le donne saharawi e la cooperazione internazionale
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le donne saharawi e la cooperazione internazionale
Università degli Studi di Firenze Facoltà di Economia Corso di Laurea in Sviluppo Economico e Cooperazione Internazionale TESI IN ECONOMIA DELLO SVILUPPO TESSERE LA LIBERTÁ: LE DONNE SAHARAWI E LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE Candidata: Relatore: Olivia Bruno Prof. Mario Biggeri Anno Accademico 2006-2007 INDICE Ringraziamenti Premessa………………………………………………………………….iii Introduzione…………………………………………………………........iv 1. Capitolo 1 1.1 Inquadramento storico.…………………………………………...1 1.2 I campi profughi……….…………………………………………19 1.3 Le donne: il motore della società saharawi…………………..24 2. Capitolo 2 2.1 Storia del progetto ………………………………………………32 2.2 Progetto: Tessere la libertà …………………………………….41 2.3 Rapporto I missione (gennaio–maggio2007).………………...44 2.4 Rapporto II missione (novembre2007)………………………...50 2.5 Limiti e sviluppi del progetto nel contesto dei campi profughi…………………………………………………………………...56 3. Capitolo 3 3.1 Il sistema di cooperazione nei campi profughi ……………….64 Conclusioni ………………………………………………………………69 Bibliografia……………………………………………….……………….71 i Ringraziamenti Desidero ringraziare il professor Nicolò Bellanca, per la disponibilità e per gli interessanti spunti di riflessione, il professor Mario Biggeri, per gli utili consigli durante la stesura di questo mio elaborato. Grazie a Nancy Bailey e alla Commissione Comunale per la Pace del Comune di Bagno a Ripoli, che mi ha dato l’opportunità di partecipare al mio primo viaggio nei campi profughi saharawi e aver creduto nelle mie capacità durante il mio tirocinio. Un ringraziamento speciale a Costanza Sanvitale che in questi anni mi ha fatto conoscere il popolo saharawi accompagnandomi e sostenendomi nel mio percorso di conoscenza. Grazie anche a Mia Froelicher, Clara Daffra, Anna Ancilotti, Barbara Cattaneo e Marco Giunti per i consigli, le riflessioni e l’incoraggiamento durante questo ultimo anno, e ad Angela Giordano, per il suo entusiasmo e la sua grande esperienza e professionalità. Un sincero ringraziamento all’Associazione Concausa in particolare Elena Mondovecchio per il materiale audiovisivo ma soprattutto a Jacopo Merlini per il supporto morale durante il viaggio di novembre. Inoltre vorrei ringraziare Gianna, per il sostegno e le correzioni durante la composizione della tesina, mia sorella Giulia, mia nonna e miei parenti per il loro appoggio costante. Senz’altro, desidero ringraziare le mie amiche e i miei amici vicini e lontani per avermi sopportato in questi mesi e supportato con il loro entusiasmo durante questi anni, che non sto qui ad elencare perché rischierei di dimenticarne qualcuno e poi son dolori… un grazie agli Studenti di Sinistra, per aver rallentato il mio percorso di studi ma di averlo arricchito e reso più completo. Infine, credo sia doveroso ringraziare i miei genitori per la pazienza e per le numerose possibilità che mi hanno offerto in questi anni e per la fiducia in me riposta. ii Premessa La prima volta che ho sentito parlare di Saharawi è stata in occasione di un’assemblea di istituto organizzata nel gennaio 2003. Mi incuriosì la particolarità della loro storia e venni a sapere che un piccolo comitato di Greve in Chianti ogni anno organizzava un viaggio di solidarietà. Nell’estate del 2003 ospitammo in casa una bambina saharawi e iniziando ad interessarmi sempre di più ai temi della cooperazione, mi feci coraggio e decisi di partecipare al viaggio nei campi profughi nel gennaio del 2004. Fu per me un’esperienza importante, non solo formativa ma anche molto coinvolgente sul piano emotivo. Dopo quel viaggio, mi sono sempre sentita in debito con questo popolo, con le persone che mi hanno accolto e mi hanno fatto sentire a casa dal primo momento in cui ho messo piede negli accampamenti. L’opportunità di visitare gli accampamenti saharawi mi ha permesso di mettere in pratica, attraverso il tirocinio e il lavoro sul progetto Tessere la libertà, parte degli insegnamenti ricevuti durante gli anni di studio, dando un senso più completo al mio percorso. Desidero, quindi, dedicare questo mio elaborato a tutti i saharawi che in questi anni ho conosciuto, ai Rappresentati in Italia del Fronte Polisario, alle donne con cui ho avuto il piacere di lavorare e ai bambini saharawi ospitati e quelli che ho conosciuto nei miei tre viaggi nei campi profughi. iii Introduzione Il tema di questo mio lavoro è la descrizione della condizione in cui è costretto a vivere da oltre trent’anni il popolo saharawi, in esilio, cacciato dalla propria terra di origine, il Sahara Occidentale. Credo sia importante parlare e far conoscere tale esperienza perché quello che colpisce è la forza di resistenza che i saharawi stanno dimostrando nonostante l’evidente ingiustizia storica che stanno subendo. Una scelta di pace e di rispetto del diritto internazionale che dovrebbe essere portata d’esempio, ma che viene invece offuscata e messa a tacere dal silenzio assordante delle istituzioni e dell’informazione. Attraverso la descrizione di un piccolo progetto, l’obiettivo della mia tesi è mettere in risalto la necessità di valorizzare le potenzialità delle donne saharawi in un contesto di isolamento completo, per continuare a mantenerle vive e attive. Obiettivo da non trascurare, non solo per dare un senso alla loro attesa ma per fornire capacità spendibili in un prossimo futuro. Nel quadro di una soluzione politica lontana dall’essere risolta, è necessario strutturare in modo più coordinato gli interventi, data la disorganizzazione presente nel sistema di cooperazione in favore dei saharawi, al fine di evitare duplicazioni e spreco di risorse. La preparazione di questo elaborato è stata possibile grazie all’utilizzo: del materiale bibliografico purtroppo carente, della documentazione presente sul web, della partecipazione a conferenze regionali, nazionali e internazionali sul tema, ma soprattutto dalle visite sul campo attraverso le interviste e il lavoro con le donne saharawi. Questo mio lavoro si compone di due parti. Nella prima parte riporto una presentazione della storia e dell’organizzazione del popolo saharawi, con un accento sul ruolo della donna nella società iv saharawi, fondamentali aspetti per una corretta chiave di lettura della parte successiva. Nella seconda parte analizzo due aspetti centrali: la storia del progetto “Tessere la libertà”, con una descrizione delle varie fasi e una previsione sui possibili sviluppi, e la riflessione sul problema del coordinamento delle azioni della cooperazione internazionale nei campi profughi, tentando di trovare una modalità per poter strutturare in modo più efficiente gli interventi evitando duplicazioni tra i progetti. Nel primo capitolo presento la storia, l’organizzazione dei campi profughi e il ruolo della donna. Nel secondo capitolo espongo la storia di come nasce il progetto Tessere la libertà , la sua realizzazione durante le prime due missioni dal gennaio 2007 fino al novembre dello stesso anno e i possibili sviluppi e limiti nel contesto dei campi profughi nei prossimi anni. Infine nel terzo e ultimo capitolo analizzo il sistema di cooperazione in favore dei saharawi, ponendo l’accento sulle problematiche legate al coordinamento delle azioni, tentando di dare una soluzione possibile al fine di riequilibrare gli interventi evitando duplicazioni e spreco di risorse non abbondanti. v Capitolo 1 1.1 Inquadramento storico 1.1.1 Il periodo precoloniale La struttura sociale delle comunità nomadi del Sahara Occidentale e la storia, marcata da costanti correnti migratorie, rendono l’entità territoriale di questo paese, così come quello di altri paesi africani, difficilmente definibile se non con il ricorso ai confini tracciati nell’ottocento dalle potenze coloniali. È quindi dal XIV secolo che si può costatare una netta distinzione politica che separa la regione dal resto del Magreb. A partire dal XIII sec. i Maquil, nomadi provenienti dell’oriente arabo, si sono insediati progressivamente nel territorio che si estende dall’Oued Draa all’attuale Mauritania, entrando in simbiosi con i berberi, anch’essi nomadi. È da questa unione che nasce l’attuale popolazione del Sahara Occidentale. Ciò che fa oggi del Sahara Occidentale una “nazione” e un popolo, come per altri Paesi, africani e non, non è il riferimento del passato precoloniale ma la volontà di un popolo che si identifica nella medesima impronta sociale e linguistica. Il periodo precoloniale fu caratterizzato da un alto livello di frammentazione delle relativamente piccole unità sociali con un forte grado di mobilità e dispersione e dalla stratificazione gerarchica interna. Nonostante questi elementi disgreganti, le tribù potevano essere assimilate da alcuni tratti comuni e omogenei che le distinguevano dalle popolazioni vicine: l’organizzazione sociale è 1 simile, i costumi e lo stile di vita sono uguali, la religione comune è quella musulmana sunnita e identico è il dialetto, l’hassanya1. Ogni tribù si strutturava organizzativamente in una Djeema, assemblea composta da anziani e notabili, scelti per saggezza, sapienza e coraggio, con il compito di amministrare e regolare gli affari della tribù, esercitare il potere legislativo sulla base del codice islamico ed eleggere i giudici. Le diverse tribù che si spostavano all’interno dell’attuale territorio del Sahara Occidentale erano legate da una sorta di coordinamento, il Consiglio dei Quaranta, l’Ait Arbiin, che rappresentava il massimo livello del potere giudiziario, legislativo ed esecutivo, veniva convocato sporadicamente e in circostanze particolari, ad esempio per questioni legate al territorio in caso di difesa contro un’aggressione esterna o per la distribuzione delle terre coltivabili durante la stagione delle piogge2. Il vicino Regno dei sultani marocchini fino al XX secolo si presentava diviso in due: i bled el-makhzen, regioni controllate dal sovrano, e i bled elsiba, terre della ribellione dove il controllo effettivo veniva esercitato da gruppi nomadi3. Nonostante questo, la dinastia alauita, tutt’ora regnante, che conquistò il potere all’inizio del 16004, riuscì a raggiungere il Seguiat el-Hamra e il Rio de Oro con spedizioni militari tentando di controllarne il commercio con scarsi risultati effettivi e apportando solamente un minimo impatto sul territorio, senza arrivare a sottomettere le tribù ivi stanziate5. 1 M., Barbier, Le conflit du Sahara Occidental, ed. L’Harmattan, Paris, 1982, pagg. 21-22. 2 M., Galeazzi, La questione del Sahara Occidentale, Quaderni della Fondazione Internazionale Lelio Basso, Roma, 1985, pagg. 13-16. 3 A., Mari, Il deserto della contesa, in Calendario del Popolo, n 555, giugno 1992 4 A., Gaudio, L’Ouest Saharien, Polaris, Firenze, 1997, pagg.133-134. 5 La documentazione di questi fatti che il governo di Rabat ha impugnato di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia per sostenere la storicità dell’appartenenza del territorio del Sahara Occidentale al Regno del Marocco ha, alla luce della sentenza emessa, sottolineato più i limiti che la vera e propria sovranità sostenuta. 2 1.1.2. La colonizzazione e la resistenza all’occupazione spagnola e francese Le mire espansionistiche dei sultani marocchini vennero arginate dall’avvio del processo di colonizzazione da parte delle potenze europee. L’occupazione coloniale del Sahara Occidentale ebbe inizio ufficialmente nel 1884 quando la Spagna fu legittimata dalle altre potenze europee riunite nella Conferenza di Berlino a prendere possesso di questo territorio e l’esploratore Emilio Bonelli dette inizio, per conto della Corona Spagnola, ad un’occupazione effettiva di alcune porzioni di costa favorendo la stipula dei primi accordi commerciali tra compagnie private spagnole e le tribù indigene. L’interesse della Spagna può essere ricondotto a motivazioni sia strategiche che politiche ed economiche: la posizione del Sahara Occidentale avrebbe potuto permettere una buona base di difesa e di comunicazione verso l’interno del continente africano e il suo controllo avrebbe potuto contenere le mire di Francia e Gran Bretagna che costituivano una minaccia per i progetti spagnoli di dominio ed espansione commerciale 6. Fu solo nei primi mesi del ‘9007 che le frontiere meridionali vennero definite in modo preciso e si sarebbe dovuto attendere fino al 19128 per vedere il Sahara Occidentale ritagliato entro i confini ancora oggi esistenti. Queste frontiere, nate meramente da accordi diplomatici, possono facilmente esser considerate artificiali e discutibili in quanto basate su meridiani e paralleli che riflettevano, come spesso è successo in Africa, non diverse realtà sociali e geografiche ma rapporti di forza tra potenze coloniali9. 6 M., Amimour-Benderra, le Peuple saharaoui et l’autodétermination, Enap, Algeri, 1988, pagg. 28-31. 7 Con la Convenzione di Parigi stipulata tra Francia e Spagna il 27 giugno 1900 8 Con la Convenzione di Madrid del 27 novembre 1912. 9 L. Ferrais e S. Ruggiero, Marocco: Saharawi l’ultima colonia, 27 maggio 2005, da www.equilibri.net 3 La scarsa penetrazione spagnola effettiva nell’entroterra sahariano favorì l’affermarsi dei primi movimenti di resistenza all’occupazione costringendo Madrid, in difficoltà a chiedere l’aiuto della Francia per neutralizzare questi ultimi almeno momentaneamente e procedere con la reale occupazione dell’interno10 installando postazioni militari e creando strutture amministrative locali efficienti in grado di mantenere l’ordine. La presenza coloniale rimase debole ma riuscì ad instaurare una capillare rete di controllo tramite una costante presenza militare e amministrativa. Nella prima fase della colonizzazione la popolazione non si poteva considerare omogenea, date le diverse peculiarità di ogni tribù, e mancava un diffuso senso di comunità. I Saharawi erano semplicemente un’insieme di tribù che, storicamente, abitavano il Sahara Occidentale; questo bastò, dopo l’inizio della vera e propria invasione, a far sviluppare nella popolazione un sentimento diffuso contro l’occupante rafforzando la coesione popolare e contribuendo a costruire una mobilitazione delle tribù basata su una resistenza quotidiana contro i valori, i modelli sociali e culturali importati. Questa attitudine portò i Saharawi ad identificarsi sempre più profondamente con le proprie radici comuni11 Solamente nel 1934, la Spagna riuscì ad occupare effettivamente tutto il territorio del Sahara Occidentale, mise fine al sistema politico allora esistente tra le diverse tribù e iniziò ad applicare misure amministrative puntuali istituendo uffici di stato civile e introducendo visti obbligatori per la transumanza12. Queste misure apportarono grandi cambiamenti: un rapido processo di disgregazione tribale e sedentarizzazione intorno ai più grandi centri furono due degli effetti più significativi. 10 M., Barbier, op. cit. C., Bontemps, La Guerre du Sahara Occidental, ed. Puf, Paris, 1984, pagg.4044. 12 E., Mancinelli, L’odissea del popolo saharawi, ed. Dell’Arco, Bologna, 1998, pag. 18. 