VINCI L`INDIFFERENZA E CONQUISTA LA PACE

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VINCI L`INDIFFERENZA E CONQUISTA LA PACE
Azione Cattolica Brescia
MESE DELLA PACE 2016
VINCI
L'INDIFFERENZA
E CONQUISTA
LA PACE
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INTRODUZIONE
Viviamo in un periodo nel quale i rapporti tra le persone sono sempre più virtuali e meno vissuti come
relazioni dirette; basta fare un viaggio in treno per rendersi conto che la maggior parte delle persone usa il
computer o il telefono e non riesce più a parlare con chi è seduto accanto. Spesso finita la giornata
lavorativa ci si chiude in casa e non si ha più tempo né voglia per coltivare gli incontri o le attività sociali, sia
per gli orari che impone il lavoro, sia perché all'interno delle mura domestiche ci sentiamo protetti.
Certamente l'indifferenza nei confronti degli altri è una delle cause principali di questo chiuderci in noi
stessi, nel nostro piccolo gruppo, nel nostro “recinto fortificato”; una indifferenza che è chiusura nei
confronti dell'altro e anche atteggiamento difensivo.
Papa Francesco inizia il suo messaggio per la 49^ giornata mondiale della pace “Vinci l'indifferenza e
conquista la pace” con la speranza che il prossimo anno tutti si sentano impegnati a realizzare la giustizia e a
operare per la pace e prosegue ricordando che in quanto esseri umani, voluti da Dio a sua immagine e
somiglianza e in relazione con i propri fratelli, abbiamo nei confronti dell’altro una responsabilità e con il
quale agiamo in solidarietà.
Papa Francesco ci ricorda poi che l’indifferenza verso il prossimo, figlia di quella verso Dio, diventa inerzia e
disimpegno che alimentano il perdurare di situazioni di ingiustizia e ci richiama a: “fare dell’amore, della
compassione, della misericordia e della solidarietà un vero programma di vita, uno stile di comportamento
nelle nostre relazioni gli uni con gli altri...; la solidarietà «è la determinazione ferma e perseverante di
impegnarsi per il bene comune....”.
Infine Papa Francesco, nel segno del Giubileo della Misericordia, invita ciascuno ad adottare un impegno
concreto per contribuire a migliorare la realtà in cui vive, e formula un pressante appello ai responsabili
degli Stati a compiere gesti concreti in favore dei fratelli e delle sorelle che soffrono per la mancanza di
lavoro, terra e tetto.
I richiami di Papa Francesco ci portano ad una riflessione sul significato della parola “giustizia”.
Giovanni Grandi, in un articolo dal titolo: “Carità, verità e giustizia: una riflessione antropologica”, ci ricorda:
“.... il rapporto tra carità, giustizia e verità diventa interessante da un punto di vista antropologico: la
giustizia non è anzitutto il frutto dell’impegno dell’uomo ad essere più equanime e a mettere a disposizione
parte di ciò che possiede. La giustizia è in primo luogo il germoglio nuovo nella vita della persona liberata
dalle schiavitù, della persona che ha scoperto la verità su se stessa: che si è scoperta custodita dall’amore di
Dio e non assicurata dai beni mondani. La giustizia è il punto di vista della persona libera, che inizia o
prosegue nel tirocinio della libertà dalla dipendenza dai piccoli dei: la carità come attenzione all’altro non è
una nobile e audace performance volontaristica, ma è anzitutto il frutto del sapersi al sicuro nelle mani del
Deus che è Caritas“.
Nel diritto romano la definizione era la seguente: “La giustizia è la ferma e costante volontà di dare a
ciascuno ciò che gli spetta di diritto”. Ma nella Bibbia la parola “giustizia” significa qualcosa di più di ciò che
significa nel diritto romano. Significa rettitudine morale, conformità alla volontà di Dio: significa “essere
amico di Dio”. Il termine “giustizia”, espressa in ebraico nei testi biblici dell’AT, viene tradotto in greco con
“elemosina”, per indicare la solidarietà pratica nei confronti dei poveri.
Nella Bibbia la “giustizia” designa il giusto rapporto e la benevolenza tra le persone e nella tradizione biblica
la “solidarietà”, che è la dimensione positiva della giustizia nei confronti dei poveri e degli oppressi, è
inseparabile dalla legalità intesa come rispetto e applicazione della legge sul modello dell’agire di Dio che
rende giustizia ai poveri. Quindi la giustizia in senso biblico comprende anche la giustizia legale, ma si pone
su un piano più alto e comprensivo, tale da poter costituire altresì un "metro di giudizio" rispetto alla
giustizia legale.
Infatti le leggi umane, pur tendendo ad incorporare valori di giustizia, si presentano a volte “ingiuste” nel
confronto col parametro della “giustizia in senso biblico”. Di lì nasce un conflitto tra la legge posta
dall'Autorità politica (oggi diciamo “la legge positiva”, cioè posta dallo Stato) e la coscienza del singolo,
sensibile ai valori che si ispirano alla “giustizia in senso biblico”. Nasce l'obiezione di coscienza alla legge
ingiusta, cioè il rifiuto di obbedire alla legge positiva ingiusta per motivi di coscienza che si fondano su una
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“legge” superiore, alla quale la coscienza del singolo intende restare fedele.
Nella lettera alle unità pastorali "Ricchi di misericordia" il Vescovo Luciano ci dice che :" la misericordia è il
modo proprio di Dio di essere giusto e di promuovere la giustizia nel cuore e nella società degli uomini".(cap.
4.1)
Enzo Bianchi, nel suo libro “Le vie della felicità - Gesù e le beatitudini” commenta così il brano del Vangelo
”Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5,6): “Nella beatitudine sugli
affamati e assetati di giustizia si fa riferimento anche a quelle situazioni concrete in cui nella storia manca la
giustizia e regna invece l'ingiustizia; Dio infatti “rende giustizia agli oppressi e dona il pane agli affamati”
(Sal 146,7), conosce la fame dei poveri e la accoglie (Sal 10,17), vede quelli che piangono (Sal 9,14). È la
nostra ingiustizia che produce poveri, piangenti, affamati, perseguitati: chi dunque desidera veramente che
Dio regni deve impegnarsi affinché cessino queste situazioni....; la ricchezza, il denaro, il potere vanno
combattuti con le armi della vita cristiana: sincerità, coerenza tra parole e vita e, certo, giustizia
quotidianamente vissuta tramite la solidarietà del lavorare, la condivisione dei beni, il servizio ai fratelli
ultimi e più bisognosi.”
