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Riga, capitale
dell’Art Nouveau
REPORTAGE
Nonostante stasera le strade, complice il maltempo, siano quasi deserte, così come molti dei
locali – «la gente se ne sta rintanata in casa per via della crisi», mi dirà più tardi un ragazzo con
cui mi fermo a bere una birra al Leningrad, un café dagli interni soviet rétro, dove un terzetto
te, dall’atmosfera lasciva, “parigina”, “una sorta di aristocratica Brighton in preda ai bagordi” dove anche “le
donne di strada avevano un non so che di retrò”, Thubron – siamo ancora in epoca di Guerra fredda – rimane
colpito dall’aura germanica della capitale baltica.
“Edifici signorili del XIX secolo si estendono lungo un
canale fiancheggiato da alberi e la città al di là sgomita
con chiese, palazzi delle gilde e magazzini d’epoca medioevale”.
“Gli abitanti di Riga – faceva notare Thubron, che prima
di approdare sul Baltico, aveva già visitato Minsk, Mosca e Leningrado – erano quelli meglio vestiti e sembra-
vano affollare le vecchie strade con qualcosa di simile a
un senso di sicurezza”.
Nonostante stasera le strade, complice il mal tempo, siano quasi deserte, così come molti dei locali – «la gente se
ne sta rintanata in casa per via della crisi», mi dirà più tardi un ragazzo con cui mi fermo a bere una birra al Leningrad, un café dagli interni soviet rétro, dove un terzetto
propone cover acustiche di celebri hit – l’atmosfera tedesca, quella sì, è rimasta pressoché intatta in tutto il suo fascino. Un fascino che, grazie anche all’illuminazione in
piena notte di alcuni edifici risalenti addirittura all’epoca dei Templari, assume contorni arcani ed esoterici.
propone cover acustiche di celebri hit – l’atmosfera tedesca, quella sì, è rimasta pressoché intatta in tutto il suo fascino.
la capitale della Lettonia...
testo e foto di
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Massimiliano Di Pasquale
rumosa, anseatica, scandinava, nient’affatto sovietica… Queste le impressioni che, di primo acchito, Riga suscita in me mentre passeggio lungo gli
acciottolati della Città Vecchia tra architetture barocche,
torri gotiche e facciate liberty, in una fredda sera di fine
novembre sotto una pioggia pungente. La capitale della
Lettonia, di cui si innamorò anche Richard Wagner – il
compositore tedesco abitò qui dal 1837 al 1839, dirigendo quaranta concerti al Teatro dell’Opera e scrivendo
gran parte del Rienzi, prima di essere costretto alla fuga
da uno stuolo di creditori inferociti – ricorda con i suoi
tanti edifici rosso mattone città portuali come Lubecca,
Amburgo e Danzica.
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Gotico tedesco
ui sembra tutto profondamente tedesco, qui non
“
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c’è traccia dell’imponenza russa”, scriveva all’inizio degli anni Ottanta lo scrittore inglese Colin Thubron in Among The Russians, suggestivo diario
di viaggio nell’ex Unione Sovietica.
Al contrario del suo illustre connazionale Graham Greene, cui mezzo secolo prima Riga parve una città decaden-
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La visione del Palazzo della Confraternita delle Teste Nere, che si staglia solenne, con la sua facciata rinascimentale in mattone rosso anseatico e le sue guglie gotiche, all’interno della Piazza del Municipio sullo sfondo di un
cielo plumbeo immerso nelle nebbie baltiche, non rimanda affatto un’immagine oleografica. Trasmette invece un senso di rapimento estetico misto a inquietudine.
Quasi che le decorazioni e le statue che ornano questo
splendido edificio del 1334 ci riportassero indietro nel
tempo, ai giorni, sospesi tra storia e leggenda, dell’Ordine dei Cavalieri Portaspada, la congregazione che accompagnò la germanizzazione della Livonia alla fine del XII
secolo.
che si incontrano lungo Audeju iela. Il palazzo al civico
5, appartenuto al famoso editore Alexander Grosset, realizzato dall’architetto Alfred Aschenksampf nel 1899, è
uno dei primi esempi di Jugendstil (così veniva chiamato l’Art Nouveau dai tedeschi baltici) di Riga.
