REGATT 04-2009 cop.qxd - Edizioni Dehoniane Bologna

Transcript

REGATT 04-2009 cop.qxd - Edizioni Dehoniane Bologna
REGATT 08-2009 cop 1.qxd
09/04/2009
16.26
Pagina
4
UGO VANNI
APOCALISSE
LIBRO
DELLA RIVELAZIONE
quindicinale di attualità e documenti
2009
Esegesi biblico-teologica e implicazioni pastorali
L’
Apocalisse appare a prima vista
come un libro misterioso, che evoca
mondi fantastici; tramanda invece un messaggio legato a fatti storici. L’autore ne
accosta il testo con approccio accademico,
mantenendo uno stile semplice e accessibile
anche ai non specialisti. La sua indagine
riguarda la struttura letteraria, l’uso del
simbolismo, gli schemi interpretativi indispensabili per carpirne il messaggio;
segue poi puntualmente e sistematicamente
lo svolgimento del testo.
8
Attualità
217
219
235
284
268
«Testi e commenti»
pp. 240 - € 21,80
PDL: l’esito della transizione
Caritas, interventi di crisi
Benedetto l’africano
La silente voce dei fiori
Studio del Mese
Una Scrittura da vivere
La nuova revisione della Bibbia CEI
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051/4290011 - Fax 051/4290099
C
M
t Gi ll N
EDIZIONI
DEHONIANE
BOLOGNA
http://www.dehoniane.it
e-mail: [email protected]
Anno LIV - N. 1055 - 15 aprile 2009 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - CP 568 - 40100 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione
e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”
REGATT 08-2009 cop 1.qxd
09/04/2009
16.26
quindicinale di attualità e documenti
Pagina
2
210x280-Regno.ai
secondaria
di primo grado
A
ttualità
217 (G. Brunelli)
«non vi è alcun elemento né particella
del mondo che, quasi consapevole della
sua presente miseria, non speri nella
risurrezione» (Calvino), per cui «coloro
in cui abitano le primizie dello Spirito
(cf. Rm 8,23) hanno la responsabilità
di saper udire i gemiti del creato
riconsegnandoli a una speranza
contraddistinta dai tempi brevi
dell’attesa umana e non da quelli
dilatati ed esistenzialmente
insignificanti dell’evoluzione naturale».
Di fronte al grave terremoto che ha
colpito l’Abruzzo in questo inizio
d’aprile riproponiamo alla riflessione
queste parole del nostro Piero Stefani
(Regno-att. 2,2005,2ss), mentre ci
uniamo alla preghiera e alla solidarietà
già espresse da tutti i pastori,
dall’arcivescovo dell’Aquila, mons.
Molinari (egli stesso sfollato fra gli
sfollati) allo stesso Benedetto XVI.
Si può concretizzare la propria
solidarietà anche aderendo alla colletta
nazionale indetta dalla Presidenza della
CEI per domenica 19 aprile 2009, e
sostenendo gli interventi in corso da
parte della Caritas italiana col versamento di un proprio contributo (causale
«Terremoto Abruzzo») sul c/c postale
n. 347013 (*BIC: BPPIITRRXXX)
o sul c/c bancario Unicredit Banca
di Roma spa IBAN IT38 K03002
05206 000401120727
(*BIC: BROMITR1707).
R
Politica in Italia
{ PDL: l’esito della transizione }
242 (D. S.)
Brasile - Aborto
Il peccato e la scomunica
219 (V. Nozza)
Caritas italiana - Prossimi
alla vita concreta
{ Geografia e tipologia degli
interventi sulla crisi economica }
Libri del mese
243 (P. Scoppola)
Le proposte (V. N.)
Dar credito alla solidarietà (V. N.)
Laicità e uso politico della religione
{ Pio XI e la condanna religiosa
dell’Action française}
225 (G. B.)
Achille Silvestrini - La fedeltà
all’oggetto
CEI - ABI
Il magistero della solidarietà
Schede
Italia - Il barometro dell’odio
{ Chiese romene: la criminalità
dei connazionali e la xenofobia }
Segnalazioni
259 (V. Rosito)
227 (M.C. Rioli)
261 (Y. Ledure)
228 (G. Zatti)
Italia - Agenda minima
di convivenza
{ Luoghi e occasioni d’incontro
tra comunità cristiane e islamiche }
231 (L. Paganelli)
Parigi - Metamorfosi dell’annuncio
{ Colloquio internazionale a
trent’anni dalla Catechesi tradendae }
233 (R. B.)
Benedetto XVI - Ebrei e cristiani
Prima di Gerusalemme
234 (L. Pr.)
Lussemburgo - Eutanasia
La legge e i dubbi
M. SCHIANCHI, La terza nazione
del mondo
263 (F. Strazzari)
Iraq - Il dramma dei cristiani
{ A colloquio con mons.
Louis Sako }
266 (R. Burigana)
Diario ecumenico
267 (L. Accattoli)
Agenda vaticana
Studio del mese
{ Bibbia CEI, la nuova revisione }
274 (G. Benzi)
235 (A.M. Valli)
Orizzonti per la catechesi
Benedetto XVI - La necessità
del Vangelo
{ Il viaggio in Camerun e Angola }
277 (G. Cavagnoli)
238 (M.E. G.)
Le xilografie della Bibbia
di Gerusalemme
241 (L. Pr.)
Santa Sede - Legionari di Cristo
Visita apostolica
V
Volume
1
pp. 192 + book + CD-ROM
p
della nuova Bibbia
d
di Gerusalemme - € 8,40
d
Volume 2
V
pp. 192 + book - € 8,40
p
Volume 3
V
pp. 176 + book - € 8,40
p
Volume unico
V
pp. 320 + book + CD-ROM
p
della nuova Bibbia
d
di Gerusalemme - € 17,90
d
Guida del prof. - pp. 144
G
262 (S. Caredda)
Polonia - Collaborazionisti
Il caso è chiuso
USA - Coalizioni fragili
{ I vescovi e Obama: le tensioni
a partire dai temi bioetici }
Le domande dei ragazzi
Moduli per l’insegnamento
della religione cattolica
nella scuola secondaria
di primo grado
Y. LEDURE (A CURA DI), Antisemitismo
cristiano?
268 (L. Mazzinghi)
239 (M. Faggioli)
Nuovo Religione perchè?
P. BOURDIEU, Ragioni pratiche
234 (L. Pr.)
Sudan - Tribunale penale
internazionale
Se la giustizia non porta la pace
Sergio Bocchini | Paola Buttignol
Pierluigi Cabri | Daniela Panero
248
226 (D. Sala)
Lampedusa - Immigrazione
Porta del Mediterraneo
10:57:15
NOVITÀ scuola
15.4.2009 - n. 8 (1055)
Caro lettore,
26-03-2009
Pietro Antonio Ferrisi | Paolo Ferrisi
Il dialogo della vita
Una Scrittura da vivere
Testo per l’insegnamento
della religione cattolica
nella scuola secondaria di primo grado
Volume 1 - pp. 208 - € 8,90
Volume 2 - pp. 160 - € 8,90
Volume 3 - pp. 208 - € 8,90
Guida per l’insegnante
pp. previste 80 + CD audio
Perché la Parola corra
283 (T. Verdon)
284 (P. Stefani)
Parole delle religioni
La silente voce dei fiori
286
I lettori ci scrivono
287 (L. Accattoli)
Io non mi vergogno del Vangelo
Chi è oggi Maria di Màgdala?
Colophon a p. 286
Via Nosadella 6 – 40123 Bologna
www.dehoniane.it
Tel. 051 4290011 – Fax 051 4290099
e-mail [email protected]
Politica
I TA L I A
p
dl: l’esito della transizione
Nella for ma del bipartitismo imperfetto
e sotto il segno del «berlusconismo»
N
on sappiamo ancora
come sarà il campo politico del centrosinistra
dopo il terremoto elettorale del 2008, né che
cosa. Sappiamo che cosa è il centrodestra. Con la nascita del Popolo della libertà (PDL), il 27-29 marzo scorsi, Berlusconi ha oggettivato se stesso.
Ha avviato la stabilizzazione del sistema cercando di fissare in modo permanente i rapporti di forza attuali.
La lunga transizione politica italiana
s’avvia alla conclusione nella forma
sistemica del bipartitismo imperfetto
e sotto il segno del «berlusconismo»
come linguaggio e spazio politico del
centrodestra.
Il nuovo Pentapar tito
Sorta dal superamento di Forza
Italia, dall’integrazione di Alleanza
nazionale e dalla confluenza di altre
formazioni minori (repubblicani, socialisti, liberali, scissionisti dell’Unione dei democratici di centro – UDC),
la nuova formazione di Berlusconi va
a occupare stabilmente e nella forma
di un partito integrato quello che fu lo
spazio politico ed elettorale del Pentapartito. Il PDL non è una destra tradizionale, non è la nuova DC: è un
partito popolare, di carattere moderato, diffuso a livello nazionale che va a
ricoprire l’area che fu appunto del
Pentapartito.
Il PDL non è una formazione di
destra in senso tradizionale. Questo
esito è stato escluso da Fini nell’atto
dello scioglimento di Alleanza nazionale (22 marzo) anche sotto forma
della sopravvivenza di una corrente di
destra all’interno del nuovo partito.
Vi è certo il radicamento e la struttura tradizionale del vecchio Movimento sociale italiano (MSI) a dare corpo
a un partito, che se fosse rimasto nella forma di Forza Italia sarebbe stato
insufficiente a stabilizzare a livello nazionale l’intero processo.
Forza Italia è stato lo strumento attraverso il quale Berlusconi ha gestito
sin dal 1994 il cambiamento della
struttura della comunicazione applicando alla politica le regole del marketing commerciale e alla ricerca del
consenso la politica dei sondaggi. Forza Italia è stata la struttura antipartito
di fronte alla crisi del partito di massa
novecentesco, lo strumento per trasformare i congressi e le assemblee di
partito in platea televisiva. Il popolo è
la gente e la gente è diventata pubblico. Forza Italia si è identificata con la
funzione e il ruolo del leader: non ha
elaborato programmi, dato voce a potenziali leader diversi: gli ha fatto eco.
Forza Italia è stato lo strumento
privilegiato e personale con il quale
Berlusconi ha creato la propria leadership: al corpo del partito egli ha sostituito il corpo del leader, la sua immagine è diventata l’immagine degli italiani, anzi, dell’italiano vero. Tutto
questo ha segnato profondamente i
comportamenti e la cultura del paese,
accelerandone la secolarizzazione.
Ma non si tratta di una destra tradizionale. Se si dovessero indicare formazioni di destra, a parte il gruppo
nostalgico di Storace, si dovrebbe individuare proprio nella Lega, per cul-
tura e comportamenti, una formazione di destra, così come in alcuni atteggiamenti dello stesso Di Pietro.
Berlusconi porta nel nuovo partito
tutto quello che Forza Italia ha rappresentato, ma con una capacità di
radicamento maggiore, in un soggetto
dalle dimensioni tendenzialmente
maggioritarie, con un passaggio di
scala che sia in grado di creare quadri
politici diversi.
Permane il legame diretto, immediato tra il leader e il suo popolo. Anzi lo schema populista della legittimazione popolare diretta è volto a definire il partito come collettore elettorale
di quella legittimazione e il governo
come strumento nelle mani del leader.
Ha ragione Baget Bozzo quando osserva che «popolare vuol dire il nesso
tra elezioni e governo». E questo è divenuto oramai un problema costituzionale.
Il Popolo della libertà non è neppure la nuova Democrazia cristiana.
Il suo essere all’interno del Partito popolare europeo ne qualifica il moderatismo, le venature liberal-conservatrici, ne segnala anzi, nella distanza
tra la stessa formazione europea e i
partiti democristiani che in massima
parte le diedero forma, la distanza attuale. La DC è stata, anche nella sua
fase finale, molto più interna ed
espressiva del «mondo cattolico» di
quanto lo possa essere il PDL.
Esso è a un tempo più laicista (ma
meglio dovremmo dire: più indifferente) e più clericale (ma meglio dovremmo dire: più strumentale). Non
è, non può essere, espressione del
IL
REGNO
-
AT T UA L I T À
8/2009
217
mondo cattolico, dal momento che esso in buona parte non esiste più; non
è, e non può essere, espressione di una
laicità credente, anche nelle forme secolarizzate, perché la situazione critica del cattolicesimo italiano e le scelte
delle gerarchie ecclesiastiche non
sembrano in grado di riproporre, a
breve, una storia che è stata la migliore storia a un tempo di fedeltà e di laicità che l’Italia cattolica e quella laica
abbiano conosciuto. I teocon sono
un’opzione politica, non religiosa, che
punta tutto sull’influenza pubblica
della Chiesa come surrogato ideologico alla crisi della cultura occidentale:
una scelta politicamente legittima, ma
un pessimo affare per la Chiesa, qualora immaginasse una forma di intesa
con loro, oltre a qualche occasionale
strumentalizzazione reciproca.
Conclusa la linea Ruini del «Progetto culturale», che nel dialogo tra
istituzione ecclesiastica e una parte
della cultura laica, liberale e conservatrice, aveva immaginato la ripresa
di un’egemonia culturale cattolica in
questo paese, dunque un utilizzo stru-
Jacek Oniszczuk
La Prima Lettera
di Giovanni
La giustizia dei figli
L’
analisi retorica considera l’organizzazione di un testo biblico co-
me un dato oggettivo, portatore del
senso più profondo. Lo studio pone
un forte accento sulla composizione
della Prima Lettera di Giovanni e, attraverso gli elementi interni ad essa,
giunge a decodificare il messaggio del
testo.
«Retorica biblica»
pp. 296 - € 26,20
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
218
mentale forte, favorevole alla Chiesa,
di questo rapporto, oggi, più modestamente, si rischia di confondere cattolicesimo con moderatismo e di dirigere, pressoché gratuitamente, il proprio residuale consenso verso un partito garantista.
Del resto basta la presenza di Fini
a dimostrare come il PDL sia molto
articolato al proprio interno e proprio
la linea teocon non possa divenire la linea dell’intero PDL.
I l « b e r l u sco n i s m o »
co m e p re s i d e n z ial i s m o
Dopo il crollo delle sinistre nel
2008, il successo elettorale del cartello
PDL, il non sfondamento della Lega e
il galleggiamento dell’UDC, Berlusconi aveva bisogno di compiere l’ultimo passo. Col Popolo della libertà egli
rafforza il suo governo, aprendo un
confronto con la Lega all’interno della coalizione e con l’UDC nel Partito
popolare europeo. Da questo punto di
vista le prossime elezioni sono un
campo decisivo di questo duplice confronto. Del resto la maggioranza uscita dalle urne del 2008 non ha alternative. Il Partito democratico, dopo il disastro veltroniano, non ha né i numeri né una linea politica che gli consentano di rappresentare un’alternativa
politica a questo governo. Il crollo
della sinistra storica di matrice comunista crea un vuoto di vaste proporzioni sul piano della cultura politica e
conferisce a questo governo le sembianze di una vera e propria nuova
classe dirigente.
Non basta tuttavia dire Veltroni.
Qui il disastro è stato preparato per
tempo. L’incapacità dell’intera classe
dirigente postcomunista (D’Alema in
primis) di uscire definitivamente dalla
propria storia (il tentativo più avanzato
fu quello di Veltroni che negò di essere
stato comunista), giudicando senza
equivoci gli errori culturali e politici;
l’opportunismo dei popolari, che si acconciarono a ogni passaggio della transizione a una subalternità valorizzata
al più alto prezzo possibile; e ancora
l’opportunismo di ulivisti e prodiani
che non osarono riprendere il degasperiano anticomunismo democratico per
poter affrontare adeguatamente il rapporto tra cattolici democratici e sinistra
in questo paese: tutto questo ha posto
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
solide premesse perché l’Ulivo rimanesse solo una storia plausibile e non
divenisse una realtà e il Partito democratico fosse un modesto compromesso
in casa postcomunista.
Dopo la sconfitta veltroniana,
Franceschini ha cambiato i toni del
linguaggio, per ritrovare uno spazio di
manovra politica, ma i toni non sono
il linguaggio. Egli «muta d’accento»,
non «di pensier». Il PD difetta nel sostantivo e nell’aggettivo e la sua linea
politica è di rimessa rispetto all’azione
berlusconiana.
Il discorso che Berlusconi ha fatto
al congresso di fondazione del PDL
centra proprio la crisi del PD. Il suo
ostentato anticomunismo è certamente un retaggio del passato, della sua
stessa vicenda personale, ma risponde
a una precisa intenzione politica.
L’attacco al PD è rivelatore della
volontà del premier di rimuovere e
cambiare parti significative della Costituzione. Egli rovescia l’operazione
politico-culturale che la «Repubblica
dei partiti» aveva fatto nel dopoguerra: allora in nome della Costituzione
fu l’antifascismo il collante e la legittimazione che consentiva alle forze politiche di definirsi democratiche (in
particolare il PCI) e di contrapporsi
(DC/PCI). Più fu forte quell’assetto di
legittimazione, a cui concorsero laici e
cattolici, più oggi si rafforza, una volta conclusa la vicenda del fascismo, il
collante di legittimazione dell’anticomunismo. Più fu forte l’idea del patto
costituzionale, più oggi diviene forte
la spinta a rivedere la Costituzione,
che Berlusconi già definisce il frutto di
un compromesso catto-comunista.
L’obiettivo berlusconiano è quello
di arrivare a varare formalmente una
repubblica presidenziale, per questo
egli definisce il PDL il partito della
riforma dello stato. Già oggi, del resto, si assiste a una prevalenza dell’esecutivo sul Parlamento e del premier
sull’esecutivo. Senza un cambio della
forma statuale, l’equilibrio di forze
che egli ha realizzato rischia di subire
contraccolpi imprevedibili nel dopoBerlusconi. Egli vuole trasformare il
«berlusconismo» in una visione istituzionale. Il problema, a quel livello, è
di democrazia reale.
Gianfranco Brunelli
CA R I TA S
Crisi economica
I TA L I A N A
p
rossimi alla vita concreta
Geog rafia e tipologia degli interventi ecclesiali
L
a crisi dei subprime, iniziata nell’agosto 2008
negli USA e diffusasi
velocemente in tutto il
mondo, è l’ottava crisi
finanziaria globale nell’ultimo ventennio. La sua gravità, però, fa dire che si
è esaurito il modello liberista che ha governato la globalizzazione dall’ultimo
quarto del secolo scorso fino ai primi
anni del nuovo. Dopo i crolli di Wall
Street nel 1987, di Tokyo nel 1989, del
sistema monetario europeo nel 1992;
dopo le crisi del Messico nel 1994, del
Sud-est asiatico nel 1996-1997, del
Brasile e della Russia nel 1998-1999 e
infine quelle del 2000-2002 della cosiddetta new economy, il mercato si è sempre ripreso – più o meno velocemente
–, ritornando sui livelli precedenti per
poi superarli nuovamente, in una sorta
di crescita senza limite.
Investire sui poveri conviene
La crisi attuale, però, segna una
svolta, impone ripensamenti e cambiamenti drastici delle regole di fondo che
normano i meccanismi del mercato e
non solo. Guardando infatti gli avvenimenti dal punto di vista dei poveri, sorgono spontanei interrogativi e riflessioni. In primo luogo, ci si domanda se
non vi sia il rischio che l’intervento
pubblico a salvataggio degli istituti di
credito, certamente non immotivato, finisca per gravare solo sulle spalle del
contribuente.
In secondo luogo, la logica dell’intervento dello stato nel mercato del credito non dovrebbe tendere a ripristinare una presenza diretta, che sarebbe le-
tale; ma dovrebbe innnanzitutto stabilire le regole e soprattutto monitorarle,
per non creare sperequazioni e non dare un privilegio al settore bancario, già
concesso negli anni antecedenti, nei
quali ha massimizzato il profitto e acquisito una predominanza in alcuni settori strategici dell’economia. Occorre,
cioè, ristabilire un equilibrio che chieda
alle banche non una generica responsabilità sociale, ma che diventino anche
strumento di accesso al credito per le famiglie e le imprese, così da promuovere
un’economia responsabile e sostenibile.
In terzo luogo incombe una sorte
ancor più pesante sui poveri del Sud e
dell’Est del mondo, perché molto probabilmente vedranno chiudersi le porte
non solo degli aiuti internazionali allo
sviluppo, ma anche delle altre misure
che dovrebbero – più credibilmente di
quanto fatto fino a ora – realizzare gli
«obiettivi di sviluppo del millennio»:
cancellare il debito estero dei paesi in via
di sviluppo, stabilire regole commerciali
più eque che non penalizzino i più poveri e tutte le altre azioni previste per la
cooperazione e lo sviluppo che rischiano
di essere accantonate.
Il vero problema non è tanto economico, ma in primo luogo politico: il rischio concreto è che i poveri del mondo finiscano ancora più in basso nell’agenda delle priorità dei governi e della
comunità internazionale. I 100 milioni
di nuovi poveri, per i quali la Banca
mondiale ha già suonato il campanello
d’allarme, vivono in maggioranza nel
Sud e nell’Est del mondo, e rischiano di
non ricevere più né cure né assistenza,
sia a causa dell’innalzamento dei prez-
zi del cibo, sia della prossima recessione
globale, sia – come si è detto – del ribaltamento dell’agenda politica. La stima
è per difetto, essendo già stata fatta
qualche mese fa in occasione delle cosiddette «rivolte per la fame», che hanno scosso il mondo da Haiti all’Indonesia, passando di fatto anche attraverso
le città più dimenticate.
Infine, si può ravvisare un altro tipo di legame tra la situazione attuale e
lo sviluppo dei poveri. I circuiti di raccolta di risparmio alternativi, sia in
Occidente sia nei paesi più poveri, da
anni finanziano azioni di sviluppo per
i cosiddetti non bancabili, coloro cioè
che non hanno garanzie patrimoniali
da offrire. Il microcredito o il commercio equo e solidale sono esperienze che
da anni danno fiducia ai più poveri,
garantendo ad alcuni di loro (non certo a tutti, dal momento che le risorse
sono assai limitate) quel diritto al credito che altro non è che un modo per
dar loro la possibilità di riscattarsi e
svilupparsi economicamente e socialmente.1
Tali esperienze, certamente di nicchia, si dimostrano oggi valide e affidabili, dal momento che i tassi di non restituzione e d’insolvenza sono bassissimi. Inoltre bisogna considerare che la
pesantissima crisi finanziaria internazionale pare non abbia avuto un impatto diretto sulla capacità dei poveri di ripagare i debiti. Tanto che in questo
momento, paradossalmente, investire
sullo sviluppo operato dai poveri conviene. I tassi d’interesse riconosciuti
dalle realtà che investono e «scommettono» con «capitali coraggiosi» sul pro-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
219
CA R I TA S
Le proposte
I
ntegrazione al reddito delle famiglie:
per chi è in cassa integrazione, per chi
lavora a settimane alterne, per chi è
precario e alterna a tempi di lavoro tempi di disoccupazione.
Credito gratuito alle famiglie, che
possono contare sulla possibilità di un
rimborso: credito diretto o indiretto tramite banca con rimborso di interessi.
Aiuto all’affitto, per chi perde lavoro
o è in cassa integrazione, di concerto con
gli aiuti che già le regioni elargiscono.
Forme di sostegno alle spese scolastiche per chi ha il padre o la madre che
perde il lavoro.
Sostegno alle cooperative di tipo B
(di lavoro) degli enti della Consulta ecclesiale e di Federsolidarietà, che danno lavoro soprattutto ai soggetti più deboli.
Sostegno al mondo artigianale e del
commercio, in riferimento soprattutto a
mancati pagamenti che possono mettere in crisi il lavoro e l’attività.
Sostegno alle forme di sostentamento finanziario eticamente valide, sia
per il loro valore ai fini dello sviluppo di
un’economia diversa, sia per la loro minore esposizione rispetto alla crisi in atto.
Difesa della famiglia e della casa,
soprattutto per le famiglie numerose o
con portatori di handicap o anziani, data
la difficoltà legata ai mutui casa con tasso variabile, che nei mesi scorsi erano già
in sofferenza per l’aumento dei tassi di
interesse.
Possibilità per le famiglie in sovra-indebitamento di rinegoziare o rimodulare
i debiti anche con sottoscrizione di un
concordato con l’ampliamento delle garanzie familiari o di quelle dei numerosi
fondi di garanzia collettivi messi in essere da associazioni, fondazioni, Caritas,
diocesi ecc.
V. N.
tagonismo dei poveri in Italia e all’estero, rendono ben più dell’inflazione.
Non è quindi solo una scelta etica e di
solidarietà.
La situazione in Europa
Ma quale è stata la risposta alla crisi dal punto di vista delle Caritas europee? Da un sondaggio svolto è possibile affermare che, allo stato attuale, le
Caritas hanno reagito in maniera più o
meno speculare alle risposte istituzio-
220
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
nali e culturali dei rispettivi paesi. La
Spagna si è accorta degli effetti della
crisi con largo anticipo sugli altri paesi
e ha attivato strategie specifiche con
buona tempestività, sebbene le proporzioni della crisi in quel contesto si stiano rivelando più gravi che altrove, e
quindi difficili da affrontare.
Complesssivamente le risposte censite sembrano aggregabili intorno a tre
categorie: l’attesa passiva, l’investimento prevalente nell’advocacy e nel
lobbying e l’investimento equivalente in
servizi nuovi e in advocacy e lobbying.
A questa tipologia si può aggiungere la risposta fortemente pastorale di
Caritas Portogallo, la quale – senza
escludere la raccolta fondi e l’advocacy
– sta investendo molto, su mandato
esplicito dei vescovi portoghesi, sull’animazione pastorale integrata delle
parrocchie e dei territori, cogliendo
l’occasione della crisi come opportunità
favorevole di testimonianza e annuncio
cristiano.
Inoltre ogni Caritas nazionale sta
tentando di affrontare il problema
rafforzando ulteriormente le proprie
competenze specifiche. Chi ha profili di
maggior esperienza e competenza nel
campo dell’analisi sociale e dell’advocacy investe qui (è il caso, ad esempio,
della Svizzera e della Germania); chi è
più orientato alla dimensione dei servizi-segno e della comunicazione pubblica per fare opinione e lobbying, segue
quest’altra strada (come in Spagna e
Francia). Grande attenzione è prestata
alle sinergie e alla conservazione dei
servizi esistenti attraverso il loro potenziamento e la loro parziale ed eventuale riconfigurazione per fare fronte alle
esigenze specifiche portate dalla crisi
(ad esempio, nel settore dei servizi di
avviamento al lavoro).
Chi ha già assunto il 2010 – anno
europeo di lotta alla povertà – come
orizzonte strategico importante per la
propria Caritas nazionale, in questa situazione di crisi sta generalmente investendovi ulteriormente, considerando
tale data anche come occasione significativa per mettere al centro il tema dell’impatto della crisi sui poveri e sui servizi. Chi non ha ancora considerato
una strategia specifica sul 2010 non
sembra, tuttavia, particolarmente motivato a ciò dalla situazione di crisi, salvo
che per alcuni casi specifici, come la
Slovacchia, ove la crisi pare una buona
occasione per avviare anche un piano
relativo al 2010.
Territori e servizi appaiono però
ovunque sollecitati a partecipare all’analisi come «detentori di informazioni», a partire dalla diretta esperienza di
prossimità alla vita dei poveri e della
gente, e in molti casi (ad esempio in
Spagna, Francia, Slovenia, Portogallo)
si sta cogliendo l’opportunità della crisi
per potenziare tali capacità di lettura e
raccolta dati.
Nella maggior parte delle Caritas
nazionali si riscontra un’attenzione per
l’impatto della crisi sulla dimensione internazionale della povertà, che è frutto
del forte impegno dei relativi dipartimenti per l’azione internazionale nel
campo della lotta alla povertà nei paesi
in via di sviluppo.
Andrebbe poi maggiormente approfondita una riflessione specifica su
cosa è la povertà e sui profili di povertà,
nuovi e vecchi, che la crisi rivela. In generale, ove definizioni di povertà sono
adottate (ad esempio, in Portogallo e
Lussemburgo), esse sono multidimensionali, ma l’analisi relativa è condotta
entro un quadro di povertà materiali.
Italia: famiglie a rischio
Per quanto riguarda invece il caso
italiano, centrale resta la lotta alla povertà, che in Italia riguarda milioni di
persone che sempre più si trovano in
situazione di precarietà, o rischiano di
cadervi. Gli ultimi dati ISTAT (relativi
al 2007) confermano un incremento
della popolazione sulla linea della quasi povertà e un divario crescente tra
ricchi e poveri. Sale per l’ISTAT dal
14,6 al 15,4% il numero delle famiglie
che ha dichiarato di arrivare con molta difficoltà alla fine del mese. L’Istituto nazionale di statistica rileva «segnali di disagio particolarmente marcati»
al Sud e nelle isole, e in particolare in
Sicilia dove sale al 10,1% il numero di
famiglie con problemi di risorse per il
cibo. Dati sicuramente peggiorati per
l’aggravarsi della crisi nel corso del
2008.
I numeri forniti dalla Banca d’Italia
a gennaio parlano chiaro: il 2009 sarà
caratterizzato da un pesante clima recessivo, con una contrazione del prodotto interno lordo del 2% su base annua. Appena sopra la soglia di povertà
vanno dunque aumentando le persone
e le famiglie «impoverite» e a rischio di
caduta nella povertà, qualora insorgessero emergenze (malattia, incidenti d’auto, il sopraggiungere della «non autosufficienza» di un anziano ecc.), dovendo eventualmente ricorrere a prestiti.
Le famiglie indebitate sono passate, negli ultimi due anni, dal 24,6% al 26%.
Il rischio di povertà incombe in modo
particolare su alcune tipologie di famiglia: quelle numerose, con cinque o più
componenti; quelle con figli minori;
quelle con anziani soprattutto se «non
autosufficienti»; quelle separate o divorziate.
Il lavoro flessibile e precario, diffuso
oggi in Italia, incoraggia la prolungata
permanenza dei giovani nelle famiglie
di origine fino a 30-35 anni. Anche
questo ritardo della nuzialità incide sulle decisioni relative alla natalità. Povertà e rischio di impoverimento costituiscono, comunque, una remora alla
costituzione di nuove famiglie.
La crisi poi mostrerà con forza un
paradosso del nostro paese: i rischi di
povertà saranno maggiori per le famiglie del Centro-nord, soprattutto nei distretti produttivi colpiti dalla crisi; il
Sud dovrebbe avere minori ripercussioni, nel breve periodo, dato che non ha
aree ad alta intensità di insediamenti
industriali e che può contare ancora su
economie informali e familiari tali da
sostenere temporaneamente il peso di
una crisi congiunturale che si aggiunge
a quella endemica. In questo senso dovrebbero essere tendenzialmente distinti gli interventi specifici.
Una mappa degli aiuti
È quasi impossibile raccontare la
molteplicità degli interventi da parte di
tutte le diocesi e di tutte le parrocchie.
Essi stanno dentro l’ordinarietà e si realizzano in termini di servizi strutturaticontinuativi e servizi-risposte meno organizzati, ma comunque importanti,
che si fanno carico dei bisogni ordinari
o delle molteplici emergenze che richiedono azioni immediate, in risposta ai
bisogni dei singoli, delle famiglie e dei
vari gruppi di persone in situazione di
povertà. Esse sono arricchite molto dalla conoscenza, dalla relazione e dai tentativi di far stare dentro il tessuto sociale ed ecclesiale le persone che sperimentano povertà ed emarginazione. Di
seguito presentiamo alcuni dati (cf. anche il riquadro qui a p. 222).
Dal 2000 al 2008, anche grazie ai
fondi derivanti dall’otto per mille, le
Caritas diocesane hanno realizzato oltre 1.200 progetti a livello di Chiese locali, di cui 164 tuttora in corso di realizzazione, nell’ambito dell’emarginazione giovanile, del disturbo mentale,
dell’accoglienza ai rifugiati, contro la
tratta degli esseri umani, a sostegno
delle persone senza dimora che si trovano in difficoltà e di quanti in genere
vivono situazioni di bisogno. Questi
progetti prevedono una quota del 60%
del costo sostenuto da somme provenienti dall’otto per mille e non meno
del 40% proveniente da somme messe
a disposizione dalle Chiese locali per
non parlare di tutte le strutture (mense,
centri di accoglienza ecc.) messe a disposizione dalle Chiese locali per l’attivazione di tali servizi. Complessivamente questi progetti hanno impiegato
risorse per oltre 130 milioni di euro, di
cui 80 provenienti dall’otto per mille e
oltre 50 da parte delle diocesi.
All’interno di quest’ampia azione
che risponde a una popolazione povera
e variegata vi sono anche molteplici
progettualità – finanziate sia dall’otto
per mille sia da risorse delle diocesi –
che hanno come destinatario privilegiato le famiglie. In particolare va segnalato che dal 2003 al 2008 la Caritas italiana ha contribuito, tramite l’otto per
mille, alla realizzazione di progetti pensati prevalentemente per le famiglie: 90
progetti a livello diocesano hanno dato
vita a iniziative di accoglienza e ad attività che puntano a favorire l’integrazione sociale, l’accompagnamento, il reinserimento lavorativo di persone che vivono in situazioni di disagio sociale.
Un aiuto concreto è stato dato a minori, anziani e disabili, così come alle
persone che hanno subito maltrattamenti. Poi vi sono il sostegno al reddito,
il microcredito, il consumo responsabile, ma anche la sensibilizzazione su temi come il diritto alla vita, l’affido e l’adozione.
350 progetti riguardano attività a
sostegno di quanti in famiglia hanno
detenuti oppure ex detenuti, sono migranti, hanno subito violenze tra le mura di casa o sostengono donne vittime
di violenze sessuali. Oltre 230 progetti
prevedono azioni di accoglienza e
orientamento attraverso l’attività dei
centri d’ascolto parrocchiali e diocesani, dei consultori e dei servizi di orientamento, in cui è in crescita la presenza
di famiglie non solo straniere. Infine 5
progetti sono stati promossi da realtà
ecclesiali operanti a livello nazionale sul
tema della solidarietà familiare.
A i u t a re se n z a a ss i s te re
Ciascuna delle 220 Caritas diocesane ha sviluppato nel corso degli anni un
proprio modello di animazione pastorale e intervento caritativo, le cui caratteristiche sono spesso legate alle tradizioni di carità e solidarietà che si rintracciano nella storia delle diocesi. Per
quanto riguarda gli interventi di aiuto
alimentare, non tutte le Caritas diocesane promuovono tale tipo di attività,
anche se in qualche modo una gran
parte di esse ne è coinvolta, in forme e
modalità differenti.
La pratica dell’aiuto alimentare è
forse quella più immediatamente percepibile, ma – come qualsiasi altra forma di erogazione diretta di beni materiali – può rischiare di determinare cronicità nell’assistenza, riducendo la possibilità che la famiglia-persona si renda
protagonista di processi di recupero ed
emancipazione sociale. In questo senso,
le Caritas diocesane, pur non sottraendosi alla pratica della promozione dell’aiuto alimentare – che non può essere
esclusa di fronte a situazioni conclamate di indigenza – tenta d’associare a tale forma di «riduzione del danno» un
percorso di accompagnamento personalizzato di chi è in difficoltà, con lo
scopo d’avviare progetti di uscita dalla
povertà, come l’aiuto nella ricerca del
lavoro o percorsi di rimotivazione psicologica. Possiamo stimare in circa
221.000 le persone che nel corso del
2007 si sono rivolte almeno una volta
alle mense promosse dalle Caritas diocesane o collegate a esse, di cui approssimativamente il 30% italiani e il 70%
stranieri.
Da un monitoraggio su 80.000 persone povere che nel 2007 si sono rivolte a 372 (dei circa 6.000) centri d’ascolto Caritas a livello diocesano, zonale e
parrocchiale, i due terzi sono risultati
cittadini stranieri, in gran parte provenienti dall’Europa orientale, in particolare dalla Romania, o dal continente
africano, soprattutto dall’Africa setten-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
221
CA R I TA S - C R I S I
ECONOMICA
Dar credito alla solidarietà
D
a Nord a Sud le iniziative si stanno moltiplicando. Microcredito, fondi straordinari per le famiglie in difficoltà, empori e
forme di spese solidali, carte acquisti, sostegno e consulenze per il lavoro, per la casa, ma anche coordinamento delle strutture
di distribuzione e d’accoglienza, potenziamento dei centri d’ascolto
e degli osservatori delle povertà, incremento dei laboratori per la
promozione delle Caritas parrocchiali per intensificare il lavoro d’animazione, accompagnamento e formazione delle comunità locali, il
coinvolgimento delle Caritas in un’ottica educativa, in fedeltà alla loro specifica funzione pedagogica.
Così, accanto al potenziamento delle risposte tradizionali alla
povertà endemica ormai strutturale, si sperimentano forme di carità
creativa per far fronte alle nuove fragilità e si riflette anche su stili di
vita e di consumo. Tutto questo in un’ottica di sinergia con gli altri attori sociali e istituzionali, sempre nel rispetto delle competenze di
ciascuno, ma anche con le realtà ecclesiali, suddividendosi i compiti
e rendendo complementari e ancora più efficaci e integrate le iniziative a livello nazionale, regionale e diocesano.
Va in questa direzione l’avvio di un Osservatorio nazionale e regionale sull’accesso al credito, voluto dalla Caritas italiana insieme alla Fondazione responsabilità etica e al centro culturale «L.F. Ferrari» di
Modena per monitorare l’impatto del costo del credito e le difficoltà
d’accesso per le famiglie in stato o a rischio di povertà. Uno strumento informativo, di orientamento e di sperimentazione che potrà avere significativi sviluppi anche nei contesti territoriali.
trionale; quasi i due terzi dei cittadini
stranieri sono risultati in possesso di
permesso di soggiorno o in attesa di riceverlo. Ai centri di ascolto del Nord e
del Centro si sono presentati soprattutto stranieri, mentre in quelli del Mezzogiorno si è verificata una crescita della presenza di italiani. Tale dato è da
mettere in relazione soprattutto alla
forte presenza di immigrati nelle regioni centro-settentrionali, ma anche alle
maggiori difficoltà economiche della
popolazione italiana nelle regioni meridionali. Fra gli italiani si riscontra una
maggiore incidenza di problemi familiari dovuti a separazioni e divorzi.
Il livello d’istruzione degli utenti
italiani è inferiore a quello degli stranieri: tale dato conferma, da un lato, la
relazione tra povertà e scarso livello
d’istruzione, e, dall’altro, che gli immigrati sono generalmente in possesso di
un bagaglio culturale di un certo livello. Tra i problemi riscontrati, i più gravi riguardano la condizione generica
di povertà e la mancanza di lavoro. La
maggioranza delle persone si è rivolta
ai centri d’ascolto per chiedere beni e
servizi materiali per far fronte alle necessità quotidiane, ma molte hanno
222
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
Poi vi son le iniziative di microcredito, collegate a Banca etica, all’interno della convenzione nazionale dalla Caritas italiana con numerose diocesi.1 Si segnalano, inoltre, iniziative realizzate tra Caritas diocesane e Banche di credito cooperativo (BCC),2 nonché l’istituzione
di fondi speciali per le famiglie in una ventina di diocesi.3 Sono stati
aperti empori dove acquistare a prezzi contenuti a Roma, Prato, Firenze, Terni, Asti, Milano, Livorno.4
È interessante non solo monitorare le varie iniziative, ma anche
far riferimento ai documenti pastorali che le hanno generate, (lettere dei vescovi, come ad esempio i vescovi del Triveneto, e il documento della delegazione Caritas del Triveneto) ai regolamenti che ne
sono una conseguenza (già pubblicati ad esempio per il fondo «Famiglia-lavoro» di Milano). Altre iniziative sono annunciate, ma non sono
ancora chiare le finalità e i contesti in cui si vuole operare (ad esempio, se si tratti di fondi di garanzia o a fondo perduto, a favore delle
famiglie o sul versante del lavoro).
L u n go la Pe n i so la
Un focus su alcune iniziative regionali e diocesane aiuta a capire
meglio come si concretizzano queste idee.
Il fondo «Famiglia-lavoro» promosso dall’arcidiocesi di Milano ha
superato la soglia dei 3 milioni di euro. Esso è stato istituito nel Natale 2008 dal card. Dionigi Tettamanzi per combattere la crisi economica e si rivolge alle famiglie che si trovano in difficoltà a causa della perdita del lavoro. Oltre che un progetto di aiuto, il fondo vuole
formulato richieste di sussidi economici e di lavoro. Gli interventi effettuati
dai centri d’ascolto hanno inoltre riguardato problemi familiari e di salute.
I dati rilevati manifestano la persistenza della povertà «classica», legata
alla mancanza di lavoro, all’insufficienza (o alla mancanza) del reddito,
alle difficoltà abitative, ai problemi relazionali e di salute. E le rilevazioni a
campione di alcune Caritas diocesane
indicano una situazione ancora più
grave nel 2008. Ad esempio la Caritas
di Pisa ha rilevato un incremento del
30% dei poveri frequentanti il centro
d’ascolto diocesano e nuove tipologie.
Sono per lo più famiglie giovani che
hanno acceso un mutuo o che devono
far fronte a rateizzazioni, famiglie monoparentali costituite da donne sole
con figli a carico, uomini e donne tra i
45 e i 50 anni espulsi dal processo produttivo, anziani con problemi di salute.
Secondo la Caritas diocesana di
Torino da settembre a dicembre 2008
sono stati circa 50.000 i passaggi nei
91 centri di ascolto, in crescita del 2025% rispetto ai due anni precedenti.
Di questi il 15-20% appartiene ai cosiddetti poveri grigi, persone, cioè, che
non ricadono nella categoria classica
della povertà. Più in generale possiamo rilevare che crescono il precariato,
il lavoro nero, la povertà femminile a
causa dell’abbandono, gli immigrati
che, con regolare permesso di soggiorno e con un qualche lavoro, rischiano
di venir schiacciati da questa crisi.
I dati dell’Osservatorio della Caritas diocesana di Rimini mostrano una
situazione in costante peggioramento
riguardo alla richiesta di alloggi e in
relazione ai pagamenti delle utenze
connesse alle abitazioni. L’associazione di volontariato Famiglie insieme,
promossa dalla Caritas diocesana e
che dal 1996 eroga prestiti o ne favorisce l’erogazione a favore delle famiglie
in difficoltà, rileva, nel 2008, una significativa richiesta da parte delle famiglie italiane (98 al 31.10.2008, corrispondenti al 63,6% delle famiglie assistite, rispetto al 57,1% del 2007) che a
essa si sono rivolte, in particolare, per
far fronte alle spese di utenze e affitto.
In diminuzione di dieci unità le erogazioni agli stranieri che hanno chiesto
aiuto (56 al 31.10.2008, pari al 36,4%,
contro il 42,9% nello stesso periodo
del 2007).
soprattutto essere, per usare le parole del card. Tettamanzi, uno strumento educativo, «un segno con cui la Chiesa ambrosiana manifesta
il suo impegno di sobrietà e di solidarietà». Alla fine del mese di marzo sono stati distribuiti i primi contributi alle famiglie bisognose, individuate dai decanati in collaborazione con le Caritas locali e le
ACLI.
Oltre al fondo «emergenza famiglie 2009» gestito dalla Caritas,
che è stato istituito a Bologna dal card. Carlo Caffarra nel gennaio
scorso, ricordiamo anche le iniziative delle diocesi umbre e, per il
Sud, della diocesi di Andria.
«Di fronte alle difficoltà economiche che stanno colpendo molte famiglie – si legge in una nota della Conferenza episcopale umbra
–, le Chiese dell’Umbria intendono rammentare a tutti il dovere di
praticare la gratuità e la necessità di cambiare gli stili di vita per una
società più sobria, equa e solidale». Il fondo interverrà con una logica
di sussidiarietà e collaborazione rispetto agli interventi deliberati da
stato, regione, comuni e dalla stessa Conferenza episcopale italiana.
Particolare attenzione verrà riservata alle famiglie monoreddito
con figli o in attesa di figli, che abbiano perso il lavoro o non siano
sufficientemente coperte dagli ammortizzatori sociali e da altre
provvidenze pubbliche, specialmente se il nucleo ha componenti affetti da gravi malattie o disabilità. Per dare concreta attuazione al
progetto, quando il fondo sarà attivato, la Chiesa si avvarrà delle Caritas umbre e delle associazioni impegnate nel mondo del lavoro e
della solidarietà.
La consolidata esperienza nell’ambito del microcredito che data
sin dall’aprile 2008 ha spinto la Caritas diocesana di Andria, in collaborazione con l’Ufficio diocesano di pastorale familiare, a interveni-
Sul lungo periodo
L’attuale crisi economica è stata
causata – oltre ad altri fattori congiunturali – dalla centralità della finanza
rispetto alla centralità del lavoro e dall’allargamento indistinto del credito in
vari paesi, in misura minore in Italia,
forte di una tradizione di risparmio.
Essa si presenta ora con caratteristiche
di non brevità: oltre al 2009 segnerà il
2010, come afferma il documento dei
70 economisti docenti delle università
romane. La crisi sta intaccando ed erodendo il mondo del lavoro con perdita
di posti di lavoro e dislocazione delle
imprese; sta provocando ricorso, con
molta facilità, alla cassa integrazione
nelle industrie; sta mettendo in atto
un’ulteriore crescita della precarizzazione del lavoro; sta interessando anche il mondo dell’artigianato; sta rischiando d’influire fortemente sui futuri pensionati (in particolare coloro
che oggi sono giovani), dato l’impatto
ancora non determinato e non determinabile sui fondi pensione (destinati a
sostenere in misura sempre maggiore i
redditi da pensione); riguarda in modo
massiccio le famiglie.
A partire dal quadro, seppur in-
re a favore delle famiglie e del reddito. Dopo diversi incontri per leggere la situazione, analizzare i dati e individuare le soluzioni, si è optato per la creazione di un fondo «Fiducia e solidarietà».
Il target dei beneficiari è individuato in tutte quelle famiglie che,
pur possedendo un reddito, si trovano immediatamente sopra la soglia di povertà. Un evento imprevisto potrebbe trascinarle nella povertà e per questo il fondo si prefigge di finanziare i seguenti ambiti:
salute, istruzione, casa, lavoro. La restituzione del prestito favorirà la
possibilità che altri soggetti possano usufruire nel tempo di aiuti economici. Un intervento simile ha un significato promozionale ed educativo: non si tratta di una risposta emergenziale o tampone (per
questo operano già attivamente i centri d’ascolto e di accoglienza),
ma ha l’obiettivo di promuovere la persona (e la famiglia) e di creare
nuove forme di solidarietà.
V. N.
1
Campobasso, Termoli-Larino, Crotone, Catanzaro, Rossano, Lamezia Terme, Reggio Calabria (socio assistenziale e imprenditoriale tramite
la Fondazione «Calabria etica»), Lucera, Andria, Assisi, Mazara del Vallo,
Biella, Città di Castello, Treviso, Imola, Vercelli, La Spezia, Frosinone, Monreale.
2
Ravenna, Imola, Cremona, San Marco Argentano – Scalea, Vicenza,
Fano, Piacenza, Teggiano – Policastro.
3
Milano, Prato, Mantova, Bologna, Bergamo, Torino, Savona, Trieste,
Senigallia, Genova, Pordenone, Lucca, Arezzo-Cortona-Sansepolcro, Pitigliano, Siena, San Miniato, Pistoia, Firenze, Padova, Lodi, Gorizia e diocesi dell’Umbria.
4
Altre esperienze sono state avviate nelle diocesi di Siena, Rimini,
Ancona – Osimo, Vicenza, Torino, Gorizia, Cuneo, Gubbio, Palermo, L’Aquila, Roma, Bolzano – Bressanone, Messina, Locri – Gerace, Teramo –
Atri.
completo, sopra descritto, è possibile
individuare percorribili impegni e interventi da porre in capo a responsabilità diverse.
Le istituzioni. È importante che
ogni realtà diocesana abbia innanzitutto conoscenza chiara degli interventi
operati dalle istituzioni pubbliche: dallo
stato, dalle istituzioni europee, dalle regioni e dai comuni, con un’attenzione a
un federalismo solidale che non isoli le
zone più in difficoltà del paese. Occorre fare attenzione a che tali interventi e
risposte non siano diseguali e discriminanti e che prendano in considerazione
i bisogni dei lavoratori e delle famiglie
immigrate.
Le imprese. Vanno sollecitate le imprese a mettere in atto con coraggio interventi diversificati quali: nuovi investimenti, formazione al lavoro, settimana breve, riconversione dell’impresa,
formazione permanente, patto sociale
con i sindacati.
Le Chiese. Qualcuno potrebbe chiedersi il perché dell’intervento delle
Chiese locali. Occorre dire che è insita
nelle Chiese locali la prossimità e la vicinanza alle famiglie e l’impegno ordinario di gesti di solidarietà concreta e
diretta, ma anche la possibilità d’intraprendere vie nuove capaci d’esprimere
la prossimità, ma anche la possibilità di
combattere le cause strutturali dell’esclusione e della povertà, nonché l’invito a tutte le componenti della società a
fare la propria parte nel combattere la
crisi attuale. Per quanto riguarda le
Chiese locali è necessario individuare
alcune linee generali.
Innanzitutto rafforzare le funzioni
di coordinamento locale (da parte delle
diocesi e, in particolare, da affidare alle
Caritas per evitare sovrapposizioni, duplicazioni di interventi, sprechi ecc.),
cogliendo l’occasione per rafforzare la
dimensione comunionale della comunità cristiana; rendere visibile uno stile
ecclesiale sobrio, essenziale, credibile
ed efficace di intervento; evidenziare la
popolarità delle Chiese locali, vale a dire il loro impasto nei vissuti quotidiani
del proprio territorio.
In secondo luogo occorre potenziare e valorizzare l’attività di ascolto e di
osservazione, per poter fornire dati aggiornati non solo alle nostre comunità,
ma anche agli operatori della comunicazione e ai decisori politici, dal momento che i dati ufficiali (in particolare
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
223
c .Regno
f
Di fronte alla crisi economica che ha
preso il via nell’agosto 2008 e dinanzi
alle azioni politiche, sociali ed ecclesiali per contrastarla, Il Regno ha pubblicato nel corso di questi mesi numerosi interventi e analisi per offrire un
contributo alla riflessione.
G. BRUNELLI, «Unione Europea – Crisi finanziaria: la responsabilità dell’Europa.
Intervista a T. Padoa Schioppa», in Regno-att. 18,2008,585; G. MOCELLIN, «Crisi
finanziaria – Chiese: se mancano le regole per ciò che passa», in Regno-att.
18,2008,586; M. SPEEKS, «Un prete nella
crisi: per non ritirarsi dal mondo», in Regno-att. 18,2008,588; F. MARZANO, «Considerazioni sulla crisi finanziaria mondiale. Dopo il monetarismo», in Regno-att.
22,2008,781; B. EMUNDS, «Goodbye Wall
Street, hello Wall Street. Sulla crisi finanziaria internazionale», in Regno-doc.
1,2009,53; L. PREZZI, «Crisi economica:
tentazioni di una vita a rate. Vescovi di
Torino, Napoli, Ancona, Ivrea», in Regnoatt. 2,2009,4; PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA
GIUSTIZIA E DELLA PACE, «Finanza, crisi, sviluppo», in Regno-doc. 3,2009,81; E. COPPOLA, «Europa – Economia e solidarietà:
crisi, banche e imprenditori», in Regnoatt. 6,2009,159; M.C. RIOLI, «Africa – Caritas internationalis: la crisi letta da Sud»,
in Regno-att. 6,2009,192; S.M. TOMASI, L.A. KNIGHT, «Dentro la tormenta, un’opzione preferenziale», in Regno-doc.
7,2009,000; 17 ORGANIZZAZIONI PER LO SVILUPPO, «La crisi e i nostri destini legati»,
in Regno-doc. 7,2009,000.
ISTAT) vengono divulgati con un anno
di ritardo, per cui si avrà il paradosso
per il 2009 di disporre degli andamenti
della povertà del 2008, che nulla diranno della crisi in atto.
Occorre, inoltre, incentivare strumenti di sostegno economico mirato alle famiglie, non solo a fondo perduto,
sviluppando forme decisionali trasparenti ed efficaci, tali non solo da evitare
sprechi, ma soprattutto orientate all’accompagnamento duraturo alle famiglie, per evitare forme di esclusione e
isolamento sociale, tali da provocare ricadute di tipo psicologico-relazionale.
