CONTESTO/Bones - Teatro Kismet OperA

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CONTESTO/Bones - Teatro Kismet OperA
Teatro Kismet OperA
CONTESTO/Bones
lo spettacolo e il progetto 2009/10
CONTESTO/Bones
Lo spettacolo e il progetto
idee e percorsi
Premessa
Il progetto CONTESTO/Bones
Un progetto complesso, CONTESTO, interamente rivolto ai giovani, protagonisti attivi di un
percorso articolato in forma laboratoriale e al contempo destinatari preferenziali dell’esito. In
forma sperimentale è inaugurato dall’edizione pilota realizzata nella stagione 2007/08 con il
patrocinio dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia.
Quest’anno CONTESTO, grazie al sostegno dell’Assessorato alla Trasparenza e cittadinanza
attiva della Regione Puglia, prosegue mantenendo saldi i medesimi obiettivi di fondo e
rinnovandosi nei temi da esplorare e in alcuni dei processi attuati.
Stimolare nelle nuove generazioni un protagonismo che non sia mero esibizionismo. Guidarli
in un confronto e un dialogo su temi salienti, attuali per la nostra società e cruciali per la loro
condizione esistenziale. Attraverso nuove prassi formative, consentire loro di esplorare
linguaggi e spazi non quotidiani, anche portandoli a scoprire in prima persona quegli aspetti
forse meno visibili ma concreti del fare teatro. Avvicinandoli a ideazione, organizzazione,
comunicazione, far scoprire ai giovani il lato professionale e imprenditoriale della cultura,
attivando e alimentando creatività, senso critico, competenze.
Queste le linee guida del progetto CONTESTO.
Realizzato in collaborazione con il Liceo Statale “Bianchi Dottula” di Bari, da novembre 2009
a febbraio 2010 CONTESTO/Bones si è sviluppato in un susseguirsi di forum, laboratori di
scrittura, pratica scenica e organizzativa, tutti incentrati sul tema della percezione della fisicità
femminile e delle sue declinazioni. Pre-testo e motore primo di questo percorso è stato,
appunto, lo spettacolo Bones di Lucia Zotti, che il Teatro Kismet ha prodotto nel 2009, in
collaborazione con Napoli Teatro Festival Italia e Festival della Scienza. Il processo innescato
da Bones ha saputo coinvolgere una trentina di studenti nelle fasi laboratoriali e che in questi
due giorni di dimostrazione pubblica finale coinvolgerà uleriori 500 studenti provenienti dal
“Bianchi Dottula” e da altri Istituti superiori del comune e della provincia di Bari.
Come l’edizione pilota, che da subito ha saputo destare un grande interesse in ambito scolastico,
istituzionale e culturale, CONTESTO/Bones si distingue per il carattere fortemente innovativa e di
alto impatto, in primo luogo sui ragazzi coinvolti nell’intero percorso formativo come di coloro
che hanno fruito dell’evento pubblico che lo ha concluso. Un progetto che ancora può crescere e
far crescere, coinvolgendo altre scuole, istituzioni, spazi teatrali e di aggregazione.
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CONTESTO/Bones
Sguardi #1 | di chi propone
Lucia Zotti, regista, Teatro Kismet OperA
Come è nato lo spettacolo Bones
Fui invitata a partecipare al progetto Parole per la terra, che sarebbe stato prodotto dal
Napoli Teatro Festival Italia e dal Festival della scienza e che doveva comprendere la
partecipazione di cinque compagnie ognuna delle quali doveva realizzare una performance
di 15-20 minuti. Il tema da trattare avrebbe riguardato i danni prodotti dall’uomo
all’umanità stessa attraverso l’inquinamento e la scarsa o nulla attenzione all’ecologia fisica
e mentale del creato.
Io avevo già avviato una mia indagine sull’uso inappropriato della chirurgia estetica che è
benedetta in casi di malformazioni o mutilazioni da incidenti o da interventi chirurgici, ma che
sempre più spesso viene considerata una sorta di parrucchiere a cui ci si rivolge per cambiare
pettinatura o taglio di capelli. Dal procedere di quella ricerca personale, sviluppata nella
cornice offerta dal festival, è nato Bones.
Si sta dimenticando che gli interventi chirurgici sono invasivi, comportano conseguenze
dolorose e recidive, spesso non sortiscono l’effetto voluto e soprattutto, sono irreversibili. Se
non ci piace il nuovo taglio di capelli basta avere un po’ di pazienza e in pochi mesi i capelli
ricrescono, ma le cicatrici e le mutilazioni rimangono e a volte sono estremamente visibili.
Inoltre, in caso di impianti bisogna continuare negli anni a intervenire chirurgicamente per
cambiare la vecchia protesi deteriorata.
Tutte le verità non vengono dette e le adolescenti si sentono allettate dalla possibilità di
migliorare facilmente il proprio aspetto senza fatica è più faticoso migliorare la propria
personalità nutrendosi di cultura, per diventare interessanti (in modo molto più duraturo). Così
si propaga la convinzione che sia facile cambiarsi la faccia o una parte del corpo per farsela
rifare come quella di qualche attrice o attore che ci piace tanto.
Sono convinta che dovremmo sentirci tutti noi educatori: genitori, insegnanti, promotori di
attività culturali rivolte ai giovani, investiti del compito di non ignorare questo inquietante
fenomeno, di impegnarci per trovare il modo di accedere alla sensibilità dei più esposti al
plagio della comunicazione di massa che, subdolamente e insistentemente, distoglie dai valori
profondi, per offrire facili soluzioni all’ancestrale ricerca della felicità.
Sono convinta che il fenomeno nasca dalla giustificata tensione dell’essere umano verso la
ricerca dell’amore. Questa naturale tensione dovrebbe spronare l’individuo ad osservarsi e
migliorarsi, a maturare prima di cimentarsi nell’impresa Vita che non è solo una passeggiata
attraverso piaceri e gratificazioni di vario tipo.
Maturare vuol dire accettare la Vita/Morte/Vita.
Per questo ho scelto la storia della Donna Scheletro, una bella metafora sul ritrovamento
dell’amore. In questa storia c’è la scoperta dell’orrido, la paura, la fuga. Fino alla compassione,
all’attesa silenziosa, al risveglio del cuore addormentato. Erroneamente siamo stati addestrati
a credere che la morte è sempre seguita ancora dalla morte, mentre la morte tiene in
incubazione una nuova vita.
E io credo che la bellezza non si possa scindere dall’individualità, cioè da quel miscuglio
prezioso, per ognuno diverso, fatto di lineamenti e di emozioni, di sorrisi e di pensieri, di
comunicazione e di riservatezza.
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Sguardi #2 | di chi insegna
Rosalina Ammaturo, docente, Liceo Statale “Bianchi Dottula”
Il teatro fa scuola
Quale il ruolo di un laboratorio teatrale a scuola? A quali bisogni formativi può venire incontro?
Esiste un teatro sociale che attiva processi di trasformazione profondi personali e sociali? Si può
attraverso il teatro arginare l’effetto devastante sulla costruzione del sé, dell’identità di genere
che la televisione produce?
Questi gli interrogativi che mi sono posta ripensando all’esperienza di laboratorio A partire da
Bones, fatta nel nostro Liceo e che ha coinvolto nella fase di sensibilizzazione quattro classi,
complessivamente circa cento ragazze/i tra i 15 e i 16 anni e, alla seconda fase, del gruppo
iniziale hanno aderito 25 ragazze che hanno partecipato agli incontri pomeridiani. Infine, dopo
una autocandidatura da parte di alcune studentesse seguita da una selezione da parte degli
esperti, 10 ragazze sono state coinvolte nella terza fase, quella del mini stage.
Ad animare le diverse fasi un’équipe di operatori teatrali: attori, registi, scenografi, esperti nel
lavoro di organizzazione e promozione di eventi e prodotti teatrali.
Un’esperienza unica: formativa, divertente e con una forte valenza orientativa.
Una prima riflessione che voglio condividere ha a che fare con la mia formazione.
Risale a 23 anni fa la prima collaborazione con gli attori del Teatro Kismet OperA: due laboratori
rivolti a due gruppi classe sul tema della paura. Un’esperienza intensa e coinvolgente che ha inciso
sul mio modo di relazionarmi agli alunni e sulla mia personale ricerca intorno al ruolo docente. Dopo
tanti anni una nuova opportunità: osservare il modo in cui gli operatori si relazionavano ai ragazzi,
l’invito che rivolgevano loro di esplorare attraverso la scrittura e la comunicazione corporea sempre
nuove possibilità, così come di guardare le situazioni da angolature differenti, di esplorare diversi
punti di vista, di uscire dagli schemi, dal già noto per provare abiti nuovi, vedere come questi
suggerimenti aprissero a un pensiero divergente e critico capace di attivare, in adolescenti che
abitualmente sembrano aver rinunciato ad esprimersi, parole nuove, forti, ma soprattutto vere.
Un dialogo, un confronto tra pari si andava costruendo e l’adulto, non giudicante, era lì pronto ad
accogliere tutto quello che emergeva, in ascolto attento, quell’ascolto che tante volte la scuola
trascura. Altro elemento per me significativo è stato il lavoro di squadra, dove ogni professionalità
ha il suo spazio, ma il suo contributo è interdipendente, risente e si arricchisce del contributo degli
altri, nel rispetto e nella valorizzazione del lavoro di ognuno: i talenti che si integrano.
Io ho sempre imparato molto osservando come altri operatori lavorano con i miei alunni. Questo
lavoro di osservazione mi permette di riflettere per esempio su come l’irrigidirsi nel ruolo porti ad
adottare schemi, atteggiamenti e modalità relazionali poco costruttive con gli adolescenti dei giorni
nostri. Spesso il nostro lavoro di docenti non tocca i ragazzi, non li coinvolge, non li motiva
dall’interno. La relazione, anche se prolungata nel tempo, fatica a diventare significativa.
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Al centro del percorso formativo proposto, il corpo delle donne, come è esibito dai media, il
modello interiorizzato, il confronto con la vera immagine di sé spesso rifiutata perché non
rispondente ai canoni di bellezza offerti dalla televisione. Un percorso che, partito dalla visione
del video di Lorella Zanardi Il corpo delle donne, ha sollecitato una riflessione sul mito della
donna che ottiene successo nel mondo dello spettacolo grazie alla sua bellezza, disposta a
tutto, anche a rinunciare alla propria intelligenza, per poi condurre, attraverso il racconto della
Donna scheletro, tratto da Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés, a una riflessione
su quelli che sono i veri bisogni della donna.
