codice della strada

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codice della strada
Newsletter 36
a cura di ALESSANDRO CASALE
comandante di polizia locale
docente in diritto della circolazione stradale
giornalista pubblicista
collaboratore di riviste di settore
direttore di www.infocds.it
CODICE DELLA STRADA
ZONA PEDONALE: INVALIDO
NON E’ AUTORIZZATO
Corte di Cassazione Civile sezione II, 6
settembre 2006, n. 19149
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Con
ricorso del 26 ottobre 2001, C. G. proponeva davanti al Giudice di pace di Senigallia opposizione avverso il verbale di contestazione emesso nei suoi confronti dalla Polizia Stradale di Senigallia per violazione
dell’art. 7 lettera A, comma 13, del Codice della strada.
Assumeva il ricorrente che il giorno 7 ottobre 2001, alle ore 8,30 era alla ricerca di
una farmacia di turno allorché all’incrocio
tra la via Cavour e la via Mastai della città
si era scontrato con un ciclomotore che aveva urtato contro lo sportello anteriore destro
della sua autovettura. In tale occasione, intervenuta la polizia stradale, gli era stata
contestata la violazione di cui sopra per
avere circolato con la vettura in zona riservata alla circolazione pedonale senza tener conto che, quale invalido civile particolarmente menomato nella deambulazione, gli era consentito di muoversi con il proprio mezzo in tutte le zone riservate.
MOTIVI DELLA DECISIONE. L’art. 188 del
D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285 prescrive
che gli enti proprietari della strada sono tenuti ad allestire e mantenere apposite strutture, nonché la segnaletica necessaria, per
consentire ed agevolare la mobilità delle
persone invalide con conseguente loro legittimazione ad usufruirne secondo le relative
autorizzazioni rilasciate dal Sindaco del
Comune di residenza. Entro tali limiti, e
soltanto nelle zone loro riservate come
appositamente segnalato, pertanto, gli invalidi sono autorizzati alla utilizzazione
delle strade mentre è, anche per loro, vietato di transitare in auto dappertutto, come erroneamente affermato nella sentenza impugnata, e men che mai in zone
totalmente vietate alla circolazione stradale perché limitate ai pedoni, il C., aven-
do percorso una strada riservata alla circolazione esclusivamente pedonale ha
chiaramente violato la norma contestata
incorrendo nella sanzione comminatagli.
Affermato, quindi, il principio che agli invalidi è consentito circolare, oltre che sostare, in auto anche nelle apposite strutture loro riservate e debitamente segnalate
mentre anch’essi sono tenuti a rispettare
i divieti prescritti per la generalità dei conducenti salvo che non sia per loro espressamente consentito, giusta apposito segnale, il ricordo del Prefetto di Ancona non
può che essere accolto.
La sentenza impugnata va conseguentemente cassata e decidendosi nel merito,
non essendo necessario alcun ulteriore accertamento di fatto, va rigettata l’opposizione del C. con condanna dello stesso al
pagamento delle spese prenotate e prenotande a debito nonché gli onorari di questa
fase del giudizio che si liquidano in .
300,00 in favore del ricorrente.
IL COMMENTO
Il veicolo al servizio di persona invalida non
è autorizzato al tran sito in ara pedonale.
Lo ha confermato la Corte di Cassazione con
la sentenza 19149/2007 in relazione al
transito in area pedonale da parte di un
invalido civile.
Secondo la Cassazione vale il “principio che
agli invalidi è consentito circolare, oltre che
sostare, in auto anche nelle apposite strutture loro riservate e debitamente segnalate
mentre anch'essi sono tenuti a rispettare i
divieti prescritti per la generalità dei conducenti salvo che non sia per loro espressamente consentito, giusta apposito segnale”
PUBBLICITA’: L’INSEGNA
SUL TETTO E’ PUBBLICITA’
Consiglio di Stato, sez. VI – estratto sentenza 28 giugno 2007 n. 3782
La società VR Metalli s.p.a. aveva presentato, in data 16 marzo 1999, all’Autostrada Brescia, Verona, Vicenza, Padova
s.p.a. (concessionaria dell’autostrada Serenissima), un’istanza volta ad ottenere l’autorizzazione per continuare ad esporre le
proprie insegne d’esercizio, in corrispondenza del km. 73+500, carreggiata ovest
dell’autostrada A/4 Brescia Padova, in Comune di S. Martino Buon Albergo, sul fabbricato di sua proprietà; ma che con nota
del 27 maggio 1999 la società concessionaria aveva comunicato che, con precedente lettera del 6 marzo 1999, n.
1347, l’Ufficio speciale autostrade di Bologna dell’A.N.A.S. aveva rigettato la richiesta di nulla osta affermando che le scritte rivestivano connotazione prettamente pubblicitaria e come tale vietata ai sensi dell’art. 23, commi 1 e 7, del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285.
L’appello è fondato.
Il parere negativo espresso dall’ANAS con
nota n. 1347 del 13 aprile 1999, cui ha
fatto seguito l’impugnato diniego della società appellante, è (nella sua ultima parte,
che fa seguito alla disciplina di riferimento
ed alla circolare n. 41/1998 anzidetta)
del seguente tenore letterale:
“rilevato dalla documentazione prodotta
che le insegne per la quale viene richiesta
l’autorizzazione non rispondono ai requisiti stabiliti perché non sono collocate sull’ingresso principale dell’azienda, ma sul tetto
dell’edificio e rivolta al tracciato stradale,
l’insegna recante la scritta VR Metalli e sulla facciata dell’edificio che è rivolta all’autostrada, l’insegna recante la scritta centro
servizi inox; ritiene che la richiesta di che
trattasi non possa essere accolta in quanto
l’insegna riveste connotazione prettamente
pubblicitaria e quindi in violazione del citato art. 23, comma 7, nonché del comma 1,
in quanto arreca disturbo visivo agli utenti
dell’autostrada e ne distrae l’attenzione con
conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione”.
A tale parere negativo si è pienamente conformata, con il diniego impugnato in primo
grado, la società concessionaria, “in quanto l’insegna riveste connotazione prettamente pubblicitaria e quindi è in violazione dell’art. 23, comma VI°, del d.lgs. 30 aprile
1992, n. 285, nonché del comma I°, in
quanto arreca disturbo visivo agli utenti dell’Autostrada e ne distrae l’attenzione con
conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione”.
Ritiene la Sezione che il rigetto dell’istanza
ed il parere dell’ANAS ad esso presupposto siano, contrariamente a quanto ritenuto
dal TAR, pienamente legittimi.