In particolare, per le regioni del
Sud, occorre creare infrastrutture sociali che abbiano una dimensione duratura. Potrebbe essere utile contribuire
alla sperimentazione del modello delle
fondazioni di comunità – affiancando
eventualmente il percorso avviato dalla
224
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
Fondazione per il Sud – al fine di realizzare forme di sviluppo locale eticamente garantite; offrire sostegno ai soggetti sociali sani, che provengono per lo
più da esperienze delle comunità cristiane; dare segni visibili e duraturi dell’impegno delle Chiese in Italia per il
Meridione del paese.
Infine occorre promuovere con i
consigli pastorali, i consigli per gli affari economici e gli altri organismi competenti delle parrocchie, una seria riflessione con conseguenti scelte culturali, educative e di solidarietà concreta.
Infatti, come ha affermato papa Benedetto XVI nell’omelia del 1o gennaio
scorso, «per combattere la povertà iniqua, che opprime tanti uomini e donne
e minaccia la pace di tutti, occorre riscoprire la sobrietà e la solidarietà quali valori evangelici e al tempo stesso
universali». In concreto, è necessario
provocare e accompagnare la crescita
di stili di vita più sobri e sostenibili in
termini di giustizia e solidarietà, frutto
anche di consapevolezza critica sulle
cause dell’attuale situazione.
Crisi come occasione
Tutto ciò richiede innanzitutto un
impegno comune e collegiale da parte
di tutti i soggetti sociali: istituzioni,
mondo produttivo ed economico,
Chiesa, terzo settore, singoli cittadini.
Perciò le nostre diocesi hanno avviato e
stanno sviluppando il confronto e le sinergie con diversi attori sociali. Ciò
può favorire una molteplicità di interventi che hanno bisogno di una buona
organizzazione che richiede: un Osservatorio della crisi per aiutare a orientare e modificare le risposte; centri d’ascolto Caritas e patronati ACLI, CISL,
MCL ecc., come strumenti e servizi di
accompagnamento per usufruire delle
risorse messe a disposizione dalle istituzioni, per conoscere le opportunità del
mondo ecclesiale e del terzo settore
(fondazioni, cooperative, associazioni),
che rinegozino i mutui e rivedano le
spese, costruendo un percorso di attenzione personalizzato; équipe delle Caritas diocesane (o zonali nelle grandi diocesi) e della pastorale sociale con figure
competenti del mondo economico, finanziario e sociale – che settimanalmente esaminino le richieste.
Ma tutto questo richiede anche una
consapevolezza: le crisi sono occasioni
di verifica, di riflessione e possono generare nuove opportunità. Una prima
riflessione sarà quella di comprendere
meglio gli ambiti propri del mercato
(non tutto può essere comprato e venduto) e quella di ripensare la sua regolamentazione per impedire che il profitto diventi sinonimo d’inganno e sfruttamento dei propri simili.
La seconda riflessione deve riguardare il tema dell’aziendalizzazione sia
nel campo dei servizi, sia nel campo dei
beni essenziali: occorre ricordare che
questo processo non può essere un feticcio, perché rischia, senza le dovute
protezioni, di mettere le famiglie in
condizione di non poter sostenere le
spese per i beni essenziali, senza qualche tipo di ammortizzatore.
La prosperità economica sarà poi
oggetto del terzo ambito di riflessione
in quanto bene parziale che non coincide con il benessere fisico, psicologico,
sociale e spirituale. Non corrisponde alla salute globale, che assomiglia molto
alla felicità. La politica, perciò, non può
accontentarsi dell’aumento del PIL, ma
deve tendere a un bene più globale,
coadiuvata anche da scuole e servizi sanitari e sociali di qualità.
Tutti dobbiamo imparare a vivere
in modo più sobrio, essenziale e solidale. Consumare e investire più criticamente, perché ci è stato ormai dimostrato come dalle scelte quotidiane di
consumo e dall’impiego dei nostri
eventuali risparmi dipende la vita di
tutti.
È per questo che assumiamo pienamente quanto ha detto mons. Giuseppe
Merisi, vescovo di Lodi e presidente
della Caritas italiana, durante i lavori
dell’ultimo Consiglio nazionale: «Forse
è vero che in questo momento di crisi
l’unica cosa certa è l’incertezza, ma
dobbiamo avere fiducia. Non una fiducia semplicistica in una magica soluzione dei problemi, ma una fiducia nell’impegno di solidarietà e nel nostro essere presenti, come sempre, accanto a
chi è in difficoltà».
Vittorio Nozza
1
Caritas italiana collabora da vent’anni col
consorzio finanziario ETIMOS e da dieci con
Banca etica, oltre che con altre realtà mutualistiche e di cooperazione, cercando di dimostrare
che unire credito e attento accompagnamento
delle persone permette ai poveri percorsi reali di
solidarietà e di promozione umana.
CEI - ABI
Crisi economica
Il magistero
della solidarietà
L
a Conferenza episcopale italiana (CEI),
d’intesa con l’Associazione bancaria
italiana (ABI), darà vita a un fondo di
garanzia e di solidarietà basato su una grande colletta che si terrà in tutte le Chiese italiane, domenica 31 maggio. Al fondo inoltre
si potrà contribuire anche per altre vie, per
esempio attraverso conti correnti bancari
da istituire ad hoc.
Non si tratta di opere caritative ma dell’istituzione di un fondo di garanzia da circa
30 milioni di euro in grado di generare prestiti bancari per 300 milioni. L’iniziativa era
stata preannunciata fin dallo scorso gennaio, ma ora sta per diventare operativa. L’ABI dovrà farsi carico di diventare interfaccia
con i singoli istituti di credito garantendo un
effetto di «decuplicazione» delle erogazioni
rispetto all’ammontare del fondo di garanzia
messo a disposizione dai vescovi.
La Chiesa vicina
L’iniziativa è stata ufficializzata il 31 marzo scorso dal nuovo segretario della CEI,
mons. Mariano Crociata, a margine dei lavori del Consiglio permanente. L’iniziativa si affianca alle molteplici azioni già intraprese
dalle singole diocesi e dalla Caritas italiana
(cf. in questo numero a p. 219).
Per questa operazione di solidarietà non
verrà intaccato nessun fondo attualmente
attivo: «Il fondo per la Caritas nazionale – ha
spiegato mons. Crociata – viene interamente erogato e non si tocca. I capitoli che sono stati utilizzati finora non verranno utilizzati. Noi speriamo di raggiungere il tetto dei
30 milioni. Confidiamo nella generosità degli
italiani». Al momento non vi è alcuna risposta sulla possibilità di utilizzare i fondi dell’8
per mille. Le Caritas parrocchiali, come in altri casi, si troveranno a svolgere un ruolo di
collante operativo fondamentale.
Al fondo potranno accedere le famiglie
regolari, anche straniere e non cattoliche.
L’importante è che siano famiglie. Va da sé
che le erogazioni ricevute non saranno cu-
mulabili con altre azioni di solidarietà dello
stesso genere attivate a livello locale.
«Le famiglie non ricevono un’elemosina
– ha affermato il segretario della CEI – ma
un aiuto di cui si servono per tornare sul
mercato del lavoro. Quello che è importante è che si tratti di famiglie fondate sul matrimonio anche civile, quindi anche stranieri». Potranno fare richiesta di accesso le famiglie regolari con tre figli o malati e disabili a carico, che abbiano perso ogni fonte di
reddito. Il calcolo è che possano accedere al
fondo dalle 20 a 30 mila famiglie. L’aiuto sarà
di 500 euro al mese, per un anno. Esteso anche un secondo se le condizioni di necessità
rimarranno tali.
Il documento di intesa tra CEI e ABI
verrà stilato nei prossimi giorni. Mancano
ancora alcuni dettagli operativi, come il tasso con cui dovrà essere restituito il prestito
dai fruitori. «La richiesta di restituzione vale
dal momento in cui la famiglia che ha ricevuto il contributo ritorna a lavorare e ad
avere un reddito da lavoro – ha spiegato
Crociata – A partire da quella data il prestito viene previsto in restituzione lungo un
tempo di 5 anni. Il tasso viene fissato sotto
un termine massimo concordato e che ogni
banca deciderà autonomamente (...). Le caratteristiche principali di questo fondo – ha
detto ancora mons. Crociata – sono date
dal suo carattere e dalla sua finalità ecclesiali (...), dal suo essere frutto di un congiungimento delle Chiese, dei fedeli e delle comunità ecclesiali di tutta Italia. Un fondo che fa
da garanzia all’erogazione di un contributo
destinato alle famiglie, per aiutarle a superare la fase di crisi e consentire di tornare sul
mercato del lavoro senza essere cadute al di
sotto della soglia di povertà».
Il prisma etico della crisi
L’insieme di queste iniziative di presenza
della Chiesa verso coloro che sono travolti,
o rischiano di esserlo, da una crisi finanziaria
che è già crisi economica e sta per diventa-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
225
re crisi sociale, mantengono vivo uno stile
ecclesiale che contraddistingue la Chiesa
italiana lungo la propria storia.
Appare sempre più indispensabile, accanto a questa presenza solidale che guarda
necessariamente e utilmente agli effetti
della crisi, riprendere a livello generale e locale i temi di fondo della riflessione del magistero sociale, perché questa crisi internazionale si rivela sempre più essere un prisma
etico-politico decisivo.
Tra le questioni di fondo che essa porta
con sé vi sono i temi delle regole economiche e degli istituti internazionali necessari;
del rapporto tra oligarchie economico-finanziarie e potere politico e del ruolo dello
stato nell’economia di mercato; delle relazioni multilaterali; del recupero dei temi dell’uguaglianza e della giustizia sociale, che la
caduta del comunismo aveva trascinato rovinosamente con sé; della trasparenza e della «verità» delle democrazie e dei processi di
semplificazione delle decisioni come sostitutivi di un dibattito realmente democratico; della partecipazione reale nella vita civile come antidoto al riesplodere della violenza sotto forma di ribellismo antimanageriale e di protesta sociale.
G. B.
Don S. Browning
Etica cristiana
e psicologie morali
he cosa possono imparare l’etica
filosofica e la morale cristiana dai
processi psicologici? L’autore propone una risposta approfondita, nella convinzione che la psicologia morale contemporanea possa offrire un contributo specifico all’etica cristiana. Il volume discute anche la questione della formazione morale di ragazzi e giovani ed
esamina la natura della maturità morale dell’adulto.
C
«Psicologia e formazione»
pp. 344 - € 32,50
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
I TA L I A
i
I
n seguito a una serie di gravi
atti di criminalità compiuti da
cittadini romeni ed enfatizzati
dai mezzi di comunicazione, la
comunità romena in Italia negli ultimi mesi ha avvertito un aumento dell’insofferenza e della discriminazione xenofoba nei suoi confronti in modo generalizzato. Questa percezione ha provocato reazioni anche
da parte delle Chiese, sia in Romania
sia nel nostro paese.
Il 23 febbraio mons. Ioan Robu,
arcivescovo cattolico di Bucarest e
presidente della Conferenza episcopale romena, ha indirizzato una lettera al card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della
Conferenza episcopale italiana. «Tutto il male fatto [da cittadini romeni]
ci mortifica e ci riempie di sdegno. E
sono convinto che questi sono i sentimenti di tutti i romeni, anche di quelli che lavorano in Italia rispettando sé
stessi e i loro fratelli italiani». Ringraziando la Chiesa cattolica in Italia per
la «buona e fraterna accoglienza» che
ha sempre dimostrato alle comunità
romene e per tutte le volte in cui «ha
preso posizione a favore degli immigrati nello spirito di solidarietà e carità fraterna, a tutti noto», si dice convinto che «l’amicizia tradizionale tra
italiani e romeni come pure la comune solidarietà contro tutte le forme
del male potranno prevalere e vincere
qualsiasi tentazione di vedere solo il
male».
Il card. Bagnasco ha risposto il 26
marzo: «Nel ringraziarla per il gesto
di attenzione, posso assicurarle la sti-
226
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
Chiese romene
l barometro dell’odio
La reazione ai delitti compiuti da romeni
e alla discriminazione xenofoba
ma e la vicinanza delle Chiese italiane nei confronti delle Chiese di Romania, nella consapevolezza del comune impegno a contrastare ogni forma di violenza e illegalità. Tanti italiani, in un passato anche recente, sono stati migranti in terra straniera alla ricerca di un lavoro, per garantire
un futuro dignitoso alle proprie famiglie». Per questo «apprezziamo coloro che giungono in Italia per portare
il contributo delle proprie energie ed
essere parte nell’edificazione di una
società più giusta», confermando che
«non verrà meno il nostro impegno
nella cura pastorale dei fedeli cattolici provenienti dalla Romania».
Cara Ital ia
Mons. Siluan Span, a capo della
diocesi ortodossa romena in Italia, ha
inviato il 22 febbraio una lettera a tutte le 92 parrocchie presenti nel paese
per proporre un «atteggiamento positivo» con cui affrontare la situazione
che si è venuta a creare. Tale lettera,
firmata presso le singole comunità, è
stata successivamente inviata ai rispettivi vescovi diocesani cattolici, alcuni dei quali ora stanno rispondendo. Ha risposto, per esempio, mons.
Luciano Monari, vescovo di Brescia:
«Provo a immaginare che cosa significhi per tutte queste persone sentirsi
addosso un sospetto: romeno, dunque... andare per la strada e temere di
far capire agli altri di essere romeni:
dover tentare di camuffare la propria
identità; è una forma di povertà sociale insopportabile in una società civile come la nostra. (...) Per quanto ri-
guarda le comunità cristiane, non ci
sono dubbi o esitazioni. La regola è
quella che san Paolo ha scritto ai Colossesi: non vi è greco o giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro,
scita, schiavo, libero, ma Cristo è nato in tutti noi» (La voce del popolo
3.4.2009).
Nella missiva di mons. Span è
contenuta anche una «lettera aperta»
alle autorità civili, che dopo essere
stata ugualmente sottoscritta dai fedeli nelle parrocchie è stata indirizzata
ai comuni. In essa, che è firmata «un
romeno», si dà voce ai sentimenti che
gli immigrati romeni provano nei
confronti della «cara Italia»: riconoscenza, orgoglio, ma oggi anche paura, tristezza. «Da qualche tempo, per
alcuni, la cittadinanza romena è diventata un problema, l’appartenenza
alla grande famiglia europea non
conta più e il principio generoso di
“umanità”, al quale la cultura italiana
ha contribuito nei secoli scorsi in maniera fondamentale, è dimenticato a
favore di alcuni criteri pericolosi quali “razza” e “straniero”.
Queste categorie creano spaccature nel corpo sociale e generano inimicizie discriminatorie, calpestando
perfino lo spirito e la lettera della Costituzione italiana. Nel 1990 nella penisola si trovavano quasi 6.000 romeni. Perciò il milione circa di persone
che sono arrivate qua dalla Romania
alla ricerca di una vita migliore l’ha
fatto dopo essersi salvate dalla reclusione di un duro regime totalitario.
La certezza della libertà e della sicurezza che uno stato di diritto offre al-
l’individuo è quella che ci ha attratti
verso di te».
L’appello è al rispetto dei diritti
garantiti dalla Costituzione e dalle
carte internazionali che l’Italia ha firmato. «Cara Italia, la mia storia è
quella di una persona qualsiasi, che
non uccide e non ruba. È la storia di
un milione di romeni che vive qui,
nella tua casa, rispettando le tue regole, ma che si sente stigmatizzato e trasformato in capro espiatorio per la
colpa e le illegalità di qualche nostro
cittadino. Quelli che infrangono le
leggi devono pagare. Ma, come in
tutti gli stati di diritto, le pene devono
essere individuali e in diretta proporzione con la gravità dei fatti. Le pene
collettive non risolvono nulla. Al contrario, coltivano il clima dell’odio e
dell’intolleranza. Cioè fanno sì che
noi, persone con storie semplici ma
buone e belle, non ci intendiamo più
tra noi, non comunichiamo più, non
abbiamo più fiducia uni negli altri».
Chi è violento
e chi è sfrut tato
Si è invece rivolto a tutti i fedeli
ortodossi romeni presenti in Italia il
patriarca ortodosso di Romania, Daniel, per manifestare una piena solidarietà per «le accuse generalizzate
nei loro confronti». Nella lettera inviata il 22 marzo egli ricorda che alla
luce della passione di Cristo, che ricordiamo liturgicamente in questi
giorni, «possiamo capire meglio la
sofferenza causata dalle diffamazioni
e dalle accuse rivolte a tutti i romeni
in Italia per il male commesso da una
minoranza dei nostri connazionali.
Guardiamo con tristezza agli errori
commessi quando non si discerne nella totalità i colpevoli dagli innocenti».
Rivolgendosi ai colpevoli degli atti
violenti chiede «paternamente (...) di
pentirsi e di abbandonare la strada
del male». Esprime «gratitudine a
tutte le donne, figlie della nostra
Chiesa, che talvolta, a costo anche di
abbandonare le loro famiglie in Romania, si prendono umilmente cura
dei bambini e degli anziani nelle famiglie italiane, patendo talvolta grandi difficoltà e umiliazioni». «Pensiamo anche a tutti coloro che, con il
prezzo del loro sudore, si sottopongono ai più duri lavori e che spesso vengono sfruttati da una bassa retribuzione, e a volte addirittura lasciati senza
salario. Chiediamo a Dio che renda
loro giustizia, salute e il sostegno necessari perché possano superare tutti
questi disagi». Infine rivolge il pensiero «alle famiglie che, a causa della povertà materiale o per altre ragioni, si
sono separate per la partenza in Italia
di uno dei genitori o di entrambi lasciando i bambini ai nonni e ai parenti in Romania». E annuncia che da
quest’anno la Chiesa ortodossa romena celebrerà nella domenica successiva al 15 agosto la festa «dei migranti
romeni».
Daniela Sala
Di fronte a questo monumento un gruppo di delegati di Caritas italiana si è incontrato per una preghiera la sera del 26 marzo,
momento tra i più emozionanti all’interno
delle tre giornate d’incontro (25-27 marzo) a
cui hanno partecipato circa cento rappresentanti di Caritas italiana e delle Caritas
diocesane riunite nel Coordinamento immigrazione, insieme a membri della Fondazione Migrantes e delle Chiese siciliane. Nel
corso della preghiera mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, ha richiamato il passo evangelico della fuga in Egitto,
affermando che «oggi Maria si chiama Fatima, Giuseppe è Omar e Gesù si chiama Mustafa».
Mons. Montenegro, mons. Romeo, vescovo di Palermo, Giuseppe Merisi e don
Vittorio Nozza, rispettivamente presidente
e direttore di Caritas italiana, hanno visitato
il Centro d’identificazione ed espulsione
(CIE), poche settimane dopo la rivolta degli
immigrati contro le drammatiche condizioni
interne. Il vicedirettore della Caritas Francesco Marsico ha parlato di «una legislazione
vigente chiaramente inefficiente». Franco
Pittau, coordinatore del dossier sull’immi-
grazione realizzato dalla Caritas e dalla Fondazione Migrantes, ha richiamato la necessità di un «pacchetto integrazione», piuttosto che «un’enfasi eccessiva alla questione
della sicurezza». In Italia, continua Pittau, «il
fondo per le politiche per l’integrazione è di
appena 5 milioni di euro per tutte le regioni», mentre nazioni come Spagna e Germania toccano i 300 e i 750 milioni di euro.
Vittorio Nozza ha spiegato il senso di un
incontro nell’isola cerniera tra Africa ed Europa e ha ricordato il ruolo e l’impegno dei
suoi abitanti, delle istituzioni e degli operatori di ONG e organismi internazionali. Lampedusa come simbolo di un ponte tra i popoli: Aldo Morrone, direttore dell’Istituto
nazionale per la promozione della salute
delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà, domanda: «Vi ricordate le foto dei migranti di Ellis Island
nella baia di New York? Avevano tutti più di
una valigia, piena di oggetti e di sogni; chi arriva a Lampedusa non ha nulla, resta in balia
delle onde aggrappato solo ai suoi sogni, ma
è spesso ricco di valori che forse l’Occidente sta dimenticando».
Maria Chiara Rioli
Lampedusa
Immigrazione
Porta del
Mediterraneo
S
carpe, conchiglie, cappelli, stralci di
vestiti, brandelli d’umanità. Impigliati
in uno scoglio, portati a riva dalla corrente, scolpiti su una porta. Residui d’umanità, ossi di seppia delle migliaia di persone
che attraversano il Mediterraneo in nome di
angosce e speranze che Lampedusa, insieme
ai corpi, trova sulle sue spiagge. Lo scultore
Mimmo Paladino realizzò nel 2008 la scultura, ribattezzata «Porta d’Europa», che è il
simbolo del sogno di un Mediterraneo crocevia e non più Via crucis.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
227
Musulmani
I TA L I A
a
genda minima di convivenza
I luoghi e le occasioni dell’incontro
tra comunità cristiane e islamiche
L
e circostanze che vedono
assieme cristiani e musulmani sono degli spaccati di quotidiano affidati all’intelligenza e all’operosità dei singoli, ma quello che
più suona strano è il fatto inedito che
la comunità ecclesiale si veda oggi
chiamata a una non prevista «cura
pastorale» nei confronti dei credenti
musulmani. C’è, a questo proposito,
una sensibilità da promuovere e una
concretezza da mettere in atto, minimali magari e spesso acerbe, ma non
per questo meno urgenti.
Alcuni ambiti di convivenza sono
già noti e visibili, mentre altri nascondono comunque precisi tentativi
di approccio.1
Va ricordato, inoltre, che riguardo ad alcuni dei «luoghi di convivenza» sui quali ci soffermeremo dovrà
inevitabilmente pronunciarsi lo stato
(legge sulla libertà religiosa o intesa)
in ottemperanza agli articoli 3, 8 e
20 della Costituzione (pur sapendo
quanto sia ormai diventata disagevole la questione), al fine di evitare una
serie di comportamenti non sempre
omogenei, oppure scelte pragmatiche discordanti e discrepanze giuridiche, quali puntualmente si ripropongono nei confronti di cittadini
musulmani.
A scuola e in parrocchia
La scuola. Il dibattito pubblico ha
spesso visto la scuola protagonista di
scelte pratiche discutibili e affrettate,
in nome di un generico e confuso rispetto del pluralismo. Andrebbe an-
228
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
che aggiunto che il più delle volte la
responsabilità dell’accaduto non era
da addebitarsi ai musulmani.
La richiesta dell’insegnamento
della religione islamica all’interno
dell’orario scolastico non è univoca
da parte delle associazioni musulmane in Italia: ciò è dovuto alle diverse
tradizioni islamiche presenti nel paese, al numero minimo di alunni richiesto, ai criteri di scelta e assunzione degli insegnanti e all’impostazione
del corso.
Da parte sua, la normativa scolastica già consente alle famiglie degli
alunni musulmani di chiedere al
Consiglio di circolo o d’istituto, tra le
attività complementari, lo studio del
fatto religioso (anche in base al decreto legislativo n. 286/1998, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero, art.
38, che tutela la lingua e la cultura
d’origine).
Tuttavia, l’insegnamento eventuale nella scuola pubblica dovrà essere
emendato da alcuni princìpi islamici
in conflitto con la Costituzione e la
legislazione italiana (si pensi alle questioni relative alla famiglia, al ruolo
subordinato della donna e alla libertà
personale).
Se poi capita che nelle scuole
d’infanzia parrocchiali e nelle scuole
cattoliche siano accolti bambini e
alunni musulmani, siamo davanti a
un fatto che si carica di significato ulteriore.
Le famiglie musulmane non disdegnano l’iscrizione dei loro figli a
scuole cattoliche che ritengono adeguate alla formazione: spetta agli insegnanti e alle direzioni, coinvolgendo le famiglie, fare in modo che l’ispirazione di fondo, la chiarezza degli
obiettivi e il rispetto della diversità
procedano serenamente.
Il problema della scuola e dell’educazione della seconda generazione
è importante soprattutto per quelle
famiglie e organizzazioni islamiche
che temono lo sradicamento a causa
della secolarizzazione. L’eventuale
creazione di scuole private è consentito dalla Costituzione (art. 33) e dal
decreto legge n. 297/1994 (art. 366)
con precise modalità: i musulmani
potrebbero con una relativa facilità
aprire delle scuole private, ma forse a
causa dell’inadeguatezza dei propri
mezzi, soprattutto culturali, hanno
preferito risolvere il problema educativo attraverso le scuole coraniche e
l’animazione del tempo libero.
Attività parrocchiali. Vi è la possibilità, sempre più reale, che ragazzi
e giovani musulmani s’inseriscano
nelle attività parrocchiali, attraverso
le iniziative estive, la presenza nei
centri parrocchiali (oratori) o addirittura l’adesione a movimenti e gruppi
ben caratterizzati, come l’AGESCI.
Ne derivano, ovviamente, delle
attenzioni particolari che non dovrebbero mancare da parte degli
operatori cristiani: se anche un musulmano non fosse del tutto consapevole del significato che riveste la propria partecipazione a una proposta
parrocchiale, l’intelligenza educativa
non potrà comunque fare a meno
della discrezione, del rispetto e della
chiarezza, senza imporre quanto non
dovuto.
Riguardo ai centri parrocchiali,
questi non devono stravolgere la loro
natura di luoghi di formazione alla
fede cristiana: si tratta di trovare un
equilibrio tra il percorso cristiano
specifico (catechesi, preghiera, sacramenti) e la proposta educativa rivolta
a tutti i ragazzi, di etnie e religioni diverse.
In Italia le esperienze, a questo
proposito, sono molteplici e le considerazioni più diffuse portano a vedere positivamente lo scambio tra ragazzi e giovani, che hanno così l’opportunità di conoscersi, di fare esperienza reale di consuetudini e fedi diverse (motivando, magari, la propria).
In alcuni contesti numericamente
più rilevanti, però, rimane difficile la
gestione di una serie di variabili non
indifferenti, quali possono essere il
flusso delle presenze, il livello d’integrazione e maturazione umana, i
modelli familiari ed educativi soggiacenti, l’età dei partecipanti.
Luoghi di preghiera
e d’incontro
La costruzione di moschee. In ambito specialistico si usa la dicitura
«luoghi di preghiera» per indicare
quei luoghi, logisticamente molto diversificati, dove i musulmani in Italia
si ritrovano per pregare, ma anche
per socializzare, per iniziative culturali, per l’apprendimento della lingua
araba e via dicendo. La sala di preghiera ha svolto e svolge un importante ruolo in vista dell’aggregazione,
dei legami con la cultura di appartenenza e del reale inserimento nel
contesto territoriale. Di fronte alla richiesta musulmana di usufruire di un
ambiente per la preghiera, la discussione può fare tutto, ma non limitare
un diritto costituzionalmente riconosciuto.
Il diritto alla libertà religiosa e alla libertà di culto, e la garanzia dei
diritti delle minoranze, sono a fondamento dell’Occidente e della sua cultura giuridica, perché la libertà religiosa è un diritto civile fondato sulla
natura stessa della persona e non sul-
la concessione di qualche autorità:
per questo non può essere negata né
disattesa. Detto questo, se è vero che
progetto e costruzione di una «moschea» rientrano nel capitolo delle
opere di urbanizzazione secondaria
di un comune, è altrettanto vero che i
percorsi che la società civile mette in
atto per ottemperare a questo diritto
devono essere guidati da prudenza e
lungimiranza, sulla base di procedure
amministrative democratiche e trasparenti, per favorire la maturazione
di una coscienza civile adeguatamente attrezzata ad accogliere i grandi
cambiamenti sociali in atto.
In questa materia, i dibattiti sono
stati spesso esasperati e fuorvianti, al
limite della legalità e del buon senso
e la stessa Chiesa italiana sembra esitare a trovare un equilibrio, muovendosi tra le abitudini consolidate e la
novità della presenza islamica, tra l’ispirazione evangelica e le reazioni viscerali, tra le «buone idee» e le «buone pratiche», con esiti talora contrastanti.
Locali parrocchiali. Può capitare
che i musulmani domandino alla comunità cristiana dei locali per attività
di vario genere: siamo davanti a una
richiesta legittima alla quale rispondere secondo le abitudini locali. Nel
caso invece venisse chiesto uno spazio per il culto, il consiglio ricorrente
nel mondo ecclesiale è quello di non
concedere stabilmente luoghi di culto
cristiani e nemmeno locali parrocchiali, tenendo in considerazione gli
itinerari educativi e ricreativi dei luoghi stessi e il significato che questi rivestono per la comunità cristiana.
La CEI era già intervenuta sull’argomento: nella Lettera di collegamento 28/1994, ribadendo il riconoscimento alla libertà del culto, che
prevede anche spazi idonei al culto e
alla formazione, invitava a supplire
con attenzione evangelica all’eventuale ritardo dell’amministrazione
pubblica proponendo la concessione
provvisoria e concordata di locali a
uso profano, non necessari alle opere
cattoliche, ed escludendo in ogni caso luoghi di culto cristiano, per motivi di prudenza e di opportunità pastorale.
Su questa linea sono state anche le
indicazioni del documento Ero forestiero e mi avete ospitato. Orientamenti
pastorali per l’immigrazione (4.10.
1993), al n. 34 (ECEI 5/2021ss). L’episcopato triveneto, in tempi più recenti,
precisava: «Possono invece essere concessi, qualche volta all’anno senza vincoli di continuità, ambienti polifunzionali ampi per la celebrazione delle feste islamiche, quali la fine del ramadan o la festa del sacrificio, purché si
rispettino l’ambiente, eventuali simboli religiosi in esso presenti e non si
compiano atti contrari alle leggi dello
stato (per esempio il sacrificio del montone)».2
È interessante ribadire ancora
una volta che devono essere gli enti
locali, organi competenti nel territorio, a rispondere alla richiesta di luoghi e spazi per il culto e l’associazionismo, come risposta al dettato costituzionale, senza nulla togliere all’atteggiamento collaborativo che deve
caratterizzare il mondo ecclesiale.
Matrimoni misti
Matrimonio. Sull’argomento dei
matrimoni «misti» si è soffermata
lungamente la nota della Presidenza
CEI, dell’aprile 2005.3 Aggiungiamo
solo questa considerazione: al margine di complessità che porta con sé
ogni unione matrimoniale, la coppia
cristiano-islamica aggiunge dei tratti
specifici che ne accentuano la problematicità rispetto ad alcune questioni.
Una simile coppia, comunque, è
una domanda che va ascoltata: può
esprimere un momento di scelta frettolosa, oppure un momento di fragilità, ma può anche esprimere un momento di profezia, se teniamo conto
che al momento attuale le relazioni
con l’altro, in tutte le sue dimensioni,
non sono proprio di moda.
Proprio per questo l’accompagnamento competente, intelligente e spiritualmente lucido di coppie simili è
un’esigenza fondamentale sul piano
pastorale. I problemi che vi sono andranno guardati in profondità, con
calore umano e carità pastorale, evitando un’impostazione di tipo prevalentemente giuridico e burocratico e
sapendo che si è di fronte a un vero e
proprio laboratorio di vita, dagli esiti
non scontati.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
229
Pregare insieme? La preghiera si
caratterizza come momento fortemente confessionale, portando con sé
il bagaglio di un’appartenenza precisa. La modalità della preghiera di Assisi 1986 («insieme per pregare», nella distinzione delle parole e dei gesti
e nella partecipazione silenziosa alla
preghiera dell’altro) rimane al momento il riferimento per una preghiera comune. Certamente un’eventuale
iniziativa non deve essere proposta in
modo semplicistico e improvvisato,
quanto piuttosto motivato e contestualizzato. Forse non è nemmeno il
caso che un momento di preghiera
anticipi troppo un percorso che è ancora da compiere.
Non devono mancare, inoltre, il
rispetto e il chiaro, reciproco riconoscimento delle differenze, senza dare
spazio a parole, atteggiamenti e gestualità che siano motivo di equivoci.
La preghiera è uno di quei «posti di
confine» che non vanno delegati a
nessuno: deve, quindi, essere assunta
da tutti con grande responsabilità,
senza pretesa di espropriazione della
fede altrui e senza estensione indebita del proprio sguardo di fede.
Compiti nuovi
per le comunità cristiane
Gli incontri. I musulmani e il
mondo dell’islam vengono conosciuti
quando si partecipa a opportuni dibattiti, tavole rotonde e iniziative di
vario genere, auspicando che non siano proposte estemporanee e senza
continuità; ma è soprattutto utile
ascoltare i modi di porsi dei musulmani concreti e prevedere con loro
forme di collaborazione efficace, anche nell’ambito del volontariato e
della carità, sostituendo il semplice
parlare «dei» musulmani con il più
efficace parlare «con» i musulmani.
Le relazioni calde ed esigenti fanno la differenza, quando si ha a che
fare con persone: basti pensare alle
reciproche occasioni di festa, alla visita nelle famiglie e allo sport come
momenti gratuiti e sereni.
Vi sono anche dei luoghi privilegiati per l’incontro con persone provate
dalla solitudine, dal disagio dell’immigrazione o dalla fragilità della condizione fisica: sono le carceri e gli ospedali, luoghi nei quali le disposizioni di
230
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
legge prevedono l’assistenza spirituale,
ma dove anche le situazioni reali e le
difficoltà dovute all’individuazione delle guide religiose sembrano di fatto lasciare i musulmani in balìa delle circostanze. Anche qui la comunità cristiana
ha la possibilità di umanizzare le vicende personali di molti, instaurando relazioni significative.
L’ambito del lavoro è forse il luogo
dove cristiani e musulmani, attualmente, vivono fianco a fianco più che
altrove, condividendo la fatica, la precarietà del tempo attuale e del futuro,
come anche il senso della giustizia,
della laboriosità e dell’onestà. La fabbrica e i luoghi di lavoro in genere sono alcuni degli ambiti in cui più si è
stati chiamati a gestire in modo improvvisato, ma generoso, situazioni
nuove, quali le trattative private per
l’astensione dal lavoro nelle principali feste musulmane, spazi adibiti a
preghiera in particolari circostanze e i
disagi legati al digiuno del ramadan.
Il discernimento. Relativamente
alla relazione con i musulmani, gli ultimi quindici anni hanno visto la comunità ecclesiale italiana porre dei
passi e delle parole significative, non
senza contrasti interni e accentuazio-
* Don Giuliano Zatti è responsabile del
del servizio diocesano per le relazioni cristiano-islamiche di Padova.
1
Per una presentazione più ampia e precisa degli argomenti di questo articolo, rimando al sussidio Le comunità cristiane e i musulmani, preparato a Padova nel febbraio 2009
dal Servizio diocesano per la relazioni cristiano-islamiche (cf. www.padovaislam.it) e dall’Istituto San Luca per la formazione permanente del clero. Inoltre si vedano: S. FERRARI
(a cura di), Musulmani in Italia. La condizione giuridica delle comunità islamiche, Il Mulino, Bologna 2000; G. ZATTI, «La convivenza
religiosa: quando la moschea non è lontana
dalla parrocchia», in Credere oggi 4(2006) 154,
55-68; A. PACINI (a cura di), Chiesa e islam in
Italia. Esperienze e prospettive di dialogo, Paoline, Milano 2008. Al tema è stata recentemente dedicata una due giorni di formazione
dei vescovi del Triveneto (7-8.1.2009).
2
CONFERENZA EPISCOPALE DEL TRIVENE-
ni unilaterali. Per un verso ha preso
le distanze dalla logica della polarizzazione, dalla semplificazione della
questione migratoria, dalla riduzione
del fenomeno dell’islam a una caricatura di se stesso; dall’altro non sono
mancati atteggiamenti rinunciatari,
cadute di tono e linguaggio non adeguato.
Siamo in una fase nella quale si
sta tutti imparando a prendere le misure di un confronto e di una convivenza dai quali dipenderà la qualità
della società futura. Sono state sostenute iniziative significative, soprattutto partendo dalla ferialità della gente
e hanno fatto scuola, ormai, alcune
importanti affermazioni sull’integrazione, sul dialogo, sulla reciprocità
come esigenza inderogabile di giustizia, sulla rigorosa conoscenza reciproca.
Ma un auspicio va fatto: nel confronto con l’islam il cattolicesimo non
può essere ridotto a un «marcatore di
identità», perché la fede non definisce
la contrapposizione a qualcun altro.
La testimonianza della fede è altra
cosa e siamo tutti tenuti a recuperare
il meglio delle rispettive tradizioni.
Giuliano Zatti*
TO,
Le vie dell’incontro. Quale dialogo con i
musulmani?, EDB, Bologna 2006, 4c, 16ss.
Una tradizione musulmana, risalente al secondo califfo ’Umar (634-644 d.C.), considera
i locali sacralizzati dalla preghiera islamica
acquisiti dai musulmani una volta per sempre:
tuttavia non si ha notizia di questo risvolto
pratico nei contesti d’immigrazione.
3
I matrimoni tra cattolici e musulmani in
Italia, in Notiziario CEI 5/2005, 139-165; Regno-doc. 17,2005,461. Sull’argomento è molto
utile la consultazione del libro di B. GHIRINGHELLI e A. NEGRI, I matrimoni cristiano-islamici in Italia: gli interrogativi, il diritto, la pastorale, EDB, Bologna 2008. Sui pronunciamenti di altre Chiese, non solo europee, in
merito ai matrimoni di cui parliamo, si veda Il
matrimonio tra cattolici ed islamici, Studi giuridici LVIII, Libreria editrice vaticana, Città
del Vaticano 2002. Cf. anche I. ZILIO-GRANDI
(a cura di), Sposare l’altro. Matrimoni e matrimoni misti nell’ordinamento italiano e nel diritto islamico, Marsilio, Venezia 2006.
Catechesi - Colloquio internazionale
PA R I G I
m
etamorfosi dell’annuncio
La responsabilità catechistica della Chiesa
I
n questo tempo la presa di coscienza da parte della Chiesa,
con i suoi pastori e vescovi sta
portando a riflettere non solo sul
vocabolario in trasformazione
(primo annuncio, annuncio catecumenale ecc.), ma soprattutto su ciò che
permette di organizzare gli elementi di
un linguaggio, la struttura grammaticale del comunicare il Vangelo che chiede
una diversa responsabilità. È ciò che alla fine dei giorni di confronto e colloquio è emerso a Parigi.
Dal 18 al 21 febbraio l’Institut supérieur de pastorale catéchétique ha infatti organizzato un colloquio internazionale su «La responsabilità catechistica
della Chiesa». Lo spunto per avviare
questa riflessione è stato l’anniversario
dei trent’anni della pubblicazione di
Catechesi tradendae (16.10.1979; EV
6/1764ss). Da quell’apparizione sono
cambiate molte cose. Trent’anni fa il
muro di Berlino non era ancora caduto.
Il mondo politicamente era diviso in
due e il conflitto tra i due grandi poteri
strutturava l’esistenza degli individui e
delle nazioni. La vita di milioni di persone dipendeva da questa bipolarità. Le
frontiere erano nette. Il ruolo del potere e delle autorità si manifestava come
fattore di identità e sicurezza. «Terrorismo» era una parola sconosciuta. C’era
l’illusione che l’immigrazione potesse
essere un fenomeno transitorio. E il termine «globalizzazione» non faceva parte del vocabolario quotidiano. Erano
anni di prosperità dove regnava la convinzione che la miseria si sarebbe ridotta nella misura in cui fosse cresciuta la
ricchezza. Allo stesso tempo non esiste-
va Internet. Non esistevano personal
computer sul tavolo di ognuno, né ipod,
né cellulari. La diffusione del sapere richiedeva tempo ed era laboriosa. Le comunicazioni non avevano l’immediatezza e la quantità alla quale siamo abituati. Culturalmente anche lo spazio
era differente. Si passava molto tempo a
cercare informazioni, lo spazio fisico e
lo spazio culturale risultavano stretti,
ma anche meno confusi.
Il Concilio era terminato dieci anni
prima. L’istituzione cattolica appariva
solida e un nuovo papa stava arrivando,
un uomo della comunicazione e dei
media. Catechesi tradendae è uno dei
primi testi di Giovanni Paolo II. Una
buona chiave per leggerlo consiste nel
vedere come in esso si articola la stabilità e la novità, l’ordine e il movimento.
Catechesi tradendae propone una visione che si riferisce alla catechesi classica
e tenta d’integrare la novità che la conferma. Con questa felice intuizione Jacques Audinet ha dato un criterio per
leggere le giornate di studio, e quello
che succede ancora oggi in tante iniziative di annuncio.
U n te s to s fald ato
Accostando il documento si prova
una strana impressione. È la sensazione
di essere di fronte a un testo che si sdoppia; un testo fratturato e sfaldato. Sembra voler tessere insieme due fili, vale a
dire, riferirsi a due visioni distinte e opposte, per farne una sola. Da una parte,
le affermazioni principali e normative,
espresse dai termini «bisogna», «si deve» che ritornano più di cinquanta volte, quasi a ogni paragrafo. Seguite da
infinite sfumature: «tuttavia» e «ma». Il
testo, mentre afferma fortemente un
certo numero di imperativi o di evidenze, non può ignorare che le cose nella
vita di tutti i giorni non sono così semplici. Insomma, principi da una parte,
realtà dall’altra. Per rendersi conto di
questo basta confrontare alcuni numeri
(19; 21 ecc.).
È possibile formulare l’ipotesi che
Catechesi tradendae compia il ciclo della catechesi classica e vi si riferisca. Allo
stesso tempo è obbligata a rendersi conto che questa non corrisponde più alle
situazioni reali. Il modello ha perso la
sua egemonia e il suo carattere inglobante.
Alla fine del Medioevo scompare il
termine catechesi sostituito da catechismo, inteso sia come l’istituzione di insegnare ai fanciulli e agli adulti, sia come il piccolo libro che accompagna
questo insegnamento. Dal XVI secolo
(concilio di Trento) al XX il catechismo
è impresa allo stesso tempo pedagogica,
sociale e religiosa. È un insegnamento
indirizzato a tutti, formulato con autorità, contenente la totalità del messaggio, con una pedagogia di domande e
risposte. L’intento è di comprendere e
sapere. Catechesi tradendae si riferisce a
questo modello e cerca di carpirne le
capacità. Ne riprende gli elementi e le
stesse parole. La catechesi è detta «insegnamento»: è il sapere di una dottrina,
sapere prescritto da un’autorità e diretto a tutti.
Il documento si sforza di declinare
la continuità e l’apertura al futuro. Ricorda e avalla il rinnovamento catechistico: «La catechesi ha bisogno di un
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
231
rinnovamento continuo in un certo allargamento del suo stesso concetto, e
nei suoi metodi, nella ricerca di un linguaggio adatto, nell’utilizzazione di
nuovi mezzi di trasmissione del messaggio» (n. 17; EV 6/1795). Immediatamente dopo, il testo prosegue: «Questo
rinnovamento non ha sempre un uguale valore, e i padri sinodali hanno voluto realisticamente riconoscere, accanto
a un innegabile progresso nella vitalità
dell’attività catechistica e di iniziative
promettenti, i limiti e anche le “deficienze” di ciò che è stato realizzato finora. Questi limiti sono particolarmente gravi quando rischiano di intaccare
l’integrità del contenuto». Difficoltà che
continuano a ripetersi nell’azione catechistica di oggi. Ma il lavoro compiuto
dal rinnovamento della catechesi mette
in discussione il contenuto e le formulazioni tradizionali. Piuttosto che le nozioni teologiche, sono i testi della Scrittura o i testi della liturgia che prendono
posto nella catechesi.
Il rinnovamento catechistico del
XX secolo si è posto in rottura con la
catechizzazione classica sul triplice
punto di vista del contenuto, del sogget-
Etica teologica
cattolica nella
Chiesa universale
Atti del primo Congresso
interculturale di teologia morale
A cura di James F. Keenan
i è tenuto a Padova dall’8 all’11 luglio 2006 il primo Congresso interculturale di etica teologica cattolica.
Quattrocento studiosi di teologia morale, provenienti da 63 paesi, si sono
interrogati sui temi più urgenti della
loro disciplina e hanno delineato il quadro culturale sul quale l’etica è chiamata a esprimersi a livello mondiale.
S
«Oggi e domani»
pp. 376 - € 34,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
232
to e del metodo. Le vecchie categorizzazioni si rivelano troppo corte per
spiegare ciò che capita. Nelle nostre situazioni, quello che arriva dai secoli
passati non è impertinente. Ma riprodurlo sarebbe tradirlo. Si tratta piuttosto di fare nel periodo della globalizzazione e di Internet, quello che i nostri
predecessori hanno fatto, al tempo della scoperta della stampa. Si tratta di
pensare la novità delle situazioni attuali
e di far «accadere» oggi la Parola.
La svolta missionaria
La realtà si è complicata. La riflessione catechistica e il pensiero magisteriale sono arrivati alla percezione dello
spaesamento e sembrano aver trovato
un accordo su un denominatore comune che possiamo definire come una sfida della conversione missionaria della
catechesi e della comunità ecclesiale
tutta intera. In un contesto di rottura
della tradizione e di ex culturazione,
l’annuncio del Vangelo è chiamato a
coniugarsi su due registri fondamentali.
Innanzitutto, la connessione con l’esperienza, senza la quale la proposta della
fede si isola nella teoria e rimane estranea alla vita. In secondo luogo l’esposizione della fede, o meglio il suo racconto, in una maniera che li renda plausibili, culturalmente abitabili e desiderabili. La sfida è di far provare come la fede sia umanizzante e santificante. Nei
contesti di tradizione cristiana, il compito missionario della catechesi consiste
nel promuovere la trasmissione di una
fede, vissuta per tradizione, a una assunta liberamente ed esistenzialmente.
Questa transizione richiede una modificazione profonda delle rappresentazioni religiose, una riscoperta del nudo
Vangelo. Il nuovo stile di evangelizzazione domanda l’impegno teorico e
pratico di tre cambiamenti di prospettiva: una proposta fatta alla libertà dell’interlocutore, nella libertà e in forma
graduale.
Il cambiamento in rapporto all’accoglienza del Vangelo sarà sempre più
connotato dall’elemento della libertà. Il
cambiamento è il marchio di un’epoca.
Noi siamo passati dal «Non si nasce cristiani, lo si diventa» dei primi secoli
(Tertulliano) al «si nasce cristiani e non
si può non esserlo» della lunga stagione
della cristianità. Siamo oggi al terzo tornante, che possiamo così formulare:
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
«non si nasce cristiani, lo si può diventare, ma questo non è percepito come
necessario per vivere umanamente bene la propria vita». La fede cristiana ritorna al suo stato originale di proposta
e di adesione libera. Paradossalmente,
in una società di cristianità, non c’era
bisogno di evangelizzare, perché questo
si produceva in una spazio di bagno sociologico. Si nasceva cristiani. Dopo
tanti secoli si torna a dire che Gesù è il
Signore e a proporre il cuore del suo
Vangelo. In un contesto di indifferenza
si è chiamati a proporre la differenza
del Vangelo.
Una proposta fatta nella libertà a
una libertà, è una proposta all’insegna
della gratuità. L’evangelizzazione rimane l’appello di una libertà di fronte a
un’altra, che decide come vuole e come
può. Questa dimensione assolutamente
gratuita dell’atto della proposta della fede è oggi culturalmente la condizione
comune. Per chi esce da secoli di fede
tradizionale e obbligata, la sola possibilità per ritornare a credere nasce dal
fatto che i testimoni della fede siano
percepiti essi stessi come uomini e donne liberi, capaci di un annuncio gratuito. È apparentemente una condizione
debole, ma essa fa perno sulla stessa forza del Vangelo, come per san Paolo:
«“Ti basta la mia grazia; la forza infatti
si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri
delle mie debolezze, perché dimori in
me la potenza di Cristo» (2Cor 12,9). I
cristiani riconoscono che Gesù Cristo è
il Salvatore di tutti, e che fuori di lui
non c’è salvezza. Riconoscono che la
sua grazia agisce in ogni uomo e in ogni
cultura, anche fuori dalla forma canonica ecclesiale.
Tutti i processi d’introduzione alla
fede diventano graduali. La proposta
non può raggiungere solo l’intelligenza
delle persone, ma la totalità delle dimensioni della persona. Oggi i documenti ecclesiali dicono che il catecumenato è il paradigma di tutta l’evangelizzazione. La globalità dell’annuncio pone di nuovo al centro i processi di iniziazione alla fede e la comunità cristiana,
nel suo insieme come matrice iniziatrice. La catechesi attuale, al di là delle sue
buone intenzioni, è ancora prigioniera
del linguaggio principalmente cognitivo
della fede, della preoccupazione di
esporre la dottrina alla maniera di una
Benedetto XVI
Ebrei e cristiani
scienza. Una modalità simile è pertinente in un contesto nel quale l’affermazione dell’esistenza di Dio è un dato
culturalmente evidente. In un contesto
culturale nel quale Dio non è né evidente né necessario, bisogna ritrovare il
linguaggio tipico del kerigma. E occorre
incrociare il vissuto delle persone, il loro bisogno di vita, ritrovando così il linguaggio narrativo e autobiografico della fede. È importante fare spazio al linguaggio simbolico, in particolare nella
liturgia, che è il linguaggio più adatto
non solo per dire, ma anche per fare
esperienza della fede cristiana. In questo senso il criterio di appartenenza alla
Chiesa non è la fede, che rimane interiore, conosciuta solo da Dio, quanto
piuttosto la professione di fede.
Il valore della comunità
La fede cristiana è propriamente ecclesiale, perché fede ricevuta attraverso
e nella Chiesa che mantiene la memoria di Gesù. Se si può accettare Cristo e
il suo messaggio anche individualmente, non è possibile divenire cristiani se
non nella Chiesa, nella vita sacramentale, sulla base della professione di fede
ecclesiale. Tutto ciò sollecita a porre
una forma di Chiesa che parta sempre
e in ogni caso dall’autodefinizione di
ciascuno dei soggetti coinvolti nell’espressione della fede. Proprio queste attenzioni chiedono di riconfigurare il
volto della Chiesa. Si tratta di una riforma nel senso etimologico della parola,
di una reinterpretazione delle istituzioni esistenti e della creazione di nuove.
L’azione catechistica ha bisogno per
potersi esercitare di un bagno di vita ecclesiale. Senza una comunità di fede,
non ci potrà essere una comunicazione
della fede. In questo momento c’è la necessità di uno sblocco pastorale che avviene attraverso un coinvolgimento intergenerazionale, e conduce a lavorare
a cascata su diversi settori della vita pastorale.
Innanzitutto quello del rapporto tra
famiglia e parrocchia. Questa partenza
diventa il primo luogo di sollecitudine e
di coinvolgimento tra risveglio in famiglia e socializzazione religiosa in comunità. In secondo luogo, il rapporto tra
vita cristiana ed eucaristia. Gli incontri
intergenerazionali restituiscono una
possibilità all’eucaristia perché diventi il
luogo che fa la Chiesa, nutrendo tutte le
generazioni alla stessa parola di Dio
proclamata e commentata, e alla stessa
comunione al corpo di Cristo. Infine la
creazione del rapporto tra tempo profano e tempo sacro e la qualità degli
evangelizzatori e la loro competenza.
La nostra Chiesa è chiamata a mostrarsi ed essere madre dei liberi. Su
questa scommessa si gioca molto del futuro delle nostre Chiese. L’altro che incontro è libero di accogliere la proposta, di rifiutarla, di assumerla parzialmente, di obiettare, di accettare e poi di
andarsene ecc. Tutto questo risulta destrutturante per molti legati alle tradizionali sicurezze, ma il futuro si gioca
sulla capacità della Chiesa di divenire
un’«istituzione di libertà» e uno «spazio
di libertà corresponsabile». La dicotomia «catechismo»/«catechesi» ce la
porteremo dietro ancora per molto
tempo. Ma la rivalorizzazione del linguaggio kerigmatico, narrativo e simbolico è il solo modo per onorare la sfida attuale della catechesi nel nostro
contesto. È anche il modo più efficace
per accogliere nella loro intenzione positiva tutti i catechismi della Chiesa universale o particolare. Essi chiedono di
essere utilizzati non come manuali della fede, ma per quello che sono realmente, un aiuto per servire a mediare ai
diversi livelli l’unico ed eterno deposito
della fede. Facendo in modo che si riesca a coniugare l’unità del mistero cristiano con la molteplicità delle esigenze
e delle situazioni dei destinatari. La speranza cristiana deve dare ragione di sé
sul banco di prova della vita.
