Seneca Apokolokyntosis italiano con note

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Seneca Apokolokyntosis italiano con note
LUCIO ANNEO SENECA, Apokolokyntosis
I
I fatti che si svolsero nei cieli il tredici ottobre dell'anno di grazia 1, primo di un'era di beatitudine2, ecco
quanto voglio tramandare alla storia. Qui non si farà posto né ai risentimenti né alle simpatie. Se per caso
qualcuno domanderà come faccio a sapere le cose così precise, prima di tutto, se non mi garba, non
risponderò: e chi mi può obbligare? So pure di essere diventato un uomo libero sin da quando finì i suoi
giorni colui che aveva confermato la verità del proverbio: o si nasce re o si nasce cretino3. Se mi piacerà di
rispondere, dirò quello che mi viene alla bocca. Gli storici? Chi ha mai preteso da loro dei testimoni giurati?
E poi, se proprio bisognerà mettere avanti la fonte, domandatelo a quello che vide Drusilla salire al cielo 4: lui
vi dirà magari anche di aver visto fare a Claudio trimpellando coi suoi passetti5 quello stesso viaggio. Volere
o no, gli tocca pure di vedere tutto quello che succede in cielo; soprintende alla via Appia, che presero, lo sai,
anche Augusto e Tiberio Cesare, per andare fra gli dèi 6. Se lo domandi a lui, a quattr'occhi, te lo dirà: davanti
a più persone non si lascerà cavare una parola: perché dal giorno che in senato giurò di avere visto Drusilla
salire in cielo, e, per ringraziamento di una notizia così bella, nessuno volle credere quello che egli aveva pur
visto, proclamò solennemente che non avrebbe fatto più rivelazioni neanche se avesse visto ammazzare un
uomo nel mezzo del foro. Quanto seppi da lui allora, io ve lo riporto pari pari, per quanto mi è caro saperlo
contento e in buona salute.
II
Febo avea già con più breve cammino affrettato il suo corso 7
E delle tenebre le ore allungavano il sonno e il riposo,
E già Cinzia vedea vittoriosa più vasto il suo regno;
Squallido l'inverno strappava i doni giocondi
Dell'autunno ferace, e da Bacco, omai declinante,
Attardandosi, rari cogliea frutti il vendemmiatore.
Forse si intenderà meglio se dirò: era ottobre, il tredici del mese. L'ora non te la so dire precisa: è più facile si
trovino d'accordo due filosofi che due orologi 8; a ogni modo si era fra l'ora sesta e la settima. "Tu fai le cose
troppo alla buona per fermarti costì: tutti i poeti non si contentano di descrivere la levata e il tramonto, e
magari scomodano anche il mezzogiorno; tu passi così alla leggera su un'ora tanto fortunata?"
Ecco già Febo col carro a metà avea diviso il suo corso
E più verso la notte agitava ormai stanco le briglie,
Per l'obliquo sentiero traendo al declino la luce.
III
Claudio dispose la sua anima alla partenza, ma non trovava l'uscita. Allora Mercurio 9, che si era sempre
compiaciuto del sottile ingegno di lui, chiama in disparte una delle Parche e le dice: "Donna spietata, perché
lasci nelle pene dell'agonia quel disgraziato? Ma non avrà mai riposo da questi lunghi tormenti? Sono
sessantaquattro anni che è alle prese con la sua anima 10: perché non vuoi far piacere a lui e al suo popolo?
Lascia che abbiano ragione per una volta gli astrologi, che, da quando è diventato imperatore, non passa
1
Data vera della morte di Claudio. L’incipit è scritto in forma “classica” per le opere storiche, con evidente senso
ironico.
2
Formula tipica per indicare una nuova “età dell’oro”, anche in opere storiche: siamo alla lode di Nerone.
3
L’autore si auto-presenta; il proverbio era un tratto tipico della satira menippea e della diatriba cinica (Epistole a
Lucilio, 1).
4
Livio Gèmino, curator della Via Appia, aveva assicurato (dietro lauto compenso) di aver visto salire al cielo Drusilla,
sorella ed amante incestuosa di Caligola, da lui divinizzata dopo la morte.
5
Eneide, II, 724, con riferimento ai piccoli passi di Iulo dietro al padre Enea fuggente da Troia (sarcasmo).
6
Augusto fu deificato, ma Tiberio fu solo cremato con cerimonia solenne.
7
Nove esametri ripetuti due volte e perifrasi astronomica come era tipico di molti poeti del tempo per indicare date.
8
Frecciata ironica contro i filosofi, elemento ricorrente nella satira menippea (Varrone, Luciano).
9
Mercurio era dio della furbizia e dell’ingegnosità (ironia verso Claudio), accompagnava le anime all’Ade
(psicopompo) ed era protettore della facundia (ironia verso Claudio).
10
Probabile allusione alla morte di Didone nell’Eneide; nota era la tendenza alla malattia in Claudio.
1
anno, non passa mese, che non lo spediscano all’altro mondo 11. Però nulla di strano se non si raccapezzano e
se nessuno sa quando suona la sua ora: nessuno credeva che egli fosse mai di questo mondo. Fa’ il tuo
ufficio:
Muoia, e tu lascia che un altro al suo posto governi più degno12.
Ma Cloto: "E dire che proprio io, per Ercole – esclamò – gli volevo aggiungere qualche poco di giorni, tanto
perché desse la cittadinanza a quei tre o quattro che rimangono ancora: s'era proposto di vedere tutti in toga:
Greci, Galli, Ispani, Britanni 13. Ma, se è decretato che rimanga qualche straniero, perché non se ne perda il
seme, e tu vuoi così, sia pure". Allora apre una cassettina e mette fuori tre fusi: uno era di Augurino, uno di
Baba14, il terzo di Claudio. "Questi tre, disse, li farò morire nello spazio di un anno, a poca distanza di tempo,
e così non lo lascerò partire senza compagnia. Non è bello che uno, che finora vedeva tante migliaia di
persone al suo seguito, e tante per staffetta, e tante ai lati, si trovi a un tratto abbandonato da tutti. Si
contenterà per ora di questi tre camerati".
