Le origini della Russia nella storiografia russa nel XVIII secolo

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Le origini della Russia nella storiografia russa nel XVIII secolo
associazione culturale Larici – http://www.larici.it
Wladimir Berelowitch
Le origini della Russia nella
storiografia russa nel XVIII secolo
Les origines de la Russie dans l’historiographie russe au XVIIIe siècle
20031
1 In Annales HSS, gennaio-febbraio 2003, n. 1, pp. 63-84. Traduzione: © associazione
culturale Larici, 2012. L’illustrazione mostra la dislocazione degli Slavi nei secoli VI-IX
(Enciclopedia Sovietica, Mosca 1983). La traslitterazione usata dall’Autore è quella
ufficiale, tranne che per la lettera russa “х”, resa con “h” e non “ch”: la si è corretta solo
nei notissimi cognomi Lichačëv e Chulkov (che sull’originale è Hulkov, Kulkov e Čulkov).
Cenni biografici sui numerosi studiosi citati nel testo sono reperibili sul sito www.larici.it.
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A metà del XVIII secolo, l’Accademia delle scienze di San Pietroburgo fu il
teatro di un conflitto storiografico, chiamato in seguito «questione tra
normannisti e antinormannisti», riguardante le origini della Russia e dei
Russi, che a sua volta si divise in tre domande: l’origine della nazione, ossia
di Slavi e Russi, quella dello Stato o della monarchia e l’etimologia della
denominazione dello Stato (Rus’).
Tale disputa perse progressivamente valore, fino al punto di scomparire
alla fine del secolo XIX per poi riemergere con forza durante il periodo
sovietico. La sua acutezza e la rilettura nazionalista nel XX secolo hanno
spesso fatto dimenticare che essa si inscriveva in una tradizione di
ricostruzione storica nazionale antica di secoli, più ampia e diversificata di
quanto generalmente noto. Inoltre, la questione delle origini doveva
occupare buona parte della élite russa più istruita durante la seconda metà
del XVIII secolo, per cui la posta in gioco superava il dominio cognitivo e la
sfera accademica. Qui metteremo in prospettiva le questioni intellettuali e le
rapporteremo ai contesti socioculturali e politici.
L’eredità
All’inizio del XVIII secolo, la tradizione storiografica russa applicata alle
origini nazionali era costituita da diversi livelli cronologici distinti che devono
essere brevemente richiamati. Il primo veniva dalla principale fonte, in
Russia, delle rappresentazioni storiche del passato, la Cronaca degli anni
passati, la cui scrittura si presume sia dell’inizio del XII secolo. Essa forniva
la maggior parte degli elementi che avrebbero poi alimentato tutte le
ricostruzioni storiografiche sulle origini dei russi2. Il suo autore, o gli autori,
iniziava in modo classico il racconto dalla dispersione delle nazioni e la
2 Citiamo questo testo celebre dall’edizione critica curata da Varvara Pavlovna AdrianovaPerec, Dmitrij Sergeevič Lichačëv e Boris Aleksandrovič Romanov (a cura di), Povest’
vremennyh let, vol. 1, Mosca-Leningrado, Literaturnye pamjatniki, 1950. [La traduzione
italiana della Cronaca è sul sito www.larici.it. (N.d.C.)]
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confusione delle lingue in seguito al diluvio e alla costruzione della torre di
Babele. Egli faceva risalire così, convenzionalmente, a Jafet l’ascendenza
degli Slavi, come quella di molte nazioni europee. La cronaca conteneva
anche una tabella «etnografica», da cui emergeva che le tribù dette slave
nel racconto provenivano dal Danubio e che esse si erano in seguito
disperse nella pianura dell’Europa orientale, pur mantenendo un linguaggio
comune e lasciando la loro designazione etnonimica a quelle stabilitesi a
Novgorod. I futuri Russi che, secondo la cronaca, non portavano ancora
questo nome, cioè la nazione che popolava il territorio chiamato Rus’ dopo il
IX secolo, erano identificati agli Slavi.
Inoltre, la cronaca sacralizzava le origini della nazione slava alla luce di
due relazioni di viaggio: quella dell’apostolo Andrea che, a voler credere agli
autori, era passato per il futuro sito di Kiev, dove aveva piantato la sua
croce e previsto l’edificazione di una città di grande pietà – allusione alla
futura cristianizzazione dei Kieviani da parte del principe Vladimir nel 988 –
e quella di San Paolo che vi passò andando in Moravia, così che fu
presentato come il primo evangelizzare degli Slavi, nove secoli prima di
Cirillo e Metodio.
Infine, dopo aver evocato, senza collocarla nel tempo, la fondazione di
Kiev, l’autore iniziò la cronaca propriamente detta dall’anno 853 (6361
dell’antico calendario) per arrivare quasi subito alla famosa «chiamata dei
Varjaghi», tribù scandinava che portava il nome di Rus’ e sarebbe stata
invitata dagli Slavi del Nord per governarli. Essi si installarono prima a
Novgorod sotto l’egida di Rurik, poi conquistarono Kiev, fondarono una
dinastia la cui autorità si estendeva da Novgorod a Kiev e trasmisero il loro
nome tribale a tutta la popolazione.
Così la Cronaca degli anni passati dava già una risposta alle tre questioni
di cui sopra: la nazione slava esisteva prima del I secolo d.C., senza
precisare né la sua antichità né il momento in cui si era dispersa lungo il
Danubio; le sue origini genealogiche risalivano all’origine delle nazioni, cioè
ai discendenti di Iafet; i principi russi erano dei Normanni e il nome Rus’
veniva dalla Scandinavia. Le diverse versioni della Cronaca non furono né
conosciute né tanto meno studiate prima dell’inizio del XVIII secolo, ma
furono integrate, per vari motivi, alle compilazioni successive di cronache. È
dunque questo corpo che, mantenuto sotto forma di manoscritto, costituiva
la base della memoria storica.
Il secondo livello risaliva ai secoli XVI e XVII, periodo in cui la monarchia
russa diventò un luogo centrale e autorizzato a scrivere la storia e in cui,
superando il quadro antico della cronaca, si arrivò a opere più elaborate,
destinate a legittimare le nuove rappresentazioni della monarchia3. A partire
dai cronografi, furono composti elenchi cronologici successivamente ai
modelli bizantini (il primo elenco, datato 1512, fu seguito da numerosi altri
fino al XVII secolo) e molti libri reali, tra cui i primi due vanno ricordati: la
3 Cfr. la sintesi, su tutto il periodo, di Lev Vladimirovič Čerepnin, Russkaja istoriografija do
XIX veka, Mosca, Università di Mosca, 1957, capp. 4 e 5.
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Cronaca dei principi di Vladimir, redatto tra il 1510 e il secondo quarto del
XVI secolo4, e il Libro dei gradi della genealogia degli zar, completato nel
1563 e forse ispirato da testi omologhi serbi del XIV secolo5.
Essi si distinguevano dalle cronache medievali per diverse caratteristiche.
Scritti come delle genealogie degli zar regnanti, Vasilij III o Ivan il Terribile,
inserivano il lignaggio dei Rurikidi in una catena cronologica che prolungava
la storia sacra, in modo che la storia del mondo fosse considerata un
continuum ben più strutturato che nella Cronaca degli anni passati, dove
c’era semplicemente un richiamo all’immediato dopo-diluvio. Inoltre,
dall’inizio del XVI secolo, quindi dalla Cronaca dei principi di Vladimir, i
principi russi furono dichiarati dello stesso sangue di Augusto (in quanto
diretti discendenti del suo presunto fratello germano Prus che avrebbe
ricevuto in regalo delle terre sul Niemen). Questa leggenda aveva, tra gli
altri vantaggi, quello di affermare l’antecedenza della casata principesca
russa sulla Lituania – rivale dei Moscoviti dal XIV secolo ed essa stessa
erede territoriale della Rus’, fino al punto di aver portato il nome: un’altra
leggenda faceva effettivamente risalire l’origine della nazione lituana ai
Romani fuggiti dalle persecuzioni di Nerone6. Nominati ufficialmente zar (o
cesari) dopo Ivan IV, che si era fatto incoronare con tale titolo, i principi
moscoviti trovavano un’ottima legittimazione imperiale in quanto risaliva al
primo imperatore romano. Il Libro dei gradi contiene delle lunghe trattazioni
al fine di stabilire un parallelo tra Augusto e san Vladimir, il cui nome era
letto conformemente alla sua etimologia popolare tardiva: «dominio del
mondo». E siccome Cristo era nato sotto il regno di Augusto, questa
parentela di sangue presunta e profana si doppiava in filiazione simbolica e
spirituale. Inoltre, questi testi non mettono in discussione l’insieme delle
rappresentazioni ereditate dal Medioevo, tra cui l’arrivo dei Normanni in
Russia e l’origine del nome Rus’.
Il terzo livello era dato da una tradizione polacca dei secoli XV e XVI,
presente in autori come Jan Długosz, Maciej Mechowski, Marcin Bielski e
Maciej Stryjkowski7. Essa cercava di stabilire le origini della nazione polacca,
e quindi degli Slavi, reinterpretando il decimo capitolo della Genesi
riguardante l’origine delle nazioni. Tali leggende pretendevano che l’antichità
degli Slavi, supposta risalente a oltre duemila anni prima di Cristo, facesse
loro uguagliare le altre nazioni antiche, soprattutto i Greci, per la loro
esistenza come popolo e la loro presenza in molte parti d’Europa in seguito
4 Cfr. la pubblicazione di questo testo in Rufina Petrovna Dmitrieva, Skazanie o knjaz’jach
vladimirskich, Mosca-Leningrado, Nauka, 1955.
5 Testo pubblicato in Platon Grigor’evič Vasenko (a cura di), Polnoe sobranie russkich
letopisej, vol. 21 (1 e 2), San Pietroburgo, M.A. Alexandrov, 1908.