11 4 Verso la fine degli anni ’50 vennero scoperti nella regione di Bu Crâa ricchi giacimenti di fosfati che portarono a un rapido intensificarsi dell’interesse di Madrid nei confronti della sua colonia13. Mentre nel resto del continente africano il processo di decolonizzazione era agli onori delle cronache, in Sahara Occidentale la presenza spagnola si intensificava in maniera intensiva. Nel 1958 la colonia venne trasformata in “Provincia d’oltremare”, espediente che consentiva alla Spagna di rispondere negativamente alla questione posta dall’ONU circa l’esercizio di eventuali funzioni amministrative “al di fuori del proprio territorio” e di continuare a sfruttare le rendite dei fosfati sahariani non calcolate al momento della colonizzazione. Gli abitanti legalmente potevano essere assimilati ai cittadini metropolitani ma la struttura del potere rimaneva tipicamente coloniale basata sulle forze armate14. 1.1.3 Le rivendicazioni sul territorio del Sahara Occidentale e il progetto del “Grande Marocco” La fine degli anni Cinquanta, con la maturazione dei movimenti indipendentisti africani e arabi, rappresenta un punto di svolta nella storia della regione infatti, nel Sahara Occidentale così nel resto del Maghreb, si crearono movimenti per la liberazione dal giogo coloniale. La transizione verso l’indipendenza in Marocco fu tutt’altro che conflittuale: nel 1956 il sultano Mohamed V stipulò accordi diretti con Parigi per veder riconosciuta la propria sovranità sul proprio Regno. Rabat continuò a coltivare buoni rapporti sia economici che politici con la Francia tanto da arrivare a chiederle aiuto per ristabilire l’ordine interno e, poi, per sciogliere l’Esercito di Liberazione marocchino (ALM). 13 S., Poscia, Il Maghreb e la questione saharawi, Centro di documentazione “El Uali”, Cooperativa Universitaria Editrice, Napoli, 1987, pag. 7. 14 E., Mancinelli, op. cit., pagg. 20-21. 5 L’Algeria, invece, arrivò alla sua indipendenza in modo diametralmente opposto e il ruolo del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) fu centrale: la lotta contro l’occupante sconvolse il Paese e solo dopo otto anni e un milione di morti la Francia si convinse a lasciare la sua colonia. La morte di Mohamed V e l’acuirsi della guerriglia interna algerina portarono ad un repentino cambiamento dell’atteggiamento marocchino nei confronti della vicina Algeria: se in un primo momento il governo di Rabat si era reso disponibile a concedere anche basi sul proprio territorio come retroguardia per l’Fln, in seguito lo svilupparsi della lotta per l’indipendenza e lo scontro aperto con i francesi misero a rischio l’ambizioso disegno della monarchia alauita: costituire un “Grande Marocco”, dallo Stretto di Gibilterra al Senegal, dall’Atlantico al deserto libico, inglobando parte del Mali, dell’Algeria, la Mauritania e il Sahara Occidentale15. Questo progetto, accolto benevolmente alla Corona, era nato in seno all’Istiqlal, il più vecchio partito politico marocchino che ancora oggi si erge a principale difensore dell’integrità territoriale e contesta il principio di autonomia regionale16. Il successore Hassan II coltivò con fervore questo piano entrando in rotta di collisione con i paesi vicini tanto da scatenare una breve e intensa guerra nel 1963 contro l’Algeria17, appena liberatasi dalla potenza coloniale, rivendicando i propri diritti territoriali sulla regione algerina di Tindouf e da non riconoscere per quasi 10 anni l’indipendenza della Repubblica islamica di Mauritania18. Solo nel 1969 si giunse a una conclusione diplomatica del contenzioso territoriale con l’Algeria con il Trattato di Ifrane e ma si sarebbe dovuto aspettare la Conferenza di Naudhibu 15 S., Poscia, op.cit., pagg. 4-5 K., Finan, L’inestricabile conflitto del Sahara Occidentale, in Le Monde Diplomatique, gennaio 2006. 17 La cosiddetta “Guerra delle sabbie”, nata come rivendicazione storica del Marocco sul territorio algerino nascondeva anche interessi sul controllo dei giacimenti di ferro in quell’area. 18 A., Mari, op.cit. 16 6 nel 1970 perché si potesse arrivare al riconoscimento della Mauritania e alla parziale normalizzazione dei rapporti nell’area. Le dichiarazioni d’intenti post conferenza di questi tre Paesi non lasciavano molti dubbi riguardo le loro intenzioni sulle sorti del Sahara Occidentale: l’Algeria mise ben in chiaro di non avanzare alcuna ambizione territoriale nei confronti della colonia spagnola; il Marocco, non vedendo immediatamente riconosciute le proprie rivendicazioni per la costruzione del “Grande Marocco”19, lasciò anzi tempo i lavori della conferenza, non riconoscendo legittime le conclusioni; la Mauritania, al pari del Marocco, non nascose le sue volontà espansionistiche sul territorio sahariano lasciando per la prima volta intravedere l’eventualità di una spartizione territoriale20. La Conferenza di Nuadhibu può essere considerata un momento decisivo per la ridefinizione delle posizioni e degli equilibri nella regione evidenziando le due visioni opposte riguardo alla decolonizzazione del Sahara Occidentale: da un lato quella marocchina e mauritana che mettevano in primo piano i propri interessi e un’azione strettamente strumentale, dall’altro quella algerina di ricerca di soluzioni che non escludevano il rispetto del principio di autodeterminazione e indipendenza. Il 1975 è per i Saharawi un anno cruciale: finisce l’occupazione coloniale e iniziano quella marocchina e quella mauritana(Fig. 1). Messa sotto pressione sia da parte delle organizzazioni internazionali che sollecitano l’effettuazione di un referendum di autodeterminazione sia da parte del Marocco e della Mauritania con le loro rivendicazioni territoriali, agli inizi degli anni ’70 la Spagna decise di accelerare il processo di decolonizzazione cercando, però, di non compromettere i propri interessi nella regione. Il Governo di Madrid informò ufficialmente il Segretario Generale dell’ONU, Kurt Waldheim, della propria volontà di convocare un 19 AA.VV., Conflitti e aree di crisi nel mondo, Istituto geografico DeAgostini, Novara, 2005, pagg. 147-149. 20 S., Poscia, op. cit., pagg.6-7. 7 referendum sull’autodeterminazione del Sahara Occidentale per il primo semestre del 1975 e organizzò un censimento completo della popolazione21. La Corona marocchina, in difficoltà interna dopo lo scioglimento del Parlamento nel 1965, la proclamazione dello stato di emergenza dopo due tentativi di colpo di stato da parte dei militari e il crescente malcontento sociale, vide nell’annunciato disimpegno spagnolo un’utile occasione per rafforzare il proprio potere e superare il periodo di crisi22. In questo clima, l’attività diplomatica tra Marocco, Mauritania e Spagna23 si intensificò fino a portare, il 14 novembre 1975, alla firma degli “Accordi di Madrid” in base ai quali gli spagnoli ritiravano le proprie truppe e accettavano il trasferimento del controllo del territorio del Sahara Occidentale ai due Paesi confinanti (Il Rio de Oro alla Mauritania, il Seguia El Hamra al Marocco)24. 21 A., Mari, op.cit. K., Finan, op.cit. 23 Già durante l’agonia Francisco Franco il re Juan Carlos I di Borbone tornò formalmente ad essere Capo di Stato. 24 J., Gurr, Western Sahara: a Forgotten Land, in Peace News, n 2437, febbraio 1999 – gennaio 2000. 22 8 Fig. 1: Mappa del Sahara Occidentale dal 1975 al 1979. Fonte: sito internet: www.peacereporter.net La nuova occupazione del territorio fu realizzata in tempi brevi ma, mentre quella mauritana assunse un basso profilo e rimase blanda, quella marocchina fu compiuta attraverso l’uso della forza e della violenza contro la popolazione che già abitava il territorio. Immediatamente dopo la firma degli “Accordi di Madrid” partì dal Marocco una “Marcia Verde”25 di oltre 350mila civili che varcarono la frontiera a Sud e presero possesso effettivo del territorio26. Mentre i civili occupavano, più o meno, pacificamente il Sahara Occidentale, le forze armate marocchine attaccavano, sia da terra che con 25 26 Colore dell’Islam e della Corona Alauita. Da www.ambasciatadelmarocco.it 9 bombardamenti aerei con napalm e cluster bombs, la popolazione spingendola ad un esilio forzato verso il deserto algerino 27. Parte dei Saharawi intraprese questa strada, altri rimasero nei territori sottomessi ai nuovi occupanti. Secondo i giornalisti stranieri testimoni delle vicende, ad esempio, solo circa seimila Saharawi rimasero a El Aaiun, tra questi la maggior parte anziani non più capaci di sopportare sforzi per arrivare vivi nei campi profughi. 1.1.4 La nascita del Fronte Polisario e proclamazione della RASD Il “popolo saharawi”, ormai riconosciuto come entità unica e omogenea, non tardò a rendersi conto dei rischi a cui era esposto ancor prima degli Accordi di Madrid; infatti, il 10 maggio del 1973 venne fondato il Fronte Polisario (Fronte Popolare di Liberazione del Seguia El Hamra e del Rio de Oro) e immediatamente furono organizzate piccole offensive contro l’esercito coloniale spagnolo28. Il Fronte Polisario si impegnava militarmente per la liberazione nazionale da tutte le forme di colonialismo e per la realizzazione di un’indipendenza completa. Nel lungo periodo i suoi obiettivi erano altrettanto ambiziosi: garantire le libertà fondamentali a tutti, rilanciare un’economia nazionale autonoma annullando tutte le forme di sfruttamento, ristabilire tutti i diritti politici e sociali, costruire uno Stato sociale in grado di fornire servizi gratuiti e garantiti a tutte le fasce della popolazione29. Nel primo periodo immediatamente successivo alla partenza delle truppe spagnole e all’inizio dell’occupazione marocchina e mauritana, il Fronte si impegnò ad aiutare la popolazione durante 27 J., Gurr, op.cit. W. De Neutre e H. Teuwen, “Les Sahraouis. Colères et espoirs”, pubblicazione dal Centre national de Coopération au Dévelopment (CNCD) del Belgio e OxfamSolidarieté, Bruxelles, 2000, pag. 6 . 29 M., Amimour-Benderra, op.cit., pagg. 235-239. 28 10 l’esodo cercando di contrastare le ritorsioni militari avversarie e a proteggere i rifugiati nella prima fascia di deserto algerino; successivamente l’impegno si estese a garantire la sopravvivenza nei campi profughi e, soprattutto, al tentativo di recuperare le terre perdute e permettervi il rientro della popolazione stessa30. L’esodo di massa della popolazione esprimeva chiaramente il suo rifiuto di identificarsi con l’aggressore e la volontà di affermarsi come entità distinta da questo. Su un piano più strettamente formale, dopo la firma degli accordi di Madrid, la Djemâa nazionale, assemblea saharawi, venne sciolta e la quasi totalità dei suoi membri entrarono nel Fronte Polisario. La Proclamazione di Guelta del 28 novembre 1975, sottoscritta dai membri della Djemâa ormai sciolta e da sessanta capi tribù, affermava con chiarezza il sostegno incondizionato al Fronte Polisario come rappresentante unico e legittimo del popolo saharawi. Sul piano internazionale l’ONU, già nel 1975 nel rapporto della missione Rydebeck di osservatori inviati nel territorio del Sahara Occidentale, sottolineava chiaramente che “(…) Il Fronte Polisario è apparsa la forza politica dominante nel territorio, la missione ha assistito a manifestazioni di massa in suo favore31. (…) La missione ha constatato che questo soggetto gode dell’appoggio di tutti i settori della popolazione, in particolare delle donne che, nella stessa misura dei giovani e dei lavoratori, rappresentano la parte più attiva dei suoi aderenti32. (…) La popolazione, o per lo meno la quasi totalità delle persone che sono state incontrate si è pronunciata categoricamente in favore 30 Doutrelant P.M., Les Palestiniens du Maghreb ou la grande misère des réfugiés sahraouies, in Le Monde, 16 febbraio 1976. 31 Documento ufficiale delle Nazioni Unite, Rapport de la Mission de visit au Sahara Occidental, A/10023/Rev.1, vol.III, pag. 7. 32 Documento NU A/10023/Rev.1 vol. III, Op. Cit., pag. 67. 11 dell’indipendenza e contro le rivendicazioni territoriali del Marocco e della Mauritania33.” Un altro esempio del riconoscimento formale della legittimità ed effettività del Fronte Polisario fu, certamente, la firma, e quindi la capacità formale di concludere atti internazionali, dell’Accordo di Pace il 5 agosto del 1979 tra questo e la Mauritania34 ormai in procinto di abbandonare il Rio de Oro, che immediatamente dopo venne invaso dalle forze marocchine e portando in questo modo a compimento l’occupazione di tutto il Sahara Occidentale. Il giorno successivo alla definitiva partenza delle truppe spagnole, il 27 febbraio 1976, il Consiglio Nazionale Saharawi Provvisorio, diretta emanazione del Fronte Polisario, proclamò la costituzione della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD), a Bir Lahlou nei territori non ancora occupati, per far sì che si potesse affermare l’esistenza di uno Stato sovrano reale e non di una terra nullius o un vacuum di potere35. Il testo della proclamazione, successivamente ampliato, ruotava intorno a quattro punti di argomentazione: la legittimità, la legalità, l’opportunità e la necessità della nascita della RASD. Pochi mesi dopo, il Consiglio dei Ministri dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) si pronunciò sul merito della proclamazione della RASD affermando fermamente il diritto del popolo del Sahara Occidentale a esercitare il suo diritto all’autodeterminazione e a dichiararsi uno Stato libero, indipendente e sovrano36. La Repubblica Araba Saharawi Democratica, sebbene nata senza una terra su cui poter esercitare la propria sovranità, si dette da subito una precisa organizzazione strutturata su più livelli nella prospettiva di poter, un giorno, riuscire efficacemente a gestire un territorio. I campi nel deserto algerino si strutturarono da subito con amministrazioni proprie e elezioni con cadenza fissa venivano 33 Documento NU A/10023/Rev.1 vol. III, Op. Cit., pag. 118. M., Amimour-Benderra, op.cit., pag. 240. 35 F., Kamal, The decolonisation process in Western Sahara, in Indigenous Bullettin, Agosto-settembre 1999, vol. 4, issue 23. 36 M., Amimour-Benderra, op.cit., pag. 241. 34 12 organizzate per designare i rappresentanti e i delegati del Congresso Popolare Generale. 1.1.5 Il conflitto tra Marocco e Fronte Polisario Sebbene le iniziative diplomatiche in seno all’OUA rispetto alla questione del Sahara Occidentale rivestissero un ruolo importante nelle attività di quest’organizzazione37, queste non bastarono, alla fine degli anni ’70 quando la Mauritania lasciò il Rio de Oro, a impedire lo scatenarsi di una vera e propria guerriglia tra il Polisario e l’esercito marocchino. La fazione saharawi contava un numero ridotto di unità rispetto all’esercito marocchino ma una perfetta conoscenza del territorio e una forte motivazione ideale facevano sì che riuscissero ad organizzare offensive mirate efficaci mettendo in difficoltà l’avversario38. Il Polisario mirava principalmente obiettivi strategici di carattere economico e molto vulnerabili: gli impianti estrattivi dei giacimenti di fosfati di Bu Crâa, i centri commerciali di Smara e El Ayoun e la rete ferroviaria. La tattica della guerriglia costrinse l’esercito marocchino a una guerra di posizione costosa e logorante fino a trovare una soluzione all’escalation di agguati: la costruzione di una “cintura di sicurezza” per ovviare all’impossibilità di un controllo concreto del territorio separando materialmente il “triangolo utile”39 dalle zone da cui potenzialmente sarebbero potute partire le incursioni del Polisario. Fu così che all’inizio degli anni ’80 il re Hassan II adottò la “strategia dei muri”. Rischiando una sconfitta in campo militare il Marocco decise di riorganizzare la propria difesa e, con la collaborazione economica di Stati Uniti, Francia e Arabia Saudita, iniziò la costruzione di un sistema di muri difensivi40. Questo 37 M. C., Ercolessi, Gli aspetti diplomatici della questione saharawi, Centro di documentazione “El Uali”, Cooperativa Universitaria Editrice, Napoli, 1986, pagg. 4-6. 