IV
Disse15, e sul fuso funesto i suoi stami avvolgendo,
Della stolida vita di un principe il corso troncava.
Ma Lachesi redimita le chiome, adorna i capelli,
Pierio lauro cingendo attorno alla fronte ed al crine,
Candidi fili da fiocchi simili a neve deduce
Con sicura mano volgendoli: e, mentre li trae,
Prendono nuovo colore: miran le sorelle il lavoro,
Mentre la rozza lana si muta in prezioso metallo,
Sì che secoli d'oro discendono in fulgido stame.
Elle non trovan riposo: il ricco filano vello
Liete mirandone piene le mani; sì è dolce il lavoro.
L'opera volge alacre da sé; senza alcuna fatica
Morbidi stami si allungano giù dal fuso che gira:
Vincono di Titòno l’età, di Nèstore gli anni
Febo vicino seconda col canto e gioisce ai presagi,
E sereno ora muove il suo plettro, ora porge la lana:
Col canto le avvince, dimentiche della fatica:
Mentre alla cetra e al canto fraterno indugian le lodi,
Più del solito filan le mani, ed i fati mortali
L'opra ammirata trascende. "Parche, non recidete"
Febo ammonisce: "di ogni mortal vita superi il corso
Quei che a me simile è nel sembiante, e pari di grazia,
E nella cetra e nel canto non cede. Beati ai mortali
Ridarà gli anni, romperà delle leggi il silenzio 16.
Quale Lucifero sperde la luce degli astri cadenti,
quale Espero sorge annunciando il ritorno degli astri,
Quale, al primo svanir delle tenebre, Aurora la luce
Rosseggiando diffonde, e il sole saluta la terra
Fulgido, e in corsa il suo cocchio avventa fuor dalle sbarre,
Tale Cesare appare, tale fra poco Nerone
Roma saluterà. Mite raggia chiarore di luce
Dal volto, dal collo cui adornan le chiome fluendo".
11
Stoccata contro gli astrologi, tipica della diatriba cinica.
Georgiche, IV, 90: l’apicoltore deve scacciare col fuoco il fuco peggiore affinché il migliore rimanga (Nerone).
13
Pungente battuta contro la disinvoltura con cui Claudio concedeva la cittadinanza ai provinciali.
14
Trio della “zucconeria”. Chi siano Augurino e Baba nessuno lo sa; Baba forse sta per indicare un babbeo qualunque,
uno stolto; ricorre anche in Epistole a Lucilio, 15,9.
15
Haec ait: tipica formula di passaggio. Iniziano, infatti, le laudes Neronis.
16
L’avvento di Nerone aveva fatto sperare gli intellettuali in un riequilibrio tra potere imperiale e senatorio, con una
conseguente “rinascita” della libertà di parola.
12
2
Così Apollo; e Lachesi, già propizia verso l'uomo sì bello, lo accontentò largamente donando a Nerone
ancora molti anni per suo conto. A Claudio tutti gridano,
Con lieti evviva, che da casa il seguano17.
Ed egli intanto esalò il fiato come da una bolla, e da allora finì di parer vivo. Spirò mentre assisteva a una
commedia: tanto perché tu sappia che ho le mie ragioni di guardarmi dagli attori. L'ultima frase che di lui si
udì nel mondo, dopo che ebbe lasciato partire un suono più forte del solito da quella parte con la quale si
esprimeva con maggior facilità, fu questa: "Povero me, forse me la son fatta addosso". Se l'avesse fatta, non
lo so; certo è che egli ha sempre scacazzato dappertutto 18.
V
Quel che successe poi sulla terra è superfluo riferirlo. Lo sapete benissimo, e non c'è pericolo che esca di
mente quello che la gioia popolare ha segnato bene nella memoria: nessuno si dimentica della propria
felicità. Sentite piuttosto quello che accadde in cielo: la conferma la troverete nella mia fonte.
Annunciano a Giove l'arrivo di un personaggio di statura discreta, e discretamente imbiancato: doveva avere
chi sa che brutte intenzioni, perché tentennava continuamente la testa; strascicava il piede destro. Gli
avevano domandato di che paese fosse, e lui aveva borbottato qualcosa con suoni inarticolati e indistinti; ma
la sua lingua non la capivano: non era né greco né romano, né di altro paese conosciuto 19. Allora Giove
chiama Ercole, che aveva girato il mondo in lungo e in largo e doveva conoscere tutti i popoli, e gli dice di
andar lui e veder di scoprire di che razza fosse. Ercole, al primo vederlo, ne ebbe sgomento, accorgendosi
che ancora non aveva finito di avere a che fare coi mostri. Appena si trovò davanti quel ceffo di nuovo
stampo, quel modo di camminare strano, quella voce che non era di animale terrestre, ma come quella dei
mostri marini, cavernosa e cincischiata, ebbe paura che fosse venuta la sua tredicesima fatica 20. Guardandolo
poi più attentamente, ci trovò una parvenza di uomo. Allora gli si avvicinò e, cosa molto facile per un
greculo, lo apostrofò in greco:
Chi, d'onde sei? dove mai a te sono patria e famiglia? 21
Claudio si sente allargare il cuore, che ci siano là dei classicisti, e spera di trovare accoglienza per le sue
storie22. Allora, volendo indicare, con un verso omerico anche lui, di essere Cesare, rispose:
L'aure da Troia ai Cìconi trasportando m'han spinto23.
Più vero sarebbe stato il verso seguente, non meno omerico:
Là per me la città fu distrutta, e perduta coi suoi.
VI
E l'aveva data a bere a Ercole, che non è punto malizioso, se là non ci fosse stata la Febbre, che sola era
venuta con lui, lasciando il proprio tempio: tutti gli altri dèi erano rimasti a Roma. "Costui – disse – ti
racconta frottole belle e buone. Te lo dico io, che son vissuta tanti anni con lui: è nato a Lione 24: ti presento
un concittadino di Planco25. Ti ripeto, è nato a sedici miglia da Vienna 26, è un Gallo di razza. E così, da buon
Gallo, si impadronì di Roma. Costui ti garantisco che è nato a Lione, proprio dove regnò tanti anni Licino.