6 Cfr. sull’argomento Aleksandr Sergeevič Myl’nikov, Kartina slavjanskogo mira: vzgljad iz
Vostočnoj Evropy. Predstavlenija ob etničeskoj nominacii i etničnosti XVI načalo XVIII
veka, San Pietroburgo, Peterburgskoe vostokovedenie, 1999, pag. 214-215.
7 Una sintesi concernente l’insieme di questi testi slavi è nell’opera di A.S. Myl’nikov,
Kartina slavjanskogo mira…, op. cit, e dello stesso autore, Kartina slavjanskogo mira:
vzgljad iz Vostočnoj Evropy Etnogenetičeskie legendy, dogadki, proptogipotezy XVInačala XVIII veka, San Pietroburgo, Peterburgskoe vostokovedenie, 2000.
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alla grande dispersione.
Principalmente focalizzata sulla questione sarmata, gotica e roxolana
(differenti nomi o rami degli Slavi, si crede), le ricostruzioni si alimentavano
di fonti antiche e moderne, compresi i testi contemporanei germanici, e
facevano comparire nipoti e pronipoti di Noè, promosso al rango di
ascendente diretto degli Slavi. Fu, secondo i casi, Asarmot (cioè Sarmata)
nella discendenza di Sem e, in quella di Jafet, di Riphath, Ashkenaz, Elishah
e Mosoch e i loro discendenti presunti (Alan, Vandal, ecc. ). Una di queste
tradizioni divideva il ramo slavo in due, uno polacco, risalente a Gomer,
figlio maggiore di Jafet, e uno moscovita risalente a Mosoch, uno dei figli
cadetti di Jafet, che aveva dato il suo nome a Mosca e ai Moscoviti. Da parte
sua, Stryjkowski riunì i due rami nella persona di Mosoch, in modo che i
Sarmati non si opponessero più ai Moscoviti. Infine, Bielski e Stryjkowski
fecero rivivere una leggenda, risalente forse alla metà del XIV secolo, che
autenticava l’antichità degli Slavi rivelando il loro valore guerriero e che fu
poi dimenticata; questa leggenda era contenuta in una carta che Alessandro
Magno avrebbe concesso agli Slavi nel 310 a.C. per i servizi resi in
battaglia; egli vi prometteva loro la pace, la sua protezione e tutte le terre
dal Mar Baltico al Mar Nero. Così gli Slavi si credettero nel mondo antico.
A questa produzione polacca si aggiunse un’opera posteriore, che,
tradotta dall’italiano in diverse lingue slave, diventò molto popolare in
Europa orientale: Il regno de gli Slavi, composto da Mauro Orbini, abate
benedettino di Ragusa e di origine serba8. Il libro, conosciuto prima in
Ucraina e poi in Russia nel XVII secolo, fu in seguito tradotto e pubblicato a
San Pietroburgo nel 17229. Le prime righe mostravano una idea già
presente in Stryjkowski ed ebbero successo. Mauro Orbini spiegava il motivo
per cui l’antecedenza e l’antica gloria degli Slavi, ossia il loro valore in
battaglia, erano passate quasi inosservate nella storia: perché la nazione
non aveva avuto studiosi e libri ma guerrieri, altrimenti la sua gloria
avrebbe superato quella di tutte le altre nazioni del mondo, dall’inizio dei
tempi10. Inoltre, l’autore ricorreva ai miti sulle origini degli Slavi,
sull’esempio dei Polacchi che egli cita per nome. Infine, Mauro Orbini si
interrogava sull’etimologia del termine «slavo» e citava, senza sceglierne
una, due ipotesi, il più delle volte ritenute oggi false: il termine veniva sia
da slovo (parola) e quindi significava l’unicità della lingua slava, sia da slava
(gloria) e perciò designava l’ardore guerriero della nazione.
8 Mauro Orbini, Il regno de gli Slavi, hoggi corrottamente detti Schiavoni, Pesaro, Girileano
Concordia, 1601. [Il libro è in http://archive.org/details/ilregnodeglislav00orbi. (N.d.C.)]
9 Mavro Urbini, Kniga istoriografija počatija imeni, slavy i rasširenija naroda slavjanskogo, i
ih carej vladetelej pod ličnymi imenami i so mnogimi carstvijami, korolevstvami i
provincijami; sobrana iz mnogih knig istoričeskih, črez gospodina Mavrourbina,
Arhimandrita Ragužskago, San Pietroburgo, 1722 Bisogna notare che il sottotitolo russo,
più lungo dell’originale italiano, non si accontenta di sottolineare che il libro tratta le
origini onomastiche delle nazioni slave, ma anche la loro «gloria» e la loro «espansione».
10 Il conflitto fra l’uomo d’azione e la storia (o il poeta) fu un topos del mondo antico,
soprattutto in Plutarco (Sulla gloria degli Ateniesi, 345, CF) e Sallustio (Della congiura di
Catilina, 8.3). Ringrazio François Hartog per avermi segnalato questo punto.
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L’episodio ucraino
A metà del XVII secolo, le opere polacche così come quella di Orbini
ispirarono numerosi scritti ucraini. L’antichità degli Slavi, il loro valore
militare, la carta di Alessandro Magno e il ruolo fondamentale di Mosoch
sono tutti luoghi comuni che emersero per contraccolpo, in virtù di un
fenomeno alle volte di imitazione e di opposizione, nei territori ucraini della
Polonia, in un’epoca in cui questa parte del regno entrava in secessione.
Essi figuravano, a diverso titolo, in molte cronografie e cronache, e
soprattutto nella Synopsis, un libro pubblicato forse per la prima volta a
Kiev nel 1674 e il cui l’autore si presume sia stato l’archimandrita del
monastero delle Grotte, Innokentij Gizel’11.
Scritto poco dopo l’annessione dell’Ucraina alla Russia (il trattato di
Andrusovo tra Russia e Polonia fu firmato nel 1667), questo testo è
rappresentativo di quella parte dell’élite ecclesiastica ortodossa che aveva
scelto di unirsi alla Russia per ragioni religiose, nazionali e politiche insieme,
e che, formata nella cultura polacca e spezzati gli strumenti concettuali dei
suoi avversari, placava le proprie ambizioni, nazionale e personale, nella
monarchia russa. L’archimandrita, in particolare, era stato in corrispondenza
con lo zar Aleksej Michajlovič. Così aveva avuto per obiettivo principale
quello di giustificare la storia, la «riunione» delle due Russie sotto la corona
di Mosca. Ciò è certo perché, dando un posto importante alla monarchia
russa, che in quella regione appariva come l’unico baluardo contro l’empietà
musulmana e cattolica, l’autore si interessava meno alla genealogia dei
principi e zar russi che alle narrazioni atte a stabilire la comunità di destino
delle due Russie.
Riguardo alle origini della nazione, il libro era prevalentemente una
raccolta elaborata sulla Cronaca polacca di Stryjkowski e sulla Historia
Polonica di Długosz12. Mosoch vi era presentato come il progenitore della
11 Sinopsis ili kratkoe sobranie iz različnyh letopiscev, o načale slavjano-rossijskogo naroda,
i o pervonačal’nyh knjazeh Bogospasaemago grada Kieva, i o žitii svjatago Blagovernago
Velikago Knjazja Kievskago i Vseja Rusi Pervejšago Samoderžca Vladimira…, s.l. n.d.
Questo libro era forse conosciuto in altre edizioni prima del 1674 e fu spesso ristampato.
Un’edizione critica del libro (nella sua versione del 1680) in fac-simile, è in Hans Rothe,
Sinopsis, Kiev, 1681, Colonia-Vienna, Böhlau Verlag, 1983, in H.B. Harder e H. Rothe (a
cura di), Bausteine zur Geschichte der Literatur bei den Slaven, «Verbindung mit R.
Olesch-Band 17», in cui la lunga introduzione fa il punto sulla storia del libro. Tra le analisi
dell’opera, si cita Sergej L. Peštič, «“Synopsis” kak istoričeskoe proizvedenie», Trudy
otdela drevnerusskoj literatury Instituta russkoj literatury, XV, 1958, pp. 284-298.
12 Sull’uso che fece Długosz di Stryjkowski, cfr. le opere di Aleksandr Ivanovič Rogov,
soprattutto «Maciej Stryjkowski i historiografia ukrainska XVII wieku», Slavia orientalis,
rocznik, XIV-3, 1965, pp. 311-329. Ringraziamo Andrzej Nieuwazny di averci comunicato
l’articolo. Per quanto riguarda le letture di Stryjkowski in Russia, cfr. Id., «Stryjkowski i
russkaja istoriografija pervoj poloviny XVIII veka» in S.A. Nikitin (a cura di), Istočniki i
istoriografija slavjanskogo srednevekov’ja. Sbornik statej i materialov, Mosca, Nauka,
1967, pp. 145-159 e Id. «Drevnerusskie perevody “Chroniki” Stryjkowskogo»,
Arheologičeskij ežegodnik za 1962 god, Mosca, 1963, pp. 206-214.
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nazione, che dette il proprio nome al fiume Moscova e quindi alla città di
Mosca13. Il suo nome è scritto in lettere maiuscole nella legenda di una
incisione che apriva il libro; da una selezione di citazioni della Bibbia, che
componevano la leggenda, la discendenza di Jafet, ossia i cristiani fra i quali
gli Slavi tenevano il posto centrale, era valorizzata e soprattutto prometteva
di occupare ampi territori secondo la preghiera di Noè (Genesi 9, 27), al
punto che Sem veniva eclissato. Nel primo capitolo del libro, gli Slavi,
discendenti diretti di Jafet, derivavano la loro gloria dall’antenato che, a
differenza del sacerdote Sem e del servo Cham, era stato destinato a
ricevere «lo stato reale, il coraggio guerriero e l’espansione della razza con il
suo nome». Essi si erano estesi ai quattro punti cardinali, figura tradizionale
dell’universalità imperiale14. A sostegno di questa tesi, l’edizione della
Synopsis del 1680 e le seguenti ripresero la leggenda della carta di
Alessandro Magno, arricchita di un fatto importante: l’imperatore Augusto
avrebbe rinunciato a fare la guerra agli Slavi a causa del loro valore15.