38 A., Mari, op.cit. 39 Per “triangolo utile” si intende la zona di Smara, El Aiiun e Bu Crâa. 40 E., Mancinelli, op. cit., pagg. 50-51 13 sistema, costruito durante tutti gli anni ’80, si snoda dal sud del Marocco fino alla costa atlantica al confine con la Mauritania per una lunghezza complessiva di 2400 km, circa 60 volte il muro di Berlino41, che racchiude circa 200.000 kmq e lascia incustodite solo alcune piccole porzioni di territorio confinante con l’Algeria e la Mauritania42. I “muri” consistono in terrapieni di pietrisco o sabbia, ricavati con i materiali di riporto dall’escavazione delle trincee che li circondano e sono preceduti da campi minati. La gestione di questi “muri”, il sistema radar, le fortificazioni, i posti di guardia a questi legati comportano una spesa elevatissima per Rabat; nei momenti di massimo dispiegamento di forze arrivò anche a sfiorare il 40% dell’interno bilancio statale. Sul piano militare, questo nuovo sistema ripagò gli sforzi marocchini, rendendo, infatti, molto meno efficace l’azione del Fronte Polisario che non poteva più penetrare nel territorio occupato43. Intanto la questione del Sahara Occidentale iniziò ad essere affrontata diplomaticamente in sede multilaterale: sia l’OUA che l’ONU elaborarono piani e risoluzioni per concludere il processo di decolonizzazione e permettere l’autodeterminazione di questo popolo. In questo contesto, nella primavera del 1991, si concretizzò all’interno del Consiglio di Sicurezza un reale piano di pace e l’attuazione di un referendum per l’autodeterminazione con la risoluzione 69044 in cui si prese atto delle frontiere esistenti (Fig. 2), si impose il cessate il fuoco tra le parti e si istituì la Missione Internazionale delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO). 41 E., Galeano, Muri, in La Jornada del 24 aprile 2006 M., Berramdane Abdelkhaleq, Le Sahara Occidental enjeu maghrébin, ed. Karthala, Paris, 1992, pag. 76 43 E., Mancinelli, op. cit., 1998, pag. 53 44 In seguito alle risoluzioni 621 del 20 settembre1988 e 658 del 27 giugno 1990 42 14 Fig. 2.: Mappa del Sahara Occidentale dal 1991 a oggi. Fonte: Sito internet www.peacereporter.net. 1.1.6 La situazione attuale Lo spartiacque della costruzione del muro contribuì in maniera evidente a segnare una separazione netta tra il popolo saharawi: gli esuli trovarono rifugio nell’area di Tindouf del deserto algerino e si composero in tendopoli riproducendo organizzativamente e amministrativamente le città forzatamente abbandonate, la parte rimasta nei territori occupati si ritrovò sotto la Corona marocchina e nell’occhio del ciclone durante il processo di “marocchinizzazione” del Sahara Occidentale45. La cultura saharawi venne 45 L., Ardesi, Sahara Occidentale trent’anni di repressione, in Missione Oggi del dicembre 2005 15 sistematicamente osteggiata, fu proibito parlare il dialetto hassanya e di vestire i costumi tradizionali, inoltre, forti discriminazioni furono messe in atto nelle scuole e nei luoghi di lavoro, fu proibita qualunque assemblea pubblica46. Molti furono gli arresti indiscriminati, i casi di tortura e di processi non equi; molti saharawi vennero fatti scomparire a scopo intimidatorio47. Oggi la vita nei campi profughi continua a svolgersi in maniera pacifica e grazie all’aiuto algerino, della cooperazione internazionale e della solidarietà della società civile48. La situazione nei territori occupati non è molto variata, la vita dei saharawi rimasti in patria viene continuamente resa difficile dalle autorità marocchine accusate ripetutamente per la violazione di diritti umani. Una legislazione eccessivamente repressiva continua ad essere applicata verso chi esprime pacificamente qualsiasi forma di dissenso e, sebbene una legge contro la tortura sia stata varata dal governo di Rabat nel 2006, gli agenti di sicurezza e la polizia non sono mai chiamati a rispondere dei propri atti di violenza. Su temi politici e sulle libertà personali i tribunali rifiutano regolarmente di svolgere processi equi per alcuni imputati49. Dalla primavera del 2005 le manifestazioni di dissenso verso l’atteggiamento repressivo di Rabat verso i saharawi residenti nel territorio della ex colonia spagnola si sono intensificate dando origine alla cosiddetta “Intifada saharawi”50; di conseguenza anche la condotta delle autorità si è inasprita portando a reprimere con eccessiva forza dimostrazioni non violente e continuando a non rispettare diritti umani fondamentali nelle carceri e durante i processi 46 E., Mancinelli, op. cit., pagg. 54-55 Associación de Familiares de Presos y Desaparecidos Saharauis, ¿Sahara Occidental hasta cuàndo?, Tercera Prensa-Hirugarren Prentsa, San Sebastiàn, 2002, pagg. 23-30 48 E., Galeano, op.cit. 49 Human Rights Watch, country summary, Morocco/Western Sahara, gennaio 2007, reperibile su www.hrw.org 50 Prospettiva 2005-2006, Osservatorio Strategico, Centro Militare di Studi Strategici, Roma, anno VII, n. 12, Dicembre 2005, pag. 13 47 16 contribuendo a mantenere un clima di tensione permanente nella regione51. Attualmente, nonostante la situazione tutt’altro che pacifica e dopo varie fasi di stallo, sono ripresi i colloqui tra le due parti sotto l’egida delle Nazioni Unite sul futuro dei territori contesi52. Riporto qui le ultime notizie riguardanti gli sviluppi più recenti.53 Il 23 dicembre 2007 a Tifariti54 è terminato il dodicesimo Congresso del Fronte Polisario: in questa occasione è stato eletto il nuovo segretario generale ed è stato deciso il programma di azione nazionale relativo alla politica interna ed estera per i prossimi tre anni. Molti rappresentanti di paesi africani e latinoamericani hanno portato il loro saluto, esprimendo il loro sostegno alla causa saharawi e condannando l’intransigenza del Marocco e le sue violazioni contro i saharawi nei territori occupati. Il Fronte Polisario, a seguito di una lunga discussione al suo interno, ha ripresentato la volontà di continuare i negoziati, quindi di proseguire la via diplomatica di risoluzione, riaffermando il diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi. Tale decisione rappresenta ancora una volta una scelta di pace e di rispetto del diritto internazionale, che deve trovare una risposta concreta dopo anni di negoziazione e di attesa estenuante. Il governo italiano il 19 luglio scorso, attraverso un voto alla Camera dei deputati, ha espresso una mozione che impegna il governo italiano a mettere in pratica ogni iniziativa per giungere ad una soluzione condivisa e definitiva del conflitto nel Sahara occidentale, nell'ambito di quanto stabilito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e a riconoscere lo status diplomatico alla rappresentanza in Italia del Fronte Polisario, come è stato fatto in passato per altri 51 Amnesty International, coordinamento Nord Africa, La situazione dei diritti umani in Marocco, novembre 2005, reperibile su www.amnesty.it 52 Da www.peacereporter.net 53 Da www.spsrasd.info 54 Sahara Occidentale, città che si trova nei territori liberati. 17 movimenti di liberazione riconosciuti dall'Onu come interlocutori ufficiali in processi di pace. Analogamente la Camera dei deputati spagnola ha espresso la necessità di una soluzione “urgente, giusta e definitiva” che deve dichiarare il diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi, attraverso l’organizzazione del Referendum. Tali dichiarazioni sono un passo avanti rispetto all’indifferenza dimostrata negli anni passati e rappresentano un punto di inizio importante per la soluzione di questo difficile processo di pace. Dal 7 al 9 gennaio 2008 è stata convocata una negoziazione tra Fronte Polisario e Marocco, a Manhasset55 sotto l’egida dell’ONU. Speriamo che le attese siano soddisfatte o comunque venga dato un segnale forte verso una soluzione imminente. La pazienza di questo popolo è stata abbondantemente messa alla prova e credo che se non si risolverà a breve tale situazione, il ritorno alla guerra sarà inevitabile. 55 Località vicino New York. 18 1.2 I campi profughi Si calcola che siano presenti 200.000 Saharawi nei campi profughi nell’estremo sud-ovest dell’Algeria. Tuttavia, si tratta di un numero approssimato perché una buona parte della popolazione, per motivi di lavoro e/o studio, si trova all’estero. Il territorio che ospita i campi profughi è di circa 100 kmq ed è completamente desertico. Il clima è quindi arido, con piovosità quasi assente. L’acqua è reperibile a breve profondità, ma ha una salinità elevata. Le tendopoli nel deserto algerino hanno, a fini amministrativi, gli stessi nomi e funzioni delle città vere del Sahara Occidentale, le stesse che i Saharawi hanno dovuto abbandonare a causa della guerra di occupazione portata avanti contro il Marocco. Ci sono in tutto 4 province, dette willaya: El Ayoun, Smara, Dajla e Auserd. Ogni willaya è divisa in 6 o 7 “comuni” detti daire. In questo modo, attraverso l'organizzazione spaziale dei campi, si ricreano l’identificazione ed il legame con la patria di origine. Fig. 3. Panorama di Dajla (foto di J. Merlini). Di seguito riporto una mappa delle tendopoli (Fig. 4) e una tabella (Tab. 1) in cui sono riportate le distanze calcolate in chilometri. 19 Fig. 4. Mappa delle tendopoli saharawi (Fonte: rielaborazione da M. 56 Caramelli, giugno 2002 ). 56 Associazione Ban Slout Larbi, Sesto Fiorentino. 20 Tabella 1. Distanze tra i campi profughi, in chilometri. Tindouf 57 Tindouf Rabuni 25 58 El Ayoun Smara Auserd Dajla 12 40 22 180 35 25 30 150 40 20 190 18 160 Rabuni 25 El Ayoun 12 35 Smara 40 25 40 Auserd 22 30 20 18 Dajla 180 150 190 160 170 170 Fonte: M. Caramelli, giugno 2002. Ogni tendopoli ha la propria organizzazione politica rappresentativa, con tanto di responsabili per l’igiene, la scuola e l’alimentazione, il tutto reso ancora più sorprendente dall’armonia fra la gente. A questo riguardo, è facile accorgersi della solidarietà che c’è tra le persone, ma non solo, balza subito agli occhi la consapevolezza e la fierezza di appartenenza al popolo saharawi. Tale aspetto è intuibile ogni volta che vengono trattate questioni politiche ma anche sociali; la politica, che è stata fatta e si continua a fare, è fondata sull’importanza di aumentare il più possibile l’appartenenza al popolo, attraverso il recupero e la valorizzazione della tradizione e della storia saharawi. I Saharawi hanno costruito un’organizzazione sociale, dove tutti sono chiamati a ruolo attivo, dove sono valorizzati gli anziani e soprattutto dove le donne condividono responsabilità a tutti i livelli. La priorità spetta all’educazione e alla sanità, campi in cui il ruolo delle donne è particolarmente importante. Tutti i giovani ricevono un’istruzione a livello elementare e ora anche medio, ed esiste, malgrado lo scarso materiale sanitario, una diffusa medicina di base. In questo modo, si evita l’instaurazione di quei meccanismi di attesa passiva, di fatalismo, smobilitazione, corruzione, così comuni nei campi profughi africani. 57 58 Città militare algerina più vicina agli accampamenti. Distretto Amministrativo Saharawi, sede del Governo e dei Ministeri. 21 Il largo margine di autonomia e di iniziativa lasciato ai Comitati di base, ha stimolato l’ingegnosità e la creatività saharawi, che si esplica in attività come il recupero e il riciclaggio di qualsiasi tipo di materiale e nella creazione di esperimenti agricoli. L’aspetto dei campi è profondamente cambiato dal 1975 ad oggi. Le tende innalzate con pezzi di stoffa sono state sostituite da teli più resistenti e sono state progressivamente arredate. Quando appare evidente che l’attesa sarà lunga, accanto alle tende inizia la costruzione di piccole stanze in mattoni di sabbia, di gabinetti con fossa biologica per evitare le epidemie, di recinti per delimitare gli spazi e vivere in maggiore intimità. Le strutture pubbliche, quali scuole, dispensari, centri amministrativi, sono tra le prime costruzioni in mattoni di sabbia, progressivamente ingrandite e migliorate, e ormai le tendopoli sono diventate villaggi in mattoni di sabbia. A partire dagli anni ‘90 è cominciato a circolare denaro, in questo modo è stata migliorata e integrata l’alimentazione con l’acquisto di alcuni beni di consumo. L’illuminazione delle case nello stesso periodo è cominciata ad essere assicurata anche da pannelli solari. Gran parte dei mezzi materiali proviene dalla cooperazione internazionale, anche se negli ultimi anni gli aiuti sono stati dimezzati. La Commissione Europea, in particolare il suo Ufficio per gli aiuti umanitari (ECHO), rappresenta il principale fornitore di aiuti quali quelli alimentari (riso, orzo, latte in polvere, carne di cammello), assistenza medica e logistica, con un programma di ripristino d’emergenza e depurazione dell’acqua. Dal 1993 ha destinato a loro favore circa 96 milioni di euro. Nel 2001 ha adottato una decisione per assicurare loro la fornitura di scorte di generi di prima necessità, così da garantire un regolare e costante approvvigionamento ai campi profughi. A questa decisione è seguito un piano globale destinato al fabbisogno sia di prodotti alimentari sia non (soprattutto 22 tende e assistenza medica), nonché al sostegno nella produzione locale di uova. Le scorte di sicurezza degli alimenti base, forniti dal Programma Alimentazione Mondiale (PAM) che finanzia a sua volta la Direzione Generale degli aiuti Umanitari Europei, stanno subendo diminuzioni continue negli ultimi anni. La Croce Rossa Saharawi denuncia giornalmente che tale discontinuità e diminuzione può provocare una vera carestia nelle tendopoli, che dipendono esclusivamente dall’aiuto internazionale. Le cause principali di questa difficile situazione secondo le fonti saharawi sono sia il mancato rispetto degli impegni presi dalle agenzie dell’ONU, in modo particolare dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Profughi (UNHCR), sia l’atteggiamento del PAM che si è piegato alle pressioni del governo marocchino e dei suoi alleati per stremare i profughi saharawi. In questa situazione la vita negli accampamenti diventa ancora più difficile e la condizione di isolamento sempre più forte. Le famiglie sono costrette ormai a comprare il necessario per il sostentamento quotidiano nei mercati, perché anche quando arrivano gli aiuti, le quantità sono scarse e non bastano per la sussistenza. Le conseguenze della scarsità di aiuti alimentari stanno modificando la struttura sociale egualitaria presente nei campi profughi, la disuguaglianza tra le classi sociali si sta accentuando e anche se è presente una forte solidarietà tra le persone, se non avverrà a breve un cambiamento di rotta, la pazienza di questo popolo verrà meno. È molto grave quello che sta accadendo e se non ci sarà un miglioramento ciò si rifletterà sulle scelte politiche future di questo popolo, che, stremato dall’attesa di una soluzione politica, non può essere tenuto anche digiuno. 