Un
percorso quanto mai opportuno se si pensa alle nostre adolescenti rapite da una
televisione che le vuole belle sempre, capaci di attrarre e sedurre, le quali non riconoscono più
i loro bisogni e desideri, faticano ad essere autentiche, ad accettarsi per quello che sono, a
riconoscersi belle perché uniche. Un percorso quindi pensato e costruito per favorire una
riflessione su di sé, che aiuti ciascuna a riscoprire il proprio scheletro, ciò che di essenziale la
caratterizza, a valorizzare la propria sensibilità, la propria creatività, la propria forza nel
costruire il cambiamento, per arrivare ad accettarsi per quello che si è e così «vedersi nella
realtà più bella e luminosa» come dice una delle mie alunne.
Emerge un lavoro di scavo, dove la percezione del proprio corpo e della propria voce, diventa
occasione per incontrare la parte più vera di sé. Il teatro è capace di offrire ai ragazzi di tutte le età
uno spazio fisico e psicologico dove verificare rapporti diversi con i coetanei, con gli adulti, con se
stessi; dove potersi esprimere e fare esperienze cariche emozionalmente, come testimoniano
alcuni scritti delle nostre alunne. Mi sento perciò di sostenere con Remo Rosatagno, esperto di
teatro-scuola, che «il teatro è il luogo in cui il bambino gioca liberamente per la costruzione della
propria personalità. Il racconto, la finzione, il gioco con le immagini che il racconto stesso
suggerisce, permettono al bambino di addestrarsi alla realtà e di dare risposta ai grandi
interrogativi dell'esistenza». Ma, come stiamo vedendo, è altrettanto importante il contributo che
l'esperienza teatrale può dare agli adolescenti.
Conosciamo da educatori le difficoltà di dialogare con loro, come siano gelosi del loro mondo,
parchi nelle parole e come nello stesso tempo, soprattutto nella nostra epoca, siano fragili, insicuri,
alla ricerca di maschere attraverso cui esibire la forza, il coraggio, la sicurezza che non hanno. Sono
proprio questi bisogni, queste fragilità, l'altra faccia di un'adolescenza arrogante e presuntuosa, a
portarli ad identificarsi con i miti e i falsi eroi che la TV propone ai giovani, maschi o femmine che
siano. Ecco che un'esperienza di laboratorio teatrale, pur nella sua brevità, diventa occasione di
confronto aperto che facilita la conoscenza e l'accettazione, così da portare una delle protagoniste a
scrivere: «Perché apparire quella che non sono per paura di non piacere? Ogni donna, come ogni
uomo, deve sempre essere se stesso, deve sempre avere il coraggio di presentarsi per quello che è.
Sono la stima e la fiducia in sé che portano a guardare in faccia la vita e a raggiungere la felicità. È
proprio in quest'ottica che ho ritrovato la voglia di vivere e soprattutto di essere me stessa!»
In conclusione il teatro si presta alla realizzazione di un progetto pedagogico centrato sulla ricerca
personale, la libera espressione, la comunicazione interpersonale che si attua nella cooperazione
tra operatori scolastici e operatori teatrali competenti e disponibili a mettersi in gioco e a crescere
in un confronto che non perde mai di vista i ragazzi e le ragazze che ci sono affidati.
Sguardi #3 | di chi agisce
Daniela Marchesiello, studentessa, Liceo Statale “Bianchi-Dottula”
Attori si nasce?
Chi ha detto che attori si nasce? Attori si diventa!
Anch’io sono diventata per qualche ora una piccola attrice grazie al progetto teatrale
CONTESTO/Bones, tenutosi a scuola nelle ore pomeridiane. Ma è meglio che vi racconti tutto…
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È il 30 ottobre quando, per la prima volta, io, la mia classe e altre seconde e terze classi
ci avviciniamo al difficile mondo dello spettacolo.
Questo incontro, come avverrà per gli altri due successivi, coinvolge tutto il gruppo classe
e, non solo parte di esso e si tiene di mattina, con grande dispiacere da parte di quei
professori che ad un incontro teatrale avrebbero preferito far lezione, ma anche con nostra
grande gioia dato che speravamo tutto il contrario.
Ha inizio il progetto, veniamo ospitati nella biblioteca della nostra scuola dove facciamo
conoscenza con gli attori del Kismet, i quali, dopo essersi presentati, ci propongono la visione
del cortometraggio Il corpo delle donne di Lorella Zanardo, un’interessante riflessione sulla
donna dei nostri tempi, un oggetto che non ha né mente, né cervello, né dignità. Niente
fuorché il suo splendido corpo, il suo splendido seno e – come non citarlo? – il suo splendido
fondoschiena da mostrare con orgoglio, come se fosse una medaglia d’oro vinta alle olimpiadi
di Pechino, che rende fieri chi la indossa.
Purtroppo è questa la dura verità: la donna in televisione non è altro che un fenomeno da
baraccone niente di più. Ciò che conta è il suo apparire non il suo essere, a nessuno
interessa cosa pensi e quali siano le sue ambizioni per il futuro; ciò che è importante è che
faccia impazzire gli uomini al di là del televisore con il suo bel aspetto. Ma ciò che assieme
all’equipe di attori noi ragazze ci siamo chieste è: «La donna è soltanto questo? Non è capace
di fare nient’altro?»
Il secondo incontro, invece, si è concentrato su La donna scheletro, un racconto fantastico che
rispecchia i canoni di vita del mondo d’oggi, un mondo che non ti accetta per quello che sei ma
per quello che dai a vedere, un mondo che nella storia viene rappresentato dal pescatore, un
uomo rude che nel vedere impigliato all’amo uno scheletro tenta di liberarsene perché brutto
troppo brutto per prenderselo con sé.
Il terzo incontro si tiene in Circoscrizione. Lì assistiamo alla presentazione dello spettacolo
Bones, brillante rappresentazione con una morale ben definita: possiamo essere belli,
brutti, attraenti, repellenti; non è questo l’importante, perchè alla fine diverremo tutti
uguali, tutti scheletri, e allora nessuno ricorderà più chi in passato era stato attraente e
chi repellente.
È con questo spettacolo che terminano gli incontri mattutini destinati a tutta la classe per poi
iniziare dal 9 di novembre quelli pomeridiani destinati solo ad un gruppo di ragazze che hanno
deciso di impegnarsi in questa avventura.
Quel giorno inizia il vero divertimento, ma anche le prime difficoltà. Infatti, mentre i primi due
incontri pomeridiani sono destinati per lo più alla scrittura creativa, in cui ci viene detto di
scrivere commenti, opinioni, impressioni, morali sullo spettacolo Bones, gli incontri successivi
sono destinati, invece, alla recitazione: un giorno ci dedichiamo a giochi ritmici, un altro ad
interpretare La donna scheletro, immedesimandoci chi nel mare, chi nel pescatore, chi nella
stessa protagonista.
Ho imparato molto da tali incontri, ad esempio ho imparato ad accettarmi così come sono
ad avere maggiore fiducia in me stessa e a non preoccuparmi del giudizio altrui. Ora sono
sicura di non avere problemi a salire su un palcoscenico e recitare davanti ad una
moltitudine di gente.
Credo che questi progetti dovrebbero essere proposti più spesso nelle scuole per rafforzare
l’animo di tutte quelle ragazze o ragazzi che, come me, sono un po’ timidi e per i quali recitare
risulterebbe un’impresa eroica. Devo tanto a tale progetto e spero che in futuro mi ricapiti
un’occasione del genere.
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Sara Loporto, studentessa, Liceo Statale “Bianchi Dottula”
Un’esperienza da non dimenticare
Io trovo che il percorso fatto con il progetto Bones sia stato costruttivo, nuovo e interessante
per diversi aspetti. Mi ha colpita la facilità con cui Monica era capace di mostrarci ogni
situazione da angolature differenti, come ci spronasse a guardare le situazioni in modo sempre
nuovo. Tutti gli operatori, con cui abbiamo lavorato, ci hanno spronato ad uscire dal contesto
ormai nostro e a provare abiti differenti, sia per quel che riguarda l’uso della parola, sia della
comunicazione non verbale.
Provare a controllare ogni singola parte del nostro corpo, soprattutto trovare difficoltà nel
farlo, mi ha fatto capire che non mi conosco realmente come credevo; è stato interessante
provare a sentire le emozioni e i cambiamenti che portavano nel corpo e nella mente. È
stato rassicurante sapere di non essere giudicati e poter dire o fare tutto ciò che il contesto
mi suggeriva.
Ho conosciuto, anzi, «spiato solo dalla fessura di una grande porta» un’altra dimensione,
un’altra me; un linguaggio diverso, una serie di piccole scoperte, dal sentire tutti i miei
muscoli, al provare a scrivere senza schemi, senza le regole di un testo scolastico.
Mi piacerebbe diventare attrice di teatro.
L’ho sempre pensato.
Però, dopo averlo solo assaporato, mi rendo conto che mi piace proprio!
Chissà… forse un giorno…
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Vittoria Franco, studentessa, Liceo Statale “Bianchi Dottula”
Ripensando al laboratorio teatrale
Lente d'ingrandimento, torcia, carta, penna, mente.
Pronti? Pronti per viaggiare nel magico mondo di Vittoria?
Non mi è mai capitato di soffermare l'attenzione su me stessa, in particolare sulla mia personalità,
ma quest'anno ho colto al volo l'opportunità offertami, tramite una serie di incontri formativi, dalla
mia scuola. Si tratta di incontri che partono da esperienze altrui per poi portarti nel profondo del tuo
essere. E alla fine ciò che conoscevi fino a quel momento, ti accorgi essere solo la punta di un
iceberg. Difatti, tra le mille note che si disponevano inquiete, ho cominciato a scavare e a scoprire
quello che i miei occhi non conoscevano.
Innanzitutto mi sono accorta, per una serie di circostanze e di difficoltà, che ormai mi
rapportavo alla vita sempre in maniera diffidente, trasmettendo agli altri tutta la mia
inquietudine! Ma la svolta è avvenuta proprio quando mi sono guardata allo specchio e mi sono
chiesta:«Perchè apparire quella che non sono per paura di non piacere?»
Ogni donna, come ogni uomo, deve sempre essere se stessa, deve sempre avere il coraggio
di presentarsi per quello che è; è la stima e la fiducia in sé che portano a guardare in faccia la
vita e a raggiungere la felicità!!
È proprio in quest'ottica che ho ritrovato la voglia di vivere e soprattutto di essere me stessa!!
Sguardi #3 | di chi osserva
Filippo Campobasso, psicologo, Dipartimento di Scienze Neurologiche e
Psichiatriche, Università degli Studi di Bari
Note a margine
Ripercorrendolo in una ideale retrospettiva, il progetto CONTESTO/Bones appare un’iniziativa al
contempo lodevole, coraggiosa e impegnativa, in quanto si propone di trattare temi d’attualità, che
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nella loro pervasività pone a chi li affronta una serie di interrogativi non sempre di facile risposta.
Ognuno, a prescindere da età e aspetto fisico, si trova in qualche modo a fare i conti con il proprio
corpo e con l’immagine che ne percepiamo, con i pensieri che ne derivano e che dal corpo arrivano
ad estendersi alla persona.