Tu che hai battuto più contrade d’un mulattiere di professione, devi conoscere quelli di Lione e sapere che
17
Con liete parole lo accompagnino fuori di casa da Euripide, Cresphontes; si intende che tutto il popolo romano lo
veda andarsene (Claudio) per sempre, gioendo.
18
La scoreggia allude ad un difetto che in molti attribuivano a Claudio; anche Trimalcione lo aveva e permetteva simili
rumori alla sua tavola (Satyricon, 47, 4-67). Svetonio (Claudio, 32) afferma che Claudio addirittura avesse emesso un
editto per permettere l’emissione di flatulenze e rumori vari durante i banchetti. Qualcuno addirittura pensa che il passo
alluderebbe all’uscita dell’anima dal corpo di Claudio, transitando rumorosamente per l’ano.
19
In questo, come in altri passi dell'opera, Seneca allude ai numerosi difetti fisici che affliggevano l'imperatore Claudio,
il quale, contrariamente a quello che si pensava, era perfettamente sano di mente, ma probabilmente spastico.
20
Nella satira menippea la degradazione umoristica della divinità doveva occupare un posto non secondario.
21
Odissea, I, 170 e, il seguente, I, 171.
22
Di Claudio, che parlava correntemente il greco, si ha notizia di varie opere: una storia etrusca, una cartaginese, una
romana, un trattato sui dadi (per contrappasso alla fine dell’Apokolokyntosis nella passione per i dadi sarebbe dovuta
consistere la sua pena).
23
Ancora dall’Odissea, IX, 39 e IX, 40 il seguente.
24
L’antica Lugudunum, ove Claudio nacque nel 10 a. C., quando sua madre Antonia era al seguito del marito Druso,
impegnato nella campagna contro i Germani.
25
L. Munazio Planco, legato di Cesare, aveva fondato la colonia di Lione nel 43 a.C. Più sotto è ricordato Licino, un
Gallo liberto di Cesare, procuratore della Gallia sotto Augusto.
26
L’attuale Vienne.
3
dallo Xanto al Rodano ci corrono molte miglia". A questo punto Claudio piglia fuoco e si sfoga facendo più
chiasso che può. Che cosa dicesse, non lo capiva nessuno; ma intanto lui voleva che mettessero a morte la
Febbre, con quel suo gesto della mano tremolante, abbastanza ferma soltanto per il cenno con cui mandava la
gente al taglio della testa. L'ordine di mozzarle il collo lo aveva dato; ma si sarebbe detto che lì fossero tutti
liberti suoi, tanto nessuno gli dava retta 27.
VII
"Ascoltami, tu – disse allora Ercole – e smettila di dare in ismanie. Tu sei in un paese dove i topi rodono il
ferro28. Presto, qua la verità, se non vuoi che ti faccia passare io codeste frenesie". E, per fargli più paura,
prende una posa da attore tragico e declama:
"Di' fuori, presto, da qual terra hai origine,
Che questa clava non ti stenda esanime:
Già molti re più volte uccisi barbari,
Che cosa dunque ciangottando brontoli?
Fra quali genti crebbe il capo tremulo?
Racconta. I regni io già del re trigemino29
Lontano visitando, dall'Esperia
Per trarre il gregge nobile ad Inachia,
Sovra due fiumi vidi costa pendere
Che il raggio mattutin di Febo visita.
Veloce la lambisce il grande Rodano,
E l'Arar, con il corso suo volubile,
Le rive bagna ristagnando tacito.
È quella terra di tua vita pascolo?"
Queste parole le pronunciò abbastanza deciso e ardito; eppure non era proprio sicuro di sé, e si aspettava
sempre i "fulmini dell'indemoniato". Claudio, vedendosi davanti quella figura massiccia, lascia da parte le
ciancie e capisce che, se a Roma nessuno ce la poteva con lui, lì era altro affare, e non ci aveva lo stesso
potere. Un gallo è padrone solo nel suo letamaio. Allora, per quanto si poté capire, parve dicesse così: "Io
speravo in te, fortissimo Ercole, che saresti stato dalla mia parte al cospetto degli altri, e, se mi avessero
chiesto chi mi presentasse, avrei fatto il nome tuo, che mi conosci meglio degli altri. Perché, se vedi di
ricordare, ero io quello che a Tivoli davanti al tuo tempio rendeva giustizia per giornate intere nei mesi di
luglio e di agosto30. Lo sai tu se ho raccattato poche meschinità a sentire quei causidici giorno e notte: se ci
fossi capitato tu, crediti bravo quanto vuoi, ma avresti preferito ripulire le stalle di Augia: ché ho spazzato
più letame io di te. Ma poiché voglio... [lacuna nel testo]
VIII
..."Nulla di strano se ti sei intruso nella curia: per te non c'è sbarramento che tenga 31. Dicci almeno quale dio
vuoi che facciamo di costui. Un "dio epicureo" non è possibile: quello non si prende cura di nulla, e non dà
27
La battuta allude al fatto che Claudio era completamente in balia dei liberti (oltre che delle donne); in particolare
Narciso, ricordato in seguito.
28
Espressione proverbiale già in greco; Antigono, nei Mirabilia, 18, identifica questo luogo con l’isola di Giaro, nelle
Cicladi, i cui abitanti sarebbero stati scacciati dai topi (Plinio, Storia naturale, 8, 222); inoltre Giaro era un noto posto di
confino per esiliati, utilizzato anche da Claudio, a quanto pare...
29
Si allude alla fatica di Ercole in base alla quale condusse i buoi di Gerione trimembre dall’isola di Eritrea, nel golfo di
Cadige, a Micene, presso il re Euristeo; nel viaggio di ritorno attraversò la Gallia e fondò Alesia.
30
I tribunali erano in ferie in luglio e per buona parte di agosto, ma Claudio evidentemente continuava ad occuparsi
della “sua” giustizia anche in quel periodo. Da ricordare che a Tivoli c’era un tempio dedicato ad Ercole in cui anche
Augusto, secondo Svetonio (Augusto, 72), era solito amministrare la giustizia; Tivoli era anche un luogo di riposo
estivo per i romani.