23 1.3 Le donne: il motore della società saharawi La popolazione residente nei campi profughi saharawi è composta essenzialmente da bambini, anziani, donne e pochi uomini in età adulta, questo perché la maggior parte degli uomini sono impegnati nell’esercito o sono emigrati all’estero in cerca di lavoro. In questo contesto, alle donne sono affidati i compiti principali della vita civile, perché se da un lato si occupano della famiglia, dall’altro sono impegnate nel funzionamento dei servizi del villaggio. La storia del ruolo della donna saharawi ha subito molti cambiamenti nel corso degli anni e se oggi è la forza più attiva della società, deve questo risultato ad un percorso di rivendicazione molto articolato ed interessante. La colonizzazione spagnola del Sahara Occidentale, iniziata ai primi del ‘900 e completata solo nel 1934, dopo una lunga resistenza anche da parte delle donne, fece scomparire le antiche abitudini proprie dei Saharawi ed in particolare quelle legate all’universo femminile. Il colonizzatore destabilizzò le loro tradizioni e cambiò le consuete usanze, rendendo sedentaria gran parte della popolazione. Le donne divennero semplici consumatrici di beni che provenivano dalla Spagna, togliendogli il loro ruolo di produttrici. Inoltre il maschilismo proprio del colonizzatore spagnolo, non contribuì certamente all’emancipazione della donna saharawi, infatti non le offrì alcuna possibilità di istruzione. Le ragazze persero così l’occasione, peraltro già rara, di poter frequentare le “scuole coraniche” della società tradizionale nomade dei Saharawi. Nel frig (accampamento nomade), l’educazione dei giovani saharawi, e spesso anche delle ragazze, era sotto la guida del Taleb (maestro coranico) che aveva la funzione d’impartire insegnamenti generici, più che altro di tipo linguistico, con lezioni di arabo e di hassanya (dialetto), e non unicamente di carattere religioso. Gli spagnoli però non avevano certo l’intenzione di 24 continuare questa usanza e non facilitarono dunque la scolarizzazione. Le donne si ritrovarono così prigioniere in un ruolo che non era loro familiare, chiuse in casa, con le abituali tradizioni nomadi, predilette e tramandate, che si andavano a poco a poco sgretolando e con nuove usanze, per loro estranee, con cui dovevano ormai convivere. È in questo periodo che le donne saharawi cominciano a partecipare alla protesta contro il colonizzatore spagnolo che le stava costringendo all’ignoranza, che le giudicava cittadine di rango inferiore, e non le garantiva il diritto all’educazione. Quando nel 1973 si crea il Fronte Polisario, il movimento di liberazione del Sahara Occidentale, le donne ritrovano nuova speranza. Si uniscono alla resistenza e creano una rete attraverso tutto il paese. Nel 1974 si tiene la loro prima conferenza nazionale. Nasce l’Union Nacional de las Mujeres Saharauis (UNMS). Le finalità principali dell’UNMS consistono nel partecipare direttamente alla lotta di liberazione nazionale del proprio paese, nel rendere visibile la presenza ed il protagonismo delle donne saharawi nella società e nel prepararle intellettualmente e professionalmente per il presente e il futuro. Durante il conflitto contro il Marocco, le donne dell’UNMS dettero prova della loro capacità organizzativa, infatti non partecipando al conflitto armato, organizzarono la tragica fuga verso il deserto algerino, aiutando famiglie disperse in difficoltà, fornendo assistenza ai malati, feriti, mutilati, anziani e bambini. In questa situazione di agitazione e precarietà, trovarono rifugio ad ovest di Tindouf; le donne, visto la loro esperienza passata durante la colonizzazione spagnola, in cui si erano ritrovate sole, iniziarono a organizzarsi. L’organizzazione della vita nei campi profughi venne gestita fin dall’inizio dalle donne, che diressero tutte le attività, mentre gli uomini erano a combattere al fronte. 25 L’angoscia e l’inquietudine hanno ceduto il passo alla ferrea volontà di ricostruire, partendo da ambiti vitali come la salute, l’igiene, l’alimentazione e l’approvvigionamento d’acqua. Vengono istituiti dei comitati popolari in cui le donne si autorganizzano per coordinare anche altri settori: i rifornimenti, la giustizia, l’artigianato. Una volta soddisfatti i bisogni primari, l’UNMS dedica tutte le riunioni all’insegnamento degli adulti: è un insieme di vari “saperi” messi in comune, per riuscire a superare le difficoltà iniziali e poter andare avanti passo dopo passo, nel processo di alfabetizzazione, che parte dallo stato embrionale delle prime esperienze della scuola “27 febbraio”, per arrivare attualmente al 95% della popolazione saharawi scolarizzata, almeno fino ad un livello medio. L’Unione decide di puntare sulle competenze effettive, favorendo la formazione professionale femminile, cercando di sostituire la presenza obbligata della donna ovunque, e affidando ad ognuna il compito che più le è idoneo, senza voler strafare nell’assegnare alle donne ogni genere di responsabilità - anche se, giocoforza, poi nella realtà è stato quasi sempre così. Fin dai primi congressi popolari di base le donne cercano di autogestirsi anche nelle capacità individuali, nella forza fisica, nelle attività: erano e sono state per anni tutta l’impalcatura sociale ed economica della RASD, mentre gli uomini vivevano per la maggior parte del tempo in guerra, al fronte, su terreni minati, a rischiare la vita per un conflitto che mobilitava famiglie intere, affetti, vigore, gioventù, forza e speranze. L’organizzazione democratica dell’UNMS oggi conta circa 12.000 membri tra le donne dei campi profughi intorno a Tindouf, quelle che risiedono nelle zone occupate sotto l’oppressione del Marocco, quelle delle zone liberate, e le altre donne emigrate all’estero e organizzate in comitati locali e regionali. 26 Sul piano nazionale l’Unione si occupa dell’attuale situazione della donna saharawi, del suo sviluppo, della sua emancipazione, del suo benessere. Inoltre, sempre sul piano interno, è cura dell’Unione dare aiuto alle donne dei territori occupati del Sahara Occidentale, poiché è qui che effettivamente le donne soffrono un calvario senza fine e per di più taciuto al resto del mondo, e dove torture, sparizioni, processi sommari ed irregolari, incarcerazioni arbitrarie sono all’ordine del giorno. L’UNMS con consapevolezza e partecipazione, cerca di alleviare le sofferenze e i soprusi che le saharawi dei territori occupati subiscono. Del resto, nei momenti di conflitto sono, senza eccezione, le donne il soggetto principale. Drammaticamente la maggior parte delle violenze ricade sempre su di esse: per la speciale simbologia che il corpo della donna ha nel mondo musulmano e per il ruolo di resistenza sociale e culturale che le donne saharawi svolgono da così lungo tempo, pur non impegnate nella resistenza armata, esse sono oggetto di un accanimento particolare nei territori occupati. L’appoggio dell’UNMS dei campi profughi di Tindouf è di fondamentale importanza per le Saharawi sotto occupazione, per la circolazione delle notizie dai territori occupati. In segreto e sempre sotto stretta sorveglianza, è molto importante che, al di là del muro della vergogna che si snoda per oltre 2400 km, in quelle zone occupate illegalmente dal Marocco, il popolo femminile Saharawi imprigionato, si senta sostenuto e appoggiato dalle altre donne, parenti, amiche, sorelle, che “hanno la fortuna” di vivere, da trent’anni, negli accampamenti dei rifugiati. L’Unione, inoltre, nei campi profughi si dedica anche a migliorare la situazione dell’infanzia, degli anziani e dei diversamente abili. Sono su questi versanti che le donne, nei comitati di base che ci sono in ogni willaya e di conseguenza in ogni daira, hanno assunto responsabilità della gestione, a livello “manageriale” fin dai primi 27 momenti del loro insediamento nelle tendopoli. Sul piano internazionale l’UNMS si preoccupa di notificare le disuguaglianze delle donne nel mondo, e la violazione dei loro diritti. Denuncia le guerre e i conflitti di cui le prime vittime sono sempre i bambini e le donne. Condanna energicamente ogni violazione dei diritti umani che sempre si riscontrano nonostante le convenzioni e gli accordi internazionali. Ha contatti con altre organizzazioni e movimenti femminili ovunque nel mondo, e cerca di far proprie le altrui esperienze, per migliorare al massimo la situazione dell’emancipazione femminile della donna saharawi. L’Unione è diretta da una Segreteria Nazionale composta da 57 membri eletti dal Congresso (le elezioni si tengono ogni 5 anni). Della Segreteria fa parte il Direttivo esecutivo che è presieduto dalla Segretaria Generale, eletta sempre dal congresso, e che fa parte anche lei per statuto della Segreteria Nazionale del Fronte Polisario. Il Direttivo è suddiviso in 4 settori che si occupano di relazioni esterne, informazione e cultura, territori occupati ed emigrazione, ed affari sociali. Inoltre nelle 4 principali willaya del paese, El Ayoun, Smara, Auserd, Dajla, ci sono gli uffici regionali addetti ai differenti settori. Ogni 6 mesi la Segreteria Nazionale dell’UNMS si riunisce per valutare i rapporti ricevuti dalle willaya, dai 4 settori del Direttivo, e dal Direttivo stesso. Si impostano le azioni future, si tracciano le linee delle prossime manifestazioni, si vota il programma semestrale e si decidono le posizioni politiche da prendere, se necessario. Molte sono le sfide con le quali in questi anni l’UNMS si è confrontata e ancora oggi s’imbatte, per esempio: • la maggiore partecipazione politica delle donne, data la scarsa rappresentatività femminile a livello del Parlamento e dei Consigli di willaya e di daira; • il nuovo ruolo che le donne hanno dovuto assumere dopo il cessate il fuoco del 1991, con il ritorno degli uomini dal fronte; 28 • l’inserimento delle donne con le nuove competenze professionali, anche di livello elevato e specialistico grazie agli anni di studio all’estero, nel nuovo contesto dei campi profughi; • le nuove responsabilità familiari createsi negli ultimi anni, con gli uomini che emigrano in Spagna per poter portare reddito alle famiglie e la donna che resta sola nei campi profughi. La profonda convinzione delle donne saharawi è che tutti gli sforzi per progredire nella libertà devono partire dalla base della società, che sono la famiglia e la donna, e per realizzare ciò bisogna sostenerli nell’approfondimento del loro ruolo educativo, formativo, culturale, col fine di dipendere sempre meno dall’esterno, e far diventare la famiglia il motore dinamico della politica del paese. A titolo di esempio riporto un’intervista di Tfarah, la responsabile del laboratorio di tessitura di Dajla, in cui ci racconta come hanno organizzato e mantenuto la confezione di tappeti tradizionali59. “Anticamente la maggioranza dei Saharawi erano tutti nomadi e pochi erano cittadini, quindi erano abituati ad allevare capre e cammelli, ma anche a confezionare tappeti e coperte per ripararsi dal freddo. Quando nel 1975 parte del popolo Saharawi è dovuto scappare nel deserto iniziarono nuovamente a fare i tappeti ma non avevano la lana, e quindi non avevano l’autosufficienza per fare i prodotti. Non solo, al momento della fuga, le persone sono dovute scappare con una mano davanti e l’altra dietro, quindi chi nel Sahara Occidentale tesseva iniziò a cavarsela con quello che aveva, scucendo maglioni per fare coperte per ripararsi dal freddo, da qui iniziò l’abitudine ad adattarsi a vivere con il poco che aveva. Dal 1975 al 1988, per risolvere a questa mancanza di materiale, il governo saharawi comprò un quantitativo sufficiente di lana che distribuì alle donne 59 Dal video Tessere la libertà realizzato dall’Associazione Concausa. 29 delle daire che producevano una media dai 25 ai 30 tappeti (molto grandi) all’anno destinati ad essere venduti. I guadagni delle vendite furono investiti nei primi anni dall’arrivo per comprare medicinali e generi di prima necessità per il sostentamento dei nascenti campi profughi. Dal 1988 ad oggi c’è stato un cambiamento nella politica e anche nel comportamento stesso del popolo saharawi perché le donne hanno avuto l’opportunità di iniziare attività proprie, di essere indipendenti studiando all’estero, quindi alcune hanno continuato a confezionare tappeti ma per conto proprio e l’intervento del governo è proseguito finanziando la scuola “27 febbraio” di formazione professionale per le donne. In ogni willaya le donne si sono organizzate autonomamente grazie all’aiuto internazionale di associazioni e ONG. Il laboratorio di Dajla è nato nel 2003 dall’esigenza della scuola delle donne di fornire un luogo alle donne diplomate in sartoria e in confezione di tappeti per continuare l’attività e non cedere nella rassegnazione e nella depressione. È stata fatta quindi una selezione nelle daire privilegiando le più bisognose. In tutto sono 36, così suddivise: 17 nel settore di confezioni di tappeti, 15 nel settore di sartoria e 4 aiutanti due in ogni settore, tutte le donne che partecipano al laboratorio sanno già lavorare”. Come è facile intuire il problema della depressione tra le persone che vivono nei campi profughi è molto comune, data la condizione di isolamento. La mancanza di prospettive per il futuro genera inerzia e una condizione di completa dipendenza dagli aiuti. Per arginare questo problema sono quindi organizzate queste attività per sostenere e dare un senso all’attesa nei campi profughi. 30 In una lettera indirizzata al Comitato Selma e al Villaggio dei Popoli, che da molti anni lavorano con il popolo saharawi nei campi profughi, le donne della UNMS di Dajla scrivono: “Ci siamo rese conto, anche se un po’ tardi, che la nostra dipendenza dagli aiuti internazionali è fatale, giacché, alcune persone stanno utilizzando questi aiuti come pressione per toglierci i nostri legittimi diritti all’indipendenza e all’autodeterminazione. Per questo l’UNMS locale ha creato un dipartimento di cooperazione e cooperative incaricate di organizzare il lavoro artigianale (…) al fine di creare un’economia particolare che servirà per l’autosostentamento della famiglia saharawi”. Ed è proprio grazie alla cooperazione tra le donne dell’UNMS della willaya di Dajla ed il Comitato Selma di Greve in Chianti che è nato un progetto pluriennale, maturato poco per volta, coinvolgendo molti enti pubblici e associazioni, che ha alla base una profonda solidarietà ed amicizia. 