villa della regina
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VILLA DELLA REGINA Dalla piazza della Gran Madre si raggiunge percorrendo la via omonima. Il cardinale Maurizio di Savoia, fratello di Amedeo I, nel 1615 affidò ad Ascanio Vitozzi l'incarico di trasformare un precedente edificio; interventi successivi di altri architetti, tra i quali Filippo Juvarra, resero grandiosa la costruzione, strettamente collegata allo scenografico parco a più livelli. Divenuta residenza della regina Anna Maria d'Orléans, moglie di Vittorio Amedeo II, dalla quale prese la denominazione, nel 1868 fu donata da Vittorio Emanuele II all'Istituto per le Figlie dei Militari e nel 1994 venne ceduta al demanio. Danneggiata dai bombardamenti del 1942 e lasciata in stato di abbandono, è stata da poco aperta al pubblico dopo il decennale restauro realizzato con imponenti stanziamenti pubblici e privati. Una doppia scala in curva con fontana centrale conduce all'ingresso a portico: due padiglioni laterali inquadrano la facciata, coronata al centro da balaustra con statue. Nell'interno restano affreschi e tele di Giovanni Battista Crosato, Daniel Seyter e Corrado Giaquinto nel grande salone, grottesche di Filippo Minei e pitture dei fratelli Domenico e Giuseppe Valeriani nelle sale adiacenti; preziosi i Gabinetti cinesi in legno laccato e dorato. Nel parco è conservato il padiglione dei Solinghi, costruzione a pagoda in cui si riuniva l'Accademia dei Solinghi, accolita di intellettuali fondata dal cardinale Maurizio. Il complesso di vigna e giardini fu costruito sulla collina torinese sul modello delle ville romane dal principe cardinale Maurizio di Savoia, figlio del duca Carlo Emanuele I ad inizio Seicento (documentazione al 1615, 1618-1619). Nel 1657 la moglie Lodovica ne amplia fabbricati e giardini, aggiornando decorazioni e arredi. Nel 1692 la Vigna passa ad Anna d'Orleans, moglie di Vittorio Amedeo II, che dispone, in quella che ormai sarà chiamata Villa della Regina, importanti interventi. Con la guida di Filippo Juvarra, e poi di Giovanni Pietro Baroni di Tavigliano, si ridefiniscono spazi e rapporti con il giardino, l'arredo e le decorazioni seicentesche (D. Seyter e équipe di P. Somasso) con il coinvolgimento dei grandi artisti all'opera nei cantieri regi della capitale del regno (G.B. Crosato e C. Giaquinto, G. Dallamano). L'unitarietà, mantenuta fin dal progetto iniziale, di vigna, poi villa con i padiglioni aulici, le grotte, i giochi d'acqua nei giardini e nel parco e le zone di servizio ed agricole, fu conservata anche con la perdita di funzione e il passaggio nel 1868 all'Istituto per le Figlie dei Militari (ente soppresso nel 1975). La mancata manutenzione del delicato equilibrio fra costruito e giardini, seguita da graduale abbandono, parziali smembramenti, danni di guerra ed interventi impropri, hanno nel novecento compromesso lo straordinario complesso con un degrado prossimo al collasso. Al momento della consegna alla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte nel 1994 i restauri realizzati con fondi statali, di enti e privati, hanno ristabilito la situazione conservativa e la stretta connessione del Compendio di Villa della Regina con la Città, di cui, dall'inizio del Seicento, costituisce il fondale scenografico oltre il Po. Salone centrale Il centro del piano nobile è occupato dal Salone delle feste da cui si accede ai due lati della residenza: a destra, veso Levante, e a sinistra verso Ponente dove erano ubicati gli appartamenti del Re e della Regina. Il salone è decorato dagli stessi artisti che hanno lavorato negli altri cantieri regi a Rivoli, Stupinigi e a palazzo