volete trovare”, rispose laconicamente Turtino. Simone, non aveva scelto l’università e, terminati gli studi di ragioneria a Loterno sull'Agri, aveva deciso di prendersi cura di quelle tre proprietà. Approfittando degli aiuti che la Regione concede agli agricoltori, ha iniziato a coltivare le fragole in serra e ha fatto ristrutturare il casale dei nonni. “È venuto fuori uno splendido agriturismo, costato oltre centomila euro”. In realtà, solo un quarto di quei centomila euro provengono dalle tasche di Simone, gli altri sono parte dell'incentivo, che la regione gli ha concesso per avviare l’attività. “Come in provincia di Siena”. Simone aveva girato la Toscana e aveva visto i magnifici agriturismi toscani. Si era trovato in un ambiente naturale, particolarissimo, dove la presenza dell'uomo aveva modellato i profili delle colline. Si era perso tra casali, borghi medievali, filari di vigneti, olivi e cipressi. “Ho passeggiato lungo le bianche poderali della campagna, pedalato in bicicletta, costeggiato vigneti e uliveti e fatto trekking a cavallo lungo i sentieri”. Simone aveva assaporato il profumo della Toscana e ne era rimasto stordito. "Vorrei ripetere quell'esperienza in Lucania", dichiarò agli ispettori della regione. Realizzò il suo agriturismo da un casolare 18 dell'ottocento, un tempo adibito a stazione di sosta dei cavalli che andavano dal paese verso la montagna. Lo fece costruire interamente in pietra nel rispetto della biocompatibilità e del contesto storico. Vennero fuori sette camere da letto doppie con bagno, due camere, che lui definì deluxe, e due appartamenti, dotati di cucina e focolare. "Nell'area antistante i due appartamenti, ci sono un bar, una sala giochi, un grande ristorante e un'area di sosta per i camper". Alla festa inaugurale invitò tutti i biglianesi, da vero democratico. Nonostante Simone appartenesse alla famiglia Di Cillio e potesse permettersi di non farlo, volle che tutti partecipassero alla sua festa. "Lavora la terra ed è diverso dal fratello avvocato, che sembra democratico, ma, in realtà, ha la puzza sotto il naso. Prende la birra con Ziza e si intrattiene a parlare con lui nel bar di Ciaramella, ma non gli piace quando gli danno del tu e pretende che ci sia sempre una certa distanza tra lui e gli altri. Non parla correttamente il biglianese e preferisce esprimersi in italiano", lo dipinse Mimmo o' greco. Alla festa d’inaugurazione dell'agriturismo prese parte anche Mariella la bella, che all'epoca era fidanzata proprio con Simone. Non si sapeva con certezza se facessero le zita o meno e nessuno se ne sarebbe importato, se quel dettaglio non fosse diventato importante dopo la scomparsa di Mariella. "Ogni elemento, legato direttamente o indirettamente a Mariella, assume una luce diversa. Diventa più importante e potenzialmente decisivo per lo sviluppo delle indagini", precisò il maresciallo Turtino. Facendo bene i calcoli, le ricerche ufficiali di Mariella, da parte dei carabinieri del comando di Bigliano, iniziarono dopo quattro giorni dalla scomparsa e dopo due dalla denuncia degli zii. 19 In caserma si presentò per prima la zia. “Abbiamo aspettato un paio di giorni, ma la guagliona non torna”, disse, piuttosto agitata “abbiamo sperato che potesse fare ritorno ma non é successo”. “Aspettiamo ancora quarantotto ore, prima di iniziare le ricerche”, propose il maresciallo, “in casi del genere bisogna avere la pazienza necessaria e non bisogna farsi prendere dal panico”. Allo scadere del quarto giorno, il maresciallo Turtino decise di comunicare l'avvenuta sparizione al tribunale di Potenza. Le indagini furono affidate al sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Potenza, Francesco Trapanese, che a Bigliano conoscevano per via dell’amicizia con il giudice Calenda. Il giudice lo aveva invitato a Bigliano un paio di estati prima per una passeggiata a cavallo in montagna. Trascorsero una piacevole giornata, conclusa con una cena a base di pesce al ristorante da Rosario. "Presero dell'insalata di mare e una grigliata. Sul dolce, lasciarono libero sfogo alla mia creatività", precisò Rosario. Il giudice apparteneva alla famiglia Calenda che, insieme alla famiglia Di Cillio, condivideva la supremazia carismatica del paese. Da tre generazioni erano i proprietari della farmacia, simbolo del potere, che esercitavano sui biglianesi. Trapanese effettuò i primi interrogatori nella caserma dei carabinieri di Bigliano. Dopo aver ascoltato i parenti di Mariella, fece chiamare Simone Di Cillio. "Lo possiamo considerare l’ultimo fidanzato ufficiale della ragazza scomparsa, tenendo conto dell’evoluzione semantica del termine, ovviamente. Dico bene, maresciallo?" 20 Simone non fu affatto sorpreso per la convocazione di Trapanese. "Me l’aspettavo ed ero pronto a testimoniare", dichiarò. Raccontò la sua relazione con Mariella. "Ho trascorso uno splendido periodo della mia vita che, purtroppo, come tutte le cose belle, è finito". "Come conobbe Mariella?" Gli chiese Trapanese. “Conobbi Mariella, mentre lei faceva la barista. Una sera, mi avvicinai per chiederle di versarmi del bacardi e coca. Poi, mi intrattenni a parlare con lei". "Non l'aveva mai vista prima?" "La conoscevo di vista ma non ci eravamo mai parlati”. “Quale fu la sua prima impressione?” “La mia prima impressione fu positiva. Io, invece, non credo di averla colpita particolarmente". "Come fa a saperlo?" "Questo è quello che lei confidò ad un amica e che successivamente mi riferì”. “Glielo riferì l’amica?” “No, Mariella. Lei mi disse di averlo confidato ad un’amica”. “Capisco”. “Tuttavia, le piaceva il fatto che io mi facessi dare del tu”, “Le disse proprio così?” “Si, le può apparire strano ma mi disse proprio così. Del resto, se uno conosce Bigliano, non lo trova neanche 21 tanto strano”. “Perché lei non le fece un’impressione gradevole, a parte il fatto che fosse un ragazzo alla mano?” “Sono un ragazzo estremamente riflessivo. Non colpisco immediatamente le ragazze e non potevo certamente pensare di poter colpire l'immaginario di Mariella. Lei è sempre allegra e scatenata”. “Lei se ne accorse?” “Che lei fosse allegra e scatenata?” “No, che lei non le aveva fatto una buona impressione”. “Non mi diede nessun elemento che potesse indurmi a capire cosa Mariella potesse pensare di me”. “Lei, invece, ebbe una sensazione molto positiva”. “A me, lei piacque subito. In realtà, mi piaceva da tempo e quella sera finalmente trovai il coraggio per avvicinarmi e parlarle. Chiederle di versarle Bacardi e coca fu solo una scusa”. "Come potrebbe definire i suoi rapporti tra lei e Mariella". "Assolutamente normali". "Che vuole dire con assolutamente normali?" Chiese con un tono più deciso il sostituto procuratore. Simone Di Cillio che fino ad allora era rimasto tranquillo, si spaventò e farfugliò "non capisco la domanda". Trapanese allora gli ripeté la domanda in maniera più chiara, "eravate fidanzati oppure vi frequentevate soltanto. Ehm…voglio dire avevate una relazione seria?" "Ah…ora capisco", esclamò Simone Di Cillio, che poi aggiunse 22 "stavamo insieme, come si sta insieme oggi". "Insomma, non facevate le zita", intervenne il maresciallo Turtino per chiarire ulteriormente il concetto. "Non direi, se intende il termine nella sua accezione tradizionale", rispose prontamente Simone Di Cillio, che sembrava finalmente aver trovato una via d'uscita alla domanda, che inizialmente non avevo compreso. "Capisco", esclamò, a sua volta, Trapanese. Si mise le mani tra i capelli, poi mosse alcune carte che si trovavano sulla scrivania. Simone, intanto, fissò il lampadario, alla ricerca di un punto immaginario sul soffitto, che gli facilitasse la concentrazione. Voleva evitare che Trapanese potesse trovarlo impreparato. Il sostituto procuratore, intanto, rifletteva. Dopo i fogli, prese tra le dita una penna ed iniziò a tormentarne il cappuccetto. Lo girava e lo rigirava senza un fine apparente. Ad un certo punto, si bloccò e fissò dritto negli occhi Simone, che aveva smesso di fissare il suo punto immaginario. “Per quale ragione è finita la vostra…diciamo storia?” Chiese Trapanese con un tono deciso, non facendo nulla per smascherare l’importanza della domanda. “Non ci sono ragioni particolari, signor giudice”, rispose Simone, senza distogliere lo sguardo. “Cosa intende dire”, lo incalzò nuovamente Trapanese. “Che non ci sono motivi particolari. finita perché le storie d’amore purtroppo finiscono”, rispose Simone, senza scomporsi. "Lei dove si trovava la sera della scomparsa?" Chiese Trapanese. "Signor giudice, non avrà sospetti su di me? Io volevo bene a Mariella", rispose Simone, girandosi verso il maresciallo Turtino per chiedere conforto. 23 Si conoscevano da tempo e Simone considerava Turtino un amico. La sua presenza lo rassicurava, ma le insinuazioni di Trapanese continuavano a turbarlo. Trapanese se ne accorse e cercò di rassicurarlo. "È una normale prassi. Le devo chiedere dove si trovava perché si tratta di una domanda di rito. Non le dia tanta importanza. Mi risponda piuttosto serenamente". Simone si girò di nuovo verso il maresciallo Turtino, che con un sorriso provò a rassicurarlo. "Mi faccia pensare….la sera della scomparsa…dunque quattro giorni fa, o meglio quattro sere fa, non potevo che trovarmi nel mio agriturismo". Il sostituto procuratore prese atto e ringraziò Simone per la disponibilità. Gli disse che poteva andare. In seguito, fece alcuni commenti con Turtino. “Non è cattivo”, disse Trapanese, “ma non mi tornano alcune cose”. “Cosa?” Chiese Turtino. “Credo sia un bravo ragazzo di fondo ma, a volte, mi è sembrato vago”. “Può darsi”, rispose Turtino confermando l’impressione di Trapanese. Poi aggiunse, “Di Cillio è molto stimato in paese e, nonostante tra la sua famiglia e quella di Mariella ci fosse una certa differenza dal punto di vista sociale, ha sempre trattato Mariella amorevolmente, per quanto è dato sapere al sottoscritto in data odierna”. "Lui sostiene di essere stato nel suo agriturismo il giorno della scomparsa della ex fidanzata. Il problema è che non ha fornito dettagli circa la relazione. Prenda nota, maresciallo", disse il sostituto procuratore, sospirando. In definitiva, Trapanese non aveva ricevuto nessun elemento da Simone che potesse essere stimato come particolarmente utile. Fece chiamare allora l’avvocato Di 24 Cillio, fratello di Simone, per verificare se l'avvocato potesse aggiungere qualche informazione interessante. "Mariella ha pur sempre frequentato casa Di Cillio, per qualche tempo. Lei dovrebbe conoscerla sufficientemente". “Invece, non la conoscevo molto bene”, rispose, a sorpresa, Di Cillio. Fece capire al sostituto procuratore che lui, essendo molto meno democratico del fratello, non si abbassava volentieri a certi livelli. L’avvocato apparve anche infastidito per la convocazione ricevuta. "Posso comprendere che abbia voluto ascoltare mio fratello ma, francamente, non riesco a spiegarmi la mia convocazione. Cosa ne posso sapere io di Mariella?" “Non avendo per il momento una pista particolare da seguire, ritengo opportuno ascoltare chiunque avesse avuto il minimo contatto con Mariella”, si giustificò Trapanese. “Allora capisco”, disse Di Cillio, senza aggiungere altro. “Sa dove si trovasse suo fratello la sera della scomparsa di Mariella?” "Credo fosse nel suo agriturismo. Non glielo so dire con certezza. Ho provato a mettermi in contato con lui, me lo ricordo, ma non sono riuscito a raggiungerlo", precisò l'avvocato, lasciando intendere di non poter fornire nessuna informazione precisa. "Si ricorda di averlo chiamato? Come fa a ricordarselo?" chiese Trapanese. "Andiamo, giudice…vuole che non mi ricordi una cosa successa solo quattro giorni fa. Non sono un ragazzino, ma non sono neanche un vecchio decrepito. Ricordo bene di averlo cercato. Avevo un appuntamento con lui per il giorno 25 successivo. Lo chiamavo per dirgli che sarei passato dall'agriturismo in mattinata", rispose l'avvocato prontamente. Solo qualche minuto dopo si rese conto che la conversazione si stava concentrando su Simone. L'avvocato che non aveva neanche per un attimo pensato ad un possibile coinvolgimento del fratello si insospettì e senza attendere ulteriori domande da parte di Trapanese, osservò "non penserà che Simone…" Non riuscì a completare la frase, perché il sostituto procuratore lo interruppe e con decisione disse, "avvocato, io non penso niente. Sto solo facendo delle domande che, come lei ben saprà sulla base della sua esperienza, di solito si fanno". "Certo, certo", rispose Di Cillio. "Comunque, Simone ha il maledetto vizio di non rispondere al telefono. A volte, lo chiamo, ma lui lascia squillare il telefono e non risponde. È fatto così, è un pigro, a volte si rincresce anche solo di alzarsi dalla poltrona", sorrise l'avvocato, voltandosi verso il maresciallo Turtino. Come il fratello, anche lui cercava conforto. “Può andare”, disse all’avvocato, “ma si tenga a disposizione per eventuali chiarimenti”. Trapanese prese atto che non era possibile stabilire con esattezza dove Simone Di Cillio si trovasse la sera della scomparsa di Mariella. "Il fratello lo ha chiamato sul telefono fisso dell’agriturismo, poi sul cellulare ma non è riuscito a mettersi in contatto con lui", fece notare al maresciallo. "Potrebbe essere un elemento non importante, giudice. In fondo, la ragazza risulta scomparsa da soli quattro giorni", rispose Turtino. "Potrebbe avere ragione, maresciallo. Non si può escludere la possibilità che la ragazza abbia avuto un colpo di 26 testa e fosse fuggita di casa, per un qualsiasi motivo". Prima di alzarsi dalla scrivania disse al maresciallo Turtino di prendere nota delle cose che l'avvocato Di Cillio aveva detto. "Per ora segni tutto. Ne riparleremo in seguito". Il bar di Ciaramella Il bar di Ciaramella è essenziale, con una forte personalità. Non si chiude con la saracinesca, ma con un portone di legno, che si apre spingendo le ande verso l’esterno. Sul portone campeggia una vecchia insegna Cinzano. Dentro ci sono solo sedie e tavoli di legno. Il banco é lungo e copre quasi per intero la parete di fronte all’entrata. Il caffè si prende in piedi, la birra anche ma con il gomito appoggiato sul banco. È frequentato da gente semplice e da pochi personaggi importanti. L'avvocato Di Cillio non é il solo amico importante di Ziza, che frequenta il bar di Ciaramella. Emanuele Tortoriello lo frequenta ed è amico di Ziza. Giocano insieme nello schieramento difensivo del Bigliano calcio. Ziza, però, é considerato un giocatore di categoria superiore rispetto a Emanuele. "Non é alto, ma stacca bene. Si sa inserire e ha una particolare abilità nel proteggere il pallone dagli attacchi degli avversari" commenta Radiouno. "Emanuele Tortoriello, invece, é lento. Ha un buon tocco di palla ma non riesce a reggere il passo degli attaccanti veloci", commenta Radiodue. Emanuele è importante perché figlio del sindaco Totonno Tortoriello, un architetto che non ha mai realmente esercitato. Fin da giovane si é dedicato alla politica. Ziza ha votato per lui. "Conosco il figlio Emanuele e lo rispetto. In realtà 27 non è solo per questo che ho votato per lui. Ci sono anche altre ragioni", conferma lui stesso nel bar di Ciaramella. A sua volta, Ciaramella, preferisce non dichiararsi. La maggior parte della gente pensa che anche lui abbia votato per Totonno Tortoriello, ma lui non lo ammette. Esige che la politica resti fuori dal suo locale e, quando non ci riesce, preferisce non pronunciarsi. Emanuele, pur essendo figlio del sindaco, è un giovane alla mano. Si fa chiamare con il suo nome, senza fronzoli e senza titoli. Per Ziza è una scelta obbligata. "Potrei mai chiamarlo signor Tortoriello? Come dovrei fare per il fuorigioco, per favore, Signor Tortoriello, usciamo insieme dall'area di rigore per mettere in fuorigioco il centravanti". Sarebbe assurdo. Il codice di comportamento sociale biglianese non è decisamente applicabile al gioco del calcio. C’é bisogno di una deroga, che Ziza ha deciso di applicare prima che entri ufficialmente in vigore. "Altrimenti il Bigliano perde tutte le partite". La deroga, stabilita da Ciaramella di non parlare di politica nel suo bar, invece, non sempre funziona. "Deve fa' il sindaco chi lo sa fa’ e non chi lo fa per i suoi interessi", aveva detto Ziza da Ciaramella, alludendo al padre del suo amico. "Totonno pensa solo ai fatti suoi, altro che interessi dei biglianesi", aveva replicato Giannino. "E perché…forse li altri nun pensano ai fatti loro?", aveva risposto Ziza. "…Ma certamente…tutti i politici pensano solo ai fatti loro", gli aveva fatto notare Giannino, per poi aggiungere, maliziosamente “ma non come il nostro amico". "Guaglio’…se avete parlà di politica andate a parla' da un'altra parte", era intervenuto Ciaramella per tranciare il 28 discorso, come al solito, quando la discussione si faceva potenzialmente rischiosa. Ciaramella teme che, parlando di politica, si perdano i clienti. "Tengo paura che la gente pensa che io appartengo ad un partito politico, piuttosto che ad un altro. A me, invece, l’appartenenza politica non interessa". Ciaramella non ha ideali da difendere. A lui preme solo poter vendere a tutti. Il problema é Giannino. “Lui è un buon cliente, ma ha il maledetto vizio di parlare sempre di politica”. È rispettato perché è capace di interagire con tutti. Usa sia l'italiano che il dialetto e la conoscenza di entrambi gli idiomi gli permette la massima copertura in termini di relazioni interpersonali. “Eppure non é laureato e neanche diplomato”. Nonostante abbia solo la licenza media e nonostante non sia originale, riesce ugualmente a fare opinione. Si tratta di un caso eccezionale a Bigliano. "Parli come la televisione", gli dicono al bar. Lui si sente orgoglioso. Altre volte, invece, mettono in discussione la sua cultura ma lui non si offende. "Io ho soltanto la terza media", precisa all'inizio di ogni chiacchierata. Giannino non ha timore di affermare le sue opinioni, ma la presenza di Di Cillio, in giacca e cravatta, lo mette in soggezione. "L’avvocato é laureato e proviene da una famiglia agiata. Il fatto che non abbia molti clienti, non cambia le carte in tavola". La sua autorevolezza deriva dal censo e non dalla 29 riconosciuta competenza professionale. "La circostanza che il denaro sia legittimamente guadagnato, oppure che sia acquisito per grazia ricevuta, non fa differenza a Bigliano". Quando si sparse la voce della convocazione dell’avvocato Di Cillio in caserma per fornire notizie sulla scomparsa della ex fidanzata del fratello, Giannino sostenne nel bar che si trattava di un abuso di potere. “Cosa può avere a che fare l’avvocato con Mariella?” "Dovresti chiederlo ai giudici", gli risposero Radiouno e Radiodue “I giudici sono politicizzati e colpiscono le persone per bene”. “Comunque, non è una buona cosa farsi chiamare in caserma”. “L’avvocato e il fratello sono stati convocati come semplici testimoni”. “Mariella ha fatto le zita con il fratello dell’avvocato. Qualcosa potrebbe sapere sulla scomparsa”, insinuò Radiouno. “Simone ha fatto le zita con Mariella ma non per questo bisogna scomodare l’avvocato". Il potere carismatico che i Di Cillio esercitavano a Bigliano iniziava a farsi sentire e Giannino non aveva esitato a sottolineare la necessità di tutelare il decoro della prestigiosa famiglia. “Tu parli per difendere l’avvocato senza sapere come sono andati i fatti”, gli fece notare Radiodue. “Non mi interessa come sono andati i fatti. Sono brave persone. I Di Cillio li conosciamo bene, chi conosce invece questo giudice politicizzato?” 30 Il problema di Giannino era che ripeteva a memoria quello che leggeva. Leggeva dei giudici politicizzati e ripeteva che i giudici erano politicizzati. Spesso il discorso filava, ma a volte intruppicava. Per questo chiedeva ossequiosamente conferma a Di Cillio. “È vero, avvocà?" Ciaramella odiava Giannino perché esattamente un anno prima aveva avuto problemi con Totonno Tortoriello per colpa sua. Al sindaco era stato riferito che Ciaramella avesse parlato male di lui. Totonno che conosceva Ciaramella e sapeva che di lui si poteva fidare era rimasto perplesso, ma volle ugualmente appurare la verità. “So che non è vero, però mi è stato riferito che qualche parola non molto gentile su di me è uscita dalla tua bocca. Ripeto, saccio che non è vero…però…come si dice…a pensà male si face peccato, ma spesso sanduvina" "Scusate, ma chi ve lo ha detto?" Chiese Ciaramella "Si dice o' peccato, ma non o' peccatore", rispose Totonno. "Posso assicurarvi che da qua dentro non esce una sola parola contro di voi". "Sei sicuro?" "Certo che so’ sicuro…a ovviamente", precisò Ciaramella. parte Giannino, "Vabbuo'…Giannino è uno stronzo e si sa. Però, ogni tanto gli potresti pure tappare quella fogna di bocca, che spara sentenze contro di me". "Ci provo ma con Giannino come si fa? Per il resto niente da dire…non c’è nessuno che si permette di parlare dell’amministrazione comunale". "Ne sei sicuro?" "Io non ho mai sentito niente". 31 Totonno allora si fece serio. "Guaglio', non ci dimentichiamo chi ti fa fatto aprire il bar", disse, agitando l'indice, come se volesse amichevolmente minacciarlo. Ciaramella chinò la testa, sciacquò un bicchiere già pulito e poi replicò, “ho detto che non c'è problema e non c'è problema. In questo bar non si parlerà mai male di Totonno Tortoriello". Finita la discussione, il sindaco chiese un caffè che il barista non volle essere pagato. "Come lo fai tu, non lo fa nessuno, Ciaramé", disse Totonno. Ciaramella aveva aperto il suo bar qualche anno prima. Il fratello, Tonino, invece, aveva scelto la strada dell’emigrazione. "Non è la scelta giusta", gli disse Ciaramella, “per la gente sarai sempre un fallito”. Tonino non aveva risposto. Aveva salutato i parenti e gli amici ed era partito. Destinazione Fermignano! Avrebbe raggiunto i suoi tre cugini, Donato, Maurizio ed Egidio che, nonostante fossero partiti da poco, si diceva avessero fatto fortuna nelle Marche. I tre, figli della sorella del padre di Ciaramella, avevano aperto un ristorante a Fermignano, tra Pesaro ed Urbino. Prima di partire, avevano lavorato nell'azienda del padre, Nicola, ma non avevano avuto fortuna. "Non si getta il lavoro dei propri genitori", commentò polemicamente Ciaramella. Invece, il giorno in cui Nicola, morì, i tre figli decisero di emigrare. Ciaramella, proprio per marcare la sua differenza, chiuse il bar per due giorni per rispetto dello zio. "I valori sono valori", disse. 32 In paese si diceva che il maggiore dei fratelli, Donato, si fosse invaghito di Mariella la bella e che avesse deciso di emigrare, non solo per ragioni di lavoro, ma anche per dimenticare il suo amore impossibile. In realtà, era stata la madre che aveva incoraggiati i figli a partire. "Qui c'è chi mi può dare una mano", li rassicurò zia Rosinella, riferendosi al nipote. Ciaramella rispose che non ci sarebbero stati problemi, ma sotto sotto l'idea che dovesse essere lui a dare uno sguardo alla zia, non gli andava giù. Solo per una questione di principio, ovviamente. "Anch'io avrei potuto prendere armi e bagagli e partire. Avrei potuto fare come hanno fatto gli altri, ma resisto. Io ci tengo alla famiglia". "Tu sei diverso", gli disse la moglie, Isabella, per consolarlo. “Almeno uno dei cugini sarebbe dovuto rimanere. Almeno per non fare brutta figura di fronte alla gente”. Eppure Donato, Maurizio ed Egidio tornavano con regolarità a Bigliano. Ad agosto, una settimana per uno. "Non basta! Zia Rosinella ha bisogno di compagnia soprattutto durante l’inverno. Ha bisogno della legna per il camino e la legna é pesante. Come può fare da sola?" In realtà, sarebbe toccato a lui andare a prendere la legna per il camino di zia Rosinella e la legna era pesante, anche per lui. Più ci pensava e più riteneva che i suoi tre cugini fossero stati degli egoisti. Ovviamente, solo per una questione di principio. “Vorrei proprio vedé se si fosse trattato di mia madre”, esclamò dubbioso, “avrebbero fatto quello che io faccio per loro?” "Non fare accussì", gli rispose Isabella, "Zia Rusinella si merita questo e altro ancora". 33 "Ma figurati…per lei tutto l'oro del mondo", rispose Ciaramella, “ma quegli stronzi, che se ne stanno beati nelle Marche, non si meriterebbero niente”. La questione di principio, comunque, rimaneva. "Prima o poi devo farla presente ai cugini. Magari non mo', ma fra qualche tempo", disse alla moglie. Isabella conosceva bene il marito. Sapeva che era un pezzo di pane, ma, che quando si metteva in testa una cosa, la portava fino in fondo. "Ha la testa dura. È il vero biglianese". Da parte sua, invece, zia Rosinella non si lamentava. Le donne del sud sono abituate a soffrire. Sono abituate a veder partire i propri figli. “Per loro, qui non c'è futuro. Non serve lamentarsi”. Non provano nemmeno a trattenerli, perché non avrebbe senso. "Gli uomini devono seguire il lavoro". Il giorno in cui Donato ed Egidio partirono, zia Rosinella non si fece uscire neanche una lacrima. "Mò ci sono i treni, Donato pote compra' 'na macchina grande e, poi, il nord non é l'America. Non c'é o’ mare di mezzo". Quindi, non c'era motivo per essere tristi. Lo dissero tutti. Zia Rosinella li accompagnò a prendere l'autobus per Potenza. Da lì avrebbero preso il treno per Foggia e, da Foggia, il rapido per Ancona. Infine, il regionale per Pesaro e, di nuovo, l'autobus, per Fermignano. “Ma dove si trova veramente sto’ Fermigliano?” Chiese ai figli. “Ma’, non è lontano”, la rassicurarano per l’ennesima volta. 34 Zia Rusinella non riusciva a pronunciarne il nome correttamente. Fermigliano, diceva. Maurizio, in realtà, partì qualche mese più tardi per finire di sbrigare le pratiche per la cessazione di attività dell'azienda paterna, aiutato da Totonno Tortoriello. In fondo, era per questo che Ciaramella non gradiva che si parlasse male del sindaco. "Quando c’é bisogno, il sindaco si mette sempre a disposizione". Anche quando c’erano stati problemi per la licenza del bar, Totonno aveva trovato la soluzione. "Sembra che i servizi igienici non siano proprio a norma”, gli disse il medico sanitario. “Ma che significa, dotto’?” “Significa che possono esserlo e possono non esserlo”. “E da chi dipende?” “Dal medico sanitario”. “Da voi?” “Si, da me”. “E perché?” “Perché c’è un dubbio sull'interpretazione di una norma". Ciaramella provò a risolvere la questione con Di Cillio, a quattr'occhi ovviamente, ma l'avvocato non riuscì a dargli una risposta chiara. “Mi informo e ti faccio sapere”, gli disse. Alla fine, però, l’avvocato non aveva mai più ripreso l'argomento. A Ciaramella non sembrò educato 35 chiedere due volte la stessa cosa. “E se si offende e non frequenta il bar?” Anche gli altri clienti avrebbero potuto notare l’assenza di Di Cillio e allontanarsi. Decise di non correre rischi. “Se l'avvocato avesse avuto delle novità, sarebbe stato lui stesso a comunicarmele”, pensò. Si consultò la sera a cena con Isabella e decise di cambiare strategia. Avrebbe interessato direttamente Totonno Tortoriello. "Meglio andare nella chiesa grande", disse alla moglie. Totonno, interpellato da Ciaramella, disse che se ne sarebbe occupato. "Ci mancherebbe altro, Ciaramé". Ci mancherebbe altro si riferiva alla certezza che Totonno se ne sarebbe interessato. Riguardo l'esito occorreva, invece, aspettare. “Ne parlo con il medico sanitario di Bigliano”, gli disse Totonno. Il medico sanitario, interpellato da Totonno, non fece problemi e chiuse un occhio. "In realtà, il problema c'era. Volendo essere pignoli, il medico sanitario avrebbe potuto ostacolarti, Ciaramé. Se avesse fatto una verifica approfondita, avrebbe appurato la non conformità del locale ai requisiti stabiliti dalla legge", spiegò Totonno. Alla fine, il medico sanitario, amico di Totonno, disse, “é tutto in ordine. Nesun problema. I migliori auguri da parte mia per l’attività”. Totonno aveva fatto il favore a Ciaramella che lo aveva ringraziato, riservandosi la possibilità di offrirgli il caffè vita natural durante. Ed anche il medico sanitario aveva fatto un 36 favore al sindaco, che era un suo amico. "Il concetto di amicizia a Bigliano é molto ampio. L'amicizia non implica una frequentazione approfondita, quanto la certezza di poterci contare nel momento del bisogno", chiarì Totonno. “Per il momento non c'é niente che mi serve ma non si mai in futuro", rispose il medico sanitario. Aveva due figli ormai grandi e poteva darsi che un favore gli sarebbe servito per la loro sistemazione. Intanto, Totonno era riuscito a guadagnare il voto di Ciaramella e della sua famiglia. Tuttavia, Ciaramella, essendo un esercente ed avendo un'attività ben avviata, non poteva dichiararlo pubblicamente. Avrebbe rischiato di perdere i clienti che, invece, disapprovavano la politica del sindaco Tortoriello. E di clienti che disapprovavano l’operato del sindaco ce ne erano, ovviamente, molti. Preferì astenersi dal fare dichiarazioni pubbliche. Preferì osservare un'equidistanza di facciata per mettersi al riparo da eventuali ritorsioni. "Se non fosse per quello stronzo di Giannino che mi mette sempre in mezzo, potrei sopravvivere senza avere problemi né con Totonno, né con i suoi avversari". Quando Ciaramella ebbe il malinteso con Totonno, pensò di chiedere a Giannino di non mettere più piede nel suo locale. Era deciso a farlo e si consultò finanche con la moglie, come per le cose importanti. La moglie gli consigliò di desistere. "Giannino é un opinionista e potrebbe sparlare di te". Avrebbe potuto parlare male, non solo in altri esercizi pubblici, che lo avrebbero successivamente ospitato, ma anche direttamente in piazza. "Potrebbe essere pericoloso e dannoso per l'attività". 37 Meglio soprassedere dunque. "Sarà opportuno fare attenzione e, se proprio esce qualche maldicenza, ci si può sempre chiarire". Totonno, dopotutto, abbaiava, ma non mordeva. Gli interessavano i voti, non le opinioni sulla sua persona e la sua famiglia. Quelle non producevano alcun effetto concreto. “E noi abbiamo una famiglia numerosa”, gli fece notare Isabella. Avevano un potere di negoziazione da non sottovalutare, durante le elezioni e Ciaramella finì per seguire i consigli della moglie. Giannino non avrebbe mai potuto immaginare quanto fosse stato vicino alla defenestrazione dal bar. Avrebbe goduto di una sorta di immunità diplomatica, che Ciaramella era stato disposto a concedergli. "Il privilegio, però, vale solo per lui. Per gli altri, invece, esiste solo il rispetto delle regole. Niente politica inda o' bar!" 38 La testimonianza spontanea di Carmelina ‘a napuletana Non molto lontano dal bar di Ciaramella, abita Carmelina 'a napuletana. Vive da tempo immemorabile a Bigliano, ma per tutti rimane 'a napuletana, perché il nonno paterno era nativo di Torre Annunziata. Era giunto a Bigliano agli inizi del novecento per ragioni sconosciute. Aveva sposato una biglianese ed erano nati quattro figli. Il terzo di questi quattro figli era il padre di Carmelina. Sembrava davvero uscita da un presepe napoletano, come se una mano maldestra l’avesse disegnata, dimenticando di delinearne i contorni. Ha sempre i capelli arruffati e un ciuffo tra il nero e il grigio gli scende costantemente sulla fronte. Ha le gote rosse, ma mai di un rosso intenso. strano vedere un rosso tanto sbiadito. Ha tre figli, due femmine ed un maschio. Le due femmine era riuscita a sistemarle subito, il maschio, invece, lo avrebbe tenuto ancora in casa, se non fosse stato per il sindaco. L’oro nero di Totonno aveva sbloccato la situazione. Per questo gli era molto riconoscente e, oltre al sostegno politico, aveva anche inaugurato la tradizione di portargli i zippili per Natale. Totonno li adora, come si può dedurre dalla corpulenta corporatura. Pesa quasi un quintale e non é affatto alto. “Ci vuole più tempo per girarci intorno che per salirci sopra”, dice Giannino. Gli piace gestire il potere. Ha più clienti dell’avvocato Di Cillio e di Pinuccio di Gina. Quando Carmelina andò a trovarlo, le offrì da bere e le chiese del figlio, che aveva sistemato. “Come si trova?” “Bene, bene”, gli rispose Carmelina, aggiungendo, con una punta di orgoglio “la volontà non gli manca. Iè sempre 39 stato 'nu ciuccio di fatica”. Totonno assaggiò i zippili e poi esclamò, “Carmelì, come li fai tu, non li fa nessuno”. La conversazione tra Carmelina e Totonno durò lo spazio di due domande e due risposte. “Carmelì, mi devi scusare. Ho molte cose da fare e mi devo allontanare”, disse Totonno. In realtà, tentava di tenersi liberi i giorni prima di Natale per ricevere i clienti. Non era un mistero che ci rimanesse male quando chi si sarebbe dovuto disobbligare, non lo faceva. Trapanese, intanto, aveva chiesto al maresciallo Turtino di lasciarlo solo in ufficio. Doveva concentrarsi e rileggere le deposizioni rilasciate dai parenti e dagli amici della persona scomparsa. “Sarebbe possibile avere un caffè?” Chiese Trapanese. “Subito!” Rispose Turtino “Qui ci sarà da lavorare”, lo avvertì Trapanese. “Allora serve il miglior caffè di Bigliano”, gli rispose Turtino. Chiamò il bar di Ciaramella e ordinò due caffè, uno per lui, macchiato con una spruzzata di cannella e uno, ristretto, per il sostituto procuratore, che aveva bisogno di concentrarsi. "Mi raccomando…il prima possibile…cortesemente!" Aggiunse, con un tono tra il gentile e l'esigente. "Li preparo e li porto io personalmente", rispose Ciaramella, tenendo a rimarcare che sarebbe stato lui personalmente a portarli in caserma. 40 Ciaramella preparò i due caffè, si tolse il grembiule bianco e si diresse prontamente verso la caserma. "Torno subito", disse a Radiouno e Radiodue, pregandoli di dare uno sguardo al bar durante la sua breve assenza. Pregandoli costituisce ovviamente un eufemismo. I modi di Ciaramella erano usualmente molto più spicci e, nei confronti di Radiouno e Radiodue, lo erano più del normale. Il passo di Ciaramella verso la caserma fu abbastanza rapido. Si vedeva che aveva una gran fretta di arrivare. “Devo cercare di sape’ qualcosa”. Il suo auspicio era di raccogliere qualche informazione sul caso di Mariella, da poter successivamente spendere nel bar. Teneva molto al fatto che le notizie circolassero da lui, prima che in altri locali, se non altro per un fatto di prestigio. Non era ammesso discutere di politica, ma altri argomenti, specie se riferite alla cronaca, erano molto ben accetti. Anche per questo la presenza di Radiouno e Radiodue veniva ampiamente tollerata. Non erano buoni clienti, ma erano buoni informatori. In qualche misura, il vantaggio per Ciaramella esisteva. Non prendeva soldi con le loro inesistenti consumazioni ma le loro informazioni creavano un potenziale giro d’affari. Ciaramella sapeva benissimo che, quando lo telefonavano dalla caserma, per ordinare dei caffè, era perché qualcosa bolliva in pentola. Era già capitato altre volte. Arrivato in caserma, chiese del maresciallo Turtino. “Ho portato i caffè che il maresciallo in persona mi ha ordinato”. L’appuntato Scapagnin si offrì di prendere i due caffè e di portarli al maresciallo e al sostituto procuratore ma Ciaramella fu irremovibile. 41 “E voi chi siete? Forse non avete capito che me li ha ordinati il maresciallo in persona”. Dava l'impressione di dover consegnare una sorta di valigia diplomatica, per quanta attenzione riponesse nel vassoio, che aveva in mano. “Me li ha ordinati il maresciallo in persona. Devo consegnarli personalmente…”, ripeté Ciaramella. “Come vuole”, si rassegnò Scapagnin. “Ne approfitto anche per salutare il maresciallo", precisò Ciaramella. Turtino, chiamato dal giovane appuntato, giunse subito, attraversando un lungo corridoio, a destra della porta di entrata, dove il barista lo stava aspettando. Ciaramella intese i passi di Turtino. Pensò alle domande che avrebbe potuto rivolgergli, per strappargli qualche informazione utile. “Porca puttana! Non mi viene in mente niente di speciale”. Così, quando Turtino gli si avvicinò, porse il vassoio con i caffè e chiese semplicemente, con un tono a metà tra il curioso e il rispettoso, "ci sono novità, marescià?" "Ciaramé, tu sei tropo curioso", rispose il maresciallo, che conosceva bene Ciaramella. Tuttavia, proprio perché lo conosceva bene, sapeva ugualmente che se non gli avesse dato una notizia, anche di poco conto, difficilmente se lo sarebbe tolto dai piedi. "Sta analizzando i verbali", disse il maresciallo, riferendosi al sostituto procuratore. "Ah…sta analizzando i verbali?!...Forse qualcosa non si trova?" insinuò Ciaramella "Vedremo", rispose il maresciallo che, dopo aver 42 soddisfatto la sua curiosità con una notizia che, di fatto, non significava nulla, pagò i due caffè e salutò Ciaramella. ‘Ci sarà tanto da lavorare”. Ciaramella ritornò al bar con un passo meno agile di quello dell'andata. Prima c'era la fretta di sapere le notizie, ora occorreva calma per elaborarle. Appena messo piede nel bar, Radiouno e Radiodue gli chiesero, "…e allora? Com’è andata in caserma?" "…E allora…pare che si stanno confrontando i verbali", rispose Ciaramella. "…e che significa?" chiesero in coro Radiouno e Radiodue. "Di preciso…non o' saccio…ma per dirmi che stanno confrontando i verbali, si vede che qualcosa c'è", rispose Ciaramella con il tono insinuante, che solo lui era capace di fare, quando voleva attirare l'attenzione. Tuttavia, quella volta, non sapendo nulla di più, lasciò cadere il discorso, aggiungendo "non parliamo di ‘ste cose, che sono cose delicate". Radiouno e Radiodue si guardarono interdetti, ma preferirono non aggiungere nulla e seguire il suggerimento di Ciaramella. Intanto, in caserma, il sostituto procuratore, ricevuto il caffè dal maresciallo, si mise a lavorare ma venne nuovamente interrotto dall’appuntato Scapagnin. “La cerca una persona in merito al caso di Mariella la bella”. "Falla entrare", rispose Trapanese, incuriosito, dopo aver ripiegato il fascicolo, contenente le deposizioni, che stava analizzando. Si trattava di Carmelina ‘a napuletana, che dopo aver lasciato la casa di Tortoriello, era andata in caserma. 43 Trapanese la fece accomodare, chiamò Turtino, affinché lo coadiuvasse, e poi chiese a Carmelina "signora, dia per cortesia le sue generalità al maresciallo qui presente". Carmelina scandì a voce alta il proprio nome, cognome e data di nascita. Aggiunse anche l'indirizzo e il numero di telefono, a richiesta del sostituto procuratore. Poi, con tono serio, le chiese "signora, mi dica tutto quello che sa…la ascolterò con molta attenzione". “Mariella era per me come una figlia. Con la sua famiglia e con quella degli zii ci rispettiamo da sempre. Sento il dovere di dire quello che so. Quella povera figlia deve essere trovata e restituita alla famiglia”. Trapanese ascoltò in silenzio il lungo incipit. Sobbalzò dalla sedia quando Carmelina aggiunse, "dottò, la sera prima della scomparsa io a Mariella mi sembra di averla vista". "Come?…Dice che le sembra di averla vista la sera in cui è scomparsa?” “Si, mi sembra di averla vista” “Un attimo…le sembra o l’ha vista veramente?” “Eh…dottò…voi qua… volete sapere un po’ troppo”, disse Carmelina, dando l’impressione di ignorare il luogo in cui si trovava. “Signora, noi non ci troviamo dal parrucchiere o dal macellaio. Lei sta facendo una deposizione importante, che potrebbe avere un impatto sulle possibilità di ritrovare la ragazza scomparsa. Si tratta di un interesse condiviso. Vogliano ritrovarla questa benedetta ragazza…o no?” “Naturalmente, dottò, dobbiamo ritrovarla”. “Allora la prego di dirmi le cose che ha visto o che pensa di aver visto”. “Dottò, dovete sapere che ad una certa età non 44 esistono certezze. I dubbi alimentano la vita più che nella giovinezza. Voi siete ancora giovane e cercate certezze. Io non sono più giovane e certezze non ne ho. Io vi voglio aiutare perché mi fa tanta pena vedere quel pover’uomo di Zi’ Antonio soffrire. E la moglie? L’ha vista la moglie? Non voglio dire niente del padre perché il padre…lei sa in che condizioni è il padre…”, si mise a disquisire Carmelina. Trapanese a quel punto si rese conto di quale fossero i ritmi della napuletana. Avrebbe parlato all’infinito, se l’avesse lasciata fare. Le sue gote diventavano sempre più rosse, man mano che aggiungeva informazioni. Sembrava ci fosse una relazione diretta tra il numero delle parole dette e l'intensità del colore. Trapanese non poteva fare altro che seguire i suoi ritmi, se avesse voluto sperare, che dal suo oceano di parole uscisse finalmente qualche informazione di una certa utilità. Decise che non sarebbe stato il caso di intervenire con domande precise e Carmelina si sentì autorizzata a continuare. “…il padre, come stavo dicendo, non si rende neanche conto di quello che sta succedendo. Lui beveva prima e beve adesso. Anzi, che fortuna che riesce a bere! Magari riuscissi a bere anch’io in queste situazioni. Potrei dimenticare e invece no. Tutto mi torna sempre nella mente. E la sera in cui Mariella, come dite voi è scomparsa, io penso di averla vista”. "Finalmente!" Esclamò Trapanese, "siamo arrivati al punto. Dunque…lei pensa di averla vista o possiamo dire che l’ha vista realmente?” Trapanese si piegò sulla scrivania, con un andamento ondulatorio, che lasciava intravedere una partecipazione corporale al discorso di Carmelina. “Diciamo che l’ho vista…diciamo allora che l'ho vista”, precisò Carmelina alla richiesta di chiarire il concetto da parte di Trapanese, che, per essere sicuro, affermò “quindi, non le sembra…è sicura di averla vista?” 