31 Capitolo 2 In questo secondo capitolo vorrei descrivere un progetto promosso dal lavoro di un piccolo Comitato che per la sua storia, ha un rapporto lungo e consolidato con le donne della UNMS di Dajla. Dajla è la tendopoli più a sud di tutte, la più lontana, in assoluto rispetto alle altre tre, la più svantaggiata, ma è quella che presenta l’esperienza di attività di lavoro delle donne più energica e sorprendente. Prima di descrivere nello specifico il progetto “Tessere la libertà” che ho seguito da vicino in tutte le sue fasi, credo sia necessario spiegare qual è stato il percorso intrapreso che ha portato a tale risultato. 2.1 Storia del progetto Il Comitato Selma di Greve in Chianti si è costituito nel 1998 ed ogni anno organizza un viaggio di solidarietà nei campi profughi saharawi. Inizialmente, essendo un piccolo Comitato, si occupava di progetti con le scuole materne portando ogni anno insieme alla delegazione in visita nelle tendopoli materiale didattico per le scuole elementari e materne nella willaya di Dajla. Dal 2002 ha cominciato un percorso di collaborazione con la scuola di formazione professionale delle donne dell’UNMS di Dajla, motivata dall’interesse di esportare i tappeti realizzati dalla scuola, per verificarne la commerciabilità in Italia attraverso i canali del commercio equo e solidale. La qualità dei manufatti, però, si è subito rilevata bassa e la tipologia del prodotto non in linea con i gusti occidentali. 32 Nel gennaio 2004 i rappresentanti del Comitato Selma e il gruppo progetti del Villaggio dei popoli si sono recati a Dajla, dove hanno potuto vedere le attività organizzate dalle donne. Tfarah, la responsabile delle cooperative di Dajla, ha presentato loro una situazione strutturata, legata alla scuola di formazione professionale, tramite una rete di cooperative aperte a tutte le donne che desiderino farne parte. Le donne, soprattutto quelle più anziane, a rischio di isolamento e di depressione, lavorano in casa oppure in locali destinati ad uso laboratorio. Le attività sono svariate, vanno dall’uncinetto alla tessitura, alla cesteria e alla bigiotteria. Sono stati acquistati una serie di oggetti con l’intenzione di utilizzarli come campionario per le botteghe del commercio equo. Vista la produzione, l’obiettivo iniziale era quello di dare l’avvio all’esportazione di questi prodotti realizzati dalle donne saharawi, su ordinazione dall’Italia, iniziando con acquisti simbolici fatti dalle delegazioni nei viaggi di solidarietà per testare la vendibilità. Tutto ciò in attesa di studiare un modo per rendere ufficiale il commercio dalle tendopoli all’Italia. Ben presto, tale obiettivo a lungo raggio si è in seguito rivelato molto difficoltoso da raggiungere poiché i saharawi, profughi in Algeria, hanno un particolare status giuridico e sono sottoposti al controllo della Croce Rossa Algerina. Non avendo ancora ben chiaro quale sfera della produzione artigianale incentivare, la delegazione si è resa conto, però, che lo spirito di iniziativa delle donne della scuola di Dajla doveva essere ben indirizzato, ed in questo senso in accordo con loro, è stata proposta l’introduzione di un tecnico specializzato per migliorare la qualità dei prodotti. A tal proposito uno dei dubbi iniziali era relativo alle materie prime, o meglio, la questione era se fosse stato meglio inviare denaro per l’acquisto di questa in Algeria, oppure inviarle direttamente dall’Italia, magari sfruttando alcuni contatti nell’area pratese. 33 Inoltre a proposito della tessitura, le donne saharawi hanno esposto più volte la loro necessità di recuperare il loro know-how. Da queste idee iniziali si sviluppa, un progetto di cooperazione internazionale con il fine di promuovere l’attività delle cooperative delle donne di Dajla, chiamato “Progetto Maima” (dal nome della direttrice della scuola femminile di formazione). Il progetto Maima è nato dal desiderio di intervenire a favore del miglioramento qualitativo dell’artigianato femminile e della sua commercializzazione, utilizzando i canali del commercio equo e solidale, tenendo presente le usanze e le tradizioni del popolo saharawi. L’idea delle donne di Dajla era, infatti quella di riuscire a creare un laboratorio di tessitura ispirato alla tradizione tessile saharawi. Nell’ottobre del 2004 il Comitato Selma insieme al villaggio dei Popoli hanno coinvolto in questo progetto attraverso un partenariato: il Comune di Bucine, il Comune di Tavarnelle Val di Pesa, la provincia di Arezzo, l’associazione valdarnese di solidarietà al popolo saharawi e l’ANPAS Toscana. Prendendo atto di questa volontà il Comitato Selma, insieme ai partner progetto, ha stabilito i seguenti obiettivi: • Mantenere l’identità culturale, delle tradizioni e delle usanze del popolo Saharawi • Incentivare la diffusione delle cooperative artigianali • Sostenere la scuola di formazione femminile di Dajla • Organizzare corsi di formazione professionale sulla qualità del prodotto • Verificare la possibilità di commercializzazione. Il progetto viene, quindi presentato alla Regione Toscana e inserito nell’azione III del Progetto Quadro Saharawi 200460, chiamato “Recupero e miglioramento della tradizione tessile Saharawi”, i cui capofila sono il Centro Nord-Sud di Pisa e il CNA di Arezzo, con il co60 Legge Regionale 23 marzo 1999 n. 17. 34 finanziamento della Regione Toscana e del tavolo di coordinamento regionale Saharawi. Vengono unite le azioni e concordata la rimodulazione finanziaria in base agli apporti del nuovo partenariato, che viene allargato alle seguenti associazioni ed enti: • • • • • • • • • • • • • Comune di Bucine Associazione Valdarnese di solidarietà al popolo saharawi Comitato “Selma” di Greve in Chianti Conferenza dei sindaci – zona ValdarnoProvincia Arezzo Bottega del Mondo “il Villaggio dei Popoli” Coordinamento tessitori ANPAS Toscana Comune di Greve in Chianti Comune di Bagno a Ripoli Comune di San Casciano Val di Pesa CNA di Arezzo Comune di Tavarnelle Val di Pesa Durante il viaggio di gennaio 2005 sono stati presi accordi con le donne per l’organizzazione del corso e per la condivisione degli obiettivi. Il progetto intende intervenire a favore del miglioramento qualitativo dell’artigianato locale e della sua commercializzazione, al fine di attivare percorsi di sviluppo equo e sostenibile tenendo conto delle tradizioni e delle usanze del popolo Saharawi. Nello specifico l’azione III si propone di promuovere la formazione di n. 4 donne saharawi che operano all’interno della scuola delle donne di Dajla. Durante la prima fase le quattro donne saharawi sono state ospitate per due mesi in Toscana (26 giugno-16 agosto 2005) al fine di iniziare un percorso di formazione artigianale, che ha coinvolto gli operatori del Coordinamento dei Tessitori di Firenze. Le quattro ospiti sono state introdotte a vari aspetti della tessitura a mano e nell’ambito di un workshop con l’artista tessile Luciano 35 Ghersi hanno potuto 1) apprendere come costruire telai usando materiali di recupero e 2) realizzare alcuni campioni di tessuto. La seconda fase, che si è svolta nel novembre 2005, ha visto nuovamente la partecipazione di Luciano Ghersi, il quale si è recato a Dajla per proseguire la formazione con 30 donne e contribuire alla nascita del laboratorio alla scuola delle donne. Il corso è stato incentrato in particolar modo sulla stimolazione della creatività delle donne saharawi che hanno appreso, ad esempio l’importanza dell’abbinamento dei colori, del disegno, utilizzando strumenti di lavoro presenti nel laboratorio. Intanto il Villaggio dei Popoli ha portato avanti il suo impegno di sensibilizzazione alla causa saharawi, allestendo all’interno della bottega equo e solidale di Firenze, sin dal 2004, uno spazio interamente dedicato all’esposizione della bigiotteria proveniente dai campi, con l’ulteriore scopo di verificare la vendibilità dei prodotti. Dunque, acquistando una serie di oggetti principalmente di bigiotteria (come braccialetti, collane, ma anche oggetti creati con materiali riciclato), si è cercato di studiare meglio la produzione. Per questo scopo è stato chiesto alle donne che avevano realizzato gli oggetti di compilare una scheda, indicando per ciascun manufatto alcuni dati, quali i materiali usati, la provenienza, il costo dei materiali, le fasi di lavorazione ed il tempo impiegato. Queste informazioni, se attinenti alla realtà e se ben analizzate avrebbero potuto fornire delle indicazioni per stabilire il prezzo di vendita degli oggetti e la giusta retribuzione per le lavoratrici. Di seguito un esempio di scheda del prodotto. 36 U.N.M.S. di Dajla Nome del Descrizione del prodotto prodotto Materiali utilizzati Nome del materiale Provenienza Quantità Costo per Costo unità totale 1. 2. 3. 4. Scheda del prodotto Fase di elaborazione del prodotto Tempo impiegato Persone impiegate Materiali utilizzati 1. Pianificazione del lavoro: - Disegno - Selezione dei materiali 2. Filato 3. Preparazione dei licci 4. Tessitura 5. Prodotto finito Campionario Nomi delle artigiane:____________________________________________ Daira di realizzazione:_______________________________________________ Cooperativa di realizzazione:__________________________________________ Commenti particolari:____________________________________________ 37 Le risposte diverse date nelle schede, hanno ben presto lasciato lo spazio al sospetto che in realtà tali prodotti fossero acquistati altrove e perciò non appartenenti alla tradizione del “popolo del deserto”. Il Villaggio dei popoli, allora cercando un prodotto artigianale originale e caratteristico, ha spostato la sua attenzione sul settore tessile, concentrandosi sulla possibilità di creare un filo diretto per l’esportazione. A conclusione del lavoro fatto durante l’estate-autunno 2005, l’associazione Concausa61 si è occupata di realizzare un documentario sul progetto. Hanno infatti raccolto le immagini, le interviste ed i momenti più esplicativi dell’esperienza toscana delle quattro ragazze saharawi, così come del corso fatto da Luciano Ghersi a Dajla e ne hanno ricavato un dvd intitolato “Tessere la libertà”. Purtroppo nel febbraio 2006 i rifugiati Saharawi sono stati protagonisti di un drammatico evento, ovvero un’alluvione, che, devastando le tendopoli saharawi, ha reso difficile la prosecuzione immediata del progetto. Fortunatamente Dajla non è stata investita in modo grave dall’alluvione e nel viaggio di febbraio 2006 il Comitato Selma si è incontrato con le referenti del laboratorio di tessitura, Tfarah e Hindu62 , desiderose di sapere se i prodotti fatti dalle donne erano stati venduti. Nel corso dei due stage le donne di Dajla hanno potuto apprendere molto, ma la sensazione generale, comune sia ai partner progetto che alle dirette interessate, è stata che il tempo a disposizione potesse essere meglio equilibrato tra gli aspetti di elaborazione artistica e la progettazione esecutiva. Sono rimaste molto entusiaste dal lavoro fatto con Luciano, perché hanno lavorato molto sulla loro creatività e sull’importanza del 61 62 Associazione Culturale Comunicazione Visiva. Presidentessa della UNMS di Dajla. 38 disegno e dell’accostamento dei colori, fattori sui quali non avevano riflettuto veramente. Tuttavia a causa di una non condivisione degli obiettivi con il tessitore non sono stati venduti i manufatti delle donne ma semplicemente utilizzati come campionario. Le donne hanno manifestato in seguito la volontà di voler proseguire la formazione tessile, attraverso una lettera nella quale ringraziano per la possibilità ricevuta. Ufficio Esecutivo dell’UNMS Dipartimento locale di Dajla Grazie alle seguenti associazioni italiane: Regione Toscana, ANPAS Toscana, Comitato Selma per aver compiuto un po’ del nostro sogno. E grazie in particolar modo al dott. Luciano Ghersi per aver condiviso insieme a noi un periodo ricco però di molto lavoro.(…) Durante questo corso le partecipanti hanno imparato molte cose nuove per loro come: la libertà nella creatività, l’importanza delle combinazioni di colori, il servirsi di tutti i colori disponibili, il lavorare con l’ordito continuo, lavorare con nuovi strumenti, produrre nuovi prodotti utilizzando gli stessi materiali. Abbiamo ancora bisogno di: Formazione: • sulla tecnica artistica delle donne motivata da un compenso; • di una manager incaricata di provvedere al materiale e alla distribuzione dei prodotti; • di una maestra di tessitura per la direzione tecnico-artistica del laboratorio. Produzione: • il reperimento di una fonte costante di filo di lana di qualità; • la creazione di prototipi per dimensioni e tipologia, con disegno libero. Attrezzature: • il miglioramento delle attrezzature del laboratorio; • un sistema di illuminazione con pannelli solari. Commercializzazione: • commercializzazione dei prodotti nel mercato interno e esterno • promozione attraverso documentazione, show room, sito web, esposizione. 39 Grazie di nuovo per tutto quello che avete fatto per le donne di Dajla e speriamo che un giorno potremmo restituirvi un po’ del vostro impegno, della riconoscenza e dell’appoggio incondizionato alla nostra causa. 22 febbraio 2006 Tfarah Seyidi – Direttrice del laboratorio di tessitura Hindu Gailani – Presidentessa UNMS della provincia di Dajla Alcuni problemi, infatti restavano irrisolti, come il reperimento di lana di buona qualità e la possibilità di realizzare un’attività lavorativa per le donne con la vendita dei prodotti. Il recupero della tradizione tessile saharawi si traduce in una presa di coscienza che i telai presenti nel laboratorio non sono parte della tradizione ma sono il frutto di una donazione fatta negli anni Ottanta, infatti la tessitura tradizionale fatta dalle donne saharawi veniva fatta con telai a terra tipici delle popolazioni nomadi. Nel corso del 2006, una volta concluso il progetto, alcuni dei partner visti i risultati non del tutto soddisfacenti, decidono di non dare seguito alla collaborazione. 40 2.2 Progetto: Tessere la libertà Dalle conclusioni delle donne dell’UNMS, il Comitato Selma, ANPAS Toscana, Associazione Villaggio dei Popoli e Associazione Concausa, decidono di dare continuità al progetto cercando di imparare dagli errori commessi dando inizio ad un nuovo progetto chiamato “Tessere la libertà”. Nell’ottobre del 2006 a Victoria una rappresentante del Comitato Selma partecipa al gruppo di lavoro “donne e equità di genere” in occasione della 32° edizione della Conferenza Europea di Coordinamento di Appoggio al Popolo Saharawi (EUCOCO). In questa sede si rilevano dei punti fondamentali da cui poi il progetto ne ricaverà in parte alcuni dei propri obiettivi. Conclusiones del Taller sobre las Cooperativas de mujeres La prolongada situación de refugio que padece el pueblo saharaui requiere acciones que promuevan el desarrollo en el refugio. En este sentido, queremos visibilizar la iniciativa y energía de las mujeres saharauis, que han sido pioneras a la hora de impulsar cooperativas en los campamentos. Las participantes refrendamos las líneas estratégicas propuestas por la UNMS para este sector y además queremos realizar las siguientes consideraciones: 1. El Departamento de Cooperativas de la UNMS es la contraparte e interlocutora imprescindible para cualquier proyecto productivo dirigido a las mujeres saharauis, ya que cuenta con la experiencia previa y la visión de conjunto en el sector. 