Inizia il conto alla rovescia sul futuro politico del Cavaliere

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Inizia il conto alla rovescia sul futuro politico del Cavaliere
AGRICOLTURA Più
terre ai giovani
KAZAKISTAN Lotte locali,
interessi italiani
CINEMA Bertolucci
si racconta
N. 28 | 20 LUGLIO 2013 LEFT+L’UNITÀ 2 € (0,80+1,20)
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D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004
N. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB ROMA
ANN0 XXV - ISSN 1594-123X
AV V E N I M E N T I
LA SENTENZA
Inizia il conto alla rovescia sul futuro politico del Cavaliere
di Sofia Basso e Rocco Vazzana
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AV V E N I M E N T I
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LA TESTATA FRUISCE
DEI CONTRIBUTI
DI CUI LA LEGGE AGOSTO 1990, N. 250
left 20 luglio 2013
LA NOTA DI
Maurizio Torrealta
Lenta Lex
non Lex
L
a frase corretta sarebbe: «Dura Lex
sed Lex». «La legge è dura ma deve
essere rispettata». Questa frase fu formulata ai tempi del passaggio, nell’antica Roma, dalla legge orale alla legge
scritta. «Lenta Lex non Lex» è invece
l’adattamento del diritto romano all’anno 2013, nel momento del delicato passaggio dall’impero televisivo semi-monopolista alla cosiddetta democrazia
della rete, passaggio segnato dall’anomalia politica del governo delle larghe
intese. La sua interpretazione corrente è:«La legge è lenta e non dovete preoccuparvene». La certezza del diritto è
stata il presupposto base di ogni organizzazione statale. Esige che a una violazione della norma corrisponda la relativa sanzione. Così è stato per molto tempo, ora invece la «Lenta Lex» viene intesa come la rassicurazione di una mancata applicazione della pena. Ovviamente
chiamandola «Lenta Lex» facciamo una
semplificazione: si tratta di un lavoro sistemico lento e costante che ha aggredito da decenni il codice di procedura penale, già appesantito e poco efficiente.
La novità ora è che questa pressione non
incontra più la resistenza politica che
incontrava prima, anzi al contrario ora
opposizione e maggioranza lavorano
insieme a smontare i possibili ostacoli giudiziari. Secondo questa nuova versione dopo 19 anni di presenza formale
in Parlamento e più di 20 di presenza fissa in televisione, diventa anacronistico
far prevalere il principio astratto di una
eventuale applicazione della legge e delle relative pene, su un uomo che è diventato un personaggio dell’inconscio mediatico del Paese .«Lenta Lex non Lex»
sta permettendo che nascano iniziative
di ogni genere per spostare il più possibile in avanti il momento di esecuzione di una eventuale pena. L’importante
sembra essere spostare avanti i problemi perché poi qualcosa di nuovo verrà
inventato. Qualcuno già prevede scenari fantascientifici. Poco tempo dopo la
sentenza del 30 luglio nelle carceri femminili potrebbero scoppiare proteste
che si allargheranno anche alle prigioni maschili, proteste più che legittime
visto il sovraffollamento delle carceri.
Davanti ai disordini il governo potrebbe
varare un’amnistia che, assieme ai carcerati, potrebbe includere anche l’imputato più famoso di questo Paese.
Questo è il diritto nella fase del tardo
impero:«Potete farla franca anche questa volta, non preoccupatevi». C’è un
altro esempio nella cronaca di questi
giorni che concorre a rafforzare la percezione dell’incertezza della sanzione,
è il caso di Alma Shalabayeva la moglie
del dissidente kazako Ablyazov e di sua
figlia fatte trasferire, con arroganza e
violenza, nel Kazakistan. Il caso inizia
il 28 maggio del 2013 e viene discusso
a livello istituzionale nella seconda settimana di luglio. Anche in questo frangente la lentezza della pubblicazione
delle notizie diffuse dopo circa 40 giorni ha fatto sì che la giustizia si sia attivata in forte ritardo, creando grosse difficoltà a chi volesse individuare
le responsabilità ad alto livello. Anche
in questo caso la responsabilità penale
sembra scomparire in una buca dopo
essere rimbalzata come una pallina da
flipper da ogni lato. Giustizia da fine impero, non preoccupatevi.
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Le “Berlusconi
dipendenti”
Gentile direttore, l’accorata, veemente, moralmente
oscena “performance” delle signore “Berlusconi dipendenti”: Santanchè, Biancofiore, Gelmini, Bernini, Ravetti e altre, che contrite, chiedono “giustizia “
per il loro premier, ha veramente superato ogni limite di decenza. Per costoro,
e anche per i parlamentari
uomini del Pdl, Berlusconi
da vent’anni è perseguitato dalla magistratura (rossa, naturalmente) che vuole
vederlo in gattabuia o allontanato per sempre da ogni
carica istituzionale. E se
fosse così? Non ci sarebbe
nulla da eccepire, dal momento che i reati (e che reati! ) Berlusconi li ha com-
la settimanaccia
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left.it
messi. Reati contro la morale inconcepibili per chi ha
incarichi istituzionali. Reati per frodi fiscali a danno
dello Stato e altri reati che,
ormai tutto il mondo politico e non,conosce. Le scene
patetiche orchestrate dalle
signore Berlusconi-dipendenti sono all’ordine del
giorno, ma è bene sottolineare che non sono certo dettate da affetto disinteressato per il satrapo brianzolo,
che, una volta uscito dalla
scena politica, costringerebbe le suddette signore
a ridimensionarsi. Grande
gaudio per noi cittadini telespettatori che ci sorbiamo quasi tutti i giorni le loro
facce e le loro voci petulanti che ci rimbombano negli
orecchi fino a farci immergere in un torpore mediatico. Inoltre, sconcerta che
molti giornalisti non riescano a zittirle o a contraddirle quando sproloquiano
nei dibattiti televisivi, imponendosi con prepotenza
e maleducazione sulle voci
degli avversari politici.
Maria Pia Rossi
Diteci la verità
sulle Province
Lettera aperta al presidente
del Consiglio.
Le Province vanno tolte dalla Costituzione e così finisce una vergognosa
querelle durata quasi quarant’anni. La domanda alla
quale tu e molti altri dovreste rispondere è la seguente: quali sono veramente i costi che si sopprimono dal bilancio pubblico?
Non prendiamoci in giro
per cortesia. I 12 (altre vol-
te 17) miliardi di euro di costo delle attuali Province,
tanto sbandierati, sono rappresentati da investimenti per infrastrutture, edilizia
scolastica, difesa del suolo, pianificazione territoriale e programmazione economica e settoriale, servizi
all’impiego e per la formazione professionale, cooperazione e sostegno al tessuto culturale... Tutte competenze e funzioni di cui non
si potrà fare a meno, se ne
occupino Regioni o Comuni. Inoltre, la spesa totale di
tutte le 107 Province italiane è pari all’1,5% della spesa
della Pubblica amministrazione. Il “costo della politica” nelle province è pari allo 0,9% della loro spesa. Ed
è l’unica cosa che si taglierà. Va bene eliminarle ma
raccontateci la verità, abbiate anche il coraggio di dire che democrazia e rappresentanza non valgono più
nulla (secondo voi) coerentemente all’impostazione
presidenzialista e all’abolizione più o meno coatta dei
piccoli Comuni. Trovate anche il tempo di spiegarci le
contraddizioni tra le proposte di legge dei parlamentari Pd sul sostegno ai piccoli Comuni e dei progetti
per la valorizzazione delle
aree interne e del policentrismo che caratterizzano la
programmazione per i fondi comunitari 2014-2020 del
ministero per la Coesione
territoriale.
Giacomo Sanavio,
assessore programmazione
territoriale e urbanistica
Provincia di Pisa
20 luglio 2013
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left.it
sommario
IANNO XXV, NUOVA SERIE N. 28 / 20 LUGLIO 2013
COPERTINA
MONARCHIE
CULTURA
LA SENTENZA
UN CONTINENTE REALE
IL SOGNO DI OLIVETTI
Se condannato, Berlusconi potrebbe essere costretto a lasciare il Parlamento. Ecco le mine sul
percorso politico del Cavaliere:
dalla sentenza della Cassazione al voto del
Senato. Passando per il dibattito su incandidabilità e incompatibilità. L’identikit dei magistrati che giudicheranno l’ex premier.
Solo i Windsor conservano il sostegno dell’opinione pubblica,
confortata dalle vicende di William e Kate. Ma nel resto d’Europa la Corona è in crisi e cresce la voglia di
Repubblica . Dal Belgio alla Spagna, si moltiplicano i dubbi sulle monarchie. A meno
che non siano macchine da soldi.
Innovazione tecnologica, giustizia sociale, tutela dell’ambiente. La voce di Olivetti oggi suona quanto mai attuale.
Lo raccontano un libro di Michele Mezza
e, soprattutto, i volumi delle Edizioni di Comunità che ripropongono gli scritti originali
dell’imprenditore di Ivrea.
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LA SETTIMANA
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04
06
LA NOTA
LETTERE
LA SETTIMANACCIA
FOTONOTIZIA
COPERTINA
16 Countdown di Sofia Basso
21 Il Cavaliere va a Corte di R. Vazzana
IL CASO
36
IDEE
12 CITTÀ DA VIVERE
di Paolo Berdini
12 IL TACCUINO
di Adriano Prosperi
13 ARTICOLO 21
di Beppe Giulietti
14 LA LOCOMOTIVA
di Sergio Cofferati
24 Una storia kazaka di Cecilia Tosi
14 IN FONDO A SINISTRA
SOCIETÀ
15 FINANZA&POLITICA
26 Terre giovani di Donatella Coccoli
31 Zaccagnini: Salviamo i piccoli
agricoltori di don.coc
32 Lascia i “buffi” e scappa
di Felicia Buonomo
di Fabio Magnasciutti
di Ernesto Longobardi
54 TRASFORMAZIONE
di Massimo Fagioli
62 TI RICONOSCO
di Francesca Merloni
56
RUBRICHE
08 COSE DELL’ALTRITALIA
a cura della redazione Interni
10 COSE DELL’ALTRO MONDO
a cura della redazione Esteri
33 LA SCUOLA CHE NON C’È
di Giuseppe Benedetti
58 PUNTOCRITICO
ARTE di Simona Maggiorelli
VIDEOARTE di s.m.
LIBRI di Filippo La Porta
60 BAZAR
TELEDICO, BUONVIVERE,
JUNIOR
60 APPUNTAMENTI
a cura della redazione Cultura
61 IN FONDO di Bebo Storti
MONDO
36 Ritratto di un Continente reale
di Alessio Pisanò
42 Cina, movimento lento di P. Mirenda
CULTURA E SCIENZA
44 Bertolucci, in cerca di bellezza
di Amy Pollicino
left 20 luglio 2013
50 Il sogno infranto di Olivetti
di Andrea Ranieri
53 La rinascita delle Edizioni
di Comunità di Simona Maggiorelli
56 Antropologia. La caverna incantata
di Ugo Tonietti
Chiuso in tipografia il 17 luglio 2013
Foto di copertina:
Elaborazione grafica di Arianna Catania
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fotonotizia
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20 luglio 2013
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Tuffo nel vuoto
Barcellona, 15 luglio. Un
tuffo sullo sfondo della Sagrada Familia. Il trampolino della piscina municipale
di Montjuic è lo stesso che,
dal 19 luglio al 4 agosto, utilizzeranno gli atleti della Fina world championships, i
Campionati del mondo per
gli sport acquatici di immersioni, nuoto, nuoto in acque
libere, nuoto sincronizzato e pallanuoto. Tre delle piscine utilizzate per le gare si
trovano sulla collina Montjuic. La quarta, invece, godrà del panorama del porto
di Barcellona.
(Fernandez/Ap/Lapresse)
left 20 luglio 2013
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cose dell’altromondo
© MINCHILLO/AP/LAPRESSE
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GIUSTIZIA PER TRAYVOR Il verdetto sull’omicidio di Trayvor Martin ha scatenato un’ondata di proteste negli Usa. A contestare l’assoluzione di George Zimmerman, l’agente che nel febbraio 2012 ha sparato contro il 17enne, è stata soprattutto la comunità nera (nella foto, giovani a Times square il
14 luglio). Ma uno dei giurati assicura alla stampa che il caso «non è stato giudicato su base razziale». Una spiegazione che non ha convinto le migliaia
di persone che hanno accusato la Corte: «Se un negro spara a un bianco è omicidio, se un bianco uccide un negro trova sempre una scusa».
© DOULIERY/ABACAUSA/AP/LAPRESSE
UNGHERIA Bye bye Christine
«Considerando che il piano di aiuti per
l’Ungheria è quasi completato, siamo
giunti alla conclusione che non è necessario mantenere un ufficio di rappresentanza del Fondo monetario a
Budapest. Stiamo anche valutando un
possibile rimborso anticipato delle obbligazioni in circolazione». Con questa lettera il direttore della Banca
nazionale magiara, György Matolcsy, ha dato il benservito a Christine Lagarde, direttrice del Fmi. Pur
ringraziando il Fondo per l’aiuto concesso dopo la crisi del 2008, Matolcsy
ci tiene a precisare che l’Ungheria ora è in grado di cavarsela da
sola. Mettendo fine al difficile rapporto del premier Orbán con
Fmi e Unione europea.
«In questo momento, il
mio presidente dell’Egitto
è Morsi, perché lui è stato
eletto dal popolo»
Il premier
pre
turco
Erdogan, che il mese
scorso ha dovuto
fronteggiar
fronteggiare una forte
protest
protesta popolare
a Gezi par
park. Erdogan
ha contestato
il nuovo
governo
egiziano
««non uscito
dalle urne»
CRISI DELLA SETTIMANA Il premier designato del Libano Tammam Salam potrebbe anche gettare la spugna dopo tre mesi
di colloqui infruttuosi. Dal 6 aprile Salam ha tentato di convincere tutti i partiti a partecipare a un esecutivo, ma si è scontrato con
il no dei sunniti a governare con Hezbollah, che appoggia Assad in Siria. E dopo il Consiglio di cooperazione del Golfo, anche la Ue
potrebbe decidere, il 22 luglio, di inserire Hezbollah nell’elenco delle organizzazioni terroristiche. Posizione che irrigidirebbe ancor
più il partito di dio. Salam si è dato come tempo limite il mese di ramadam. Se resterà a digiuno di risposte, lascerà il suo incarico.
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20 luglio 2013
left
left.it
GRAN BRETAGNA Morire di Taser
Li chiamano anche manganelli elettronici ma non c’è bisogno del contatto fisico per tenere a bada il “nemico”. Con
il Taser è sufficiente mirare e premere per immobilizzare il
soggetto. Ma un’inchiesta del Guardian rivela che la
polizia britannica, nonostante sia sconsigliato, continua a puntare il Taser direttamente al petto, con il rischio di arresto cardiaco. La stessa ditta produttrice consiglia di «evitare di mirare alla zona del torace vicino al cuore, per ridurre il rischio di potenziali lesioni gravi o morte».
Eppure nel 57 per cento dei casi i bobby preferiscono puntare al petto, e nel caso della polizia di Gwent la percentuale
di colpi al cuore è dell’82
per cento. Dal 2004 a oggi
sono dieci i decessi correlati all’uso di Taser. L’ultimo, lo scorso 10 luglio:
la vittima, Jordan Begley,
aveva 23 anni.
150
Le detenute delle carceri californiane
costrette alla sterilizzazione nell’ultimo
decennio. Le prigioni della California
sono tra le peggiori negli Usa, a causa
del sovraffollamento e del regime di
isolamento. Dall’8 luglio è in corso uno
sciopero della fame di oltre 30mila
detenuti in segno di protesta contro
le condizioni degli istituti penitenziari
LA CURIOSITÀ La satira va alle urne
Germania Diritto di voto solo tra i 12 e i 52 anni, abolizione dell’ora solare, costruzione di un muro attorno alla Germania contro la mondializzazione e divieto per i
padroni di avere uno stipendio superiore a 25mila volte quello di un operaio. Se le
proposte sono fantasiose, il partito che le presenterà alle prossime elezioni tedesche di
settembre è reale. Anzi, è IL partito (Die parti), guidato da Martin Sonneborn, direttore
della rivista satirica Titanic. Il suo obiettivo? «Conquistare almeno il 100% dei voti».
UN GRASSO PIANETA
left 20 luglio 2013
L’aria di mare ingrassa. Il Rapporto 2013
della Fao elenca la percentuale di persone
obese nel mondo e, contrariamente alla vulgata, non sono gli americani i più grassi del
pianeta. Certo, con il 31,8 per cento di gente poco in forma non fanno una bella figura,
ma se la cavano meglio dei messicani (32,8)
o degli egiziani (34,6). Chi davvero batte il record è però l’isoletta di Nauru, 10mila abitanti nell’Oceano indiano, obesi al 71,4 per cento.
Ma anche le altre isole non stanno a guardare: Samoa, Palau, Micronesia, Marshall, Kiribati, Cook Island, Saint Kitts and Nevis, hanno
tutte una percentuale superiore al 40 per cento. Tra i Paesi arabi, la palma d’oro va al Kuwait (42,8), seguito da Arabia Saudita e Giordania, mentre un solo Paese dell’Africa Subsahariana entra negli over 30%: il Sudafrica,
con il 33,5 per cento della popolazione fuori
misura. L’Europa, tutto sommato, si comporta
bene e mantiene una media del 21,4, tra il picco di eccellenza della Svizzera (14,9) e quello
di abbondanza della Repubblica Ceca (28,7).
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cose dell’altritalia
left.it
UNA GIACCA ARCOBALENO
CONTRO GLI F35
© SCROBOGNA/LAPRESSE
La protesta del Movimento 5
stelle contro l’acquisto dei cacciabombardieri si fa “sgargiante”. Lo scorso 16 luglio, il senatore grillino Roberto Cotti ha preso
la parola indossando una giacca arcobaleno, chiaro riferimento alla bandiera della pace. Ma,
tassativo e prevedibile, è arrivato
il richiamo del presidente del Senato Piero Grasso. Così, Cotti ha
cambiato giacca, tornando a indossarne una più consona a Palazzo Madama (nella foto il senatore Roberto Cotti).
385mila
I migranti disoccupati nel Belpaese:
il 14% dei lavoratori stranieri. Un fenomeno
«allarmante», secondo il rapporto annuale
del Cnel che denuncia condizioni «più
svantaggiate» per gli immigrati. Come
la retribuzione netta mensile, più bassa di
oltre 300 euro rispetto a quella degli italiani
ITALIANI A TUTTO WEB
Gli italiani che si collegano al web sono sempre di più.
Quasi la metà della popolazione online ha dai 35 ai 54 anni,
mentre i giovani dai 25 ai 34 anni trascorrono più tempo a navigare
(1 ora e 37 minuti al giorno). I dati Audiweb, però, si riferiscono
solo agli editori iscritti al servizio. Tra le proteste di chi non lo è,
come il Fatto quotidiano, e denuncia una sottostima del 50 per cento
ROMA Marino antisfratto
OLBIA Vendesi paradiso
Una sospensione degli sfratti e la promessa
di una ricognizione degli immobili del Comune in disuso. Obiettivo: tamponare l’emergenza abitativa. Dopo un incontro con gli attivisti del movimento per il
diritto all’abitare il neosindaco Marino ha deciso di prendere carta e penna. Destinatario: Palazzo Chigi. «Chiederò al
governo una sospensione degli sfratti nella nostra città», ha
spiegato il primo cittadino. «È vergognoso che il Comune
non conosca quale sia il suo patrimonio immobiliare. Dobbiamo utilizzarlo per le persone che si trovano in una situazione di fragilità sociale», ha aggiunto Marino. «Siamo fedeli alla legalità, ma ci rendiamo conto che il livello di sofferenza delle persone è ormai insostenibile: il disagio sta andando oltre le categorie storicamente interessate», ha aggiunto l’assessore alla Casa Daniele Ozzimo.
L’Isola di Budelli, al centro del Parco dell’Arcipelago di La Maddalena,
è in vendita. È stata messa all’asta dal tribunale di
Tempio Pausania alla modica cifra di 2.945.000 euro per acquistare 1,6 milioni di metri quadri di paradiso incontaminato. Dove non è possibile costruire nulla a causa dei vincoli che gravano sull’area.
L’Isola di Budelli era di proprietà di una società immobiliare milanese, finita in fallimento. Ma Budelli è sottoposta a vincoli paesaggistici e ambientali
molto rigidi, tant’è che non ci si può neanche mettere piede se non si è accompagnati dal personale del
Parco. Il presidente dell’Ente ha chiesto che l’isola
venga acquistata dallo Stato.
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20 luglio 2013
left
left.it
SALVINIATE
«Gran serata con i fratelli leghisti.
Ginepro, assenzio, limoncello e ora...
Sereni al volante con Vasco! Liberi
liberi siamo noi»
(post su facebook, subito rimosso)
«I clandestini che Cécile Kyenge
vuole regolarizzare ammazzano
a picconate»
UN “VIAGGIO”
A MOTORE SPENTO
Matteo Salvini
è europarlamentare
della Lega nord,
nonché segretario
lombardo del partito
di Roberto Maroni
© SCARPIELLO/IMAGOECONOMICA
«Io mi indigno
no
con chi si indigna.
digna.
Napolitano,
taci che è meglio»
glio»
Assumere sostanze stupefacenti a bordo di un’auto
non è reato. Purché il motore sia spento.
Così ha deciso la Cassazione, con la sentenza dello
scorso 15 luglio, cancellando la decisione della Corte
d’Appello che aveva condannato un uomo a una multa di 6mila euro e un anno di reclusione, perché trovato al volante dopo aver fatto uso di stupefacenti.