45 “Si, si…l’ho vista”, ribadì a quel punto con certezza Carmelina, quasi sfinita per le continue richieste di Trapanese di chiarire il concetto. “E dove l'ha vista?" Chiese Trapanese, sempre più incuriosito. "Dottò, mi sembra che fosse in una macchina grossa….ma grossa assai". “Siamo alle solite…le sembra o ne è certa? Veramente la ragazza si trovava in una macchina grossa?” Domandò Trapanese, per evitare equivoci. “Si, si.…Era veramente in una macchina grossa”, rispose Carmelina. “…E allora, non dica mi sembra…per cortesia, cerchi di essere chiara”, precisò Trapanese. “Io ci provo, dotto’”. "Lei mi sta dicendo che ha visto la ragazza in una macchina grossa? Bene! Cerchi di ricordare…quanto era grossa questa macchina?” “Come posso spiegare”, disse Carmelina, rivolgendosi al maresciallo Turtino, “…queste macchine grosse…che ne so…per esempio la macchina del notaio Fiore la conoscete?” “Maresciallo, conoscete la macchina del notaio Fiore?” Chiese Trapanese a Turtino. “Il notaio Fiore? E quello ha la Mercedes”, rispose il maresciallo. “Allora era come quella…intendiamoci, non era quella perché il colore era diverso ma…se mi chiedete quanto fosse grossa quella macchina, allora io vi devo dire come quella del notaio Fiore”. “Maresciallo, scriva che la signora qui presente ha visto la ragazza in una Mercedes”. 46 “Il colore se lo ricorda?” “Quello si…ve l’ho detto…non era come quella del notaio Fiore”. “Quindi, di che colore era la Mercedes?” “Nera…senza dubbio, nera”. “…E sarebbe capace di riconoscere il conducente dell'autovettura?" "Ve l'ho detto…grossa assai". “Quello lo abbiamo capito…Vi stavo chiedendo del conducente", ripeté Trapanese a Carmelina, che aveva dimenticato di rispondere. "Quello no, non l’ho visto. Non lo conoscevo, perché non lo avevo mai visto prima e io faccio caso solo alle persone che conosco. Non mi chiedete informazioni sulle persone che non conosco perché io non le ricordo. La mia mente non è più giovane e già ricordare quello che conosco è difficile. Figuriamoci quello che non conosco". Trapanese, nonostante le precisazioni di Carmelina, che aveva ribadito di non riconoscere le persone nella Mercedes in cui aveva visto Mariella la bella, chiese ugualmente a Turtino di mostrarle alcune foto segnaletiche. Carmelina, dopo averle guardate con attenzione, non riconobbe nessuna delle persone ritratte nelle foto, mostratele dal maresciallo. Disse illuminando nuovamente le sue gote rosse, “ve lo avevo detto, signor giudice...Io non riconosco mai le persone che non conosco”. A quel punto Trapanese, riprese il lavoro, stimando interessante e da approfondire la testimonianza di Carmelina. La sera della scomparsa, Mariella era stata vista da una testimone in una macchina di grossa cilindrata, sebbene non si conoscessero i particolari sulla vettura e sugli 47 occupanti. Avendo a disposizione informazioni talmente scarne sarebbe stato difficile giungere ad una conclusione chiara. Sarebbe stato altrettanto difficile tracciare un percorso. Trapanese chiuse il fascicolo, inserendovi il foglio appena firmato dalla testimone. Sul fascicolo vi appose la dicitura, da verificare. Le lacrime di Zi' Antonio Dopo aver completato la deposizione, Carmelina chiese al sostituto procuratore, "di non dire niente a nessuno, perché non si sa mai cosa potrebbe pensare la gente”. “Non si preoccupi”, la rassicurò Trapanese. “Non dite niente a nessuno neanche voi…qui a Bigliano la gente è cattiva e invidiosa", chiese Carmelina al maresciallo. Ricevuta la rassicurazione anche da parte di Turtino circa la riservatezza del colloquio appena intercorso, Carmelina rientrò a casa, fiera di aver offerto la sua collaborazione. Avvertì uno strano senso di liberazione, come se la sua coscienza fosse finalmente a posto. Non ne fece menzione con nessuno, tranne che con Zi' Antonio. “Almeno la famiglia di Mariella lo deve sapere”, pensò. Carmelina trovò Zi' Antonio a casa, accanto al caminetto. Entrando nel soggiorno intravide la sua sagoma. La stanza era illuminata solo dalla luce di riflesso del fuoco acceso, che proiettava l'immagine mossa di Zi' Antonio, in parte sulle pareti e in parte sulla credenza a vetri. Le ricordava un grande e grosso San Bernando, adagiato in un angolo, in attesa di mangiare. Entrò in punta di piedi attenta a non fare rumore. L'atmosfera era quieta, come quella di un fiume, che si sta sgonfiando dopo un periodo di piena. Sembrava che 48 tutto ritornasse nel proprio alveo naturale ma sarebbe stato evidente anche agli occhi di un eremita in preda ad una crisi di panico che non era così. Zi' Antonio sedeva su una vecchia sedia sdraio di plastica. Alcuni intrecci erano saltati e lui li aveva riparati con lo spago che abitualmente usava per i filari della sua vigna. “Che tristezza!” Carmelina lo percepì affranto come non lo aveva mai visto nella sua intera esistenza. Il grande San Bernardo aveva la mano destra appoggiata ad una tempia, la pelle abbondante della mandibola ricadeva sulla mano e ne copriva le prima due dita. Girava e rigirava l'altra mano nella tasca del suo pantalone di velluto, alla ricerca del tabacco, che non trovava. Le rughe profonde del suo viso si accavallavano, delineando sentieri rigidi e mai battuti. L'uomo forte e allegro che Carmelina conosceva sembrava essersi sciolto di fronte al dolore. "E se fosse capitato a me? Come avrei reagito? Avrei lottato con tutte le mie forze…ma certo che avrei lottato. Avrebbero dovuto ridarmela e se non me l'avessero ridata? Ah…allora l'avrei ripresa con la forza. Non si può togliere una figlia ad una madre", pensò Carmelina. Mentre pensava, avanzava lentamente. La sagoma di Zi' Antonio, accucciato sulla sedia, le provocava un pensiero, che diventava sempre più concitato. Più si avvicinava a Zi' Antonio e più ne percepiva il dolore. "E se fosse morta? Certo, morta, morta! Morirei anch'io. Che senso potrebbe avere la mia vita?" Carmelina passava dalle intenzioni bellicose ai momenti di sconforto. Il passaggio avveniva tanto rapidamente da non riuscire a rendersene conto. Le sue gote rosse diventavano sbiadite nei momenti di sconforto, ma vibravano di un rosso intenso quando, invece, sentiva che la vita fosse dolore. Zi' Antonio la scorse, quando già si trovava nel soggiorno. Il san Bernardo sollevò la testa. Fece un cenno con la mano per 49 attirarla a sé. Carmelina realizzò il dramma. Nell'istante preciso in cui Zi' Antonio fece il cenno con la mano, sentì un nodo stringersi alla gola. Fu quello il momento della presa di coscienza. "È terribile sopportare il peso dell'assenza, del ricordo e dell’amarezza", le disse Zi' Antonio, "non ci possiamo manco rassegnà”. Carmelina provò a fargli coraggio. “Ma voi non vi dovete rassegnare. Mariella è sicuramente viva e presto tornerà a casa”. “Sai, Carmelì, quando uno muore, sai dove andare a piangere. Ma io dove devo andà?" sussurrò Zi' Antonio, tra le lacrime, "ogni volta che sona o' campaniddo, io penso che ié Mariella". Carmelina ripensò all'ultima volta che aveva visto Mariella. Aveva gli occhiali scuri. “Era di sera e aveva stranamente gli occhiali scuri”. Si trattava di un particolare che non aveva riferito al sostituto procuratore. Provò a consolare Zi' Antonio ma non riuscì a dire nulla di più che "sono sicura che la troveranno. Ci vorrà tempo ma la troveranno". "Speriamo, figlia mia. Speriamo", le rispose Zi' Antonio, in lacrime. Carmelina riuscì a stento a trattenere le sue lacrime. Preferì ritornare a casa. “Ho voglia di abbracciare i miei figli”. Uscendo dalla casa di Zi' Antonio, incrociò il ragioniere La Spina. Lo salutò con gli occhi ancora umidi. “Buonasera, ragionié”. “Saluti, Carmelì”. 50 La Spina amava fare lunghe passeggiate, sempre sullo stesso percorso e, quasi sempre, allo stesso orario. Rincasava dal lavoro alle due e dieci, pranzava e andava al circolo a prendere il caffè. Incontrava alcuni amici, faceva la solita partita a carte e si incamminava verso i pozzi. Non pensava al traffico, al petrolio e alla qualità dell’aria. Preferiva concentrarsi sul profilo delle montagne. Sarebbe potuta apparire come una forma di superficialità, invece, si trattava di una tecnica di sopravvivenza. Componeva poesie e affidava ai versi il mondo che il tempo e gli uomini stavano inesorabilmente cancellando. Il ragioniere attraversava il ponte sul ruscello, ormai in secca, passava davanti al carcere mandamentale e giungeva fino al campo sportivo. Si riposava per qualche minuto, mentre vedeva i ragazzi giocare a pallone. Riprendeva il cammino per giungere finalmente alla piazza principale. Lungo il cammino passava davanti la casa di Carmelina 'a napuletana, la clinica dove un tempo esercitava il dottor D'Eugenio, la scuola elementare e, infine, il bar di Ciaramella, proprio a due passi da Piazza Giuseppe Verdi. Faceva un lungo respiro, sorrideva e si appoggiava con il braccio destro all'abete, fatto piantare qualche anno prima, sul lato destro della piazza, non lontano dal busto in bronzo di Verdi. Carmelina incrociando il ragioniere La Spina non poté non pensare che anche lui avrebbe potuto vedere Mariella la sera della scomparsa. Faceva sempre il solito giro e passava sempre davanti alla casa di Zi' Antonio. "Potrei chiederglielo", pensò Carmelina Avrebbe potuto confermare o smentire e sarebbe stato d'aiuto come supporto alla sua tesi. “Io sono sempre stata certa di aver visto Mariella però, da quando ho deciso di parlarne in caserma, ho tanti dubbi”. Solo la determinazione di Trapanese l’aveva fatta andare fino in fondo nel ricordo. Tuttavia, i dubbi erano 51 rimasti tali e quali. "Se anche il ragionier La spina potesse testimoniare? Sarebbe la conferma che avevo ragione", pensò Carmelina. La Spina aveva risposto al saluto di Carmelina, simulando il gesto di alzarsi il cappello in segno di rispetto. Carmelina ebbe la tentazione di fermarlo per chiedergli la conferma che cercava, ma non lo fece. "Forse il ragioniere ha visto, ma se ha visto perché non ha già riferito ai carabinieri?” Pensò. Intanto La Spina l'aveva sopravanzata e stava filando dritto verso la piazza. Carmelina si fermò a guardarlo, mentre lentamente scompariva dalla sua visuale. Vedeva progressivamente rimpicciolirsi la sua figura. Scomparivano l'impermeabile e il cappello. "Non c'è bisogno di chiedere", concluse Carmelina, "il ragioniere La Spina è un galantuomo e se avesse avuto qualcosa da dire, lo avrebbe detto. Ci mancherebbe altro". Decise che fosse ora di rientrare a casa. Il posto di A' bionda Ziza e Pinuccio di Gina erano i clienti ideali per Ciaramella. Consumavano tanto, in termini di bottiglie di birra, e non parlavano di politica. Come Ciaramella e come quasi tutti a Bigliano, anche Ziza aveva ricevuto un favore da Totonno Tortoriello. 'A bionda era stata assunta al comune di Bigliano come assistente di fascia B. Totonno aveva approfittato di una clausola inserita nella legge finanziaria regionale, per assorbire tutti i lavoratori socialmente utili. Tecnicamente, la cosa non era molto chiara, come, invece poteva apparire. Infatti, Ziza non sapeva se considerare il favore dell’assunzione della moglie provocato dall’attivismo di Totonno oppure da quello del dottor De Cesare. 52 Quest’ultimo in passato, si era adoperato anche per la sua assunzione in fabbrica e Ziza non lo aveva dimenticato, ma, contrariamente a quanto sarebbe stato plausibile supporre, Ziza non nutriva alcun sentimento di riconoscenza per De Cesare. Al contrario, lo detestava proprio perché era stato la causa del suo lavoro. “Certo, io gli ho chiesto il favore ma mai avrei potuto immaginare che lo avrebbe fatto”. Ziza pensò che anche nel caso dell’assunzione della moglie poteva esserci lo zampino del dottor De Cesare. “Lo stronzo è consigliere provinciale del partito governativo regionale”. Totonno, invece, era il sindaco, e per definizione avrebbe dovuto costituire il principale fautore dell’assunzione. D'altro canto, però, Totonno apparteneva al partito all'opposizione alla regione e, come tale, non sarebbe stato in grado di esercitare alcun condizionamento sulla giunta regionale. A Bigliano, si era sparsa la voce che fosse stato De Cesare a premere sulla giunta regionale, per far inserire la clausola nella legge finanziaria, che, in seguito, aveva condotto all'assorbimento dei lavoratori socialmente utili. La voce messa in giro a Bigliano, che assegnava il merito al dottor De Cesare, in linea di principio, poteva anche essere plausibile. Totonno era il principale attore e, probabilmente, era stato lui a decidere ma, d'altro canto, se non ci fosse stata la clausola specifica nella legge finanziaria, non sarebbe stato possibile eseguire l'assunzione. A chi doveva essere assegnato il merito? A Totonno Tortoriello oppure a De Cesare? A complicare ulteriormente le cose c'era l’amicizia personale di De Cesare con il presidente della regione. “Dunque, la cosa può essere veramente andata nel modo in cui i sostenitori di De Cesare affermano”, pensò Ziza. 53 Totonno Tortoriello si era affrettato a smentire le voci che riguardavano il presunto impegno di De Cesare. “Il merito è solo mio. De Cesare ha fatto mettere in giro questa voce, infondata”. Ziza non conosceva direttamente De Cesare, ma conosceva Totonno Tortoriello. Preferì credere a lui, anche se qualche dubbio gli rimase. De Cesare, intanto, fece rilasciare un'intervista sul quotidiano della Lucania affermando “che i lavoratori vanno sempre tutelati e che bisogna garantire il posto sicuro”. La dichiarazione di De Cesare venne riportate nel titolo dell'articolo e finì addirittura in prima pagina. Ziza aveva notato il titolo, mentre un giorno, bevendo la birra nel bar, sfogliava, distrattamente, il giornale, sul frigorifero dei gelati. Sua moglie era precaria e sapeva che si ventilava la possibilità di un'assunzione a tempo indeterminato. Per questi motivi, volle verificare. Attratto dal titolo, iniziò a sfogliare il giornale per trovare l'articolo che cercava. Lo trovò a pagina otto. L'articolo ricopriva l’intera pagina, anche perché c'era una fotografia enorme di De Cesare. Ziza, non appena la vide, ricordandosi anche del favore che gli aveva fatto in passato, esclamò, "sto' strunz'!" Ciaramella lo riprese immediatamente. In realtà, Ziza non ce l'aveva specificatamete con De Cesare. Diceva "sto’ strunz'" ogniqualvolta vedeva un politico. Dopo aver letto l'articolo, Ziza fu meno polemico nei confronti di De Cesare. Non disse "sto' strunz'", come al solito ma esclamò: "amma vedé’". Si trattava di un'apertura di credito importante. Il posto della moglie gli stava molto a cuore, molto più di quanto gli fosse stato il suo posto in fabbrica. Se sua moglie finalmente avesse iniziato a lavorare, la questione, relativa al sostentamento economico della famiglia, si sarebbe potuta considerare definitivamente chiusa. 54 Quando, finalmente 'A bionda venne assunta a titolo definitivo, Ziza si sentì molto sollevato. Sapeva che Totonno Tortoriello si era dato da fare. Era lui il sindaco e la lettera di assunzione proveniva dal Comune. Nello stesso tempo, si ricordò anche dell'intervista del dottor De Cesare e di quello che si diceva in giro. “Alla fine chiunque é stato non conta. Quello che conta è che finalmente fatica e che io non tengo più rotture di palle”. Poteva bere la sua birra tranquillamente da Ciaramella e giocare a pallone quando lo desiderava. “Totonno é sempre a disposizione, se serve. De Cesare, invece, ha già combinato un guaio in passato e, tutto sommato, chi lo conosce per davvero?” Aveva l’abitudine di andare a Bigliano anche tre volte prima della campagna elettorale ma poi spariva nel nulla, per un misterioso effetto di polverizzazione. Riappariva sui giornali e, ogni tanto, in televisione, ma non si materializzava mai, se non in occasioni di funerali e matrimoni, con ampia partecipazione popolare. Alcuni biglianesi ritenevano che De Cesare fosse privo di materia. Totonno, invece, era un'entità reale. Il sostituto procuratore Trapanese, intanto, sembrava aver deciso la strategia da seguire. La sua esperienza gli suggeriva di concentrarsi sulle persone, che abitualmente frequentavano Mariella. Decise di fare un altro giro d'interrogatori per chiarire alcuni aspetti che riteneva interessante approfondire. Avrebbe riascoltato gli zii di Mariella, l'avvocato Di Cillio, suo fratello Simone e l'amica che frequentava ai tempi della scuola, Paola Urbano Tositto. Turtino fece recapitare a tutti un invito a presentarsi in caserma. "Solo per raccogliere informazioni, ovviamente!" Nessuno di loro risultava ufficialmente sospettato. 55 Il primo ad essere ascoltato per la seconda volta fu l'avvocato Di Cillio. Si lamentò per essere stato nuovamente convocato. "Guardi, io ho avuto davvero poco a che fare con Mariella già ai tempi in cui frequentava mio fratello. Figuriamoci dopo!", esclamò Di Cillio, che poi proseguì, "senta, io quella ragazza non la sopportavo, se proprio vuole saperlo. Non l'ho mai sopportata e non mi andava giù che mio fratello la frequentasse. Con tante ragazze che vivono a Bigliano proprio lei, che diamine!" L'avvocato sbottò, senza mezzi termini. Trapanese sgranò gli occhi. Conosceva Di Cillio come una persona pacata e riflessiva e non si attandeva una presa di posizione come quella a cui aveva appena assistito. Anche Trapanese sapeva che non aveva clienti, ma non per questo lo aveva mai sentito lamentarsi. Giocava al ruolo dell'avvocato impegnato e di successo e non era da lui esporsi con tanta determinazione. Anche Turtino che seguiva defilato la conversazione drizzò le orecchie. "Non era quella santa che ora tutti descrivono. Solo Simone non aveva capito il gioco che stava giocando. Io si!…Io lo avevo capito. A me non mi si fa fesso facilmente…Figuriamoci se poteva farmi fesso una come quella", aggiunse l'avvocato, che ormai sembrava un fiume in piena. Trapanese evitò di interromperlo, aspettando che spiegasse le ragioni che lo portavano a sparare a zero contro Mariella la bella. "Simone si faceva incantare dalla bellezza…il fesso, si faceva incantare dalla bellezza e vede a che punto siamo? Il sostituto procuratore ci convova per una faccenda losca. S’immagina se lo sapesse lo zio…Forse lo sa già! Che vergogna!" A quel punto, Trapanese intervenne. Di Cillio tergiversava e stentava a focalizzarsi sul punto che, invece, lo interessava per davvero, “per quale ragione non poteva 56 sopportare Mariella?” L'avvocato rispose, “non è che non la potessi sopportare, ma sa… non era una ragazza che poteva essere posta sullo stesso rango della famiglia Di Cillio, non crede? Bigliano è un piccolo paese, ci sono delle regole da rispettare. Non è che ognuno può fare quello che gli pare. Voglio dire…,va bene la democrazia, ma c’è sempre un limite! Mio fratello spesso superava questo limite”. La spiegazione apparve subito poco convincente, ma per quanto Trapanese insistesse, non riusciva ad ottenere altro. Alla fine, congedò l'avvocato. "La lascio andare ma avrei, francamente, preferito una maggiore collaborazione da parte sua, che è un uomo di legge". "Le ho detto tutto quello che sapevo. Anzi, forse le ho detto anche troppo". "Lo vedremo". Di Cillio uscì dall'ufficio e Trapanese si rivolse al maresciallo. "Pensate che Di Cillio possa nascondere un’altra verità?" Turtino sollevò le labbra verso l'alto. Non avrebbe potuto essere più chiaro per esprimere il dubbio. "Non riesco a trovare risposte plausibili. Andiamo avanti, maresciallo!" Subito dopo l’avvocato Di Cillio, venne ascoltata la moglie di Zi' Antonio. "Signor giudice, non potete immaginare quanto era brava Mariella nostra. Aveva subito tanto, ma era sempre stata brava", disse la zia, con un fazzoletto bianco tra le mani. Ogni tanto se lo portava agli occhi per asciugarsi le lacrime, che scendevano copiose sul viso. Piangeva e parlava 57 e più parlava e più piangeva. Sembrava esserci una corrispondenza diretta tra le parole e le lacrime. “Signora, la capisco…o meglio provo a capirla. La vita spesso riserva sorprese poco gradite”, disse il sostituto procuratore, sporgendosi con le mani giunte verso la zia di Mariella. La signora che aveva chinato la testa, rialzandola si trovò di fronte la figura di Trapanese, che la sommergeva. Con le mani giunte sembrava un prete, nell’atto di confessare una fedele. Si sentì di colpo a suo agio. “Mariella ne ha avute assai di cose poco gradite nella sua vita. Ha perso la mamma che era ancora una criatura. Ah, quanto voleva bene alla mamma…ma è riuscita a superare quel difficile momento. Noi l’abbiamo aiutata, ma Mariella è stata forte, molte forte. Più forte del padre è Mariella. Lui si che ha avuto problemi quando è morta la moglie. La sera non sapeva cosa fare. Non si sapeva fare neanche da mangiare. Si mise a bere e ogni giorno beve@va sempre di più. Ah, quante ne ha dovute sopportare Mariella!” Esclamò la zia, portandosi di nuovo il fazzoletto agli occhi per asciugarsi le lacrime, che erano riprese a scendere copiose. “Signora, quando ha visto Mariella l’ultima volta?” Chiese Trapanese, per focalizzare l'attenzione sulla scomparsa. “Fatemi pensare…dunque…vediamo…il giorno verso l’una è venuta a casa. Abbiamo mangiato insieme. Io avevo preparato i firriciddi con la mollica e le noci. Avevo messo anche il rafano fresco fresco, che Antonio aveva portato dalla campagna proprio il giorno prima. L'avevo messo da parte, ma poi ho pensato che non valeva la pena di stiparlo…e ho fatto bene! Vero, signor giudice, ho fatto bene. L’avete detto voi che la vita ci riserva sorprese poco gradite”. Trapanese sollevò gli occhi al cielo ma non disse niente. 58 La zia di Mariella era fatta così. Se iniziava a parlare di firriciddi e rafano divagava e non si prendeva più. Cucinava come poche a Bigliano, e i firriciddi con la mollica, le noci e il rafano erano la sua specialità. I firriciddi li preparava alle sei di mattina, quando il marito usciva di casa per andare in campagna. Preparava l'impasto, li stendeva e, con un ferretto che Antonio gli aveva preparato, li infilava uno ad uno. Trapanese che veniva da Potenza non aveva mai mangiato i firriciddi alla maniera dei biglianesi. "Signor giudice, se volete, ve li preparo pure a voi uno di questi giorni, ma me lo dovete dire con anticipo. Tengo bisogno di tempo per prepararli". "Magari, magari….ma un'altra volta". Trapanese faceva fatica a gestirla. Bastava poco per parlare di argomenti che nulla avevano a che fare con la scomparsa. La zia di Mariella divagava ed era difficile ricondurla nel giusto alveo del discorso. "Vediamo, signora…dunque, mi diceva che ha visto l'ultima volta sua nipote a pranzo. Ha notato qualche cosa di particolare?" "Macché! Niente, signor giudice! Niente di particolare. Era tranquilla, come sempre. Era una santa ragazza, credetemi!". Trapanese prese atto. "Per carità, signor giudice! Mariella stava bene. Perché se ne sarebbe dovuto andare di casa?" Ribadì la zia. Il sostituto procuratore mise termine alla conversazione. Prima, però, precisò, "mi raccomando, signora, i firriciddi me li sono segnati". "Avete fatto bene, signor giudice. Io la prossima volta ve li porto. Li preparo la mattina e ve li porto, ma fatemelo sapere prima. Io ho bisogno di tempo per fare i firriciddi come Dio comanda". 59 Il maresciallo Turtino sorrise. Viveva a Bigliano da oltre quindici anni e i biglianesi non avevano segreti per lui. Era come il medico, li conosceva sopra e sotto la pelle. Era giunto dopo aver fatto esperienze di lavoro altrove. Si era fatta la Sicilia, come De Stefano ma della sua esperienza non se ne sapeva niente. "Giudice, se non avete più bisogno di me, io questo pomeriggio me ne vado a pesca", disse Turtino. "Beato lei, maresciallo!" Turtino, quando non lavora, prende la canna e se ne va a pescare. Sulle rive del lago, in realtà, pesca poco o niente però l'aria del lago gli concilia il sonno più della poltrona. Il giorno della scomparsa di Mariella, Turtino si trovava al lago e poco distanti da lui stavano pescando anche Radiouno e Radiodue. 'A fatica di Radiouno e Radiodue Radiouno e Radiodue sono cugini di secondo grado, essendo le loro madri cugine di primo grado. In realtà si chiamano entrambi Paolo e svolgono entrambi la medesima attività. "Sembrano fatti con lo stampino", dice la gente di Bigliano. In realtà, non svolgono nessuna attività remunerata. Sono appassionati di calcio e soprattutto tifosi del Bigliano. Passano le loro giornate da Ciaramella, dentro o davanti al bar. Dipende dalle stagioni. Primavera ed estate davanti al bar, inverno e autunno dentro. Non sono buoni clienti come Ziza o come Pinuccio di Gina. Anzi, non si possono neanche definire clienti. Parlano, leggono il giornale e non consumano mai niente. Ogni tanto, Ciaramella li usa come riempitivi per giocare a carte. 60 "Mo' non ci cacci…eh?" Il suo bar rappresenta un porto sicuro. Sembrano giornalisti a caccia di indiscrezioni. Per questo a Bigliano li chiamano Radiouno e Radiodue. Le mamme invece, sono preoccupate. Le due cugine di primo grado si ritrovano entrambe nelle stesse condizioni. Non riescono a trovare un'occupazione seria per i loro due figli. Totonno Tortoriello aveva promesso, durante la campagna elettorale, che se ne sarebbe occupato ma, ormai, erano trascorsi oltre due anni. Eppure anche le due cugine di primo grado avevano votato per lui. "Se fosse esistita la Gazzetta di Bigliano, li avrei impiegati nella redazione", disse Totono alle due cugine di primo grado. "E che significa? Dobbiamo aspettare che vi inventate un giornale per fare lavorare queste due cape a zapponi?" Le loro mamme iniziavano ad essere stanche. Se la situazione non si fosse sbloccata, Radiouno e Radiodue sarebbero dovuti partire per il nord. L'alternativa prevedeva che i due cugini di secondo grado avessero continuato a pesare sul bilancio familiare. Questa seconda possibilità non era praticabile per ragioni economiche. "Noi teniamo anche altri figli. Mica ci sono solo questi due. E poi…almeno ci fosse qualcuno che lavorasse nella famiglia". Radiouno e Radiodue sono i primogeniti di famiglie, comprendenti altri tre figli ognuna. I padri di entrambi ufficialmente non lavorano. "Signore, lo sappiamo tutti in paese che lavorano in nero e sul lavoro in nero non si pagano le tasse". "E lo chiamate lavoro quello? Le giornate in 61 campagne le chiamate lavoro?" "E quello sempre lavoro è". "Signor sindaco, non dite stronzate e datevi da fare perché noi il voto ve lo abbiamo dato. Voi finora cosa ci avete dato?" Totonno era stato messo a parcheggio dalle due cugine di primo grado e pur di non perdere gli elettori aveva promesso, "da qualche parte li dobbiamo mettere". "E fate di pressa allora. Il figlio di Carmelina a' napoletana lavora da anni, ormai". In realtà, Totonno non se ne era stato con le mani in mano. Stava provando a piazzarli da qualche parte, ma il fatto di doverli sistemare in coppia complicava le cose. Una alla volta forse sarebbe anche stato possibile, ma chi dei due avrebbe avuto la precedenza? Radiouno o Radiodue? Dare la priorità all'uno o all'altro avrebbe potuto costituire un problema nel breve periodo. Una delle due cugine di primo grado si sarebbe sentita offesa e avrebbe potuto smettere di sostenere il sindaco. Per il momento, Totonno non aveva trovato una soluzione migliore, se non quella di tergiversare. Far passare il tempo e sperare che la situazione si potesse risolvere quasi per incanto. "Passa iosc' che ven' crai" era uno dei proverbi che più gli piacevano. Era una sorta di tirare a campare che, purtroppo, nel caso di Radiouno e Radiodue, non sembrava più bastare. Radiouno era balzato agli onori della cronaca locale per aver detto che Mariella la bella era stata avvistata a Roma da un suo cugino. Turtino ne era stato informato da Ciaramella stesso. "Secondo voci attendibili, Mariella sarebbe stata vista a Roma", riferì al maresciallo. 62 Turtino continuò a sorseggiare il suo caffé ma, di fronte alle insistenze di Ciaramella, non poté fare altro che chiedere, "chi è che mette in giro certe voci?" "Uno dei miei clienti", rispose Ciaramella, per cospargere l'informazione di un'aurea di mistero. "Chi dei due è stato? Radiouno o Radiodue?" Gli aveva, invece, sbattuto in faccia i nomi, Turtino. "'Sta notizia l'ha data Radiouno", confessò il barista. "Ma per carità…", aveva poi esclamato il maresciallo Turtino. Non aveva voluto dargli peso, ma nel frattempo l'aveva riferita a Trapanese che, invece, l'aveva accolta con attenzione. Turtino conosceva Radiouno e pensava che non fosse attendibile, Trapanese, invece, non lo conosceva e disse di voler verificare, nonostante Turtino avesse provato a convincerlo del contrario. "Maresciallo, non possiamo assolutamente nulla. Se lo ricordi". sottovalutare Radiouno venne convocato per lo stesso giorno degli interrogatori dei Di Cillio, degli zii di Mariella e di Paola Urbano Tositto. Venne ascoltato dopo la deposizione dell'avvocato Di Cillio e della zia di Mariella,. Era giunto in caserma ben quindici minuti prima dell'orario stabilito. Si era presentato al portone munito della sua lettera di convocazione. Venne fatto entrare ed accomodare di fronte all'ufficio del maresciallo Turtino. Quando il maresciallo lo vide, gli disse, "guagliò, devi imparà a tené la bocca chiusa. Vedi mò che gli devi di", riferendosi a Trapanese. Radiouno non disse nulla, perché il maresciallo gli aveva parlato, uscendo ed entrando velocemente dalla sua stanza. Se anche avesse voluto, non avrebbe avuto il tempo di 63 rispondere. Era visibilmente preoccupato. Era abituato a vedere Turtino mentre se ne stava sdraiato in riva al lago. Con la divisa e con i modi da maresciallo gli faceva un altro effetto. Attese quasi mezz'ora prima di entrare. Quindici minuti perché era arrivato in anticipo ed altri quindici perché la deposizione della zia di Mariella sforò i tempi previsti. Entrò nell'ufficio di Turtino con circospezione, quasi come se fosse entrato in una chiesa. Non fece il segno della croce, ma ci andò molto vicino. "Un attimo!" Gli disse il sostituto procuratore. Radiouno ebbe allora il tempo di guardarsi intorno. L'ufficio di Turtino era arredato in maniera alquanto spartana. Una scrivania in legno, una sedia con le gambe di metallo, che sembravano voler fuggire dai pesi che era costretta a sostenere, una lampada sempre accesa. Notò i calendari che stavano alle spalle del sostituto procuratore. Erano ben quindici, ognuno sovrapposto all'altro. Radiouno li contò e li ricontò varie volte, per essere sicuro di non sbagliare. Attratto dalle penne che si trovavano sulla scrivania, le conto tutte. Ce n'erano sei, quattro nere, una blu ed una rossa. Le sue divagazioni vennero interrotte Trapanese, che lo invitò a fornire le proprie generalità. da "Lei è stato convocato perché dice di avere notizie su Mariella". "Signor giudice, mio cugino dice di averla vista a Roma, vicino piazza di Spagna, ma… sapete, mio cugino non viene a Bigliano da tanto tempo e forse a Mariella non se la ricorda bene", provò a spiegare Radiouno. "Vabbé…dobbiamo mostrare una foto a questo vostro cugino per vedere se corrisponde o meno". "E come si fa?" Chiese Radiouno, "quello vive a Roma. Chi gliela fa vedere questa foto?" 64 "Ce ne occuperemo noi. Lei riferisca le generalità di questo suo cugino. Potrebbe essere importante". Radiouno riferì le generalità, come richiesto. A Bigliano avevano sospettato della fondatezza delle informazioni provenienti da Radiouno. Avevano anche dubitato che avesse un cugino a Roma. Sembrava, invece, sulla base delle informazioni fornite al giudice Trapanese, che il cugino di Radiouno esistesse realmente. La prima elezione di Totonno Tortoriello Erano ormai trascorsi alcuni anni da quanto Totonno era stato eletto sindaco per la prima volta. La situazione sociale, politica ed economica dell'Italia, della Lucania e di Bigliano erano cambiate profondamente. La prima volta che Totonno fu eletto, l’Italia ancora non aveva vinto il suo quarto campionato del mondo di calcio e Ziza aveva ancora un lavoro. Erano tempi in cui Bigliano viveva in differita. Quando le cose succedevano altrove, prima o poi capitavano anche a Bigliano, ma in ritardo. Si applicava lo stesso principio dei terremoti. Come le onde sismiche, i cambiamenti si propagavano sfericamente a partire da un ipocentro e poi si sprigionavano verso le aree perifiche. Bigliano costituiva una delle aree più perifiche in assoluto. I cambiamenti arrivavano con molto ritardo e, a volte, non arrivavano del tutto. Si fermavano prima. Purtroppo, i tempi stavano cambiando e i cambiamenti iniziavano a giungere in diretta. "Sarebbe stato meglio se Bigliano avesse continuato a vivere solo di repliche, avrebbe continuato ad essere quello che era", diceva Mimmo o' greco. Totonno non la pensava così. "Se fosse rimasta quella che era, io non avrei mai potuto fare il sindaco". 65 Invece, fu proprio grazie alle repliche che Totonno riuscì a farsi eleggere sindaco. La sua famiglia non esercitava alcun potere carismatico a Bigliano e la sua elezione non sarebbe stata possibile, se il paese non avesse vissuto di repliche. Il padre di Totonno faceva l'autista di autobus e si occupava di tutela dei lavoratori. Era un sindacalista, anche se, di fatto, non faceva parte di alcun sindacato. Era un uomo all’antica. Ci teneva molto alla famiglia, all’amicizia, all’onore e al decoro. Fu molto orgoglioso e felice per quel figlio riuscito a salire in alto. La madre di Totonno era casalinga e intelligente. Nonostante non avesse studiato, leggeva ogni settimana Famiglia Cristiana. L’elezione del socialista Totonno Tortoriello fu sorprendente. Seppe sfruttare le repliche e, nel suo caso, la scia del sessantotto, con diversi anni di ritardo. Nessuno dei biglianesi avrebbe scommesso cinque lire sulla sua vittoria. Dall’altra parte della barricata si candidava Gianni Calenda che, oltre ad essere proprietario della farmacia del paese, proveniva da una famiglia ben più potente di quella di Totonno. Il padre di Gianni Calenda era farmacista e anche il nonno, don Vito Calenda, era stato farmacista. L’attività di farmacista si tramandava di padre in figlio, e i Calenda avevano ormai accumulato il necessario potere carismatico, per guidare il paese anche dal punto di vista amministrativo. Inoltre, i Calenda avevano condotto un'appropriata politica matrimoniale. Fin dai tempi di don Vito, il vincolo sacro del matrimonio dei rampolli Calenda non era mai stato lasciato al caso. All’inizio, se ne era occupato don Vito di selezionare le donzelle, poi era toccato al figlio di don Vito, Sesto, padre di Gianni, assicurare la difesa della razza Calenda. Il criterio su cui si erano basati, prima don Vito e poi Sesto Calenda, era stato rigidamente il censo. Per i Calenda contava davvero il patrimonio e solo quello. Non aveva importanza come fosse stato acquisito. "Quello che conta è che sia consistente", diceva Don Vito. 66 L'altra famiglia importante per lignaggio di Bigliano, Di Cillio, si ispira ad un atteggiamento postmodernista, È per questo che Simone si é potuto permettere una relazione con Mariella la bella. "Ad un Calenda non sarebbe mai potuto capitare". Non perché i Calenda non apprezzassero le belle donne, quanto piuttosto perché le belle donne non andavano apprezzate ufficialmente. I Calenda preferivano che le belle donne avessero il ruolo di amanti. "È sempre stato così. La storia e la tradizione lo insegnano. Le belle donne, come qualsiasi bene, con il tempo si deprezzano e perdono il valore più prezioso che hanno, la bellezza. Vanno solo sfruttate nel loro momento migliore". I Di Cillio, invece, ritenevano che fosse giunto il momento di percorrere nuove strade. L'uguaglianza doveva costituire un concetto non solo teorico, ma anche un modo di essere. L'avvocato, per quanto si sforzasse, non riusciva a mettere in pratica pienamente il concetto di uguaglianza. Si contaminava entrando nel bar e bevendo la birra con Ziza, ma poi si ripuliva mantenendo le distanze. Il suo era un atteggiamento ambivalente, che nascondeva un complesso di inferiorità latente. L'avvocato Di Cillio é basso di statura. Più basso di Ziza che, a sua volta, é più basso della moglie. Benché l'estrazione sociale lo protegga dalle facili ironie, l'avvocato é consapevole del suo difetto. Pone una distanza tra sé e gli altri per proteggersi. Simone, invece, non ha bisogno di difese immunitarie. Lui non é basso. È di media statura. Non ha tormenti psicologici come il fratello e può permettersi di credere nell'uguaglianza. Anche la storia con Mariella era stata ispirata dal principio di uguaglianza. Mariella metteva sul piatto della bilancia la bellezza in cambio del riscatto sociale. Inizialmente era stato lui a cercarla, sucessivamente lei aveva mostrato una gelosia sempre più forte. Paola Urbano Tositto, amica di Mariella e, successivamente di Simone, avrebbe potuto 67 raccontare diversi episodi in cui Mariella aveva dato libero sfogo alla sua gelosia. Il giorno in cui venne convocata da Trapanese, Paola indossava un tailleur grigio. La gonna gli arrivava leggermente sopra il ginocchio con uno spacco dietro, appena accennato. Un foulard di seta le copriva il collo, scendendo fino all'altezza delle scapole. Il tailleur le disegnava la figura, lasciando intuire il piacere che avrebbe potuto produrre in un uomo. Non attese molto di fronte all'ufficio in cui Trapanese conduceva gli interrogatori. Fu il sostituto procuratore in persona a chiederle di entrare, affacciandosi alla porta. Vedendola, scosse leggermente il labbro sinistro e d'istinto portò la mano destra sul nodo della cravatta, per stringerlo. Fece una leggera torsione della testa prima verso destra, poi verso sinistra, per favorire la stretta della cravatta. Trapanese rimase sulla porta e lasciò entrare prima Paola. Le chiese di accomodarsi, verificando che si trovasse a suo agio. "Desidera un caffè o dell'acqua", le chiese con gentilezza ostentata. Avrebbe suscitato l'ira di un vecchio rabbino se avesse potuto vederlo, per quanto melenso appariva il suo gesto. "Va bene un bicchiere di acqua", rispose Paola, leggermente agitata. Trapanese sorrise, fece portare un bicchiere di acqua, che Paola bevve a metà. Turtino si trovava in piedi vicino alla finestra. Aveva le mani in tasca e guardava fuori. La finestra dava sulla strada che portava verso Montegiro. Poteva osservare le macchine, che lentamente risalivano verso il centro. Sullo sfondo, le montagne leggermente coperte di neve. Quando Paola iniziò a parlare di Mariella, il maresciallo Turtino andò a sedersi sulla sedia, accanto a quella dove si era seduta Paola. 68 "Mariella non era più la stessa. Era una ragazza con tanti problemi, a cominciare dalla madre morta, quando lei era ancora una bambina, al padre alcolizzato. Pero è sempre stata una ragazza forte. Era consapevole dei suoi mezzi, sapeva di piacere agli uomini e voleva sfruttare le potenzialità che aveva". "Rientra in questo quadro che lei sta tracciando anche la relazione con Simone Di Cillio?" Chiese Trapanese, tentando di focolazzare l'attenzione sull'ultimo fidanzato di Mariella. "Con Simone era diventata una situazione difficile. All'inizio le cose andavano molto bene, poi è successo qualcosa. Lei era gelosissima di lui. Simone rappresentava quello che Mariella cercava, il riscatto sociale. Costituiva per lei la possibilità di diventare quella che avrebbe voluto e che non aveva mai potuto essere. Quelle come Mariella devono sempre pagare un prezzo per emergere". "E quale sarebbe stato il prezzo, che Mariella avrebbe dovuto pagare?" Chiese incuriosito il maresciallo Turtino. "Simone non è certamente un angelo. La tradiva. Le voleva bene, ma la tradiva. Per questo Mariella era gelosa". "Mariella lo sapeva?" Intervenne nuovamente Turtino. "Certo che lo sapeva. Simone non glielo aveva mai confermato, ma lei lo immaginava. Spesso mi diceva che avrebbe avuto voglia di lasciarlo. Poi, però, non riusciva a farlo. Ultimamente sembrava decisa. Alcune settimane prima della sua scomparsa, mi disse che non ce la faceva più ad andare avanti con Simone". "Tanto da sparire definitivamente?" "No! Certo che no! Non si sarebbe certo tagliata le vene per Simone. Era molto presa, ma lui ne aveva combinate tante da provocarle quasi una crisi di rigetto. Capisce?" 