2. Los procesos de formación dirigidos específicamente a mujeres en aspectos económicos han de tener la coherencia y duración suficientes como para generar un impacto real en la mejora de las capacidades de las mujeres. 3. Urge diversificar las actividades económicas de las mujeres en el mercado local, que supone incorporar a las mujeres también a los sectores de comercialización y servicios, y a actividades tradicionalmente no femeninas. 41 4. Las actividades económicas dirigidas a mujeres deben contar previamente con un plan de viabilidad. Insistimos en ello dada la tendencia generalizada a encasillar a las mujeres en actividades que refuerzan sus roles tradicionales sin generar beneficios que redunden en su empoderamiento y calidad de vida. Los proyectos productivos deben estar orientados a la comercialización, es decir, iniciarse a partir de la demanda del mercado antes de planificar la producción, y no al revés. 5. Consideramos que la producción para el mercado interno y los circuitos cortos de producción, distribución y comercialización generan más capacidades y mayor sostenibilidad para las cooperativas. Recomendamos que se promueva la producción para el mercado externo únicamente si se puede asegurar una demanda seria y estable de los productos. En cualquiera de los dos casos, antes de poner en marcha una actividad es preciso realizar estudios de consumo interno y externo. 6. Dado que la UNMS ya cuenta con un programa de microcrédito, entendemos que las organizaciones, a la hora de contribuir a este programa, deben ajustarse a los criterios ya establecidos por la UNMS, a fin de evitar duplicidades o descoordinación. 7. Queremos realizar una mención especial a la necesidad de diversificar la Formación Profesional de las mujeres, incentivar su formación en oficios no tradicionalmente femeninos y aumentar la calidad de la formación, ya que ésta condiciona su acceso al mercado de trabajo y desempeño empresarial posterior. 8. Finalmente, el objetivo de la cooperación en el sector productivo es fortalecer el mercado local. Para apoyar el tejido productivo propio y hacerlo posible, es importante que las ONGD y Asociaciones de Amistad con el Pueblo Saharaui opten en las compras necesarias para la ejecución de sus proyectos por productos producidos en los campamentos. En la misma línea sería una apuesta importante de la población saharaui optar por el consumo de artículos de producción propia. Tenendo presenti queste conclusioni decidiamo di impostare l’organizzazione del progetto insistendo su tre punti fondamentali: 1. diversificare la produzione dei prodotti lavorando sulla creatività delle donne, 2. rivolgere la produzione sul mercato interno e non solo alla vendita estera, 42 3. creare una produzione che porti all’accumulazione di un reddito per le donne. Rispetto al precedente progetto, decidiamo di concentrarci sulla creatività e non sul recupero della tradizione vista la presenza di telai arcaici non tradizionali della cultura tessile saharawi. Comprendiamo che è importante non limitare la produzione alla tessitura di tappeti ma far creare alle donne prodotti utili a loro stesse nella prospettiva primaria di indirizzare i manufatti nel mercato locale prima che in quello estero attraverso i canali del commercio equo e solidale. Fig. 5. Tessere la libertà (foto di O. Bruno). 43 L’incremento dell’attività delle cooperative attraverso la produzione del laboratorio di tessitura dovrà servire per l’accumulazione di un piccolo reddito per le donne, con il fine ultimo nel lungo periodo di renderle autonome. Visti gli obiettivi molto ampi crediamo necessario fare un percorso lento, calibrando a poco a poco le azioni, in sintonia con le nostre referenti nelle varie fasi, rispettando i tempi e le esigenze delle donne. 2.3 Rapporto della prima missione (gennaio-maggio 2007) Nel viaggio di gennaio 2007 presentiamo alle responsabili della UNMS la volontà di non voler abbandonare il tema della formazione tessile, infatti si desidera ripresentare il progetto con alcune modifiche, cercando di non ripetere gli errori commessi in precedenza. In primo luogo Costanza Sanvitale63 consiglia, vista la mancata coordinazione sugli obiettivi finali con il precedente esperto, di proporre un altro tessitore, che verrà in visita a maggio nel laboratorio di tessitura. Suggerisce di introdurre nel laboratorio di tessitura un nuovo tipo di telaio più piccolo (orizzontale) per rendere il lavoro più rapido, e permettere non solo la produzione di tappeti ma di oggetti utili alle donne come scialli, turbanti, borse, ecc. La responsabile del laboratorio e delle cooperative Tfarah, è soddisfatta dal lavoro svolto dal tessitore che ha tenuto il corso perché è riuscito a stimolare le donne ad esprimere la propria creatività. Vista l’attrezzatura presente, sostiene che per ora è meglio continuare solo con la tessitura, ma si dichiara entusiasta da subito 63 Presidentessa Comitato Selma, capo progetto. 44 sulla possibilità di far produrre alle donne manufatti utili per loro stesse. Concordiamo sull’importanza di allungare il periodo dello stage nei campi profughi (almeno tre settimane) e anteporlo al corso previsto in Italia. Hindu, la responsabile della UNMS di Dajla, propone di selezionare le quattro donne che parteciperanno allo stage in Italia, attraverso una sorta di concorso per individuare nel gruppo le migliori potenzialità nel proseguire il percorso. Esprime un giudizio positivo per l’introduzione di nuove attrezzature per la tessitura ma mette in risalto il problema della reperibilità del materiale per la tessitura di buona qualità e la necessità viste le difficoltà economiche delle donne di dare alle partecipanti un piccolo compenso. Chiede infine se i prodotti fatti dalle donne nel precedente progetto siano stati venduti. Le viene risposto che durante la mostra “Tessere reti di libertà” prevista nell’ottobre 2007 verranno esposti i tappeti fatti dalle donne e in più chiediamo che con la lana che abbiamo portato in questa occasione, di prepararne altri, secondo i modelli e i disegni fatti con il progetto appena concluso. In questa occasione consegniamo inoltre i pannelli fotovoltaici. Decidiamo quindi di dare avvio al progetto con le seguenti modalità: • organizzazione di uno stage di 3 settimane nel campo profughi; • successivo stage in Italia, previa selezione da definirsi; • introduzione dei telai orizzontali più piccoli; • risoluzione del problema del reperimento dei materiali di buona qualità (lana e filo), attraverso uno studio di mercato per stabilire la convenienza di acquisto della lana o in Italia o sul posto (inteso come Algeria). 45 Al ritorno dal viaggio il gruppo dei partner progetto Tessere la libertà si ritrova con scadenza mensile, per coordinarsi e iniziare l’attività organizzativa. Le attività che porta avanti in questa fase sono le seguenti: • Elaborazione di un Protocollo di intesa con i Comuni tra i partner progetto per la condivisione degli obiettivi e degli strumenti per la prosecuzione del progetto in modo unitario. • Comunicazione continua e diretta attraverso internet con le referenti a Dajla • Presentazione progetto per i finanziamenti alle Amministrazioni Comunali • Pubblicizzazione progetto • Ricerca filati e attrezzature per il laboratorio • Preparazione del viaggio di conoscenza della tessitrice in maggio. Il Comune di Pelago si rende disponibile a finanziare il progetto, sia come Giunta Comunale, sia dalle varie realtà associative del territorio (Diacceto Festival, Pelago On The Road Festival, ecc.). Decidiamo quindi di riversare questo finanziamento nell’allestimento del laboratorio per comprare telai e lana. La presenza attiva della nuova tessitrice, Angela Giordano, grazie alla sua esperienza nel campo della tessitura porta al progetto una ventata di novità, concordando sulla necessità di introdurre i telai orizzontali molto più veloci e facili da usare. Nel viaggio di maggio si rende conto che i telai presenti nel laboratorio sono primordiali e adatti alla tessitura solo dei tappeti, alcuni sono da restaurare con piccole modifiche al fine di renderli più pratici. In quell’occasione portiamo alla scuola delle donne la seguente attrezzatura: • 1 Orditoio 46 • 1 Telaio a pettine licci 60 cm • 1 Telaio a pettine licci 30 cm • 1 Telaio a cinture (per bordure) • Telaio a tensione (da viaggio) • Filati vari (20kg) Angela monta nel laboratorio l’attrezzatura e presenta alle donne individuate per il corso i telai orizzontali, spiegando loro i miglioramenti in termini di tempo e maneggevolezza per la tessitura. Inoltre, mostra i prodotti fatti con questa nuova attrezzatura e le donne restano positivamente soddisfatte. Sono consegnati i tappeti richiesti in gennaio per la mostra mercato e viene presentato e accettato il protocollo di intesa dalla UNMS di Dajla. Il piano di lavoro per il laboratorio viene discusso e approvato con la responsabile Tfarah. Il corso durerà 15 giorni dal sabato al giovedì dalle 9 alle 13 con la giornata libera di venerdì. L’incentivo giornaliero per le donne viene concordato a Euro 1.50 al giorno per ogni donna all’incirca in linea con quanto percepiscono altri lavoratori. In questo viaggio inizia un percorso con le donne per capire il costo della vita nei campi, attraverso una scheda di consumi, percepiamo che i prezzi dei prodotti non sono chiari. Come già abbiamo ampiamente ripetuto la riduzione degli aiuti costringe le famiglie a comprare prodotti alimentari e non al mercato. Le famiglie non avendo redditi stabili e sicuri sono costrette a comprare facendosi fare credito dai negozi, pagando a fine mese o quando c’è disponibilità di denaro, non potendo di fatto trattare sui prezzi. Spesso mandano i bambini a fare la spesa e non hanno coscienza dei prezzi, non solo, le aspettative sono cresciute e il desiderio di beni di consumo dettati dalla moda e dalla televisione sono in aumento. 47 Rispetto ai mercati vicini, quelli presenti negli accampamenti hanno prezzi molto alti dovuti agli alti costi di trasporto e ai rischi del viaggio cui sono esposti i commercianti. Se fino a qualche anno fa, la società saharawi appariva fondata su principi egualitari e ridistribuitivi, adesso si stanno evidenziando le disuguaglianze presenti tra la popolazione. I prodotti nei mercati delle tendopoli, che i commercianti saharawi acquistano in Algeria e in Mauritania, per fare alcuni esempi, i tessuti delle melfe64 e dei turbanti, ma addirittura il tè, arrivano direttamente dalla Cina. Va da sé che i prezzi dei prodotti fatti dalle donne del laboratorio sono in diretta concorrenza con i prodotti cinesi. Al ritorno dalle tendopoli Costanza si trattiene ad Algeri con l’obiettivo di trovare materie prime (lana e filati vari) da poter comprare per il laboratorio ma ben presto si rende conto che anche nei mercati e nei negozi algerini ci sono prodotti fatti in Cina e India. La tradizione artigianale tessile algerina sembra rimasta solo nella zona di Garbhaia situata al centro dell’Algeria, ma a causa della concorrenza con filati meno pregiati e a prezzi più bassi, la mancanza di finanziamenti e di lavoro, questo settore sta subendo una grave crisi. Per il momento quindi dobbiamo continuare a portare tutti i materiali dall’Italia, ma non escludiamo la possibilità di visitare questi luoghi e trovare un canale con le tendopoli. La lana e filati portata nel mese di maggio viene trovata gratuitamente da Angela, dagli avanzi di magazzino (di ottima qualità) che l’Aziende nella zona del Pratese non utilizzano e bruciano regolarmente quando ne hanno in eccesso. La nostra attività di pubblicizzazione del progetto prosegue con la presentazione a Terra Futura e con l’organizzazione della mostra prevista per ottobre. 64 Vestito tradizionale usato dalle donne saharawi. 48 Purtroppo una delle nostre referenti Tfarah ha problemi di salute e quindi anche a causa del caldo nei mesi estivi il laboratorio riprende a lavorare solo dal mese di settembre. Intanto partecipiamo all’assemblea nazionale dell’ANSPS65, alla Conferenza Nazionale sulla Cooperazione al Popolo Saharawi e in ottobre all’EUCOCO a Roma. In occasione di questi incontri di coordinamento delle varie associazioni, enti e ONG che operano in favore del popolo Saharawi è sempre più palese il bisogno di creare una rete stabile, una necessità che viene ribadita ad ogni incontro, a parole, ma che non incontra nella pratica nessuna azione concreta. 65 Associazione Nazionale Solidarietà con il Popolo Saharawi. 49 2.4 Rapporto della seconda missione (novembre 2007) Angela ci presenta il campionario della lana che ha trovato presso l’Azienda Campolmi e cercherà con i soldi che ha a disposizione di comprare i filati necessari e i telai considerando il peso. Decidiamo di portare giù con il gruppo del viaggio di solidarietà le seguenti attrezzature per il laboratorio: 1. la strumentazione: • 2 telai a 4 licci comandati da 4 pedali • 1 telaio a pettine • 1 telaio a 4 licci con pedali frontali • 3 telai a pettine a tensione • Restauro di un telaio già presente. 2. accessori: • 8 pettini per arazzi • 40 spole ad ago • 40 spole doppie • 3 arcolai a morsetto • 3 apparecchi per fare gomitoli • 6 pettini per corredo • Corredo di 2000 maglie di acciaio In accordo con l’associazione Concausa realizzeremo un video-film del progetto, in una forma un po’ particolare rispetto al precedente, meramente descrittivo. Chiediamo a Tfarah di individuare una delle partecipanti al corso con la quale girare un film sulla vita quotidiana di una donna saharawi che partecipa a questa esperienza. I nostri obiettivi per questo viaggio sono: • Realizzazione del Corso di Formazione • Consegna e montaggio dei telai orizzontali e della lana • Realizzazione video 50 • Consegna compensi per le partecipanti al corso (Euro 1,50 al giorno per ogni donna) Senza pagare nessuna sovrattassa all’aeroporto di Fiumicino, alla dogana di Algeri vengono bloccati tutti gli scatoloni contenenti tutta la strumentazione e gli accessori per il laboratorio. Nella confusione dell’aeroporto algerino, le motivazioni addotte sono che il sabato precedente al nostro arrivo è stata approvata una legge che impone, a tutti gli aiuti che passano dalle dogane algerine, un visto di un’agenzia privata. In altre parole, si tratta di una sorta di tassa sugli aiuti umanitari da pagare obbligatoriamente per far passare i bagagli non personali verso i campi profughi. Sgomenti da questa notizia, due dei nostri volontari, tra cui la tessitrice, restano due giorni ad Algeri cercando di inviare i 480 kg di materiali attraverso la Croce Rossa Algerina con l’aiuto della Croce Rossa Saharawi. Arrivati a Dajla cominciamo a girare le prime immagini del video e dall’intervista fatta alla protagonista, una donna di circa 40 anni, sposata con due figli, scopriamo che è una tessitrice esperta che ha fatto un corso in Algeria di tessitura. Si è specializzata in confezione di tappeti alla scuola “27 febbraio” ed ha insegnato a molte donne di Dajla, ma ha smesso di insegnare per occuparsi dei suoi genitori anziani. Ci racconta che a causa della diminuzione degli aiuti è stata costretta a riprendere a lavorare dopo la morte di suo padre. Vuole partecipare al corso perché ha saputo che l’esperta le insegnerà a realizzare prodotti che lei non sa fare, vuole imparare soprattutto a cucirsi i vestiti da sola, ma anche a fare la tela. Desidera quindi imparare prima gli elementi basici e poi con la fantasia creare prodotti per le donne. Con la pratica vuole acquisire esperienza e se si sente sicura, le piacerebbe insegnare alle altre in 51 un prossimo futuro. Riscontriamo da subito un ottimo atteggiamento verso il lavoro e la collaborazione con il laboratorio. Nella previsione, fortunatamente sbagliata, di non riuscire nell’intento, decidiamo di far iniziare il corso anche senza attrezzature utilizzando i telai e la lana portata a maggio. La tessitrice, quindi, arrivata a Dajla con qualche giorno di ritardo, inizia il corso. Nei primi giorni viene montata la poca attrezzatura, e la tessitrice verifica la manualità e la preparazione delle partecipanti che sono in tutto 19, compresa Tfarah, che non si mette a lavorare al telaio ma traduce e coordina il corso. Fig. 6. La tessitrice con le sue allieve (foto di G. Tropeano). Non essendoci telai per tutte, un gruppo si occupa della tessitura con le dita e vengono fatte delle cinture che poi serviranno come manici delle borse, un altro lavora ai telai a tensione. L’atteggiamento delle donne è molto positivo, sia nel rispetto degli orari sia del lavoro: le partecipanti arrivano puntuali all’inizio del corso, alcune anche in anticipo e si trattengono nel laboratorio fino all’orario stabilito. 