Spesso ci si imbatte in una sorta di mercificazione del corpo, a volte ridotto a mero strumento per
incrementare le vendite di un prodotto. Non di rado è forte, quanto inconsapevole, la tentazione di
rapportarsi a modelli di bellezza quanto meno stereotipati e canonizzati. Un confronto distorto,
specie se sono presenti difficoltà relazionali e bassa autostima, da cui può scaturire una
inopportuna svalutazione della propria fisicità a 360 gradi e un disagio a convivere con il proprio
corpo, con seguenti tentativi di compensazione che vanno dalla dieta al ricorso avventato alla
chirurgia estetica.
Se questo vale per tutti, adulti compresi, è ancor più sensibile la posizione di chi, come
un’adolescente, si inizia a rapportare alla vita adulta, con tutti i naturali timori e dubbi: l’ansia
di non piacere; la voglia, ma anche la paura di uscire dalla sicurezza della vita in famiglia per
affrontare una società a volte vissuta come giudicante; l’ancora recente mutamento fisico; le
prime vicende amorose. Tutto questo pone le ragazze in una fase avvincente quanto delicata
del loro percorso esistenziale. Non ancora portate a mentalizzare, può accadere che riversino
questa loro particolare condizione sul proprio corpo.
Se si pensa all’importanza delle relazioni con coetanei e coetanee e al ruolo dei mass media
nella costruzione della corporeità dell’adolescente, si può aver ben chiara la portata del
compito cui i giovani sono chiamati. Lo stesso uso massiccio dei social network su internet
alimenta la tendenza dei ragazzi a mettere in risalto la propria fisicità per rendersi interessanti,
pena un senso di inadeguatezza ed esclusione. D’altronde, su internet le stesse emozioni
vengono subito esposte grazie all’effetto protettivo che il monitor produce, senza concedere al
giovane il tempo di interiorizzare i propri vissuti prima di condividerli con gli altri.
In controtendenza rispetto a tutto ciò, il progetto CONTESTO/Bones per le studentesse e gli
studenti coinvolti rappresenta un’occasione di confronto e condivisione, appunto, di pensieri e
sentimenti legati alla corporeità; un’occasione che è stata colta appieno da chi ha partecipato a
questa edizione, a dimostrazione del ben augurante desiderio delle adolescenti di trovare
un’identità, anche fisica, definita e serena.
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Scritture
Lello Tedeschi, drammaturgo, Teatro Kismet OperA
I percorsi multipli della scrittura
I testi raccolti di seguito sono la testimonianza della prima tappa del laboratorio di scrittura.
Lo strumento guida era la scrittura, stimolata prevalentemente a partire da tre eventi: la
visione di un documentario, Il corpo delle donne, l’ascolto di un racconto, La donna scheletro,
la visione dello spettacolo Bones. Le scritture, prodotte dopo ogni evento in un tempo breve,
non avevano lo scopo di commentare o esprimere giudizi, bensì di divenire innanzitutto stimolo
per una discussione sui temi in gioco: piccole memorie, impressioni, appunti utili a manifestare
un punto di vista da condividere per avviare o rinnovare la riflessione.
Ne offriamo alla lettura una selezione, provando a restituire la molteplicità delle angolazioni
possibili da cui sono stati affrontati i temi discussi. E segnalando, infine, che questi stessi testi
sono stati poi utilizzati come materia drammaturgica nell’ambito del laboratorio teatrale
realizzato a seguire.
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1| Il corpo delle donne. Un documentario
Il corpo delle donne è un documentario di 25 minuti realizzato da Lorella Zanardo, Marco Malfi
Chindemi e Cesare Cantù, visionabile su www.ilcorpodelledonne.net. Il tema è l’uso del corpo
della donna in tv, proposto attraverso una selezione di immagini televisive che avessero in
comune l’utilizzo manipolatorio del corpo delle donne per raccontare quanto sta avvenendo non
solo a chi non guarda mai la tv, ma specialmente a chi la guarda ma non vede. «L’obiettivo»,
riferiscono gli autori, «è interrogarci e interrogare sulle ragioni di questa cancellazione, un vero
pogrom di cui siamo tutti spettatori silenziosi, dando particolare risalto alla cancellazione dei
volti adulti in tv, al ricorso alla chirurgia estetica per cancellare qualsiasi segno di passaggio del
tempo e alle conseguenze sociali di questa rimozione».
Le scritture, da produrre nel corso visione del documentario, sono state tre, sempre riferite a
qualcosa, di quella visione, da cui si fosse particolarmente colpiti.
Per la prima andavano appuntate frasi.
Belle e mute in TV.
Le donne si identificano come un prodotto.
Perché le donne non mostrano più il loro volto?
La TV è un grande circo.
Le donne non sanno riconoscere i propri bisogni.
Le donne non possono più apparire con la loro vera faccia?
Apparire è più importante che essere.
È in gioco la sopravvivenza della nostra identità.
La faccia si chiama faccia perché la faccio io.
Lo specchio invece di mostrare copre.
Non toglietemi le rughe, ci ho messo anni per farmele.
I volti sono delle maschere, ormai.
Donna intesa come dama di compagnia.
Non conta la qualità della donna ma la quantità.
Ci guardiamo con occhi maschili.
Donne come oggetto di desiderio, anche nei dibattiti politici…
Le migliori studentesse diventano ragazze da calendario.
Il volto è il presupposto di tutte le relazioni umane.
Perché non reagiamo?
Donne usate come cornicette.
Meglio donna invulnerabile tra vincenti o donna vulnerabile tra dimenticate?
Io mi giudico un prodotto da vendere.
Lifting non alle nostre facce ma alle nostre idee.
In TV la presenza della donna di qualità è rara.
La donna preferisce apparire, è come se non riuscisse ad accettare se stessa, non
riuscisse a guardarsi allo specchio.
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Il 60% del pubblico televisivo è costituito da donne.
Perché non c’è nessuna donna che mostra il proprio viso? Perché questa umiliazione?
Siamo tutte diverse, ma facendo interventi chirurgici ci rendiamo uguali alla massa.
Non lo faccio per me, ma per tutti gli uomini.
Levati un po’ di trucco, il naso rifatto, i tacchi e vedi che c… sei…
Le poche immagini di donne non artefatte sono delle iene che si avventano su quelle più
belle e più giovani solo per invidia nei loro confronti…
La faccia umana cela, nasconde dietro di sé un sentimento di vulnerabilità, coprendola
si fa un danno.
Dobbiamo vergognarci di mostrare la nostra faccia?
Il modello della donna è contraffatto, irreale.
Le qualità del femminile dove sono finite?
La TV assomiglia ad un film erotico.
Non dobbiamo vergognarci della nostra faccia, i segni del nostro tempo fanno parte di noi.
Non lo faccio per me, ma per tutti gli uomini che ci guardano da casa.
Per entrare a far parte del mondo dello spettacolo non è necessario avere delle qualità o
saper fare qualcosa, si dà maggiore priorità alla bellezza.
La seconda scrittura era orientata a raccogliere immagini.
Ragazze costrette a stare sotto un tavolo per tutto il tempo della messa in onda del programma.
Le labbra di Alba Parietti.
Il lancio del reggiseno, la maglia che cade e la visione del seno.
La donna ferma e gli uomini che fanno ciò che vogliono.
La valletta che fa la doccia in pubblico.
La ragazza vestita sadomaso stesa sul tavolo.
I volti rovinati dai troppi interventi chirurgici.
La donna appesa come un prosciutto.
Labbra esageratamente enormi.
Sorrisi falsi, imbarazzati e pieni di speranza soprattutto delle vallette.
Donne che annuiscono a qualsiasi discorso si faccia, ma quando interrogate non sanno
articolare mezza frase.
La terza, infine, era dedicata ai comportamenti.
Troppa provocazione, apparenza.
Comportamenti non adatti al pubblico dei più giovani.
Donne trattate come carne da macello marcate e bollate nei reality TV come La Fattoria.
Donne pronte a a mostrarsi e spogliarsi senza alcuna gelosia del proprio corpo.
Donne consapevoli della propria bellezza, pronte a farne una fonte di guadagno.
Quando nella trasmissione Uomini e donne la ragazza sul trono è aggredita da una
donna più anziana.
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La conduttrice più esperta critica e aggredisce quella meno esperta.
Elisabetta Gregoraci sulla tavola da surf mostrando tutto.
Cristina Del Basso che afferma di essere una femminista quando è completamente l’opposto.
La ragazza a cui timbrano il sedere.
Il conduttore che colpisce la valletta con il microfono.
Sorrisi, occhiatine, occhiolini.
Sporgersi per mostrare di più il proprio corpo.
Dove il conduttore usa le sue vallette come oggetto e dà loro in modo amichevole il
microfono sulla testa.
Sara Varone che fa una doccia per il piacere degli spettatori.
Teo Mammuccari che critica il seno di una ragazza seduta tra gli spettatori.
Abiti corti che mettono in mostra quasi tutto il corpo.
Il fatto che alle donne viene sempre e continuamente ricordato che non sono dotate di
un cervello e quindi non sono in grado di formulare un pensiero logico e appropriato.
Donne che quando sono insultate ridono.
Due cantanti che cantano «oltre le gambe c’è di più» e nel frattempo si sfiorano le
gambe in atteggiamenti osé.
Liberamente, poi, al termine della visione e delle scritture, ciascun partecipante poteva
leggerne qualcuna, stimolando di conseguenza la discussione.
2| La donna scheletro. Un racconto
La donna scheletro è un racconto popolare, tratto da Donne che corrono con i lupi di Clarissa
Pinkola Estés, appassionante raccolta di fiabe e narrazioni popolari dedicate all’universo
femminile. Lucia Zotti ha reinterpretato quella versione, traendone una riscrittura originale,
che qui riportiamo.
Aveva
fatto qualcosa che suo padre aveva disapprovato, sebbene nessuno più
rammentasse cosa. Il padre l’aveva trascinata sulla scogliera e gettata in mare. I pesci
ne mangiarono la carne e ne strapparono gli occhi. Sul fondo del mare, il suo scheletro
era voltato e rivoltato dalle correnti.
Un giorno arrivò in quella baia, dove un tempo andavano in tanti, un pescatore. Ma quel
pescatore veniva da lontano e non sapeva che i pescatori locali si tenevano ormai alla
larga da quella piccola baia che dicevano frequentata dai fantasmi.
L’amo del pescatore scese nell’acqua e s’impigliò nelle costole della donna scheletro…
Pensò il pescatore: «Ne ho preso uno proprio grosso!»