Ma i controlli sono avvenuti mentre l’uomo era fermo in un’area di sosta intento a discutere con la
fidanzata. Mancava dunque la prova che l’uomo
avesse circolato sotto l’effetto della droga. Circostanza ovviamente negata dall’imputato che aveva
affermato di aver assunto gli stupefacenti proprio
quando era fermo. E un “viaggio” a motore spento
non è reato.
PALERMO Una cattedrale gay
left 20 luglio 2013
PUBBLICITÀ LEGALE
«Una vergogna», per usare le parole di don
Fabrizio Moscato, segretario dell’arcivescovo di Palermo. «Un video sull’amore e sui diritti», secondo l’assessore alla Cultura Giambrone. «Uno spettacolo per narrare la città», per il sindaco Orlando. Il Festino
della patrona di Palermo Santa Rosalia si trasforma in una
guerra di religione. A causa delle immagini proiettate sulla Cattedrale durante lo spettacolo che ha preceduto la partenza del carro. Tra cui alcune riguardanti il gay pride, svoltosi quest’anno proprio a Palermo. «Vergogna! Stiamo toccando il fondo! L’ideologia omosessualista proiettata sul
nobile portico della Cattedrale, i simboli del gay pride e delle unioni omosessuali accostati a un neonato...». La posizione del prelato ha diviso la città tra laici e indignati. E anche la maggioranza che sostiene il sindaco Orlando.
11
idee
left.it
città da vivere
di Paolo Berdini
Privatizzare fa ricche le mafie
S
Il caso
di Scalea.
Quando
l’ideologia
del mercato
si sposa
con la
criminalità
calea non è una mela marcia. Il tentativo
di derubricarla a grave caso di corruzione non sta in piedi. Scalea è il modello conseguente alle politiche urbane e legislative che il
neoliberismo ha prodotto negli ultimi vent’anni. Venerdì 12 luglio, su ordine della Direzione
investigativa antimafia di Catanzaro vengono
arrestati il sindaco Pasquale Basile (Pdl), il suo
vice, quattro assessori, alcuni dirigenti e funzionari comunali. La prima questione riguarda
il controllo di ogni servizio pubblico, dalla gestione dei parcheggi, ai lidi, passando per la raccolta della spazzatura. Servizi comunali che sono stati esternalizzati in questi anni sull’altare
dell’ideologia della privatizzazione.
Questa spirale va avanti dal 1992, quando si decise che vista la (reale) inefficienza dei Comuni a svolgere “in house” l’erogazione dei servizi
era meglio affidarsi al “mercato”, privatizzandoli o affidandoli a imprese esterne. Con due conseguenze nefaste. I criteri e le modalità di affidamento vengono sempre gestiti nella più assoluta opacità con affidamenti a imprese improvvisate, create ad hoc solo per acquisire una fetta di denaro pubblico. La seconda conseguenza
è l’aumento del costo di quei servizi. Se infatti
le nuove modalità di affidamento consentono
di mettere al lavoro imprese “amiche” - che nel
caso di Scalea sono addirittura della criminalità organizzata - come ci si poteva aspettare un
risparmio? Era ideologia e oggi ne raccogliamo
le conseguenze. Assistiamo infatti ad aumenti generalizzati: eppure di questo verminaio che
la magistratura mette in luce in ogni parte d’Italia, non si parla. L’agenda politica ci riserva altre
priorità: tagliare la spesa sociale, non questo fiume di denaro che viene sperperato invano.
La seconda questione scoperchiata dal caso Scalea è quella delle grandi opere, nel caso
specifico rappresentata da un gigantesco porto
da 500 posti. Da vent’anni è stato imposto per
assioma che per uscire dalla crisi ci vogliono
grandi opere. I risultati sono sotto gli occhi di
tutti. Un Paese in crisi perché mentre il 90 per
cento della popolazione italiana ha ridotto le
sue aspettative e la capacità di spesa e i giovani
non hanno prospettive di vita, poche imprese,
le solite, beneficiano di questa ricca prebenda e
lasciano soltanto macerie. Come il porto di Scalea che si voleva costruire con i soldi pubblici
che non si trovano mai quando si deve impedire
di chiudere un ambulatorio.
il taccuino
Politica irresponsabile
L
a schiuma sporca che galleggia sullo stagno della politica è
quella solita. Primo, c’è un ministro
degli interni “a sua insaputa”, irresponsabile di ciò che fa il suo ministero, che non vede, non sente e non
parla. E dire che è stata un’operazione imponente quella che ha mobilitato reparti speciali per prendere d’assalto nella notte un pacifico casale romano, sequestrare una donna e una
bambina e regalarle a un poco raccomandabile regime dominato da un
12
signore dalle intense frequentazioni berlusconiane. Due, c’è un tal Roberto Calderoli , già ministro, oggi coordinatore delle segreterie nazionali
della Lega nord, che insulta con l’altoparlante la ministra Kyenge e poi
sussurra mezze frasi di scusa. È noto
per avere manomesso la legge elettorale creando la macchina che ha sottratto ai cittadini il diritto alla scelta
dei propri rappresentanti e ha cancellato il principio fondamentale della Costituzione, l’uguaglianza di tutti
gli elettori nel voto. Soliti fatti, soliti
nomi: non varrebbe la pena parlarne
se non fosse che stavolta di tutto questo è corresponsabile il Pd, che ne paga le spese perdendo gli ultimi resti di
affidabilità presso i suoi elettori.
Ma non lasciamoci distrarre dalla
schiuma superficiale. Ben altro accade. Va avanti la macchina pericolosissima della riforma della Costituzione o
meglio della sua radicale eversione. La
nostra è una Costituzione giovane, ma
pagata col sangue di una guerra infame
e perduta. Ci sono Paesi che la costituzione ce l’hanno da secoli e non l’hanno mai cambiata. Una Costituzione è la
20 luglio 2013
left
idee
left.it
articolo 21
di Beppe Giulietti
La corda spezzata da tempo
S
ino a quando il governo riuscirà a trascinare la sua esistenza mettendo tra parentesi le troppe anomalie italiane?
Nessuno sottovaluta la grave emergenza sociale ed economica, ma le questioni relative ai
diritti, alla Costituzione, alla legalità, non possono essere considerate impicci, archeologia
politica, roba da moralisti.
Inutile far finta di commuoversi per il papa a Lampedusa e poi fingere di non vedere e di non sentire pur di tenere in piedi una baracca che non ha
radici nel passato e non potrà averne nel futuro.
Basta un alito di vento o di Calderoli e i sia pur
generosi sforzi di Letta, sono destinati ad essere travolti. I pompieri cercano di smorzare, sopire, oscurare, ma si tratta di sforzi vani. Calderoli ha detto quello che pensa, per altro le stesse cose costoro le hanno berciate per un ventennio, tra sorrisi, ammiccamenti,compiacenze
varie, trasversali, diffuse. Non a caso, neppure
questa volta, neppure dopo le ingiurie rivolte al
ministro Kyenge, né Maroni, né Berlusconi hanno chiesto le dimissioni dell’energumeno. Tra
compari si sostengono, perché hanno sempre
parlato lo stesso linguaggio, con buona pace di
Letta che, invece, aveva chiesto le dimissioni.
Allo stesso modo si può fingere di non aver
sentito le ingiurie rivolte alla Cassazione, le
minacce di resistenza contro le sentenze, la
richiesta di sospendere i lavori delle Camere,
parole e azioni che non sarebbero state tollerate in nessun altro paese civile. Per non parlare della vicenda della donna kazaka e della sua
bambina “sequestrate” da agenti italiani, consegnate al dittatore amico del cavalier Berlusconi, il tutto in palese violazione della legge.
Per 40 giorni Alfano ha negato qualsiasi errore
nelle procedure, poi ha ammesso ed ha scaricato tutto su cinque funzionari.
Il governo e la maggioranza debbono abbozzare, digerire anche i sassi, perché chiedere le
dimissioni di Alfano significa sancire la morte
dell’esecutivo. La ministra Idem, vaso di coccio
tra vasi di ferro, è stata l’unica a pagare.
La sua omissione amministrativa è stata considerata più grave di quelle degli Alfano e delle ingiurie dei Calderoli. Qualcosa non torna...
Qualche giorno fa il segretario del Pd ha invitato il Pdl a non tirare troppo la corda, perché
potrebbe spezzarsi. Concordiamo con lui, unica differenza nei tempi del verbo, forse quella
corda si è già spezzata e da tempo!
Basta
un alito
di vento per
travolgere
il governo
di Adriano Prosperi
carta d’identità di ogni cittadino. Si nasce e si vive sotto la sua protezione, ci
si batte da fronti diversi nell’agone politico ma sempre nel rispetto delle regole fissate. Oggi un governo precario e di necessità sta compiendo l’atto fra tutti più grave, quello che altrove fa chi conquista il potere a forza :
cambia la Costituzione. C’è un comitato di saggi che dovrebbe garantirci della bontà dell’operazione. Lo ha voluto
il Presidente della Repubblica, che ha
incoraggiato la formazione di questo
governo e ha sostenuto l’esigenza di
quello che ha definito un «cambiamento istituzionale nel senso più ampio
left 20 luglio 2013
dell’espressione». L’esigenza del cambiamento riguardava in primo luogo
la legge elettorale: ma poi ci hanno fatto ingoiare l’esca avvelenata di una riscrittura in senso presidenzialista della Repubblica parlamentare a sovranità popolare in cui abbiamo vissuto finora. La gravità di tutto questo è senza pari. Nei giorni scorsi dichiarazioni
clamorose della costituzionalista Lorenza Carlassare che si è dimessa dalla commissione hanno rotto un pesante silenzio. Alle sue dimissioni ha fatto
seguito un’intervista di un altro autorevole membro della commissione, Nadia Urbinati, studiosa di alto e ricono-
sciuto valore, che ha posto un limite alla propria permanenza in quell’organismo. Il problema è quello - non nuovo del conflitto tra competenza tecnica e
responsabilità politica. Nel 1942 lo pose Leone Ginzburg in una lettera al giurista Piero Calamandrei, che anche se
antifascista aveva accettato di far parte dei una commissione ministeriale
per la riforma del codice di procedura
civile: vi si leggeva un preciso richiamo
alla responsabilità speciale, politica, di
chi mette la propria scienza al servizio
di un disegno politico. Tanto più alto il
livello di coinvolgimento dell’esperto
tanto più forte la responsabilità.
13
idee
left.it
di Sergio Cofferati
la locomotiva
L’Europa sceglie ancora l’austerity
C
Il bilancio
Ue: un
ulteriore
passo falso
redo che l’accordo raggiunto tra Consiglio e Parlamento europeo sulle prospettive finanziarie 2014-2020 sia insoddisfacente e inadeguato alla situazione di estrema
difficoltà di molti cittadini europei. Di fronte
a una situazione che richiederebbe risposte
straordinarie, fatte soprattutto di investimenti nell’economia reale per far ripartire la crescita, ci si limita all’ordinaria amministrazione. Anzi, a qualcosa in meno. Con il risultato
di aggravare la situazione innescando una spirale recessiva inevitabilmente contagiosa. Ho
più volte sostenuto che dalla crisi si potesse
uscire solo con un maggiore ruolo dell’Europa ed evidentemente di segno diverso. In questo senso un accordo al ribasso sul quadro finanziario dei prossimi anni rappresenta la più
grande occasione sprecata per quella netta inversione di tendenza che sarebbe stata necessaria. Per questo ho deciso di non sostenerlo.
Il bilancio pluriennale concordato è anzitutto
di dimensione complessiva assolutamente insufficiente: non è stato infatti aggiunto un euro
al bilancio che il Consiglio europeo aveva concordato a febbraio e a cui il Parlamento aveva
negato la sua approvazione.
Per quanto riguarda la possibilità per l’Unione
europea di finanziarsi autonomamente senza
dipendere dal trasferimento di risorse da parte degli Stati membri, l’iniziale proposta coraggiosa della Commissione è stata svuotata e rimandata ad un incerto futuro. Certamente sono presenti nell’accordo anche elementi migliorativi come l’impegno del Consiglio a risolvere il rischio di deficit per il bilancio dell’Unione, che derivava dalle risorse insufficienti messe a disposizione per i pagamenti del 2013. O la
possibilità di anticipare l’utilizzo di alcuni fondi e maggiore flessibilità nei pagamenti, per assicurare che le risorse non spese possano essere utilizzate. Ma questi elementi non possono
cambiare la valutazione complessiva dell’accordo che resta decisamente negativa. Questo
quadro finanziario pluriennale rappresenta ancora una volta l’incapacità delle istituzioni europee a maggioranza conservatrice di prendere quelle scelte coraggiose che la difficilissima
situazione economica richiederebbe. Aggiunge austerità ad austerità e ci allontana da una
auspicata maggiore integrazione. Un ulteriore pericoloso passo falso nel difficile percorso
per uscire dalla crisi economica.
in fondo a sinistra
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20 luglio 2013
left
idee
left.it
finanza&politica
di Ernesto Longobardi
La fuga degli utili
L
a ricchezza scompare, ingenti somme di
denaro lasciano ogni giorno il Paese. I capitali che fuggono sono di due tipi. Vi è il capitale trasferito all’estero per un investimento in attività produttive (capannoni): se ne va per sfruttare condizioni più vantaggiose di quelle che offre il nostro Paese, in particolare un più basso
costo del lavoro (vedi, in questi giorni, il caso
Indesit). Vi è, invece, il capitale che fugge per
non pagare le tasse; finisce all’estero in qualche
cassaforte, custodita per esempio in un paradiso fiscale. Il caso Dolce & Gabbana, sul quale la
stampa è tornata, in occasione della sentenza di
primo grado del tribunale di Milano, è interessante perché coniuga due delle principali forme
tecniche con cui si attua l’evasione fiscale internazionale. La prima è un esempio di “estero-vestizione”: in questo caso si tratta della costituzione all’estero di una società fittizia. La seconda è il fenomeno dei “prezzi di trasferimento”.
Vediamo di che cosa si tratta. Si hanno due società collegate. Per esempio una società A che
possiede l’intero capitale sociale di una società B. La società A risiede in un Paese a elevata fiscalità (dovrebbe pagare molte tasse), l’altra, la B, è invece in un Paese a bassa fiscalità o
addirittura in un paradiso fiscale. La società A
può spostare gli utili, sui quali pagherebbe molte tasse, alla società B, che paga poco o nulla,
alterando i prezzi delle transazioni che avvengono tra loro: se A vende a B beni o servizi, o cede il diritto a sfruttare un brevetto, si registrerà
un prezzo minore di quello di mercato, in modo
da tenere bassi i ricavi di A e i costi di B. Gli utili
si sposteranno così da A a B. Dolce & Gabbana
costituirono in Lussemburgo, tramite una “scatola” finanziaria, la società Gado sarl e poi le cedettero alcuni marchi ad un prezzo inferiore al
loro valore reale. La Gado, a sua volta, concesse
a una terza società il diritto di sfruttamento dei
marchi, dietro il pagamento di royalties. In definitiva gli utili di Dolce & Gabbana si accumulavano in Lussemburgo, nelle casse della Gado.
Questi fenomeni stanno devastando le finanze
dei Paesi occidentali. L’allarme è alto. La questione è all’attenzione delle più importanti organizzazioni internazionali. Si studiano le politiche di contrasto, ma i risultati sono per ora
modesti. Le statistiche danno l’Italia tra i Paesi
in maggior sofferenza. Non è un caso che non si
sappia dove trovare i quattrini per diminuire le
tasse sul lavoro e per evitare l’aumento dell’Iva.
Allarme
per
l’evasione
fiscale
all’estero
di Fabio Magnasciutti
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copertina
COUNTDOWN
di Sofia Basso
Silvio Berlusconi,
leader del Pdl
© MONALDO / LAPRESSE
Se condannato, Silvio Berlusconi potrebbe essere costretto
a lasciare il Parlamento. Tutte le mine sul percorso politico
del Cavaliere: dalla sentenza della Cassazione al voto del Senato.
Passando per il dibattito su ineleggibilità e incompatibilità
copertina
left.it
LA PAROLA
AL PARLAMENTO
Tutti i passaggi
che decideranno
le sorti istituzionali
del Cavaliere
L
a farà franca anche questa volta o dovrà lasciare il Parlamento dopo 19 ininterrotti anni? Potrebbe essere questo
il vero giallo dell’estate. Perché le tappe che
decideranno le sorti politiche di Silvio Berlusconi sono tante. E tutte con finale a sorpresa.
Complice la pausa d’agosto, la risposta non arriverà prima di settembre. Ma il conto alla rovescia è già iniziato.
Il primo appuntamento è quello della Cassazione, che il 30 luglio dovrebbe pronunciarsi sulla sentenza della Corte d’Appello di Milano che
ha confermato la condanna in primo grado per
frode fiscale nel processo sui diritti tv Mediaset. Dopo un dibattimento costretto a destreggiarsi tra legittimi impedimenti, richieste di sospensione e ricusazioni, il verdetto nei confronti dell’uomo che i giudici hanno definito il «dominus indiscusso» di una «notevolissima evasione» è stato inequivocabile: 4 anni di reclusione (di cui tre condonati dall’indulto), 5 anni
di interdizione dai pubblici uffici e 3 dalle cariche societarie. Il pronunciamento della Corte,
però, potrebbe slittare. E comunque l’interdizione non sarebbe esecutiva senza il via libera
del Senato. Con un doppio passaggio: prima in
Giunta per le immunità, poi in Aula. «Credo che
la posizione del Pd sarebbe abbastanza pacifica», dice un ottimista Felice Casson, senatore
democratico ed ex pm. «Abbiamo sempre detto che le sentenze vanno rispettate, e in questo
caso si tratterebbe di una condanna definitiva».
In Giunta Sel, M5s e Pd hanno la maggioranza:
13 voti su 23. Più difficile il passaggio nell’emiciclo: «Qui possono chiedere il voto segreto e al-
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lora bisogna vedere cosa succede: nel riserbo
dell’urna abbiamo già avuto sorprese...», commenta l’ex magistrato. L’Aula però chiude i battenti l’8 agosto. Difficile immaginare che entro
quella data si possa avere il provvedimento formale della sentenza e il doppio passaggio a Palazzo Madama. Quindi si andrà a settembre.
Nel frattempo in Giunta si sta discutendo
dell’ineleggibilità dei concessionari di servizi
pubblici sollevata dal Movimento 5 stelle. A differenza di molti suoi compagni di partito, Casson si è schierato apertamente per un’interpretazione della legge del 1957 che metterebbe
Berlusconi fuori dal Parlamento. Ma anche questo dibattito ha tempi lunghi: «Siamo ancora in
fase istruttoria. Ho chiesto l’acquisizione degli
atti. Poi ci sarà la discussione generale». Pure
questa votazione, inoltre, avverrà in due tempi:
in modo palese in Giunta, con voto potenzialmente segreto in Aula. E di nuovo il Pd potrebbe spaccarsi. Non è un segreto, del resto, che
molti democratici ritengano che la legge del
1957 non decreti l’ineleggibilità di Berlusconi.
E infatti sino ad ora nessuno l’aveva mai impugnata. Contrario all’interpretazione dei 5 stelle
è ad esempio Massimo Mucchetti, ex giornalista del Corriere, che il 20 giugno ha depositato un disegno di legge che sancisce l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e il controllo
di aziende che abbiano rapporti con la Pubblica amministrazione. Anche per interposta persona. A differenza della vecchia norma, la nuova permette di sciogliere il conflitto di interessi scegliendo tra il seggio e le imprese. Tempo
20 luglio 2013
left
copertina
© SCROBOGNA/LAPRESSE
left.it
massimo per decidere: un anno. «Le leggi non si
fanno per salvare o per colpire chicchessia, ma
per risolvere i problemi», dice il neosenatore,
rispondendo a chi, da sinistra, lo accusa di offrire un salvagente a Berlusconi e a chi, da destra, gli contesta di voler far fuori il Cavaliere a
prescindere dalle sentenze. «Questa norma non
è fatta per eliminare un avversario dalla scena
politica, anche perché la battaglia politica si fa
dentro il Parlamento ma anche fuori, nel Paese.
Infatti il M5s ha un leader che non è nelle istituzioni ma viene ricevuto dal Presidente della Repubblica». Mucchetti liquida come «ingenua»
l’insistenza sull’ineleggibilità «nel momento in
cui l’interpretazione è controversa». Per lui, la
legge del 1957 «non è più adatta ai tempi e non
intercetta figure come quella di Berlusconi».
Non solo: «Se elimini in questo modo il Cavaliere dal Parlamento, dove per altro non mette
mai piede, lui continuerà a fare attività politica
e magari determinerà una crisi di governo, portandoci a elezioni anticipate, visto che all’esecutivo Letta si è arrivati perché non si riusciva a farne altri». A quel punto, secondo il presidente della commissione Industria, il leader del
Pdl reciterebbe la parte del martire e «potrebbe
mobilitare nuovamente quell’elettorato di centrodestra che alle ultime competizioni elettorali non era andato alle urne». L’ex giornalista
di via Solferino riconosce che la posizione del
Cavaliere non sia «sana per la democrazia», ma
vuole porvi rimedio «con la forza calma delle
buoni ragioni». Molti, però, contestano il tempismo della sua proposta. Compreso il suo vicino di banco Casson: «Non ho firmato il disegno
left 20 luglio 2013
Casson (Pd): «In Aula possono chiedere
il voto segreto, abbiamo già avuto sorprese»
di legge sull’incompatibilità perché è incompleto e perché arriva nel momento sbagliato», precisa l’ex magistrato, «c’è una legge vigente e prima dobbiamo vedere se si può applicare». Una
lettura che, evidentemente, non convince Mucchetti: «Non posso stare zitto perché qualcuno
ha preso un’iniziativa politica diversa, che io
non condivido». Né si sbilancia su come voterà in Senato in caso di condanna di Berlusconi:
«Quando avrò letto le carte, prenderò le mie decisioni. È una questione di metodo».
