Maggio - Giugno

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Maggio - Giugno
GERIATRIA
ISSN: 1122-5807
GERIATRIA
RIVISTA BIMESTRALE - ANNO XXI n. 3 Maggio/Giugno 2009 – Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N. 46) Art. 1 Comma 1 - DCB Roma
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Società Italiana Geriatri Ospedalieri – S.I.G.Os.
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Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
87
SOMMARIO
AI LETTORI – Palleschi M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
89
EDITORIALE: A SCUOLA DI MISERICORDIA
Grezzana L.G. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
91
PERCORSO PER L’INTRODUZIONE DI UNO SCHEMA DI NUTRIZIONE ARTIFICIALE
(ENTERALE O PARENTERALE) IN ANZIANI FRAGILI OSPEDALIZZATI CON GRAVE
MALNUTRIZIONE CALORICO-PROTEICA
Cadeddu G., De Meo G., Guidi F., Orlandoni P. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
95
LA TERAPIA ANTICOAGULANTE ORALE IN PREVENZIONE PRIMARIA NEL PAZIENTE ANZIANO CON FIBRILLAZIONE STRIALE
Ferrari A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
101
LA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA: PATOLOGIA DI TUTTE LE ETÀ
Marci M., Teodori R., Scoccia R., Galanti A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
107
L’INSUFFICIENZA RESPIRATORIA CRITICA
D’Angelo C. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
117
REALTÀ E RICERCA NELLE NEOPLASIE DELL’ANZIANO
Torresi U., Valeri M., Pistilli B., Benedetti G., Nacciarriti D., Saladino T., Mariani C., Cingolani D., Mancini C., Latini L. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
121
IL MODELLO DELL’ACCOGLIENZA APPLICATO AL NURSING DEL PAZIENTE ANZIANO IN OSPEDALE
Rizzello A., Venturi B., Poletti M., Zappi R. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
127
RUBRICHE
Vita agli anni
Sabatini D. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
131
Geriatria nel mondo
Zanatta A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
132
Calendario Congressi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
133
Società Italiana Geriatri Ospedalieri
Congresso Interregionale
marche - abruzzo/molise - lazio
La
Medicina
geriatrica:
la centralità
sull’anziano
e la famiglia
Con il patrocinio di:
Regione Marche
ASUR Marche Zona Territoriale 9
Provincia di Macerata
Comune di Macerata
Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli
Odontoiatri
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Macerata 23-24 Ottobre 2009
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Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno 89
AI LETTORI
COME UTILIZZANO
I GERIATRI
LE LORO
COMPETENZE
PER LE PROPRIE
MALATTIE
E PER QUELLE
DEI FAMILIARI?
Prof. Massimo Palleschi
Carissimi,
la domanda può sembrare singolare e l’argomento delicato, ma io credo sia
utile farne un breve cenno e discuterne con voi.
Questo interrogativo mi è venuto in mente in occasione di non rarissime
confidenze di amici geriatri sullo stato di salute dei loro familiari, soprattutto della mamma, con descrizione di quadri funzionali deteriorati che, nell’ambito della nostra disciplina, vengono generalmente attribuiti anche o
soprattutto alla mancanza di un adeguato programma antiinvalidante.
Come è possibile e come va interpretato un evento del genere?
Non so se sia da ipotizzare che persino nel nostro ambiente non sempre
vengano attuate tempestivamente tutte quelle strategie di riattivazione, ben
diverse dalla fisioterapia, sulle quali si basa una parte significativa delle
nostre peculiarità cliniche ed assistenziali.
A chi non è geriatra o è un geriatra solo di facciata questi dubbi potranno
stupire, perché non fa parte delle loro acquisizioni l’assunto che i quadri più
gravi di dipendenza sono in relazione, oltreché alla presenza di malattie
multiple degenerative, anche o soprattutto ad una errata impostazione clinica, cioè all’assenza di tempestivi e mirati programmi di riattivazione.
Io ho provato una grande meraviglia nel constatare che a questi colleghi
non è neppure balenata la possibilità che io potessi avere delle riserve sulla
qualità delle cure e dell’assistenza erogate ai loro familiari.
In sostanza veniva riferita la grave compromissione dell’autosufficienza
come un evento “normale”, ineluttabile.
Secondo il mio parere, la tipologia di cure che il geriatra riserva al familiare anziano gravemente disabile è indicativa del modo di intendere e di vivere la nostra disciplina.
Sempre in questo ambito credo sia molto significativo l’atteggiamento che
il geriatra ha nei riguardi di un’eventuale istituzionalizzazione del proprio
familiare.
Senza generalizzare e senza emettere giudizi semplicistici, tuttavia io non
finisco di meravigliarmi di fronte a notizie – riferite come fatti usuali – di
ricoveri di familiari di geriatri in istituzioni permanenti.
Che fine ha fatto l’insegnamento del Maestro della Geriatria italiana?
Poco prima che morisse, in un’intervista, al prof. Antonini è stato chiesto:
“Professore, che ne pensa della lungodegenza?”
“È la tomba della Medicina”.
EDITORIALE
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno 91
A SCUOLA DI MISERICORDIA
Grezzana L.G.
Coordinatore Dipartimento Interaziendale di Geriatria, Azienda Ospedaliera, Verona – Azienda Sanitaria Locale n. 20
Suor Vincenza Maria Poloni, cittadina veronese fonda trice dell’Istituto delle suore della Misericordia e maestra
di carità, viene proclamata Beata il 21 Settembre 2008.
È impossibile prescindere dal tempo e dal luogo per capire.
Sia pure a grandi linee, è indispensabile tracciare la situazione storica dell’ambiente in cui nacque, visse ed operò Luigia Poloni, per meglio comprendere.
Quello è stato, infatti, un periodo cruciale per
la nostra città.
Alla fine del XVIII secolo, cadde la Repubblica
di Venezia e Verona venne contesa, per vent’anni,
dagli eserciti francesi ed austriaci.
Dopo la caduta della Repubblica di Venezia
(1797), infatti, la regione che oggi si chiama Veneto
era in balia degli eserciti francesi ed austriaci.
L’occupazione francese, nella nostra terra, iniziò nel 1796 e si protrasse sino al 1814. L’esercito
napoleonico era entrato orgoglioso nella nostra
città proclamando le più ingiuste intolleranze,
soprattutto verso la Chiesa, in assoluto contrasto
al messaggio di libertà, uguaglianza e fraternità.
Verona, con la Serenissima aveva vissuto un
ruolo di primo piano.
La nostra gente ha sempre avuto un legame
forte per la famiglia e per la chiesa. È sempre stata
laboriosa, dedicata soprattutto alla vita dei campi.
Con la caduta della Repubblica, venne a trovarsi al centro della furia tempestosa della Rivoluzione francese e ne subì il giogo pesante.
Malgrado la propaganda che proclamava libertà, fraternità e uguaglianza, buona parte del popolo veronese rimase contrario alla Rivoluzione.
Il primo giugno 1796, 12.000 francesi, con i
cannoni carichi, entrarono baldanzosi nella nostra
città, ma il popolo li accolse in mesto silenzio.
Infatti, in nome dei grandi proclami, ben presto
compirono scelleratezze e ruberie di ogni genere.
Disordini, miseria e terrore regnavano ovunque.
Nel 1814, crolla Napoleone e l’Austria cattolica
capovolse la situazione. Furono ricostituiti gli
ordini religiosi, riaperte al culto le chiese profanate, restituite le feste, permesse le processioni.
Sembrava ritornato l’ordine e la disciplina.
L’illusione, però, durò poco. L’Austria, infatti,
provata dalle guerre napoleoniche, si adoperò per
la difesa dei suoi domini. Intraprese opere grandiose per costruire strade, mura e fortini.
Per realizzare le nuove opere, vennero impo-
ste tasse pesanti. Inoltre, si affacciarono epidemie
che lasciavano famiglie disfatte, poveri senza
dimora e disperati che cercavano rifugio nei luoghi pii.
L’entusiasmo e la speranza lasciarono il posto
a cocenti delusioni.
Luigia Poloni nasce a Verona in Piazza delle
Erbe, il 26 gennaio 1802. La sua fanciullezza e giovinezza sono trascorse in quegli anni tormentati.
Il governo austriaco ricorse, infatti, a metodi
repressivi e polizieschi. Solo ad esempio, citiamo
la drammatica sorte di Carlo Montanari, nato nel
1810. Era membro della Commissione di Pubblica
Beneficenza e Direttore Onorario del Ricovero,
luogo destinato ad accogliere poveri, accattoni,
disoccupati e, perfino, fanciulli orfani.
Uomo generoso, sempre schierato dalla parte
dei lavoratori e degli ultimi, aveva ottimi rapporti con don Carlo Steeb e la Poloni e cercava, in tutti
i modi, di favorire le loro iniziative.
Venne condannato a morte perché insubord i n ato al regime austriaco. La sentenza parlava di alto
tradimento. Affrontò la forca il 3 marzo 1853, con la
calma e serena dignità, sugli spalti di Belfiore.
Con lui, medesima sorte subirono Tito Speri ed
il sacerdote don Bartolomeo Grazioli.
Oltre a queste, Verona dovette superare altre
prove. Le calamità naturali si succedevano a cadenza ravvicinata. Dal ’15 al ’17, vi fu una gravissima
carestia che colpì soprattutto la povera gente.
Il 1816 venne chiamato l’anno della pellagra. Gli
abitanti delle campagne si spostavano verso la
città, vagavano per le strade, chiedevano l’elemosina. Spesso, bussavano alle porte del pio Ricovero
che sorgeva sull’attuale via della Valverde.
Nel ricovero, la giovane Luigia fece il suo tirocinio di cristiana misericordia. Ancora adolescente, appena possibile, si recava al Ricovero. Ne era
attratta quasi fatalmente.
La pia Casa di Ricovero era detta pure di Industria. Il 13 febbraio 1812 era stata, infatti, inaugurata con la dizione ”Pia Casa di Ricovero e Civica Industria” perché coloro, tra i ricoverati, che
fossero ancora in grado di lavorare, venivano impegnati in apposite officine interne.
Guerre, tasse impossibili, siccità, carestia, fame, pellagra, vaiolo e colera sono stati, in quegli
anni, compagni della nostra città.
È stato un periodo cruciale per Verona.
È in questo contesto che va inserita l’opera di
Carlo Steeb e di Luigia Poloni.
92
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
Luigia è sempre stata avvezza al sacrificio,
partecipe alle vicende tristi della sua famiglia e
della sua città. Prima di diventare “madre”, è vissuta in una famiglia difficile, superando prove
non indifferenti.
Era figlia di Gaetano Poloni e Marg h e r i t a
Biadego che gestivano un negozio di farmaciadrogheria in Piazza delle Erbe. Fu l’ultima di 12
figli. Solo il primo e l’ottavo arrivarono all’età
adulta. Tutti gli altri morirono nell’infanzia. Il
primo si chiamava Apollonio, l’ottavo Antonio.
I due fratelli maggiori, con le rispettive famiglie, che si ingrossavano di anno in anno per la
nascita dei bambini, si appoggiavano a Luigia.
Per qualsiasi problema o difficoltà si ricorreva
inevitabilmente a lei. Era un fatto scontato.
Il fratello maggiore, Apollonio, sposò Teresa,
che venne colpita da una grave malattia agli occhi
che la rese cieca. Ebbero 13 figli.
L’altro fratello, Antonio, sposò Elena Mazza,
sorella di don Nicola Mazza, amico di Carlo
Steeb. Ebbero 9 figli.
Il fratello Apollonio, mal consigliato, si avventurò in un’impresa che gli procurò non pochi problemi. Prese in affitto una grossa azienda agricola
alla Palazzina.