reale. Sui due lati, incorniciati dalle fantasiose ambientazioni architettoniche di Giuseppe Dallamano, risalenti intorno al 1733 circa, i dipinti di Corrado Giaquinto. Sulla parete nord "Apollo e Dafne", sulla parete opposta, a sud, "Venere che scopre il corpo senza vita di Adone" (entrambi del 1733). Nei vestiboli laterali troviamo "Le Quattro Stagioni" di Giovanni Battista Crosato. La volta originariamente era decorata da un affresco di Giuseppe Valeriani "il Carro di Aurora" distrutto dai bombrdamenti del 1942. Anticamera di Ponente La prima sala alla sinistra del salone centrale è l’anticamera di ponente dell’Appartamento del Re. Sul soffitto una decorazione in stucco, su fondo azzurro, databile tra il XVII e XVIII secolo. In questa sala, fino al 1943 era appeso un dipinto raffigurante “Diana ed Endimione”. Lo stile generale con intagli dorati risale alla prima parte del Settecento. I dipinti sovraporte sono riconducibili al laboratorio di Corrado Giaquinto. Alle pareti è stata da poco ricollocata la tappezzeria settecentesca restaurata. Camera da letto di Ponente La volta presenta una ricca decorazione plastica a stucco di bottega luganese con cartelle, putti e figure allegoriche nei medaglioni angolari. Quattro specchiature dipinte con le “Quattro Stagioni” e la tela centrale con il “Carro di Apollo” sono ora attribuite a Claudio Francesco Beaumont. Le due sovrafinestre ad olio su tela sono parte della serie di sei sovrapporte, trasferite al Quirinale nella seconda metà del XIX secolo, raffiguranti episodi dell’Eneide di Corrado Giaquinto. Sulla parete est è collocato il ritratto della regina Margherita (1851-1926), moglie di Umberto I di Savoia, realizzato da Luigi Biagi nel 1879. Alle pareti vi sono pannelli originari della tappezzeria in "taffetas chiné à la branche" recentemente restaurata completati da teli d'integrazione. La boiserie ricopre completamente le pareti del gabinetto angolare. L'ambiente, piuttosto piccolo, è ben illuminato dalle finestre con vetri all’inglese con intelaiature dorate e motivi scolpiti su fondo avorio che contribuiscono alla diffusione della luce, grazie anche alle tre specchiere disposte tra i pannelli con motivi cinesi. Gabinetto verso Mezzanotte Le decorazioni delle parete riprendono motivi e soggetti tipici dell'Arte Orientale, specificatamente di quella cinese. Su fondo giallo chiaro, scene di paesaggio, cortei di figure e fiori e uccelli dalla vivace policromia. L'abile mano dell'artigiano Pietro Massa, riconoscibile per lo stile e la sigla "PM" su un pannello, rende il prodotto finale simile a quello orientale anche per quanto riguarda i materiali di provenienza diversa: pannelli di paraventi, porcellane e carte. Il tutto è armoniosamente integrato dagli stucchi sulla volta, opera del maestro luganese Giovanni Maria Andreoli che riecheggiando motivi grottesti e cinesi, modella personaggi dagli abiti variopinti con vasi e coralli e diversi animali, scimmie e uccelli in riposo e in volo. Anticamera verso Levante La sala custodisce i pochi dipinti rinvenuti nella Villa: alcuni ritratti di personaggi legati alla casata Savoia e tre nature morte di vasi con fiori. Tra i personaggi si riconoscono Polissena d’Assia Rheinfels (1706-1735), moglie di Carlo Emanuele III, Vittorio Amedeo III (1726-1796) e Maria Clotilde di Borbone (1759-1802), consorte di Carlo Emanuele IV. Il grande ritratto di Umberto I (1844-1900), firmato da Costantino Sereno e datato 1878, segna - con la lapide in bronzo con bollettino del generale Armando Diaz che annuncia la fine della guerra nel 1918 - l’uso della Villa da parte dell’Istituto Nazionale delle Figlie dei