31
Siamo in presenza di una lacuna certa; ciò che si può ipotizzare con buona approssimazione è che Ercole sia entrato
nel concilio degli dei con la solita irruenza, portando con sé Claudio il quale deve aver convinto in qualche modo l’eroe
a perorare la causa della sua divinizzazione. Chi parla, invece, è, da quello che si può capire, un dio che perora la causa
opposta.
4
brighe agli altri32. Stoico? E come potrebbe essere rotondo, come dice Varrone, senza capo né prepuzio?
Anzi, ora che ci penso, qualcosa ce l'ha del dio stoico: non ha né capo né cervello 33. Per Ercole, se anche
avesse chiesto a Saturno questo favore, lui che festeggiava il suo mese tutto l'anno, vero principe di tutte le
feste, non l'avrebbe ottenuto 34; figuratevi poi da Giove che, per quanto dipese da lui, dichiarò reo di incesto.
Non mise a morte infatti Silano, suo genero, ...[lacuna nel testo] di grazia, perché? Perché a sua sorella, la
più carina delle ragazze, che chiamavano Venere, preferì dare il titolo di Giunone 35. Perché, dice, vorrei
saperlo, perché proprio la sorella? Ignorante, va a imparare: a Atene è lecito per la metà, a Alessandria tutto.
Siccome a Roma, racconta lui, i topi si contentano di leccare le macine, costui pretende di venir qui a farci da
maestro. Non sa quel che accade nel suo talamo, e ancora ficca gli occhi negli spazi celesti? 36. Vuol
diventare un dio; non gli basta di avere un tempio in Britannia, né che ora i barbari lo venerino e gli levino
preghiere come a un Dio, per propiziarsi lo stolto"37.
IX
Alla fine Giove si sovvenne che neppure per gli dèi è regola fare proposte finché persone estranee sono
presenti dentro la Curia: "Io, disse, padri coscritti, vi avevo dato di facoltà di interloquire, ma voi mi avete
fatto addirittura una fiera. Voglio che osserviate le regole della Curia. Costui, chiunque sarà, che concetto
può farsi di noi?"38. Allora lo congedano, e per primo ha la parola Giano padre 39. Egli era stato designato per
le calende di luglio console del pomeriggio, uno che sempre guarda a un tempo dinanzi e dietro a sé40... dove
gli arriva la vista. Parlò a lungo e con foga da persona che vive nel Foro, e lo stenografo non riuscì a tenergli
dietro; perciò non riporto le sue parole, per non doverle parafrasare 41. Parlò a lungo della maestà degli dèi;
non era un onore da concedersi a tutti. "Una volta, concluse, non era cosa da ridere diventare un dio; ma ora
ne avete fatto il mimo della Fava42. E allora, per non aver l'aria di parlare più per una questione di persona
32
La definizione del dio epicureo è del tutto rispondente a quella classica (Cicerone, La natura divina, 1, 17, 45).
La caricatura del dio stoico identificato con l’universo sferico (rotundus) doveva risalire ad una menippea di Varrone.
Da ricordare che tale oggettivo denota non solo il dio stoico, ma anche il sapiens in Orazio (Satire, 2,7,86). Tuttavia
rotundus è un epiteto anche della zucca, come dice Plinio (Storia naturale, 19, 61): pertanto il doppio senso riferito a
quello “zuccone” di Claudio è feroce.
34
Claudio estese le celebrazioni dei Saturnali (il nostro Carnevale) da un solo giorno (il 17 dicembre) a cinque giorni.
35
Claudio nel 48 d.C. aveva costretto al suicidio L. Giunio Silano Torquato, fidanzato di sua figlia Ottavia, con la falsa
accusa di incesto: avrebbe avuto rapporti con la sorella, Giunia Calvina. Il riferimento maluit Iunonem vocare si
riferisce nel testo a Silano, ma l’accusa di incesto vale anche per Giove, poiché Giunone era sì sua moglie, ma anche
sua sorella!
36
L’ignoto dio che sta parlando sta dicendo questo, a quanto si può capire dal testo: certe pratiche incestuose sono
parzialmente permesse ad Atene (dove era possibile il matrimonio tra figli dello stesso padre), del tutto permesse in
Alessandria (dove era possibile il matrimonio anche tra figli della stessa madre), mentre erano proibite a Roma, dove i
topi si contentano di leccare le macine, cioè si debbono accontentare delle briciole, in quanto bisognava limitarsi a certe
unioni tra parenti. Ma se è vero, come è vero, che Claudio aveva sposato sua nipote Agrippina, come può costui, si
chiede il dio, venire a fare delle prediche agli dei, come nel caso di Giove e Giunone? Il verso è una citazione
dall’Iphigenia di Ennio.
37
La citazione è una formula greca di preghiera; un tempio a Claudio era stato eretto davvero in Inghilterra (Tacito,
Annali, 14, 31).
38
Il concilio degli dei è del tutto modellato su una adunata del senato romano: ne è ripresa anche la terminologia
specifica (patres conscripti, disputare, sententiam dicere).
39
Come nel senato romano, saranno tre i patres a parlare. Il primo è Ianus, dio indigeno romano, il dio dell’inizio (cfr.
Ianuarius e ianua) e consul designatus (come Diespiter), cioè console eletto ma in attesa di entrare in carica e, pertanto,
avente diritto a parlare per primo. Durante l’impero i consoli erano designati direttamente dall’imperatore, non più eletti
dai comizi centuriati, e duravano in carica pochissimo, da due a quattro mesi. La satira colpisce questa situazione di
sbilanciamento di potere a favore dell’imperatore e si fa più feroce se si pensa che, come detto prima, dal primo luglio
fino a buona parte di agosto la giustizia non era amministrata e, inoltre, se si tiene presente che a Roma il riposo
pomeridiano era rituale per le classi dirigenti!
40
Classica raffigurazione di Ianus bifrons; il verso è tratto dall’Iliade, III, 109.