L’etimologia del nome stesso degli Slavi derivava dalla parola slava: «La
nazione (la stirpe di Jafet) si diffuse nei paesi del Settentrione, dell’Oriente,
del Mezzogiorno e dell’Occidente, superando tutti gli altri per la sua forza, il
suo coraggio e la sua bravura, terribile e gloriosa davanti al mondo (così
come lo attestano tutte le cronache antiche e autentiche) non praticando
null’altro che la guerra […] e presero il loro nome di Slavi, o gloriosi, per le
loro azioni di gloria, specialmente in combattimento16». Senza che l’autore
lo scriva in modo esplicito, suggeriva che, troppo occupati a battersi, gli
Slavi non si curarono di registrare i loro fatti d’arme. Questa tesi, ispirata
dagli autori polacchi e da Mauro Orbini, appariva anche in forma più
esplicita in un testo anonimo scritto tra il 1670 e il 1680 a Mosca,
contemporaneo alla Synopsis ma pubblicato solo nel XIX secolo17.
Tale ricostruzione nazionale si estendeva non alle radici genealogiche, ma
a quelle politiche e nazionali della monarchia russa. L’autore riprendeva
delle varianti tardive, di fonte probabilmente novgorodiana, della Cronaca
degli anni passati per affermare che la monarchia russa (o «autocrazia»:
samoderžavie) traeva le proprie origini dalla volontà della nazione. Infatti un
principe di Novgorod di nome Gostomysl era stato eletto dai suoi sudditi
slavi e prima di morire aveva loro consigliato di chiamare i Varjaghi per farsi
governare18. Così il regno esisteva prima della venuta di Rurik; meglio
ancora, contrariamente a quanto diceva o piuttosto taceva la Cronaca, che li
classificava fra un gruppo di nazioni normanne, i Varjaghi erano di origine
slava, così la loro origine scandinava veniva attenuata.
13 Citato dopo l’edizione del 1735: Sinopsis ili kratkoe opisanie…, op. cit., pp. 18-19.
14 Ibid., pp. 1-2.
15 Ibid., p. 5.
16 Ibid., p. 3.
17 Egor Zamyslovskij, Carstvovanie Fedora Alekseeviča, vol. 1, San Pietroburgo, 1871,
allegato pp. XXXV-XLII.
18 Cfr. a questo proposito il commento di D.S. Lichačëv, in Povest’ vremennyhlet, op.cit., vol.
2, p. 214.
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I Russi si erano fusi con gli Slavi (erano «della stessa natura»). Gizel’ usò
fin dalla prima pagina un accomodamento fino ad allora inusuale: «la
nazione slavo-russa cristiana» (slavjano-rossiski hristianskij narod)19,
un’espressione molto significativa. I due etnonimi erano infatti «classificati»
in un ordine vagamente cronologico, ma al tempo stesso integrati in un
insieme poco differenziato dove la russità occupava un posto alla fine e, di
fatto, centrale. Inoltre, questa assimilazione si estendeva insidiosamente al
concetto di cristianità: gli Slavi costituivano certamente una delle nazioni
cristiane generate da Jafet, ma l’insistenza verbale suggeriva che erano «più
cristiani» degli altri. L’idea di una elezione o predestinazione divina dei
Russo-Slavi era confermata dalla etimologia dell’etnonimo. L’autore
enumerava diverse ipotesi per mantenere solo la prima: il nome dei Russi
era accostato a un participio significante «disperso»20. Così, insidiosamente,
l’ultima osservazione rinviava sicuramente all’origine jafetica dei Russi
(designandola come il solo popolo erede di Jafet) e dava valore al principio
di dispersione che, al contrario dell’Antico Testamento, testimoniava il valore
di questa nazione conquistatrice, la cui ultima missione sarebbe stata quella
di riunire gli Slavi dispersi su un territorio originariamente occupato dagli
«Slavo-Russi».
La Synopsis doveva aprire la strada a nuove ricostruzioni storiografiche in
Russia. Fu ristampata a Mosca sotto Pietro il Grande prima nel 1699, poi nel
1705 in antichi caratteri cirillici21, e ancora nel 1714, a Mosca, e nel 1718, a
San Pietroburgo, in caratteri civili, infine dal 1735 al 1810 presso la
tipografia dell’Accademia delle scienze; contemporaneamente si continuò a
rieditarla a Kiev. Ebbe in tutto una trentina di edizioni e fu quindi uno dei
libri meglio diffusi in Russia nel XVIII secolo22. È quindi opportuno
interrogarsi sulla sua novità e sulle ragioni del successo. Fino ad allora,
benché molte opere polacche fossero conosciute negli ambienti polonofili e
polonofoni di Mosca e anche, nel caso di Stryjkowski, tradotte in russo, le
origini iafetiche dei Russi non sembravano aver catturato le immaginazioni a
est dell’Ucraina al di là di ciò che la Bibbia diceva. Tale disinteresse poteva
avere diverse ragioni, una era forse l’utilizzo, da parte dei Polacchi, delle
Scritture come fonte storica, certo espositiva, ma comunque oggetto di
discussione, e ciò non corrispondeva all’uso che se ne faceva in Russia.
Inoltre, Mosoch, come nota lo storico Myl’nikov23, non poteva affatto servire
da modello, a meno che non lo si esaminasse sotto il punto di vista della
19 Sinopsis…, op. cit., p. 1.
20 Ibid., pp. 11-12: Da russkie si passa a rossijane, avvicinato a razsejany.
21 Tat’jana Aleksandrovna Bykova e M.P. Gurevič (a cura di), Opisanie izdanij, napečatannyh
pri Petre I, vol. 1, Opisanie izdanij, napečatannyh kirillicej, 1689-1725, Mosca-Leningrado,
Accademia delle scienze, 1958, p. 62, n. 10 e p. 133, n. 51.
22 Si ignorano purtroppo le tirature delle edizioni della Synopsis, salvo di quelle del 1717
(300 esemplari) e del 1768 (600 copie). Queste cifre, così come il numero di edizioni
veramente eccezionale di un libro che non era utilitario, mostrano che questo fu il libro di
storia più letto in Russia nel XVIII secolo.
23 A.S. Myl’nikov, Kartina slavjanskogo mira…, op. cit., pag 31.
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genealogia temporale, perché, nello stesso momento di suo fratello Magog,
aveva fondato delle nazioni dipinte come conquistatrici e barbare nel libro di
Ezechiele (27, 13, e 38, 2-3). Si può anche pensare a un semplice
conservatorismo che avrebbe riprodotto fino al XVII secolo lo schema delle
origini tal quale era nella Cronaca degli anni passati. Ma, a questi fattori, si
aggiunge una ragione più profonda. Fino ad allora, né gli Ucraini né i Russi
avevano dato importanza alla questione delle origini, accontentandosi del
quadro sommario e piuttosto neutro esposto nella Cronaca. Gli elementi che
avevano trattenuto toccavano la genealogia pseudo-romana degli zar e
cercavano di dimostrare il loro ancoraggio sia temporale che spirituale agli
antichi capostipiti. Nella Synopsis, c’era l’assemblaggio delle nazioni che
diventava il fulcro dello storico, giocando un ruolo organizzatore maggiore, e
che, rispondendo a un bisogno politico prodotto dal conflitto polacco-russo
intorno all’Ucraina, ispirava delle ricostruzioni esse stesse genealogiche, ma
in un senso più ampio, in quanto incentrate sulle origini delle nazioni slava e
russa.
Inoltre, il libro era scritto in onore degli zar russi, la cui dignità era
magnificata nei campi sacro e profano, cosa che continuava, sviluppandola,
la tradizione inaugurata dalla Cronaca dei principi di Vladimir. In quei
panegirici, la loro antichità era sottolineata sia per le loro radici bibliche, sia
per le gesta dei loro antenati contro i Greci (tra cui Alessandro) e i Romani,
così Augusto ritornò in scena non solamente come un antenato dei Varjaghi,
ma anche come un contemporaneo preoccupato per gli Slavi, presentati
come un’entità ampiamente concorrente con le due grandi nazioni antiche.
Infine, agli Slavo-Russi veniva riconosciuto di aver eletto i propri sovrani e
aver scelto la forma di governo. Il popolo era glorificato nello stesso tempo
del monarca; il sovrano appariva eletto sia dal dito di Dio che dalla vox
populi. Questa configurazione, che alleava così strettamente zar e nazione,
entrambi soggetti attivi della storia, era coerente con la tradizione
storiografica dei Romanov, i quali facevano di tutti i primi principi kieviani
degli «autocrati» (samoderžcy), e presentava l’elezione di Michail Romanov,
nel 1613, da parte della collettività, come un evento centrale, una specie di
atto fondatore controcorrente in quanto si era voluta ripetere una tradizione
originale.
Verso l’antichità slava
Durante la prima metà del XVIII secolo, la Synopsis rimaneva la
principale fonte di informazione storica in Russia, alla pari dei testi
manoscritti, dei quali circolazione e diffusione, causate dallo sviluppo della
lettura, conservavano vigore. Ovviamente si ignora quale portata potesse
avere la produzione dei testi di carattere storiografico, ma se ne conserva
un gran numero, e il loro carattere ripetitivo fa supporre che le principali
ricostruzioni della Synopsis fossero relativamente ben conosciute ai lettori. I
manoscritti si presentano sotto forma sia di cronografia che di tavole dove
la genealogia si combina, mediante il disegno e la scrittura, con la geografia
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e l’etnografia. In un caso o nell’altro, il racconto inizia di solito con la
creazione di Adamo o il diluvio. Così, una collezione di tavole di questo tipo,
in cui la cronologia si arresta al 1734, poteva essere approssimativamente
datata. Alla storia sacra succedeva quella di Roma, che includeva la
genealogia classica di Romolo, poi quella di Costantinopoli e infine passava
ai principi russi, la cui «russità» era affermata a dispetto del nome di
Varjaghi. L’autore (anonimo) si basava, con riferimenti marginali, sulla
Cronaca di Stryjkowski e sui cronografi russi 24. Poco più tardi, poiché si
ferma al 1747, un’altra tavola genealogica riprese la genealogia di tutti i
discendenti di Noè e le leggende di Mosoch, della carta di Alessandro,
Augusto, ecc.25. In tali manoscritti potevano esserci delle mire pedagogiche,
e quindi le leggende sulle origini vi figuravano ugualmente26.