Militari. Le due sovrafinestre, raffiguranti giochi di putti, sono attribuite a Giovanni Battista Crosato, come le sovrapporte ora mancanti in seguito ad un furto negli anni settanta. La tappezzeria alle pareti di questa sala e della stanza 30 è provvisoria. Le tappezzerie di colore verde e le tende sono state confezionate sulla base di modelli attestati dagli inventari nella Villa nel Settecento in questa e nella sala successiva. Gabinetto delle libreria verso Mezzanotte, appartamento della Regina Il Gabinetto cinese introduce all’adiacente Libreria, dove era collocato il meraviglioso manufatto del Piffetti in legni rari e avorio realizzato negli anni 1735-1740. Dopo il trasferimento di entrambe le boiseries al Palazzo del Quirinale a Roma, le due piccole sale attualmente conservano le decorazioni delle volte e nella Libreria parte del pavimento, anch'esso del Piffetti, con decorazioni floreali intarsiate. I motivi “a grotteschi” in blu e oro su fondo avorio dei medaglioni simulanti la porcellana sulla volta della Libreria, presenti anche sui pannelli ora a Roma, sono invece attribuibili a Giovanni Francesco Fariano, attivo anche a Rivoli e Stupinigi. La scena centrale raffigura “Minerva che scaccia i giganti”, allegoria della vittoria dell’intelligenza sulla forza. Pietro Piffetti (Torino, 17 agosto 1701 - Torino, 20 maggio 1777) dopo un periodo di apprendistato a Roma, ritornò a Torino, dove per la sua fama ed abilità, nel 1731, venne nominato primo ebanista di corte dal re Carlo Emanuele III. E' stato il più importante ebanista sabaudo dell'epoca. Con il suo stile elaborato ed inconfondibile, il Piffetti, creò mobili con intarsi in legno pregiato, avorio, tartaruga e madreperla. Secondo A. Gonzalez Palacios (uno dei più importanti curatori di mostre nei musei del mondo) si tratta del "miglior ebanista italiano nel Settecento ma anche uno dei più originali protagonisti del supremo arredamento dell'intero mondo occidentale...". La chiesa di San Filippo Neri custodisce un magnifico Paliotto dell'artista che viene esposto solo in particolari occasioni. Il Museo Accorsi di Torino conserva tra le sue cinque opere di Piffetti, un grandioso doppio corpo firmato e datato 1738, intarsiato con legni rari, avorio e tartaruga, considerato un capolavoro dell'ebanisteria rococò. Il Museo Civico d'Arte Antica di Torino a Palazzo Madama, conserva dodici opere dellí artista tra cui un interessante inginocchiatoio a triplice curvatura con un incavo al centro. Tutto il mobile è intarsiato con mazzi di rose e ghirlande. La parte superiore del mobile presenta un crocefisso in avorio che appoggia su un ovale in legno intarsiato a "scacchiera". Dopo il 1870, i Savoia arredarono il Quirinale con alcuni mobili settecenteschi provenienti dalle regge di tutta Italia. Camera verso Levante detta del Trucco Al centro dell'apparato decorativo in stucco il dipinto ovale, già attribuito a Daniele Seiter, raffigurante "Il trionfo di Davide" . Sulla parete ovest la grande tela con la veduta del castello di Saint Cloud, dove nacque e visse Anna d'Orleans. Si tratta di una replica di un'opera conservata a Versailles, attribuita ad Etienne Allegrain, databile intorno al 1684. Probabilmente questo quadro giunse a Torino al seguito della principessa, nipote di Luigi XIV, effigiata nella tela allestita sulla parete opposta insieme ai ritratti di Maurizio di Savoia e Vittorio Amedeo III. Sulle pareti laterali sono i ritratti della coppia reale Vittorio Emanuele II (1820-1878) e Maria Adelaide (1822-1855) dipinti da Paolo Emilio Morgari nel 1874. Il sovrano, effigiato con il programma di fondazione dell'Istituto Nazionale per le