41
Un’altra stoccata agli storici ufficiali, che ricorrevano normalmente a parafrasi anche quando disponevano dei testi
originali. Nulla toglie che immediatamente dopo il narratore, secondo perfetto procedimento stilistico della storiografia,
riferisca le parole del dio con un discorso diretto, preceduto da una frase in stile indiretto.
42
Questa espressione si ritrova anche in ul lettera di Cicerone (ad Attico, 1, 1613); che cosa significa questo mino di
impossibile identificazione? O si fa riferimento al cibo, visto che poco dopo si propone di escludere chi mangia cibo
terrestre da qualsiasi forma di deificazione; oppure, essendo la fava, nella cultura popolare romana, legata alla morte,
cioè a spiriti e spettri (le Larve, spiriti maligni), si vuol dire che Claudio, anziché l’apoteosi, dovrebbe ricevere una vita
dopo la morte assai penosa e fra le infime della cultura romana.
33
5
che di principio, propongo: da oggi in poi nessuno sarà divinizzato di coloro che mangiano i frutti della terra
o di coloro che nutre la terra prodiga di messi 43. Chiunque, violando questo senatoconsulto, sarà divinizzato
e dipinto o scolpito in effigie divina, si decide che sarà consegnato agli spiriti, e nel prossimo spettacolo di
gladiatori sarà frustato a dovere insieme coi nuovi arruolati". Subito dopo si dà la parola a Dièspiter, figlio di
Vica Pota, console designato anche lui 44. Era un piccolo cambiavalute; ma campava la vita con un altro
mestiere: vendeva cittadinanze da poco prezzo. Gli si accostò con bel garbo Ercole, e gli toccò l'orecchio.
Quello allora avanzò la sua proposta in questi termini: "Considerato che il divo Claudio ha legami di sangue
anche col divo Augusto, nonché con la diva Augusta sua ava, che egli stesso volle divinizzata 45; che egli
supera di gran lunga per saggezza tutti i mortali; che infine è nel pubblico interesse vi sia qualcuno in grado
di mangiar le rape bollite con Romolo, propongo che il divo Claudio, a partire da oggi, sia una divinità, con
le clausole di chi prima di lui lo è stato di pieno diritto, e che questa decisione sia inserita nelle Metamorfosi
di Ovidio"46. I pareri erano discordi; ma sembrava che Claudio riportasse più voti: perché Ercole, vedendo in
giuoco gli affari suoi, si affannava a correre di qua e di là e diceva a tutti: "Non negarmi un favore; è per me
una questione personale; un'altra volta, se tu avrai bisogno di qualcosa, ti ricambierò: si sa, una mano lava
l'altra".
X
Quindi si levò a parlare, secondo il turno, il divo Augusto; e svolse la sua tesi con impareggiabile
eloquenza47. "Padri coscritti, disse, voi mi siete testimoni che, da quando fui divinizzato, non ho mai aperto
bocca: sempre bado ai fatti miei. Ma ora non posso più seguitare a far conto di niente, e frenare il cruccio,
che il mio ritegno renderebbe più acuto che mai. Per questo assicurai la pace sulla terra e sui mari? Per
questo soffocai le guerre civili? Per questo consolidai Roma con i miei ordinamenti, la abbellii di opere
pubbliche, perché poi... Padri coscritti, non so neppure io che cosa dire: qualunque parola è poco per il mio
sdegno: non mi resta che ricorrere al celebre detto di Messala Corvino, uomo di alta eloquenza: “Ho
vergogna del potere”. Costui, padri coscritti, che a voi sembra incapace di dar noia a una mosca, ammazzava
la gente con la stessa disinvoltura con cui un cane si divorerebbe una trippa. Ma a che pro ricordare tante e
così illustri vittime? Non ha tempo per piangere le sventure della patria chi guarda ai lutti domestici. Perciò
lascerò da parte le une, e parlerò di questi altri; perché, anche se mia sorella non sa il greco, io lo so: il
ginocchio è più vicino del polpaccio48. Costui, eccolo là, dopo essersi riparato per tanti anni all’ombra del
mio nome, mi ha ricompensato facendo morire due Giulie mie pronipoti, una di spada l'altra di fame 49, e poi
un pronipote, L. Silano: e vedi tu, Giove, se era dalla parte del torto; per lo meno era dalla tua, a esser
giusti50. Dimmi, divo Claudio, perché ognuno di quelle o di quelli che tu hai messo a morte l'hai condannato
prima di imbastire un processo, prima di sentirne le ragioni? Dove usa così? In cielo, no.
XI
43
Due citazioni omeriche, riscontrabili in vari passi dell’Iliade e dell’Odissea.
Antica divinità locale, dio del giorno e della luce (cfr. dies); Vica Pota, divinità di difficile identificazione, spesso
invocata come dea della vittoria, anche se qui è certamente associabile nel nome ad attività di lucro (forse da da vivo e
poto, cioè mangio e bevo), forse a intendere che Diespiter perora la causa di Claudio per interesse personale: vendeva
cittadinanze romane!
45
Antonia Minore, madre di Claudio, era figlia di Ottavia, figlia di Augusto e moglie di Marco Antonio. Nerone
Claudio Druso, padre di Claudio, era figlio del primo matrimonio di Livia, che in seguito sposò Augusto, che la chiamo
Iulia Augusta dopo averla adottata nella gens Iulia.
46
“mangiar le rape bollite” è un emistichio forse di Lucilio, che, applicato al dio Romolo, indica il permanere in costui
di usi e modi di mangiare umani (cfr. quello detto prima sui cibi degli umani e sulla divinizzazione!); il verbo popolare
vorare del testo latino assimila Claudio a Romolo nella loro avidità. Nel poema di Ovidio venivano celebrate l’apoteosi
di Romolo (XIV, 816 sgg.), di Giulio Cesare (XV, 745 sgg.) e preannunciate quelle di Augusto (XV, 868 sgg.).
47
Il discorso di Augusto è modellato sia sullo stile delle Res gestae, sia sullo stile delle sue orazioni, che non
disdegnavano frasi proverbiali e popolari (Svetonio, Augusto, 87).