La produzione storiografica non si limitava a questa tradizione. Il regno di
Pietro I si prestava particolarmente alla diffusione di ricostruzioni storiche
per l’ovvio interesse che riservava loro lo zar. In esse c’era prima di tutto, e
più ancora dei predecessori, la scrittura di una cronaca delle guerre e delle
opere del monarca. Inoltre, occorreva rispondere a una domanda culturale
più generale27. Tuttavia, per un lungo periodo di tempo, la storia della
Russia e delle sue origini non dette luogo che a rari testi, quasi tutti
spontanei e isolati, e nessuno pubblicato durante la vita dell’autore. Erano
generalmente relazioni di diplomatici e amministratori autodidatti,
sostenitori delle rappresentazioni della nuova Russia, in cui modernità e
Antichità classica (non russa o cristiana) erano oggetto di un vero e proprio
culto.
La questione delle origini era comunque sempre presente, da qui il
manoscritto anonimo completato nel 1715 e attribuito all’editore
Polikarpov28: la prima parte era dedicata alle origini della nazione e della
lingua slave. L’ambasciatore a L’Aia Boris Kurakin, uno degli uomini politici
russi più importanti dell’epoca, aveva, nel 1723, disegnato il piano di un
libro sulla storia della Russia dalle origini fino al regno di Pietro I, il quale ne
avrebbe occupato la maggior parte. Il primo capitolo doveva essere
intitolato: «Conviene iniziare la storia con una breve esposizione delle
origini della nazione slavo-russa», la seconda riportava la nascita della
24 Conservato a Mosca, Archivio dei documenti antichi [RGADA], f. 188, inv. 1, fasc. 28, f. 224v.
25 RGADA, f 188, inv. 1, fasc. 29, f. 1-3, poi 61.
26 Cfr. per esempio un testo conservato nella Biblioteca dell’Accademia delle scienze [BAN],
ms. 32.15.22., citato da Sergej L. Peštič, Russkaja istoriografija XVIII veka, vol. 1,
Leningrado, Università di Leningrado, 1961, p. 216. Vi si trova l’etimologia dei Russi dalla
«dispersione» alla filiazione di Augusto, ecc.
27 La cronaca del regno suscitò numerosi scritti che qui non ci interessano. Pietro il Grande
ordinò anche delle traduzioni di testi storici occidentali, tra cui l’Introduzione alla storia
dell’universo di Samuel Pufendorf, che fu tradotta e pubblicata nel 1718 e nel 1723 (poi
nel 1767-1777 in una nuova traduzione), e comprendeva un capitolo dedicato alla
Moscovia. Altre storie universali furono pubblicate a partire dal 1747.
28 Istorija o vladenii rossijskih velikih knjazej vkratce, BAN, manoscritti, 32.6.30. Cfr.
l’analisi di questo testo in S.L. Peštič, Russkaja…, op. cit., pp. 109-112.
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stirpe dei principi kieviani29. Kurakin impiegava l’etnonimo «slavo-russa» il
cui uso sembra essersi diffuso alla fine del XVII secolo in seguito alla
Synopsis e qui combinava la slavità con la russità.
Anche Aleksej I. Mankiev apparteneva al collegio degli Affari esteri, ma a
un rango inferiore di Kurakin, perché era solo traduttore. Scrisse, durante la
sua prigionia in Svezia, un libro che intitolò Compendio della storia della
Russia30, in cui la nazione russa era lungamente trattata, e in particolare la
questione delle origini. L’autore riprendeva le leggende più antiche,
riservando a quella di Mosoch un trattamento di favore: questo personaggio
era infatti descritto con la qualifica di «patriarca e capo dei lignaggi
moscoviti, russi, polacchi, voliniani, cechi, mazoviani, bulgari, serbi, croati,
ecc., in breve di tutti coloro che utilizzano di conserva la lingua slava. […] È
per questo che noi siamo in grado di sapere in modo chiaro e inequivocabile
che la nazione russa ha la propria origine in Mosoch Iafetovič». Così,
secondo Mankiev, che per primo formulava in modo esplicito questa idea, gli
Slavi erano superiori a tutte le altre nazioni antiche:
«La nazione russa trae la propria origine ininterrotta dall’uomo Mosoch e
non da false divinità, come i Greci, i Persiani e altri. I Romani finirono
per formare un grande potenza partendo da pastori, briganti e
fuggiaschi, cosicché essi si vergognavano della loro bassa estrazione e,
di conseguenza, affermavano che la loro nazione discendeva da Romolo,
figlio di Marte […]. Al contrario, i nostri Russi, gli Slavi e le altre nazioni
sarmate non volarono nei cieli per trovare i loro antenati, ma trassero
chiaramente la loro origine da un uomo per loro virtù vero»31.
In questo modo la superiorità dei Russi sugli Antichi si affermava in un
rifiuto della mitologia: ricostruzione esclusiva di questo autore ma
significativa della sua epoca perché essa metteva in scena una rivalità tra i
Russi e gli Antichi.
L’ultimo caso si colloca dopo la morte di Pietro il Grande e la creazione
dell’Accademia delle scienze nel 1725. Un alto funzionario autodidatta e
colto, Vasilij N. Tatiščev, intraprese la stesura di una Storia della Russia, che
l’occupò dal 1727 circa fino alla sua morte, nel 1750 32. Quest’opera, la
29 «Vvedenie o glavah v Gistorii sočinenija kn. B.I. Kurakina», Arhiv knjazja Kurakina, vol. 1,
Saratov, 1890, p. 79.
30 Aleksej Il’ič Mankiev, Jadro rossijskoj istorii sočinennoe bližnim stol’nikom i byvšim v
Švecii rezidentom knjaz’ Andreem Jakovlevičem Hilkovym v pol’zu rossijskogo junošestva,
i dlja vseh o rossijskoj istorii kratkoe ponjatie imet’ želajuščih, Mosca, Università di Mosca,
1770. Come suggerisce il titolo, fu falsamente attribuito dallo storico Müller
all’ambasciatore Hilkov [Chilkov. (N.d.C.)]. Il libro fu ristampato più volte con significative
modifiche apportate dall’editore.
31 Ibid., pp. 7-8.
32 Il miglior studio sui vari aspetti della vita e dell’opera di V.N. Tatiščev rimane una tesi,
purtroppo inedita, di Simone Blanc, Un disciple de Pierre le Grand dans la Russie du
XVIIIe siècle: V.N. Tatiščev (1686-1750), Lille, 1972, 2 voll. Sulla sua opera propriamente
storiografica, cfr. S.L. Peštič, Russkaja istoriografija XVIII veka, op. cit., vol. 1, cap. IX, e
vol. 2, 1965, cap. III. Per lo studio dei manoscritti della sua Storia della Russia, occorre
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prima di tale portata dedicata alla storia russa, fu parzialmente pubblicata
dal 1768 al 1774 dallo storico e accademico Gerhard Friedrich Müller dopo la
morte del suo autore, quindi solo la comunità accademica cui Tatiščev aveva
presentato i propri scritti ne era stata a conoscenza. In quanto lavoro
originale di un solitario, rimane un caso particolare, ma proprio per questo
interessante, perché le sue ricostruzioni storiografiche erano richieste dalla
storia erudita.
In esso, la questione delle origini occupava tutta la prima parte, ossia un
intero volume. Tatiščev si basava sulle cronache russe incrociate con le fonti
occidentali e bizantine, così come, a monte, sulla testimonianza degli antichi
a partire da Erodoto. Rovesciò la maggior parte delle leggende diffuse dalla
Synopsis, trattandole da «favole» (basni), termine – ricordiamolo – che
designava i miti, per analogia con l’antichità greco-romana33. Egli restava in
una tradizione di storia razionalista ed erudita e le sue conclusioni non
servirono in modo esplicito agli obiettivi di glorificazione della Russia. Per le
sue analisi critiche, le sue scelte storiografiche obbedivano a una logica
ancora viva in Europa, risalente al Medioevo occidentale: la verità deve
essere ricercata nell’antichità delle fonti. La Cronaca degli anni passati
rimaneva quindi il testo più affidabile, mentre quelle del XVI secolo non lo
erano nelle loro innovazioni riguardanti le origini dei principi russi non
essendo confermate da autori precedenti. Allo stesso modo (il principio,
questa volta, risale al Rinascimento), l’unica vera autorità era circoscritta
alle testimonianze degli Antichi, cosicché gli autori polacchi o altri non
potevano essere citati come prove.
È qui interessante evidenziare le ricostruzioni da lui approvate o
modificate e interrogarsi sulle sue ragioni. Prestando fede alla storia di
Gostomysl, un presunto principe pre-varjago di Novgorod, e alle cronache di
cui disponeva, Tatiščev faceva risalire la genealogia al leggendario Vandal,
perché il lavoro critico sulle diverse versioni della Cronaca degli anni passati
non era ancora stato intrapreso34. Inoltre, egli conservava l’etimologia
«gloriosa» degli Slavi e denunciava una volta di più la loro ignoranza per la
quale mancavano le tradizioni storiografiche: «Siccome gli Slavi non
avevano storia scritta, essi non lasciarono alcuna informazione sulle loro
azioni e nemmeno sul loro nome, cosicché agli occhi degli altri portavano da
tempo il nome di Sciti e di Sarmati35». Era compito dello storico moderno
russo di colmare le lacune dei predecessori e di rivelare al mondo la gloria
nascosta e le grandi gesta dei suoi antenati.