Intanto pensava a quanta gente quel grosso pesce avrebbe potuto nutrire, a quanto
sarebbe durato, per quanto tempo avrebbe potuto restarsene a casa tranquillo. E mentre
cercava di tirare su quel grande peso attaccato all’amo, il mare prese a ribollire,
l’imbarcazione ad essere sballottata, perché colei che stava sotto lottava per liberarsi. Ma
più lottava e più restava impigliata. Inesorabilmente veniva trascinata verso la superficie,
con le costole agganciate all’amo.
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CONTESTO/Bones
Il pescatore si era girato per raccogliere la rete e non vide la testa senza capelli
affiorare dalle onde, non vide le piccole creature di corallo che guardavano al posto
degli occhi mancanti, non vide i crostacei sui denti d’avorio.
Quando si volse, l’intero corpo, così com’era ormai, era salito in superficie e pendeva
dalla punta della barca, tenendosi con le secche dita. «Ah!» urlò l’uomo e il cuore gli
cadde fino alle ginocchia, gli occhi si nascosero in fondo alla testa e le orecchie
divennero rosso fuoco. «Ah!» gridò e la spinse giù dalla prua con il remo e prese a
remare come un forsennato verso la riva
La donna, aggrovigliata nella rete, pareva stare in piedi e inseguirlo a riva. Il pescatore
andava a zig-zag con la barca per scoraggiarla, ma lei restava lì, ritta in piedi con il
respiro che rovesciava le acque in nuvole di vapore e con le braccia che si lanciavano
avanti come per afferrarlo e trascinarlo nelle profondità.
«Ahhhh!» gemeva cercando di raggiungere la terra.
Saltò sulla spiaggia tenendo stretta la rete e la sagoma bianco corallo della Donna
Scheletro, sempre impigliata, lo seguiva a balzelloni. Corse sugli scogli, e lei lo seguiva,
corse sulle reti stese ad asciugare, e lei gli era sempre dietro… Afferrò con la mano
ossuta un pesce messo a seccare e prese a mangiarlo, perché da gran tempo, la donna
non si rifocillava. Alla fine apparve la capanna dove l’uomo, ansimando e singhiozzando,
si lanciò a quattro zampe penetrando nell’interno.
Ansimando e singhiozzando giacque nell’oscurità con il cuore che batteva come un
tamburo. Al sicuro… sì, al sicuro, finalmente. Ma quando accese la lampada ad olio,
ecco, lei era lì, impigliata nella lenza, triste e silenziosa nella sua estrema condizione. Il
pescatore inciampò sulla sua spalla con un ginocchio dentro alla gabbia toracica un
piede sul suo gomito. Non seppe poi dire come fu, forse la luce del fuoco ne
ammorbidiva i lineamenti, o forse perché lui era un uomo solo. Fatto sta che sentì
nascere un sentimento di tenerezza e lentamente allungò le mani sudice e con le parole
dolci che una madre avrebbe rivolto al figlio, prese a liberarla. «Ecco, ecco». Prima
liberò le dita dei piedi, poi le caviglie.
«Ecco, ecco». E continuò nella notte. Ora le ossa della donna scheletro erano
esattamente nell’ordine che dovevano avere in un essere umano, la rivestì di pellicce
per tenerla al caldo. Di tanto in tanto la guardava mentre riavvolgeva la lenza. E lei non
diceva una parola, non osava, altrimenti quel pescatore l’avrebbe gettata fra gli scogli
riducendo le sue ossa in pezzi.
Finché, l’uomo, stanco, scivolò sotto le coperte e cominciò ben presto a sognare. E
un sogno di tristezza e struggimento, fece scivolare una lacrima giù dall’occhio
dell’uomo. La Donna Scheletro vide brillare quella goccia nella luce del fuoco e sentì
una tremenda sete.
A fatica si trascinò accanto all’uomo addormentato e posò la bocca su quella lacrima,
quell’unica lacrima che era come un fiume, e lei bevve, bevve, finché la sua sete di anni
e anni non fu placata. Mentre giaceva accanto a lui frugò
nell’uomo addormentato e gli prese il cuore, il tamburo possente, si mise a sedere e
cominciò a bussare sui due lati del cuore: bum! bum!
E cantava: «Carne, carne, carne!
Carne, carne, carne!»
E più cantava e più si riempiva di carne.
Cantò per i capelli e per begli occhi, e per belle mani piene. Cantò la linea delle gambe, e il
seno, abbastanza grande da trovarvi calore, e i fianchi e cantò tutte le cose di cui una
donna ha bisogno. E quando ebbe tutto fatto, cantò l’amore e scivolò nel letto con lui,
corpo a corpo. Rimise il suo cuore, il grande tamburo, nel suo petto e si risvegliarono uno
nelle braccia dell’altro, aggrovigliati dalla loro notte, in un altro mondo bello e duraturo.
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CONTESTO/Bones
Per provocare la scrittura è stato chiesto, al termine dell’ascolto, di annotare la morale della
storia. Ovviamente senza alcun intento di ottenere la risposta bella o giusta (se mai
possa esistere): solo per introdurre alla successiva conversazione, sempre con lo stesso
meccanismo di leggere poi liberamente il proprio testo e avviare il confronto.
Spesso gli uomini sono vittima del pregiudizio, abituati a considerare gli altri per come
si presentano e non per quello che sono realmente.
Basta un solo uno sguardo o un gesto per dimostrare il proprio sentimento.
Nessuno di noi muore completamente, rimane sempre una piccola parte che ci permette
di vivere o addirittura di rinascere, anche se non nello stesso luogo in cui abbiamo
vissuto precedentemente.
Ciò che ognuno di noi ha dentro di sé, fa sempre paura quando lo si fa vedere per la
prima volta a qualcun’altro.
All’inizio ci si spaventa, ma poi la consapevolezza dell’importanza che ci viene data ci
rende felici e indispensabili per l’altra persona.
La donna anoressica, per poter uscire da quel mondo che la fa star male per la sua
situazione, ha bisogno che qualcuno la aiuti, le dia affetto e non l’abbandoni, guardando
anche quello che ha dentro, e non lasciarla al suo destino.
Non si deve giudicare l’altro con le convinzioni che impone la gente. Ognuno di noi è
unico e in quanto tale deve essere guardato tenendo conto della propria unicità.
Lasciarsi trascinare dagli altri non ci permette di valutare quello che abbiamo davanti
agli occhi in modo personale. Dovremmo essere noi a decidere cosa pensare e come
trattare gli altri…
Sia l’uomo e sia la donna hanno bisogno entrambi l’uno dell’altro, perché insieme
riescono a colmare i vuoti nei loro cuori.
La donna si sente veramente tale e non vuota (non oggetto), non solo scheletro ma
anche anima, quando è amata da una persona e quando i suoi bisogni sono soddisfatti.
Ogni donna quando mostra la sua parte interiore teme la fuga dell’uomo che ama, sta a
lui comprenderla e amarla.
Ogni uomo ha paura dei sentimenti di una donna. Quando però li comprende davvero
ne è affascinato.
L’uomo molto spesso ha paura dei giudizi degli altri. Infatti, il pescatore accetta la
donna solo quando sono da soli in casa, per non essere giudicato.
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CONTESTO/Bones
3| Bones. Uno spettacolo
Infine è stata proposta la visione dello spettacolo, di cui seguono colophon e foglio di sala.
Bones
produzione Teatro Kismet OperA
coproduzione Napoli Teatro Festival Italia, Festival della Scienza
di Lucia Zotti
con Monica Contini, Deianira Dragone, Lucia Zotti
musiche Nico Masciullo, Cesare Pastanella
spazio e luci Vincent Longuemare
oggetti in rame Lisa Serio
costumi Lisa Serio, Cristina Bari
Ho paura di Grimilde
Sempre più ci sentiamo intrappolati in un mondo che ci guarda e ci giudica. Una
maschera può essere la soluzione, una maschera la cui bellezza nasconda il nostro
corpo umanamente difettoso. Oramai siamo abituati a mimetizzarci tra una schiera di
manichini industriali anziché rimanere nella cornice della Natura/Autore che ci ha fatti
uno diverso dall’altro, ognuno originale, unico.
È preoccupante l’effetto di questa tendenza sulla delicata sensibilità degli adolescenti che,
sin da bambini, si sentono oppressi dalla legge dell’estetica: l’apparire si antepone a
qualsiasi altro problema esistenziale. Gli esteti mediatici impongono un modo di essere che
non tiene conto dell’altra faccia del corpo, quella che non si corregge con diete o interventi
chirurgici, ma si crea vivendo intensamente, formando la personalità, una bellezza unica.
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CONTESTO/Bones
Lo spettacolo Bones nato per il Napoli Teatro Festival Italia, edizione 2009, si è
arricchito dell’esperienza svolta con un gruppo di adolescenti di un liceo statale di Bari e
si è trasformato in un progetto più articolato.
La sua forma attuale comprende un percorso itinerante e interattivo in cui gli spettatori,
attraverso sollecitazioni diverse, toccano i temi trattati. Si inizia incontrando
installazioni che richiamano l’atmosfera kitsch delle performance televisive, si passa per
l’emozionante narrazione del racconto tradizionale La donna scheletro, per giungere
infine alla pièce teatrale.
Lo spettacolo si apre con una passerella: le attrici sfilano come indossatrici su una
colonna sonora di rumori e frasi da sala operatoria. Seguono piccole storie in cui
emergono con forza le difficoltà adolescenziali. Grimilde, madre-matrigna prototipo da
mass media, ossessionata dalla ricerca spasmodica e paradossale di una bellezza
omologata, prevarica sua figlia in ogni aspirazione e ignora la difficoltà che sta vivendo:
una gravidanza precoce. Nell’epilogo tragicomico troviamo i becchini di Amleto mentre
tumulano una salma davvero sorprendente.
«Ho paura dell’indifferenza e dell’ignoranza; ho paura per gli adolescenti che crescono
con le orecchie piene di suoni, gli occhi pieni di immagini e che non sentono quasi mai
le parole: utopia, ideale, sogno.
Ho paura di Grimilde».
Lucia Zotti, regista, Teatro Kismet OperA
A margine del quale sono state prodotte due scritture.
La prima scrittura è nata provocando una piccola memoria della propria esperienza di
spettatori, con un incipit a sorpresa dato dalla declinazione in partenza di un verbo
preventivamente scelto senza sapere a cosa sarebbe servito, un verbo (un’azione, quindi) per
ciascuno particolarmente significativo. Per esempio, chi avesse scelto come verbo «giocare»,
sarebbe stato costretto ad avviare la propria scrittura con «Vedendo Bones ho giocato…»,
continuando per una decina di minuti la scrittura.
L’obiettivo era evitare la forma commento, utilizzando possibilmente, per evocare un momento
del proprio vissuto di spettatori, una metafora:
Ho disegnato nella mente l’immagine della donna scheletro che danzava e cantava tra le
sedie e gli spettatori.