Ci ricorda ancora Enzo Bianchi: ”Gesù – si faccia attenzione – non ha “moltiplicato” pani e pesci; i Vangeli
non usano questo verbo, ma dicono che i pani e i pesci furono condivisi: erano poca cosa ma, una volta
condivisi “tutti mangiarono e furono saziati”.
COSA FARE?
Qualche volta noi cristiani compiamo opere di carità che sono rivolte ad alleviare le sofferenze e i disagi dei
poveri, degli affamati, dei perseguitati, ma non mettiamo lo stesso impegno per superare le diseguaglianze
e le altre cause che sono all'origine delle varie povertà.
In un documento conciliare, il decreto sull'apostolato dei laici “Apostolicam Actuositatem”, si dice: “Siano
anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perché non avvenga che offra come dono di carità ciò che è già
dovuto come giustizia”.
Siamo chiamati quindi, nella vita di tutti i giorni, a praticare la giustizia nei rapporti con il nostro prossimo,
una giustizia che, partendo dal rispetto della legalità, abbia come obbiettivo la Giustizia di Dio che, come ci
ricorda Enzo Bianchi, “non sta accanto alla sua misericordia, ma la contiene in sé stessa.”
Per fare questo abbiamo bisogno di “occhi nuovi” e non ci sono parole più profetiche di quelle di Tonino
Bello per farcelo capire:
…...Ecco allora la folla dei nuovi poveri, dagli accenti casalinghi e planetari.
Sono, da una parte, i terzo mondiali estromessi dalla loro terra. I popoli della fame uccisi dai detentori
dell'opulenza. Le tribù decimate dai calcoli economici delle superpotenze. Le genti angariate dal debito
estero.
Ma sono anche i fratelli destinati a rimanere per sempre privi dell'essenziale: la salute, la casa, il lavoro, la
partecipazione. Sono i pensionati con redditi bassissimi. Sono i lavoratori che, pur ammazzandosi di fatica,
sono condannati a vivere sott'acqua e a non emergere mai a livelli di dignità. Di fronte a questa gente non
basta più commuoversi. Non basta medicare le ustioni a chi ha gli abiti in fiamme. I soli sentimenti
assistenziali potrebbero perfino ritardare la soluzione del problema.
Occorre chiedere "occhi nuovi".
"Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli. Occhi nuovi, Signore. Non cataloghi esaustivi
di miserie, per così dire, alla moda. Perché, fino a quando aggiorneremo i prontuari allestiti dalle nostre
superficiali esuberanze elemosiniere e non aggiorneremo gli occhi, si troveranno sempre pretestuosi motivi
per dare assoluzioni sommarie alla nostra imperdonabile inerzia. Donaci occhi nuovi, Signore".
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PROPOSTA PER GLI ADULTI
Il percorso che proponiamo nel mese della pace, in quanto parte integrante del cammino formativo
dell’anno, ripercorre lo stile del cammino ordinario degli adulti, diviso nei tre momenti:
1. LA VITA SI RACCONTA
È il primo passo e consiste nel raccontare la vita, quella di ogni giorno, fatta di esperienze, incontri,
situazioni…
2. LA PAROLA ILLUMINA
Ognuno è invitato a lasciarsi provocare dai testi proposti: Quale messaggio posso trarre? Cosa dice
alla mia vita? Cosa mi piace? Perché?
3. LA VITA CAMBIA
Il terzo passo chiede di non fermarci al racconto e al confronto ma di individuare un possibile
cambiamento per la propria vita. È un momento essenziale del cammino per pensare azioni
missionarie o di testimonianza da vivere personalmente o in gruppo.
LA VITA SI RACCONTA
Raccontiamo, condividiamo i gesti (anche piccoli) che abbiamo compiuto e che abbiamo visto in relazione
alla GIUSTIZIA, all'INDIFFERENZA e alla FRATERNITA'.
LA PAROLA ILLUMINA
Proponiamo tre piste alternative di riflessione, lasciando la libertà di scelta in base alle esigenze del gruppo.
PISTA A - "Vinci l'indifferenza, conquista la pace"
La prima pista propone una riflessione partendo da alcuni passaggi del Messaggio del Santo Padre per la
Giornata mondiale della Pace “Vinci l’indifferenza, conquista la pace”.
Ci sono molteplici ragioni per credere nella capacità dell’umanità di agire insieme in solidarietà, nel
riconoscimento della propria interconnessione e interdipendenza, avendo a cuore i membri più fragili e la
salvaguardia del bene comune. Questo atteggiamento di corresponsabilità solidale è alla radice della
vocazione fondamentale alla fratellanza e alla vita comune. La dignità e le relazioni interpersonali ci
costituiscono in quanto esseri umani, voluti da Dio a sua immagine e somiglianza. Come creature dotate di
inalienabile dignità noi esistiamo in relazione con i nostri fratelli e sorelle, nei confronti dei quali abbiamo
una responsabilità e con i quali agiamo in solidarietà. Al di fuori di questa relazione, ci si troverebbe ad
essere meno umani.
3. Certo è che l’atteggiamento dell’indifferente, di chi chiude il cuore per non prendere in considerazione gli
altri, di chi chiude gli occhi per non vedere ciò che lo circonda o si scansa per non essere toccato dai problemi
altrui, caratterizza una tipologia umana piuttosto diffusa e presente in ogni epoca della storia. Tuttavia, ai
nostri giorni esso ha superato decisamente l’ambito individuale per assumere una dimensione globale e
produrre il fenomeno della “globalizzazione dell’indifferenza”.
La prima forma di indifferenza nella società umana è quella verso Dio, dalla quale scaturisce anche
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l’indifferenza verso il prossimo e verso il creato. È questo uno dei gravi effetti di un umanesimo falso e del
materialismo pratico, combinati con un pensiero relativistico e nichilistico. L’uomo pensa di essere l’autore di
sé stesso, della propria vita e della società; egli si sente autosufficiente e mira non solo a sostituirsi a Dio, ma
a farne completamente a meno; di conseguenza, pensa di non dovere niente a nessuno, eccetto che a sé
stesso, e pretende di avere solo diritti [4]. Contro questa autocomprensione erronea della persona, Benedetto
XVI ricordava che né l’uomo né il suo sviluppo sono capaci di darsi da sé il proprio significato ultimo [5]; e
prima di lui Paolo VI aveva affermato che «non vi è umanesimo vero se non aperto verso l’Assoluto, nel
riconoscimento di una vocazione, che offre l’idea vera della vita umana»[6].