48
Noto proverbio greco, rispondente al latino tunica proprior palliost (Plauto, Le tre dracme, 1154). Il testo latino soror
dovrebbe essere emendato in sura, cioè polpaccio, altrimenti il testo non dà un senso coerente, il quale senso dovrebbe
essere il seguente: ”anche se il mio polpaccio non sa il greco, lo so io: il ginocchio è più vicino del polpaccio; fuor di
metafora, mi fa male il polpaccio, ma il ginocchio mi duole di più ed è più vicino”.
49
Una era Giulia, figlia di Druso (figlio di Tiberio); la seconda era Giulia Livilla, figlia di Germanico (figlio adottivo di
Tiberio), la quale fu accusata di adulterio con Seneca, esiliata nel 41 d. C. e lasciata morire.
50
L. Silano, già ricordato in VIII, 2, era bisnipote di Giulia, figlia di Augusto. Si riprende l’accusa di incesto, che, come
visto, aveva coinvolto indirettamente anche Giove.
44
6
Hai qui il caso di Giove che regna da tanti secoli: solo a Vulcano ruppe una gamba quando
Préselo e giù per un piè lo sbalzò dalle soglie celesti 51.
Si infuriò anche con la moglie, e la sollevò in aria: ma che forse li ammazzò? Tu invece Messalina l'hai
uccisa; ed io ero il suo prozio come il tuo 52. 'Non ne seppi nulla' dici tu. Gli dèi ti mandino il malanno:
peggio ancora se non lo sapevi, che d'averla ammazzata. Ebbe sempre di mira G. Cesare anche dopo morto.
Quello aveva ucciso il suocero? E lui anche il genero 53. Gaio non volle che il figlio di Crasso fosse chiamato
Magno? E lui gli rese il titolo, ma gli tolse la vita 54. In una famiglia sola tolse di mezzo Crasso, Magno,
Scribonia55: tutta gente da conio, ma sempre nobili: Crasso poi, da quanto era stolto, avrebbe potuto anche
governare. E di costui volete fare un dio? Guardate il suo fisico, se non è nato in odio agli dèi. Basta: dica tre
parole tutte di fila, e mi lascio portar via come schiavo 56. Un dio come questo, chi gli presterà un culto, chi si
affiderà a lui? Finché create di questi dèi, nessuno riconoscerà la divinità vostra. Concludo, padri coscritti: se
ho tenuto in mezzo a voi una condotta onorata, se a nessuno ho mai dato responsi troppo rigorosi, allontanate
da me quest'affronto. La mia proposta, secondo le ragioni addotte, è la seguente". E lesse da una tavoletta:
"Considerato che il divo Claudio ha ucciso il suocero suo Appio Silano 57, i due generi Magno Pompeo e L.
Silano, il suocero di sua figlia Crasso Frugi, uno che gli somigliava come si somigliano due gocce d'acqua,
Scribonia suocera di sua figlia, sua moglie Messalina e tutti gli altri che non si possono contare, è mio avviso
che si proceda contro di lui severamente, e non gli si dia facoltà di esser giudicato, e sia anzi tratto fuori al
più presto, e esca dai cieli entro trenta giorni, dall'Olimpo entro tre giorni" 58.
Questa proposta fu approvata "per divisione" 59. Senza indugio il Cillenio60 lo afferra per il collo fino a
torcerglielo e lo trascina agli inferi.
Donde, dicono, non tornò nessuno61.
XII
Mentre scendono la via Sacra, Mercurio chiede che significasse quell’assembramento: che fosse il funerale
di Claudio? Era il più splendido che mai si fosse visto, e poi curato con tutte le regole: si capiva bene che era
il funerale di un dio. Tanta era la folla dei flautisti, dei corni, di ogni genere di strumenti, e tanto il frastuono,
che persino Claudio lo poteva sentire. Tutti allegri, tutti in festa: il popolo romano andava avanti e indietro
come chi è libero. Agatone e pochi cavalocchi piangevano, ma di cuore, si vedeva bene. I giureconsulti
avanzavano dai loro rifugi, pallidi, rifiniti, reggendo l'anima coi denti: proprio gente che ricominciava allora
a vivere! Uno di questi, vedendo gli azzeccagarbugli riuniti a conciliabolo piangere la loro sorte, s'accostò
esclamando: "Ve lo dicevo io; non tutti i giorni è festa". Claudio, a vedere il suo funerale, capì di esser
morto, perché un grande coro intonava solennemente un inno funebre in anapesti 62:
51
Iliade, I, 591.
Valeria Messalina, figlia di M. Valerio Messala Barbato e Domizia Lepida, era pronipote di Augusto per linea
materna, mentre Claudio era nipote di Augusto.
53
Cesare è l’imperatore Caligola, la cui memoria Claudio cercò in tutti i modi di cancellare. Caligola aveva fatto
uccidere M. Giunio Silano, suo suocero, cioè padre di sua moglie Giulia Claudilla; mentre Claudio non si limitò al
suocero Appio Silano, ma fece uccidere anche il suo promesso genero (che avrebbe dovuto sposare, ripeto, Ottavia).
54
Caligola aveva tolto il titolo di Magno a Gaio Pompeo, figlio di M. Licinio Crasso Frugi, console nel 27 d. C. e
Claudio, di cui Pompeo era genero (avendo sposato sua figlia Antonia), gli restituì il titolo, ma lo fece uccidere nel 47.
55
M. Licinio Crasso Frugi (vdi n. precedente), sua moglie Scribonia e il loro figlio Magno Gaio Pompeo (v. nota
precedente).
56
Battuta oltremodo sarcastica: le tre parole sono certamente hic meus est, cioè costui è mio, ed era la frase con cui si
prendeva possesso di uno schiavo.
57
In verità costui era il patrigno di Messalina, avendo sposato Domizia Lepida dopo che questa ebbe Messalina.
58
Si ricalcano qui i decreti di esilio romani ai tempi dell’impero: basta sostituire a cieli Italia e ad Olimpo Roma.
59
La traduzione corretta è: si alzarono e si radunarono vicino ad Augusto. Nel senato la descessio era il voto favorevole
espresso con il proprio spostamento verso colui con il quale si era d’accordo.