Sorrideva mentre accarezzava i capelli di una ragazza e si emozionava quando guarda le
attrici in scena. Sapeva che non molti sarebbero riuscita a vederla e probabilmente non
immaginava neanche lontanamente che io potevo osservarla. Forse era nei miei pensieri
perché era davvero lì nella sala che ballava e saltava, o molto più semplicemente, lo
spettacolo mi aveva preso così tanto da immaginare tutto.
Ho mangiato le mie unghie come al solito senza rendermene conto perché ormai è
diventata un’abitudine. Allora ho deciso di smettere quando me ne sono accorta e ho
cominciato a fare le foto alle attrici mentre recitavano.
Ho sognato di ritrovarmi al posto delle ragazze che recitavano. In alcuni momenti mi
veniva da ridere, in altri ero seria. Lo spettacolo ha catturato la mia attenzione. Ho
rivisto nelle due ragazze «mamma e figlia» alcune persone che conosco che si
comportano così o quasi.
Ho sognato di essere la figlia che veniva oppressa dalla madre, infatti se fossi stata io al
suo posto sarei scappata di casa. Una madre che non accetta la figlia così com’è non è una
buona madre. Non lo è perché decide per lei ciò che deve o non deve fare, facendole venire
i complessi dei seno piccolo o del naso troppo grande, e inoltre dice alla figlia che non deve
leggere perché secondo lei è una cosa inutile. Non è un comportamento materno.
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CONTESTO/Bones
Ho sognato di assomigliare alla figlia della madre eccentrica sottoposta alle continue
frustrazioni delle madre. Appare fragile e debole, psicologicamente influenzata spesso
dal parere della madre. La domanda che sorgerebbe spontanea sarebbe: come pensare
di assomigliare a un personaggio così debole? La risposta è meno difficile di quanto si
pensi; quel personaggio chiuso nella sua insicurezza ha molto da svelare ed essere
scoperto, è come una cassaforte, ci vuole la combinazione esatta per entrarvi e solo
colui o colei che riuscirà ad accettare così com’è potrà entrare nel suo mondo incantato.
Sono stata incantata dalla figura dei due becchini, perché questi con tono ironico
hanno dipinto una scena di tristezza in modo davvero singolare: schernendo lo
scheletro della donna che durante la sua vita aveva trasformato il suo corpo, dato che
non si accettava così com’era, credendosi brutta. La bruttezza come la bellezza sono
cose astratte e soggettive, insomma non esistono, ognuno di noi si fa un concetto di
bellezza o di bruttezza a seconda di ciò che sente, un po’ come i gusti del gelato. Per
esempio la fragola è la bellezza per A e il limone la bruttezza. Per B può essere il
contrario, in realtà nessuno sa quale sia davvero il più bello. È solo un’opinione.
Sono stata trasportata in un mondo tutto mio, ripensando a ciò che faccio ogni
giorno. Mi sono paragonata alla ragazza che davanti alla madre leggeva la storia della
donna scheletro. Poi si è spogliata e si è vista allo specchio nel suo corpo e non nel
corpo disegnato da qualche chirurgo. La madre cercava in tutti i modi di farle capire che
studiando o leggendo non si raggiungeranno mai la bellezza e il successo. Solo andando
dal chirurgo per una plastica facciale o una liposuzione o una plastica al seno si
raggiunge la bellezza, perché la bellezza secondo la madre non è naturale e per essere
belli bisogna spendere 50.000 euro e andare dal chirurgo. Spesso mi è capitato di
guardarmi allo specchio e non piacermi più, volevo cambiare, poi però riflettevo
guardando in TV tutte le donne rifatte e dicevo: perché devo uniformarmi a persone del
genere? Cambiare il mio corpo per essere più piacente o per seguire la moda non mi
serve. A questo punto io voglio il mio corpo e voglio essere bella dentro, non
necessariamente fuori.
Ho cantato: il sogno della donna scheletro; il modo di vedere le cose nel mondo; la
tristezza della donna brutta; la superiorità di Grimilde.
Ho sognato cosa mi sarebbe accaduto se io fossi stata al posto della figlia di Grimilde.
Non so veramente cosa avrei fatto se mia madre fosse stata così fissata con la bellezza,
e così poco acculturata. Ma poi mi chiedo che razza di madre è una che dice di sua figlia
che è brutta e poi la porta anche dal chirurgo. Se mia madre mi avesse fatto una cosa
del genere non l’avrei più chiamata mamma. Tanto alla fine Grimilde muore e poi nella
tomba in realtà oltre il suo bellissimo corpo non si è portata niente, visto che non aveva
mai letto un libro, né mai capito che la bellezza non è quella esteriore, e magari tutto
quel tempo che aveva speso dal chirurgo lo poteva dedicare a sua figlia, togliendole
quei complessi che lei stessa le aveva creato.
I flied sopra i limiti dei parametri della bellezza così come viene proposta in TV. Ho
volato quando ho sentito le parole degli attori rispecchiarsi con le mie idee. Ho volato
quando ho osservato le labbra della regista dello spettacolo pronunciare le stesse parole
che spesso pronuncia mia madre, e soprattutto ho volato quando nell’ascoltare quelle
parole non mi sono più sentita sola ma sempre più convinta nel continuare a voler
volare in questa direzione!
Ho conosciuto nuovi orizzonti. Mi hanno aperto la mente e fatto riflettere sul perché
cambiare la propria natura e non accettarsi per quello che si è. Ho conosciuto la realtà
per quello che è veramente, mentre in un’altra situazione la realtà viene mascherata.
Ho sognato di impersonarmi nella ragazza, notando quanto è volubile l’animo. Quando
ascoltavo le battute pensavo che veramente le persone pensano queste cose…
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CONTESTO/Bones
Ho cantato alla mia mente un mondo in cui tutti dovevano essere uguali: belli ma
esteriormente, e in cui non contava ciò che di bello celava una persona nel suo cuore ma
solo l’apparire. Vedendo Bones ho aperto la mia mente, in quanto ho avuto modo di scoprire
il mondo in maniera diversa da ciò che pensavo che fosse. Vedendo Bones ho cantato alla
mia mente una morale: avere non è più importante dell’essere, al contrario, una persona
può essere la persona più ricca, più importante del mondo ma non avere nessun affetto ed
essere vuoto dentro. Vedendo Bones ho cantato alla mia mente un mondo in cui non
bisogna lasciarsi condizionare dagli altri, ma decidere e pensare con la propria testa, anche
se si commettono degli errori. Vedendo Bones ho cantato alla mia mente dei sentimenti di
tristezza, di dolore causati dalle cose negative che il benessere ha portato.
Ho volato con la creatività. Ero un cielo azzurro e completamente privo di nuvole: da lì
vedevo tutta la città e ogni singolo elemento che la compone. Ho visto innumerevoli
donne che non hanno più un proprio volto, il loro corpo è coperto di silicone, forse per
apparire forti agli occhi degli altri, che sono sempre pronti a giudicare. Anche le madri,
che dovrebbero accettare le figlie per quelle che sono, le spingono verso la chirurgia
plastica, e facendo questo le portano verso un mondo fatto di ipocrisia e falsità.
Ho sognato di andare da un chirurgo plastico per migliorare il mio aspetto esteriore,
ma riflettendo ho pensato sia meglio restare se stessi. Infatti la vera bellezza è quella
interiore e non esteriore. Senza un filo di ombretto, senza seno oppure con un naso più
grande di 3,6 cm, non vuol dire che una ragazza è brutta. Questo solo perché oggi si
preferisce apparire anziché essere! Probabilmente noi ragazze di oggi trascorriamo più
tempo davanti allo specchio, per somigliare sempre più al nostro idolo, invece di
leggere libri, acculturarci, il che sarebbe molto meglio!!! Non riusciamo ad accettare noi
stesse, ci crediamo brutte, grasse perché ci rifacciamo sempre ai modelli televisivi,
anche non volendo, in maniera inconsapevole.
Ho amato il modo di fare di alcune donne. Allora dopo ho capito che è importante
amare le donne perché le fa sentire più importanti. Alcune donne non amano il proprio
corpo per quello che è, ma per quello che vorrebbero diventasse.
Ho fantasticato, immaginando tutte le volte che mi sono sentita insicura di me stessa
e ho pensato: «Ma chi me lo fa fare?» Ho riflettuto sui tremila problemi che qualcuno ti
crea solo per aver detto una frase cattiva sul tuo aspetto fisico, facendoti credere che è
migliore di te. Quando invece non è per niente vero!
Ho sognato di non essere più me stessa, non mi riconoscevo più, non riconoscevo il mio
volto dopo aver eliminato tutti i difetti che lo formavano, non mi rappresentava più, non mi
distingueva più dagli altri, annullava la mia personalità. Ho visto donne ossessionate dal
modo di apparire, che pur essendo perfette nei loro piccoli difetti volevano apparire ancora
di più, pur non avendo un vero motivo. E alla fine ho visto una donna scheletro che
seguendo l’ossessione dell’apparire era diventata quello che non era.
Ho amato il modo in cui gli attori recitavano e interpretavano una storia odierna. Ho
provato molto imbarazzo quando un’attrice si è svestita dei suoi abiti mostrando il suo
corpo a tutti. Sono rimasta affascinata da questo spettacolo perché ha suscitato in me
un grande coinvolgimento, ma anche forti emozioni. In quel momento avrei voluto
essere lì su quel palco e riuscire a comunicare con tanta chiarezza e semplicità.
Ho vissuto emozioni opposte e discordanti. Stupore, rabbia, tristezza, allegria,
confusione. Durante tutto lo spettacolo, e ancora adesso, sono le domande, i dubbi e le
incertezze a confondermi. Perché? A quale fine? Cosa è giusto e cosa è sbagliato?
Pensare all’antica o conformarsi al moderno? Ma il moderno è poi così innovativo e
all’avanguardia? Chi voglio essere per davvero? Uno scheletro o una ragazza con un
vestito semplice e bianco? La bruttezza esiste? Essere accettata e apprezzata per la
testa o per il corpo? Ma essere rifatte rende davvero poi così tutte belle? Non sarebbe
più giusto essere belle ma con il cervello?
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CONTESTO/Bones
La
seconda scrittura, invece, è stata realizzata prima annotando le immagini dello
spettacolo che più hanno colpito, quindi scegliendone almeno una, spiegandola dopo aver
scritto «ovvero…».
LA RAGAZZA DI FRONTE ALLO SPECCHIO
La ragazza di fronte allo specchio si guarda e cerca i suoi difetti. Il suo volto è turbato
ma allo stesso tempo sorpreso, più si guarda e più i suoi difetti aumentano. Dall’altra
parte dello specchio il suo riflesso parla e le dice che è bruttissima e la ragazza l’ascolta
pensando che sia la verità. C’è un’altra parte dello specchio in cui il suo riflesso le dice
che la bellezza non è quella esteriore ma quella interiore.