Affidò la sorveglianza al figlio Carlo, ancora
più sprovveduto del padre. Dovette intervenire
Luigia per scongiurare il tracollo finanziario.
Ogni mattina, all’alba, saliva sul calesse trainato
da un cavallo, che lei stessa guidava e si dirigeva
verso la campagna per sorvegliare e gestire.
Fu in quella occasione che rivelò doti di comando, organizzazione e sapienza amministrativa.
Nel ’32, i Poloni abbandonarono il negozio in
Piazza delle Erbe e lo spostarono in uno più modesto in via Fratta, parrocchia dei Santi Apostoli.
È probabile che la fanciullezza e l’adolescenza
abbiano risentito della mancanza di tranquillità
nella vita cittadina e familiare, turbate dalle guerre e dallo sbandamento morale e religioso. Luigia
si adoperava, senza risparmiarsi, per la sua famiglia, ma il cuore era alla Scuola di Misericordia,
cioè il Ricovero.
Don Carlo Steeb aveva 29 anni più di Luigia.
Sceso a Verona da Tubinga, verso la fine del ‘700,
abbandonò la religione luterana per abbracciare
la religione cattolica. La sua scelta lo obbligò a
soffrire l’ostracismo dei suoi familiari. A vent’anni veniva diseredato di ogni bene materiale e di
ogni affetto domestico.
Nel 1796, venne consacrato ministro di Dio e
per 18 anni, durante le guerre napoleoniche, prestò servizio materiale e spirituale ai soldati feriti e
colpiti da malattie epidemiche al Lazzaretto. I prigionieri ammalati scendevano da Trento affidati,
su zatteroni, alle acque dell’Adige. A Verona, era
stato dato l’ordine perentorio di allestire un luogo
di accoglienza, appunto presso il Lazzaretto sam-
michelliano, costruito su un ansa dell’Adige, non
lontano da Villa Buri.
Verona andava gloriosa d’aver acquisito un
cittadino benefattore dell’umanità, soprattutto, se
inferma.
Sembra che Luigia abbia avvicinato per la
prima volta don Carlo Steeb, quando era ventenne. Veniva a confessare nella parrocchia di San
Fermo in Braida. Luigia lo scelse come proprio
confessore. Luigia e don Carlo erano accomunati
dall’amore per i poveri, per i sofferenti e per gli
emarginati.
Solo, però, dopo parecchi anni gli manifestò il
desiderio di intraprendere la vita religiosa. Don
Carlo le suggerì di pregare con perseveranza
affinché si rendesse più chiara la divina volontà.
Si trattava di aspettare.
La Fondatrice, per un lungo periodo della sua
vita, era stata tutta dedita ai bisogni familiari e nei
ritagli di tempo, appena possibile, prestava la sua
opera al Ricovero.
Il servizio di Luigia Poloni, come volontaria
alle colerose, nel novembre del 1840, all’età di 38
anni, divenne a “tempo pieno”. Si stabilì, infatti,
definitivamente con alcune compagne all’interno
della casa di Ricovero che nel 1.838 provvedeva a
curare, alimentare, vestire 450 poveri, compresi
180 cronici e 120 fanciulli.
Venne accolta, all’inizio, con diffidenza e
disprezzo, ma Luigia aveva imparato a trarre profitto da ogni evenienza quotidiana lavorando,
malgrado le difficoltà, in silenzio e con serenità.
Era convinta che quella fosse la sua strada. Per
Luigia, il Ricovero era la sua scuola di esperienza
e di amore.
L’epidemia colerica che dilagò a Verona nei
mesi di giugno- luglio del ’36, con una mortalità
che raggiunse anche le 40-50 vittime al giorno,
rese necessaria l’apertura di reparti speciali detti
“sequestri” in cui operavano don Cesare Bresciani e don Carlo Steeb. Don Carlo Steeb ebbe come
collaboratrice anche Luigia Poloni che seguiva
spiritualmente già dal 1822.
Quella del colera fu la prova decisiva per il
Beato Carlo e per Luigia Poloni.
Operarono l’uno accanto all’altra per soccorrere i malati.
Il Ricovero continuò ad essere, per la Fondatrice, palestra di compassione.
Lo Steeb era singolare nell’umiltà e la Poloni
sempre modesta e paziente. Lo Steeb visse una
vita di carità per i sofferenti e la Poloni era legata
al suo Ricovero come ad un luogo prodigo di consolazione.
Dopo sette anni, circa, di vita dedicata interamente agli ammalati, Luigia manifesta l’intenzione di consacrarsi al Signore. Lavorava al Ricovero
alle dipendenze di una capo-infermiera, quasi a
tempo pieno. Un giorno, all’improvviso, don
Grezzana L.G. - A scuola di misericordia
Carlo la manda a chiamare e le annuncia che il
Signore la vuole Fondatrice dell’Istituto delle
Suore della Misericordia.
“Nessuna difficoltà vi atterrisca o arresti. A Dio
nulla è impossibile”. Luigia risponde: “Io sono la
più inetta delle creature. Il Signore, però, talvolta si
serve di strumenti debolissimi per realizzare le sue
opere. Sia, dunque, fatta la Sua volontà”.
Don Carlo si considerava un povero nulla,
Luigia la più inetta delle creature, ma da lì scaturì
la storia straordinaria delle Suore della Misericordia. La vita comunitaria effettiva ebbe inizio il
2 novembre 1840.
Gli inizi non furono semplici. Luigia cercò di
coinvolgere diverse compagne che, però, l’abband o n a rono. Rimanevano in quattro. Lucidalba
Pietrobiasi di 50 anni, Luigia Vicentini che diventerà suor Paola, la terza rimane anonima e poi,
naturalmente, c’è Luigia Poloni di 38 anni che
diventerà suor Vincenza Maria. La Poloni, sconcertata, sfogò a don Carlo la bruciante delusione
dell’abbandono di molte compagne, ma non si
perse d’animo.
Il loro alloggio lasciava molto a desiderare.
Due stanzette squallide ed un bugigattolo per la
guardia notturna.
Oltre a questo inizio difficile, un altro problema angustiava la Poloni. In casa, da tempo, mal
tolleravano le frequenti assenze della zia che, appena poteva, se ne andava al Ricovero.
Non era facile per quella famiglia numerosa
rinunciare definitivamente ad una presenza così
indispensabile.
Per la piccola comunità l’inizio è stato in punta
di piedi, quasi in clandestinità, senza chiasso, senza
clamore. La presenza delle quattro donne, in quel
luogo di sofferenza, quasi passò inosservata.
Le ammalate erano avvezze a vivere nella
sporcizia e nella confusione. Le nuove arrivate
avrebbero messo un po’ di ordine, instaurato norme elementari di igiene, ma soprattutto, avrebbero rotto un equilibrio consolidato.
In breve, luoghi, abitudini, ogni cosa mutarono aspetto. L’immondizia si cambiò in pulizia, la
confusione in ordine.
Miserabili privilegi sarebbero stati rimossi.
Da parte sua, la Poloni seppe prendere in
mano la situazione con gradualità senza urtare la
suscettibilità delle degenti, per non creare attrito
con chi era alla direzione, e non sconvolgere in
modo drastico abitudini cristallizzate nel tempo.
La Poloni, in breve, divenne l’angelo tutelare
del Ricovero. Suo era sempre il lavoro più ingrato, più oscuro, più faticoso. Così interpretava il
ruolo dell’autorità. Così era Superiora.
Si era imposta la regola di lavorare molto e
parlare poco, anzi, parlare con l’esempio. Luigia
era calma, ferma e decisa e, nello stesso tempo,
tenera ed amabile.
93
Non ha mai diretto dall’alto, caso mai, è sempre stata “prima” nei lavori più gravosi, nei servizi più ripugnanti, nei compiti meno graditi.
Il primario, il dottor Carlo Turri, osservò che,
in breve, luoghi, abitudini, ogni cosa, mutarono
aspetto.
L’orario di lavoro era improntato ad una spartana semplicità. Ci si alzava alle quattro e mezzo
e dopo l’orazione in comune, le prime attenzioni
erano per le inferme.
Alla sera, prima di coricarsi, l’ultimo atto era
rivolto agli ammalati. Di notte, si alzavano per
turno, a seconda dei bisogni.
Un aspetto straordinario di questo Istituto,
nato nella mente di Carlo Steeb, è che è stato concepito al femminile. Il nome stesso di Misericordia ne tradisce l’essenza. Il suo fine doveva
essere perseguito tramite le donne ed aveva come
obiettivo gli ultimi, gli ammalati. Più erano “ultimi”, più erano importanti.
Se non ci fossero, le suore della Misericordia
bisognerebbe inventarle. La parola misericordia
esprime un bisogno intrinseco di vivere per gli
altri, soprattutto per quelli più provati, i poveri,
gli ammalati, gli esclusi i rifiutati. Queste suore
non hanno mai avuto come obiettivo l’autocelebrazione, l’apparire, l’arrivare prima.
Primi erano i diseredati, i più ammalati, quelli che interessano meno in una società che “conta”. Per raggiungere questo obiettivo ci voleva
sensibilità, attenzione, dedizione, pazienza, generosità di donna.
L’assistenza e la cura degli infermi è stata,
senza dubbio, la prima preoccupazione di don
Carlo Steeb, ma non unica ed esclusiva. Un disegno parallelo mirava alla istruzione delle fanciulle povere. Le prime opere dell’Istituto, infatti,
erano rivolte all’assistenza dei sofferenti.
Nella mentalità dei Fondatori era dominante il
concetto della misericordia. Usare misericordia
significa, in definitiva, preoccuparsi degli altri.
Il filosofo francese Paul Ricoeur, a riguardo,
parla di “relazioni corte” e “relazioni lunghe”,
intendendo per le prime quelle attenzioni cui
tutti dovremmo essere capaci: un po’ di bontà, di
tenerezza, di generosità, come ci ha insegnato il
buon samaritano.
Le seconde vanno oltre e cercano di incidere
sulle cause della miseria, mirando a realizzare la
giustizia, eliminando i privilegi e le disuguaglianze più evidenti.
Carlo Steeb e la Poloni si sono adoperati, in
tutti i modi, per lenire ogni genere di miserie e,
soprattutto, hanno fatto scuola.
In questo senso va interpretato non solo l’assistenza ai sofferenti, ma anche la realizzazione
delle scuole, degli orfanotrofi e l’attenzione che
hanno avuto per i carcerati e per i bambini abbandonati.
94
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
Quindi l’Istituto, secondo il progetto dei Fondatori, si è adoperato e si adopera non solo per
rimuovere la miseria, ma anche le sue cause.
Concepire la misericordia nella sua dimensione educativa, mi sembra sia l’obiettivo più nobile
che Carlo Steeb e Luigia Poloni si erano pre f i s s a t i .
Il 10 settembre del 1848 Luigia Poloni, con
altre 12 compagne, emette i voti religiosi nella
Chiesa di Santa Caterina, annessa al Ricovero ed
assume il nome di suor Vincenza Maria. È presente, in commosso silenzio, don Carlo Steeb.
Suor Vincenza non pretendeva di arrivare a
Dio. La strada che cercava era di scendere sempre
più in basso per meglio condividere le miserie che
avvicinava.
Aveva imparato che la vita è un dono troppo
grande per essere consumato esclusivamente per sé.
Un grande pensatore ebreo, Abraham Joshua
Heschel aveva sottolineato come ciascuno di noi,
per il fatto stesso di esistere, contragga un debito
con la vita, per cui è inevitabile esprimere un
bisogno di gratitudine per un dono ricevuto.
L’uomo non può sottrarsi a questo bisogno di
donare, per cui, ciò che abbiamo lo dobbiamo.
“Devo qualcosa a qualcuno. Devo qualcosa a
tutti. Tutti hanno il diritto di esigere da me”.
