A Roma 200 persone dai 60 ai 90 anni lavorano per gli anziani di

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A Roma 200 persone dai 60 ai 90 anni lavorano per gli anziani di
[VOLONTARIATO]
DI MICHELA GELATI - FOTO
GIANCARLO GIULIANI
L’AGO
DELLA SOLIDARIETÀ
A Roma 200 persone
H
anno sfilato la scorsa primavera, tra
parenti, giornalisti, semplici curiosi
un po’ divertiti e increduli. Perché
le modelle non erano ragazze magre con vestiti firmati, ma signore in pensione che, disinvolte e orgogliose, mostravano i capi della
loro collezione alla Casa Vittoria di Roma,
una struttura comunale per anziani in via
TUTTE AL LAVORO
Con le stoffe regalate
si confezionano abiti il cui
ricavato va in beneficienza
dai 60 ai 90 anni lavorano per gli anziani di periferia
Portuense. Maglie, giacche e gonne confezio- ni, soprattutto donne, è nata nel dicembre
15.000
nate e cucite in casa e ora messe in vendita 2006 dall’idea di un gruppo di volontarie
per sostenere organizzazioni come Save the
children, Amref e Anlaids. Dall’India al Kenya all’Italia, nel 2007 sono stati devoluti in
beneficenza 15.000 euro.
L’Antica sartoria solidale, dove lavorano circa duecento persone dai 60 ai 90 an-
impegnate in un progetto del Comune,
chiamato Pony della solidarietà, per portare compagnia agli anziani in periferie come Magliana e Corviale.
Le volontarie avevano scoperto che molti
volevano avere un posto dove lavorare a ma-
euro è la somma
devoluta in
beneficenza
dall’Antica Sartoria
solidale nel 2007
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Lo scorso anno sono stati realizzati 100 abiti da
donna e 400 giacche, maglioni e tute per bambini
576.000
sono gli abitanti
di Roma che hanno
più di 65 anni
290.000
sono gli over 75
(dati dall’ultimo
censimento)
glia fuori casa. Il Comune mise a disposizione i locali e organizzò una conferenza stampa per presentare il progetto. Pochi giorni
dopo, la sartoria si trovò sommersa di stoffe
e macchine da cucire. «I donatori sono privati cittadini ma anche aziende come Gattinoni, l’agenzia Alta Moda di Roma e la Rai, che
ha portato un camion di stoffe», racconta
Raffaella Sbercia, 65 anni, energica coordinatrice della Sartoria. Come altre volontarie,
Raffaella ha lavorato come impiegata in un
ente pubblico, e viene dalla periferia romana. Il lavoro alla sartoria le ha permesso di conoscere persone e impegnarsi in un’attività
per rendersi utile.
«Ho convinto anche mio marito», ride
Raffaella. Come gli altri uomini della sartoria, lui si occupa della logistica, cioè del tra-
sporto dei vestiti e dell’allestimento dei mercatini, che si tengono quasi ogni settimana in
diverse zone della capitale. Con Raffaella c’è
Sandra, una bionda signora di 64 anni. Viene
dalla Magliana, grande quartiere popolare:
«Il lavoro in sartoria serve per sfuggire alla depressione», dice. «Serve a stare sedute al sole
e chiacchierare. E lavorare tra tè e pasticcini
d’inverno, divisi in squadre per la maglia, per
l’uncinetto e per i gioielli.
Gli anziani possono lavorare in bottega
o cucire a casa e portare i capi finiti, che
vengono venduti anche nel negozio. Nell’ultimo anno sono stati confezionati cento
abiti da donna, 400 tra maglioni e giacche
per adulti e tutine per bambini, 2.000 accessori. Nell’antica sartoria convivono oggetti
moderni e saperi antichi: tra ferri da stiro e
macchina per cucire si trovano tovaglie ricamate, camicie a fiori, abiti vintage, gonne di
velluto e collane di pietre colorate. Ci sono i
modellini di un volontario che faceva il marinaio e adesso il mare lo mette in bellissime navi in miniatura. Vassoi decorati con il decoupage, tegole dipinte, sciarpe e cappelli.
E ci sono anche i giovani. A settembre, infatti, è nato un nuovo gruppo dell’antica sartoria, fondato da altre volontarie provenienti
dalla parte opposta di Roma, per far partecipare all’iniziativa anche chi vive lontano dal
quartiere Portuense. «L’obiettivo è lo stesso: un nuovo lavoro, dopo la pensione, è
un modo per riempirsi la vita dopo che figli e nipoti sono cresciuti», dice la coordinatrice, Maria Teresa Ellul, 65 anni, durante un evento organizzato dalla sartoria in
una casa di riposo nel quartiere Nomentano.
Vestito nero e cappello rosso fuoco, Maria
Teresa, che lavorava come funzionaria dell’Inps, sottolinea come la novità del progetto
sia la partecipazione dei giovani, per tramandare i vecchi mestieri e favorire lo scambio
tra generazioni. «La sartoria fa riscoprire lavori che appartengono a un altro tempo. Dietro queste maglie fatte a mano c’è la fantasia
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di donne che una volta risparmiavano riciclando vecchi materiali. È un patrimonio tutto italiano, che sta alla base dell’economia famigliare ma spesso è sconosciuto».
Nella nuova sede lavorano 50 volontari,
di cui venti giovani. Tra loro, Arianna, 28
anni, che si occupa di volontariato per gli
anziani e si sta laureando in scienze dell’educazione. «Organizziamo anche visite
culturali nelle zone meno conosciute. Ci sono persone che lavorano da casa ma si sentono comunque utili e inserite. Per me sono come nuovi nonni. Da loro si impara: prima sapevo a malapena cucire un bottone».
Ogni prodotto della sartoria è venduto
con una ricevuta che spiega quale progetto
finanzierà. Per quest’anno le nonne sarte finanzieranno un progetto di Osvic per una casa famiglia e uno di Amref per una scuola,
entrambe in Kenya. Intanto, Raffaella sfoglia un album di foto. Si vede un villaggio indiano, donne e mucche tra capanne di paglia. «Abbiamo sostenuto un progetto di microcredito per comprare dieci mucche a
queste donne. Quest’anno non ci siamo riuscite, ma l’anno prossimo faremo di tutto
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per andarle a trovare».
UN ATELIER DI AMICHE
Una vera sartoria dove
chiunque può partecipare e
rendersi utile per il prossimo
“
”
L’obiettivo è semplice:
un nuovo lavoro, dopo
la pensione, è un modo
per riempire la vita
dopo che i figli e i
nipoti sono cresciuti
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