Nel corso di diciassette anni dal 1896 al 1913 – mi racconterà il giorno seguente Maria, la responsabile del Rigas Jugendstila Muzejs – Riga si guadagnerà il titolo di
capitale dell’Art Nouveau, grazie a ottocento edifici costruiti secondo uno stile che qui, a differenza di altre città europee, non nacque in antitesi allo Storicismo.
L’armoniosa coesistenza dei due stili è peraltro ben testimoniata dalla facciata del civico 7 realizzata nel 1900 da
Kostantins Peksens. I motivi solari del frontone, che simboleggiano la prosperità di una nuova vita, diventeranno elementi decorativi tipici di molti palazzi di Riga.
Così come faranno scuola le decorazioni floreali con foglie che scorgo qualche minuto più tardi, prima di salire
sul campanile della Chiesa di San Pietro, sulla facciata
del piccolo appartamento in Kaleju iela 23.
Un museo della memoria
opo aver ammirato Riga dalla sommità del campanile di San Pietro, uno dei punti più panoramici della città assieme allo Skyline Bar, sito al
26esimo piano dell’hotel Latvija – l’ex casermone sovie-
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Aromi svedesi
a Porta svedese – disse Ausma Putnis – non mi
“
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dica che non ha ancora visto il monumento che
ricorda i tempi in cui la Svezia era una grande
potenza in Europa?” (Henning Mankell, I cani di Riga).
Il mattino seguente è il grido stridulo dei gabbiani, che
risalgono l’ampio corso della Daugava dal Baltico fino in
città, per poi appollaiarsi con aria un po’ sinistra sugli
hangar dei dirigibili Zeppelin, dove oggi sorge il Mercato Centrale, a poche centinaia di metri dall’hotel Metropole, a fare da sottofondo al mio sontuoso swedish breakfast. L’influenza scandinava – Riga fu persino nominata
seconda capitale del Regno di Svezia nel 1660, prima di
cadere in mano russa nel 1710 – la riscontri non solo nelle linee geometriche di palazzi e monumenti, come la famosa Porta Svedese, all’angolo tra Torna iela e Aldaru iela, ma anche nelle abitudini gastronomiche dei lettoni.
La colazione a buffet del Metropole, il più antico albergo in città, quello che a metà Ottocento ospitava una
clientela esclusiva di amanti di opera e balletto, si rivela infatti un trionfo di salmoni affumicati, aringhe marinate, merluzzi in salsa verde e pane nero che non stonerebbe affatto su una tavola imbandita di Stoccolma.
Jugendstil in Audeju iela
uando esco dall’hotel la città è ancora avvolta in
una soffice bruma. La luce fioca di un mattino di
fine autunno, in cui il sole, pallido, fa ogni tanto
capolino da un cielo blu che si stempera in tonalità cobalto, mercurio e violacee, a seconda delle folate di vento, è comunque sufficiente per poter ammirare in tutto il
loro splendore alcuni edifici storici della Città Vecchia
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tico dove hanno alloggiato sia lo scrittore Colin Thubron
sia il commissario Wallander, personaggio scaturito dalla fantasia di Henning Mankell, che ha ambientato qui
nel 1991 l’avvincente thriller di spionaggio post-sovietico I cani di Riga – decido di far visita al vicino Museo
dell’Occupazione.
Ospitato in un tetro parallelepipedo nero risalente agli
anni Settanta, che in epoca comunista fungeva da spazio
espositivo per propagandare “le gesta del regime”, il Museo dell’Occupazione, sorto nel 1993 e in tempi recenti
meta di visite eccellenti di capi di Stato, first lady e intellettuali come Carlo d’Inghilterra, Juan Carlos di Spagna, Laura Bush e il poeta russo Yevtushenko, allinea in
ordine cronologico fotografie, documenti, audiovisivi e
artefatti relativi al periodo 1940-1991. Quello in cui la
Lettonia, che aveva conseguito l’agognata indipendenza
nel 1919, fu occupata prima dai sovietici (1939-1941),
poi dai nazisti (1941-1944) e infine ancora dai sovietici
(1945-1991).