Compatto, invece, il Movimento di Grillo. «Tra
di noi non ci sono dubbi», dichiara Vito Crimi,
senatore dei 5 stelle. «Se la Cassazione confermasse la condanna, ci sarebbe un meccanismo
automatico sull’interdizione che toglierebbe le
castagne dal fuoco al Pd. Altrimenti si andrà al
voto sulla legge del 1957. È assurdo che ancora oggi qualcuno possa sostenere che una norma che rende ineleggibile un consulente di Mediaset possa invece permettere l’elezione di
chi quell’azienda la controlla. Evidentemente
c’è qualcosa che non quadra nell’interpretazione che si è data sinora». L’ex capogruppo M5s a
Palazzo Madama punta il dito contro il disegno
di legge Mucchetti: «È una scusa per sviare l’attenzione e giustificare davanti ai propri elettori
il voto contrario sull’ineleggibilità. Per noi Berlusconi è ineleggibile con la legge che c’è già.
Punto». Dopo aver assicurato che prima di vo-
Felice Casson,
senatore del Pd
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copertina
left.it
Nitto Palma: «Dimissioni collettive?
La linea la decide Berlusconi, non Gasparri»
tare la proposta Mucchetti, i 5 stelle la esamineranno nel dettaglio, Crimi precisa: «Di incompatibilità non ho mai visto morire nessuno, se
non a fine legislatura: la non compatibilità tra
seggio e azienda è sempre stata scoperta dopo 4
anni di permanenza. Se qualcuno crede ancora
che il Pd voglia fare una legge sul conflitto di interessi, vada a rileggersi il discorso di Violante
(sulle garanzie date alle tv di Berlusconi, ndr),
che è sempre attuale...».
Roma,
Palazzo Madama,
sede del Senato
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Anche il Pdl arriva unito all’eventuale condanna del Cavaliere. «Ritengo che la Cassazione
non possa che annullare la sentenza di secondo
grado», premette Francesco Nitto Palma, senatore Pdl ed ex magistrato. «Il presidente Berlusconi ha ripetutamente detto che le sue vicende giudiziarie non incideranno sulla vita del governo. Credo che questa linea verrà rispettata
dall’intero partito», aggiunge il senatore, contrastato presidente della commissione Giustizia. In verità, i sostenitori dell’esecutivo attendono la sentenza col fiato sospeso. Perché sanno che in questo caso la reazione potrebbe essere più pesante di quella per il verdetto di mag-
gio, quando i maggiorenti del Pdl protestarono
in massa davanti al tribunale di Milano. Del resto non sono mancati annunci bellicosi in caso
di condanna definitiva, con Maurizio Gasparri
che ha invitato alle dimissioni collettive per forzare il ritorno alle urne. «Ho l’impressione che
quando si avvicinano i momenti topici, i caratteri delle persone possano avere la prevalenza», commenta Nitto Palma. «La linea, però, la
detta il presidente Berlusconi, non Gasparri».
Per l’ex ministro della Giustizia, un’eventuale condanna creerebbe problemi soprattutto al
Pd: «Già sull’ineleggibilità i democratici hanno
due posizioni dissimili. Inoltre in caso di sentenza sfavorevole, l’ala giustizialista faticherà a
sostenere un governo assieme a un partito il cui
leader sia condannato e che si stringerà in termini concreti attorno a lui». Se anche il Pd decidesse di insistere con le larghe intese, dovrà
comunque affrontare il voto sull’interdizione
o sull’ineleggibilità. «Se il Pd voterà compatto
con noi, non vi saranno problemi», precisa Nitto Palma. «Se invece romperà, decreterà la fine
del governo Letta. Perché nel momento in cui in
Parlamento si realizzasse una maggioranza tra
Pd, Sel e M5s sarebbe una maggioranza diversa
da quella che sostiene l’esecutivo». Il 30 luglio,
comunque, è lontano. E a far saltare il governo
potrebbero essere altri guai.
20 luglio 2013
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IL CAVALIERE VA A CORTE
di Rocco Vazzana
Fuori dalle correnti e insospettabili di antiberlusconismo. Ecco chi sono i magistrati di Cassazione
che giudicheranno l’ex premier il 30 luglio. Intanto i bookmaker quotano anche l’eventualità “esilio”
Q
uando il gioco si fa duro i duri iniziano a
contare. I giorni. È questa l’ultima strategia difensiva di Silvio Berlusconi che, per evitare
di essere giudicato il 30 luglio dalla Corte di Cassazione, prova a giocare col pallottoliere. Secondo l’avvocato Niccolò Ghedini, infatti, non ci sarebbe motivo per arrivare a giudizio definitivo
con tutta questa fretta. Il rischio prescrizione, per
la difesa, non arriverebbe il primo agosto, come
sostengono le toghe, ma il 26 settembre secondo
una serie di calcoli complicatissimi proposti dalla difesa. E se questa rassicurazione non bastasse
a convincere il Palazzaccio a rimandare l’udienza, il Cavaliere sarebbe persino disposto a rinunciare alla prescrizione pur di far slittare la sentenza. O almeno così ha dichiarato Franco Coppi,
principe del foro, new entry nella squadra difensiva del magnate televisivo.
left 20 luglio 2013
TOGHE SENZA PREGIUDIZI
Eppure, questa volta il Collegio è composto quasi
totalmente da magistrati non sospettabili di simpatie bolsceviche. E non solo i giudici. Anche il
pubblico ministero è al di sopra di ogni possibile
dietrologia del complotto. A rappresentare l’accusa, infatti, ci sarà il sostituto procuratore generale Antonello Mura, per molti anni presidente di Magistratura indipendente, la corrente più
a destra dell’Associazione nazionale magistrati (Anm). È lo stesso pubblico ministero che nel
2007 chiede e ottiene la conferma della condanna
a 10 anni di carcere per l’ex funzionario del Sisde
Bruno Contrada, accusato di concorso esterno in
associazione mafiosa. Ma Mura si intende anche
di personaggi televisivi, visto che nel 2009 fa condannare Vanna Marchi per associazione a delinquere finalizzata alla truffa.
Niccolò Ghedini
e Silvio Berlusconi
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20 luglio 2013
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A presiedere la sezione feriale che giudicherà Silvio Berlusconi nell’ultimo grado del processo Mediaset sarà invece Antonio Esposito - presidente
titolare della Seconda sezione penale -, magistrato esperto e considerato al di sopra delle correnti. Fratello di Vitaliano (ex procuratore generale
della Suprema Corte), il nome di Antonio Esposito ha creato però un po’ di rumore a causa di una
vicenda legata al figlio Ferdinando, magistrato
anche lui (pm a Milano), sorpreso qualche tempo fa a cena con Nicole Minetti. L’episodio è finito davanti al Csm che ha archiviato la pratica. Ma
il presidente della Seconda sezione, nell’esercizio
delle sue funzioni, è entrato in contatto più volte
con pezzi di mondo che ruotano intorno all’imputato Berlusconi. Nel 2008, Esposito è giudice relatore nel processo che vede Marcello Dell’Utri, insieme al boss trapanese Vincenzo Virga, imputato
per tentata estorsione nei confronti di un imprenditore. La sentenza di Appello viene annullata. Secondo la Corte alcune dichiarazioni accusatorie,
grazie alle quali Dell’Utri era stato condannato a
due anni di reclusione, sono inutilizzabili. La pena viene cancellata e il processo riparte dal secondo grado di giudizio. Ma il magistrato Antonio
Esposito incrocia almeno altre due volte la strada
di politici vicini a Silvio Berlusconi. È infatti la Seconda sezione penale della Cassazione da lui presieduta che il 24 maggio scorso dispone la permanenza in carcere per Nicola Cosentino, pur accogliendo il ricorso presentato dai suoi legali contro l’ordinanza del tribunale del Riesame di Napoli. Ed è sempre il collegio presieduto da Esposito
a ratificare gli arresti domiciliali per l’ex senatore
del Pdl Sergio De Gregorio e a sancire la condanna definitiva a sette anni di reclusione per l’ex governatore siciliano Totò Cuffaro.
Tra i giudici dell’ultimo grado del processo Mediaset spicca Amedeo Franco, relatore proveniente dalla Terza sezione penale. Franco - anche lui svincolato da correnti - ha già incontrato Silvio Berlusconi nella sua carriera. Il 6 marzo scorso, infatti, era tra i magistrati che hanno
prosciolto il Cavaliere e il figlio Piersilvio nell’inchiesta Mediatrade (filone romano del processo Mediaset) su presunte irregolarità nella compravendita dei diritti tv. Della sezione feriale
fanno parte anche Claudio D’Isa e Giuseppe De
Marzo. Il primo proviene dalla Quarta sezione
penale, il secondo è un giudice civile. Anche loro non hanno particolari legami con le corren-
left 20 luglio 2013
Si può puntare anche sulla fuga:
in Kenya da Briatore o in Russia da Putin?
ti interne all’Anm. Del collegio fa anche parte
Ercole Aprile, della Sesta sezione penale. Come i suoi colleghi, Aprile è considerato un indipendente. Anche se, nel 2007, risulta candidato alle elezioni per il comitato direttivo centrale
dell’Anm. Corrente di riferimento: Movimento
per la giustizia, l’ala di sinistra della magistratura. Forse il particolare è sfuggito all’ex premier.
SCOMMETTIAMO CHE...
Ma che Aprile sia un giudice scrupoloso lo dimostrano anche i pronostici dei bookmaker. L’agenzia Betaland, infatti, ha pensato di consentire ai
suoi clienti di scommettere sull’evento e ha proposto le relative quote per ogni possibile finale.
L’assoluzione, secondo i bookmaker, è l’esito più
scontato visto che è quotata a 1,25. Chi dovesse
puntare sulla condanna, invece, porterebbe a casa il triplo della posta investita, visto che il sito
di Betaland la quota a 2,95. Ma l’agenzia di scommesse non si è limitata a questo. In caso di condanna, infatti, i bookmaker offrono un ventaglio
di possibilità con tanto di scenari futuri. L’ipotesi più accreditata è che il Pdl si sciolga (quotato
a 1,25). O magari, amareggiato dalla sentenza,
l’ex premier potrebbe decidere di vendere il Milan (2,85). Chi vuole può puntare anche sull’eventualità che Berlusconi decida di scontare la pena agli arresti domiciliari continuando a fare il
bunga bunga (3,50). La discesa in campo della figlia Marina non è considerata così probabile, visto che verrebbe pagata tanto: chi mette un euro ne guadagna otto. Infine, ci sono le ipotesi di
esilio per il capo del Pdl. Per questa eventualità
l’agenzia Betaland ha dato il meglio di sé. La soluzione più probabile è «scappa in Kenya da Briatore» (quotata a 20), seguita da Antigua «dove incontrerà Fini» (25). Chiude l’elenco la Russia, dove chiederebbe asilo a Putin, pagata 80 volte la
posta. Scommesse a parte, in pochi credono che
Berlusconi possa farcela a scamparla questa volta. Potrà provare a prendere altro tempo. Ma in
caso di condanna non è affatto detto che il Cavaliere decida di far cadere l’esecutivo. Anche fuori dal Parlamento potrebbe continuare a fare il leader politico tenendo Letta al suo posto: capo di
un governo commissariato dal Pdl.
Roma,
interno della
Corte di Cassazione,
a Palazzo di Giustizia
23
il caso
Una storia kazaka
© AP/LAPRESSE
left.it
di Cecilia Tosi
Il presidente Nazarbaev lancia un’offensiva globale per stroncare
l’opposizione. Una spirale repressiva iniziata due anni fa. Con gli
scioperi petroliferi nella regione dove opera anche l’italiana Saipem
L
uglio 2013: l’Italia scopre il Kazakistan.
Non sappiamo ancora dove si trovi (da
qualche parte in Asia) e che storia abbia (c’entravano i sovietici?) ma abbiamo capito che c’è tanto petrolio e poca democrazia. Eppure al ministro Alfano bastava stare un po’ attento per sapere chi era Mukhtar Ablyazov, il più
importante dissidente kazako in circolazione.
Nell’agosto 2011, quando il delfino di Berlusconi
era ministro della Giustizia, Ablyazov lanciava
un appello agli operai kazaki che avevano incrociato le braccia nella regione petrolifera di Mangystau, a Zhanaozen. «Continuate lo sciopero,
avete visto che lo Stato nella vostra disputa ha
sostenuto immediatamente e senza esitazioni i
vostri datori di lavoro». Tra i padroni a cui si riferiva Ablyazov c’era l’italiana Saipem (sussidiaria Eni), che controlla al 50 per cento la Ersai caspian contractor, una delle tre compagnie contro cui scioperavano i kazaki. Il coinvolgimento dell’azienda italiana è diventato noto nei me-
24
si successivi, quando gli scontri tra polizia e manifestanti hanno fatto 16 morti e segnato l’inizio della spirale repressiva che oggi, a un anno
e mezzo di distanza, ha risucchiato tutte le forze
di opposizione presenti nel Paese.
All’epoca Saipem, interpellata da left, negava di
aver violato i diritti dei lavoratori: «A giugno si sono conclusi 600 contratti ma solo perché era scaduta la commessa. Non ci sono agitazioni in corso nell’impianto Ersai». Uno degli operai li contraddiceva: «A maggio abbiamo scioperato per
chiedere migliori condizioni di lavoro. Nella piazza di Kuryk (sede dell’impianto) la polizia ci ha
sgomberato e poi l’azienda ci ha licenziato». Una
cosa è certa: dopo quegli scioperi, l’opposizione
kazaka - e con lei il confronto democratico coi lavoratori – è morta. Vladimir Ivanovich Kozlov, leader del partito Alga!, che nel 2011 contava 60mila iscritti ed era in prima linea nelle manifestazioni, è stato arrestato nel gennaio 2012 e accusato
di distribuire tra i lavoratori volantini firmati da
20 luglio 2013
left
il caso
left.it
Ablyazov con scritto: «Partigiani del sacro Mangistau, svegliatevi, gente kazaka, diventate liberi». Ad agosto Kozlov è stato condannato a 7 anni
e sei mesi di prigione perché «membro di un’organizzazione criminale» che metteva in atto iniziative «per incitare al disordine sociale, distribuendo letteratura e diffondendo informazioni
capaci di causare gravi conseguenze». Ed eccoci
all’estate del 2013, quando l’Italia scopre il Kazakistan. Il 12 luglio, mentre il governo Letta è nella bufera, mentre Alma Ablyazov è agli arresti domiciliari per «falsificazione di documenti», mentre suo marito è nascosto chissà dove, quel che
resta dell’opposizione kazaka si dà appuntamento ad Alma Ata per chiedere il rilascio di Kozlov.
I dissidenti tentano di arrivare da tutto il Paese,
ma alla fine sono poche decine. Alcuni vengono
fermati per strada, molti vengono interrogati il
giorno prima. Non ottengono il permesso di incontrarsi da nessuna parte e si riuniscono in un
angolo di un parco. Sono pochi, soli e senza strumenti per ribellarsi. Anche fuori dal Kazakistan
è in corso una caccia all’uomo. Alma e Aula Ablyazov sono state deportate e un altro esponente
dell’opposizione, Aleksandr Pavlov, aspetta che i
giudici spagnoli decidano se espellerlo. In Kirghizistan due impiegati governativi vengono accusati di aver fornito un nuovo passaporto a Ablyazov, sotto falso nome, e vengono licenziati. L’offensiva del presidente Nazarbaev è globale. «Nazarbaev sta usando il pugno duro perché si prepara a lasciare», ci spiega Lyudmyla Kozlovska di
Open dialog, una delle poche associazioni che difende gli oppositori kazaki. «Ha 73 anni, non sta
bene e proprio in questi giorni, per la prima volta, ha parlato di successione. All’interno dell’élite politica è già in corso la sfida per raccoglierne l’eredità». Il 4 luglio, infatti, Nazarbaev ha dichiarato sul canale nazionale Ktk che deve «pensare a cosa succederà dopo. Nessun presidente
vuole rivolte che facciano tornare il Paese indietro e questo, nel mondo, è un periodo di cambiamenti. Bisogna seguire l’esempio del premier di
Singapore, che dopo 30 anni ha passato il potere pacificamente a un giovane. È un partito politico basato su principi democratici che stabilisce
la leadership del Paese. E penso che i kazaki siano pronti». Se lo pensasse davvero, però, non dovrebbe avere così tanta paura di Ablyazov. «Il leader dissidente è considerato pericoloso», spiega
left 20 luglio 2013
Kozlovska, «perché ha una lunga storia all’opposizione, che risale al 1999, quando fondò il Democratic choise of Kazakhstan e perché ha creato
una delle reti bancarie più grandi e più influenti in
tutta l’area post sovietica. Non ha voluto che Nazarbaev entrasse nella Bta bank e lui per tutta risposta l’ha nazionalizzata. Oggi, mentre l’élite si
sta spaccando per la corsa alla successione, Ablyazov potrebbe cavalcare il malcontento e porre
una seria sfida al regime».
Ablyazov è l’unico a essere pericoloso anche
perché è l’unico a essere ancora vivo. Zamanbek Nurkadilov e Altynbek Sarsenbayev, figure
L’élite del Paese è in lotta per la successione
del Capo di Stato. E Ablyazov fa paura
di spicco dell’opposizione, sono stati uccisi nel
2005 e nel 2006 in circostanze mai chiarite (Sarsenbaev è stato trovato appena fuori città, accanto alla sua macchina, con le mani legate dietro la
schiena e un proiettile in testa).
«Il Kazakistan era il Paese più democratico
dell’Asia centrale, ma adesso i media indipendenti hanno chiuso e l’opposizione è senza voce», conclude Kozlovska. «E tutto è cominciato
con le rivolte e i massacri di Zhanaozen». Con gli
scioperi di allora, gli operai ribelli persero tutto.
«Ora che ci hanno buttato fuori», ci raccontarono, «non possiamo trovare un altro lavoro perché l’autorità regionale ha ordinato alle ditte di
non assumere chi ha aderito alle proteste». Eppure, ancora oggi, i lavoratori kazaki non si sono
arresi. Proprio in questi giorni nell’Isola D, una
piattaforma artificiale creata nel Mar Caspio per
sfruttare l’immenso giacimento di Kashagan, gli
operai sono in sciopero come due anni fa. Le autorità kazake sono subito intervenute per sedare il conflitto. Hanno rilevato che i lavori erano
semplicemente terminati e che Agip (sussidiaria Eni) e i suoi subappaltatori (Cape service)
hanno licenziato gli operai di cui non avevano
più bisogno. Ma alcuni operai sostenevano di essere stati costretti a dimettersi e di non aver ricevuto il risarcimento legato al licenziamento.
«Riceveranno una compensazione», dice il governatore locale kazako, «e il dipartimento regionale per l’occupazione li aiuterà a sistemarsi». È tutto sotto controllo.
Alma Ata,
17 dicembre 2011.
La polizia kazaka
arresta un
manifestante durante
un sit in di protesta
contro la repressione
attuata dal governo
dei confronti dei
lavoratori in sciopero.
Il giorno prima
la polizia aveva
sparato sugli operai,
uccidendone 16
25
società
TERRE
GIOVANI
di Donatella Coccoli
© 123RF
Campi incolti e casolari pericolanti. Una proprietà
pubblica abbandonata. Quattro cooperative vogliono
dar vita a una fattoria didattica. Il caso del borghetto San
Carlo a Roma: simbolo della lotta dei nuovi agricoltori
società
left.it
«V
edete? Qui potrebbe sorgere
un nuovo modello di agricoltura. Che produca non solo cibo
ma anche servizi. La città ne ha bisogno». Giacomo Lepri parla al microfono, la voce sicura
e le idee molto chiare. Racconta di un progetto
pensato insieme ad altri ragazzi come lui: braccianti, agronomi, cuochi. «A Roma - dice- alcune piazze sono un fallimento e spesso i luoghi
d’incontro sono i centri commerciali. Mentre
invece adesso una nuova socialità può nascere
dall’agricoltura». Coltivazioni ma anche fattoria didattica, con agri nidi, piste ciclopedonali,
un ristorante, attività di ippoterapia. Ad ascoltarlo c’è un gruppo di persone sedute su un prato ai piedi di una collina. È una domenica pomeriggio e l’incontro-merenda serve a fare il punto
sugli ultimi sviluppi di una ennesima battaglia
per le terre pubbliche. Quella guidata dalla cooperativa Coraggio (Cooperativa romana giovani agricoltori): sedici ragazzi dai 25 ai 35 anni di
cui Giacomo è presidente.
In alto, i ragazzi
della cooperativa
Coraggio di Roma
28
UN PARCO AGRICOLO
Siamo lungo la Cassia, a una manciata di minuti dal Grande raccordo anulare, mentre i treni
sfrecciano rumorosi lungo la ferrovia per Viterbo. Ma a pochi metri dalla strada lo scenario
cambia, diventa quello di una campagna che si
apre tra erbe infestanti e roveti già carichi di
more. La stradina, sconnessa per le buche, con
le radici dei pini che affiorano, conduce in alto, verso il boghetto San Carlo. Diventato or-
mai un ammasso di edifici rurali abbandonati e
pericolanti. Insieme ai ventidue ettari di terreno che lo circonda è di proprietà comunale. «Il
costruttore Mezzaroma l’ha venduto al Comune ormai alcuni anni fa. In cambio di interventi edilizi in un’altra zona della città, per la compensazione edilizia, questo borgo doveva essere recuperato e restituito ai cittadini», precisa
Giacomo. Ma di Mezzaroma, né tantomeno dei
lavori, nemmeno l’ombra. Da metà maggio la
cooperativa Coraggio - che ha come simbolo
un simpatico asino con le ali - insieme ad altre
due cooperative ( Terra! e daSud)ha deciso di
passare ai fatti, con un picchettaggio continuo
davanti al cancello dell’appezzamento. I ragazzi si sono attrezzati, hanno messo un tavolino,
cesti di lavanda, prodotti della terra. E hanno
cominciato a raccogliere firme. In poche settimane la petizione per “Borghetto San Carlo parco agricolo” ha raggiunto le 10mila adesioni. Il 10 luglio le hanno consegnate al sindaco Ignazio Marino, al vicesindaco Luigi Nieri e
all’assessore all’Urbanistica Giovanni Caudo.