Di questo era cosciente la Poloni. Il suo debito
ha pensato di saldarlo incontrando la miseria ed il
dolore del prossimo. Non ha mai disdegnato,
anzi, ha cercato al Ricovero di prendersi carico dei
lavori più umilianti. Li compiva con sensibilità,
delicatezza e buone maniere.
Il suo operare tradiva una femminilità nobile
e, di fatto, ha realizzato al Ricovero una vera rivoluzione. Si è sempre adoperata per gli altri, annullando con abnegazione la sua persona.
Persino se aveva qualche indisposizione era
abilissima a mascherarla. Non lasciava trasparire
alcunché per non pesare sugli altri.
A partire dal 1851, iniziò ad accusare con frequenza diversi malanni che furono preludio del
“ b rutto male”. Seppe mostrare calma e serenità ed
a ff rontare sino all’ultimo la malattia cancerosa al
seno che la condusse a morte l’11 novembre 1855.
Don Carlo Steeb, vecchio, infermo e provato,
le chiuse gli occhi.
A suor Vincenza Maria Poloni non è mai sembrato di compiere qualcosa di eccezionale. Cercava soltanto di pagare i suoi debiti d’amore.
La storia nobile degli Istituti Ospitalieri di
Verona ha sempre visto le suore della Misericordia attrici insostituibili, negli anni.
Per testimoniare il loro impegno, sino all’estremo sacrificio, giustamente, si è deciso di accogliere nella chiesa dell’Ospedale i resti delle 5 sorelle,
Onorilla Basso, Settimilde Stefani, Ginapace Bovi,
Teresa Dall’Antonia, Natalina Faggion che, nella
notte di guerra del 5 luglio 1944, incontrarono
morte gloriosa accanto ai loro ammalati.
“Abbracciate alle care inferme, nell’Ospedale
militare, nello sforzo di portare salvezza, furono
colpite con esse, da bombe nemiche, suggellando
col sangue i candidi voti dello sponsale con Cristo.
Così al verginale contatto, anche la guerra
atroce divenne ministra d’amore”.
Mi sia consentito, da ultimo, un pensiero che
mi ha sempre accompagnato nella mia carriera di
medico ospedaliero.
L’Ospedale di Verona ha raggiunto traguardi
prestigiosi, riconosciuti a livello nazionale e non
solo. Credo che questi siano stati possibili perché
negli Istituti Ospitalieri della nostra città, si sono
adoperate in ogni modo le suore della Misericordia… ed hanno fatto scuola.
A loro dobbiamo un debito di riconoscenza ed
un grazie.
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno 95
PERCORSO PER L’INTRODUZIONE DI UNO SCHEMA DI
NUTRIZIONE ARTIFICIALE (ENTERALE O PARENTERALE)
IN ANZIANI FRAGILI OSPEDALIZZATI CON GRAVE
MALNUTRIZIONE CALORICO-PROTEICA
Cadeddu G., De Meo G., Guidi F., Orlandoni P.*
U.O. Lungodegenza post-Acuzie, i.n.r.c.a., Ancona; * Centro di Nutrizione Clinica, i.n.r.c.a., Ancona
Riassunto: La condizione di fragilità tipica dell’anziano spesso è favorita da uno stato di malnutrizione che si associa
alla fisiologica sarcopenia nel concorrere alla perdita dell’autonomia, all’aumento della morbilità e della mortalità.
Lo scopo dello studio è quello di costruire un percorso, suddiviso in sette fasi, per pianificare la gestione del
paziente anziano con deficit nutrizionale calorico-proteico di grado elevato. Il primo step è l’identificazione del
paziente a rischio di malnutrizione realizzabile con l’ausilio di quello strumento geriatrico che è la valutazione
multidimensionale ad opera di un team multiprofessionale. I passaggi successivi comprendono la programmazione di interventi atti ad integrare l’introito alimentare. La Nutrizione Artificiale, allorché ne esistano le indicazioni,
rappresenta un trattamento medico di frequente impiego, che permette di fornire un apporto calorico adeguato ai
bisogni dell’anziano. Vengono schematizzati i criteri di inclusione per l’impiego della Nutrizione Enterale o
Parenterale, le eventuali controindicazioni e le complicanze. Vengono inoltre sottolineate le procedure operative
inerenti il posizionamento di una PEG e le possibili implicazioni di carattere etico.
Vengono infine riportati i risultati della nostra esperienza in una U.O. di Lungodegenza post-Acuzie che ha per
obiettivo la stabilizzazione clinica del paziente, da cui emerge che il trend annuo di impiego della Nutrizione
Artificiale è complessivamente in aumento. Tale pratica clinica inoltre appare significativamente associata ai livelli di mortalità e alla necessità di istituzionalizzazione alla dimissione in relazione al più alto grado di complessità
dei pazienti sottoposti al trattamento.
In conclusione l’identificazione ed il monitoraggio dei pazienti a rischio di malnutrizione e l’eventuale implementazione nutrizionale permette un miglioramento della qualità della vita dell’anziano fragile.
Parole chiave: Malnutrizione, valutazione multidimensionale, nutrizione enterale, nutrizione parenterale, anziano fragile.
Summary: The state of fragility characteristic of elderly people is often improved by a malnutrition state that, together with
the physiological sarcopenia, contributes to the loss of the autonomy, to the increment of the morbidity and mortality.
Aim of this work is to set a path, made out of seven steps, to plan the management of the elderly patient affected by an high
degree of caloric-proteinic nutrition deficit.
First step is the identification of the patient under risk of malnutrition. This can be evaluated by a geriatric assessment made
by a multi-skilled professional team.
Next steps include the planning of the actions to refill the nutrition supply. The Artificial Nutrition, if needed, is a medical
treatment frequently used that allows to supply a caloric intake adequate to the elderly people’s needs.
Then the selecting criteria for the use of the enteral or parenteral nutrition are pointed out together with the possible compli cations and contraindications.
Moreover, guidelines about PEG introduction are underlined and the possible ethical issues are evaluated.
At the end, the results of our field research, conducted in a Lungodegenza Post Acuzie unit where the patients clinical con ditions are stabilized, are shown. From the analysis of these results, it is clear that the annual rate of use of the Artificial
Nutrition is increasing. This medical treatment is positively correlated to mortality rate and to institutionalization of the
patients, given the their complex medical condition.
Concluding, the identification and the observation of the patients that could be affected by malnutrition and the eventual
nutritional supply improve the life condition of the elderly patients.
Key words: Malnutrition, geriatric assessment, enteral nutrition, parenteral nutrition, frail elderly.
INTRODUZIONE
La malnutrizione è uno stato di malattia determinato da un inadeguato apporto di uno o più
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Giancarlo Cadeddu
U.O. Lungodegenza post-Acuzie, Istituto I.N.R.C.A.
Via della Montagnola, 81 – 60121 Ancona
Tel. 0718003358
E-mail: [email protected]
nutrienti rispetto al fabbisogno energetico. Con
l’invecchiamento della popolazione, in associazione alla condizione di fragilità e di cronicità, si re g istra un incremento della malnutrizione caloricop roteica in entrambi i sessi (1). In particolare nei
pazienti anziani fragili ospedalizzati nelle U.O.
per acuti la prevalenza di tale patologia può oscillare tra il 30 ed il 60%, mentre nelle strutture re s idenziali può arrivare fino all’85% dei casi (2, 3). La
p revalenza aumenta nei soggetti di sesso femmini-
96
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
le ed in quelli di età più avanzata, diminuisce
invece negli anziani residenti a domicilio (4).
La malnutrizione costituisce un fattore di
rischio indipendente non solo di morbilità e di
mortalità, ma anche di incremento della durata di
degenza e di riospedalizzazione precoce (5,6).
Rappresenta pertanto una delle principali cause
dell’aumento dei costi di gestione sanitaria.
Nell’anziano la malnutrizione è strettamente
correlata alla fisiologica riduzione della massa
magra (sarcopenia) nel favorire la condizione di
fragilità: infatti la malnutrizione associata alla
sarcopenia contribuisce ad un’ulteriore perdita di
massa muscolare, interferendo quindi negativamente sullo stato funzionale (7, 8).
Le Linee Guida della Società di Geriatria e
Gerontologia sulla valutazione dell’anziano fragile
raccomandano di porre particolare attenzione allo
stato nutrizionale e agli interventi da implementare in presenza di una condizione carenziale (9).
Numerose sono le cause che concorrono nell’eziopatogenesi della malnutrizione, sia di tipo
sanitario che socio-ambientale, che spesso coesistono in varia misura tra loro (10, 11).
Le cause sanitarie sono riconducibili prevalentemente a:
– edentulia con masticazione insufficiente;
– anoressia;
– difficoltà di salivazione;
– disfagia;
– malassorbimento;
– alcoolismo cronico;
– depressione;
– demenza;
– aumento delle richieste metaboliche per neoplasie, lesioni da decubito, malattie infettive, ustioni, interventi chirurgici;
– grave disabilità per ictus cerebrale, morbo di
Parkinson, osteoartrosi, ipovisus;
– assunzione di farmaci che riducono l’appetito e
l’assorbimento dei nutrienti: antibiotici, lassativi, antiacidi, digitale, L-dopa, antiblastici;
– malattie croniche;
– polifarmacoterapia.
Le principali condizioni di rischio di deficit
nutrizionale sotto l’aspetto sociale sono le seguenti:
– solitudine;
– monotonia della dieta;
– scarse possibilità economiche;
– pasti irregolari;
– bassa classe sociale;
– incapacità di uscire;
– recente dimissione dall’ospedale.
Dal punto di vista fisiopatologico le cause sono
sintetizzabili in quattro condizioni principali:
– diminuzione dell’introito alimentare;
– aumento della perdita di nutrienti;
– aumento del fabbisogno;
– alterazione del metabolismo dei nutrienti.
I principali indicatori clinici di malnutrizione
sono i seguenti:
– calo ponderale;
– secchezza della cute e delle mucose;
– alterazioni degli annessi cutanei: fragilità ungueale, perdita dei capelli;
– ipotrofia muscolare;
– edemi declivi;
– anemia sideropenica;
– decadimento cognitivo;
– deficit funzionale.
Le conseguenze cliniche della malnutrizione
sono (12):
– ritardo nella guarigione delle ferite;
– lesioni da decubito;
– riduzione della funzionalità intestinale;
– riduzione della forza muscolare;
– riduzione della funzionalità dei muscoli respiratori;
– alterazione della termoregolazione con tendenza all’ipotermia;
– diminuzione delle risposte immunitarie;
– aumento del rischio di infezioni;
– ritardo del recupero dopo una malattia acuta.
Nei soggetti anziani malnutriti l’apporto proteico deve essere di 1.5 g/Kg/die, pari al 15-20%
della quota calorica.
La valutazione dello stato nutrizionale può essere effettuato con l’ausilio di varie metodiche:
cliniche, bioumorali, antropometriche, strumentali e con le scale di valutazione multidimensionale (3, 13).
La valutazione multidimensionale (geriatric
assessment) è lo strumento che permette il riconoscimento precoce delle cause di malnutrizione calorico-proteica e rappresenta pertanto la premessa per una diagnosi clinica corretta e di conseguenza per una ottimizzazione degli interventi
socio-sanitari da erogare. In particolare l’attuazione di un approccio dietetico corretto e tempestivo
permette di minimizzare le conseguenze cliniche
della malnutrizione e di conservare le capacità
funzionali residue.
Tra le indagini bioumorali, il dosaggio dell’albumina sierica rappresenta uno dei principali
indicatori utilizzati nella pratica clinica, in quanto
presenta il vantaggio di un impiego routinario.