L’esercizio fatto dai partecipanti al
colloquio di Parigi è stato proprio quello di provare a stare in questo tempo, ad
accordare i soggetti con il Verbo della
vita, a ripensare i tempi e i modi, a saper costruire nuovamente le preposizioni. In una parola, a ritrovare tutti insieme la grammatica della catechesi, entro
una Chiesa che si ascolta in modo nuovo e inedito il Vangelo di sempre. «Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel
deserto e parlerò al suo cuore» (Os
2,14): è il deserto dell’Europa non più
cristiana. Il declino della cristianità non
è prima di tutto un problema. Apre alla fede cristiana una nuova stagione, un
nuovo volto del cristianesimo di cui solo lo Spirito conosce i lineamenti.
Rinaldo Paganelli
Prima di
Gerusalemme
I
l 12 marzo, a Roma, Benedetto XVI ha ricevuto in udienza una delegazione del
Gran rabbinato d’Israele e la Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi
con l’ebraismo. Nel suo discorso, il papa ha
ricordato che l’inizio del dialogo tra queste
due istituzioni è stato «il frutto della storica visita del mio amato predecessore papa
Giovanni Paolo II in Terra santa nel marzo
del 2000».
«Durante questi sette anni non solo si è
rafforzata l’amicizia tra la Commissione e il
Gran rabbinato, ma siete stati capaci di riflettere su temi importanti che sono rilevanti sia per la tradizione ebraica sia per
quella cristiana. E poiché riconosciamo un
comune patrimonio spirituale, un dialogo
basato sulla comprensione e sul rispetto reciproci è – come raccomanda Nostra aetate (cf. n. 4) – necessario e possibile».
Negli incontri tenutisi tra Roma e Gerusalemme, si sono approfonditi temi come
«la santità della vita, i valori della famiglia, la
giustizia sociale, l’etica, l’importanza della
parola di Dio espressa nella sacre Scritture
per la società e per l’educazione, la relazione tra potere civile e religioso e la libertà religiosa e di coscienza»; nelle dichiarazioni
che ne sono scaturite sono emersi sia gli
elementi comuni sia le differenze.
Per il papa «la Chiesa riconosce che gli
inizi della propria fede sono fondati nell’intervento divino nella storia della vita del popolo ebraico e che qui l’unicità della nostra
relazione ha il suo fondamento». Gli ebrei
hanno così comunicato al mondo questo
rapporto particolare con Dio e i cristiani
sanno che la loro fede «ha le radici nella medesima auto-rivelazione di Dio nella quale si
è nutrita l’esperienza religiosa ebraica».
Benedetto XVI ha poi concluso il suo
discorso facendo riferimento all’imminente
visita in Terra santa, esprimendo la speranza
che il suo viaggio possa essere un’occasione
per ottenere «il prezioso dono dell’unità e
della pace sia per la regione sia per tutta la
famiglia umana».
R. B.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
233
Lussemburgo
Eutanasia
La legge
e i dubbi
L
a «risposta positiva del medico a una
domanda di eutanasia o di assistenza
al suicidio non è sanzionabile penalmente e non può dare luogo a un’azione civile per il risarcimento dei danni e degli interessi»: così recita la legge sull’eutanasia all’art. 2, approvata dal Parlamento lussemburghese il 18 dicembre scorso (cf. Regnoatt. 22,2008,753; 2,2009,70) e formalmente
pubblicata il 17 marzo. Il Lussemburgo diventa il terzo paese europeo, accanto all’Olanda e al Belgio, che legalizza l’eutanasia.
Il percorso di approvazione della legge
è stato particolarmente tormentato. Approvata in prima lettura il 19 febbraio 2008
contestualmente a una legge sulle cure
Polonia
Collaborazionisti
Il caso
è chiuso
I
n una lettera del card. Tarcisio Bertone,
segretario di stato, alla Conferenza dei
vescovi polacchi, si constata l’inesistenza di elementi significativi per l’accusa ad
alcuni vescovi polacchi di colpevole e libera collaborazione con i servizi di sicurezza
del tramontato regime comunista. L’indicazione della Santa Sede ha convinto l’assemblea dei vescovi, riunita all’inizio di
marzo, di chiudere definitivamente il capi-
234
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
palliative, è stata ampiamente discussa nei
mesi successivi. Il granduca Henri ha fatto
sapere di non poterla «sanzionare» e ha accettato di limitare i suoi poteri alla semplice «promulgazione» dopo una modifica
costituzionale. Infine il dispositivo di legge
è stato definitivamente approvato il 18 dicembre 2008.
La Chiesa cattolica è intervenuta più
volte, attraverso il vescovo mons. Fernand
Franck, per denunciare la profonda ferita all’ethos collettivo che la legge produceva.
Nell’ultimo intervento, il 7 dicembre 2008,
scriveva: «La protezione della vita è essenziale per ogni società. È il limite estremo. Il
quinto comandamento del Decalogo ci ricorda: “Non uccidere”. Siamo pienamente
coscienti di tale imperativo e niente al mondo ci persuaderà del contrario». A metà
gennaio ha avviato la celebrazione della prima «Settimana per la vita» come segno pastorale forte per sottolineare la cura ecclesiale per la dignità della vita e del morire.
Il 5 febbraio l’iniziativa civile «Eutanasia
no! Cure palliative sì!» che aveva raccolto
insperatamente in poche settimane 7.444
firme (l’1,5% dell’intera popolazione del
Granducato, 470.000 abitanti) dopo aver
pubblicato otto prese di posizione, organizzato quattro appuntamenti pubblici sul
tema e una dozzina di luoghi di discussio-
ne nelle strade della città, con una numerosa serie di incontri con i politici locali di
tutti gli orientamenti, ha formalmente
chiuso il suo impegno il 5 febbraio. Nelle
migliaia di incontri personali avuti, la convinzione dei promotori è che quasi tutti i
sostenitori della depenalizzazione dell’eutanasia abbiano alle spalle la sofferenza di
una morte traumatica e che ben pochi conoscano la differenza fra eutanasia e accanimento terapeutico. Sono convinti che il
tratto ideologico sia stato prevalente fra i
sostenitori della legge, che non ha trovato
promotori nell’ambito degli ordini medici o
delle istituzioni ospedaliere. Lamentano
tuttavia che le uniche agenzie pubbliche
cha hanno preso posizione sulla questione
siano state la Chiesa cattolica e il Collegio
medico del Granducato.
La scelta di chiudere l’esperienza dell’iniziativa civile segna anche il rifiuto del
«muro contro muro», il non perseguimento
di un referendum, a favore di un’azione culturale e civile sul versante delle cure palliative. La deriva belga di un’eutanasia che interessa anche i minori e, viceversa, il calo
delle domande eutanasiche in Olanda per
la crescita della pratica delle cure palliative
lascia spazio a un confronto che la legge ha
avviato, ma non concluso.
L. Pr.
tolo del collaborazionismo sul versante
episcopale: «I vescovi considerano la questione chiusa. Desiderando concentrarsi
sulla sua missione pastorale, la Conferenza
non intende per il futuro prendere alcuna
posizione su tali materiali». Ne dà notizia
un comunicato ufficiale dell’11 marzo.
Dopo il drammatico caso di Stanislaw
Wielgus, il vescovo eletto di Varsavia che
nel giorno del suo insediamento ha dovuto dare le dimissioni per le sue precedenti
collaborazioni con i servizi segreti (cf. Regno-att. 2,2007,1s; Regno-doc. 3,2007,93ss),
i vescovi avevano creato due commissioni
d’indagine per verificare attentamente le
voci sulla collaborazione dei vescovi.
Il materiale è stato presentato in Vaticano nell’ottobre del 2008, motivando la
conclusione del card. Bertone. Erano una
decina i nomi dei vescovi ancora viventi
trovati negli archivi dei servizi segreti. In
nessun caso vi sarebbe stata consapevole
e libera collaborazione.
La decisione ha suscitato molti dibattiti. In un’inchiesta pubblica il 39% degli in-
tervistati non condivide la scelta episcopale. Il comunicato ufficiale difende con
energia l’operato dell’attuale nunzio in Polonia, mons. Józef Kowalczyk, accusato di
collaborazionismo per i colloqui con alti
funzionari dello stato, autorizzati e gestiti
d’intesa con la Santa Sede. Esempio di
quella utilizzazione impropria dei materiali archivistici che i vescovi denunciano da
tempo e che hanno lambito anche figure
come il presidente della Conferenza episcopale, mons. Józef Michalik, il vescovo di
Lublino, mons. Józef Zycinski e l’arcivescovo metropolita di Gniezno, mons. Henryk
Muszynski.
Va ricordato che la Chiesa cattolica
polacca è stata la Chiesa più esposta nell’opposizione al regime di tutte le Chiese
cristiane operanti nell’Est Europa e quella
che con maggior chiarezza ha accettato di
fare i conti con le ambiguità e i collaborazionismi di alcuni dei preti e dei vescovi
(cf. il Memorandum in Regno-doc. 17,2006,
576ss).
L. Pr.
BENEDETTO XVI
l
Viaggio in Camerun e Angola
a necessità del Vangelo
Cronaca di un viaggio diverso
dalle inter pretazioni europee
I
l «bene che si fa è spesso più
discreto ma più profondo del
male bruciante e tragico riportato dai media». In questa breve frase, contenuta nell’Instrumentum laboris della prossima Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo
dei vescovi (che si terrà in Vaticano dal
4 al 25 ottobre 2009 e sarà la seconda
dopo quella del 1994), è forse contenuto il significato del viaggio di Benedetto XVI in Camerun e Angola, una visita che ha voluto essere soprattutto un
gesto di grande incoraggiamento e di
fiducia (cf. Regno-doc. 7,2009,197ss).
Il papa nei sette giorni di permanenza in Africa (dal 17 al 23 marzo)
non ha mai nascosto i problemi. Anzi,
nella denuncia dei mali non avrebbe
potuto essere più chiaro. Ma come un
vero padre, che ha a cuore il futuro dei
figli e la loro capacità di crescere, ha
sapientemente miscelato denuncia ed
esortazione, in modo da valorizzare
ogni segnale di speranza iniettando vitamine spirituali in un corpo sofferente e oggi sottoposto a nuove tensioni.
Mai in silenzio
di fronte al l’ingiustizia
La tappa camerunese è stata caratterizzata dalla consegna dell’Instrumentum laboris ai vescovi, documento
che mette in evidenza con grande efficacia luci e ombre dell’Africa. Tra gli
aspetti positivi si segnala il processo di
emancipazione dalle dittature, la progressiva diffusione, anche se spesso timida e non sempre omogenea, di una
cultura democratica, la crescita della
cooperazione tra paesi africani, la vita-
Benedetto XVI durante la messa nello stadio
Amadou Ahidjo di Yaoundé, Camerun, 19.3.2009.
lità della Chiesa, l’aumento costante
del numero dei battezzati e delle vocazioni sacerdotali e religiose, la diffusione dei mass media d’ispirazione cristiana e delle università cattoliche.
Tra gli aspetti problematici che attendono risposta si segnala invece lo
spadroneggiare di forze internazionali
che sfruttano l’Africa e fomentano
nuovi conflitti per assicurarsi vantaggi
economici, lo strapotere delle multinazionali che invadono il continente per
appropriarsi delle sue risorse naturali,
la corruzione diffusa tra politici e amministratori, la mancata applicazione
delle promesse relative agli aiuti allo
sviluppo, l’imposizione di modelli di
produzione agricola (si veda la propaganda a favore degli OGM), che anziché garantire la sicurezza alimentare
rovinano i piccoli coltivatori, aprendo
la strada alle grandi società. E poi gli
effetti perversi della globalizzazione,
che emargina l’Africa e ne distrugge
l’identità, la continua opera di erosione della coesione sociale e della famiglia, l’importazione di un modello culturale unico contrario alla vita e indifferente al grido dei poveri. Nel complesso, un documento importantissimo, che riesce a calare le peculiarità
dello spirito cristiano nel contesto concreto dell’Africa di oggi, assegnando
alla Chiesa una responsabilità di primo piano. Ed è proprio da questo documento che occorre partire per capire i contenuti e la portata della visita di
Benedetto XVI.
«Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo: è un dovere per me:
guai a me se non predicassi il Vangelo». Citando san Paolo (1Cor 9,16),
davanti ai vescovi del Camerun nella
chiesa di Christ-Roi in Tsinga a
Yaoundé, il papa ha sottolineato la dimensione missionaria dell’impegno
ecclesiale. Si tratta davvero d’intercedere nel senso letterale del termine: di
camminare in mezzo, affrontando in
una prospettiva evangelica tutti i nodi
e tutte le contraddizioni di una realtà
tanto complessa. La visita del pontefice è diventata così espressione fisica
dell’impegno missionario e l’immagine
del papa in mezzo a folle tanto grandi,
sia in Camerun sia in Angola, resterà a
lungo come sintesi della promessa cristiana.
Nei due paesi i richiami del papa
sono stati simili perché tali sono i mali
nelle due realtà incontrate. «Mai rimanere in silenzio davanti al dolore o alla
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
235
violenza, alla povertà o alla fame, alla
corruzione o all’abuso del potere», ha
esclamato Benedetto XVI davanti al
presidente del Camerun, Paul Biya,
che è al potere da 27 anni e ha cambiato la Costituzione per restarvi a vita. Da queste parti proclamare il Vangelo può costare la vita. Negli ultimi
due decenni sono stati uccisi due vescovi, otto sacerdoti, quattro suore e il
direttore del giornale cattolico di
Yaoundé, L’Effort camerounais, che
stava pubblicando una scottante inchiesta sul traffico d’armi.
Nei tre giorni in Camerun il presidente Biya, accompagnato dall’eccentrica moglie Chantal, ha cercato di
sfruttare al massimo il ritorno d’immagine dovuto alla presenza del papa,
tanto che in giro si sono viste perfino
magliette e camicie appositamente
confezionate con l’immagine di Biya
accanto a quella di Benedetto, ma i vescovi non si lasciano certamente condizionare. Il card. Christian Tumi, 79
anni, a capo della diocesi di Douala,
ha chiesto pubblicamente al capo di
stato di non ripresentarsi alle elezioni
dell’anno prossimo. Parole chiare, al
pari di quelle del papa, che ha denunciato uno per uno i mali del paese, dall’indifferenza del potere per la sorte
dei più poveri al traffico degli esseri
umani, dal disordine finanziario alla
rapina sistematica operata da chi utilizza il territorio per prelevarne le ricchezze lasciando in cambio solo corruzione e violenza.
Benedetto XVI ha indicato una
strada praticabile per tutti quelli che
vogliono amare l’Africa senza cadere
in un terzomondismo di maniera. Sia
in Camerun sia in Angola (seconda
tappa del viaggio, dal 20 al 23 marzo),
ha riconosciuto i torti subiti da questi
popoli e ha messo in luce i soprusi di
cui ancora oggi sono vittime, ma soprattutto li ha richiamati a un’assunzione di responsabilità. Sebbene l’aiuto dei paesi più ricchi resti insostituibile (e infatti il papa li ha esortati a rispettare la promessa di devolvere lo
0,7% del proprio PIL alla cooperazione internazionale), l’Africa deve trovare da sé la via verso l’emancipazione e
la promozione umana.
A Luanda, capitale dell’Angola, rivolto a politici e ambasciatori, Benedetto XVI è stato esplicito: bisogna
236
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
puntare sui diritti civili fondamentali e
inalienabili, garantire amministrazioni
trasparenti, estirpare la corruzione,
permettere a tutti di accedere all’istruzione e alle cure sanitarie, assicurare
nei fatti, specie con il diritto alla casa,
quella dignità umana che oggi è ancora troppo spesso calpestata e misconosciuta.
Dopo 27 anni di sangue
In un paese come l’Angola, sfibrato da 27 anni di guerra civile e ora lanciato verso una ripresa economica tumultuosa, le parole del pontefice sono
risuonate come un ammonimento senza sconti verso la classe dirigente, ma
TV e stampa locali, così come era già
successo in Camerun, hanno preferito
glissare, puntando sugli aspetti più superficiali ed emotivi della visita.
Con una crescita economica che
sfiora il 25% annuo e una produzione
di greggio che le ha consentito di superare la Nigeria e di entrare nell’Organization of the Petroleum Exporting
Countries (OPEC) come primo produttore africano, l’Angola sulla carta è
un paese al quale non manca nulla per
diventare florido. Ma finora i proventi
sono finiti nelle tasche di pochi, mentre la maggior parte della popolazione
continua a vivere senza disporre del
necessario.
Per rendersene conto basta girare
un po’ per le strade della capitale, perennemente soffocata da un traffico incredibile. Auto spesso lussuose, SUV
imponenti, fuoristrada dai vetri oscurati stanno in fila e accrescono l’inquinamento dell’aria. Appartengono a
circa 200.000 privilegiati, gli stessi che
frequentano i ristoranti da 200 dollari
a pasto e vivono nelle case in muratura e nei nuovi palazzi, mentre il resto
della popolazione cittadina, circa tre
milioni di abitanti, tira avanti come
può. Il profilo urbano cambia in continuazione, edifici di molti piani vengono tirati su a ritmi sbalorditivi contando anche sulla manodopera a basso
costo. Sportelli bancari si trovano in
ogni strada del centro. Eppure, percorsi pochi chilometri verso la periferia,
ecco le baraccopoli su colline di rifiuti,
dove bambini nudi giocano nell’acqua
melmosa dei canali di scolo tra miasmi
che lasciano senza fiato.
Oltre al petrolio, i diamanti sono
l’altra ricchezza di questo paese abitato da 15 milioni di persone e grande
quattro volte l’Italia, ma anche in questo caso è una ricchezza che va a ingrassare i conti in Svizzera di una piccola oligarchia di privilegiati, senza
portare benefici tangibili alla gente del
posto. Una situazione di fronte alla
quale si capiscono meglio i ripetuti appelli del papa contro le nuove forme di
colonialismo predatorio che soffocano
sul nascere le possibilità di riscatto dell’Africa.
In Angola il grande investitore straniero è la Cina. Il presidente Eduardo
Dos Santos, al potere da trent’anni,
burocrate di scuola sovietica (laurea in
ingegneria a Baku, città del petrolio),
dopo il successo nella guerra civile ha
agito con grande spregiudicatezza,
prima rinnegando la via angolana al
socialismo e aprendo agli Stati Uniti,
poi allacciando rapporti privilegiati
con Pechino, ma tanta disinvoltura
ideologica non ha coinciso con un’azione altrettanto rapida e decisa nel
sostenere un popolo uscito da un conflitto tanto lungo e sanguinoso.
L’Angola inoltre deve fare i conti
con la minaccia subdola e devastante
delle mine antiuomo, che a milioni (secondo alcune stime potrebbero essere
tante quante gli abitanti della nazione)
sono rimaste nascoste nel terreno e
continuano a mietere vittime. Ovunque si vedono mutilati, e se in città
qualche forma di assistenza esiste, nelle campagne queste persone sono destinate all’abbandono. L’opera di sminamento è molto costosa, richiede
l’impiego di apparecchiature sofisticate e tempi lunghi. L’Europa ha dato un
contributo e in Angola operano alcune
organizzazioni internazionali che si
occupano del problema, ma senza
l’appoggio dei governanti locali tutto
diventa più difficile.
Te s t i m o n ia re co m u n q u e
Con i suoi interventi il papa ha saputo entrare in profondità anche nella
mentalità e nella spiritualità degli africani. Ha chiesto all’intero continente
di non lasciarsi intrappolare nei tribalismi e nelle lotte etniche, ha raccomandato di rifiutare quelle forme di
spiritismo e stregoneria che condannano il popolo alla paura e sfociano spesso nell’abbandono di bambini in stra-
da e anziani, se non addirittura in sacrifici umani. Ha chiesto il rispetto della donna e il riconoscimento della sua
pari dignità rispetto al maschio, raccomandando a padri e mariti di assumersi le proprie responsabilità, senza
tuttavia che la necessità di assicurare
alla donna una presenza nella vita
pubblica vada a discapito del suo insostituibile ruolo nella famiglia.
Attento a non urtare la sensibilità
delle genti a cui si è rivolto, Benedetto
XVI ha voluto essere però concreto,
tanto che le sue parole si configurano
come una vera e propria agenda di lavoro per la classe dirigente locale oltre
che come documento di grande forza
spirituale. Ai giovani, incontrati nello
stadio «dos Coqueiros» di Luanda, ha
chiesto di rifiutare i richiami suadenti
della cultura dominante (libertinismo,
sfruttamento sessuale, droga, relativismo morale) per scegliere senza esitazioni la via indicata da Gesù, la sola
che può assicurare riscatto, giustizia e
autentica fratellanza.
In un tale contesto la Chiesa ha il
dovere di dare una testimonianza coerente rispetto al Vangelo, scegliendo
senza compromessi di stare dalla parte
di chi soffre e non ha neppure la possibilità di esprimere il proprio dolore.
Benedetto ha ringraziato tutti coloro
che nella Chiesa donano le proprie vite per questo obiettivo, ma non ha
mancato di stigmatizzare comportamenti e stili di vita che, in quanto a
coerenza evangelica, lasciano a desiderare. Nel discorso ai vescovi del Camerun ha sottolineato che per assumere
la missione dell’evangelizzazione e rispondere alle sfide del mondo d’oggi i
pastori devono agire in «profonda comunione», con viva coscienza della
«dimensione collegiale» del ministero
e attraverso espressioni di «fraternità
sacramentale». Bisogna mettere in atto, ha detto, un’effettiva collaborazione tra comunità e diocesi, specie per
quanto riguarda la ripartizione dei sacerdoti e la solidarietà verso quei settori della Chiesa che versano nell’indigenza.
Rivolto ai vescovi il papa è stato
particolarmente analitico. Il pastore
presti attenzione alla qualità del rapporto con i sacerdoti, non li lasci soli,
si faccia interprete delle loro richieste.
L’esempio e la parola del vescovo sono
un aiuto prezioso, ma si tratta anche di
mettere in atto un’opera di costante ed
effettiva vigilanza circa la fedeltà dei
sacerdoti e delle persone consacrate
agli impegni assunti con l’ordinazione
e l’ingresso nella vita religiosa.
Sotto questo profilo acquista particolare importanza la selezione e la formazione dei giovani candidati al sacerdozio. Si tratta, dice il papa, di procedere a un «serio discernimento», specie attraverso l’opera di formatori e direttori spirituali, che vanno a loro volta formati con particolare attenzione.
La vitalità
della Chiesa africana
La Chiesa in Africa ha grande vitalità ed è caratterizzata spesso da generosità e coraggio, ma accanto a queste
qualità ci sono anche la mancanza di
disciplina, la propensione ad agire in
modo individualistico, la tendenza a
non rispettare sempre la coerenza fra
ciò che si insegna e il modo in cui si vive. Consapevole che la Chiesa africana
possiede carismi suoi propri, Benedetto XVI non ha chiesto di rinnegarli o
di soffocarli, ma di metterli a disposizione di una vera testimonianza evangelica.
Il papa ha manifestato una particolare preoccupazione nei confronti
della famiglia, che nell’impatto con la
modernità e la secolarizzazione è indebolita e spesso devastata. L’impegno
per la pastorale familiare, ha detto, è
tutt’uno con l’impegno per la salvaguardia dell’uomo africano.
Nell’analisi di Benedetto XVI non
poteva mancare un riferimento alla liturgia, e anche in questo caso il papa
ha voluto salvaguardare le peculiarità
della cultura africana, mettendola
però al servizio di un’effettiva crescita
spirituale. Le celebrazioni ecclesiali festose e gioiose tipiche dello spirito africano siano un mezzo per entrare in
dialogo con Dio e mai un ostacolo, e
sempre sia garantita «la dignità delle
celebrazioni».
Sul piano religioso «lo sviluppo di
sette e movimenti esoterici, come pure
la crescente influenza di una religiosità
superstiziosa» (Discorso ai vescovi del
Camerun, 18.3.2009; Regno-doc. 7,
2009,200) costituiscono un «invito
pressante» a un’adeguata formazione
tanto dei giovani quanto degli adulti,
specie in ambito accademico. Fondamentale è la presenza nelle strutture e
nella vita della Chiesa di fedeli laici al
servizio della persona e della società.
Di fronte a una tale ricchezza di
contenuti, è un peccato che in Italia e
in altri paesi europei il primo viaggio
in terra africana di Benedetto XVI sia
apparso soprattutto come spunto di
polemiche innescate da alcune affermazioni fatte dal papa durante la conferenza stampa a bordo dell’aereo, nel
corso del viaggio di andata. A proposito dell’uso del preservativo, che a giudizio del pontefice non è e mai potrà
essere un modo efficace per combattere la diffusione dell’AIDS, è scattata
ancora una volta una condanna netta
che ha offuscato ogni possibilità di
confronto sereno. Su questo modo di
accogliere gli inviti e le valutazioni dell’attuale pontefice bisognerà interrogarsi perché sta prendendo l’aspetto di
un meccanismo ideologico a comando. L’impressione è che, di fronte ai
contributi di un papa che con grande
chiarezza interroga la ragione umana,
una larga parte della cultura contemporanea risponda in modo aggressivo
utilizzando l’armamentario di veri e
propri dogmi laicisti.
Come è stato osservato, è difficile
non vedere dietro le accuse al papa in
materia di contraccezione gli interessi
delle multinazionali del condom e un
fuoco di sbarramento in grado di nascondere le sollecitazioni rivolte da Benedetto XVI alla coscienza delle società opulente. Le esperienze messe in
atto (si pensi al progetto Dream della
Comunità di Sant’Egidio) dimostrano
che il virus dell’HIV si contrasta molto
più efficacemente con un’alimentazione adeguata, acqua pulita e assistenza
sanitaria che non con la distribuzione
di profilattici. Senza contare che il cosiddetto diritto al preservativo mantiene la popolazione in una condizione di
«infanzia» culturale e spirituale, evitando ogni seria riflessione sui modelli
morali. È poi paradossale che le critiche, anche feroci, al papa arrivino da
quegli stessi ambienti politici che hanno dimezzato gli aiuti allo sviluppo.
Per tutti questi motivi è importante
che l’eco del viaggio in Africa non si
spenga subito.
Aldo Maria Valli
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
237
S
UDAN
- Tr i b u n a le p e n a le i n te r n a z i o n a le
S
e la giustizia non porta la pace
L
a plateale reazione del presidente
sudanese Omar al Bashir (nella foto) al mandato di cattura spiccato
nei suoi confronti dal Tribunale penale
internazionale dell’Aja il 4 marzo è indice di un nervo scoperto che indubbiamente è stato toccato.1
Nel giro di pochi giorni egli ha
espulso 13 organizzazioni umanitarie
operanti in Darfur, con l’accusa di essere
«spie» dell’Occidente; accompagnato da
una delegazione di alto profilo, si è recato in Eritrea, Egitto e Libia; ha partecipato il 30 marzo all’annuale summit della
Lega araba a Doha (Qatar), in cui era presente anche il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon (il quale
però non ha voluto incontrarlo); e infine il 1o aprile si è recato in
pellegrinaggio alla Mecca.
In questo modo egli ha incassato una nutrita serie di risultati:
un’ampia eco sui media; il rinnovato e deciso sostegno della Lega
araba; la minaccia di alcuni stati africani di non aderire più al Tribunale internazionale; l’aver convinto l’opinione pubblica di lingua
araba che il mandato d’arresto è un frutto del «doppio standard»
che le istituzioni delle Nazioni Unite applicherebbero al loro lavoro. D’altra parte, è un fatto che gli ultimi quattro procedimenti
aperti all’Aja sono a carico di quattro «casi» africani: Uganda, Centrafrica, Repubblica democratica del Congo e Sudan.
Il tour quindi ha rafforzato sul fronte esterno le alleanze di
quegli stati legati al Sudan anche da interessi economici: per il petrolio (Cina in particolare), per l’approvvigionamento idrico (Egitto)
e per la ricostruzione (Arabia Saudita).2
Tuttavia, le maggiori preoccupazioni per Bashir vengono almeno in pari misura dal fronte interno: da un lato, il proprio partito, il
National Congress Party, che potrebbe cogliere l’occasione per
modificare i propri equilibri e sfiduciare la linea politico-militare
del capo del governo, ovvero ricattarlo al fine di poter avere la
certezza che i propri interessi economici non rischino di volatilizzarsi se la situazione politica andasse fuori controllo; dall’altro, il
Sudan People’s Liberation Movement, l’alleato del Sud entrato nel
governo in base agli accordi di pace, ma pronto a ridiscuterli se il
Sudan dichiarasse lo stato d’emergenza.
Per evitare un inasprimento del conflitto in Darfur che non
gioverebbe a molti, c’è chi propone una dilazione del mandato
d’arresto – possibilità prevista dallo Statuto di Roma fino a un
massimo di un anno –. Tra i favorevoli a questa ipotesi vi è anche
un noto intellettuale d’origine ugandese, Mahmood Mamdani, che
in un articolo apparso sul Mail&Guardian del Sudafrica
(20.3.2009), provocatoriamente intitolato Beware Human Rights
Fundamentalism! (Attenzione al fondamentalismo dei diritti
umani), oltre a negare che in Darfur vi sia in atto un «genocidio»
(termine che nel linguaggio ONU rimanda a specifici crimini) quanto piuttosto omicidi di massa; oltre a ridimensionare le cifre dei
morti (da 300.000 a 1.520), propone due interessanti chiavi interpretative.
238
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
Da un lato, tutta la documentazione presentata dal Tribunale propone
una lettura monodimensionale delle
atrocità commesse nel conflitto in Darfur, che avrebbero in Bashir l’unico mandante. Al contrario, analizzando meglio
la storia del paese, emerge che quel
conflitto ha almeno quattro cause concomitanti: un’iniqua distribuzione della
terra che risale ai tempi del colonialismo
britannico; un degrado ambientale dovuto all’avanzare del deserto che in 40
anni ha divorato 100 chilometri; lo straripamento in territorio sudanese della
lunga guerra civile del Ciad e, infine, la
brutale risposta militare alla ribellione da parte del governo guidato da Bashir tra il 2003 e il 2004.
Dall’altro – afferma Mamdani – applicare una giustizia «che
prescinde dal contesto politico o dalle conseguenze» che essa
stessa potrebbe provocare, che prescinde cioè dal rischio concreto di «una rinnovata guerra civile» in Sudan, non rischia di diventare fondamentalista? Non potevano i casi mozambicano e sudafricano insegnare come «dare la priorità a una giustizia di tipo politico piuttosto che a una giustizia di tipo penale»?
Va nella medesima direzione la dichiarazione di mons. Rudolf
Deng, vescovo di Wao e presidente della Conferenza episcopale
sudanese. Egli ha dichiarato che il mandato d’arresto non porterà
la pace al paese perché è necessaria una genuina riconciliazione tra
le persone: «Ciò di cui abbiamo bisogno è una maggiore sincerità
da parte dei leader e dei ribelli e un più serio impegno da parte
della comunità internazionale per salvare il Sudan», ha concluso.
M.E. G.
1
Il mandato d’arresto è frutto di un processo iniziato nel 2005,
quando il Consiglio di sicurezza dell’ONU aveva chiesto al procuratore generale del Tribunale, Luis Moreno Ocampo, d’effettuare indagini
sui crimini compiuti in Darfur; Regno-att. 8,2005,223. Il 27.2.2007, dopo 20 mesi di lavoro, Moreno Ocampo ha presentato alla stampa 100
pagine d’accusa contro Ahmad Muhammad Harun, ministro per le
Questioni umanitarie e già ministro degli Interni con delega al Darfur,
e Ali Kushayb, comandante delle milizie janjaweed; Regno-att.
4,2007,117. Nel 2008, infine, il Tribunale ha reso noto che il numero uno
della lista di colpevoli stilata in base alle indagini effettuate è proprio
Omar el Bashir; Regno-att. 14,2008,440.
2
Gli USA non aderiscono al Tribunale penale internazionale e tuttavia storia, alleanze e posizione geografica fanno del Sudan una nazione cui gli essi seguono con attenzione, tanto è vero che Obama ha
nominato un proprio inviato speciale, il generale J. Scott Gration che a
metà marzo è partito per il Sudan con la delicata missione di tentare
una mediazione per il rientro delle ONG espulse. L’interesse non è naturalmente solo umanitario, dal momento che in particolare nella zona meridionale del paese, la mancanza di frontiere controllate tra Sudan, Nord Uganda e Congo orientale ne fa una «terra di nessuno» dove circolano in maniera massiccia armi. Fonti statunitensi hanno rivelato solo a marzo che un convoglio d’armi di provenienza dall’Iran con
destinazione Striscia di Gaza che transitava per il Sudan è stato bombardato dall’aviazione israeliana nel gennaio scorso.
USA
c
I
I vescovi e Obama
oalizioni fragili
Le tensioni a partire dai temi bioetici
Boston, 2 aprile 2009.
l cristianesimo americano esprime la sua vitalità principalmente
al di fuori delle istituzioni ecclesiastiche che invece sono così
centrali per la religione del vecchio continente. Questo vale anche per la Chiesa cattolica statunitense,
che numericamente costituisce ormai la
prima denominazione nel panorama
confessionale americano, ma che ha
anche il singolare primato di essere la
prima «ex Chiesa» (secondo una recente ricerca del Pew Forum, circa 25 milioni di americani si definiscono ex cattolici). Nella primavera 2009 sono le
università cattoliche degli Stati Uniti a
essere al centro, ancora una volta, del
dibattito interno alle diverse anime della Chiesa.
Il card. Francis George, presidente della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti.
L’invito a Notre Dame
Dopo le ricorrenti polemiche sulla
decisione di alcune università di mettere in scena rappresentazioni dei noti
Vagina Monologues e sullo spazio da
concedere nei campus cattolici ai gruppi di studenti gay, lesbiche e transgender
(LGBT), nelle ultime settimane il dibattito si è ampliato in seguito alla decisione della University of Notre Dame – la
più prestigiosa tra le università cattoliche statunitensi – di conferire un dottorato in legge honoris causa al presidente neo-eletto Barack Obama e sull’invito rivolto dal presidente di Notre Dame, John Jenkins csc, al 44° presidente
degli Stati Uniti di tenere, il 17 maggio,
il discorso alla cerimonia di laurea.
Al campus di Notre Dame Barack
Obama – il sesto presidente in carica a
essere invitato a tenere un discorso a
Notre Dame e il nono a ricevere un titolo da quella università –1 si troverà in
compagnia di Mary Ann Glendon, docente ad Harvard, già ambasciatrice di
G.W. Bush in Vaticano, che riceverà l’onorificenza Laetare medal 2009 per la
sua attività in difesa della vita umana.
A pochi mesi dalla campagna elettorale e dalla relativa spaccatura all’interno del mondo cattolico, e sullo sfondo dei primi passi dell’amministrazione
Obama sulle questioni bioetiche e di difesa della vita, le reazioni non si sono
fatte attendere. Il vescovo della diocesi
di Fort Wayne-South Bend (nel cui territorio si trova Notre Dame) ha fatto sapere, in una presa di posizione «in difesa della verità circa la vita umana», che
non parteciperà alla cerimonia.
Nei giorni seguenti, sulla scia di una
raccolta di firme contro la decisione di
Notre Dame (organizzata in particolare
dalla Società card. Newman),2 il fronte
della Conferenza episcopale più attivo
nel denunciare le politiche pro-choice del
Partito democratico ha aspramente criticato la decisione del presidente di Notre Dame, che è stato pubblicamente disapprovato per la sua decisione anche
dal superiore generale della Holy Cross
(la congregazione religiosa che nel 1842
fondò Notre Dame e i cui membri fanno parte del Consiglio direttivo dell’università). I periodici cattolici America,
Commonweal e National Catholic Reporter hanno difeso le ragioni dell’invito
al presidente come un utile passo verso
l’apertura di un dialogo tra visioni diverse circa la difesa della vita,3 e il tono del
dibattito ha mosso i giornali nazionali a
prendere posizione.4
L’episcopato si è spaccato – come
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
239
durante la campagna elettorale – tra
una maggioranza silenziosa e un’attiva,
non trascurabile minoranza critica verso la decisione di Notre Dame, situazione che ha spinto l’arcivescovo emerito
di San Francisco, già presidente della
Conferenza episcopale degli Stati Uniti, John Quinn, a fare appello ai confratelli vescovi: «È nell’interesse sia della
Chiesa sia della nazione che entrambe
lavorino assieme per il bene comune, in
un clima di civiltà, sincerità e amicizia,
nonostante ci siano gravi divisioni, come sull’aborto. Un approccio diverso
da quello della mano tesa non migliorerà la possibilità di fare progressi su
questa e su altre questioni di interesse
comune».5
Le questioni bioetiche
La tempesta scoppiata attorno all’invito a Notre Dame non è inaspettata, e la tensione tra amministrazione
Obama e mondo cattolico non riguarda solo una frangia di vescovi. Mentre
lo spettro del disegno di legge abortista
«Freedom of choice act» (FOCA) sembra essere uscito di scena per il momento, e la nomina del governatore del
Kansas, la cattolica pro-choice Kathleen
Sebelius, a ministro della Sanità non ha
incrinato il fronte dei cattolici vicini all’amministrazione Obama, altre due
decisioni potrebbero incrinare il rapporto con quel mondo cattolico che pure ha contribuito a portare Obama alla
presidenza: l’ordine esecutivo con cui il
presidente ha riaperto il finanziamento
alla ricerca sulle cellule staminali, e la
proposta della Casa bianca di rescindere le protezioni per gli operatori sanitari obiettori di coscienza.
Da qualche settimana i commentatori, anche quelli più simpatetici con
l’amministrazione Obama, hanno iniziato a notare il rischio per il presidente
neo-eletto di cadere in una nuova guerra culturale attorno alle questioni della
difesa della vita: specialmente in seguito
alla decisione sulle staminali, che è stata
giudicata figlia di una visione scientista
che rappresenta l’estremo opposto rispetto al fideismo politicante dell’amministrazione Bush.6 I vescovi – tra cui il
presidente della conferenza episcopale,
il card. Francis George di Chicago –
hanno definito la proposta sull’obiezione di coscienza «una minaccia ai diritti
umani»; ma le critiche alle recenti deci-
240
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
sioni della Casa bianca non sono venute
solo dalla Conferenza episcopale.
Sia il mondo pro-life, sia gli ambienti a favore della ricerca sulle staminali
hanno sottolineato la provvisorietà della decisione del presidente, che ha rimesso all’Istituto nazionale di sanità
(NIH) l’elaborazione di linee guida sulla ricerca in questo campo, e hanno evidenziato, da un lato, l’inevitabilità di un
dibattito parlamentare sulla questione,
e, dall’altro, il rischio che sia la ricerca
scientifica a darsi regole al di sopra di
un approfondito dibattito culturale e
politico sui limiti etici della ricerca sulla
vita umana, proprio in un momento in
cui l’America paga il prezzo di un trentennio d’irresponsabile deregulation in
economia.
Le sorti dell’economia formeranno
il giudizio degli americani (anche dei
cattolici) sulla presidenza Obama, ma
lo scenario dei rapporti tra la Chiesa e
la Casa bianca sembra soffrire di tensioni maggiori di quelle che, dopo l’elezione del 4 novembre 2008, sembravano
circoscritte a visioni diverse della questione dell’aborto: tensioni che sono in
gran parte una lotta interna ai cattolici,
tra uno schieramento pro-life molto attivo e fermo nella difesa dei principi
non negoziabili (una pattuglia di vescovi, con una rete attiva di associazioni,
riviste e siti web) e una maggioranza di
cattolici pragmatici convinti che l’attenzione dei cattolici non possa esaurirsi
sulla questione dell’aborto e che una
«guerra culturale» non giovi né alla difesa dei principi né alla capacità della
Chiesa cattolica di difenderli nello spazio pubblico.
Queste tensioni però riflettono anche un obiettivo inasprirsi delle posizioni della Casa bianca, che in vista
della riforma della sanità – vero nodo
politico-economico per la sopravvivenza sociale ed economica degli USA sul
lungo periodo – dovrà rimettere al dibattito parlamentare questioni politicamente molto delicate: per esempio,
se l’aborto sia da considerare una pratica che rientra nei «servizi per la salute riproduttiva».
Un cat tolicesimo senza te t to
I primi tre mesi della presidenza
Obama parlano della dinamica dei rapporti tra la Chiesa e la nuova amministrazione: ma dicono molto di più sulla
dialettica interna al cattolicesimo americano. Il caso di Notre Dame è una prova di forza, l’indizio di una tensione evidente tra una parte dell’episcopato nostalgica dell’era Bush da una parte, e
dall’altra il mondo degli intellettuali,
della teologia cattolica e delle università
cattoliche americane, che nelle ultime
elezioni si sono schierati (gli studenti in
maggioranza, e i docenti in grande
maggioranza) con Obama e per la fine
del discorso politico-religioso di scuola
neo-conservatrice.
È una tensione che vede questi due
protagonisti in prima fila, ma che rispecchia una spaccatura all’interno dell’episcopato e tra vescovi e fedeli, e che prelude a un’archiviazione del documento
della Conferenza episcopale Una cittadinanza fedele (14.11.2007) e dello spirito che lo animava, che da alcuni vescovi
è stato accusato di essere all’origine del
«disorientamento morale» dei cattolici
nel segreto dell’urna elettorale, cioè all’origine della vittoria di Obama.7
Questa prova di forza va al di là della resa dei conti per le elezioni del 2008
ed è il frutto di una questione politica e
culturale interna al cristianesimo americano. Sorto nei tardi anni Sessanta con
un programma che univa la condanna
dell’aborto e la protesta contro la guerra
in Vietnam, nel corso degli ultimi due
decenni il movimentismo pro-life (cattolico e non) si era progressivamente identificato con la piattaforma ideologica del
Partito repubblicano di Reagan e di
G.W. Bush. È finito il periodo in cui la
Casa bianca in mano ai repubblicani si
era fatta paladina della «cultura della vita», con il fine non secondario di squalificare agli occhi dell’elettorato religioso
(e cattolico in particolare) i democratici
pro-choice: per i rappresentanti dello
schieramento pro-life e per molti vescovi
questo costituisce un cambiamento politicamente e culturalmente difficile da
elaborare.
La tensione interna alla Chiesa cattolica ha una rilevanza, oltre che ecclesiale e culturale, anche politica, perché
insiste su uno scenario che dal punto di
vista politico-religioso è formato da due
fragili coalizioni. La coalizione costruita
dai repubblicani negli anni Novanta –
sotto le cui ali si ritrovano i social conservatives, i fiscal conservatives e i neo-conservatori – ospita tra le sue élite dirigenti un nutrito gruppo di cattolici anti-Va-
ticano II e di convertiti al cattolicesimo
romano, difensori di un’ortodossia di recente acquisizione.8
Lo schieramento che ha portato
Obama alla vittoria ha colto l’occasione
offerta dalla spaventosa crisi economica,
ma anche il passaggio verso le bandiere
del Partito democratico di una larga fetta di cattolici socialmente conservatori
ma stanchi dell’era Bush e fiduciosi nei
confronti del moderatismo del candidato democratico. Alcuni segnali dicono
che le prime decisioni del presidente in
materia di bioetica hanno eroso una
parte di questo consenso dei cattolici
bianchi più sensibili alle questioni della
difesa della vita.
È una tendenza che potrebbe significare la precarietà di quelle posizioni
«pro-life, pro-Obama» che hanno spostato molti voti cattolici, e che potrebbe in
breve tempo far tornare politicamente
homeless il cattolicesimo americano.
Massimo Faggioli
1
Nel 2001 il discorso augurale ai neolaureati
a Notre Dame venne tenuto dal presidente George W. Bush, ed era imperniato sull’importanza
delle organizzazioni d’ispirazione religiosa.
2
Nel 2005 la Società card. Newman si era
opposta all’invito rivolto dalla Notre Dame de
Namur University (California) a suor Helen
Prejean, in quanto attivista contro la pena di
morte.
3
Cf. J. FEUERHERD, «Catholic academic ayatollah shows true colors», National Catholic Reporter 23.3.2009; «Obama & Notre Dame», Commonweal 27.3.2009; J.F. KAVANAUGH, «Outrages», America 13.4.2009. L’editoriale di Commonweal – sottotitolato «An inquisition in South
Bend» – concludeva: «La Chiesa non può identificarsi semplicemente con il movimento pro-life;
nella misura in cui ogni interazione tra la Chiesa
e il nostro sistema politico è presa in ostaggio dalle richieste degli elementi più aggressivi del movimento pro-life, il messaggio sociale della Chiesa,
compreso il suo messaggio sull’aborto, verrà marginalizzato e neutralizzato».
4
Cf. D.W. KMIEC, «Notre Dame’s Common
Ground», The Chicago Tribune 29.3.2009; K.L.
WOODWARD, «Why Notre Dame Should Welcome Obama», The Washington Post 30.3.2009;z
«Notre Dame’s Obama Flap», Los Angeles Times
1.4.2009. Sul fronte opposto G. WEIGEL, «The
University’s Egregious Error», The Chicago Tribune 29.3.2009.
5
J.R. QUINN, «A Critical Moment», America,
30.3.2009.
6
Cf. E.J. DIONNE jr., «Obama’s Cultural Diplomacy», The Washington Post 5.3.2009; «Life &
Science», Commonweal 27.3.2009; «Science and
Ideology», America 30.3-6.4.2009.
7
Cf. Regno-doc. 5,2008,176; Regno-att.
16,2008,505; 20,2008,662.
8
Tra questi l’ex presidente della Camera dei
rappresentanti, Newt Gingrich, leader della Republican revolution degli anni Novanta, che è
passato al cattolicesimo all’inizio del 2009.
Santa Sede
Legionari
di Cristo
sinceramente perdono a Dio e a coloro
che possono essere stati feriti per questo
motivo». «Ci disponiamo ad accogliere i
visitatori apostolici che (…) verranno a conoscere da vicino la vita e l’apostolato
della Legione di Cristo». «Confermiamo la
nostra donazione ed eleviamo la nostra
preghiera affinché Dio ci conceda di continuare a cercare la santità alla quale lui ci
chiama e affinché possiamo portare a
pienezza il carisma che ci ha affidato».
Una nuova legit timazione
Visita
apostolica
P
rima la censura da parte della Congregazione per la dottrina della fede per comportamenti immorali (cf.
Regno-att. 12,2006,368ss), poi la scoperta
di una relazione stabile con una donna da
cui vent’anni fa è nata una figlia (cf. Regno-att. 4,2009,92s), ora la decisione di
Benedetto XVI di compiere una visita
apostolica alla congregazione dei Legionari di Cristo. L’opera di p. Marcial Maciel
Degollado (1920-2008) conosce il periodo
più difficile dalla sua fondazione.
Salvare il salvabile
Il 10 marzo scorso il card. Tarcisio Bertone ha inviato all’attuale superiore dei
Legionari, p. Alvaro Corcuera, una lettera
in cui si ricorda la riconoscenza di «coloro che si vedono beneficiati dalle opere
educative e apostoliche» della congregazione e si conferma «che sua santità Benedetto XVI rinnova ai Legionari di Cristo, ai membri del movimento Regnum
Christi e a tutti coloro che vi sono spiritualmente vicini, la sua solidarietà e la sua
preghiera in questi momenti delicati». Il
cardinale li rassicura: «Potrete contare
sempre sull’aiuto della Santa Sede affinché, attraverso la verità e la trasparenza,
in un clima di dialogo fraterno e costruttivo, superiate le difficoltà esistenti». «In
questo senso il papa ha deciso di realizzare, per mezzo di una équipe di prelati,
una visita apostolica alle istituzioni dei
Legionari di Cristo».
Il superiore generale risponde con
pronta obbedienza e ne dà nota alla congregazione (29 marzo): «Ho ringraziato
cordialmente il santo padre in questo ulteriore aiuto che ci offre per affrontare le
attuali vicende in relazione ai gravi fatti
nella vita del nostro fondatore». «Siamo
profondamente dispiaciuti e chiediamo
Accuse e discussioni sui fondatori
non sono mai mancate, ma è la prima volta di una censura così grave verso un fondatore allora ancora vivente e verso una
memoria che veniva coltivata all’interno
come modello di santità non discutibile.
Tanto da mettere in sofferenza la linea di
difesa approntata dalla stessa Santa Sede:
discutere il fondatore per salvare la congregazione, oscurare il suo carisma per
salvare il carisma della fondazione.
Il portavoce Jim Fair non è in grado
per ora di dare informazioni più precise
sui visitatori e sulla modalità della visita.
Voci giornalistiche fanno i seguenti nomi:
mons. Giuseppe Versaldi (Alessandria),
mons. Watty Urquidi (Tepic, Messico),
mons. Chaput (Denver, Stati Uniti). Le domande più dure vengono da p. Thomas
Williams: «Penso che vi sia assoluto bisogno di una riconferma da parte della
Chiesa sul fatto che (la congregazione) sia
qualcosa di buono, che sia opera di Dio e
che per questo debba andare avanti».
«Parlando onestamente per me e i miei
confratelli, se non è opera di Dio, nessuno è interessato a farne parte. Io certamente no. E se lo è, vogliamo sapere ciò
che si suppone noi cogliamo dal carisma
originale e che cosa no» (Catholic News
Service 31.3.2009). Il portavoce della sede
romana, p. Paolo Scarafoni, parla di un
«processo di purificazione», confermando i legami di riconoscenza e di affetto
verso il fondatore: «La nostra gratitudine
rimane molto forte, perché da lui abbiamo ricevuto molto di buono».
L’azione dei visitatori sarà tanto più
efficace quanto maggiore sarà la collaborazione interna e il loro prevedibile intento sarà quello di accertare l’intera verità
dei fatti riguardante il fondatore e il sistema di relazioni da lui instaurato nella congregazione religiosa, se in essa vi siano
state connivenze in ordine al silenzio sui
suoi comportamenti e se i suoi insegnamenti possano ancora ispirare la sua fondazione.
L. Pr.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
241
Brasile - Aborto
Il peccato
e la scomunica
I
l caso estremo dell’aborto di una bambina brasiliana di 9 anni (33 kg, 1,36 m di altezza), che, violentata dal convivente
della madre, aveva concepito due gemelli,
ha dato luogo a prese di posizione diverse
nell’ambito delle istituzioni ecclesiali. L’aborto, che in Brasile è possibile solo in caso di violenza o di pericolo di vita per la
donna, è stato praticato a Recife il 4 marzo.
Il 5, in un’intervista concessa alla rete Globo, l’arcivescovo di Olinda e Recife mons.
José Cardoso Sobrinho ha affermato che
«la legge di Dio è più alta di qualsiasi legge
umana». «Quando una norma promulgata
da legislatori umani va contro la legge di
Dio perde qualsiasi valore. Gli adulti che
hanno approvato e che hanno praticato
questo aborto sono incorsi nella scomunica». E al giornale Folha de Sâo Paulo: «Il fine non giustifica i mezzi. Il fine buono di
salvare la vita della bambina non può giustificare la soppressione di altre due vite».
Nei giorni successivi, in un’intervista al
giornale Veja del 18 marzo, alla domanda
sul perché in questi casi gli stupratori non
siano automaticamente scomunicati, ha
spiegato che «la nostra santa Chiesa condanna tutti i peccati gravi. Lo stupro è un
peccato gravissimo per la Chiesa, così come l’omicidio. Ora, la Chiesa dice che l’aborto, ossia l’atto che toglie la vita a un innocente indifeso, è molto più grave dello
stupro o dell’omicidio di un adulto. Qualsiasi persona intelligente è in grado di comprendere questo. Non sto dicendo che lo
stupro e la pedofilia sono cose buone. Ma
l’aborto è molto più grave e, per questo
motivo, la Chiesa ha decretato la pena automatica della scomunica».1
Di fronte alle critiche manifestate verso questa presa di posizione (il presidente
brasiliano Luiz Inácio «Lula» da Silva tra gli
altri), il card. Giovanni Battista Re, prefetto
della Congregazione per i vescovi, ne ha
preso le difese in un’intervista al quotidia-
242
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
no La Stampa: «È un caso pietoso, ma il
vero problema è che i due gemelli concepiti erano persone innocenti, avevano il diritto di vivere e non potevano essere soppressi (...). La Chiesa ha sempre difeso la vita e deve continuare a farlo senza adattarsi agli umori dell’epoca o all’opportunità
politica».