IL COMMENTO
E' legittimo il provvedimento con il quale l'ente proprietario della strada nega il rilascio dell'autorizzazione di insegna di esercizio quando la stessa deve essere collocata sul tetto dell'edificio.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza 3782/2007 con la quale ha precisato che “per
l'istallazione di una insegna di esercizio nel caso in cui l'insegna stessa non sia da collocare sull'ingresso principale dell'azienda, ma sul tetto dell'edificio e rivolta al tracciato stradale; in tal caso
infatti, l'insegna, per le sue caratteristiche (in quanto non collocata in prossimità dell'ingresso dell'azienda), non può essere considerata come una semplice insegna di esercizio, ma essenzialmente
quale mezzo pubblicitario e può costituire fonte di pericolo per la circolazione autostradale”.
1
Dal combinato disposto delle norme che
precedono (ART. 23 cDs E 47 Regolamento CdS) discende, quindi, che il nulla osta
favorevole dell’ente proprietario della
strada riguardante l’insegna di esercizio
è subordinato alla condizione che la stessa non si configuri, in effetti, per le sue
caratteristiche, quale mezzo essenzialmente pubblicitario; in secondo luogo,
che, pur trattandosi, effettivamente, di insegna di esercizio, essa può essere autorizzata purché non pregiudichi la sicurezza della circolazione.
Nel caso in esame l’ANAS, da un lato, ha
ritenuto che l’insegna di cui si tratta, per le
sue caratteristiche (in quanto non collocata
in prossimità dell’ingresso dell’azienda),
non potesse – anche tenuto conto di una
precedente circolare emanata dall’ente
stesso – essere riguardata come semplice
insegna di esercizio, bensì essenzialmente
quale mezzo pubblicitario; dall’altro, ha ritenuto che la stessa potesse costituire fonte
di pericolo per la circolazione autostradale.
Ritiene la Sezione che, contrariamente a
quanto ritenuto dai primi giudici, l’operato
dell’ANAS (recepito dalla società autostrade) debba ritenersi conforme alla disciplina
normativa sopra riportata.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato, Sezione sesta:
a) - accoglie l’appello in epigrafe e, per
l’effetto, dichiara irricevibile il ricorso di primo grado;
SORPASSO IN CURVA: SI
APPLICANO GLI ARTICOLI
143 E 148
Corte di Cassazione Civile sez. II, 28 settembre 2006, n. 21083
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Il Giudice di pace di Palmi, con sentenza del 10
settembre 2002, rigettò l’opposizione proposta da A. avverso il decreto emesso 1’11
ottobre 2000, con il quale il Prefetto di Reggio Calabria aveva disposto la sospensione della sua patente di guida per la durata
di un mese, per avere il L., in violazione
dell’art. 143, dodicesimo comma C.S.,
proceduto contromano il 3 ottobre 2000 in
territorio del Comune di Palmi alla guida
della propria autovettura tg. RC363599 in
corrispondenza di curva della SS 19.
Osservò il giudice, per quel che ancora interessa, che ricorreva nella specie la violazione contestata, e non quella eccepita di
cui all’art. 148, decimo comma C.S., atteso che era ininfluente ai fini della qualificazione dell’infrazione la circostanza che la
circolazione contro mano in prossimità di
curva fosse avvenuta nell’esecuzione di un
sorpasso.
Il L. è ricorso con un motivo per la cassazione della sentenza e l’intimato Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria
ha depositato il 26 settembre 2003 «atto di
costituzione».
MOTIVI DELLA DECISIONE. - Il ricorrente,
lamentando con 1’unico motivo la falsa applicazione dell’ art. 143, primo comma, e
la violazione dell’art. 148, decimo comma, D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, deduce che, in ragione del principio di specialità, l’avvenuta invasione dell’opposta corsia in prossimità di curva in modo repentino per l’effettuazione di una manovra di
sorpasso, seguita dall’immediato rientro nella corsia di marcia, avrebbe integrato la
violazione delle disposizioni regolanti il sorpasso dei veicoli e non di quelle disciplinanti la loro posizione sulla carreggiata.
Il motivo è infondato.
Il sorpasso che, in quanto necessario per
evitare intralci alla circolazione e sveltire il
traffico, costituisce una manovra connaturale alla circolazione dei veicoli e sempre
consentita, salvo che non ricorrano le condizioni di pericolo specificamente menzionate nell’art. 148, C.S., non comporta necessariamente l’invasione dell’opposta
corsia di marcia e da essa prescinde la disciplina per esso stabilita, limitandosi
questa a stabilire la regola comune che il
sorpasso deve avvenire sulla sinistra del
veicolo o di altro utente della strada che
procede nella stessa corsia e che se la carreggiata o semi carreggiata sono suddivise in più corsie, il sorpasso deve essere
effettuato sulla corsia immediatamente alla sinistra del veicolo che si intende sorpassare.
Il divieto di sorpasso in prossimità o in
corrispondenza delle curve o dei dossi e
in ogni caso di scarsa visibilità, stabilito
dall’art. 148, decimo comma, C.S., ha
conseguentemente l’esclusiva finalità di
prevenire il non avvertibile pericolo derivante dalla possibilità che un veicolo procedente in senso inverso abbia invaso la
IL COMMENTO
Al conducente che sorpassa in curva si
applica sia l'articolo 143 che l'articolo 148.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la
sentenza 21083/2006 nel processo relativo
ad un sorpasso avvenuto in provincia di
Reggio Calabria.
Secondo la Corte infatti “L'effettuazione di
una manovra di sorpasso in prossimità di
una curva con l'invasione dell'opposta corsia
di marcia realizza, conseguentemente, tanto
la fattispecie di un sorpasso vietato quanto
quella della circolazione contromano, non
sussistendo tra le due violazioni un rapporto
di specialità, bensì di concorso formale”.
La Cassazione si conferma quindi innovativa in tema di applicazione delle
norme del codice stradale: dopo l'intervento sulla pubblicità abusiva per la
quale prevede l'applicazione degli articoli 23 e 25, ecco un altro importante
orientamento a proposito di s o r p a s s o .
2
parte della carreggiata percorsa dai veicoli procedenti in senso inverso e, in generale, che la riduzione dello spazio di manovra non consenta ai veicoli coinvolti in
un sorpasso di evitare gli ostacoli alla normale circolazione non percepibili dai loro
conducenti con la normale tempestività
(cfr., tra le altre, in rif. art. 106 cod. abrog.;
Cass. pen., sez. IV, 4 febbraio 1983,
n.1566).
L’obbligo imposto ai veicoli dall’art. 143,
C.S., di circolare sulla parte destra della
carreggiata, oltre che in prossimità del margine destro della medesima, anche quando
la strada è libera, e la previsione di una
particolare sanzione per colui che circola
contromano in corrispondenza delle curve
e dei raccordi convessi o in ogni altro caso
di limitata visibilità, non mira, invece, a tutelare la possibilità di reagire efficacemente ad un altrui comportamento pericoloso,
ma ad impedire che la violazione del precetto venga posta in essere mediante l’invasione dell’opposta corsia di marcia in situazioni che non garantiscano che la stessa, oltre ad essere necessitata, sia anche consentita dalle condizioni del flusso veicolare
opposto e che, in ogni caso, sia rilevabile
dai veicoli sopraggiungenti nell’altra corsia
e consenta ai loro conducenti di adeguare
a detta invasione la propria condotta.