Un limite assoluto è la sua lunga emivita (circa 20
giorni), che pertanto ne riduce l’importanza come
marker bioumorale negli stati di malnutrizione di
recente insorgenza. Il cut-off di riferimento per
diagnosticare uno stato di grave ipoalbuminemia
è di 2.5 g/dl (14).
Per superare tale limite, attualmente alla misurazione dell’albumina viene associato il dosaggio
della prealbumina sierica, che ha un’emivita inferiore ai due giorni. Pertanto la riduzione dei livelli di tale proteina in seguito a malnutrizione si
verifica assai precocemente; per questo motivo la
Cadeddu G., De Meo G., Guidi F., Orlandoni P. - Percorso per l’introduzione di uno schema…
prealbumina rappresenta attualmente il miglior
indice di deficit calorico-proteico (valori < 10
mg/dl sono un indicatore di grave malnutrizione) (15).
COSTRUZIONE DI UN PERCORSO
L’obiettivo assistenziale deve tendere a:
– stabilizzazione del paziente;
– mantenimento dei risultati raggiunti;
– miglioramento dello stato complessivo di salute.
Per tale motivo è fondamentale attuare un monitoraggio dello stato nutrizionale che coinvolga
paziente, famigliari, caregiver ed equipe medicoinfermieristica.
Lo studio è stato condotto sui pazienti ricoverati nel corso del 2008 presso l’U.O. di Lungodegenza
post-Acuzie dell’Istituto INRCA di Ancona.
FASE 1
Identificazione del paziente a rischio
Sono ritenuti ad alto rischio di malnutrizione i
seguenti quadri morbosi:
– neoplasie avanzate;
– demenza con disfagia neurogena;
– ictus cerebrale con disfagia neurogena e/o stato
soporoso;
– presenza di lesioni da decubito;
– patologie internistiche con associato un ridotto
apporto calorico (scompenso cardiaco, frattura
di femore, insufficienza respiratoria, ecc.).
In particolare la demenza nella sua evoluzione
clinica comporta una difficoltà di alimentazione
attraverso alcuni passaggi successivi: aprassia →
rifiuto del cibo → disfagia → soffocamento durante l’assunzione del cibo.
La valutazione dei disturbi della deglutizione
è opera della fisioterapista del Centro Nutrizionale del nostro Istituto ovvero degli infermieri
dell’U.O.
Operatori coinvolti: Medico, Coordinatore
infermieristico, Infermiere, Fisioterapista.
FASE 2
Valutazione nutrizionale per misurare il grado
di malnutrizione
– diario alimentare circadiano: viene riportato su
una scheda da parte del caregiver l’introito
quotidiano di nutrienti e di liquidi;
– valutazione di alcuni parametri nutrizionali:
albumina, prealbumina, sideremia, emoglobina, linfociti, elettroliti;
– valutazione di una recente perdita di peso non
pianificata (> 10%);
– BMI (Body Mass Index): rapporto tra peso (in
Kg) e il quadrato dell’altezza (in metri); il cutoff per la diagnosi di malnutrizione è < 18.5;
– scale di valutazione multidimensionale: Mini
Nutritional Assessment (uno score < 17 è indi-
97
cativo per uno stato di malnutrizione).
Nell’assessment nutrizionale di base i parametri più utilizzati sono il BMI, la perdita di peso e
l’albuminemia/prealbuminemia.
Operatori coinvolti: Caregiver, Medico,
Infermiere.
FASE 3
In caso di evidente stato di malnutrizione valutato con i criteri sovracitati, dopo identificazione
del fabbisogno nutrizionale, il medico dell’U.O.
inoltra richiesta di consulenza nutrizionale.
Operatori coinvolti: Medico.
FASE 4
Iniziale ricorso, in presenza di indicazione clinica e di adeguata compliance, ad integratori dietetici
calorico-proteici per os (apporto giornaliero variabile tra le 250 e le 600 kcal). Tali integratori alimentari
sono complementari e non sostitutivi dei pasti.
Operatori coinvolti: Medico, Coordinatore
infermieristico, Infermiere, Medico Nutrizionista.
FASE 5
Il Medico Nutrizionista in presenza di evidente
malnutrizione calorico-proteica ed in accordo con
l'équipe dell’U.O. di Lungodegenza post-Acuzie
p rogramma il ricorso ad una Alimentazione
Artificiale: Enterale o Parenterale.
In particolare per quanto riguarda la Nutrizione Enterale si procede al posizionamento del
sondino naso-gastrico da parte del Medico Nutrizionista ovvero dagli infermieri dell’U.O.
Tale procedura terapeutica costituisce pertanto una condizione di approccio multidisciplinare
e multiprofessionale ad un problema clinico (organizzazione del lavoro in forma di team).
Operatori coinvolti: Medico, Medico Nutrizionista, Dietista, Infermiere.
FASE 6
Gestione da parte degli infermieri dell’U.O.
della Nutrizione Artificiale in atto (nursing accurato).
La sacca nutrizionale enterale viene erogata in
modo continuo per 24 ore a dosaggio crescente
fino ad arrivare a regime dopo 2-3 giorni a 42-63
ml/ora (secondo i tipi di miscela), contemporaneamente alla somministrazione di acqua attraverso il sondino naso-gastrico (circa 1000 cc. nelle
24 ore). La velocità di infusione viene regolata da
una pompa peristaltica.
La Nutrizione Parenterale comporta di regola la
gestione da parte degli infermieri del catetere venoso centrale, che si realizza attraverso periodiche
medicazioni secondo una tabella programmata.
Nel soggetto anziano è necessario effettuare
un monitoraggio metabolico e clinico al fine di
a p p o r t a re eventuali variazioni dello schema
98
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
nutrizionale. I parametri ematochimici più frequentemente sottoposti a follow-up sono: emocromo, albumina, prealbumina, elettroliti, glicemia, azotemia, creatinina. Assume particolare
importanza la valutazione dell’osmolarità plasmatica (la presenza di iperosmolarità controindica temporaneamente la Nutrizione Artificiale).
Operatori coinvolti: Medico, Medico Nutrizionista, Infermiere.
FASE 7
Almeno 3 giorni prima della dimissione, sia a
domicilio che in residenza, pianificazione di un
intervento finalizzato all’educazione e all’addestramento del caregiver sulla gestione della Nutrizione Artificiale in atto da parte del Centro di
Nutrizione Clinica.
Operatori coinvolti: Medico, Coordinatore
infermieristico, Dietista, Caregiver.
NUTRIZIONE ARTIFICIALE
La Nutrizione Artificiale (NA) è un trattamento medico erogato a scopo terapeutico o preventivo.
In generale viene programmata allorché si realizzano le seguenti condizioni: calo ponderale >
10% negli ultimi sei mesi, associato ad apporto
alimentare insufficiente (< 50% del fabbisogno)
per un periodo superiore a 5 giorni.
Si possono schematizzare le seguenti indicazioni nei pazienti anziani (16, 17):
1. pazienti che rifiutano di alimentarsi per os;
2. pazienti che non devono assumere alimenti per
via orale;
3. pazienti che non riescono ad alimentarsi;
4. pazienti con gravi disturbi della deglutizione
(disfagia: indicazione principale);
5. pazienti che possono alimentarsi per os, ma
non sono in grado di assumere una quota calorica sufficiente al loro fabbisogno.
La Nutrizione Enterale rappresenta oggi la
metodica di prima scelta in tutti i pazienti che
necessitino di una alimentazione artificiale e che
abbiano un’adeguata funzionalità dell’apparato
gastroenterico. Molteplici sono le motivazioni che
inducono a privilegiare la via enterale rispetto
alla parenterale:
– azione esercitata dai nutrienti sul trofismo della
mucosa intestinale;
– maggiore facilità di somministrazione;
– minor rischio di complicanze;
– costo decisamente inferiore.
Può essere effettuata attraverso sondino nasogastrico o tramite gastrostomia percutanea endoscopica (PEG).
La via naso-gastrica tramite sondino è di elezione in trattamenti nutrizionali a breve termine,
in presenza di riflesso della tosse ed in assenza di
turbe comportamentali con agitazione psicomotoria. Il sondino naso-gastrico in silicone o in poliuretano rimane in sede per un periodo massimo di
un mese. Il circuito di somministrazione deve
essere mantenuto chiuso. La posizione che il
paziente deve assumere è quella semiseduta perché riduce i rischi di inalazione.
Il posizionamento di una sonda nutrizionale
di silicone per via endoscopica tramite stomie
gastriche (PEG) o digiunali è necessario quando il
paziente non tolleri il sondino nasale o quando è
prevedibile effettuare la nutrizione enterale per
lunghi periodi (oltre un mese). Criteri di esclusione a tale metodica sono la presenza di un paziente in condizioni terminali (prognosi quoad-vitam
< 6 mesi), la concomitanza di alterazioni della
coagulazione o di un versamento ascitico e gravi
condizioni di insufficienza cardio-respiratoria. Le
possibili complicanze sono: emorragia nel sito di
inserzione, peritonite, infezione locale. La durata
media di posizionamento è circa un anno (18, 19).
I vantaggi di una PEG sono:
– basso costo;
– semplicità di applicazione;
– reversibilità e sicurezza;
– anestesia locale.
Nei pazienti anziani con assenza di consapevolezza per demenza in fase avanzata, l’atto decisionale deve necessariamente implicare considerazioni di carattere etico e pertanto è necessario il
coinvolgimento del caregiver o dell’amministratore di sostegno quando presente, al fine di pre n d ere decisioni rispettose dei valori del paziente (20).
Procedure operative prima del posizionamento di una PEG:
– consenso informato firmato dal paziente o dal
tutore legale dopo adeguate informazioni relative alle procedure;
– digiuno dalla sera precedente;
– clistere evacuativo;
– sospensione di eventuale terapia antiaggregante almeno due giorni prima;
– tricotomia;
– incannulamento di una vena periferica;
– profilassi antibiotica;
– recente controllo dell’emocromo e della coagulazione.
Procedure successive al posizionamento di
una PEG:
– digiuno nelle 12 ore successive;
– idratazione per via venosa;
– infusione delle miscele nutritive attraverso la
sonda dopo 24 ore dall’intervento utilizzando
una pompa peristaltica;
– iniziale velocità di infusione 20 ml/ora, con
incremento nelle giornate successive fino a raggiungere a regime di regola la velocità di 42-63
ml/ora a seconda della miscela;
– medicazione del sito di inserzione della PEG in
Cadeddu G., De Meo G., Guidi F., Orlandoni P. - Percorso per l’introduzione di uno schema…
modo sterile nelle prime 3 settimane.
Attraverso le sonde per Nutrizione Enterale è
possibile effettuare anche la somministrazione di
farmaci. Per minimizzare le complicanze è opportuno polverizzare e miscelare in acqua un farmaco alla volta (privilegiare i farmaci in forma liquida), sospendendo temporaneamente l’infusione
enterale.
Principali complicanze legate alla Nutrizione
Enterale:
– dolori addominali: di solito evitabili con la somministrazione di dosi crescenti della sacca da
nutrizione;
– diarrea: è consigliabile ridurre o sospendere
temporaneamente l’infusione;
– aspirazione nelle vie respiratorie (polmonite ab
ingestis): è la complicanza più grave in corso di
Nutrizione Enterale; nei pazienti a rischio la
prevenzione si realizza attraverso il monitoraggio del ristagno gastrico;
– dislocazione del sondino o della sonda gastrostomica.
In caso di polmonite ab ingestis o di evidente
reflusso nelle vie respiratorie è opportuno sospendere la Nutrizione Enterale e optare per quella Parenterale.