Hanno firmato personaggi della cultura come
Ascanio Celestini ed Erri De Luca ma anche
tanti abitanti della zona. Che da anni assistono
al lento degrado del borghetto, parte integrante del parco di Veio. Non proprio un fazzoletto di terra: è il quarto parco del Lazio, ricco di
reperti archeologici, misconosciuto e tutto da
valorizzare. Loro invece hanno pensato anche
a quest’area verde. «Il borghetto è la porta sud
ovest del parco di Veio», spiega il presidente
20 luglio 2013
left
società
left.it
TOSCANA, PRESTO I BANDI PER LE TERRE PUBBLICHE
Via libera alla coltivazione delle terre pubbliche in Toscana. Mentre in
Umbria è stata appena presentata
una proposta di legge per l’accesso
dei giovani all’agricoltura. Un’altra
simile giace anche alla Regione Lazio. La mobiltazione cresce in tutto
il territorio nazionale. Gianni Salvadori, assessore toscano all’Agricoltura è soddisfatto. «La legge
l’abbiamo approvata all’unanimità
nello scorso dicembre. Ci hanno
già telefonato in molti. Si tratta soprattutto di giovani che chiedono di
lavorare la terra» spiega l’assessore. Grazie alla legge è stato istituito
l’ente Terre regionali toscane con
l’allargamento dell’azienda pubblica di Alberese nella Maremma
grossetana.«Sostanzialmente è la
nascita della Banca della terra» spiega Salvadori. A disposizione di cooperative e di singoli agricoltori ci sono
110mila ettari di terreno demaniale
e tre aziende agricole, tra cui quella,
splendida, di Alberese, popolata di
bufale maremmane e cavalli: 4mila
ettari tra le colline e il mare. «Come
Regione cerchiamo poi di creare una
rete, di favorire un incontro tra gli enti
locali e i privati, fornendo noi delle garanzie», conclude Salvadori. La Regione cercherà anche di promuovere
i censimenti delle terre incolte dei comuni. Entro l’anno i primi bandi.
In Umbria la proposta di legge è targata Sel, ma poiché non ci sono rappresentanti in consiglio regionale, è stata
presentata da Oliviero Dottorini (Idv).
Sempre di Sel è quella presentata alla
della cooperativa Coraggio. «Io l’ho girato tutto, si possono realizzare tanti percorsi archeologici; nel nostro progetto abbiamo previsto
un presidio, una piccola sede per il guardaparco, una struttura informativa». Archeologia e
agricoltura che vanno a braccetto. Una rivisitazione in chiave contemporanea di ciò che
vedevano i viaggiatori che a partire dal Settecento hanno percorso il Gran tour , il “viaggio in Italia” che avrebbe poi affascinato anche Goethe: l’agro romano popolato di pastori
e rovine vetuste. «Qui c’è un patrimonio naturalistico e archeologico pazzesco»,continua
sconsolato Giacomo, «ma queste risorse legate alla storia culturale della città sono quelle
che vanno più sprecate».
LA SVOLTA DELL’AGRICOLTURA MULTIFUNZIONALE
Il progetto di recupero dei 22 ettari di terreno,
che prevede 40 posti di lavoro, è stato ideato
dalla Coraggio insieme ad altre tre cooperative, la Me&Tree che si occupa di rimboschimento, la Biosfera onlus dedicata ai servizi sociali e l’Amaltea (cinofilia). E non nasce dal nulla.
Dietro c’è una fitta rete di cooperative e associazioni romane: da Crocevia al Coordinamento romano per l’Accesso alla terra, da Equorete a Terra nuova. Un movimento che negli ultimi anni si è battuto contro la svendita di terreni
pubblici, opponendosi al land grabbing anche
in Italia . E poi ci sono gli esempi di occupazioni
di suolo che risalgono agli anni della contestazione, i cui protagonisti sono ancora in prima li-
left 20 luglio 2013
Regione Lazio dal consigliere Gino
De Paolis. Tra gli obiettivi, un inventario di tutti i beni agricoli immobili
inutilizzati e poi, per almeno la metà di questi terreni, la possibilità di
locazione ai giovani agricoltori. La
proposta di legge umbra prevede
anche canoni di affitto simbolici
per le aree marginali e durante i
primi cinque anni per tutti i terreni. Dopo di che verranno stipulati
canoni di affitto inferiori a quelli di
mercato. Ma anche i terreni privati
abbandonati saranno individuati e
riutilizzati. L’Umbria, cuore verde
dell’Italia, risente fortemente della
crisi. Secondo l’Istat, dal 2000 al
2010 si sono perse per strada oltre 15mila aziende. E allora non c’è
tempo da perdere.
Sono braccianti, agronomi, cuochi. Vogliono
coltivare i campi ma anche creare servizi
nea. Negli anni Settanta a Roma si formarono
diverse cooperative agricole come la Cobragor
(Cooperativa braccianti agricoli organizzati),
Agricoltura nuova, Il trattore di via del Casaletto, la Primo Maggio.
«Io sono laureato e faccio l’agricoltore», dice
al raduno Paolo Ramundo, uno dei fondatori
della Cobragor. «Lo stesso percorso che hanno molti di questi ragazzi. Questa ormai è la realtà: il contadino come lo si intendeva un tempo non esiste più. E l’agricoltura multifunzionale può diventare un elemento significativo
della città metropolitana». C’è chi dice che ciclicamente, ogni trent’anni, si verifichi un ritorno alla terra. Stavolta è anche la crisi che
preme. Ma a giudicare la mobilitazione degli
ultimi tempi, e non sono quella online, c’è qualcosa di nuovo. Si avverte una maggiore consapevolezza. Non si tratta solo di rifugiarsi in
campagna perché non c’è altro lavoro. Adesso la scelta di coltivare la terra spesso è legata al possesso di maggiori conoscenze tecnicoscientifiche. E anche a un’idea diversa di partecipazione alla vita sociale.
«La novità interessante è che fino a dieci anni fa i giovani non volevano sentir parlare della campagna», spiega Piero Malenotti, che fa
parte del Coordinamento romano per l’accesso alla terra. «Ora sono interessati perché è
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società
left.it
Nel Lazio sono oltre 40mila gli ettari
di proprietà demaniali inutilizzati
cambiata la cultura, la mentalità. Lavorare in
campagna non è più visto come una condanna
o una forma di emarginazione, come succedeva qualche anno fa».
UNA DISTESA DI TERRENI INUTILIZZATI
Quello di Roma è il terzo Comune agricolo d’Europa. Un’eredità antica che deriva
dall’ager publicus, non a caso di proprietà del
populus romanus. In tutto il Lazio si calcolano
in circa 40mila gli ettari di terreno di proprietà di enti pubblici, spesso in stato di abbandono. Nel comune di Roma sono circa un migliaio, considerando solo le aree di compensazione urbanistica. Poi ci sono fazzoletti di terra
qua e là. «Quello che serve», spiega Giacomo
Lepri, «è il riordino del catasto dei beni pubblici. Ma per ottenerlo occorreranno anni. È un
disastro». Dopo l’incontro al Campidoglio, intanto, qualcosa si è mosso. Mentre l’assessore
all’Urbanistica Cado cercherà di venire a capo della vertenza con il costruttore Mezzaroma, l’assessore al Patrimonio Nieri - man mano che verranno censiti i terreni - provvederà
a emanare dei bandi. Ma come verranno fatti
i censimenti? E poi, quali garanzie ci saranno
che i bandi non vengano pilotati? Questi sono
i timori, anche se al Campidoglio ora c’è Marino al posto di Alemanno. «Il problema è sempre quello: anche se le amministrazioni cambiano. i poteri forti rimangono. E non sono so-
lo i costruttori», afferma il presidente della cooperativa Coraggio. Comunque il sindaco-chirurgo durante la sua campagna elettorale aveva promesso che avrebbe fermato l’ondata di
cemento sull’agro romano, per promuovere al
contrario l’uso agricolo del suolo. Ma non sarà facile scrollarsi di dosso l’eredità del centrodestra. «Il cambio di guida significa certamente un cambio di interesse», aggiunge Malenotti. «Solo che adesso si dovranno completare le procedure di compensazione urbanistica, perché una parte di queste terre deriva da
cessioni che non sono completamente definite». Anche se il pericolo, secondo il rappresentante del Coordinamento romano di accesso
alla terra, è un altro. Molto più minaccioso. «È
la tendenza della vendita del demanio pubblico per fare cassa, viste le difficoltà nel bilancio. Questo sarebbe un grande ostacolo, perché i giovani non ce la faranno mai ad acquistare quelle terre».
Enzo Abati, che dirige il periodico locale La
Giustiniana, sciorina aneddoti e pezzi di storia che raccontano di pellegrini della via Francigena, di Carlo Borromeo, di contadine guaritrici e delle prime coltivazioni di tabacco in
questo pezzo di terra. Un mondo lontano da
quel che resta del magnifico casolare: porzioni di tetto crollate, sterpaglie e rifiuti ovunque. Ma i ragazzi delle cooperative non sembrano spaventati: si aggirano tra i ruderi, scattano foto, scherzano, esplorano. E forse già si
immaginano cosa potrebbe diventare il borghetto San Carlo.
LA BATTAGLIA
PER IL
BORGHETTO
La mobilitazione
lungo la via Cassia
a Roma. A destra
i ragazzi della coop
Coraggio. Il casolare
del borghetto in stato
di abbandono
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20 luglio 2013
left
società
© ARIANNA CATANIA
left.it
Salviamo
i piccoli
di Donatella Coccoli
«L’agricoltura torni alle comunità
locali». Parla il deputato Zaccagnini
A
driano Zaccagnini, deputato eletto nelle fila del M5s, adesso fa parte del gruppo misto. Studi e lavori nel settore agricolo (è consulente di permacoltura e agroecologia), fondatore della cooperativa Accesso alla terra, adesso
siede nella commissione Agricoltura della Camera. E sta per presentare una proposta di legge
sull’uso delle terre pubbliche da parte dei giovani
agricoltori che prevede l’affidamento dei terreni
demaniali agricoli alle comunità locali.
Quali sono le caratteristiche della sua proposta di legge?
L’obiettivo è abrogare l’articolo 66 del decreto
Salva Italia di Berlusconi-Monti che prevede la
privatizzazione dei terreni demaniali. Invece io
voglio sviluppare nuove forme di gestione della
terra, puntando soprattutto sul legame con le comunità locali e sugli usi civici. In questo ci distinguiamo dalle proposte di Sel che prevedono l’affitto di questi terreni. È chiaro, è sempre meglio
della privatizzazione. Ma il rischio, affittando le
terre, è che si potrebbero creare quei meccanismi clientelari per cui i terreni migliori andrebbero alle cooperative o ad aziende agricole grandi,
magari provenienti da fuori, che snaturerebbero
le comunità locali.
Questi sono giorni decisivi per la Pac, la Politica agricola europea. Come sta andando
per l’Italia?
Purtroppo da noi è mancato in questi anni un dibattito culturale che facesse pesare gli interessi italiani a livello europeo. Soprattutto quelli
dell’agricoltura contadina, dei piccoli coltivatori. Questo ha portato a un continuo processo di
deregolamentazione, per cui se ci sono stati alcuni passi positivi, sono avvenuti all’interno di un
impianto neolberista. La sfida della Pac adesso
è quella di lavorare per sviluppare zone omogenee che devono rispondere a criteri di vocazione agricola. Per questo motivo è importante quello che si farà in sede di conferenza Stato-Regioni: bisogna creare quelle flat pride che verranno
applicate poi per la distribuzione dei fondi. Purtroppo l’agricoltura contadina, che è quella che
custodisce realmente il territorio dal grabbing
- la massiccia svendita ai privati della terra agricola - è stata messa in secondo piano a favore
dell’agroindustria che riceve ancora l’80 per cento dei fondi europei.
L’agricoltura può dare lavoro ai giovani?
Va creata una rete di cooperative. Ma il nodo sta
nel “come” coltiviamo la terra. Occorre una visione organica: l’agricoltura deve essere interconnessa con tutta la società. Solo così tornerà in primo
piano. Lavoro, ambiente, economia, edilizia, salute, alimentazione. È questa la vera innovazione.
In alto, il deputato
Adriano Zaccagnini
eletto nel M5s
e adesso
nel gruppo misto
Da sinistra: il sindaco
di Roma Ignazio
Marino a cui è
stata consegnata
la petizione per il
borghetto. Campi
incolti attorno
al casolare
left 20 luglio 2013
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economia
© 123RF
left.it
Lascia i “buffi”
e scappa
di Felicia Buonomo
Si chiama concordato preventivo. È una procedura che permette alle imprese
in crisi di non pagare i propri debiti. E magari continuare il business con una
newco. Affossando l’indotto. L’allarme: «Si rischia una reazione a catena»
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20 luglio 2013
left
economia
left.it
L
a Windjet di Catania, con migliaia di
passeggeri “lasciati a terra” la scorsa
estate, dopo aver pagato il biglietto; la
Rimor di Poggibonsi (Siena) che rischia di lasciare inevasi 20 milioni di euro di commesse
nel mercato della camperistica; la Seat Pagine
Gialle di Torino, alle prese con un miliardo di
euro di debiti. Sono alcuni marchi noti, che
stanno giocando l’ultima carta per evitare il
fallimento. Ma questo non sempre significa
tutelare consumatori, lavoratori e fornitori.
L’obiettivo è sopravvivere alla crisi. Ma non
sempre a salvarsi è il più forte, spesso è solo
il più scaltro. I “furbetti della crisi” hanno
imparato a manovrare norme e decreti, utilizzandoli a proprio piacimento. L’espediente si
chiama “crisi aziendale pilotata”: ci si libera
facilmente dei debiti accumulati, senza curarsi del rischio di far morire interi indotti
economici. Grazie all’istituto del “concordato
preventivo”, una procedura nata per consentire alle società di ristrutturare il debito, evitando il fallimento e tutelando la continuità
dell’attività produttiva e i posti di lavoro. I
numeri testimoniano un vero e proprio boom
del ricorso alla procedura di concordato, in
alcuni casi a fronte di crisi create ad hoc.
Spesso al limite della legalità.
IL DECRETO PASSERA
E spesso, le normative aiutano. In questo caso
a “venire in soccorso” è stato il decreto n. 83
del 2012 dell’ex ministro dello sviluppo economico Corrado Passera, che ha introdotto il
“concordato con continuità aziendale”, a cui le
imprese sono ricorse in maniera decisamente
disinvolta. La riforma consente il congelamento dei debiti per un periodo che va dai 60 ai 120
giorni, prorogabili per altri 60 giorni. Tempo
durante il quale le imprese fornitrici non possono avanzare le istanze di rientro del credito.
Rientro, peraltro, spesso irrisorio: percentuali
troppo basse per consentire a un piccolo imprenditore dell’indotto di sopravvivere.
Perché i “furbetti” sono sempre in agguato e il
concordato li “aiuta” a scaricare i debiti nella
bad company, quella finita in concordato, per
riavviare l’attività con una new company. In
puro stile Alitalia (Passera se ne intende). È, in
sostanza, un cinico escamotage per non paga-
left 20 luglio 2013
re i creditori. Ci sono concordati che offrono il
pagamento del 3 per cento del debito, in altri
casi si parla persino dell’1,5. Tra i settori più
interessati c’è quello edile.
Come racconta Sauro Serri, sindacalista della Fillea-Cgil di Modena. «Il concordato preventivo - spiega - è oggi lo strumento principe per cessare l’attività. Qualche volta capita
che l’impresa si rianimi attraverso una newco,
solo formalmente slegata da quella precedente, che mantiene il core business dell’impresa
finita in concordato». Tutto bene, allora? Mica
tanto: «Non si tratta solo di debiti ma anche
di occupazione. Il dipendente di fatto perde
il posto di lavoro. Perché nella newco finisce
solo una minima parte dei dipendenti». Crisi
aziendali pilotate per nascondere i debiti? Il
rischio c’è: «Bisognerebbe impedire - aggiunge Serri - che la cessione dei beni dell’impresa che va in concordato possa essere fatta a
società collegate allo stesso imprenditore, le
cosiddette newco».
Il caso della Windjet, che abbandona 300mila
passeggeri. Per loro un rimborso del 5%
L’INDOTTO ECONOMICO
Dei rischi legati al concordato ne sanno qualcosa i creditori della Seat Pagine Gialle, società torinese quotata in Borsa e indebitata per
oltre un miliardo di euro; creditori convocati
in tribunale, per accettare o meno la proposta
di concordato: dovranno attendere gennaio
2014 e prima di vedere saldato il proprio credito. L’indotto, la filiera di piccoli e piccolissimi
fornitori che vive accanto alle grandi aziende,
in assenza di pagamenti, rischia il collasso. Le
percentuali di rientro dei debiti offerte sono
troppo basse per consentire a un piccolo imprenditore di sopravvivere. A quel punto si rischia un effetto a catena: l’azienda dell’indotto
potrebbe andare anch’essa in concordato, provocando a sua volta il fallimento del proprio
indotto di “secondo livello”.
Anche Giorgio Squinzi, presidente nazionale
di Confindustria, è arrivato a chiedere una revisione delle regole. «Bisogna intervenire subito - ha affermato dal palco dell’assemblea
annuale lo scorso maggio - prima che questa
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economia
left.it
© MONALDO/LAPRESSE
I NUMERI
Squinzi: «Modificare la legge Passera.
Prima che l’economia lo impone l’etica»
Giorgio Squinzi
e Corrado Passera
durante un incontro
nella sede romana
di Confindustria
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onda si trasformi in un disastro irreparabile
per l’economia. Utilizzate lo strumento legislativo più adeguato, ma fate presto. Prima
dell’economia lo impone l’etica». Perché se
è vero che la normativa è nata con l’intento di sostenere le aziende con prospettive
di rilancio, è anche vero che la possibilità è
stata «interpretata nel peggiore dei modi»,
ha aggiunto Squinzi: «Una via per scaricare
i debiti sulla catena produttiva e continuare,
indisturbati, l’attività. Un comportamento
immorale».
Parlando con i fornitori ci si rende conto che
la portata sociale del fenomeno va ben oltre uno sterile elenco di cifre. Perché dietro
ogni singolo concordato, vi è un’indecifrabile
compagine di imprese che da quella singola
impresa dipende. Lo testimonia Daniela Testi, imprenditrice di Soliera (Modena), che
con la sua Testiplast fornisce grandi catene
attive nella produzione dell’elettrodomestico.
«Io rappresento quello che c’è dietro, l’indotto: centinaia di imprese che servono gruppi
enormi. E quando crollano loro, crollano le
imprese di tutta la provincia». Dal 2008 a oggi
la Testi si trova alle prese con ben tre concordati preventivi di suoi importanti clienti. «Finora ho retto - dice l’imprenditrice - ma se ci
dovesse essere il quarto non so cosa potrebbe
accadere. Potrei cadere, come sono già caduti
tanti altri imprenditori». Nel mirino c’è anche
la procedura Passera. «Non possiamo fare
nulla - aggiunge la Testi - siamo stati definiti
Secondo i dati raccolti dalla Camera di
commercio ed elaborati dalla società
Crif, nel primo trimestre del 2013 le ammissioni al concordato preventivo registrate dai tribunali sono cresciute del 70
per cento: 449, per la precisione, di cui
circa un quarto solo in Lombardia. Da
settembre 2012 (quando è entrata in vigore la riforma Passera) ad aprile 2013,
si parla di 3.342 proposte di ammissione
al concordato, con in testa la Lombardia
(714 casi), seguita da Veneto (399), Toscana (352) ed Emilia Romagna (con 331
casi). Ed è il comparto delle costruzioni
a guidare la poco invidiabile graduatoria,
con 419 casi.
dei “creditori aggressivi”. È incredibile. Io fornisco del materiale idoneo e dopo mi aspetto
di essere pagata. Perché con quei soldi io dovrò acquistare le materie prime, pagare i dipendenti e le tasse. È un mio diritto, non sto
mica andando a rubare».
E così intere filiere produttive rischiano il
collasso. Le percentuali di rientro del credito che sono state offerte alla Testi sono veramente irrisorie. «In una procedura mi hanno
offerto il 2,5 per cento», spiega Daniela Testi.
«Ho guardato bene il foglio, speravo fosse il
25, invece era proprio il 2,5. Non si pagano
neanche le spese legali con una cifra del genere. Se tutto l’indotto entrasse in concordato,
cosa succedebbe?».
I CONSUMATORI
Con il “Decreto del fare” di Enrico Letta, qualche aggiustamento è stato fatto, ad esempio il
debitore dovrà dimostrare che sta costruendo
un piano di risanamento e il tribunale potrà
interrompere il concordato qualora riscontri
l’assenza di benefici per i creditori. Ma sembra
non essere sufficiente. In gioco, infatti, c’è anche la tutela dei consumatori. È il caso della
Windjet, la compagnia aerea low cost siciliana,
che la scorsa estate ha bloccato a terra migliaia di passeggeri (si è parlato di 300mila) per
l’interruzione improvvisa dei voli. L’azienda ha
avuto accesso a un concordato preventivo, che
la Confconsumatori ha definito semplicemente «una beffa». Un rimborso del 5 per cento ai
passeggeri e nessun risarcimento. E alcuni di
essi hanno deciso di depositare al tribunale di
Catania il proprio voto contrario all’approvazione della procedura concorsuale.