Figlie dei Militari, commissionò anche il ritratto della consorte, già defunta all’epoca della donazione. I dipinti da sovrapporta e sovrafinestra, con soggetti mitologici ed episodi tratti dalle Metamorfosi di Ovidio, sono di Giovanni Battista Crosato. Giambattista Crosato nato a Treviso nel 1697 (Moretti 1987), si trasferisce ben presto a Venezia. Nel secondo decennio del Settecento, è, probabilmente, a Bologna dove entra in contatto con Giuseppe Maria Crespi e Pier Francesco Cittadini (Pallucchini 1960; Mattarolo 1971). Forse su invito di Filippo Juvarra, l’architetto messinese che aveva avuto l'incarico da Vittorio Amedeo II ne1 1729 di costruire la Palazzina di caccia a Stupinigi, si reca a Torino. Ivi la sua attività è documentata da un pagamento, effettuato il 30 aprile 1733, per i lavori eseguiti a Palazzo Reale. Tra l’ottobre dello stesso anno ed i1 28 gennaio 1734, viene inoltre retribuito per l’affresco del soffitto dell’anticamera dell’appartamento della regina nella Palazzina di caccia di Stupinigi (Mallé 1968). Crosato rientra a Venezia nel 1736, come testimonia l’elenco della Fraglia dei pittori di quell’anno, dove figura anche il suo nome (Favaro 1975). Fra le lagune rimane fino al 1740, anno in cui è di nuovo a Torino dove affresca la sacrestia della chiesa della Consolata, e si cimenta in una nuova attività, quella di scenografo. Se nel 1742 lavora alle scene per il teatro di San Giovanni Crisostomo di Venezia, l’anno seguente collabora con Francesco Costa all’allestimento della scenografia per il melodramma Tito Manlio rappresentato al Teatro Regio di Torino (libretto di Metastasio e musiche di Nicolò Jommelli), dove il pittore aveva preso il posto di Ferdinando Bibiena (Viale Ferrero 1980). Nonostante la fama di frescante e decoratore fosse arrivata per tempo a Venezia, Crosato in città trovava una concorrenza dura e qualificata che non gli permetteva di esprimere pienamente la propria visione. Verso il 1750 giunse però l’occasione che forse aspettava da tempo. Assente Giambattista Tiepolo, impegnato in quegli anni a Würzburg, i Rezzonico decisero di affidare a lui l’incarico di decorare la sala da ballo del loro palazzo a San Barnaba, il cui affresco sul soffitto riprendeva un tema allora di moda: Apollo e le quattro parti del mondo. Le pitture per l’Ospedale di San Servolo (Niero 1981) e due Stazioni della Via Crucis per la chiesa di Santa Maria del Giglio (Fiocco 1941) sono le ultime opere documentate e risalgono al 1755. L’anno seguente Giambattista Crosato fu nominato membro dell’Accademia veneziana, mentre il 15 luglio 1758 morì, dopo sei mesi di malattia, nella sua casa di San Marcuola a Venezia. Anticamera verso Ponente La decorazione delle pareti venne realizzata da Carlo Pagani, nel 1811, su commissione del governo francese. Vennero utilizzati soggetti in stile con la volta preesistente a "grotteschi". Il lavorò subì gravi danni nel dopoguerra. Nel medaglione ottagonale, al centro della volta, un dipinto attribuito a Seiter raffigurante il “Tempo e la fama”. Le due sovrapporte ovali con Rovine architettoniche, attribuite a Giovanni Domenico Gambone, sono coeve alle cornici degli anni trenta del Settecento, con ricchi intagli scolpiti e dorati. Camera da letto verso Ponente Questa sala ha subito gravi danni per i bombardamenti della II guerra mondiale, nel 1943, che hanno distrutto la volta (con il "Trionfo degli dei del Giaquinto) e la tappezzeria in seta dipinta a fiori. Buona parte degli arredi, progettati intorno al 1730, sono stati rifatti a metà del XX secolo. 