La Nutrizione Parenterale è riservata ai casi
in cui vi siano delle patologie in atto a carico dell’apparato digerente che controindichino la via
enterale e nella prima fase di approccio alla
Nutrizione Artificiale. Può essere effettuata tramite introduzione di un catetere per via venosa
periferica (agocannula, midline) o centrale (femorale, succlavia, giugulare interna), preferibilmente sotto guida ecografica. In caso di incannulamento di una vena centrale del distretto del collo
è necessario effettuare successivamente un rx torace di controllo per confermare il corretto posizionamento del catetere venoso. La velocità di
infusione è compresa di regola tra 70 e 80 ml/ora
nelle 24 ore.
Le principali complicanze legate a questo tipo
di nutrizione sono la sepsi, in relazione all’accesso venoso centrale (importante limitare le manipolazioni), l’occlusione del catetere venoso centrale e l’insufficienza cardiaca congestizia da carico idro-salino in eccesso.
l'équipe del Centro Nutrizionale dell’Istituto
INRCA è costituita da un medico nutrizionista,
dalla dietista, dall’infermiere e dalla fisioterapista
con specifica competenza in tema dei disturbi
della deglutizione. Il team nutrizionale prende in
carico il paziente e gestisce il follow-up sia in
ambito domiciliare che a livello di struttura residenziale. È stato dimostrato che la presenza di un
gruppo nutrizionale dedicato migliora l’effetto
della Nutrizione Enterale nell’anziano. La PEG
può comunque consentire una diminuzione delle
complicanze.
99
Il medico nutrizionista decide il tipo di miscela da somministrare al paziente che viene fornita
dal Servizio di Farmacia del nostro Istituto, sia
per quanto riguarda la nutrizione enterale che la
parenterale. In particolare le sacche di nutrizione
enterale sono preparate dall’industria farmaceutica, tenendo presente le caratteristiche cliniche del
paziente: coesistenza di diabete mellito, lesioni da
decubito, insufficienza renale cronica, cirrosi epatica, ecc. Le sacche di nutrizione parenterale sono
invece miscelate dalla farmacia dell’Istituto e sono caratterizzate da una variabilità calorica (1000,
1400, 1700 kcal.).
RISULTATI
Si allegano le tabelle sull’incidenza e sulle
principali patologie causa di Nutrizione Artificiale riferite ai pazienti ricoverati nel corso dell’anno 2008 presso l’U.O. di Lungodegenza postAcuzie (complessivamente 364 pazienti).
Dalla tabella 1 emerge l’elevata incidenza di
impiego del trattamento, con una lieve prevalenza per la Nutrizione Enterale. L’incidenza del
ricorso all’Alimentazione Artificiale ha mostrato
un trend complessivamente in aumento negli
anni compresi tra il 2003 e il 2008 (Tab. 2).
Le patologie principali che hanno reso necessario l’impiego della Nutrizione Artificiale erano in
primo luogo la demenza e l’ictus cerebrale (Tab. 3).
Abbiamo considerato inoltre la prognosi dei
pazienti in Nutrizione Artificiale, da cui emerge
in maniera chiara la più alta incidenza di mortalità verosimilmente in relazione alla gravità complessiva di questi pazienti (49.2% vs 22.8% del
totale dei ricoverati).
Abbiamo raccolto infine ulteriori informazioni
sulla destinazione residenziale alla dimissione,
indicatore indiretto del livello di disabilità, da cui si
Tab. 1 – Incidenza di impiego della
Nutrizione Artificiale
• Nutrizione Artificiale: 32.4%, pari a 118 pazienti.
• Nutrizione Enterale: 17.8%, pari a 65 pazienti.
• Nutrizione Parenterale: 14.6%, pari a 53 pazienti.
INRCA – U.O. Lungodegenza post- Acuzie, 2008.
Tab. 2 – Ricorso alla Nutrizione Artificiale negli anni
2003-2008
• 2003 → 19.7 %
• 2004 → 16.7 %
• 2005 → 16.1 %
• 2006 → 23.0 %
• 2007 → 22.7 %
• 2008 → 32.4 %
INRCA – U.O. Lungodegenza post-Acuzie.
100
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
CONCLUSIONI
Tab. 3 – Patologie principali causa di impiego di
Nutrizione Artificiale
Demenza: 33.0%
Ictus cerebrale: 24.6%
Scompenso cardiaco: 16.1%
Neoplasia: 5.9%
Diabete mellito complicato: 3.4%
Frattura di femore: 3.4%
Insufficienza respiratoria: 2.5%
Altre patologie: 11.0%
INRCA – U.O. Lungodegenza post-Acuzie, 2008.
può rilevare come l’impiego della Nutrizione
Artificiale si correli positivamente con più elevati
fabbisogni di assistenza residenziale (RSA, Residenza Protetta, Casa di Riposo): il 50.0% dei pazienti sottoposti al trattamento veniva infatti istituzionalizzato vs il 28.1% del totale dei ricoverati.
La malnutrizione calorico-proteica di grado
elevato si verifica frequentemente nell’anziano in
relazione alla condizione di fragilità (1).
È importante identificare i pazienti a rischio e
sotto questo profilo la valutazione multidimensionale ad opera di un team multidisciplinare
rappresenta un momento fondamentale al fine di
pianificare un trattamento nutrizionale adeguato
(21). Tutti i soggetti identificati a rischio di malnutrizione con tale metodologia devono essere quindi sottoposti a monitoraggio continuo per garantire che il piano di intervento sia realmente efficace, al fine di minimizzare le conseguenze cliniche
della malnutrizione e di ottimizzare le capacità
funzionali residue. Tale approccio determina un
miglioramento sia in termini di sopravvivenza
che di qualità della vita del paziente.
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Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno 101
LA TERAPIA ANTICOAGULANTE ORALE IN PREVENZIONE
PRIMARIA NEL PAZIENTE ANZIANO CON FIBRILLAZIONE
STRIALE
Ferrari A.
Dipartimento Neuro-Motorio, U.O.C. di Geriatria, A.S.M.N., Azienda Ospedaliera di Reggio Emilia
Nell’editoriale comparso sul Journal of American Geriatric Society del 2004 (1) William Hazzard descrive in questo modo il paziente Geriatrico: “Chi sono gli anziani? Magari iniziando dai
75 anni, 85 come media, ma anche 90, 95, 100 e
più… perché negli anziani, le comorbilità e le
malattie progressive sono la regola, e problemi
semplici, autolimitanti, sono l’eccezione. Inoltre le
malattie comunemente interagiscono presentandosi in maniera atipica ostacolando in questo
modo una diagnosi specifica. Le riserve funzionali limitate e la scarsa capacità di adattamento della
persona anziana, aumentano il rischio di perdita
di peso, malnutrizione,disidratazione ed effetti
avversi a medicinali e procedure mediche e chirurgiche… Magari il mio paziente più tipico è
l’antica immagine di fragilità, un uomo o più
spesso una donna che vive sul filo del rasoio tra
l’indipendenza e lo scatenarsi di una tragica
cascata di malattie, invalidità e complicanze“.
In questo paziente estremamente complesso, in
bilico tra autonomia e disabilità, tra l’invecchiamento di successo ed il tragico trascinarsi di una
vita in condizione di dipendenza, il Geriatra svolge
il suo compito a sostegno della Persona Anziana.
Tra le diverse situazioni cliniche nelle quali il
Geriatra si trova a dover affrontare scelte terapeutiche controverse si verifica con grande frequenza
quella del paziente con fibrillazione atriale, quando occorra decidere se instaurare o meno una
terapia aniticoagulante orale.
La prevalenza della Fibrillazione Atriale è stimata al 9-10% negli ultraottantenni (2,3) e al 12%
negli ultrasettantacinquenni (4). In questi pazienti il rischio di di stroke e di tromboembolismo si
incrementa di cinque volte (5). Lo stroke ischemico rappresenta quindi la più frequente e drammatica complicanza tromboembolica della fibrillazione atriale. Lo stroke è la seconda causa di morte nell’ambito dell’Unione Europea e nei prossimi
anni ci si aspetta un progressivo aumento dei casi
in relazione all’aumentare dell’età media della
popolazione. È una malattia altamente dispendioIndirizzo per la corrispondenza:
Dott. Alberto Ferrari
Dipartimento Neuro-Motorio, U.O.C. di Geriatria
A.S.M.N., Azienda Ospedaliera
Via Papa Giovanni XXIII, s.n. – 42100 Reggio Emilia
Tel. 0522296111
sa per numero di morti, per entità di disabilità residue e per impatto sulle famiglie e sui sistemi
sanitari (6). La prevalenza dello stroke nella popolazione anziana Italiana,dai dati dello studio
ILSA, è indicata al 5,9% nelle donne ed al 7,4 negli
uomini (7). Nel campione di popolazione anziana
oggetto dello studio ILSA, la mortalità cruda nei
pazienti con primo stroke viene indicata al 49,2%
verso il 15% degli anziani senza stroke, inoltre nei
sopravvissuti dopo l’evento ictale, la perdita di
almeno una ADL è presente nel 67,6% nei soggetti con stroke pregresso verso il 31,6% dei soggetti
senza stroke pregresso (8). Negli ultraottantenni
con Stroke la presenza di fibrillazione atriale come
fattore di rischio viene indicata,a seconda degli
autori e delle popolazioni studiate, dal 24,6% al
42,6% e,sempre negli stessi soggetti, la forma clinica cardioembolica viene indicata in una percentuale che varia dal 19,7 al 36% (9,10).
Riassumendo, dalle evidenze sopra riportate
emerge che lo stroke è un evento assai frequente
nella popolazione anziana, è una malattia che produce disabilità ed ha un impatto economico importante sulla società, sulle famiglie e sui sistemi
socio-sanitari. In circa un terzo dei pazienti anziani
con stroke è presente fibrillazione atriale come fattore di rischio e circa un terzo degli stroke ischemici nei pazienti anziani riconoscono una genesi tromboembolica. Per tutte queste ragioni nei pazienti
con fibrillazione atriale è molto importante instaurare una strategia di prevenzione primaria efficace.
Le linee guida congiunte ACC/AHA/ESC del
2006 raccomandano (Classe I/A) la profilassi antitromboembolica per tutti i pazienti affetti da fibrillazione atriale ad eccezione di quelli con fibrillazione atriale isolata o con controindicazioni al
trattamento, senza distinzione tra i sottotipi (parossistica,parossistica ricorrente,persistente permanente) (11). In questo ambito numerosi studi
clinici randomizzati hanno confrontato la terapia
anticoagulante orale con antagonisti della vitamina K, verso acido acetilsalicilico. Questi studi
hanno dimostrato la superiorità degli anticoagulanti orali nei confronti dell’ASA nel prevenire le
complicanze tromboemboliche della fibrillazione
atriale in particolare lo stroke ischemico (Fig. 1).
Tuttavia la terapia con anticoagulanti orali, negli
stessi studi, è apparsa gravata da maggiori complicanze emorragiche (12) (Fig. 2).
102
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
Fig. 1 – Stroke Ichemico – Warfarin – Altri.
Fig. 2 – Sanguinamenti Maggiori – Warfarin-Altri.
In generale si registra un largo consenso sul
fatto che il trattamento con warfarin, a dosaggio
tale da mantenere un INR tra 2 e 3, riduca il
rischio di stroke (sia fatale che disabilitante) e
riduca la mortalità nei pazienti con fibrillazione
atriale non valvolare e sul fatto che tale vantaggio, sostanzialmente, non venga inficiato dall’incremento delle complicanze emorragiche (13). Il
recente trial Birmingham Atrial Fibrillation
Treatment of the Aged (BAFTA) ha poi chiaramente dimostrato l’efficacia del Warfarin (INR tra
2-3) nei confronti dell’Aspirina 75 mg/die nel
prevenire lo Stroke Ischemico nella popolazione
anziana (> di 75 anni) riducendo il numero degli
eventi per anno (1,8% del warfarin contro il 3,8%
dell’Aspirina) (Fig. 3). Nell’ambito dello stesso
trial non è stata registrata differenza (1,9% verso
2,0%) tra warfarin ed aspirina circa il numero di
eventi emorragici maggiori per anno (14) (Fig. 4).