L’effettuazione di una manovra di sorpasso in prossimità di una curva con l’invasione dell’opposta corsia di marcia realizza, conseguentemente, tanto la fattispecie
di un sorpasso vietato quanto quella della circolazione contromano, non sussistendo tra le due violazioni un rapporto di
specialità, bensì di concorso formale, e
correttamente, dunque, la sentenza ha
escluso che non potesse trovare luogo la
sanzione accessoria della sospensione della patente di guida, che, diversamente peraltro da quanto opinato dal ricorrente, trovava applicazione in relazione alla violazione sia dell’art. 143, dodicesimo comma, e sia dell’art. 148, decimo comma,
C.S.
Non va provveduto sulle spese del giudizio,
essendosi l’intimato limitato a depositare un
«atto di costituzione» e non avendo il medesimo svolto alcuna attività difensiva.
SIRENA E LAMPEGGIANTE:
ORGANI AUTORIZZATI
Circolare Mintrasporti Prot.Div6 57014
Del 14 Giugno 2007-07-07
ARTICOLO 177- SOGGETTI LEGITTIMATI
ALL’UTILIZZO DEI DISPOSITIVI SUPPLEMENTARI DI SEGNALAZIONE VISIVA A LUCE
LAMPEGGIANTE BLU E EI DISPOSITIVI
ACUSTICI SUPPLEMENTARI DI ALLARME
Continuano a pervenire a questa sede ri-
chieste di chiarimenti, formulate sia dagli
UMC sia da enti ed istituzioni pubbliche e
private, in ordine all’ambito soggettivo di
applicabilità della norma in oggetto e, nonostante le indicazioni via via fornite da
questa Direzione in sede di riscontro ai singoli quesiti, è emersa la percezione di
un’ampia disomogeneità di comportamento in materia a livello territoriale.
Con la presente circolare, pertanto, si intendono fornire istruzioni operative generali al
fine di una corretta applicazione delle disposizioni che disciplinano l’utilizzo dei dispositivi supplementari in parola.
Dal tenore letterale dell’art. 177, comma 1,
c.d.s. deriva che possono essere dotati del
dispositivo acustico supplementare di allarme e del dispositivo supplementare di segnalazione visiva a luce lampeggiante blu
esclusivamente:
1. gli autoveicoli ed i motoveicoli adibiti a
servizi di polizia o antincendio;
2. gli autoveicoli ed i motoveicoli in disponibilità del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico del Club Alpino Italiano, nonché degli organismi equivalenti esistenti nella regione Valle d’Aosta e nelle Province autonome di Trento e Bolzano;
3. le autoambulanze ed i veicoli assimilati
adibiti al trasporto di plasma ed organi.
Per quanto concerne le fattispecie di cui ai
precedenti punti 2 e 3, non sussistono dubbi interpretativi, attesa la specificità dei soggetti ovvero della tipologia di veicoli cui la
norma pone espresso riferimento.
Viceversa, con riguardo alla fattispecie di
cui al precedente punto 1, si impone la necessità di chiarire quale sia l’effettiva portata applicativa della norma in esame, avendo il legislatore individuato puntualmente
le categorie di veicoli che possono dotarsi
dei dispositivi supplementari (autoveicoli e
motoveicoli) ma non anche i soggetti che
possono farne uso.
In merito, tenuto anche conto di una serie di
pareri espressi dal Ministero dell’Interno e
dal Consiglio di Stato, si fa presente che:
- sebbene l’elencazione contemplata dall’art. 177, comma 1, c.d.s. abbia carattere tassativo, la genericità del richiamo,
contenuto nella norma stessa, ai servizi
di “polizia” e di “antincendio” è tale da
potervi ricomprendere anche i servizi di
“protezione civile”;
- le attività di antincendio, di polizia e di
protezione civile debbono essere svolte
da soggetti pubblici;
- gli organismi privati (es. Associazioni di
volontariato, Istituti di vigilanza privata,
ecc.), comunque denominati ed ancorché
iscritti in appositi registri, albi od elenchi,
non hanno titolo ad utilizzare i dispositivi
supplementari; ciò anche nel caso in cui
cooperino con le competenti autorità pubbliche nell’esercizio di compiti di polizia,
nel settore della prevenzione degli incendi
e, più in generale, nel settore della protezione civile.
Ciò posto, si evidenzia altresì che l’installazione dei dispositivi supplementari non
comporta alcun accertamento tecnico da
parte degli UMC; conseguentemente, i
veicoli dotati di detti dispositivi non sono
soggetti a visita e prova.
Tuttavia, al fine di consentire alle competenti autorità di polizia stradale di poter svolgere i dovuti controlli, è necessario che nella
carta di circolazione venga annotato il tipo
di servizio o di trasporto cui il veicolo è adibito e che legittima l’utilizzo dei dispositivi
stessi; conseguentemente:
a. per le autoambulanze immatricolate in
uso proprio, è sufficiente che nelle righe descrittive sia annotata la dicitura “Trasporto di
infermi ed infortunati connesso all’esercizio
di attività sanitaria” ovvero “Trasporto di infermi ed infortunati connesso all’esercizio
di attività non sanitaria”, secondo le istruzioni già impartite al riguardo con circolare
prot. n. 43325 del 9 maggio 2007;
b. per i veicoli assimilati alle autoambulanze, è sufficiente che nelle righe descrittive
compaia l’annotazione “Veicolo adibito al
trasporto di organi” e/o, a seconda dei
casi, “Veicolo adibito al trasporto di plasma”;
c. per gli autoveicoli ed i motoveicoli in disponibilità di organismi pubblici, è necessario che nelle righe descrittive sia annotata la
dicitura “Veicolo adibito esclusivamente a
servizi di ………… - Può utilizzare i dispositivi supplementari di cui all’art. 177
c.d.s.” specificando, a seconda dei casi,
se si tratta di servizi di polizia, di protezione civile o antincendio; restano esclusi, ovviamente, i veicoli soggetti ad autonomo
regime di immatricolazione (es: veicoli della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, dei Vigili
del Fuoco, ecc.);
d. per le autoambulanze immatricolate in
servizio di noleggio con conducente e gli
autoveicoli ed i motoveicoli immatricolati a
nome del Corpo Nazionale Soccorso Alpi-
IL COMMENTO
I dispositivi lampeggianti e la sirena possono essere utilizzati soltanto da organi di polizia, antincendio e di protezione civile. Per la protezione civile, in particolare, soltanto gli organismi pubblici e quindi non le singole associazioni di volontariato sono titolate.