SFILARE SULLA PASSERELLA
Ballare seguendo una coreografia preparata. Essere osservate da tutti. Paragonare le
donne a dei robot. Indossare qualcosa di diverso (non vestiti materiali). Sdoppiarsi in
due persone diverse.
QUANDO LA DONNA CHIAMA IL CHIRURGO E PUR SENTENDO IL PREZZO ABBASTANZA
COSTOSO ACCETTA, PERCHÉ LA BELLEZZA, L’APPARIRE, SUPERA QUALSIASI COSA
L’apparire supera qualsiasi cosa. Rifarsi sta diventando qualcosa di abituale. Essere belli
nella nostra società è d’obbligo. Alcune donne, non importa leggere libri, basta apparire
bella davanti agli uomini. La facilità della donna nel compiere gesti
LA FIGLIA CHE LEGGE I LIBRI E LA MADRE LE DICE DI NON FARLO
Ignoranza della madre. Debolezza della figlia. Mancanza di intelligenza della madre.
Facile vulnerabilità.
I DUE BECCHINI E LO SCHELETRO DELLA DONNA RIFATTA
I becchini che discutono sulla sepoltura della donna. La donna scheletro che si
contraddistingue dal fatto di portarsi la protesi nella tomba. I becchini cantano. Lo
scheletro della donna passa di mano in mano come un oggetto. La donna scheletro,
mentre i due cantano, viene posta su una pedana al centro del palco.
LO SCHELETRO CON LE PROTESI/LA FIGLIA CHE SI RICOPRE IL VISO CON
L’ADESIVO/LA MAMMA CHE SI ATTEGGIA CHIAMANDO IL CHIRURGO
La figlia è troppo fragile e debole per potersi accettare. La mamma indecisa se rifarsi il
seno o meno.
LA RAGAZZA CON I TANTI CEROTTI IN FACCIA
La ragazza vede nei cerotti uno strumento per nascondere la propria identità, uno
strumento che ne impedisce il riconoscimento perché troppo brutta secondo il suo
parere, influenzato da quello della madre tanto da non volersi mostrare in pubblico. Il
cerotto diventa maschera per lei come lo è il bisturi per molte altre donne dei nostri
tempi. Allora io mi chiedo: apparire belli è tanto importante da addirittura vergognarsi
del proprio aspetto naturale?
LA DISCUSSIONE TRA MAMMA E FIGLIA
Durante la discussione tra le due donne ho visto la figlia felice di leggere e di immergersi
in questo mondo fantastico quale quello dei libri e della lettura e la madre che quasi la
rimproverava perché preferiva leggere e acculturarsi anziché andare dal chirurgo per una
plastica e diventare apparentemente o in parte più bella. La ragazza si fa convincere dalla
madre e va dal dottore, solo che poi vedendo come sarebbe diventata dopo le operazioni
chirurgiche va via e rimane nel dubbio… Sono bella o sono brutta? Non capendo, secondo
me, che la vera bellezza è dentro di noi e non fuori ed è nella cultura e non nella chirurgia
plastica, spendendo soldi che possono servire per altro.
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CONTESTO/Bones
LA RAGAZZA CHE SI IMMERGE NELLA LETTURA
La ragazza, non volendo ascoltare la madre, non accettando il modo di pensare della
persona che ha di fronte, si immerge nella lettura. Probabilmente l’unica fonte di salvezza
che la annulla dal mondo esterno, dal modo di pensare della gente che c’è in giro. Ama le
storie d’amore scritte nei libri e ama l’immedesimarsi nelle storie, tutto l’esatto contrario
della mamma, che odia i libri e dice alla figlia di non leggere, perché è una cosa che non
serve. Secondo la mamma non piace la donna acculturata ma l’esatto contrario.
BECCHINI CHE CANTANO IL CARROZZONE DI RENATO ZERO
«Bella la vita, dicevi tu, e t’ha imbrogliato e t’ha sfottuto, proprio tu». Queste parole
cantate dai due becchini, estrapolate dalla canzone di Renato Zero Il carrozzone,
conservano al loro interno un immenso mare di significati. Ci sono due persone, delle
quali una è deceduta, lasciando all’altra il fatto che pensava che la vita fosse bella e
l’altra guardando colei che è deceduta le dice: «Guarda proprio tu che amavi così tanto
la vita… ora non ci sei più». Naturalmente queste parole vengono cantate ironicamente
dai due uomini in nero.
Si potrebbe pensare (forse in modo non del tutto logico) che quando i due
pronunciano le parole «bella la vita, dicevi tu» stiano schernendo ancora la donna
scheletro fornita di protesi, la quale non è stata capace di accettarsi e quindi si
potrebbe dire che questa, volendo rimanere perennemente bella, non si è goduta
tutte le fasi del suo processo di invecchiamento.
LA RAGAZZA CHE STA SOTTO LA MADRE LEGGENDO DEI LIBRI E LA MADRE CHE STA
IN PIEDI CON LE GAMBE DIVARICATE
L’incontro scontro tra il desiderio di cultura della ragazza e il desiderio di successo e di
bellezza di Grimilde, che secondo me indica anche uno stato di mancanza di valori che
Grimilde non possiede (e quindi si lascia trasportare dai modelli negativi che la società
impone), ma che sua figlia vuole trasmetterle. Secondo me questo conduce anche a un
capovolgimento di ruoli che poi viene a rompersi per un momento quando la ragazza va
dal chirurgo e che si ristabilisce quando la ragazza si pente di ciò che stava per fare e
ritorna sulle sue azioni, seguendo ciò che la sua ragione le diceva di fare mantenendo,
quindi, i suoi principi, ciò in cui credeva.
LIBRO BUTTATO PER TERRA DALLA MADRE
La violenza di un gesto che non ho inteso solo come un atto fisico, ma soprattutto come
un gesto che mirava alla violenza morale. La madre non ha voluto solo disprezzare il
libro in sé o più in generale la cultura, ma, seconde me, ha voluto più che altro umiliare
la figlia, tenerla in pugno, farle credere che non valeva niente.
QUANDO LA RAGAZZA SI METTE I CEROTTI
La ragazza sembra che voglia nascondere i suoi difetti, che la madre le aveva fatto
notare dicendole anche che è brutta. La ragazza dopo che ha visto come doveva
diventare dopo l’operazione è scappata via perché non si riconosceva più.
LA DONNA METTE DELLE STRISCIE DI SCOTCH SUGLI OCCHI
La ragazza si copre per paura di mostrarsi al mondo. La ragazza è troppo debole per
essere se stessa.
Si copre con la speranza di trovare sotto qualcosa di nuovo e di più accettabile alla vista
di tutti nel momento in cui andrà a scoprirsi. I punti coperti rappresentano i punti più
fragili da modificare.
LA FIGLIA DI GRIMILDE CHE LEGGE E LA MAMMA CHE LA RIMPROVERA
La superficialità di Grimilde. L’ignoranza di Grimilde. Grimilde rimprovera la figlia
facendola sentire brutta e inferiore. La saggezza della ragazza nel ritenere inizialmente
la cultura più importante dell’aspetto esteriore. L’aggressività di Grimilde. La fragilità
conseguente della ragazza.
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CONTESTO/Bones
LA MADRE CHE DICE ALLA FIGLIA CHE È BRUTTA
Nessuna madre direbbe alla propria figlia che è brutta! Si vede che era talmente offuscata
dall’aspetto esteriore, dalla bellezza, che non riusciva a vedere quello che era e che
voleva realmente la figlia. Questa immagine mi ha ricordato una scena di un programma
televisivo comico, dove i genitori non volevano che la figlia si laureasse, ma che
partecipasse a programmi televisivi come Il Grande Fratello, o che spendesse i propri
soldi per rifarsi il seno. Io non sarei mai capace di fare una cosa del genere a mia figlia.
LA RAGAZZA CADE CON I SUOI LIBRI AI PIEDI DELLA MADRE
Un’immagine di sottomissione, di annullamento della propria personalità, del proprio
modo di vedere le cose. I libri rappresentano ciò che lei ha dentro, che può sembrare a
suo modo poco interessante e noioso, ma che in realtà secondo la ragazza è un intero
mondo pieno di volti e di emozioni.
LA RAGAZZA CONVINTA DALLA MADRE A FARSI LE LIPOSUZIONI
Non accettarsi per quello che si è. Però la ragazza si rende conto che quello che la
madre le dice per lei non è importante, perciò scappa, perché non vuole diventare una
persona che non è ma accettarsi per quello che è interiormente, anche se la madre le
dice che è brutta.
La ragazza non vuole fare lo stesso sbaglio che ha fatto la madre, ovvero rifarsi labbra,
seno ecc.
LA DONNA SCHELETRO CON LE PROTESI E I LABBRONI
L’anima, al contrario dello scheletro, prende la sua strada, va per la direzione che ha
sempre voluto prendere e non quella che avrebbe preso se fosse stata condizionata
dagli altri. Le protesi e i labbroni rimangono attaccati allo scheletro in segno di un gesto
fatto solo per gli altri e non voluto veramente.
MAMMA E FIGLIA CHE BALLANO INSIEME
Figlia condizionata dalla mamma. Figlia che fa ciò che la mamma le chiede per
compiacerla. Voglia di non ascoltare il proprio io ma fare solo ciò che è giusto per chi ci
è accanto. Soffocare i propri pensieri. Fingere di appartenere a un mondo che non è il
proprio (quello della madre).
GRIMILDE CHE DOPO AVER CHIAMATO IL CHIRURGO SI DOMANDA PER POCHI MINUTI
SE ERA NECESSARIO O NO
Grimilde fa i conti con la propria coscienza, con il proprio essere. In fondo lei sapeva
che non le mancava niente, ma è la sua voglia di essere perfetta e uguale a tutte le
altre donne, superficiali, che la costringe a sottoporsi a molteplici interventi. Dopotutto
Grimilde è una donna fragile.
QUANDO LA FIGLIA SI METTE SUL VISO I CEROTTI E ANCHE QUANDO LA RAGAZZA
INDOSSA LE LABBRA DISEGNATE SUL CEROTTO
La figlia di Grimilde si sente inferiore. I risultati dell’aspetto della ragazza dopo
l’intervento del chirurgo. La figlia, indossando le labbra finte, non si riconosceva più
nella sua immagine. L’insicurezza ha portato la ragazza a trasformare se stessa in
un’immagine per lei non soddisfacente, che invece piaceva alla mamma. La diversità tra
Grimilde e la figlia.
QUANDO GRIMILDE CHIAMA IL SUO CHIRURGO PER PRENDERE APPUNTAMENTO E
DOPO AVER FINITO DI PARLARE SI RIVOLGE AL PUBBLICO E CHIEDE: «TU PENSI CHE
QUEI SOLDI POTREI RISPARMIARLI?»