Se da un lato appare quindi ben consolidata
l’evidenza della maggiore efficacia del warfarin
nei confronti dell’ASA nella prevenzione primaria degli eventi tromboembolici nel paziente con
fibrillazione atriale non valvolare, pur in presenza di maggiori complicanze emorragiche (22),
dall’altro lo studio BAFTA conferma questa efficacia anche nei pazienti anziani e dimostra che, una
volta effettuata una attenta stratificazione del
rischio emorragico, la terapia anticoagulante
orale risulta sicura anche in questi pazienti (14).
Come abbiamo ricordato nella parte iniziale di
questo articolo, tuttavia, l’anziano è un paziente
“complesso“ (1). Presenta spesso una serie di problematiche quali riduzione dell’autonomia motoria, tendenza alle cadute, comorbilità, declino
cognitivo, malnutrizione ed assume quasi sempre
numerosi farmaci. A questo si aggiunga che è
stato dimostrato un incremento del rischio emorragico (15,24) nei pazienti molto anziani (oldestold – 85 anni ed oltre). Principalmente per queste
Fig. 3
Ferrari A. - La terapia anticoagulante orale in prevenzione primaria nel paziente anziano…
Fig. 4
ragioni, che si associano alla difficoltà a mantenere un adeguato livello di INR ed alla scarsa compliance di questi pazienti, nella pratica clinica
quotidiana, la maggioranza degli anziani con
fibrillazione atriale, nonostante l’assenza di controindicazioni, non viene posta in prevenzione
primaria con warfarin (16-19, 26-28). Per contro
molti pazienti più giovani pur in assenza di documentati fattori di rischio per stroke risultano ipertrattati (18).
Il rischio di stroke cerebrale varia ampiamente
da una popolazione a basso rischio per complicanze tromboemboliche ad una popolazione ad
alto rischio in cui il beneficio della terapia anticoagulante orale supera ampiamente il rischio
emorragico che tale terapia comporta. Questo
concetto è stato recepito nelle linee guida
ACC/AHA/ESC 2006 (11) che ribadiscono che ai
fini della scelta della terapia antitromboembolica
deve essere tenuto presente il profilo di rischio
del singolo paziente (raccomandazione di Classe
I/A) allo scopo di riservare il trattamento anticoagulante orale ai pazienti a rischio elevato.
Tab. 1 – Principali criteri clinici e strumentali utilizzati
nella stratificazione del rischio tromboembolico
CRITERI CLINICI
Età (> di 65 o > di 75 aa.)
Ipertensione Arteriosa
Scompenso cardiaco
Pregresso Stroke/Tia
Diabete Mellito
Sesso Femminile
CRITERI Strumentali
Ecografia Transtoracica:
– Dilatazione Atriale sn
– Disfunzione Sistolica ventricolare sn.
Ecografia Transesofagea:
– Trombo Atriale/Auricolare sn.
– Ecocontrasto Spontaneo
– Disfunzione Auricolare sn. (ridotta velocità di flusso)
103
Sono stati proposti diversi strumenti di stratificazione del rischio tromboembolico. Questi
schemi utilizzano in genere un sistema a punteggio costruito in base a parametri clinici associati a
parametri strumentali. La tabella sottostante indica i criteri clinici e strumentali principalmente
utilizzati ai fini della stratificazione del rischio
tromboembolico (30).
Occorre segnalare che tra i diversi autori non
si registra ancora unanimità sul come utilizzare il
criterio relativo all’età (variabile continua o dicotomica?, ed in questo caso quali cut-off: 65 o a 75
aa.?) ed al sesso femminile (fattore di rischio indipendente o meno?). Ci si potrebbe dilungare nella
descrizione dei vari strumenti di stratificazione
del rischio tromboembolico. Per ragioni di spazio
ci limiteremo a descrivere brevemente lo schema
CHADS2 (32) adottato come schema di riferimento nelle Linee Guida ACC/AHA/ESC /2006 (11)
in precedenza citate. Questo strumento si basa
sull’assegnazione di un punteggio a seconda della presenza o meno dei vari fattori di rischio: un
punto ciascuno per scompenso cardiaco, ipertensione arteriosa, età maggiore di 75 anni e diabete
mellito; due punti per pregresso episodio cerebrovascolare (sia esso Stroke che TIA). I Pazienti
con punteggio CHADS2 uguale a 0 sono considerati a basso rischio, quelli con punteggio da 1 a 2
a rischio intermedio e quelli con punteggio da 3 a
6 a rischio elevato. Nei pazienti con fibrillazione
atriale è stata dimostrata correlazione tra punteggio CHADS2 ed eccesso di rischio per stroke a 5
anni (33) (Fig. 5).
Parallelamente alla stratificazione del rischio
tromboembolico, al fine di selezionare meglio i
pazienti da sottoporre a trattamento anticoagulante, deve essere attentamente valutato il rischio
emorragico. In una metanalisi pubblicata su
Q.J.Med. nel 2007 Hughes ad altri autori hanno
identificato alcune caratteristiche dei pazienti (Tab.
2) che, dall’analisi dei trial oggetto della metanalisi,
sono risultate significativamente correlate al rischio
emorragico durante terapia anticoagulante orale
(31). Queste caratteristiche, pertanto, possono essere considerate come fattori di rischio emorragico.
Occorre tuttavia precisare che gli stessi autori,nelle conclusioni della metanalisi, sottolineano
che alcuni dei fattori di rischio emorragico, identificati come correlati alla terapia anticoagulante
orale, potrebbero, essi stessi, far porre indicazione
al trattamento nei pazienti con fibrillazione atriale. In questo ambito, quindi, saranno necessari
ulteriori studi. Del tutto recentemente, poi, alcuni
autori svedesi hanno dimostrato, in uno studio di
coorte, un incremento dei rischio emorragico in
pazienti sottoposti a terapia anticoagulante orale
trattati con SSRI senza che vi fosse un’influenza
diretta degli SSRI sull’attività anticoagulante del
warfarin (34).
104
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
Tab. 2 – Fattori di rischio emorragico in corso di TAO
Età avanzata
Ipertensione arteriosa non controllata
Storia di infarto del miocardio o di scompenso cardiaco
Vasculopatia cerebrale
Anemia o storia di Sanguinamenti
Concomitante utilizzo di altri farmaci quali antiaggreganti
Fig. 5
In generale vi è concordanza sul fatto che un’attenta selezione dei pazienti, in base alla stratificazione del rischio tromboembolico,da un lato, e di
quello emorragico,dall’altro, unita ad un adeguato
controllo del range terapeutico (INR 2-3 à target
2,5), siano elementi cardine per poter affrontare
con sufficiente sicurezza un trattamento anticoagulante orale nel paziente anziano (14,20,21,23,25).
Alcuni accorgimenti peculiari, quali l’utilizzo di
una dose starter e di una dose di mantenimento
più basse rispetto ai pazienti più giovani (29), possono poi contribuire ad incrementare ulteriormente la sicurezza di questo tipo di terapia. A questo si
deve aggiungere la segnalazione (27,35,36) pro v eniente da diversi autori riguardante l ’opportunità
di conferire qualità al monitoraggio INR. La qualità del monitoraggio incrementa ulteriormente sia
l’efficacia che la sicurezza della terapia.
Gli antagonisti della vitamina K sono stati fino
ad ora gli unici anticoagulanti orali disponibili e
sono considerati, tuttora, i farmaci di riferimento
per la prevenzione primaria dello stroke nei
pazienti con fibrillazione atriale. Tuttavia, re c e n t emente, sono stati sviluppati nuovi anticoagulanti
orali e sono in corso diversi trials volti a testarne
l’efficacia nella prevenzione primaria e secondaria
dello stroke in corso di fibrillazione atriale. Si tratta fondamentalmente di due classi di farmaci: gli
inibitori diretti della trombina (ximelagatran e
dabigatran etexilate) e gli inibitori diretti del fattore Xa (apixaban e rivaroxaban) (37,38). Lo ximelagatran dopo aver dimostrato (39) equivalenza rispetto al warfarin nella riduzione degli eventi con
minor numero di complicanze emorragiche, è
stato ritirato dal commercio perché epatotossico. Il
Dabigatran etexilate ha dimostrato superiorità e
non inferiorità rispetto alla enoxaparina nella profilassi del tromboembolismo venoso in chiru rgia
ortopedica. I principali effetti collaterali rilevati
durante l’utilizzo di questo farmaco sono stati
disturbi gastrointestinali ed elevazione della alanina-aminotransferasi in una piccola percentuale di
pazienti,evento questo, che si è verificato anche
nel gruppo di controllo con enoxaparina. Dabigatran etexilate è attualmente studiato nell’ambito di
diversi trias clinici volti a testarne l’efficacia nella
p revenzione dello stroke in pazienti con fibrillazione atriale. I dati a breve termine di questi studi
sembrano promettenti (40,41). Del tutto re c e n t emente, sul New England Journal of Medicine,
sono stati pubblicati i risultati dello studio RE-LY
che ha valutato, nell’arco di due anni in pre v e nzione primaria, Dabigatran verso Warfarin in
pazienti di età media di 71 anni con F.A ed elevato rischio di Stroke. Il Dabigatran, nel prevenire lo
s t roke e le embolie sistemiche, ha dimostrato,
rispetto al warfarin, pari efficacia alla dose più
bassa (110 mg due volte al giorno) ed efficacia
significativamente maggiore alla dose più alta
(150 mg due volte al giorno). Gli eventi emorragici maggiori sono risultati comparabili al Warfarin
alla dose più alta e significativamente minori con
l’utilizzo del dosaggio più basso. L’unico evento
avverso riscontrato con maggiore frequenza rispetto al warfarin si è rivelato essere la dispepsia.
La funzionalità epatica, è risultata essere sovrapponibile nei tre gruppi di pazienti (43).
Per quanto concerne gli inibitori diretti orali
del fattore Xa (apixaban e rivaroxaban) sono
attualmente testati nell’ambito di diversi trias clinici volti a verificarne efficacia e sicurezza nella
profilassi del tromboembolismo venoso, nel trattamento della SCA e nella prevenzione dello
stroke in corso di fibrillazione atriale (42).
CONCLUSIONI
La prevalenza della Fibrillazione Atriale negli
ultraottantenni raggiunge il 9-10%. In questi
pazienti il rischio di di stroke e di tromboembolismo si incrementa di cinque volte. Lo stroke è una
malattia altamente dispendiosa per numero di
morti, per entità di disabilità residue e per impatto sulle famiglie e sui sistemi sanitari. È pertanto
importante,in questi pazienti,instaurare una strategia di prevenzione primaria efficace.
La terapia anticoagulante orale è molto efficace nel ridurre il rischio di stroke cardioembolico
tuttavia, poiché l’invecchiamento si accompagna
spesso ad una serie di problematiche quali riduzione della autonomia motoria, fragilità, tenden-
Ferrari A. - La terapia anticoagulante orale in prevenzione primaria nel paziente anziano…
za alle cadute comorbilità, declino cognitivo, malnutrizione, aumentato rischio di sanguinamento,
questa scelta terapeutica viene spesso scartata.
Una attenta stratificazione del rischio di stroke
tromboembolico da un lato e del rischio di sanguinamento dall’altro, effettuate sul singolo paziente ed associate alla valutazione multidimensionale tipicamente geriatrica, possono impedire
che molti anziani affetti da fibrillazione atriale
105
vengano privati di una importante opportunità
terapeutica senza un valido motivo.