20 luglio 2013
left
la scuola che non c’è
società
left.it
La ragazza pakistana all’Onu parla di diritto all’istruzione. Che anche in Italia è a rischio
La lezione di Malala
di Giuseppe Benedetti
left 20 luglio 2013
© AP/LAPRESSE
C
on un discorso all’Assemblea generale dell’Onu, la
scorsa settimana, nel giorno del suo sedicesimo compleanno,
Malala Yousafzai, la studentessa pakistana scampata a un attentato dei Taleban, ha indicato il diritto all’istruzione, soprattutto per bambine, ragazze
e donne, come il bersaglio principale
nel mirino dei fondamentalismi politici e religiosi. Più estesamente, il rapporto strettissimo tra istruzione e diritti, cioè l’intelaiatura del discorso della studentessa, suona anche come un
grido d’allarme per le democrazie che
stanno conoscendo una spaventosa involuzione nel campo dei diritti. Fa poca differenza sapere se la notte del 9
ottobre 2012, quando i terroristi hanno tentato di uccidere Malala, i talebani di casa nostra avevano già colpito o
si preparavano ad affondare il coltello
per l’ennesimo taglio all’istruzione, in
modo da salvaguardare i privilegi delle
caste. Perché ormai da diversi anni, lo
rivela l’ultimo rapporto Ocse sull’istruzione, le nostre classi dirigenti infliggono ferite mortali alla scuola. I ragazzi
senza titolo di studio in Italia arrivano
ormai al 20 per cento. Secondo l’Ocse,
l’attenzione degli analisti e dei decisori politici dovrebbe rivolgersi con preoccupazione soprattutto verso questa
anomalia italiana: il numero di lavoratori con un grado di istruzione minimo o basso è superiore a quello dei lavoratori più istruiti. E ciò accade mentre le nuove generazioni (i 25-34enni),
particolarmente le donne, spingono in
alto il livello generale di istruzione rispetto ai 55-64enni. Ma il mercato del
lavoro non assorbe i giovani più istruiti perché il lavoro non c’è e il surplus
di formazione viene disperso o regalato all’estero. I talebani di casa nostra
incolpano la scuola che ancora non
si rassegna, dicono loro, a liquidare le
discipline umanistiche e corrompe la
Malala Yousafzai, 16 anni,
scampata a un attentato dei Taliban
L’ultimo rapporto Ocse rivela l’anomalia
del Belpaese: il 20% dei giovani è senza diploma
gioventù con uno studio prevalentemente teorico e poco funzionale. Il copione che più intriga i media scagiona
la politica e scarica sulla scuola gran
parte della responsabilità dell’elevata disoccupazione giovanile. E colpevolmente si nasconde che l’istruzione
da noi sta diventando opzionale. Grazie in particolare all’ultimo governo
Berlusconi, l’Italia ha battuto ogni record di tagli all’istruzione, il 7 per cento del Pil, dietro solo a Islanda ed Estonia. La diminuzione degli investimenti
nell’istruzione è stata addirittura maggiore della flessione del Pil dall’inizio
della crisi. Una riduzione ingiustificata, che si è registrata solo in Italia, Ungheria e Islanda. Ma l’Italia si è distinta
ulteriormente in questo primato negativo, tagliando gli stipendi dei docenti il doppio in confronto all’Ungheria.
C’è la crisi, si giustifica la classe dirigente. Ma nello stesso periodo in Paesi come la Polonia e la Finlandia i fondi destinati all’istruzione sono aumen-
tati (e parallelamente sono migliorati
i risultati dei loro studenti nei test Ocse Pisa). Questi dati, però, non trovano
grande evidenza nei mass media, dove
si pratica piuttosto la tattica del camuffamento delle responsabilità. E si propaga la storia secondo la quale per stare al passo con i tempi occorre scambiare cause ed effetti. Nei fatti la politica non sa creare le condizioni per rilanciare il mercato del lavoro, ma è la
scuola, secondo il racconto dominante nei media, che non riesce a formare i
giovani per il lavoro. E bisogna raccontare che la scuola va male perché i docenti arrancano dietro le nuove generazioni di nativi digitali e tacere sul fatto che non si investe sull’aggiornamento dei docenti. A giudicare da questo tiro incrociato sulla scuola e dall’assenza di difese adeguate, si direbbe che solo i talebani di casa nostra intuiscano il
reale valore dell’istruzione pubblica e
l’equivalenza tra istruzione e diritti.
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mondo
RITRATTO DI UN
CONTINENTE REALE
di Alessio Pisanò da Bruxelles
© BURNAND/AP/LAPRESSE
La famiglia Windsor conserva
il sostegno popolare, ma nel
resto d’Europa la Corona è in
crisi. Dal Belgio alla Spagna,
si moltiplicano i dubbi sulle
monarchie. A meno che non
siano macchine da soldi
Buckingham Palace,
Kate e William posano
assieme alla famiglia
reale nel giorno
del loro matrimonio.
Nella foto, da sinistra
a destra: Master
Tom Pettifer,
Camilla, duchessa
di Cornoovaglia,
il principe Carlo, suo
figlio il principe Harry,
Michael Middleton,
Carole Middleton,
Philippa Middleton.
In prima fila, il principe
consorte Filippo
di Edimburgo e la
regina Elisabetta II
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© OLSSON/AP/LAPRESSE
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© PROBST/AP/LAPRESSE
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mondo
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S
arà per la crisi, sarà per la modernità o sarà che il tempo passa per
tutti, ma alcune delle monarchie più
antiche del Vecchio Continente non godono
più dei grandi sfarzi del passato, e soprattutto del vasto consenso popolare che avevano
un tempo. Sempre più “sudditi”, infatti, si
stanno dimostrando insofferenti verso corone e scettri, e la condotta di alcuni reali di
certo non aiuta. Anche se i monarchi d’Europa non sono più i protagonisti delle politiche
nazionali e internazionali, ma restano più o
meno relegati ai cerimoniali e alle occasioni mondane, cresce il numero dei cittadini
europei che si pongono la stessa domanda:
ma perché li dobbiamo mantenere noi? Dal
Belgio alla Spagna cresce l’insofferenza per il
sangue blu e le spese reali. Unica eccezione
è l’Inghilterra, dove William e Kate, tra matrimonio e royal baby, conquistano ancora il
cuore degli inglesi.
Belgio, re nuovo ma guai vecchi. Il 21 luglio
il re Albert II abdica dopo vent’anni di trono
in favore del figlio 53enne Philippe (o Filip,
alla fiamminga). Un passaggio di consegne
che era nell’aria da tempo ma che, tra la crisi
dell’euro e quella del governo belga, si è protratto per mesi, anzi anni. Di sicuro non è un
bel momento per il Re dimissionario, travolto
dallo scandalo della presunta figlia illegittima
Delphine Boël (con tanto di processo di riconoscimento in corso) e i tentativi della madre
Fabiola di non pagare le tasse di successione.
In mezzo un popolo, i belgi, divisi tra amore e
odio per un sovrano che «tutto sommato non
ha regnato male», si dice a Bruxelles.
Sì, perché in Belgio il re sulla carta avrebbe
un ruolo fondamentale, almeno nella nomina
del governo federale. Ma il pasticcio successivo alle ultime elezioni, che ha lasciato il
Paese senza un governo per un anno e mezzo, ha dimostrato come a contare veramente
siano gli accordi politici tra l’anima vallona
e quella fiamminga. La funzione del re, alla
fine, è soltanto di facciata.
Sta di fatto che proprio la parte fiamminga
del Belgio, il 60 per cento della popolazione,
sta dimostrando di averne davvero abbastanza dei reali. Ne è una prova evidente la lette-
left 20 luglio 2013
ra scritta e firmata dai cinque principali partiti fiamminghi (N-va, Groen, Cd&v, Open vld
e Ldd) e consegnata pubblicamente al principe ereditario Philippe, dove si legge che «la
monarchia non è nient’altro che un anacronismo». «Non è un segreto di Pulcinella dire
che più o meno nessun partito vorrebbe vedere il principe Philippe/Filip sul trono», ha
detto senza peli sulla lingua Bart De Wever, il
carismatico leader della N-va e dallo scorso
gennaio anche sindaco di Anversa. Troppo
tardi. Perché se re Albert II e consorte (la
regina Paola di origini italiane, calabresi per
la precisione) non sono amati da molti belgi,
l’idea di vedere il principe Philippe diventare re fa a dir poco accapponare la pelle.
«Il potere politico che lui eredita solo perché è figlio di suo padre, appartiene a una
tradizione passata», ha detto Wouter Van
Besien, presidente di Groen, il partito verde
fiammingo. «La monarchia non è un sistema
democratico», incalza Karl Vanlouwe, sena-
Albert II lascia il potere politico a Filip, il cui
unico merito è «essere figlio di suo padre»
tore Nv-a e presidente della commissione
Affari esteri del Senato federale. «E quello
che è peggio è che non possiamo nemmeno
avere un referendum a livello federale per
dire addio alla corona, visto che una simile
consultazione popolare si può indire solo a
livello locale». Secondo Vanlouwe il fatto
che la Costituzione belga non preveda un referendum a livello federale non è altro che
una protezione per la monarchia. «Nel 1951
c’era stato un referendum sul ruolo svolto
dal re durante la Seconda guerra mondiale.
L’allora monarca, Leopold III, fu salvato dal
52 per cento dei votanti». Una maggioranza
davvero stretta.
Secondo Theo Franken, un altro deputato
della N-va, non solo «la famiglia reale costa
al contribuente belga circa 35 milioni di euro
l’anno tutto compreso, dotazioni più spese»,
ma non c’è «trasparenza nella gestione di
questi fondi stanziati. Non abbiamo alcuna
idea di cosa fanno con questi soldi». Una si-
Nella pagina accanto,
in alto: il matrimonio
della principessa
Madeleine di Svezia
con Christopher
O´Neill, l’8 giugno
del 2013. In basso,
la regina Maxima
d’Olanda in visita in
Germania il 3 giugno
scorso, assieme
al marito Willem
Alexander, salito al
trono il 30 aprile 2013,
dopo l’abdicazione
della madre Beatrice
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SVEZIA
DANIMARCA
NORVEGIA
Gli scandali emersi dalla
sua biografia non hanno
intaccato la popolarità di Carl XVI Gustaf, re
di Svezia salito al trono nel 1973. Nei suoi 40
anni di regno la monarchia dei Bernardotte ha
perso di smalto - oggi il gradimento è al 70 per
cento - ma conserva ancora l’affetto popolare.
Rivolto specialmente alle figlie, Victoria e Madeleine. Il 59 per cento degli svedesi vorrebbe
vedere sul trono Victoria al posto del padre.
È la prima donna sul trono
dal 1412. Margherita II
di Danimarca, incoronata nel 1972, ha il difficile compito di mantenere il Paese lontano dalla
deriva razzista che sta prendendo piede in Nord
Europa. Come in Belgio, il suo è un ruolo politico
- nomina il premier incaricato e firma le leggi - e
questo le consente vasta libertà di azione. Nel
2008 e nel 2010 Beppe Grillo invitò a tempestarla di mail per la caccia al “delfino balena”.
Harald IV - in carica dal
1991 - svolge solo un
ruolo cerimoniale in Norvegia, monarchia parlamentare. Erede al trono è il figlio minore Haakon
Magnus, che già è stato reggente in due occasioni. Il matrimonio di Haakon con Mette-Marit
Tjessem Høiby ha fatto storcere il naso ai puristi
della Corona, che la consideravano «troppo plebea». E la stampa pettegola non le ha perdonato
la sua adolescenza tra rave party e birra.
LUSSEMBURGO
MONACO
LIECHTENSTEIN
È uno dei sei Paesi fondatori dell’Unione europea, eppure il granducato di Lussemburgo
resta assente dalle cronache politiche e mondane. Henri di Lussemburgo è a capo del
Granducato dal 2000, anno dell’abdicazione
del padre. Da Statuto, presiede il Paese e le
sue forze armate. I suoi 500mila sudditi non si
possono lamentare: il piccolo Stato ha il Pil più
alto di tutta la Ue.
Le avventure sentimentali
delle donne di casa Ranieri hanno dato lavoro a tv e giornali di mezzo
mondo. Sarà la posizione geografica - la Costa
azzurra - o l’abilità mediatica del Principato, ma
quella monegasca resta la casa reale più amata. E dopo Caroline e Stephanie, ora è la volta di
Charlotte a tenere alta l’attenzione dei media: per
le sue doti di cavallerizza e per il figlio in arrivo,
frutto della relazione con l’attore Gad Elmaleh.
Hans-Adam II del Liechtenstein è, tra i monarchi europei, quello che più di tutti governa
il suo Paese come fosse una proprietà privata.
Al punto da cambiare la Costituzione per attribuirsi maggiori poteri di veto nei confronti del
Parlamento. Sul trono dal 1989, è considerato
uno degli uomini più ricchi al mondo. A gestire
gli affari di famiglia è la Lgt bank, accusata di
nascondere conti segreti di cittadini europei.
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tuazione ancora più amara in tempi di crisi,
dove «tutti sono costretti a fare tagli, mentre
non solo la famiglia reale resta ricca ma non
si degna nemmeno di essere trasparente».
Attenzione poi all’eccezione belga: Franken
spiega che «non solo il principe Philippe riceve 1.3 milioni di euro l’anno (adesso riceverà la dotazione reale, ndr), ma siamo gli
unici in Europa a pagare per tutti i figli del
re, che di conseguenza non hanno alcun bisogno di lavorare».
I recenti scandali che hanno coinvolto la ex
regina, Fabiola de Mora y Aragón (di chiare
origini spagnole), con la villa delle vacanze
in Spagna intestata a una fondazione locale
per non far pagare le tasse di successione ai
nipoti, di certo non è stato un toccasana per
la reputazione reale. Tanto che pure il premier Elio Di Rupo, mettendo da parte il bon
ton tipico dei politici valloni nei confronti
della corona, sembra intenzionato ad andare
avanti con la proposta di ridurre la dotazione
reale e far pagare loro l’Iva, dalla quale oggi
Sua Maestà è esente.
Quella belga non è l’unica monarchia in crisi di liquidità e credibilità. I tempi in cui re
Juan Carlos di Spagna veniva esaltato come
salvatore della patria sembrano ormai lontani. Il vortice di scandali che ha investito la
famiglia reale e la drammatica crisi economica che stanno patendo gli spagnoli, lasciano
poco spazio ai nostalgici dei tempi andati.
Per anni gli spagnoli hanno chiuso un occhio, spesso due, nei confronti degli sfarzi
di re Juan e delle sue scorribande amorose
ma adesso, con la disoccupazione al 27 per
cento, quella giovanile sopra il 50 per cento
e migliaia di famiglie sfrattate per le rate del
mutuo non pagate, la pazienza è finita. A far
traboccare il vaso è stata la battuta di caccia
grossa in Botswana da 10mila euro al giorno, con tanto di foto di un elefante abbattuto
alle spalle di re Juan Carlos che, ironia della
sorte, era pure presidente onorario del Wwf
Spagna. Poi lo scandalo della presunta truffa
per evasione fiscale e altri reati da 7,8 milioni
di dollari ai danni della figlia Cristina e del
genero Urdagarin, sulla quale sta investigando la magistratura spagnola. Ed ecco che au-
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mentano le voci di un possibile referendum
per chiudere per sempre con la monarchia e
passare alla repubblica.
Se la passano decisamente meglio i reali
che si limitano a una funziona “decorativa”,
con una presenza più discreta, come fa nei
Paesi Bassi la dinastia degli Orange. Ma conta anche il fatto che la tradizione liberale e
fondamentalmente repubblicana, almeno nei
fatti, relega i reali olandesi a una certa distanza dalla politica. La regina Beatrix (nome
completo Beatrix Wilhelmina Armgard van
Oranje-Nassau), che ha abdicato recentemente a vantaggio del figlio maggiore Willem-Alexander (e poi ancora “Claus George
Ferdinand van Oranje-Nassau”) si è contraddistinta negli anni più per il suo impegno nel
sociale che per il ruolo politico, praticamente
inesistente. E il ricordo migliore che hanno
gli olandesi della regina Beatrice resta quello
della “sua” festa, il 30 aprile: due giorni di bagordi in tutto il Paese.
Resistono le “monarchie decorative”,
utili per far cassa con i souvenir regali
E poi c’è la Gran Bretagna, l’eccezione che
conferma la regola. La famiglia Windsor gode
sostanzialmente di un discreto sostegno da
parte dei suoi sudditi. Un recente sondaggio
dell’Icm rivela come il 69 per cento degli inglesi pensi che Sua Maestà la regina Elisabetta II stia facendo «un buon lavoro» contro un
22 per cento che vorrebbe che se ne andasse.
A quanto pare il gigantesco e super mediatico matrimonio del principe William e Kate
Middleton ha rinvigorito i cuori monarchici
d’Inghilterra. Attenzione però: a essere fieri
della Corona sono soprattutto gli “inglesi”, e
non tutti gli abitanti del Regno Unito (composto da Scozia, Galles e Irlanda del Nord).
Nel 2014, infatti, gli scozzesi voteranno in un
referendum per l’indipendenza che potrebbe
sottrarre al regno l’intera terra degli highlander. Gli inglesi, invece, così restii a «mandare
i loro soldi a Bruxelles», come dicono loro,
non sembrano altrettanto parsimoniosi con
le spese della Corona, o almeno non per ora.
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© KYOTO NEWS/AP/LAPRESSE
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Movimento lento
di Paola Mirenda
Il blocco di una centrale di uranio. Lo stop
al Tav di Shangai. La battaglia per la terra.
L’opinione pubblica cinese è in marcia
N
Marina Miranda
(a cura di)
La Cina dopo il 2012.
Dal centenario della
prima Repubblica
al XVIII Congresso
del Partito comunista.
L’Asino d’oro edizioni,
collana Orizzonti
cinesi, pp 200,
euro 18,00
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on sono necessariamente oppositori al governo, e non ne sono necessariamente avversari politici: ma i cinesi che hanno imparato a organizzarsi per le lotte
sociali stanno diventando sempre più numerosi e costituiscono una parte importante della nascente società civile nel Paese di Mao. L’ultimo
esempio lo si è avuto lo scorso 13 luglio, quando
il sindaco di Heshan (nella provincia di Guangdong, Cina meridionale) ha annunciato la rinuncia alla costruzione di un impianto di lavorazione dell’uranio «al fine di rispettare l’opinione della gente». Un progetto da 6 miliardi di dollari, voluto dalla China national nuclear corp e China generale nuclear power group, fermato dalla volontà popolare. «Non è la prima volta che succede»,
spiega la professoressa Marina Miranda, docente
di Storia della Cina contemporanea all’università di Roma La Sapienza. «Movimenti analoghi ci
sono già stati in altre zone del Paese. Ma attenzione a volerli classificare con le nostre categorie:
anche l’uso del termine “società civile” rischia di
non rendere appieno tutte le sfumature di quella
realtà». Quello che sta succedendo in Cina solo
in parte somiglia a quanto avviene negli altri Paesi emergenti, che con Pechino condividono l’ap-
partenenza ai Brics: se il Brasile nell’ultimo mese ha fatto conoscere il volto di una classe media “arrabbiata”, la Cina è ancora lontana da una
opposizione organizzata. «Si muovono piuttosto dei gruppi particolari», aggiunge la sinologa.
«Nel caso del treno ad alta velocità di Shanghai,
a mobilitarsi furono i proprietari di immobili, che
non volevano svalorizzare le loro case con una linea ferroviaria che passava troppo vicina al loro
complesso residenziale. In altri casi sono i contadini contro la requisizione delle terre, come accaduto ancora nella Cina meridionale». Nella Cina da 1,3 miliardi di persone non c’è la possibilità di disegnare un’unica linea sulla quale allineare tutti i movimenti che sorgono, e sono tanti. «La
stessa provincia del Guangdong è una provincia
particolare, ricca e con una stampa meno allineata con il regime di quanto non lo sia in altre zone del Paese. Questo fa sì che si crei un’opinione pubblica - che non è ancora società civile - più
consapevole dei propri diritti, disposta a muoversi per difendersi dall’inquinamento o dalla corruzione». Un tema, quest’ultimo, diventato scottante: gli scandali che hanno coinvolto funzionari statali non sono passati sotto silenzio, ma il
governo cinese ha cercato di incanalare le proteste in una direzione moralizzatrice piuttosto
che contestatrice, assumendo una posizione dura nei confronti delle “mele marce”. Diverso è invece il discorso ambientale, dove si coagulano interessi personali intorno a situazioni particolari
perché, analizza ancora Marina Miranda, « tutto
questo non è più tollerato, la gente si vuole riappropriare anche del diritto di vivere una vita migliore. Non accettano più di essere come i contadini che vivono nei villaggi e muoiono di cancro
perché le fabbriche continuano a inquinare». La
consapevolezza dei propri diritti resta per lo più
figlia di una parte della società più abbiente, che
ha cambiato tenore di vita, che ha una situazione
economica migliore e che in questo senso, come
in Brasile, pretende di più. Ma con una differenza
sostanziale, che rende la battaglia cinese diversa:
la lotta non è contro il governo, semmai contro
gli errori o l’inefficienza del governo, soprattutto locale. Perché «quell’embrione di classe media
che si sta formando non è completamente ostile
al Partito comunista. Al contrario, tende e ha bisogno di una stabilità interna. Il caos non è il suo
obiettivo». Meglio cambiare con lentezza.
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cultura
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Bertolucci
si racconta
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Olivetti e il sogno
di un’altra Italia
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Un’antropologia
senza dogmi
Il Teatro Povero torna
in piazza a Monticchiello, nel piccolo borgo della Val d’Orcia senese. Dal
20 luglio al 14 agosto va
in scena la 47esima edizione di questo evento
che coinvolge l’intero paese. Che da un anno lavora al nuovo spettacolo dal
titolo Maestoso, Allegretto con incubi. Al centro la
storia di una famiglia che
deve affrontare la difficile
ricostruzione di una diversa dimensione di vita.
cultura
left.it
In cerca di
bellezza
di Amy Pollicino
La sfida vinta di un nuovo film, Io e te, quando sembrava ormai impossibile.