L’indifferenza nei confronti del prossimo assume diversi volti. C’è chi è ben informato, ascolta la radio, legge
i giornali o assiste a programmi televisivi, ma lo fa in maniera tiepida, quasi in una condizione di
assuefazione: queste persone conoscono vagamente i drammi che affliggono l’umanità ma non si sentono
coinvolte, non vivono la compassione. Questo è l’atteggiamento di chi sa, ma tiene lo sguardo, il pensiero e
l’azione rivolti a sé stesso. Purtroppo dobbiamo constatare che l’aumento delle informazioni, proprio del
nostro tempo, non significa di per sé aumento di attenzione ai problemi, se non è accompagnato da
un’apertura delle coscienze in senso solidale [7]. Anzi, esso può comportare una certa saturazione che
anestetizza e, in qualche misura, relativizza la gravità dei problemi. «Alcuni semplicemente si compiacciono
incolpando i poveri e i paesi poveri dei propri mali, con indebite generalizzazioni, e pretendono di trovare la
soluzione in una “educazione” che li tranquillizzi e li trasformi in esseri addomesticati e inoffensivi. Questo
diventa ancora più irritante se gli esclusi vedono crescere questo cancro sociale che è la corruzione
profondamente radicata in molti Paesi – nei governi, nell’imprenditoria e nelle istituzioni – qualunque sia
l’ideologia politica dei governanti» [8].
In altri casi, l’indifferenza si manifesta come mancanza di attenzione verso la realtà circostante,
specialmente quella più lontana. Alcune persone preferiscono non cercare, non informarsi e vivono il loro
benessere e la loro comodità sorde al grido di dolore dell’umanità sofferente. Quasi senza accorgercene,
siamo diventati incapaci di provare compassione per gli altri, per i loro drammi, non ci interessa curarci di
loro, come se ciò che accade ad essi fosse una responsabilità estranea a noi, che non ci compete [9]. «Quando
noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa
mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… Allora il nostro
cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non
stanno bene» [10].
Vivendo in una casa comune, non possiamo non interrogarci sul suo stato di salute, come ho cercato di fare
nella Laudato si’. L’inquinamento delle acque e dell’aria, lo sfruttamento indiscriminato delle foreste, la
distruzione dell’ambiente, sono sovente frutto dell’indifferenza dell’uomo verso gli altri, perché tutto è in
relazione. Come anche il comportamento dell’uomo con gli animali influisce sulle sue relazioni con gli
altri[11], per non parlare di chi si permette di fare altrove quello che non osa fare in casa propria [12].
In questi ed in altri casi, l’indifferenza provoca soprattutto chiusura e disimpegno, e così finisce per
contribuire all’assenza di pace con Dio, con il prossimo e con il creato.
4. L’indifferenza verso Dio supera la sfera intima e spirituale della singola persona ed investe la sfera
pubblica e sociale. Come affermava Benedetto XVI, «esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio
e la pace degli uomini sulla terra» [13]. Infatti, «senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del
relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace» [14]. L’oblio e la
negazione di Dio, che inducono l’uomo a non riconoscere più alcuna norma al di sopra di sé e a prendere
come norma soltanto sé stesso, hanno prodotto crudeltà e violenza senza misura [15].
A livello individuale e comunitario l’indifferenza verso il prossimo, figlia di quella verso Dio, assume l’aspetto
dell’inerzia e del disimpegno, che alimentano il perdurare di situazioni di ingiustizia e grave squilibrio
sociale, le quali, a loro volta, possono condurre a conflitti o, in ogni caso, generare un clima di
insoddisfazione che rischia di sfociare, presto o tardi, in violenze e insicurezza.
In questo senso l’indifferenza, e il disimpegno che ne consegue, costituiscono una grave mancanza al dovere
che ogni persona ha di contribuire, nella misura delle sue capacità e del ruolo che riveste nella società, al
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bene comune, in particolare alla pace, che è uno dei beni più preziosi dell’umanità [16].
Quando poi investe il livello istituzionale, l’indifferenza nei confronti dell’altro, della sua dignità, dei suoi
diritti fondamentali e della sua libertà, unita a una cultura improntata al profitto e all’edonismo, favorisce e
talvolta giustifica azioni e politiche che finiscono per costituire minacce alla pace. Tale atteggiamento di
indifferenza può anche giungere a giustificare alcune politiche economiche deplorevoli, foriere di ingiustizie,
divisioni e violenze, in vista del conseguimento del proprio benessere o di quello della nazione. Non di rado,
infatti, i progetti economici e politici degli uomini hanno come fine la conquista o il mantenimento del potere
e delle ricchezze, anche a costo di calpestare i diritti e le esigenze fondamentali degli altri. Quando le
popolazioni vedono negati i propri diritti elementari, quali il cibo, l’acqua, l’assistenza sanitaria o il lavoro,
esse sono tentate di procurarseli con la forza [17].
Inoltre, l’indifferenza nei confronti dell’ambiente naturale, favorendo la deforestazione, l’inquinamento e le
catastrofi naturali che sradicano intere comunità dal loro ambiente di vita, costringendole alla precarietà e
all’insicurezza, crea nuove povertà, nuove situazioni di ingiustizia dalle conseguenze spesso nefaste in
termini di sicurezza e di pace sociale. Quante guerre sono state condotte e quante ancora saranno
combattute a causa della mancanza di risorse o per rispondere all’insaziabile richiesta di risorse naturali [18]?
Gesù ci insegna ad essere misericordiosi come il Padre (cfr Lc 6,36). Nella parabola del buon samaritano (cfr
Lc 10,29-37) denuncia l’omissione di aiuto dinanzi all’urgente necessità dei propri simili: «lo vide e passò
oltre» (cfr Lc 10,31.32). Nello stesso tempo, mediante questo esempio, Egli invita i suoi uditori, e in
particolare i suoi discepoli, ad imparare a fermarsi davanti alle sofferenze di questo mondo per alleviarle,
alle ferite degli altri per curarle, con i mezzi di cui si dispone, a partire dal proprio tempo, malgrado le tante
occupazioni. L’indifferenza, infatti, cerca spesso pretesti: nell’osservanza dei precetti rituali, nella quantità di
cose che bisogna fare, negli antagonismi che ci tengono lontani gli uni dagli altri, nei pregiudizi di ogni
genere che ci impediscono di farci prossimo.