52 Dopo una settimana arrivano finalmente le attrezzature e una volta montati le donne riescono ad utilizzare da subito la nuova tecnologia del telaio orizzontale, segno evidente che anche se la tradizione si è un po’ dissolta negli anni, con stimoli giusti dimostrano grandi capacità. La dimensione più piccola dei telai orizzontali permette ad alcune di loro di portarsi il lavoro a casa nel pomeriggio, ed è evidente che a casa lavorano più che al laboratorio perché non hanno distrazioni. Tra le willayas si sparge la voce del corso e inizia un via vai di curiosi e di donne che visitano il laboratorio, si aggiungono pertanto al corso l’insegnante della scuola dei disabili di Dajla e una tessitrice di un’altra provincia. I prodotti realizzati dalle donne sono borse, turbanti, cinture, pezzi di stoffa per fare porta-cellulari, tenendo conto in modo preciso delle misure, fattore prima ignorato. Rispetto al corso precedente non si lavora sui disegni fatti su carta ma direttamente applicati alla tessitura. Vengono inizialmente dati dei compiti precisi di realizzazione poi lasciate libere di tessere secondo la loro creatività. I risultati sono ottimi in termini qualitativi, anche se non gli è ben chiara la differenza tra i materiali migliori da usare. Infatti Angela ha dovuto insistere molto sull’importanza di usare filato puro, ma, il fascino del sintetico ha conquistato – potere della brillantezza dei colori artificiali – anche le donne saharawi. Insieme alla tessitrice elaborano una lista di materiali e attrezzature che potrebbero servire al laboratorio, anche in questo caso dimostrano di avere le idee ben chiare su strumenti che non vogliono più usare e altri che a loro avviso apporteranno miglioramenti, ad esempio i telai più piccoli utili per poter lavorare anche in casa. 53 Fig. 7. Le donne saharawi ai telai a tensione e orizzontali (foto di A. Giordano). Il corso dunque suscita grande scalpore e il Governatore della willaya di Dajla visita il laboratorio, e rimane sbalordito. Chiede alle donne se hanno intenzione di proseguire nella produzione e propone il trasferimento del laboratorio in uno spazio più grande più luminoso e addirittura con il bagno. Le donne chiaramente accettano e sono entusiaste dei risultati, ricevono persino un’ordinazione che realizzeranno in collaborazione con la scuola dei disabili per produrre i cordoncini per le medaglie della maratona dei disabili che si terrà il mese prossimo. L’esperta ha insegnato loro a smontare e rimontare i telai, così nel trasferimento nell’altra sede non avranno difficoltà. I manufatti realizzati durante il corso sono stati lasciati, dato che a dicembre il 54 presidente Saharawi farà visita a Dajla, ma fanno parte della collezione del progetto e verranno ritirati nel prossimo viaggio di febbraio. Con la molta lana avanzata dal corso le donne hanno già fatto intendere che realizzeranno prodotti vari come ad esempio scialli per ripararsi dal freddo. All’interno del gruppo delle partecipanti la tessitrice ha individuato le quattro possibili insegnati che potrebbero partecipare al corso di perfezionamento in Italia, aspettiamo però il prossimo incontro per definire gli obiettivi con le donne, anche sul tema dei prezzi dei prodotti. Le relazioni con le nostre referenti sono ogni giorno più forti e stabili grazie anche al collegamento stabile via internet. Non pensiamo di aver raggiunto l’obiettivo finale, ossia quello di rendere le donne indipendenti grazie alla creazione di un loro reddito, ma vogliamo proseguire questo cammino con un passo alla volta, sempre in accordo con loro. 55 2.5 Limiti e sviluppi del progetto nel contesto dei campi profughi Il successo ottenuto dal corso di formazione per le donne di Dajla, non deve distoglierci dai numerosi problemi ancora non risolti, i quali non sono necessariamente legati al progetto. Occorre fornire una formazione più specializzata ad alcune di loro, per permettere la prosecuzione dell’attività del laboratorio, per dare autonomia ed inizio ad una produzione stabile. Se adesso siamo consapevoli che le donne sono in grado di produrre manufatti di buona qualità, ed il laboratorio, con l’introduzione di nuove tecnologie, ha ottenuto grossi miglioramenti, restano tuttavia da sciogliere molti nodi legati alla condizione di esilio. Per dare una risposta concreta, tenendo conto della situazione in cui si trova il popolo saharawi, occorre essere molto prudenti nei passaggi del percorso che occorre seguire, per raggiungere l’obiettivo di renderle autonome e indipendenti. A Dajla, la willaya più lontana dalle altre, la popolazione subisce un doppio esilio, sia per l’esilio imposto a tutti i Saharawi sia quello in termini di lontananza dai centri amministrativi saharawi. Infatti si riscontra una maggior penuria di aiuti alimentari a causa delle vie di comunicazione più difficili. I collegamenti tra gli accampamenti negli ultimi anni sono migliorati ma ancora, per quanto concerne Dajla, non sono del tutto efficienti, ma fortunatamente il governo saharawi sta continuando ad investire in questo campo. La condanna della diminuzione degli aiuti alle tendopoli saharawi costringe le famiglie a comprare generi di prima necessità nei mercati delle tendopoli. Lo sviluppo del commercio e la circolazione del denaro hanno favorito la nascita di botteghe, in cui i commercianti hanno stabilito 56 una sorta di oligopolio della distribuzione, ponendo prezzi spropositati dovuti agli alti costi di trasporto delle merci. Le famiglie mandano a fare la spesa i bambini, i quali non hanno nozione dei prezzi, i genitori comprano quindi contraendo un debito e pagano quando hanno la disponibilità. La non conoscenza dei prezzi è testimoniata da un’indagine eseguita un anno fa attraverso una scheda sul consumo sottoposta ad un campione di famiglie. I dati riportati, ancora una volta erano dispersivi e non coincidevano tra loro. Per evitare che la situazione degeneri, e che l’insolvenza delle famiglie sfoci in qualcosa di più grave, sarebbe necessario intervenire sulla distribuzione. Le nostre referenti ci hanno illustrato la loro volontà di unirsi in cooperative, ma è essenziale capire se questo desiderio è comune tra la popolazione, se c’è uno spirito di gruppo, perché se non è presente tale caratteristica, qualsiasi azione intrapresa sarà inutile. Questo passaggio è molto delicato e assai cruciale. Si tratta dell’ennesima sfida che questo popolo si trova ad affrontare per venir fuori da questa situazione tragica d’isolamento e di mancanza di aiuti. Verificata la volontà di voler mettere insieme gli sforzi, dalla piccola esperienza del laboratorio, nella prossima fase è nostra intenzione fornire alle donne gli strumenti necessari per l’organizzazione e la gestione, per dare inizio ad un esperimento di cooperativa di produzione e di consumo delle donne tessitrici. Dal corso di formazione svolto nel mese di novembre, abbiamo compreso che per molte donne è un sacrificio raggiungere il laboratorio a causa delle distanze, da percorrere a piedi e a causa degli impegni familiari che ciascuna donna ha. In termini di produttività, la tessitrice si è resa conto che a casa le donne lavorano meglio perché hanno minori distrazioni. 57 L’introduzione di piccoli telai trasportabili sarà una delle prerogative del progetto per permettere il lavoro a domicilio. Il laboratorio avrà il compito di formare altre giovani tessitrici per garantire continuità all’esperienza, mentre la cooperativa si occuperà di: 1. Organizzare la produzione (Fig. 8) 2. Reperire il materiale 3. Vendere i prodotti Fig. 8. Ipotesi di organizzazione della produzione della cooperativa delle donne tessitrici di Dajla. 1. La cooperativa delle donne della provincia di Dajla attraverso i comuni (daire) distribuirà il materiale e gli ordini per la realizzazione dei prodotti finiti che le donne fabbricheranno nelle proprie case. L’organizzazione della cooperativa di produzione gestita principalmente dalle donne, dovrà assicurare una produzione stabile. 2. La regolare produzione di manufatti è strettamente legata al reperimento di materie prime, quindi, in accordo con le donne, sarà una prerogativa del progetto trovare un canale stabile con la zona di Garbhaia situata al centro dell’Algeria, o addirittura tentare un canale 58 per il reperimento del cotone nel Mali, così da evitare il trasporto dall’Italia di lana e filati vari. 3. La vendita dei prodotti fatti dalle donne potrà essere portata avanti su più livelli, attraverso una promozione: • Alle delegazioni straniere, che fanno visita ai campi e cercano un prodotto originale saharawi. • Ai saharawi stessi, che invece di comprare un prodotto di un altro paese potrebbero preferire qualcosa fatto dal proprio popolo. • Verso i mercati vicini, in cambio di altri generi di prima necessità. • Verso il mercato estero. La possibilità di commercializzare verso il mercato estero è invece strettamente legata alla politica e alla condizione di esilio cui sono condannati tutti i saharawi. I Saharawi “godono” dello status di rifugiati, che impedisce secondo accordi internazionali ogni tipo di commercio, poiché ricevono aiuti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite. Molti Saharawi possiedono il passaporto algerino, quindi potrebbero registrare la cooperativa presso la Camera di Commercio Algerina, e tentare una via di commercializzazione verso l’Italia. Pertanto, le importazioni sarebbero di provenienza algerina ma con un marchio di origine diverso, ad esempio un Made in Saharawi66. Insieme alla diffusione di questi prodotti potrebbero essere promossi, attraverso una campagna di sensibilizzazione l’identità e la storia del popolo saharawi. Compito del progetto sarà oltre alla sensibilizzazione quello di trovare un referente commerciale67, che si impegni a comprare e promuovere questi manufatti non solo come prodotti in sé, ma come il simbolo di un’esperienza. Attraverso l’elaborazione di un marchio e 66 Sarebbe migliore la dicitura Made by Saharawi, a testimonianza del fatto che quello non è il loro territorio. 67 Attraverso il Commercio equo e solidale, la Coop, ecc. 59 di un logo ideato dalle donne, che simboleggi la determinazione del popolo saharawi che non si vuole arrendere. L’esperimento di questa cooperativa di donne deve essere sostenuto e incoraggiato sia dal governo della RASD, sia dai soggetti68 che operano in favore dei Saharawi nei campi profughi. Sono già attivi da alcuni anni progetti di microcredito che sostengono l’iniziativa imprenditoriale volta alla creazione di un reddito. Si potrebbe favorire, con incentivi e crediti, chi presenta progetti imprenditoriali mirati a unificare le forze creando cooperative non solo di artigianato ma anche per tutti gli altri beni essenziali per la sussistenza quotidiana. È indispensabile far capire che il perdurare di azioni individuali volte al raggiungimento di un interesse e un guadagno personale porteranno solo ad un aumento delle divisioni e la conseguente conflittualità tra i saharawi. L’investimento maggiore si rivolgerà alla sensibilizzazione dell’intera popolazione sull’opportunità di creare altre cooperative, sulla necessità di farlo come ultima chance per resistere, in assenza di aiuti umanitari, alla sopravvivenza quotidiana. In questo senso, è fondamentale far capire l’importanza e il vantaggio che l’intera comunità può trarre dall’unione delle forze, portando come esempio la cooperativa delle donne. In caso di successo la cooperativa permetterebbe alle donne di generare un loro reddito, mezzo capace di dare sia indipendenza sia soddisfazione e appagamento; non solo per aver creato un prodotto ma anche per aver trasmesso un messaggio69 più forte attraverso il commercio estero. Il lavoro più duro sarà quello di convincere gli uomini, che nella società saharawi hanno un’attitudine meno collaborativa rispetto alle donne. 68 69 ONG e associazioni che operano nel settore non alimentario, ad esempio. Marchio e logo originale Saharawi. 