In un prossimo futuro saranno a disposizione
nuovi farmaci anticoagulanti orali (inibitori diretti della trombina ed inibitori diretti del fattore Xa)
la cui efficacia è sicurezza, nell’ambito della prevenzione dello stroke in corso di fibrillazione
striale, sono attualmente in fase di studio. Per
alcuni di essi sono già disponibili i primi risultati.
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Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno 107
LA MALATTIA TROMBOEMBOLICA VENOSA: PATOLOGIA
DI TUTTE LE ETÀ
Marci M., Teodori R., Scoccia R., Galanti A.
U.O.C. di Medicina Interna, Ospedale “S. Giovanni Evangelista”, Tivoli – ASL Roma/G
INTRODUZIONE
La trombosi venosa profonda (TVP) e l’embolia polmonare (EP) vengono oramai considerate
come due manifestazioni di una stessa entità clinica, denominata malattia tromboembolica venosa
(MTEV) poiché nel paziente che presenta manifestazioni cliniche suggestive di TVP, si associano
fenomeni embolici e/o microembolici nei distretti
polmonari che possono essere asintomatici e/o
determinare manifestazioni cliniche più o meno
gravi.
La MTEV è pertanto una patologia temibile sia
in termini di morbilità che di mortalità essendo
caratterizzata nella sua forma più grave dalla
embolia polmonare massiva che può determinare
l’exitus; essa è tra le più frequenti complicanze nei
pazienti ospedalizzati, particolarmente comune in
quelli sottoposti ad interventi chiru rgici ortopedici. Rappresenta la terza malattia cardiovascolare in
ordine di frequenza dopo la cardiopatia ischemica
e l’ictus cerebrale e l’incidenza aumenta con l’età.
Nella fase acuta della TVP circa il 60% dei
pazienti, non sottoposti a terapia antitrombotica,
presenta estensione della trombosi fino a determinare EP massiva in circa il 5-10% dei casi; nelle
forme trattate invece si ha una riduzione di incidenza fino al 12% con una mortalità di questi ultimi inferiore al 5% (1). Meno alta è l’incidenza di
embolia polmonare nei casi di trombosi venosa
profonda degli arti superiori (10-12%). Altre conseguenze della MTEV sono la sindrome post-flebitica e l’ipertensione polmonare cronica.
Negli ultimi anni l’approccio a questa patologia si è profondamente modificato grazie alle
migliorate conoscenze della fisiopatologia della
coagulazione, dell’emodinamica venosa e delle
nuove indagini diagnostiche radiologiche e tecniche ultrasonografiche.
LA STORIA
Il primo riferimento indiretto dell’EP può essere trovato negli scritti di Claudio Galeno di Pergamo (130-200 d.C.) citato da Luzzatto (2) nel
volume “L’embolia dell’arteria polmonare”, che
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Massimo Marci
Via Acquaregna, 127 – 00019 Tivoli (RM)
E.mail: [email protected]
scriveva: “Nei pazienti asmatici quando la quantità di aria inspirata non è proporzionale alle
dimensioni della cassa toracica, un infarto da
embolia polmonare è molto probabile”.
Baillie (1793) fu il primo a descrivere l’ostruzione della vena cava inferiore e ad affermare che
una riduzione del flusso sanguigno porta alla
trombosi. Forse questo è il primo riferimento alla
“stasi” come causa di trombosi (3).
La prima descrizione diretta dell’EP si trova
invece nel lavoro “De l’auscultation médiate ou
traité du diagnostic des maladies des poumons et
du coeur”, pubblicato a Parigi nel 1819 da Laennec
(4), dove recita: “La lesione consiste in un indurimento che non occupa mai una grossa porzione
del polmone, è sempre ben circoscritta, di carattere uniforme al centro e alla periferia. Due o tre di
questi indurimenti si trovano nello stesso polmone
e non di rado entrambi i polmoni sono egualmente interessati. La malattia che io chiamo apoplessia
p o l m o n a re è assai frequente, ciononostante le sue
caratteristiche sono pressoché sconosciute. Al contrario il suo sintomo principale – un’emottisi
copiosa – è assai ben conosciuto”.
Cruvelhier (5), studioso contemporaneo di
Laennec, si rese conto che “tutti i vasi arteriosi che
portano a quelle lesioni sono riempiti da coaguli
che si ramificano seguendo l’albero arterioso”.
La prima chiara descrizione di un caso clinico
viene attribuita a Hélie; egli nel 1837 descrisse la
storia di una lavandaia di 65 anni, di bassa statura e sovrappeso, che 2 settimane dopo il ricovero
in ospedale per una distorsione ad un arto inferiore, manifestò improvvisamente una cianosi del
volto. Si riprese, ma morì poco dopo nel corso di
un accesso analogo. L’autopsia rivelò un cuore
ingrandito e coaguli scuri, ben organizzati, nel
ventricolo destro e nell’arteria polmonare (6).
Si deve a Vi rchow (1821-1902) nel 1846 la descrizione dell’associazione tra la trombosi degli arti
inferiori e l’embolia polmonare: “Questi tappi originano in una parte del sistema cardiovascolare
che sta a monte dei polmoni, precisamente nelle
vene e nel cuore destro. Essi sono poi trasportati
nell’arteria polmonare dalla corrente sanguigna”
(7). Il celebre scienziato berlinese fu il primo ad
u s a re il termine “embolia” (dal greco emballein =
gettar dentro) e nel 1859 nel suo “Die cellular Pathologie” descrisse le tre cause predisponenti la
trombosi: alterazioni della parete vasale, alterazio-
108
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
ni del flusso ematico, alterazioni del sangue (8,9).
Con il suo studio sistematico dell’argomento egli
fornì le basi sulle quali oggi si fondano le nostre
conoscenze sulla malattia tromboembolica venosa
comunemente note come “triade di Vi rchow”. Nel
trattato egli portò l’attenzione sul fatto che le lesioni delle malattie si potevano riscontrare a livello
cellulare. Fu fondatore dell’istopatologia, ancor
oggi base della diagnostica, coniò il termine di leucemia e la descrisse, da ultimo venne considerato
un grande antropologo.
La dottrina di Virchow non venne subito
accolta tanto che nel 1861 Rouault de Lalande
definiva l’embolia “una creazione della fantasia
tedesca” (2)!
Le prime procedure terapeutiche dell’EP furono introdotte nel 1868 da Trousseau: consigliava
l’uso locale di unguento mercuriale e di bagni
alcalini solforosi associato all’assunzione per os di
ioduro di potassio, pozione antispastica e acqua
di Vichy, ma sottolineava già l’importanza del sollevamento degli arti inferiori ai fini della profilassi (10).
Grande importanza ebbe il volume pubblicato
a Milano da Luzzatto nel 1880 con il titolo
“L’embolia dell’arteria polmonare”. Egli descrisse
non meno di 160 casi di EP, sottolineando la predilezione per il polmone destro, per i lobi inferiori, e la prevalenza delle valvulopatie tra le malattie di base. Inoltre, egli analizzò il quadro clinico
in funzione della sede dell’EP e riconobbe il ruolo
p rognostico delle malattie cardiorespiratorie
preesistenti (2).
Nel 1884, Picot, professore di Clinica Medica a
Bordeaux, pubblicò le sue “Leçons de Clinique
Médicale” nelle quali scriveva: “La tro m b o s i
venosa è sempre una malattia grave e spesso mortale, poiché frammenti dei trombi possono staccarsi ed occludere rami dell’arteria polmonare”.
Ma ancor più sorprendente ed avveniristica è l’affermazione che “l’occlusione dei rami principali
dell’arteria polmonare causa un cospicuo aumento della pressione sanguigna in questi vasi.
Questo aumento, contro il quale il cuore deve
combattere per garantire la circolazione, può portare talvolta all’arresto cardiaco” (11).
Nel 1900 Trendelenburg fu il primo a praticare
con successo la legatura della vena cava inferiore,
ma questa metodologia venne generalizzata solo
dopo il 1950 da Ochsner; comunque, Trendelenburg diede il contributo più importante, quello di
creare la tecnica dell’embolectomia polmonare
nei primi del ‘900.
Le prime segnalazioni sulle modificazioni
radiologiche associate all’EP ed all’infarto polmonare sono quelle di Wharton e Pierson (1922),
mentre i lavori di White (1935) definirono il concetto di “cuore polmonare acuto”; fino ad allora la
diagnosi di embolia polmonare veniva fatta (rara-
mente) mediante l’identificazione di infarto polmonare, quale esito dell’embolia; con gli studi di
White fu effettuato lo sforzo per riconoscere l’EP
in base alle alterazioni emodinamiche ed elettrocardiografiche (12-13).
Nel 1947 Lériche, al contrario di quanto riteneva Trendelenburg che “la diagnosi di embolia polmonare fosse facile ed impossibile sbagliare ” ,
a ffermava: “le descrizioni dell’EP conclamata rapp resentano la punta dell’iceberg, perché molte, se
non la maggior parte, delle embolie rimangono
clinicamente ignorate”(14).
Tra il 1950 e il 1970 si assiste finalmente alla
crescente diffusione degli anticoagulanti e dei
fibrinolitici per la terapia e per la profilassi dell’EP, argomento questo che fa parte oramai della
storia dei nostri giorni.
FISIOPATOLOGIA
È una patologia con una incidenza annuale
nella popolazione generale di circa 1 su 1000 abitanti, mentre nell’età avanzata l’incidenza annuale è di 2-3 volte più alta; seppure la senescenza si
accompagna ad uno stato di ipercoagulabilità e ad
una conseguente iperfibrinolisi secondaria, fenomeni che non necessariamente esprimono un
aumentato rischio trombotico e che sono del tutto
compatibili con salute e longevità, la maggiore
incidenza nell’anziano è verosimilmente secondaria poiché egli è sottoposto con maggior fre q u e nza ad interventi chiru rgici, è più esposto a patologie neoplastiche e cardiache ed è spesso portatore
di malattie, neurologiche, ortopediche, che lo
costringono ad una immobilità prolungata (15).
L’allettamento prolungato, ad esempio, è una
condizione particolarmente rischiosa, in cui alla
ridotta attività muscolare degli arti inferiori si associa una diminuzione del ritorno venoso. Particolare
attenzione va posta proprio alla immobilizzazione
a letto che, portando ad una riduzione dell’attività
muscolare degli arti inferiori, riduce il ritorno venoso ed aumenta la possibilità di trombosi con rischio
tanto maggiore quanto più essa è prolungata.
Numerosi studi su soggetti anziani sani, inclusi i
centenari, indicano comunque che l’aumento dei
markers di attivazione della coagulazione con l’aumentare dell’età non sono sufficienti a determinare
la TVP, ma altri fattori ambientali come quelli sopra
citati potrebbero agire da cause scatenanti e convertirebbero questo stato protrombotico fisiologico in
eventi trombotici veri e propri (16,17).
Gli interventi chirurgici predispongono alla
tromboembolia venosa per liberazione di fattori
attivanti la coagulazione. Studi autoptici hanno
evidenziato come dopo fratture femorali e tibiali
vi sia una incidenza maggiore di embolia polmonare; seguono le fratture pelviche e della colonna
vertebrale, interventi chiru rgici all’anca, della
Marci M., Teodori R., Scoccia R., Galanti A. - La malattia tromboembolica venosa…
pelvi, come l’isterectomia e la colecistectomia.
Anche le neoplasie come il carcinoma del pancreas, dei bronchi, del tratto genito-urinario, del
colon, dello stomaco e della mammella, spesso si
associano a trombosi venosa profonda: in questi
casi il meccanismo fisiopatologico alla base dello
stato protrombotico potrebbe chiamare in causa
una alterazione dell’equilibrio fra fattori procoagulanti e fattori anticoagulanti (18-19).