1950. Questo ambiente, quando l'edificio era utilizzato come Istituto delle Figlie dei Militari, era adibito a sala della musica Gabinetto verso Mezzogiorno e Ponente L’arredo fisso, realizzato con caratteristiche tecniche diverse da quelle riscontrate negli altri gabinetti della Villa, comprende zoccolo, sovrapporta e porte “alla China”, oltre a specchiere intagliate e dorate con monogrammi, tra cui le iniziali di Polissena d’Assia. L’unitarietà di gusto per l’esotismo era in origine conferita all’ambiente da una tappezzeria “di taffetà alla China con fiori, ed ucelli” già perduta negli anni trenta del novecento ed ora suggerita da una in cotone. Lo stipo, realizzato nella tecnica della “lacca povera”, è evocativo dell’arredo settecentesco dei gabinetti cinesi, dove gli inventari descrivono mobili, complementi d’arredo e suppellettili caratterizzati dalla decorazione in stile orientale e porcellane. Anticamera verso Levante L’aspetto attuale della sala, ripetutamente danneggiata da incursioni aeree tra il 1942 e il 43, si deve ai lavori di ripristino del dopoguerra. Distrutta gran parte della decorazione plastico-pittorica della volta e delle pareti, i dipinti che ornano la sala, compiuti ad imitazione degli originali, risalgono al 1952 e si devono a Francesco Chiapasco. La volta antica conteneva una tela centrale, La visita della Regina di Saba fatta al Re Salomone trasferita al Palazzo del Quirinale. Alle pareti la decorazione era stata realizzata da Giovanni Battista Pozzo nel 1811, nel gout de Raphael e in stile con la preesistente volta. Una sovrapporta in carta dipinta a fiori e uccelli attribuita a Francesco Rebaudengo, superstite di una serie oggetto di furto, testimonia la fase tardo-settecentesca. Il divano, le poltrone e le sedie in gusto Impero sono stati realizzati per la Villa dall'ebanista Francesco Bolgi nel 1812. Le ventagline La denominazione deriva da una preziosa collezione di pagine di ventagli dipinti montate in cornici intagliate e dorate e disposte, alternate a miniature, sui tavolati della boiserie secondo un progetto decorativo definito dagli spazi riconoscibili nelle impronte delle cornici rinvenute durante il restauro. La volta, di rifacimento, riproduce l’originaria iconografia, eccetto il medaglione centrale con “Cupido, che suona la cetra”. Gabinetto cinese verso Ponente La boiserie, di raffinata complessità e uniformità progettuale, si compone di tavolette a sfondo rosso di dimensioni e tecniche varie con paesaggi, fiori e uccelli in oro inserite in montanti a fondo nero con decori policromi di vasi, fenici e personaggi all’orientale, dove anche la sigla “PM”, ripetuta due volte, rimanda alla bottega di Pietro Massa. La volta, attribuibile alla medesima bottega, ripropone soggetti esotici impreziositi dal generoso impiego di oro. Gli sgabelli con "pie' di capra" fanno parte dell'arredo originario in parte trasferito a Palazzo Reale nell'Ottocento. Sulle mensole saranno presto ricollocate due delle quattro statue raffiguranti Guanin, restaurate col contributo dei visitatori delle edizioni 2005-2008 di Rivelazioni Barocche organizzate a cura della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti e dell'Associazione torino Città Capitale Europea. Cappella e tribuna Questo spazio inizilmente venne usato come cappella. Più tardi, con la costruzione di una cappella più grande nella costruzione adiacente, cambia il suo utilizzo. La decorazione sulla volta del soffitto raffigura la “Trinità tra angeli”, è opera di Michele Antonio Milocco (verso il 1730). Attualmente custodisce alcuni busti di personaggi legati al periodo in cui l'edificio ospitò le "Figlie dei Militari": Enrico Morozzo della Rocca, Alessandro Pernati di Momo e Giulia Molino Colombini.