Lo ha stabilito in Mininterno con la circolare Div6 57014 dello scorso 14 giugno con la quale ha
precisato che non è necessario sottoporre il veicolo ad accertamenti tecnici ma che sulla carta di
circolazione deve essere indicata la norma di legge che attribuisce all'organo interessato i potei di
polizia. Una circolare che da tempo era richiesta al Mininterno poiché sempre più vi sono autoveicoli in forza a servizi non di polizia che fanno uso del lampeggiante blu.
3
no e Speleologico del Club Alpino Italiano,
appare superfluo apporre alcuna specifica
dicitura, poiché nella carta di circolazione
sono già contenuti gli elementi necessari
da cui desumere la legittimazione all’utilizzo dei dispositivi supplementari (tipologia di
veicolo, titolo autorizzativo al servizio di
noleggio con conducente, qualificazione
del soggetto intestatario della carta di circolazione).
Infine, per quanto concerne in particolare
l’ipotesi di cui al precedente punto c), gli interessati dovranno indicare la fonte normativa che attribuisce all’organismo pubblico
la potestà di esercitare i servizi di polizia, di
protezione civile o di antincendio, ovvero
produrre copia del provvedimento amministrativo od di altra documentazione (es.: atto costitutivo, statuto, ecc.) utile a comprovare il legittimo esercizio dei predetti servizi.
PROCEDIMENTO
SANZIONATORIO
STATO DI NECESSITA’:
DEVE ESSERE DIMOSTRATO
Suprema Corte di Cassazione, Sezione
Seconda Civile - Sentenza n.7357 del 26
maggio 2007
FATTO E DIRITTO
C.T. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del G.P. di Roma del
6.11.2004, che aveva rigettato il suo ricorso, convalidando il verbale opposto n.
268201 elevato, dalla polizia stradale,
per violazione dell’art. 176 c.d.s. [1] per
aver circolato nella corsia di emergenza.
Non ha svolto difese il Ministero.
Il ricorrente ha presentato memoria.
Attivata procedura ex art. 375 c.p.c., il
P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso
per manifesta infondatezza.
La richiesta merita adesione.
Con unico motivo il ricorrente deduce che
si era trovato a transitare nella zona contestata in quanto, soffrendo di una forma di
ipoacusia neurosensoriale bilaterale, era
venuto a trovarsi imbottigliato nel traffico
con pregiudizievoli conseguenze per il suo
stato di salute e, anche se il certificato prodotto in giudizio era di circa un anno prima, la patologia non era scomparsa.
Al riguardo la sentenza ha affermato che la
documentazione medica, anteriore di almeno un anno, non certificava che il ricorrente fosse stato colto da crisi al momento
del fatto e che nessuna giustificazione era
stata fornita all’atto della contravvenzione.
Questa Corte ha ripetutamente affermato
che, ai fini dell’accertamento della sussi-
stenza o meno delle cause di esclusione
della responsabilità in tema di sanzioni
amministrative, previste dall’art. 4 della
legge 689/81, in mancanza di ulteriori
precisazioni, occorre fare riferimento alle
disposizioni che disciplinano i medesimi
istituti nel diritto penale, e segnatamente,
per quanto concerne lo stato di necessità,
all’art. 54 c.p. (Cass. 24 marzo 2004 n.
5877, 5 marzo 2003 n. 3524, 12 luglio
2000 n. 9254, etc.); si è, altresì, ritenuto
che sia idonea ad escludere la responsabilità anche la semplice supposizione erronea degli elementi concretizzanti lo stato di necessità, cioè di una situazione concreta che, ove esistesse realmente, integrerebbe il modello legale dello stato di
necessità, in quanto l’art. 3, secondo comma della legge 689/81 esclude la responsabilità quando la violazione è commessa per errore sul fatto, ipotesi questa nella quale rientra anche il semplice convincimento della sussistenza di una causa di
giustificazione, il cui onere probatorio,
tuttavia, grava su colui che invochi l’errore (cass. 12 maggio 1999 n. 4710, la
quale fa discendere l’ammissibilità, anche
in tema di illecito amministrativo, delle esimenti putative dall’art. 59 c.p., a norma
del quale “se l’agente ritiene per errore che
esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di
lui”; Cass. 25 maggio 1993 n. 5866,
Cass. 20 novembre 1985 n. 4710).
Puntualizzando, peraltro, in sede penale,
che, ove l’imputato deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di una esimente reale o putativa, è su di lui che incombe l’onere di provarne la sussistenza, non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio, e l’allegazione da parte dell’imputato erronea supposizione della
sussistenza dello stato di necessità deve
basarsi, non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti, i
quali siano tali da giustificare l’erroneo conIL COMMENTO
Lo stato di necessità deve essere dimostrato
da colui che lo invoca al fine di essere escluso dalla applicazione di una sanzione.
La Corte di Cassazione conferma il proprio
orientamento con la sentenza 7357/2007
riguardante un cittadino che aveva invocato
una patologia certificata un anno prima per
escludere la sanzione.
Il fatto, verificato in provincia di Roma, riguardava un automobilista che, trovatosi imbottigliato in
colonna, aveva utilizzato la corsia d'emergenza e,
sanzionato ai sensi dell'articolo 176, aveva esibito un certificato medico che attestava un
forma di claustrofobia.
La Cassazione ha ritenuto, fra l'altro, che tale
patologia non è stata provata da ricorrente.
In particolare “ ove l'imputato deduca una
determinata situazione di fatto a sostegno
dell'operatività di una esimente reale o putativa, è su di lui che incombe l'onere di
provarne la sussistenza”.
vincimento in capo all’imputato di trovarsi in
tale stato (Cass. Pen. 1 luglio 2003 n.
28325).
Per questi motivi la corte rigetta il ricorso.
Roma 6 dicembre 2006
POLIZIA GIUDIZIARIA
USO DELL’ARMA:
NO CONTRO AGGRESSORE
CHE FUGGE
Corte di Cassazione Sezione III penale
sentenza 22 maggio 2007, n. 11879
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
W. S. ha chiesto la condanna di A. G. al
risarcimento dei danni sofferti per le lesioni
riportate il 7 maggio 1983 perché attinto
da un proiettile sparato dalla pistola del carabiniere G., che, nell’esercizio di un servizio di appostamento, aveva tentato di fermarlo per identificarlo.
Lo S. ha sostenuto, infatti, che l’azione del
militare era del tutto ingiustificata dato che
il proiettile era stato sparato mentre egli stava per allontanarsi dal militare che, senza
dichiararsi, gli si era improvvisamente parato dinnanzi in un luogo buio ed isolato.
Il G. si è opposto a questa domanda sostenendo che il colpo era stato esploso accidentalmente durante una colluttazione con
lo S. che, alla intimazione dell’alt, lo aveva
aggredito afferrandolo per il collo e prendendogli il polso del braccio destro.