La decisione della coscienza
Diverso avviso ha manifestato qualche
tempo dopo mons. Rino Fisichella, presidente della Pontificia accademia per la vita, non tanto sul fatto, indiscutibile, che
«l’aborto provocato è sempre stato condannato dalla legge morale come un atto
intrinsecamente cattivo e questo insegnamento permane immutato ai nostri giorni»,
quanto sull’opportunità di enfatizzare i toni sulla questione della scomunica. Il 15
marzo, intervenendo su L’Osservatore romano, ha fatto notare che il caso «ha guadagnato le pagine dei giornali solo perché
l’arcivescovo di Olinda e Recife si è affrettato a dichiarare la scomunica per i medici
che l’hanno aiutata a interrompere la gravidanza». «Prima di pensare alla scomunica»,
invece, la fanciulla «doveva essere in primo
luogo difesa, abbracciata, accarezzata» con
quella «umanità di cui noi uomini di Chiesa
dovremmo essere esperti annunciatori e
maestri». Ma «così non è stato». «A causa
della giovanissima età e delle condizioni di
salute precarie, la vita [della fanciulla] era in
serio pericolo per la gravidanza in atto. Come agire in questi casi? Decisione ardua per
il medico e per la stessa legge morale. Scelte come questa [...] si ripetono quotidianamente [...] e la coscienza del medico si ritrova sola con se stessa nell’atto di dovere
decidere cosa sia meglio fare». Concludendo: «Ciò di cui si sente maggiormente il bisogno in questo momento è il segno di una
testimonianza di vicinanza con chi soffre,
un atto di misericordia che, pur mantenen-
do fermo il principio, è capace di guardare
oltre la sfera giuridica per raggiungere ciò
che il diritto stesso prevede come scopo
della sua esistenza: il bene e la salvezza di
quanti credono nell’amore del Padre e di
quanti accolgono il Vangelo di Cristo come
i bambini, che Gesù chiamava accanto a sé
e stringeva tra le sue braccia dicendo che il
regno dei cieli appartiene a chi è come loro. Carmen (nome fittizio; ndr), stiamo dalla tua parte. Condividiamo con te la sofferenza che hai provato, vorremmo fare di
tutto per restituirti la dignità di cui sei stata privata e l’amore di cui avrai ancora più
bisogno. Sono altri che meritano la scomunica e il nostro perdono, non quanti ti hanno permesso di vivere e ti aiuteranno a recuperare la speranza e la fiducia. Nonostante la presenza del male e la cattiveria di
molti».
Ha avallato la posizione di mons. Fisichella p. Federico Lombardi, direttore della
Sala stampa della Santa Sede, nel distinguo
sull’«aborto indiretto», il 21 marzo. La precisazione reagiva all’interpretazione data da
alcune agenzie di stampa al discorso di Benedetto XVI al corpo diplomatico in Angola, il giorno precedente (cf. Regno-doc.
7,2009,206), secondo la quale il papa avrebbe condannato l’aborto terapeutico. P.
Lombardi ha ricordato che «nella morale
della Chiesa, da sempre, si parla di aborto
indiretto quando la vita della madre è in
pericolo, affetta da una malattia grave, per
cui la nascita potrebbe avere come conseguenza di impedire le cure. Ciò che si cerca, in questo caso, è di preservare la salute
della madre». E ha aggiunto: «La Chiesa ha
sempre accettato il caso in cui la morte del
feto non è voluta ma è la conseguenza delle cure prodigate alla madre».
Più in generale, ha ricordato che vi sono «tipologie diverse», nelle quali la valutazione morale può essere differente, «quando vi siano situazioni di grande gravità per
la salute della madre, che devono essere
valutate pastoralmente», e tra esse si può
includere il caso del Brasile.
D. S.
1
Questo argomento è stato successivamente sviluppato anche da mons. Geraldo Lyrio Rocha, arcivescovo di Mariana e presidente della
Conferenza dei vescovi del Brasile, in una conferenza stampa il 12 marzo: «Lo stupro è un atto
così ripugnante che la Chiesa non ha bisogno di
porvi attenzione. L’aborto invece non è ritenuto
tale da alcuni, e questo è il motivo della scomunica: non solo punire, ma mostrare a quanti lo
praticano la gravità delle loro azioni».
L
L ibri del mese
Laicità e uso politico della religione
Pio XI e la condanna religiosa dell’Action française
mane vivo e attuale, ma appare in una luce per qualche aspetto nuova. Anzitutto
per i documenti nel frattempo acquisiti: si
pensi solo all’imponente documentazione
relativa al pontificato di Pio XI conservata negli archivi vaticani e messa ora a disposizione degli studiosi. Ma anche e soprattutto perché posizioni analoghe a
quelle dell’Action française sembrano riproporsi, anche se in forme e condizioni
profondamente mutate.
Il massiccio ritorno sulla scena culturale e politica del fattore religioso, legato
al fenomeno delle migrazioni a livello planetario; le forme aggressive che questo ritorno della religione ha assunto nei gruppi fondamentalisti; il dibattito che si è
aperto su un confronto e, secondo alcuni,
su un inevitabile «scontro di civiltà», hanno riproposto il tema dominante nell’esperienza dell’Action française della religione come elemento d’identità collettiva,
culturale e politica, e quindi dell’uso politico della religione a prescindere dall’adesione alla fede cattolica come fatto di coscienza personale. La formula, affermatasi a livello giornalistico, degli «atei devoti»
esprime una realtà che riecheggia le posizioni di Maurras.
Q
uando si svolse a Roma, nel marzo 1989,
un bel colloquio su
«Achille Ratti pape Pie
XI», promosso dall’École française, fu subito
evidente la diversa sensibilità degli studiosi italiani e francesi di fronte alla figura di
Pio XI.1 Per gli italiani era il papa che, anche se negli ultimi anni del pontificato
aveva accentuato le sue critiche nei con-
LXI
fronti del fascismo, ne aveva però, in qualche modo, favorito il consolidamento al
potere e aveva contribuito alla liquidazione del Partito popolare di Sturzo; per i
francesi al contrario era il papa della severa condanna dell’Action française e del
riavvicinamento della Chiesa alla Francia
democratica.
Alla distanza di quasi vent’anni il tema di fondo posto da quel colloquio del
rapporto fra Chiesa e politica non solo ri-
Una visione
d e l cat to l i ce s i m o
Certo, il movimento di Maurras è fenomeno tipicamente francese e perciò
difficilmente comparabile ad altre situazioni: solo in Francia l’intransigenza cattolica, nel confronto-scontro con il liberalismo e la democrazia, poteva così intimamente legarsi alla rivendicazione monarchica, royaliste; in Italia l’intransigenza
cattolica antiliberale fu papale, temporalista, ma non fu mai legata a rivendicazioni legittimiste; l’uso strumentale a fini di
consenso che il fascismo ha fatto del cat-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
243
L
ibri del mese
tolicesimo e della Chiesa non aveva radici nell’intransigenza cattolica ottocentesca; d’altra parte solo in Francia un’opposizione così radicale e violenta al regime liberale e democratico poteva esser
contenuta e assorbita negli spazi di un sistema parlamentare. In Spagna una protesta diversa, ma per certi aspetti analoga, si è espressa in una guerra civile e
non ha avuto quella connotazione monarchica che caratterizza il movimento
francese.
Fenomeno dunque francese; ma per
altro verso di valenza europea e universale perché discriminante nel modo stesso d’intendere non solo il rapporto del
cattolicesimo con il mondo moderno,
ma l’essenza stessa del cattolicesimo e il
legame d’identità fra cattolicesimo e cristianesimo.
Lo stesso itinerario spirituale e culturale di Charles Maurras è radicato in
un contesto culturale europeo. Lo ha
ben ricostruito Jacques Prévotat in quella che, nell’immensa letteratura dedicata all’Action française, appare l’opera
più aggiornata e in particolare più attenta alle dimensioni religiose e culturali della vicenda.2
Charles Maurras ha una formazione
cattolica, ma la malattia che provoca la
sordità lo porta al rifiuto del significato
cristiano della sofferenza; il viaggio in
Grecia a 17 anni, la scoperta dell’armonia nella concezione pagana dell’esistenza, il rifiuto del monoteismo che pone
l’uomo solo di fronte a Dio sono i passi
successivi del suo itinerario culturale e
spirituale. L’incontro con il pensiero di
Auguste Comte gli consente di dare ordine sistematico alle sue intuizioni. Dal
pensiero di Comte desume il rifiuto di
ogni forma d’individualismo e il primato
della collettività; ma Charles Maurras
non si limita a ripetere Comte, lo ripensa secondo la sua sensibilità: all’umanità,
«nozione astratta e troppo larga», sostituisce la patria: «Solo la patria – scrive –
lega gli uomini gli uni agli altri, dona loro un denominatore comune reale, mette l’accento su ciò che c’è di più vero nell’idea di umanità»; così alla comtiana religione dell’umanità sostituisce la religione della patria, della sua patria, la Francia, e della monarchia cattolica.
Il cattolicesimo è elemento di unità e
d’identità collettiva, in quanto ha saputo
distaccare il cristianesimo dalle sue radici ebraiche, monoteistiche: «Il merito e
l’onore del cattolicesimo – scrive Maurras in Trois idées politiques – furono di
244
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
organizzare l’idea di Dio e di togliergli
questo (del monoteismo ebraico) veleno.
Sul cammino che porta a Dio il cattolico
trova delle legioni d’intermediari: ce ne
sono di terrestri e di soprannaturali, ma
la catena dagli uni agli altri è continua. Il
cielo e la terra ne sono tutti popolati, come era una volta dagli dei». Insomma, il
cattolicesimo di Maurras è antisemita e
anticristiano e ha ricuperato l’armonia
della concezione pagana; è contrario a
ogni universalismo, è un cattolicesimo
paganizzato, una religione secolare.
Prévotat ha ricostruito in maniera
assai approfondita la complessità del
pensiero maurrassiano nella fase della
sua formazione, per riproporlo, nelle pagine finali della sua opera, in maniera
più sistematica, cogliendone la sostanza,
ma anche le aporie e i margini di nostalgia per il cristianesimo.
Ebbene, è questo pensiero, sostanzialmente ripreso dal gruppo dirigente
dell’Action française, il nerbo più
profondo del movimento: il problema è
come esso abbia potuto affascinare tanti
cattolici francesi, ivi compresi vescovi e
sacerdoti. Fra le carte della Segreteria di
stato vaticana vi è notizia di un’inchiesta
promossa da Les cahiers, una rivista giovanile cattolica belga, che poneva ai giovani questa domanda: «Fra gli scrittori
degli ultimi 25 anni, quali sono quelli
che voi considerate come vostri maestri?». Il 5 maggio 1925 fu pubblicato il
risultato: Maurras era in testa con 174
voti su un totale di 460 risposte.3
La spiegazione è nel fatto che il pensiero di Maurras resta in ombra; emerge
piuttosto l’opera letteraria di Maurras
scrittore e in forme varie quella di alcuni
dei suoi più stretti collaboratori, come
Léon Daudet. Non è parte esplicita del
programma politico quello che affascina
i cattolici o almeno una parte consistente dei cattolici: il rifiuto dei principi
dell’89, il richiamo alle enunciazioni del
Sillabo come punto di riferimento ideale,
la lotta contro la repubblica laica che ha
spogliato la Chiesa dei suoi diritti, il ritorno alla monarchia cattolica come premessa di una ricostruzione morale e religiosa della Francia. Maurras giunge perfino a opporsi alla difesa dei diritti della
Chiesa in nome dei principi di libertà,
perché invocare quei principi è già un riconoscerli, ed esalta una Chiesa illiberale e autoritaria, plaude alla Pascendi,
stringe rapporti con l’organizzazione segreta antimodernista Sapinière di Umberto Benigni.
Il live l lo politico
e quello dot trinale
Per comprendere il successo di queste
idee occorre tener presente lo stato di
malessere e di frustrazione in cui il cattolicesimo francese si muove fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo.
L’Action française appare come una forza di cui la Chiesa si può valere. Il suo patriottismo esasperato negli anni di guerra
ne aumenta e ne estende il prestigio.
Ma vi sono nel cattolicesimo francese degli anticorpi: vi sono tradizioni legate al cattolicesimo liberale e sociale
che dal rifiuto del programma politico
sanno risalire alle sue premesse culturali.
Anche qualche teologo intransigente, come un ex professore di Teologia dogmatica alla Gregoriana, il canonico Bernard Gaudeau, si associa alla critica ai
«neopositivisti non cristiani dell’Action
française» con argomenti analoghi a
quelli usati contro i modernisti. Ma in testa alla polemica antimaurrassiana sono
gli abbés démocrates, come Léon Dehon e
primo fra tutti l’abbé Jules Pierre, che
pubblica un libro dal titolo ben significativo: Avec Nietzsche à l’assaut du christianisme (Limoges, 1910).
La polemica che si apre intorno all’Action française è lacerante e senza
esclusione di colpi, coinvolge preti, vescovi e cardinali, raggiunge Roma e coinvolge il papa. È evidente una simpatia di Pio
X per il movimento, ma quando gli avversari dell’Action française riescono a
portare la polemica sul terreno dottrinale
Pio X ne è colpito; l’abbé Pierre è ricevuto dal papa, che legge alcuni brani del
suo libro e commenta: «Avete fatto opera
santa, avete messo il dito nella piaga. Vi
benedico»; e aggiunge: «E dire che è su
questo che si sogna di fondare una restaurazione».4
Il papa procede nella maniera più
cauta e formale: si apre la lunga vicenda
che porterà alla prima condanna, con il
decreto del 26 gennaio 1914 che mette
all’Indice cinque opere di Maurras e la
rivista L’Action française. Ma il papa si
riserva il potere di decidere il momento
della pubblicazione, un momento che
non viene mai durante il suo pontificato;
lo scoppio della prima guerra mondiale,
dati i toni fortemente patriottici e antitedeschi della campagna di stampa dell’Action française, sconsiglia a Benedetto
XV, peraltro nettamente contrario ai
gruppi integristi, la pubblicazione della
condanna.
Poi l’incartamento stesso della con-
LXII
Charles Maurras;
a p. 243: Achille Ratti, papa Pio XI.
danna scompare per un lungo tratto. Lo
si riesumerà dagli archivi per ordine di
Pio XI, per rispondere all’accusa di una
contraddizione fra la sua linea e quella
del predecessore.
Prévotat ha minutamente ricostruito
le vicende che portarono alla condanna
del 1926: dalla lettera dell’arcivescovo di
Bordeaux, Andrieu, del 25 agosto 1926,
alla lettera dell’8 settembre di Pio XI al
vescovo stesso, di approvazione del suo
intervento, nella quale le preoccupazioni
espresse dal prelato sono confermate e
aggravate con il rimprovero di un «naturalismo pagano» a carico dell’opera di
Maurras. L’Osservatore romano, l’8 settembre, commenta la lettera del card.
Andrieu e la risposta del papa e pone in
luce il nesso fra un nuovo sistema religioso che investe le verità fondamentali della
fede cristiana e una concezione della po-
LXIII
litica sottratta a ogni subordinazione alla
morale.
All’allocuzione del papa in concistoro
del 20 dicembre segue il decreto di condanna del Sant’Uffizio del 29 dicembre
1926, che si richiama esplicitamente al
decreto di Pio X, finalmente ricuperato
dagli archivi. Frattanto il famoso articolo
del 24 dicembre, Non possumus, che ha
annunciato la ribellione dei dirigenti dell’Action française. Tutta la vicenda si
svolge nel clima di un’incandescente polemica.
La condanna dell’Action française è
rimasta a lungo sospesa fra due interpretazioni opposte, nate a ridosso degli eventi, ma poi trasferite e consolidate nella
storiografia. Da un lato la lettura proposta dagli esponenti del movimento: la
condanna come scelta politica voluta dalla Santa Sede ai fini di un riavvicinamen-
to alla Francia di Aristide Briand, dopo la
fase anticlericale di Herriot, per un secondo ralliement. Dall’altro invece la lettura religiosa della condanna voluta con
fermezza da Pio XI in difesa di una purezza dottrinale che le idee di Maurras
andavano progressivamente scalzando,
specie nella gioventù francese.
A me sembra che un, sia pure rapido,
primo sondaggio sulle carte vaticane ora
disponibili confermi la lettura di tipo religioso: proprio l’asprezza e la profondità
della lacerazione che si è aperta nella
Chiesa francese a seguito della condanna
pone in risalto, per contrasto, l’intento religioso di Pio XI e la sua ferrea volontà di
stroncare un modo d’intendere il cattolicesimo e la Chiesa alternativo alla dottrina e alla disciplina di Roma. Ma al tempo stesso appare confermato il giudizio
già formulato da Prévotat su una certa
debolezza dottrinale della condanna e soprattutto delle modalità con cui fu pronunciata.
L’intervento di Roma fu ispirato a
un’attenta e tenace vigilanza e fu durissimo nei suoi contenuti. Accenniamo appena a qualche episodio e a qualche
aspetto di quella che fu una lunga lotta.
Fra le carte del nunzio Maglione si
trova un invito del 27 giugno 1926 della
Segretaria di stato a sollecitare i vescovi
francesi perché negli esercizi spirituali sia
sottolineata la docilità alla posizione del
papa verso l’Action française.5 Il nunzio a
sua volta interpella i singoli vescovi sull’osservanza delle direttive impartite.
L’11 ottobre la sacra Penitenzieria
apostolica invia agli ordinari di Francia
una nota nella quale si denuncia che molti giornali francesi danno notizia che «un
grand nombre des membres et adhérents du
parti condamné appelé l’Action française
malgré résistance notoire et opiniâtre aux
déclarations et prescriptions de cet saint tribunal en date de 8 mars de l’année courante sont admis et s’en vantent en public, à
l’absolution sacramentelle et à la sainte table eucharistique par des prêtres attachés
au même parti». Segue un durissimo richiamo alla disciplina.6
Una lettera del card. Charost, arcivescovo di Rennes, richiama i suoi sacerdoti all’obbligo di un rigoroso rispetto
della dichiarazione della Penitenzieria e
invita i confessori ad avvertire i fedeli che
vogliono andare da un altro sacerdote
che non li conosce, per ottenere 1’assoluzione che è stata loro negata, che «est Jesus Christ qui absout par les lèvres de son
ministre».7
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
245
L
ibri del mese
L’interpretazione
politica della condanna
Quello che colpisce nella documentazione vaticana sono i segni di una resistenza tenace e molecolare alla condanna
romana, prova sicura della penetrazione
che il messaggio maurrassiano ha avuto
nel profondo della cattolicità francese.
Non si contestano tanto gli aspetti
dottrinali della condanna, ma la sua valenza politica. Fra le carte della Segreteria
di stato vi è una lettera del giornalista Robert Havard de la Montagne al p. Rosa de
La Civiltà cattolica del 14 ottobre 1927,
nella quale si afferma che «ce n’est pas
l’autorité du pape que l’on conteste, mais
l’exatitude de certaines informations».8
La condanna è letta come l’effetto di
una manovra dei nemici della Francia.
Non mancano casi di nobili che si dimettono da incarichi e rinunciano a titoli vaticani in segno di protesta, come il conte
Giovanni du Pontevice.
In effetti il duro intervento repressivo
dell’autorità sposta l’accento dagli aspetti
dottrinali della condanna, che finiscono
con il restare in ombra, al principio di obbedienza al papa in un campo che è sostanzialmente politico. La disobbedienza
dell’Action française è addirittura ricondotta entro le categorie del modernismo e
del laicismo: il 16 settembre 1926 L’Action française dà notizia di una sottoscrizione di solidarietà in favore del movimento e L’Osservatore romano commenta
il 19 successivo: «L’accennata sottoscrizione e la sua pubblicazione forniscono la
prova di un modernismo pratico e di un
laicismo contro il quale il venerato arcivescovo di Bordeaux aveva ben ragione di
mettere in guardia».
Jacques Maritain si distacca dall’Action française con una lunga lettera a
Maurras dell’11 febbraio 1926, conservata fra le carte vaticane e «concordata»
con la curia ben prima di essere spedita,
pubblicata poi nelle opere del filosofo:9 la
lettera si apre con una calorosa e perfino
eccessiva manifestazione di ammirazione
e di devozione a Maurras per poi annunciare il distacco dovuto alla necessaria obbedienza a un intervento del papa nell’esercizio della sua potestas indirecta in temporalibus. Il tema e la motivazione ritornano come è noto nel volume Primauté
du spirituel che compare nell’agosto del
1927, e di cui la vicenda del ralliement di
Maritain alla visione romana è stata certamente l’origine. Ma proprio questa argomentazione tutta interna alle categorie
neotomistiche e legata alla tesi bellarmi-
246
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
ACHILLE SILVESTRINI
La fedeltà all’oggetto
I
l saggio di Pietro Scoppola, che qui riprendiamo dal volume La storia, il dialogo, il rispetto della persona, delle
edizioni Studium, esce postumo. Pietro
Scoppola ci ha lasciati nel 2007, così come
ci ha lasciati un altro dei protagonisti di
questo volume: Leopoldo Elia.
Sul tema specifico della strumentalizzazione politica della fede cristiana, Scoppola era intervenuto diverse volte negli ultimi tempi. Ma che questo saggio sia stato
affidato a questo volume, che raccoglie gli
scritti in onore del card. Achille Silvestrini,
è di particolare rilevanza.
Il vol. è certamente il frutto e il riconoscimento di quella fitta rete di amicizie
umane, di rapporti intellettuali e relazioni
spirituali che il card. Silvestrini ha saputo
intessere lungo una vita straordinaria al
servizio della Chiesa. «Chi ha risposto all’appello – recita la prefazione – ha sperimentato come don Achille non abbia
mancato di far sentire ai suoi amici in ogni
occasione, lieta o triste, un’affettuosa e
partecipe vicinanza, affidando i suoi sentimenti a quel sereno sorriso che contraddistingue il suo modo di porgere all’altro
riflessioni, esortazioni, insegnamenti, richiami. Dietro quel sorriso c’è, però, un insegnamento, che chiunque abbia avuto
modo di avere con lui un incontro non fugace ha potuto percepire: quello per cui,
quale che sia la situazione in cui ci si trovi,
niana della potestas indirecta in temporalibus porta acqua alla tesi maurrassiana
della motivazione puramente politica della condanna.
La le t tura di Sturzo:
u n a re l i g i o n e se co lare
Diverso e di più ampio respiro fu l’atteggiamento di Luigi Sturzo dal suo esilio
di Londra. In un articolo apparso sulla
Review of reviews del maggio-giugno
1927, dal titolo «Il caso dell’Action
française»,10 Sturzo pone chiaramente e
distintamente in luce i due aspetti, religioso e politico, della condanna e, andando
oltre l’aspetto disciplinare, osserva: «Il fenomeno dell’Action française non può essere circoscritto all’attuale vertenza ecclesiastica, che è un lato interessante, ma
non lo definisce né lo caratterizza completamente: esso si estende al di là di un’eresia o di un’indisciplina religioso-cattolica, e prende il carattere di un movimento
qualunque problema si debba affrontare,
qualsiasi difficoltà occorra superare, bisogna procedere a un’attenta analisi del contesto, comprenderne i vari aspetti, e individuare un preciso criterio cui attenersi
nei propri comportamenti. Vero erede di
Domenico Tardini, usa ripetere l’ammonimento: “Ricordatevi che le carte hanno
un’anima”».
Vi è cioè in don Achille una «fedeltà
all’oggetto», come dice Giuseppe De Rita,
che traduce a un tempo non solo la sua
professionalità di diplomatico raffinato,
ma la sua umiltà spirituale, il suo senso
della storia, il suo sentimento del limite
umano che è insieme spazio del trascendente e condivisione cristologica.
Di tutto questo vi sono abbondanti
tracce in tutto il percorso diplomatico e
spirituale di don Achille, nelle sue intuizioni e azioni sistematiche a servizio della
Chiesa.
Tutto questo ha molto a che fare con
la politica come dimensione del vivere civile e come luogo di incontro tra i testimoni della fede e i testimoni di altri valori e culture. Tutto questo ha molto a che
fare con l’insuperabile distinzione tra fede
e politica, tra Chiesa e poteri pubblici: per
una fedele testimonianza cristiana, per
una libera edificazione della città democratica.
G. B.
politico mistico di più larga estensione».11
In sostanza Sturzo intuisce che nel fenomeno dell’Action française vi sono già gli
elementi di una religione secolare che
non nasce in antitesi al cattolicesimo ma
da una sua distorsione in senso mondano
e che segna perciò necessariamente il suo
distacco dal ceppo della fede cristiana. È
evidente che in questa visione il richiamo
al modernismo o al liberalismo non ha alcun fondamento e alcun senso.
Ma Sturzo torna sul tema con un successivo scritto nel quale esplicitamente critica l’impostazione di Maritain, nel suo
Primauté du spirituel frattanto comparso.12 È proprio il richiamo alla potestas indirecta in temporalibus che rende possibile
la contestazione della condanna da parte
dei seguaci di Maurras sulla base di una
sua lettura puramente politica. Ritorna,
nell’analisi di Sturzo, l’intuizione sul carattere di fondo dell’Action française come religione secolare dal punto di vista
LXIV
questa volta della sua struttura interna imperniata sulla figura del capo: «Si tratta –
nota Sturzo – dell’abdicazione della volontà e dell’intelletto degli associati, come
corpo morale, nelle mani di un capo. Cosa tremenda che ripugna a ogni essere
umano e a ogni buon cristiano, e ciò indipendentemente dalla circostanza che il
capo sia un incredulo, il che aggrava ma
non muta la specie dei fatti. Gran fortuna
dunque, che sia venuto il papa a deporre
questo capo e a sciogliere i seguaci da una
specie di giuramento di fedeltà».
La mia impressione è che la concezione neotomista sul rapporto fra fede e politica cui il magistero stesso della Chiesa
s’ispirava non avesse in sé le categorie culturali sufficienti per capire a fondo il fenomeno e per far fronte alla minaccia della
proposta maurrassiana.
È significativo a questo proposito che
il papa stesso solleciti studiosi laici a fornire giustificazioni e motivazioni culturali
della condanna: primo fra tutti a essere
coinvolto fu appunto Maritain. Ma il suo
apporto rimane, come si è visto, sostanzialmente interno alle categorie concettuali del magistero. Ben più incisiva appare l’impostazione che al problema darà
Maurice Blondel sulla base di un pensiero filosofico che si è distaccato dal neotomismo dominante.13
Per quanto possa apparire paradossale, l’Action française, che di un cattolicesimo svincolato dalle sue radici cristiane ha
apprezzato ed esaltato il principio di autorità e di disciplina, è colpita e condannata proprio sul terreno della disciplina
ecclesiastica. Le motivazioni che ispirano
la tenace lotta, si potrebbe dire la persecu-
zione, dei seguaci di Maurras rimangono
largamente interne alla concezione condannata.
In realtà, come Prévotat ha ben messo in evidenza nei capitoli finali del suo lavoro, la discussione sulla condanna dell’Action française finisce con il coinvolgere problemi di grande respiro, come quello del rapporto fra natura e grazia, e vede
la partecipazione di teologi come Journet
e De Lubac. In definitiva si fa strada l’intuizione che una visione cattolica della
laicità della politica e dello stato non può
fondarsi soltanto sulla classica distinzione
dei piani fra lo spirituale e il temporale,
ma coinvolge la concezione stessa della
Chiesa e, in essa, del ruolo del laicato.
Ma possiamo tornare al punto da cui
siamo partiti, alla diversa sensibilità cioè
degli italiani e dei francesi di fronte alla figura di Pio XI. Più esattamente possiamo
riproporre la domanda che in tanti si posero a ridosso di quegli eventi ormai lontani: perché Pio XI, così duramente intransigente di fronte all’Action française,
in quegli stessi anni favorisce il consolidamento del fascismo in Italia e la liquidazione del Partito popolare e del suo fondatore e leader Luigi Sturzo? È evidente
che la mancata risposta a questa domanda non fa che riproporre e rafforzare la
lettura politica della condanna dell’Action française.
Ma è proprio Luigi Sturzo che nel
primo dei suoi articoli appena citati fornisce un’acuta spiegazione del diverso trattamento riservato al fascismo rispetto all’Action française: «Mentre l’Action
française si presentava come intimamente
connessa col cattolicesimo e formata da
cattolici, il fascismo ha avuto cura di non
confondersi né con la Chiesa, né con le
organizzazioni cattoliche; si è solo atteggiato a protettore della Chiesa, tentando
di far servire la Chiesa alla sua politica,
come fecero al loro tempo uomini più seri e più importanti di Mussolini, da Luigi
XIV a Napoleone». In altri termini, l’Action française si poneva come fenomeno
interno al cattolicesimo, capace di minarlo nella sua intima essenza, addirittura recidendone le radici cristiane, mentre il fascismo, come fenomeno esterno alla
Chiesa, poteva essere più liberamente e,
diciamo pure, più spregiudicatamente utilizzato nella speranza, dimostratasi presto
illusoria, di servirsene per una restaurazione cristiana della società italiana.
Dunque l’atteggiamento del papa Pio
XI rimane intimamente ispirato da forti
motivazioni religiose in entrambi i casi,
anche se condizionato da una visione culturale che ha un’unica radice, ma che agisce in maniera diversa, anzi opposta, nei
due casi. Papa Pio XI ha il mito, il culto
dell’autorità: è convinto che in Francia un
forte e duro esercizio dell’autorità ecclesiastica possa far rientrare la dissidenza
dei maurrassiani; pensa che in Italia un
governo autoritario e forte possa essere
strumento di restaurazione cattolica.
I costi di questa concezione e mentalità autoritaria sono stati in entrambi i
paesi pesanti per la Chiesa e drammatici
per molti cattolici. La figura di Pio XI ne
esce grande nella sua durezza e nella sua
coerenza, ma al tempo stesso segnata da
una sostanziale incomprensione della
realtà.
Pietro Scoppola*
* Il presente contributo è stato pubblicato sul
volume L. MONFERRANTE, D. NOCILLA (a cura di),
La storia, il dialogo, il rispetto della persona. Scritti
in onore del cardinale Achille Silvestrini, Studium,
Roma 2009, 259-269. Ringraziamo l’editrice Studium per il permesso di ripubblicare, con nostri sottotitoli redazionali, lo scritto postumo del prof.
Scoppola.
1
Pietro Scoppola, scomparso il 25.10.2007,
ha lavorato a questo testo negli ultimi mesi della sua
vita, appena prima di dedicarsi alla stesura del suo
libro spirituale Un cattolico a modo suo (Morcelliana, Brescia 2008). È l’ultimo suo contributo storiografico. Non ha avuto il tempo di perfezionarlo, ma
me lo ha consegnato affinché potessi presentarlo
per il volume in onore del card. Achille Silvestrini.
Insieme avevamo passato alcune indimenticabili
giornate di lavoro, le ultime della sua feconda carriera di studioso, nell’Archivio segreto vaticano, a
consultare gli innumerevoli fascicoli relativi alla
condanna dell’Action française nel quadro del pontificato di Pio XI. Il testo merita di essere pubblicato così come lo ha lasciato, anche se si conclude in
modo brusco. Manca la meditata conclusione che
l’autore avrebbe voluto scrivere per chiarire meglio
il rischio dell’uso politico della religione, che egli
giudicava riemergente e di grande attualità, ma tutti i temi a lui cari sono comunque presenti, insieme
ad alcune considerazioni illuminanti e nuove su una
delle vicende più complesse e drammatiche della
storia civile e religiosa del secolo scorso. Il testo è
stato scritto tenendo conto anche di altri interventi
sulla vicenda dell’Action française: la relazione che
lesse presso il Centre culturel Saint Louis de France
a Roma il 15.4.1986 e la presentazione della grande thèse di Jacques Prévotat, da lui tenuta in grande
considerazione, che tenne all’Istituto Sturzo il
2.5.2002. Anche questi testi potranno essere editi,
una volta che si sarà proceduto alla sistemazione del
suo archivio e alle opportune verifiche in merito ai
numerosi manoscritti ivi contenuti (Giuseppe Tognon).
2
J. PRÉVOTAT, Les catholiques et l’Action
française. Histoire d’une condamnation 1899-1939,
Fayard, Paris 2001.
3
SEGRETERIA DI STATO VATICANA, 1927, rubrica 338 G, fasc. 1, doc. 18.
4
PRÉVOTAT, Les catholiques et l’Action française, 120.
5
NUNZIATURA MAGLIONE, busta 475, n. 975.
6
«Un gran numero di membri e aderenti del
partito condannato chiamato Action française,
malgrado una nota e ostinata resistenza alle dichiarazioni e alle prescrizioni di questo santo tribunale,
in data 8 marzo del corrente anno è ammesso, e se
ne vanta pubblicamente, all’assoluzione sacramentale e alla santa mensa eucaristica da sacerdoti legati allo stesso partito» (SEGRETERIA DI STATO VATICANA, 1927, rubrica 338 F, fasc. 1, doc. 27).
7
«È Gesù Cristo che assolve per bocca del suo
ministro» (ivi, doc. 29).
8
«Non è l’autorità del papa a essere contestata, ma l’esattezza di certe informazioni»; (ivi, doc.
25).
9
Œuvres complètes, Saint Paul, Paris, VII, vol.
1985, 1308-1313.
10
L’articolo si può ora leggere nel volume dell’opera omnia di Sturzo Miscellanea londinese, vol. I,
1925-1930, Zanichelli, Bologna 1995, 140-148.
11
Ivi, 143.
12
«Chiarimenti su Maritain», in Le Mouvement des faits et des idées, n. 53, Paris, dicembre
1927.
13
Cf. PRÉVOTAT, Les catholiques et l’Action
française.
LXV
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
247
L
L ibri del mese / schede
I Libri del mese si possono ordinare indicando
il numero ISBN a 12 cifre:
per telefono, chiamando lo 049.8805313;
per fax, scrivendo allo 049.686168;
per e-mail, all'indirizzo [email protected]
per posta, scrivendo a Centro Editoriale Dehoniano,
via Nosadella 6, 40123 Bologna.
Sacra Scrittura, Teologia
BUSATO BARBAGLIO C. (a cura di), I mille volti di Gesù, EDB, Bologna
2009, pp. 145, € 11,90. 978881022141
un anno dalla morte di Giuseppe Barbaglio (Regno-att.
8,2007,279), la sua figura è stata ricordata in un convegno di
studio (Regno-att. 8,2008,225), che ne ha messo a fuoco l’eredità: la
Bibbia e in particolare l’ultimo tema cui aveva messo mano, cioè i
tanti modi possibili d’esprimere Gesù. Il vol. raccoglie contributi di
studiosi, colleghi e amici, imperniati su tre riferimenti: i mille volti
di Gesù e la ricerca biblica; i molti volti nella varietà dell’esperienza cristiana e oltre le Chiese; il paradosso dell’incarnazione di fronte al pluralismo religioso.
A
CANOBBIO G., D ALLA VECCHIA F., T ONONI R. (a cura di), Interpretare
la Scrittura. Quaderni teologici del Seminario di Brescia/18, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 333, € 24,00. 978883722275
scito pochi mesi prima del Sinodo sulla Parola, il vol. è dedicato alla Scrittura e alla sua interpretazione. L’emergere delle in-
U
sufficienze del metodo storico-critico, l’estendersi di un approccio
fondamentalista (fuori e dentro la Chiesa cattolica), il moltiplicarsi
dei metodi di lettura (narrativo, semeiotico, retorico ecc.) suggeriscono di usare il vol. come un servizio critico per cogliere come ci
si possa porre di fronte alla Scrittura, sia come singoli credenti sia
come cultori delle discipline teologiche. I dieci saggi che compongono il vol. trattano di vari aspetti: dalla lectio divina al canone, dal
rapporto Scrittura-discipline teologiche ai testi scritturistici «scomodi», dal legame fra Bibbia e morale a quello fra il testo sacro e la filosofia, dal suo uso nella liturgia come nella catechesi.
GIORGIO G., M ELONE M. (a cura di), Credo nello Spirito Santo, EDB,
Bologna 2009, pp. 238, € 21,60. 978881040163
saggi raccolti nel vol. sono i contributi offerti all’XI Simposio della Società italiana per la ricerca teologica, in collaborazione con
il Servizio nazionale per il progetto culturale della CEI: essi vertono
attorno all’ottavo articolo del simbolo apostolico «Credo nello Spirito Santo» e si dedicano a una ricognizione, complessa ma stimolante, delle questioni connesse alla figura e al ruolo della terza persona della Trinità. Lo sforzo degli studiosi è di «ridire» Dio nel contesto spazio-temporale in cui oggi ci troviamo a vivere, affinché la
professione di fede possa ancora essere reale strumento di trasmissione della medesima fede nel mutato contesto culturale.
I
GRILLI M., L’impotenza che salva. Il mistero della croce in Mc 8,2710,52, EDB, Bologna 2009, pp. 168, € 15,60. 978881041009
ome ha sviluppato Marco l’intreccio tra il cammino di Gesù
verso Gerusalemme e il cammino del discepolo? In che senso
la strada del discepolato è segnata dalla croce? Le domande da cui
l’a. muove sollevano una questione di teologia biblica di ampia portata che, da una sezione unitaria e centrale del Vangelo, si riverbera su tutto il racconto marciano. L’approccio utilizzato nel suo studio parte dal presupposto che la lettura del testo biblico costituisce
un evento comunicativo. Quindi propone tre momenti d’analisi: un
reticolo testuale, che fa emergere l’unità complessiva della trama;
la configurazione semantica; lo snodo pragmatico, affinché chi legge sia condotto a identificarsi con le domande e le provocazioni del
testo.
C
KEENAN J.F., Etica teologica cattolica nella Chiesa universale, EDB, Bologna 2009, pp. 376, € 34,00. 978881040496
all’8 all’11.7.2006 si è tenuto a Padova il I Congresso interculturale di etica teologica cattolica (Regno-att. 18,2006,613). 400
moralisti, provenienti da 63 paesi, si sono interrogati sui temi più
urgenti della disciplina e hanno delineato il quadro culturale sul
quale l’etica è chiamata a esprimersi. Quali sono dunque i temi etici più urgenti nel mondo d’oggi? I diritti umani, l’economia in un
mondo globale, una Dichiarazione universale sulla bioetica e sui diritti
umani (I parte). È seguita poi una ricognizione della teologia morale nei cinque continenti (II). In conclusione sono stati individuati i
temi che risultano oggi determinanti nell’elaborazione di una teologia morale: ermeneutica e fonti dell’etica teologica, sensus fidelium e discernimento morale, sfida del pluralismo e futuro della
teologia morale, globalizzazione e giustizia (III).
D
MERUZZI M., Lo sposo, le nozze e gli invitati. Aspetti nuziali nella teologia di Matteo, Cittadella, Assisi 2008, pp. 525, € 21,00.
978883080896
L’
immagine delle nozze entra nel Vangelo di Matteo soprattutto in tre momenti: nella discussione sul digiuno (9,14-17),
nella parabola del banchetto nuziale (22,1-14), nella parabola della dieci vergini (25,1-13). Il vol. è costruito attorno al simbolo nuziale. Esso compare marginalmente, ma è elemento fondamentale
per la cristologia, l’ecclesiologia e la concezione storico-salvifica di
Mt. Alla funzione comunicativa del simbolo è dedicata la I parte, all’analisi dei tre passi la II, alla concezione cristologico-ecclesiale di
Mt la III. L’immagine nuziale è un ponte solido fra AT e NT. Il
«compimento» del secondo non sarebbe possibile senza la «permanenza» del primo.
248
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
LXVI
MONACA M. (a cura di), Oracoli sibillini, Città nuova, Roma 2008, pp.
254, € 18,00. 978883118199
li oracoli sibillini rispondono a un modello comunicativo ancorato alla tradizione greco-romana, il cui protagonista è appunto
la sibilla, figura femminile invasata dal dio. Essa è ripresa dalla tradizione ebraico-cristiana in quanto «tramite occasionale» della parola
di Dio e latrice di una testimonianza spontanea e sconvolgente. Il
contenuto teologico dell’intera raccolta è la difesa del monoteismo
di fronte a popoli politeisti. Un intento che permette di trovare nei
quattordici libri radici sia ebraiche sia cristiane e lo sviluppo di temi
profetici, dottrinali e teologici, concezioni escatologiche e apocalittiche. Sono 4.230 esametri con l’aggiunta di 8 frammenti, composti tra
il I sec. a.C. e il VII sec. d.C. Il vol. è a cura di Mariangela Monaca.
G
ONISZCZUK J., La Prima lettera di Giovanni. La giustizia dei figli, EDB,
Bologna 2009, pp. 289, € 26,20. 978881025108
uale messaggio emerge dalla Lettera? Per rispondere l’a. fa ricorso alla retorica biblica e afferma che la sequenza centrale è
incentrata sull’unico comandamento «di credere nel nome del figlio
di Dio, Gesù Cristo, e di amarci gli uni gli altri». Al suo interno, il «comandamento» corrisponde alla «giustizia» dei «figli di Dio», modellata sull’esempio di Cristo. Così al centro del quadro sta la figura di
Gesù Cristo – il giusto figlio di Dio, che conferma la sua figliolanza
donando la propria vita per i fratelli – messa a confronto con Caino
– l’ingiusto figlio di Adamo, che nega la sua figliolanza provocando
la morte del proprio fratello. Sullo sfondo si collocano tutti gli altri
fratelli (inclusi i lettori), lasciati alla propria libertà di decidere quale «giustizia» scegliere.
Q
PELLEGRINI S., L’ultimo segno. Il messaggio della vita nel racconto della risurrezione di Lazzaro, EDB, Bologna 2009, pp. 273, € 18,60.
ricchisce la conoscenza di una parte della tradizione biblica. La dottrina gnostica allo stato nascente influisce infatti nel linguaggio e nell’immaginario paolino e giovanneo.
VIGIL J.M., Teologia del pluralismo religioso. Verso una rilettura pluralista del cristianesimo, Borla, Roma 2008, pp. 502, € 40,00.
978882631684
C
on una chiara scelta a favore della teologia del pluralismo religioso, l’a. affronta la pluralità delle fedi con il passo di una teologia
popolare e con l’intento di un corso sistematico. Non vi sono «elezioni» o privilegi arbitrari per una religione particolare, cristianesimo
compreso. Tutto questo comporta una radicale ripresa di elementi
centrali come la missione, il concetto di rivelazione e di verità teologica. Il cristianesimo è confessato con gioia, ma senza appellarsi a
proclami di unicità e a pretese di esclusività. La posizione dell’a. costituisce una delle frontiere più esposte e discusse nell’ambito della
teologia delle religioni, ma anche il segnale che il dialogo e il confronto con le altre fedi si sta imponendo come elemento centrale dell’attuale esperienza di Chiesa.
Il Nuovo Testamento. Nuova versione ufficiale della CEI, Paoline, Milano 2009, pp. 1146, € 22,00. 978883153633
Il Vangelo secondo Giovanni e le Lettere. Nuova edizione, EDB, Bologna 2009, pp. 69, € 1,40. 978881082043
Il Vangelo secondo Giovanni e le Lettere. Nuova edizione a caratteri
grandi, EDB, Bologna 2009, pp. 69, € 2,50. 978881082048
Vangeli e Atti degli apostoli. Testo e guida di lettura a caratteri grandi. Nuova edizione, EDB, Bologna 2008, pp. 371, € 6,90. 978881082054
978881041509
L
o studio è un esempio di lettura semiotica, esegeticamente fondata e insieme ricca dal punto di vista ermeneutico, modello esegetico integrativo, capace di superare la tradizionale classificazione
metodologica. «Scopo del racconto è risvegliare la fede del lettore in
Gesù. Ma il contenuto della fede non è la risurrezione, bensì Gesù come (principio di) risurrezione e vita. Il vero soggetto narrativo non è
Lazzaro né la risurrezione dai morti, bensì il Figlio e il suo rapporto
col Padre come porta della vita per i credenti» (dalla Conclusione).
Il lettore viene quindi introdotto al testo svolgendo il percorso di lettura nei suoi ritmi reali, sciogliendo i nodi interpretativi e trovando
risposta alle domande esistenziali che il brano affronta.
PERRIN N., Tommaso, l’altro Vangelo, Queriniana, Brescia 2008, pp.
226, € 19,50. 978883992865
ecuperato fortunosamente a Nag Hammadi alcuni decenni fa, il
Vangelo di Tommaso è considerato fra i più antichi e autorevoli
apocrifi. L’a. affronta in forma piana l’insieme dei complessi problemi d’attribuzione del testo collocandolo storicamente nell’ultima
parte del II sec. in un contesto siriano e con una teologia di tipo encratico proveniente da Taziano. Espressione di una comunità cristiana attiva fin dall’origine che si riferiva a Cristo non come a un salvatore, ma come a colui che può mostrare come essere salvati. Senza
per questo escludere che nel testo siano sopravvissuti detti autentici
di Gesù, direttamente riferibili alle tradizioni orali della primitiva comunità. Testo divulgativo e rigoroso che si raccomanda in un clima
di abbacinamenti filo-aprocrifi.
R
SCHMITHALS W., Nuovo testamento e gnosi, Queriniana, Brescia 2008,
pp. 312, € 24,00. 978883990835
opo le scoperte di Nag Hammadi si è riaperta la questione delle
influenze gnostiche negli scritti ebraici e cristiani. Il lettore viene invitato a percorrere il NT scoprendo le strategie messe in atto dai
suoi aa. per illustrare il mistero di Cristo, prendendo le distanze dall’orientamento gnostico. Atteggiamento che tuttavia non esclude in
alcuni libri, come il corpus paolino e il Vangelo di Giovanni, una
qualche influenza della tradizione gnostica. Il vol. è un’attenta indagine di questa doppia stratificazione, di distanza e vicinanza, che ar-
D
LXVII
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
249
Maria Veronese
Introduzione a Cipriano
pp. 128, € 12,00
Giacomo Canobbio
Il destino dell’anima
Elementi per una teologia
pp. 152, € 12,00
Lucia Mor
Marie Luise Kaschnitz
e Gustave Courbet
«La verità, non il sogno»
pp. 296, € 18,00
Joseph de Maistre
Cinque paradossi
pp. 104, € 10,00
I Libri di Biblia
Genesi e Natura
pp. 240, € 16,50
Via G. Rosa 71 - 25121 Brescia - Tel. 03046451 - Fax 0302400605
www.morcelliana.com
L
ibri del mese / schede
Pastorale, Catechesi, Liturgia
CUCCI G., Il fascino del male. I vizi capitali, ADP – Apostolato della
preghiera, Roma 2008, pp. 367, € 19,00. 978887357457
uperbia, ira, invidia, avarizia, gola, lussuria, accidia non rappresentano solo un elenco di vizi archiviabili in una nostalgia passatista. Sono strutture di coscienza la cui suggestione e capacità di spiegazione dell’umano mantengono ancora intatte le loro potenzialità
di spiegazione. Rispetto a essi volontà di resistenza e attrazione trasgressiva si combinano inesorabilmente, lasciando talora l’impressione, o meglio la tentazione, di rassegnarsi con passiva indifferenza. Lo
studio intende esplorare la saggezza che la tradizione colloca entro
l’elenco dei vizi capitali in un percorso che coinvolge la teologia, la
filosofia, la psicologia e l’arte letteraria.
S
CUNEO E., DI SORCO D., MAMELI R., Introibo ad altare Dei. Il servizio
all’altare nella liturgia romana tradizionale, Fede & Cultura, Verona
2008, pp. 275, € 25,00. 978888991392
l vol. è un piccolo vademecum per quanti vogliono conoscere la liturgia in latino nel rito di s. Pio V. Note storiche e liturgiche, indicazioni pratiche e spiegazioni minute, tipologie di celebrazioni e
mansioni sono spiegate in forma essenziale e rapida. Un piccolo
esempio: nel c. dedicato agli abiti e paramenti sacri, accanto all’abito talare in tutte le sue varie forme si ricorda l’amitto, il camice, il cingolo, la cotta, il rocchetto, il manipolo, la stola, la pianeta, la dalmatica, la funicella, il piviale, il velo omerale, il pallio, la bugia, le calze,
i guanti, il gremiale, la cappamagna, la falda papale, il camauro, la
mozzetta, la pellegrina e la mantelletta. In coerenza allo scarso peso
dato alla Parola, si considera superfluo l’ambone e inesistente il Lezionario... Prefazione del card. Castrillòn Hoyos.
I
in collaborazione con
Convegno
LA CATECHESI
A UN NUOVO BIVIO?
A 40 anni dal Documento Base
Il rinnovamento della catechesi
Padova, 8 - 9 maggio 2009
FACOLTÀ TEOLOGICA DEL TRIVENETO
Sede dei lavori
Facoltà Teologica del Triveneto
via del Seminario, 29
35122 Padova
Informazioni
Segreteria FTTR: tel. 049 664116
e-mail: [email protected]
web: www.fttr.it
Quota di partecipazione: € 15,00
Gratuito per gli studenti FTTR e degli Istituti Teologici collegati
DOROFATTI F., I luoghi della fede nella società secolare, Àncora, Milano
2008, pp. 287, € 15,00. 978885140612
l vol. si colloca nel vivace dibattito sul rapporto fra cristianesimo e
nazione italiana. Tra scelta nostalgica e accettazione delle sfide
della secolarizzazione il testo preferisce il secondo fronte. Fine della
cristianità non significa, infatti, fine del cristianesimo, ma opportunità per rivedere e rimodellare i luoghi della trasmissione della fede:
parrocchia, famiglia, scuola, associazioni e movimenti. La prospettiva
descrittiva si sovrappone a quella propositiva per affrontare dapprima i temi posti dal luogo della comunità cristiana, cioè la parrocchia,
poi da quello della famiglia e, infine, da quello della scuola e della
cultura. Con la chiara affermazione della centralità di Cristo nella
proposta di fede.
I
FONTANI S., Voglio dirti «sì» per sempre. La sessualità nella coppia, Gribaudi, Milano 2009, pp. 96, € 6,50. 978887152967
L’
a., psicoterapeuta, è da anni impegnata anche nel campo della
pastorale, arricchita dalla propria esperienza matrimoniale e
da quattro figli. Propone un percorso di valorizzazione della sessualità alla luce della pedagogia cristiana che tenga conto del corpo come mezzo espressivo principale a disposizione della relazione coniugale; della relazione affettivo-sessuale che la coppia deve coltivare
lungo tutto il matrimonio; del valore del tempo come dimensione costruttiva della relazione e non come mero scenario. E convince proprio perché l’argomentazione non è né vaga né dogmatica.
LONGHI A., Luoghi di culto. Architetture 1997-2007, Motta Architettura, Milano 2008, pp. 278, € 69,50. 978886116062
l vol. si pone l’ambiziosa meta, considerando 23 luoghi di culto
realizzati negli ultimi 10 anni, di mettere a confronto diversità e similitudini della committenza cattolica, ebraica e musulmana. Minimo comune denominatore è il ruolo giocato dalla comunità riunita
in preghiera che dialoga con la città in cui vive e lavora. Ecco che allora diventa in qualche misura confrontabile lo studio dell’architettura della chiesa di s. Pio di San Giovanni Rotondo con la moschea
di Lione o con la cappella ecumenica di Sant’Enrico in Finlandia.
L’a., il cui contributo mette in luce quanto abbia apportato all’architettura sacra il Vaticano II, è docente a contratto di discipline storiche presso il Politecnico di Torino.
I
MARTINI C.M., Liberi di credere. I giovani verso una fede consapevole,
Cooperativa In Dialogo, Milano 2009, pp. 189, € 17,00. 978888123546
l fatto che alcuni dei testi qui raccolti abbiano molti anni non toglie nulla alla loro attualità e freschezza. Si tratta degli interventi
che il card. Martini ha indirizzato ai giovani nel corso del suo magistero come arcivescovo di Milano, in particolare in due occasioni:
l’«Assemblea di Sichem» (1988-1989), la grande convocazione dei
giovani della diocesi sul tema della scelta di fede e «Sentinelle del
mattino», il sinodo dei giovani che si svolse tra il 2000 e il 2002. Ma
soprattutto la lettera Ai giovani che non incontro, del 1990, riportata
in apertura, per la sua capacità di mettersi nei panni degli interlocutori e di prendere sul serio le loro domande e dubbi rimane ancora
un riferimento e un valido strumento nella pastorale delle nuove generazioni.