60
Mercurio è detto Cillenio per via del fatto che era nato sul monte Cyllene, in Arcadia. Qui è psicompompo, cioè
accompagna le anime all’Ade.
61
Citazione da Catullo, 3, 11-12. Tuttavia in Catullo il riferimento è al locus tenebrosus, cioè l’Ade; qui, invece, il
locus a cui Claudio non farà più ritorno è il cielo degli dei, con sottile ironia.
62
La nenia del testo latino era un canto funebre di elogio accompagnato da lire e flauti. Facendo il verso ai panegirici
regali, il narratore celebra le imprese belliche (vv. 1-18) e quelle di pace (vv. 19-26), forzando a volte la verità storica
per magnificare l’imperatore. Se non che gli ultimi versi (27-31) scoprono l’ironia che pervade tutto il brano.
52
7
Spargete lacrime,
Impose; ed anco
Battete i petti;
Tremò l’Oceano
Triste risuoni
Sotto la scure
Grido nel Foro:
Di nuove leggi.
È morto un uomo
Piangete il grande,
Di grande mente:
Che più di tutti
Altri non v'ebbe
Sapeva presto
in tutto il mondo
Studiar le cause,
Di lui più prode.
Una ascoltando
Egli veloce
Delle due parti,
Vinceva in corsa
Spesso nessuna.
Tutti i veloci;
Ora qual giudice
I Parti indocili
Per tutto un anno
Sapea fugare;
Liti udirà?
Agili i dardi
A te già lascia
Dietro al Persiano,
Il proprio scanno
Salda la mano
Quegli che è giudice
Nel tirar d'arco;
Nei regni taciti,
Pronto a trafiggere
Signor di cento
Con lieve colpo
Città cretesi.
L'oste ruinante,
Battete il petto
E ai Medi in rotta
Con palme afflitte,
Le pinte terga.
O causidici,
Egli ai Britanni
Razza venale:
Di là dai lidi
E voi piangete,
Del noto mare,
Moderni vati;
Ed a' Briganti,
Ma voi per primi,
Scudi bruniti,
Che raccoglieste,
Il collo porgere
Gettando i dadi,
Di Roma al giogo
Grossi guadagni.
XIII
Claudio si compiaceva di quelle lodi tutte per lui, e voleva restare là a godersi ancora lo spettacolo. Il
Taltibio63 degli dèi gli mette una mano addosso e lo trascina via a capo coperto, perché nessuno possa
riconoscerlo, attraverso il Campo Marzio, e fra il Tevere e la via Coperta discende agli Inferi 64. Già lo aveva
preceduto, per una scorciatoia, il liberto Narcisso per far gli onori di casa al suo padrone: al suo arrivo gli si
fa incontro tutto lindo, uscito com'era dal bagno, e esclamò: "Che vengono a fare gli dèi fra gli uomini?" 65.
"Fa' presto, lo interruppe Mercurio, e annuncia il nostro arrivo". In meno che non si dica Narciso prende la
rincorsa. La strada è tutta in discesa, si va giù che è un piacere 66: tanto che, anche con la sua gotta, in un
momento Claudio si trovò alla porta di Dite, dove se ne stava sdraiato Cerbero, o, come lo chiama Orazio, la
fiera dalle cento teste67. Rimane un attimo sconcertato (lui aveva sempre avuto fra i suoi spassi un cagnolino
bianco) appena si vede davanti quel cagnaccio nero e peloso (certo non ti piacerebbe che ti si parasse dinanzi
al buio), e si dà a gridare a squarciagola: "Arriva Claudio!". Avanzano allora gli altri fra gli applausi: "Lo
Somiglianze notevoli tra questi versi (sia stilistiche, sia metriche che lessicali) in dimetri anapestici e alcuni cori delle
tragedie di Seneca.
63
Costui, nell’Iliade, era il nunzio di Agamennone (I, 320-1); qui è riferito a Mercurio.
64
Uno degli accessi all’Ade si trovava, secondo i Romani, in un’ansa paludosa alle porte di Roma, in un punto chiamato
Tarentum, ove esistevano fenomeni di origine vulcanica (Valerio Massimo, Fatti e detti memorabili, 2, 4, 5).
65
Questo Narcisso – la cui battuta era proverbiale in greco ed ha funzione ironica verso che non sarà mai un dio – era il
segretario particolare di Claudio, personaggio assai influente a corte. Quando morì Claudio, su consiglio di Agrippina,
si trovava a Sinuessa, in Campania, a godere di cure termali per curare la sua gotta; tuttavia la stessa Agrippina gli fece
giungere in brevissimo tempo l’ordine di suicidarsi. Ecco perché è pulito e appena uscito dal bagno!
66
Eneide, VI, 126: facilis denscensus Averno, dove l’ironia della citazione è feroce e palese, anche perché lo stesso
Claudio si era vantato di essere un discendente di Enea...
67
Odi, II, 13, 33; la tradizione gliene attribuiva solo tre (Virgilio).
8
abbiamo ritrovato; facciamo festa" 68. C'era C. Silio, console designato, Giunco ex pretore, Sex. Traulo, M.
Elvio, Trogo, Cotta, Vezio Valente, Fabio, tutti cavalieri romani che Narcisso aveva mandato al supplizio 69.
In mezzo a quella folla berciante c'era il pantomimo Mnestere, di cui Claudio, a titolo di distinzione, aveva
fatto un trastullo di Messalina70. In un momento si sparge la notizia della venuta di Claudio: primi di tutti
arrivano di carriera i liberti Polibio, Mirone, Arpocrate, Anfeo, Feronatto, tutta gente che Claudio aveva
mandato avanti per non trovarsi in nessun luogo senza i dovuti preparativi 71; poi i due prefetti Catonio e
Rufrio Pollione72, poi gli amici Saturnino, Pedone Pompeo, Lupo, Celere Asinio, uomini di rango
consolare73; in ultimo la figlia del fratello 74, la figlia della sorella75, generi76, suoceri77, suocere78, tutti gli
stretti parenti insomma; e in fila serrata vanno incontro a Claudio. A vederli, questi esclama: "Tutti amici
qui! Come ci siete venuti?". Allora Pedone Pompeo: "Che cosa dici, mostro crudele? In che modo? E ce lo
domandi? Chi altri ci ha mandato che tu, l'assassino di tutti gli amici? Andiamo in giudizio: ti farò vedere io
che tribunali son qui!".