69 "Certo, certo", rispose Trapanese. Anche Turtino fece un cenno di assenso con la testa. Paola, intanto, proseguiva nel racconto, "non ci vuole molto ad invertire odio e amore. Lo sa, giudice?" "Intende dire che era stata Mariella a lasciare Simone". "Certo che era stata Mariella. Perché, le hanno riferito una versione diversa? È stata Mariella! Non lo sopportava più, ma non credo che sia fuggita per questo. Se Mariella avesse scelto davvero di fuggire avrebbe avuto ben altri motivi che la storia con Simone. "Quali?" Chiese Trapanese con freddezza. "Beh, il padre innazitutto. Come si fa a vivere in casa con uno come quello. Un alcolizzato, un violento. Pensate che sia stato facile per Mariella?" "Crede che il padre la picchiasse ?" Domando Trapanese. Intervenne il maresciallo Turtino, "noi non abbiamo mai ricevuto nessuna segnalazione in questo senso". "Crede che lui la picchiasse?" Ripeté Trapanese, incurante della precisazione fatta da Turtino. "Sinceramente, non lo so. Mariella era molto orgogliosa. Non avrebbe mai gettato fango sulla sua famiglia. Era abituata a soffrire. Se davvero l'avesse piccchiata, non mi meraviglierebbe che avesse sofferto in silenzio", rispose Paola, accompagnando le parole con una forte gestualità. "Non le ha mai visto dei segni strani sul corpo?" "Una volta, o forse due, ma Mariella disse che aveva battuto la testa involontariamente, aprendo una porta. Lo disse ridendo. Disse anche che lei era una sbadata". "Ritorniamo a Simone…", disse Trapanese, che nel 70 frattempo si era alzato ed era andato verso la finestra. Aveva ancora le spalle rivolte a Paola, quando le chiese di precisare la reazione di Simone alla separazione voluta da Mariella. "Simone ha sofferto molto e credo soffra tuttora. Frequentava altre donne, ma non avrebbe mai potuto vivere senza Mariella. Era dolce e gli voleva bene, al di là delle maldicenze dei biglianesi". "A quali maldicenze si riferisce?" "Si diceva che Mariella stesse insieme a Simone solo per una questione di soldi. In pratica, si diceva che lei fosse interessata solo al suo patrimonio". "E lei cosa pensa?" "Che Mariella avrebbe potuto avere chiunque. Se aveva scelto Simone era perché gli voleva davvero bene. Se poi ha deciso di lasciarlo era solo perché non ce la faceva davvero più". Il sostituto procuratore ritenne che, per il momento, poteva considerare sufficiente la deposizione di Paola Urbano Tositto. Nel periodo in cui Mariella aveva avuto una relazione con Simone, lei aveva frequentato Gianni Calenda. Tra i Calenda e i Di Cillio era sempre esistita una forte rivalità. Non si amavano ma si rispettavano. L'amicizia tra Paola e Mariella le aveva messe in contatto. Era capitato, infatti, che Gianni Calenda e Simone Di Cillio si fossero ritrovati insieme a Paola e Mariella. L'amicizia non era durata molto, perché la famiglia Calenda aveva scelto Camilla Telesce, e non Paola, per la mano di Gianni. 71 Il matrimonio di Gianni Calenda Sesto Calenda chiuse gli occhi quando a Gianni, suo figlio, venne proposta come coniuge, Camilla, la figlia di Dantino Telesce. Dantino era uno dei personaggi più chiacchierati a Bigliano, oltre che tra i più ricchi. Naturalmente, come nel caso dei Di Cillio, il patrimonio é considerato consistente rispetto al reddito medio degli abitanti di Bigliano. Giacché i Calenda usano come riferimento di base, il reddito medio dei cittadini di Bigliano, considerarano il patrimonio di Dantino sufficientemente alto affinchè la figlia potesse aspirare alla mano di Gianni. Camilla ricevette quindi la benedizione dei vecchi Calenda. A Bigliano correva voce che il patrimonio di Dantino era incrementato velocemente grazie ai prestiti ad usura. Tuttavia questa circostanza non ha inficiato minimamente sulla scelta dei Calenda. Il vecchio don Vito non voleva che se ne parlasse. Diceva "chi a rat’ a rat’, chi a avut' avut', scurdammec' o' passat', simme e' napule paesà'". Si faceva una risata e cambiava discorso. Ricordava i tempi in cui aveva studiato a Napoli, alla facoltà di farmacia. "A quei tempi, per arrivare a Napoli ci voleva un giorno intero di viaggio e le strade non erano agevoli. La vita era dura, non come quella di oggi". Per lui, Gianni era un viziato. Per carità, un bravo giovane, ma il ragazzo non aveva fatto i sacrifici che, invece, avrebbe dovuto per apprezzare fino in fondo le cose che la vita gli aveva dato. Eppure Gianni si era sempre comportato da bravo ragazzo. Non aveva disobbedito al padre, che gli aveva suggerito di studiare farmacia e di laurearsi in fretta. Infatti, aveva studiato farmacia e si era laureato in fretta. 72 "D’altro canto, come avrei potuto disobbedirgli. Non mi è stato suggerito ma chiaramente intimato". Con gentilezza, ma il padre gli aveva fatto capire chiaramente che per lui non c'era alternativa. "Questo è quello che passa il convento", gli aveva detto il giorno in cui si erano seduti a tavola per discutere il futuro. Si era trattato di una resa senza condizioni. Sesto aveva posto le condizioni, che il figlio non poteva fare altro che accettare. Non esisteva alternativa e, seppure fosse esisitita, avrebbe voluto dire rinunciare all'eredità dei Calenda. "Dunque, fatti bene i calcoli non c'era alcuna alternativa disponibile". Gianni Calenda non ama fare polemiche. Non gli interessano le proteste e, soprattutto, non protesta senza ricevere nulla in cambio. La sua pigrizia e il suo opportunismo aderiscono perfettamente al suo metro e ottanta di statura. Nel suo caso, la statura é davvero metà del suo fascino, perché l’altra metà sono soldi e prestigio familiare. Non c'è nulla in quel metro e ottanta che possa suscitare attrazzione. Il naso, grosso e sproporzionato, occupa metà del suo viso. Lo ha ereditato dal padre, Sesto, che a sua volta lo ha ereditato dal suo, don Vito. Sembra quasi uno stemma di famiglia. La mandibola è moscia, quasi inesistente, gli occhi spenti, banalmente castani. Ha una buona capacità di analisi, ma gli manca del tutto la capacità di sintesi. I suoi discorsi non finiscono mai e, soprattutto, é difficile seguirli per intero. Le frasi si intrecciano, i pensieri si disperdono. A volte proprio non si capisce dove voglia andare a parare. La sua scarsa capacità di sintesi e l'eloquio difficoltoso lo avevano penalizzato nella competizione elettorale contro Totonno Tortoriello, che, invece, aveva fatto, proprio della retorica la sua arma migliore. Ovviamente, Gianni Calenda non aveva perso le elezioni solo per questo motivo. Le ragioni principali erano legate al suo matrimonio 73 con la figlia di Dantino Telesce, ma se avesse avuto una migliore capacità di sintesi, forse, qualche voto in più lo avrebbe sicuramente racimolato. Dantino Telesce non era stato mai inquisito, ma la diceria sulla sua attività di usuraio sembrava corrispondesse al vero. "I biglianesi non possono permettere ad un genero di usuraio di diventare sindaco del paese e di prendere il posto del dottor Laureto, prematuramente scomparso e molto amato dai biglianesi", disse Giannino nel bar di Ciaramella. Ciaramella lo riprese prontamente. "Te ne pentirai", gli disse. "Manco per sogno", rispose Giannino, ignorando che la sconfitta di Gianni avrebbe spianato il cammino a Totonno, suo acerrimo nemico. Sesto Calenda non digerì mai quella sconfitta. Ne fece un fatto personale e tolse il saluto a tutti quelli che, secondo lui, non avevano votato per il figlio, compreso Giannino. Il risultato più eclatante di quella vicenda fu che per molti biglianesi si aprì la prospettiva di dover acquistare le medicine non più nella farmacia Calenda, ma in quella del vicino paese di Montegiro. Anche la famiglia Di Cillio aveva sostenuto Totonno Tortoriello, ma lo aveva fatto sotto traccia. Sesto Calenda venne informato delle manovre sotteraneanee condotte dai Di Cillio, ma non poté far altro che ingoiare il rospo. Alla fine della tornata elettorale non poté togliere il saluto ai Di Cillio come in cuor suo avrebbe voluto. Dovette fare buon viso a cattivo gioco. Continuò a salutare i Di Cillio, ma giurò a se stesso che, prima o poi, gliela avrebbe fatta pagare. Gianni, invece, non portò rancore a nessuno. In fondo, non aveva molta voglia di fare il sindaco. Si era candidato per far contento il padre ma, dal momento che aveva perso, e non per colpa sua, ma della scelta che il padre aveva fatto per lui, si sentiva come liberato. 74 Gianni aveva perso ma Camilla aveva vinto. Aveva superato la concorrenza agguerrita dell'amica di Mariella, Paola Urbano Tositto alla mano di Gianni. La candidatura di Paola era stata molto competitiva, soprattutto, per via del doppio cognome. Gli Urbano Tositto erano gli unici residenti nel comune di Bigliano che potevano vantarlo. Il doppio cognome, oltre a rappresentare un segno di nobiltà, sebbene acquisita, faceva anche molto chic e la madre di Gianni Calenda, moglie di Sesto, era considerata chic e affatto insensibile al fascino del doppio cognome. Purtroppo per lei, il criterio su cui misurava la candidatura di Paola non ammetteva deroghe. Era e sarebbe rimasto il censo. E purtroppo per Paola, il patrimonio dei Telesce, sebbene acquisito in maniera non molto chiara, risultava più consistente di quello degli Urbano Tositto. Il padre di Paola era insegnante al Liceo scientifico e la madre era maestra. Due entrate sicure che fino ad allora avevano prodotto, oltre alla casa di proprietà, anche un casolare in campagna con annessa vigna, due auto, una delle quali di cilindrata considerevole e vacanza garantita ogni estate. Non molto rispetto al patrimonio dei Telesce. Paola è di una bellezza sofisticata, come solo le donne di città sanno esprimere. Alterna con naturalezza le giacche di pelle ecologica ai tailleur griffati. Sulla sua silhouette gli abiti ricadono con leggerezza. Sembra avere una classe innata, sintesi della cultura paterna di derivazione industriale e della affabilità materma, di stampo meridionale. Camilla, invece, esprime la bellezza tipica dei parvenus biglianesi. Veste con gusto, ma con improvvise cadute di stile. Durante l’ultima festa della Madonna, per esempio, indossava un paio di scarpe rosse, che contrastavano con il verde smeraldo della sua pochette di coccodrillo. Per il matrimonio di Camilla, Dantino non badò a spese. Era previsto che pagasse qualcosa in più dei Calenda, in segno di ringraziamento e così avvenne. I soldi, del resto, 75 non gli mancavano. Era una vera e propria macchina da soldi. Costruiva palazzi, vendeva appartamenti, scambiava terre, noleggiava e vendeva auto e investiva perfino in borsa. Il matrimonio tra Gianni e Camilla sarebbe stato considerato l'evento del decennio a Bigliano. Ben seicento invitati, tra i quali, il presidente della regione che, però, inviò un telegramma, essendo impegnato a Roma alla conferenza stato-regioni; due avvocati del foro di Roma, amici personali del padre di Gianni; il maresciallo Turtino della stazione dei carabinieri di Bigliano; il maresciallo a riposo De Stefano, con un trascorso importante in Sicilia; tutti i notabili del paese e alcuni giovani laureati, amici di Camilla e Gianni. Il fiore all'occhiello era rappresentato dal testimone dello sposo. Si trattava niente poco di meno che del dottor De Cesare. I biglianesi lo videro materializzarsi in periodo non elettorale. Pur non essendo in campagna elettorale, riuscì ugualmente a fare un discorso. Fece pubblicamente gli auguri agli sposi, con relativo brindisi, prima che il pranzo iniziasse. Fu una vera maledizione per gli altri invitati, che iniziavano ad avere fame e che dovettero ascoltare De Cesare per oltre venti minuti. Ziza, seduto al tavolo con la moglie, Zi' Antonio, Mariella, Pinuccio di Gina e relativa consorte non poté trattenersi dall'esclamare "sto' strunz'!". De Cesare venne fatto accomodare al tavolo degli sposi con la zia di Camilla, l'altra testimone. Strinse le mani a tutti, soprattutto a quelli che non conosceva. Intanto, Sesto Calenda faceva il galante con la moglie di Dantino Telesce, mentre Dantino si guardava intorno e pensava che almeno la metà degli invitati sarebbe potuta tranquillamente restare a casa. Era convinto che non avrebbe regalato neanche i soldi sufficienti per pagare il pranzo. "…Ma che affare è questo?" Pensava. Non voleva apparire tirchio e quindi sorrideva anche lui. L'idea di invitare oltre seicento persone era stata 76 della mamma di Gianni. Poiché era chic, diceva che avrebbe voluto un matrimonio chic, con tanti invitati all'altezza del nome dei Calenda. Sia per Sesto che per Dantino, la firma dell'atto di matrimonio rappresentò la firma di un contratto. Costituì, infatti, la conclusione di un affare, dopo una negoziazione impegnativa e dagli esiti per nulla scontati. Sarebbe toccato a Gianni e Camilla far fruttare quell'affare a dovere. I due padri non avevano fatto altro che porre le basi per un luminoso e brillante avvenire. D’altro canto, c'era anche la volontà di Dio da tenere in conto ma quella non sarebbe stata contraria. In questa visione del mondo e della religione, Dantino Telesce e Sesto Calenda erano simili. "Se il buon Dio ha assicurato la ricchezza, perché non dovrebbe assicurare anche la felicità?" La ricchezza era un segno di grazia e Camilla e Gianni erano sotto il segno della grazia. Dantino e Sesto avevano una visione calvinista della vita, ma non lo sapevano. Loro erano cattolici e devoti della Madonna, come tutti i biglianesi. Ziza avrebbe preferito iniziare subito con un bel piatto di firriciddi al ragù di carne, o meglio ancora di salsiccia. Ma in quel matrimonio neanche a sentirne parlare di firriciddi al ragù di carne o salsiccia. Era il piatto tipico di Bigliano e piaceva alla gran parte dei biglianesi, ma purtroppo per Ziza non era un piatto chic. E purtroppo per Ziza, la mamma di Gianni Calenda era chic. Gli toccò mangiare insalata di polipo all’aceto balsamico, risotto con gamberetti e punte di asparagi, filetto di spigola in crosta di patate, cosciotto di vitello in bellavista, bresaola carpacciata, servita con ricottine di miele di castagne. Totonno non apprezzò la scelta del dottor De Cesare come testimone. Si trattava di un avversario politico, che non pochi problemi gli aveva creato nel suo rapporto con gli elettori. Tuttavia, lo salutò calorosamente, non appena lo 77 vide materializzarsi in chiesa. Anzi, al ricevimento lo prese sottobraccio e si intrattenne a parlare con lui. Alcuni invitati rimasero spiazzati dalla mossa di Tortoriello. Nei giorni precedenti non avevano fatto altro che spettegolare su come avrebbe reagito Tortoriello quando si sarebbe trovato di fronte De Cesare. Erano stati abituati ai lunghi confronti elettorali. L'ultimo era rimasto scolpito nella memoria di molti. "Sei un bugiardo che mente sapendo di mentire. Hai promesso che avresti fatto costruire la strada a scorrimento veloce per collegare Bigliano a Montegiro e, invece, a distanza di anni, ancora non si é visto un solo metro di quella strada". De Cesare raccontava un'altra storia. "La colpa è tua, Tortorié, che non hai saputo trovare le risorse finanziarie adeguate". "Sei un bugiardo". "E tu un politico fallito". Il rimbalzo di accuse e scuse andava avanti da tempo. Il risultato era che la strada, non solo non era stata costruita, ma non era stata neanche appaltata. "Considerando i tempi biblici di realizzazione dei lavori in Lucania, vuol significare che i biglianesi viventi non la percorreranno mai", sentenziò Mimmo o' greco. I biglianesi erano abituati a questa realtà e non se la prendevano più di tanto. Di tanto in tanto sbraitavano e minacciavano fuoco e fiamme ma, poi, non davano nessun seguito alle minacce. Votavano sempre per le stesse persone, nonostante avessero più volte pensato, ma solo pensato, di cambiare. "Se solo un centesimo delle minacce di cambiamento si realizzassero, Bigliano sarebbe terra di rivoluzione permanente". 78 Si stava solo un po’ peggio, ma le cose rimanevano sempre identiche. I biglianesi digerivano il peggio senza avvertire alcun dolore di stomaco. De Cesare e Tortoriello lo sapevano bene e per questo non si scomponevano minimamente quando venivano criticati. Sapevano che i biglianesi erano cani, che abbaiavano soltanto. Nessuno di loro mordeva realmente e non ci voleva molto per tappare loro la bocca. Tra le persone a cui andava tappata la bocca c'erano le due cugine di primo grado, che presto avrebbero iniziato a sparlare di Totonno, se da qualche parte non fosse uscito il posto per i loro figli, Radiouno e Radiodue. "Si tratta di una promessa elettorale e, come tale, va onorata". Invece, a distanza di due anni, Totonno sembrava essersene dimenticato. In realtà, non se ne era dimenticato, stava soltanto applicando la sua dottrina del tirare a campare. Aveva il problema di sistemare i due ragazzi, ma si trattava solo di una promessa elettorale e non di un imperativo categorico. La promessa l’aveva fatta solo due anni prima e ne mancavano ancora tre alla fine della legislatura e alle nuove elezioni. C’erano, pertanto, ancora due anni e mezzo di tempo per provare a sistemare la faccenda. Il timing di Tortoriello non coincideva con quello delle cugine di primo grado, ma questo era un problema per loro, non certo per lui. A Totonno sarebbe bastato sistemare i due ragazzi sei mesi prima delle elezioni. "Meglio ancora se quattro o cinque mesi prima, anche se poi andare sotto sotto le elezioni potrebbe essere rischioso. Sei mesi, quindi, possono bastare". Le due cugine di primo grado e le rispettive famiglie non avrebbero potuto dimenticare perché la sistemazione sarebbe stata ancora fresca. Nel frattempo, le due cugine avrebbero sparlato. “Ma chi se ne frega!” pensava Tortoriello, 79 “problema loro, non mio”. Non erano le sole persone che potevano sparlare di lui. Totonno Tortoriello, in qualità di candidato a sindaco di Bigliano, usava fare come minimo centocinquanta promesse di assunzioni. Una decina le portava a termine subito, entro tre mesi dall’insediamento perché si trattava di richieste fatte da persone “a cui non si puo dire di no”. Altre venti o trenta erano da realizzarsi entro due anni dall’insediamento, tanto per portarsi avanti con il lavoro, mentre il resto delle promesse, sarebbe stato da compiersi negli ultimi sei mesi, per precisa strategia e calcolo politico. Le due cugine di primo grado che seguivano con attenzione l’evolversi delle assunzioni nel territorio di Bigliano speravano che le candidature di Radiouno e Radiodue potessero essere inserite nel secondo blocco. Aspirare al primo sembrava davvero pretendere troppo, ma rientrare nel secondo blocco era un’aspirazione che loro consideravano del tutto legittima. Sapevano che nella legislatura precedente, il figlio di Carmelina a’ napuletana era stato assunto a soli due anni e diciotto giorni dall’insediamento. Carmelina ‘a napuletana godeva dello stesso posizionamento delle cugine di primo grado nell’ambito della stratificazione sociale biglianese. Pertanto, se il figlio di Carmelina era stato assunto nei due anni, anche Radiouno e Radiodue andavano assunti nei due anni. Andare oltre nel tempo significava non solo un danno dal punto di vista economico, ma anche un affronto dal punto di vista sociale. “Che tene di speciale o’ figlio di Carmelina rispetto ai Paolo nuosti”, avevano detto le due cugine di primo grado, un giorno che erano andate personalmente a parlare con il sindaco nel suo ufficio. Totonno Tortoriello le aveva ascoltate e poi aveva detto, “ma quello era uno solo e voi ne volete due, signore mie care”. 80 “E che differenza faci?” Gli avevano risposto in coro le due cugine di primo grado. “Faci’…Faci’…”, aveva detto a sua volta il sindaco, senza fornire ulteriori spiegazioni, prima di chiudere il discorso. Alla fine, prima di congedarle, disse semplicemente “mò vediamo”, che tradotto dal politichese di Bigliano, voleva dire “niente da fare per ora, care cugine di primo grado, mettetevi l’anima in pace”. Radiouno e Radiodue notarono Totonno passeggiare sottobraccio con il dottor De Cesare e corsero ad avvisare le proprie madri, pensando che stesse esponendo il loro caso al consigliere provinciale. Sapevano, infatti, che De Cesare si era già adoperato per la sistemazione di Ziza. Le due cugine di primo grado che, invece, avevano acquisito una cultura della geografia politica locale molto più approfondita rispetto ai loro figli, sapevano che non poteva essere possibile, dato che De Cesare apparteneva al partito opposto rispetto a quello di Totonno. Non diedero retta ai figli e continuarono a rinfrescarsi. Alla fine, Radiodue tirò un sospiro di sollievo. Temeva che il posto promesso da Totonno potesse arrivare in estate e non ne era entusiasta. "Io ho voglio di lavorare ma a partire dal mese di ottobre". "E perché non settembre?" Aveva chiesto Radiouno. "Perché a settembre c'è la festa della Madonna". Radiodue e Radiouno non potevano conoscere i piani di Totonno al loro riguardo. Non sospettavano che il loro posto non facesse parte del secondo blocco di assunzioni, ma del terzo. Di conseguenza, non solo quell'estate, ma anche le altre due seguenti, sarebbero state tranquille. Sarebbero potuti andare al bar di Ciaramella, bere 81 la birra, nel caso ci fosse stato Ziza, leggere il giornale e discutere della squadra del Bigliano. Lo avessero saputo, si sarebbero messi l'anima in pace e si sarebbero goduti ancora di più il pranzo di nozze. Rimaneva il rischio che le due cugine di primo grado si fossero spazientite, facendoli emigrare al nord, ma, d'altra parte, sarebbe stato un azzardo. Esisteva la promessa di Totonno Tortoriello. "Perché emigrare e non aspettare almeno la fine della legislatura?" Al limite dopo, ma solo dopo, se ne sarebbe potuto riparlare. Radiouno e Radiodue si resero conto che non valeva la pena continuare ad arrovellarsi il cervello. In fondo, cinque anni di disoccupazione erano accettabili, tenendo conto della media biglianese. Quando giunsero gli sposi, tutti applaudirono e sorrisero. Solo la moglie di Ziza rimase al tavolo, insofferente. "Non mi piace niente di questo matrimonio". Criticava tutto ma soprattutto il vestito di Camilla. "Sembra una balena. A vì…moby dick…la balena bianca", disse alla moglie di Pinuccio di Gina. La sensazione era che la moglie di Pinuccio di Gina non condividesse il giudizio dell'amica, ma non gli andava di contrariarla. Lo sposo provò ad incrociare lo sguardo di 'A bionda, ma lei evitò. Indossava un vestitino viola molto stretto con un giacchino che gli stringeva la vita, ma che le buttava fuori, inevitabilmente, il seno. E di seno 'A bionda ne aveva davvero tanto. Generalmente non le piaceva molto metterlo in mostra, ma quel giorno decise di vestirsi in maniera provocante. Evitò di guardare Gianni, anche quando gli sposi si avvicinarono nel consueto giro dei tavoli, per salutare gli invitati. Mariella era al tavolo con i parenti. Venne salutata quasi con devozione dal dottor De Cesare e gli zii notarono l'atteggiamento viscido del lusingatore di professione. 82 "Che vuole quello?" "E che ne so", rispose in maniera intrigante. Quel giorno non rivolse neanche uno sguardo a Simone. Accettò, invece, di buon grado i complimenti di De Cesare. Dava l’impressione di voler innescare quel gioco tipicamente femminile di rancore e gelosia, che si nasconde dietro la fine di una relazione. In pratica, sembrava che fosse stato lui a lasciarla e non viceversa, come, invece, la sua amica Paola aveva riferito a Trapanese. Il sostituto procuratore voleva vederci chiaro per capire se dietro quella fine si potesse nascondere un movente. Il secondo interrogatorio di Simone Di Cillio Trapanese convocò nuovamente Simone Di Cillio. Quando il giovane giunse nell'ufficio del maresciallo Turtino, dove normalmente si svolgevano gli interrogatori, il sostituto procuratore si trovava in piedi davanti alla scrivania. Era vestito con il solito gilet scollato, indossato sotto la giacca. Aveva le mani appoggiate alla scrivania e il busto leggermente reclinato indietro. Simone prese posto sulla stessa sedia che aveva occupato la volta precedente. "Abbiamo letto e riletto le sue deposizioni precedenti ed nostro avviso che restano alcuni elementi da chiarire. Abbiamo ragione di credere che lei ci stia nascondendo qualcosa o non ci stia raccontando tutta la verità" disse Trapanese col tono di chi non intendeva farsi prendere per il culo da un giovanotto di buona famiglia. Era la prima volta che Trapanese afffrontava di petto uno dei suoi interlocutori, nella vicenda della scomparsa di Mariella la bella. Finora era stato piuttosto gentile con tutti. Aveva giocato sulla strategia della collaborazione spontanea, 83 ma non era riuscito a cavare un ragno dal buco. Al contrario, la matassa non solo non era stata sciolta, ma appariva ulteriormente intricata. Non era riuscito neanche a farsi un'idea completa di Mariella. Era stata descritta in molteplici modi. "Una poco di buono", aveva detto l'avvocato Di Cillio. "Una brava ragazza", aveva sostenuto l'amica Paola Urbano Tositto. Trapanese riteneva tutte le ipotesi plausibili. "L'unico in grado di poter fornire elementi interessanti sembra Simone Di Cillio. Ha detto troppo poco rispetto a quello che potrebbe sapere”. Era giunto il momento di far luce sulla rottura con Mariella, che poteva celare un possibile movente. “Abbiamo riscontrato delle incongruenze tra quanto detto da lei e quanto sostenuto da altri testimoni. Qui c’è di mezzo la scomparsa di una giovane donna. Capisce, Di Cillio? Ritengo che sia nell’interesse di tutti ritrovarla al più presto e non perdere altro tempo. Dobbiamo agire con celerità, prima che possa essere troppo tardi”. "Senta giudice, Mariella aveva un problema molto grave a casa sua. Non mi meraviglierebbe che fosse fuggita. Non è facile vivere con un padre alcolizzato. A me diceva che sarebbe voluta volare via per disperdersi nell'aria. Mi faceva paura quando diceva che il suo desiderio sarebbe stato quello di far evaporare le sue cellule. Diceva che erano state incollate male. Sapeva di soffrire e non avrebbe più voluto soffrire". "Questa è filosofia, signor Di Cillio…Filosofia! Risponda, perché è finita la storia tra lei e Mariella? “Signor giudice, le posso assicurare che, a dispetto delle chiacchiere di paese, io volevo bene a Mariella. È stata l’unica donna che ho realmente amato”. 84 “Va bene, ma non ha risposto alla mia domanda. Sarò ulteriormente chiaro. Perché Mariella l’ha lasciato?” “Non è stato lei a lasciarmi, ma io a lasciare a lei” “Altri testimoni, vicini a Mariella, sostengono il contrario. Perché dovrei credere a lei?” “Perché le sto raccontando la verità. Mariella era troppo gelosa e la sua gelosia mi stava soffocando. Le volevo bene ma iniziavo a sentirmi in una gabbia”. “È sicuro di quello che dice?” “Ne sono sicurissimo. Scusi, se mi pemetto, ma perché è così importante sapere se sono stato io a lasciare lei o viceversa?” “Perché lei, signor Di Cillio, è il solo che finora potrebbe avere un movente”. Simone ebbe un attimo di perplessità. Come gli capitava nei momenti di panico, iniziò a girarsi e rigirarsi sulla sedia. Non c’era il maresciallo Turtino a confortarlo con lo sguardo. Trapanese lo incalzava, non dandogli tregua. “Quando l'ha vista l'ultima volta?" "L'ultima volta che l'ho vista o che ci ho parlato?" "Diciamo l'ultima volta che l'ha vista e che ci ha parlato". "Lo ricordo perfettamente", esclamò Simone Di Cillio, "l'ultima volta è stato al matrimonio di Gianni Calenda con Camilla Telesce". "Vi siete parlati?" Chiese Trapanese. "No, non ci siamo detti niente. Da quel giorno non l'ho più vista". "Ne è sicuro?" “Ne sono certo", rispose Simone, accavalando le 85 gambe l'una sull'altra. "E la sera della scomparsa lei è sicuro di essere stato nel suo agriturismo, come in precedenza dichiarato?" "Assolutamente si" "Suo fratello dice di aver provato a telefonarla e di non essere riuscito a raggiungerla" "Può essere. Non sempre sento il telefono squillare. A volte sono in giro per l’agriturismo e non lo sento, a volte non rispondo. Sono fatto così, sono un po' pigro. Non glielo ha detto mio fratello?" "Si, ce lo ha detto. Intanto lei dice di essere stato nel suo agriturismo. L'ha vista qualcuno?" "Mi lasci pensare…No, non credo…Purtroppo no. Io la sera resto da solo nel mio agriturismo. Purtroppo, non ho molti clienti. Anzi, diciamo pure che non ne ho quasi per niente. Capita in estate di avere clienti ma d'inverno, tranne nel periodo natalizio, non ci sono molti clienti", precisò, a malincuore, Simone. "Quindi non c'è nessuno che potrebbe dire di averla vista la sera della scomparsa di Mariella?" "Forse qualcuno deve esserci stato. Ora non saprei, mi prende alla sprovvista. Ci devo pensare". “Magari il personale di servizio?" “Eh, no. Il personale lo prendo solo quando ho clienti. Se non ne ho, non prendo nessuno. Non mi conviene. Dovrei pagarli per tenerli senza lavorare. In realtà, c’è una signora che viene un giorno alla settimana a fare le pulizie”. Trapanese decise allora di rompere gli indugi. "Senta, lei non riesce a dimostrare di essere stato nel suo agriturismo la sera della scomparsa di Mariella. Io credo che lei sappia molto più di quello che lascia intendere. Si consideri, pertanto, formalmente indagato, per ora solo per 86 falsa testimonianza. In seguito, vedremo". "Sta scherzando?" "Non scherzo, Di Cillio". "Ma io che c'entro?" "Per quanto ne so Mariella potrebbe essere stata uccisa o rapita. Potrebbe essere successo di tutto. Non escludo nessuna ipotesi. Francamente, al momento, lei è l’unico che non ha un alibi ed ha un movente". “E quale sarebbe la mia falsa testimonianza?” “Credo che lei sappia molto più di quello che lascia intendere. Non credo abbia detto tutta la verità. Si tratta di un reato, Di Cillio”. “Non ci posso credere. Non capisco perché lei debba supporre che io ne possa sapere più di altre persone. È stata la mia fidanzata, io sono stato il suo ultimo ragazzo ma non credo che questo debba essere considerato una colpa, nel caso una persona decida di sparire”. “Di Cillio, lei è l’unico che avrebbe un movente e non ha un alibi”. “Mariella è scomparsa, non mi sembra che sia stata uccisa. Perché insiste sulla questione dell’alibi e del movente?” “Per questo, mi limito ad indagarla per falsa testimonianza. Ci fosse stato un cadavere, in queste condizioni, l’avrei già indagata per omicidio. Avrebbe potuto giurarci”. “Io non avrei mai potuto torcere un capello a Mariella. Se fosse venuta da me, avrei potuto dargli una mano”, disse Simone con lo sguardo triste e la voce rotta dall’emozione. Neanche un criminologo di esperienza avrebbe potuto capire se l’emozione fosse dovuta all’affetto che ancora nutriva per Mariella o per la situazione in cui si 87 trovava. A Simone vennero forniti una serie di dettagli sulla sua nuova posizione di indagato. La notizia fece subito il giro del paese. In realtà, neanche Trapanese era convinto della responsabilità di Simone, ma da qualche parte doveva cominciare. La pista più plausibile era quella che portava a lui. Nessuno lo aveva visto la sera in cui Mariella era scomparsa e anche i rapporti tra lui e Mariella non erano chiari. Non si capiva per quale ragione i due si fossero lasciati e chi avesse preso l’iniziativa. In ogni caso, Trapanese riteneva che Simone non avesse molto gradito la rottura. “Passa iosc’ che ven’ crai”, avrebbe detto Totonno Tortoriello, che aveva fatto del tirare a campare una dottrina. Trapanese, invece, non poteva permetterselo. Non poteva aspettare domani per indicare una pista. Il procuratore di Potenza era stato fin troppo esplicito con lui. Avrebbe dovuto quantomeno indicare un percorso da seguire, mettendo insieme un quadro probatorio attendibile. Totonno, che aveva ricevuto il supporto dei Di Cillio alle elezioni, non prese bene il fatto che Simone fosse indagato. Si presentò in caserma per salutare il maresciallo Turtino e, al tempo stesso, chiedere informazioni sullo stato delle indagini. “Maresciallo, stiamo facendo progressi?” “Speriamo, sindaco, speriamo…”, rispose Turtino che si trovava nell’ingresso dove stava innaffiando i suoi bonsai. “Io da sindaco mi preoccupo per la mia comunità. Non facciamo bella figura se la tiriamo troppo per le lunghe”. “Stiamo cercando di fare il possibile per arrivare ad una soluzione”. “Facciamo attenzione a non dare una cattiva 88 immagine di Bigliano”. “Pensiamo a ritrovare Mariella”, disse maresciallo, continuando ad innaffiare i suoi bonsai. il Totonno fece un cenno di assenso, divergendo il discorso verso le piante che si trovavano nell’ingresso. “Li curi bene, maresciallo. I bonsai meritano cura e rispetto. Sono piante importanti”, disse…. La relazione clandestina di ‘A bionda Il giorno del matrimonio di Gianni Calenda con Camilla Telesce, ‘A bionda si avvicinò per felicitarsi una sola volta, mostrando un sorriso di circostanza. Per il resto della giornata, evitò di guardare gli sposi. In paese girava voce su una presunta relazione clandestina della moglie di Ziza. Le malelingue dicevano che lei era "troppo" per lui. Gli uomini dicevano che era "troppo bona", le donne che era “troppo buona". Era vero sia l'una che l'altra cosa. ‘A bionda era una bella donna ma era anche una buona moglie, se non altro perché era lei che portava i soldi a casa. "Non si riesce proprio a capire perché abbia sposato quello sciagurato di Ziza che, oltre a giocare bene al pallone, non sa fare altro che bere la birra da Ciaramella", dicevano i biglianesi. Eppure era stato un vero matrimonio d'amore. Si erano conosciuti da ragazzi e si erano sposati molto giovani. Niente a che vedere con il matrimonio di Gianni Calenda e Camilla Telesce che, invece, era stato deciso e concordato dalle rispettive famiglie, fin nei minimi particolari. L’accordo prevedeva che la famiglia Calenda pagasse l’addobbo floreale in chiesa, le bomboniere e il viaggio di 89 nozze, mentre alla famiglia Telesce spettava il pranzo nuziale e il mobilio. I costi per l’intrattenimento musicale e le fotografie venivano divisi a metà. Non si poteva dire che Gianni non volesse bene a Camilla ma non era stato di certo un colpo di fulmine. A dir il vero, Gianni aveva un debole per Paola Urbano Tositto e non gli sarebbe dispiaciuto sposarla. Il potere decisionale, tuttavia, non spettava a lui, ma alla linea familiare ascendente maschile. Non aveva potuto fare altro che accettare le decisioni e imparare a volere bene a Camilla. Gianni, tuttavia, non rimase per niente indifferente al fascino femminile. Era fuori discussione che potesse legarsi permanentemente alla persona non giusta ma le avventure fuori del matrimonio erano consentite. Dovevano essere portate avanti, tenendo conto delle regole stabilite dal codice di comportamento sociale biglianese. Tutto si doveva svolgere con discrezione, non se ne doveva parlare con nessuno, neanche in casa. Nulla doveva apparire. Sarebbe rimasto un piacere della carne e nulla di più. Qualcuno avrebbe anche potuto spettegolare ma bisognava negare, sempre, anche l'evidenza. Le amanti erano ammesse a casa Calenda ma solo con un ruolo preciso. Sia Sesto che don Vito ne avevano avute diverse, ma il vincolo del matrimonio e del patrimonio rimaneva sacro e indissolubile. Gianni era molto attratto da ‘A bionda. Anche lui pensava che fosse troppo per Ziza e che quella donna meritasse di esser condivisa. "Ziza l'ha avuta per sé per tutto il periodo dell’adolescenza e per una buona parte della giovinezza. Insomma, ha avuto gli anni migliori". A Gianni sembrava davvero troppo, specie se messo in relazione con quello che Ziza era stato capace di offrirle. 