I
MORAL J.L., Giovani, fede e comunicazione. Raccontare ai giovani l’incredibile fede di Dio nell’uomo, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 245,
€ 17,00. 978880103927
ulla scia del precedente vol. Giovani senza fede? Manuale di pronto soccorso per ricostruire con i giovani la fede e la religione (cf. Regno-att. 6,2008,181), questo continua il progetto di «Prassi cristiana
con i giovani» in un percorso di pastorale giovanile, che si concluderà con un 3o vol. Diviso in tre parti, il libro cerca di raccontare ai
giovani la storia di Dio con l’uomo, tenta di «scoprire in Dio le parole sull’uomo e per l’uomo». Contiene numerose conversazioni con
studenti della Pontificia università salesiana e alcuni dialoghi con studenti spagnoli pubblicati nel vol. Creado creador. Apuntes de la historia de Dios con el hombre (CCS, Madrid 1999).
S
250
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
LXVIII
SCHNEIDER T., PATENGE M., Sette sante celebrazioni. Breve teologia dei
sacramenti, Queriniana, Brescia 2008, pp. 229, € 20,50. 978883990833
i potrebbe parlare di una teologia semplificata dei sacramenti,
senza voler dare un senso spregiativo all’aggettivo. Il libro infatti
è pensato per quei genitori che, portando i propri figli ai sacramenti, avvertono l’esigenza di capire per sé e per i loro figli i gesti che la
Chiesa offre loro di compiere. I riti infatti accompagnano le relazioni e costruiscono i rapporti fra noi e quanti erano prima di noi e verranno dopo di noi. Sono gesti che aiutano a comprendere i momenti di passaggio e di maturazione, luoghi privilegiati della vicinanza di
Dio. I sette cc. sono indirizzati a spiegare i sacramenti, dove il richiamo alla teologia è fatto seguire dalla spiegazione dei segni e dalle
considerazioni pratiche.
S
VILLATA G., L’agire della Chiesa. Indicazioni di teologia pastorale, EDB,
Bologna 2009, pp. 287, € 24,30. 978881020349
a domanda fondamentale per la teologia pastorale e per la pastorale potrebbe essere così espressa: come dire il messaggio di Gesù Cristo in una realtà sociale e culturale di seconda secolarizzazione
e all’interno di una società liquida? Il vol. tratta dell’agire pastorale
della Chiesa nell’oggi, all’interno di una visione profondamente radicata nella Tradizione e nel magistero, e insieme attenta a intercettare i segni dello Spirito. L’a. è docente di Teologia pastorale, responsabile del Centro studi e documentazione della diocesi di Torino e direttore dell’Osservatorio giuridico-legislativo regionale piemontese della CEI.
L
ANDREOLI S. (a cura di), Via crucis. In Cammino con Angela da Foligno, Città nuova, Roma 2009, pp. 62, € 3,50. 978883113854
CORMIO P. (a cura di), Dio parla nel silenzio del cuore. Vivere la Quaresima con sant’Agostino, Città nuova, Roma 2009, pp. 222, € 14,00.
presenta cicli monografici realizzati dall’omonima trasmissione di
cultura religiosa di Radio Tre.
BOFF L., Spiritualità per un altro mondo possibile. Ospitalità – convivenza – convivialità, Queriniana, Brescia 2009, pp. 395, € 27,00.
978883991676
L
a globalizzazione è un tempo opportuno per liberare energie positive sia per la salvaguardia del creato, sia per la custodia dell’umano comune. Un’impresa che ha il nome della spiritualità e che il
teologo brasiliano declina sul versante delle virtù. Rispetto all’enfasi
del recente passato su economia e politica è necessario ridare spazio
all’etica e alla spiritualità. Le tre parti del vol. sviluppano rispettivamente la virtù dell’ospitalità nell’attuale drammatico flusso delle popolazioni, la convivenza e la tolleranza davanti ai fondamentalismi, la
convivialità davanti alla fame e alla manipolazione genetica. Una riflessione che declina elementi riflessivi con l’attenzione alle sperimentazioni in atto in molti movimenti popolari.
BRUNI G., Perché... Signore? La preghiera: dono, dialogo, illuminazione, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2008, pp. 79, € 10,00. 978886124053
a piccolezza del vol. non deve trarre in inganno. Esso ha la qualità delle cose a lungo pensate e vissute. L’a., servo di Maria e monaco di Bose, ripercorre il tema della preghiera cristiana in molte
delle sue regioni note: da quella di domanda a quella d’invocazione,
dal ringraziamento alla lode. Ma progressivamente il testo accompagna una maturazione decisiva per il credente: quella dal «dire preghiere» a «diventare preghiera». Il fascio di desideri che costituisce la
creatura si converte nella disponibilità al grazie, nel luogo in cui Cristo continua a intercedere, gemere e consolare. Luogo personale che
diventa anche misura ecclesiale. Non le strutture, non le leggi, non
le teorizzazioni fanno la Chiesa del Signore, ma il popolo che prega
e che fa ciò che è giusto.
L
978883113859
MAZZOLARI P., SEDINI V., Via crucis, Monti, Saronno (VA) 2009, pp. 39,
€ 3,00. 978888477170
MACHETTA D., Nazareth. Verbum caro factum est. Canti mariani, LDC,
Leumann (TO) 2008, pp. 20, € 7,00. 978880104158
Aimone Gelardi
PANE R., Manuale del ministrante, EDB, Bologna 2009, pp. 70, € 6,50.
Lo hai fatto a me
978881071050
PAPPALARDO M., Via crucis. Con i santi della famiglia salesiana, LDC,
Leumann (TO) 2009, pp. 32, € 2,70. 978880104209
RICCI N., Il Padre nostro. Parolaperparola, EDB, Bologna 2009, pp. 48,
€ 2,20. 978881076806
RICCI N., L’Ave Maria. Parolaperparola, EDB, Bologna 2009, pp. 48,
€ 2,20. 978881076807
RIZZI M., Mani. Stendi la tua mano e mettila nel mio costato. Via crucis per ragazzi, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 38, € 3,50. 978880104155
SEMERARO D., Messa quotidiana/maggio 2009. Riflessioni di fratel MichaelDavide, EDB, Bologna 2009, pp. 315, € 3,50.
Spiritualità
BIANCHI E., Immagini del Dio vivente, Morcelliana, Brescia 2008, pp.
83, € 10,00. 978883722194
na conversazione sulle icone, le immagini del Dio vivente, fra G.
Caramore ed E. Bianchi. «Un modo di riflettere sul nostro rapporto con la dimensione dell’invisibile, sulla sua rappresentabilità,
sulla nostra modalità di metterci in relazione con ciò che alcuni chiamano Dio e per altri è l’insondabile segreto della vita umana». I temi
affrontati sono la Trinità, la natività, la trasfigurazione, la croce e la
risurrezione. Il libro fa parte della collana «Uomini e profeti» che
U
Le opere di misericordia a misura di bambino
on è facile comunicare ai bambini
il significato delle opere di
misericordia corporali e spirituali. Il
linguaggio utilizzato dall’autore e la
veste grafica del prodotto lo rendono
particolarmente comprensibile e
gradevole ai fanciulli. Pur in tenera
età, essi possono essere aiutati a
percepire che cosa vuol dire volere
bene al prossimo come ha fatto Gesù.
N
«Primi passi»
pp. 48 a colori - € 2,00
Dello stesso autore:
Le regole del gioco
10 no? noo!! 10 sì! - I dieci Comandamenti
pp. 56 a colori - € 2,00
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
LXIX
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
251
www.dehoniane.it (⁄ junior)
L
ibri del mese / schede
COCCO F., Il sorriso di Dio. Studio esegetico della «benedizione di san
Francesco», EDB, Bologna 2009, pp. 74, € 7,30. 978881022139
o studio affronta il passo che tradizionalmente va sotto il nome
di «benedizione sacerdotale» in Nm 6,24-26. Esso fu regalato da
san Francesco a frate Leone quale pegno della presenza e della protezione divina, e da allora in poi è divenuto noto come «benedizione
di san Francesco». L’a. fa luce su alcuni aspetti fondamentali di un
passo tanto citato quanto trascurato dai commentatori, forse a causa
delle difficoltà oggettive che la sua interpretazione presenta. L’approccio utilizzato è di natura prevalentemente induttiva: parte dal testo così com’è per risalire gradualmente al contesto che lo ha prodotto e ricostruire il percorso che ha compiuto prima di sedimentarsi definitivamente in Nm 6.
L
DE SOUZENELLE A., Il bacio di Dio. O l’alleanza ritrovata, Servitium,
Sotto il Monte (BG) 2008, pp. 104, € 13,00. 978888166297
a fonte ispirativa delle riflessioni spirituali dell’a. – psicoterapeuta, convertita al cristianesimo ortodosso e conosciuta a. di testi di
spiritualità – è come sempre il testo biblico ebraico, e anzi è proprio
la Torah il «bacio di Dio» al quale si riferisce il titolo. I temi della meditazione sono: l’esilio da Dio, la libertà, la conoscenza, la genesi del
desiderio, il male, la sofferenza e la morte, le tre «matrici», cioè spazi di evoluzione del corpo umano.
L
Sandro Carotta
Le feste
della Madre di Dio
FIGHERA G., Che cos’è dunque la felicità, mio caro amico?, Ares, Milano
2008, pp. 248, € 14,00. 978888155434
n percorso di letteratura che si mescola a un percorso esistenziale. Il vol., frutto di molteplici letture e anni d’insegnamento,
vuole «porsi come provocazione perché ci riappropriamo del nostro
cuore (e del suo desiderio inestirpabile di felicità, di verità, di bontà,
di giustizia…)» e possiamo così mantenere viva, con tutta la verità e
la dignità di cui siamo capaci, la domanda che Leopardi rivolge all’amico belga Jacopssen: «Che cos’è dunque la felicità, mio caro amico?
E se la felicità non c’è, cos’è dunque la vita?», come esigenza di felicità infinita. Prefazione di mons. L. Negri, vescovo di San Marino –
Montefeltro.
U
Meditazioni per le ricorrenze mariane
pag. 80 – € 5,00
Riflessioni e meditazioni, ispirate a brani del Vangelo o di autori
vari, concernenti le 10 festività mariane più importanti che la
Chiesa propone lungo l’arco dell’anno liturgico.
MELLO A., Leggere e pregare i salmi, Qiqajon, Magnano (BI) 2008, pp.
612, € 32,00. 978888227261
150 salmi sono tradotti e commentati. Le caratteristiche del lavoro
dell’a., monaco di Bose che vive a Gerusalemme, è di aver privilegiato il testo ebraico con una traduzione aspra e il più possibile letterale. In secondo luogo, il commento è scritto con un duplice riferimento: ai midrash Tehillim e a Rashi di Troyes, forse il più grande dei
commentatori ebraici dei Salmi. Per queste caratteristiche l’opera si
raccomanda a quanti apprezzano la libertà teologica del midrash e la
sorvegliata misura del commento di tradizione medievale.
I
MESSORI V., TORNIELLI A., Perché credo. Una vita per rendere ragione
della fede, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2008, pp. 429, € 20,00.
978883848831
Angelo Lameri
La liturgia
delle ore
ppag.
ag. 200 - €12,00
Un libro che, con i testi della Laudis canticum e della Liturgia
delle Ore, offre un’ampia introduzione, schede esplicative e
indici analitici che aiutano a leggere i sopra citati documenti per
coglierne in profondità la ricchezza e l’attualità.
I
l cronista della «buona notizia» si racconta: lui che ha intervistato
ben due papi (sebbene l’intervista a papa Ratzinger sia stata fatta
quando quest’ultimo era ancora cardinale); questa volta è nel ruolo
d’intervistato da un altro giornalista cattolico, Andrea Tornielli. Ne
esce il ritratto di un uomo che, al di là delle critiche da parte laica,
degli scontri su cosa sia la fede cattolica, delle inevitabili incomprensioni, si rivela un credente nella Chiesa di Cristo. Un’ortodossia, dunque, che, nell’adesione alla verità dalla Chiesa stessa custodita e garantita, permette di far trovare al noto giornalista la ragione più intima per poter confessare la propria fede. Un libro, una confessione,
una nuova apologetica.
OSCULATI R., Apocalisse, IPL - Istituto propaganda libraria, Milano
2008, pp. 193, € 16,00. 978887836455
resentazione semplice e diretta di uno dei libri biblici più complessi. Con una serie di immagini drammatiche e promettenti, la
sapienza profetica scova, attraverso i sette sigilli, il tessuto profondo e
P
w
www.edizionimessaggero.it
252
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
LXX
vero della storia e dell’umanità. Un approccio che chiede pazienza e
il superamento di molte chiusure. Gli eventi si presentano nella loro
superficie negativa e distruttiva, mentre i giusti ne avvertono gli esiti
ultimi e felici. Chiave del mutamento possibile è Gesù, uomo-Dio.
PROIETTI L., Elogio della vita solitaria. Vita di sant’Egidio, Effatà, Cantalupa (TO) 2008, pp. 174, € 12,00. 978887402427
razie alla figura di sant’Egidio, eremita e abate vissuto probabilmente nel VI sec. nel Sud dell’attuale Francia, l’a. rivela la sua
passione per la vita contemplativa, «quell’avventura di amore che ti
rende fortemente “presente a Dio e presente ai fratelli” (E. Pontico)». Ogni c. inizia con un breve testo in corsivo che descrive la vita
del santo, seguito da un commento dell’a., per finire con un breve
«Notturno», ovvero una preghiera o meditazione presentata come
un colloquio notturno con il Signore, frutto della lectio divina: «Attraverso questi Notturni ho voluto recuperare il non detto della vita
spirituale del monaco Egidio, quasi una biografia interiore della sua
anima».
G
SCRUTON R., La cultura conta. Fede e sentimento in un mondo sotto assedio, Vita e pensiero, Milano 2008, pp. 116, € 12,00. 978883431662
utore del Manifesto dei conservatori contro il nichilismo e la decadenza del gusto estetico, Scruton, che insegna negli USA, difende la tradizione classica e le sue espressioni artistiche, letterarie e musicali. Con l’abbandono dell’orizzonte religioso l’estetica è uscita dalla valutazione dei valori per perdersi nella rincorsa dei desideri. Ma
una società senza cultura perde la sua memoria e la voglia di creare
per il futuro, facile preda della barbarie e degli istinti distruttivi. La
cultura della tradizione occidentale è al contempo conoscenza morale, bagaglio di giudizi etici, insostituibili nella guida del futuro.
A
FORTE B., Poesie. Il libro del viandante e dell’amore divino, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2008, pp. 229, € 14,00. 978882156296
F
rutto del III incontro sull’Oriente cristiano di tradizione siriana
(Milano 2004), il vol. segue due piste d’indagine. La prima riguarda la storia della Chiesa siro-orientale, mentre la seconda segue alcune figure di esegeti e monaci. Le relazioni di tipo linguistico o su alcune grandi scuole esegetiche appartengono alla prima attenzione,
mentre la seconda si alimenta dei saggi relativi alle figure di Mar Aba
e Abramo di Kanshkar. Fra gli aa.: C. Pasini, R. Contini, E. Carr, P.Y.
Patros, M. Nin, P. Bettiolo.
ZAMBON F. (a cura di), Trattati d’amore cristiani del XII secolo. Volume
I, Mondadori, Milano 2008, pp. CIV+317, s.i.p. 978880456237
ZAMBON F. (a cura di), Trattati d’amore cristiani del XII secolo. Volume
II, Mondadori, Milano 2008, pp. XX+683, s.i.p. 978880457384
el XII sec., quando i trovatori celebravano l’amor cortese, i romanzi narravano le vicende sentimentali di Tristano e Isotta ed
Eloisa e Abelardo vivevano una relazione appassionata, venivano anche elaborate affascinanti teorie sull’amore mistico (che influenzano
anche i trovatori). Il 1o dei due voll. della Fondazione Valla, entrambi a cura del filologo romanzo F. Zambon che correda le opere di
una bella introduzione e di un ricco apparato di commento, contiene in lingua originale latina e in traduzione italiana le opere di Guglielmo di Saint-Thierry e Bernardo di Chiaravalle; il 2o quelle di Aelredo di Rievaulx, Ivo e Riccardo di San Vittore.
N
GALBIATI G., Fede e religione. Studio critico sulla religione e i suoi limiti, Firenze Atheneum, Firenze 2005, pp. 241, € 19,00. 978887255256
SICARI A.M., Una santa famiglia. Teresa di Lisieux e i suoi genitori Zelia Guérin e Luigi Martin, Jaca Book, Milano 2008, pp. 76, € 7,00.
978881660464
Storia della Chiesa
GIOVANNUCCI P., Canonizzazioni e infallibilità pontificia in età moderna,
Morcelliana, Brescia 2008, pp. XXX+247, € 16,50. 978883722264
na ricerca storica condotta sulla teoria e la prassi della santità
nella Chiesa cattolica dell’età moderna dimostra che il criterio
della virtù in grado eroico rappresentò per Roma il principale strumento di selezione delle nuove proposte agiografiche emergenti nel
vasto corpo del cattolicesimo, e coincise con la centralizzazione delle
funzioni di controllo e d’inappellabile selezione direttamente in capo al pontefice e agli uffici curiali preposti. Tutto questo s’inserì in
un più complessivo movimento di rafforzamento della funzione magisteriale pontificia e del criterio dell’infallibilità. La I parte ricostruisce la genesi e il significato storico-teologico del criterio fondamentale di canonizzazione moderno, cioè la virtù in grado eroico, mentre
la II è dedicata al problema teologico-giuridico dell’infallibilità pontificia nelle canonizzazioni.
U
LABOA J.M., Atlante dei concili e dei sinodi nella storia della Chiesa, Jaca Book – Città nuova, Milano – Roma 2008, pp. 238, € 80,00.
978881660363
U
n atlante su tutti i sinodi e i concili celebrati in 2.000 anni di cristianesimo. È la ricostruzione di quegli incontri che hanno costituito una pagina importante del cammino della Chiesa, mostrando
aspetti fondamentali dell’evoluzione dottrinale, dei cambiamenti organizzativi e strutturali della Chiesa, della conformazione della vita
cristiana nei suoi aspetti liturgici e morali. L’a. ne ripercorre la storia,
offrendo una galleria di personaggi che presero parte al loro svolgimento e che rivelano aspetti appassionanti dei cristiani e del cristianesimo.
VERGANI E., CHIALÀ S. (a cura di), Storia, cristologia e tradizioni della
Chiesa siro-orientale. Atti del III Incontro sull’Oriente cristiano di tradizione siriaca. Milano, Biblioteca ambrosiana, 14 maggio 2004, ITL,
Milano 2006, pp. 159, € 14,00. 978888025536
LXXI
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
253
Istituto Francescano di Spiritualità
La grazia delle origini
Studi in occasione dell’VIII centenario dell’approvazione
della prima regola di san Francesco d’Assisi (1209-2009)
A cura di Paolo Martinelli
ttocento anni sono trascorsi
dall’approvazione della forma di
vita di san Francesco d’Assisi da parte
di papa Innocenzo III. La giornata
di studio annualmente promossa
dall’Istituto Francescano di Spiritualità
della Pontificia Università Antonianum
ha inteso offrire un contributo accademico alla celebrazione giubilare.
O
«Teologia spirituale»
pp. 648 - € 49,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
Regno_90x255.ai
11-03-2009
11:40:30
Il Padre Nostro
L’Av
e Maria
e
Le preghiere più noot li...
no da onpoicsenzca troppo
si impatrra
occa e si ripet
a mo' di filas
ARE A RECITARLE
pensare... PER AIUT NSAPEVOLEZZA,
CO
CON CRESCENTE
'traduce'
ai suoi bambini e le
e
gg
le
le
a
una mamm
ta
gni volume presen
nel loro linguaggio. O ne SPIEGATA FRASE
vie
una preghiera, che
magini
iuto di esempi e im
l'a
n
co
E,
PER FRAS
sste ggrafica.
e una divertente ve
NADIA RICCI
Il Padre Nostro
Parola per parola
L'Ave Maria
Parola per parola
pp. 48 a colori
€ 2,00 cad.
L
ibri del mese / schede
Attualità ecclesiale
MARTINELLI P. (a cura di), La grazia delle origini. Studi in occasione
dell’VIII centenario dell’approvazione della prima regola di san Francesco d’Assisi (1209-2009), EDB, Bologna 2009, pp. 648, € 49,00.
978881054134
L
a giornata di studio annualmente promossa dall’Istituto francescano di spiritualità della Pontificia università Antonianum ha inteso offrire un contributo accademico alla celebrazione giubilare degli 800 anni dall’approvazione della forma di vita di san Francesco
d’Assisi da parte di papa Innocenzo III. In tale prospettiva le ricerche
hanno spaziato dalle origini dell’ordine francescano alle attuali problematiche presenti nella vita religiosa dei seguaci del Poverello, dal
tema della vita spirituale francescana in relazione all’istanza formativa alle nuove realtà di consacrazione, in cui in un certo senso si rispecchia la grazia delle origini del carisma francescano.
PALINI A., Primo Mazzolari. Un uomo libero, Ave, Roma 2009, pp. 302,
€ 16,00. 978888284496
l lavoro offre «un contributo affinché sia maggiormente conosciuto non lo scrittore o il predicatore o il conferenziere, bensì il Mazzolari alle prese con i problemi del suo tempo: le guerre mondiali, il
fascismo, il Concordato, l’avventura coloniale italiana, le leggi razziali, la Resistenza, le rese dei conti del secondo dopoguerra, il comunismo, le dittature dell’Est europeo, la corsa agli armamenti, la guerra
fredda, l’annuncio del Concilio». Una carrellata di eventi in cui il giudizio del prete di Bozzolo ha illuminato le coscienze e ha permesso
alla Chiesa italiana di non affogare in giudizi lontani dal Vangelo.
I
PEREGO G. (a cura di), La Chiesa della carità. Miscellanea in onore di
mons. Giovanni Nervo, EDB, Bologna 2009, pp. 349, € 18,80.
978881020350
I
l vol. non vuole essere una mera «celebrazione di una figura eminente di Caritas italiana... Vuole nascere da una ricorrenza significativa, il novantesimo genetliaco del primo presidente per aiutare
l’incontro tra storia e carità, teologia e carità, azione pastorale e carità» (dalla Presentazione). I vari contributi delineano infatti un percorso per ritornare anche oggi a disegnare una Chiesa della carità
fortemente radicata nella Parola e nell’eucaristia, dentro la storia,
educando a una scelta preferenziale dei poveri nelle parole e nei fatti. Strumento di riflessione storica, teologica e culturale per tutta la
Chiesa italiana.
SANDRI L., Cronache dal futuro. Zeffirino II e il dramma della sua
Chiesa, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2008, pp.
221, € 14,00. 978886099072
L’
a., giornalista e vaticanista, costruisce una storia romanzata collocabile nel 2100. Si tratta del caso serio di un papa (Zeffirino
II) che a seguito di un incidente rimane in coma per 13 anni, con tutto quello che ne consegue per la direzione di una Chiesa che fa del
papa il suo principio essenziale di funzionamento burocratico. La decisione del segretario di stato di «staccare la spina» suggerisce di tenere in conto le contraddizioni riscontrate nel lungo periodo di vacatio dell’effettivo potere papale per una Chiesa più evangelica e più
democratica. Come ammette lo stesso a., si tratta di un ironico e divertito esercizio di fanta-teologia.
STRAZZI G., Abitare da laici cristiani il mondo. Illuminazioni ed elevazioni, Monti, Saronno (VA) 2008, pp. 114, € 10,00. 978888477152
«C
www.dehoniane.it
Via Nosadella 6 – 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 – Fax 051 4290099
om’è possibile da cristiano condurre un’esistenza senza il sigillo di un particolare stato riconosciuto dall’autorità di un
ordine costituito?». Le riflessioni di natura spirituale svolte qui sul tema del laico come cristiano che vive nel mondo senza essere del mondo hanno come denominatore comune una convinzione profonda:
«Da laici cristiani siamo dentro il mondo con un pensiero invisibile
che tuttavia lo rende più umano». In appendice un ricordo personale di Giuseppe Lazzati, con un carteggio privato inedito.
254
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
LXXII
Filosofia
Storia, Saggistica
FIORENTINO F., Verità, bellezza e scienza. Temi di filosofia aristotelico-tomistica/1, EDI – Editrice domenicana italiana, Napoli 2008,
pp. 379, € 27,00. 978888909451
ono una dozzina di saggi che l’a., docente all’Università del Salento, ripropone nella convinzione che dopo «le secche del nichilismo, dell’ideologismo e della supponenza scientista in cui si è
incagliata la ragione moderna» ci sia il «bisogno di tornare al pensiero di san Tommaso». Non tanto come riproposta scolastica e ripetitiva, quanto per recuperare la sua dottrina nei suoi principi più autentici e verificabili sulla base empirica ed esistenziale, ma la cui origine definitiva è Dio.
SIBONY D., LAMBERT P., BOUBAKEUR D., Ebrei, cristiani, musulmani. La
coesistenza possibile, EMI, Bologna 2008, pp. 186, € 10,00.
S
PASQUALE G., Il principio di non-contraddizione in Aristotele, BollatiBoringhieri, Torino 2008, pp. 88, € 13,00. 978883391839
l principio di non contraddizione («l’essere è e non può non essere») è una struttura di fondo che sostiene il nostro esistere come il nostro operare e pensare. Le modalità con cui è stato contestato non ne hanno intaccato la risorgente normatività. Il saggio che si
riferisce alla dottrina della Metafisica di Aristotele si sviluppa in due
cc. Il 1o tratta del principio in base alla trattazione aristotelica di alcuni passi specifici della Metafisica, il 2o interpreta alcuni altri testi
del filosofo greco che precisano e illuminano la dottrina dello stesso principio di non contraddizione.
I
SONCINI U., Il senso del fondamento in Hegel e Severino, Marietti, Milano 2008, pp. 383, € 24,00. 978882118575
l saggio mette a confronto i fondamenti filosofici di Hegel e di Severino, nell’insieme della loro elaborazione. Hegel è qui inteso
come la forma di riflessione più coerente e rigorosa dell’idealismo
tedesco e conseguentemente come il compimento del pensiero filosofico dell’Occidente. Pensiero che si sbriciola davanti a contraddizioni insolute, in particolare la non conciliabilità fra dimensione ontologica fondativa e quella storicistica del divenire, fra essere e tempo. A essa si contrappone la posizione, considerata più coerente e
meno segnata da contraddizioni di E. Severino, che firma anche la
Prefazione.
I
TRENTI Z., Il linguaggio nell’educazione religiosa. La parola alla fede,
LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 241, € 18,00. 978880104095
i tratta di uno studio filosofico. Dopo una panoramica sul significato del linguaggio nella cultura odierna, si analizza più specificamente il linguaggio religioso, le connotazioni che lo qualificano,
le condizioni che rendono possibile l’accesso al mondo della trascendenza e quindi legittimano il linguaggio su Dio. Il richiamo
esplicito alla valenza educativa è richiamato spesso nei vari contributi ed è esplicitato nella parte conclusiva.
978883071703
Q
uesto vol. nasce da un’idea di Francois Celier, pastore protestante francese, d’organizzare una «controversia religiosa del III millennio» con l’obiettivo di «fare il punto della situazione sulle tre religioni monoteistiche, per chiarire gli antichi malintesi che sopravvivono ancora oggi». Ciascuno dei tre aa., rispettivamente uno psicanalista d’origine ebraica, un domenicano e il presidente del Consiglio
francese del culto islamico, fornisce la sua visione delle altre religioni, della loro storia e dei problemi nati dall’errata interpretazione o
dalla strumentalizzazione reciproca. Quello che emerge, in forza soprattutto della disposizione personale di ciascuno dei tre alla conoscenza e al rispetto dell’altro, è che il dialogo è possibile, anche a
fronte di un’analisi che non sottovaluta le difficoltà esistenti.
SOLLA G., Marrani. Il debito segreto, Marietti, Milano 2008, pp. 102, €
14,00. 978882119427
n viaggio che si conficca nel XV sec., nelle conversioni forzate
degli ebrei al cristianesimo e che, nella storia dei «marrani», offre suggestioni anche al nostro presente. Ecco che i marrani sono coloro che «abitano la terra di nessuno tra le due fedi», «irrecuperabili a una qualsiasi delle identità che il triste scontro delle culture ha
sempre opposto». Sono «la separazione stessa tra ebraismo e cristianesimo, … il patimento di una separazione che ci siamo altrimenti
ben allenati a non sentire più». Il dialogo impossibile con lo «straniero» che dal passato lascia le sue tracce avvicina questo vol. agli studi
di Michel de Certeau.
U
a cura di Carla Busato Barbaglio
I mille volti di Gesù
un anno di distanza dalla morte di
Giuseppe Barbaglio, la sua figura
è stata ricordata attraverso un convegno
di studio, che ha dato modo di ritrovarsi
attorno a quanto egli ha lasciato – la
ricerca biblica – e in particolare attorno
all’ultimo tema cui egli aveva messo
mano: i tanti modi possibili di esprimere
Gesù. Il volume raccoglie i vari
contributi di studiosi, colleghi biblisti e
amici.
S
A
WELTE B., Sul male. Una ricerca tomista, Morcelliana, Brescia 2008,
pp. 92, € 10,00. 978883722234
nche san Tommaso si è posto il problema del male: perché esso esiste se il volere è volere il bene? E, ancora, perché se il bene, proprio perché bonum, comporta il movimento di una volontà
come può quest’ultima, in quanto inclinatio boni, volere il male? L’a.
scrisse queste dense pagine sul problema del male nel dottor angelico in occasione del 5° anniversario della morte di J. Maréchal
(11.12.1944). Esse sono il punto di partenza in grado di rinnovare
un interrogativo che di fatto si propone a ogni generazione di filosofi o teologi. W., infatti, opera un’attenta disamina ravvedendo la
radice del male morale in quella tensione che si viene a instaurare
tra l’essenza e il modo d’essere della volontà umana.
«Biblica»
A
MOREAU P.-F., Spinoza e lo spinozismo, Morcelliana, Brescia 2007, pp.
150, € 14,00. 978883722113
LXXIII
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
255
pp. 152 - € 11,90
Nella stessa collana:
Giuseppe Barbaglio
Emozioni e sentimenti di Gesù
pp. 272 -
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
€
23,90
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
L
ibri del mese / schede
Caritas Italiana
La Chiesa
della carità
Miscellanea in onore
di mons. Giovanni Nervo
Presentazione di mons. Giuseppe Merisi
Introduzione di mons. Vittorio Nozza
A cura di Giancarlo Perego
SPRANZI A. , L’altro Manzoni. Indagine su un «delitto perfetto» che
attendeva con impazienza di essere scoperto, Ares, Milano 2008,
pp. 342, € 18,00. 978888155413
se don Abbondio fosse un perfetto ateo amorale e Lucia una
giovane donna guidata solo dalla superstizione? Al centro di
questi interrogativi, la vera domanda che il vol. pone è: lo scrittore dei Promessi sposi era davvero cattolico? Con il piglio dell’investigatore, l’a., docente ordinario di Economia dell’arte presso l’Università di Milano, scava nel romanzo italiano più importante
dell’Ottocento alla ricerca di conferme alla sua – e a quanto pare
solo sua – interpretazione: sotto le spoglie della fiaba morale si nasconde una durissima offensiva anticattolica a opera di un Manzoni che per l’a. ha i tratti del «superuomo» mosso da una «religione dell’odio». Per questo egli avrebbe «subdolamente nascosto»
nel suo «cattolicissimo romanzo» un «micidiale veleno anticristiano».
E
TREIBER D. , Frank Lloyd Wright, Jaca Book, Milano 2008, pp. 191,
€ 45,00. 978881660400
onsiderando l’autobiografia di Frank Lloyd Wright, longevo e
prolifico architetto che copre con i suoi 500 edifici quasi 70
anni di storia, come «parte integrante della dottrina», questo testo vi si poggia come a un imprescindibile compagno di viaggio.
Componendo il vol. in saggi tematici relativamente indipendenti
fra loro, l’a. s’incarica del dovere di decifrare «i paradossi, le rotture, i grovigli, piuttosto che stabilire dei principi semplici e decisamente riduttivi» dell’architetto segnalato da molti come l’inventore della modernità e che a uno spettatore contemporaneo si avvicina per la sensibilità ecologica e per l’armonico dialogo fra costruzione e paesaggio.
C
FRANCIOSI M.L. , ...Per un sacco di carbone ...Pour un sac de charbon
...Voor een zak kolen, ACLI-Belgio, Brussel 21997, pp. 386, s.i.p.
Politica, Economia, Società
l testo nasce dalla ricorrenza significativa dei
novant’anni di mons. Giovanni Nervo, primo
presidente e responsabile di Caritas Italiana. I
vari contributi delineano un percorso per
ritornare anche oggi a disegnare una Chiesa
della carità fortemente radicata nella Parola e
nell’Eucaristia, dentro la storia, educando a una
scelta preferenziale dei poveri, ogni giorno, nelle
parole e nei fatti. Uno strumento di riflessione
storica, teologica e culturale per tutta la Chiesa
italiana.
I
«Fede e annuncio»
pp. 352 - € 18,80
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
DONATI P., T RONCA L. , Il capitale sociale degli italiani. Le radici familiari, comunitarie e associative del civismo, Franco Angeli, Milano 2008, pp. 200, € 18,00. 978884648946
li aa,. sociologi, da anni lavorano a una teoria denominata
«teoria relazionale della società» che, a differenza delle teorie idealistiche o materialistiche, individua il capitale sociale di
una società nella rete e nella qualità delle relazioni esistenti, valutandone il grado di fiducia, reciprocità e capacità di generare
azioni cooperative volte alla creazione di beni comuni. Il vol. presenta i risultati dell’ultima ricerca in questo campo, condotta su
tutto il territorio nazionale, volta a verificare quanto l’associazionismo italiano sia capace di generare capitale sociale e come si
rapporti con le istituzioni pubbliche ed economiche.
G
FONDAZIONE NUOVA ITALIA , C OMMISSIONE GIUSTIZIA, Una giustizia per
la comunità nazionale. Progetto e proposte, Il Cerchio iniziative
editoriali, Rimini 2008, pp. 132, € 18,00. 978888474166
a Fondazione «Nuova Italia», presieduta da Gianni Alemanno,
ha l’obiettivo di «valorizzare e promuovere la cultura popolare, comunitaria, tradizionale e nazionale, i valori della civiltà italiana, mediterranea ed europea e le forme espressive di ogni genere d’identità comunitaria, affermando i principi della solidarietà, della partecipazione e della sussidiarietà che derivano dalla
dottrina sociale della Chiesa. Questa cultura, questi valori e questi
principi si devono tradurre non in un atteggiamento conservatore, ma in un progetto di cambiamento e in un’agenda di riforme
in grado di modernizzare le istituzioni politiche, sociali ed economiche della nostra patria italiana ed europea». Quella qui presentata dalla Commissione giustizia della Fondazione stessa, coordinata da Sergio Gallo, è una proposta di riforma del sistema giudiziario italiano.
L
256
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
LXXIV
KEPEL G., Oltre il terrore e il martirio, Feltrinelli, Milano 2009, pp. 222,
€ 17,00. 978880717166
e due grandi narrazioni che in modo contrapposto hanno tentato un’interpretazione del momento attuale, la «guerra al terrorismo» americana e l’esaltazione del martirio di matrice fondamentalista islamica, hanno entrambe fallito i loro obiettivi. Chi oggi deve
raccogliere la sfida di civiltà che deriva da questo scacco delle ideologie è – secondo l’a., tra i più noti studiosi occidentali del mondo arabo – l’Europa, che vive le turbolenze del Medio Oriente sulla propria
pelle come altrettante sfide di politica interna. È al vecchio continente che spetta il ruolo di costruire un’integrazione economica intorno
al Mediterraneo, sfruttandone il potenziale e costruendo la pace attraverso un rinascimento mediterraneo.
L
MARINI D., OLIVA S. (a cura di), Nord Est 2008. Rapporto sulla società
e l’economia, Marsilio Editrice, Venezia 2008, pp. 279, € 20,00.
978883179523
U
na tra le regioni italiane più propulsive, il Nord-est, sta vivendo
in questi anni un profondo mutamento strutturale, una vera e
propria «morfogenesi», attraverso un processo di progressiva rivisitazione dei propri elementi tradizionali in chiave innovativa. Il rapporto 2008 tuttavia evidenzia, accanto ad alcuni segnali positivi come la
tenuta del manifatturiero e l’internazionalizzazione, anche alcuni
elementi di debolezza: crescita rallentata, frenata dei consumi interni, dinamica insoddisfacente della produttività. Oltre a un disagio
crescente verso le risposte inadeguate che la politica nazionale e lo
stato offrono alle esigenze di sviluppo e crescita del territorio.
PEZZIMENTI R., La società aperta e i suoi amici. Con lettere di I. Berlin
e K.R. Popper, Città nuova, Roma 2008, pp. 304, € 20,00. 978883112442
lla sua seconda edizione (la prima è del 1995), arricchita di tre
cc. e nell’apparato bibliografico, il vol. ripercorre la storia del diritto, interpretata alla luce di alcuni aa. e momenti fondatori: l’esperienza giuridica romana, l’apogeo e la crisi del principato, il rapporto tra religione e politica da Eusebio di Cesarea ai teorici medievali
della supremazia papale, cavalcando fino alla contemporaneità. In
appendice la trascrizione dei carteggi tra l’a., docente di Storia delle
dottrine politiche presso l’Università del Molise e alla LUISS di Roma, e Karl Popper e Isaiah Berlin.
A
WHITTY M.T., CARR A.N., Incontri@moci. Le relazioni ai tempi di Internet, Erickson, Gardolo (TN) 2008, pp. 256, € 16,00. 978886137332
on humour e competenza, i due aa., docenti di discipline psicologiche nel Regno Unito e in Australia, tracciano la storia della
comunicazione alla luce della rivoluzione del web. Coppie nate tra le
righe di una chat, ciberflirt, tradimenti online: la diffusione delle relazioni che fioriscono e si consumano in rete è descritta con ampio ricorso a ricerche e studi, ma forse sottovalutandone i rischi di deviazioni e perversioni. La tesi degli aa. è che «il ciberspazio è un luogo
speciale per giocare all’amore e sperimentare la sessualità, e come lo
facciamo dipenderà dallo spazio in cui giochiamo».
CASTEGNARO A. (a cura di), Apprendere la religione. L’alfabetizzazione
religiosa degli studenti che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, EDB, Bologna 2009, pp. 257, € 21,60. 978881060610
he cosa sanno i ragazzi di oggi della religione cattolica? È proprio vero che la nostra società si caratterizza per una crescente
ignoranza religiosa? Questi interrogativi sono alla base dell’indagine
qui presentata sui livelli di alfabetizzazione religiosa di 5.000 studenti che hanno terminato la secondaria superiore di I e II grado e che
si sono avvalsi dell’ora di religione. I risultati sembrano smentire il
luogo comune secondo il quale i giovani non sanno niente di religione. Essi paiono aver acquisito in maggioranza una significativa formazione di base, forse più ampia di quella posseduta dalle generazioni
precedenti. I risultati migliori non si ottengono dove l’offerta formativa enfatizza i contenuti d’istruzione religiosa, ma quando i docenti
propongono una sintesi tra la riflessione sui problemi della vita e le
conoscenze relative alla religione. Una conclusione che probabilmente va al di là dell’ora di religione stessa.
C
DI MELE L., ROSA A., CAPPELLO G., Video education. Guida teorico-pratica per la produzione di video in ambito educativo, Erickson, Gardolo (TN) 2008, pp. 228+1 DVD, € 20,50. 978886137276
l libro scaturisce dalle esperienze di formazione nel campo della
produzione video degli aa. Dopo un’Introduzione che espone i
principali obiettivi della media education sostenendo l’irrinunciabile
connubio fra analisi critica e produzione mediale, i cc. successivi si
occupano del modello e delle tappe da seguire nel processo di produzione in un contesto educativo, delle caratteristiche degli strumenti digitali, della scrittura del video, della scelta del genere, dei fondamenti della ripresa e del montaggio e del processo di diffusione del
prodotto finito, ponendo in appendice un glossario e una bibliografia d’approfondimento. Un DVD allegato contiene contributi video e
schede in ausilio.
I
Riccardo Pane
Manuale
del ministrante
C
Pedagogia, Psicologia
BROWNING D.S., Etica cristiana e psicologie morali, EDB, Bologna 2009,
pp. 342, € 32,50. 978881050841
he cosa possono imparare l’etica filosofica e la morale cristiana
dai processi psicologici? Come combinare l’atteggiamento precettistico e lo sviluppo del senso morale nella persona? L’a. è convinto che la psicologia morale contemporanea sia in grado di offrire un
contributo specifico all’etica cristiana solo se conduce la propria ricerca sulla base di una comprensione pre-scientifica e pre-empirica
competente della morale. Pur trattando soprattutto della relazione
tra la psicologia morale e l’etica cristiana, il vol. discute anche il tema
della formazione morale dei ragazzi e dei giovani ed esamina inoltre
la natura della maturità morale dell’adulto.
C
LXXV
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
257
rutto dell’esperienza dell’autore
nell’istruire i ministranti, il manuale
si propone quale indispensabile
avviamento alle liturgie solenni. Oltre a
quelle per la messa, vengono offerte
indicazioni per le celebrazioni dei
sacramenti e dei sacramentali, nonché
per i riti della settimana santa. Il volume
è arricchito da tre appendici e da
immagini che aiutano a comprendere
meglio il gesto liturgico da compiere.
F
«Sussidi per i tempi liturgici»
pp. 72 - € 6,50
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
L
ibri del mese / schede
a cura di Yves Ledure
Antisemitismo
cristiano?
Il caso di Leone Dehon
DISANTO A.M. (a cura di), Paradossi della mente giovanile. Oscillazioni
tra noi, angoscia e creatività, Borla, Roma 2008, pp. 231, € 25,00.
978882631701
L
e ricerche qui raccolte, presentate nel corso di una giornata di studio svoltasi sul tema nel 2007, sono accomunate dalla percezione
di un elemento presente in modo diffuso nel mondo giovanile: la
mancanza di desiderio, o meglio il suo raffreddamento in presenza di
un «immaginario frenato», che impedisce una trasformazione mentale ed emotiva. Le valenze desideranti dei giovani sono massicciamente condizionate da sentimenti d’incertezza, che abili strategie di marketing veicolano regressivamente verso forme di soddisfacimento immediato e automatico. L’incapacità di confrontarsi con limiti e frustrazioni conduce al rifugiarsi in uno stato di noia, più rassicurante. L’alternativa è nella possibilità di confronto con un mondo adulto che attraverso un continuo scambio empatico aiuti gli adolescenti a sostenere
e gestire il proprio mondo emotivo, valorizzandolo.
FIORE C., Spunti di etica 2000. Per giovani, educatori, gruppi giovanili,
LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 270, € 12,50. 978880103839
n libro, quello del sacerdote salesiano fondatore della rivista Dimensioni nuove, rivolto a genitori ed educatori, ma anche a ragazzi delle scuole medie e superiori. I temi affrontati sono cruciali e diversi: dal crollo delle Torri gemelle, immagine della centralità delle religioni nel mondo post-secolare, fino al significato di parole come Dio,
valori, scienza, relazioni, sessualità. Pensando al pubblico a cui si rivolge, appare più convincente l’ultima parte del vol., dedicata ai giovani,
rispetto alla prima sezione che denuncia un’Europa che, nella prospettiva dell’a., ha cancellato le sue radici cristiane.
U
ella società francese del XIX secolo,
cattolicesimo sociale e questione ebraica si
intersecano. Con l’avvento del capitalismo, il
rapido sviluppo dell’industria trova ingenti risorse
presso i grandi esponenti della finanza, in larga
parte ebrei. Ciò genera una situazione sociale
catastrofica per il mondo del lavoro e una forte
ventata antigiudaica, che investirà anche la
maggior parte degli attori sociali cattolici del
tempo, fra cui p. Dehon. In due giornate di studio
svoltesi a Parigi, storici e teologi hanno
approfondito tale questione, proponendone
un’attenta analisi critica.
N
«Oggi e domani»
pp. 216 - € 16,60
Dello stesso autore:
Un prete con la penna in mano
Leone Dehon
pp. 256 - € 13,40
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
JUUL J., Eccomi! Tu chi sei? Limiti, vicinanza, rispetto tra adulti e bambini, Feltrinelli, Milano 2009, pp. 92, € 7,00. 978880772092
ssere genitori ed educatori significa imparare il difficile dosaggio
di autorità e parità, di rispetto e responsabilità. Ma la fatica a comporre i tempi del lavoro con quelli della famiglia fanno crescere nei
genitori forti sensi di colpa per placare i quali si concede ai figli tutto.
E il rischio di trasformare il figlio in «principino che fa ballare tutta la
famiglia al suono del suo piffero» è reale e provoca altra frustrazione.
L’a., quindi, propone una rivisitazione della categoria del «limite» come criterio che il genitore deve responsabilmente gestire per far conoscere ai membri della famiglia che la libertà è quella facoltà che consente di «articolare la propria individualità in modo tale che ciascun
componente della famiglia possa valutare insieme agli altri qual è il
rapporto di questa individualità con la collettività e come può svilupparsi ed espandersi in modo che ci sia spazio per tutti».
E
PIATTI L., TERZI A., Emozioni in gioco. Carte per educare alle competenze emotive, Edizioni la meridiana, Molfetta (BA) 2008, pp. 124+carte
delle emozioni, € 28,00. 978886153062
n libro-guida che propone l’uso delle «carte delle emozioni» come strumento per facilitare «l’alfabetizzazione a partire dalla
quotidianità» e che «si fonda sulla convinzione che conoscere meglio
e vivere con maggiore consapevolezza le proprie emozioni contribuisca ad arricchire la propria vita, a migliorare le relazioni e a combattere l’indifferenza sociale». Frutto anche di una sperimentazione sul
campo iniziata negli anni Novanta, le carte «non sono tarocchi per costruire storie o per prevedere il futuro, ma uno strumento per stimolare la dimensione progettuale che si sprigiona quando impariamo ad
accogliere le emozioni della vita».
U
PORCELLUZZI S., Educare con cura. Famiglia, scuola e società nella crescita
della persona, LDC, Leumann (TO) 2008, pp. 109, € 8,00. 978880104068
a., psicologo e pedagogista, affronta alcune tematiche educative
per bambini e adolescenti, con particolare attenzione a quelle
d’ambito scolastico, quali: la continuità educativa nel passaggio fra
scuole di diverso ordine e grado, la dispersione scolastica, le difficoltà
d’apprendimento, l’orientamento scolastico, il bullismo, la scarsa autostima. L’esposizione si snoda nel racconto di casi concreti affrontati
dall’a., suddivisi in brevi paragrafi e riflessioni. Il metodo di lavoro spesso prevede un’alleanza educativa fra scuola, famiglia e pedagogista.
L’
258
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
LXXVI
L
L ibri del mese / segnalazioni
P. BOURDIEU,
RAGIONI PRATICHE.
Il Mulino, Bologna 22008, pp. 218.
€ 12,00. 9788815051821
L
ottare per la verità vuol dire lottare
perché si verifichino condizioni sociali
favorevoli all’instaurarsi di universi sociali sottoposti a regole».1 Così Pierre Bourdieu sintetizzò, in un libro-intervista, il fine
del proprio impegno intellettuale in quanto
sociologo e teorico dei fenomeni culturali.
Uno dei contributi più rilevanti dell’opera di
Bourdieu risiede nello studio attento e
profondo di quegli ambiti della vita sociale
degli individui in cui si danno le condizioni
per instaurare e articolare relazioni interpersonali sottratte alla logica economicistica
dello scambio e del commercio. Spazi in cui
non viene mai presentata la possibilità di
una irenica reciprocità tra i soggetti, ma dove ci si apre all’altro nella consapevolezza
delle contraddizioni reali che pur connotano
le relazioni gratuite e disinteressate.
La nuova edizione di Ragioni pratiche
rappresenta uno strumento essenziale per la
ricostruzione del vasto e articolato pensiero
di uno dei maggiori sociologi europei del
Novecento. Il merito di questa raccolta di
saggi sta principalmente nel fornire una
mappa della costellazione-Bourdieu: avendo
sullo sfondo la sua idea di filosofia relazionale, in quanto metodologia di ricerca finalizzata all’emersione delle potenzialità inscritte nelle relazioni umane, il volume snoda e riannoda concetti come spazio sociale,
capitale simbolico e habitus. Ne emerge un
sistema sociologico capace di fornire strumenti interpretativi di straordinaria stringenza ed efficacia per la lettura delle società complesse contemporanee; è infatti
evidente come le forme più sottili e pervasive di dominio non passino attraverso violenze e abusi da parte di precisi individui su
altri, bensì attraverso quei processi di formazione dei significati e delle classificazioni sociali con cui definiamo e ci definiamo. In altre parole, le forme più incisive e occulte di
dominio hanno a che fare con le concrezioni del potere simbolico.2
Il presupposto imprescindibile da cui
muovono tutte le ricerche di Bourdieu risie-
LXXVII
de nel dato di fatto che il reale è relazionale, ovvero che la realtà sociale coincide con il
tessuto dei rapporti pratici e simbolici che gli
individui instaurano tra di loro. La società,
quindi, è configurabile come un insieme di
spazi sociali o campi di potere. Alla luce di
tale presupposto, le discipline della ricerca
sociale non possono prendere le mosse da
concezioni sostanzialiste degli interagenti;
un individuo non è mai pienamente oggettivabile e riducibile alla determinazione conclusa di quelle specifiche qualità definitivamente esaurite nel nome proprio che gli viene attribuito.3 Alla verità del soggetto si
giunge attraverso la realtà delle sue relazioni,
o meglio, attraverso la raffigurazione dello
spazio delle sue relazioni. Infatti «la nozione
di spazio contiene, di per sé, il principio di
una concezione relazionale del mondo sociale: afferma infatti che tutta la realtà da
essa designata consiste nella mutua esteriorità degli elementi che la compongono» (45).
L’idea di spazio sociale, in quanto ambito delle relazioni e dei significati mediante i
quali i soggetti si costituiscono, rivela la sua
importanza soprattutto alla luce del concetto su cui vorrei maggiormente soffermarmi:
quello di capitale simbolico. Esso consiste
con «ogni specie di capitale (economico,
culturale, scolastico o sociale) quando è percepita secondo categorie di percezione,
principi di visione e di divisione, sistemi di
classificazione, schemi tassonomici, schemi
cognitivi che siano, almeno in parte, il risultato dell’incorporazione delle strutture oggettive del campo considerato, ossia della
struttura della distribuzione del capitale nel
campo considerato» (144). In altre parole, il
capitale simbolico è l’insieme di quegli oggetti sociali contrassegnati da un valore cognitivo specifico sui quali ricade la conoscenza e il riconoscimento dei molti; esso è
inoltre sintetizzabile anche attraverso il concetto di habitus. Il capitale simbolico, infatti, è quel deposito cognitivo di credenze e
conoscenze di cui gli agenti sociali si costituiscono; l’habitus, a sua volta, rappresenta
l’insieme interiorizzato di tali credenze, esso
è sia l’interiorità dell’esteriorità che l’esteriorità dell’interiorità. L’habitus coincide
con «una storia incorporata, una storia fatta
corpo, inscritta nel cervello, ma anche nelle
pieghe del corpo, nei gesti, nella maniera del
parlare, nell’accento, nella pronuncia, nei tic,
in tutto ciò che siamo».4
Il concetto di capitale simbolico assurge
a luogo eminente nella riflessione di Bourdieu proprio perché, mediante esso, il sociologo francese riesce a costruire un’ampia fenomenologia di tutti quegli spazi sociali che
si sottraggono, almeno in parte e per loro
stessa definizione, alla legge dell’interesse e
dell’ottimizzazione del profitto, propria del-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
259
le economie capitalistiche. Vi sono spazi e
dimensioni dell’agire umano, come il campo
della produzione artistico-letteraria, delle
strutture familiari e delle organizzazioni ecclesiali, nei quali l’interesse non viene semplicemente sospeso ed eliminato, ma in cui
ci si interessa al disinteresse.5 Gli ambiti appena citati rappresentano, dunque, universi
pratici e simbolici in cui vigono specifiche
leggi economiche, non esclusivamente
orientate al perseguimento, razionalmente
calcolato, del profitto monetario. In questi
mondi il disinteresse è sociologicamente
possibile perché il medium dell’interazione
non ha la forma del denaro ma possiede una
natura simbolica; esiste infatti un’economia
dei beni simbolici, ovvero una logica di
scambio e di commercium, propria della gestione sociale dei significati e dei concetti
che usiamo per definire la nostra realtà. Le
leggi che governano gli scambi simbolici sono di natura cognitiva: ciò che viene scambiato, accumulato o sottratto è descrivibile
in termini di conoscenza.6 Nel campo della
produzione artistica, ad esempio, gli atti o i
gesti simbolici sono possibili e comprensibili in quanto sono atti e gesti di conoscenza
e di riconoscimento: riesco a comprendere,
gestire e giudicare un prodotto letterario in
Silvia Pellegrini
L’ultimo segno
Il messaggio della vita
nel racconto
della risurrezione di Lazzaro
l racconto della risurrezione di Lazzaro affascina e sconcerta i lettori di
tutte le epoche. Lo studio offre un
esempio di lettura semiotica, esegeticamente fondata e insieme ricca dal
punto di vista ermeneutico. Il lettore
viene introdotto al brano svolgendo il
percorso di lettura nei suoi ritmi reali, sciogliendo i nodi interpretativi e trovando risposta alle domande esistenziali che il testo affronta.