XIV
Lo condusse così al tribunale di Eaco. Questi teneva appunto i processi secondo la legge Cornelia
sull’omicidio79. Gli chiede che inscriva a ruolo la causa contro Claudio e presenta il testo dell'accusa:
"Trentacinque senatori uccisi, duecentoventuno cavalieri romani, e poi tutti gli altri quanti son grani di
polvere e sabbia80". Claudio non trova un cane che lo difenda: finalmente si fa avanti P. Petronio, suo
vecchio compare, uomo esperto nel linguaggio di Claudio, e chiede del tempo per preparare la difesa 81. Non
gli è concesso. Sostiene l’accusa Pedone Pompeo, gridando e sbraitando; il difensore fa l'atto di voler
rispondere. Ma Eaco, uomo giusto, glielo impedisce, e condanna il reo dopo aver sentito soltanto la parte
avversaria, e dichiara:
Abbiasi pan per focaccia; e questa sia giusta sentenza 82.
Si fece un gran silenzio. Tutti erano attoniti di meraviglia per la novità della procedura e osservavano che
non si era mai seguito quel sistema. A Claudio, naturalmente, pareva piuttosto un'ingiustizia che una novità.
Sul modo della pena si discusse a lungo, come la dovesse scontare. C'era chi diceva che ormai Sisifo già da
troppo tempo faceva quella sua sfacchinata, o che Tantalo sarebbe morto di sete se non gli si dava un aiuto, o
che prima o poi bisognava pur calzare la ruota al povero Issìone. Ma non si volle mettere a riposo nessuno di
questi veterani, perché anche Claudio non dovesse illudersi di avere un giorno un simile trattamento. Fu
deciso che bisognava trovare una pena nuova, ed escogitare per lui una fatica vana, e anche una speranza di
qualcosa a lui caro senza toccare il punto di realizzarla. Allora Eaco lo condanna a giocare a dadi con un
bussolotto sfondato. E subito eccolo a riacchiappare i suoi dadi, che tutte le volte gli sgusciavano senza che
mai ne venisse a capo83.
68
La frase è il grido rituale dei cultori di Iside, che festeggiavano il rinvenimento di un nuovo bue Apis, cioè la
reincarnazione di Osiride, che nasceva e moriva ogni anno: l’ironia su Claudio è sempre palese.
69
Gaio Silio e gli altri furono amanti di Messalina; addirittura Gaio Silio celebrò nel 47 un finto matrimonio con la
moglie dell’imperatore che, informato da Narcisso, fece uccidere tutti nel 48.
70
Fu amante pubblico di Caligola e suo pantomino preferito; Caludio lo rese “schiavo” di Messalina; siccome era a
conoscenza del finto matrimonio del 47, fu anche lui eliminato con gli altri nel 48.
71
Tutti liberti di Claudio, alcuni noti altri no.
72
Due prefetti del pretorio uccisi probabilmente affinché non rivelassero all’imperatore la condotta di Messalina.
73
Di questi nomi alcuni sono noti, altri no.
74
Giulia, figlia di Germanico.
75
Giulia, figlia di Livia.
76
Lucio Silano e Pompeo Magno.
77
Appio Silano e Crasso Frugi.
78
Domizia Lepida, madre di Messalina e Scribonia.
79
Il processo a Claudio ricalca nelle strutture procedurali e nel linguaggio quello romano. Accanto a Minosse, sommo
giudice delle anime, c’è Radamanto (sovrintendente alle sorti dell’Asia) ed Eaco (sovrintendente alle sorti dell’Europa).
La lex Cornelia de sicairis et veneficiis, promulgata da Silla nell’81 a. C., prevedeva la pena di morte per coloro che
avessero ucciso o tentato di uccidere con veleno, magia oppure avessero emesso sentenze ingiuste su questioni capitali.
80
Il numero dei morti è stato restituito sulla base delle dichiarazioni di Svetonio (Claudio, 29,2); la citazione è
dall’Iliade, IX, 385.
81
Questo Petronio fu consul suffectus nel 19 d. C., e proconsole in Asia dal 29 al 35 d.C.
82
Sentenza ripresa da Esiodo e corrispondente alla cosiddetta “legge del taglione”.
83
Cfr. la fine del capitolo XII; da ricordare che Claudio era un appassionato giocatore di dadi e sul gioco dei dadi
avrebbe anche scritto un trattato, andato perduto.
9
XV
E quante volte gettarli dal bossolo tinnulo volle,
L’un dado e l'altro gli sfuggìa; ché staccato era il fondo;
E quando a gettar si arrischiava i suoi dadi raccolti,
Ogni volta in atto di giocar rincorrendoli ancora,
Sempre delusa ne andò la sua speme: di tra le dita
Fuggono i dadi e gli scivolan via, traditori perenni:
Similmente, quando è per toccare la vetta del monte,
Dalla cervice di Sisifo rotola inutile soma.
A un tratto sbucò fuori G. Cesare 84 e si dette a reclamarlo per suo servo. Presenta testimoni, che lo avevano
visto buscare da lui frustate e ceffoni. Viene aggiudicato a G. Cesare. Cesare ne fa dono a Eaco. Questi lo
consegnò al suo liberto Menandro, perché fosse addetto alle istruttorie 85.
(Traduzione di Alessandro Ronconi).
84
Si tratta, chiaramente, dell’imperatore Caligola.
L’ufficio a cognitionibus a cui è relegato Claudio era un lavoro da liberto e consisteva nel curare le inchieste
giudiziarie, sia criminali che civili, che il princeps riservava a sé fuori dal diritto ordinario. Il contrappasso non poteva
essere più esplicito, con evidente riferimento ad uno degli hobby del defunto imperatore.
85
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