La misericordia è il cuore di Dio. Perciò dev’essere anche il cuore di tutti coloro che si riconoscono membri
dell’unica grande famiglia dei suoi figli; un cuore che batte forte dovunque la dignità umana – riflesso del
volto di Dio nelle sue creature – sia in gioco. Gesù ci avverte: l’amore per gli altri – gli stranieri, i malati, i
prigionieri, i senza fissa dimora, perfino i nemici – è l’unità di misura di Dio per giudicare le nostre azioni. Da
ciò dipende il nostro destino eterno.
Così, anche noi siamo chiamati a fare dell’amore, della compassione, della misericordia e della solidarietà un
vero programma di vita, uno stile di comportamento nelle nostre relazioni gli uni con gli altri [21]. Ciò richiede
la conversione del cuore: che cioè la grazia di Dio trasformi il nostro cuore di pietra in un cuore di carne (cfr
Ez 36,26), capace di aprirsi agli altri con autentica solidarietà. Questa, infatti, è molto più che un
«sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o
lontane» [22]. La solidarietà «è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune:
ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti» [23], perché la
compassione scaturisce dalla fraternità.
Così compresa, la solidarietà costituisce l’atteggiamento morale e sociale che meglio risponde alla presa di
coscienza delle piaghe del nostro tempo e dell’innegabile inter-dipendenza che sempre più esiste,
specialmente in un mondo globalizzato, tra la vita del singolo e della sua comunità in un determinato luogo
e quella di altri uomini e donne nel resto del mondo [24].
Per la riflessione e il confronto
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A volte ci chiudiamo in noi stessi, guardiamo ma non vediamo, sentiamo ma non ascoltiamo. Quando
mettiamo in atto questi atteggiamenti di indifferenza? Perché?
Siamo capaci di compassione, ossia ci preoccupiamo per l’altro, percepiamo le sue sofferenze e
desideriamo alleviarle oppure i problemi non ci toccano, preferiamo “passare oltre”?
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Siamo interessati a conoscere i problemi del nostro territorio e del mondo? Approfondiamo quanto
accade attraverso un’informazione seria e cercando di andare oltre i luoghi comuni?
Per vincere l’indifferenza, quali ostacoli incontriamo? Quali scuse troviamo?
Papa Francesco ci ricorda che “esistiamo in relazione con i nostri fratelli e sorelle” e che la nostra vita
dipende inevitabilmente dalla vita degli altri. Il riconoscimento di questa interdipendenza non può che
portare ad un’assunzione di responsabilità e ad impegnarsi per il bene comune. Siamo consapevoli di
essere umanità in relazione (noi e la comunità in cui viviamo; noi e i lontani nel resto del mondo)?
Come ci poniamo di fronte alle situazioni di ingiustizia? Sappiamo praticare atteggiamenti e gesti di
solidarietà? Quali?
Benedetto XVI, nella Lett.enc. Caritas in veritate, sostiene che “La società sempre più globalizzata ci
rende vicini, ma non ci rende fratelli. La ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli
uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità”. Siamo
testimoni di vera fraternità in famiglia, in associazione, nella propria comunità e nei luoghi che
frequentiamo? Quale contributo diamo, come associazione, al difficile cammino di vivere da fratelli
nella nostra comunità cristiana e civile?
PISTA B - "dalla indifferenza alla fraternità, passando dalla giustizia alla legalità";
La seconda pista propone la riflessione partendo dalla lettura di alcuni passaggi tratti dall’Esortazione
apostolica Evangelii Gaudium e di un brano che illustra il significato giuridico e biblico del termine
“giustizia”.
Dall’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium
54. In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che
ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e
inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia
grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati
del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere
uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata
una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare
compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci
interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La
cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo
ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero
spettacolo che non ci turba in alcun modo.
Siamo così indifferenti al richiamo delle sirene del denaro? del vivere senza sobrietà?
59. Oggi da molte parti si reclama maggiore sicurezza. Ma fino a quando non si eliminano l’esclusione e
l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i
poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e
di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società – locale,
nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né
forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Ciò non accade
soltanto perché l’inequità provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema, bensì perché il
sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice. Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si
acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente le basi
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di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire. Se ogni azione ha delle
conseguenze, un male annidato nelle strutture di una società contiene sempre un potenziale di dissoluzione
e di morte. È il male cristallizzato nelle strutture sociali ingiuste, a partire dal quale non ci si può attendere
un futuro migliore. Siamo lontani dalla cosiddetta “fine della storia”, giacché le condizioni di uno sviluppo
sostenibile e pacifico non sono ancora adeguatamente impiantate e realizzate.
L'egoismo , il fare senza riflettere, considerare gli altri una variabile secondaria ci allontana da uno
sviluppo sociale sostenibile. Quanto vengo io prima dell'altro?
189. La solidarietà è una reazione spontanea di chi riconosce la funzione sociale della proprietà e la
destinazione universale dei beni come realtà anteriori alla proprietà privata. Il possesso privato dei beni si
giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si
deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde. Queste convinzioni e pratiche
di solidarietà, quando si fanno carne, aprono la strada ad altre trasformazioni strutturali e le rendono
possibili. Un cambiamento nelle strutture che non generi nuove convinzioni e atteggiamenti farà sì che
quelle stesse strutture presto o tardi diventino corrotte, pesanti e inefficaci.
Quale e quanto io e quale e quanto noi?
190. A volte si tratta di ascoltare il grido di interi popoli, dei popoli più poveri della terra, perché «la pace si
fonda non solo sul rispetto dei diritti dell’uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli». Deplorevolmente,
persino i diritti umani possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata dei diritti
individuali o dei diritti dei popoli più ricchi. Rispettando l’indipendenza e la cultura di ciascuna Nazione,
bisogna ricordare sempre che il pianeta è di tutta l’umanità e per tutta l’umanità, e che il solo fatto di essere
nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore
dignità. Bisogna ripetere che «i più favoriti devono rinunciare ad alcuni dei loro diritti per mettere con
maggiore liberalità i loro beni al servizio degli altri». Per parlare in modo appropriato dei nostri diritti
dobbiamo ampliare maggiormente lo sguardo e aprire le orecchie al grido di altri popoli o di altre regioni del
nostro Paese. Abbiamo bisogno di crescere in una solidarietà che «deve permettere a tutti i popoli di
giungere con le loro forze ad essere artefici del loro destino», così come «ciascun essere umano è chiamato a
svilupparsi».