'A bionda e Gianni si conoscevano da tempo, anche se non esisteva una vera e propria amicizia. Si 90 conoscevano perché ‘A bionda, tra i tanti lavori che aveva fatto prima di essere assunta al comune, come assistente di fascia B, era stata anche a casa Calenda. Aiutava la zia, che lavorava e viveva dai Calenda. Zia Albertina aveva il compito di tenere in ordine la casa, di preparare il pranzo e di fare compagnia a don Vito, che, ormai, da tempo, non usciva di casa e passava tutto il tempo incollato alla poltrona a leggere il giornale. Aveva raggiunto un’età ragguardevole e le sue condizioni di salute non gli permettevano più di essere completamente autonomo. ‘A Bionda andava a casa Calenda, quando c'erano ospiti e si doveva preparare il pranzo. Donna Luisella, la moglie di don Vito, era rimasta molto legata alla tradizione e concepiva il pranzo con gli ospiti come un evento per mostrare il meglio delle possibilità dei Calenda. "Il pranzo deve essere servito nel salone, utilizzando l’argenteria e i bicchieri di cristallo. Va articolato in diverse portate e deve comprendere obbligatoriamente almeno due primi e due secondi". Il diverso prestigio degli ospiti influenzava solo in minima parte le scelte di Donna Luisella, che ci teneva a far bella figura a prescindere da chi siano i suoi ospiti. La zia Albertina non si era mai sposata e non aveva nessuno che le potesse stare accanto. La nipote corrispondeva alla figlia che non aveva mai avuto. In realtà, dire che non ci sia stato proprio nessuno non é corretto. C’era don Vito, quando erano giovani. Zia Albertina era stata, infatti, l'amante ufficiale di don Vito Calenda. Ai tempi, l'aveva presa in casa a lavorare e l’aveva trattata come una persona di famiglia. Ovviamente, in pubblico ognuno al proprio posto, ma in privato pare che zia Albertina fosse trattata davvero amorevolmente. Anche donna Luisella voleva bene ad Albertina. Sapeva benissimo che il marito aveva una relazione con lei, ma non era affatto gelosa. Donna Luisella non aveva sposato don Vito per 91 amore. Era stato un matrimonio di interessi. Si rispettavano e, a modo loro, si volevano bene ma non c'era gelosia. Era un altro mondo dove si rispettavano regole non scritte. Nessuno doveva dare l'impressione di portare le corna con consapevolezza e donna Luisella rispettava le apparenze. Don Vito, era un uomo d'altri tempi. Un vero galantuomo. Non faceva mancare nulla né alla moglie, né all'amante ma pretendeva fedeltà da entrambe. Forse, proprio per questo motivo Albertina aveva deciso di non sposarsi. Forse era stata una scelta di vita o magari non le era capitato di incontrare un uomo che l’avesse voluta sposare. "In questa casa sto bene. Ho tutto quello che potrei desiderare". Si sentiva rispettata e apprezzata. ‘A bionda non conosceva con precisione quale tipo di relazione avesse legato la zia Albertina e don Vito. Aveva sentito delle voci, ma nessuno in famiglia ne aveva mai parlato apertamente. Quando vedeva il vecchio don Vito e sua zia, ormai anche lei avanti con gli anni, non riusciva proprio ad immaginare che un legame avesse potuto unire quei due. "Chiacchiere di paese", ripeteva a se stessa. Di certo non avrebbe mai immaginato che un giorno anche lei sarebbe stata legata ad un membro della famiglia Calenda, come era accaduto a sua zia anni addietro. I tempi erano cambiati ma non del tutto. "Io ho diritto ad avere una famiglia e dei figli miei". Sebbene la condizione della nipote non poteva paragonarsi a quello della zia Albertina, per ragioni diverse ‘a bionda’ si sarebbe trovata in uno stato simile. La prima volta di Gianni Calenda e ‘A bionda insieme avvenne in modo molto romantico. Nulla a che 92 vedere con quello che era stato l'approccio di don Vito verso zia Albertina. Don Vito l'aveva presa un giorno in cucina, mentre in casa non c'era nessuno, e l'aveva penetrata da dietro, sollevandole la gonna. Lei aveva provato a divincolarsi, ma non c'era riuscita. Aveva provato dolore, giacché era ancora vergine. Era stata male all’inizio per la violenza subita ma, in seguito, don Vito era stato premuroso con lei. Le aveva sorriso e le aveva detto che, se avesse voluto, lui si sarebbe potuto prendere cura di lei. Albertina non aveva molta scelta. Sapeva che non sarebbe cambiato nulla andando via. Avrebbe cambiato solo padrone o addirittura un padrone peggiore. Don Vito era stato di parola, l’aveva trattata con riguardo e non le aveva fatto mancare nulla. Gianni invece, aveva raccolto una bellissima rosa nel giardino di casa e la aveva offerta alla bionda che quel giorno era andata ad aiutare la zia Albertina. A bionda fu sorpresa da quel gesto inaspettato. "’Sta rosa è come te", le disse Gianni, porgendogliela. ‘A bionda arrossì di colpo, senza riuscire a parlare neanche per ringraziarlo, tanto forte era l'emozione. Quel giorno non si dissero nient’altro. Fu la volta successiva che ‘A bionda andò a casa dei Calenda che i due si diedero un bacio lungo, nel giardino. Fecero l'amore per la prima volta il giorno della festa della Madonna di Bigliano. Quel giorno c'era tanta confusione in paese. Tutti a casa Calenda erano andati in chiesa, tranne don Vito, che non poteva muoversi. Con la sedia a rotelle si era portato sul terrazzo da dove poteva seguire la processione. ‘A bionda aveva detto a Ziza che sarebbe uscita con la moglie di Pinuccio di Gina. Ziza, invece, se ne era andato da Ciaramella e, nonostante la confusione, era riuscito ad afferrare una birra. Aveva appuntamento con Giannino. In seguito, sarebbero andati insieme in processione a portare la statua. Si sarebbero incontrati in chiesa intorno a 93 mezzogiorno e mezza. Gianni e ‘A bionda, invece, si erano dati appuntamento alle undici a casa Calenda. Nel caso in cui qualcuno l'avesse vista entrare, nonostante la confusione, avrebbe detto che stava andando dai Calenda per aiutare la zia Albertina a preparare il pranzo. Gianni aveva appuntamento con Camilla, a mezzogiorno e trequarti. Avevano quasi un'ora e mezzo di tempo a disposizione. Alle undici in punto, ‘A bionda suonò il campanello di casa Calenda. Gianni andò ad aprire il portone, facendo attenzione a non farsi vedere da nessuno. ‘A bionda si guardò a destra, poi a sinistra ed entrò in casa. Lo fece con naturalezza, per evitare che qualcuno potesse sospettare. Chi avrebbe potuto immaginare che stava tradendo Ziza? ‘A bionda non si sentiva in colpa. "Ho già dato troppo a quello sciagurato". Pensava che fosse giunto il momento di prendere qualcosa per lei. Certamente non avrebbe tradito Ziza con il primo che capitava, ma con uno come Gianni Calenda si che ne valeva la pena. L’idea di essere corteggiata e amata da un uomo la faceva sentire soddisfatta dal punto di vista sociale più che fisico. Essere la donna di un uomo che apparteneva ai gradini più alti della scala sociale della comunità di Bigliano la faceva sentire libera dalle frustrazioni che la vita coniugale con Ziza le imponeva e faceva aumentare la sua autostima. "Gianni vale cento volte più di Ziza". Il rampollo di casa Calenda aveva scelto lei per fare l'amore. Era consapevole di essere una bella donna ma non immaginava di avere estimatori anche nella Bigliano bene. Gianni non perse tempo. Le diede un bacio tenerissimo e poi sempre più passionale. Non riusci a resistere di fronte ad un seno così prosperoso che finalmente poteva 94 toccare e avere per se. Era il sogno erotico della sua vita che si stava per realizzare. Continuo a baciarla e inizio a spogliarla portandola nella sua stanza da letto. Avrebbe avuto voglia di sbattersela con forza ma ebbe timore che lei si sarebbe ribellata e se ne sarebbe andata via mettendo fine al suo sogno erotico. Cerco di controllarsi e di essere quanto più tenero possibile. La fece distendere sul letto, la accarezzò, la baciò e le aprì con dolcezza la camicia di seta bianca, che ‘A bionda aveva indossato in occasione della festa. Il seno voluminoso, a malapena trattenuto dal reggiseno di pizzo, che aveva comprato la sera prima, apposta per Gianni, venne fuori. Gianni lo guardò con voluttà. Lasciò scivolare le mani sul corpo della donna che fu scosso da un fremito. Cercava di controllarsi e di fare dolcemente ma in realtà non riusciva a resistere, aveva bisogno di avere quella donna. Si unirono con fremito e leggerezza. Poi entrambi si rivestirono. ‘A bionda prese le sue cose e andò via. Gianni indossò un bel vestito grigio con camicia bianca e cravatta a strisce diagonali azzurre e grigie. Uscì di casa esattamente un quarto d’ora dopo ‘A bionda. Prima di uscire, salutò il nonno e si incamminò verso la chiesa per raggiungere Camilla che, intanto, lo stava aspettando. Giunto anch’egli puntuale, salutò Camilla con un bacio affettuoso. Lei lo prese sottobraccio ed entrarono in chiesa. Il funerale di don Vito Calenda Qualche tempo dopo la festa della Madonna di Bigliano, le condizioni di don Vito si aggravarono. Aveva quasi ottanta anni e, ormai da quasi dieci, era sofferente, in seguito ad un ictus, che lo aveva colto mentre si trovava al circolo con gli amici. Si era ripreso, ma da allora, don Vito non era più stato l'uomo arzillo di sempre. Non usciva più, se non per brevi passeggiate con la sedia a rotelle e solo in 95 primavera. D'inverno faceva troppo freddo e d'estate troppo caldo. L'ictus gli aveva parzialmente bloccato le articolazioni. Fortunatamente non aveva perso la parola e la sua lucidità era rimasta intatta, salvo ovviamente certe sfasature dovute all'età. Quando gli arrivò l'ictus, stava giocando a carte nel circolo, una mano di scopone con il dottor D'Eugenio, il maresciallo a riposo De Stefano e il ragioniere del comune La Spina. Aveva preso il caffè con il dottor D'Eugenio, medico ormai in pensione che aveva consigliato a Don Vito di riposarsi e magari di farsi controllare. Fecero una mano di briscola quando all'improvviso, don Vito perse i sensi e si accasciò sul tavolo. La sua fortuna, come dicevano tutti, fu di trovarsi insieme a D'Eugenio, che lo soccorse. Ne seguì una lunga ospitalizzazione e una fase di recupero, ancora più lunga. L'età avanzata complicò il recupero, ma la tempra forte lo aiutò a riprendersi. Don Vito impiegò un po' di tempo per abituarsi alla nuova condizione di perenne convalescente, ma dovette accettare la nuova situazione. Le cose andarono avanti in quel modo per quasi dieci anni. Albertina si occupava di lui. Spingeva la sedia a rotelle quando uscivano a fare le passeggiate, gli preparava il pranzo, lo aiutava a mettersi a letto. Le sue condizioni iniziarono a peggiorare dopo la festa dell’Immacolata finchè non si spense dopo qualche settimana, come una candela. Don Vito aveva avuto quattro figli maschi e due femmine. Sesto, il padre di Gianni, era l’ultimo, il sesto appunto e per questo portava quel nome particolare. Dei suoi fratelli, solo tre erano ancora in vita, un fratello e due sorelle. Gli altri due erano morti subito dopo la nascita, ma don Vito li contava, com'era giusto che fosse, ugualmente. A dividersi l'eredità di don Vito erano dunque in quattro. Giuseppe Calenda, giudice presso la corte d'appello di Napoli, 96 Francesca, maestra elementare a Potenza, Italia, vedova del colonnello Terzillo che viveva a Gioia del Colle e Sesto, l’unico che viveva a Bigliano. La camera ardente venne allestita nello splendido salone al piano terra dove accorsero quasi tutti i biglianesi a dargli l’ultimo saluto. Al funerale, celebrato il giorno successivo, partecipò molta gente e non solo biglianesi ma venuti da tutta la Valle. Il sindaco Totonno Tortoriello volle pubblicamente onorare la figura di don Vito. "Bigliano perde un pezzo della sua storia, la famiglia perde un padre e marito amorevole, gli amici perdono un galantuomo". In quell’occasione si materializzo all’improvviso il dottor De Cesare, che trovò il modo di fare un discorso, seppur breve perfino al funerale, suscitando il commento di Ziza "sto' strunz! Pure qua è venuto a rompere i coglioni!" ‘A bionda, si vergognò nell’udire il commento del marito ma gli altri biglianesi erano dalla parte di Ziza: "ha fatto buono…è proprio 'nu strunz”. Usciti dalla chiesa, tutti si disposero dietro il carro funebre che iniziò lentamente a procedere lentamente in direzione del cimitero. Tutte le porte dei bar e degli esercizi commerciali vennero socchiuse in segno di rispetto. Il corteo funebre si fermò per circa un minuto, quando giunse nei pressi di casa Calenda, la dimora di don Vito. Poi proseguì mestamente. In realtà, c'era un'atmosfera di mestizia solo nelle prime fila. Al di là della quinta fila, la gente appariva meno triste e, man mano, che si andava verso le retrovie, i partecipanti apparivano più distratti e parlavano del più e del meno. Il dottor De Cesare approfitto della triste circostanza che aveva colpito la famiglia Calenda per salutare i suoi elettori e stringere qualche mano. Poi si affiancò a Totonno 97 Tortoriello e prendendolo gli disse "Totonno, 'sta storia della scomparsa di Mariella la bella sta arrecando danno non solo a Bigliano, ma all'intera provincia" "E che ci posso fare io?" rispose Tortoriello, "non posso mica andarla a cercare io". "Appunto! Non ci puoi andare tu e non ci posso andare io. Se la signorina ha deciso di andarsene, perché dobbiamo occuparcene noi, come comunità intendo". "De Cesare, che ti posso dire? Che possiamo farci? Posso darti una mano, lo faccio volentieri". "I carabinieri e i giudici dovrebbero chiudere in fretta la faccenda e pensare più alla comunità. Se una persona decide di andare via di casa è libera di farlo. Capisci che voglio dire?" Mentre De Cesare parlava, si fermava e si girava, puntando lo sguardo verso Totonno. Accompagnava le parole con gesti vistosi e, terminava le frasi, appoggiando la mano sulla spalla di Totonno. La comunicazione non verbale biglianese era molto eloquente. Voleva dire che De Cesare si attendeva un segno di solidarietà da parte del sindaco. Totonno che non aveva compreso fino in fondo la faccenda, si rese conto che De Cesare non gradiva l'eccessivo dinamismo degli inquirenti. Non aveva, però, compreso perché De Cesare non lo gradisse. L'esperienza gli aveva insegnato che in queste faccende meno si sa e meglio si vive e preferì non chiedere ulteriori spiegazioni al collega. “Hai la mia solidarietà”, disse a De Cesare, “fammi solo sapere che si puo fare”. "Avrai modo di esprimerla a tempo debito", rispose De Cesare. Quando il feretro giunse al cimitero, altri biglianesi 98 si avvicinarono ai familiari. Esaurito l’obbligo di ricevere le condoglianze, i Calenda se ne tornarono a casa, mentre la gente, che aveva partecipato al funerale, si dileguò velocemente. La pratica di Maurizio Al funerale di don Vito partecipo anche Maurizio, il cugino di Ciaramella, che non aveva ancora raggiunto i propri fratelli, Donato ed Egidio, a Fermignano. Non era partito perché i fratelli gli avevano delegato il compito di sbrigare le pratiche per chiudere l’attività paterna. Maurizio era andato negli uffici del comune per consegnare le licenze dell’attività, e aveva richiesto il certificato di morte del padre, Nicola, necessario per istruire la pratica di cessazione d’attività alla camera di commercio di Potenza. Gli era stato fornito il modulo, da riempire e riconsegnare insieme ad un’altra serie di documenti. "Conto di chiudere la pratica in breve tempo, in modo da poter partire per Fermignano nel giro di una settimana". Invece, si rese conto che la burocratica era molto più lunga e farraginosa. procedura "Oltre alla cessazione di attività da formalizzare alla camera di commercio, bisogna chiudere la partita IVA, fare il calcolo immediato delle giacenze di magazzino e dichiarare il reddito finale all’agenzia delle entrate". Maurizio ne parlò con il cugino Ciaramella, che, lavorando nel bar, poteva saperne più di altri. Ciaramella lamentò il ritardo con cui Maurizio lo aveva messo al corrente della vicenda "Non che ci tenessi a saperlo ma perché, se lo avessi saputo con anticipo, avrei potuto interessare le persone 99 giuste per risolvere la faccenda. Avrei chiesto all’avvocato Di Cillio e, se non fosse stato sufficiente, avrei riferito la questione direttamente al sindaco. Comunque, non tutto è perduto. Mi metto subito in azione. Ci vole più tempo, ma la strada giusta si trova”, lasciò intendere al cugino. Ciaramella si mise subito in azione, come aveva promesso. Maurizio era uno di famiglia e andava aiutato. Non appena vide l’avvocato Di Cillio, gli chiese se, per caso, conoscesse qualcuno alla camera di commercio, all’ufficio IVA o all’agenzia delle entrate. “Sarebbe importante se voi aveste una chiave d’entrata in tutti e tre gli uffici ma anche in uno solo sarebbe sufficiente”. “Ci devo pensare”, rispose l’avvocato Di Cillio, “ti faccio sapere io”. Come aveva già fatto, nel caso della licenza, non si fece più sentire. Ciaramella esitò tra chiedere ulteriormente l’aiuto di Di Cillio oppure andare oltre. Si consultò con la moglie Isabella, come sempre quando bisognava prendere decisioni importanti e decise che sarebbe stato inutile attendere Di Cillio. "Totonno Tortoriello é la persona giusta". Era la seconda volta che Ciaramella offriva a Di Cillio la possibilità di rendersi utile ed era la seconda volta che l’avvocato non riusciva a sfruttarla. Le sue capacità di intermediazione tra la comunità e il potere erano limitate. “Forse anche per questo non riesce ad avere clienti”, sospettò maliziosamente Ciaramella. Totonno, invece, era un’altra cosa. Totonno era il potere ma, se necessario, aveva anche capacità di intermediazione, qualora il potere fosse localizzato fuori da Bigliano. "Quando si é trattato di sbrigare il problema della 100 licenza, ben più difficile rispetto a questo, Totonno non ci ha pensato sopra due volte e lo ha risolto nel giro di pochi giorni". Quel favore era costato a Ciaramella un prosciutto intero, che aveva dovuto consegnare al medico sanitario, più il caffè pagato per Totonno vita natural durante, a parte i voti di tutta la famiglia alle elezioni, ovviamente. Ora si chiedeva quanto gli potesse costare questo nuovo favore da chiedere al sindaco.“Basteranno quattro gambe di salsicce e due soppressate?”, chiese al cugino. Sarebbe stato Maurizio stesso a portagliele, in qualità di beneficiario. Anche se era lui che richiedeva il favore a Totonno sarebbe stato il beneficiario Maurizio a pagare. All’inizio non avrebbe accettato il pensiero, ma le regole non scritte del codice di comportamento di Bigliano prevedevano che Maurizio avesse dovuto insistere finchè il sindaco non avesse accettato. Si recò personalmente nell’ufficio del sindaco, per chiedere il favore (e fare il favore), per il cugino Maurizio. Totonno era di buon umore, come se avesse ricevuto una buona notizia. “Tanto di lineamenti del viso. guadagnato”, pensò, distendendo i "Ciaramé, che ti serve?" Gli chiese Totonno. “Mio cugino deve partire il prima possibile e tiene bisogno di chiudere, al più presto, la pratica di cessazione di attività alla camera di commercio, la questione dell’IVA e quella del reddito all’agenzia delle entrate”, esordì Ciaramella. “Me ne occupo io, personalmente, Ciaramé”, gli disse Totonno, che era disponibile anche quando era di cattivo umore, figurarsi quando era contento, “Alla Camera di Commercio c’è la figlia della cugina di Carmelina 'a napuletana, da qualche anno e fatta entrare per merito di un 101 deputato del mio partito”. Ciaramella sapeva bene che Carmelina 'a napuletana doveva mettersi a disposizione di Totonno, poiché il sindaco gli aveva sistemato il figlio, nel secondo blocco di assunzioni della legislatura precedente. La strada era tracciata. Maurizio avrebbe avuto la sua pratica e la considerazione di Ciaramella all’interno della famiglia sarebbe inevitabilmente cresciuta e, forse, pensò, “e forse ci sarebbe scappata anche una gamba di salsiccia per lui”, se il cugino Mauriziosi fosse passato la mano per la coscienza. Totonno si mostrò particolarmente cortese e, prima di congedare Ciaramella, si alzò dalla scrivania per andare a chiudere la porta, rimasta leggermente socchiusa. Alzandosi, si tirò su i pantaloni, che gli penzolavano dalla vita in giù. Si ostinava a portare la cintura ma con il peso che si ritrovava sarebbe stato molto più saggio indossare le bretelle. La pancia che debordava gli faceva costantemente scendere i pantaloni sotto la vita. Chiuse la porta con attenzione liturgica. Ritornando sui suoi passi verso la scrivania, si interruppe a metà, poi proseguì verso il balcone. "Ciaramé, io sono stato sempre gentile con te, non è così?". "È così, è così", rispose, con un filo di voce, Ciaramella. La conversazione era andata benissimo fino ad allora. Sembrava complicarsi proprio quando stava per finire. "Cosa vuole dire Totonno? Perché ha chiuso la porta? Forse quello stronzo di Giannino ha detto qualcosa e non me ne sono accorto? Se così fosse, la prossima volta lo butto fuori dal bar a calci", pensò Ciaramella. "Tu, Ciaramé, svolgi un ruolo importante, lo sai?" "Ma che dite?...Io un ruolo importante…" "Si, si, è proprio così. Tu sei al centro del paese, da 102 te la gente parla…" Ciaramella lo interruppe bruscamente, "se è per quello stronzo di Giannino, lo caccio a calci questa volta. Che ha detto? Io non mi sono accorto di niente, ve lo giuro". "No, non c'entra niente quello stronzo. È un'altra cosa. Come ti dicevo, tu sei al centro del paese e da te la gente che sa le cose parla. A me 'sta storia di Mariella non mi piace. La gente scompare e poi noi ne paghiamo le conseguenze. Ti rendi conto, Ciaramé?" "Non capisco, sindaco. Mi dispiace per Zi' Antonio, per la famiglia e pure per lei. No, non mi dispiace per il padre. Quello è un irresponsabile. Si sapeva che poteva finire male ma... "Appunto! Si sapeva che poteva finire male. Quella litigava con il padre e se ne sarà scappata". "E voi come lo sapete?" Chiese Ciaramella incuriosito. Totonno sapeva più di quanto sapesse lui? "Infatti non lo so”, lo rassicurò Totonno, “o meglio, lo so, come lo sappiamo tutti. Altrimenti dove vuoi che sia andata quella. Mica una ragazza scompare nel nulla in un paese come Bigliano. Se ne deve essere scappata e la colpa è del padre". Totonno non aveva notizie certe. Ciaramella, che seguiva il discorso di Totonno, tirò un sospiro di sollievo. Quella mattina si sarebbe atteso qualsiasi cosa, ma non che Totonno gli parlasse della scomparsa di Mariella la bella. "Dunque, sarebbe bene far sapere responsabilità è del padre…è vero Ciaramé?" che la "Come volete voi, sindaco", disse Ciaramella. colpa In fondo, se il sindaco desiderava che si desse la al padre, non restava che accontentarlo, 103 indipendentemente dai motivi che lo spingevano a chiedere quello strano tipo di sostegno. Ciaramella preferì non chiedere spiegazioni. Del resto, lui non aveva alternativa. Avrebbe dovuto fare appello alla sua coscienza, ma avrebbe perso i favori del sindaco. Non aveva nessun dubbio, i favori del sindaco erano più importanti. Evidentemente, a Bigliano non c'era posto per la coscienza. La vita andava guadagnata, giorno per giorno, e senza l'aiuto di Totonno sarebbe stato più difficile guadagnarsela. Assicuratosi il sostegno del sindaco, Ciaramella ritornò soddisfatto al bar. Vi trovò Ziza. Lo salutò e gli propose “di farsi una birra insieme”. L’avrebbe offerta lui. Dato che c’erano anche Radiouno e Radiodue, insieme a Ziza, quel giorno offrì tre birre. “Ma quanno ci’ vole, ci’ vole”, pensò tra sé e sorrise. Anche Ziza, Radiouno e Radiodue sorrisero e bevvero la birra con Ciaramella. L’oro nero di Totonno Tortoriello Totonno, dopo aver assicurato Ciaramella del suo impegno a risolvere la pratica del cugino e aver ottenuto in cambio l'impegno a dirottare sul padre di Mariella la colpa per la scomparsa della figlia, chiamò Carmelina 'a napoletana. Aveva bisogno del numero di telefono della figlia della cugina. "Mi serve per risolvere una questione", le disse. Carmelina, che non poteva sottrarsi alla richiesta di Totonno, dato che gli aveva sistemato il figlio, disse soltanto “a disposizione!”. Prese l’agenda, che aveva vicino al telefono, cercò il numero della figlia della cugina e lo comunicò al sindaco. Totonno ringraziò e chiuse il telefono. Totonno, all’epoca, gestiva un vero e proprio 104 scrigno pieno di oro. Da qualche anno, nel territorio di Bigliano era stato rinvenuto il petrolio. Inizialmente, nessuno dei biglianesi aveva realizzato l’importanza dei giacimenti, che si trovavano sotto i loro piedi. “Sembrava strano che una terra tradizionalmente povera come la Lucania potesse nascondere ricchezze naturali tanto importanti”, disse Mimmo o’ greco. Anche l'acqua era una ricchezza lucana ma, al contrario del petrolio, era sempre stata considerata come una risorsa senza prezzo. “Non nel senso che il suo valore fosse inestimabile, quanto piuttosto che non gli fosse dato alcun valore”. I biglianesi non avevano mai capito perché una loro ricchezza dovesse essere ceduta agli altri senza ricevere nulla in cambio ma si erano adeguati. Continuarono a pensare che l'acqua fosse una ricchezza senza valore. Il petrolio, invece, aveva un prezzo e aveva un valore. “Non si deve ripetere di nuovo la storia dell’acqua”. Desideravano davvero che ci fosse un ritorno in termini economici, ma soprattutto sociali. Totonno Tortoriello aveva promesso, durante la campagna elettorale, che avrebbe lottato con tutte le sue forse per raggiungere l’obiettivo di dare più lavoro ai biglianesi. "I biglianesi non sono figli di un Dio minore e meritano rispetto e attenzione", aveva dichiarato pubblicamente. Anche De Cesare che, durante le campagne elettorali, si materializzava in maniera semipermanente, aveva sostenuto le rivendicazioni dei biglianesi. "Le imprese che estraggono il petrolio, devono lasciare parte dei loro profitti ai biglianesi, per risarcirli dell'aria nebulizzata che sono costretti a respirare, per colpa delle perforazioni". 105 Entrambi, tra una dichiarazione e l'altra, avevano auspicato il ritrovamento di Mariella la bella. "Partecipiamo con commozione al dolore della famiglia che potrà contare sul nostro sostegno personale e su quello della comunità che rappresentiamo". Avevano anche detto, ma sottovoce, che le compagnie petrolifere si sarebbero potute spaventare se avessero rilevato un aumento del livello di criminalità nella regione. Una ragazza che scompare non è un buon indicatore per una regione che vuole svilupparsi. "Potrebbe, però, succedere che una ragazza scelga volontoriamente di andare via di casa", avevano sussurrato ai loro clienti, "le compagnie petrolifere, in questo caso, non si spaventerebbero". Il presidente della regione era intervenuto nel dibattito politico. "I biglianesi vanno risarciti. Non possono più lavorare la loro terra. Meritano rispetto e attenzione". Zi' Antonio, infatti, non riusciva più a produrre i pomodori di una volta. Quando li raccoglieva, scopriva che sulla buccia si era formata una patina oleosa. A distanza di alcuni anni, i biglianesi avevano compreso che il rispetto e l’attenzione, tanto conclamata, non erano proprio così evidenti come Totonno, De Cesare e il presidente della regione avevano lasciato intendere. Iniziarono ad avere dei dubbi ma non presero alcuna iniziativa. Sbraitarono, minacciarono fuoco e fiamme ma alle elezioni successive votarono ancora una volta per Totonno, De Cesare e il presidente della regione. Ziza, intanto, temeva che questo benedetto petrolio potesse essere un problema. “Chissà che Totonno non si sogni di farmi lavorare!” 106 A Ziza erano tornate in mente le parole che Totonno aveva detto durante la campagna elettorale, il petrolio potrebbe far lavorare tutti i biglianesi e si era giustamente preoccupato. Non poteva immaginare le sue giornate lontano dal bar di Ciaramella. Pensava, soprattutto, alle splendide giornate d'estate, assolate, e alla birra fresca. “Come si potrebbe lavorare in quelle condizioni? Cha aria si potrà respirare vicino a questo petrolio?" Non solo avrebbe perso i benefici delle lunghe giornate di ozio ma avrebbe anche guadagnato aria nebulizzata per i suoi polmoni. Aveva sempre votato per Totonno e ora Totonno gli si rivoltava contro? “Se ha detto che il petrolio darà lavoro a tutti i biglianesi, allora pensa pure a me”, constatava con amarezza, mentre sorseggiava l’ennesima birra, “ma io cosa gli ho fatto di male?" Il timore di Ziza di essere costretto a lavorare sembrava fondato, se si fossero prese alla lettera le dichiarazioni pubbliche del sindaco. Dopo qualche tempo, tuttavia, Ziza si era tranquillizzato. La minaccia di Tortoriello di far lavorare tutti i biglianesi non era stata seguita dai fatti. Solo i biglianesi appartenenti al primo blocco erano stati davvero chiamati a lavorare. Ziza, di fronte alla situazione di immobilità in cui era caduta Bigliano, si rasserenò e poté tornare alle tranquille bevute da Ciaramella. Lo sconforto dei giorni più bui fu solo un ricordo. Certo, di tanto in tanto, Totonno ripeteva la promessa ma, ormai, Ziza non ci credeva più. Aveva capito che Totonno scherzava e che di lui ci si sarebbe potuti fidare. Non lo avrebbe mai costretto a lasciare il bar di Ciaramella, per esporlo alle intemperie dei pozzi petroliferi. Ci pensò un’ultima volta il giorno in cui si tenne una conferenza per discutere il possibile sviluppo di Bigliano. I biglianesi non erano tutti come Ziza. Era un altro problema per Totonno, ma anche per De Cesare e per il 107 presidente della regione. Non c'era solo la scomparsa di Mariella ma anche questa maledetta voglia di lavorare a porre problemi ai politici. Se tutti fossero stati come Ziza, capaci di apprezzare il valore dell'ozio, sarebbe stato davvero un piacere rappresentare i cittadini. Invece, bisognava pensare a risolvere i problemi. Non che i problemi andassero risolti realmente. Il circuito del bisogno non andava spezzato perché non avrebbe avuto senso ma almeno bisognava dare l'impressione di farlo. “È vero che i biglianesi sono cani, che abbaiano soltanto ma non é il caso di stuzzicarli più di tanto”, disse il presidente della regione. “Qualcosa bisogna fare e qualcuno deve essere accontentato”, aggiunse De Cesare. Il presidente della regione, che guardava con preoccupazione alla vicenda, si rese conto che era giunto il momento di prendere un’iniziativa. "La politica deve dare delle risposte", disse. I biglianesi si lamentavano, ma soprattutto tornavano a emigrare. Il fatto più preoccupante riguardava la fuga dei cervelli. I giovani laureati biglianesi se ne andavano, provocando un solco che sarebbe stato sempre più difficile colmare. Si scoprivano le risorse, ma diminuiva la ricchezza. Il paradosso lucano si compiva per l'ennesima volta. Il presidente della regione telefonò al sindaco Tortoriello. “Toto’, sono io, come stai?” “Bene, caro presidente! Mi fa piacere sentirvi. Stavo giusto pensando a voi”, disse Totonno con tono ammiccante. “Allora, sto benedetto petrolio?” Chiese il presidente della regione, saltando ulteriori convenevoli e giungendo subito al nocciolo della questione. “….E qua non si trova la soluzione. Scaviamo, 108 scaviamo, ma non produciamo niente”, replicò Totonno. “Come non produciamo niente? Stiamo fornendo petrolio all’intera nazione”, fece notare con orgoglio il presidente. “Forniamo il petrolio all’intera nazione, ma qui non resta niente. La gente non lavora. Se ne va e non torna più”, affermò Totonno, sconsolato, che aggiunse, “e noi perdiamo voti, presidente”. Dall’altro capo del telefono, si poté ascoltare un lungo respiro. Perdere voti poteva significare perdere il lavoro. Per i politici, ovviamente. Il presidente della regione lo sapeva e temeva che un giorno avrebbe potuto trovarsi disoccupato. Cosa avrebbe fatto? La moglie, che lo aveva sposato perché sembrava avviato verso una brillante carriera politica, lo avrebbe lasciato. Lo spettro di una vita normale e senza privilegi stimolò la sua creatività. “Vabbé, tieni in mano. Abbiamo grandi progetti per Bigliano e per le sue risorse”, rispose il presidente della regione, cercando di consolare lo sconfortato Tortoriello, “S’impone qui una riflessione collettiva”. Totonno apparve confuso. Non riusciva a comprendere cosa il presidente volessedire. Ci pensò e ripensò a casa. Il combinato disposto di tieni in mano e riflessione collettiva poteva voler dire una sola cosa nell’interpretazione del politichese in chiave tortorelliana, “passa iosc’ che ven’ crai”. Bisognava prendere tempo e sperare che, nel frattempo, qualcosa potesse succedere. Si chiese quindi quanto influisse il livello percepito di criminalità sullo sviluppo economico della regione. Dopo qualche secondo si diede anche la risposta, "andrebbe fatto il punto della situazione". La scomparsa di Mariella la bella sarebbe stato un danno, se gli inquirenti non fossero riusciti ad accertare che si trattava di un allontanamento volontario. De Cesare era 109 apparso preoccupato per la vicenda. Se ne sarebbe potuto parlare anche con il presidente della regione di questa faccenda dell’incremento della criminalità. Totonno telefonò a De Cesare. “Caro Totonno, quali buone notizie mi dai?” “Stavo pensando di organizzare una conferenza per discutere il futuro economico di questa valle e di Bigliano, ovviamente”. “E di che vuoi parlare?” “Un po’ di tutto. Petrolio, risorse, acqua. Insomma fare un po’ di ammoina” “E allora non ti dimenticare la criminalità. Noi siamo una regione pulita”. “Certo… pulita, pulita. E’ questo il messaggio che dobbiamo far passare”. “Bravo, Totò!” Rispose De Cesare, con soddisfazione. “A proposito, mi sto già occupando di quella faccenda che mi hai chiesto di regolare quando ci siamo incontrati al funerale di don Vito Calenda. Ora però stai a sentirmi. Io alla conferenza non ti posso far parlare. Dirò io le cose che devi dire tu”. “Bravo, Totò”, rispose di nuovo De Cesare, con soddisfazione, "mi sembra una buona idea ma agisci con discrezione e pensa attentamente a quello che devi dire". I due si intendevano a meraviglia, benché pubblicamente si comportassero come rivali. Fece preparare una bozza di programma e lo spedì al presidente della regione, per sentire la sua opinione. Il presidente, non appena ebbe dato uno sguardo al programma, prese in mano il telefono e chiamò di nuovo Totonno Tortoriello. 110 “Totò e qui non ci siamo capiti”. “Perché?” Rispose ingenuamente Totonno. “E che combini! Mi inviti esperti di economia, di energia e di politiche sociali e ti dimentichi dei politici”. “Presidente, ma io pensavo si dovesse fare qualcosa di tecnico per prospettare delle soluzioni”. “Soluzioni si, ma non tecniche, bensi politiche. Campa cavallo che l’erba cresce! Le soluzioni degli esperti hanno sempre tempi lunghi di realizzazione e nel frattempo noi che facciamo? Ci perdiamo il posto? Ti sembra una buona idea questa? “Avete ragione, presidente”. “Al lavoro, Totonno. Da te mi aspetto solo cose buone”. Totonno Tortoriello si rese immediatamente conto dell’ingenuità commessa. Cambiò il programma, più politici e meno esperti. Il giorno della conferenza, l’avvocato Di Cillio uscì di casa più presto del solito e passò davanti al bar di Ciaramella più velocemente del solito. A Ziza, che lo invitava per una birra, non rispose quasi. Fece solo un cenno con la mano, per far capire che era molto impegnato. Ciaramella fu molto soddisfatto. Fece ottimi affari quel giorno. Riuscì a servire ben trentasei caffè in più della media giornaliera, venti bottiglie d’acqua minerale, succhi di frutta e bevande alcoliche. “Ci dovrebbe essere una conferenza al giorno”, pensò. Gli speakers erano due deputati del parlamento eletti in Basilicata, di cui uno della maggioranza e uno dell'opposizione, un deputato europeo, il presidente della regione, il sindaco e un esperto di sviluppo locale, venuto da 111 Roma. Il presidente della regione tenne il discorso di apertura. Lo fece in piedi in modo che le telecamere della televisione regionale lo potessero riprendere. Elogiò il carattere dei biglianesi, le bellezze paesaggistiche della regione e, infine, ricordò la Madonna di Bigliano, invitando tutti i presenti ad alzarsi in piedi in segno di rispetto. I due deputati presenti, a loro volta, elogiarono il presidente della regione per aver elogiato il carattere dei biglianesi, le bellezze paesaggistiche della regione e, soprattutto, per aver ricordato la Madonna "che tanto bene aveva fatto ai biglianesi". Il deputato europeo, invece, preferì non elogiare nessuno. Disse “che condivideva i sentimenti appena espressi" e che lui avrebbe preferito approfondire il tema dei fondi strutturali. La scelta del deputato europeo fu premiata dal pubblico, che, alla fine dell'intervento, gli tributò un lungo applauso. Parlare di aiuti costituiva un tema di sicuro appeal, ed i biglianesi confermarono quanto glamour fosse il soggetto prescelto per la relazione. Concluse i lavori l’esperto di sviluppo locale, un professore dell'università di Roma, “scelto non si sa bene come e non si sa bene da chi”. Il professore, tra la sorpresa generale, fece riferimento alla ripresa del flusso migratorio, al crollo demografico, alla recessione, all'indebitamento delle famiglie e ai lavoratori in mobilità. Chiuse i lavori il sindaco Tortoriello. Non replicò nel merito al professore di Roma ma fece rilevare come la Lucania fosse una terra laboriosa e con tanta buona volontà. Provò a mescolare le carte, sperando che il pubblico non comprendesse. Poi, concesse un'intervista alla televisione regionale. Parlò della grande partecipazione popolare e della necessità di dare rispetto e attenzione ai biglianesi. Accennò alla vicenda di Mariella esprimendo solidarietà alla famiglia e sottolineando che nonostante il triste fatto di cronaca la Basilicata era una regione pulita e non vi era alcuna forma di 112 criminalità locale. "Non si deve utilizzare il caso di Mariella per sporcare l’immagine della brava gente di Lucania. È un fatto di cronaca isolato. Non si fa il bene della famiglia continuando a insistere su questa storia. I poveri cristi hanno bisogno solo di preghiera e silenzio”, disse il sindaco nell’intervista. Utilizzò delle argomentazioni arzigogolate per dimostare il legame diretto, che esiste tra percezione della criminalità e sviluppo economico. Fece appello alla Madonna, affinché aiutasse i familiari alla rassegnazione. Ziza che aveva seguito il telegiornale regionale, e aveva sentito la dichiarazione di Totonno, per un attimo rabbrividì di nuovo. Non comprese il discorso su Mariella, ma ebbe un fremito quando si fece accenno allo sviluppo economico. Poi si ricordò che Totonno era solito fare questo tipo di promesse e continuò tranquillamente a bere la sua birra. Il servizio sulla conferenza di Bigliano venne realizzato da Rocco Verrastro, inviato della testata televisiva regionale. Verrastro è un bravo giornalista, ma nessuno lo sa. Si é laureato molto giovane in scienze politiche, indirizzo politico-storico all’università di Pisa. Poi, con molto coraggio ha scelto di rientrare nella sua regione per trovare un lavoro. Non sono molti i giovani che rientrano in Lucania, dopo la laurea. Aveva fatto il concorso da giornalista, riuscendo, sorprendentemente, a superarlo senza raccomandazione ed era stato assunto. L’aver superato il concorso senza sponsor lo poneva in una condizione di diversità rispetto agli altri. Poteva prendersi il lusso della libertà di pensiero e di azione che, però, non era molto apprezzata tra i suoi colleghi, dal momento che erano tutti legati ad un santo protettore. Soprattutto tra i superiori non godeva di molta stima, nonostante fosse tra i migliori elementi che avessero a disposizione. Il problema era che non avendo uno sponsor 113 non avrebbe mai potuto occupare posti di comando ed era pericoloso affidargli servizi di carattere politico. Era un cane sciolto, una specie di mina vagante imprevedibile. Per il caporedattore era una spina nel fianco più che una risorsa. Rocco ha fatto parte della sinistra giovanile ai tempi dell’università. Ha lottato per il diritto al lavoro e per un’equa distribuzione del reddito. Ha frequentato i centri sociali ma il fallimento storico del comunismo lo ha spiazzato. Fino all’ultimo ha creduto alla teologia marxista. Era un idealista e non era disposto a rinunciare ai valori della sinistra. Da bravo reporter qual era non si limitava a pensare al disgusto e allo schifo suscitato da quella classe dirigente, venduta per un tozzo di pane ma, ogni volta che ne aveva occasione, lo esprimeva liberamente. Tra i suoi servizi più interessanti, c’erano da annoverare quello sul randagismo a Matera, quello sulla sagra del peperone di Senise e quello sulla siccità dell’estate precedente. Di cosa ci si poteva occupare? La Lucania era una regione in cui apparentemente non accadeva mai nulla d'importante. Sembrava ci si dovesse accontentare della siccità. In realtà, non era proprio così. Di cose importanti nella regione ne capitavano, ma finivano sempre per adagiarsi nel sottosuolo, come il petrolio. Quando Rocco venne inviato a Bigliano per il servizio sulla conferenza, aveva ben chiaro qual’era la reale situazione economica e le possibili prospettive esistenti. Nonostante le ingenti risorse del territorio, il reddito dei biglianesi era basso e le prospettive di sviluppo quasi inesistenti. Quando intervistò il sindaco Tortoriello, fece presente la situazione che aveva sotto gli occhi ma Totonno, da abile politico qual’era, rispose in maniera vaga. Anzi, affermò che i media avrebbero dovuto difendere l’operato degli amministratori locali e non attaccarli. Adducendo una 114 scusa, terminò l’intervista e si allontanò mormorando ai presenti, “chi cazzo è ‘sto giornalista che hanno mandato da Potenza”. Le poesie del ragioniere La Spina La Spina é un poeta, non solo un ragioniere. Del poeta ha l'anima, del ragioniere la meticolosità. È sensibile, adolescenziale nella sua ingenuità, ma anche preciso e puntiglioso. Non parla di politica. Gioca a carte nel circolo, scrive poesie in vernacolo biglianese e passeggia. A Bigliano tutti conoscono i suoi vizi e le sue virtu. Carmelina 'a napuletana, che aveva fornito una deposizione spontanea a Trapanese, riteneva che La Spina potesse suffragare la sua testimonianza sulla scomparsa di Mariella. Più ci pensava e più se ne convinceva. “Il percorso delle passeggiate del ragioniere é sempre lo stesso. Dopo il ruscello, il carcere, il campo sportivo e la vecchia clinica, giunge davanti casa mia e, di conseguenza, la casa di Mariella”. Carmelina aveva riferito al sostituto procuratore di aver visto, intorno alle otto, Mariella in una macchina “grossa assai”, nei pressi della sua abitazione. “Anche La Spina avrebbe dovuta vederla, dato che l'ora della sua passeggiata coincide con quella in cui io penso di aver visto la ragazza”. Erano giorni che Carmelina si chiedeva perché La Spina non si fosse deciso a testimoniare. "Potrebbe anche non aver visto nulla". "È un brav'uomo, se avesse saputo qualcosa, lo avrebbe fatto presente al giudice". “E se invece, ha avuto paura?” 115 “Magari l’hanno minacciato. E chi? E perché?” Erano diversi e contraddittori i pensieri che si affastellavano nella mente di Carmelina. Esisteva un solo modo per fare chiarezza. “Bisogna chiedere direttamente al ragioniere”. Una sera Carmelina attese che La Spina passasse davanti casa sua. “È vicino al luogo in cui penso di aver visto Mariella”. Puntuale come un orologio, La Spina giunse verso le otto e un quarto. Carmelina lo salutò e il ragioniere ricambiò sollevando leggermente il cappello dalla testa. "Ragionié, io vi vedo sempre passare da qui, ogni sera". "Passeggiare fa bene alla salute e allo spirito", rispose La Spina. "Dite bene". "Anche tu dovresti passeggiare", gli disse La Spina. "Ragionié, vi devo chiedere una cosa. Me la togliete una curiosità?" "Dite pure. Se posso, con molto piacere". "Voi, di Mariella la bella non sapete niente?" Il ragioniere, che fino ad allora, aveva sorriso, improvvisamente si irrigidì. Tentò di non darlo a vedere, ma il suo imbarazzo risultava piuttosto evidente. Carmelina se ne accorse. "Io, io…di Mariella la bella…io, io…e che posso sapere, io", farfugliò. Carmelina rimase sorpresa del comportamento del ragioniere. Non voleva darlo a vedere, ma sembrava visibilmente incapace di mantenere la calma. 