Grimilde decide di andare da un chirurgo perché spinta dalla società, dai modelli
televisivi. È una donna facilmente influenzabile che non capisce il vero significato
dell’essere.
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CONTESTO/Bones
QUANDO LA FIGLIA DI GRIMILDE SI APPICCICA I CEROTTI SUL CORPO
La figlia acconsente alla volontà della madre. Anche la figlia, condizionata dalla madre,
crede che abbia più importanza l’apparire e non l’anima. La figlia è triste per dover
prendere una decisione che non vuole. La figlia si fa dei complessi del suo naso e del
suo seno perché è la madre che glieli fa notare come difetti. La figlia scopre una
profondità in se stessa che sua madre non comprende e non vuole capire.
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CONTESTO/Bones
Alte scritture
lettere al corpo
Per concludere, infine, un divertimento (ma fino a un certo punto).
Abbiamo proposto di scrivere una lettera a una parte del proprio corpo, garantendo
rigorosamente l’anonimato…
Care dita,
vorrei chiedervi perché avete questa bruta forma, vi vorrei più affusolate, sottili. Per
colpa vostra non posso usare tanti bei anelli. Ogni volta che vado a fare shopping mi
dispero perché sono tutti piccoli. Però anche se siete così di certo non mi vado a fare
una chirurgia plastica, vi accetto per quelle che siete.
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CONTESTO/Bones
Cari capelli,
siete la parte del mio corpo che mi piace di più; mi dispiace di avervi tagliato, l’anno
scorso eravate molto più belli di come siete ora, ma ormai è andata così, è stata una
pazzia, ma ora state ricrescendo e sono molto felice per questo. Per me è il solo
mezzo che possiedo per esprimere la mia creatività sul mio corpo e perciò mi siete
di grande aiuto, anche se vi tengo sempre raccolti in una coda a scuola a causa della
mia timidezza, che mi fa esprimere tutto ciò che penso attraverso dei mezzi
secondari come scrittura e canto, senza i quali, se non esistessero, non saprei come
fare. Io penso di voi che anche se mi piacete vorrei ritoccarvi, vi vorrei biondi e
anche lunghi fino al sedere, come li ha la mia insegnante Adele, con la quale faccio
ripetizione di matematica.
Ora vi devo lasciare, sappiate che vi voglio tanto bene e che siete la parte del mio corpo
che preferisco.
Cara pancia,
in questi giorni sto cercando di farti diminuire, però ci sono delle volte in cui proprio non
riesco na fare a meno di mangiare e di farti crescere tanto da sembrare incinta. Lo so
che è inevitabile che tu cresca se io mangio, però per favore potresti evitare di crescere
tanto? Prometto che mangerò solo cose genuine eliminando dolci e grassi, però ti
prego, diminuisci!!! Oppure vado dal chirurgo a farmi una liposuzione come fanno
alcune persone! Sai, per colpa tua fino a poco tempo fa venivo presa in giro da tutti e
tornavo a casa piangendo, mettendo in croce mia mamma che ogni volta doveva
tranquillizzarmi e aiutarmi. Mi è costato tanto dimagrire perché ho dovuto eliminare i
dolci, che sono la cosa che più amo al mondo perché mi piace mangiarli e cucinarli!
Ora vado perché il tempo scade… Baci.
Cari piedi,
proprio a me dovevate venire? Io vi odio con tutta me stessa, perché prima cosa siete
brutti e non c’entrate niente con me, rovinate tutto il mio corpo e stile, e, cosa più
importante, mi create dolori atroci! E, altra cosa importante, mi rompete tutte le
scarpe. Spero che a 18 anni vi possa cambiare.
Cordiali saluti.
P. S.: Vi odio!!!
Cari nei,
ma perché dovevate spuntarmi su qualunque parte del corpo? Allora, io ammetto
lungo il corpo, ma perché anche sulla faccia? Nono ho scelto io di avervi, e quindi vi
devo condividere, ben volendo potrei ricorrere anch’io a qualche ritocchino, ma
siccome ho troppa paura non lo faccio, e preferisco rimanere con i miei nei, che
formano un triangolo. Io non vi accetto, perché forse anche un po’ influenzata dai
miei amici, che soprattutto il mio neo sul naso lo chiamano «lenticchia», e a me,
diciamo che non piace…
Vabbè, so che non posso farci niente e che voi farete parte di me fino alla morte.
Voglio solo augurarmi che questi nei non diventino più grandi!
Cara pancia,
sei entrata a far parte della mia vita all’età di 11 anni, più o meno. Discuto sempre con
mia madre per colpa tua, perché mi vorrebbe vedere più in forma. Io so che è difficile
mandarti via, ma prima o poi ci riuscirò! Quanto vorrei avere un coltello magico che ti
tali a fette, così da potermi sbarazzare di te senza fatica e sacrificio. Non voglio arrivare
a una taglia 36 o 38, mi accontento di una bella 42.
Quindi, cara pancia, non rimarrai con me per sempre, i tuoi giorni sono contati!
Care gambe,
perché mi siete state d’ostacolo durante la crescita? Io adoro ballare, come ben sapete,
e non riesco a stare mai ferma. Voi non siete così elastiche come avrei voluto e questo
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CONTESTO/Bones
mi ha molto rattristata. A causa vostra ho pianto e mi sono sentita a disagio e inferiore
nel gruppo di danza. Voi non mi avete incoraggiato a continuare, anzi, piano piano la
mia voglia e il mio divertimento nel ballare stanno diminuendo. Il mio sogno sarebbe
stato alzarmi e provare a fare la spaccata e riuscirci. Ma ormai ci ho rinunciato e quindi
vi tengo così come siete.
Cara pancia,
sai, per me sei orribile, ti odio con tutta me stessa, e sinceramente una vita senza di te
per me sarebbe perfetta. Odio il fatto di non poter mettere magliette aderenti, perché ci
sei sempre tu che con la tua presenza rendi sempre le cose più difficili che mai.
Purtroppo però sei qui e nonostante tutti i miei sforzi, tu ti ostini a rimanere e a non
andare via. A volte la tua presenza mi fa sentire inferiore agli altri, più brutta. Non per
essere cattiva, ma spero proprio che un giorno tu sparisca dalla mia vita.
Tanti saluti.
Care ginocchia,
come state? Vi trovo un po’ storte… che ne diresti di addrizzarvi un po’, anche perché
avete influenza sul mio modo di camminare ed è piuttosto difficile riuscire a farvi stare
dritte. Le persone quando cammino notano questo particolare, anche perché non è
tanto femminile avere le gambe storte. Quando le persone lo notano mi chiedo: «Oddio,
ma si nota così tanto?» …che figura del cavolo! Possibile che non riesco a gestirvi?
Vabbè, comunque dopo tutto ho imparato a sopportarvi, nel bene e nel male, perché
comunque mi posso ritenere fortunata ad avervi, in confronto a persone che non vi
hanno proprio e vi desiderano tanto!
Cari occhietti miei,
perché i ragazzi si innamorano solo di voi? Forse perché vi trucco bene? Forse perché
brillano con il sole? Boh! Chi lo sa? Forse solo Cristo, visto che lui mi ha fatta! I miei
occhi sono così belli? Così graziosi da piacere ai ragazzi? Però a me piacciono i miei
occhi… Sono a dir poco stupendi!!! (W la modestia).
Occhi miei vi amoooo!!!
Cara pancia,
come va? A me diciamo tutto ok, a te? Vorrei chiederti una cosa, se da questa casa
potessi andare via. Io sono molto affezionata a te, però in questo periodo non ti
sopporto proprio. So che tu stai bene qui, però è meglio se ritorni in un altro tuo
compagno di vita. Non mi va di mandarti via con un po’ di attività fisica, perché così ci
stai male tu e ci sto male io, quindi è meglio se tu piano piano vai via da sola.
Cara spina dorsale,
sono ormai quattro anni che non andiamo molto d’accordo… Il rapporto che ho avuto e
che ho con te non è dei migliori! Ti voglio chiedere solo una cosa: guarisci presto,
perché mi sono stufata di fare sacrifici e di non poter fare quello che una ragazza della
mia età può fare. Soffro un po’ per tutto questo e non ho più le forze di continuare. Se
fossi stata dritta subito… tutti sti problemi non sarebbero esistiti. Sai quante volte ti ho
bestemmiato, quante volte con il mio carattere ho cercato di nascondere la mia
tristezza. Spero che con il passare del tempo tutto possa andare meglio!
Ti saluto. Ciao ciao.
Caro naso,
perché sei così strano? L’unica cosa che mi fa sentire a disagio sei proprio tu. Prima
avevo gli occhiali e diciamo ti coprivo, ma adesso che non li ho più non so come
nasconderti. Parlo di te anche a mia madre, ma lei mi dice in continuazione che non è
vero che sei strano. Io però avrei qualche dubbio!!! Alle scuole elementari mi
criticavano sempre per colpa tua e io diciamo che ci ho fatto l’abitudine.
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CONTESTO/Bones
Io, se devo essere sincera, ho pensato qualche volta di rifarti, ma poi ci ripenso e mi
ritiro indietro. Quindi sono arrivata alla conclusione che dovrò rimanere con te per il
resto della mia vita.
Cari fianchi,
che ne pensate di sloggiare o di assottigliarvi un po’ senza che io fatichi tanto in
palestra? Cioè dico, prima la pancia era il mio unico problema, ma con il passare del
tempo è andata via e siete comparsi voi a darmi ancora più noia. Anche per i miei gusti
siete eccessivamente larghi!!! Quindi carissimi amici, che ne pensate di fare le valige e
di scomparire? Vi pago un viaggio alle Maldive, basta che ve ne andiate.
Tante care cose…
La vostra proprietaria (ancora per poco… si spera).
Cari polpacci,
come va? Spero stiate bene e che siate dimagriti un pochetto! Anche perché l’ultima
volta che vi ho visti eravate grossi un bel po’! Però per fortuna eravate lunghi, quindi se
dimagriti diventate lunghi e snelli, proporzionati con il resto!
È una questione di costituzione, lo so, ma non mi piacete per niente!
Cara pancia e cari fianchi,
vorrei tanto che voi andaste via, invece di essere così presenti e attenti a star sempre lì
posizionati sul mio corpo. Quando vedo una ragazza più magra penso: «Beata lei», e
vorrei essere come lei, però alla fine credo di essermi abituata a vedermi in questa
maniera, mi sono accettata e quasi mi piace; e dato che non mi va di fare diete e
andarmi a stancare in palestra solo per sembrare più magra e bella, decido di rimanere
così. Se poi un giorno andrete via sarò più contenta, ma per ora mi tocca sopportarvi.