I
«Scienze religiose - Nuova serie»
pp. 278 - € 18,60
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
L
ibri del mese / segnalazioni
quanto posseggo le stesse categorie di percezione e di valutazione di chi lo ha prodotto e di tutti gli altri che come me lo leggono. Ciò che dunque, negli spazi simbolici,
viene capitalizzato, scambiato e gestito è
proprio l’insieme di tali categorie di percezione e di valutazione.
L’economia dei beni simbolici, però, è
del tutto particolare in quanto si fonda sulla rimozione collettiva dell’interesse economico. Gli spazi sociali della produzione artistica, della famiglia e delle comunità ecclesiali sono ambiti in cui si scambiano e si
commerciano beni specifici il cui valore risiede proprio nella capacità di produrre un
interesse al disinteresse. Per spiegare questo
concetto apparentemente paradossale
Bourdieu ricorre a un’attenta analisi delle relazioni inerenti la logica dello scambio di doni. Il dono instaura, per definizione, atteggiamenti antitetici al do ut des. La novità apportata dal sociologo francese al lungo dibattito filosofico sulla fenomenologia del
dono risiede, a mio avviso, proprio nell’evitare di fornirne una visione irenica, adialettica e perfettamente conciliata. Il dono non è
infatti immaginabile come compatta autodefinizione di una gratuità assoluta, anzi, riesce a dischiudere il portato dirompente del-
Osservatorio Socio-Religioso Triveneto
Apprendere
la religione
L’alfabetizzazione religiosa
degli studenti che si avvalgono
dell’insegnamento
della religione cattolica
A cura di Alessandro Castegnaro
indagine presentata nel volume ha
avuto come scopo primario la verifica delle conoscenze religiose degli
studenti che frequentano l’«ora di religione». Pur apparendo nel complesso soddisfacente, il quadro emerso
sembra suggerire che molto lavoro
resta ancora da fare per giungere a
livelli auspicabili.
L’
«Religione e didattica»
pp. 264 - € 21,60
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
260
la gratuità e del disinteresse proprio perché
porta in sé la negazione o la tabuizzazione
sociale del gesto interessato. Lo spazio sociale, governato dalla logica del dono generoso e gratuito, si rivela efficace solo se vissuto come tentativo, mai pienamente assolutizzabile, di sospensione dell’interesse
economico. Lo scambio di doni è un paradigma dell’economia dei beni simbolici proprio perché, nel momento in cui qualcuno fa
un dono gratuito, sospende la logica economica dell’interesse al guadagno ed entra in
un ordine logico in cui l’interazione viene
governata non strettamente dall’intenzione,
ma da quelle silenti disposizioni simboliche
che costituiscono l’habitus sociale. Il meccanismo del dono viene analizzato da Bourdieu proprio per spiegare come vi sono numerosissimi ambiti dell’esistenza umana in
cui le nostre azioni non vengono puntualmente governate da un’intenzionalità cosciente e presente, bensì da una sospensione di questa in favore di quel silenzioso, ma
onnipervasivo mondo dei significati simbolici che strutturano la nostra realtà sociale. «Il
miglior esempio di disposizione è senza
dubbio il senso del gioco: il giocatore che ha
profondamente interiorizzato le regolarità
del gioco fa quello che va fatto nel momento in cui va fatto e non ha bisogno di porsi
esplicitamente come fine quello che c’è da
fare. Non gli occorre sapere consapevolmente quello che fa per farlo, e tanto meno
porsi esplicitamente il problema di sapere
esplicitamente che cosa gli altri possono fare in risposta» (163).
Vorrei brevemente ribadire la dimensione sfumata e indeterminata dell’economia
dei beni simbolici: i significati sociali fanno
in modo che, soprattutto nelle differenziate
relazioni affettive, si possa crescere nell’interesse verso azioni disinteressate proprio
perché la loro natura non è mai pienamente
compiuta ed espressa. Il concetto di famiglia, ad esempio, dovrebbe sempre più essere adoperato e gestito alla luce della ricerca
comune e condivisa di quelle condizioni di
possibilità di relazioni disinteressate, ciò diventa però possibile solo se lo si comprende
nella sua costante incompiutezza. Vale a dire, solo se lo si guarda in quanto bene simbolico, tendente intrinsecamente a farsi misura e spazio inclusivo di nuove e nascenti
relazioni d’affetto e d’amore. I beni simbolici sono dunque beni relazionali, ma soprattutto disposizioni di significato sottoposte
al legittimo e partecipato scambio tra chi ne
dispone; essi non sono enti ma spazi relazionali, ecco perché, per Bourdieu, ha senso
parlare di economia dei beni simbolici. Con
un linguaggio affine, anche nella teologia del
Novecento, è maturata una sensibilità verso
i significati sociali in quanto spazi di uno
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
scambio (commercium), ovvero in quanto
presupposti per la ridefinizione degli spazi
delle relazioni umane, partendo dalla perenne attesa di compiutezza delle nostre stesse
categorie di giudizio: «Il punto centrale della teologia della rivelazione non è infatti un
“essere”, ma il “commercium”. Questa teologia non si realizza quindi in categorie statiche, ma in rapporti (dinamici) che scorrono
avanti e indietro, ma non rapporti in “concetti”, bensì soltanto in “parabole” e “immagini”, e quindi “simboli”, così come il Signore
in Mt 13,11ss li innalza, con totale inesorabilità, come principio fondamentale del regno
di Dio».7
Vincenzo Rosito
1
P. BOURDIEU, Il mondo sociale mi riesce
sopportabile perché posso arrabbiarmi, Nottetempo, Roma 2004, 33.
2
Cf. M. CROCE, Sfere di dominio. Democrazia e potere nell’era globale, Meltemi, Roma
2008, 85-95.
3
Nel saggio intitolato L’illusione biografica, Bourdieu conduce un’appassionata critica
proprio verso quelle concezioni sociologiche
della soggettività che tendono a ricondurre
l’individuo a unità coerente e pienamente descrivibile. L’identità personale è sempre discontinua ed eccedente rispetto a ogni classificazione. Il nome proprio infatti, in quanto
designatore rigido «può attestare l’identità
della personalità, nel senso di individualità socialmente costituita, solo a prezzo di una formidabile astrazione» (76).
4
BOURDIEU, Il mondo sociale, 20.
5
È proprio questo il criterio che accomuna
gli spazi sociali su cui Bourdieu ha maggiormente concentrato le sue analisi specifiche.
Egli stesso ammette: «I mondi che mi accingo a
descrivere sono accomunati dal fatto di creare
le condizioni oggettive perché gli agenti sociali si interessino al disinteresse, cosa che sembra
paradossale» (158).
6
Il capitale simbolico è anche un capitale
culturale, vale a dire, consiste nell’insieme di
quei beni rappresentabili in termini educativi e
conoscitivi, la cui gestione e amministrazione
rappresenta uno dei massimi indicatori dell’equità o dell’ingiustizia sociale. Per questo motivo Bourdieu ha condotto studi dettagliati
sulla sociologia dei sistemi educativi, in particolar modo relativi al mondo accademico; «il
capitale culturale diviene una delle strade determinanti della riproduzione. È questo il motivo per cui studiare il sistema educativo non è
una specialità tra le molte altre, vuol dire, credo, studiare quel che vi è di più specifico nella
riproduzione del capitale simbolico» (Il mondo
sociale, 25).
7
E. PRZYWARA, «Commercium», in ID., Logos,
Patmos, Düsseldorf 1964, 133.
LXXVIII
Y. LEDURE
(A CURA DI),
ANTISEMITISMO CRISTIANO?
Il caso di Leone Dehon,
EDB, Bologna 2009, pp. 214, € 16,60.
978881014046
L
a storia del cristianesimo affonda le radici nella tradizione ebraica così come
è stata trasmessa dalla Bibbia e ricevuta dalla Chiesa. Il passaggio dal giudaismo biblico al cristianesimo è stato caratterizzato
da continuità e rottura al tempo stesso. Nel
corso dei secoli la storia delle relazioni fra
cristiani ed ebrei sarà piuttosto tormentata.
Nel XIX secolo, con l’avvento del capitalismo e il rapido sviluppo dell’industria, nascerà la questione sociale. Poiché alcuni
grandi esponenti della finanza del tempo
sono ebrei, il cattolicesimo sociale unirà
strettamente, a torto o a ragione, critica antiebraica e impegno per una società più giusta. Così nella società francese del XIX secolo cattolicesimo sociale e questione ebraica
s’incontrano e incrociano. La Chiesa cattolica, che cerca di mantenere il suo monopolio
religioso sulla società del tempo, dovrà affrontare direttamente e senza riguardi la
questione. L’opera di p. Leone Dehon (18431925), figura di spicco del cattolicesimo sociale e fondatore dei Sacerdoti del Sacro
Cuore, riflette questo clima: egli è coinvolto
in quelle intricate discussioni e controversie
che gli storici non sono ancora riusciti a
sbrogliare.
Il 21 e 22 settembre 2007, storici, filosofi
e teologi si sono ritrovati in due giornate di
studio a Parigi per approfondire queste questioni delicate e complesse, le loro reciproche implicazioni e le loro conseguenze fin
nella realtà odierna. In seguito al rifiuto dell’Institut catholique di Parigi di ospitare queste giornate di studio per oscure ragioni che,
in ogni caso, non hanno nulla a che vedere
con il dibattito strettamente universitario, i
partecipanti alle giornate di studio sono stati accolti dal convento San Giacomo dei domenicani. Si sono riuniti nella sala Lacordaire,
il cui nome evoca, in qualche modo, la pagina della storia della Chiesa di Francia che
precede immediatamente il periodo da noi
LXXIX
considerato e simboleggia un primo tentativo, se non di conciliazione, perlomeno di avvicinamento fra una Chiesa che vive ancora
in regime di cristianità e le realtà politiche e
culturali scaturite dalla Rivoluzione francese.
Due avvenimenti della Rivoluzione francese – la costituzione civile del clero, votata
il 12 luglio 1790, e il riconoscimento della piena cittadinanza agli ebrei di Francia nel settembre del 1791 – avranno notevoli ripercussioni nel XIX secolo. Nella logica del Concordato del 1801, la Chiesa cattolica cerca di
ricostruire la sua rete religiosa e culturale, ristabilendo i legami secolari con la monarchia
in base al principio tradizionale «una nazione una religione». Di conseguenza, la Chiesa
cattolica sarà ampiamente indifferente alle
aspirazioni repubblicane e democratiche
della società. Ed è proprio questa lacuna che
cercherà di colmare la seconda democrazia
cristiana cui appartiene Leone Dehon.
D’altra parte, l’emancipazione politica e
giuridica degli ebrei faciliterà la loro integrazione sociale e una partecipazione più o
meno attiva allo sviluppo industriale della
Francia del tempo. Poiché l’industrializzazione richiede la capitalizzazione di ingenti risorse finanziarie, fiorirà un sistema bancario
nel quale ebrei come Rotschild o i Pereire,
per citare solo qualche nome, saranno particolarmente attivi. Questa configurazione
genererà una situazione sociale catastrofica
per il mondo del lavoro e una ventata giudeofoba molto marcata nella seconda metà
del XIX secolo, che investirà anche la maggior parte degli attori sociali cattolici dell’epoca, fra cui Leone Dehon.
Così si delinea, all’intersezione di queste
due realtà, la tematica della nostra ricerca e
riflessione. Una tematica ampiamente aperta, perché non può ignorare le tensioni con
il giudaismo, inerenti alla stessa nascita del
cristianesimo, con il suo retaggio di pregiudizi, conflitti, persino persecuzioni, contrari,
dal nostro attuale punto di vista, ai diritti
fondamentali dell’uomo. Del resto, questa
tematica è inevitabilmente tributaria delle
nostre attuali sensibilità, risvegliate dalle tragedie del XX secolo, specialmente dalla sorte riservata agli ebrei europei. La ricerca e la
riflessione in questa materia richiede competenza e presa di distanza, esige senso critico e preoccupazione per i giusti equilibri.
Il legame che stabilirà il cattolicesimo
sociale del XIX secolo fra capitalismo finanziario, nel quale sono implicati ebrei emblematici, e la condizione sociale profondamente degradante riservata al mondo del lavoro, legame che il p. Dehon svilupperà nella sua opera sociale, produrrà un’analisi critica specifica della questione ebraica che mi
sembra difficile poter assimilare a un antisemitismo quasi viscerale e razziale del tutto
irrazionale. Qui le sfumature sono essenziali
e condizionano una giusta comprensione
delle situazioni e una migliore valutazione
dei comportamenti. Il fatto di affrontare
con assoluta indipendenza intellettuale
queste questioni, con i necessari strumenti
ermeneutici, dovrebbe aiutare a rispondere,
perlomeno in parte, alla domanda che non si
può non porsi: a quali condizioni si può effettuare un’analisi critica del giudaismo del
XIX secolo senza parlare necessariamente di
antisemitismo, nel senso in cui lo si definisce
oggi? Tanto più che il termine, coniato dal
giornalista tedesco Wilhelm Marr, fa la sua
comparsa in Francia solo attorno agli anni
1890.
Al di là di quest’analisi economica e sociale resta una questione più antica e più
fondamentale, che riguarda i legami teologici fra ebraismo e cristianesimo e i loro rapporti specifici, definiti da George Steiner
un’«eresia» che si potrebbe considerare reciproca. Questa questione, che non è stata
ignorata dal concilio Vaticano II e ha ispirato
molte iniziative di Giovanni Paolo II, percorre come un filo rosso tutta la storia del cattolicesimo. Essa spiega molte decisioni, prese di posizione e silenzi in materia. E non
oso credere che il rifiuto dell’Institut catholique di Parigi di ospitare queste giornate di
studio dipenda proprio da questa problematica. Mi sembra necessaria una riflessione
teologica, tanto più che viene troppo spesso, se non ampiamente, ignorata o perlomeno trascurata a vantaggio di posizioni poco
ragionate, se non addirittura dettate dalla
compassione e dal pensare corretto. Il dibattito sorto attorno all’eventuale beatificazione di p. Dehon ne è un’illustrazione. In
esso non si è mai considerata, e neppure
evocata, la posizione teologica di p. Dehon
in questo campo. La teologia deve affrontare queste questioni fondamentali della relazione fra giudaismo e cristianesimo nella
storia della salvezza per non abbandonarsi al
gioco illusorio del bilanciere, che non risolve
nulla, perché obbedisce alla strategia dell’eterno ritorno dell’identico di cui conosciamo le tragiche conseguenze nella storia.
Comunque queste giornate di studio
hanno dimostrato che, approfondendo seriamente certe questioni, delicate in quanto
esistenziali, la ricerca storica e la discussione
teologica contribuiscono a una giusta e rispettosa comprensione delle diverse posizioni attuali.
Yves Ledure*
* Proponiamo qui l’Introduzione al volume,
a firma del curatore, per gentile concessione
delle Edizioni dehoniane Bologna.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
261
L
ibri del mese / segnalazioni
M. SCHIANCHI,
LA TERZA NAZIONE DEL MONDO.
I disabili tra pregiudizio e realtà,
Feltrinelli, Milano 2009, pp. 171, € 14.
978880717167
D
i loro non si parla quasi mai. Ma sono
così tanti che se abitassero tutti insieme sarebbero la terza nazione più
popolosa al mondo, dopo Cina e India. Sono 650 milioni di persone in tutto in mondo, sei milioni in Italia, la seconda regione
per numero di abitanti dopo la Lombardia.
Massimo Grilli
L’impotenza
che salva
Il mistero della croce
in Mc 8,27–10,52
Lettura in chiave comunicativa
n che modo Marco sviluppa l’intreccio tra il destino di morte-risurrezione di Gesù e il discepolato? In che
senso il cammino del discepolo è segnato dalla croce? Le domande da cui
l’autore muove sollevano una questione teologica di rilievo, affrontata a partire dal presupposto che la lettura di
un testo biblico costituisca un evento
comunicativo.
I
«Studi biblici»
pp. 168 - € 15,60
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
262
A riportare in prima pagina le persone disabili e la disabilità ci ha pensato Oscar Pistorius, l’atleta sudafricano che con la sua corsa resa possibile da due protesi alle gambe
ha sfidato la Federazione internazionale di
atletica leggera, che lo aveva inizialmente
escluso dalla possibilità di correre alle Olimpiadi. La sua vicenda ha significato un’esposizione mediatica certamente inusuale, ma
ugualmente incapace di andare oltre la storia del campione paralimpico per dare
coordinate di comprensione e chiavi di lettura sull’intero universo della disabilità.
A coprire questo spazio, con le pagine
di questo saggio, ci pensa un altro sportivo,
Matteo Schianchi, negli anni scorsi capace
di vincere ben diciotto titoli di campione
italiano di nuoto, partecipando con la nazionale azzurra anche ai campionati europei
e mondiali riservati alle persone con disabilità. Laureato in storia contemporanea,
Schianchi svolge attività di ricerca storica
fra l’Italia e la Francia, dove è di casa all’École des hautes études en sciences sociales di
Parigi. A pubblicare la sua opera, che unisce
la perizia dell’esperto alla capacità dello
scrittore intenzionato alla divulgazione, è
Feltrinelli, che sceglie così nella sua «Serie
bianca» di dare spazio a una tematica più
volte trascurata anche da molta parte del
giornalismo sociale, normalmente più interessato a trattare di immigrazione, povertà
ed emarginazione in senso stretto.
Quello di Schianchi è il racconto della
realtà dell’essere e del pensarsi disabile, mai
autobiografico ma capace ugualmente di
passare in rassegna tutti gli aspetti – anche
quelli più nascosti – della disabilità. L’handicap, nella vita di ciascuno, è solo un’eventualità, ma scombina totalmente il nostro
universo mentale e, rimandando il pensiero
alla nostra vulnerabilità, ci rammenta la precarietà del corpo e dell’immagine. Per questo, ancora oggi, o forse soprattutto oggi,
esso scatena timore, paura, repulsione. E si
concretizza, generalmente, in un pregiudizio e in un rifiuto che si esprimono nella
forma velata di un pietismo che manifesta
scarsa conoscenza e induce nel disabile
stesso una profonda autocommiserazione.
Ne viene fuori un’analisi impietosa ma
veritiera sulle difficoltà di relazione umana
e d’inclusione sociale, una riflessione a tutto tondo sul linguaggio, sui percorsi storici
di accettazione e integrazione, sulle prospettive della moderna tecnologia e sulle
sue profonde conseguenze sociali. Il tutto a
partire da un fondamentale assunto: quello
per cui la condizione del disabile, così come
del resto quella del normale, non nasce da
specifiche proprietà delle persone, ma è il
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
prodotto di un punto di vista, l’esito di concrete relazioni sociali.
Il dato di partenza è però un altro: l’avvento della disabilità e la presa di consapevolezza della sua presenza (sia nei casi in cui
essa è presente fin dalla nascita, sia nel caso si manifesti più avanti, magari in modo
improvviso come conseguenza di un incidente invalidante) è sempre per la persona
un trauma colossale, uno sconvolgimento
totale della vita, un vero e proprio lutto che
ha bisogno di un’elaborazione.
È lontano anni luce dalla realtà viva delle dinamiche personali il pensiero che in
modo sereno ed equilibrato si possa facilmente convivere con un così forte cambiamento di prospettiva sulla propria esistenza: l’operazione della presa di coscienza è
nient’affatto semplice e produce una fortissima lotta interiore, dalla quale non sempre
– e in ogni caso non subito – si esce vincitori. Ciò detto, sottolinea Schianchi, non
c’è nessuna linea diretta di causa-effetto fra
disabilità e depressione, per quanto nel corso dei secoli (e ancora oggi) le persone disabili non siano affatto state aiutate da un
contesto sociale colmo di pregiudizi e zeppo di stereotipi, abituato ad approcciarsi alla disabilità con fare stigmatizzante. Dinamiche sociali capaci di conseguenze rovinose sulla vita delle persone.
L’autore, in questo senso, passa in rassegna i passi compiuti negli ultimi due millenni, dal mondo romano e greco al Medioevo,
dalla «mostra delle atrocità» che caratterizzava l’Ottocento (i disabili visti con ribrezzo
e semmai esibiti solo come fenomeni da
baraccone nelle feste di piazza come al circo) fino allo stato sociale, al loro ingresso
nel cinema e nei media, al dibattito sempre
vivo fra assistenzialismo, integrazione sociale e protagonismo.
Risorse insufficienti, leggi ottime ma
parzialmente o per nulla applicate, mancanza di strategie e di politiche efficaci sono le
costanti nelle quali la disabilità si muove
oggi nel nostro paese, ancora in larga misura incapace di esprimere una cultura dell’handicap che sappia mutare gli sguardi e
anestetizzare i pregiudizi, le paure e i luoghi
comuni. E sarà già una grande vittoria – sottolinea Schianchi – riuscire a fare in modo
che la rivoluzione tecnologica che promette di cambiare il futuro con protesi ogni
giorno più sofisticate e capaci d’infrangere
le comuni barriere possa recare vantaggi
non solo a pochi Pistorius, ma anche a quella vasta, enorme platea alla quale abbiamo
imparato a pensare come «la terza nazione
del mondo».
Stefano Caredda
LXXX
IRAQ
i
R
Dopo Saddam
l dramma dei cristiani
A colloquio con mons. Louis Sako
Karkuk, marzo 2009.
itorno in Iraq attraverso il Kurdistan. Le volte precedenti, nel 1998
e nel 2001, oltrepassato
il confine giordano con
un visto rilasciato ad Amman, avevo
percorso nel deserto circa un migliaio
di chilometri, con uno dei tanti taxi
che facevano la spola tra la Giordania
e l’Iraq. L’Austrian Airlines si occupa
ora del collegamento Vienna-Irbil, la
capitale del Kurdistan. Gli aerei sono
pieni di iracheni provenienti da mezza
Europa, che ritornano a visitare familiari e parenti. Per lo più sono cristiani
caldei.
Il visto viene rilasciato all’areoporto dalle autorità curde e dà inizio a un
viaggio che richiede la massima cautela. Certo, in Kurdistan la situazione è
sotto controllo ed è il motivo per cui
molti cristiani, soprattutto da Mosul,
abbandonano case e campi e trovano
rifugio tra i curdi. Si corre verso
Karkuk, la città del petrolio, dove l’arcivescovo, Louis Sako, si definisce
umoristicamente «il vescovo più ricco
del mondo».
Irbil è una bella città di 850.000
abitanti. Nuove costruzioni, strade ben
tenute, segnaletica perfetta: c’è quasi
tutto per essere la capitale del nuovo
Kurdistan iracheno con tante ambizioni e mire (cf. Regno-att. 2,2007,24).
Ma Karkuk, un milione di abitanti, è
una città caotica sia per il traffico sia
per il commercio. Casupole, vicoli, negozietti a non finire. Solo in periferia si
stanno costruendo villaggi interessanti.
Polizia di stato e municipale e anche
esercito vigilano dovunque. Ci sono
stati attentati, ma per fortuna ora la situazione è calma. Un vecchio prete
non si fida che attraversi da solo la
strada e m’accompagna. «Non si sa
mai» – dice – anche se una guardia,
bene armata, si sforza di farmi capire
di non avere paura.
Sei anni dopo Saddam;
uno dopo mons. Rahho
Il mio arrivo in Iraq coincide con il
primo anniversario della morte dell’arcivescovo di Mosul, mons. Faraj
Rahho, mentre sono trascorsi sei anni
dalla caduta di Saddam Hussein.
Oggi, l’Iraq è a tutti gli effetti uno
stato parlamentare federale. Le diciotto province godono di notevole autonomia. I curdi si vedono riconosciuti
ampi poteri, ma non si accontentano.
Sono in posizione di potere nelle regioni miste: nella piana di Ninive, nel
governatorato di Diyala e a Karkuk e
possono contare sull’appoggio del primo ministro Nouri al-Maliki, in carica
dal maggio 2006, per non dire del
presidente Jalal Talabani dell’Alleanza patriottica democratica del Kurdistan, in carica dall’aprile 2005. Definito un uomo capace e sensibile, deve
quotidianamente fare i conti con i vari gruppi etnici: gli arabi (che rappresentano il 65% della popolazione), i
curdi (23%), i turkmeni (5,6%); con
un islam per il 62,5% sciita e per il
34,5% sunnita; e con una sfilza di partiti e partitini.
I problemi aperti sono tanti e di
non facile soluzione in una situazione
di estrema insicurezza e fragilità. Come, ad esempio, la ripartizione dei
proventi del petrolio; come trovare il
giusto equilibrio nelle città miste arabo-curde; come gestire e dare solide
garanzie alle minoranze, quella cristiana soprattutto. E, specialmente,
come risolvere il problema dei profughi (l’esodo è tuttora massiccio) e dei
rifugiati.
La complessa situazione irachena è
avvolta nella nebbia e ci si chiede che
cosa farà l’amministrazione americana
di Barack Obama. Soprattutto dopo
che è stato annunciato il ritiro del grosso delle truppe: da 150.000 effettivi si
passerebbe nel 2010 a 30-50.000. Ma
l’America non lascerà l’Iraq. A Baghdad nella sua ambasciata lavora un migliaio di persone. E a Irbil, davanti al
seminario cattolico, bello e moderno,
dono dell’ex ministro delle Finanze
curdo-cristiano, si sta costruendo un
consolato americano di vaste dimensioni.
Degli errori dell’occupazione parlano tutti. È stato un grave errore sciogliere le istituzioni, l’esercito e la polizia, ad esempio. Si sono aperte frettolosamente le frontiere; non si sono controllati i depositi di armi. Non si è tenuto conto dei paesi vicini, che hanno
una notevole influenza sugli iracheni.
Non si sono tenute sotto controllo le
forze politiche nazionali corrotte e non
si è fatta una rigorosa politica «religiosa» sia nei confronti dei musulmani sia
dei cristiani. I primi sempre tesi all’istituzione di un regime teocratico, i secondi sottoposti a ogni tipo di vessazioni e senza alcuna protezione. Non va
fatto passare sotto silenzio il fatto che
sono stati uccisi 750 cristiani, tra cui tre
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
263
Komané (Iraq del Nord), esercizi spirituali. Tra i partecipanti, mons. Louis Sako, arcivescovo di Karkuk (terzo da destra, in basso).
sacerdoti e un arcivescovo. È comprensibile che il 50% dei cristiani abbia trovato rifugio in Kurdistan o sia fuggito
all’estero (cf. Regno-att. 8,2007,240;
12,2007,374; 6,2008,193).
Secondo mons. Sako il ritiro delle
forze americane può creare un vuoto e
riaprire la strada alla guerra civile e
anche alla divisione del paese per diverse ragioni: la sicurezza è molto fragile; non si è realizzata la riconciliazione tra i gruppi etnici e religiosi; l’esercito e la polizia non sono in grado di
mantenere l’ordine e di controllare il
vasto paese; le milizie etniche e religiose sono attive e non facilmente controllabili; permane la spinta dei paesi confinanti a influenzare la politica irachena per calcoli egemonici; alcune città,
come Karkuk, non hanno uno statuto
ben definito; la Costituzione in alcune
sue parti non dà sufficienti garanzie;
non c’è una linea di governo lungimirante; la frammentazione e il numero
dei partiti portano alla litigiosità e alla
formazione di alleanze instabili.
U n e so d o d i m e n t i cato
Gli attentati, sia pure in misura
minore, continuano. Nei giorni della
264
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
mia permanenza, una serie di attacchi dinamitardi ha provocato la morte di una persona e altri sette feriti; a
Nord-ovest di Baghdad un attentato
suicida ha causato almeno 60 fra
morti e feriti. A Mosul, ad esempio,
non si può andare. I cristiani ricevono
di nascosto la visita di un paio di sacerdoti coraggiosi che rischiano la vita. Si parla comunque di una certa rinascita; emerge addirittura l’ottimismo, secondo un sondaggio elaborato
a febbraio da BBC, ABC News e
NHK, anche se la crisi economica è
molto seria e le maggiori preoccupazioni provengono dai problemi quotidiani e dalla mancanza di lavoro.
I più colpiti sono i cristiani, per i
quali le condizioni di vita sono pressoché impossibili. Costituiscono circa
il 3% della popolazione su circa 28
milioni di abitanti. Trent’anni fa erano il 5%. L’islam è la religione di stato, ma l’art. 2 della Costituzione garantisce la libertà religiosa delle minoranze.
I cristiani un tempo costituivano
una sorta d’élite per la loro educazione e formazione scientifica, soprattutto a opera di domenicani, carmelita-
ni, gesuiti. Ora continuano a essere
oggetto di attacchi, soprattutto da
parte dei fondamentalisti, che l’imam
di Karkuk, Ali Khalid Sarmad, personalità di spicco nel mondo islamico
iracheno, bolla come persone che non
hanno nulla della fede islamica, e che
anzi distruggono l’autentico messaggio coranico.
L’esodo dei cristiani pare non finire mai ed è motivo di forti preoccupazioni. Dice mons. Sako: «Partire vuol
dire far sparire tutta una storia, una
cultura, una lingua e la presenza cristiana di duemila anni». 100.000 cristiani si trovano oggi in Siria, 30.000
in Giordania, parecchie migliaia in
Libano, in Egitto, in Turchia e nel
Kurdistan, da dove in passato molti
erano stati costretti a fuggire. Benvenuti ora i cristiani nel Kurdistan, per
i quali si stanno costruendo case nei
villaggi. Nella piana di Ninive vivono
7.000 famiglie cristiane venute da
Mosul, Baghdad, Bassora e altrove.
L’affitto è caro, i prezzi sono alle stelle e molti non possono frequentare la
scuola e l’università.
Tutti i miei interlocutori mettono
in risalto il fatto che i cristiani irache-
ni si sentono soli e dimenticati. Non
hanno fiducia in un futuro stabile.
Ancora mons. Sako: «La sofferenza,
la pazienza, l’inquietudine sono il loro pane quotidiano davanti al grande
silenzio della comunità internazionale. Molti all’estero non sanno niente
dei cristiani d’Oriente, non solo dell’Iraq. Dimenticano che sono l’origine della cristianità occidentale e che
la loro eredità è di grande importanza per la Chiesa universale. I cristiani
dell’Occidente devono prendere coscienza della gravità della tragedia dei
cristiani iracheni. Questi sono spesso
vittime di violenze perché sono cristiani».
La gerarchia ecclesiastica da anni
va dicendo che i cristiani non se ne
devono andare dal paese, che anzi devono farsi promotori della sua rinascita, creando istituzioni scolastiche e
sociali e soprattutto contribuendo alla
riconciliazione nazionale. «I cristiani
che partono indeboliscono coloro che
restano e offrono un argomento supplementare agli islamisti, che mettono
in campo ogni mezzo per farli uscire
in massa dal paese. Incoraggiare l’emigrazione dei cristiani è svuotare l’Iraq sotto tutti gli aspetti» (mons.
Sako). C’è chi chiede la creazione di
un ministero ad hoc per proteggere e
far rispettare i diritti delle minoranze
nel paese e intervenire sui grandi capi
musulmani perché i mullah cambino
il tono dei loro discorsi, aprendosi al
pluralismo di etnie e religioni e alla
diversità.
Sinodo per il Medio Oriente?
In questa situazione di fragilità e
d’insicurezza, di aspri conflitti e di
corruzione, anche la situazione interna alla comunità cristiana non è priva
di elementi negativi. Se ne è fatto portavoce p. Albert Abouna, un vecchio
prete di Baghdad, un intellettuale, ora
residente a Karkuk, che ha dato alle
stampe una lettera aperta ai cristiani
iracheni, soprattutto caldei, dove dice
chiaramente che la Chiesa «ha bisogno di una riforma radicale».
Non risparmia critiche al patriarca Emmanuel III Delly, che ritiene
inadatto al suo ruolo; ai vescovi, che
non si prendono cura del popolo a loro affidato; ai preti, che vivono isolati
e non coltivano la dimensione spiri-
tuale. Ne fanno le spese i fedeli,
«gregge senza pastori». La lettera ha
fatto scalpore e in alcuni luoghi se n’è
impedita la diffusione.
In questo contesto s’inserisce la
proposta di mons. Sako di un sinodo
speciale per l’intero Medio Oriente,
che pare papa Benedetto abbia preso
in considerazione. «In questo momento – sostiene l’arcivescovo di
Karkuk – vi sono varie sfide per i cristiani del Medio Oriente, che chiedono una risposta da parte dei responsabili della Chiesa».
Mons. Sako ne presenta alcune: il
continuo esodo dei cristiani dal Medio Oriente, soprattutto dalla Terra
santa, dall’Iraq, dall’Iran e dal Libano; la situazione di chi è emigrato e
l’esigenza di una pastorale che ne curi l’integrazione; la mancanza di un
programma pastorale ben pianificato
ed efficace, che aiuti i cristiani a vivere e testimoniare la propria fede; la
presenza dei cristiani in campo sociale, culturale, religioso e politico; la
formazione dei cristiani perché possano difendere i loro diritti a livello politico, sociale e culturale; il rafforzamento e il coordinamento degli avvocati per difendere e proteggere le minoranze cristiane in Medio Oriente
con la collaborazione degli organismi
internazionali.
Mons. Sako insiste particolarmente sulla necessità di una riforma radicale e urgente, sotto l’aspetto amministrativo, delle Chiese orientali; sulla
necessità di una riforma liturgica e
sulla promozione e il discernimento
delle vocazioni sacerdotali e religiose.
L’attuale situazione economica e sociale richiede inoltre l’elaborazione di
progetti per la creazione di posti di lavoro per aiutare i cristiani a restare
nei propri paesi; la denuncia della cristianofobia, delle discriminazioni,
della persecuzione e «pulizia religiosa»; la relazione con l’islam e la ricerca di strade da percorrere per un dialogo che rafforzi la coesistenza.
I problemi sono indubbiamente
tanti e gravi. Ne sono consapevoli anche gli studenti di teologia del seminario di Irbil, che si preparano a entrare nell’attività pastorale. Il Babil
College, 50 studenti in formazione e
quasi 400 studenti laici, trasferitosi da
Baghdad a Irbil sei anni fa in una
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
265
splendida costruzione, ha un piano di
studi di tutto rispetto e un corpo docente preparato. «La Chiesa non può
certo fare miracoli – osserva mons.
Sako – ma ha bisogno urgente di una
leadership, di pastori capaci di pensare e di agire. Manca un discorso ufficiale, chiaro e coraggioso. La Chiesa
è divisa, così come lo sono i partiti politici».
Segnali di rinnovamento ce ne sono. La lingua caldea viene insegnata
nelle scuole, a Karkuk avviene già in
quattro istituti; a Mosul c’è un ufficio
governativo che si prende cura del restauro di chiese e monasteri cristiani,
come avviene per sciiti e sunniti. Si
possono stampare liberamente libri
cristiani, mentre con Saddam era in
vigore una rigidissima censura. La recente riapertura del Museo nazionale
di antichità di Baghdad è un segno di
speranza. Forte la pressione, che viene soprattutto da ambienti ebraici,
per riaprire le porte al turismo, soprattutto a Ur, Babil e Mosul.
Francesco Strazzari
a cura di
Giovanni Giorgio - Mary Melone
Credo nello
Spirito Santo
a anni la Società italiana per la ricerca teologica (SIRT) concentra i
propri interessi di studio attorno al Credo. I saggi raccolti nel volume rappresentano i contributi offerti all’XI
Simposio della SIRT in collaborazione
con il Servizio nazionale per il progetto culturale della CEI: essi vertono attorno all’ottavo articolo del Simbolo
Apostolico e si dedicano a una ricognizione, complessa ma stimolante, in
merito alla terza persona della Santissima Trinità.
D
«Biblioteca di ricerche teologiche»
pp. 240 - € 21,60
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
d
d iario ecumenico
MARZO
Restituzione della chiesa di San Nicola alla Russia. Il 1°
marzo, a Bari, lo stato italiano restituisce ufficialmente la chiesa di
San Nicola, con la consegna delle chiavi della chiesa da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al presidente russo
Dmitri Medvedev. Per gli ortodossi la restituzione della chiesa, fatta
costruire negli anni 1913-1917 dalla famiglia Romanov per accogliere i
pellegrini russi a Bari, non simboleggia solo l’amicizia tra Italia e Russia, ma testimonia concretamente lo stato del dialogo tra cattolici e
ortodossi. Alla cerimonia ufficiale, in cui viene letto un messaggio di
Benedetto XVI, prendono parte, tra gli altri, mons. Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto, e mons. Vincenzo Paglia, presidente
della Commissione della CEI per l’ecumenismo e il dialogo.
Libertà religiosa in Italia. Il 6, a Roma, la Commissione affari costituzionali del Senato approva il riconoscimento delle lauree rilasciate dall’Istituto avventista di cultura biblica di Firenze. Si deve
ora attendere l’approvazione da parte della Commissione affari costituzionali della Camera per trasformare questo provvedimento in
legge dello stato. Il voto al Senato segue di due giorni la delibera del
Consiglio dei ministri con cui, su proposta del ministro dell’Interno
Roberto Maroni, viene riconosciuta la personalità giuridica all’Esercito della salvezza e alla Prima Chiesa di Cristo scientista di Aosta; vengono anche approvati gli statuti della comunità evangelica di confessione elvetica e dell’Istituto buddhista Soka Gakkai.
Visita ufficiale del CEC in Terra santa. Dal 7 al 14, una delegazione del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) compie una visita ufficiale in Terra santa, che fa parte del programma «Living Letters» del decennio della lotta contro la violenza nel mondo. In vista
della convocazione dell’Assemblea su questo tema nel 2011 in Giamaica, il CEC vuole confermare l’impegno dei cristiani per la pace,
come dimostra anche l’opera di Accompagnamento ecumenico in
Palestina e Israele (EAPPI) del Consiglio ecumenico delle Chiese, che
mira a favorire la cooperazione di israeliani e palestinesi per mettere
fine alla guerra e all’occupazione militare della Palestina.
I cristiani dell’Irlanda del Nord uniti per la pace. L’11, a
Belfast, viene pubblicata una dichiarazione congiunta per la pace da
parte delle principali comunità cristiane irlandesi. La dichiarazione
viene sottoscritta da cattolici, anglicani, presbiteriani, metodisti e
battisti, che esprimono una comune condanna contro ogni tipo di
violenza che può far ripiombare l’Irlanda del Nord in uno stato di
guerra civile, che ha causato migliaia di morti. La dichiarazione era
stata preceduta, il 9 marzo, da una presa di posizione dei vescovi irlandesi che, riuniti in sessione plenaria, avevano condannato gli attacchi ai soldati inglesi; numerosi esponenti delle diverse confessioni cristiane avevano espresso singolarmente la loro condanna e la loro preoccupazione per i recenti episodi di violenza.
I rapporti fra gli ortodossi bulgari e l’Europa. L’11 e il 12,
a Sofia, si tiene un incontro tra i rappresentanti delle Chiese autocefale ortodosse per affrontare il tema dei rapporti tra la Chiesa ortodossa bulgara e le istituzioni europee. L’incontro è stato voluto dal
patriarca Maxime, dopo una serie di interventi del Consiglio d’Europa e della Corte europea dei diritti dell’uomo che hanno contestato
la legalità di alcune azioni del Patriarcato di Bulgaria nella soluzione
di un contenzioso tra comunità, con l’appoggio dello stato bulgaro
che avrebbe operato contro il principio della libertà religiosa. L’incontro si conclude con una dichiarazione in cui si afferma che l’unità
266
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
della Chiesa ortodossa bulgara e la canonicità del santo Sinodo e del
patriarca sono un dato irrinunciabile da un punto di vista canonico e
panortodosso, così com’è stato affermato nel cosiddetto scisma del
1992. Appare quindi priva di fondamento l’accusa di un intervento
dello stato bulgaro nella vita della Chiesa ortodossa.
Benedetto XVI e il dialogo ebraico-cristiano. Il 12, a Roma, Benedetto XVI riceve in udienza una delegazione del Gran Rabbinato d’Israele e la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Cf. in questo numero a p. 233.
Il nuovo segretario generale del CLAI. Dal 19 al 22, a Lima,
si riunisce il Consiglio direttivo del Consiglio latinoamericano delle
Chiese (CLAI) che elegge il nuovo segretario generale: il pastore luterano brasiliano Nilton Giese. Il pastore Giese, che ricopre già la carica di direttore del Dipartimento delle comunicazioni del CLAI e di
segretario generale ad interim dal 2008, rimarrà in carica nel quadriennio 2009-2013 per completare l’opera della creazione di strutture per il dialogo ecumenico a livello locale in grado d’interagire con
le iniziative del CLAI.
Un impegno ecumenico per i dalit. Dal 20 al 24, a Bangkok
(Thailandia), si tiene la «Conferenza ecumenica internazionale sulla
giustizia per i dalit», organizzata dal Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) e dalla Federazione luterana mondiale (FLM), e ospitata dalla Conferenza cristiana dell’Asia per la lotta contro la discriminazione della quale sono vittima i circa 250 milioni di dalit (fuori casta),
che vivono in Asia meridionale. L’incontro si è svolto con un mese di
anticipo sulla Conferenza dell’ONU sul razzismo di Ginevra per «attirare l’attenzione su una questione che la comunità internazionale
non ha fino a oggi considerato con la dovuta serietà e il dovuto impegno».
Incontro sulla teologia nella vita delle Chiese luterane. Dal 25 al 31, ad Augusta, si svolge un incontro internazionale su
«Teologia nella vita delle Chiese luterane. Prospettive di trasformazione e pratiche quotidiane». Promosso dal Dipartimento per la teologia della Federazione luterana mondiale (FLM) e in collaborazione
con l’Istituto di teologia protestante della locale università, vede la
partecipazione di oltre 120 pastori e studiosi da tutto il mondo luterano. Durante i lavori si afferma la necessità di affrontare il tema in
un’ottica ecumenica, soprattutto alla luce del dialogo con la Chiesa
cattolica romana, con la quale si hanno molti punti in comune, al di
là delle divergenze locali e attuali.
Un centro per il dialogo a Cagliari. Il 26, a Cagliari, s’inaugura il Centro culturale Martin Luther King, che nasce dalla collaborazione delle comunità avventista, battista e luterana di Cagliari per
rafforzare il dialogo ecumenico a livello locale e per promuovere un
confronto tra le tradizioni cristiane e la società.
Studi sulla Bibbia e i testi sacri delle religioni. Il 26, a
Venezia, si tiene una giornata di studi su «La Bibbia e i testi sacri delle religioni», organizzata dall’Istituto di studi ecumenici San Bernardino. Aprono la giornata due relazioni: una sul rapporto tra i testi sacri
(in particolare la Bibbia e il Corano) e il dialogo interreligioso e l’altra
sulle dinamiche missionarie dei testi sacri, alla luce del recente Sinodo dei vescovi; segue una tavola rotonda in cui vengono presentati i
contributi dei testi sacri dell’ebraismo, dell’islam e dell’induismo in
relazione al dialogo interreligioso.
Riccardo Burigana
a
agenda vaticana
MARZO
Benedetto in Campidoglio. Il 9 marzo Benedetto XVI fa visita al Consiglio comunale di Roma in Campidoglio, come già Giovanni Paolo II nel 1998 e Paolo VI nel 1966. «Vivendo a Roma da tantissimi anni, ormai sono diventato un po’ romano», dice il papa, che
richiama alle «radici civili e cristiane di Roma» e ammonisce a non
perseguire un umanesimo «svincolato da Dio».
Lettera del papa sui lefebvriani. Il 12 marzo il papa scrive
ai vescovi in merito alla revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani: spiega che cosa intendeva fare, prende atto degli sconquassi che
ne sono seguiti, riconosce che ci sono stati «sbagli» nella gestione
dell’iniziativa, enuncia una decisione di rilievo sulla conduzione del
rapporto con la Fraternità (il ruolo guida della Congregazione per la
dottrina della fede, che comporta il coinvolgimento della curia romana e degli episcopati). Si sfoga per l’intolleranza di chi l’ha attaccato, ringrazia gli ebrei per averlo capito meglio di una parte dei cattolici, rimprovera la «saccenteria» dei lefebvriani e quella di alcuni
che si pongono a «grandi» difensori del Concilio. Cf. Regno-att.
6,2009,145 e Regno-doc. 7,2009,193.
Aborto su bimba brasiliana. «Dalla parte della bambina brasiliana» è intitolato un articolo dell’arcivescovo Rino Fisichella, presidente dell’Accademia per la vita, pubblicato da L’Osservatore romano il 15 marzo: «Carmen doveva essere in primo luogo difesa, abbracciata, accarezzata con dolcezza per farle sentire che eravamo tutti
con lei; tutti, senza distinzione alcuna. Prima di pensare alla scomunica era necessario e urgente salvaguardare la sua vita innocente e
riportarla a un livello di umanità di cui noi uomini di Chiesa dovremmo essere esperti annunciatori e maestri. Così non è stato e,
purtroppo, ne risente la credibilità del nostro insegnamento che
appare agli occhi di tanti come insensibile, incomprensibile e privo
di misericordia». La diocesi di Olinda e Recife, che aveva notificato
la scomunica a carico della bambina, dei familiari e dei medici rivendica il 16 marzo la giustezza del proprio operato richiamandosi al Codice di diritto canonico. Cf. in questo numero a p. 242.
Anno sacerdotale. Il 16 marzo viene annunciata l’indizione –
in occasione del 150° della morte del Curato d’Ars – di un «anno sacerdotale» che avrà come tema «Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote» e si svolgerà dal 19 giugno 2009 (solennità del Sacratissimo
cuore di Gesù e Giornata di santificazione sacerdotale) al 19 giugno
2010. L’anno terminerà con un incontro mondiale sacerdotale in piazza San Pietro e vedrà la proclamazione di san Giovanni M. Vianney a
patrono di tutti i sacerdoti del mondo.
Africa. Dal 17 al 23 marzo il papa è in Camerun e Angola, primo
suo viaggio in Africa motivato dalla consegna – il 19 a Yaoundé – all’episcopato continentale dell’Instrumentum laboris per la II Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi, che si farà a Roma il
prossimo ottobre. Cf. voci seguenti, in questo numero a p. 235; cf.
Regno-doc. 7,2009,197ss.
Solitudine del papa. «Devo dire che mi viene un po’ da ridere su questo mito della mia solitudine: in nessun modo mi sento solo. Ogni giorno ricevo nelle visite di tabella i collaboratori più stretti
(…); vedo poi tutti i capi dicastero regolarmente, ogni giorno ricevo
vescovi in visita ad limina. Abbiamo avuto due plenarie in questi giorni, una della Congregazione per il culto divino e l’altra della Congre-
gazione per il clero, e poi colloqui amichevoli; una rete di amicizia (…).
Allora, dunque, la solitudine non è un problema, sono realmente circondato da amici in una splendida collaborazione con vescovi, con
collaboratori, con laici e sono grato per questo»: così il papa parla ai
giornalisti sull’aereo che lo porta in Camerun il 17 marzo.
Profilattico in Africa. Una frase del papa sul «profilattico»
durante la conversazione del 17 marzo in aereo con i giornalisti (vedi voce precedente), provoca grandi polemiche mediatiche e politiche. Benedetto risponde così a una domanda del giornalista Philippe Visseyrias di France 2 («La posizione della Chiesa cattolica sul
modo di lottare contro l’AIDS viene spesso considerata non realistica e non efficace»): «Io direi il contrario: penso che la realtà più
efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’AIDS sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse
realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l’AIDS, ai camilliani, a
tutte le suore che sono a disposizione dei malati. Direi che non si
può superare questo problema dell’AIDS solo con slogan pubblicitari. Se non c’è l’anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di profilattici: al contrario, il
rischio è di aumentare il problema. La soluzione può trovarsi solo
in un duplice impegno: il primo, un’umanizzazione della sessualità,
cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro; e il secondo, una vera amicizia
anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, a stare con i sofferenti (...).
Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e
così offre un contributo grandissimo e importante. Ringraziamo
tutti coloro che lo fanno» (Regno-doc. 7,2009,199).
Lombardi su profilattico. In risposta alle polemiche seguite
alla frase del papa sui «profilattici» (vedi voce precedente), alle quali
partecipavano anche i governi di Germania e Francia e l’Unione Europea, rivendicando l’utilità e la necessità del preservativo, il portavoce vaticano il 18 marzo dichiarava: «Il santo padre ha ribadito le posizioni della Chiesa cattolica e le linee essenziali del suo impegno nel
combattere il terribile flagello dell’AIDS: primo, con l’educazione alla
responsabilità delle persone nell’uso della sessualità e con il riaffermare il ruolo essenziale del matrimonio e della famiglia; due: con la
ricerca e l’applicazione delle cure efficaci dell’AIDS e nel metterle a
disposizione del più ampio numero di malati attraverso molte iniziative e istituzioni sanitarie; tre: con l’assistenza umana e spirituale dei
malati di AIDS come di tutti i sofferenti, che da sempre sono nel
cuore della Chiesa. Queste sono le direzioni in cui la Chiesa concentra il suo impegno, non ritenendo che puntare essenzialmente
sulla più ampia diffusione di preservativi sia in realtà la via migliore,
più lungimirante ed efficace per contrastare il flagello dell’AIDS e
tutelare la vita umana».
Legionari di Cristo. «Il papa ha deciso di realizzare, per mezzo di un’équipe di prelati, una visita apostolica alle istituzioni dei Legionari di Cristo»: così il cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone in una lettera a p. Alvaro Corcuera, direttore generale della Legione, datata 10 marzo e pubblicata il 31 marzo. La decisione segue l’accertamento – con un’indagine interna alla Legione – del fatto che il
fondatore Marcial Maciel Degollado, già accusato in vita di abusi sessuali da parte di suoi giovanissimi alunni, ebbe una figlia che oggi sarebbe «tra i venti e i trent’anni». Cf. Regno-att. 4,2009,92 e in questo
numero a p. 241.
Luigi Accattoli
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
267
S
studio del mese
Bibbia CEI,
la nuova
revisione
Una Scrittura
da vivere
L’ingente sforzo che la Chiesa italiana ha
dedicato al rinnovamento della traduzione
della Bibbia nella nostra lingua a partire dal
1988 è stato affrontato per dotare la comunità
ecclesiale e più in generale la cultura italiana di
un testo affidabile e bello da proclamare,
pregare, studiare e meditare. Da oggi questa è la
forma della parola di Dio per la nostra Chiesa,
con tutte le implicazioni teologiche, storiche,
liturgiche e pastorali che ciò comporta.
Il composito dossier che dedichiamo alla nuova
Bibbia CEI richiama i criteri cui la revisione
si è ispirata (L. Mazzinghi), le prospettive che
schiude in ambito liturgico (G. Cavagnoli), il
compito che affida all’inesauribile mandato
dell’evangelizzazione (G. Benzi). Il rimando
iconografico alla Bibbia di Gerusalemme,
spiegato nei suoi fondamenti estetici da T.
Verdon, richiama l’importanza della relazione
tra arte e Bibbia nella pastorale.
268
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
L
a nuova revisione della traduzione CEI
delle Scritture, che da poco è stata pubblicata, è un tema che può essere da me
trattato per esperienza diretta, dal momento che vi ho lavorato per cinque anni, facendo parte della commissione per
l’Antico Testamento. Non si può e non
si deve parlare di una nuova traduzione
della Bibbia ma, appunto, di una revisione della Bibbia
CEI del 1974, anche se si è trattato di una revisione
davvero molto ampia.