E la voglia di girarne un altro. E poi le passioni di una vita e le scelte giovanili
per emanciparsi da Parma e dalla famiglia. Bernardo Bertolucci si racconta.
In attesa della Mostra del cinema di Venezia dove sarà presidente della giuria
S
arà il presidente della giuria della 70esima Mostra del cinema di Venezia (dal
28 agosto al 7 settembre) e di recente
il sindacato dei giornalisti cinematografici
italiani ha premiato Io e te con il Nastro D’Argento, designandolo film italiano dell’anno
2013. Due appuntamenti che hanno il sapore
di un nuovo inizio per un maestro del cinema
come Bernardo Bertolucci e che ci offrono
l’occasione preziosa di questo incontro.
Bertolucci, come sta vivendo questa sua
“nuova nascita”?
Sono riuscito a fare qualcosa che mi sembrava proibita ormai: un nuovo film. Così, dopo
Io e te, molte cose si sono radunate intorno
a me, la gente era sorpresa della mia scommessa. Avevamo fatto un piano di lavorazione
molto lungo, nell’ipotesi che potessi lavorare
solo tre o quattro ore al giorno, che mi stancassi. Macché. Ero uno dei primi ad arrivare
e anche ad andar via. Perché questo set, a poche decine di metri da casa mia, era diventato il luogo dove ero riuscito ad arrivare e... ci
stavo dentro come un topo nel formaggio.
44
Cosa cercherà in modo particolare nei
film in concorso a Venezia?
Sorpresa e piacere. Non ho altre richieste da
fare ai film. Cercherò chi mi farà “sentire di
più”. Sarò presidente, ma non voglio tirarmi
contro tutta la giuria finendo per esprimere
solo la mia posizione. Insomma vorrei essere
un presidente diverso da quelli che si sono visti negli ultimi vent’anni.
Non solo il cinema, ma tutta la cultura
oggi vive un momento difficile in Italia,
cosa fare per uscirne?
Prima di tutto, direi tornare a far sì che la cultura sia un bene e un patrimonio collettivo.
Un bene di tutti. Non imponendola ma portando quelli che si può a sviluppare per la cultura quel sentimento di cui parlare oggi è forse
come parlare fuori tempo. A chi avesse dei
pregiudizi dico solo guardati indietro e capirai che cosa ha fatto la cultura in quei quattro
o cinquemila anni che riusciamo ancora a intravedere. Sono completamente “allagato” da
un’idea della cultura come trasmissione. Ma
sono tutte cose che si dicono, poi come le re-
20 luglio 2013
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cultura
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alizziamo? Non lo so, io non sono un diffusore
se non di ciò che mi appartiene.
Sta già lavorando a un nuovo progetto?
Ci sto girando intorno, un po’ come un moscone o una farfalla che ancora non ha capito
su cosa si sta posando. C’è un’idea che ancora non ha trovato la sua forma. Perché ovviamente non basta un’idea se non le dai forma.
Quando ho girato il Piccolo Buddha a Kathmandu c’era una zona molto vecchia, bella,
popolare, e c’erano dei vasai che lavoravano
all’aperto sotto un tendone per il sole. Con un
piede muovevano un pedale facendo girare
velocissima una ruota. Con le mani toccavano
l’argilla e creavano il vaso. La forma nasceva
e in un attimo si trasformava da vaso panciuto e basso in vaso altissimo con un collo che
si perdeva in alto. Mi faceva venire in mente
Marinetti, le poesie sulla velocità. Quest’immagine mi accompagna, specie ora che non
trovo una forma che mi piace per la mia idea
ripenso a questo usare le mani.
Con Io e te è tornato dentro uno spazio
circoscritto, dove la bellezza e le emozio-
left 20 luglio 2013
Sorpresa, piacere, emozioni.
Questo chiederò alle opere in concorso
ni dei due personaggi travolgono e commuovono. Quali temi le interessano oggi?
Non so bene dire qual è il tema di Io e te.
Credo che per ognuno sia personale. Se un
film mi scioglie dentro cose che erano un po’
pietrificate e che magari non sapevo di avere
ancora, allora il sentimento, le emozioni che
quel lavoro mi suscita mi fanno capire perché è stato fatto. Questo vale anche per un
mio film, così comprendo quello che più profondamente ho voluto dire. L’emozione non
è solo direttamente provocata da una situazione, da una storia, dai personaggi. Spesso è
molto legata a chi ha fatto il film. Intuire che
cosa ispirato quel regista è per me di stimolo,
mi trasmette vitalità.
Quali sono i film che non le piacciono?
Sono quelli che uccidono la vitalità. I film che
amo incrementano la mia energia creativa,
mi fanno venir voglia di fare cinema. Quando
Un primo piano
del regista
Bernardo Bertolucci
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cultura
left.it
L’ASSEDIO
1998, tratto
da un racconto
di James Lasdun.
Nella foto l’attrice
Thandie Newton
ULTIMO TANGO
A PARIGI
1972, i due
protagonisti:
Marlon Brando
e Maria Schneider
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PICCOLO BUDDHA
1993, tratto
dall’omonimo romanzo
di Gordon McGill
20 luglio 2013
left
cultura
left.it
Niccolò Ammaniti mi dette il libro che aveva pubblicato con Einaudi, Io e te, l’ho letto e
tre ore dopo sapevo che quello era il film che
avrei voluto fare. Altre volte c’è voluto molto
tempo. Come nel caso de L’ultimo imperatore. Volevo girare un film tratto da quel bellissimo romanzo di Malraux, La condition umaine, che si svolge a Shanghai nel 1927. Ma a
quel tempo, era il 1984, i cinesi non erano
pronti ad accettarlo. L’ultimo imperatore era
l’altra mia proposta e loro l’hanno preferita.
Solo dopo che il film ha ricevuto tanti Oscar,
i cinesi mi hanno proposto di tornare per realizzare La condition umaine. Io però di fare
un altro supercolosso in Cina dopo che ci
avevo passato un anno intero non me la sono
sentita. Così sono passato prima dal Sahara,
dove ho girato Il tè nel deserto e poi dall’India, dal Nepal, dal Buthan, in un mio viaggio
di scoperta del buddismo tibetano.
Come è nata questa sua ricerca?
È iniziata così: “Voi pensate che Dio abbia
creato l’uomo e basate la vostra religione su
questo. Noi buddisti tibetani pensiamo che è
l’uomo che ha creato Dio.” Coinvolgermi in
una scoperta così emozionante mi ha portato
al film Piccolo Buddha. Li vedo ancora questi
monaci buddisti, scesi a valle, in fuga dal Tibet, in qualche monastero che hanno creato
in India mentre discutono di logica. Uno è
seduto e l’altro è in piedi, quello seduto dice:
“Un bicchiere di acqua per un pesciolino è
una casa, per un uomo è una bevanda. Chi
ha ragione, il pesciolino o l’uomo?” E l’altro
risponde: “Non ho mai sentito di una causa
tra un pesciolino e un uomo”. E dicendolo si
accompagna con un gesto (Bertolucci batte
le mani, ndr): Tac.
Lei ha detto che vale un solo principio:
cercare sempre la bellezza.
La bellezza, certo, se contiene anche altro. La
bellezza può essere qualcosa di estremamente semplice. Ti sorprende e ti dà un godimento quasi totale. La bellezza è la poesia.
E come si può ancora dare alla poesia una
possibilità di esistere?
Quella non sarà mai possibile estirparla, ci
hanno provato ma non ci sono mai riusciti.
Anche perché quando arriva la poesia, il potere non è così attento e sospettoso, perché
left 20 luglio 2013
La poesia, spesso, è stata la scintilla
di qualcosa di rivoluzionario
le dà poco valore, mentre la poesia a volte è
stata rivoluzionaria, spesso è stata la scintilla
di qualcosa. La poesia era parte del paesaggio quotidiano in cui vivevo. Quando a mio
padre piaceva qualcosa diceva sempre, “vedi
com’è poetico?”. E poi mi ritrovo con la Morante, Moravia, Pasolini - avrò avuto diciotto, diciannove anni - e anche lì sento usare
sempre questa parola, poetico e non poetico.
Che poi ognuno la riempie con i significati
suoi. Perché ecco vede, in questo momento,
in questa stanza...
La cosa che colpisce di più vedendo i suoi
film è la libertà di rappresentare. Come
ci è arrivato?
Mi faccia un esempio.
Penso a Ultimo tango a Parigi e alla potenza di rappresentazione del rapporto
fra uomo e donna ma anche alla messa
in scena della dinamica emotiva del ’68 in
The dreamers. In tutti i film dove prevale
una componente intima c’è questa libertà
nella rappresentazione che non si trova
da nessun’altra parte. Sembra una sua dimensione personale.
Per fortuna il mio personale riesco a trasmetterlo ai miei attori che poi se lo rielaborano.
Quando lei parla di libertà, si riferisce, credo,
al tentativo che faccio sempre di ascoltare
le mie pulsazioni e di essergli fedele. Questo
un pochino viene dalla storia con mio padre che era ipocondriaco. Quando eravamo
bambini, Giuseppe e io, lui era sempre preoccupato per noi. Ogni volta che in campagna ci si sbucciava un ginocchio lui diventava cupissimo. Dopo, e avevo già trent’anni,
capii e gli parlai del suo continuo allarme,
quando immaginava, se non eravamo ancora rientrati la notte, che fossimo morti in un
incidente: “Guarda babbo che sei tu che mi
uccidi in quella fantasia dove dici che io mi
sarei fatto male, forse molto male. Sei tu che
ci metti questa cosa”. Mio padre era mite ma
ipocondriaco e aveva una continua paura di
morire proiettandola anche sui suoi figli. A
vent’anni, o forse ventuno, sono riuscito, non
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IO E TE
2012, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti.
Nella foto i giovani attori Jacopo Olmo Antinori e Tea Falco
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THE DREAMERS
2003, basato su un racconto di Gilbert Adair
The holy innocents. Nella foto i protagonisti
Michael Pitt, Eva Green e Louis Garrel
20 luglio 2013
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LE PERLE DI VENEZIA CLASSICI
L’attrice Claudia Cardinale sarà testimonial
di “Venezia classici”, la sezione dedicata ai
restauri e ai documentari sul cinema della
70esima Mostra internazionale d’arte cinematografica, in programma a Venezia dal
28 agosto al 7 settembre 2013. Bella novità
introdotta durante la passata edizione, la sezione “Venezia classici” ospita una selezione
dei migliori restauri di pellicole del passato,
facendo anche un interessante lavoro di riscoperta di opere di valore dimenticate o
che, all’epoca in cui furono realizzate e presentate al pubblico, non ebbero il successo
che meritavano. Più in generale questa sezione vuole dare risalto ai film restaurati da
cineteche, istituzioni culturali e produzioni di
tutto il mondo durante l’ultimo anno. Ma va
sottolineato anche che, in un momento in cui
i tagli ai finanziamenti pubblici hanno messo
in ginocchio molti archivi e cineteche pubbliche in Italia, “Venezia classici” offre una finestra particolarmente preziosa per valorizzare
e far conoscere alle generazioni più giovani i
so come, a fare dei film, e per questo sono
dovuto uscire dal teatrino familiare. E stato
come rompere il bozzolo. Pensi che quando
ho girato il mio primo film, La commare secca abitavo in via Carini con i miei genitori
e dormivo ancora nella stanza mia e di mio
fratello. Uscivo alle sette del mattino come
un ventunenne che va all’università e invece
andavo sul set. E andare sul set era entrare
tutti i giorni in una specie di trance. Perché
non riuscivo a capire come e perché ero riuscito a mettere su un film, e allo stesso tempo
lo capivo fin troppo bene e tutto questo mi
guidava nel farlo. Poi la sera tornavo a casa e
in genere cenavo coi miei e mio fratello e poi
andavo a dormire
Le cose cambiarono con il secondo film?
Con Prima della rivoluzione, che si svolgeva interamente a Parma, questa specie di
“effetto studente” si è un po’ perso. Avevo
una mia autonomia più forte. Ma ho dovuto
anche lì confrontarmi con la città che mio
padre aveva mitizzato. È la storia di un giovane comunista, borghese però, che cerca
una sua esperienza iniziatica d’amore incestuosa con la sorella di sua madre, ovvero
la zia, più grande di lui. E però alla fine del
film lascia tutto, torna dentro le regole della
sua classe e si sposa con una bella ragazza di
Parma, borghese, e tutto va come era scritto
left 20 luglio 2013
film italiani che hanno fatto la storia. All’attrice
Claudia Cardinale, dunque, è affidato un compito importante incontrando il pubblico del festival veneziano alla proiezione di un capolavoro
come Vaghe stelle dell’Orsa di Luchino Visconti
(Italia, 1965, 105’): film Leone d’oro della 30esima Mostra di Venezia di cui la Cardinale era
protagonista e restaurato dalla Sony pictures
entertainment. Vaghe stelle dell’Orsa è uno dei
quattro classici restaurati quest’anno grazie alle
preziose copie d’epoca conservate dall’Archivio storico delle arti contemporanee (Asac) della
Biennale di Venezia.
Claudia Cardinale
nel fim Vaghe stelle
dell’Orsa di Luchino
Visconti
Tendo a vivere le storie che racconto. In certo
modo mi innamoro dei miei personaggi
che andasse. Era un film in parte autobiografico ma anche scaramantico! Era quello
che avrebbe potuto succedere a me se fossi
rimasto a Parma. E in effetti anch’io avevo
una storia con la protagonista del film che
era Adriana Asti. Tendo sempre molto a vivere le storie che racconto. Quando filmo devo
in qualche modo essere innamorato dei miei
protagonisti.
C’è un legame sottile tra Ultimo tango
a Parigi, L’Assedio e Io e te. Lo spazio
chiuso torna a esserle congeniale. Come
a dire che questi sono di nuovo tempi in
cui starsene protetti in un rapporto duale, voltando le spalle a tutto il resto? O
è possibile ancora uscire a cercare prospettive fuori, nella realtà? Di questo
dentro-fuori mi interessa sapere da lei.
In sceneggiatura si scrive: Casa di Lorenzo
- Interno. Giorno. Poi si scrive: Via Lima Esterno. Alba. E poi ci sono le scene che sono
Esterno/Interno o Interno/Esterno, che cominciano in un dentro e finiscono in un fuori.
Sono le più emozionanti, quando da dentro un
luogo chiuso e molto intimo, senza staccare,
si esce fuori nella luce dell’alba.
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cultura
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left.it
20 luglio 2013
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cultura
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Il sogno
di un’Italia diversa
di Andrea Ranieri
La lungimiranza di Adriano Olivetti e la sua idea di una industrializzazione
dal volto umano. Nel libro Avevamo la luna, Michele Mezza torna
ad analizzare un passaggio chiave della nostra storia
M
ichele Mezza nel suo libro Avevamo la
luna (Donzelli) ci racconta l’Italia negli anni dal 1962 al ’64, con qualche prima e qualche dopo, quando avevamo a portata
di mano la luna e l’abbiamo persa. Mattei all’Eni,
a provare a fare dell’Italia il referente fondamentale della decolonizzazione del Nord Africa
e per questa via acquisire l’autonomia dalle 7
sorelle che dominavano il mercato del petrolio;
un ruolo di assoluta eccellenza nella ricerca di
base e nelle sue applicazioni all’industria e una
sinistra che nelle sue personalità più dinamiche
e aperte, fra tutti Bruno Trentin e Vittorio Foa,
cominciava a fare i conti con la modernità del
neo capitalismo. E soprattutto Adriano Olivetti
e Ivrea, dove l’Italia si trovava a portata di mano,
prima di tutti gli altri Paesi, il prototipo del personal computer, la Programma 101, l’oggetto
che cambierà i modi di produrre e di vivere nel
tempo presente. E come e perché tutto questo
finì. Per raccontare la storia Mezza usa la rete, in
un libro in cui la carta permette continui rimandi attraverso l’iPad, a quello che la rete mette a
disposizione. Cogliendo correlazioni fra i grandi
eventi e il contesto sociale e culturale. La storia
di quegli anni ci appare allora non come un passato irrimediabile, ma come un campo aperto di
possibilità, la cui comprensione può aprire un
campo di possibilità al nostro presente. È andata così ma poteva andare diversamente.
Quegli anni gloriosi finirono male. Il tintinnare
di sciabole di un colpo di Stato alle porte che
mise fine alla fase propulsiva del centrosinistra,
la vendita della divisione elettronica della Olivetti alla General electric. Un po’ prima la morte
procurata di Enrico Mattei. E quella fine, i nodi
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irrisolti di quel periodo, pesano ancora. Di quei
nodi ne affronterò uno. Il mancato incontro, di
cui Michele si rammarica, fra Bruno Trentin e la
sinistra del Pci e del sindacato, e Adriano Olivetti, e le possibilità che l’elettronica stava per aprire ai nostri modi di produrre e di vivere, e alla
stessa possibile liberazione del lavoro. Mezza,
con l’aiuto di Franco Ferrarotti (che fu un protagonista dell’azione sociale e politica di Olivetti)
sottolinea la modernità di Olivetti e la sua idea
di comunità, di democrazia diretta, in un mondo che progressivamente sembrava poter fare a
meno dei “capistazione” dello sviluppo storico.
Della sua anticipazione della cultura della rete
anche quando il web non era ancora disponibile.
Ma c’è un punto che mi pare resti in ombra sia
in Mezza che in Ferrarotti. Che l’organizzazione del lavoro delle Olivetti, il modo con cui venivano costruiti quegli stessi era pienamente
fordista Se è vero che la Fiat fu avversario della Olivetti e Visentini fu decisivo nella vendita
della divisione elettronica, è indubbio che Fiat
e Olivetti furono gli attori principali nell’introduzione in Italia dell’organizzazione scientifica
del lavoro, della cultura della grande fabbrica contro la maggioranza degli industriali del
Nordovest, legati a modi di produzione ancora
semi artigianale e che addirittura teorizzavano
l’impossibilità per l’Italia di dotarsi di un apparato industriale di grandi dimensioni. La rete,
l’orizzontalità che Olivetti voleva dispiegare
dalla fabbrica al territorio non esisteva nelle
sue fabbriche, organizzate secondo i dettami
del taylorismo. Certo, e non è cosa da poco,
con gli asili nido, e gli assistenti sociali, e gli
psicologi del lavoro. Ma la contraddizione fra
l’agire sociale di Olivetti - nel Canavese e fuori
Un poster
dedicato a Olivetti
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cultura
© LUIGI COSENZA
© PUBLIFOTO/LAPRESSE
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Era italiano il primo prototipo del personal
computer: la Perottina, o Programma 101
In alto da sinistra
in senso orario:
scalone del palazzo
Olivetti a Ivrea;
Adriano Olivetti visita
una sua fabbrica
il 28 febbraio 1960;
lo stabilimento Olivetti
di Pozzuoli
in una foto d’epoca
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del Canavese, a Matera, nei paesi fra Abruzzo
e Molise - e l’organizzazione verticale della fabbrica era forte e visibile. Tanto è vero che furono due olivettiani come Ottiero Ottieri e Paolo
Volponi a darci con Donnarumma all’assalto
e il Memoriale, i due romanzi di fabbrica più
potenti di quegli anni. Sull’alienazione e sull’irriducibilità dell’umano dentro l’organizzazione
fordista della produzione, anche quando la fabbrica era bella, colorata, bene illuminata, e il
padrone aveva a cuore la tua salute. È poi parte della grandezza di Olivetti il fatto che proponesse a Ottieri, addetto ai test di assunzione
nella fabbrica di Pozzuoli e ormai in fuga dalla
fabbrica, di diventare direttore del personale,
forse per provare a fare i conti e a risolvere
le contraddizioni laceranti fra macchinismo
e Meridione, e più in generale fra fordismo e
umanità, che nel suo libro denunciava.
Trentin partiva dagli operai. Dagli operai piuttosto che dalla “classe”. Aveva letto anche lui,
come Olivetti, Mounier e Maritain, ma pensava
che la fabbrica fosse il primo terreno in cui si
giocava la libertà e la possibilità di conoscenza
delle persone. E che senza provare a costruire
libertà lì dentro era poi difficile che il maggior
benessere, le più grandi possibilità di accesso
ai consumi, rendessero più libere le persone.
E che le stesse possibilità di liberazione conte-
nute nei nuovi prodotti, e i gradi di libertà delle
nuove figure sociali che le usano per consumare, per lavorare, per vivere, dipendesse anche
dalla libertà e dall’autonomia che eravamo in
grado di costruire là dove queste cose si producevano. Anche dentro il fordismo.
Mi sembra anche oggi un’indicazione importante. Per non sorprenderci ogni volta quando
scopriamo dietro il luccicare dei consumi e la
stessa potenza conoscitiva che ci mette a disposizione la tecnologia la miseria e la brutalità
di un fordismo senza welfare, senza consumi
e senza conoscenza là dove le mani delle operaie e degli operai danno forma e materia agli
oggetti del nostro consumo e ai supporti materiali della nostra potenza cognitiva. Perché oggi
come ieri, ce lo dice Manuel Castells che è per
Mezza e per me un riferimento fondamentale,
«il potere delle tecnologie è spesso piegato alle
tecnologie del potere». L’orizzontalità e la socialità che le tecnologie mettono a disposizione
è continuamente contraddetta dalla verticalità
della gerarchia e del comando, che antepone
sempre il controllo all’innovazione e allo sviluppo. La logica del potere che ebbe la meglio
contro Olivetti, Mattei, e gli altri eroi del biennio glorioso, è la stessa che rischia oggi di precludere le possibilità di liberazione e di autonomia che lo sviluppo scientifico e tecnologico
mette a disposizione delle persone. Di questo
conflitto, la conquista della dignità del lavorare e del vivere degli operai delle fabbriche, in
Italia e nel mondo, è ancora parte importante.
