Introduzione Nel ventennale della scomparsa Il grande trombettista

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Introduzione Nel ventennale della scomparsa Il grande trombettista
Introduzione
Nel ventennale della scomparsa
Il grande trombettista afroamericano
Il grande trombettista afroamericano Miles Dewey Davis III (1926-1991) nel ventennale della scomparsa è di
nuovo oggetto di attenzione con un libro che omaggia e
analizza un jazzman fondamentale nella storia della musica del secondo Novecento, insomma l’uomo, il trumpet
player, il compositore deceduto nel bel mezzo di un’attività creativa intensissima, l’artista che abbatte ogni barriera e tradizione, facendo compiere al jazz per lo meno
tre svolte epocali, nel 1949 il cool, nel 1958 il modale,
nel 1969 il rockjazz e non senza altre due innovative, ma
incompiute come il jazz-funk nel 1974 e il rap-jazz nel
1991.
Nel volume quindi, partendo dalle numerose pubblicazioni discografiche degli ultimissimi anni – ristampe e inediti – si ribadisce, soprattutto, che Miles Davis è un autore
genialissimo, a tutto tondo, in grado di inserirsi nelle fondamentali dinamiche della ricerca sonora del secolo appena
trascorso, fra spinte innovative e accoglienze mediali, fra ricerca avanguardista e moduli popolareggianti, fra estetica e
business.
Miles Davis dunque può essere definito un arista completo, un personaggio a 360 gradi, addirittura una figura
multimediale: infatti, oltre suonare, si dedica alla pittura e
al disegno, recita come attore al cinema e in tivù, è protagonista di video-clip, compone musica per film e per il teatro,
scrive un libro autobiografico, risulta performer nel senso
più totale della parola: azione, gesto, sguardo, mimica, silenzi, rumori, suoni.
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Il ruolo della musica
E poi nel libro si rimarca soprattutto il ruolo della musica: la tromba (e il flicorno), l’improvvisazione, la scrittura,
gli standard, i quintetti, le big band, le formazioni eterogenee, la scoperta di talenti, l’organizzazione dei gruppi, il
lavoro nelle sale d’incisione e le molte superlative esperienze
concertistiche.
Tutto questo però rientra in un volume che non ha pretese di esaustività, poiché è frutto di puzzle, assemblaggi,
idee, riflessioni. Il libro non ha nemmeno pretese di completezza in rapporto alle dosi di equilibrio tra i vari periodi e
in tal senso potrà magari apparire sbilanciato sul momento
jazzrock, che è ancora il meno studiato e per molti versi il
più singolare dell’opera davisiana.
Ma in definitiva ogni capitolo, ogni riga, pur tra l’impegnativo e l’occasionale, sono redatti sempre con l’intento
di proporre una piacevole lettura biografica attraverso un
sommo esempio di arte musicale, allo scopo di tenere vivo
l’interesse verso Miles Davis, quale musicista fondamentale
del secondo Novecento, nel ventennale della scomparsa.
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La biografia
Da Alton a Santa Monica,
via New York City
1926-1953
Miles Davis nasce il 6 maggio 1926 ad Alton nell’Illinois
da una famiglia nera benestante, manifestando interesse per
la musica fin dalle più tenera età; appena quindicenne infatti ottiene il primo ingaggio professionale suonando la tromba nei Blue Devils del misconosciuto Eddie Randall; ma la
carriera è in rapida ascesa e nel 1944 è già la seconda tromba
nella big band di Billy Eckstine, che accoglie e incoraggia i
futuri giovani boppers.
Un anno dopo Miles, su invito dei genitori, prosegue gli
studi frequentando i corsi alla prestigiosa Juillard School of
Music di New York, che rimarrà per sempre la città adottiva
e preferita; al contempo suona con i boppers di poco più
anziani nei localini sulla 52e Street. In questo modo nel
1946 entra nel quintetto di Charlie Parker e nella big band
di Benny Carter e nel 1947 compone i primi brani importanti come Donna Lee e Milestone, diventati in breve celebri
jazz standard.
Nel 1948, oltre incidere grandi 78 giri con Parker, Davis
conosce il giovane arrangiatore canadese Gil Evans, con il
quale intraprende un grande sodalizio artistico. Intanto inizia a tenere i primi concerti europei alla Salle Pleyel di Parigi
col quintetto di Tadd Dameron nel 1949, anno in cui cominciano (concludendosi all’inizio del 1950) le dodici incisioni per la Capitol note poi come The Birth Of The Cool
(raccolte poi sull’omonimo album LP del 1957, tra i primi
long seller nel jazz a 33 giri).
Tuttavia per Miles i problemi per l’uso di stupefacenti
con tentativi di disintossicazione non sortiscono l’effetto
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desiderato e per lui i tre anni tra il 1951 e il 1953 restano
forse il periodo più buio, difficile, controverso dell’intera
carriera e dell’esistenza umana. Dovrà ancora aspettare diverso tempo prima che tutti lo chiamino con il soprannome
di ‘Divino’.
1954-1967
Con la registrazione degli album Prestige, appena prima del trentennale passaggio alla Columbia, Davis rinasce
artisticamente, offrendo un personale liricissimo hard bop
soprattutto in piccole formazioni: e così è con la trionfale
esibizione al Festival di Newport (1955) e con le incisioni
dei quattro celebri album Prestige al gerundio, in quintetto
con John Coltrane (1956).