Di forte impatto emotivo la ricostruzione delle fatiscenti baracche in cui erano costretti a vivere i cittadini lettoni deportati nei gulag siberiani all’epoca di Stalin.
Una crisi in via di superamento?
a crisi economica esiste davvero – mi dice Ilze,
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una giovane avvocatessa, incontrata in un pub
del centro – ma bisogna sapere reagire psicologi-
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Il suo racconto, dai toni drammatici, testimonia le difficoltà economiche del Paese negli ultimi mesi ma soprattutto l’enorme fatica delle generazioni sovietiche nel
confrontarsi con un mondo in cui la vita non è più pianificata come un tempo.
Mentre molti architetti dell’epoca usavano linee sinuose e forme fluttuanti in chiave solo decorativa, Eisenstein, attraverso la fusione di figure mitologiche, creature antropomorfe ed elementi della natura, si fece interprete di una nuova filosofia in cui l’architettura non era
disgiunta da altre discipline artistiche.
Nel magico mondo di Eisenstein
alutata Inna, proseguo lungo Elizabetes iela con
l’intenzione di esplorare il quadrilatero formato
dall’intersezione di questa via, sede di ambasciate e consolati, con Strelnieku iela, Alberta iela e Antonijas iela. Qui sorgono i palazzi Art Nouveau più affascinanti della capitale lettone.
Molti di essi furono realizzati tra il 1901 e il 1906 da Mikhail Eisenstein, un ingegnere civile nato a San Pietroburgo nel 1867 da una famiglia ebrea di origine tedesca,
noto ai più non per il suo straordinario genio architettonico, ma per essere il padre di Sergei, il famoso regista
sovietico.
Uomo di grande cultura, molto attento alle avanguardie
artistiche di inizio Novecento, Mikhail sperimentò a Riga uno stile architettonico in cui l’Art Nouveau si fondeva con i canoni estetici della pittura simbolista.
Le facciate color pastello degli edifici, che si possono
ammirare in Elizabetes iela e in Alberta iela, dicono di
un artista audace, innovativo, dallo straordinario talento visionario.
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camente. Le giovani generazioni sanno rispondere meglio a queste sfide, mentre i più anziani, abituati al sistema sovietico, rimangono spesso spiazzati.»
Parole che mi tornano in mente il giorno dopo, quando
attraversato il Brivibas boulevard, dove sorge l’imponente monumento alla Libertà eretto nel 1935 da Karlis Zale, raggiungo il distretto Art Nouveau.
All’imbocco di Elizabetes iela vengo fermato da Inna,
una donna russa di mezz’età, gli occhi coperti da enormi occhiali da sole, che si offre di farmi da guida nel
quartiere. Declino cortesemente l’invito, ma mi fermo
qualche minuto a conversare con lei, colpito dalla sua
espressione triste.
Maskavas, cuore russo di Riga
ostruito nel 1957 in puro gotico stalinista, il palazzo dell’Accademia delle Scienze, che sorge
dietro il Mercato Centrale, in una zona ancora oggi prevalentemente abitata da russi, marca anche a livello estetico l’inizio di una Riga lontana dagli sfarzi barocchi e rinascimentali della Città Vecchia, ma non per questo meno interessante.
Il distretto di Maskavas, così chiamato perché qui passava la strada diretta a Mosca, si rivelerà, nonostante la
pioggia battente che accompagna il mio ultimo giorno a
Riga, uno dei luoghi più intriganti della città.
La lunga teoria di case di legno verde, azzurro, marrone,
che si schiude dinnanzi a me, mentre percorro Maza Kalna iela in direzione del vecchio cimitero russo di Ivan,
dopo aver visitato la suggestiva Basilica degli Antichi
Credenti (comunità ortodossa scismatica che rifiuta le
pratiche introdotte dal patriarcato di Mosca nel 1600),
offre uno scenario rurale, intriso di poesia, che sembra
uscito da una tela russa dell’Ottocento.
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