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cultura
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L’attualità di Olivetti
innovatore e umanista
di Simona Maggiorelli
Modernizzazione, movimenti, scienza e letteratura. Le Edizioni
di Comunità rilanciano i temi dell’imprenditore di Ivrea
I
n otto mesi le Edizioni di Comunità hanno
venduto più di 40mila copie dei primi titoli di
Adriano Olivetti usciti nella agile collana Humana Civitas. Grazie all’iniziativa di Beniamino de’
Liguori Carino (nipote dell’industriale di Ivrea)
che ha recuperato il glorioso marchio e ha messo in piedi una rete di collaboratori che, tra l’altro, gestiscono con adesione quasi militante il
rapporto diretto con 150 librerie indipendenti e
con molte associazioni. «Per quanto sia una mia
impresa indipendente - racconta il giovane editore - il progetto si lega all’attività della Fondazione che dal ’62 porta avanti l’eredità olivettiana e al lavoro di BeccoGiallo (brand del fumetto civile) che condivide l’idea che il pensiero di
Olivetti sia attuale soprattutto per la generazione dei 30/40enni, parlando d’innovazione, di tecnologia e di un nuovo modo di fare impresa senza perdere di vista l’umano». L’importanza del
sapere tecnico non scisso da quello umanistico,
la riflessione sui movimenti e un certo ambientalismo sono alcuni dei temi olivettiani che le Edizioni di Comunità hanno riportato in primo piano pubblicando titoli come Democrazia senza
partiti, Il cammino della comunità e Ai lavoratori, con prefazioni autorevoli firmate da Rodotà, Settis e Gallino. «Con questi primi libri e gli altri in arrivo vogliamo raccontare aspetti salienti
della vicenda olivettiana con un linguaggio nuovo, più contemporaneo e accessibile, anche fuori delle accademie. Abbiamo cercato di spogliarlo di quella mitologia con cui è stata neutralizzata la sua modernità», sottolinea de’ Liguori. Quali sono oggi gli elementi più vivi e vitali del pensiero di Olivetti? «Sono quelli che mi hanno portato a impegnarmi nella ripubblicazione anzitutto dei suoi scritti: la sua idea di una possibile giustizia sociale, la sua idea di sviluppo e di crescita che allora si concretizzava nella fabbrica e che
oggi forse si realizza di più nelle opportunità offerte dalla tecnologia se finalizzata al potenziamento dell’umano». E su un piano più personale? «L’essere riuscito a isolare gli aspetti univer-
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sali del pensiero di Olivetti mi ha permesso di superare il rapporto parentale e il peso che ha avuto una personalità così forte sulla mia formazione. Mi interessa il valore civile del suo pensiero.
Quella di Adriano Olivetti in fondo è l’Italia come
avrebbe potuto essere. E la sua voce risulta oggi
più chiara di 50 anni fa e più in linea con i tempi».
Fra le questioni che Olivetti in qualche modo aveva preconizzato c’è anche il ruolo dei movimenti
alternativi al modello del partito “novello principe”. «Sì, per questo abbiamo pubblicato quel testo del ’49 Democrazia senza partiti che non è
un elogio dell’antipolitica. Olivetti parlava di comunità come organizzazione sociale locale che
trovava poi rappresentazione politica in un coordinamento a livello nazionale». Un’idea di comunità, la sua, che per quanto avesse accenti religiosi, quanto meno non idealizzava l’antico e l’Italia povera, ignorante, preindustriale osannata da
Pasolini. «La grandezza di Olivetti e la sua originalità - commenta de’ Liguori - risiede proprio nel
fatto che la sua filosofia sociale si legava a un’idea
di modernizzazione industriale. Non dobbiamo
dimenticarci che Olivetti era soprattutto un imprenditore che aveva saputo fare dell’azienda
che aveva ereditato un’impresa fra le più avanzate a livello internazionale in termini di qualità del
prodotto, di tecnologie di reti commerciali». E i
rapporti che Adriano Olivetti aveva con gli intellettuali? «Fortini, Volponi e altri erano stati chiamati ad Ivrea non per fare il menestrello del principe ma per ricoprire ruoli aziendali importanti.
Le scienze per lui erano uno strumento dell’intelletto al pari delle discipline umanistiche. Vedeva
il sapere tecnico come strumento di emancipazione». Questo sottintendeva una visione “complessa” dell’umano, che lo portava a non considerare solo i bisogni materiali degli operai? «Era
la cifra che lo distingueva, alla fine degli anni 50
Olivetti riusciva a mettere in relazione ciò che si
sta facendo nel laboratorio di Ivrea con una certa idea di persona, profonda, empatica. Tutto era
collegato e pensato con un fine umanistico».
Le copertine
dei primi volumi
pubblicati da
Le Edizioni di
Comunità e un ritratto
dell’editore Beniamino
de’ Liguori
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trasformazione
Massimo Fagioli, psichiatra
Sono quattro le parole del linguaggio
melodia, armonia, ritmo, canto
RITMO
esso si perde nella melodia
O
rmai, seppur tardivo, il cambiamento dell’atmosfera, del vento e dei raggi del sole c’è stato. Ma ora i termini verbali chiamano il pensiero: ciò che c’era non c’è più, tutto è diverso.
Con la parola nascosta che, nella voce suona come tempo, scrissi: Anni e settimane. Pensavo, suppongo, ai tanti giri che la terra ha fatto intorno al sole ed a quel piccolo segmento, contato con il tempo di sette giorni, ognuno
contato con ventiquattro ore.
Ma, subito, vedo che le parole “piccolo segmento” non
hanno identità. Non c’è, infatti, nessuna interruzione della linea continua non segnata dal movimento della terra
intorno al sole in cui il punto, che dovrebbe essere il luogo
nello spazio, nel momento in cui esiste, non esiste. È in un
altro luogo che, a sua volta, c’è per non esistere.
È un continuo essere per sparire o, forse, spostarsi in
altro spazio che è un non esserci mai. E non è cambiamento. Ciò che la coscienza umana ha chiamato “punto”
è sempre lo stesso. E non è una realtà materiale immobile
come il diamante.
È una parola che dice di un pensiero che tenta di conoscere la realtà non materiale. E riporta allo spazio ciò che
è soltanto movimento. E muoiono i termini verbali che dicono spostamento nello spazio, perché la terra intorno al
sole segue sempre la stessa ellissi.
E lo spazio intorno al sistema solare, dicono, è infinito. Non c’è possibilità di misura, ovvero non è conoscibile dalla mente cosciente, che ha la linea per delimitare gli
spazi ed il numero per definire “spazi” di tempo.
Guardo la figura che è il ricordo di un essere umano che
resta immobile per ore perché dorme. Sembra che la realtà biologica abbia perso il movimento. E tutti hanno sempre detto che anche la realtà mentale, nel sonno, è perduta. Ed ho detto sempre che la ragione non conosce le parole modificazione del pensiero. Giustamente pensa che
la realtà materiale umana non è modificabile. Sa che si disfa dopo la morte ed ha pensato che sia così nel sonno anche per la realtà mentale.
Modificazione. Le prossime settimane appaiono
uguali a quelle precedenti ma, in verità, sono diverse.
Guardo lunedì, martedì, mercoledì, giovedì che verranno e non vedo l’uomo che, sotto il sole cocente, cammina verso il rione Trastevere. Resto a prendere il sole in terrazza perché mi farà affrontare meglio il prossimo inverno freddo con l’umidità che entra nelle ossa.
Nel calendario le settimane sono scritte uguali l’una
all’altra, cambia soltanto il colore. Per sei settimane il colore rimane sempre lo stesso. Non c’è più quella variazione che, ogni settimana distingue i primi quattro giorni dai
successivi tre che sono di colore diverso.
Sei settimane in cui tutti i giorni sono segnati uguali. E,
anche se il ricordo cosciente mi dice che sono colorati, è
come se non avessero colore. Mi guardo allo specchio e
non vedo più la copertina del libro L’uomo nel cortile, non
vedo più l’uomo che cammina seguendo con i piedi le linee delle rotaie del tram 8.
Guardo la pagina otto del calendario: è agosto. La figura
di un profilo nettamente maschile occupa tutto il foglio.
La disegnai nel 1999 prima che una malattia ai polmoni
mettesse a rischio la vita. Ed ora ho vinto, di nuovo, la terza partita con la morte.
Non vedo... non vedo. E non c’è assenza, non c’è vuoto.
Il ricordo cosciente si è ricreato nella memoria del 16 dicembre 1995 quando feci un altro profilo maschile. Tre anni e mezzo dopo lo disegnai, sembra simile ma non uguale. Penso che la mano fece un movimento diverso perché
l’immagine del mio volto, che avevo visto allo specchio ad
otto mesi riconoscendomi, era diversa.
Left. Hanno detto che, nelle righe della quarta colonna
che emergevano dal fondo giallo della pagina c’era la melodia. Ed il termine strano in una seduta di psicoterapia volò lentamente, ondeggiando, sul piano di legno che restava sempre libero sotto il microfono che riceveva la voce
che interpretava i sogni. L’altoparlante, poi, la diffondeva.
Vidi che la parola “melodia” si era posta, seduta accanto alla parola: “armonia” che era l’aria che riempiva i 450
e vorrei poter modificare il luogo delle parole
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mc dello studio di psicoterapia. Aveva la testa appoggiata
sulle ginocchia che, piegate, premevano nel petto. Il volto
si era reso invisibile coperto dai capelli neri, lisci e fluenti. E la parola, diventata pensiero mosse la poltroncina su
se stessa e lo sguardo disegnò i tre quarti del cerchio la cui
circonferenza tagliava, con una linea curva, il cortile.
Vedevo le persone che mi stavano di fronte per le quarantasei settimane dell’anno, come due grandi ali. Poi vedo l’uomo scomparso uscire nella strada e salire le scale per entrare nella casa che è tutta aperta allo sguardo
esterno e sembra che non esista.
Lo vedo scrivere seduto in mezzo alle piante e mi domando se è il ritorno dell’uomo che, girando la testa a destra ed
a sinistra come per dire: no, parlava al microfono interpretando i sogni. E vengono le parole: diverso, altro, nuovo.
Guardo il verde uniforme delle prossime sei settimane
in cui non camminerò accanto alla linea che non c’è, lungo le quattro rotaie del tram 8. E l’immagine che compare
nella mente, che dovrebbe essere ricordo, non c’è più. Dimenticare, annullare. Penso che non c’è più la parola ritmo: quattro-tre.
Torna la coscienza di se stessi e vedo il corpo che, seduto, ha una mano che scrive. Ma l’incertezza aumenta nella
sua intensità e non so se, questa capacità di fare immagine di se stessi, è ricordo, memoria o ricreazione, con una
immagine totalmente diversa, dell’uomo di prima.
Prepotenti, quasi violenti, tornano i due termini:
venti secondi. Spingono la mente a creare pensieri sul
profondo del mare della conoscenza. Ed il quesito della
Sfinge non è soltanto esistenza o non esistenza, ma come
l’esistenza può diventare non esistenza e la non esistenza
può diventar esistenza.
E pochi hanno compreso il pensiero di una differenziazione della specie umana dalle altre. Hanno sempre pensato alla parola creatività. Una non esistenza che è diventata esistenza. Ed hanno pensato ad un potere “magico” di
far esistere ciò che prima non c’era.
La mente umana ha sempre pensato alle parole modificazione, cambiamento delle realtà della natura non umana. Ma di fronte alle alterazioni del pensiero cosciente si è
sempre ritirata nel guscio dell’indifferenza che, in verità,
era anaffettività.
Dissi che l’inizio della vita umana era: fantasia di sparizione e memoria-fantasia dell’esperienza biologica avuta
nell’utero materno. Dissi: trasformazione. Poi vidi le parole diventare nuove: movimento, suono, tempo, pulsione e venne il tormento sul termine: tempo. E pensai che,
tra il primo istante in cui ho collocato le prime quattro parole e la memoria-fantasia, c’è un tempo.
La poesia è il regno
non discusso del tempo.
Se penso “ritmo”,
stupidamente penso
al battito cardiaco.
C’è prima
ed è realtà biologica,
ma è dopo
che la capacità
di immaginare
ricrea, nella poesia, il suono
Nella struttura spazio-temporale della seduta
di psicoterapia di gruppo, la voce di chi descrive le immagini del proprio sogno, oltre a fare le onde sonore
che muovono il timpano, entra nel corpo come tanti
punti neri che stimolano la secrezione di melanina che
fa diventare la pelle scura.
Come fosse la luce del sole le voci hanno, in se stesse, il bene ed il male dei raggi rossi e violetti che, se diventano violenti, fanno diventare il grazioso neo nel
melanoma, in cui una forza maligna deteriora la cellula che diventa cancro incurabile, la fredda pazzia.
È la violenza del “non”, di ciò che non c’è, che rende
non esistente la vitalità che esiste. Ed il mistero grandissimo sta nel fatto che non è credere di annullare, ma
fa sparire realmente la realtà non materiale della vitalità e della capacità biologica di reagire. A tre anni ½ vidi
che mia madre era incinta. Sapevo che non era amore.
Rispondo con la voce che rende suono la vitalità nascosta nel sangue e la rende vita umana che ha la capacità di immaginare. Ed il suono che è parlare, respingendo con forza la negazione, giunge nelle immagini
della mente e dice la verità del rapporto interumano.
La realtà non materiale non è più inconoscibile ed il respiro dei tanti fa calda l’atmosfera.
...la parola ricreata può dare vita alla mente senza ragione...
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scienza
Uno sguardo
attraverso il tempo
di Ugo Tonietti
La caverna incantata: dimenticare Platone e studiare l’uomo negli atelier
della preistoria. Per una nuova antropologia, libera dal dogma religioso
L’
Arte rupestre.
Jabbarem, Algeria
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immagine è affascinante: quell’osso
sagomato lanciato dall’arguto scimmione si staglia nel cielo saettando e,
dopo qualche giravolta che riassume alcuni
milioni di anni, si ripresenta, accompagnato
dalle amabili note di valzer, trasformato in
astronave. È l’incipit di 2001 odissea nello
spazio, capolavoro di Kubrick, ma è la sintesi di un pensiero sulla nostra origine che
nasconde molte insidie. Il motivo è semplice: quell’osso è stato prima usato come arma
(contro una scimmia rivale, più stupida ché
non ha pensato a servirsene) da un utilizzatore uscito dall’“animalità” grazie all’influsso,
misterioso, di un monolite nero venuto dal
nulla (dio?). Cosa c’è di laico in un pensiero che ci ricorda, ancora una volta, la nostra
nascita violenta, frutto di un intervento totalmente estraneo all’ambiente naturale?
È dunque l’ora di ricostruire, dopo Darwin, un
racconto delle origini capace di fondare una
diversa antropologia non condizionata da ideologie millenarie che vogliono l’umanità cattiva, o peccatrice, o malata (a secondo di come
si declina lo stesso mito condiviso).
Non si è spenta l’eco del libro di J. Diamond
Il mondo fino a ieri (Einaudi) che ha irritato
l’Avvenire (ma anche gli aborigeni), né del dibattito innescato da Tattersall sulla prerogativa umana della simbolizzazione, ed è il caso di
chiedersi: ma come è andata veramente?
Nostre guide preziose gli archeologi che stanno accumulando conoscenze solidissime
sull’umanità degli albori scavando nei difficili
cunicoli, fisici e interpretativi, del paleolitico. Risale a una decina di anni fa la scoperta,
inattesa, della grotta di Blombos (Sudafrica)
ove, intorno agli 80mila anni fa (Pievani, left
20 luglio 2013
left
© MAGNUS HAALAND
n. 34/12), un gruppo di stravaganti nostri progenitori si dedicò con passione al mestiere
d’artista, creando una vera e propria “bottega”
le cui tracce sono evidenti nei ritrovamenti
di conchiglie e pietre modellate allo scopo di
mescolarvi i colori. Accanto a esse, insieme a
numerose collane, un misterioso blocco d’ocra
rossa inciso e decorato con linee inclinate e
incidenti. Il subbuglio è stato grande perché
quella che è stata chiamata “rivoluzione paleolitica”, cioè l’esplosione quasi simultanea di
manifestazioni d’arte, aveva una collocazione
precisa nel tempo, intorno ai 40mila anni fa,
e geografica, nella regione franco-cantabrica.
Chi non conserva ancora quel sentimento incredulo di meraviglia per le immagini potenti
e delicate delle grotte di Chauvet, di Lescaux,
di Altamira? Ma ora si deve ricollocare questa
espressione di fantasia al Paleolitico medio,
e riconoscere per intero la centralità africana: tutti noi siamo figli di un piccolo gruppo
tribale che dall’Africa si è espanso in tutto il
mondo riempiendolo poi di immagini, sculture
e musica. Ricordiamo quanto sia singolare la
vicenda che fa del “sapiens” un individuo assolutamente “nuovo” rispetto ai cugini del genere “homo”; questi si occupano per quasi tre milioni di anni di perfezionare utensili necessari
alla sopravvivenza (marxianamente verrebbe
da dire), modificando progressivamente il proprio assetto anatomico, ma non si hanno manifestazioni di gesti inutili di creatività artistica
fin tanto che non si affaccia sul pianeta questo
personaggio originale, il “sapiens”.
Dobbiamo avere il coraggio di riconoscere il
fatto certo che, con la nuova specie, e, forse,
dopo un periodo più o meno lungo di “latenza”, compare, incontenibile, una capacità
espressiva, fatta di immagini e suoni - commoventi i numerosi flauti ricavati in ossa d’uccello tutti coevi della rivoluzione paleolitica
europea - che caratterizza, in modo univoco,
la specie detta “umana”. Vi pare poco? Sembra
proprio che abbai ragione Shakespeare, che
siamo fatti sul serio «della stessa sostanza dei
sogni». Ma questa non è solo una facile battuta, bensì risponde al dilemma antropologico,
o filosofico, nel quale l’umanità si è dibattuta
per millenni e dal quale dobbiamo ripartire
se vogliamo capire qualcosa di noi, oggi. Ci
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aiuta, in questo tentativo di ricostruzione di
un’identità, proprio la lunga storia dei nostri
antenati, che hanno passato decine di migliaia
d’anni impegnati nella pittura, nella scultura,
nel canto. Solo recentemente, detto in termini evolutivi, abbiamo conquistato padronanza
linguistica e scrittura. E dispiace contraddire
il laico Tattersall con la sua idea che a determinare il “salto improvviso” nel processo di
individuazione dell’umanità possa essere stato il linguaggio. Affermazione tautologica o illogica, perché sembra evidente che si parla se
si ha qualcosa da esprimere, ma allora l’uomo
nuovo c’è già - grazie a uno stimolo naturale
Nuovi studi parlano di nascita laica
dell’umano. E l’Avvenire lancia strali
generatore della trasformazione che produce il pensiero (Fagioli) - , perché ci sono già
immagini, affetti e sensibilità (altrimenti è la
solita storia della tavoletta di cera che viene
plasmata da uno spirito o da una ratio trascendenti). Forse l’esplosione del linguaggio è
ciò che “scatena” la produzione di massa delle
arti e degli scambi, ma se è così siamo su un
piano assolutamente diverso.
Diventa allora seducente l’idea che l’ontogenesi ricapitoli la filogenesi poiché si rileggerebbero tutte le tappe dell’evoluzione del
bambino fino alla pubertà, proprio come oggi
le conoscenze sulla dinamica della nascita ci
hanno illustrato, attraverso le manifestazioni
delle donne e degli uomini preistorici. Cancellare questa stagione magnifica dell’umanità, quando, ragionevolmente, sono state le
donne a prendere nelle loro mani, insieme
con la prole, tutto l’insieme delle espressioni irrazionali che fecero, nel caldo buio della
caverna, le arti visive e il canto, non è solo
un misfatto scientifico: è cancellare di colpo
la stagione lunga e creativa che precede la
parola, stagione che la maggior parte delle ricostruzioni definisce ancora non aggressiva,
ma significa sacrificare il bambino e l’artista
sull’altare del logos, sacrificare il pensiero
del sonno, restare in fondo convinti che non
siamo altro che scimmioni che hanno solo
imparato a fare meglio la guerra.
Un esempio
di flauto preistorico.
In alto, uno spicchio
di panorama algerino
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puntocritico
cultura
ARTE di Simona Maggiorelli
Alla ricerca
di Alighiero
A
lighiero Boetti, uno, nessuno,
centomila. Artista imprendibile, sempre in fuga, dall’eredità accademica, dalle convenzioni normalizzanti, dal proprio passato familiare e borghese, ma anche dalla cultura europea
che gli sembrava ormai troppo asfittica e autocentrata. Per questo, dopo
esordi nell’ambito dell’Arte Povera a
Torino tra il 1966 e il 1968 e dopo alcuni viaggi a Parigi e a New York, Alighiero Boetti decise di prendere il largo,
puntando decisamente a Oriente. Come facevano, è vero, molti giovani della sua generazione negli anni Settanta.