È vero che lo S. aveva tentato di resistere
con la forza al carabiniere che gli intimava
l’alt. Ma la Corte territoriale non ha affatto
ignorato la circostanza che, anzi, ha
espressamente accertato per negare, però, che essa potesse giustificare la scriminante dell’art. 53 c.p. dato che l’arma è
stata utilizzata quando ormai era cessata la
resistenza attiva dello S.; argomento, questo, che si ricollega al principio di diritto,
più volte ribadito da questa Corte, che,
individuando il fondamento e la giustificazione della disposizione dell’art. 53 citato nella necessità di consentire al pubblico ufficiale l’uso delle armi al fine di
adempiere un dovere del proprio ufficio,
considera legittimo l’uso dell’arma solo in
presenza della necessità di respingere
una violenza o superare una resistenza
attiva, le quali richiedono l’impiego della
forza fisica o morale e non sono perciò
configurabili nel caso di fuga, che realizza solo una resistenza passiva (sent. pen.
n. 6327/1989 e n. 941/1982), se non effettuata con modalità che mettano a repentaglio l’incolumità del terzo (sent. pen.
9961/2000 e 12137/1991).
3. La rilevata infondatezza dei motivi che lo
4
sostengono conduce al rigetto del ricorso
con condanna del ricorrente alle spese del
giudizio in cassazione liquidate in euro
5100, di cui euro 100 per esborsi.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio
in cassazione.
IL COMMENTO
L'operatore di polizia che è stato aggredito
non può sparare all'aggressore in fuga.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza
11879/2007 con riguardo un carabiniere che
aveva sparato a colui che l'aveva aggredito.
Il militare aveva fatto fuoco a conclusione
della colluttazione quando l'aggressore si
trovava a una distanza di oltre due metri da
lui.
Secondo la Cassazione l'uso legittimo dell'arma dell'arma è può avvenire “solo in presenza della necessità di respingere una violenza
o superare una resistenza attiva, le quali
richiedono l'impiego della forza fisica o
morale e non sono perciò configurabili nel
caso di fuga, che realizza solo una resistenza
passiva (sent. pen. n. 6327/1989 e n.
941/1982), se non effettuata con modalità
che mettano a repentaglio l'incolumità del
terzo”.
REATI: PALPARE IL SENO
E’ ABUSO SESSUALE
Cassazione – Sezione terza penale – sentenza 5 aprile – 22 maggio 2007, n.
19718
La Y. Denunciava ai carabinieri che il 6
agosto del 2002 mentre passeggiava per
il piazzale Michelangelo di Firenze, era
stata superata da un ciclomotore guidato
da un signore con una tuta sgargiante.
Questi, dopo averla superata, aveva parcheggiato il mezzo ed era ritornato indietro
a piedi. Giunto alla sua altezza, le aveva
palpeggiato fulmineamente il seno sinistro
e si era allontanato velocemente. La ragazza aveva però rilevato il numero di targa
del ciclomotore che era l’unico parcheggiato nella zona. Sulla base di tale targa i
carabinieri individuarono il proprietario nella persona dell’attuale ricorrente la cui fotografia, insieme con altre, venne mostrata
alla parte offesa, la quale riconobbe nel
prevenuto l’autore del palpeggiamento.
Successivamente in udienza vedendo l’imputato ribadì il riconoscimento fotografico.
Il fatto che attualmente le ragazze, peraltro
solo sulle spiagge e non sulla pubblica via,
ostentino il seno nudo non significa che tale parte del corpo abbia perduto la sua natura erogena e non autorizza qualsiasi bagnante o passante a palpeggiarlo senza il
consenso dell’interessata. Il seno femminile era e rimane una zona erogena ed il
palpeggiamento di esso, sopra o sotto i
vestiti, ancorché fugacemente, configura
un atto sessuale se effettuato per soddisfare il proprio desiderio erotico e diventa criminoso se attuato senza il consenso
dell’interessata. Trattasi, infatti, di un atto che offende la libertà di autodeterminazione sessuale della vittima e per tale
ragione si distingue dal più generico reato di violenza privata che rimane assorbito nella violenza sessuale. Invero il delitto di violenza privata ha natura generica
e sussidiaria e ricorre quando la violazione dell’altrui libertà di autodeterminazione non è prevista come ipotesi specifica di
reato.
Secondo l’orientamento di questa corte
(Cass. n. 44246 del 2005; 37395 del
2004), in tema di violenza sessuale, deve
intendersi per atto sessuale previsto dall’art. 609 bis cod. pen., oltre al coito di
qualsiasi natura, ogni atto diretto ed idoneo a compromettere la libertà della persona attraverso l’eccitazione o il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente. Ne consegue che per la configurabilità del reato occorre la contestuale presenza di un requisito soggettivo, costituito dal
fine di concupiscenza (ravvisabile anche
nel caso in cui l’agente non ottenga il soddisfacimento sessuale), e di un oggettivo,
costituito dalla concreta idoneità della
condotta a compromettere la libertà di
autodeterminazione del soggetto passivo
nella sua sfera sessuale e a suscitare o
soddisfare la brama sessuale dell’agente.
A tale fine anche un semplice toccamento,
non casuale, di zona erogena effettuato al
fine di soddisfare la propria bramosia sessuale configura il reato. D’altra parte il prevenuto non ha fornito un’interpretazione alternativa sulla natura di quel palpeggiamento.
PQM
La Corte letto l’articolo 616 c.p.p. rigetta il
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
IL COMMENTO
Palpare il seno senza il consenso dell'interessata
costituisce
abuso
sessuale.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza
19718-2007 con riguardo ad un fatto verificatosi a Firenze ove un passante, evidentemente attratto dal seno di una donna che
passeggiava, lo aveva fulmineamente palpato.
Secondo la Cassazione “. Il seno femminile
era e rimane una zona erogena ed il palpeggiamento di esso, sopra o sotto i vestiti,
ancorché fugacemente, configura un atto
sessuale se effettuato per soddisfare il proprio desiderio erotico e diventa criminoso se
attuato senza il consenso dell'interessata.
Trattasi, infatti, di un atto che offende la
libertà di autodeterminazione sessuale della
vittima e per tale ragione si distingue dal
più generico reato di violenza privata che
rimane assorbito nella violenza sessuale”.
TESTIMONIANZE:
ATTENZIONE AI MINORI
La Terza Sezione Penale della Corte di
Cassazione Sent. 21643/2007
La Cassazione ha stabilito che occorre utilizzare molta attenzione e prudenza nel valutare le testimonianze rese dai minori in tema di abusi e ciò in quanto per i bambini
vicini all’infanzia è molto alto il rischio che
gli stessi non riescano a distinguere il vissuto dall’immaginato.
Partendo da questa considerazione la Corte giunge poi ad affermare che “le dichiarazioni di un minore persona offesa di reati
sessuali, specie nel caso in cui costituiscano
l’unica fonte di prova, devono essere sottoposte ad un esame critico particolarmente rigoroso tendente a verificare l’esistenza di
eventuali interferenze inquinanti che possano influire sulla attendibilità della vittima”.