116 "No…si…ma, alle volte, come si dice…". "Che si vuole dire…", la interruppe La Spina innervosito, "io non so niente…e ora scusatemi, ma debbo proprio andare". La Spina affretto il passo e scomparve dalla visuale di Carmelina che rimase interdetta. “Questo è proprio strano”, pensò, “dovrei dirlo al giudice ma, in fin dei conti, questi non sono fatti miei ". Rientro in casa. Anche La Spina tornò a casa ma quella sera non scrisse poesie. Dantino Telesce era l’unico biglianese a non aver mai letto una poesia del ragioniere, nonostante la figlia, Camilla, avesse portato un suo libro, regalo di Gianni, a casa. Lo vide in mezzo ai suoi giornali di finanza, ma lo ignorò completamente. I suoi interessi erano tutti concentrati altrove. Il suo imperativo categorico era chiaro. “Fare soldi e spenderne il meno possibile”. Diversi esercenti della zona erano caduti nelle sue grinfie. In alcuni casi, solo l’intervento di Don Sabatino era riuscito a scongiurare il peggio. Il parroco di Bigliano si occupava dei bambini orfani, delle ragazze madri, dei giovani drogati e degli esercenti taglieggiati dagli strozzini. Dopo la scomparsa di Mariella aveva anche creato un'associazione con il compito di sensibilizzare l'opinione pubblica sul dramma delle famiglie delle persone scomparse. Ne faceva parte anche la madre di Gianni Calenda e Gina, la madre di Pinuccio, che aveva una sorta di obbligo nei confronti di Don Sabatino. Pinuccio di Gina, proprietario di un piccolo negozio di generi alimentari, lungo il corso principale di Bigliano, si era trovato in difficoltà e aveva dovuto far ricorso a Dantino Telesce. “Ci sarebbe bisogno di una mano d’aiuto”, disse Pinuccio a Dantino, il quale, senza farsi pregare due volte, 117 rispose che bisognava sempre aiutare gli amici. “Sempre che gli amici si sappiano comportare”, precisò. Pinuccio comprese il significato, perché i metodi di Dantino li conosceva bene. Erano, del resto, noti a tutti quelli che stavano nel giro del commercio. Pinuccio aveva tentato di avere un prestito dalla Banca di Lucania, ma non c’era riuscito. La scelta di rivolgersi a Dantino era stata obbligata, a meno che non avesse voluto liquidare definitivamente la propria attività ed emigrare anche lui al nord. Dantino gli era stato consigliato da Rosario. "Rivolgiti a Dantino", lo rassicurò Rosario. “ un amico". Dantino lo accolse con apparente benevolenza. "Caro Pinuccio, ti tratto da amico e mi dai solo il nove per cento della somma che ti serve. Agli altri normalmente, applico il dieci per cento". A Pinuccio tutto sommato, la cifra non parve esagerata, ma poi Dantino aggiunse, “nove per cento al mese, ovviamente!” Nove per cento al mese, invece, non era cosa da poco. Pinuccio sapeva benissimo che avrebbe fatto fatica a restituire la cifra ma accettò ugualmente. Non ce la fece a restituire il prestito a quella percentuale e quando ormai era sull’orlo del baratro, solo l’intervento di Don Sabatino l’aveva salvato. Gli affari illeciti di Dantino non erano sconosciuti ai carabinieri del comando di Bigliano. Il problema era che nessuno lo aveva mai denunciato, anche per via dei rapporti confidenziali che intratteneva con gli stessi carabinieri. Il maresciallo Turtino considerò bene di rivolgersi anche a Dantino per capire se la scomparsa di Mariella avesse a che a fare con persone legate a certi ambienti che ruotavano intorno alla criminalità locale o se fosse a conoscenza di qualcosa che gli altri non sapevano. 118 Turtino incontrò Telesce mentre discuteva, in piazza, con altre due persone. Erano seduti su una pacchina, non lontano dal busto in bronzo di Verdi. Dantino si alzava e si sedeva continuamente, gesticolava con foga e non riusciva a stare fermo. Turtino si avvicinò con naturalezza, dando l’impressione di essere capitato lì per caso. I tre lo invitarono a sedersi sulla panchina insieme a loro, “oh, chi si vede, il maresciallo Turtino. Quale onore!”. Turtino, che conosceva il modo di fare dei biglianesi, sapeva che non poteva rifiutare. Accettò anche perché era quello che voleva. Per diversi minuti i quattro chiacchierano di edilizia popolare. Dantino teneva banco, spiegando le migliori tecniche di costruzione antisismica. Gli altri due seguivano e, di tanto in tanto, intervenivano. Turtino, che non era proprio un esperto di edilizia popolare, si limitava ad ascoltare. Attendeva pazientemente che arrivasse l'ora di cena. Gli altri due se ne sarebbero certamente andati a casa e lui avrebbe potuto parlare a quatt’occhi con Dantino. Come aveva previsto, i due, che erano insieme a Dantino, lasciarono la piazza, non appena scoccarono le otto. Rimasti soli, Turtino chiese a Dantino se poteva offrirgli un caffè nel bar di Ciaramella. "Con molto piacere, maresciallo", rispose Dantino. Appena entrati nel bar, incrociarono subito Giannino. Parlava di politica locale. Ciaramella da dietro al banco con un orecchio stava attento ai suoi discorsi, con l’altro seguiva le richieste dei clienti. Voleva evitare un altro incidente con Totonno Tortoriello e per questo doveva tenere sotto controllo Giannino. Quando Dantino entrò nel bar insieme al maresciallo Turtino, Ciaramella fu sorpreso. “Che ci fanno questi due insieme?” Pensò. Non riusciva a spiegarsi questo strano connubio. 119 Avrebbe voluto origliare la loro conversazione ma la presenza di Giannino lo distraeva. “Non posso lasciar parlare sto’ stronzo di Giannino senza verificare che cazzo dice”. A malincuore dovette rinunciare a seguire la conversazione tra Turtino e Telesce. “Avrei dovuto sbattere sto’ stronzo fuori dal bar da tempo”. Il piano di Turtino prevedeva di prendere un caffè da Ciaramella e poi di parlare facendo quattro passi lungo il corso. La distrazione di Ciaramella gli fece rettificare il piano e lo spinse ad anticipare i tempi. “Caro Dantino, in questo paese non si prende più pace. Quante cose brutte che succedono. Io me ne ero venuto qui per passare tranquillamente la mia vecchiaia e invece mi fanno lavorare”, disse Turtino, piegandosi sulla schiena per lasciar intendere gli acciacchi che aveva. “Non mi dite niente, maresciallo. Una volta si stava bene a Bigliano, ora non si capisce più niente”, rispose Dantino, stando al gioco del maresciallo. Come aveva pianificato, con leggerezza riuscì a condurre il discorso su Mariella la bella. “Quando scompaiono ragazze…belle ragazze in un piccolo paese come questo…”, fece notare Turtino. All’accenno, da parte del maresciallo, a Mariella, Dantino fece in modo di avvicinarsi lentamente a Ciaramella. Sapeva che Turtino non avrebbe parlato in presenza del barista. Turtino se ne accorse e comprese che Dantino non gradiva discutere dell’argomento. “Sto’ stronzo non vuole dire niente. Vuol dire che sa qualcosa ma non vuole parlare. ”, pensò. Il maresciallo prese atto e chiuse il discorso. 120 I due tornarono a parlare di edilizia popolare. Ciaramella, ascoltandoli, pensò che sarebbe stato meglio continuare ad ascoltare quello stronzo di Giannino. Il capannone del cavaliere Urbano Tositto Il giudice Calenda aveva una macchina nuova, una Mercedes voluminosa, assai appariscente, nera, full optional. “Guaglio’che macchina!” Esclamò Radiouno quando la vide passare in piazza. “E quando te la puoi accattà tu una macchina accussì”, gli fece notare Ciaramella, con cattiveria. Anche se il posto offertogli da Totonno fosse arrivato, quel tipo di automobile sarebbe, comunque, rimasto un sogno. Anche Carmelina ‘a napuletana vide la macchina del giudice Calenda, uscendo di casa. “La stessa macchina di quella sera?” Si chiese. Ci pensò più volte. “Mannaggia. Se solo l’avessi vista di giorno e non di sera”. Non era riuscita a cogliere tutti i particolari, perché era rimasta accecata dai fari. "Se solo potessi parlare con il ragioniere La Spina", pensò, mentre andava da Lucia a comprare il pane. Da Lucia, incontrò Ziza. I due si salutarono. Ziza aveva raggiunto il difficile obiettivo di non lavorare, ma non quello di evitare la spesa. Conservava un ricordo terribile delle fabbriche. “Lunghi turni di lavoro, alcuni anche di notte”. 121 “Non si può campare senza la birra quando face caldo”. Fu, probabilmente, il racconto di questo tormentato ricordo, fatto a Radiouno e Radiodue, a disinteressare i due cugini al lavoro. Ziza era stato assunto in una fabbrica di laminati durante la seconda ondata di industrializzazione dopo il terremoto del mille e novecento ottanta, quando gli imprenditori del nord si erano buttati a capofitto sui mille incentivi, che lo stato aveva messo a disposizione degli investitori. Non c’era più la Cassa del mezzogiorno ma in compenso c’erano gli aiuti finanziari post terremoto. “Come novelli barbari, gli imprenditori si erano precipitati nella regione, che li aveva accolti a braccia aperte”, diceva Mimmo o’ greco. Tra questi novelli barbari calati in Lucania, vi era anche il cavaliere Urbano Tositto, un industrialotto della Brianza, che, all’epoca, aveva assoluta necessità di rinnovare i macchinari della sua azienda, per tentare di recuperare competitività sul mercato. Aveva tentato la strada del credito bancario, ma non c'era riuscito. I mercati non offrivano più gli sbocchi di una volta e i burocrati europei avevano stabilito le quote di produzione per il settore in cui agiva la fabbrichetta con cento operai del cavaliere. Urbano Tositto era stato costretto a mettere in cassa integrazione ben venti di quei cento operai. Dopo aver ricalcolato i costi dell’evoluzione tecnologica, che necessitava alla sua fabbrichetta con cento operai, il cavaliere cambiò strategia. Decise di delocalizzare parte dell’attività nel mezzogiorno, in cambio di una serie di facilitazioni fiscali e di ottimi incentivi finanziari. Si trattava di preparare un semplice business plan, per spiegare e motivare i benefici in termini economici e sociali dell’attività che si intendeva realizzare. Non sembrava difficile. Certo, i suoi prodotti perdevano competitività e non erano più facili da commercializzare, ma il cavaliere considerò che questo fosse l’ultimo dei problemi da affrontare. 122 “Non bisognava fare altro che presentare la domanda e poi pregare le persone giuste”. Non ci mise molto a capire chi fossero le persone giuste, che andavano pregate. Conobbe il dottor De Cesare e gli prospettò la sua iniziativa. Trovarono facilmente l’accordo. De Cesare si sarebbe attivato affinché l’attività del cavaliere Urbano Tositto fosse messa a disposizione dei suoi elettori e il cavaliere affinché gli elettori di De Cesare potessero far parte integrante del suo progetto. Per prima cosa, Urbano Tositto si guadagnò il titolo di cavaliere. Infatti, quando arrivò in Lucania, non era ancora stato nominato cavaliere. In realtà, non venne neanche nominato ufficialmente, ma furono i biglianesi che non sapendo con quale titolo chiamare l’industrialotto venuto dalla Brianza, decisero attraverso una procedura di consensus, di rivolgersi a Urbano Tositto con il titolo di cavaliere. L’industrialotto apprezzò l’iniziativa spontanea dei biglianesi e ne approfittò per far stampare delle carte da visita con il titolo di Cav. Urbano Tositto – imprenditore. De Cesare fu di parola e l’iniziativa del cavaliere venne riconosciuta degna di attenzione e meritoria di sostegno. Il business plan indicava la necessità di avvalersi di trentasette operai, da adibire a varie funzioni. De Cesare stimò per difetto il calcolo fatto dagli esperti di Urbano Tositto e ritenne che sessantatré operai fosse la cifra giusta. “Ventisette operai in più da sistemare significano almeno cento voti in più, in vista delle elezioni”. Il calcolo era molto semplice. Ogni operaio tra moglie e figli, se maritato, oppure tra genitori e fratelli, se scapolo, avrebbe dovuto portare in dote quattro voti. Moltiplicando ventisette per quattro, il risultato era 108. Decurtando dal totale, almeno otto ingrati, la stima finale consentiva di sperare in almeno cento voti utili. La cifra naturalmente sarebbe stata suscettibile di ulteriori variazioni, 123 nel caso le esigenze politiche lo avessero richiesto. Ziza, non appena si aprì la corsa alla fabbricchetta con sessantatré operai del cavaliere Urbano Tositto, ebbe la malaugurata idea di attivarsi, su insistenza della moglie, per essere preso in considerazione. De Cesare lo accontentò e inviò una lettera di presentazione al cavaliere, pregandolo di dare attenzione al caso del “bravo giovane”, che gli stava per sottoporre. Urbano Tositto non lesse neanche la lettera, ne verificò solo la provenienza - segreteria Dott. De Cesare - e fece chiamare il “bravo giovane”. Ziza, che stava tranquillamente sorseggiando la birra nel bar di Ciaramella, non seppe con quale stato d’animo accogliere la notizia. Pensò che non fosse una buona idea iniziare proprio nel mese di luglio. Sperava, comunque, nell’immediata chiusura estiva di agosto per ritardare l’assunzione, ma non vi riuscì. Urbano Tositto, da un canto, e De Cesare, dall’altro, pretesero che Ziza iniziasse “entro, e non oltre, la data indicata nella missiva”. Purtroppo per Ziza, la data indicata sulla missiva era quella del sedici luglio, giorno delle celebrazioni della Madonna del Carmine. Fu quella la prima volta che Ziza disse “sto’ strunz”, riferito a De Cesare. A partire da quel momento, entrò nella lista degli otto ingrati. Non avrebbe mai votato per quello stronzo che lo spingeva a lavorare. La tortura, comunque, non durò molto. Nel giro di pochi anni, la fabbrica dichiarò fallimento e Ziza venne messo in cassa integrazione. Il cavaliere fece smontare la fabbrichetta con sessantatré operai, e la delocalizzò in Polonia. Intanto, uno dei figli del cavaliere, aveva trovato moglie a Bigliano e si era sposato per la seconda volta. “A Bigliano si vive bene. Io preferisco restare qui”, disse al padre. Purtroppo, il fallimento della fabbrica gli aveva impedito di poter scialacquare e ciò aveva pregiudicato la corsa della figlia, Paola, alla mano di Gianni Calenda. 124 Mariella la bella era una delle amiche più intime di Paola. Si erano conosciute esattamente il terzo giorno di scuola del secondo anno. Mariella urtò Paola, mentre stavano facendo la fila al bar, e iniziarono a parlare. Le accomunava la bellezza, le separava tutto il resto. Mariella era scura e Paola bionda, Mariella era mediterranea e Paola nordica, Mariella aveva uno zio contadino e Paola un nonno industriale, Mariella aveva un padre alcolizzato, Paola aveva un padre vero. La falsa testimonianza di Giannino Dal giorno della scomparsa, anche Giannino aveva seguito la vicenda di Mariella. I fatti di cronaca non erano certamente la sua passione, ma la vicenda, che aveva condotto Bigliano alla ribalta della cronaca regionale, lo incuriosiva. Anche la scomparsa di Mariella rappresentava per lui un caso politico. Diceva che se ci fosse stata la volontà politica, la soluzione si sarebbe trovata. Ne aveva parlato anche con Di Cillio, benché negli ultimi tempi, l'avvocato avesse smesso di frequentare il bar di Ciaramella. La posizione del fratello, Simone, si era aggravata, tanto da risultare formalmente indagato. Durante l'interrogatorio, non era riuscito a dimostrare la sua presenza all’agriturismo, la sera della scomparsa. Trapanese si era insospettito e, pur non avendo in mano, prove convincenti, aveva deciso di indagarlo per falsa testimonianza. Il fratello si era preoccupato e non aveva più tempo per fermarsi a chiacchierare da Ciaramella. Giannino notò l’assenza dell’avvocato e ritenne che fosse giunto il momento di dimostrare la sua lealtà. Ne avrebbe guadagnato in termini di considerazione da parte dell'avvocato. Decise di rendere una testimonianza sul caso di Mariella la bella. Lo fece presente al maresciallo Turtino che, a sua volta, lo riferì a Trapanese. 125 “Un biglianese vi vuole vedere per il caso di Mariella la bella”. “Strana memoria questa dei biglianesi”, commentò Trapanese, “dimenticano e ricordano secondo le stagioni”. Giannino venne ascoltato in un pomeriggio mite. Non faceva né caldo, né freddo. Indossava un impermeabile beige. Non faceva né caldo, né freddo ma Giannino si stringeva l’impermeabile sulla vita e teneva alto il bavero. Percorse la strada, che porta dalla piazza alla caserma, con le mani in tasca, continuando a stringersi l’impermeabile sulla vita. Pensò al bar di Ciaramella come al palcoscenico di un teatro, dove ogni giorno si recitava la commedia della vita biglianese, la rappresentazione del gioco dialettico in cui il particolare si fa universale e l'universale s’invera nel particolare. Percorrendo il viale, la sua realtà, iniziava a scomparire dietro la finzione del ruolo, che avrebbe dovuto avere in caserma. La realtà sarebbe diventata per lui scissione, da se stesso e dalla verità. Trapanese lo accolse in piedi. Lo fece accomodare. Giannino si sedette lentamente, calcolando tutti i movimenti. Sembrava che avesse studiato tutti i dettagli. Accavallò le gambe portando la gamba destra sulla sinistra e iniziò a parlare. “Ci sono momenti nella propria vita che sono più importanti di altri. Sono i momenti in cui bisogna avere coraggio. Il coraggio a volte manca. Ecco, signor giudice, io sarei dovuto venire qui da lei molto tempo prima, ma mi è mancato il coraggio”. “E ora le è venuto…il coraggio, dico”. “Certo. Non posso lasciare che si abbiano dei sospetti su un innocente”. “E quindi?” “E quindi…sono qui”. 126 "Meno male che in questo paese, ogni tanto, qualcuno sente il bisogno di dire qualcosa". “Sono qui per dire che io, la sera in cui è scomparsa Mariella, ero all’agriturismo di Simone Di Cillio.”, dichiarò, senza mezzi termini. “Ne è sicuro?” “Ne sono sicurissimo”. “Perché Simone Di Cillio, invece, ha detto di essere stato da solo nel suo agriturismo la sera della scomparsa di Mariella?” Chiese, insospettito, Trapanese. “Forse non se lo ricordava quando l’ha interrogato. Sono rimasto circa un’ora”, spiegò Giannino. “E lei che rapporti ha con Simone Di Cillio. Non ci risulta che siate amici”. “Infatti non siamo amici. Ci conosciamo. Io quella sera sono passato dall’agriturismo per prendere una birra. Mi trovavo da quelle parti”. “Lo faceva abitualmente?” “No, non abitualmente. Ma mi era già capitato qualche volta in passato”. “Senta…Perché viene a dirmi queste cose proprio ora?” Insinuò Trapanese”. “Prima mi è mancato il coraggio”. Rispose semplicemente Giannino. Lui, misero, poteva finalmente sentirsi un re. "Ricapitolando…lei non è un frequentatore abituale di Simone Di Cillio, abitualmente non prende la birra nel bar del suo agriturismo ma la sera della scomparsa di Mariella si trovava nel bar dell'agriturismo, in compgnia di Simone, nonostante il Di Cillio abbia dichiarato di essere stato da solo quella sera". 127 "Confermo!" Rispose Giannino. "Lei si rende conto di quanto strana sia la sua dichiarazione? Io dovrei crederle?" "Lei deve credere alla verità". "E questa sarebbe la verità?…La sua verità!" "Questa è la verità". "Me lo auguro per lei, perché se non dovesse esserlo, io la sbatto dritto dritto in galera per falsa testimonianza. Spero se ne renda conto". Giannino fece un cenno con la testa. "Se ne rende conto?" Incalzò Trapanese. "Si, me ne rendo conto", rispose Giannino, "è la verità!" Per verità, evidentemente, non intendeva solo la descrizione della situazione esistente. Credava di essere sul palcoscenico del bar di Ciaramella, dove anche la rappresentazione che ogni personaggio fa di se stesso può essere considerata, in qualche modo, foriera di verità. Era verità, nella misura in cui la sua verità si faceva portatrice di desideri profondi, che nella realtà non trovavano sbocco. Non restava da chiedersi quale fosse il rapporto di Giannino con la verità ma non toccava a Trapanese stabilirlo. Semmai, avrebbe dovuto risponderne la sua coscienza. Trapanese congedò Giannino e fece convocare Simone Di Cillio, che, a sua volta, confermò la versione di Giannino. "È capitato molte volte che si sia fermato nel mio agriturismo", aggiunse Simone. "Il teste, in realtà, ha negato questa circostanza che lei riferisce. Ha affermato di non aver bevuto molte volte la birra nel bar del suo agriturismo". 128 "Può darsi…non ricordo", rispose Simone a Trapanese, che gli aveva fatto notare l'incongruenza della sua affermazione rispetto alla dichiarazione di Giannino. “Questo lo vedremo…”, rispose Trapanese. La nuova testimonianza cambiava nuovamente il quadro della situazione. Simone poteva aver detto la verità. Soprattutto, aveva un alibi, che Giannino gli aveva fornito, nel caso si fosso voluto andare oltre la scomparsa e paventare l’ipotesi di un omicidio. Da Ciaramella si discusse ampiamente dell’iniziativa di Giannino. “Simone e Giannino non si sono mai frequentati prima”, fece maliziosamente notare Radiouno. Altrettanto maliziosamente Radiodue disse, “l’avvocato Di Cillio tiene sotto lo schiaffo Giannino. Se gli avesse detto di suicidarsi, lui lo avrebbe fatto”. "Adesso state esagerando", rispose Ciaramella, che non sapeva che Giannino intendeva per verità non solo la descrizione delle cose esistenti. Il silenzio di Gianni Calenda Prima della deposizione in cui si fece carico di scagionare Simone Di Cillio, Giannino visse un profondo tormento. Durante la processione della Madonna, si era chiesto quale fosse il suo dovere. Il giorno prima era stato avvicinato dall’avvocato Di Cillio, che gli aveva chiesto di aiutare il fratello, Simone. “Si trova in una brutta situazione per colpe non sue. un bravo ragazzo. Tutti lo sanno. Ora tocca a te darci una mano”. L’avvocato aveva detto proprio così, “darci una mano”. Giannino ci pensò, mentre portava la statua della 129 Madonna. “Da una parte, sono orgoglioso per l’offerta dell’avvocato. Posso finalmente rendermi utile per la famiglia Di Cillio. D’altra parte, dovrei mentire”. Mentre pensava quale sarebbe stata la soluzione più giusta, guardava la statua della Madonna e ne avvertiva il peso. Il primo impulso fu la verità, quella pura. L'uomo era nato per fuggire dall'inganno, desiderando la verità con le sue conseguenze. Il secondo impulso fu la solidarietà. “Mentire per una giusta causa può non essere peccato”, sussurrò a Ziza, mentre salivano le scale della chiesa. Ziza non comprese. "Che cos'è la verità? Un mobile esercito di metafore, avrebbe risposto Nietzsche. Le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e hanno perduto ogni forza sensibile, sono monete la cui immagine si è consumata e che per questo vengono prese in considerazione soltanto come metallo", sussurrò nuovamente a Ziza, che continuò a non capire. Ne concluse che difendere Simone fosse la cosa giusta da fare. “È un bravo ragazzo”. Lo dicevano tutti. Avrebbe fatto quello che l’avvocato Di Cillio gli aveva chiesto. Sarebbe andato da Trapanese a dire che la sera della scomparsa di Mariella, lui aveva visto Simone nel suo agriturismo. Alla processione, stavano partecipando il sindaco, quale autorità civile, il maresciallo Turtino, quale autorità militare e il dottor De Cesare, quale autorità tout court. Le processioni della Madonna rappresentavano delle occasioni straordinarie per De Cesare di divenire un’entità reale. Si materializzava solo quando i pellegrini iniziavano ad essere 130 numerosi, stringeva le mani e si dirigeva al suo posto in prima fila. Chiacchierava con chi gli era a destra e a sinistra, stringeva qualche altra mano e, poi, diveniva di nuovo un'entità virtuale. Molti biglianesi ritenevano che l'apparizione di De Cesare fosse un fatto quasi miracoloso. L'uomo si materializzava e si dematerializzava, nel giro di pochi minuti. La presenza di molte persone lo aiutava a materializzarsi, probabilmente a causa di un misterioso principio chimico, basato sul calore umano. Anche Gianni Calenda era devoto della Madonna. Lo erano tutti a Bigliano. La Madonna poteva essere considerata l'elemento di unificazione che annullava le stratificazioni sociali. Costituiva il massimo elemento di democrazia esistente, molto più del suffragio universale. In verità, il protocollo, che veniva seguito in occasione della festa, tendeva a sfumare gli elementi di democrazia. Le autorità, comprese quelle carismatiche come i Calenda, godevano di una posizione privilegiata, nella processione, rispetto ai biglianesi normali. Gianni ne approfittò per posizionarsi alla destra del sindaco, a due soli passi dal dottor De Cesare. Apparve particolarmente assorto, come se ci fosse un pensiero che lo turbasse. Lo si poteva percepire dal suo silenzio prolungato. Aveva salutato Totonno Tortoriello e stretto la mano a De Cesare, pochi istanti dopo che il consigliere provinciale si era materializzato. Dopo, però, era rimasto assorto nei suoi pensieri. I biglianesi non avevano notato il silenzio di Gianni. C'era troppa confusione. Solo ‘A bionda, che lo osservò a lungo, poté rimarcarlo. Quella processione della Madonna non fu come le altre. La scomparsa di Mariella la bella aleggiava nell'aria nebulizzata di Bigliano e pesava come un macigno sulla coscienza dei biglianesi. Tra di loro, alcuni avvertivano quel peso più di altri. Emanuele Tortoriello, per esempio. La storia di Simone con Mariella era finita all'improvviso, senza un apparente motivo. Simone non ne aveva voluto parlare con il sostituto procuratore, che durante l’interrogatorio gli aveva espressamente chiesto di spiegarne i motivi. Era stato evasivo 131 e il suo comportamento aveva finito con l’insospettire ulteriormente Trapanese, alla ricerca di un eventuale movente. Simone non ne aveva parlato neanche con Emanuele Tortoriello che, più volte, era andato nel suo agriturismo, i giorni successivi la rottura con Mariella, per consolarlo. Il silenzio di Simone gli era apparso strano e, dopo la scomparsa di Mariella, gli sembrava ancora più inquietante. “La questione va chiarita”, pensò Emanuele. Raggiunse Simone nel suo agriturismo, alle tre del pomeriggio, quando sapeva che Simone non aveva molto da fare. Iniziò a parlare di calcio e poi si fece portare una birra. Invitò Simone a sedersi al tavolo. Gli chiese se ci fossero novità. Alla risposta negativa di Simone, si fece serio, facendo rotta sui temi che quel pomeriggio lo avevano spinto verso l'agriturismo. "Ah Simò, ma si può sapere perché ti sei lasciato con Mariella?". "È complicato", rispose Simone con freddezza, irrigidendo il viso. Lo disse, abbassando gli occhi e guardando le gambe del tavolo al quale erano seduti. Per la prima volta, Simone tradiva un’emozione. Emanuele percepi i segnali di apertura che Simone e lo lasciò sfogarsi. "Emanuè, non posso più tenermi questo segreto…mi sta uccidendo l’anima”, aggiunse Simone, sollevando gli occhi e guardando fisso Emanuele. Poi, senza attendere la reazione dell’amico, continuò, “…lo dico solo a te. Mi raccomando…" "Stai tranquillo", lo rassicurò Emanuele. "Mariella aveva iniziato a frequentare un giro che non mi piaceva. Aveva conosciuto certa gente, apparentemente per bene…solo apparentemente per bene. Capisci quello che voglio dire?” 132 Simone fece una pausa. Piegò la testa per trovare la forza di tirare fuori le parole e liberarsi del peso che si portava dentro. “Non so di preciso cosa facesse, perché Mariella non mi ha mai detto niente…però…io non so fesso…certe cose le capisco”. “Mi avevi detto che non vi vedevate da tempo”. “A volte ci vedevamo, ma non volevo che in paese si sapesse”. Simone Di Cillio aveva detto al giudice Trapanese di non sapere nulla di Mariella. Non gli aveva rivelato i motivi della separazione, come ora stava facendo con Emanuele. Era, pertanto, consapevole, di non aver detto tutta la verità, ma ci andavano di mezzo altre persone. "Caspita!" Esclamò Emanuele Tortoriello, che poi aggiunse, "….e qui nessuno ne sapeva niente…". Simone si affrettò a precisare che lui non sapeva nulla di certo, ma che, nell'incertezza, aveva preferito lasciare Mariella e mettersi da parte. Emanuele avrebbe voluto sapere chi fosse quella gente "che stava in mezzo", ma non osò chiedere più nulla a Simone, che, tra l'altro, gli aveva già lasciato intendere di non voler dire altro a quel proposito. “Emanué, io avrei dovuto incontrare Mariella proprio la sera della scomparsa”, rivelò Simone, "per questo non mi trovavo nel mio agriturismo. Ero uscito perché avevo appuntamento con lei. Naturalmente non lo avevamo detto a nessuno". Emanuele non riusciva a credere a quello che aveva appena ascoltato. Spalancò gli occhi e si portò le mani ai capelli. “Lo hai detto al giudice?” Gli tremava la voce. 133 “No, come avrei potuto”, rispose Simone. “Come avresti potuto?” “Certo! Come avrei potuto dire che io la sera della scomparsa avevo appuntamento con Mariella?” “Avresti dovuto”. “Non potevo dirlo, perché io Mariella quella sera non l’ho mai vista. Avevo appuntamento con lei, ma non l’ho incontrata. Sono andato all’appuntamento ma Mariella non è venuta. L’ho aspettata una mezz’oretta e poi sono andato via”. “Perché non lo hai detto al giudice?” “Avevo paura. Tanta paura. Se avessi detto al giudice di aver preso appuntamento con Mariella proprio la sera della scomparsa, non me la sarei cavata facilmente”. "Non te la sei cavata, comunque. Sei stato indagato ugualmente". "Si, ma solo sulla base di una ipotesi e solo per falsa testimonianza. Non ci sono prove contro di me. Non sarebbe stato difficile uscirne fuori. Se avessi detto che io quella sera avrei dovuto incontrare Mariella…Capisci? Le cose sarebbero andate diversamente". "Capisco, non posso darti torto. Quando finisci nella rete della giustizia, resti intrappolato anche se sei innocente”. “Quella sera volevo convincere Mariella a lasciar perdere quella gente. Avrei voluto metterla in guardia ma non ho fatto in tempo. Mi sento colpevole per non averla salvata, ma non potevo dirlo al giudice”. Simone implorava Emanuele. Sembrava che cercasse un’assoluzione, che Emanuele non poteva dargli. La rivelazione di Simone era stata scioccante. Un turbinio di pensieri percorse la sua mente. Avvertì finanche un brivido 134 attraversare la schiena nella sua interezza. Se ne avesse parlato con qualcuno, avrebbe potuto mettere nei guai il suo amico che, invece, aveva scelto di dargli fiducia, confidandosi proprio con lui. Simone era stato reticente di fronte al giudice Trapanese. Non aveva detto tutto quello che sapeva. Nonostante fosse stato indagato e nonostante avesse rischiato di pagare per colpe presumibilmente non sue, aveva preferito tacere. Poteva essere un problema anche dal punto di vista penale. Emanuele per un attimo pensò che sarebbe stato meglio non approfondire la vicenda e tenersi il dubbio per sé ma, ormai, era troppo tardi. Ormai sapeva. Il giorno in cui Simone Di Cillio si confidò con Emanuele Tortoriello, a Bigliano pioveva. Veniva giù tanta acqua come non se ne era vista da tempo, quasi come se madre terra avesse avuto bisogno di lavare i peccati dei propri figli. Emanuele Tortoriello, che avrebbe preferito fermarsi a prendere un caffè nel bar di Ciaramella, decise di ritornare velocemente a casa. Il padre Totonno era al comune, mentre la madre era uscita per fare una visita alla signora Calenda, la madre di Gianni. Venne a trovarsi in casa da solo. Il silenzio e la solitudine non fecero altro che spingerlo a pensare continuamente a quello che aveva inteso da Simone, solo qualche ora prima. Decise di non decidere. “Per il momento non ne parlo con nessuno”. Non fece altro che applicare la dottrina che aveva appreso dal padre, "passa iosc' che ven' crai". Il giorno successivo, smise di piovere. Emanuele andò al campo sportivo, dove incontrò Ziza. La squadra del Bigliano aveva una sessione di allenamento, in vista della partita con il Loterno sull'Agri. Emanuele era distratto. Non riusciva a concentrarsi. Anche Ziza notò la mancanza di concentrazione. Per ben tre volte aveva chiamato il fuorigioco ed Emanuele non era uscito in tempo dall'area. O' spacccone fece interrompere l'allenamento e chiese che la squadra facesse cinque minuti di pausa. 135 "Tutto a posto?" Chiese Ziza a Emanuele. “Tutto a posto”, gli rispose Emanuele, ma non aggiunse altro. Ziza si rese conto che diverse persone, che lo circondavano, si stavano comportando in maniera anomala. Emanuele Tortoriello era distratto ed anche sua moglie non appariva serena. Cambiava spesso di umore, passando da momenti di esaltazione ad altri in cui s’incupiva. Gli strani vizi del dottor De Cesare La testimonianza di Giannino aveva modificato il quadro delle indagini. Sebbene Trapanese non fosse affatto persuaso della veridicità della sua dichiarazione, prese atto che c’era una persona a Bigliano, disposta a confermare la versione di Di Cillio. “Restano, tuttavia, degli interrogativi senza risposta. Carmelina ’a napuletana ha testimoniato di aver visto Mariella, la sera della scomparsa, in una macchina di grossa cilindrata. A chi appartiene quella macchina? Chi era in compagnia di Mariella?” Si chiese Trapanese. Turtino, intanto, aveva ricostruito i movimenti di Mariella, il giorno della scomparsa. “La ragazza ha pranzato a casa degli zii e, intorno alle tre del pomeriggio é ritornata a casa. È uscita di nuovo verso le sei per andare nel negozio di Lucia”. “Ha comprato duecento grammi di prosciutto cotto, una confezione di pan carré e della maionese al gusto di limone”, disse Lucia al maresciallo. “Che impressione ti ha fatto?” “Mi è sembrata serena, tranquilla, come sempre, insomma”. 136 “Nulla di strano?” “Chiese solo di essere servita il prima possibile, perché andava di fretta”. “Spiegò anche il motivo?” “Disse di avere un appuntamento ed era in ritardo". Lucia riferì che la ragazza indossava un jeans, un maglione rosa pallido e un cappotto di lana "che gli arrivava fino ai piedi". Non fece alcuna menzione degli occhiali da sole, che Carmelina aveva visto. Turtino appurò che la ragazza, dopo essere uscita dal negozio di Lucia, ritornò a casa. “Fece una doccia, si rivestì e uscì nuovamente”. Nessuno dei vicini l'aveva più vista. “Comunque, faceva freddo e in strada c'era poca gente”. “Si può supporre che fosse subito salita in macchina, appena uscita di casa, maresciallo?” Chiese Trapanese. “Si può supporre”, confermò Turtino. I carabinieri raccolsero alcune testimonianze tra i clienti del bar di Ciaramella. “Una macchina di grossa cilindrata é stata vista circolare in paese intorno alle sette e mezzo. Per alcuni minuti ha sostato in piazza, non lontano dalla casa di Mariella e da quella di Carmelina 'a napoletana”. I clienti di Ciaramella dissero che si sarebbe potuto trattare della macchina di De Cesare. Avevano già visto in passato il consigliere provinciale materializzarsi e demateriallizarsi con macchine di grossa cilindrata. Turtino fece effettuare dei rilievi alla motorizzazione civile, che confermarono l'ipotesi dei clienti di Ciaramella. 137 “Si tratta della macchina di proprietà di De Cesare”, riferì a Trapanese. La notizia era esplosiva e il comando dei carabinieri di Bigliano non riuscì a tenerla nascosta. In poco tempo fece il giro del paese. "Che c'entra De Cesare con Mariella? Quel porco avrà almeno cinquantanni, trenta più di lei", si chiese Ziza. "E che c'entra l'età? 'Na femmina è sempre 'na femmina, anche per De Cesare", rispose Giannino. "Potrebbe essere sua figlia", replicò Ziza. Giannino non rispose. Ciaramella strinse le labbra, spingendole verso l'alto. "Io la macchina di quel figlio di puttana me la ricordo. Mercedes nera metalizzata, non è vero?" Chiese Radiouno al cugino. "Mercedes nera metalizzata! Era la macchina che abbiamo visto in piazza, la sera della scomparsa, vicino al tabacchino", confermò Radiodue. "Ciaramé, dovresti andare in caserma, dal maresciallo con una scusa per sapere bene le cose", gli suggerirono i due cugini. "Eh, se gli servisse un caffè ci andrei di corsa….ma non mi chiama", si lamentò Ciaramella. "Sto’ strunz’!" Esclamò Ziza, che fino a quel giorno aveva seguito con distacco la vicenda della scomparsa di Mariella. Non potendo attingere notizie direttamente alla fonte principale, Ciaramella pensava che sarebbe stato opportuno fare ricorso a De Stefano. Il maresciallo a riposo, però, solo di tanto in tanto prendeva un caffè nel suo bar. Abitualmente frequentava il circolo, dove dispensava opinioni sulle ultime novità, offrendo anche paragoni con situazioni 138 capitate ai tempi della sua esperienza siciliana. Da giorni, affermava con soddisfazione, "Ve lo avevo detto, signori, che c'era qualcosa di grosso. Una ragazza di venti anni non scompare in un paese piccolo come Bigliano, senza una seria ragione". Finiva con il ripetere una frase che tutti i biglianesi conoscevano, benché nessuno ne comprendesse il significato, "non c'è niente da fare…due più due fa quattro". Cosa intendesse dire con quel "due più due fa quattro" lo si poteva intuire, anche se, nella fattispecie, era davvero difficile capirlo. Probabilmente, voleva dire che un caso difficile da risolvere implica il coinvolgimento di personaggi socialmente altolocati e il riferimento all'automobile di grossa cilindrata fatto da Carmelina 'a napuletana, chiamava in causa il personaggio più altolocato della valle. Il sostituto procuratore Trapanese, intervistato di sfuggita dalla televisione, all'uscita dal tribunale di Potenza, disse che "non poteva né smentire, né confermare, dato che le indagini erano ancora in corso". Tuttavia, convocò De Cesare, in qualità di testimone. Evitò di dare risalto all'avvenimento, anche se alla fine tutti lo vennero a sapere. E per Ciaramella non ci fu neanche bisogno di ricorrere al vecchio trucco del caffè. La notizia venne pubblicata sui giornali. De Cesare giunse in caserma verso le sette di sera. Fu fatto passare da un ingresso secondario. Entrando, aveva stretto la mano dell’appuntato, che faceva da piantone all’ingresso. Venne introdotto, immediatamente, nell’ufficio del maresciallo Turtino. Il consigliere provinciale indossava un completo blu scuro, interrotto da una cravatta azzurra. Aveva i capelli impomatati e i baffi curati, come se li avesse messi in ordine qualche minuto prima. Sorrise quando vide Trapanese. Strinse la mano anche a lui e al maresciallo Turtino. Il sostituto procuratore lo accolse, in piedi, dietro la 139 scivania. Si sedette solo dopo che De Cesare ebbe prese posto sulla sedia. "La vita del politico è faticosa, caro procuratore. Mille riunioni e mille contrattempi. Spero che non mi faccia perdere molto tempo". "Non ho assolutamente intenzione di farle perdere tempo. Ho bisogno solo di alcuni chiarimenti". "Bene! Chiarimenti! Ha detto la parola giusta. L'intera comunità, che rappresento, si attende dei chiarimenti. Dobbiamo lavorare insieme per fare luce su questa vicenda che, francamente, angoscia me, almeno quanto la famiglia della ragazza scomparsa. Mi dica, allora…per quel poco che posso fare, chiarirò volentieri". “Che macchina possiede?”, gli chiese Trapanese senza perdere tempo. “Una mercedes scura ma non ricordo il modello. Sa…io non me ne intendo di macchine”, rispose De Cesare sorridendo. “Si tratta pertanto di una macchina di grossa cilindrata. Conferma?” “Credo di si. Deve trattarsi di una macchina di grossa cilindrata, ma…le ripeto, io di macchine non me ne intendo”. “Lei ha l’abitudine di guidarla?” “Assolutamente no. Non guido mai la mia macchina”. "Immagino lo faccia il suo autista". "Infatti, è il mio autista a guidarla". “La sua macchina sarebbe stata avvistata a Bigliano la sera in cui è scomparsa la ragazza”. “Davvero? Non so che dirle. Dovrebbe chiedere al 140 mio autista”. "Anzi, la ragazza è stata vista proprio nella sua macchina". "Ripeto. Non so proprio cosa dirle al riguardo. Chieda al mio autista". “Senta Dr. De Cesare, “una ragazza che scompare viene avvistata proprio sulla sua macchina e lei non sa che dirmi?" "Io quella sera non ho visto la ragazza…come si chiama?” “Mariella". “Appunto, Mariella”. "Non ha detto che vuole aiutarmi a chiarire la faccenda?" "Non solo l'ho detto ma lo ripeto. Intendo assolutamente contribuire a chiarire la vicenda…per quel poco che mi è possibile chiarire". "Per quel poco, dice?" "Per quel poco, sostituto procuratore. Chieda al mio autista per il resto. Glielo dico per la terza volta", ripeté De Cesare. "Certamente chiedremo al suo autista. Per il momento, però, tocca a lei rispondere alle domande". "Sono qui per questo…per chiarire la mia posizione". "Si ricorda cosa ha fatto quella sera tra le venti e le ventuno?" Gli chiese il sostituto procuratore. "Sono stato tutta la sera a casa, con mia moglie", rispose De Cesare. "Sua moglie lo può confermare?" 