I miei diritti vengono prima o dopo i miei doveri?
203. La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la
politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso
politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale. Quante parole sono diventate scomode
per questo sistema! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio
che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si
parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. Altre
volte accade che queste parole diventino oggetto di una manipolazione opportunista che le disonora. La
comoda indifferenza di fronte a queste questioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato.
La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più
ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e
rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo.
Mi dà fastidio che mi mettano o che mi debba mettere in discussione?
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Concetto giuridico e biblico del termine “giustizia”
Nella Bibbia la «giustizia» designa il giusto rapporto e la benevolenza tra le persone. Essa risponde
all’aspirazione umana più profonda a vivere in una rete di relazioni positive a livello personale, familiare e
sociale. Perciò con la categoria della «giustizia» nella Bibbia si indica la fedeltà di Dio che si impegna a
liberare il suo popolo. Nel racconto che sta alla base dell’esperienza della fede biblica il Signore dice a Mosè:
«Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti;
conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da quel
paese verso un paese bello e spazioso…» (Es 3,7-8).
La «giustizia» di Dio si manifesta nella storia di liberazione dei figli di Israele dall’Egitto. Egli è «il Dio di
Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe» con i quali ha stretto un’alleanza eterna. Con il suo intervento a
favore degli oppressi nella terra di Egitto il Signore è «giusto», cioè fedele al suo impegno di alleanza. In altri
termini la «giustizia» di Dio coincide con la scelta libera di solidarietà con gli oppressi per la loro liberazione.
Anche la giustizia di carattere giuridico e forense nei testi biblici è subordinata a questa prospettiva della
«giustizia» come qualità dei rapporti tra le persone. Il «giudizio» di Dio esprime la sua signoria sul mondo.
Egli interviene per difendere i giusti oppressi. Perciò nel giudizio «giusto» condanna i malvagi oppressori e
violenti. In breve la «giustizia» nei testi biblici indica un atteggiamento di fedeltà e stabilità di rapporti verso
gli altri nell’ambito della comunità.
Anche il concetto di «diritto» - in ebraico mishpát - indica l’attitudine pratica a stabilire e conservare le
giuste relazione reciproche all’interno della comunità. Perciò là dove regna il diritto e la giustizia si hanno le
condizioni per l’integrità e l’equilibrio dei rapporti che costituiscono la pace, shalôm o salvezza.
Giustizia solidale e legge
Il rapporto della «giustizia» con la «legge» nei testi biblici dell’AT si colloca nel contesto dell’alleanza. La
legge trascrive, sviluppa e applica le clausole di alleanza. Le dieci parole - decalogo - sono riassunte nel
principio dell’amore a Dio come unico e dell’amore del prossimo, come se stessi (Dt 6,4; Lev 19,18). Il
termine ebraico torâh, tradotto in genere con «legge», significa l’istruzione teorico-pratica in vista della
edificazione e rafforzamento della comunità dell’alleanza. Essa ha un contenuto etico, giuridico e sociale,
espresso nei diversi codici biblici. Quelli riportati nel Pentateuco sono raccolte di leggi che applicano nelle
diverse e mutate condizioni di vita del popolo di Dio le clausole dell’alleanza.
In questi codici vi sono le leggi che tutelano il «diritto dei poveri» nella terra di Israele, perché Dio si fa
garante della libertà e dignità dei poveri nella comunità dell’alleanza. Nel codice deuteronomistico si
afferma che Dio è «il Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile che non usa parzialità e non accetta
regali, rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito». Questo modo di
agire di Dio è il paradigma della giustizia nei confronti dei poveri: «Amate dunque il forestiero, perché anche
voi foste forestieri nel paese d’Egitto» (Dt 10,17-19).
A questa giustizia garantita dalla «legge» si richiamano i profeti. Da una parte essi denunciano l’ingiustizia
come violazione dell’alleanza e dall’altra annunciano un futuro di pace e giustizia sulla base della «fedeltà di
Dio». In particolare i profeti si rivolgono al re e ai magistrati che hanno il compito di garantire la giustizia. Il
profeta Geremia riceve da Dio l’incarico di portare al re di Giuda e ai suoi funzionari questo messaggio:
«Praticate il diritto e la giustizia, liberate l’oppresso dalle mani dell’oppressore, non fate violenza e non
opprimete il forestiero, l’orfano e la vedova…» (Ger 22,3). Questa è la condizione per restare nella terra
promessa ai padri e donata dal Signore ai figli di Israele liberati dall’Egitto.
Dunque nella tradizione biblica la «solidarietà», che è la dimensione positiva della giustizia nei confronti dei
poveri e degli oppressi, è inseparabile dalla legalità intesa come rispetto e applicazione della legge sul
modello dell’agire di Dio che rende giustizia ai poveri. Questa particolare attenzione per i poveri nella
prospettiva dell’esodo di liberazione non giustifica nessuna parzialità nel giudizio. Infatti nel codice di santità
del Levitico si dice: «Non commetterai ingiustizia nel giudizio; non tratterai con parzialità il povero, né userai
preferenze verso il potente, ma giudicherai con giustizia il tuo prossimo» (Lv 19,15). In breve il rapporto tra
solidarietà e legalità si stabilisce all’interno della giustizia definita come qualità dei rapporti garantita dalla
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legge e dalla sua applicazione.
Quindi la giustizia in senso biblico comprende anche la giustizia legale, ma si pone su un piano più alto e
comprensivo, tale da poter costituire altresì un "metro di giudizio" rispetto alla giustizia legale. Infatti le
leggi umane, pur tendendo ad incorporare valori di giustizia, si presentano a volta "ingiuste" nel confronto
col parametro della "giustizia in senso biblico". Di lì nasce un conflitto tra la legge posta dall'Autorità politica
(oggi diciamo "la legge positiva", cioè posta dallo Stato) e la coscienza del singolo, sensibile ai valori che si
ispirano alla "giustizia in senso biblico". nasce, cioè, l'obiezione di coscienza alla legge ingiusta, cioè il rifiuto
di obbedire alla legge positiva ingiusta per motivi di coscienza che si fondano su una "legge" superiore, alla
quale la coscienza del singolo intende restare fedele.