Caro naso mio,
sei stato davvero uno scherzo del destino! Eh, sì! Troppo grande per rientrare nei
canoni della bellezza, o meglio, nei canoni imposti da altri per definire la bellezza! Io
infatti non ti avrei mai trovato così brutto se non avessi dovuto tener conto di ciò che
per gli altri è bello o brutto… Nei miei disegni i visi hanno dei nasi bellissimi e so che
non potrei mai disegnare te sui visi dei miei personaggi. Il disegno è una forma d’arte
che mi affascina. Quando scrivo rappresento tutta me stessa, metto su un foglio ciò che
penso, che sento: quello che sono realmente… Ma è quando disegno che mi rendo conto
che esteticamente non sono come vorrei essere e non posso rappresentare me stessa.
Scrivo me stessa, ma disegno gli altri.
Cara pancia,
ma come mai sei sempre presente sul mio stomaco? Sarà perché la bocca ingerisce
troppi dolci? Tante volte ho tentato di buttarti giù, di eliminarti, ma sempre senza
successo… Ho sempre provato a mascherarti con maglie più lunghe del normale, non
troppo colorate per non esaltare il punto critico, tirando in dentro la pancia contraendo i
muscoli, ma non ci sono mai riuscita. Poi ho deciso di abbandonare questa fissa, di
fregarmene, e senza farci caso, sarà stata l’estate, la voglia di mangiare diminuiva e
quella di ballare aumentava, ho perso 4 chili. I risultati erano meravigliosi: potevo
indossare vestitini attillati, jeans stretti, restare in costume da bagno senza
vergognarmi esageratamente, ridere a crepapelle senza dover fare attenzione a non far
passare troppa aria, quindi non rilassare troppo i muscoli. Al rientro dalle vacanze,
quindi a estate finita, sono ritornata ai vecchi ritmi e la pancia è sbucata di nuovo, però
questa volta era cambiato il mio pensiero! Non mi importava più la pancia, ancora
meno dopo aver conosciuto ragazze con seri problemi fisici inguaribili e ho imparato ad
accettarmi per ciò che sono! Se Dio mi ha fatta così, un motivo deve pur esserci. Non
voglio cambiare il mio essere o tentare disperatamente di farlo, altrimenti non capirò
mai perché Dio mi ha voluta così!
Bye bye problemi di pancia.
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CONTESTO/Bones
Cari occhi,
siete l’unica parte del mio corpo che mi piace moltissimo, perché? Sorgerebbe
spontanea la domanda; la risposta è semplice, è l’elemento che più si nota in me.
Spesso, guardandomi allo specchio, noto tante imperfezioni, ma l’unica cosa che mi
piace avere e spesso ne sono fiera, siete proprio voi, soprattutto il vostro colore.
Concludendo vi dico grazie, perché siete gli unici elementi del corpo che riescono a
risaltare il mio volto, un punto di forza potrei dire.
Un caloroso abbraccio.
Cara pancia,
non è la prima volta che ti scrivo. Lo sai che io per te non ho proprio una grande
simpatia. Anzi, ti odio con tutta me stessa. Sei davvero odiosa, ti gonfi in continuazione
per giorni e poi diventi improvvisamente meno gonfia. Spesso ti copro con delle maglie,
ma ho l’impressione che tu lo faccia apposta il giorno dopo a gonfiarti. Quando mi
guardo di profilo allo specchio trattengo il respiro e tu sei come ti voglio io, ma poi
quando (…incomprensibile…) tu diventi di nuovo gonfia.
Cara pancia, ormai la tua presenza incombe e mi sono abituata a te. Se un giorno non
ti avessi, ho paura di sentirne la mancanza! Comunque, se ti va di andartene via, per
me non ci sono problemi. Fammi sapere!
Baci!
Cari piedi,
condividiamo le gambe sin dalla nascita, quindi ci saremo incontrati qualche volta. Ho
notato che voi continuate ad allungarvi, in proporzione alle gambe, forse… La mia
richiesta sarebbe quella di rallentare la vostra crescita, così da impedire, a sviluppo
completato, battute di spirito riferenti ai clown.
Cordiali saluti.
Care orecchie,
vi scrivo questa lettera per esprimervi un mio grande desiderio.
Io avrei voluto tanto che voi foste più piccole, perché ogni volta che raccolgo i miei
capelli mi faccio mille complessi e cerco sempre di nascondervi. Però anche se voi non
mi piacete così tanto io non vi cambierei, perché voi fate sempre parte del mio corpo e
vi amo così come siete.
Caro naso,
con te ho un rapporto abbastanza conflittuale e lo sai bene! A volte mi piacerebbe avere
un bel nasino all’insù come quello dei francesi, oppure uno dritto che renda i lineamenti
più dolci. Ma non si può avere tutto dalla vita e me ne rendo conto, quindi in fin dei
conti sono contenta di essere così come sono, pregi e difetti inclusi.
Cari fianchi,
voi così prorompenti, così pieni di vita, che vi fate notare in ogni situazione: sotto un
vestito elegante o sotto una tuta… siete un grande impiccio! Ho già di sedere… non me
ne serve un altro più in su.
Ho provato a fare palestra e a fare la dieta: tutto dimagrisce tranne voi! Ogni tanto vi tiro
dei pizzichi con la speranza di staccare tutto quel grasso, ma fallisco sempre nel mio
intento di buttarvi via.
Sono contenta che vi siate affezionati tanto a me, ma io non ho bisogno di altro grasso! Mi
basta quello che ho sulla pancia, sulle guance, sulle cosce!
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CONTESTO/Bones
CONTESTO/Bones 2009
progetto Teatro Kismet OperA
realizzato con il sostegno di Regione Puglia, Assessorato alla Trasparenza e alla cittadinanza attiva
in collaborazione con Liceo Statale “Bianchi Dottula”
progettazione artistica e conduzione Monica Contini, Rossana Farinati, Lello Tedeschi, Lucia Zotti
allestimento del percorso Cristina Bari
cura Cecilia Cangelli, Barbara Pizzo
con la partecipazione delle studentesse Raffaella Barone, Serena Brescia, Chiara De Candia,
Silvia Disertore, Noemi Ferrigno, Vittoria Franco, Gabriella Grittani, Jasmine Henni, Cristina
Intini, Carmela Lattanti, Federica Leggieri, Sara Loporto, Daniela Marchesiello, Francesca
Miscelo, Paola Morrone, Giuseppina Papaina, Maria Teresa Piazzolla, Alessandra Pinto, Ilenia
Polisenso, Nelide Simineanu, Annarita Traversa, Annamaria Violante
coordinate dai docenti Rosalina Ammaturo, Rosalba Campanale, Fatima Vilardi
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CONTESTO/Bones
CONTESTO/Bones 2010
prospettive
Il percorso può essere realizzato presso altri Istituti, anche in forma interscolastica, secondo
due sviluppi possibili: una forma estesa, analoga a quanto già svolto in collaborazione con il
Liceo Statale “Bianchi Dottula”, o, in alternativa, una forma intensiva.
1| Forma estesa
Introduzione
Questa prima parte del percorso è strutturata in tre incontri rivolti a un gruppo di studenti,
anche ampio e, possibilmente, interclasse.
Primo incontro
visione del documentario Il corpo delle donne di Lorella Zanardo, Marco Malfi Chindemi,
Cesare Cantù. A seguire conversazione strutturata.
Durata complessiva: un’ora e trenta minuti circa.
Secondo incontro
lettura del racconto La donna scheletro a cura di Lucia Zotti. A seguire conversazione strutturata.
Durata complessiva: un’ora e trenta minuti circa.
Terzo incontro
visione dello spettacolo Bones
Durata complessiva: un’ora e trenta minuti circa.
Le pratiche
Questa seconda parte del percorso è strutturata in tre laboratori diversi e paralleli, rivolti a non
più di 25 studenti suddivisi in due o tre sottogruppi.
Laboratorio di scrittura
un percorso condotto da Lello Tedeschi.
Articolazione e durata: due incontri, di due ore e trenta minuti ciascuno.
Laboratorio teatrale e performativo
un percorso condotto da Lucia Zotti e Monica Contini.
Articolazione e durata: cinque incontri, di due ore e trenta minuti ciascuno.
Laboratorio sull’allestimento di spazi e scene
un percorso condotto da Rossana Farinati e Cristina Bari.
Articolazione e durata: cinque incontri, di due ore e trenta minuti ciascuno.
Sessione finale
Sarà intensiva, con cinque incontri dedicati esclusivamente alle prove finalizzati alla dimostrazione
finale, aperta anche agli altri studenti della scuola.
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CONTESTO/Bones
2| Forma intensiva
Pensata per una durata complessiva di tre giornate.
1a giornata
visione del video Il corpo delle donne di Lorella Zanardo, Marco Malfi Chindemi, Cesare
Cantù e lettura del racconto La Donna Scheletro a cura di Lucia Zotti. A seguire
conversazione strutturata.
Durata complessiva: due e trenta minuti circa.
Destinatari: un gruppo interclasse, anche ampio.
2 a giornata
Laboratorio di scrittura
un percorso condotto da Lello Tedeschi.
Articolazione: un incontro di due ore e trenta minuti.
Destinatari: un gruppo di non oltre dieci studenti, anche interclasse.
Laboratorio teatrale e performativo
un percorso condotto da Lucia Zotti e Monica Contini.
Articolazione: un incontro di due ore e trenta minuti.
Destinatari: un gruppo di non oltre dieci studenti, anche interclasse.
3 a giornata
Visione dello spettacolo Bones, con la partecipazione degli studenti del laboratorio teatrale
e performativo.
Destinatari: gruppi interclasse, anche ampi, in relazione alla capacità degli ambienti scolastici.
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CONTESTO/Bones
Sommario
Lo spettacolo e il progetto
p. 1
idee e percorsi
1
Premessa
Il progetto CONTESTO/Bones
2
Sguardi #1 | di chi propone
Lucia Zotti, regista, Teatro Kismet OperA
Come è nato lo spettacolo Bones
Sguardi #2 | di chi insegna
3
Rosalina Ammaturo, docente, Liceo Statale “Bianchi Dottula”
Il teatro fa scuola
3
Sguardi #3 | di chi agisce
4
Daniela Marchesiello, studentessa, Liceo Statale “Bianchi Dottula”
Attori si nasce?
Sara Loporto, studentessa, Liceo Statale “Bianchi Dottula”
Un’esperienza da non dimenticare
Vittoria Franco, studentessa, Liceo Statale “Bianchi Dottula”
Ripensando al laboratorio teatrale
7
Sguardi #4 | di chi osserva
Filippo Campobasso, psicologo, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche,
Università degli Studi di Bari
Note a margine
Scritture
9
Lello Tedeschi, drammaturgo, Teatro Kismet OperA
I percorsi multipli della scrittura
1| Il corpo delle donne. Un documentario
10
2| La donna scheletro. Un racconto
12
3| Bones. Uno spettacolo
15
Altre scritture
lettere al corpo
CONTESTO/Bones 2009
23
28
CONTESTO/Bones 2010
prospettive
29
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