141 "Chieda pure a mia moglie". “E chi potrebbe confermarlo, a parte sua moglie?” “Mia moglie. A casa solitamente sono solo con mia moglie”, disse De Cesare. "Dunque, solo sua moglie". "Non le sembra sufficiente?" Trapanese non rispose. "Lei conferma di non conoscere la ragazza scomparsa?" "Assolutamente" "Assolutamente conferma oppure non conferma?" "Assolutamente confermo di non averla mai conosciuta". "Non conosceva la ragazza, non è stato a Bigliano la sera della scomparsa, non può smentire la possibilità che la sua macchina sia stata in paese". "Confermo! Non conoscevo la ragazza. Mi trovavo a casa mia, in compagnia di mia moglie la sera della scomparsa. Se lei ritiene che la mia macchina è stata avvistata a Bigliano la sera della scomparsa, allora deve chiedere al mio autista, perché io a Bigliano ho motivo di venirci solo in occasioni politicamente significative". Da politico esperto era riuscito ad asserire almeno due verità. De Cesare si materializzava a Bigliano solo in occasioni "politicamente significative" e non aveva l'abitudine di condurre la sua Mercedes. Trapanese lo lasciò andare, benché la sua testimonianza non lo convincesse. La moglie di De Cesare, interpellata da Trapanese, confermò la versione del marito. "Ha mille impegni e, solitamente, non trascorre le serate a casa. Però, quella sera non si sentiva bene e decise di 142 rimanere a casa per riposarsi". Trapaese la considerò una strana casualità. Provò ad indagare, ascoltando altre persone, ma nessuna persona estranea alla famiglia confermò di averlo visto, né in casa, né fuori. "Di fatto, De Cesare nega la circostanza evocata da Carmelina ‘a napoletana e confermata dai clienti del bar di Ciaramella", disse il maresciallo Turtino a Trapanese, commentando la deposizione resa dal consigliere provinciale. "A pensarci bene, non la nega del tutto, maresciallo", rispose Trapaese, "lui nega la possibilità che su quella macchina ci sia stato lui ma non la possibilità che la sua macchina sia stata avvistata a Bigliano, come testimoniato da Carmelina e confermato dai clienti di Ciaramella". "Dunque…potrebbe essere possibile che la sua macchina sia stata realmente a Bigliano la sera della scomparsa". "Non lo ha negato". "D'altra parte, non era lui a condurre la sua macchina, bensì l'autista o altri collaboratori". "Non resta che verificare. Maresciallo, provi a rintracciare questi autisti e collaboratori…" Turtino si mise subito in azione. Reperì la lista dei collaboratori e li interpellò uno ad uno. La loro versione fu coincidente e in linea con quella del loro principale. L'autista, da parte sua, fu estremamente chiaro. "Quella sera la macchina ce l'avevo io. La mattina successiva avrei dovuto accompagnare il consigliere molto presto a Roma per un’importante riunione". "Non avrebbe potuto prendere la macchina quella mattina stessa?" Gli chiese Turtino. "No, perché saremmo dovuti partire all'alba. In 143 queste circostanze, ritiro la macchina di De Cesare la sera precedente". "La macchina ce l'aveva, quindi, lei". "Si, confermo". "E conferma anche di non essere stato a Bigliano". "Confermo anche di non essere stato a Bigliano". Turtino riferì il risultato delle sue indagini a Trapanese che decise di ascoltare di nuovo Carmelina ‘a napuletana. La donna giunse in caserma accompagnata dal marito. Venne fatta attendere alcuni minuti. Durante l’interrogatorio, Carmelina confermò di aver visto Mariella su una macchina di grossa cilindrata la sera della sua scomparsa. “Ne è sicura?” Le chiese Trapanese. "Si, ma…", rispose Carmelina. "Ma cosa?" "Ma…." "Aspetti…", rispose Trapanese che, immediatamente, urlò a voce alta, "brigadiere, brigadiere". Il brigadiere, che si trovava nella stanza accanto accorse. "Comandi!" "Mostri la foto della macchina alla signora". "Quale foto?" "La foto riguardante il caso di Mariella la bella". Il brigadiere andò nella sua stanza. Prese una fotografia e fece ritorno nell'ufficio di Turtino, che Trapanese utilizzava per i suoi interrogatori. Il brigadiere consegnò la fotografia al sostituto procuratore. 144 "Guardi questa foto, signora", chiese Trapanese a Carmelina. Carmelina la prese tra le mani, se l'avvicinò agli occhi per guardarla meglio. Attese che il sostituto procuratore parlasse. "Riconosce questa macchina? È la stessa in cui ha visto Mariella?" "Potrebbe, come no? Potrebbe essere, si" "Potrebbe?" "Si potrebbe ma chiedete anche al regioniere La Spina?” Trapanese si alzò in piedi. “Chi è questo ragioniere La Spina?" Chiese al maresciallo Turtino. Il maresciallo, sorpreso, per l'affermazione di Carmelina, rispose, "è il ragioniere del comune" "E che c'entra il ragioniere del comune?" “Il ragioniere ogni sera passa verso le otto vicino casa mia. Potrebbe aver visto le stesse cose che ho visto io. Chiedete…chiedete a lui….” precisò Carmelina, “io non sono più giovane, chiedete per sicurezza al ragioniere. Come si dice…quattro occhi vedono meglio di due”. Trapanese chiese a Turtino di prendere nota e di convocare immediatamente il ragioniere La Spina. Nel frattempo a Carmelina vennero mostrate altre foto. "Mi dispiace ma non saprei riconoscere nessuno. Ve l'ho detto anche l'altra volta. Non riconosco le persone che non ho mai visto". Tra le foto che le furono mostrate, non c'era la fotografia di De Cesare. Carmelina lasciò la caserma alle nove meno un quarto di sera. Corse subito a casa a preparare la 145 cena. Dopo la sua seconda testimonianza, il sostituto procuratore decise di procedere e di fare altre indagini. Chiese a Turtino di raccogliere informazioni sulla vita privata di De Cesare. Turtino si mise nuovamente in azione e iniziò a osservarlo. Si appostò vicino la sua abitazione alle sette e mezzo del mattino seguente. De Cesare era il tipo che, durante il giorno, faceva sempre le stesse cose. La mattina riceveva i clienti nel suo studio. Erano cosi tanti che avrebbero provocato l'invidia dell'avvocato Di Cillio. Chi gli chiedeva un lavoro per il figlio, giovane laureato, chi di intercedere presso l'ospedale per velocizzare una visita al reparto di urologia e, addirittura, chi lo pregava di fargli passare i test, per il rilascio della patente di guida. Lui cercava di accontentare tutti e, quando non poteva, faceva finta di farlo. Faceva decine di telefonate. Alle due pranzava e il pomeriggio usciva. L'autista andava a prenderlo e lo conduceva prima alla sede della provincia, poi a quella del partito. Turtino lo seguì sia alla sede della provincia che a quella del partito, per diversi giorni ma gli appostamenti non produssero alcun risultato sorprendente. Tutte le mosse di De Cesare sembravano rientrare nelle abitudini di un politico meridionale, proccupato della sua sopravvivenza. Invece, furono sorprendenti i risultati degli appostamenti notturni. Turtino appurò un dato importante. “Il consigliere provinciale frequenta le discoteche e i locali notturni della regione”, scrisse nella sua informativa. Il maresciallo venne in possesso di un altro elemento molto interessante, parlando con il gestore della disocoteca Club 83, dove lavorava Mariella. La ragazza conosceva il consigliere provinciale. “L'ho vista prendere un drink insieme a lui", gli rivelò il gestore. "L'ha conosciuto qui nel Club?" Chiese Turtino. 146 "Non credo. Mi disse di averlo conosciuto al matrimonio di un suo amico" “De Cesare, quindi, conosceva Mariella. L'aveva incontrata già altre volte prima della sera della scomparsa”, ne dedusse Trapanese. De Cesare, riascoltato da Trapanese, negò la circostanza, asserendo che: "….potrebbe anche essere possibile…ma sa…i politici stringono tante mani. Alla fine, è difficile ricordare con esattezza la gente che si incontra". Il ragioniere La Spina venne ascoltato il giorno successivo la seconda deposizione di Carmelina 'a napuletana. La comunicazione della convocazione in caserma gli era stata recapitata la sera precedente. Quando i carabinieri giunsero a casa sua, il ragioniere si trovava nel soggiorno della propria abitazione. Indossava la giacca da camera e le pantofole. La moglie aprì la porta e lo chiamò. “Ci sono i carabinieri”. La Spina si sollevò a fatica dalla poltrona. Sulla sua fronte apparvero alcune gocce di sudore, che la moglie non notò. La convocazione gli venne consegnata dall’appuntato Marino. La Spina chiese spiegazioni. “Non capisco. Di cosa si tratta, appuntato?” “Avrà tutte le delucidazioni domani, a colloquio con il sostituto procuratore”, rispose l’appuntato Marino. Il ragioniere rimase per qualche secondo immobile. Prese il fazzoletto bianco dalla tasca e si asciugò ancora una volta il sudore. Quella sera preferì non parlare. La notte non dormì. Solo alle cinque del mattino riuscì ad assopirsi per qualche minuto. Giunto in caserma, sembrava piuttosto nervoso. Si muoveva in maniera innaturale. Per sua fortuna non dovette attendere molto tempo, prima di entrare nell’ufficio di 147 Turtino, dove lo attendeva il sostituto procuratore. Se avesse dovuto aspettare ancora, probabilmente sarebbe morto d’infarto. Trapanese non era di buon umore. Fu brusco fin dall’inizio. “Ragioniere, dove si trovava la sera in cui è scomparsa Mariella la bella?” “Non …non saprei…è passato del tempo”, farfugliò La Spina. “Glielo chiedo perché sappiamo normalmente la sera fa delle passeggiate” che lei “Non c’è niente di male, signor giudice, a passeggiare”, rispose La Spina, ponendosi sulla difensiva. “Assolutamente. Non c’è niente di male” “Perché me lo chiede allora?” “Perché forse potrebbe aiutarci”. “Come potrei?” “Faccia mente locale…faccia attenzione…focalizzi la mente e torni a quella sera…ricorda di aver visto Mariella?” La Spina ebbe un fremito. Chiese di bere dell’acqua. "Fa caldo qui dentro", disse. Dopo aver bevuto esclamò, “Ho visto una ragazza con gli occhiali scuri. Non sono sicuro che fosse Mariella. Si trovava in una Mercedes insieme ad altre persone. Ripeto…non sono sicuro che fosse lei…aveva degli occhiali scuri”. Il sostituto procuratore ripeté la medesima procedura che aveva adotatto con Carmelina. Chiamò a gran voce il brigadiere, che si trovava nella stanza accanto, si fece portare la foto e la mostrò al ragioniere. "Potrebbe essere questa la macchina?" Chiese 148 Trapanese. "Si, potrebbe essere". “Perché non ce l’ha detto subito?” “Non ne ero sicuro…ecco…come avrei potuto dire una cosa di cui non ero sicuro”. Il quadro della scomparsa di Mariella si arricchiva di nuovi elementi. Sarebbe stato opportuno proseguire le indagini. “Inizio a pensare che De Cesare non ci abbia detto tutto quello che sa”, disse al maresciallo. 149 II PARTE Un anno dopo la scomparsa di Mariella la bella A Potenza, a un anno esatto della scomparsa di Mariella, la televisione regionale ebbe l’idea di fare un servizio commemorativo. "Non é più un fatto di attualità. Possiamo affidarlo a Rocco Verrastro", disse il caporedattore. Verrastro, com’era sua abitudine, affrontò l’argomento con zelo. La passione giovanile aveva ceduto il posto ad una amara consapevolezza, evitando di cedere ad un facile cinismo, che lo avrebbe condotto alla rassegnazione. Cercava di fare del suo meglio, consapevole della sua impotenza. Sebbene non avesse seguito personalmente la vicenda, riteneva che la procura avesse terminato il lavoro senza andare fino in fondo. Le indagini si serano misteriosamente arenate, dopo il secondo interrogatorio di De Cesare. Mariella sembrava essere svanita nel nulla, come se un buco nero l’avesse inghiottita. Nessuno ufficialmente ne sapeva niente. Tutte le persone interrogate dal sostituto procuratore Trapanese, non avevano fornito elementi utili all’indagine, a parte Carmelina ‘a napuletana, che aveva spontaneamente provato ad aiutare gli investigatori e il ragioniere La Spina che, dopo le rivelazioni di Carmelina, si decise a raccontare quello che aveva visto. Verrastro si era convinto che in quella storia i conti non tornavano. Alcuni fatti non erano stati appurati. La testimonianza di Carmelina, per esempio, era stata considerata "utile e con molti elementi di verità". Le circostanze della sua testimonianza non erano state verificate fino in fondo. Chi c'era nella macchina di De Cesare la sera 150 della scomparsa di Mariella? Erano domande alle quali non erano state date risposte. De Cesare non aveva chiarito. I suoi collaboratori avevano negato. Verrastro decise di andare a Bigliano. Avrebbe sentito cosa ne pensava la gente del posto su questa storia. Giunse a Bigliano, insieme a un operatore e a un assistente. Si fermò dapprima nel bar di Ciaramella per un caffè. "Siete della televisione?" Chiese Ciaramella, vedendo la telecamera che l’assistente aveva deposto nell’angolo del bar opposto rispetto alla porta d’entrata. "Si, siamo della televisione regionale", rispose il cameraman. "E come mai a Bigliano?" Gli chiese incuriosito e orgoglioso che la televisione regionale si fosse fermata nel suo bar, per prendere il caffè. "Un servizio su Mariella la bella", rispose direttamente Rocco Verrastro, "Conoscevate Mariella? Cosa pensate di questa storia?" Ciaramella, all’inizio fu tentato di rispondere per farsi vedere in televisione ma c'era un problema. Ciaramella non parlava correttamente l'italiano. Decise di tacere. Risciacquò alcuni bicchieri già puliti e si diresse verso Radiouno, “come possiamo aiutare questi signori? Chi conosceva bene Mariella?” “Tanti conoscevano Mariella…non sapera chi dicere”, rispose Radiouno. “Una cosa è certa. Dopo tanto tempo Mariella “non torna chiù” 151 “Addomandate a Simone Di Cillio, che faceva le zita con Mariella”, intervenne Radiodue. “Ma no, che c’entra Di Cillio”, esclamò prontamente Giannino, che seguiva la discussione dall’altra parte del bar, mentre leggeva il giornale sul frigorifero dei gelati, “faceva le zita, ma mò che c’entra?". Verrastro, che aveva tra le mani un taccuino e una penna, notò ugualmente il nome di Di Cillio, incurante della precisazione fatta da Giannino. A Ciaramella venne l’idea di indicare De Stefano. Era la persona adatta per far fare una bella figura a Bigliano in televisione. “Chiedete al maresciallo De Stefano. Lui conosce i fatti meglio degli altri, qui a Bigliano”, disse Ciaramella per sbrogliare la matassa che Giannino e i due cugini di secondo grado stavano aggrovigliando. Verrastro annotò anche il nome di De Stefano. "Dove li posso trovare?" Chiese Verrastro, riferendosi a Simone Di Cillio e De Stefano. "A quest'ora, potete trovare Simone Di Cillio nel suo agriturismo. De Stefano invece, al circolo", rispose Ciaramella, che conosceva le abitudini di tutti i biglianesi. Verrastro ringraziò Ciaramella per le informazioni, fece i complimenti per il caffè "davvero speciale", pagò il conto e uscì dal bar. L'operatore e l'assistente raccolsero tutto quello che avevano accantonato nell’angolo del bar, opposto alla porta d’entrata, e seguirono Verrastro. La prima tappa fu l'agriturismo, dove il contatto con Simone Di Cillio non andò a buon fine. "Vi ringrazio per aver pensato a me ma non intendo rilasciare interviste, che riguardino il caso di Marilella", rispose Simone alla proposta di Verrastro. "Ne è sicuro? Solo qualche domanda", provò ad insistere il giornalista potentino. 152 "Mi dispiace molto ma non ho nulla da aggiungere". "Lei, però, la conosceva molto meglio di altri, qui a Bigliano". "Si tratta di una storia passata, sulla quale non intendo ritornare". Verrastro, allora, si diresse in direzione del circolo, sperando di avere miglior fortuna con il maresciallo. Si fece indicare De Stefano che, intanto, stava giocando a briscola con D'Eugenio. Si avvicinò al maresciallo a riposo. "Mi scuso per l'interruzione ma gradirei parlare con lei". Il maresciallo a riposo, che teneva molto alla briscola con D'Eugenio, apparve chiaramente infastidito. Aveva l’asso di spada tra le mani e voleva giocarselo nel miglior modo possibile. Stava facendo il calcolo delle carte già giocate, per valutare il momento più opportuno per utilizzarlo. De Stefano sollevò lo sguardo. Avrebbe voluto chiaramente dirgli "di non rompere le scatole", ma, per evitare una brutta figura si trattenne. "Un attimo, per cortesia! Finisco questa mano e sono da lei" Disse, con tono deciso da maresciallo. “Chi è questa persona che non conosco e che si permette di interrompermi, mentre sto giocando una mano tanto importante?” Pensò De Stefano. Con D’Eugenio avevano vinto una mano a testa e si stavano giocando la bella. Erano ben sei turni che De Stefano non riusciva a spuntarla con il dottore. Il punteggio della bella era di sette a quattro per il maresciallo a riposo. De Stefano temette di perdere la concentrazione 153 ma si ricompose dopo aver risposto, trafelato, al giornalista. La possibile vittoria su D'Eugenio sembrava un'occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Riprese il calcolo delle carte già giocate, per valutare l’opportunità di giocarsi l’asso di spada. Rocco Verrastro, si sedette ad un tavolo libero, insieme al cameraman e all'operatore, in attesa che De Stefano si liberasse. Il cameramen aveva la telecamera in mano, mentre aveva depositato il resto dell'attrezzatura tecnica in un angolo del circolo, come aveva fatto, qualche minuto prima, da Ciaramella. I tre erano pronti a girare ma bisognava attendere De Stefano. Ordinarono altri caffè, ristretto per Verrastro, decaffeinato per l'assistente, macchiato per l'operatore. "Mannaggia, un’altra volta…", si sentì esclamare, in fondo alla sala, qualche minuto dopo. Era la voce delusa del maresciallo a riposo, che usciva di nuovo sconfitto dal confronto con D'Eugenio. Nonostante fosse stato in vantaggio, non era riuscitoa vincere la partita. Il risultato si era capovolto a favore di D'Eugenio, proprio a partire dall'entrata nel circolo di Verrastro. "Hai perso di nuovo", gli disse D'Eugenio. "Stava andando tutto bene…se non era per…vabbé…fammi vede' che vole", gli rispose De Stefano, arrabbiato. Si diresse verso Verrastro. Avrebbe voluto staccargli il ciuffo di capelli, che aveva sulla fronte, ma si trattenne. "Mi dica…", esclamò De Stefano. "Dunque…le spiego…", disse Verrastro, che nel frattempo si era alzato dalla sedia e si era posizionato di fronte a De Stefano. Infilò le mani in tasca, si raddrizzò il bavero della 154 giacca, che indossava sul maglione bordeaux, a collo alto, e iniziò a parlare. Fu molto chiaro fin dall'inizio. "Sono un giornalista della televisione regionale e mi trovo a Bigliano per fare un servizio per l’anniversario di Mariella la bella". "E che c'entro io? Non è me che dovreste intervistare", rispose il maresciallo sorpreso. "Il suo nome mi è stato fatto dal proprietario del bar in piazza". "Ciaramella?" Esclamò De Stefano, sempre più sorpreso. "Non conosco il suo nome…il proprietario, il gestore…insomma, il tipo del bar…quello che sembra un arabo per quanto è nero". "Ciaramella!" De Stefano appariva infastidito e non riusciva a capire le ragioni del suo coinvolgimento. Si rilassò solo quando Verrastro gli riferì che Ciaramella lo riteneva la persona giusta per parlare con un giornalista". “Ah, beh…in questo caso…vediamo cosa si può fare”, rispose inorgoglito. Invitò Verrastro a prendere un caffè. "Già preso, proprio due minuti fa, maresciallo", rispose Verrastro, declinando l'invito. I due decisero di sedersi al tavolo vicino al bancone e di scambiare quattro chiacchiere. "Non le fa caldo con quel maglione a collo alto?" Chiese De Stefano. "Ho messo su la prima cosa che ho trovato nell'armadio". "Si vede, si vede…", mormorò De Stefano, mentre 155 scrutava Verrastro da capo a piedi. Poi aggiunse, "come mai non porta l'eskimo?" "Come dice, maresciallo?", replicò Verrastro, sorpreso per la domanda di De Stefano. "Niente, niente", sussurrò De Stefano. Il maresciallo a riposo odiava i maglioni a collo alto e odiava gli eskimo. Aveva iniziato a odiarli alla fine degli anni sessanta, quando faceva servizio a Novoli. Di tanto in tanto veniva utilizzato come rinforzo, durante le proteste studentesche all'università di Bari, per colpa di quei giovanotti con il maglione a collo alto e con l'eskimo. Verrastro gli ricordava tanto quei giovanotti, benché per ovvi limiti di età non potesse aver partecipato alle rivolte studentesche della fine degli anni sessanta. "Semmai negli anni seguenti…", pensò De Stefano. Verrastro, intanto, smanettava sul suo taccuino. "Dove ha svolto la sua carriera universitaria?" Gli chiese De Stefano. "A Pisa", rispose Verrastro. "Ora capisco…Pisa…immagino quell'università. Un covo di rivoluzionari". cosa fosse "Non capisco, maresciallo". "Quel maglione a collo alto…ora capisco dove ha imparato ad indossarlo". Verrastro aveva partecipato a diverse manifestazioni studentesche ma il maglione a collo alto non lo legava proprio a quegli avvenimenti. "Non c'entra niente con l'università di Pisa. Lo indosso per via del minimalismo francese". "Pisa? Covo di rivoluzionari!" Ripeté De Stefano. 156 "Quelli di Pisa non erano rivoluzionari. Semmai ci vorrebbe ora una rivoluzione, maresciallo! Una bella rivoluzione che spazzasse via questo ciarpame". "Su questo punto, mi trova completamente d'accordo. Lo dico sempre qua dentro che ci troviamo in un regime di bastardi approfittatori. Lei dice ciarpame?" "Ciarpame, certo!" "Ciarpame da spazzare rivoluzione di capitani e colonnelli". via con una bella "Ma che dice? Questo è fascismo! Ci vuole una rivoluzione della gente, che travolga questa democrazia del cavolo e che ne faccia nascere una nuova. Una vera democrazia, in cui la gente possa decidere realmente". "Lasci perdere. La gente non è capace di pensare ai propri interessi. Se lo sapesse fare, non voterebbe per questi bastardi che, puntualmente, vincono le elezioni". "Se la gente potesse realmente decidere, potrei anche essere d'accordo con lei ma non lo è, mi creda. Vive solo l'illusione della democrazia". De Stefano fece un grugnito. Poi riprese a dialogare con il giornalista. "Mi dica piuttosto cosa desidera da me?" “Vorrei farle qualche domanda. Sapere cosa pensa di questa vicenda. Com’è possibile che una persona venga risucchiata da un buco nero, in un paese piccolo come Bigliano, maresciallo”. Nonostante avessero un background diverso e vedessero la rivoluzione da due angolature opposte, i due si prendevano. Avevano qualcosa in comune che li univa. Verrastro non sapeva ancora cosa fosse ma sentiva che avrebbe potuto fidarsi di De Stefano. Non lo aveva squadrato da capo a piedi, come De Stefano aveva fatto con lui, ma lo aveva fissato dritto negli occhi e il maresciallo a riposo non 157 aveva mosso lo sguardo. Era più di un segnale. “Tengo a precisare che questi sono fatti ormai acclarati dall’inchiesta”, affermò, De Stefano, aggiustandosi il nodo della cravatta. “All’inizio i sospetti si sono concentrati sulll’ex fidanzato. Poi due persone di Bigliano avrebbero visto Mariella in una grossa macchina di lusso nera. Tale macchina si dice appartenesse ad un noto politico locale”. “Il consigliere provinciale De Cesare”. “Appunto”. “E poi? Questi fatti sono mai stati appurati? Da allora non se ne sa più niente. Tutto sembra essersi fermato. Anche l’inchiesta sembra essere finita nello stesso buco nero in cui è finita Mariella”. “Sono fatti ormai noti”, affermò De Stefano, fiero del proprio intuito. "Lo so, maresciallo, sono fatti ormai noti", ribatté Verrastro, lasciando trasparire una nota di amarezza. "Non so dirle più di questo". "La gente cosa ne pensa? I suoi colleghi carabinieri cosa dicono? Perché hanno smesso di indagare?" "I colleghi? Conti quanto il due di picche il giorno dopo che hai incellofanato la tua divisa". "Pensa che di loro non ci si possa fidare?" "Verrastro!" Esclamo' De Stefano, "i carabinieri sono fedeli fino alla morte! Fino alla morte, ha capito?" "Eppure abbiamo il dovere morale di sapere la verità". "Senta, personalmente non ho mai creduto all'ipotesi dell'allontanamento volontario. Si, la storia del padre …quello che vuoi, ma in questa storia non c'entra 158 niente. E' un povero diavolo, un disgraziato ma incapace di fare del male. Non sarebbe stato capace di torcere un solo capello alla figlia". "Se si esclude il padre e l'ex fidanzato, chi resta? E soprattutto se diamo per affidabili le deposizioni di chi dice che ha visto Mariella in quella grossa macchina, presumibilmente di De Cesare. Perché si trovava in quella macchina? Dov’è andata dopo? Dov’è finita?" Chiese Verrastro" "Bella domanda, giovanotto!" Alla fine della chiacchierata, De Stefano non concesse l'intervista, ma ringraziò ugualmente Verrastro che, a sua volta, ringraziò De Stefano. Il giornalista potentino chiese al maresciallo a riposo il suo recapito telefonico che un po esitante glielo diede. “Lo chiedo a tutte le persone con le quali entro in contatto. Lo faccio per motivi strettamente professionali e sono estremamente discreto”, lo rassicuro il giornalista. De Stefano, dopo aver salutato Verrastro, ritornò a sedersi al tavolo con D'Eugenio. Non parlò della conversazione, che il maresciallo a riposo aveva avuto con il giornalista ma della partita che aveva visto D'Eugenio trionfare per l'ennesima volta. “Se non fosse intervenuto il giovanotto…”, recriminò De Stefano. Il timballo della moglie del maresciallo De Stefano D'Eugenio era una persona molto ben considerata a Bigliano. Da quando era andato in pensione, si dedicava alla cultura, animando un'associazione letteraria particolarmente attiva, durante il periodo estivo. Aveva organizzato la presentazione dell'ultimo libro del ragioniere La Spina, alla 159 presenza di molti biglianesi, tra i quali parte della famiglia Calenda, A' bionda, in quarta fila, accanto alla moglie di Pinuccio di Gina, il maresciallo a riposo e consorte. De Stefano seguì l'evento distrattamente. Avrebbe preferito giocare a carte nel circolo, ma non poteva fare un torto a La Spina. Durante la presentazione, sfogliò il libro di poesie, che aveva tra le mani. Ne lesse alcune. La moglie, invece, seguì la presentazione del libro con attenzione. Tornati a casa, ne discussero brevemente. “Vorrei invitare a pranzo il ragioniere La Spina”, disse la signora Rosa al marito. De Stefano approvò e suggerì il sabato seguente. "Ti ho appena detto che sabato non va bene". "Allora venerdì, o giovedì o qualsiasi altro giorno", rispose il maresciallo a riposo, mostrando il più totale disinteresse. Parlava con la moglie ma pensava ad altro. La conversazione con il giornalista della televisione regionale, si era insinuata nella sua mente e, come un tarlo, faticava ad uscirne. “Sembra impossibile che sia già passato un anno dalla scomparsa della ragazza”. Verrastro stava risvegliando la coscienza assopita di De Stefano. Probabilmente l’esperienza in Sicilia lo aveva indotto ad una lettura più complessa di eventi apparentemente semplici. La Lucania non era mai stata al centro di clamorosi casi di cronaca e, nonostante si trovasse in mezzo a regioni con elevati tassi di criminalità, era rimasta un’isola felice. Qualche volta capitava un omicidio ma niente di paragonabile con ciò che succedeva in Campania, in Puglia o in Calabria, dove, invece i morti erano all’ordine del giorno. I politici lucani ne erano fieri. Imputavano il basso tasso di criminalità 160 alla loro capacità, pur sapendo che solo la marginalità economica e l’emarginazione sociale avevano salvato la Lucania. Il caso di Mariella la bella turbava l’isola felice, ma sarebbe stato sufficiente non parlarne per eliminare il problema. De Stefano, che da quando era andato in pensione aveva più tempo per pensare, non riusciva a togliersi di mente quella conversazione con il giornalista Verrastro. Era rimasto colpito dal suo desiderio di conoscere la verità di quei fatti dopo tanto tempo. Lo trovava quantomeno insolito. Si era sentito punto sul vivo. “Cosa avrebbe potuto fare, lui un semplice ex maresciallo dei carabinieri in pensione?”, si chiedeva. L’ultimo giorno di servizio festeggiò con i colleghi, che gli regalarono un orologio con il cinturino di pelle. "Finalmente posso godermi la vigna, leggere il giornale con calma e giocare a carte al circolo", disse ai colleghi. In realtà, il giornale lo aveva sempre letto e aveva anche sempre avuto il tempo per curare la vigna. Semplicemente non gli piaceva andare in pensione e tentava di ingoiare una pillola meno amara. Da quando aveva parlato con quel giornalista gli era presa una smania. Gli era venuta nostalgia del suo lavoro, del periodo trascorso in Sicilia. Avrebbe voluto essere ancora il maresciallo di un tempo. "Che fine ha fatto quel maglione a collo alto che mi avevi regalato qualche anno fa?" Chiese, con un tono ostentamente leggero, alla moglie. La signora Rosa sembrò cadere dalle nuvole. "Maglione a collo alto?" 161 "Si, maglione a collo alto". "Dicesti che non ti piaceva. Sarà da qualche parte dell'armadio. Vuoi che te lo cerchi?" "Aspettiamo, aspettiamo". "Aspettiamo cosa?" Chiese la signora Rosa, mentre lo guardava, stranita. "Aspettiamo, aspettiamo", ripeté De Stefano. Anche quando aveva effettuato l'arresto del mafioso importante non aveva fatto intendere nulla a chi gli stava intorno. La riservatezza era il suo maggior pregio. La sera seguente, poco prima della chiusura, andò nel negozio di Pinuccio di Gina. “Compra il prosciutto cotto e le possibilmente fresche”, gli aveva chiesto la moglie. uova, Il giorno successivo avrebbe preparato il timballo di patate per il ragioniere La Spina. Avrebbe cucinato anche il coniglio alla cacciatora, con contorno di piselli. In realtà, il timballo, nella variante biglianese, si sarebbe dovuto preparare con la salsiccia, ma la signora Rosa non gradiva. “Meglio il prosciutto cotto”, disse al marito. De Stefano, pur non condividendo, si adeguò. Entrò nel negozio di Pinuccio di Gina ma Pinuccio non c'era. C'era la moglie, che non si accorse di De Stefano, giacché conversava fitto con A' bionda, la sua amica. Il maresciallo a riposo non fece caso a loro e si diresse immediatamente verso il comparto delle uova. La moglie di Pinuccio di Gina si trovava nel corridoio che porta dal comparto della pasta a quello dei surgelati. Continuava a discutere con 'A bionda, che aveva in mano due pacchi di spaghetti. Erano così prese dalla conversazione, che non notarono la presenza di De Stefano. Il maresciallo a riposo, dopo aver preso le uova, si 162 stava dirigendo al banco dei salumi, quando la conversazione tra le due donne attirò la sua attenzione. "Ti devo dire ‘na cosa", disse 'A bionda alla moglie di Pinuccio, afferrandola per un braccio. "Che mi devi dire?" Le chiese la moglie di Pinuccio, incuriosita. 'A bionda piegò lo sguardo. Si portò la mano destra sulla testa. Spinse la sua lunga chioma bionda indietro. Esitò qualche secondo prima di iniziare a parlare. La moglie di Pinuccio di Gina si fermò a guardarla. Le prese le mani, mentre la chioma bionda gli scivolò davanti e le coprì il viso. "Riguarda Gianni…" "Ah, Gianni…", esclamò la moglie di Pinuccio, per nulla sorpresa, presumendo che l'amica dovesse raccontare, come al solito, le sue pene d'amore. "…e Mariella", aggiunse sottovoce. "Mariella? Chi è stà Mariella?" Chiese la moglie di Pinuccio, "una nuova amante di Gianni?". "No, non si tratta di una nuova amante ma di Mariella la bella!" "Mariella la bella?" Ripetè, sorpresa, l’amica, "cosa c’entra Mariella la Bella con te e Gianni?". Che la preoccupazione di ‘A bionda fosse legata a Gianni era comprensibile, ma che fosse legata a Gianni e Mariella insieme era davvero sorprendente. “C'entra, c'entra…e c'entro anch'io e…", rispose ‘A bionda, abbassando lo sguardo. "Pure tu?" "Si, io e qnche altre persone". La moglie di Pinuccio non riusciva a credere alle sue orecchie. 163 "Senti è meglio parlare da un'altra parte. Potrebbe arrivare qualcuno e sentirci. Ne parliamo da un'altra parte”, disse A’ bionda. La moglie di Pinuccio dovette rassegnarsi. Contemporaneamente, una serie di interrogativi si affollarono nella mente del maresciallo a riposo. D’istinto, De Stefano lasciò le uova e rinunciò a comprare il prosciutto. Uscì trafelato dal negozio, senza farsi notare, ma prima di uscire ebbe modo di udire le due amiche prendere appuntamento per il giorno seguente. “Ci vediamo in chiesa”. “Alle cinque e mezzo”. “Per la messa?” “Per la messa!” De Stefano, che aveva rinunciato al prosciutto e alle uova, decise che avrebbe detto alla moglie di aver dimenticato di prenderli e che il giorno successivo sarebbe stato più opportuno preparare pasta e ceci. Si trattava del piatto preferito dal ragioniere e sarebbe stato un atto di ospitalità, che La Spina avrebbe, senza dubbio, gradito. Il confessionale di Don Sabatino Mentre camminava, i pensieri del timballo si alternavano a quelli di Mariella. Il maresciallo a riposo stentava a credere alla conversazione, che aveva appena udito. I dubbi aumentavano. L’interrogatorio di De Cesare, le perplessità di Verrastro e, ora, queste ultime rivelazioni, captate per caso, gli fornivano nuovi elementi di riflessione. Il bianco non era più bianco. Il nero era sempre più nero. I colori della tentazione sporcavano un quadro di figure senza più contorni. Il mondo antico si dileguava nelle tenebre. A' 164 bionda non aveva detto nulla di preciso, ma quei nomi, quelle persone in che modo avevano a che fare con Mariella e forse con la sua scomparsa. Camminando, il maresciallo a riposo incrociò Sesto Calenda, il padre di Gianni. Lo salutò rispettosamente. “Ossequi, dottore”. Sesto Calenda ricambiò il saluto, accompagnandolo con un leggero movimento della mano destra e si diresse verso il bar di Ciaramella. Avrebbe avuto voglia di prendere un caffè ma cambiò idea e tirò dritto. “Non mi sembra proprio il caso”, pensò. Il bar di Ciaramella aveva un livello di frequentazione medio. I Calenda, per esempio, raramente vi entravano. I Di Cillio lo frequentavano ma con moderazione. Sia Simone che l'avvocato, di tanto in tanto, consumavano una birra oppure il caffè. L'avvocato lo faceva per dare un segno di accondiscendenza popolare, mentre Simone per un puro sentimento di democrazia. Dantino Telesce, che poteva annoverare il patrimonio più consistente di Bigliano, ci beveva il caffé, ma solo nei giorni di festa. Dantino era tuttavia un parvenu. Quando Radiouno e Radiodue videro Sesto Calenda nei pressi del bar, pensarono immediatamente ad una visione. "O' vedi a Piperchia”, disse Radiouno, riferendosi a Sesto Calenda "Sta venendo dentro o’ bar", aggiunse Radiodue. "Non pote essere", replicò Ciaramella, che aggiunse con tono indispettito, "i Calenda non si abbassano". A Bigliano, Sesto Calenda era per tutti Piperchia. Tuttavia, a differenza di quello che avveniva regolarmente con i membri della Bigliano medio-basso, non era consentito utilizzare il contranome, se non alle sue spalle. I Calenda 165 godevano di prestigio ed influenza e, pertanto, andavano riveriti. L'ossequio prevedeva l'utilizzazione del titolo, che nel caso di Sesto Calenda era dottore. In altri tempi, secondo la tradizione borbonica, avrebbe avuto diritto al Don, come un tempo era toccato al padre Vito ma, purtroppo per lui, i tempi erano cambiati Ciaramella aveva visto bene, "i Calenda non si abbassano". Per quanto Sesto Calenda desiderasse un caffè ma, soprattutto, morisse dalla voglia di sapere cosa si dicesse nel bar, evitò di entrare e fece ritorno a casa. Il giorno seguente era venerdì e tutta la famiglia Calenda andò in chiesa, come consuetudine il primo venerdì del mese. Anche De Stefano andò in chiesa. Aveva esitato non poco ma alla fine cedette all’impulso della curiosità. Si era convinto sia l’incontro con Verrastro che la conversazione nel negozio non fossero stati casuali. Era il destino che l’aveva messo di fronte a quel caso e lui aveva l’obbligo morale di andare fino in fondo. Qualsiasi cosa avesse potuto fare per quella ragazza l’avrebbe fatto. Era suo dovere. Il maresciallo a riposo giunse in chiesa alle cinque e venticinque. Varcò la soglia, fece il segno della croce e si guardò intorno. La moglie di Pinuccio era già entrata e si era seduta nel banco in corrispondenza del confessionale. Era sola. La sua amica ancora non era arrivata. “Tanto meglio”, pensò De Stefano. Ritenne che sarebbe stato opportuno inginocchiarsi nel confessionale, facendo finta di confessarsi, per guadagnare una buona posizione di ascolto. Dopo qualche istante giunse anche ‘A bionda, mentre la famiglia Calenda occupava il primo banco, alla sinistra dell’altare. La madre di Torino Concetti iniziò a recitare il rosario ad alta voce. ‘A bionda non fece caso al maresciallo a riposo e andò a sedersi accanto alla moglie di Pinuccio di Gina. “Allora…cosa é successo di tanto grave da doverne parlare qui in chiesa?” Gli chiese l’amica. 166 “Non ce la faccio più. Non riesco più ad andare avanti. Non vivo più per l’angoscia. Non riesco a dormire per il senso di colpa e per il peso che mi opprime. Non pensavo che sarebbe successo quello che è successo”. “Ma cosa è successo di tanto grave?” “Non ce la faccio più a tenermi questo segreto. A volte penso di confessarmi per togliermi ogni peso ma dovrei raccontare di me e Gianni…poi la presenza di Mariella….è tutto cosi complicato, Madonna mia”. “Mariella? Ma che c’entra Mariella con te e Gianni?” Chiese preoccupata l’amica. "Sai che Gianni e De Cesare si conoscono da tempo. Sono ottimi amici. Lui é stato anche suo testimone di nozze". "Si, lo so." "Ti ricordi il loro matrimonio?" "Sì, ricordo". "A quel matrimonio De Cesare conobbe Mariella". "Non mi ricordo di averli visti insieme". "Sì, te lo dico io. Conobbe Mariella al matrimonio di Gianni e Camilla". "I politici stringono mani e conoscono tanta gente". "Beh, quella con Mariella non fu solo una stretta di mano. De Cesare s’infatuò di Mariella qundo la conobbe. Me lo disse Gianni un pomeriggio, che saremmo dovuti andare al mare". "Con Gianni?" "Con Gianni, certo!… Ma non solo". "E con chi altro?" 167 "Con De Cesare e Mariella. Aveva chiesto a Gianni di organizzare un incontro a quattro". "Andaste al mare con De Cesare e Mariella?" "Sì. Quel pomeriggio mi resi conto che a De Cesare piaceva Mariella". "Invitò ad uscire Mariella?" "Sì! Ma non ripetere le cose che ti dico. Qualcuno potrebbe sentire". "E non fu l’unica volta. Altre volte siamo usciti insieme. Comunque quella sera in cui Mariella scomparve eravamo usciti insieme". "Voi quattro?". “Sì, Gianni avrebbe organizzato una serata particolare. Lo avevamo già fatto". "Che vuoi dire con particolare?" "Quella sera, il consigliere si era messo in testa che doveva avere Mariella. Era da quando l’aveva vista al matrimonio di Gianni che si era fissato con lei”. “E lei?” “Lei sembrava starci…, in un primo momento, sai De Cesare è importante”. “O’ saccio, o’ saccio…” “Mariella in quel periodo era delusa per via della storia con Simone, finita male. Simone l’aveva fatta soffrire tanto e lei non aveva più intenzione di ascoltarlo. Mariella voleva una vita diversa, De Cesare l’aveva illusa e lei ci aveva creduto” “Ma che dici?” Chiese la moglie di Pinuccio di Gina, con un tono misto di curiosità e sgomento. “De Cesare non avrebbe mai lasciato la moglie ma 168 Mariella si era illusa e ci sperava”. "Gli uomini non hanno mai il coraggio di lasciare il porto sicuro in cui si sono rifugiati. Sono dei vigliacchi!" "Vigliacchi e cinici. I politici, due volte vigliacchi e cinici". “E quella sera?” “Quella sera eravamo in un appartamento al mare, a Maratea. De Cesare ci andava con altra gente importante. Non so cosa altro facessero". "E tu e Gianni?" "Avevamo bevuto". "E Mariella?" “Non o’ saccio cosa é successo di preciso. Avevamo bevuto". "Cosa é successo a Mariella?" "Mariella si è sentita male. Non so perché. Io non ero con lei. Era insieme a De Cesare. Non so cosa ha bevuto o ha preso. L'ho sentita dire che voleva andare via ma De Cesare insisteva…insisteva…” “E voi?” “Noi?...niente! Avevamo bevuto. Cosa potevamo fare?” “E Mariella? Perché non é andata via?” “Ha cercato, ma poi a iniziato a vomitare. Ha perso i sensi. Bisognava portarla in ospedale…ma a un certo punto De Cesare…” Proprio in quel momento la voce di don Sabatino, che vide De Stefano inginocchiato, lo fece soprassalire. “Maresciallo, mi dica…vuole confessare i suoi peccati, immagino”. 169 "Oh! Don Sabatino! Si, si…ovviamente…si, i miei peccati", farfugliò il maresciallo. De Stefano si vide costretto a confessarsi, se non voleva essere scoperto o fare la figura dell’inzallanuto. “Mannaggia a Don Sabatino!” Recriminava De Stefano all'ultimo banco, in fondo alla chiesa, mentre recitava la sua pentitenza. Se non fosse stato per quel prete, avrebbe potuto conoscere il finale della storia. Le parole del brigante Dopo essere stato a Bigliano per preparare il servizio, a un anno dalla scomparsa di Mariella, Rocco Verrastro fece ritorno a Potenza. Non era riuscito a raccogliere nessuna intervista. “I biglianesi non vogliono parlare, benché danno l'impressione di sapere molto più di quello che lasciano intendere”. Alcuni, senza parlare avevano espresso un generico sentimento di solidarietà, una sorta di viatico finalizzato a purgare l'inadempienza dell'intera comunità. Giunto in redazione, chiese al caporedattore di concedergli ancora qualche giorno di tempo per preparare il servizio. "Non ci sono problemi. Prenditi il tempo che ti serve", gli rispose il caporedattore. In realtà, il suo capo non ricordava che Rocco fosse andato a Bigliano, ma non lo diede a vedere. Da parte sua, Verrastro intendeva sfruttare la disattenzione del caporedattore per montare un servizio di approfondimento. Rocco aveva fatto sue le parole del brigante lucano Carmine Crocco, […]E intorno a noi il timore e la complicità di un 170 popolo. Quel popolo che disprezzato da regi funzionari ed infidi piemontesi sentiva forte sulla pelle che a noi era negato ogni diritto, anche la dignità di uomini. E chi poteva vendicarli se non noi, accomunati dallo stesso destino? Cafoni anche noi, non più disposti a chinare il capo. Calpestati, come l'erba dagli zoccoli dei cavalli, calpestati ci vendicammo. Molti, molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana ed astratta. È dire senza timore, È MIO, e sentire forte il possesso di qualcosa, a cominciare dall'anima. È vivere di ciò che si ama. Vento forte ed impetuoso, in ogni generazione rinasce. Così è stato, e così sempre sarà […]. Voleva che l'antico spirito dei briganti lucani sopravvivesse nel profondo della sua anima. Gli era sempre piaciuto rompere le palle ai bastardi che pensavano di essere al di sopra del bene e del male. Poche volte glielo avevano lasciato fare ma, quando aveva potuto, aveva provato un piacere particolare. Aveva un’alta considerazione etica e morale della professione di giornalista. Grazie ad essa pensava di poter dar voce alla sete atavica di giustizia della gente che non si riconosce nell'autorità costituita. “La voce dell'anima mi sussurra parole profonde”. Era l'anelito al rispetto del suo popolo, che il potere aveva sottomesso, sottoposto e vituperato per secoli. I problemi che avevano originato il brigantaggio e che, in gran parte, risalivano alla responsabilità del governo borbonico, erano rimasti irrisolti. Come il gusto delle more appena raccolte, che aveva deliziato il proprio palato, il giornalista provava un piacere particolare nello scrivere a servizio della giustizia e del popolo. La carriera non lo attraeva e meno che meno lo lusingavano il denaro e il potere. Gli bastavano pochi soldi per sopravvivere. Sognava di spezzare le reni all'oligarchia, che si forma nelle democrazie e che il degenerato sistema dell’informazione non fa che perpetuare. Riteneva Potenza la quintessenza del feudalesimo, una città in cui non c'era spazio per le vie di mezzo. Si era padroni oppure servi. 