Con questa decisione la Corte ha respinto
il ricorso di un uomo accusato di aver usato violenza nei confronti di una minore. Nel
caso di specie, osserva la Corte, “l’età anagrafica della minore non rendeva concreto
il rischio che la stessa non distinguesse il
vissuto dallo immaginato o non comprendesse la ricaduta delle stesse accuse”.
Nel contempo però i Giudici hanno precisato che tale certezza non può sussistere
“con bambini vicini all’infanzia” nei quali e’
“concreto il rischio” di confondere la realtà
dalla immaginazione e che sono “complesse le indagini volte a stabilire la capacità di
un bambino a rendere testimonianza (cioè,
la sua attitudine a comprendere fatti, a memorizzarli, a riferirli in modo utile) ed a verificare il suo grado di maturità e la sua situazione psicologica, tali tematiche sono
utilmente affidate alla competenza di un
esperto”.
EDILIZIA
ORDINANZA DEMOLIZIONE:
LEGITTIMA LA NOTIFICA
AD UN SOLO CONIUGE
CGA, SEZ. GIURISDIZIONALE - sentenza
9 luglio 2007 n. 566
La vicenda in esame riguarda un manufatto abusivo a due elevazioni in contrada
Germanosa della frazione Marea del Comune di Rometta su un terreno di proprietà
indivisa dei coniugi Francesco Frazzetto e
Assunta Sturniolo, localizzato nella fascia di
150 metri dalla battigia.
La sig. Sturniolo in data 9.11.1985 aveva
presentato domanda di sanatoria del predetto edificio, indicando espressamente
che lo stesso era destinato ad abitazione.
Ma cinque anni dopo (nel 1992) decideva di cambiarne la destinazione d’uso: da
5
abitazione, a ricovero barche e altri attrezzi per la pesca. A tale scopo presentava
una seconda istanza di sanatoria.
La sig.ra Sturniolo tuttavia non ha potuto
soddisfare la sua pretesa. Il Comune infatti: non ha concesso la sanatoria edilizia,
ha ingiunto la demolizione delle opere, da
ultimo ha accertato la non avvenuta demolizione delle medesime ai fini dell’acquisizione del bene al suo patrimonio.
DIRITTO
2. Nel merito l’appello è basato su due capisaldi: 1) sanabilità delle opere realizzate (e quindi illegittimità dei provvedimenti, a
suo tempo impugnati dai due ricorrenti e
dichiarati legittimi dal TAR); 2) inefficacia
dei provvedimenti sanzionatori nei confronti del Frazzetto, in quanto ignaro dei medesimi (ne avrebbe preso visione tardivamente solo “per gentile concessione della moglie”), nonché estraneo (così sembrerebbe
affermare) all’abuso edilizio. Da qui violazione dell’art. 7, c. 3 l. n. 47/1985 e carenza di istruttoria.
B) Per quanto riguarda infine i motivi di appello formulati dal solo Frazzetto, essi - come già accennato - tendono a evidenziare
i rapporti “non idilliaci” tra i due coniugi
(nonostante la convivenza) che avrebbero
tenuto all’oscuro il Frazzetto sia in ordine
all’attività edilizia espletata dalla moglie sul
terreno indiviso, sia in ordine ai provvedimenti sanzionatori notificati dall’amministrazione alla sola sig.ra Sturniolo.
Il giudice di primo grado non ha ritenuto
plausibile questa tesi che (se accolta) avrebbe dovuto portare alla inefficacia dei provvedimenti sanzionatori nei confronti del Frazzetto o quanto meno a una nuova istruttoria.
Questo Consiglio condivide pienamente tale impostazione.
Va anzitutto ricordato in proposito l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui nell’ambito dei poteri di amministrazione e rappresentanza in giudizio spettante disgiuntamente ai coniugi ex art. 180 c.c., per i beni oggetto di comunione, rientra anche la legittimazione di ciascuno di essi ad essere
destinatario o a ricevere notificazione di
provvedimenti, quali quelli sanzionatori in
materia edilizia, con effetti anche nei confronti dell’altro coniuge (cfr. TAR Sicilia Palermo, II, 29 dicembre 1989, n. 816).
Non sembra comunque sostenibile alla luce dei normali criteri di ragione (principi
dell’ordinamento giuridico e quindi vincolanti per il giudice), che in un contesto territoriale limitato come quello di Rometta - in
cui le vicende private e proprietarie assumono, come in tutti i piccoli centri, carattere corale - il sig. Frazzetto sia rimasto del tutto
ignaro a una vicenda che interessava direttamente la sua famiglia e un bene in comproprietà, salvo a ritrovare una perfetta armonia col coniuge al momento della richiesta di sanatoria.
Non appare infine neppure suscettibile di
accoglimento la doglianza degli appellanti relativa alla mancata sottoposizione del
progetto alla speciale commissione per
l’abusivismo istituita presso i comuni con più
di 5.000 abitanti, perché nel caso specifico - essendo basato il provvedimento di diniego su un fatto oggettivo di facile accertamento (la localizzazione del manufatto a
una distanza inferiore a 150 metri dalla
battigia - non si vede quali altri scenari
avrebbero potuto aprirsi da una istruttoria
espletata da una siffatta commissione, creata peraltro al solo scopo di affiancare gli uffici comunali nell’esame delle numerosissime istanze di sanatoria.
L’appello, assorbito ogni altro motivo ed eccezione, va dunque respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare le
spese di questo grado di giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per
la Regione Siciliana in sede giurisdizionale,
pronunciando in via definitiva sull’appello
indicato in epigrafe, lo rigetta e per l’effetto
conferma la sentenza di primo grado.
IL COMMENTO
E' legittimo, in quanto validamente notificato, un provvedimento di demolizione di
opere edilizie abusive, realizzate su un bene
in regime patrimoniale di comunione legale, nel caso in cui sia stato notificato ad uno
solo dei coniugi comproprietari.
Lo ha stabilito Il Consiglio di Giustizia
amministrativa della Regione Sicilia con la
sentenza 566-2007 nella quale ha precisato
che “nell'ambito dei poteri di amministrazione e rappresentanza in giudizio spettante
disgiuntamente ai coniugi ex art. 180 c.c.,
per i beni oggetto di comunione, rientra
anche la legittimazione di ciascuno di essi ad
essere destinatario o a ricevere notificazione
di provvedimenti, quali quelli sanzionatori
in materia edilizia, con effetti anche nei confronti dell'altro coniuge”.