Vediamo che Tatiščev, iscrivendo gli Slavi e i Sarmati tra i discendenti
degli Sciti, fissava le radici degli Slavi non al tempo di Jafet, ma
fare riferimento ai lavori di Sigismund Natanovič Valk, in parte riportati nella edizione
critica di quest’opera: Vasilij Nikitič Tatiščev, Istorija rossijskaja, Mosca-Leningrado,
Accademia delle scienze, 7 voll., 1962-1968.
33 Cfr. i capitoli da 30 a 33 della sua Istorija, op. cit., vol. 1, 1962, in particolare pp. 286,
289-291 e 314.
34 Ibid., p. 372.
35 Ibid., p. 315; il tema appare anche nella prefazione, p. 81.
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nell’antichità di Erodoto. In una prima versione del suo libro, gli Slavi
comparvero nelle epoche più antiche degli Egizi e degli Ebrei36. Infine, dopo
essersi dedicato a una tipologia delle diverse forme di governo, che trasse
probabilmente da Pufendorf o da Christian Wolf, e al termine di una sintetica
analisi, ma compresa nella diacronia, Tatiščev concludeva che i Russi
avevano sempre conosciuto, da prima di Rurik, una monarchia assoluta e
che la cosa non aveva niente di sorprendente dal momento che era stato
anche il caso degli Sciti, come evidenziato da Erodoto e Strabone: ciò si
spiegava con l’immensità dei territori amministrati37. Tatiščev rimaneva
quindi attaccato a una ricostruzione nazionale nella quale le spiegazioni
geografiche – localizzazione delle etnie e costituzione del territorio – e
politiche trascendevano la storia e facevano trasparire delle tracce che si
univano all’idea di una nazione forte e conquistatrice condotta dalla sua
monarchia.
Il conflitto all’Accademia delle scienze
A metà del XVIII secolo, l’Accademia delle scienze diventò teatro di un
conflitto a livello nazionale che portò in piena luce le tendenze fino ad allora
più discrete e dette loro un carattere politico. L’episodio è ben conosciuto
per cui è sufficiente ricordare i punti salienti38.
L’Accademia delle scienze era stata fondata nel 1725 a San Pietroburgo.
Tra gli storici tedeschi invitati ad aderire, vi erano Gottlieb Siegfried Bayer e
Gerhard Friedrich Müller (in russo: Miller). Il primo si era dedicato a uno
studio delle origini della Russia partendo dalle fonti occidentali, in
36 Ibid., cap. 34, n. 20, p. 433.
37 Cfr. soprattutto p. 366. Il termine impiegato dall’autore è samovlastie e non
samoderžavie, copiando dal greco antico, ciò nel contesto terminologico sfocato che si
mantenne lungo il XVIII secolo, a causa della rapida evoluzione della lingua e
dell’invenzione di un linguaggio di filosofia politica adattato alle letture occidentali. In
Tatiščev, il termine designava un potere monarchico non sofferente di limitazioni, in
opposizione al governo aristocratico (per esempio quello della Polonia o Russia nel Periodo
dei Torbidi) che egli giudicava cattivo, soprattutto per la Russia. Sui termini che designano
la monarchia, cfr. Isabel de Madariaga, «Autocracy and Sovereignty» Canadian-American
Slavic Studies, XVI-3/4, 1982, pp. 369-387, ristampato in Id, Politics and Culture in
Eighteenth-Century Russia , Londra-New York, Longman, 1998, pp. 40-56.
38 Si trova una recente e buona esposizione del conflitto in T.N. Džakson, «Gerard Fridrih
Miller», Istoriki Rossii XVIII-XX vekov, vypusk 1-j, Arhivno-informacionnyj bjulleten’, n. 9,
pp. 17-18. Cfr. anche S.L. Peštič, Russkaja istoriografija XVIII veka, op. cit., vol. II, pp.
175-178, i commentari di Vera Romanovna Svirskaja nelle opere complete di Mihail
Lomonosov: Mihail Vasil’evič Lomonosov, Polnoe sobranie so činenij, Mosca-Leningrado,
Edizioni della Accademia delle scienze, 1952, vol. 6, pp. 546-559. Noi abbiamo consultato
anche P.S. Biljarskij, Materialy dlja biografii Lomonosova, San Pietroburgo, 1865, pp. 130132, 755 ss., A.V. Topčiev, N.A. Figurouskij e V.L. Čenakal (a cura di), Letopis’ žizni i
tvorčestva M.V. Lomonosova, Mosca-Leningrado, Edizioni dell’Accademia delle scienze,
1961, pp. 149-164. Lo storico Vasilij Osipovič Ključevskij compì un’analisi molto chiara e
un po’ ironica del conflitto nelle sue conferenze sulla storiografia russa pronunciate nel
1892: conferenze I e II, in V.O. Ključevskij, Sočinenija v devjati tomah, Mosca, Mysl’,
1989, vol. VII, pp. 189-195.
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particolare scandinave. I suoi lavori erano apparsi nei volumi IV e VIII dei
Commentarii Academiæ Scientiarum Imperialis Petropolitanæ, annali
pubblicati dall’Accademia a partire dal 1728 e di cui solo il primo volume era
stato tradotto in russo nello stesso anno. Vi si dimostravano le origini
scandinave sia dei principi russi che del nome Rus’, e nello stesso tempo il
carattere «tardivo» (V o VI secolo) della dispersione degli Slavi nella
pianura dell’Europa orientale. Da parte sua, Müller aveva cominciato, dal
1734, a tradurre le cronache russe in tedesco, soprattutto la Cronaca degli
anni passati, e a pubblicarli sulla sua rivista Sammlung Russischer
Geschichte. Tali studi e pubblicazioni toccarono ancora poco il pubblico
russo, benché molti nobili e letterati russi conoscessero il tedesco: ciò è
probabilmente il motivo per cui non provocarono reazioni.
Nell’agosto 1749, Müller, già professore e accademico, fu incaricato di
preparare un discorso per una sessione solenne dell’Accademia, che era
stata dotata di statuti. Egli lo dedicò alle origini della nazione russa e del
suo nome (Origines gentis et nominis russorum). Nell’ottobre dello stesso
anno, il testo stampato del suo discorso, che fino ad allora non aveva
suscitato alcuna controversia, dette adito alle critiche dell’assemblea
accademica in seguito a una voce che accusava Müller di infangare la
reputazione della nazione russa. Due accademici, Vasilij Trediakovskij, sulle
cui opinioni torneremo, e Michail V. Lomonosov furono incaricati di indagare
sul caso e, se il primo assolse l’autore del discorso, Lomonosov si lanciò in
un duro attacco sulla base di argomentazioni scientifiche e politiche. La
discussione proseguì fino al marzo 1750 e fu tanto grave da occupare
ventinove riunioni accademiche. Infine, nel mese di settembre, la segreteria
dell’Accademia decise di distruggere il discorso di Müller, il quale fu in
seguito degradato.
Müller conobbe rapidamente un ritorno di favore e nel 1760 pubblicò il
discorso in tedesco sulla sua rivista39, e poi in russo su un altro periodico
che dirigeva40. Egli poneva tre questioni fondamentali sull’origine della
nazione, dello Stato o della monarchia, dell’etimologia del nome Rus’, e vi
rispondeva come segue: 1) gli Slavi, scacciati dai Romani, avevano
abbandonato il Danubio per il Dnepr nel VI secolo; 2) i primi principi «russi»
erano dei Varjaghi, che non erano altro che degli Scandinavi; 3) Rus’ era il
nome di una tribù varjaga del ramo finnico e, di conseguenza, erano degli
Scandinavi che avevano dato agli Slavi orientali sia la loro organizzazione
politica monarchica che il nome al loro Stato.
Fra le critiche mosse contro queste tesi, direttamente ispirate dalla
Cronaca degli anni passati e basate sui lavori di Gottlieb S. Bayer, quelle di
Lomonosov furono le più violente, ma anche le più interessanti 41. Secondo
Lomonosov, Müller si era sbagliato su tutta la linea. Gli Slavi si erano
39 Sammlung russischer Geschichte, 1760, pp. 381-572.
40 Sočinenija i perevody k pol’ze i uveseleniju služaščie, luglio 1761.
41 M.V. Lomonosov, Ponoe sobranie sočinenij, op. cit., vol. 6, pp. 19-80: relazione del 16
settembre 1749, obiezioni alla dissertazione di Müller, osservazione delle risposte di Müller
e relazione del 21 giugno 1750.
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insediati «entro i confini attuali della Russia» prima della nascita di Cristo42.
I Varjaghi provenivano dai Roxolani ed essi li accompagnarono, al tempo
stesso dei Goti, dal Mar Nero fino al Mar Baltico. Oppure i Roxolani
(etimologicamente Ros-Alani) e i Goti erano degli Slavi e, di conseguenza, i
Varjaghi. Così, si spiegava perché li si erano chiamati a governare
Novgorod, i cui abitanti, sottintendeva Lomonosov, non si sarebbero affidati
agli stranieri43. Se la costituzione della nazione slava e russa fosse stata così
tardiva, allora il racconto del viaggio di Sant’Andrea sarebbe stato falso,
presunzione particolarmente intollerabile perché essa avrebbe messo in
pericolo la fondazione, da parte di Pietro il Grande, dell’ordine di
Sant’Andrea-il-primo-chiamato44. Infine, l’idea che i sovrani russi fossero
stati in origine degli Svedesi avrebbe potuto avere «conseguenze
pericolose»45.