PISTA C - L’incontro che non ti aspetti da #VIAGGIANDO
per la terza pista proponiamo di utilizzare il cammino degli adulti per questo anno
associativo "viaggiando" nello specifico la seconda scheda: "I PASTORI l'incontro che
non ti aspetti" anche nella nostra vita l'incontro che non ti aspetti è quello con tanti
poveri che incrociamo e di cui sentiamo continuamente parlare, perchè prima che
interpellare il nostro impegno, ci rimandano alla povertà della nostra vita. I poveri,
accolti e ascoltati, ci annunciano il Vangelo, la misteriosa sapienza che Dio vuole
comunicarci attraverso di loro. (PAG. 53)
LA VITA CAMBIA
Proviamo ora a fare anche noi qualche "piccolo gesto" concreto: il metterci in gioco in alcune cose è parte
del nostro essere di Azione Cattolica.
Vi proponiamo alcuni esempi concreti di impegno: non lasciamoli solo sulla carta...
1. l'Iniziativa di Solidarietà diocesana:
 il progetto di accoglienza
 la raccolta fondi per contribuire all'acquisto dell'arredo per la casa di Nuvolera gestita
dall'Associazione Bambino Emopatico
2. il "Libro bianco" (consegnato a tutte le ass. parrocchiali durante l'assemblea di inizio anno) dove
possiamo realizzare e scrivere i piccoli o grandi gesti che realizziamo nei nostri gruppi
3. per stimolare la fantasia, vi indichiamo alcune iniziative che in altre diocesi sono state realizzate:
 la raccolta di scontrini fiscali (quelli che spesso ci "dimentichiamo" di chiedere).
 l'acquisto di beni di consumo nei negozi del commercio equo-solidale.
 i micro-progetti di accoglienza in collaborazione con altre realtà territoriali.
 il coinvolgimento di altre associazioni presenti nel nostro territorio per realizzare proposte
comuni.
 le classiche "marce" o "fiaccolate "per la pace, magari coinvolgendo le amministrazioni locali e i
gruppi di immigrati presenti.
Non ci rimane che augurare a tutti un buon lavoro e un buon viaggio.
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PROPOSTA GIOVANI e GIOVANISSIMI
La proposta della Commissione Giovani prende spunto dal Campo invernale “L'Altro Oltre”
tenutosi a fine anno a Trieste: 16 giovani di Azione Cattolica, una città nuova, il desiderio di
mettersi in viaggio per incontrare.
Incontrare gli altri, lo sappiamo bene, obbliga prima almeno a fare conoscenza con se stessi.
L'altro che non sono io e l'altro che sono io: ecco quel che abbiamo incontrato in queste giornate a
Trieste.
Da questa esperienza e dal Messaggio del Papa “Vinci l'indifferenza e conquista la Pace” abbiamo
pensato di declinare la giustizia biblica come accoglienza: l'uomo giusto accoglie l'altro e l'Altro.
Abbiamo provato a tradurre quel che abbiamo vissuto in due proposte per il mese della Pace. Di
seguito vi sono entrambe: molto concrete e sintetiche. Più che un sussidio sono un consiglio, un
punto di vista che abbiamo fatto nostro in queste giornate.
In preparazione ci sono due diari sull'esperienza vissuta. Condivideremo anche quelli, con il
desiderio di trasmettere la pienezza del tempo che abbiamo vissuto e suscitare il desiderio di
incontro che ci ha portati qui.
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PROPOSTA 1
PACE è una parole che porta in sé la necessità di un "qualcun altro" con cui essere in pace, con cui
fare pace, con cui vivere la pace. Chi è l'altro? Chi e' per me l'altro?
Per provare a lavorare su questa provocazione, proponiamo tre momenti:
1 - SPEED DATE un semplice gioco che ci permette di fare queste riflessioni e introdurre il tema:
c'e' un altro oltre a me? quanti tipi di “altro” esistono (culture, religioni, opinioni, squadre, gruppi,
scuole, partiti...)?
2 - Proporre un'ATTIVITÀ di incontro con un altro lontano/diverso. Ad esempio: una caccia al
tesoro in una città diversa obbliga i ragazzi a chiedere indicazioni, a fidarsi di estranei, mettendosi
nella posizione di chi ha bisogno di aiuto. È un po' la condizione dello straniero, dell'estraneo che
entra in punta di piedi, in una relazione non paritetica, ma che per necessità cerca prossimità e
accoglienza. Inoltre chiedere informazioni/cercare posti obbliga i ragazzi a fare per primi un passo
verso gli altri, a sbilanciarsi, ovvero a perdere l'equilibrio per un secondo: l'incertezza del "sarò
accolto o allontanato?"
3 - Il confronto con la PAROLA di DIO: Maria e Giuseppe alla ricerca di ospitalità per la notte, la
parabola del buon Samaritano, Simeone e il suo cantico come icona dell'uomo giusto (accoglie lo
Spirito di Dio, l'attesa, l'annuncio della salvezza, Gesù tra le braccia, la salvezza per tutti gli uomini,
il dolore di Maria...).
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PROPOSTA 2
Avremmo voluto scrivere un piccolo diario per raccontarvi la nostra esperienza, il significato di
accoglienza che abbiamo sperimentato in questo campo. Potremmo riuscirci entro l'Epifania. Lo
speriamo davvero. Questa seconda proposta è pensata su una lettura del testo di Papa Francesco,
in allegato, riletto dopo l'esperienza fatta a Trieste.
1 - Il Papa sottolinea che per esserci Pace è necessaria una condizione: VINCERE L'INDIFFERENZA.
Ecco che allora alla nostra mente sono venute tutte quelle situazioni che non conosciamo: guerre,
fame, condizioni politiche, lontane e vicine. Dopo la lettura del testo del Santo Padre si potrebbe
chiedere ai ragazzi di dedicare la settimana a cercare una realtà a testa che conoscono solo
superficialmente.