ORDINAMENTO LOCALE
SINDACO:
SI’ ALLA RESPONSABILITA’
DI SERVIZIO
Tar Piemonte, sez. I - sentenza 13 giugno
2007 n. 2584
Ritenuto opportuno decidere direttamente il
merito del ricorso nella presente sede a sensi della norma sopra citata;
Considerato che il provvedimento impugnato, recante annullamento di un permesso di costruire precedentemente rilasciato, è stato assunto dal Sindaco di Mezzomerico nella veste di Responsabile del
Servizio Tecnico-Urbanistico-Manutentivo;
Considerato che la responsabilità di tale
servizio è stata affidata al Sindaco con
deliberazione G.C. 10 aprile 2007, n. 24;
Considerato che, con il primo motivo, la
società ricorrente denuncia violazione
dell’art. 53, comma 23 L. 23 dicembre
2000, n. 388, osservando che l’attribuzio-ne ai componenti della Giunta di responsabilità “gestionali” sarebbe possibile nei Comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti in presenza di tre requisiti concorrenti, e precisamente: la
mancanza non rimediabile di figure professionali idonee nell’ambito dei dipendenti, il fine di contenimento della spesa e
la previa adozione di apposite disposizioni regolamentari organizzative;
Considerato, in ordine a quest’ultimo punto, che la deliberazione G.C. 10 aprile
2007, n. 24, con cui è stata attribuita al
Sindaco la responsabilità del Settore Tecnico-Urbanistico-Manutentivo richiama
espressamente l’art. 12 del regolamento
Generale degli Uffici e dei Servizi, il quale conferisce alla Giunta Comunale il potere di individuare i Responsabili degli Uffici e Servizi medesimi, che sono poi nominati dal Sindaco;
Ritenuto che tale previsione integra il presupposto regolamentare per l’attribu-zione
di dette responsabilità ad un organo “politico” del Comune, discendendo il relativo
potere direttamente dalla legge (T.A.R. Piemonte, I, 8 novembre 2006, n. 4001);
Ritenuto che l’ulteriore requisito rappresentato dalla “mancanza non rimediabile di figure professionali idonee”, previsto dal testo originario dell’art. 23, comma 53 L. 23
dicembre 2000, n. 388, non è più necessario, essendo stato eliminato da tale disposizione ad opera della successiva modifica introdotta dall’art. 26 L. 28 dicembre
2001, n. 448;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte - Sezione I - definitivamente pronunciandosi sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Torino il 13 giugno 2007
con l’intervento dei magistrati.
PERSONALE
INCOMPATIBILITA’
AMBIENTALE: I REQUISITI
Consiglio di Stato, sez. IV - sentenza 10
luglio 2007 n. 3892
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale
Amministrativo Regionale per la Liguria,
l’odierno appellante, maresciallo capo dell’Arma dei Carabinieri già assegnato al
Centro Operativo della Direzione Investigativa Antimafia di Genova, impugnava
sia i provvedimenti, con i quale era stata disposta la revoca di tale sua assegnazione,
6
rimettendolo nella disponibilità del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, sia
il suo trasferimento per servizio al 3° Battaglione Carabinieri “Lombardia” in Milano a
fare data dal 10.2.1997.
1. - L’appellante deduce anzitutto la ingiustizia della sentenza impugnata, che avrebbe in sostanza omesso di pronunciarsi sui
motivi di ricorso rivolti avverso il contestato
provvedimento di sua riassegnazione dalla
D.I.A. all’Arma dei Carabinieri, asseritamente affetto dal vizio di eccesso di potere
sotto varii profili, con particolare riguardo al
difetto di istruttoria e di motivazione, in
quanto, afferma, “nessuno dei presupposti
posti a fondamento del provvedimento di
rassegnazione” sarebbe a lui specificamente riferibile.
Le censure sono infondate, risultando dagli
atti di causa che l’Amministrazione ha provveduto ad un generale trasferimento di una
serie di dipendenti, a seguito di fatti aventi
rilevanza penale, che, a prescindere dal
coinvolgimento o meno dei singoli nelle indagini penali conseguenti, avevano determinato il venire meno dell’indispensabile
rapporto di fiducia della Autorità Giudiziaria nei confronti della D.I.A. genovese (e
non, dunque, nei riguardi di specifici soggetti operanti in essa), “con gravi conseguenze
sull’operatività” della struttura (v. l’impugnata nota del Capo Centro della D.I.A. di Genova in data 14 novembre 1996).
In realtà, l’appellante faceva parte della
D.I.A., così come ne facevano parte i militari coinvolti nei fatti penali fino alla data del
loro arresto, non rilevando, al fine della disposta riassegnazione del ricorrente all’Arma dei Carabinieri, la sua estraneità alle indagini penali, quanto, piuttosto, l’oggettiva
difficoltà d’impiego, che quei fatti hanno
determinato con riferimento all’intera struttura, sì da indurre non incongruamente l’Amministrazione ad un avvicendamento generale del personale ad essa assegnato per
esigenze di servizio.
Come, invero, da questa Sezione già affermato con riguardo alla analoga situazione
di altro militare attinente alla stessa vicenda
(v. dec. n. 1489/2005), ai fini della legittimità del provvedimento di trasferimento
per incompatibilità ambientale è necessaria, ma anche sufficiente, una congrua
motivazione circa la sussistenza di un nesso di correlazione tra la situazione di incompatibilità e il comportamento o la situazione del dipendente lesivo del prestigio dell’ufficio, tale da poter essere risolta solo con il suo allontanamento, sia pure unitamente ad altri colleghi che si trovino nella medesima situazione, pur incolpevole (in tal senso, C. Stato, IV, 2 agosto 2000, n. 4256).
Il trasferimento per incompatibilità ambientale di un pubblico dipendente è
espressione di potestà ampiamente di-
screzionale, seppure non sottratto al sindacato del giudice amministrativo sotto il
profilo della logicità, della completezza
di motivazione e dell’eventuale travisamento dei presupposti; è sufficiente che
esso non prescinda da un nesso di riferibilità dello stato di disordine e di disagio
al comportamento o alla condizione del
dipendente stesso o anche di un intero
gruppo di dipendenti (la fattispecie riguarda un intero corpo di collaboratori della Direzione Investigativa Antimafia, dopo fatti
penali riguardanti soltanto tre di essi, ma
che avevano determinato un generalizzato
clima di sfiducia da parte della Autorità
Giudiziaria), ancorché incolpevole ed è legittimo quando il trasferimento costituisca misura adeguata al fine di restituire
all’ufficio pubblico il perduto prestigio o la
perduta funzionalità (Consiglio di Stato,
VI, 2 settembre 2002, n. 4406).
Allo stesso modo, non rilevano poi le condizioni personali e familiari del dipendente,
in quanto costituisce giurisprudenza consolidata (anche di questa sezione; tra le tante cfr., da ultimo, dec. 15 giugno 2004, n.