Notiamo che le argomentazioni finali di Lomonosov erano puramente
politiche. Accusava Müller di voler demoralizzare la nazione russa e di
mancare di rispetto all’imperatrice Elisabetta: «Questa dissertazione è stata
composta al fine di offrire alla Sua graziosissima Maestà i primi frutti
dell’Accademia rinnovata e anche di piacere agli uditori russi e di essere
utile a ogni lettore per la sua novità e la sua precisione. Il primo fine
richiede solennità e magnificenza, il secondo e il terzo vivacità, chiarezza e
verità […], qualità di cui quel discorso è privo, rivelandosi fortemente
indegno, ridicolo e irritante per gli uditori russi […]46». In effetti, il discorso
di Müller sembrava scritto per la gloria degli Scandinavi, e «gli uditori russi
sarebbero molto risentiti e afflitti di apprendere che gli Scandinavi
battevano, saccheggiavano, devastavano con il ferro e il fuoco le nazioni che
portavano il loro stesso nome […]47». Tutto ciò rischiava di aumentare l’odio
e le proteste contro l’Accademia48. E quando Müller cominciò ad affermare
che il discorso storico non aveva lo scopo di essere un panegirico, ma
doveva, secondo Cicerone, obbedire al principio della verità, Lomonosov
replicò: «Nec panegyricum postulo, nec apertas contradictiones Slavorum
genti ignominiosas tolerandas esse affirmo»49).
Sotto la penna di Lomonosov, la questione delle origini nazionali dava
luogo a una lettura esplicita a partire dal presente. Il presente era quello
delle frontiere e del territorio di cui l’antico insediamento degli Slavi
diventava strategicamente importante. Egli evocava i conflitti esterni della
Russia, in particolare con la Svezia, nel 1700-1721, ma soprattutto nel
1741-1743, un periodo in cui le scelte diplomatiche assunsero
42 Ibid., osservazione n. 4, pp. 21-22.
43 Ibid., osservazione n. 5, p. 22.
44 Ibid., pp. 31-32.
45 Ibid., p. 41.
46 Ibid., pp. 24-25.
47 Ibid., p. 40.
48 Ibid., p. 42.
49 Ibid., pp. 67-68: «Non chiedo un panegirico, ma affermo che le contraddizioni manifeste e
disonorevoli per gli Slavi sono intollerabili».
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un’importanza sempre maggiore e suscitarono profonde spaccature
all’interno dell’élite dirigente. Inoltre, ricordava l’incarico monarchico, dal
momento che il discorso era destinato a essere pronunciato in presenza
dell’imperatrice, come prova dei suoi benefici verso l’Accademia.
Corrispondeva infine, più profondamente, alla domanda di un pubblico,
argomento che ritorna in Lomonosov con un’insistenza particolare e che
testimonia il suo carattere nazionale. Anche la polemica sull’arte dell’oratore
non era priva di senso: Müller credeva di sfuggirvi quando, drappeggiato
nella toga di oratore, ritornava alle fonti e riaffermava dei principi
ciceroniani universalmente rispettati; ma Lomonosov attirava quei principi
verso una modernità che li deformava radicalmente, non solo per
l’economia, ma anche perché, secondo lui, l’oratore doveva adattarsi al
pubblico (agli «uditori» e ai lettori) che era così eretto a giudice supremo e
ben più presente nelle sue osservazioni dell’imperatrice in persona.
Le conseguenze del conflitto
Quel drammatico episodio segnò la nascita di una nuova epoca. Nella
seconda metà del XVIII secolo, diversi tentativi concorsero a elaborare
un’identità nazionale russa a partire da un’antichità che restava da stabilire.
Essi provenivano da differenti ambienti, dalla corte all’aristocrazia, ai
professionisti dell’Accademia delle scienze e dell’Università di Mosca, e
toccavano i più svariati campi, come la scena politica, il diritto, la lingua, le
lettere, le arti, l’etnografia e la storiografia50.
Le questioni relative alle origini della Russia rimanevano una scommessa
importante e continuarono ad alimentare delle ricostruzioni storiografiche,
affrontate tuttavia con maggiore moderazione e prudenza di prima.
Lomonosov si dedicò a una storia della Russia che, rimasta incompiuta,
uscì nel 1766, dopo la morte dell’autore51. Scritta in uno stile molto più
fiorito e accessibile di quello pignolo e pedante di Tatiščev, era per metà
dedicata al problema delle origini. Dopo Lomonosov, l’esistenza degli Slavi
ritornò all’alta Antichità, ben anteriore a Erodoto. E il nome di Amazzoni che
veniva dalla loro lingua52 forniva la prova della loro presenza in quell’epoca.
Il loro nome apparve più tardi a causa delle loro imprese militari, perché
esso proveniva da slava. Da parte loro, i Varjaghi («russi») erano degli Slavi
che avevano attraversato il mare e furono «richiamati» dai Novgorodiani.
50 Il movimento nazionale russo della seconda metà del XVIII secolo rimane poco studiato.
Non si possono che citare l’opera, vecchia, di Mihail Osipovič Kojalovič, Istorija russkogo
samosoznanija, III ed., San Pietroburgo, [1884] 1901, l’opera collettiva, molto segnata da
presupposti ideologici, Voprosy formirovanija russkoj narodnosti i nacii, Mosca, 1958, e il
libro, assai sommario, di Hans Rogger, National Consciousness in Eighteenth-Century
Russia, Cambridge, Harvard University Press, 1960.
51 Drevnjaja rossijskaja istorija ot načala rossijskago naroda do končiny velikago knjazja
Jaroslava pervago ili do 1054 goda, sočinenennaja Mihajlom Lomonosovym…, San
Pietroburgo, Ed. Accademia delle scienze, 1766, riportato in M.V. Lomonosov, Polnoe
Sobranie sočinenij, op. cit., vol. 6, pp. 167-286. Citiamo da questa edizione.
52 Ibid., p.182 (cap. 3). Questa idea era già stata espressa da Tatiščev.
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La Storia di Lomonosov presentava diverse caratteristiche originali che
forse non sono state molto marcate. La prima è la sua insistenza a esporre
la nascita della nazione. Tutto il pathos dell’autore, tutte le ricostruzioni
servivano questo lungo preambolo che si imponeva come lo zoccolo
necessario su cui la cronologia, altrimenti detta la storia dei sovrani, poteva
sostenersi. Conseguente alla prima, la seconda caratteristica è l’emergere di
una «etnografia» improvvisata, quasi poetica, che, succedendo, senza
transizione, all’esame pseudo-scientifico delle origini, prende il posto del
discorso storico. Viene svolta a grandi linee la vita degli Slavi, nel loro
habitat, il loro commercio, i loro culti, prima di costituirsi uno Stato
storicamente cronologicamente identificabile53. La terza caratteristica è
l’importanza attribuita da Lomonosov allo storico, ossia a se stesso, nella
ricostruzione nazionale:
«Essa è grande, l’azione per la quale si conferisce l’immortalità alla
moltitudine della nazione per delle opere deperibili ed effimere; si
osserva la gloria che conviene a degli atti lodevoli e, trasportando degli
atti passati nella posterità e l’eternità profonda, si riuniscono coloro che
la natura ha separati per lungo tempo. Il marmo e il metallo, per i quali
l’immagine e gli atti dei grandi uomini, rappresentati agli occhi di tutta la
nazione, si elevano, rimangono immobili in un solo luogo e sono distrutti
dall’usura. La storia, che si estende in ogni luogo e passa di mano in
mano in seno al genere umano, disprezza i rigori e l’usura del tempo»54.
Lomonosov è coerente nelle procedure messe in opera: quando la
ricostruzione storica lascia trasparire un vuoto cronologico, l’«etnografia»
arriva a colmarlo, cosicché lo storico ubbidisce all’improvviso ad ambizioni
molto moderne, interessandosi ai costumi, al commercio, ecc. proprio nel
momento in cui sembra messo all’angolo dalla mancanza di materia
narrativa. Contemporaneamente, la nazione cessa di essere, per lui,
un’astrazione che si tradurrebbe nelle vite di sovrani ed eroi o in catene di
eventi; essa diventa un oggetto di studio in quanto tale, sincronica, ed è in
essa che si alimentano la leggenda (la favola) e il racconto storico. Lo
storico deve comprendere la sua missione e diventare la penna della
nazione.
Nella stessa epoca, una serie di pubblicazioni fu dedicata al tema della
mitologia slava. Un insegnante dell’Accademia delle scienze, Grigorij
Kozickij, pubblicò nel 1759, sulla rivista L’Ape operosa, un articolo
programmatico intitolato «Sull’utilità della mitologia, ossia della favola55». Vi
si constatava che «in tutti i paesi, nell’affrontare le loro origini, la storia si
perde alla fine nella mitologia» e che i due generi, la storia e la favola,
53 Ibid., pp. 183-187 (cap. 4).
54 Ibid., p. 171 (prefazione dell’autore). Il paragone tra l’opera dello storico o del poeta e il
monumento di pietra o di metallo potrebbe essere ispirato da Diodoro Siculo (Biblioteca
storica, I, 2, 5) o da Orazio (Odi, libro I, 30) .
55 Trudoljubivaja pčela, 1, 1759, pp. 5-33.
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perseguivano in fondo gli stessi obiettivi56. Qualche anno dopo, nacquero i
primi dizionari mitologici in lingua russa. Il primo, il Dizionario abbreviato
della mitologia, pubblicato nel 1767, era opera dello scrittore Michail
Chulkov57. Sotto il titolo fuorviante, probabilmente ispirato da un famoso
libro francese (il Dictionnaire abrege de la fable di Pierre Chompré, molto
diffuso in Russia), egli costituiva una raccolta di dèi slavi. L’opera prendeva
le sue informazioni dalla Cronaca degli anni passati dove erano citati alcuni
dèi pagani oggetto di culto a Kiev, ma elencava anche, non lasciando nulla
di intentato, tutta una serie di pseudo-divinità che talvolta uscivano dai
motivi delle canzoni popolari, in quanto non erano invenzioni dell’autore.