La seconda tournée europea all’insegna di Birdland ‘56 con
Bud Powell, Lester Young e il Modern Jazz Quartet consente
finalmente al pubblico italiano di ascoltare (più che conoscere) un trombettista originale e introverso (1957). Risalgono
invece al 1958 le nuove decisive collaborazioni orchestrali
con Gil Evans che producono alcuni capolavori e preludono
alla svolta modale con la pietra miliare Kind Of Blue (1959)
grazie al sodalizio con il pianista Bill Evans (al quale si deve
forse l’invenzione delle scale, dove improvvisare).
Miles torna di nuovo (1960) sul Vecchio Continente, per
diversi concerti europei, senza troppi entusiasmi; è un momento delicato: l’abbandonato di Coltrane non trova subito un degno sostituto: ma dopo svariate esperimenti con
altri sax tenori, ecco che nel 1963 Davis costituisce il nuovo
quintetto per varie tournées internazionali l’anno successivo, giungendo poi all’assetto stabile con i giovani Wayne
Shorter, Herbie Hancock, Ron Carter, Tony Williams; grazie a loro, da inchieste e referendum Miles Davis è ormai il
jazzman più popolare nel mondo (e lo sarà per i successivi
due anni), nonostante la crisi irreversibile del jazz per l’in12
comunicabilità del free e l’ascesa del rock e del pop, del soul
e del folk.
1968-1991
Anche per il ‘Divino’ arriva il Sessantotto: è l’anno delle
prime avvisaglie della cosiddetta svolta elettrica, che culminano con la registrazione nell’agosto 1969 del doppio
Bitches Brew, che venderà mezzo milione di copie. Il seguito
di Miles è fatto soprattutto da giovani hippies, come dimostrano il grande concerto al Central Park e la presenza al
megafestival all’Isle of Wight (il secondo dopo Woodstock).
Del resto le esibizioni al Fillmore (1970), il tempio della
musica rock, infiammano migliaia di capelloni, mentre nel
1973 viene fischiato al Festival Jazz di Montreux in piena
ulteriore svolta funky; mesi dopo, rifiuta una vantaggiosa
offerta dell’Atlantic, restando fedele alla CBS Columbia
(poi acquisita dalla Sony) che gli pubblica all’incirca due
album doppi all’anno.
Ma nel 1975, duramente criticato dai puristi, si ritira dalle scene ufficialmente per motivi di salute: solo più tardi si
saprà che, oltre i dolori all’anca, è strafatto dalla cocaina
che lo rende quasi inerte. Occorre un lustro per disintossicarsi, senza dare notizie di sé, fino al 1981 quando ritorna
all’attività a tempo pieno, con estrema regolarità fra dischi
e concerti; nel 1982 infatti si esibisce con successo a Roma,
ripetendo l’exploit tre anni dopo a Umbria Jazz.
Lo stile è di nuovo mutato: e Miles ora produce un popjazz con brani spesso corti, in cui non sono rari gli intensi
assolo trombettistici. Forse per questo, già nel 1983 riceve
la laurea ad honorem dalla Fisk University durante una celebrazione al Radio City Music Hall. Tre anni dopo, cambia
etichetta discografica, passando dalla Columbia alla Warner
Bros, mentre nel 1989 esce la corposa autobiografia intitolata semplicemente Miles cofirmata dallo scrittore Quincy
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Troupe; è anche l’anno in cui iniziano le autocelebrazioni
magari un po’ retrospettive, con Miles finalmente disponibile a risuonare i pezzi del passato.
Si vocifera pure di nuovi azzardati progetti, come un disco con il cantante/chitarrista Prince, ma, dopo una breve
fulminante malattia, muore a Santa Monica (California) in
ospedale, dopo due colpi apoplettici, il 28 settembre 1991.
La salma riposa al cimitero Woodlawn Cemetery nel Bronx
di New York City.
La discografia
La discografia di Miles Davis è sterminata, ma la si può
racchiudere in periodi e, tra gli album pubblicati in vita a suo
nome, partire da The Birth Of The Cool (Capitol 1949-50) e
proseguire con i vinili del periodo Prestige, ora ripubblicati
su Ojc: Dig (1951), Walkin’ (1954), Bag’s Groove (1954),
Cookin’ (1956), Relaxin’ (1956), Workin’ (1956), Steamin’
(1956). Anticipato dall’anomalo francese L’ascenseur pour
l’echafaud (Fontana 1957), il periodo del contratto con la
Columbia (o CBS Records), passata allora alla stereofonia, riguarda grosso due fasi, con lo spartiacque del rock.
Un ‘prima’ è con Miles Ahead (1957), Milestones (1958),
Porgy And Bess (1958), Kind Of Blue (1959), Sketches Of
Spain (1960), At The Carnagie Hall (1961), Miles In Antibes
(1963), Live At The Plugged Nickel (1965), E.S.P. (1965),
Miles Smiles (1966), Sorcerer (1967), Nefertiti (1967), Miles
In The Sky (1968), Filles De Kilimanjaro (1968), In A Silent
Way (1969).
Il ‘dopo’, ancora tutto Columbia, è rappresentato da
Bitches brew (1969), Jack Johnson (1970), Live-Evil (1971),
On The Corner (1972), In Concert (1973), Agharta (1975),
Pangea (1975). Anche il ritorno dopo il silenzio è in parte di
nuovo Columbia con The Man With The Horn (1981), We
Want Miles (1981), Star People (1983), Decoy (1984), You’re
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Under Arrest (1985). Il definitivo passaggio alla Warner
è sancito via via dagli eterogenei Tutu (1986), Amandla
(1989), Music From Siesta (1984), Aura (1985), The Hot
Spot (1988), Dingo (1991), Doo-Bop (1991), Miles Davis &
Quincy Jones Live At Montreux (1991). Una vita in musica,
da Alton a Santa Monica, via New York City.
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