2 - L'incontro successivo potrebbe essere dedicato alla presentazione delle situazioni che i ragazzi
hanno raccolto durante la settimana. Una volta raccolte tutte potrebbe essere bello presentare ai
ragazzi le Opere di Misericordia. Ecco allora che si potrebbe scegliere con loro di vivere come
gruppo UN'opera di misericordia. Come scegliere quale? Selezionare una tra le realtà di disagio
portate all'attenzione dai ragazzi e pensare a cosa poter fare concretamente per essere utili in
quella situazione (es. preparare volantini informativi/ dare una mano ad una associazione sul
territorio che lavora in quell'ambito/ organizzare una veglia di preghiera …)
3 - Realizzare concretamente l'impegno preso per sconfiggere l'indifferenza sull'argomento scelto.
Proporre ai ragazzi l'impegno di vivere un'opera di misericordia al mese per prepararsi al meglio
alla GMG … e alla vita!
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PROPOSTA ACR
Anche nel Mese della Pace, continua il viaggio dell’ACR verso Te!
Ora è giunto il momento per i nostri bambini e ragazzi di lasciar “entrare nella propria casa” l’altro, quel
compagno di viaggio che sembra essere il più lontano, per incontrare il suo mondo e di conseguenza capire
meglio il proprio, questo perché “la pace è di casa…”!
L’Azione Cattolica, in questo momento dell’anno, offre l’occasione agli associati di ogni età di riflettere sul
tema della pace, come la Chiesa Universale è chiamata a riflettere su questo tema a seguito del Messaggio
del papa per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio.
È un’occasione per formarsi come cittadini del mondo, alla luce del Vangelo, per imparare ad essere giusti,
non secondo il metro di valutazione dell’uomo, ma come è giusto Gesù.
Come educatori siamo investiti da una duplice responsabilità: siamo chiamati a formarci perché la nostra
vita parli concretamente di pace e inoltre è nostro dovere trasmettere a bambini e ragazzi la concretezza
della pace che ci indica Gesù, oggi più che mai!
In linea con le scelte unitarie della nostra associazione diocesana e sollecitati dell’Osservatorio sociopolitico, siamo invitati ad approfondire in particolare cosa significa per un bambino ed un ragazzo “essere
giusto” per costruire la pace.
Proprio perché la parola pace non resti vuota di significato, è importante educare i nostri ragazzi ad
atteggiamenti di pace.
Quali atteggiamenti di pace?
Essere giusti!
Essere giusti significa essere amici di Dio.
Essere giusti significa fare la volontà di Dio, non seguire la propria volontà.
Essere giusti, a volte, è andare contro la volontà dell’uomo e le indicazioni che vengono dal mondo (:«non
prestare il pennarello che poi non ce l’hai più tu»; :«l’importante è che ti fai i fatti tuoi e non disturbi gli
altri»).
Essere giusti significa compiere piccoli gesti giusti, in modo gratuito.
Essere giusti significa essere guidati dall’amore/misericordia di Dio.
Essere giusti, come ci indica anche papa Francesco, significa essere aperti al dialogo con l’altro, alla
cooperazione e alla conoscenza, solo così si può superare la paura di ciò che non conosco.
Esempi concreti di piccoli gesti a misura di bambino/ragazzo (esempi simili, effettivamente vissuti dai
ragazzi, possono essere scritti nel Libro Bianco):
- mi faccio raccontare dai miei compagni di classe la storia della loro famiglia, da dove vengono e come
sono arrivati a vivere qui e, dopo aver riportato il racconto nel gruppo ACR, insieme si costruisce una carta
d’identità dell’altro;
- invito a merenda un mio compagno di classe, che identifico come l’altro perché con caratteristiche diverse
dalle mie;
- compio gesti giusti nei confronti dei miei compagni di classe, compagni nello sport, nel tempo libero
senza pretendere niente in cambio e senza sentirmi superiore (prestare oggetti a chi non li possiede,
condividere una merenda, aiutare nei compiti, giocare con l’altro).
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MESE DELLA PACE 2016
Il viaggio è ormai cominciato da un po’ e i bambini e ragazzi, dopo aver sistemato i propri bagagli, essersi
accomodati al proprio posto, iniziano a guardarsi intorno, scorgendo tanti volti, alcuni simili al proprio, altri
anche molto diversi.
Ogni compagno di viaggio porta con sé la propria storia, fatta anche di abitudini, tradizioni e fedi diverse,
Siamo tutti, però accumunati dall’amore di Dio verso di noi e la gioia che lo scoprirci fratelli porta con sé.
Nei bambini e ragazzi nasce la curiosità nei confronti dei compagni di viaggio, delle loro storie e delle loro
destinazioni. Aiutare bambini e ragazzi ad individuare nel proprio territorio persone di diverse culture e
religioni, significa far sì che vedano il proprio vicino di banco, che è insieme a loro fin dalla scuola
dell’infanzia, come appartenente ad un diversa tradizione e questa diversità diventi fonte di curiosità, quindi
di conoscenza profonda che li porti ad accogliere l’altro in quanto fratello uguale agli occhi di Dio
Gli atteggiamenti da maturare sono quelli dell’essere giusto, dell’essere amico di Dio!
I bambini e ragazzi sono, quindi, chiamati ad essere da stimolo per la comunità parrocchiale, perché si apra
anche alle realtà diverse e più lontane.
Spunti per sperimentare e riflettere sull’altro e sulla diversità.
Gioco per favorire l’attenzione all’altro: si mettono due bambini uno di fronte all’altro, quindi uno viene
bendato e al compagno di fronte viene cambiato un dettaglio (si possono pensare inizialmente cose buffe,
come mettere un cappello divertente, per poi andare a dettagli sempre più sottili, si può dire che i dettagli
da trovare sono 3 magari due molto evidenti e uno meno, con i più grandi ciò che può cambiare è anche
solo l’espressione del viso, difficilissimo da individuare, da qui si può poi riflettere proprio sul fatto che
spesso ci si focalizza solo sui dettagli esteriori…). Ora al primo bambino viene tolta la benda e viene chiesto
di individuare il dettaglio/i dettagli cambiati. Lo scopo di questo gioco è educare i ragazzi a prestare
attenzione all’altro.
Gioco “solo cose belle”: ogni bambino ha sulla schiena un foglio bianco, tutti i componenti del gruppo
devono scrivere almeno una cosa bella sulla schiena di ogni altro bambino (educatori compresi). Viene
eletto un re che deve scegliere le cose più belle scritte da mettere su un cartellone.