Molti dèi e dee lasciavano chiaramente trasparire i loro prototipi grecoromani. Così, la pseudo-dea Lada era la divinità dell’amore e del
matrimonio, e suo figlio, Lelio, il «tenero dio dell’amore e della gioia58».
L’anno seguente, un altro autore pubblicò un dizionario che attribuiva
sistematicamente alle divinità slave degli equivalenti greco-romani. Inoltre,
applicava alla favola slava uno schema di cui la storiografia si alimentava già
da quasi due secoli59: «La superstizione e il politeismo erano, io credo, tanto
diffusi [tra gli Slavi] quanto presso i Greci e i Romani; se nei nostri tempi
antichi avessero abbondato gli scrivani studiosi, non vedremmo oggi un così
gran numero di libri dedicati alle divinità slave […] che presso loro60».
Gli storici e gli antiquari lavoravano nella stessa direzione, supplendo alla
insufficienza dei loro antenati. Questo ruolo dello scrittore moderno,
attraverso il quale si elaborava la nazione, fu forse particolarmente evidente
nell’accademico Vasilij Trediakovskij che, nel 1757, dedicò alla questione
delle origini della Russia un libro dal titolo eloquente: Tre considerazioni
sulle tre principali antichità russe, ossia: 1. La preminenza della lingua slava
sulla lingua teutonica. 2. Le origini dei Russi61. 3. I Varjaghi russi, di nome,
di razza e di lingua slave62. Le conclusioni e la logica di Trediakovskij si
possono facilmente indovinare. Gli Slavi costituivano una delle più antiche
nazioni del mondo, rivaleggiando con gli Ebrei, perché gli Sciti – loro
56 Ibid., pp. 14-15.
57 Michail Chulkov, Kratkij mifologičeskij leksikon, San Pietroburgo, Accademia delle scienze,
1767.
58 Ibid., pp. 57 e 60.
59 Mihajlo I. Popov, Kratkoe opisanie drevnego slavenskogo jazyčeskogo basnoslovija,
sobrannoe iz raznyh pisatelej, San Pietroburgo, Edizioni del Corpo dei Cadetti dell’Esercito
di terra, 1768. II edizione in Dosugi ili sobranie stihotvorenij i perevodov Mihaila Popova,
San Pietroburgo, Edizioni dell’Accademia delle scienze, 1772, vol. 1, pp. 186-208. Citiamo
da questa edizione.
60 Ibid., p. 177. Michail Chulkov pubblicò un altro dizionario di questo tipo nel 1782: Slovar’
russkih sueverij, San Pietroburgo, Šnor, [1782] 1786.
61 In russo, Rossy, nazione supposta facente parte dei possibili antenati dei Russi moderni. Il
termine Rossy era del resto frequentemente impiegato a quel tempo nella poesia di corte
(Lomonosov, Trediakovskij, Sumarokov…) per designare i Russi.
62 Vasilij Trediakovskij, Tri razsuždenija o treh glavnejših drevnostjah rossijskih. A imenno 1.
O pervenstve slovenskago jazyka nad tevtoničeskim; 2. O pervonačalii rossov; 3. O
varjagah russah slavenskago zvanija, roda i jazyk, sočinennyja Vasiliem Trediakovskim,
San Pietroburgo, Edizioni del Corpo dei Cadetti dell’Esercito di terra, 1758.
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antenati –, che non erano altro che degli Slavi e il cui nome, di radice slava,
significava l’errare63, erano in realtà molto più antichi di quanto avesse
creduto Erodoto: nel 1514 a.C., essi avevano già un lungo periodo dietro di
loro64. I Celti, in particolare, che avevano invaso l’Europa, non erano che un
ramo degli Sciti e quindi degli Slavi, da cui la «preminenza di questi65». I
Varjaghi erano dei Russi (i Rossy), che erano essi stessi slavi. Tutti,
compresi naturalmente i sovrani chiamati a governare Novgorod e Kiev,
erano «di nome, di razza e di lingua slava66».
Vediamo Trediakovskij, che aveva avuto posizioni moderate nel 1749,
superare Lomonosov nell’«antichizzazione» degli Slavi e dei Russi. Per
slittamenti successivi e anche con l’aiuto di etimologie molto colorite su cui
è inutile soffermarsi, sostituì gli Slavi ai Celti per renderli i più antichi
abitanti dell’Europa. Con ogni probabilità è in lui che i processi di
elaborazione della nazione furono più visibili e che fu chiaramente mostrato
come questa struttura si basasse su altre ricostruzioni europee.
Trediakovskij esponeva anche le due possibili etimologie – le più lusinghiere
– del termine slavo: l’etnonimo veniva sia da slovo (il verbo), sia da slava
(la gloria) e l’autore poteva non sceglierne una, come Mauro Orbini. La
mancata scelta non era determinata da una carenza di conoscenze, ma
perché l’autore le credeva autentiche entrambe, dando maggiore anzianità
alla prima. La doppia etimologia gli permetteva di promettere un grande
avvenire agli Slavi-Russi: «Che crescano il loro verbo e la loro gloria, fino
alla fine dei tempi […]!67» E infine: «Tutte le difficoltà sembrano risolte, i
nodi sono sciolti: la gloriosissima nazione russa […] è slava per il suo verbo
fecondo, e slava per la sua grande gloria68». La risalita alle origini permette
all’autore di inventare un ordine cronologico che attribuisce una
configurazione insolita alla grandezza della nazione: prima della gloria, c’è il
verbo, la lingua, le lettere, che sono geneticamente costitutivi di un popolo,
meglio, che sono identificati con essa. In modo puramente simbolico, egli
colma il vuoto iniziale, il verbo mancante, molte volte rimpianto.
Lomonosov, i mitologi, Trediakovskij ancoravano le loro ricostruzioni alla
lingua e alla storia. L’ultimo soprattutto, portatore, rivelatore e inventore del
verbo russo (fu davvero, con Lomonosov, uno di coloro che cercarono di
dotare la lingua di una grammatica, di una retorica e di una poetica),
sperava di costruire il collegamento tra antico e moderno, proiettandosi, per
così dire, all’inizio del tempo. Più che in altri, l’identità e l’ambizione
personali si congiungevano con quelle della nazione.
In seguito a questi pionieri, la questione delle origini fu chiaramente
connessa con la maggioranza delle ricostruzioni nazionali, spesso fondate
sui modelli europei, tutti gli Stati insieme. Così era una compilazione
63 Ibid.,
64 Ibid.,
65 Ibid.,
66 Ibid.,
67 Ibid.,
68 Ibid.,
p. 30: da Skif (scita), si passa a skitat’sja (errare).
p. 5.
pp. 15-24.
p. 540.
p. 65.
p. 273.
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pubblicata nel 1767, opera dello scrittore e traduttore Fëdor Emin, che
sostanzialmente riproduceva l’essenziale delle leggende d’uso, ma aveva
cura di esporre le riserve di Tatiščev, per smarcarsi con tutto il rispetto
dovuto a un confratello. L’esempio francese gli servì per giustificare la
ripresa di vecchi cliché e legittimare lo sforzo russo: «Negli Stati stranieri,
particolarmente in Francia, la storia della patria si fa quasi dal suo inizio;
ancora oggi, si continua a completarla». Gli Svedesi non agivano
diversamente e quindi non dovevano pretendere di disconoscere ai Russi il
diritto di procedere nello stesso modo69.
La questione varjaga finì tuttavia per esaurirsi alla fine del secolo, e forse
per due ragioni. La prima fu un’apertura della storia erudita, dovuta allo
storico August Ludwig von Schlözer. Quest’ultimo lavorò all’Accademia dal
1762 al 1766, poi ritornò a Göttingen dove raggiunse la celebrità e si
abbandonò a una serrata critica dei testi russi, tra cui la Cronaca degli anni
passati di cui fu il primo a proporre un’edizione scientifica in Germania e in
seguito in Russia, all’inizio del XIX secolo70. Le sue prese di posizione, che
estendevano quelle di Bayer e Müller, trionfarono alla fine del XVIII secolo in
una serie di libri didattici e di manuali destinati ai bambini. Vi si riproduceva
quasi alla lettera il preambolo di un’opera di volgarizzazione, il Tableau de
l’histoire de la Russie che Schlözer aveva pubblicato in francese nel 1769 e
fu subito dopo tradotto in russo71: egli vi affermava che si ignorava tutto
delle nazioni che avevano popolato la Russia duemila anni fa e che gli Slavi,
venuti dal Danubio, si erano stabiliti sulle rive del Dnepr alla fine del V
secolo72.
69 Rossijskaja istorija žizni vseh drevnih ot samogo načala Rossii gosudarej, vse velikija i
večnoj dostojnyja pamjati imperatora Petra Velikago dejstvija, ego naslednic i
naslednikov emu posledovanie i opisanie v Severe Zlatago veka vo vremja carstvovanija
Ekateriny Velikoj v sebe zaključajuščaja, sočinennaja Fedorom Eminom, San Pietroburgo,
Ed. Accademia delle scienze, 1767, vol. I, prefazione, p. XXXII.
70 Russische Annalen in ihrer Slavonischen Grundsprache vergleichen, von Schrift-Felern
und Interpolationen gereinigt, erklart und ubersetzt von A. L. v. Schlozer, Göttingen, 4
voll., 1802-1805; Nestor. Russkie letopisi na drevneslavjanskom jazyke, sličennye,
perevedennye i ob”jasnennye A.L. Šlecerom (tradotto dal tedesco da D. Jazykov), San
Pietroburgo, 3 voll., 1809-1819. Precedentemente, e dopo la traduzione di Müller già
citata, il testo russo della Cronaca nella sua copia di Königsberg era stato preparato per la
pubblicazione dal traduttore Ivan Barkov e pubblicato nel 1767, a gran danno di Schlözer
che si trovava già in Germania, nel primo volume di una collana edita dall’Accademia delle
scienze e dedicata ai testi antichi: Biblioteka rossijskaja istoričeskaja, soderžaščaja
drevnie letopisi i vsjakie zapiski, sposobstvujuščie k ob”jasneniju istorii i geografii
rossijskih drevnih i srednih vremen, San Pietroburgo, Accademia delle science, vol. 1,
1767.