3926) che il trasferimento per incompatibilità ambientale consegue ad una valutazione ampiamente discrezionale dei fatti
che possono sconsigliare la permanenza
in una determinata sede, senza per ciò assumere carattere sanzionatorio, sì che la
sua adozione non presuppone né una valutazione comparativa della amministrazione in ordine alle esigenze organizzative
dei propri uffici, né la espressa menzione
dei criteri in base ai quali vengono determinati i limiti geografici della incompatibilità
ai fini della individuazione della sede più
opportuna, né può essere condizionata alle condizioni personali e familiari del dipendente, che ovviamente recedono di fronte all’interesse pubblico alla tutela del buon
funzionamento degli uffici e del prestigio
dell’amministrazione stessa (Consiglio di
Stato, IV, 15 giugno 2004, n. 3926).
IL COMMENTO
Il trasferimento per incompatibilità ambientale è a discrezione
dell'Amministrazione.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con la
sentenza 3892/2007 nella quale ha precisato
che “Iil trasferimento per incompatibilità
ambientale consegue ad una valutazione
ampiamente discrezionale dei fatti che possono sconsigliare la permanenza in una
determinata sede, senza per ciò assumere
carattere sanzionatorio, sì che la sua adozione non presuppone né una valutazione comparativa della amministrazione in ordine
alle esigenze organizzative dei propri uffici,
né la espressa menzione dei criteri in base ai
quali vengono determinati i limiti geografici della incompatibilità ai fini della individuazione della sede più opportuna, né può
essere condizionata alle condizioni personali
e familiari del dipendente, che ovviamente
recedono di fronte all'interesse pubblico alla
tutela del buon funzionamento degli uffici e
del prestigio dell'amministrazione stessa”.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale,
sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge, confermando, con diversa motivazione, la impugnata sentenza.
Spese del grado compensate.
PUBBLICA SICUREZZA
NO LICENZA A PRESTANOME
Cga, sez. Giurisdizionale - sentenza 15
giugno 2007 n. 453
1. La società a r.l. Sea and Sun impugnava
avanti al Tribunale amministrativo regionale
della Sicilia, Palermo, i seguenti atti:
1) decreto del 4.6.1996 catg. 11/A-96,
con cui il Questore di Palermo aveva rigettato l’istanza della società ricorrente, volta al
rilascio della licenza di P.S. finalizzata alla
attivazione di un esercizio ricettivo in Santa
Flavia, via Nazionale n. 45/a, rilevando
che l’amministratore unico della società ricorrente nonché l’unico altro socio della predetta s.r.l, titolari dei capitali investiti, erano
entrambi figli del sig. Filippo Ficano, nato a
Bagheria il 2.1.1927, indiziato di appartenenza ad associazione mafiosa, ex soggiornante obbligato e già implicato in traffici di
stupefacenti in Italia ed USA e nel relativo riciclaggio, e considerando che “la costituzione della società solo con i figli del Ficano conduce legittimamente a ritenere che i
capitali dell’impresa siano anche di provenienza paterna e che, pertanto, il richiedente possa fungere da prestanome del padre”.
In forza degli articoli citati, si deve riconoscere (ex artt. 8 e seguenti) all’autorità di
pubblica sicurezza una potestà discrezionale in ordine al diniego delle licenze o
autorizzazioni ivi contemplate.
Tale potestà giustifica in particolare il diniego delle autorizzazioni ad un soggetto, qualora si abbiano elementi sufficienti per ritenere che quest’ultimo sia un mero prestanome. Il che è implicito nel sistema - anche in considerazione del principio della necessaria personalità delle autorizzazioni di polizia.
In caso contrario il potere della autorità di
pubblica sicurezza risulterebbe totalmente vanificato mediante il semplice espediente di interporre un prestanome.
2. Nella specie tali riscontri sono verificabili, in quanto come rilevato dal TAR:
- il sig. Filippo Ficano, padre dei due soci
componenti la società ricorrente, a seguito
di decreto del Tribunale di Palermo in data
19 ottobre 1983, è stato sottoposto a misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in Comune
fuori dalla Sicilia. Da tale decreto emerge
tra l’altro che lo stesso è stato imputato in pro-
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cedimento penale con numerosi coimputati
per ricettazione continuata con riguardo a
denaro proveniente da delitti e per avere ricevuto da altri coimputati somme di denaro
in valuta estera (dollari U.S.A.) che provvedeva a cambiare in valuta italiana; ha mantenuto rapporti con pregiudicati e mafiosi, ha
condiviso intenti ed interessi dell’associa-zione di tipo mafioso, dedita al traffico di stupefacenti su scala internazionale;
- il predetto è stato poi condannato per riciclaggio (cfr. sentenza della Corte d’appello di Palermo del 20 dicembre 1984 – 2
aprile 1985);
- la società ricorrente è composta da due soli soci entrambi figli del sig. Filippo Ficano
e sembra attendibile che la stessa si avvalga di disponibilità economiche del medesimo, avuto riguardo sia allo stretto legame
familiare tra tali soggetti e sia alla modesta
consistenza patrimoniale della società medesima per lo svolgimento dell’attività alberghiera;
- in senso contrario non sembrano determinanti le affermazioni della società ricorrente circa la provenienza del capitale necessario per intraprendere l’attività alberghiera
(un mutuo bancario nonchè i proventi per
l’attività svolta nei settori del turismo e della
ristorazione).
Il mutuo, - per il quale si sono costituiti fideiussori i sigg.ri Castronovo Francesca e Ficano Filippo, genitori dei due soci della società ricorrente, risulta infatti stipulato - sottolinea il TAR - dalla agenzia di viaggi “Baharja Travel” s.a.s e non dalla società ricorrente, ovviamente per finanziamento di
opere facenti capo alla prima. L’attività di
pizzeria iniziata verso la fine del 1990 non
sembra potere di per sè offrire in pochi anni la disponibilità economica per avviare
una struttura alberghiera.
Il diniego si fonda quindi su elementi logici,
risultando per il resto estranea all’atto in vertenza la necessità di un pieno accertamento della interposizione.
P. Q. M.
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la
Regione siciliana in sede giurisdizionale respinge l'appello.
IL COMMENTO
Al prestanome può essere negata la autorizzazione di pubblica sicurezza.
Lo ha stabilito il Consiglio di Giustizia
Amministrativa della Regione Sicilia con la
sentenza 453/2007 con la quale ha precisato
che “ai sensi degli artt. 8 e ss. del T.U. delle
leggi di pubblica sicurezza (R.D. n. 773 del
1931), si deve riconoscere all'Autorità di
pubblica sicurezza una potestà discrezionale
in ordine al diniego delle licenze o autorizzazioni ivi contemplate. Tale potestà giustifica in particolare il diniego delle autorizzazioni ad un soggetto, qualora si abbiano elementi sufficienti per ritenere che quest'ultimo sia un mero prestanome; il che è implicito nel sistema, anche in considerazione del
principio della necessaria personalità delle
autorizzazioni di polizia”.