Non entrerò in argomenti di carattere divulgativo o
di facile richiamo pubblicitario, quelli di cui si è discusso con maggiore frequenza sui giornali, come ad esempio la traduzione del Padre nostro, né mi fermerò a cercare qualche testo biblico che avrebbe subito revisioni
radicali e persino distorsioni. È facile consultare su Internet come le reazioni a questa nuova revisione siano
state le più disparate; c’è chi ha accusato i traduttori di
poco coraggio e di scelte non innovative; altri siti, invece – che fanno spesso capo a istituzioni non cattoliche
– colgono l’occasione per violenti attacchi alla Bibbia
CEI; esistono anche siti cattolici nei quali la nuova revisione è difesa con forza. Ma non entriamo all’interno
di polemiche che non ci condurrebbero da alcuna parte; rimaniamo legati a osservazioni che siano il più
obiettive possibili.
Un’osservazione preliminare: nella Chiesa cattolica
italiana si è in realtà parlato molto poco di questa revisione della Bibbia; tanti preti impegnati nelle parrocchie italiane sembrano ancora non saperne molto. Non
c’è stata una sufficiente campagna di promozione; e alcuni errori contenuti nei lezionari festivi hanno peggiorato la situazione. Molti fedeli non si sono neppure accorti che dall’Avvento del 2007 stiamo utilizzando questa nuova versione.
Per entrare in argomento, occorre ricordare prima
di tutto che ogni traduzione è di per sé limitata: la traduzione perfetta non esiste e non esisterà mai. E, d’altra parte, bisogna pur tradurre. Inoltre, come ho già osservato, questa non è una nuova traduzione, bensì la
revisione di una già esistente: ciò significa che essa si
porta dietro i pregi e i difetti della traduzione precedente, i quali non possono essere del tutto eliminati.
Nasce a questo punto una domanda quasi ovvia:
perché i vescovi italiani non hanno deciso di fare una
nuova traduzione? La questione è legittima; la CEI
non ha voluto impegnarsi in un lavoro troppo grande;
già nel 1988 ci si è resi tuttavia conto che la traduzione
CEI del 1974 (la prima edizione era in realtà del 1971)
presentava diverse inadeguatezze. E, in effetti, in molti
casi la Bibbia CEI si presentava come frutto di un lavoro un po’ affrettato, con veri e propri errori, con uno
stile non sempre scorrevole e comprensibile. Ma i vescovi hanno ritenuto che la vecchia CEI potesse ancora offrire una base solida su cui lavorare; e da qui siamo dunque partiti.
L’iter della revisione è stato piuttosto lungo: per il
Nuovo Testamento, il lavoro era già in stato avanzato
nel 1997; per l’Antico Testamento si è iniziato un po’
più tardi, concludendo il lavoro di revisione soltanto
nel 2001. Dal 2001 sino al 2007 la traduzione è rimasta ferma in Vaticano, presso la Congregazione per il
culto divino; va ricordato al riguardo che proprio nel
2001 fu pubblicato il documento Liturgiam authenticam, contenente norme precise nel campo delle traduzioni bibliche e sul quale ritorneremo; sulla scia del documento, la Santa Sede ha richiesto una recognitio che
è durata molto tempo. L’iter ufficiale della nuova revisione è ben descritto nell’introduzione scritta da mons.
G. Betori nell’editio maior della nuova revisione.1 In tale introduzione è possibile anche trovare l’elenco dettagliato dei revisori, i tempi e i modi del nostro lavoro e
della revisione successiva all’approvazione del lavoro
stesso.
A mio parere, si è trattato di un lavoro molto serio
e assolutamente libero, tanto libero da consentire sempre un vivace confronto di opinioni, con discussioni
franche e aperte, un modo di procedere tale da stroncare ogni illazione e ogni polemica su un’improbabile
«traduzione pilotata».
U n a t rad u z i o n e fe d e le
e un linguaggio comunicativo
Quali sono i criteri che sono stati seguiti in questa
revisione, e che la CEI ci aveva richiesto sin dall’inizio
del nostro lavoro?
Il primo criterio è stato quello della fedeltà ai testi
originali, utilizzando le migliori edizioni critiche oggi
disponibili, secondo i principi classici dell’esegesi e della critica testuale. Su questa base è stata richiesta la
correzione degli eventuali errori della vecchia traduzione. Rientra in questo campo anche il tema della ricerca di una certa omogeneità del lessico; ovvero, si è
cercato di tradurre possibilmente nello stesso modo la
stessa parola ebraica o greca presente negli stessi contesti, mentre la precedente versione non faceva sempre
così.
Un esempio interessante è quello della traduzione
del termine ebraico hòesed, un vocabolo davvero difficile da tradurre, a meno che non ci si serva di un’espressione composta come «amore benevolente», oppure «amore fedele». La vecchia CEI traduceva hòesed
con: «amore», «misericordia», «grazia», «fedeltà»,
«benevolenza»… senza un criterio riconoscibile. Si è
quindi cercato di uniformare il più possibile la traduzione, scegliendo come campo semantico quello più
appropriato e limitato di «amore» e «fedeltà», a seconda dei contesti. Questo è avvenuto riservando il senso
di «misericordia» piuttosto al termine ebraico rahòamim: ad esempio, l’inizio del Salmo 51 è diventato, nella nuova revisione, «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore,
nella tua misericordia cancella la mia iniquità», dove
con «amore» si traduce hòesed, mentre con «misericordia» si traduce rahòamim. Sono tuttavia rimaste alcune
incongruenze, come la presenza di «misericordia» per
hòesed in alcuni testi (cf. Sal 130,7).
Il secondo criterio è stato, dove possibile, di curare
l’estetica della traduzione, un particolare che in precedenza era stato un po’ trascurato, così da creare a vol-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
269
tudio del mese
S
te vere e proprie cacofonie, testi poeticamente non belli o con parole desuete in italiano. Si tratta di un problema difficile da risolvere, perché se si vuole ricercare
a tutti i costi l’eufonia del testo si finisce spesso per sacrificare la fedeltà all’originale; all’opposto, se si cerca
la «traduzione perfetta», quasi una sorta di calco dell’originale, si finisce per sacrificare l’agilità e la comprensibilità del testo. Non dimentichiamo che ci troviamo di fronte a una traduzione «liturgica», ovvero nata
per essere proclamata ad alta voce.
Proprio questo aspetto ci conduce al terzo criterio: il
testo dev’essere fruibile per la proclamazione liturgica.
Inoltre, tale traduzione dev’essere cantabile almeno
nelle sue parti poetiche utilizzate nella liturgia (i Salmi,
in primo luogo); non si può pensare infatti di offrire al
popolo di Dio un salterio che poi non possa essere cantato. Per la Chiesa è ben chiaro che il luogo privilegiato della lettura biblica è la liturgia. Proprio molti anni
di uso liturgico hanno messo in luce i problemi della
precedente traduzione CEI; molte volte il lettore stesso
che la proclamava la trovava ostica. Notiamo ancora al
riguardo che ciò che manca in Italia è in realtà l’abitudine e l’educazione a comprendere il linguaggio biblico; è pur vero che alcune espressioni sono ormai entrate nell’uso, per cui i vescovi non hanno ritenuto opportuno – a torto o ragione – di modificarle.
Un esempio classico di questo genere di problemi è
la celebre espressione «il Verbo si è fatto carne» (Gv
1,14): «verbo» è un evidente latinismo che certamente
stona nell’italiano di oggi; i vescovi hanno ritenuto tuttavia che il termine, usato in senso teologico, fosse ormai entrato nella comprensione comune dei fedeli e
hanno scartato la proposta di tradurre logos con «Parola» (cf. invece la traduzione interconfessionale in lingua
corrente, nota come TILC). La stessa cosa si può dire
del permanere dell’espressione «Paraclito» a proposito
dello Spirito (Gv 14,16) e dell’espressione «Signore /
Dio degli eserciti», rimasta anch’essa inalterata, là dove l’ebraico sòevaot indica le «schiere» celesti, gli angeli, gli astri o le forze cosmiche, non certo gli eserciti terreni; qualcuno aveva suggerito di tradurre con «Signore / Dio delle schiere»; altri avevano invece pensato,
come avviene nel Sanctus della liturgia, di usare l’espressione «Signore / Dio dell’universo», oppure a
quella già usata dai Settanta, theos pantokrator, «Dio
onnipotente». Un esempio un po’ diverso è stato l’uso
della parola italiana «genti» per tradurre l’ebraico
goyyim, oppure il greco ethne; benché molti di noi avessero proposto termini più «italiani» e forse anche più
fedeli al senso del vocabolo originale, come «nazioni»
o, in alcuni contesti, «pagani», i vescovi hanno ritenuto opportuno di non togliere il termine «genti».
La N ova Vulga t a e alc u n e sce l te i n n ovat i ve
Il quarto criterio è risultato il più difficile da applicare e ha talora messo in crisi le commissioni dei revisori. Nel 1986 è stata pubblicata per volontà di Giovanni
Paolo II la Nova Vulgata (anche se in realtà il lavoro
era già iniziato ben prima con Paolo VI), ovvero l’edizione tipica della Bibbia latina per l’uso liturgico, edi-
270
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
zione che si presenta come una profonda revisione della classica Vulgata di san Girolamo. Questa Bibbia è
diventata tipica per l’uso liturgico, dove «tipica» va inteso nel senso che è il testo di riferimento per la liturgia
di rito latino. L’istruzione vaticana del 2001, Liturgiam
authenticam, a lavoro di revisione ormai quasi finito, ci
ha chiesto di usare il criterio della conformità alla Nova Vulgata anche per le traduzioni in lingua volgare.
Mi permetto di osservare che il documento vaticano è
al riguardo contraddittorio, perché se da una parte
chiede di tenere la Nova Vulgata come punto di riferimento per i traduttori, specialmente per quanto riguarda le scelte testuali, dall’altra chiede altresì una traduzione dai testi originali che sia fedele ai canoni usuali
della critica testuale e dell’esegesi; le due cose non sempre vanno insieme. I revisori si sono così spesso trovati
tra Scilla e Cariddi; siamo tuttavia riusciti quasi sempre
a trovare una via media che ci permettesse di utilizzare iuxta modum la Nova Vulgata.
Proprio quest’ultimo criterio ci ha condotto a un
paio di scelte molto importanti: nel primo caso si è trattato di una scelta molto innovativa, nell’altro non lo è
stata del tutto. Si tratta dei casi di Ben Sira e di Ester.
Il libro di Ben Sira (Siracide), com’è noto, è conosciuto in varie forme testuali; pressoché tutte le traduzioni moderne partono dal testo greco, giunto a noi in
due forme testuali (breve e lunga), dal momento che
l’ebraico è frammentario e non permette una ricostruzione dell’intero libro; e in ogni caso anche l’ebraico
esiste in due diverse forme testuali; esistono anche la
versione latina e siriaca. La Nova Vulgata segue un criterio eclettico, scegliendo non di rado lezioni non pienamente suffragate da una seria critica testuale. La revisione della Bibbia CEI del 1974 ha seguito un criterio diverso; l’edizione del 1974 traduceva sostanzialmente il testo greco corto, ritenuto il più autorevole; la
nuova revisione aggiunge in corsivo, nel corpo del testo, le aggiunte presenti nel testo greco lungo, secondo
l’edizione di J. Ziegler, ovvero il testo utilizzato nella liturgia. Nelle note vengono segnalate le differenze con
l’ebraico, là dove presente, e i passi in cui ci si distacca
dalle scelte della Nova Vulgata. Si tratta di una scelta
tutto sommato innovativa, che si allinea tuttavia all’uso
liturgico antico di questo libro (che, ricordiamo, appartiene ai cosiddetti «deuterocanonici»). A questo proposito, va menzionata la nota editoriale che la revisione
CEI prepone alla traduzione di Ben Sira.
La scelta di Ester è forse meno nuova, ma altrettanto radicale. Girolamo, nella Vulgata, traduce il testo
ebraico, in nome della hebraica veritas; ma aggiunge alla sua traduzione sei ampie sezioni del testo assenti dall’ebraico, presenti però nel testo greco (che la Chiesa
cattolica considera canoniche, contrariamente all’ebraismo e alle Chiese della Riforma). Il libro di Ester fu
accolto in questa forma fino al Vaticano II. La vecchia
CEI traduceva l’ebraico, aggiungendo dove necessario
le sei sezioni già tradotte da Girolamo, ma perdendo
così l’omogeneità del testo e facendo nascere molte incoerenze. Siccome è convinzione della Chiesa che entrambe le forme testuali, ebraica e greca, siano da con-
Giobbe.
siderarsi canoniche, la revisione ha scelto di tradurle
entrambe integralmente. Così nella pagina di destra
viene tradotto il testo greco, più lungo, in versione integrale e in posizione principale a causa della sua preminenza nella liturgia; nella pagina di sinistra viene
tradotto il testo ebraico, più breve. In nota vengono segnalate le differenze con la Nova Vulgata (cf. per tutto
questo la nota editoriale preposta alla traduzione di
Ester nella nuova Bibbia CEI).
Osservo infine che queste scelte sono state spesso
sofferte e discusse; ricordo, per quanto riguarda Ben
Sira, un sapientissimo intervento del card. C.M. Martini (com’è noto, già rettore del Pontificio istituto biblico, dove insegnava proprio la critica testuale); si tratta
di scelte che tuttavia costringeranno la Chiesa a una
seria riflessione intorno al canone (cf. la presenza, in
questa revisione, di due diverse forme del libro di
Ester, uno secondo il testo masoretico e l’altro secondo
i Settanta, da considerarsi evidentemente entrambe
canoniche).
Una comprensione mai definitiva
Possiamo passare adesso a qualche rapido esempio
di correzioni di scelte testuali della vecchia CEI, esempi che prendo dai Salmi, dei quali in particolare mi sono occupato.
Il salmo 65,2 nella versione del 1974 aveva: «A te
si deve lode o Dio, in Sion», che però traduce in realtà
il testo greco e latino; il testo ebraico, invece, contiene
il termine dumiyya che indica piuttosto il «silenzio».
La traduzione forse migliore è dunque quella della
nuova Bibbia CEI: «per te (lekhâ) il silenzio è lode, o
Dio in Sion», che è poi la traduzione di Girolamo nella sua Iuxta hebraicam versionem: tibi silens laus Deus
in Sion. Questo significa che Girolamo aveva colto in
dumiyya il valore di «silenzio», e non quello di un verbo che significa «si addice» (domiyya), letto probabilmente così dai Settanta per una piccola differenza di
vocalizzazione.
Un altro esempio di scelta testuale migliore è il testo di Sal 74,19, che nella vecchia CEI era tradotto:
«Non abbandonare alle fiere la vita di chi ti loda».
Questo è piuttosto il testo greco che presuppone l’ebraico todekha, ovvero «chi ti loda», mentre il testo masoretico ha piuttosto torekha, ovvero la «tua tortora».
La nuova CEI ha così offerto una frase senz’altro più
bella e fedele al testo masoretico: «non abbandonare ai
rapaci la vita della tua tortora», dove la tortora è qui lo
stesso fedele che si sta rivolgendo a Dio per chiedergli
la salvezza da ogni pericolo.
Un terzo esempio è il Salmo 8, che nel suo complesso è stato molto discusso. Nella vecchia CEI si leggeva
all’inizio del Salmo: «O Signore nostro Dio, quanto è
grande il tuo nome su tutta la terra», mentre il testo
ebraico recita Adonai Adonenû, mah addîr… Prima di
tutto, l’espressione Adonai Adonenu non va tradotta
con «Signore nostro Dio», ma, in modo senz’altro più
fedele, con «Signore, Signore nostro»; poi, addîr è un
vocabolo che significa piuttosto «terribile», oppure
«mirabile». La traduzione della nuova CEI è adesso:
«O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo
nome su tutta la terra», che rappresenta senz’altro un
miglioramento e una maggior fedeltà al testo ebraico.
Al v. 5 di questo stesso salmo la vecchia CEI aveva:
«l’hai fatto poco meno degli angeli», che è tuttavia il testo dei Settanta; il testo ebraico ha invece «di elohim».
Qui, come si vede, il problema è notevole, perché bisogna capire se con questo termine, elohim, si intenda
Dio («l’hai fatto poco meno di Dio»), oppure gli esseri
divini, ovvero quei membri della corte celeste di cui
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
271
tudio del mese
S
272
parla ad esempio l’inizio del libro di Giobbe. La traduzione, in questo caso, diventa anche un problema di
esegesi: il termine «angeli» rappresenta così un’interpretazione del testo alla luce di una teologia forse posteriore; Girolamo, ancora nella sua Iuxta hebraicam
versionem, aveva paulo minus a deo, «poco meno di un
dio (o “di Dio”)»; la Nova Vulgata sceglie invece di tradurre ancora con «angeli».
Inizialmente si era proposto di correggere la vecchia CEI in «l’hai fatto poco meno di Dio», ma nella
nuova versione è stato poi scelto «l’hai fatto poco meno di un dio». In realtà, in questo modo non si comprende bene a che cosa il testo si riferisca, se si prescinde da un contesto politeista nel quale noi ci troviamo;
se si pensa al racconto di Gen 1,26, forse «poco meno
di Dio» era una scelta migliore; altrimenti, si poteva
tradurre con «poco meno di un essere divino», pensando così a quei membri della corte celeste nella quale
credeva l’antico Israele (quegli esseri che in seguito diventeranno appunto gli angeli). Questo è dunque uno
dei casi in cui la nuova revisione non ha risolto del tutto il problema, pur avendolo affrontato e avendo compiuto comunque una scelta con un certo coraggio.
Il Nuovo Testamento ha creato problemi spesso diversi rispetto all’Antico: una minor quantità di problemi testuali, senza dubbio. Nella nuova CEI sono state
affrontate, anche nel caso del Nuovo Testamento, le
inesattezze della precedente traduzione, le incongruenze e le mancate conformità con i passi paralleli dei
Vangeli sinottici.
Non tutte le difficoltà sono ancora pienamente risolte. Per esempio, nel Nuovo Testamento compare per
cinque volte il termine greco episkopos: una volta a proposito di Gesù, quattro volte a proposito di un ministero ecclesiale tipico della Chiesa delle origini: in Atti
20,28; Filippesi 1,1; 1Timoteo 3,1-2. In realtà, la parola greca episkopos, se vogliamo tradurla in maniera letterale, indica di per sé un «sorvegliante», un «ispettore», un «sovrintendente»; tuttavia, nel Nuovo Testamento, essa indica senza alcun dubbio un ministero ecclesiale di grande responsabilità nei confronti della comunità, comunque si concepisca poi la funzione di episkopos nelle diverse confessioni cristiane oggi.
La tradizione cristiana antica, la Chiesa cattolica, le
Chiese ortodosse e anche la Chiesa anglicana continuano a usare tale termine in senso tecnico, riferendo
così il neotestamentario episkopos a un ministero ordinato, quello episcopale appunto, che per queste Chiese
riveste, anche se in modi diversi, un carattere sacramentale.
D’altra parte, è pur vero che, nelle comunità paoline, gli episkopoi non erano ancora i vescovi così come li
concepiamo oggi nella Chiesa cattolica. E tuttavia una
traduzione di episkopos con «ispettore» o «sorvegliante», se pur potrebbe far credere di rispettare il senso del
termine greco, non aiuta certo a capire il ruolo ecclesiale che queste figure comunque ricoprivano. Non a
caso la traduzione con «sorvegliante» è stata scelta dalla versione della Bibbia usata dai Testimoni di Geova,
in aperta polemica con le altre Chiese cristiane.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
La traduzione biblica della Nuova riveduta, che pure è espressione di un contesto riformato italiano nel
quale non è accolta la figura del vescovo (almeno come
lo intendono la tradizione cattolica e ortodossa), rende
anch’essa il termine episkopos con «vescovo»; così facevano già le grandi traduzioni della Riforma, la King James e la traduzione tedesca di Lutero. Questo significa
che il traduttore deve comunque tenere in considerazione la storia di un vocabolo; se tradurre episkopos con
«vescovo» è forse discutibile sulla base del senso letterale del vocabolo greco, ci troviamo di fronte a una traduzione certamente ben comprensibile per il lettore
cristiano attuale: si tratta di un ministero ecclesiale che
sta all’origine, comunque si voglia tracciare tale origine, dei vescovi noti a molte Chiese cristiane. E tuttavia,
la nuova CEI, in Atti 20,28, nel contesto del discorso di
Paolo agli anziani di Efeso, traduce episkopoi con «custodi», mentre usa il termine «vescovo» negli altri tre
casi. Anche in 1Pt 2,25 Gesù, che il testo greco chiama
episkopos, diviene nella nuova CEI il «custode». Segno
che il problema non è del tutto risolto.
Un interessante esempio di un problema invece a
mio parere ben risolto è rappresentato da Giovanni
1,38, dove leggiamo che Gesù si volta e vede i discepoli che lo seguono e gli chiedono «pou meneis?», espressione che la vecchia CEI traduceva in modo banale:
«dove abiti?». Ora Giovanni è sempre molto attento
alla scelta dei verbi: meno è in Giovanni un verbo usato in senso teologico, che indica il «dimorare» di Gesù
nel Padre, il «dimorare» dello Spirito nei discepoli. Per
questa ragione, nella nuova CEI si è scelto di tradurlo
con «dove dimori?», utilizzando un vocabolo tipico di
un linguaggio più elevato, ma che fa subito pensare
che qui non si tratti del banale «dove abiti?». Infatti
Giovanni intende alludere alla vera dimora di Gesù,
che è poi uno dei temi di fondo di tutto il suo Vangelo, la domanda posta a Gesù da Pilato: «Di dove sei?»
(Gv 19,9). In italiano il «dimorare» è senz’altro meno
ovvio dell’«abitare», ma proprio per questa ragione tale verbo è stato scelto. I discepoli non se ne rendono
ancora conto, ma stanno ponendo la domanda fondamentale; essi ancora non sanno la risposta, ma la conosce invece l’evangelista Giovanni e la comincia a intuire il lettore.
In questa prospettiva, va collocato anche il recupero del termine hodos dal testo degli Atti degli apostoli
(cf. 9,2; 16,17; 18,25-26 ecc.), che va tradotto nel suo
senso proprio di «via», mentre nella vecchia CEI era
tradotto come «dottrina». Sappiamo che, negli Atti,
la fede cristiana è chiamata «la via», e i suoi adepti
venivano chiamati «i seguaci della via» In tal senso il
tradurre hodos come «dottrina» implica uno slittamento del testo verso una visione concettualistica e
appunto dottrinale del cristianesimo. In Atti 22,4,
quando Paolo si difende davanti al popolo di Gerusalemme che lo vuole uccidere, dice: «Io perseguitai a
morte questa Via», termine scritto nella nuova CEI
con la V maiuscola per aiutare il lettore a capire che
non si tratta di una via qualsiasi, ma del percorso della fede cristiana.
Gesù e la Samaritana.
Un testo da poter leggere e proclamare
Per concludere, un ultimo criterio che è stato tenuto presente nella traduzione del Nuovo Testamento è
quello della «leggibilità» del testo, problema che ha
messo a dura prova anche i traduttori dell’Antico Testamento; si è sempre costretti a sacrificare qualcosa, o
la fedeltà al testo o la chiarezza dello stile della traduzione.
Un esempio di un problema di traduzione che non
si è riusciti a risolvere in modo soddisfacente è quello
del Salmo 23,4: «il tuo bastone e il tuo vincastro». Il
termine «vincastro» è di per sé corretto, perché sta ad
indicare il bastone terminante con una sorta di ricciolo con il quale il pastore acchiappa le sue pecore (il
«pastorale» dei vescovi!). Con «bastone» si intende invece un bastone appuntito che serviva a difendere il
gregge dalle bestie feroci; bastone e vincastro sono perciò due immagini complementari; resta il fatto che
«vincastro» è termine realmente desueto nella lingua
italiana corrente e non certo d’immediata comprensione; qualcuno aveva proposto «il tuo bastone e la tua
guida», però il primo è un termine concreto («bastone»), mentre il secondo («guida») è un termine astratto; la scelta di «verga» ci è sembrata addirittura peggiore di «vincastro». Alla fine è così rimasto il vincastro e
non si è riusciti a trovare una parola italiana migliore.
Altro esempio di problema non risolto è il testo del
Salmo 56,9: «il tuo otre raccoglie le mie lacrime»; oltre
alla cacofonia rappresentata da «tuo otre», è certamente difficile comprendere a pieno la metafora dell’otre,
oggetto tipico del beduino. La sostituzione di «otre»
con «vaso», «recipiente», non ha convinto e l’otre è rimasto.
Caso contrario è quello del «bisso» presente nella
parabola del ricco epulone (Lc 16,19). Si è pensato che
oggi non si riuscisse più a comprendere che cosa fosse
il bisso e, siccome si tratta di una tela di lino finissima,
usata dai nobili, si è scelto di tradurre con «lino finissimo». E ancora nella stessa parabola: «il povero fu portato nel seno di Abramo» (v. 22); questa espressione
presente nella vecchia CEI era tecnicamente corretta,
ma ha dato luogo a un’accanita discussione, perché
qualcuno voleva lasciare intatto il semitismo «seno»
(kolpos) usato da Luca; alla fine è stato scelto di tradurre con «accanto ad Abramo», per favorire la comprensione del sintagma di chiara impronta semitica. Al v. 26
c’è ancora un caso interessante: «né di costì possono attraversare fino a noi»; la vecchia CEI era senz’altro
brutta e un po’ cacofonica; la nuova CEI legge invece:
«né di lì possono giungere fino a noi», che è senz’altro
un testo un po’ più sciolto e lineare.
Ho fatto soltanto alcuni esempi tra i tanti che si potevano fare; per concludere, per la nuova revisione della Bibbia CEI la vera prova dei fatti sarà in definitiva il
suo costante uso liturgico, affiancato dall’uso del testo
negli studi biblici, nella lettura e nella preghiera personale. Bisogna tener presente, poi, che questa non è certo una traduzione nata per l’uso degli esperti, dei filologi o dei cultori delle lingue semitiche; si tratta di una
traduzione pensata in primo luogo per l’uso liturgico e
pastorale; su questo terreno essa potrà rivelare i suoi limiti e insieme mostrare tutta la sua validità.
Luca Mazzinghi*
* Docente di sacra Scrittura alla Facoltà teologica dell’Italia
centrale (Firenze) e al Pontificio istituto biblico (Roma). Le riflessioni qui proposte sono la trascrizione della conferenza (rivista dall’autore) tenuta durante il corso di ebraico biblico organizzato dall’associazione Biblia (30.12.2008-5.1.2009).
1
Cf. anche Regno-att. 16,1996,468; 20,2007,657.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
273
tudio del mese
S
Bibbia CEI
Orizzonti
per la catechesi
C
ominciamo, senza che ci si spaventi, con
una citazione dotta. «Diletto figlio… in
mezzo a sì grande e sordido ammasso di
libri che fieramente combattono la cattolica religione e con sì grande danno e rovina dell’anime girano attorno per le mani
ancora delle persone non punto intendenti di tali materie, tu molto bene la pensi, se
giudichi essere necessaria cosa che i cristiani siano grandemente animati alla lettura de’ Libri divini (si Christi fideles ad lectionem divinarum Literarum magnopere excitandos existimas); imperrocché quelli sono i copiosissimi
fonti a’ quali debbe a ciascuno essere facile ed aperto l’accesso…». Queste parole, espresse con un linguaggio solenne e arcaico, appartengono al breve pontificio del 16
aprile 1778 a firma di papa Pio VI,1 con il quale veniva
approvata la traduzione della Bibbia da parte di mons.
Antonio Martini, la prima traduzione cattolica «moderna» in Italia (il Nuovo Testamento uscì nel 1771 e l’Antico Testamento nel 1781).
Largo acce sso al la Scrit tura
Tale Bibbia si distingueva per essere una traduzione
fedele della Vulgata con una particolare attenzione alla
lingua italiana, tale da farla annoverare tra i classici dell’Accademia della crusca. Certo dal breve di Pio VI fino
alla recente revisione della Bibbia CEI è stata fatta tanta
strada: se da un lato risulta un po’ curiosa la finalità «apologetica» che il breve attribuisce alla lettura della Bibbia in
italiano, colpisce tuttavia la nitida affermazione che tali
testi debbano essere accessibili a tutti (cuique, a ciascuno),
nonché l’esortazione che i fedeli siano grandemente animati (magnopere excitandos) a tale lettura. La strada perché fosse riconosciuta la necessità che «i fedeli abbiano
largo accesso alla sacra Scrittura» (Dei verbum, n. 22; EV
1/905) era comunque già segnata.
Non è dunque per erudizione che abbiamo aperto il
nostro contributo con la citazione di un documento così
lontano e dal linguaggio certamente obsoleto: esso ci aiuta a capire come la Chiesa abbia sempre sentito, con sollecitudine materna, il dovere d’introdurre i fedeli a una
conoscenza non solo generica della Scrittura. Tale conoscenza si è avvalsa di infinite mediazioni creative, cultura-
274
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
li, artistiche, e tuttavia rimane decisivo, di fronte a ogni restituzione della Scrittura in una lingua e in una cultura
nuova, rendersi conto appunto della necessità che ha la
Chiesa di ancorarsi saldamente al deposito delle Scritture
nella loro lingua originale e insieme di tradurle, cioè di
farle conoscere e amare in ogni generazione.2
Non è questo un atto solo di carattere intellettuale, è
molto di più: una comunità cristiana che «traduce» è una
comunità cristiana che vive, che celebra, che interpreta e
che tramanda con atto di amore le parole che attestano in
modo indefettibile come Dio «nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per
invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (Dei verbum,
n. 2; EV 1/873) e come questa verità risplenda nel Cristo,
nella sua vita e soprattutto nella sua passione, morte e risurrezione. La costituzione dogmatica Dei verbum del
concilio Vaticano II descrive questa azione insieme teologica e pastorale: «La Chiesa ha sempre venerato le divine
Scritture come ha fatto per il corpo stesso di Cristo, non
mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi
del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del
corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (Dei verbum, n. 21;
EV 1/904).
L’azione pastorale, fondata sull’atto di «tradurre» la
Parola, è dunque volta a garantire in primo luogo una
fruttuosa azione liturgica, in modo che i cristiani possano essere nutriti spiritualmente e insieme esprimere la
loro fede-speranza-carità in un atteggiamento orante e
adorante (cf. Sacrosanctum concilium, nn. 35-36). Come
nota acutamente Carlo Ghidelli, si configura qui un atto di traditio-redditio: la Parola trasmessa alla comunità
dei credenti è riconsegnata in una veste letteraria accessibile e insieme fedele. Appare così chiaramente che una
traduzione è anche un atto di evangelizzazione. Il Verbo
di Dio, che si è fatto carne (Gv 1,14), desidera incontrare ogni uomo, ogni persona, nella sua realtà concreta,
nel suo modo di vivere e di pensare, per «indicargli la via
della salvezza».3
Il Vangelo di Cristo convoca gli uomini perché come
«uditori della Parola» possano ascoltarlo ciascuno nella
propria lingua (cf. At 2,1-12; Lc 8,15; 11,28) e divenire così «facitori della Parola» (Gc 1,22) per poi trasformarsi in
«servitori della Parola» (Lc 1,2).4 Questo itinerario che segna l’azione della grazia nel cuore dei credenti esprime
anche la dimensione pedagogica della Chiesa, la quale,
con vera azione mediatrice, educa i credenti a leggere e/o
ascoltare la parola di Dio che suscita l’atto di fede e introduce al dono della salvezza, per esplicita volontà del Signore Gesù: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi
ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino
alla fine del mondo» (Mt 28,19-20).
U n s al u t a re r i n n ova m e n to
È in obbedienza a questo comando che la Chiesa si è
lungo i secoli impegnata nel catecumenato, nella catechesi e nella mistagogia. L’atto catechistico può essere così visto e pensato come un prolungamento dell’azione di «tradizione/traduzione» della Parola: seme gettato perché la
fede, sotto l’impulso della grazia, si sviluppi, cresca e fruttifichi nella santità.
Richiamati anche se in modo succinto questi capisaldi
teologico-pastorali, possiamo passare a una riflessione più
pratica sui testi che la Chiesa ci consegna ora nella revisione della Bibbia CEI e nei nuovi lezionari liturgici.
Chiunque si sia cimentato in una traduzione, sia che fosse una versione sui banchi di scuola, sia che fosse un manuale d’istruzioni per un sofisticato elettrodomestico, sa
bene che si tratta di un’arte che ha bisogno d’intuizioni
sottili e profonde, di una comprensione piena del testo e
del suo contesto e di una conoscenza dei destinatari ai
quali il testo va «tradotto», cioè «portato». Nessun calco,
nessun gioco di mera e semplicistica sostituzione dei termini correda una buona traduzione.
A questo va aggiunto che chi traduce deve darsi dei
criteri ben misurati e codificati. Dice Carlo Buzzetti che
«tradurre un testo scritto significa mutare la sua forma linguistica per prolungare la sua “esistenza”. Qui intendiamo la sua esistenza come il fatto che, primariamente, consiste nella sua capacità di comunicare dei messaggi»; insomma, un testo è ben tradotto quando è doppiamente fedele: alla sua fonte (fedeltà nella riproduzione) e ai suoi
destinatari (fedeltà nella comunicazione).5
Ogni traduzione è quindi anche una scommessa per la
comprensione; essa deve essere accolta non con l’occhio
indagatore di chi deve a tutti i costi coglierne i limiti, ma
con l’animo aperto e l’intelligenza lucida di chi sa valorizzare un dono ricevuto. Tanto più quando questo avviene
in un contesto dove una data narrazione, un dato testo biblico era ormai stato assunto con un processo di memorizzazione (certamente salutare ai fini della riflessione credente), vuoi per la ripetuta lettura, vuoi per il reiterato ritorno nella catechesi o nella predicazione. Ci sono nell’attuale revisione della Bibbia CEI varie mutazioni anche in
testi biblici molto conosciuti. Possiamo certo discutere il
valore delle scelte di traduzione (ovviamente trattando
con benevolenza coloro che le hanno attentamente proposte!), e tuttavia lo stacco, la differenza che si riproduce
in noi nella lettura con parole diverse del medesimo brano ha già un fortissimo valore che ci obbliga a un approfondimento, che è anche una formidabile occasione di
«ritorno» al messaggio del testo stesso.
Facciamo un esempio, diremmo il più ampiamente
conosciuto. Nell’annunciazione a Maria il saluto dell’angelo (Lc 1,28) è passato dal composto e un po’ sommesso
«Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» della
CEI 1974 all’esultante «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te» della CEI 2008. Il testo rivisto è certamente più vicino all’originale greco, che riecheggia tutta la
gioia messianica che troviamo in alcuni profeti (ad esempio Sof 3,14). Ma anche al di là delle opportune considerazioni di carattere scritturistico, il semplice confronto che
si produce nella mente del lettore/uditore apre la meditazione al tema della pienezza e della gioia insito in tutto il
contesto del brano e insieme prepara il motivo del turbamento di Maria che troviamo al v. 29, dove rileviamo un
altro importante mutamento.
La lavanda dei piedi.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
275
tudio del mese
S
Mentre infatti la versione CEI 1974, «A queste parole
ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto», porta l’ascoltatore a considerare il turbamento
di Maria come effetto della sorpresa, la revisione CEI
2008, «A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo», mostra
Maria concentrata proprio sul senso del saluto stesso, costringendo il lettore/uditore a fare lo stesso con la conseguente apertura a orizzonti catechistici assai interessanti.
Possiamo così considerare anche la domanda che pone Maria all’angelo (v. 34) dopo la rivelazione della sua
chiamata a essere la madre di Gesù, Figlio dell’Altissimo.
Nella CEI 1974 Maria dice: «Come è possibile? Non conosco uomo»; nella CEI 2008 viene recuperato il futuro
del verbo essere in greco e la congiunzione greca «epei» (=
poiché) che introduce una causa: «Come avverrà questo,
poiché non conosco uomo?». È chiaro che qui Maria non
esprime un dubbio sul fatto che «questo» avverrà opponendo una situazione biologica all’azione di Dio (così come aveva fatto Zaccaria al v. 18): Maria unicamente dichiara il suo stato verginale. Anche in questo caso, dal
semplice confronto dei due versetti possono scaturire molte considerazioni di carattere catechistico.
Tornare al le radici bibliche
Abbiamo sopra accennato a «criteri»6 ben determinati che hanno mosso gli autori della revisione CEI.
Qualche esempio ci aiuterà a comprendere la loro enunciazione.
Il primo criterio appare quasi ovvio, è quello della fedeltà ai testi originali ebraici, aramaici e greci, tenendo
conto anche del testo latino della Nova Vulgata. Questo
criterio evita che una traduzione possa scivolare nella parafrasi o nell’interpretazione. Due piccoli passi, uno dell’AT e l’altro del NT, possono illuminare su come i revisori hanno agito.
CEI 1974
CEI 2008
Abbiate in voi gli stessi sentimenti
che furono in Cristo Gesù,
il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
Per questo Dio l’ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore,
a gloria di Dio Padre.
276
IL REGNO -
AT T UA L I T À
Nel Salmo 8 abbiamo la contemplazione di Dio creatore e, nel contempo, abbiamo anche una riflessione sulla
creatura umana. Alla domanda (bellissima) che esprime la
fragilità dell’uomo posta al v. 5, «Che cosa è mai l’uomo
perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?», la CEI 1974 proseguiva con questa traduzione (v. 6):
«Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli». La traduzione era in consonanza con il testo greco dell’AT (la Bibbia
detta «dei Settanta»), con la Vulgata e la Nova Vulgata latine. Ora la CEI 2008 recupera invece il testo ebraico che
porta il termine «heloim» (= Signore, Dio) e traduce:
«Davvero l’hai fatto poco meno di un dio» (si veda anche
la breve nota al testo). Il senso è chiaramente diverso: l’ebraico, più ardito delle versioni greca e latina che temono
confronti idolatrici, non ha paura di enunciare come nell’uomo sia impressa l’immagine di Dio. Anche in questo
caso una traduzione più fedele apre lo spazio a una catechesi molto ampia sull’antropologia biblica e sulla dignità
dell’uomo!
In Mt 16,23 Pietro, dopo aver riconosciuto in Gesù il
Cristo, il Figlio del Dio vivente, si scandalizza all’annuncio della passione rimproverando Gesù. Ma egli lo redarguisce chiamandolo Satana e dicendogli che è a lui di
«scandalo», cioè d’inciampo. Nella CEI 1974 avevamo
«Lungi da me, satana!», ora nella CEI 2008 abbiamo un
più letterale «Va’ dietro a me, satana!». Non si tratta solo
di considerare che, se Pietro sta «dietro» Gesù non può essere d’inciampo (non si frappone con la sua mentalità di
successo umano al progetto di passione-morte-risurrezione): la prospettiva è quella di un Pietro che deve continuamente tornare a essere alla sequela di Gesù. Ancora una
volta vediamo come possa scaturire da un semplice cambiamento una catechesi importante.
Un secondo criterio che ha guidato i revisori è stato
quello della bellezza. Ovviamente questo criterio è sottomesso al primo e tuttavia bisogna dire che in alcuni passi
8/2009
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.
lo sforzo di rendere il testo gradevole alla proclamazione
e alla riflessione personale è stato premiato: si veda ad
esempio l’inno alla carità di 1Corinzi 13, oppure l’esaltazione della nascita del re-messia in Isaia 9.
Un terzo criterio è la chiarezza. Si tratta di un criterio
importante, perché rende la Bibbia accostabile anche a
una lettura personale. Chiarezza non significa appiattire il
testo, ma renderlo comprensibile… anche nelle sue parti
più difficili. Possiamo qui prendere a confronto la traduzione dell’inno cristologico di Filippesi 2,5-11. Mettiamo
in sinossi le due versioni (cf. qui a fianco).
I due testi hanno un andamento abbastanza diverso.
Sotto il profilo poetico è forse un po’ più scorrevole il testo del 1974. Tuttavia questo inno presenta dei concetti
veramente difficili che il testo CEI 2008 ha, a nostro avviso, cercato di chiarire con soluzioni non banali. Il primo
riguarda il v. 6: per tradurre la parola greca morphe si è
impiegato nel 1974 il concetto teologico di «natura»,
mentre nel 2008 si è impiegato un più neutro «condizione» (come al v. 7 dove ricorre lo stesso termine). La scelta
è interessante in quanto aiuta a capire un’altra difficile parola del verso seguente. Il termine greco arpagmon, tradotto nel 1974 con un’espressione un po’ fantasiosa, «tesoro geloso», in realtà rimanda al diritto (del bottino di
guerra). La traduzione del 2008 con «privilegio» contestualizza la scelta dell’incarnazione del Verbo: che dalla
condizione di Dio è passato a quella di servo senza riservarsi alcun diritto.
Al v. 7 il verbo ekenosen significa «svuotare» (CEI 2008).
Forse «spogliò se stesso» (CEI 1974) può apparire più elegante, ma potendo essere inteso con una connotazione un
po’ psicologica non rende l’idea paolina dello «svuotamento» totale di Dio fino alla morte di Gesù. Infine l’espressione in parte ambigua «apparso in forma umana» della CEI
1974 si muta nella CEI 2008 con «dall’aspetto riconosciuto come uomo», che è decisamente migliore.
Abbiamo cercato di esemplificare con alcuni testi come le scelte della revisione della Bibbia CEI corrispondano a un’attenta ponderazione. Di fatto il testo si presenta
come migliorato e con la possibilità di essere meglio usato nella liturgia, nell’annuncio, nella catechesi e nella formazione permanente. Del resto tutta la catechesi, secondo l’intenzione del progetto catechistico italiano, ha le sue
radici nel testo biblico, per cui l’auspicio è che questa dimensione possa sempre di più crescere ora con un testo
biblico più accuratamente tradotto.
Guido Benzi*
* Direttore dell’Ufficio catechistico nazionale della Conferenza episcopale italiana.
1
Traiamo la citazione dalla Bibbia Martini, Vallardi, Milano 1845,
vol. I, 42.
2
Per una panoramica delle traduzioni in Italia si vedano i vari studi presenti nel testo CEI – UFFICIO LITURGICO NAZIONALE, La traduzione della Bibbia nella Chiesa italiana. Il Nuovo Testamento, a cura di C.
Buzzetti e C. Ghidelli, San Paolo, Cinisello Balsamo 1988.
3
C. GHIDELLI, «La nuova versione della Bibbia CEI. Caratteristiche e uso pastorale», in Quaderni della segreteria generale CEI 12(2008)
9, aprile 2008, 34-35.
4
Ivi.
5
C. BUZZETTI, «Un episodio condizionato. Le condizioni del tradurre», in La traduzione della Bibbia nella Chiesa italiana, 195.
6
Per i criteri si veda più ampiamente GHIDELLI, «La nuova versione della Bibbia CEI. Caratteristiche e uso pastorale», 36-38.
La Rivelazione incarnata
in un linguaggio
Perché
la Parola corra
C
on la pubblicazione dei tre volumi del
Lezionario festivo nella nuova traduzione CEI, avvenuta per l’Avvento/Natale
2007, è iniziata una vera e propria «caccia all’errore», o meglio, alle espressioni
discutibili o rese meno accessibili a chi
vi si accosta di primo acchito.
Al riguardo va subito segnalato che le
riviste, soprattutto di carattere liturgico-pastorale, sono
state subissate di lettere, per lo più di protesta, per i
cambiamenti operati. Anche la veste grafica, con la discutibile inserzione delle immagini, totalmente inedite,
perché commissionate ad hoc per i brani più importanti proclamati nella liturgia, non solo ha fatto discutere,
ma ha anche trovato chi, armato di taglierino, ha pensato bene di ripulire alla radice il testo, per una maggiore facilità di utilizzo.1
Come sempre in ambito pastorale, una verace ermeneutica non è mai scevra dalla segnalazione di errori o altro. Tuttavia bisogna pure riconoscere un iter di
revisione inconfutabile, in quanto, tra l’altro, documentato passo passo. Lo delinea in uno studio sintetico, ma chiaro, mons. Giuseppe Betori, attuale arcivescovo di Firenze, già segretario generale della Conferenza episcopale italiana, che ha seguito in toto simile
revisione.2
Il punto di partenza è stato determinato dalla pubblicazione della Nova Vulgata, promulgata nel 1986 e
dichiarata typica, cioè di riferimento specie per l’uso liturgico. Già questo fatto si presenta totalmente nuovo,
rispetto alla precedente traduzione invalsa dal 19711974, in quanto allora ci si era limitati a un «ammodernamento» della versione di E. Galbiati, A. Penna e P.
Rossano.3
Appena la Nova Vulgata venne pubblicata, la Presidenza CEI, nel maggio 1988, costituì un gruppo di lavoro per provvedere a una revisione della traduzione
italiana, alla luce del testo della Nova Vulgata «editio
altera» e, con l’occasione, per migliorarne la qualità.
Il gruppo di lavoro era composto da biblisti, liturgisti, italianisti e musicisti, e ha operato per 12 anni, se-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
277
tudio del mese
S
Mosè affidato alle acque.
condo i criteri dati dal Consiglio episcopale permanente, successivamente precisati in varie fasi di consultazione.
Allo scopo vanno segnalate due prospettive ritenute
irrinunciabili, al fine di un’onesta valutazione di tale
«impresa»:
– i criteri ben precisi, a cui ci si è attenuti, così riassumibili: «La traduzione esistente è stata rivista in base
ai testi originali (ebraici, aramaici e greci), secondo le
migliori edizioni critiche oggi disponibili, dalle quali è
stata tradotta anche la Nova Vulgata, e secondo i principi classici della critica testuale e dell’esegesi. Nei casi
di lezioni testuali dubbie o discusse, ci si è riferiti in primo luogo alla versione dei Settanta, per l’Antico Testamento, e poi alla Vulgata, tenendo conto delle scelte
compiute dalla Nova Vulgata.4
– L’apporto degli specialisti coinvolti (davvero molti, indicati per nome e cognome!) e di tutti i vescovi:
«Alla consultazione hanno risposto 218 dei 249 vescovi aventi diritto. Il testo presentato ha ricevuto un larghissimo consenso… Sono stati proposti 1.321 emendamenti formali e circa un migliaio di osservazioni, finalizzate al miglioramento del testo. Tutti gli emendamenti e i suggerimenti sono stati presi in esame dagli
esperti… La traduzione è stata inviata a tutti i membri della CEI che, dopo un esame personale, l’hanno
approvata nel corso della 49ª Assemblea generale, il
23 maggio 2002. Il consenso è stato pressoché unanime: 202 dei 203 votanti hanno approvato il testo proposto».5
Tenendo conto, inoltre, che nel corso del cammino
non sono mancati anche apporti di carattere ecumenico e interreligioso, si può senza dubbio affermare che il
lavoro complessivo è stato encomiabile e rientra in quei
«fenomeni» ecclesiali davvero rilevanti, se non altro a
livello metodologico.
278
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
Spiace constatare che, non conoscendo simile gestazione, molti, soprattutto tra il clero e gli studiosi (che
magari hanno pure collaborato in prima persona…),
hanno sparato a zero sul «prodotto finito», liquidando
il tutto con la glaciale osservazione: «La montagna ha
partorito un topolino!».
Si può concordare, certo, che non si è di fronte a
una traduzione «rivoluzionaria» dal versante semantico. Tuttavia, al di là del risultato concreto, l’evento – se
così si può chiamare – merita indubbiamente qualche
precisazione e approfondimento.
Una modalità d’incarnazione
La Dei verbum prospetta uno stretto legame tra incarnazione e traduzione, proprio riguardo alla parola/parole divine: «Nella sacra Scrittura – si legge – restando sempre intatta la verità e la santità di Dio, si
manifesta l’ammirabile condiscendenza della eterna sapienza, affinché apprendiamo l’ineffabile benignità di
Dio e quanto egli, sollecito e provvido nei riguardi della nostra natura, abbia contemperato il suo parlare. Le
parole di Dio, infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il
Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze
della umana natura, si fece simile agli uomini» (n. 13;
EV 1/894).
Al di là delle difficoltà linguistiche, che non permetteranno mai di giungere a una traduzione perfetta, va
apprezzata primariamente la volontà divina di comunicare nell’idioma proprio degli uomini, per la loro edificazione. Preoccupazione che già l’apostolo Paolo esplicitava: «Anche voi, poiché desiderate i doni dello Spirito, cercate di averne in abbondanza, per l’edificazione della comunità. Perciò chi parla con il dono delle
lingue, preghi di saperle interpretare. Quando infatti
prego con il dono delle lingue, il mio spirito prega, ma
Apocalisse, adorazione di Dio.
la mia intelligenza rimane senza frutto. Che fare dunque? Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con
l’intelligenza; canterò con lo spirito, ma canterò anche
con l’intelligenza» (1Cor 14,12-15).
Affrontando l’onerosa impresa della traduzione, la
Chiesa, nella fattispecie quella italiana, riconosce ogni
volta la necessità della condiscendenza divina nello
Spirito, perché il messaggio divino venga accolto e fatto proprio. Infatti, «tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è
anche utile per insegnare, convincere, correggere ed
educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2Tm
3,16-17). Questo si attua anzitutto con l’indispensabile
azione dello Spirito.6
Allora il testo scritto viene scoperto come interlocutore vitale, così com’è nell’incarnazione, che rivela i
suoi misteri nascosti pudicamente, per sottintesi ed accenni, come uno che lascia intravedere il suo volto da
dietro un velo: «La parola scritta è questo velo. E se era
necessario che lo scrittore in-formasse o con-formasse
il più possibile il velo delle sue parole al contenuto delle verità che lo Spirito attraverso di lui intendeva proporre, altrettanto necessaria si dimostra l’analisi puntigliosa ed esperta di ogni minima ombra o piegatura del
velo – e perciò della littera –, per incontrare il mistero
di quella verità che dietro, e in qualche modo dentro, si
nasconde. A questo punto però l’esegeta constata l’emergere di una situazione sorprendente: il testo, compulsato con la massima puntigliosità e precisione, lascia
partire da sé degli sprazzi di luce della verità, luce che,
illuminando il lettore, ritorna come un riflesso sopra il
testo stesso provocando altri sprazzi di luce via via più
ampi e luminosi in un circolo di rivelazione reciproca,
che non termina mai».7
Come già la tradizione antica prospettava, la Scrittura cresce con il suo lettore, cioè con il suo destinata-
rio, in quanto la Bibbia è fatta per essere ascoltata: l’ascolto è parte integrante del progetto salvifico di Dio,
che intende interpellare l’uomo, per aprirlo alla fede. È
evidente che quanto più questa sollecitazione, attraverso il testo scritto, è comprensibile e pungolante, tanto
più s’instaura la dinamica salvifica: «Per diventare parola di Dio, la Scrittura deve trovare il lettore, l’ascoltatore, che risponda e corrisponda all’intento della stessa Parola, deve trovare il credente che celebra gli eventi
salvifici narrati dalla Bibbia e prega il Dio di quegli
eventi. La fede, dunque, pone il lettore nella condizione di far crescere la Scrittura che si vede, in modo da
scorgere quella Parola che non si vede, e non esaurisce
mai la propria carica di novità. La fede, poi, implica
l’inserimento nella storia di salvezza, la memoria e
l’anticipazione del Cristo pasquale e del Cristo glorioso; più precisamente, la fede implica il contesto della
propria crescita e piena affermazione come memoria e
come anticipazione, come lode e invocazione, implica,
cioè, la celebrazione liturgica. Il legame tra Bibbia e liturgia appare dunque evidente: la Scrittura cresce soprattutto nel culto con il quale la comunità credente
celebra il mistero della salvezza».8
Tant’è che, come si afferma nella premessa al Messale attuale, «quando nella Chiesa si legge la sacra
Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua Parola, annunzia il Vangelo. Per questo
tutti devono ascoltare con venerazione le letture della
parola di Dio, che costituiscono un elemento importantissimo della liturgia».9
Perciò le parole di Dio devono diventare simili al
linguaggio degli uomini. In questo consiste essenzialmente l’opera della traduzione, che permane aperta e
sempre suscettibile di trasformazione, perché «scenda»
a qualsiasi debolezza umana e la elevi, con l’azione interiore dello Spirito.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
279
tudio del mese
S
Si tenta così di superare, soprattutto nella liturgia, a
cui la traduzione italiana è indirizzata, l’impasse descritto da Isaia: «Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere
dicendogli: “Per favore, leggilo”, ma quegli risponde:
“Non posso, perché è sigillato”. Oppure si dà il libro a
chi non sa leggere dicendogli: “Per favore, leggilo”, ma
quegli risponde: “Non so leggere”» (Is 29,11-12).