Dopo aver vissuto questi giochi è importante far raccontare ai ragazzi come si sono sentiti e che difficoltà
hanno trovato e sottolineare che, pur appartenendo allo stesso gruppo ACR, sono emerse cose molto
diverse e ognuno si è comportato neo gioco in maniera diversa.
Invitare i bambini a farsi promotori, all’interno delle proprie classi, durante l’intervallo, di questi stessi giochi
invitando più compagni possibili e che poi riportino nel gruppo ACR l’esito dell’esperimento (da scrivere nel
Libro Bianco!).
Per le attività del Mese della Pace, vedi le proposte delle guide d’arco.
GUIDINO 6/8 pag. 77, da pag. 84
GUIDINO 9/11 pag. 81, da pag. 88
GUIDINO 12/14 pag. 91, pista A da pag. 104, pista B da pag. 117
Buon Mese della Pace! Buon anno!
Equipe ACR
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ALLEGATI
Allegato per l’approfondimento del Gruppo Educatori, inoltre, rimandiamo alla lettura dei percorsi
proposti per giovani e adulti.
CONCETTO GIURIDICO E CONCETTO BIBLICO DI "GIUSTIZIA"
1. Dal punto di vista giuridico, della "giustizia" diede una classica definizione Ulpiano, che visse
nel III sec. d.C. e fu uno dei maggiori giureconsulti romani. Quella definizione suona così: "La
giustizia è la ferma e costante volontà di dare a ciascuno ciò che gli spetta di diritto".
Sulla base di tale definizione, la dottrina giuridica ha distinto tra giustizia commutativa (ad es. se
compro una cosa devo pagarne il prezzo), giustizia distributiva (ad es. se lo stato pone delle imposte
a carico dei cittadini deve distribuire equamente i pesi, graduando l'ammontare dell'imposta in base
alla capacità contributiva di ogni cittadino), giustizia retributiva (ad es. se un cittadino viola la legge
penale dovrà sopportare l'inflizione della pena prevista dalla legge per quella violazione),ecc.
Il compito di amministrare quella giustizia "legale" è del giudice, al quale compete di decidere le
controversie tra privati nonché di accertare se qualche reato è stato commesso e di condannare che
ne risulti l'autore.
2. Nella Bibbia, invece, il termine "giustizia" ha un significato diverso, molto più ampio.
Intendiamoci: non è che la Bibbia rifiuti il concetto giuridico di giustizia e la figura del giudice.
Anzi: nella Bibbia c'è persino un libro intitolato "Giudici", che contiene un lungo elenco di persone
che rivestirono la qualifica di "giudice" (e che, a quei tempi, svolgevano anche funzione di capo
politico); tra quelle persone ci sono nomi famosi, come quelli di Sansone, di Gedeone, di Iefte; e cosa che mi sembra particolarmente interessante - c'è anche il nome di una donna, Debora, che
viene ricordata proprio nell'atto in cui esercita la sua funzione di giudicare ("sotto una palma",
precisa il testo biblico disegnando un quadro di grande semplicità umana e di estrema sobrietà,
priva di complicazioni formali).
Ma nella Bibbia la parola "giustizia" significa qualcosa di più di ciò che significa nel diritto
romano. Significa rettitudine morale, conformità alla volontà di Dio: significa "essere amico di
Dio". In quel senso viene usata la parola "giusto", applicandola, per esempio, a Giuseppe, sposo di
Maria; e in quel senso si parla di "giusto fra le nazioni" a proposito di chi, con sacrificio e con
rischio personale, ha salvato molti ebrei dalla spietata persecuzione nazista.
Al predetto significato fa riferimento anche la parola "giustificazione" che ricorre spesso nelle
lettere di San Paolo e che ai tempi della riforma luterane diventò una parola – chiave, al centro di
dispute teologiche molto accese.
La parola "giustificazione" non ha il significato banalizzante di "scusa" o di "discolpa" che le
attribuisce il linguaggio corrente (giustificare l'assenza da scuola; giustificare l'assenza dal lavoro;
giustificarsi di fronte a un'accusa); ha invece, nella Bibbia, il significato pregnante di "farsi giusto"
("se justum facere"), cioè "diventare giusto", moralmente retto, diventare amico di Dio.
3. Quindi la giustizia in senso biblico comprende anche la giustizia legale, ma si pone su un piano
più alto e comprensivo, tale da poter costituire altresì un "metro di giudizio" rispetto alla giustizia
legale.
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Infatti le leggi umane, pur tendendo ad incorporare valori di giustizia, si presentano a volta
"ingiuste" nel confronto col parametro della "giustizia in senso biblico". Di lì nasce un conflitto tra
la legge posta dall'Autorità politica (oggi diciamo "la legge positiva", cioè posta dallo Stato) e la
coscienza del singolo, sensibile ai valori che si ispirano alla "giustizia in senso biblico". nasce, cioè,
l'obiezione di coscienza alla legge ingiusta, cioè il rifiuto di obbedire alla legge positiva ingiusta per
motivi di coscienza che si fondano su una "legge" superiore, alla quale la coscienza del singolo
intende restare fedele.
Un caso di questo tipo ce lo presenta proprio la Bibbia.
Chi apre il libro dell'Esodo alla seconda pagina (Es. 1, 15), si imbatte in un caso clamoroso di
obiezione di coscienza. Il Faraone d'Egitto è preoccupato dal moltiplicarsi degli ebrei sul territorio
egiziano: un piccolo gruppo di israeliti era immigrato in Egitto parecchi secoli prima (all'epoca di
Giuseppe e dei suoi fratelli) e col tempo era diventato un popolo numeroso, compatto, dotato di una
sua lingua, di una sua religione, di sue tradizioni, di una sua chiara identità, tale da mettere in
pericolo l'integrità del regno d'Egitto.
Il Faraone ritiene necessario fermare quella espansione e dà ordine alle levatrici degli ebrei di
uccidere i figli maschi delle partorienti ebree nel momento in cui il bimbo sta per nascere. Due
levatrici (di cui la Bibbia ci conserva i nomi: Sifra e Pua) disobbediscono all'ordine del Faraone
"perché temono Dio" (Es. 1,17), cioè perché intendono rispettare la legge divina del "Non
uccidere". E' un'obiezione di coscienza in piena regola.
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