60 Nel caso in cui questa iniziativa dovesse conseguire consensi, si potrebbe creare una vera e propria cooperativa di villaggio di consumo e di produzione. L’istituzione di tale cooperativa potrebbe rappresentare, attraverso un’organizzazione stabile, un vantaggio per tutta la comunità. Attraverso degli intermediari collettivi, diretti rappresentanti della cooperativa, si potrebbero formare mercati più stabili sia per l’acquisto di prodotti necessari per la sussistenza, sia per la vendita dei manufatti prodotti dalle donne. Il vantaggio dell’unione si manifesta, ad esempio, in termini di abbassamento di costi nell’acquisto dei prodotti. L’intermediario collettivo, che a nome della cooperativa si recherà in Algeria o in Mauritania, si occuperà di acquistare uno stock di prodotti più ampio, quindi, con la richiesta di una quantità maggiore, otterrà un prezzo più basso. Di conseguenza tali prodotti, una volta acquistati a minor prezzo potranno essere venduti ad un costo più basso e più accessibile alle famiglie, ma soprattutto a un prezzo noto a tutti. Assicurata la produzione dei manufatti, potranno essere sostituiti nella cooperativa di consumo ai prodotti provenienti da altri paesi, di minor qualità artigianale. Allo stesso tempo potranno essere utilizzati dagli intermediari come prodotti da presentare e vendere al di fuori delle tendopoli come prodotto originale saharawi, realizzato dalla creatività delle donne. Una volta formate le relazioni commerciali con i paesi vicini, e accertata la sostenibilità della cooperativa, potrebbe iniziare un percorso più ampio, soprattutto dimostrando alle altre province che possono seguire l’esempio di Dajla nella formazione di cooperative e nell’unione delle forze della comunità. Nella prossima fase del progetto, che si svilupperà da febbraio 2008 in poi, sarebbe opportuno sviluppare i seguenti obiettivi: 61 • formare esperte insegnanti di tessitura70, per permettere la prosecuzione autonoma del laboratorio, • ricercare un canale in Algeria, per l’acquisto della lana e dei filati, o nel Mali per il cotone, • formare esperti per l’organizzazione della cooperativa, • promuovere dei prodotti in Italia fatti dalle donne attraverso i canali delle associazioni che operano in favore dei saharawi, attraverso una campagna di sensibilizzazione sui prodotti, sul progetto, ma soprattutto sulla causa di questo popolo, • trovare un soggetto commerciale per la commercializzazione dei prodotti, • collaborare unendo le forze con altri soggetti che a Dajla e in altre province stanno lavorando sullo stesso tema elaborando un progetto unico, confrontandosi nei risultati, • cercare linee di finanziamento più stabili attraverso i Comuni dell’area del Chianti, o altri enti, • introdurre analisi d’impatto, un monitoraggio e una valutazione continua, • procedere nella continuazione del progetto con una programmazione comune in accordo con le donne e con gli altri soggetti, • mantenere un contatto stabile con le nostre referenti dell’UNMS di Dajla. È indispensabile, ai fini della riuscita del progetto, la collaborazione con altri soggetti che operano nel nostro stesso settore, perché se è vero che le donne saharawi devono unirsi per un obiettivo comune, è assurdo continuare questo percorso ognuno per la propria strada, quindi è fondamentale individuare le sinergie ed elaborare un progetto unico. Ci sono molti ostacoli nel compimento di questo progetto, ma è necessario 70 continuare a valorizzare chi, in una situazione Attraverso uno stage in Italia. 62 d’isolamento completo, vuole essere attivo e non cedere alla rassegnazione. Purtroppo un fattore abbastanza evidente che si percepisce, negli uomini soprattutto, è che il sentimento che predomina da molto tempo è di stanchezza nel sopportare questa situazione ingiusta. In questo senso, nelle donne abbiamo invece riscontrato un atteggiamento diverso. Viene visibilmente lasciato intendere che il bisogno di tornare nei propri territori è forte ma la loro attitudine è più rivolta a non arrendersi. È proprio per questo che sono loro il motore della società saharawi. 63 Capitolo 3 3.1 Il sistema di cooperazione nei campi profughi Il progetto che ho descritto nei capitoli precedenti rappresenta un piccolo contributo portato avanti con pochi finanziamenti da volontari che da anni lavorano con i Saharawi. La solidarietà in Italia verso il popolo saharawi si compone di tante associazioni e ONG, inoltre, sparsi in tutta la penisola, ci sono numerosi gemellaggi e patti di amicizia stipulati tra i nostri comuni e le daire delle province dei campi profughi. Esiste un’Associazione Nazionale di Solidarietà con il Popolo Saharawi che è una federazione di associazioni con l’obiettivo di coordinare le iniziative di carattere politico e di sensibilizzazione. Non ha tuttavia il compito di coordinare i progetti umanitari e di sviluppo nei campi profughi; coordina alcuni specifici progetti nazionali, in particolare attualmente: l’Accoglienza Estiva dei Bambini, le Carovane Nazionali e la Campagna sui Diritti Umani. Ognuno di questi progetti possiede dei coordinatori responsabili. Ciononostante si riscontrano diverse problematiche soprattutto per quanto riguarda l’accoglienza dei bambini. A Roma è presente una rappresentanza del Fronte Polisario che si occupa di gestire tutte le relazioni tra l’Italia e gli accampamenti. Negli ultimi anni a causa della diminuzione degli aiuti c’è stata una richiesta da parte dei Saharawi di interventi più articolati e mirati per venire incontro a questa emergenza. L’esigenza di questa intensificazione delle azioni non è corrisposta però da un coordinamento tra i soggetti che operano in favore dei Saharawi. In occasione delle conferenze nazionali, cui ho partecipato, la discussione maggiore è stata sul fatto che ad oggi in Italia non abbiamo un elenco di tutte le realtà che operano nei campi profughi. 64 Il problema però non è solo di conoscenza dei nomi ma delle azioni, infatti è molto frequente, a causa di questa non comunicazione tra progetti, che si intervenga sulle stesse situazioni in troppi, lasciandone magari scoperte altre, infatti tra le varie province nei campi profughi il Ministero della Cooperazione Saharawi riscontra grosse disuguaglianze di interventi. A livello italiano non c’è coordinazione sui progetti umanitari e di sviluppo: si sprecano occasioni di incontri nazionali per stabilire chi ha più responsabilità senza trovare una soluzione. Le ONG se la prendono con le associazioni e viceversa, altri con i Saharawi perché dovrebbero essere loro a gestire tutto, altri ancora con l’ANSPS. Il provincialismo e l’individualismo nelle azioni alimentano la frammentazione e la mancanza di coordinamento che riducono al minimo l’impatto degli interventi, che, anche se utili risultano marginali in una visione d’insieme. Le incomprensioni sono a tutti i livelli, è scoraggiante vedere discussioni infinite per stabilire chi non si sta occupando del problema, quando in realtà la risposta è semplice: tutti sono responsabili, ed è giunto il momento di mettere da parte certi conflitti e indirizzarsi tutti verso un obiettivo comune. Siamo tutti uniti sul piano politico e ideologico sul sostegno incondizionato ai Saharawi, ma sul piano delle azioni pratiche di intervento ognuno agisce autonomamente. È stato proposto in più occasioni, per dare inizio a un coordinamento, l’introduzione di un database diviso per settori di azione, per avere notizie sui progetti, su chi fa cosa e dove. Questo bisogno di coordinarsi è comune a tutti ma poi nella pratica anche il tentativo di realizzare un database delle azioni si perde al primo passaggio. Il cammino tra creare un coordinamento e farsi coordinare, quindi dare e ricevere informazioni, risulta molto difficile. 65 L’impressione che ho avuto durante tutti gli incontri, è che manca un punto di riferimento a livello nazionale, che sia in grado con i Saharawi di raccogliere le informazioni e diffonderle a tutti. Se è vero, che è indispensabile un coordinamento per le azioni per evitare lo spreco delle risorse e la duplicazione degli interventi, è necessario formare un’agenzia nazionale per la cooperazione ai Saharawi. L’obiettivo principale di tale istituzione deve essere quello di equilibrare gli interventi nelle varie province, unire le forze ed evitare frammentazioni negli interventi e la mancanza di coordinamento. Tale organizzazione, gestita sia dalla rappresentanza del Polisario e sia da referenti italiani, dovrebbe servire come istituzione dalla quale tutti i soggetti che operano con i Saharawi debbano obbligatoriamente passare prima di intraprendere qualsiasi azione; un’agenzia specializzata che abbia l’obiettivo di gestire in modo più razionale gli interventi in accordo con le autorità saharawi. La sede di tale agenzia dovrebbe essere a Rabuni e collaborare in modo unitario con il Ministero della Cooperazione Saharawi e con gli altri referenti degli altri paesi come la Spagna e la Francia. 66 Dalla figura sopra, un’agenzia che: 1. si occupi, una volta ricevuto dal Ministero della Cooperazione in accordo con le varie province l’elenco delle priorità e delle urgenze, di predisporre le linee guida di intervento in accordo con il Ministero della Cooperazione Saharawi; 2. abbia costanti informazioni sullo stato dei progetti attraverso la gestione di un database pubblico diviso per settori, nel quale ogni associazione o ONG dovrebbe comunicare ogni sei mesi le proprie azioni, fornendo i risultati e i possibili problemi riscontrati, informando tutti della propria attività; 3. metta in comunicazione i soggetti per aree di azione. L’Agenzia, pubblicando tali risultati, ponga in collaborazione coloro che per aree di azione si occupano degli stessi temi, dando la possibilità di comunicare e unire le forze; 4. divida i progetti in settori di intervento (es. sanitario, alimentario, non alimentario, ecc…), organizzando semestralmente tavoli di concertazione settoriali di confronto; 5. organizzi altresì, seminari di formazione e di scambio con il popolo saharawi per valorizzare e conoscere in modo più approfondito questo popolo; 6. si coordini con le altre agenzie. L’agenzia deve ricevere e acquisire informazioni sui progetti fatti dalle agenzie degli altri paesi che operano con i saharawi, al fine di evitare duplicazione di interventi (agenzia spagnola); 7. abbia il compito di monitorare l’impatto degli interventi e ponga il vincolo di coordinarsi e collaborare individuando le sinergie. Tale schema, vuole semplicemente dimostrare che è possibile, se c’è la volontà da parte di tutti di far circolare le informazioni e farsi coordinare, riuscire ad evitare duplicazione nelle azioni e conseguente dispersione di risorse non abbondanti. 67 È indispensabile avere una visione d’insieme selezionando gli interventi con più severità, attraverso l’agenzia, indirizzando le azioni verso le priorità che si presentano, non accentando qualsiasi cosa ma suggerendo secondo le necessità le operazioni utili. Potrebbe essere elaborato una sorta di regolamento, discusso elaborato condiviso e concertato dalle Autorità Saharawi in primis e dai soggetti che operano in favore dei saharawi, che stabilisca un modus operandi e vincoli di coordinamento da introdurre per raggiungere tale obiettivo da far rispettare a tutti. Probabilmente non esistono ancora le premesse necessarie tra chi opera in questo campo per realizzare tale coordinamento, forse non è ben chiaro il vantaggio che tutti potrebbero ottenere, ma numerosi esempi ci dimostrano che se è nota una visione d’insieme e se c’è comunicazione sui risultati, si può imparare dagli errori commessi e migliorare le azioni future. Credo che il movimento associativo ma anche alcune ONG avrebbero bisogno di più umiltà e serietà nel riconoscere che il continuo litigio non porta a risultati ma danneggia solo i Saharawi (in questo caso) e mette costantemente in discussione la credibilità della cooperazione internazionale. 68 Conclusioni Il progetto Tessere la Libertà ha l’obiettivo di incoraggiare le donne saharawi, costrette a convivere con le difficoltà quotidiane legate alla condizione di rifugiate, in un deserto tra i più inospitali della terra. La loro forza di volontà si è manifestata durante questi anni di esilio forzato nell’organizzazione dei campi profughi e nella conduzione della vita familiare. Il bisogno di impegnarsi al fine di trovare un’attività da poter introdurre nella vita quotidiana è per loro fondamentale; fornisce una ragione per andare avanti sia a loro stesse sia alle persone che vivendo là stanno perdendo gli stimoli. L’impatto di questo piccolo progetto in termini di benessere può essere rilevante se vengono forniti gli input giusti per superare l’inerzia dell’isolamento e insegnare loro un mestiere per dare senso alla loro attesa, ma soprattutto farle abituare ad un lavoro per la loro dignità personale. È fondamentale per questo, continuare e ampliare questa iniziativa in tutte le province, coordinando questo intervento con gli altri soggetti che operano in favore delle donne saharawi in questo settore, con un progetto unitario, dando a tutte loro la possibilità di poter rendersi autonome e creare un loro reddito, seppur piccolo per le loro famiglie. La realizzazione di questi prodotti e la loro commercializzazione in Italia, attraverso una campagna di sensibilizzazione sulla questione saharawi, possono fornire uno stimolo per non arrendersi e continuare a resistere e palesare la loro determinazione nonostante l’ingiustizia che stanno subendo. Non resta che continuare a incoraggiare il forte spirito dei rifugiati, dando continuità ai progetti intrapresi, consentendo alle persone di imparare un mestiere e di fare proprie capacità spendibili anche in 69 futuro nella loro terra. Tutto questo nell’ottica che si possa verificare il prima possibile. Data la situazione internazionale non favorevole, i Saharawi che vivono nei campi profughi devono riuscire a prendere il meglio dai progetti, proponendo azioni permanenti e favorendo la coordinazione, e dalla formazione professionale per mantenersi attivi e pronti per riuscire un giorno a costruire il loro futuro nel Sahara Occidentale libero. Nell’attesa di tale obiettivo, la diminuzione degli aiuti ai campi profughi è giustamente intesa da tutti come un’ulteriore condanna contro chi, in una situazione estrema, vuole continuare a resistere ma soprattutto a esistere. È gravissimo infatti, il tentativo evidente di stremare questa popolazione spingendola verso soluzioni estreme, quali il ritorno alla guerra. Purtroppo una frase che ho sentito ripetere tante volte nei miei viaggi nei campi profughi dagli uomini soprattutto è la seguente: - “i Saharawi preferirebbero morire combattendo, non aspettando.” Tale frase testimonia la stanchezza e la rabbia comprensibile di tale situazione aggravata dall’esilio, dalla diminuzione di aiuti ma soprattutto dalle violenze e dalla repressione che i loro fratelli stanno subendo nei territori occupati. Il sentimento che anima tale frase è dettato anche dall’impotenza di non poter fare niente in esilio. Le conseguenze di un ritorno alle armi potrebbe rappresentare una catastrofe immane, ed è sicuramente una soluzione da non incoraggiare. È necessario continuare a far pressione sulle organizzazioni internazionali che dovrebbero provvedere alla distribuzione degli aiuti, perché è evidente che la soluzione politica del popolo saharawi è molto lontana dall’essere risolta dalle Nazioni Unite attraverso i negoziati. 70 Preso atto di tutti i limiti degli sforzi diplomatici ufficiali, viziati da equilibri di potere che esulano dal rispetto del diritto e trascendono dalla considerazione delle organizzazioni internazionali, non rimane che tentare vie nuove. La solidarietà internazionale deve fare la sua parte sostenendo la popolazione che vive nei campi profughi, ma deve anche tentare di oltrepassare il muro eretto dal Marocco. Ad esempio, potrebbe essere percorribile la strada di progetti di sviluppo nei territori occupati per favorire il dialogo tra la società civile marocchina e saharawi, costruendo relazioni di fiducia reciproca indispensabile per raggiungere un obiettivo comune di stabilità nella regione, fondamentale passo, per sbloccare questa empasse politica che in sedi internazionali non riesce a trovare soluzioni. 71 Bibliografia Articoli e documenti AA.VV., Conflitti e aree di crisi nel mondo, Istituto geografico DeAgostini, Novara, 2005. Amimour-Benderra, M., Le Peuple du saharaoui et l’autodétermination, Enap, Algeri, 1988. Ardesi, L., Sahara Occidentale trent’anni di repressione, in Missione Oggi del dicembre 2005. Associación de Familiares de Presos y Desaparecidos Saharauis, ¿Sahara Occidental hasta cuàndo?, Tercera Prensa-Hirugarren Prensa, San Sebastiàn, 2002. Barbier, M., Le conflit du Sahara Occidental, ed. L’Harmattan, Paris, 1982. 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