La traduzione è per la comunicazione
Un’altra esigenza fondamentale, che la traduzione
del testo biblico cerca di assecondare, è quella di porsi
in relazione con gli uditori. È una preoccupazione, anche questa, già manifestata dall’apostolo Paolo: «Se
non pronunciate parole chiare con la lingua, come si
potrà comprendere ciò che andate dicendo? Parlereste
al vento! Chissà quante varietà di lingue vi sono nel
mondo e nulla è senza un proprio linguaggio. Ma se
non ne conosco il senso, per colui che mi parla sono
uno straniero, e chi mi parla è uno straniero per me.
(...) Altrimenti, se tu dai lode a Dio soltanto con lo spirito, in che modo colui che sta fra i non iniziati potrebbe dire l’amen al tuo ringraziamento, dal momento che
non capisce quello che dici? Tu, certo, fai un bel ringraziamento, ma l’altro non viene edificato. Grazie a
Dio, io parlo con il dono delle lingue più di tutti voi;
ma in assemblea preferisco dire cinque parole con la
mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto
che diecimila parole con il dono delle lingue» (1Cor
14,9-11.16-19).
Istanza che è stata ben presente in quel poderoso
opus, rappresentato dall’attuale revisione della Bibbia,
e tutto da verificare nella prassi, soprattutto liturgica:
«L’opera ora realizzata si presenta maggiormente fedele ai testi originali e più organica. Come ogni traduzione, non è certo immune da difetti, che l’uso farà emergere e che potranno portare a ulteriori miglioramenti,
ma vuole proporsi come riferimento sufficientemente
stabile per l’uso liturgico e spirituale, così da alimentare la crescita del linguaggio religioso cristiano a partire
dalle sue irrinunciabili radici bibliche. Si è infatti cercato di far risplendere il contenuto della Bibbia nelle
modalità proprie del nostro linguaggio e parimenti di
esprimere le potenzialità della Bibbia nel plasmare il
linguaggio, anche quello del nostro tempo».10
Lo comprova un piccolo particolare, in un brano
assai noto, perché domina una liturgia largamente partecipata, com’è quella della notte di Natale. Invece dell’ambiguo: «Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno
nella propria città» (Lc 2,3), ora si ha il verbo censire,
che esprime più appropriatamente l’atto giuridico di
Maria e Giuseppe.11
Così anche nel celebre racconto dell’annunciazione, la risposta di Maria: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38) è molto
più pregnante della precedente traduzione («Eccomi,
sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai
detto»).12
È chiaro: insieme a queste annotazioni in positivo se
ne potrebbero elencare altre di segno contrario. Ma ciò
280
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
fa parte di un tentativo, com’è una traduzione, per rendere accessibile al meglio un testo, nel rispetto della sua
fedeltà originale e organica.
Senza dubbio ogni nuova traduzione tiene conto
dell’evoluzione della lingua parlata, come l’italiano, e
ne supera certe evoluzioni semantiche, per ricuperare
la bellezza e la scorrevolezza del periodare.13 Lo scopo
di una «ricomprensione» del testo in chiave comunicativa, oltre che mirare a una più corretta formulazione
contenutistica, tende soprattutto a «introdurre tutto il
popolo di Dio alla ricchezza inesauribile di verità e di
vita della sacra Scrittura».14
Anche l’attuale «operazione» aiuta, ancora a livello
di tentativo, quell’approccio alla Bibbia, soprattutto
nella liturgia, che è andato crescendo in questi anni: «È
facile riscontrare, non solo nelle comunità di vita consacrata, ma anche in molti fedeli laici, nelle parrocchie
come nelle varie aggregazioni, un genuino amore per
la sacra Scrittura, compresa come parola di Dio. Si assiste all’iniziazione di molti al libro sacro, tramite una
rete diffusa di vie formative, con un’evidente crescita
culturale, spirituale e pastorale. Molti praticano la lectio divina o altre forme a essa analoghe, quali le “scuole della Parola” e le esperienze di preghiera incentrate
sulla Scrittura, con peculiare e significativa partecipazione di giovani. Uno spazio specifico e ampio viene
assicurato alla sacra Scrittura nello studio della teologia, nei cammini formativi della catechesi e nell’insegnamento religioso nella scuola».15
Con conseguenze facilmente constatabili: «Possiamo registrare tre fondamentali segni del promettente
risveglio biblico tra noi: un rinnovamento radicale e interiore della fede, attinta alla sorgente della parola di
Dio; la cosciente affermazione e assunzione del primato della parola di Dio nella vita e missione della Chiesa; la promozione di un più sollecito cammino ecumenico sostenuto dalle Scritture».16
Tutto ciò, in ambito liturgico, ha avuto e ha come
riscontro immediato l’actuosa participatio che, nel momento della liturgia della Parola, si riassume nell’essere
formati (Fideles «verbo Dei instituantur»: Sacrosanctum
concilium, n. 48; EV 1/84), mediante un andamento
dinamico ben preciso: quello del dialogo, così riassunto: «Nelle letture Dio parla al suo popolo, gli manifesta
il mistero della redenzione e della salvezza e offre un
nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente, per
mezzo della sua Parola, tra i fedeli. Il popolo fa propria
questa Parola divina con il silenzio e i canti, e vi aderisce con la professione di fede. Così nutrito, prega nell’orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa
e per la salvezza del mondo intero».17
Si raggiunge maggiormente tale assimilazione (fare
propria la Parola) quanto più ci si imbatte in una buona
traduzione, supportata da adeguati sussidi.18 Tutto ciò
stimolerà qualsiasi persona, che si pone a servizio della
Parola, a esprimere la propria creatività, in aderenza alle situazioni concrete: «Pertanto questo libro viene incontro ai suoi lettori non solo nelle pagine che materialmente lo compongono, ma anche con la storia viva del popolo di Dio che nella sua dottrina, nella vita liturgica e nel-
la testimonianza di santità ha costruito e continua a costruire la manifestazione storica della sua verità e quindi
l’orizzonte in cui leggerlo e proclamarlo, offrendone
un’interpretazione sicura, in cui collocare l’appropriazione delle singole persone e comunità».19
Sono le situazioni concrete, allora, che creano quel
circolo salvifico attuato ogni volta dalla celebrazione.
Difatti, raggiunti dalla Parola che trasforma mediante
un linguaggio chiaro e accessibile al loro hodie, i credenti si sentono responsabilizzati a collaborare all’opera divina con la loro risposta, confortata dall’aiuto dello Spirito. La sua presenza «è lì a ricordarci costantemente come soltanto lasciandoci conformare a Cristo,
fino ad assumere il suo stesso sentire (cf. Fil 2,5), potremo predicare Gesù Cristo e non noi stessi. L’evangelizzazione può avvenire solo seguendo lo stile del Signore
Gesù, il primo e più grande evangelizzatore».20
Nella fedeltà a Dio e agli uomini
La preoccupazione costante, che percorre le molteplici modalità di traduzione, è senza dubbio la fedeltà.
Anzitutto a Dio: «Poiché Dio nella sacra Scrittura ha
parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura, per vedere bene ciò che
egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi in realtà hanno inteso significare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole» (Dei verbum, n. 12; EV 1/891).
Ciò non pregiudica affatto la fedeltà agli uomini, ai
quali, come si è ribadito, la Parola è rivolta, partendo
dall’incarnazione del Figlio di Dio come viene contemplata dalla Lettera agli Ebrei (cf. Eb 1,1-2). E sta proprio in questa differente modalità di parola (multifariam multisque modis) la chiave interpretativa della traduzione biblica.
Infatti, «una traduzione è sempre qualcosa di più di
una semplice trascrizione del testo originale. Il passaggio da una lingua a un’altra comporta necessariamente un cambiamento di contesto culturale: i concetti non
sono identici e la portata dei simboli è differente, perché mettono in rapporto con altre tradizioni e altri modi di vivere».21
Ciò che renderà sempre più valida quest’ultima traduzione della Bibbia, per lo meno come tappa nell’infinita corsa della Parola (cf. 2Ts 3,1), è appunto il rapportarsi esplicito, ancora nel tentativo, con i modi di
sentire, di pensare, di vivere e di esprimersi nella cultura locale.
In altre parole, ora la Parola che «passa» nei vari
ambienti e nelle varie situazioni del vivere ecclesiale e
sociale è questa, di questa traduzione/inculturazione.
Perciò, come insegna il Vaticano II, i cristiani devono
discernere «quali ricchezze Dio nella sua munificenza
ha dato ai popoli; ma nello stesso tempo devono tentare di illuminare queste ricchezze alla luce del Vangelo,
di liberarle e di riferirle al dominio di Dio salvatore»
(Ad gentes, n. 11; EV 1/1112).
La traduzione, nelle sue peculiarità che man mano
si scoprono nelle situazioni di vita, là dove si proclama,
si legge, si medita, dovrebbe favorire quello scambio
culturale, che porta alla reciproca fecondazione tra Parola e culture. Per onestà va osservato che non si tratta
di una rivoluzione copernicana, alla luce di ciò che si è
finora sperimentato nella liturgia.
Tuttavia questo procedimento manifesta concretamente quello che ora, oggi, si è potuto fare, nella continuità della tradizione biblica. Quello che lo Spirito ha
suggerito, perché la piena fedeltà alla persona di Cristo
trovasse concreta esplicitazione, senza sbavature né facili sincretismi.
Come in altre circostanze, permane essenziale l’apporto dell’apostolato biblico e di tutti coloro che, nella
Chiesa articolata nelle sue varie espressioni (gruppi,
movimenti, iniziative formative…), mettono al primo
posto la lettura e la meditazione della Bibbia in un’ottica di fede e d’impegno cristiano.
Per la verità bisogna pure osservare che le editrici e
le varie riviste, a partire dalla pubblicazione dei volumi
del Lezionario, hanno investito molto in questo settore.
Non si citano particolari iniziative editoriali semplicemente per evitare il pur minimo cedimento pubblicitario: ma sono sotto gli occhi di tutti, a vari livelli.
Il triplice obiettivo che ci si è proposto in simile settore è quello da sempre in auge: conoscere la Bibbia,
costruire la comunità e servire il popolo. Davvero anche a questo riguardo «l’aiuto degli esegeti (e si può dire che la gran parte stia fornendo la sua collaborazione) è utile per evitare attualizzazioni poco fondate. Ma
è motivo di gioia vedere la Bibbia presa in mano da
gente umile e povera, che può fornire alla sua interpretazione e alla sua attualizzazione una luce più penetrante, dal punto di vista spirituale ed esistenziale, di
quella che viene da una scienza sicura di se stessa».22
Non va neppure sottaciuto che «entro questo orizzonte si aprono opportunamente possibilità di dialogo
e di collaborazione con gli altri cristiani e anche con
quanti, credenti e non credenti, a scopo di cultura, promuovono la conoscenza e l’amore alla Bibbia».23
In conclusione, soltanto l’utilizzo di un testo tradotto, nella continuità dell’impegno di approfondimento
mediante la lectio e l’oratio24 e la sua proclamazione
nella liturgia, porterà gradualmente a discernere sia le
potenzialità nuove che si sono offerte, sia gli innegabili limiti, tanto nella traduzione quanto nel suo uso liturgico.25
D’altronde ogni traduzione da una parte «costituisce solo un inizio di interpretazione, e anche questa
traduzione della Bibbia non sfugge a tale sorte. Dalla
riscrittura del testo nelle parole comprensibili della lingua della gente l’interpretazione prende le mosse per
compiere il cammino di esplicitazione della ricchezza
dei suoi significati». Dall’altra, «è accompagnata dall’auspicio che il frutto di un tanto lungo e complesso lavoro costituisca per le nostre comunità un testo più sicuro, più coerente, più comunicativo, più adatto alla
proclamazione».26
Tale constatazione e tale auspicio possono tanto più
rassodarsi quanto più ci si pone nell’atteggiamento irrinunciabile, che la tradizione patristica prospettava, e
cioè la diuturna frequentazione del testo ad ampio spet-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
281
tudio del mese
S
tro, così enucleata da sant’Isidoro di Siviglia: «Quanto
più si è assidui nel leggere la Scrittura, tanto più ricca
è l’intelligenza che se ne ha, come avviene per la terra
che, quanto più si coltiva, tanto più produce. Vi sono
alcuni che hanno una buona intelligenza, ma trascurano la lettura dei testi sacri, sicché con la loro negligenza dimostrano di disprezzare quello che potrebbero
imparare con la lettura. Altri invece avrebbero desiderio di sapere, ma sono impediti dalla loro impreparazione. Questi però con un’intelligente e assidua lettura
riescono a sapere ciò che ignorano altri più intelligenti, ma pigri e indifferenti. Ma se la dottrina non è sostenuta dalla grazia, non giunge sino al cuore, anche se
entra nelle orecchie. Fa strepito al di fuori, ma nulla
giova alla nostra anima. Allora soltanto la parola di
Dio scende dalle orecchie al fondo del cuore, quando
interviene la grazia, opera intimamente e porta alla
comprensione».27
Gianni Cavagnoli
1
Cf. Vita pastorale 97(2009) 3, 14.
Cf. G. BETORI, «La nuova traduzione della Bibbia per la liturgia», in Rivista liturgica 96(2009) 1, 131-137. Soltanto l’elenco di chi
ha collaborato a questa ponderosa opera mette in risalto come vi abbia posto mano il fior fiore dei biblisti italiani.
3
Così viene descritta simile operazione: «Fu deciso di non preparare una nuova traduzione, ma di assumere quella, da poco pubblicata, dovuta all’opera di Enrico Galbiati, Angelo Penna e Piero Rossano, revisionandola secondo criteri di “esattezza nel rendere il testo
originale; precisione teologica, nell’ambito della stessa Scrittura; modernità e bellezza della lingua italiana; eufonia della frase, in modo da
favorirne la proclamazione; cura del ritmo, con conseguente possibilità di musicarne i testi (specie i Salmi), di cantarli, di recitarli coralmente”. Il lavoro, approvato dall’8ª Assemblea generale della CEI
(14-19.6.1971), ebbe una prima edizione nel dicembre 1971 e una seconda, che includeva le correzioni richieste dalla Santa Sede per alcuni testi utilizzati nella liturgia, nell’aprile 1974. Quella che venne
subito chiamata Bibbia CEI costituisce indubbiamente una buona
traduzione, premiata da una larga diffusione e dal generale consenso.
Essa ha nutrito egregiamente in questi anni la vita liturgica delle nostre comunità, diventando il testo di riferimento primario per ogni
ambito – spirituale, pastorale, teologico – della vita cristiana, personale e comunitaria» (BETORI, «La nuova traduzione della Bibbia per la
liturgia», 132).
4
Vi si aggiungano gli altri criteri, non meno importanti: «I libri e
le pericopi da tradurre, in quanto facenti parte del canone biblico della Chiesa cattolica, sono stati individuati in conformità alla Nova Vulgata e, in genere, alla tradizione liturgica occidentale; inesattezze, incoerenze ed errori della traduzione del 1971-1974 sono stati corretti
seguendo scelte condivise tra gli esegeti e avendo come riferimento,
nei casi dubbi, la Nova Vulgata; si è cercato di ricuperare un’aderenza maggiore al tono e allo stile delle lingue originali, orientandosi verso una traduzione più letterale, senza compromettere tuttavia l’intelligibilità del testo fin dal momento della lettura o dell’ascolto; particolare attenzione è stata riservata alla corrispondenza dei testi sinottici,
alla varietà degli stili e dei generi letterari nei diversi libri della Scrittura, cercando al contempo uniformità e continuità del vocabolario;
ci si è preoccupati di rendere il testo in buona lingua italiana, con modalità espressive d’immediata comprensione e comunicative in rapporto al contesto culturale odierno, evitando forme arcaiche del lessico e della sintassi; si è curato il ritmo delle frasi, per rendere il testo rispondente alle esigenze della proclamazione liturgica e, dove occorra,
adatto a essere musicato per il canto» (BETORI, «La nuova traduzione
della Bibbia per la liturgia», 133-134).
5
BETORI, «La nuova traduzione della Bibbia per la liturgia», 135.
6
Non per nulla «sotto la sua ispirazione e con il suo aiuto la parola di Dio diventa fondamento dell’azione liturgica e norma e sostegno di tutta la vita. L’azione dello Spirito Santo non solo previene, accompagna ed estende l’azione liturgica, ma a ciascuno suggerisce in
cuore ciò che nella proclamazione della parola di Dio viene detto per
l’intera assemblea dei fedeli, e mentre rinsalda l’unità di tutti, favori2
282
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
sce anche la diversità dei carismi e ne valorizza il molteplice impegno» (CONGREGAZIONE PER I SACRAMENTI E IL CULTO DIVINO, Ordinamento delle letture della messa, 21.1.1981, n. 9; EV 7/1009).
7
I. GARGANO, «“Scriptura cum legente crescit”. Dal testo scritto al
momento celebrativo», in R. CECOLIN (a cura di), Dall’esegesi all’ermeneutica attraverso la celebrazione. Bibbia e liturgia – I, «Caro salutis
cardo. Contributi» 6, Messaggero – Abbazia di Santa Giustina, Padova 1991, 164-165.
8
G. BONACCORSO, Celebrare la salvezza. Lineamenti di liturgia,
«Caro salutis cardo. Sussidi» 6, Messaggero – Abbazia di Santa Giustina 22003, 88.
9
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Ordinamento generale del
Messale romano, n. 29, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano
2004, 20; Regno-doc. 15,2004,494.
10
BETORI, «La nuova traduzione della Bibbia per la liturgia»,
137.
11
«Farsi registrare», infatti, soprattutto nel gergo popolare, può
alludere alla possibilità di riabilitarsi da parte di chi è scriteriato, perché ha «perso»… il cervello!
12
Chiosa un esperto in materia: «La nuova traduzione è più attenta alle sfumature e, più correttamente, rende con “Ecco la serva
del Signore”, mostrando così come la risposta di Maria si collochi nella storia, accettando quella precisa e singolare richiesta divina. Non si
limita a dire semplicemente che lei è a disposizione di Dio (sempre),
ma che aderisce a questa concreta richiesta del Signore» (P. ROTA
SCALABRINI, «Immacolata concezione di Maria», in Servizio della Parola 40[2008] 403, 105). Anche la nuova traduzione di un’affermazione dell’altrettanto celebre prologo di Giovanni: «…e le tenebre non
l’hanno vinta» (Gv 1,5), invece che accolta, trova piena rispondenza
nel commentario di R. FABRIS, Giovanni, Borla, Roma 1992, 147.
13
Ad esempio, la vera crux dei lettori, nella liturgia dell’Ascensione del Signore, rappresentata dall’invito dei due uomini in bianche
vesti («Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo…»: At
1,11), ora trova migliore formulazione: «Questo Gesù, che di mezzo a
voi è stato assunto…».
14
CEI - COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
E LA CATECHESI, nota pastorale La Bibbia nella vita della Chiesa,
18.11.1995, n. 4; ECEI 5/2908.
15
Ivi, n. 8; ECEI 5/2913.
16
Ivi, n. 9; ECEI 5/2915.
17
Ordinamento generale del Messale romano, n. 55, p. 27; Regnodoc. 15,2004,496.
18
Basti citare: «Itinerari biblici per le diverse età e occasioni; guide per la lettura programmata della Bibbia, magari con riferimento al
lezionario liturgico; raccolte di passi biblici scelti, per la scuola e la catechesi dei piccoli; commenti biblici alla liturgia della Parola; strumenti per gruppi o circoli biblici; riviste divulgative e fascicoli facilmente accessibili per la conoscenza della Bibbia e del suo messaggio»
(La Bibbia nella vita della Chiesa, n. 38; ECEI 5/2954).
19
BETORI, «La nuova traduzione della Bibbia per la liturgia»,
137.
20
EPISCOPATO ITALIANO, Comunicare il Vangelo in un mondo che
cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000, 29.6.2001, n. 33; ECEI 7/185.
21
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 21.9.1993, IV/B; EV 13/3113.
22
Ivi, IV/C 3; EV 13/3138.
23
La Bibbia nella vita della Chiesa, n. 41; ECEI 5/2957.
24
A titolo esemplificativo va segnalata l’iniziativa dell’Abbazia di
S. Maria in Finalpia (SV), che ha edito in proprio un volume, in cui si
pongono a confronto tutte le varianti intervenute nel Salterio.
25
Ad esempio, sono davvero piovute molteplici riserve sia circa i
ritornelli, ritoccati o creati ex novo per il salmo responsoriale, sia circa la cantabilità degli stessi testi salmici.
26
BETORI, «La nuova traduzione della Bibbia per la liturgia»,
137.
27
ISIDORO DI SIVIGLIA, Sententiae III, 9, 2.5; 10, 1-2: CCL 111,
231-233.
Le xilografie che illustrano lo studio del mese sono riprese
dalla nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme (EDB,
Bologna 2009), e sono tratte dalla Biblia sacra vulgatae,
Editionis sixti quinti. Pont. Max. iussu recognitio atque edita –
Venetiis 1625 apud Iuntas.
L’illustrazione a p. 268 rappresenta un particolare della
moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Giosuè, processione con l’arca intorno alle mura di Gerico.
B i b b i a e a r te
Le xilografie
della Bibbia
di Gerusalemme
L
e xilografie collocate in apertura ai singoli libri
della nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme, riprodotte da una Bibbia del 1606 stampata
apud Iuntas a Venezia (e precisamente dalla terza edizione di questa, del 1625), stanno a evocare l’antichità della tradizione d’iconografia biblica nel cristianesimo occidentale. Dalle scene d’ispirazione vetero- e neotestamentaria dipinte nelle catacombe alle miniature dei
codici medievali, la fonte principale dell’arte sacra europea infatti è stata la Bibbia, e ancora biblici sono i programmi di alcuni tra i massimi capolavori rinascimentali: i rilievi della Porta del paradiso ghibertiana, gli affreschi di Michelangelo per la volta della Sistina e quelli di
Raffaello per le logge bramantesche in Vaticano.
Con l’avvento del libro stampato, nel secondo Quattrocento questa gloriosa tradizione, «adeguata» al nuovo
mezzo tecnico, viene riproposta: si pensi, ad esempio, al
corredo di xilografie della Bibbia in lingua volgare edita
nel 1471 da Niccolò Malermi, sempre a Venezia. L’intenzione non è solo o principalmente quella di abbellire,
bensì di aprire una finestra contemplativa, invitando il
lettore a meditare il fascino di un personaggio o evento
del relativo libro, secondo la logica articolata da sant’Agostino già nel V secolo. Parlando della vita interiore dei
credenti, il vescovo d’Ippona affermava che l’anima,
«condotta a segni materiali delle realtà spirituali, e da
questi poi verso le cose che i segni rappresentano (…) si
rafforza nell’atto stesso di passare dagli uni alle altre (…)
come la fiamma di una fiaccola che, muovendosi, arde
sempre più intensamente» (Epistola 55,11 e 21).
Nel caso delle xilografie riprodotte nella nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme, frutto di una collaborazione tra due anonimi disegnatori di cultura tardo-
manieristica e almeno tre incisori, le immagini servono a
dilatare un episodio o personaggio del relativo testo, evocandone la valenza poetica. Così la raffigurazione che
apre il libro del Levitico non si sofferma sui dettagli delle
norme rituali riportate nel testo, ma riassume l’intero codice con un’immagine del colloquio tra l’Altissimo e Mosè sul monte, situando le «regole» all’interno dell’intenso
rapporto personale tra Dio e l’uomo da lui scelto per
condurre Israele verso la terra promessa. Similmente, la
xilografia che apre il libro della Sapienza insiste sull’accorata preghiera del giovane re Salomone davanti all’Altissimo, suggerendo ancora il rapporto personale con Dio
come chiave ermeneutica fondamentale.
Gli anonimi illustratori sanno anche scendere nei dettagli, come suggerisce la xilografia in apertura al libro di
Giosuè: una complessa composizione di figure in movimento su uno sfondo architettonico a illustrazione della
processione dei leviti portanti l’arca intorno alle mura di
Gerico. Sanno anche abbinare più episodi di un unico
racconto – come nella regina Ester che implora misericordia per il suo popolo dal re suo marito, mentre in secondo piano vediamo la folla impiccare Aman – e sanno
creare un senso di continuità temporale, come nell’immagine del buon samaritano che apre il Vangelo di Luca, dove in secondo piano, a sinistra, vediamo allontanarsi il levita e lo scriba, mentre in primo piano a destra il samaritano versa l’olio della compassione sulle ferite del
sofferente che, nudo e appoggiato al tronco di un albero,
allude visivamente a Cristo.
A prescindere dall’interesse artistico delle xilografie,
la scelta editoriale d’includere queste immagini d’altri
tempi in una nuova edizione della Bibbia va colto soprattutto in termini ecclesiali: i testi biblici, stilati all’interno
di una tradizione comunitaria, devono essere letti infatti
alla luce della tradizione. Così all’inizio del terzo millennio, le stampe rinascimentali qui riprodotte (che incorporano elementi di tradizioni iconografiche ancora più antiche) ci ricordano che altri prima di noi hanno cercato
Dio nelle pagine della Bibbia, trovando nella bellezza
della sua Parola gioia, pace e salvezza.
Timothy Verdon*
* Direttore dell’Ufficio per la catechesi attraverso l’arte, Firenze;
docente di Storia dell’arte presso la Stanford University e la Facoltà teologica dell’Italia centrale. Il contributo è pubblicato a introduzione nella nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna 2009.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
283
p
p arole
delle religioni
La silente
voce dei fiori
La gratuità come bellezza
la stagione dei fiori. La loro bellezza sta nello sbocciare, verbo divenuto così pregnante da indicare il
dischiudersi stesso di ogni vita. Per quanto si sappia
che i petali si allargheranno, risplenderanno, si aggrinziranno fino al loro inesorabile appassire, a primavera il
boccio che occhieggia è colto dallo sguardo come un tutto,
come un segno di speranza posto sotto l’ala della gratuità.
Parole evangeliche ci dicono di osservare i gigli del campo
che non tessono e non filano. Al loro confronto persino lo
splendore di Salomone è poca cosa. Eppure si sa che è bellezza breve che oggi si schiude e domani è gettata nel forno
(cf. Mt 6,28-30). Gesù nel suo paragone esorta a guardare
l’erba del campo, non un fiore di albero da frutto. L’interezza dello sbocciare è racchiusa in un frammento che esprime
un tutto pur non essendo un assoluto.
Per cogliere la bellezza dell’effimero splendore primaverile non bisogna porre mente (come vorrebbe Hegel) al
fatto che il frutto subentri al fiore come sua verità dichiarando falsa la precedente forma assunta dalla pianta. Occorre piuttosto rendere lucida e gratuita la nostra pupilla e
cogliere il pegno di felicità racchiuso nella rosa che è senza perché, che fiorisce perché fiorisce (Angelo Silesio). Si è
chiamati per un istante a liberarsi dall’egemonia dell’utile,
dall’incalzante pressione dello sviluppo, per fissarsi in
quanto ora sta schiudendosi e che presto declinerà senza
lasciare dopo di sé una realtà più vera. Il fiore è natura. In
questa veste è classificabile come ogni altra realtà. Scrutato con queste lenti è leggibile anche in modo evolutivo.
Lunghe furono le dispute attorno alle orchidee; o, con più
rigore scientifico, molto si discusse della ophrys apifera, il
fiore «ingannatore» che «imita» la forma dell’ape.
Per interpretarlo alcuni si sentivano obbligati a ricorrere a una teleologia vitalistica finalizzata all’impollinazione;
altri, di contro, tenevano salda la convinzione stando alla
quale, per spiegare la maschera da insetto indossata dal
fiore, non fosse necessario introdurre nel meccanismo evolutivo alcuna variante finalistica. Per entrambi gli schieramenti restava egemone l’impulso a riprodursi. Osservati
È
284
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
con lo sguardo rivolto al Creatore, utilità, caso e necessità
possono, invece, essere racchiusi in una momentanea parentesi.
La gratuità come puro esserci
Quando lo sguardo accarezza un fiore, il pensiero può
spingersi lontano verso le innumerabili, colorite distese che
nessun occhio umano, neppure in questo mondo fattosi sempre più densamente popolato, coglie. Là, quando nessuno osserva, il senso della gratuità diviene ancora più elevato. Lo è
a causa del suo puro esserci, a cui si accompagna il bisogno
del credente di riferirlo allo sguardo di Dio.
A Quello domanda, o sdegnoso,
perché sull’inospite piagge;
all’alito d’aure selvagge,
fa sorgere il tremulo fior,
che spiega dinanzi a Lui solo
la pompa del candido velo,
che spande ai deserti del cielo
gli olezzi del calice, e muor.
(A. MANZONI, Ognissanti. Frammenti).
I gigli del campo del Vangelo non sono simboli, in quanto la loro forma o il loro splendore alludano ad altro. Essi rappresentano invece il segno di una cura divina che, per quanto nulla sottragga alla fragilità, si presenta ugualmente più radicale di ogni bellezza costruita dall’operatività umana.
Sono molte le culture nelle quali il calice del fiore, nel suo
essere concavo e ricettore, si presenta come segno di mite accoglienza, di passività che attende l’azione che scende dall’alto attraverso la pioggia, la rugiada, il polline. Accanto alla
gratuità appare perciò traccia della mitezza.
La simbologia orientale
In nessun’altra cultura la simbologia dei fiori ha probabilmente raggiunto l’ampiezza di orizzonte propria dell’Oriente. Ciò ha luogo in modo particolarmente articolato quando
interviene l’azione umana che collega il fiore a un contesto di
segni. In ciò l’arte dell’ikebana non trova rivali. La costruzione di codici simbolici rende la disposizione dei fiori un linguaggio. Si parte considerando il fiore modello di un’arte
spontanea, priva di artifici e perfetta, emblema vegetale del ciclo della vita incalzato dall’effimero. La simbologia però diviene più articolata là dove interviene la mano che ordina e
dispone. La composizione è disposta secondo un ritmo ternario: il ramo superiore è quello del cielo, il mediano dell’uomo,
l’inferiore rappresenta la terra. Al di fuori di questo ritmo non
si dà composizione viva. Come le tre forze naturali vanno armonizzate per formare l’universo, così gli steli devono equilibrarsi nello spazio senza apparente sforzo.
Il loro è un librare e un posarsi a un tempo. Esistono però
tipi di disposizione più complessi, come nel caso di fiori con
steli discendenti, che esprimono il declino della vita, lo scorrere di tutte le cose verso l’abisso; allora la curva degli steli deve flettersi sempre più verso l’estremità.
In Oriente esiste però anche una simbologia non compositiva. Si pensi al loto. Senza inoltrarsi in sentieri complessi,
basta cogliere la grammatica di base propria di un fiore che si
distende sulla superficie di acque stagnanti. Nel buddhismo il
loto diviene simbolo di purezza perché, pur uscendo da melmosi acquitrini, non ne resta contaminato: «Come un loto
puro, meraviglioso, non è macchiato dalle acque, io non sono
macchiato dal mondo» (Anguttara Nikaya 2, 39).
Le parole di Gesù però guardano ai campi e non agli stagni. Il Vangelo addita la dimensione creaturale della cura e
della precarietà, non quella della fuga. La «provvidenza» non
sta nel ritenere che tutto vada per il meglio, che ogni cosa sia
assicurata; essa consiste nella convinzione che è dono di grazia esserci ancora. La fragilità dell’esistenza ci conferma che
le nostre forze, da sole, non possono garantirci la sussistenza.
I gigli del campo si collegano allo stupore di poter affermare
di essere ancora qui nonostante il fatto che nulla, nelle nostre
vite, sia in grado di assicurare appieno un simile esito. L’esistenza presa in se stessa garantisce in modo cogente soltanto
di essere destinata a finire. Molte sono le cause da cui dipende il termine, incertissimo ne è il tempo; sicuro e fatale è che
esso, secondo natura, sopraggiunga.
La sofferenza delle piante
Tutto il regno vegetale e non solo il fiore simboleggia la
mitezza. Le piante soffrono. Lo si vede. Si curvano, rinsecchiscono bruciate dal sole, marciscono impregnate dall’acqua, si
spezzano con il vento, stentano per aridità del suolo. I vegetali sono anche rigogliosi, prosperano ricchi di linfa vitale, si caricano di fiori e frutti. Gli alberi a volte sono imponenti e maestosi. Le piante si spogliano di foglie, sono nude e raggelate;
ma quel legno che sembra la negazione di ogni capacità di vita contiene, sotto la scorza, gemme che esploderanno in primavera. Dalla morte nasce la vita. Per la simbologia cristiana
la croce non può essere che un albero. Le piante donano ristoro con l’ombra e gratificano la vista. Sono polmoni per l’aria degli altri e cibo per uomini e animali. Hanno molte doti;
a loro sono però negati occhi, voce e mobilità, perciò sono
senza difese rispetto allo sfruttamento. Intere foreste sono
mangiate senza che gli alberi riescano a coalizzarsi contro gli
invasori. Anche quando le viscere dei vegetali contengono veleni, le piante non sono aggressive: non attaccano nessuno.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
285
Allorché la scure si avvicina non emettono grida, né guardano con occhi supplichevoli. Quando la sega avanza non
fuggono, né tentano di nascondersi. Non oppongono mai resistenza. Sono un dono continuo che non richiede contropartite. Anche se divengono una minaccia, l’aggressività delle erbacce resta facile da estirpare. Il più delle volte sono però deboli ed esposte a molte insidie. Molti si prendono cura delle
piante. Le si concima, le si annaffia, le si pota, le si cosparge
di veleni ritenuti benefici. Pochissimi curano le piante per
amore di loro stesse. Lo si fa per i vantaggi che danno; si tratti di cibo, di legno, di bellezza, di soddisfazione dell’orgoglio
personale («quanto sono belle le tue piante», «hai proprio il
pollice verde!»). I vegetali sono inermi e incapaci di difesa. A
volte sono tenacissimi, a volte fragili e bisognosi di essere curati. Sono sempre ciechi e silenti.
Nei canti del «servo del Signore» la vittima benefica è paragonata a un agnello muto di fronte ai suoi tosatori (Is 53,7).
Sulla tavola eucaristica vi è però un mutismo più profondo:
pane e vino sono di origine vegetale. La spiga è tagliata e il
chicco è macinato, il grappolo è amputato e l’acino è stritolato senza che si emettano lamenti. Impastato e cotto, il pane è
mangiato senza che si odano proteste. Il vino è bevuto senza
che tenti di ribellarsi. Il mondo vegetale è l’area in cui si dispiega il massimo sfruttamento e il dono più continuo. Sarebbe bene ricordarselo di fronte alla verità cristiana che lega la
presenza eucaristica di Gesù Cristo al mondo vegetale. Il fatto che si tratti di una realtà incruenta non significa affatto che
la simbologia del dono sia meno intensa.
Piero Stefani
Maria Tondo
Con Maria di Magdala
Nel giardino del Risorto
ontemplata dai credenti come la
discepola del Signore, Maria di
Magdala – di cui parlano i Vangeli di
Luca e Giovanni – è diventata soggetto
della narrativa e dell’arte lungo i secoli.
Con pagine ricche di afflato poetico,
l’autrice accompagna il lettore in un
percorso spirituale con Maria
Maddalena che approda all’incontro con
Gesù, alla fede pasquale.
C
«Itinerari»
pp. 208 - € 15,70
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
i
i lettori ci scrivono
Voltaire
e l’ermeneutica conciliare
Caro direttore,
in genere, dopo il mio volume sul concilio ecumenico Vaticano
II (Concilio Vaticano II. Contrappunto per la sua storia, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2005) non faccio più pubblico
«contrappunto» a certe posizioni ermeneutiche conciliari. Il mio
servizio alla pastorale dei migranti e degli itineranti nel mondo è cosa da impegnarmi completamente. Eppure debbo fare eccezione a
tale mia decisione per il vostro studio del mese «Il Vaticano II, Pio
XII e Paolo VI. Uniti dal concilio» (Regno-att. 18,2008,639ss).
Ciò anzitutto perché H.J. Pottmeyer non si pone dalla parte di
chi sostiene che vi sia rottura tra il pontificato di Pio XII e il Vaticano II. Non è cosa da poco, in una tendenza finora dominante nell’arena storiografica la quale si spinge ad attestare che con tale Concilio nasceva quasi una nuova Chiesa. Inoltre è da rilevare pure nell’autore il «ricupero» di Paolo VI, che la stessa tendenza indicava in
fondo come l’affossatore del Concilio. Per questo è davvero sorprendente che Pottmeyer, nel contesto della sua attuale posizione, citi
proprio Alberigo e Melloni, cioè chi di quella tendenza (io la chiamerei della «scuola di Bologna») fu ed è rispettivamente l’alfiere.
Comunque ancora, per il pontificato di Paolo VI, l’autore non
dimostra capacità di fare sfumature né conoscenza approfondita della sua storia. Me ne dispiace ed è grave, partendo da un’affermazione di Voltaire, per il quale una presentazione storica vale per le sue
sfumature. Su questo punto sono d’accordo con Voltaire.
Grazie dell’ospitalità. Con distinti saluti,
Mi sembra presto insomma per decretare la fine di un progetto
politico tanto impegnativo. Romano Prodi, che è certamente «persona informata sui fatti», ha dichiarato autorevolmente che il «PD resta l’ultima speranza di salvare l’Italia». Perché cosa c’è dopo il PD,
se non il PD? Certo un PD capace di far tesoro delle difficoltà, delle
contraddizioni e anche delle sconfitte, sapendone trarre insegnamento per una trasformazione della sua vita interna e della sua proposta
politica: sono convinto che il tempo e l’esperienza possano giovare
grandemente in tal senso.
Anche il giudizio d’irrilevanza circa il ruolo dei cattolici nel PD
mi pare ingeneroso e frettoloso: attendiamo almeno il congresso previsto in autunno per tracciare un primo bilancio di questi due anni.
Quindi va bene essere esigenti e formulare critiche anche severe, ma
all’interno di un ragionamento che indichi comunque prospettive di
sviluppo e di avanzamento democratico.
Mi auguro, insomma, di poter leggere in futuro su un giornale
che stimo e apprezzo e al quale sono abbonato da molti anni, analisi
e giudizi più equilibrati.
Bologna, 18 marzo 2009.
Paolo Natali
30 novembre 2008.
✠ Agostino Marchetto
Sul PD
e il suo futuro
Caro direttore,
dopo aver letto gli articoli di Gianfranco Brunelli apparsi su Regno-att. 22,2008,731s e 4,2009,73ss («PD, procede la crisi» e «Dopo
il PD») sento il bisogno di esprimere qualche breve considerazione in
merito.
Le analisi critiche contenute negli articoli sono in larga misura
condivisibili e interpretano bene la delusione di tanti cittadini che
hanno creduto nel progetto dell’Ulivo e nel Partito democratico che
di quel progetto ha cercato di essere la traduzione politica.
Ciò detto tuttavia, non posso nascondere le mie perplessità sulla
mancanza di speranza e di aperture di credito in merito all’evoluzione futura che il PD può conoscere, anche tenendo conto con un po’
d’indulgenza delle attenuanti che è possibile invocare nel formulare
un giudizio e un bilancio comunque provvisorio: in particolare 15
mesi di vita sono, a mio parere, relativamente pochi rispetto alla novità e alla difficoltà di un progetto così ambizioso. Si trattava (si tratta) infatti di dare rappresentanza politica unitaria a riformismi e
idealità convergenti su molti obiettivi, ma anche segnati da diversità
profonde, soprattutto sui temi etici.
286
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
DIRETTORE RESPONSABILE
p. Lorenzo Prezzi
VICEDIRETTORE
CAPOREDATTORE PER ATTUALITÀ
Gianfranco Brunelli
CAPOREDATTORE PER DOCUMENTI
Guido Mocellin
DIREZIONE E REDAZIONE
Via Nosadella, 6 - C.P. 568
40123 Bologna
tel. 051/3392611 - fax 051/331354
www.ilregno.it
e-mail: [email protected]
ABBONAMENTI
tel. 051/4290077 - fax 051/4290099
e-mail: [email protected]
QUOTE DI ABBONAMENTO
PER L’ANNO 2009
Il Regno - attualità + documenti +
Annale 2009 - Italia € 57,00;
SEGRETARIA DI REDAZIONE
Chiara Scesa
Europa € 95,40;
Resto del mondo € 107,40.
REDAZIONE
p. Alfio Filippi (Direttore editoriale
EDB) / Gianfranco Brunelli /
Alessandra Deoriti / Maria Elisabetta
Gandolfi / p. Marcello Matté /
Guido Mocellin / p. Marcello Neri /
p. Lorenzo Prezzi / Daniela Sala /
Piero Stefani / Francesco Strazzari /
Antonio Torresin
Il Regno - attualità + documenti -
EDITORE
Centro Editoriale Dehoniano, spa
PROGETTO GRAFICO
Scoutdesign Srl
Italia € 54,00; Europa € 93,40;
Resto del mondo € 105,40.
Solo Attualità o solo Documenti Italia € 37,00; Europa € 59,30;
Resto del mondo € 64,00.
Una copia e arretrati: € 3,70.
CCP 264408 intestato a Centro
Editoriale Dehoniano.
Associato all’Unione Stampa
Periodica Italiana
Chiuso in tipografia l’8.4.2009.
Il n. 6 è stato spedito il 26.3.2009;
il n. 7 il 7.4.2009.
STAMPA
Industrie Grafiche Labanti e Nanni,
In copertina: CARLO DOLCI,
Crespellano (BO)
Registrazione del Tribunale di Bologna La Vergine del giglio (part.), 1642,
Montpellier, Musée Fabre.
N. 2237 del 24.10.1957.
Chi è oggi Maria di Màgdala?
Prima non creduta e poi dimenticata
“
IO NON
MI VERGOGNO
DEL VANGELO
“
C
erco Maria
di Màgdala
e chiedo in
giro chi l’abbia vista. Ho passato la
Quaresima in questa ricerca, motivato dall’impegno a parlarne ai giovani della XII Prefettura della diocesi di Roma: di chi sia «tipo» oggi
la discepola che Gesù aveva guarito
da sette demòni, che per prima lo
vide risorto e fu chiamata al ruolo
fondativo di darne notizia agli undici. Apostola degli apostoli, la dissero
i padri. Ma non fu creduta.
Maria di Màgdala, dalla quale
aveva scacciato sette demòni (Mc
16,9). Maria è l’umanità di oggi che
attende la liberazione da innumerevoli demòni. Ed è la Chiesa che di
quella liberazione porta le cicatrici.
Alda Merini, poetessa, si paragona a
Maria nella Lettera ai figli e si descrive – per una fase della vita – come
«impazzita di estrema lussuria».
Uno dei sette demòni che avevano
infuriato in Maria di Màgdala poteva ben essere il «dèmone della lussuria», o quello della follia. Oggi conosciamo anche quelli della bulimia e dell’anoressia e della depressione. Tutti gli impazzimenti umani
li possiamo mettere nel novero di
quei sette. Senza dimenticare i veri
diavoli. – Da quando il Signore l’aveva liberata dai demòni possiamo
immaginare che Maria ogni mattina, al risveglio, risentisse nel corpo
quella salvezza. Noi sentiamo una
salvezza?
LO SEGUIVA PER SERVIRLO
SENZA ALTRO PROGETTO
C’erano con lui i dodici e alcune
donne (…): Maria, chiamata Maddalena (…); Giovanna (…), Susanna e
molte altre, che li servivano con i loro
beni (Lc 8,1s). Non aveva un incarico, lo serviva comandata dall’amore, senza una mira o un progetto.
Sono tante oggi le donne che lo fanno senza averne l’incarico e senza
rimborso delle spese, come le catechiste. Altre si dicono atee e servono i poveri. Per loro è detto: «L’avete fatto a me».
Vi erano là anche molte donne, che
osservavano da lontano (…). Tra queste c’erano Maria di Màgdala… (Mt
27,55s). Corrono donne anche oggi
dove si portano uomini a morire. Si
avvedono per prime delle croci che
vengono alzate nel mondo.
Stavano presso la croce di Gesù (Gv
19,25). Quante volte vediamo donne che corrono dietro al camion dei
condannati. O battono con le mani
alle porte delle prigioni.
Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria (Mt 27,61). È l’ultima a lasciare
il sepolcro la sera e la prima a tornare la mattina. Oltre che dove si
serve, le Marie le troviamo nelle
strade che vanno ai cimiteri. Ne conosco una che si è fatta fioraia del
camposanto di Latina per stare vicina al figlio.
Maria di Màgdala, Maria madre
di Giacomo e Salome comprarono oli
aromatici per andare a ungerlo. (...)
vennero al sepolcro al levare del sole
(Mc 16,1s). Belle queste donne af-
faccendate e solerti. Altra volta a
mungere e a impastare. Oggi «a ungerlo», cioè a dargli l’ultima carezza. E forse insieme la prima, ché da
vivo qualcuna non aveva mai potuto
toccarlo.
Corse allora e andò da Simon Pietro
e dall’altro discepolo (Gv 20,2). Le
donne corrono sempre e spesso raccontano di essersi divertite a correre. Altre volte corrono con il cuore
in gola e dicono parole di fuoco:
«Hanno portato via il Signore dal
sepolcro» (Gv 20,2). Che magari
non sono fondate.
INFINE CORRONO GLI UOMINI MA LE
DONNE HANNO CORSO PER PRIME
Pietro allora uscì insieme all’altro
discepolo (…). Correvano insieme tutti
e due (Gv 20,3s). Infine corrono gli
uomini, magari più a lungo e più veloci. Ma dopo che le donne, sentinelle degli accadimenti, sono andate a chiamarli.
Simon Pietro (…) entrò nel sepolcro
(…). Entrò anche l’altro discepolo (…)
e vide e credette (Gv 20,6-8). Dentro
vanno gli anziani, gli apostoli, gli
uomini. Lei conosce il suo posto,
che è minore. Ma non l’abbandona
e resta sola quando gli altri cedono
alla tentazione di non credere, compresi i più titolati: I discepoli perciò se
ne tornarono di nuovo a casa (Gv
20,10).
Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva (Gv 20,11).
Chi piange accanto a un sepolcro:
questi è oggi – e sempre – Maria di
Màgdala. Donna o uomo. Ma tra
quanti corsero quel mattino di mezzo Nisan, solo di lei è detto che abbia pianto. «Appartiene al genio
della donna anche il piangere», disse papa Wojtyla.
Mentre piangeva, si chinò verso il
sepolcro e vide due angeli in bianche vesti (…). Ed essi le dissero: «Donna, per-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
287
va di Giuseppe, uno dei carabinieri
di Nassiriya –, che alla domanda su
che cosa le manchi del marito risponde: «La carne, l’essere ancora
moglie». Fermiamoci qui quanto
possiamo. Questo Maria cercava di
Gesù: «La carne».
«MARIA!»: QUESTA PAROLA
VALE TUTTO IL VANGELO
È STATA LA PRIMA A POTER DIRE
«HO VISTO IL SIGNORE»
Si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù (...).
Pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato
via tu, dimmi dove l’hai posto (Gv
20,14s). Qui ci sono quelli che non
hanno fede e dunque non vedono e
ci siamo tutti per la parte di noi che
non accetta di obbedire alla fede.
Ma sarà Maria solo chi continua a
domandare.
Gesù le disse: «Maria!». Ella si
voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!»
(Gv 20,16). «Maria!»: «Questa parola vale tutto il Vangelo» (D. BARSOTTI, Meditazioni sulle apparizioni del risorto, Queriniana, Brescia 1989, 32).
È la festa dell’umanità chiamata dallo sposo. Il risorto è un Dio vicino,
che ci chiama per nome a un rapporto di amicizia e di intimità. Entrare in questo dialogo comporta
che ognuno si collochi nella posizione della Maddalena e riscopra in
sé il desiderio femminile di aggrapparsi al Signore.
Non mi trattenere, perché non sono
ancora salito al Padre (Gv 20,17). I
pittori delle icone, Giotto e il beato
Angelico ci hanno narrato la luce di
Pasqua che splende nel giardino,
nuova a ogni occhio, e in essa la figura di Maria – rossa nel segno dell’amore – protesa a toccare il Signore splendente nella tunica bianca.
Maria qui impersona chi vorrebbe
trattenere fisicamente il risorto. O
la persona amata che ci ha lasciati.
Come Margherita Coletta – la vedo-
Va’ dai miei fratelli e di’ loro (Gv
20,17). È l’unico «vai» della Bibbia
detto a una donna, insieme all’altro
«andate» che in Matteo (28,10) il
Risorto rivolge alle donne che tornano dal sepolcro. Come già a Mosè, a Geremia; come poi agli apostoli. Ma la notizia più importante è affidata alle Marie: a dire il posto delle donne nella Chiesa c’è Maria di
Nazaret all’inizio dei Vangeli e c’è
questo mandato pasquale alla fine.
Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» (Gv 20,18). È stata la prima
a poterlo dire nella storia. Da lei è
partita una successione di testimoni
e di apostoli che è giunta fino a noi.
Ci inseriamo in essa quando ci è dato di affermare con la stessa sua
esultanza: «Io credo nel Dio di Gesù
Cristo».
Gesù apparve prima a Maria di
Màgdala (Mc 16,9). In questa primizia vi sono due segni: che per primo
appaia a una donna, e a una donna
che aveva avuto una vita tribolata. Il
Risorto non sceglie per la sua prima
manifestazione né Pietro, né Giovanni, che pure sono corsi al sepolcro e sono entrati in esso con impeto, alla sua ricerca. Ne viene un’indicazione di ciò che più conta nel
IL REGNO -
AT T UA L I T À
8/2009
“
IO NON
MI VERGOGNO
DEL VANGELO
“
288
ché piangi?». Rispose loro: «Hanno
portato via il mio Signore» (Gv 20,1113). La troviamo – questa Maria – in
chi ha perduto chi gli era caro e si
china a cercarlo in ogni dove. E non
ristà dall’interrogare inopportunamente. Parla distratta con gli angeli
che non riconosce. Si avvede che sono in «bianche vesti», certe cose
una donna le nota, ma ha in mente
solo Gesù. La nostra Maria è anche
immagine di chi cerca il Signore dove non è, tra i morti o nei miracoli
che non arrivano. Gesù non disdegna la ricerca sbagliata se è mossa
dall’amore.
seguire il Signore: forse Pietro è il
più preparato all’incontro, dopo il
rinnegamento e la corsa e forse Giovanni è il più dotato d’intuizione,
tant’è che entrando nel sepolcro
«vide e credette»; ma Maria è quella
che ama senza misura. Che ama e
basta. L’amore passa avanti a ogni
preparazione e batte anche la fede.
È in forza della prontezza ad amare
che Maria è chiamata a dare l’annuncio della risurrezione a coloro
che dovranno farsene annunciatori.
SEI MARIA QUANDO DICI IL VERO
E NON SEI CREDUTO NÉ REGISTRATO
Maria di Màgdala andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui
(…). Ma essi, udito che era vivo ed era
stato visto da lei, non credettero (Mc
16,10s). Sei Maria quando dici il vero e l’importante e non sei creduto,
donna o uomo che tu sia. Edith
Stein che scrive al papa il 12 aprile
1933 per chiedergli di parlare in difesa degli ebrei temendo «per l’immagine mondiale della Chiesa stessa, se il silenzio durerà ancora». O
Dietrich Bonhoeffer, che tre giorni
dopo propone alle Chiese evangeliche tedesche di prendere posizione
contro la legge di Hitler sul pubblico impiego, che ne escludeva gli
ebrei. Le donne secondo la legge
mosaica non potevano testimoniare
e Gesù le sceglie come prime testimoni ribaltando quella regola della
credibilità. Ma quando Paolo in
1Cor 15 redige un elenco documentale delle apparizioni del Risorto
non le nominerà. Durando ancora
l’anno paolino, possiamo vedere in
Maria le donne che tornano a essere escluse da compiti che per una
volta erano stati loro affidati con
giusta enfasi: «È la prima volta che
una donna viene posta a capo di
una delegazione papale».
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it
NB Ringrazio per gli spunti che ne ho
tratto i visitatori del mio blog, che hanno dibattuto su Maria di Màgdala: Amigoni, Clodine, Discepolo, Fabricianus, Fiorenza,
Francesco, Gerry, Gonzalo, Leopoldo, Leonardo, Lycopodium, Maioba, Mamma, Marta, Massimo, Matteo, Nicol, PLPL8, Roberto,
Savigni, TRX, Ventura.