171 Verrastro lottava per tentare di essere almeno padrone di se stesso. Rappresentava una sorta di miracolato. Avrebbe voluto dedicarsi al caso di Mariella la bella ma il caporedattore non la pensava come lui. All’epoca del fatto gli assegnò un altro servizio. “Devi andare a Montegiro per riprendere la festa di nonna Lucia, che compie cento anni”. Verrastro andò a Montegiro, intervistò nonna Lucia, ma promise a sé stesso di continuare ad indagare sul caso di Mariella. Quella storia non lo convinceva e ancor meno lo convincevano i protagonisti coinvolti. “Perché le indagini si sono arenate improvvisamente? Perché non sono stati sentiti alcuni testimoni, che conoscevano Mariella e, probabilmente, i suoi ultimi movimenti? Perche non sono mai state appurate le circostanze riferite da Carmelina 'a napuletana? Qual é il ruolo di De Cesare in questa vicenda?” Intanto De Stefano, in seguito all’appostamento del confessionale, aveva già parte di quelle risposte. Lui sapeva cosa era successo la sera della scomparsa di Mariella ma la scoperta di quel mistero iniziava a tormentarlo. Passeggiava nel corridoio di casa sua. Dal soggiorno andava verso le scale e, da lì, alla camera da letto. Faceva avanzare i suoi piedi lentamente, uno davanti all'altro. Le mani incrociate dietro la schiena e lo sguardo basso. Aveva dismesso l’abito grigio e aveva indossato il suo vecchio maglione, a collo alto, di colore senape. Era il segnale che quel giorno non sarebbe più uscito di casa. Avrebbe rinunciato alla partita a carte con D'Eugenio. "Dovrei parlare con dovrei…", ripeteva a bassa voce. Turtino…si…dovrei, Lo ascoltò per caso la moglie, senza capire esattamente cosa stesse dicendo. La moglie non comprendeva, soprattutto, perché avesse deciso di indossare il maglione a collo alto. 172 “Non lo ha mai fatto negli ultimi tempi”. De Stefano, intanto, passeggiava e sussurrava. “Il dovere mi impone di rivolgermi ai miei excolleghi. È la cosa giusta”. Si sedeva per qualche secondo. Poi riprendeva a passeggiare e sussurrare. "Se avessero proceduto in maniera accorta e circostanziata, sarebbero potuti giungere alle scoperte che ho fatto io. Perché non ci sono arrivati?" La sensazione del maresciallo a riposo era che ci fossero stati dei fatti, tali da impedire di svelare il mistero o almeno di una parte di esso. Mentre si avvitava sui suoi pensieri, senza riuscire a prendere una decisione, ci pensò Rocco a sciogliere il nodo gordiano. Squillò il telefono. Era Verrastro. "Maresciallo, buonasera. Sono Rocco Verrastro di Potenza. La disturbo?". "Ah, per fortuna che non sto giocando a carte", rispose De Stefano. "Si ricorda di me?" "Come faccio a dimenticarti. Quando mi ricapiterà una mano come quella?" "Mi lusinga, maresciallo". "Lasciamo perdere, Verrastro". "Ci penso continuamente". "Alla mano che mi ha fatto perdere?" "Ma no, maresciallo!" "Stavo scherzando, Verrastro. Anche i carabinieri sanno scherzare. Come pensi che siano nate le barzellette?" 173 "Ci penso continuamente". "A cosa?" "Mariella la bella. Tutto troppo strano". "Dici?" Rispose De Stefano, che non aveva intenzione per il momento di svelare le sue carte. "Certo, maresciallo. Più rifletto su questa storia e più i conti non tornano", fece notare Verrastro, mentre iniziò a snocciolare le situazioni che gli apparivano strane. "I conti non tornano", si limitò a costatare il maresciallo a riposo". "saputo nulla dai suoi ex colleghi?" Esclamò, dopo un attimo di silenzio, il giornalista potentino. "I miei ex colleghi?" Rispose, stupito, De Stefano. "Ma certo, i suoi ex colleghi…" "Cosa vuoi dire?" "Voglio dire che a me i suoi ex-colleghi non diranno nulla. Di lei invece si fidano”. "Non mi sembra di aver preso alcun impegno al riguardo. Poi non so se i miei ex colleghi mi diranno qualche cosa. Lasciami riflettere su questa cosa". "Mi scusi, maresciallo, forse pretendo troppo ma lei è l’unico ad essere stato gentile e a comprendere la complessità della storia. Solo lei potrebbe darmi una mano". "Ne riparliamo un'altra volta, va bene Verrastro?" "Certo, maresciallo, ne riparleremo". "Ma non al telefono. Non sarebbe prudente" "Dove e quando?" "Ti faccio sapere", concluse il maresciallo De Stefano. 174 Smise di pensare a Verrastro e dismise il maglione a collo alto di colore senape. Indossò di nuovo il vestito grigio e decise di andare al circolo. “Devo incontrare Turtino…ma per caso”. L’incontro tra De Stefano e Turtino avvenne a Piazza Giuseppe Verdi, che conserva la funzione e la struttura dell’agorà e ne scandisce i ritmi. Si tratta di uno strano concetto di cui i biglianesi ne sono inconsapevoli. Si mantenengono e si creano le relazioni interpersonali, nella casualità più assoluta. "Maresciallo!" Esclamò Turtino. "A riposo, purtroppo", rispose De Stefano, che conosceva le abitudini dell'ex collega e sapeva di poterlo incontrare in piazza. "Sempre maresciallo, De Stefano. Noi dell'arma restiamo carabinieri per la vita". "Dici bene, Turtino. Però, ti garantisco che quando vai in pensione ti senti molto meno carabiniere". "Meglio, De Stefano, meglio", esclamò Turtino, che aggiunse, "puoi goderti la famiglia". "A proposito, come sta tua moglie?" "È un lamento continuo, De Stefano". "Ah, le mogli!" "Colonnelli, De Stefano. Sono come colonnelli". "A proposito di colonnelli, mi sembrava di aver visto il colonnello Belisario". "Il colonnello Belisario? E quando lo vedi quello?" "Mi era sembrato di averlo visto". "L'ultima volta che il colonnello Belisario si è visto da queste parti è stato giusto un anno fa. Due o tre settimane 175 dopo la scomparsa di quella ragazza". "È passato un anno. Il tempo scorre velocemente, Turtino". "Si diventa vecchi, De Stefano". "Un anno e ancora niente". "Niente?" "Di quella ragazza…niente! Non si sa niente". "Ah, ti riferivi alla ragazza". "Si, voglio dire, è passato un anno. Ci sono novità?" "Niente, De Stefano. Appunto, come dicevi tu". "Una ragazza scompare nel nulla e…niente". "De Stefano, non sempre il niente è davvero niente" "Volevo ben dire…sono stato in Sicilia anch’io!" "Il niente deve restare niente". "Fammi capire…", avvicinandosi a Turtino. chiese De Stefano, "C'è il segreto su questa vicenda, De Stefano". "Con me, lo sai, ti puoi sfogare. Sono in pensione ma se ritieni che la mia esperienza possa esserti utile in qualche modo non esitare". "Ti ringrazio ma lasciamo perdere. Avrei preferito non saperne nulla di tutta questa faccenda. Sarebbe stato meglio". Turtino non aggiunse altro. Non era molto quello che aveva detto, ma era abbastanza quello che aveva lasciato intendere. De Stefano si rese conto che a nulla sarebbe valso 176 raccontare a Turtino ciò che sapeva. “Mi ha fatto intendere chiaramente di tenermi alla larga dalla vicenda”. Chi poteva avere tanto interesse a occultare la scomparsa di una giovane? E tanto da far dire a Turtino di non interessarsi al caso e di fare in modo che il niente restasse niente. “Chi esercitava tale potere? Perché?” De Stefano stava realizzando come la vicenda fosse più complessa di quanto avesse inizialmente supposto. Gli tornavano in mente i ricordi della Sicilia. Aveva visto il potere politico-mafioso corrompere, ricattare oppure semplicemente intimidire colleghi e superiori. Aveva scelto di andare via dalla Sicilia per non cadere nella trappola dell'illegalità. Era troppo onesto per scendere a vili compromessi con la sua coscienza. “Ho sempre avuto nostalgia degli anni spesi nell'arma, ma per la prima volta avverto un senso di sollievo nell'essere in pensione”, pensò. Mentre rifletteva, vide nella determinazione, nella dedizione e nella ricerca di giustizia del giovane giornalista sentimenti che un tempo aveva anch’egli avuto per la sua professione. Gli faceva piacere poterlo rivedere presto. "La pensione mi sta dando alla testa", pensò, "io, carabiniere tutto d’un pezzo, preferisco parlare con un giornalista di sinistra piuttosto che con un mio collega". Rientrando a casa, incontrò casualmente Tortoriello. I due si salutarono. Totonno stava andando in ufficio, dove lo attendevano le due cugine di primo grado, ormai al limite della pazienza. Avevano giurato che, alle elezioni successive l'avrebbero fatta pagare all'inaffidabile sindaco. Quello che le due cugine non sapevano, era che il giorno dell'assunzione per i loro due figli stava per arrivare. Il calcolo di Totonno, infatti, era preciso. Allo scadere della mezzanotte del quarto anno e sei mesi dall'elezione, si mise in 177 moto il meccanismo che conduceva Radiouno e Radiodue verso il lavoro. Purtroppo per loro, il primo giorno lavorativo sarebbe stato in luglio, proprio com'era successo per Ziza. Tortoriello si apprestava a iniziare la sua campagna elettorale. Oltre a cercare di esaudire il maggior numero di promesse fatte, si apprestava a farne di nuove. I bisogni dei biglianesi cambiavano con il tempo e Tortoriello doveva adeguarsi. “È la legge della politica. Non l'ho inventata io”. La morale comune è disgiunta da quella politica diceva il grande e incompreso Niccolò Machiavelli. "E se lo diceva Machiavelli, allora c'é da crederci", pensava Totonno. Anche De Cesare credeva a Machiavelli e si adeguava. Non aveva alternative. Lo chiamavano dottore ma nessuno sapeva in cosa fosse laureato. Probabilmente nemmeno lui se lo ricordava. Il vino rosso del maresciallo a riposo De Stefano Dopo aver incontrato Totonno, il maresciallo a riposo giunse a casa. Decise di invitare Verrastro nella sua vigna. "Ti faccio assaggiare il vino che io stesso produco", gli disse al telefono. Dopo aver messo giù la cornetta, gli tornarono in mente il maglione a collo alto di Rocco e gli eskimo dei giovanotti dell'università di Bari. “Cosa giovinastro?” Lui 178 posso sempre avere ordinato, in comune l'altro con quel volontariamente sciatto. "Come si può andare in giro con un maglione a collo alto?" Non si rese conto che faceva queste riflessioni, mentre lui stesso ne indossava uno. Nei meandri della sua coscienza si stava insinuando una simpatia per il giornalista potentino? Gli vennnero in mente gli estremi che si attraggono ma non ne fu completamente convinto. Verrastro accettò di buon grado l'invito di De Stefano. I due si diedero appuntamento per il lunedì seguente, alle cinque del pomeriggio. De Stefano si dedicava alla cura della vigna. Amava il vino, anche se non ne beveva che un bicchiere durante il pranzo e mezzo bicchiere la sera. Ci teneva molto al fatto che il vino fosse di qualità. Soprattutto odiava il vino contenente i solfiti. Era un purista. "Il buon vino deve essere completamente naturale", diceva, nonostante i giacimenti di petrolio costituissero una minaccia per la qualità delle produzioni agricole della valle. De Stefano attese Verrastro al circolo. Il giornalista giunse puntuale. I due si diressero verso la campagna, giungendo a destinazione dopo soli dieci minuti. De Stefano mostrò, orgoglioso, il casale e la vigna a Verrastro. “Il casale é stato costruito alla fine dell'ottocento e rimodernato a metà degli anni cinquanta. Per accedervi bisognava fare una lunga scalinata, utilizzando le maniglie di ferro sul muro per evitare di perdere l’equilibrio”. Verrastro volle percorrere tutti i gradini. Lo fece senza appoggiarsi alle maniglie e, giunto a tre gradini dal pianerottolo davanti la porta, rischiò di cadere. "Le maniglie!" Urlò De Stefano da sotto la scalinata, "ti avevo detto di usare le maniglie". Verrastro fece un cenno con la mano. In 179 campagna, riconobbe le visioni dell'infanzia e ne risentì gli odori. “I colori non cambiano con gli anni”. Dopo aver passeggiato per la vigna, De Stefano invitò Verrastro a sedersi sul muretto in pietra, alla sinistra del cancello di entrata del casolare, che il maresciallo a riposo manteneva immobile, come pietrificato nel tempo e nello spazio. S'informò sull'ultima vendemmia. “Produce molto questa vigna?” De Stefano, che non ricordava esattamente le cifre, rispose, "più o meno cinque quintali". Il giovinastro che aveva conosciuto al circolo con il maglione a collo alto, gli apparve sotto una luce diversa. Riconobbe in lui le sue stesse passioni. “Apprezza i miei stessi colori, riconosce i miei stessi odori”. Prese delle salsicce e le posò sulla griglia per arrostirle. Prese anche delle olive verdi. Le mangiarono. “Fantastiche queste salsicce!” Sentenziò Verrastro. "Le ha preparate mia moglie. E lei che fa il maiale", esclamò, orgoglioso, De Stefano. "Dove ha trovato queste olive, maresciallo?". "Sono olive di Bigliano, Rocco. Non ci crederai ma vengono coltivate nella terra qui a fianco. Prodotti di qualità… " "Di qualità! Certo, di qualità…". "Le olive di Zi' Antonio sono di qualità". "Zi' Antonio?" "Zi' Antonio. Lo zio di Mariella la bella…" 180 "Infatti, avevo l'impressione di aver già sentito questo nome". "Non è più lo stesso da quando è scomparsa la nipote. L'ombra di se stesso. Rocco, credimi…l'ombra di se stesso". Fino ad allora, i due non avevano ancora fatto riferimento al caso di Mariella la bella. "L'ombra di se stesso", ripeté ancora una volta De Stefano. "Ombre, ombre…maresciallo. Quante ombre in questo caso…". "Ombre, certo, ombre, ma anche luci, caro Rocco". "Che vuol dire, maresciallo?" "Niente, niente…", rispose De Stefano esitante. Ancora non si fidava del giornalista. "Buono questo vino, Maresciallo. Lei non si fida di me, vero? " "Come faccio a fidarmi di uno che porta un maglione a collo alto?". "Come dice? Non capisco…" "Il maglione a collo alto…", disse indicandolo. "Questo…", disse Verrastro, mentre con la mano destra pizzicò il collo del suo maglione, sporgendolo in avanti, "mi piaceva Jacques Brel". "Brelle? Un rivoluzionario degli studenti?" "Magari. A modo suo fu un rivoluzionario ma non nel senso politico che intendiamo noi. Ah, les bourgeois….mi piacevano le sue canzoni, la sua forte gestualità". "E portava il maglione a collo alto?" "Credo di si. No, forse no. In realtà non lo so. Non 181 importa. Io lo porto perché mi piaceva Jacques Brel". "Brelle? Brelle?" "Brel! Maresciallo, lasci cadere la e finale". "Brel". "Ecco, Brel". "Un rivoluzionario?" "Un poeta". Il maresciallo a riposo mormorò delle parole che non fu possibile intendere. Rifletteva. “Chi é davvero questo giovane che mi ha interrotto al circolo, mentre giocavo con D'Eugenio?” Pensava il maresciallo tra sé. D'istinto gli piaceva, ma ogni volta che si fermava a riflettere, non poteva non pensare agli studenti dell'università di Bari. Non sapeva ancora se poteva fidarsi e raccontargli ciò che sapeva. "Il caso di Mariella è emblematico, maresciallo. Non si tratta solo di una ragazza che scompare ma di una cultura che si vuole sotterrare. Rappresenta il buco nero in cui si vuole far precipitare un popolo intero", cambiò bruscamente argomento Verrastro. "Mi sei simpatico, Rocco…se non fosse per quel maglione…" "Lasci perdere il maglione, maresciallo. Non è più il tempo della contrapposizione ideologica. Qui va tutto a rotoli. I diritti, i principi, i valori. Viviamo in una democrazia che si sgretola, giorno dopo giorno. Lasciamo perdere le divise e i maglioni. Io e lei siamo ormai dalla stessa parte". "Un maresciallo in divisa e un giovane con il maglione a collo alto?" "Certo, maresciallo. È possibile. Lottiamo dalla 182 stessa parte. Io ogni giorno devo difendere il mio lavoro. L'informazione attuale è serva di pochi". "Lo vedo. Guardo la televisione ogni sera e ne sono schifato". "Io non dovrei esserne schifato perché è il mio lavoro. Eppure lo sono anch'io. L’unica speranza è non arrendersi mai. Lottare per cambiare". "Non cambia niente, Rocco. Il giorno seguente è peggiore di quello precedente". "Eppure dobbiamo combattere, maresciallo. Ora c'è da difendere Mariella e combattiamo per Mariella". Entrambi non amavano cedere ai compromessi che vivere in quella terra richiedeva. Erano sopravissuti e volevano dimostrare che si poteva andare avanti. Entrambi non potevano immaginare che l'onestà e la conoscenza potessero accomunare due persone con un passato tanto diverso. Eppure si trovavano a discutere, come due vecchi amici. "Non so come finirà tutta questa vicenda ma, comunque vadano le cose, forse io avrò trovato un amico”, ruppe il silenzio il maresciallo a riposo. “Mi lusinga, maresciallo”. “Mi sei simpatico e penso che potrò fidarmi di te”. “La prego, maresciallo, lo faccia e non se ne pentirà”. “Voglio essere onesto con te, come lo sono sempre stato nella mia vita. Devi sapere, caro Rocco, che a mia moglie piace il timballo con il prosciutto cotto. Io, francamente, lo preferisco con la salsiccia ma mia moglie è testarda. Dice che con il prosciutto cotto è più delicato al palato", iniziò a raccontare il maresciallo De Stefano. "Con la salsiccia, con la salsiccia…si fa il timballo, 183 maresciallo…", fece notare Verrastro. "Vedi che ho ragione, con la salsiccia, ma purtroppo è lei che cucina ed è lei che decide". "Già! Le donne. " "Dunque…ti stavo dicendo che a mia moglie piace il timballo con il prosciutto cotto. Avevamo invitato il ragioniere La Spina a pranzo e mia moglie voleva preparare il timballo. Mi chiese di comprare il prosciutto cotto e le uova. Mentre mi trovavo in un negozio di generi alimentari, proprio a due passi dalla piazza, forse ci sarai passsato davanti, venendo al circolo…" "Ehmm…no, non ricordo…" "Non importa…" "Va bene”. "Dunque, mentre mi trovavo in questo negozio, ho sentito una signora che tutti a Bigliano chiamano 'A bionda confidarsi con un’amica". "Cosa c’entra questa signora con Mariella?" Chiese, impaziente, il giornalista. "Calma, calma", rispose il maresciallo, con il tono solenne di chi ha molto raccontare, "ci arrivo tra un attimo, lasciami raccontare". "Mi scusi…vada avanti". “'A bionda è una signora di Bigliano. Gran bella femmina. È la moglie di Ziza, uno squinternato, uno sfaticato buono a nulla, che passa le giornate al bar, bevendo la birra. Grazie al suo lavoro di impiegata comunale porta avanti la famiglia. Se facesse affidamento sulla voglia di lavorare del marito, morirebbe di fame", disse De Stefano sollevando il braccio destro per enfatizzare il suo ragionamento, "ma sai come vanno le cose in un paese. Il pane va spesso a chi non ha i denti". 184 "Spesso il pane va proprio a chi non ha i denti", ripeté Verrastro. “Dunque…avevo già preso le uova e mi stavo dirigendo al banco dei salumi, per prendere il prosciutto per il timballo quando udii 'A bionda parlare con la proprietaria del negozio, la moglie di Pinuccio di Gina, sua amica e confidente. Il negozio era deserto e non si erano accorte della mia entrata. ‘A bionda era agitata e parlava in maniera veloce. Ad un certo punto, disse che sarebbe stato opportuno incontrarsi per parlare di cose molto importanti che riguardavano Gianni e Mariella". "Il discorso si fa molto interessante". "Immagina la mia sorpresa quando sentii che 'A bionda doveva confidare all'amica un segreto che riguardava anche Mariella. Le uova stavano per cadermi dalle mani". Verrastro sorrise mentre De Stefano ne aprofittò per sorseggiare il vino. "Qual è il legame di questa signora con Mariella?" Chiese incuriosito Verrastro, "e chi è questo Gianni?" "La mia è una supposizione ma credo che questo Gianni debba essere Gianni Calenda, nipote della buonanima di don Vito Calenda. I Calenda sono la famiglia per eccellenza di Bigliano. Tutti notabili i Calenda…" "Un rampollo di buona famiglia, una bella femmina sposata e Mariella", disse Verrastro, come se stesse riflettendo ad alta voce. "In paese gira la voce che ‘A bionda sia l’amante di Gianni Calenda", affermò il maresciallo a riposo. "Questo che rapporto ha maresciallo", chiese, dubbioso, il giornalista. con Mariella, "Fammi finire Rocco, e poi capirai". "Gianni Calenda è amico di De Cesare, nonché suo 185 testimone di nozze. Gianni e ‘A bionda e De Cesare e Mariella. Due più due fanno quattro", disse De Stefano ripetendo il suo ormai famoso refrain. "De Cesare?" Ripetè Verrastro sobbalzando dal muretto in pietra sul quale era seduto. Dovette bere del vino rosso per riprendersi. "In negozio, non mi fu possibile intendere nient'altro se non che 'A Bionda e l’amica si sarebbero viste il giorno seguente, in chiesa. D’istinto lasciai le uova sul primo scaffale che trovai e uscii dal negozio, cercando di non farmi scorgere. Mia moglie, intanto, dovette rinunciare al timballo. Il giorno seguente me ne andai in chiesa. Mi appostai inginocchiato nel confessionale. Potevo ascoltare tutta la conversazione e se non fosse arrivato quel rompicoglioni di don Sabatino avrei ascoltato anche il finale". Verrastro sorrise pensando alla scena del maresciallo che faceva finta di confessarsi mentre invece era appostato ad ascoltare la conversazione delle due donne. "Il cerchio quadra", esclamò il maresciallo a riposo, che poi aggiunse con cautela, "ammesso che sia vera la voce che gira in paese della relazione tra Gianni Calenda e A’ Bionda". "Vox populi… aggiunse Verrastro con un filo di voce. "De Cesare, politico navigato e amico di Gianni Calenda, conosce Mariella e se ne invaghisce. La vuole ad ogni costo…Gianni Calenda organizza una serata in un appartamento al mare con l’amico. Questo spiega perché quella sera Mariella fosse stata vista da alcuni testimoni in una macchina scura di grossa cilindrata". "E dove sarebbero andati?". "Secondo quello che A’ Bionda riferisce all'amica, avrebbero trascorso la serata proprio in un appartamento al mare". 186 "Dove? E di chi era la casa al mare? C’erano altre persone presenti o erano solo loro quattro?" Chiese ad alta voce Verrastro. "Non lo so. Questo 'A bionda non l’ha detto", rispose il maresciallo. "E cos’altro ha detto?" "Che erano ubriachi. Forse, avevano anche fatto uso di droga, probabilmente. Ad un certo punto Mariella si sentì male e qui finisce la storia. Se solo non fosse arrivato Don Sabatino! " Esclamò, De Stefano. "Caro maresciallo, può ritenersi fortunato per essere riuscito ad ascoltare tutto questo. Il problema è cosa accadde dopo il malore di Mariella? Di certo, la ragazza non fu portata in ospedale. Qualunque fossero state le sue condizioni si sarebbe venuto a sapere e lo scandalo sarebbe stato inevitabile. Dov'è stata portata, allora?" "Sta di fatto che da quel momento la ragazza non si trova più. Questo è l’unico dato certo", affermò De Stefano. "Che De Cesare fosse un politico spregiudicato, ambizioso con l'unico interesse di conservare il potere lo si sapeva. Mi chiedo fin dove sarebbe capace di spingersi per salvaguardare il suo potere”, disse Rocco. Per alcuni secondi tacque. Poi riprese il suo ragionamento. "Se si voleva evitare uno scandalo, la ragazza doveva sparire". "Su questo siamo d’accordo, Rocco!" Rispose De Stefano, mentre Verrastro continuava a riflettere. Passeggiarono su e giù per la vigna, in silenzio, immersi ciascuno nei propri pensieri. Dopo alcuni minuti De Stefano interruppe il silenzio. 187 "Considera lo scandalo che questa storia avrebbe potuto provocare a Bigliano. Avrebbe coinvolto anche la potente famiglia Calenda. Penso anche allo zio di Gianni, il giudice Calenda di Napoli. Fin dove si sarebbe spinta la famiglia per proteggere la reputazione del giovane rampollo ma, soprattutto, del decoro dei Calenda?" "In questa faccenda, ci sono di mezzo troppi personaggi pubblici. Questo spiegherebbe perché ad un certo punto l’inchiesta si sarebbe misteriosamente arenata. Deve essersi trattato di una faccenda molto seria", commentò Verrastro. "La ragazza si può essere sentita male, può darsi che non si sia ripresa. Le brave persone che si trovavano con lei avranno pensato che prestarle soccorso avrebbe messo in pericolo la loro reputazione. Mi chiedo se avranno chiesto aiuto. Mi risulta difficile pensare che De Cesare si sia disfatto personalmente di una giovane ragazza in pericolo di vita. Il lavoro sporco viene sempre affidato ai manovali. I De Cesare se ne lavano le mani". Il maresciallo a riposo seguiva con interesse il discorso di Verrastro. Sembrava evidente che Mariella fosse stata abbandonata alla sua sorte, benché continuassero a mancare riscontri oggettivi. "…E il corpo? Dov'è il corpo? Supponiamo che abbiano fatto sparire il corpo. Dove lo avrebbero occultato? Senza il corpo è facile fare supposizioni ma difficile provarle", fece notare a Verrastro. "Ha ragione, maresciallo, manca il corpo. Se sapessimo dove è stato nascosto, potremmo probabilmente sapere anche chi lo ha occultato. Credo che il fulcro di questa vicenda siano De Cesare e Gianni Calenda. Devono aver agito di comune intesa". "Entrambi avrebbero potuto impedire di far luce sulla vicenda. De Cesare grazie al suo potere e alla sua numerosa clientela, può avere fatto pressione sui responsabili 188 dell’inchiesta. E’ il suo stile. È lo stile dei politici di questa regione martoriata dall’avidità di uomini cinici, la cui unica ambizione é tenersi saldamente ancorati alla poltrona che occupano. Si tratta di uomini privi di coscienza e senso civico". "Entrambi sarebbero disposti a mettere in campo un esercito di burattini per risolvere la faccenda con poco clamore". "Per manovrare un esercito di burattini ci vuole un burattinaio". "Io penso ad una regia occulta, capace di manipolare l'esercito di burattini", rispose Rocco Verrastro, dilatando le pupille, quasi a chiedere conforto al maresciallo. "Se diamo credito a quanto ho sentito Mariella si è realmente intrattenuta con De Cesare, Gianni Calenda, e A’ bionda", in una casa al mare, sebbene in un luogo imprecisato. Forse Maratea? Molti potenti lucani hanno la casa al mare, soprattutto di Potenza", riassunse il maresciallo. "Considerati gli indizi che gli inquirenti avevano in mano, perché non hanno mai considerato la possibilità di battere questa pista? Ho molto rispetto per i suoi colleghi, ma…mi permetta…ci sono degli elementi che avrebbero dovuto insospettirli. Non crede, marescià?" "Vedi Rocco, non ti ho ancora raccontato tutto. C’è dell’altro". "Vada avanti, la prego". "Se quel giorno non fossi venuto da me, non mi sarei mai interessato alla vicenda di Mariella. Come la maggior parte dei Biglianesi, me ne sarei dimenticato. Dopo la tua visita è scattato qualcosa nella mia coscienza, che sembrava essere andata in pensione con il mio lavoro. È stata una sensazione stupenda. Le mie carni hanno ripreso il vigore di un tempo. Si é risvegliato il mio fiuto investigativo. Non avrei mai prestato attenzione alla conversazione tra le due donne 189 nel supermecato di Pinuccio di Gina, se non avessi risvegliato la mia curiosità. Il mio senso del dovere, in un primo momento, mi suggeriva di rivolgermi a Turtino". "Perché non l'ha fatto?" Lo interruppe Verrastro. "Qualcosa mi ha trattenuto. Non so bene cosa sia stato, forse diffidenza". "Cosa è cambiato in seguito?" "Dopo la tua telefonata, ho messo da parte la mia diffidenza e, alcuni giorni fa, l'ho incontrato. Alla fine, però ho deciso di non dirgli nulla", precisò con un filo di voce. Dalle sue parole trapelavano il rammarico per una sorta di tradimento dei valori, che lo legavano all’arma. Forse avrebbe dovuto fidarsi ma non se l'era sentita di farlo. “Perché non l’ha fatto?" Ripeté ancora una volta Verrastro che, benché partecipasse alla commozione di De Stefano, avvertiva l'esigenza di fare chiarezza. “Come dicevo, ho avuto, fin dall'inizio, la sensazione che ci fossero diversi elementi strani in questa scomparsa. L'incontro con te non ha fatto altro che confermare questa sensazione. Di Turtino mi colpì il modo di esprimersi. Mi disse che non poteva fare rivelazione alcuna. Disse queste parole, la vicenda è segreta. Capii subito che non poteva dire nulla perché aveva ricevuto ordini dall'alto. Nel nostro linguaggio, dire che una vicenda è segreta, significa aver ricevuto ordini dall'alto. Mi disse che avrebbe preferito non averne mai saputo nulla". “Curioso e anchesignificativo”, aggiunse Rocco. “Conoscendo Turtino, credo che sia stato costretto a cedere ad ordini superiori. Lo avrà fatto malvolentieri. Ma queste sono solo ipotesi, illazioni. Non abbiamo nessuna prova, tranne gli indizi raccolti durante l’inchiesta e la testimonianza da me ascoltata inavvertitamente", ripeté De Stefano, dando l'impressione di tratttare l'argomento con 190 perizia. “Conoscendo le persone coinvolte non mi stupisce. Stanno cercando di fare il vuoto intorno alla scomparsa di Mariella. È troppo imbarazzante. La piovra politica estende i suoi tentacoli", rispose Verrastro, tradendo un sorriso amaro. “La politica comanda quando si spegne la coscienza", osservò De Stefano. “E in Lucania la coscienza è spenta da tempo", aggiunse Rocco con amarezza. 'Già!" "Maresciallo", chiese Verrastro, "di chi potrebbe essere l'appartamento, dove il quartetto si era dato appuntamento?" "Ora mangiamo", disse De Stefano, afferrando una salsiccia con la forchetta, "ci penseremo dopo". Verrastro, segui l’esempio di De Stefano e addentò una salsiccia mentre versava del vino, prima nel bicchiere del maresciallo e, poi, nel suo. Il sole si apprestava a calare all'orizzonte. Era stata una giornata piacevole e soleggiata. Il vino rosso del maresciallo a riposo aveva contribuito a esaltare i colori della splendida natura biglianese. Verrastro si guardò intorno e pensò che sarebbe stato meraviglioso se tutti i biglianesi di quella terra avessero potuto approfittare di quei splendidi colori. Il mito di Zi' Antonio A pochi passi dalla proprietà di De Stefano, si trova la terra di Zi' Antonio. A differenza di De Stefano, che lo fa solo per svago, Zi' Antonio lavora veramente la sua terra. “Sono rimasti in pochi a Bigliano a farlo, un tempo erano in tanti”, chiarì De Stefano. 191 “Le campagne si sono svuotate, per la grande emigrazione e per l'industrializzazione forzata. Un segno del progresso è stato quello di preferire il posto sicuro, con lo stipendio assicurato ma le fabbriche sono state solo un'illusione”, rispose Verrastro. La vita media del ciclo produttivo delle aziende, impiantate a Bigliano, dura mediamente sette anni e diverse aziende chiudono ancora prima. Quella degli Urbano Tositto ha dichiarato fallimento in soli cinque anni. È stata una fortuna per Ziza ma non per altri. Alcune fabbriche, in realtà, non hanno neanche iniziato l'attività, nonostante i finanziamenti. Sono esistite solo sulla carta. Una fabbrica, per esempio, che doveva stampare calendari, con il bordo in argento, non è mai entrata in produzione. Il dottor De Cesare, che aveva deposto molte speranze nei calendari con il bordo in argento, dicendo che avrebbero favorito la ripresa economica della regione, non ne fa menzione da tempo. Il mondo antico esiste solo nei ricordi di quelli come Zi' Antonio. “Lui é stato forte. Ha rinunciato alla fabbrica ed ha orgogliosamente difeso la sua terra. Continua a lavorarla con sacrificio. La sera, quando finisce di lavorare, si riposa sotto l'ulivo, che il nonno aveva piantato”. La sua terra, tuttavia, è diventata meno soffice. Con il progresso si é indurita. Sotto l'ulivo, la sera, il tempo gli restituisce i ricordi, che con gli anni diventano sempre più rossi. L'era di un mito perduto, che non ha mai smesso di vivere ai confini della realtà, senza più passato, né futuro, né tempo. “Zi' Antonio é un uomo schietto, che parla dritto in faccia. Quando il vino non riesce bene, me lo dice senza troppi giri di parole, anche se poi aggiunge non è colpa vostra, é mancata l'acqua! Non è chiovuto quando doveva chiovere", raccontò De Stefano. “Trova una giustificazione, per rendere meno 192 amara l'osservazione nei confronti dell'amico”. “Nella sua durezza, conserva una grande sensibilità. Sono rimaste poche persone come lui. È un segno del progresso”. La gente a Bigliano stava cambiando. Anche il disinteresse che i biglianesi mostravano per la vicenda di Mariella era un segno del progresso. Zi' Antonio si sentiva solo e soffriva in silenzio. Don Sabatino, ogni tanto, ne parlava in chiesa e Carmelina 'a napuletana gli faceva visita, una volta alla settimana. Trovava il vecchio San Bernando affogato nella sua poltrona, davanti al caminetto, spesso spento, e non solo d'estate. Il mondo, nel quale era costretto a vivere, non gli apparteneva più. Era fuggito. Aveva iniziato a sfuggirgli quando quelle maledette fabbriche avevano invaso la sua terra e quando l'oro nero di Tortoriello aveva iniziato a fargli respirare l'aria nebulizzata. Mariella non c'era più. Non c'era più la terra che aveva conosciuto da bambino, quando il nonno aveva piantato l'ulivo e non c'era più l'aria pulita. In compenso, c'era il progresso ma Zi' Antonio, per quanto si sforzasse di capire, non riusciva a digerirlo. Gli restava come un peso sulla coscienza che a volte gli impediva di respirare liberamente. Zi' Antonio era la coscienza di una sensazione dolorosa. Era il dolore che rimaneva dalla scomparsa di una ragazza ventenne, sprofondata nel buco nero dell'ignoto e ora anche dell'oblio. Ad un anno di distanza, i biglianesi non ne parlavano più. Preferivano dimenticare, "roba vecchia, ormai!". “Possono mai essere roba vecchia il dolore, l'assenza e l'amarezza?” “Se il tempo fosse scorso a ritroso e si fosse ritornati ai tempi dei briganti, il paese si sarebbe mobilitato. Si sarebbe battuto il territorio, nei boschi come sulle montagne”, 193 pensò Verrastro. Esisteva un senso di appartenenza, che solo il cinismo della modernità aveva saputo sconvolgere. Esisteva una coscienza della comunità. Soprattutto, il ricordo sarebbe rimasto impresso nella memoria degli uomini. L’inchiesta di Rocco Verrastro De Stefano e Verrastro si erano lasciati lentamente coinvolgere nel caso di Mariella. I due stavano seguendo un interessante percorso investigativo. I dubbi erano ancora tanti e soprattutto nessuna certezza che le cose si fossero svolte realmente in quel modo. “Perché le indagini si erano arenate? Cosa aveva spinto Trapanese a fermarsi? Aveva subito delle pressioni? Da parte di chi? Perché Turtino avrebbe preferito non sapere?” Un oceano di interrogativi agitava la mente dei due improvvisati investigatori. Verrastro rifletté a lungo sui passi da compiere. Per prima cosa bisognava conoscere i motivi, che avevano spinto Trapanese a sotterrare l'inchiesta. Decise di contattare un suo fidato informatore al palazzo di giustizia. "Cifarì, puoi parlare?", chiese Verrastro al telefono. "No, no…mò no. Non posso parlare. Vediamoci stasera". "Dove? Al Francioso?" "No, al Francioso no. Troppo vicino al palazzo di Giustizia. Vediamoci al Blue Lion". "Va bene, Al Blue Lion. A Stasera". Era stata breve la telefonata che Verrastro aveva 194 fatto a Nicola Di Biasi, che tutti in tribunale chiamano Cifaricchio. Adora il peperoncino piccante, il cifaricchio appunto. Lo usa dappertutto, sulla pasta, sulla carne e perfino sull'insalata. Di Biasi è un coadiutore giudiziario. Prende mille e settecento euro al mese ma incrementa le sue entrate con le soffiate ai giornalisti. Se c'é un arresto oppure un avviso di garanzia importante, lo sanno prima i giornalisti e poi gli avvocati. Come concordato, lo incontrò la sera al Blue Lion, un locale piuttosto appartato, lungo la statale che porta a Melfi, all'altezza del bivio per Vaglio. Non voleva dare nell'occhio. "Cifarì, ti dico solo due cose. Mariella la bella di Bigliano e il sostituto Trapanese. Che mi puoi dire?" "Rocco, dentro la tana d'o’ lupo ti vuoi cacciare?" "Cosa sai, Cifarì?" "Vedi, il sostituto procuratore è un uomo di mondo, capisci cosa voglio dire?" "Spiegati". "Lui è attento a non pestare i piedi a chi non deve pestarli. Non è un fesso. Rimane sempre nel seminato della legge". "Mariella la bella, Cifarì?" "Ti posso dire quello che si dice". "Mi devi dire quello che è". "Ma quello ti costa, Rocco". "Non ti preoccupare. Vai avanti". "Ad un certo punto…" "Quale punto?" "Rocco, non far finta di non capire…da quando è 195 entrato nella vicenda il pezzo grosso, è diventato un casino". "De Cesare?" "Eh, il pezzo grosso". "De Cesare!" "In procura c'è stata grande agitazione. Apparentemente si è portato avanti il lavoro. In realtà, ha messo le cose a tacere". "Trapanese?" "Ha messo le cose a tacere". "Trapanese!" "Un gioco d'equilibrio veramente ardito, sul filo del rasoio". "Inciuci, chiamiamoli inciuci per essere precisi". "Si, giochi d'equilibrio". "Inciuci, Cifarì". "Comunque, mi servono un paio di giorni se vuoi sapere i dettagli". "Fammi sapere per il disturbo". "Ovviamente". "Ti chiamo io?" "No, ti chiamo io". Così fece. Un paio di giorni dopo, puntuale come un orologio, Cifaricchio chiamò Verrastro. Si diedero appuntamento nella trattoria di Zi' Minco. "Inizialmente l'ufficio di Trapanese ha lavorato sulla vicenda. Poi tutto è svanito nell’aria come una bolla di sapone". "La ragione, Cifarì?" 196 "La ragione ufficiale si fonda sull'impossibilità di verificare gli indizi raccolti". "Cifarì, me ne fotto della ragione ufficiale. Parla chiaro…" "In pratica, Trapanese non é stato capace di trasformare gli indizi in prove. Non é mai riuscito a provare il coinvolgimento di De Cesare. La famiglia e i suoi collaboratori gli hanno fornito l'alibi". "E le testimonianze?" "Si, è vero c'erano le testimonianze ma non erano attendibili al cento per cento". "Ma non può essere che tutto sia finito in una bolla di sapone", sospirò con amarezza il giornalista potentino. "Non è tutto". "Cifarì, siamo alle solite". "Mi devi dare qualcosa in più". "Parla, non ti preoccupare". "C'è dell’altro ma questo ti costa". "Vai, tranquillo" "Qualche tempo dopo il coinvolgimento di De Cesare, Trapanese ricevette la visita di De Rosa, dirigente della provincia di Potenza, un uomo di De Cesare”. "Come se Trapanese avesse ricevuto la visista di De Cesare in persona". "Più o meno. Inizialmente, non lo voleva incontrare". "E poi…" "E poi il topo è venuto a casa del gatto. La posta in gioco era troppo alta per lasciare che il topo si facesse prendere dal gatto". 