Ma, invece di imbarcarsi in improbabili tour “alla ricerca di se stesso”, si cimentò in imprese originali e insolite:
come realizzare cartine che denunciavano le mappe del potere, ricamandole ad una ad una secondo antiche tecniche di tessitura afgane, oppure aprire un albergo in un quartiere popolare di Kabul. Si chiamava One hotel ed
era il luogo “segreto” in cui l’artista piemontese ospitava amici da ogni parte del mondo. Nelle vicende turbolente e dolorose che la capitale afgana ha
subìto nel corso di molte e sciagurate
occupazioni militari, russe e americane, si sono perse le tracce di quel luogo
diventato nei racconti quasi leggendario. Al punto da affascinare anche un
giovane artista nato in America Lati-
Alighiero Boetti, Oggi dodicesimo giorno... (1989)
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left.it
na e cresciuto in una tradizione culturale quanto mai lontana da quella
di Boetti. Classe 1975, originario di
Monclova in Messico, Mario Garcia
Torres è da sempre interessato allo studio dei processi creativi e alla
ricostruzione della genesi di opere
che hanno fatto la storia delle avanguardie del secolo scorso. Per questo si è messo sulle tracce di quel
singolare albergo, di cui restava solo una foto in bianco e nero della
facciata. Con piglio da detective intenzionato a ricostruire pagine di vita vissuta a partire da rari elementi
indiziari, Garcia Torres si è trasferito a sua volta in Afghanistan, continuando a far ricerche per più di otto
anni. Il suo lavoro è ora distillato in
un intenso filmato che si può vedere al Museo Madre di Napoli. Fino
al 30 settembre è il perno, il cuore
vivo e pulsante, della prima personale italiana di Mario Garcia Torres,
intitolata La lezione di Boetti ( alla
ricerca di One Hotel). In seguenze
lentissime, quanto poetiche, scorrono filmini anni Settanta, fotografie, frammenti d’epoca che ci raccontano di una Kabul che si poteva attraversare in bicicletta, dove
le donne non erano fantasmi, dove
i commerci e la vita quotidiana crescevano a pieno ritmo. Sono immagini registrate prima dell’invasione
sovietica del 1979 e che ci restituiscono qualcosa di quelle atmosfere
cittadine che probabilmente stregarono Alighiero Boetti quando arrivò nella capitale afgana. Era la primavera del 1971 quando l’artista torinese vi giunse per la prima volta.
Poi sarebbe tornato a settembre accompagnato dalla moglie Annemarie: «Nella sua valigia c’era una tela
di lino bianco su cui era disegnato
il planisfero mondiale e indicate le
forme e i colori delle bandiere nazionali secondo lo schema inventato nel Planisfero politico un paio di
anni prima», racconta Luca Cerizza nel libro Le mappe di Alighiero e
Boetti (Electa). E lungo quelle mappe del cuore, fra storia e fantasia, ha
saputo muoversi quasi per incanto
Mario Garcia Torres.
Marie Bovo, Cour intérieure, 23 février 2009
VIDEOARTE di s.m.
Un mare
di immagini
«V
oglio dita nuove per scrivere in un modo altro/Alte come gli alberi delle barche,/lunghe come il collo di una giraffa/per confezionare alla mia amata/un vestito di poesia». Così recitano alcuni versi di Nizar Kabbani che l’artista siriano Ammar Abd Rabbo ha scelto per accompagnare una selezione di sue opere fotografiche esposte al MAXXI, nell’ambito della mostra The sea is my land
(aperta fino al 29 settembre, catalogo
Feltrinelli) curata da Francesco Bonami e da Emanuela Mazzonis. Sono foto
accecanti di colori o in scabro bianco
e nero che raccontano momenti di vita
pubblica, le feste, la vivacità delle città
che si affacciano sul Mediterraneo, le
speranze e gli slanci delle recenti primavere arabe ma anche le tragedie, la
guerra e la distruzione. E anche quando le immagini che scorrono davanti ai
nostri occhi in questa collettiva romana sono terribilmente drammatiche lo
sguardo di Ammar Abd Rabbo attraverso l’obiettivo appare caldo, vibrante, partecipe, come se si posasse sulla
donna amata di cui parla il poeta. Come sensibili sono le sue dita che scattano fotografie dal linguaggio nuovo, poetico, quasi fossero pitture e non semplici istantanee di realtà. E un registro
lirico, denso di nostalgia è da sempre
la cifra stilistica e personale di Adrian
Paci, videoartista albanese che ha vissuto lungamente in Italia e che non poteva mancare da questa rassegna che
racconta il Mare nostrum e le culture
20 luglio 2013
left
cultura
left.it
LIBRI di Filippo La Porta
Dramma all’italiana
I
Un frame di un’opera di Adrian Paci
che lo abitano, attraverso l’opera di
ventidue artisti per lo più appartenenti alla generazione nata fra gli anni Sessanta e Settanta. Fra loro anche molte
artiste che mescolano linguaggi diversi, dalla fotografia, al video, all’installazione per rappresentare la dimensione interiore del viaggio, dello sradicamento, lo spaesamento come fa la tunisina Mouna Karray, giocando fra cronaca e memoria, mettendo al centro
dei frammenti di realtà che riescono
ad evocare interi mondi, che ci appaiono ormai sfumati e perduti. Racconta,
invece, la vertigine di guardare il cielo
dal centro di storici cortili Marie Bovo,
facendo incontrare fotografia, scultura e architettura in opere che si presentano come inaspettate finestre per
spiccare il volo verso il mare aperto.
Verso quel Mediterraneo che continua
ad essere solcato da imbarcazioni di
fortuna cariche di persone in fuga dalla miseria e da regimi oppressivi e che
nel lavoro di questi artisti appaiono come novelle zattere di Gericault che sfidano le correnti. E l’impossibile. Come
i lavoratori protagonisti del breve filmato di Yuri Ancarani che si cimentano con mestieri estremi al limite della
sopravvivenza. E ancora l’ombra della
guerra torna nelle immagini in bianco
e nero di Fouad Elkoury e nell’installazione, intima e toccante, di dieci fotografie firmata da Mladen Miljanovic.
Onde di speranza lasciano il posto alla
risacca della disperazione dei migranti
respinti. Il mosaico dei mille colori del
Mediterraneo di cui parlava Braudel
si riverbera nelle periferie cosmopolite di Parigi dove Mohamed Bourouissa ritrae gang giovanili in composizioni che evocano celebri quadri di Delacroix, trasformando scene di guerriglia urbana in arte.
left 20 luglio 2013
l mio paradiso è il deserto di Teresa Ciabatti (Rizzoli) è un
attacco alla famiglia che riunisce la violenza e il lirismo de
I pugni in tasca di Bellocchio e l’ultima grande commedia
all’italiana, C’eravamo tanto amati di Scola. Da una parte il
melodramma e dall’altra la satira sociale incline al grottesco.
Marta Bonifazi venera e odia il padre Attilio, re della monnezza e Ottavo re di Roma. Il fratello Pietro studia a Oxford. Lei
comincia a ingrassare, si autoemargina, poi incontra il candido Lorenzo, angelo/demone senza sesso, un ragazzino mite
ed educato che piace tanto anche alla madre Luisa. I personaggi hanno una caratterizzazione felice, che sembra appartenere a un’epoca letteraria pre-autofiction. Mi soffermo solo sul padre: bell’uomo, alto, asciutto, viso sempre abbronzato, gli occhi celesti che incutono soggezione, «due cristalli immobili
privi di profondità». La storia ha il ritmo di un vaudeville ma è mortifera. Non
svelerò dettagli e colpi di scena ma l’autrice affonda impietosamente nel torbido delle relazioni che si creano tra genitori, figli, parenti. Per certi versi uno
dei modelli impliciti della sua “cattiveria” sociologica è Walter Siti, però Ciabatti non ha mai l’atteggiamento decadente di Siti, e cioè una certa attrazione
per ciò che è infetto, vitalmente impuro, come se solo in esso potesse esprimersi la verità del mondo. Su tutto incombe la morte, quello che proprio nella
famiglia viene esorcizzato o negato. Si comincia con un’invettiva che ricorda
il monologo di Edward Norton, protagonista della 25esima ora.«Vaffanculo
a sua madre, a suo padre, vaffanculo alla casa in campagna...». Mentre il finale
è grandiosamente apocalittico e liberatorio. Un grande incendio purificatore:
«Bruciava la loro casa... le stanze dove avevano dormito sonni tranquilli convinti di essere al sicuro. Bruciavano i letti del ’600,le poltroncine dell’800. Bruciavano le speranze del futuro, bruciavano i ricordi...».Eppure è al fratello che
Marta chiede un dialogo forse impossibile. La famiglia è l’inferno ma anche la
memoria (straziante, in parte degradata) di una felicità assoluta, è un luogo di
affetti perversi, una discarica di veleni dove non si è mai “al sicuro” e insieme
la promessa o l’eco di una utopia sfiorata per un attimo.
SCAFFALE
IL TUO GIORNO,
BILLY LYNN!
di Ben Fountain,
Minimum Fax,
398 pagine,
17 euro
Nick Hornby si è lanciato in lodi sperticate per questo
romanzo che nell’edizione originale s’intitola Billy Lynn’s
Long Halftime Walk. E non sono parole vane. Fountain
affresca una satira graffiante e irresistibile della mania
made in Usa per la guerra, raccontando l’assurdo tour
in cui si trovano sballottati alcuni reduci dall’Iraq.
BLACK, BLACK,
BLACK
di Marta Sanz,
Nutrimenti,
304 pagine,
18 euro
Un giallo non convenzionale, che gioca con gli stilemi.
Un noir letterario, ambientato in un condominio, con protagonista Arturo Zarco, un detective fuori dagli schemi,
dandy, colto, naif. Che più che impegnarsi a risolvere i
casi che gli sono affidati s’ingegna su come tingere la
realtà di atmosfere alla Chandler e alla Agatha Cristie.
L’ARTE
DEL DUECENTO
di Alessio Monciatti,
Einaudi
382 pagine,
34 euro
Non solo Giotto. Il XIII secolo nell’arte è stato una realtà
niente affatto monolitica. Come ci ricorda questa appassionata e dotta monografia di Monciatti, è stato anche il
secolo del massimo sviluppo del gotico e della “maniera
greca”. Mentre l’austero e scabro mondo romanico
lasciava il posto alla rivoluzione del protoumanesimo.
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bazar
cultura
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BUONVIVERE di Giulia Ricci
Nostalgia canaglia in tv
Segreti
antispreco
È
C
TELEDICO di Elena Pandolfi
una strana estate, questa, per
la nostra televisione, divisa
tra crisi economica e potenziale aumento di ascolti, giacché le famiglie italiane andranno sempre meno in vacanza e resteranno a casa
a guardare la tv. Possiamo dire che
alcune reti si sono adeguate a questo clima di austerity, e hanno fatto
ricorso al sentimento della nostalgia per intrattenere gli spettatori
spendendo poco.
Su Canale 5 infatti, la stella “de-cadente” Alfonso Signorini propone la
celebrazione dei trent’anni di storia
della rete ammiraglia di Mediaset,
con contributi d’archivio e alcuni
dei suoi protagonisti in studio.
Personaggi come Sabrina Ferilli, Rita dalla Chiesa, Gerry Scotti e
naturalmente “nostra signora della
tv” Maria de Filippi, si raccontano
e svelano aneddoti della loro lunga
carriera. Studio 5, in onda il mercoledì in prima serata, dovrebbe quindi essere una festa in famiglia, sfogliando l’album dei ricordi, con un
po’ di commozione e ilarità goliardica, in realtà è un programmino preconfezionato e poco emozionante.
Non ce la fa Signorini a staccarsi dalla sua vera indole, “in cerca
di pettegolezzi”, e non coglie l’opportunità di approfondire e analizzare anche con la sua innata leggerezza, il perché del successo di una
trasmissione o l’appeal di un personaggio popolare.
Insomma, la celebrazione di un canale, che ha cambiato non solo i gusti ma anche il modo di pensare degli italiani, meriterebbe una conduzione più autorevole.
Sarà forse più facile apprezzare
Max Pezzali, autore di canzoni di
successo, che su Italia1 si propone, speriamo con più ironia e spontaneità, come conduttore di Nord
sud est ovest- tormentoni on the road, celebrando le canzoni più famose che hanno accompagnato le estati degli ultimi trent’anni insieme ai
suoi interpreti. Certo, si canterà
ma anche si piangerà ricordando le
estati migliori della propria vita.
Il revival nostalgico ha avuto sicuramente tempi migliori in tv, ricordiamo Anima mia, produzione Rai,
con Fabio Fazio, ma erano altri tempi e altri autori... che nostalgia!
ome far mangiare la frutta ai
bambini? Semplice. Con un
po’ di pazienza provate a creare dei
pupazzetti o delle stelline, inventatevi sculture creative, giocattoli
commestibili. E come scegliere un
buon melone? Basta bussare sulla
buccia, se fa un suono sordo, vuol
dire che è maturo. E ancora tanti segreti: dalle sim per i tablet alle assicurazioni auto, dal risparmio
di elettricità in casa a offerte di baratto. Tutto questo in nonsprecare.it, un sito progettato da Antonio
Galdo, giornalista e scrittore. Infine, chiunque abbia un’idea sul tema, la comunichi al sito. Può concorrere al “premio non sprecare”,
scadenza il 30 settembre.
[email protected]
MONTEPULCIANO (SI)
Un Cantiere sull’acqua
Alfonso
Signorini
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Fino al 28 luglio prosegue il 38esimo Cantiere internazionale d’arte, con un’edizione
ispirata al tema dell’acqua. Svetta nel cartellone 2013 la trilogia legata agli elementi
guidata dal direttore artistico Vincent Monteil e dal direttore musicale Roland Böer.
La Ue ha conferito un riconoscimento alla manifestazione poliziana nella linea di finanziamento per i festival culturali selezionando soltanto undici manifestazioni tra le
più meritevoli d’Europa.
SAN VITO DEI NORMANNI (BR)
OrcEXTRA LARGE
Nel centro Culturale ExFadda San Vito dei Normanni in Puglia, nato dal recupero del vecchio
stabilimento enologico Dentice di Frasso, tre
giorni di musica ed eventi, dal 26 al 28 luglio.
In primo piano il concerto della nuova OrchEXTRA LARGE , di cui fa parte, tra gli altri, l’arpista Giulian De Donno.
20 luglio 2013
left
cultura
left.it
JUNIOR di Martina Fotia
di Bebo Storti
Il castello dei Tarocchi
U
n incontro fuori dal
comune quello tra
lo scenografo Emanuele
Luzzati e il regista Tonino
Conte. Oltre al famoso Teatro della Tosse, i due hanno dato vita a una formula di studio che porta il nome di Agriteatro. Vale a dire, l’arte di fare teatro con
un prato verde o l’aia di
una cascina come palcoscenico. L’altro Monferrato - percorsi d’arte e teatro fra borghi e castelli, è il
nome della rassegna giunta quest’anno alla sua quinta edizione, all’interno della quale dal 22 al 24 luglio
andrà in scena nella Cittadella di Alessandria, Il mistero dei Tarocchi. Il programma di quest’anno si
articola da un lato con il
labirinto dei Tarocchi, e i
suoi 24 attori per 22 carte,
dall’altro con il dedalo di
percorsi tra boschi, castelli, e sentieri, punteggiato di
letture, spettacoli e labo-
ratori adatti a quegli sfondi suggestivi e mutevoli,
nello scenario policentrico dell’Alto Monferrato.
La Cittadella è particolarmente adatta ad ospitare
gli spettacoli della Tosse,
in particolare quelli “storici” come i leggendari Tarocchi. Uno scenario che
richiama alla perfezione
la prima idea dello spettacolo: un castello con la sua
serie di stanze grandi e piccole, dalle celle sotterranee alle torri, che è anche
un labirinto. Come un mazzo di carte da gioco, rac-
chiude segreti. Per visitare tutte le stanze del castello si possono seguire mille
percorsi differenti. Mescolando un mazzo di carte si
possono comporre infinite combinazioni. Prendiamo i tarocchi. Ogni figura
allegorica - il Matto, la Papessa, l’Appeso, l’Eremita,
gli Amanti - ha una storia
da raccontarci. Mescoliamo le storie: ogni volta un
romanzo diverso, intricato
e misterioso, forse insensato come la vita stessa. Il
Bagatto mostrerà al pubblico la chiave per entrare
in questo mondo fantastico e al termine di ogni monologo, gli spettatori riceveranno la carta, disegnata da Luzzati, del personaggio appena ascoltato. L’animazione diverrà così anche un gioco, in cui il pubblico dovrà comporre l’intero mazzo per poter uscire senza sventure dal “castello delle carte”.
SAN MINIATO (PI)
CIVITANOVA MARCHE
GIULMI (CH)
Dramma popolare
Residenze d’arte
Bob Marchese e Fiorenza Brogi sono i protagonisti della prima
assoluta de L’ombra di Antigone scritto dalla teologa spagnola
Maria Zambrano. Diretta da Roberto Guicciardini, la pièce debutta il 18 luglio in piazza Duomo,a
San Miniato. Repliche fino al 24.
Il critico e curatore Pitero Gaglianò e lo scultore Fabrizio Prevedello sono i due animatori del progetto che dal 25 luglio prende vita a Guilmi (Chieti). Da non perdere le tre serate di didattica popolare che Gaglianò farà coinvolgendo i 486 abitanti del borgo.
left 20 luglio 2013
Il futuro è qui
Con la prima di Pinocchio di Sieni
Danza il 20 luglio Futura festival
si avvicina al clou. Il 21 luglio agli
gli appassionati di letteratura si
raccomanda il dialogo dal vivo fra
Alfonso Bearardinelli e Filippo La
Porta e Raffaele Simone.
In fondo.
Allora, funziona così...
Dimmi.
Mandiamo 50 agenti, digos
polizia e compagnia bella a
prendere una bambina di sei
anni e sua madre.
Sua madre.
Poi le teniamo in questura a
cazzo e gli meniamo e gli diamo di troia.
Troia.
Sì bravo scrivi bene che poi
non capisci un cazzo. Cioè, tu
già non capisci un cazzo.
Un cazzo.
Ecco bravo. Gli si dà della troia. Poi si inventa una storia
sul passaporto scaduto e sul
permesso di soggiorno o una
stronzata a caso.
A casa.
No! A caso! Stai attento che
poi si accorgono che sei tu!
Sono io chi?
Io tu.
Tu o io?
Scrivi!
Scrivo.
Fatto il casino, viene fuori che
tu e gli altri non sapevate un
cazzo. Ma che disdetta! Non
siamo stati avvertiti!
Ma chi è che dice ste cose?
Ma voi accidenti! Non capisci
una fava proprio! Voi fate gli
gnorri! La colpa se la becca il
solito povero pirla funzionario
sacrificabile.
Chi è?
Poi lo troviamo. Il premier non
batte ciglio! L’amico dittatore
è contento. Il petrolio è salvo e
vafanculo!
Vafanculo chi?
Ma che dici?
Chi?
Aahh Alfio! Facciamo a capirci!
Ma chi?
Lascia stare che poi ti viene l’emicrania. Ti piace il nome da agente segreto “Alfio”. Vero?
Mi piace, mi piace. Ma chi
mandiamo affanc...
Lascia stare... torna a lavorare...Vabbeh lavorare.
Ma lavorare chi?
Appunto.
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ti riconosco
di Francesca Merloni
Di notte
A
pro gli occhi, mi affaccio ai davanzali di questa città bella ed ormai a
me straniera, la notte muove lungo il confine della luce, come le vite
tra lecito e illecito. Come i sogni, tra nuovi e perduti. Amo le finestre che vegliano lontane dalle strade, qualche luce ma poca, qualcuno che resta accanto a loro, chi le apre e si sporge su un altro mondo, su altro chiaro. Fra poco il
giorno comincerà con i suoi rumori, con la fretta e le storie, con i suoi affanni. Ma per ora la città è silenziosa, ancora il mare vicino alle case, lontano il
tuono del ferro, delle lamiere addomesticate che contengono le nostre vite.
Lontana l’aria condizionata che ci costringe a chiudere ogni spiraglio, a guardare il mare da una vetrata, e d’estate fa freddo come d’inverno. C’è ancora
odore di terra adesso, di asfalto, ma bagnato, di sabbia, di acqua. C’è silenzio
spesso e rumore della notte, ma vero. Questa notte dice la verità. Lascia che
ci accostiamo al nostro silenzio senza difese, ci chiama dentro senza protezioni. Finalmente scendiamo. Possiamo guardarci da più
vicino, possiamo ascoltarci finalmente. Non altri rumori si
frappongono tra noi e la nostra voce senza parole. Finalmente ascoltiamo quel che abbiamo da dirci. Sembrano più
vicine le cose di notte, sembrano gigantesche. E noi abbiamo paura degli animali che popolano la notte. Delle creature lungo le strade. Forse per questo abbiamo inventato il
sonno. Eppure dovremmo fidarci. Di noi, di questo respiro quieto del mondo,
della notte, di tutto. Fidarci di poter guardare nel vuoto senza cadere, sporgerci senza esser troppo pericolosamente attratti dalla vita nella sua vertigine. Fidarci di poter restare seduti a guardare o ad ascoltare in qualche bar
del mondo il mondo che attorno ci parla, percepire la sua voce e comprenderla, non pervicacemente nasconderla dietro orribili inutili musiche che
sempre ed ovunque vanno in onda. Fidarci di attimi di vuoto salutari, di incertezze magnifiche e umane. Si. Siamo ancora qui. Siamo qui come sempre,
come altri prima di noi, come chi verrà dopo. Con questa febbre nella parola, con questa nostalgia nella memoria, con lo stupore possibile addosso. E
abbiamo solo queste notti per affacciarci ai davanzali e guardare l’esistenza
scorrere, disvelare la sua forma, abbiamo unicamente questo tempo per fare
le scale di corsa e scendere in quella vita. Troppo? Troppo poco? Non importa. È quello che abbiamo.
Possiamo guardarci
da più vicino. Possiamo
ascoltarci finalmente
[email protected]
Non è vero
che nessuna di queste barche, seppure cariche
si direbbe di più della semplice materia
e volte, sembra, verso uno stesso polo
non frema all’improvviso, non si stacchi
dalla massa delle altre rimasta al buio?
Non è vero
che nessuna di queste figure dagli occhi chiusi
sorridenti sulla prua del mondo nella gioia
del corpo attento solamente alla sua luce
non si svegli, non ascolti? Non senta di lontano
un grido che sia d’amore, non di desiderio?
Yves Bonnefoy “L’alto del mondo”
da Quel che fu senza luce, Einaudi, 2008
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20 luglio 2013
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