71 Izobraženie rossijskoj istorii sočinennoe g. Šlecerom, tradotto dal francese da Nikolaj
Nazimov, San Pietroburgo, s.d. In precedenza, Schlözer aveva pubblicato in tedesco un
libro un poco differente, ma dove esponeva le stesse idee sulle origini dei Russi: August
Ludwig von Schlözer, Geschichte von Russland. Erster Teil, bis auf die Erbauung von
Moskau im J. 1147, Göttingen-Gotha, 1769. [La traduzione in italiano di Tableau de
l’histoire de la Russie è sul sito www.larici.it. (N.d.C.)]
72 Cfr. per esempio un manuale anonimo, Kratkoe načertanie rossijskoj istorii služaščee
rukovodstvom k obstojatel’nomu poznaniju drevnih i novyh proizšestvij sego gosudarstva,
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Il lavoro di Schlozer avrebbe potuto acutizzare i conflitti nazionali se la
congiuntura non fosse cambiata. Caterina II, infatti, si interessò alla scienza
storica, come ai tempi di Pietro il Grande, ma, a differenza del suo
predecessore, ella voleva non una cronaca del proprio regno, ma una storia
nazionale della Russia che integrasse tutte le componenti, anche estere. La
stessa imperatrice pubblicò nel 1783-1784 Osservazioni concernenti la
storia della Russia, in cui era principalmente trattata la monarchia russa73.
Tuttavia, ella affrontò ugualmente la storiografia delle origini con ovvio
interesse, rifiutando la «favola» di Prus, e preferendo credere a una
principesca presenza slava a Novgorod anteriore ai Varjaghi. Convinta
dell’etimologia «gloriosa» degli Slavi, deplorava che essi non avessero
generato degli scrittori poiché possedettero la scrittura «molto prima di
Gesù Cristo74». Questa antichità prestata agli Slavi le permetteva di
assimilarli agli Sciti, senza tante formalità; Varjaghi e Russi (Russy) ne
erano inclusi. Infine, cedendo allo spirito del tempo, Caterina accreditava di
una etimologia slava i nomi come Ludwig, Clovis o Meroveus75. Nel 1784,
scrisse a Grimm che «si era tuffata nella lettura dei tre volumi del Mondo
primitivo di Antoine Court de Gébelin76». Anteriore alle lingue europee, la
lingua slava poteva così rivendicare se non uno stato originale unico,
almeno una antecedenza soddisfacente per l’orgoglio nazionale. Infine,
Caterina dispose la costituzione di una commissione incaricata di pubblicare
i materiali sulla storia degli Slavi e dei Russi, a partire dal secolo VIII, e di
valutare in seguito la storia controcorrente, «di secolo in secolo, tanto
lontano nell’antichità quanto permettano gli autori» russi e stranieri77.
Questa andatura a ritroso testimoniava la sua volontà di garantire alla
Russia la propria antichità. Del resto, ella stessa si mostrava divisa tra le
diverse ipotesi, come rivelano delle note inedite, scritte in russo, alla lettura
di Bayer che risalgono probabilmente agli anni 1782-1785. Ella rilevava così
che aveva dubitato della radice slava/slava, denunciato le origini slave della
Prussia, affermato che Vladimir veniva da Waldemar, e riprendeva le sue
descrizioni dei costumi degli Sciti, supposti essere gli antenati comuni di
izdannoe dlja pol’zy i udovol’stvija mladyh Rossijan…, Kaluga, 1794, p. 12: gli Slavi si
stabilirono sulle rive del Dnepr nel V secolo; o ancora Detskaja rossijskaja istorija,
izdannaja v pol’zu obučajuščagosja junošestva, Smolensk, 1797, pp. 1-3: non si conosce
nulla sulle origini degli Slavi prima del V secolo, con un riferimento esplicito a Schlözer;
tutte le altre ricostruzioni non sono che fantasie.
73 Nella rassegna di Ekaterina Daskova, Sobesednik ljubitelej rossijskogo slova, 1783-1784,
riprodotti e completati con pezzi inediti nell’edizione critica di Aleksandr Nikolaevič Pypin,
Sočinenija imperatricy Ekateriny II, San Pietroburgo, Accademia delle scienze, voll. VIIIXI, 1901-1906.
74 Ibid., vol. VIII. 1901, pp. 11-15.
75 Ibid., vol. XI, pp. IX, XXII-XXIII, p. 421. [Clovis e Meroveus sono Clodoveo e Meroveo, re
dei Franchi nel V-VI secolo. (N.d.C.)]
76 1773-1782, in nove volumi, Parigi, presso l’autore. Lettere a Grimm del 9 settembre
1784, 5 marzo 1785 e 10 Agosto 1785, Sbornik imperatorskogo russkogo istoričeskogo
obščestva, vol. 23, pp. 318, 321-325 e 359.
77 Sočinenija imperatricy Ekateriny II, a cura di A.N. Pypin, op. cit., vol XI, p. 499.
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Goti e Slavi78. Certo, è difficile interpretare queste osservazioni manoscritte
al di là di una prova della curiosità dell’imperatrice per un soggetto a priori
lontano dall’attualità politica. Tuttavia, la sua insistenza a ritornare,
attraverso gli scritti di Bayer, sui tratti che, inizialmente, avvicinavano gli
Sciti, antenati degli Slavi, dei Franchi e dei Sassoni, rilevando per esempio
che essi utilizzavano lo stesso tipo di imbarcazioni, non manca di
interesse79. Può darsi che tali osservazioni costituissero, nella sua mente,
l’abbozzo di una ricostruzione «russo-tedesca», istituendo una sorta di
comunità di destino tra le due nazioni, come la «russificazione» dei Goti
riproduceva a monte, alle origini, la sua biografia che aveva sempre bisogno
di legittimare. Ma le sue Osservazioni concernenti la storia della Russia si
collocavano nettamente dalla parte slava. Caterina era probabilmente l’eco
di un movimento nazionale di cui trovava esempi presso i suoi sudditi, ma
anche in Europa, in Francia per esempio.
Non possiamo qui estendere ulteriormente questa indagine che rimane
parziale, tuttavia si impongono tre osservazioni.
In primo luogo, la ricostruzione nazionale che abbiamo cercato di
individuare sembra cronologicamente collocata: è dalla metà del XVIII
secolo che gli elementi fino ad allora dispersi furono messi insieme e ripresi
da diversi autori e che i luoghi comuni sull’origine dei Russi conobbero una
diffusione relativamente omogenea.
In secondo luogo, si può constatare che questa ricostruzione è stata
cementata sotto l’azione di circostanze particolari fatte di conflitti o di
confronti a forte tinte nazionali, in cui la politica non era assente. La prima,
ben precisa, che interessava i confini della Russia, conduceva a un
adattamento in terra ucraina, poi russa, dei discorsi di origine
prevalentemente polacca. La seconda, più complessa, dava luogo a una
vera e propria messa in scena: quella di un conflitto germano-russo (o
scandinavo-russo) progettato e vissuto sia su un piano simbolico che su uno
reale. Inoltre, l’elaborazione del modello nazionale passava per un transfert
dall’antichità verso la Russia, con mezzi presi in prestito dalle culture
occidentali. Questa operazione, riconosciuta nel campo preciso delle origini
etniche che molto spesso faceva proprie le vie rischiose dell’etimologia,
abbracciava ugualmente ambiti assai diversi come il diritto – con la ricerca
di una antica legislazione russa – le lettere o le arti.
Infine, gli attori russi di questa impresa collettiva ci sembrano presentare
alcuni punti in comune. Lomonosov, Trediakovskij, Kozickij, Emin, Chulkov e
altri ancora, che si sforzarono con esercizi similari in altri campi, erano quasi
tutti degli intellettuali – scrittori o traduttori – provenienti da gente comune,
dal basso clero o dalla piccola nobiltà. Essi dovevano la loro ascesa agli
78 RGADA, f. 10 (carta del gabinetto di Caterina II), inv. 1, fasc. 364, cfr. in particolare ff.
23, 25, 27, 33-34, 38 e 46. Fino a oggi, a nostra conoscenza, queste note non sono mai
state prese in considerazione dagli storici.
79 Ibid., f. 10.
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studi e, spesso, al soggiorno in un’università europea, com’è stato per i
primi tre. Erano in genere vicini all’Accademia delle scienze, il luogo per
eccellenza di tali ricostruzioni, o all’Università di Mosca, e si impegnarono
con passione all’invenzione di una cultura nazionale80. Anche la tesi di
Tradiakovskij ci sembra molto più illuminante di quanto sia sembrato. Se il
verbo creatore, con le sue connotazioni religiose, precede i fatti d’arme e la
gloria, è perché l’autore di questa elaborazione si sente lui stesso investito
di un ruolo più nobile di quello dell’uomo di guerra, cioè del gentiluomo.
Ricostruendo la nazione per i sovrani, per i quali bisognava però passare, i
letterati affermavano in quella occasione la loro pretesa a rappresentarla e il
loro diritto di entrare, con tanta più forza di quanta ne avessero, nel
paesaggio sociale russo, la nuova élite alla quale aspiravano.
80 Il fenomeno di questo esiguo numero di «intellettuali nazionali» e di origine non nobile
non è ancora stato approfondito, se non in un libro di Mihail Mihajlovič Štrange,
Demokratičeskaja intelligencija Rossii v XVIII veke, Mosca, Nauka, 1965, le cui distorsioni
metodologiche offuscano purtroppo i risultati, ma apre, a nostro avviso, una pista
feconda.
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