197 Cifaricchio proseguì il racconto e riferì le pressioni subite da Trapanese. "Ha ricevuto una telefonata. Non mi chiedere cosa gli è stato detto perché non lo so. Tuttavia, sta di fatto che dopo quella telefonata l'indagine è come se avesse perduto forza". "Perduto forza…dici". "Il sostituto procuratore era turbato". "Pressioni? Da chi? Questo che mi interessa sapere, cifarì". Cifaricchio farfugliò alcune parole, che Verrastro non comprese. "Non ti capisco cifarì. Quando parli per iperboli e parabole, io non ti capisco". "Ti dico solo una cosa. Tribunale di Napoli". "Tribunale di Napoli?" "Tribunale di Napoli…e mò…basta. Statte Buono, Verrà". Rocco rimase in silenzio. Era esterrefatto. Benché non fosse più l'ingenuo idealista dei tempi dell'università, stentava a credere alle sue orecchie. Si chiese fin dove sarebbe stato possibile raschiare il fondo del barile. Diede quanto pattuito a Cifaricchio e andò via. Lasciò il suo bicchiere di birra a metà sul tavolo. Tornato a casa, telefonò a De Stefano. "Maresciallo, qualche tempo fa mi aveva accennato a uno zio di Gianni Calenda, che vive a Napoli". "Si, ricordo". "Mi dovrebbe raccontare tutto quello che sa sulla famiglia Calenda". "Perché? Ci sono novità?" "Potrebbero esserci delle novità. Ho in mente un'idea che vorrei verificare. Avrei bisogno di informazioni 198 sulla famiglia Calenda e sul giudice, in particolare". "Su Giuseppe Calenda?" "Si". "Giuseppe Calenda, il giudice". "Si, le racconterò i dettagli quando ci vedremo". “Stiamo parlando di una delle famiglie più in vista di Bigliano”, esordì De Stefano, “grande passione per il denaro ma niente avarizia. Giocavo spesso con la buonanima di don Vito Calenda, un vecchio signorotto ma, tutto sommato, una brava persona. Niente a che vedere con i suoi figli". “Marescià, a parte don Vito, che, pace all’anima sua, non c’è più, che cosa sa di loro?” “Sono una famiglia numerosa, come erano le famiglie di un tempo. Don Vito ebbe sei figli, due morirono e quattro sono ancora vivi. Uno solo sta a Bigliano. Il più in vista dei quattro è il giudice, che sta a Napoli. Di lui si dice tutto e il contrario di tutto. Qui, a Bigliano, vive anche il nipote di don Vito, Gianni, un bravo ragazzo, ma sostanzialmente un ciuccio tirato a capezza”, argomentò De Stefano, che si fece una larga risata dopo avere sottolineato la debolezza di Gianni. “Gianni", continuò il maresciallo, "ha sposato Camilla Telesce, figlia di Dantino Telesce, molto discusso a Bigliano per la sua attività di usuraio. Lo sanno praticamente tutti, ma nessuno lo ha mai denunciato". "E i carabinieri?" "Lo sanno anche loro ma non sono mai riusciti a coglierlo sul fatto. E’ un uomo estremamente abile, un vero delinquente, dal mio punto di vista”, aggiunse De Stefano in maniera tranciante. Si soffermarono su alcuni episodi particolari, che 199 avevano visto i Calenda protagonisti. Il matrimonio di Gianni attirò la curiosità di Verrastro, giacché De Stefano finì con il menzionare, oltre a “quel delinquente di Dantino Telesce” anche il dottor De Cesare, che era stato il testimone dello sposo. "De Cesare stava al matrimonio di Calenda?" Chiese conferma Verrastro. "Era il testimone di Calenda". Nella mente del giornalista potentino, iniziarono a farsi largo una serie di ragionamenti che collegavano gli individui già sentiti nominare in relazione alla scomparsa di Mariella. Verrastrò ringraziò il maresciallo e lo congedò con la promessa che si sarebbero risentiti presto. Si ritrovò da solo a casa a pensare. “Devo mettere qualcosa sotto i denti”. Prese quattro fettine di breasola e le infilò in un panino, vecchio di due giorni. Pensò ai suoi amici. “Ho bisogno di un favore”. Rocco afferrò il telefono e chiamò Franco, compagno del liceo, con il quale, ogni tanto, si vedeva per una birra e per ricordare il vecchio professore di greco. L'ultima volta avevano parlato di Filita. “Un ossuto letterato che metteva le pietre in tasca per non farsi portare via dal vento”. Probabilmente non era vero, ma il professore di greco l'aveva raccontata così. Franco é assistente di storia moderna alla facoltà di lettere dell'università della Basilicata. Grande esperto di massoneria e brigantaggio nell'Italia meridionale, sarebbe rimasto assistente a vita se non fosse riuscito a trovare uno stronzo, pronto a dargli una mano. 200 "È davvero un piacere sentirti, Rocco!" "Vorrei sapere se alcune persone, che tra qualche secondo ti citerò, fanno parte di associazioni di mutuo soccorso, club filantropici…insomma, hai capito". "Ho capito, ho capito…" Rocco fece i nomi del sostituto procuratore Trapanese, del giudice Giuseppe Calenda e del consigliere provinciale De Cesare. La risposta di Franco fu molto eloquente. "Ti occupi di gente altolocata, amico mio". "Più vai in alto e più puoi vedere il sole", rispose in maniera sibillina Verrastro. "Fai attenzione a non scottarti", rispose l'amico, dall'altro capo del telefono, "comunque, ti farò sapere non appena possibile". Rocco si distese sul divano. Tirò fuori una sigaretta dal pacchetto di Marlboro e la fumò tranquillamente. Si appisolò con la sigaretta tra le labbra e l’accendino in mano. Era esausto. Gli impermeabili di Paolo Conte Qualche giorno dopo, Rocco ricevette la telefonata di Franco. “Ho diverse novità ma che ne dici di offrirmi una cena in cambio? “Posso dire di no?” “No, non puoi dire di no”. “Allora stasera da me alle otto e mezza. Ti va bene?” “Benissimo. A Stasera!” 201 Verso le sei, Rocco uscì dalla radazione. Lo fece in anticipo rispetto alle sue abitudini. Doveva fare la spesa e rimettere in ordine il suo appartamento. Giunto a casa, si mise al lavoro. Liberò il grande canape lit grigio tortora, situato tra il tavolo e la parete opposta alla cucina, da libri e plaid e sistemò due cuscini. Ripulì il pavimento di grandi mattoni beige da bicchieri e giornali e sistemò alcuni CD per terra, nelle custodie, accanto all’impianto stereo. Girò la poltrona rossa davanti allo stereo, in posizione frontale rispetto al televisore, che si trovava dal lato opposto, su un mobilecarrello. Ripose alcuni libri, che erano sul tavolo, sulla grande libreria, che prendeva più della metà della parete, di fronte al canapé-lit. Accese anche un po’ d’incenso, legno di sandalo e cannella per rinfrescare l’ambiente dal puzzo di fumo delle tante sigarette, fumate nelle notti insonni. Finalmente si mise ai fornelli, dando sfogo alla sua abilità di cuoco. L’appartamento di Rocco si trovava in via Torino, nei pressi del Centro Salesiano di piazza Cagliari. Il giornalista potentino viveva da solo in un appartamento, acquistato qualche anno prima, di circa 95 metri quadrati, al secondo piano di un piccolo palazzo costruito negli anni ottanta. Il soggiorno e la cucina davano sull’ampio cortile d’entrata del palazzo, mentre le due camere da letto e il bagno si affacciavano sulla parte posteriore. Arredato con gusto sobrio e minimalista, l’appartamento non si discostava dallo stile di vita del giornalista. Anche il suo puntare dritto all’essenzialità trovava un preciso riscontro nell’arredo. La cucina era moderna e accogliente. Si estendeva su un’intera parete che comprendeva nell’ordine un frigo in metallo alto, un mobile dispensa rettangolare, anch'esso alto, un lavello compreso tra un piccolo piano di lavoro, dove campeggiava una bella macchina per il caffè espresso e un piano di cottura. Vi erano, inoltre, il forno a metano, a sua volta sovrastato da scolapiatti e credenza. Sulla parete opposta, nell’angolo tra il balcone, che si affacciava sul cortile, e la porta che dava sul soggiorno, vi era l’angolo Breakfast. Consisteva in un tavolo-mensola, rettangolare, alto, con due sedie a sgabello girevole alte e 202 rosse. Sul tavolo un tostapane e un set all’americana. Al di sopra, alcune mensole sulle quali erano state sistemate tazze e bicchieri, che coloravano l’ambiente. Poi qualche libro di cucina e due sedie. Al centro della stanza una piccola isola, quadrata, con due cassetti porta pentola, da un lato, e due sedie colorate, dall’altro. Erano di design moderno, di acciaio e plastica, esattamente come i due sgabelli. Rocco usava l'isola sia come piano di lavoro, che come tavolo da pranzo, a seconda delle esigenze. Dalla cucina si accedeva al soggiorno dove campeggiavano due vecchie insegne di metallo dei primi del novecento. La prima era di un’improbabile publicità di un autofficina londinese, la seconda di una marca di un liquore francese, acquistata in un mercatino delle pulci di Parigi. Rocco le aveva fatte restaurare e le aveva appese lui stesso al muro, dopo averle impietosamente lasciate nascoste per mesi in un angolo della casa. Anche il soggiorno era arredato, come il resto della casa, con mobili semplici. Era il luogo più grande dell'appartamento. Di fatto Rocco viveva lì, quando era in casa. L’aveva dipinto lui stesso in beige-taupe dominante. Il lungo tavolo che occupava l’angolo, tra la cucina e il balcone, era in noce, e insieme alla credenza, in ciliegio chiaro, erano in arte povera. Nel senso che erano mobili di povera gente, ereditati dai nonni paterni. Mentre cucinava, Rocco ascoltò un vecchio CD di Paolo Conte, che cantava Gli impermeabili. Rocco amava la musica ma, al contrario dei pseudo-intellettuali della Potenza bene, preferiva il pop e il soul, con l’eccezione di Paolo Conte. Lavò la bietola e la taglio a pezzi. Tritò i piccoli pezzetti di bietola nel mixer che si trovava vicino la macchina espresso. Lasciò qualche foglia da parte, mentre il brodo di dado vegetale, che aveva preparato, bolliva. Preparò la padella con un misto di olio e burro, le porzioni di riso e aprì una bottiglia di vino rosè. Il giorno precedente aveva messo a bagnomaria in acqua un bel pezzo di baccalà essiccato per cucinarlo alla maniera aviglianese. Tirò fuori i pezzi di baccalà dall’acqua, li risciacquò sotto l’acqua corrente e li mise in una padella con l’olio a soffrigere. Prese un'altra padella e mise a soffrigere 203 l’aglio, che tolse via dopo qualche minuto. Preparò i peperoni cruschi. Versò i peperoni nel baccalà, facendolo insaporire. Aveva appena finito di rosolare le bietole ed il riso, irrorandoli con un goccio di vino rosè, quando sentì suonare alla porta. “Ciao, bello!” Lo salutò Franco. “Vieni”, disse Rocco, “seguimi in cucina e serviti del vino che ho appena stappato”. “Buon odore, Peperoni cruschi”, annusò Franco,“questa sera ci sarà da leccarsi i baffi!” Aggiunse, mentre addentava delle fettine di soppressata. Dopo aver cenato, giunsero al punto. Franco iniziò a parlare. “Cosa ne sai della Fondazione Liberi e forti?” “La fondazione? Sapevo dell'esistenza di Liberi e forti quale associazione creata per migliorare le condizioni socio-culturali della Lucania. Una specie di Rotary club, di cui fanno parte imprenditori, avvocati, e liberi professionisti”, disse Rocco, con tono sorpreso. “Esatto! Liberi e forti è un associazione senza scopo di lucro nata negli anni ottanta, i cui volontari operano a favore dei meno fortunati. Creata subito dopo il terremoto, l’associazione si riproponeva di risollevare le sorti degli individui più colpiti da quella tragedia. Ha proseguito nell'impegno sociale a livello locale e con un'iniziativa in Albania". "Chi ne fa parte?" "Tutta gente facoltosa. Liberi professionisti, avvocati, commercialisti, giudici, medici, professori universitari, imprenditori, dirigenti pubblici e privati. Ci sono anche mogli di politici, tra cui assessori provinciali e consiglieri regionali. Il Presidente dell’associazione è il dottor D'Angheo, cardiochirurgo presso l'ospedale di Potenza. 204 L’amministratore è il dottor Adiletta, commercialista, amico di politici e imprenditori locali". “Fin qui, nulla che mi sorprenda”, disse Rocco, accigliando la fronte. “Aspetta…siamo solo all’inizio. Passata l’emergenza del terremoto, l’associazione, nata con le più nobili intenzioni, grazie all’impegno del suo ideatore, venuto a mancare alla fine degli anni ottanta, si è trasformata, di fatto, in una specie di società di mutuo soccorso". "Niente che continui a stuprimi". "Fin qui non ci sarebbe nulla di male, se avesse continuato a servire il prossimo. Il problema è che si servono solo gli interessi dei propri membri oppure degli amici e dei parenti dei membri. Le azioni si sono svuotate del loro originario contenuto socio-umanitario. Si prova a far assumere il figlio di tizio oppure a dare l'appalto a Caio" spiegò Franco. “Capisco, una spruzzata di perbenismo che li rende quasi surreali", commento Rocco, acido. "Non è tutto! Non tutti sanno che esiste una fondazione intitolata a Giacomo Racioppi, creata negli anni novanta e legata a doppia mandata con l’associazione Liberi e Forti". "Non ricordo….", sospirò Rocco. "All'epoca, eri ancora a Pisa. C'era fermento e speranza. Molti credevano di avere una possibilità di emergere dall'isolamento culturale. Anch'io ci credevo". "Tu?" "Già…perfino io", sorrise Franco. Lo sguardo di Rocco si perse sulle luci della città, dormiente, che si nutriva di speranze perdute e di illusioni senza radici. 205 “La fondazione ha lo scopo di raccogliere e amministrare fondi, finanziare progetti e assegnare premi. Insomma, tutte le iniziative che puoi immaginare essere proprie di una fondazione”, disse Franco, riprendendo il racconto, interrotto pochi istanti prima. “Non mi è chiaro il legame tra la Fondazione e l’associazione Liberi e Forti”, esclamò Rocco. “Un po’ di pazienza, Rocco", rispose Franco, riprendendo dal punto in cui era stato interrotto. "L’associazione Liberi e Forti, promuove progetti di carattere sociale. Si tratta essenzialmente di soldi pubblici. Finita l’emergenza provocata dal terremoto, ha diversificato la sua attività, occupandosi della gestione delle mense, dei centri di accoglienza e, ultimamente, anche della cooperazione con i paesi in via di sviluppo. Questa è la sua attività…diciamo, pubblica". "Attività pubblica?" "Si, pubblica, perché ne esiste anche una…diciamo, privata". "Attività privata?" "Si, privata. Da non sottovalutare, peraltro. La fondazione invece ha lo scopo di raccogliere e gestire fondi per la rinascita culturale della regione. In questo caso però, non si tratta di soldi pubblici”, ammiccò Franco. “Questa si che è una sorpresa! In una regione dove anche le imprese private vengono finanziate con i soldi pubblici, prende piede un'iniziativa privata?" “Già! È proprio cosi. La fondazione, oltre al lascito del suo creatore, che consiste nel palazzo Carretta, sua sede legale, raccoglie e amministra fondi provenienti da donazioni private di professionisti e imprenditori. Ha una sua struttura operativa, che gestisce diverse iniziative. Ha un consiglio d’amministrazione, che pianifica, programma e controlla le 206 attività, decide delle relazioni esterne, della raccolta fondi, del patrimonio e tutto il resto”. “Mi sembra che sia tutto normale”, aggiunse Rocco. “Solo in apparenza, Rocco! Solo in apparenza!" "In apparenza?" "In apparenza tutto sembrerebbe in regola ma vi sono delle cose che non lo sono. Alcuni membri dell’associazione Liberi e Forti fanno parte del consiglio d’amministrazione della fondazione o della sua struttura operativa". “Al tempo, Franco! Stai cercando di dirmi che il procuratore Trapanese, il Giudice Calenda, e il Consigliere De Cesare sono nel direttivo della Fondazione?” “Non esattamente", disse Franco. "Allora, non capisco", rispose Rocco. "Si tratta di una rete più complessa di rapporti". "Una rete più complessa di rapporti?" "Il giornalista sei tu, Rocco! Tocca a te indagare e tirare le conclusioni". “Chiaro! C’è dell’altro?” Chiese Rocco. “Il procuratore Trapanese, in effetti, fa parte del consiglio d’amministrazione ed è anche membro dell’associazione Liberi e Forti. Il giudice Calenda di Napoli invece è tra i donatori della fondazione ed è spesso coinvolto nelle attività di quest’ultima, per esempio giurie e commissioni. De Cesare è invece membro dell’associazione Liberi e Forti e la figlia lavora tuttora in alcuni progetti di formazione, sia dell’associazione che della fondazione.” “Si tratta di elargizione di favori a politici o a clientes in cambio di finanziamenti. Questa è la normalità. Non mi 207 sorprende". "Già!" Commentò laconicamente Franco. "Quello che, invece, non mi convince è il flusso di donazioni privati alla fondazione. Chi ha interesse ad investire e per quale scopo?" “Potrebbe esserci un gruppo di potere trasversale, non costituito organicamente ma legato da forti relazioni affaristico-opportunistico che agisce usando questi istituti senza scopo di lucro dall’interno. Manipola le persone che ne fanno parte per la realizzazione dei propri interessi. Una sorta di mutuo soccorso a beneficio degli appartenenti alla rete". "I nomi, Franco. Puoi procurarti i nomi?" "Sono riuscito a procurarmi l’elenco dei membri, dei donatori, degli impiegati e del consiglio d’amministrazione dei due istituti e di un altro paio di associazioni regionali. Tieni, leggi…”, disse Franco, porgendo i documenti a Rocco. “Come hai fatto a procurarti le liste?" Chiese Rocco, mentre sfogliava i fogli con la voracità tipica di chi vuole sapere. Sfoderando un largo sorriso, Franco rispose, “sei stato fortunato! Ho dovuto esercitare il mio fascino su una ex-borsista, ora impiegata alla fondazione, che aveva un debole per me ai tempi dell'università. Le ho detto che ne avevo bisogno per una ricerca e ha funzionato". "Una ricerca? Ottima scusa!" "In realtà non si è trattato solo di una scusa. Penso davvero di occuparmene in uno studio sull’associazionismo e sui legami tra la società civile e la massoneria. Sto raccogliendo dati, che non ho ancora elaborato. Aspetterò la fine dell’anno accademico per dedicarmi". "Molto interessante!" "L’associazionismo è uno strumento che permette 208 di sfruttare i legami con le istituzioni. Resterai sorpreso della rete fitta di relazione tra le varie sorelle. Si tratta di piccole cellule, gruppi di due o tre membri, che si ritrovano in vari istituti e che insieme formano una famiglia. Controllano e utilizzano il potere, che gli deriva dalla posizione che hanno e dalle informazioni che riescono ad avere. Lo fanno per attuare i propri interessi e le proprie ambizioni. È un processo che ha gradi di consapevolezza diversa a seconda del livello culturale, sociale e della posizione delle persone". "Sarebbe ancora più interessante elaborare i concetti che hai espresso al livello degli individui collegati con il caso di Mariella la bella". "Nel caso del giudice Calenda e del sotituto Trapanese il livello di consapevolezza è alto. Nel caso di De Cesare non ne sarei troppo sicuro. A volte da l’impressione di essere un imbecille arrivato oltre le proprie possibilità. Non parlerei di un gruppo massonico vero e proprio, bensì di una confraternita i cui membri s’impegnano l’uno al servizio dell’altro". "Interessante!" Esclamò ancora una volta Rocco. "Non sai dire altro che interessante. Non mi hai ancora detto a cosa ti servono le informazioni che ti ho dato. Non che voglia saperlo, però…" “Ti racconterò tutto quando avrò le idee più chiare. Te lo prometto. Sono sicuro che dalle tue informazioni ricaverò elementi importanti. Posso dirti che tutto è iniziato con la scomparsa di Mariella”. Il giorno seguente, Rocco si mise immediatamente al lavoro. Avvertiva una forte tensione, pensando alle cose riferitegli da Franco e non vedeva l’ora di leggere con perizia i documenti che gli erano stati forniti. Rocco era persuaso da tempo che la procura avesse trascurato le indagini lasciando cadere nel nulla le piste più scottanti. “In questi documenti, troverò le risposte”. 209 Passò tutta la mattina a leggere. Lo fece fino all’ora di pranzo. “Franco ha ragione. La comparazione delle liste degli iscritti, dei collaboratori e dei donatori dell’associazione Liberi e Forti e della Fondazione Giacomo Racioppi in parte, coincide”. Era ormai evidente il quadro che stava emergendo, un vero e proprio comitato di affari. “Ciascuno ci guadagna personalmente oppure fa guadagnare una persona a lui vicina”. Parenti o amici di assessori, consiglieri e perfino onorevoli, giudici, avvocati e imprenditori. Si trattava di nomi che ritornavano costantemente nei documenti che Franco aveva procurato a Rocco. Rocco tracciò una mappa di quel sistema di scambio di favori fatta di cerchi o cellule. Ogni cerchio era composto da nomi, ed i vari cerchi erano legati tra loro da alcuni nomi-chiave. “Sono uomini, che occupano posti di potere, piccoli e grandi. Non esiste un centro. Si tratta di una struttura orizzontale”. Nella lista dei donatori della fondazione appariva anche il nome di Telesce. A Rocco vennero in mente le parole proferite da De Stefano. “Perché uno come Dantino Telesce effettua donazioni a favore della fondazione?” Non che fosse inusuale per gli imprenditori edili finanziare le attività culturali ma suonava quanto meno stonato che un usuraio finanziasse un'associazione senza fini di lucro. “È una contraddizione in termini”. Il nome di Dantino ronzava nella testa di Rocco 210 insieme a quello del giudice Calenda. “È lui, insieme a De Cesare, ad aver in sostanza mosso i fili dell’inchiesta giudiziaria”. In realtà, mentre sapeva il ruolo sordido giocato da De Cesare, ignorava i contorni precisi del ruolo svolto dal giudice. “È difficile stabilire il grado di coinvolgimento e responsabilità di Giuseppe Calenda”. Si rese conto che aveva assoluta necessità di parlare con De Stefano. Il suo archivio della memoria gli sarebbe certamente tornato utile per completare lo schema, che legava incontestabilmente tutti i personaggi della vicenda di Mariella. Si alzò dal suo tavolo di lavoro. “Devo prepararmi il pranzo. Ho il frigo pieno di provviste, che mi ha portato mamma”. Per un attimo dimenticò l’amara consapevolezza di una storia, in perenne attesa di giustizia. Il presepe di Don Sabatino Uno degli elementi caratteristici del Natale biglianese era il presepe preparato da Don Sabatino. Ogni anno, creava una nuova ambientazione e i biglianesi aspettavano la messa della vigilia per vederlo. Gianni ci andava con Camilla, il padre, Sesto e la madre, donna Luisella. I Calenda occupavano il primo banco alla sinistra dell’altare, mentre i Di Cillio si disponevano a destra, fatta eccezione per Simone, che era democratico e che si confondeva con i comuni biglianesi. Ziza ci andava insieme alla moglie. ‘A bionda ci teneva ad arrivare in tempo per occupare le file immediatamente successive alle prime e poter incrociare lo sguardo di Gianni. Ciaramella, invece, odiava le prime file. Si 211 posizionava generalmente nel corridoio tra la prima e la seconda navata, sul fondo e possibilmente in piedi. Arrivava trafelato quando la cerimonia era già iniziata. Radiouno e Radiodue, invece, ci tenevano a mettersi non lontani dal sindaco Totonno Tortoriello. Dato che stavano aspettando il posto, avrebbero approfittato della vicinanza, per stringere la mano a Totonno, al segno della pace. A Giannino, che doveva leggere, spettava di diritto il posto in prima fila. A volte, capitava nei pressi dell'avvocato Di Cillio che, normalmente, la notte di Natale, indossava la giacca e la cravatta. Carmelina 'a napuletana seguiva l'intera funzione cantando, mentre Zi' Antonio seguiva la messa di Natale da casa, in televisione. Non era abituato a uscire di sera. Totonno, invece, a Natale di messe ne seguiva normalmente due e, se in prossimità delle elezioni, addirittura tre. La prima, la notte del ventiquattro, la seconda, la mattina di Natale alle undici, la terza, la sera alle cinque e mezzo. Ci teneva a fare gli auguri personalmente a tutti i biglianesi. Don Sabatino scelse di consacrare quella notte di Natale al ricordo di Mariella la bella. Bigliano l’aveva quasi dimenticata. Durante la predica, Don Sabatino menzionò la lettera di San Paolo Apostolo ai Romani, In realtà, l’ira di Dio contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto. Dio stesso lo ha loro manifestato. Le parole di San Paolo Apostolo si diffusero nel silenzio. Don Sabatino attese qualche attimo prima di ricominciare a leggere la lettera, Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Don Sabatino ripetè più volte la parola verità. Disse che tutti dovevano sentirsi colpevoli per la scomparsa di Mariella. In chiesa c’erano persone che dovevano sentirsi più colpevoli di altre. Non c’era De Cesare, ma c’era Totonno 212 Tortoriello, che non aveva esitato a seguire De Cesare, quando gli era stato chiesto di omettere la vicenda di Mariella. Avrebbe provocato un rallentamento dell’economia locale. C’era Gianni Calenda che era con Mariella la sera della scomparsa. C’era ‘A bionda che si era ben guardata dal rivelare il suo segreto, se non alla moglie di Pinuccio di Gina, che, a sua volta, aveva custodito il segreto di ‘A bionda. Lo aveva fatto per lealtà verso la sua amica, per paura o per indolenza? Anche Emanuele Tortoriello aveva ricevuto in custodia un segreto e non lo aveva rivelato. Per lealtà, per paura o per indolenza? Simone Di Cillio avrebbe potuto aiutare il sostituto procuratore nelle indagini, ma non lo fece. Al contrario, era ricorso alla menzogna per non essere coinvolto. E aveva costretto anche Giannino a mentire. Giannino, a sua volta, avrebbe potuto rifiutare, ma non lo fece. Per lealtà, per paura o per indolenza? Ziza per indolenza non si era mai preoccupato della vicenda di Mariella. Se ne era occupata Carmelina ‘a napuletana, ma non il ragioniere La Spina. Se ne sarebbe stato tranquillamente in silenzio se non fosse stato spinto a testimoniare. Ed era stata lealtà, paura o indolenza a spingere Trapanese ad interrompere le indagini? La notte di quel Natale erano tanti i colpevoli che si trovavano in chiesa. Ognuno di loro ascoltò le parole di Don Sabatino. Gianni Calenda strinse la mano alla moglie Camilla, mentre ‘A bionda piegò la testa sulla spalla di Ziza. Emanuele Tortoriello si avvicinò al padre. Simone e l’avvocato Di Cillio si inginnochiarono. Carmelina pensò a Zi’ Antonio che soffriva, in silenzio, davanti al caminetto. La pipa del caporedattore La settimana seguente, Rocco Verrastro telefonò a De Stefano. “Ciao Rocco, era un po’ di tempo che non ti sentivo. Iniziavo a preoccuparmi per te”, rispose il 213 maresciallo con tono canzonatorio. “Sono ancora vivo e vegeto, caro maresciallo. Almeno per il momento. La chiamo perché avrei bisogno che mi confermasse alcune informazioni che ho ricevuto”. “Ne deduco che stai ancora lavorando alla tua inchiesta”. “Diciamo piuttosto che sto procedendo per conto mio. Vedremo cosa ne penserà il mio capo, quando l’avrò terminata”, sospirò il giornalista “Ho l'impressione che al tuo capo non piaccia l'inchiesta. Se pensi che io possa aiutarti in qualche modo….”, gli propose generosamente il maresciallo. “Grazie, marescià! Certo che può aiutarmi", rispose Rocco, che poi aggiunse, “parlandomi di Gianni Calenda mi ha accennato alla moglie e alla famiglia di lei. Ricorda? I Telesce?" "Un delinquente", ribatté prontamente il maresciallo a riposo, confermado il pessimo giudizio che nutriva nei suoi confronti. " Mi disse proprio così…un delinquente!" “E lo confermo! Telesce ha una piccola impresa edile e guadagna bene grazie al suo talento nelle relazioni interpersonali. Amministra un patrimonio notevole. Numerosi immobili, alcuni intestati alla figlia Camilla, una bella casa al mare a Maratea, usata per le vacanze da tutti i membri della famiglia, e un'altra casa a Napoli, che la figlia ha utilizzato da studente all'università". “La figlia Camilla, moglie di Gianni Calenda, é al corrente degli affari del padre?" “Non saprei. Ho la sensazione che Dantino si occupi direttamente della faccenda. Non credo si affidi a terzi. In un piccolo paese come Bigliano, prima o poi, si sarebbe venuto a sapere". 214 “Che lei sappia, hanno mai fatto beneficenza?” Chiese Rocco “Cosa? Beneficenza? Non mi ascolti allora?" Rispose De Stefano, risentito. "Si, maresciallo, voglio dire…" "Non c'è niente da dire. Non credo proprio che la parola beneficienza rientri nel vocabolario di Dantino”, replicò De Stefano. “Mi lasci finire, maresciallo. Voglio dire che, magari…non lui direttamente ma la figlia, Camilla, potrebbe aver fatto delle donazioni ad un'associazione culturale”, tentò di spiegare il giornalista. “Si tratterebbe di una clamorosa novità. Il denaro dei Telesce in beneficenza…” “Potrebbe essere un'iniziativa della figlia oppure del padre, che avrebbe usato quei soldi per stabilire contatti, procacciare affari…marescià, non mi sembrerebbe tanto strano". De Stefano tacque per qualche secondo. Quindi, esclamò, “Potrebbe…si potrebbero lavare i panni sporchi". "I panni sporchi?" "Il denaro sporco, Rocco". "Certo, il denaro sporco, certo, certo". "Ci sarebbero notevoli vantaggi”, suggerì il maresciallo dall’altro capo del telefono, "sai quanti ne ho visti di casi del genere in Sicilia. Occorre solo la giusta protezione". "Come dice? La giusta protezione?" "Certo, la giusta protezione. Altrimenti il gioco viene subito scoperto". " Il giudice Calenda, per esempio?" 215 “Non lo so. So che ogni estate trascorre una parte delle sue vacanze a Bigliano. Dimora nella vecchia casa di famiglia, insieme a Gianni e Camilla. Come puoi immaginare, i contatti con Dantino Telesce sono frequenti”. "Cosa si dice del giudice?". "Sembra un uomo tranquillo. La scorsa estate si è molto parlato della sua nuova Mercedes LSK. È stato uno degli argomenti di pettegolezzo preferito nel bar di Ciaramella. Ad alcuni é parsa un po’ eccessiva". "Si tratta di un giudice. Certe cose potrebbe anche permettersele", ribatté Verrastro. "Certo, potrebbe, ma non il giudice Calenda". Si é sempre mostrato come una persona normale, Quella Mercedes non era proprio nel suo stile". De Stefano non aggiunse altro. Verastro ringraziò il maresciallo a riposo con la promessa di risentirsi presto. Gli chiese anche di stare in allerta. "Come sempre", rispose il maresciallo. Ormai quasi tutti i tasselli stavano andando al loro posto. Vi erano, tuttavia, un paio di dettagli che dovevano ancora essere verificati. Era stato appurato il legame che legava il dottor De Cesare, implicato direttamente nella scomparsa, al sostituto procuratore Trapanese. Era evidente come l'altro personaggio, direttamente implicato nella scomparsa, Gianni, fosse legato al giudice Calenda da uno stretto rapporto di parentela. Il giudice, a sua volta, poteva aver esercitato delle pressioni sull'amico procuratore Trapanese, responsabile delle indagini, come confermato dalle confidenze di Cifaricchio. La fondazione ma ancor di più l’associazione Liberi e forti costituiva il trait d’union tra tutti i protagonisti della vicenda. Il quadro era quasi del tutto chiaro ma restavano ancora delle domande. 216 “Il giudice Calenda perché si é esposto a tal punto in questa vicenda? Per fare un favore al nipote, salvaguardare il buon nome della famiglia evitandole uno scandalo?” Restava, inoltre, il mistero dell'appartamento al mare. “A chi appartiene? È lo stesso in cui sono andati Mariella e gli altri, la sera della scomparsa?” Dantino Telesce ne possedeva uno, che la sua famiglia utilizzava per le vacanze. "Un'inchiesta seria non avrebbe impiegato molto tempo per appurare queste circostanze in relazione alla scomparsa di Mariella", pensò Verrastro. Intanto, aveva quasi completato il suo servizio. Prima, però, di passare al montaggio, ritenne che fosse giunto il momento di parlarne al caporedattore, consapevole che la sua personale indagine avrebbe potuto sconvolgere gli ambienti del potere potentino. “Vieni”, gli disse il caporedattore quando vide Rocco affacciarsi sulla porta del suo ufficio. “Ricordi il caso a cui stavo lavorando?" Esordì Rocco. "Veramente, ora…" "Si tratta del caso della scomparsa di Mariella la bella”, rispose Rocco, resosi conto che il caporedattore lo aveva completamente dimenticato. "Ah, si…", esclamò il caporedattore, con la pipa spostata sull'angolo destro della bocca. Finse di ricordarsene, facendo un gesto vago. “Dimi, dimmi…" Rocco fece una sintesi dei risultati raggiunti. Il caporedattore, dall’altro lato della scrivania, lo guardò 217 incredulo, mentre continuava a muovere la pipa, da un lato all'altro della bocca. “Lasciami pensare, Rocco. Ti rendi conto di quello che potrebbe provocare il risultato di questa tua inchiesta? Altro che il terremoto del 1980! E, francamente, questa regione ne ha già avuti troppi di terremoti". "A volte i terremoti servono a rimettere le cose a posto. Si verificano quando ci sono situazioni di disequilibrio nel terreno", rispose Rocco. "Prima di provocarne uno deliberatamente bisogna pensarci un attimo. Ti rendi conto delle conseguenze? Per non parlare di come questa vicenda finirebbe per ripercuotersi sul nostro lavoro". “L’unica provocazione che vorrei suscitare è il senso di giustizia. Vorrei risvegliare un'opinione pubblica sedata", rispose Rocco, indignato. “Sei ancora giovane, Rocchino! Lascia fare a me che ho i capelli bianchi. Fra qualche giorno ne riparleremo. Intanto, occupati di questo servizio sulla produzione dei fagioli secchi”, gli propose il caporedattore. "Ci risiamo. Questa volta si tratta di fagioli secchi”, esclamò Rocco, con tono sarcastico, uscendo dall’ufficio. Ne aveva abbastanza di quel becero giornalismo da quattro soldi, asservito ai potenti. Decise che avrebbe fatto a modo suo quella volta. Animali da pelliccia De Stefano aveva letto, sul Quotidiano della Lucania, un articolo che ad un anno dalla scomparsa di Mariella la bella faceva il punto sulla situazione investigativa. Un brivido gli corse lungo la schiena. Bianco in volto tanto era rimasto 218 impressionato dalla lettura. Solo Verrastro aveva potuto scriverlo anche se l'articolo portava la firma di Carmine Crocco. Quando Verrastro giunse nei pressi della sua proprietà, De Stefano gli andò incontro, tendendogli la mano. “Vieni accomodiamoci qui", gli disse, indicandogli le sedie sotto il pergolato. Mentre Rocco si sistemava sulla sedia di vimini, il maresciallo portò due birre. “Grazie”, rispose Rocco, con un tono che lasciava intendere che i suoi ringraziamenti non si limitavano alla birra, bensì a tutto il lavoro, che De Stefano aveva svolto per lui. “Non ho visto il tuo servizio in televisione. Vuoi vedere che è andato in onda proprio mentre dormivo? Accidenti! Avevo detto a mia moglie di svegliarmi….". Rocco rimase per alcuni attimi in silenzio. Alzò la testa e iniziò a parlare. “Mi scusi se non mi sono fatto sentire prima. È stato un momento in cui ho dovuto prendere una decisione difficile”. “Non preoccuparti, io non ho fretta. Le cose scorrono con lentezza e io sono abituato a vederle scorrere secondo i loro tempi". "A volte non scorrono affatto…", rispose Verrastro. “Qualche giorno fa sul Quotidiano, ho letto uno strano articolo sul caso di Mariella, firmato da un certo Carmine Crocco" Verrastro sorrise. De Stefano, invece, continuò nelle sue osservazioni. “È giunto alle tue stesse conclusioni. Incredibile!" 219 “Il mio servizio su Mariella, marescià, non ha mai visto la luce perché non me l’hanno mai fatto neanche montare. Il mio caporedattore è al servizio di quei bastardi. Ha paura di mettersi contro il potere. D'altra parte non si troverebbe in quel posto senza l'appoggio delle canaglie che ora lui deve tutelare". "Mi dispiace". “Avevo il dovere di trovare una strada alternativa e sono andato fino in fondo. L’ho fatto per Mariella ma soprattutto per uomini come Zi' Antonio. Loro sono gli unici che rispettano una terra dove uomini rapaci si nutrono del sangue, della carne altrui e poi ne indossano le pelli. L’ho fatto anche per me stesso. L'atteggiamento del caporedattore mi ha spinto a proseguire. Ho il diritto di sollevarmi rispetto a questo letamaio di carcasse umane". Il maresciallo a riposo annuiva, mentre Rocco si sfogava, passeggiando nella vigna. E camminando, continuava a sfogarsi. "In Lucania esistono associazioni e fondazioni di cui fanno parte giudici, liberi professionisti, medici, professori universitari, imprenditori e finanche politici. Apparentemente non vi é nulla di illegale. Al contrario, sembrerebbero tutte create con intenti filantropici. Hanno, invece, creato una sorta di rete, che porta benefici ai loro amici e parenti. Il caso di Mariella si svolge in questa rete. Il procuratore Trapanese, il consigliere provinciale De Cesare, il Giudice Calenda e finanche Dantino Telesce fanno parte della rete". “Dantino Telesce?” Ripetè De Stefano strammato. “Si proprio Dantino Telesce". "Beh, mi sembra strano, Telesce è uno che non regala niente", fece notare il maresciallo a riposo. "Infatti, non regala i propri soldi. Una parte dei guadagni provenienti dalla sua attività di usuraio viene ripulita e rinvestita, attraverso la figlia, Camilla, moglie di Gianni 220 Calenda. Il denaro viene devoluto in beneficenza a favore di una nota fondazione culturale. Dantino, ovviamente, ne guadagna in favori, gare d'appalto, per esempio". De Stefano che, intanto era costretto a camminare avanti e indietro per la vigna, per seguire il dicorso di Verrastro, osservò, “Dantino é molto generoso con i suoi amici". “Sicuramente! Non è escluso che anche l’acquisto della macchina del giudice Calenda sia stato agevolato proprio da Telesce", sottolineò Rocco, che aggiunse, "Mariella ha avuto la sfortuna di trovarsi sulla strada di uno di questi personaggi". “Già! Mariella si era forse illusa di poter entrare a far parte di quel mondo ricco e bello, fatto di macchine lussuose, case al mare e feste. Aveva iniziato a frequentare De Cesare, che insieme a Gianni Calenda e alla sua amante avevano organizzato una festa nel loro appartamento di Maratea". "Ora sarebbe difficile dimostrarlo. È passato troppo tempo per ritrovare qualche traccia interessante", fece notare De Stefano. "Secondo quanto detto da 'A bionda, l’alcool e la droga devono aver fatto il resto. L’euforia del momento ha provocato una tragedia". “Perché non si trova il corpo di Mariella?" Chiese De Stefano. "Non lo sapremo mai. Potrebbe essere stata seppelita in uno dei cantieri di Telesce, per esempio. Gianni avrebbe potuto chiedere aiuto al suocero per sbarazzarsi del corpo. Potrebbe trovarsi in qualche discarica, oppure potrebbe essere stato abbandonato nelle vicinanze di Maratea”. "Non lo sapremo mai", confermò De Stefano. 221 "L'evoluzione della vicenda la conosce bene, marescià. Quando le indagini sono arrivate a coinvolgere il consigliere provinciale De Cesare, il procuratore Trapanese ha smesso di approfondire". "Capisco Rocco, sono stato in Sicilia. Non te lo dimenticare", replicò il maresciallo. Nell'istante i cui il maresciallo a riposo menzionava la Sicilia, si sentì una voce provenire dal cancello di entrata. “Buonasera, marescià!” Era Zi Antonio. “Vieni, Rocco, vorrei farti conoscere Zi' Antonio". Il giornalista gli strinse la mano e Zi' Antonio lo afferrò come avrebbe fatto con un figlio. Verrastro rimase sorpreso. I tre si sedettero sul muretto in pietra, che si trovava alla sinistra del cancello di entrata. La memoria involontaria, innescata dai profumi di quella primavera anticipata, portò i tre verso un mondo che non c'era più, ma che era bello ricordare. Zi' Antonio pensò al nonno con cui aveva piantato l'albero di ulivo. Aveva gli occhi lucidi di chi ha la consapevolezza del paradiso perduto. Improvvisamente, Zi' Antonio con la schiettezza tipica dei contadini, chiese a Rocco, “tu che sei un uomo di cultura, mi sai spiegare perché una bella giovane, come mia nipote, è scomparsa e nessuno ne sape niente?” Verrastro decise che Zi' Antonio aveva il diritto di sapere la verità che gli era sempre stata negata. "Mariella ha incontrato dei delinquenti vestiti da signori. E i signori hanno sempre vinto da che mondo è mondo", disse Rocco Verrastro a Zi' Antonio. "Era na' criatura…" osservò Zi' Antonio. "Probabilmente hanno approfittato di lei". “Che volete dicere?" 222 "Non so come siano andate le cose. Sono solo un giornalista. Posso supporre che Mariella, lavorando in discoteca, abbia conosciuto della gente che le aveva fatto delle promesse, facendole intravedere una vita facile, dove avrebbe potuto ottenere quello che desiderava. Invece, la vita non è cosi e lei lo sa bene”. Zi' Antonio ascoltò in silenzio. Lui, che era considerato un bifolco, aveva sempre avuto rispetto della gente perbene. Aveva sempre pensato che di loro ci si potesse fidare. Rimase di pietra. Poi si alzò, abbracciò di nuovo Verrastro, salutò il maresciallo a riposo e andò via. “Devo finire un lavoretto in campagna, prima di tornare a casa”. In realtà, andò via perché non riusciva più a trattenere le lacrime e non voleva piangere di fronte ad un estraneo. Giunto nella sua terra, si appoggiò all’ulivo del nonno e pianse. "Mariella è stata un animale da pelliccia", disse De Stefano, che poi aggiunse, "sai, Rocco…ci sono degli animali molto belli, che hanno una pelle molto bella. E ci sono uomini che non sono così belli. Che fanno questi uomini che non sono belli? Sopraffanno gli animali belli, gli rubano la pelle e poi la indossano. Hanno bisogno di quella pelle per sentirsi forti. Gli animali da pelliccia sono belli ma non possono difendersi. Sono deboli e fragili perché la loro pelle è delicata e pregiata. Sono costretti a seguire chi apparentemente sembra prendersi cura di loro. Vengono curati affinchè possano risplendere. Alla fine, vengono fatti morire per illuminare coloro che non sono capaci di risplendere di luce propria". "Siamo tutti animali da pelliccia in Lucania, caro maresciallo! Lo sono io, lo è lei, lo è stata Mariella e lo sono quasi tutti qui a Bigliano. Non lo sono i Calenda, non lo è Telesce, non lo è De Cesare…ma i vari Calenda, Telesce, De Cesare e pochi altri ancora hanno bisogno dello scalpo dei 223 biglianesi per continuare ad esistere. Non possono esistere per quello che sono. I biglianesi non possono essere liberati. Devono rimanere servi. Sono animali da pelliccia. Come i castori, le marmotte, i visoni, sono allevati per essere scuoiati. È stato così nel passato e sarà così negli anni a venire". "Finchè è possibile, bisogna lottare e non arrendersi mai. Il mio amico brigante Carmine Crocco ha lottato e lotterà fino alla morte", sentenziò De Stefano. “Come l’ha capito?” Chiese Rocco, sorridendo. “Quando ho letto delle presunte rivelazioni dell’amante di Gianni Calenda stava per prendermi un colpo. Ne avevo parlato solo con te. Chi altri poteva esserne a conoscenza?" “Il termine brigante è inteso, genericamente, come persona la cui attività è fuorilegge. Bene! Se questa è la legge, io posso considerarmi al di fuori della legge. Sono un brigante! Ho pubblicato l'articolo perché non volevo che anche questa storia finisse come tante altre qui in Lucania". “Ed ora cosa accadrà?" “Marescià, il futuro è nella mani di Dio. No, anzi, della Madonna di Bigliano!" 224