La donna, forse per l’uso di contraccettivi orali
(per aumento di fattori della coagulazione II VII,
X e riduzione di antitrombina III e proteine S e C),
gravidanze (incrementano i fattori II, VII, X ed il
fibrinogeno, con riduzione di proteina S e fibrinolisi), puerperio, alterazioni del sistema venoso
profondo e vene varicose, presenta una incidenza
superiore rispetto al sesso maschile.
Nella donna in età avanzata un cenno va fatto
sulla terapia ormonale sostitutiva post-menopausale che sembrerebbe incrementarne l’incidenza;
non è chiaro il meccanismo della trombogenesi,
ma sembrerebbe esserci una riduzione dei tassi
plasmatici di antitrombina III.
Come sopra riportato, fu Rudolph Virchow (9)
nel secolo scorso a riconoscere e proporre la cosiddetta triade, oggi rivisitata e corretta, come
fattore causale della trombosi:
– modificazioni della parete vasale con alterazioni funzionali dell’endotelio;
– alterazioni del flusso ematico con presenza di
turbolenze e stasi;
– trombofilia congenita o acquisita dovuta a
variazioni qualitative e/o quantitative dei fattori della coagulazione.
È verosimile che alterazioni funzionali dell’endotelio svolgano, attraverso la ridotta sintesi ed il
successivo esaurimento di sostanze ad azione
antitrombotica, un ruolo patogenetico cruciale nel
determinismo di molte trombosi venose recidivanti. Le alterazioni del flusso ematico con riduzione del ritorno venoso, sono probabilmente da
sole insufficienti a determinare un evento trombotico, pur potendo essere concause insieme ad
uno stato trombofilico.
Nella cascata della coagulazione un ruolo
importante viene svolto dal fattore Xa al centro
delle vie intrinseca ed estrinseca e soprattutto dal
fattore IIa (trombina), confermato da diversi studi
che hanno evidenziato una predisposizione alla
MTEV associata ad un deficit degli inibitori della
trombina come l’antitrombina III (AT III) o la proteina C.
Nel determinismo della trombosi venosa gli
stati trombofilici, siano essi congeniti (deficit di
ATIII, di proteina S, di proteina C, iperomocisteinemia, iperprotrombinemia, resistenza alla proteina C attivata ecc.) che acquisiti (età avanzata,
neoplasie maligne, collagenopatie, terapia estroprogestinica, emopatie come mieloma e poliglo-
109
bulia), possono essere associati agli altri due fattori della triade.
LA TROMBOSI VENOSA PROFONDA
La TVP degli arti inferiori rappresenta una
patologia potenzialmente grave che colpisce
soprattutto pazienti ospedalizzati, anziani immobilizzati a letto, ma può interessare anche soggetti in apparenti buone condizioni di salute.
Si distinguono sei quadri clinici fondamentali:
– TVP degli arti inferiori distale;
– TVP degli arti inferiori prossimale;
– Trombosi della vena cava inferiore;
– Trombosi della vena cava superiore;
– TVP degli arti superiori;
– TVP ischemizzante: Phlegmasia alba dolens,
Phlegmasia cerulea dolens.
La formazione del trombo venoso si ha soprattutto in prossimità dei seni venosi valvolari dove
il flusso sanguigno si presenta turbolento e nei
seni venosi muscolari (soprattutto del polpaccio)
dove vi è un rallentamento del flusso ematico. Si
ha inizialmente un’aggregazione piastrinica o
tralci di fibrina che intrappolano globuli rossi,
con successivo rilascio di fattori attivanti la coagulazione e formazione del trombo rosso; questo
dovrebbe venir rimosso per fibrinolisi con ripristino del flusso ematico e se ciò non avviene si
può avere l’occlusione del vaso.
La TVP degli arti inferiori può manifestarsi
con dolore al polpaccio, alla coscia oppure alla
regione inguinale, mentre, se colpisce gli arti
superiori, al braccio; l’esordio è spesso acuto,
associato ad aumento di volume dell’arto. Altre
volte la malattia può decorrere in maniera del
tutto silente e manifestarsi solo per il sopravvenire dell’embolia polmonare. In alcuni casi l’edema
non è presente ed il sintomo fondamentale è rappresentato esclusivamente dal dolore dei muscoli
della sura quando il piede viene flesso rapidamente ed intensamente in senso dorsale (segno di
Homans).
La diagnosi è complessa; oltre l’esame clinico
è fondamentale eseguire il dosaggio dei D-dimeri, ed un ecocolorDoppler con metodica CUS
(Compression ultrasonography) ossia il test di
compressione cutanea, mediante il quale è possibile stabilire se le pareti venose collabiscono o
meno, evidenziando quindi la presenza di materiale trombotico all’interno del lume (20).
La flebografia viene ancora considerata da
alcuni l’esame strumentale di riferimento, ma di
fatto viene eseguita sempre meno, parallelamente
al miglioramento tecnico delle apparecchiature
ultrasonografiche.
Il panorama diagnostico si è ampliato con la
TC spirale mediante la quale è possibile valutare
formazioni trombotiche degli assi iliaci e delle
110
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
vene cave con discreta facilità.
Tra le varie forme cliniche che colpiscono gli
arti inferiori bisogna considerare le TVP ischemizzanti come la phlegmasia alba dolens in cui vi
è una riduzione del flusso che determina il pallore cutaneo dell’arto oppure la phlegmasia cerulea
dolens riferita ai casi di trombosi iliaco-femorale
totalmente occlusiva che si accompagna ad imponente edema e cianosi dell’arto; l’occlusione venosa e l’edema di grandi proporzioni sono responsabili in questo caso della riduzione di flusso
arterioso e della grave ischemia tissutale.
L’EMBOLIA POLMONARE
L’embolia polmonare si può manifestare sia
come evento isolato sia come episodi ricorre n t i
secondari a trombosi venosa. Gli emboli si formano con maggior frequenza per distacco di materiale da trombi localizzati a livello delle vene iliache,
femorali, poplitee, tibiali e raramente da vene
degli arti superiori o del collo; rari casi soprattutto
negli anziani con concomitante patologia pro s t a t ica, hanno origine dal plesso venoso peripro s t a t i c o .
Gli emboli sono spesso multipli e tendono ad
interessare il circolo polmonare nei campi mediobasali dove fisiologicamente si ha un flusso ematico maggiore.
L’espansione del trombo si ha in entrambi i
sensi dello scorrimento del sangue, frammenti friabili, fluttuanti, composti da eritrociti e piastrine
inglobate in un reticolo di fibrina possono staccarsi dal trombo originario e determinare facilmente
l’embolizzazione. Il distacco sembra avvenire per
aumenti improvvisi della pressione venosa e del
flusso sanguigno, come è facile riscontrare nei soggetti dopo un periodo di immobilizzazione.
La localizzazione e l’occlusione a livello delle
arterie polmonari dipende dalle dimensioni dell’embolo; molto frequenti sono le embolie multiple
rispetto alle singole. Le conseguenze a livello del
parenchima polmonare sono legate alla grandezza
del vaso interessato e alla efficienza della circolazione collaterale attraverso le arterie bronchiali.
Si può avere infarto emorragico risultante
dalla occlusione di un vaso di medio calibro in
presenza di ipertensione venosa che provoca un
flusso di sangue verso la zona ischemica. Si presenta microscopicamente come una zona conica
con la base a ridosso della pleura; l’evoluzione è
verso la fibrosi.
L’ostruzione improvvisa o la riduzione parziale del circolo sanguigno polmonare porta a diverse manifestazioni cliniche legate al grado di riduzione dell’albero arterioso polmonare, determinato dalle dimensioni e dal numero di emboli, dalle
condizioni del parenchima polmonare prima dell’evento embolico, nonché dalle condizioni cardiache. Circa il 60 % dei casi di embolia polmona-
re si risolve, nel 5-10 % si ha l’exitus, nel 20-25 %
infarto polmonare e nel 5% si ha ipertensione polmonare cronica secondaria.
L’ostruzione di una parte del letto vascolare
polmonare può essere aggravata dalla liberazione
da parte delle piastrine di sostanze vasocostrittrici (serotonina, catecolamine, istamina) con aumento delle resistenze arteriose polmonari.
Il parenchima polmonare interessato non partecipa allo scambio gassoso con conseguente ipocapnia marcata che incrementa la pneumocostrizione. La capacitanza del circolo polmonare è tale
che la pressione polmonare non aumenta fino a
che circa il 50% del letto vascolare polmonare non
sia occluso. Superata questa soglia si ha incremento del post-carico del ventricolo destro con
incremento della pressione arteriosa polmonare
(maggiore di 40 mmHg) e insufficienza acuta
dello stesso. Ciò determina caduta del flusso ematico polmonare con ridotto riempimento del ventricolo sinistro, che non riuscirà a mantenere una
normale pressione sistolica con calo della gittata
cardiaca (21-22).
Le condizioni cardiopolmonari dei pazienti
colpiti da embolia sono importanti in quanto in
un soggetto sano solo un grande embolo polmonare o ripetute embolie portano a manifestazioni
cliniche rilevanti; mentre in un soggetto affetto da
cardiopatia con associata ridotta riserva coronarica anche un piccolo embolo può produrre danni
rilevanti e manifestazioni cliniche importanti.
L’ipocapnia che si instaura in un polmone ventilato ma non perfuso associata a liberazione di
sostanze vasoattive tende a determinare broncocostrizione. Si istaura una situazione di squilibrio
fra ventilazione e perfusione perché si impedisce
al sangue nell’arteria polmonare di raggiungere il
parenchima polmonare ventilato con conseguente incremento dello spazio morto. Entro qualche
ora dall’evento acuto si ha anche la riduzione del
surfactante alveolare con atelectasie del parenchima che possono essere emorragiche per aumento
della permeabilità alveolo-capillare. Questa alterazione a livello della membrana può determinare anche un “polmone umido” con conseguente
edema polmonare. L’embolia polmonare massiva
si presenta spesso associata ad un intervento chirurgico od un periodo di immobilizzazione. Il
paziente si presenta dispnoico, agitato, ansioso,
confuso e cianotico con ipotensione e tachicardia.
In alcuni casi è presente dolore toracico per ridotta perfusione cardiaca. I sintomi di conferma quali la tosse, l’emottisi, il dolore pleurico spesso non
sono presenti. Tale sintomatologia anche se non
specifica, va presa in considerazione quando si è
in presenza di soggetti ritenuti a rischio, soprattutto anziani dopo un periodo di immobilizzazione o che sono stati sottoposti ad intervento chirurgico (22).
Marci M., Teodori R., Scoccia R., Galanti A. - La malattia tromboembolica venosa…
Obiettivamente l’inspirazione permette la localizzazione del dolore ed in corrispondenza di questo si può auscultare uno sfregamento pleurico. In
presenza di grossi emboli sono presenti tachicardia, ritmo di galoppo, accentuazione della componente polmonare del secondo tono legati al grado
di ipertensione polmonare; talvolta si possono
auscultare sibili per broncocostrizione.
L’ipertensione polmonare acuta e cuore polmonare acuto portano a riduzione della gittata
cardiaca e shock periferico. Nella forma submassiva il quadro clinico può essere principalmente
polmonare con dispnea, dolore toracico accentuato dagli atti respiratori, tosse stizzosa, emottisi.
Obiettivamente è frequente rumore di sfregamento, broncostenosi, diminuzione localizzata del
murmure vescicolare. In presenza di microembolie disseminate si può avere scadimento delle
condizioni generali, febbre, tachicardia, senso di
costrizione toracica, rantoli e fini sfregamenti
localizzati.
La diagnosi di embolia polmonare si basa sul
riscontro clinico di dispnea improvvisa, dolore
pleurico, emottisi in un soggetto ritenuto a
rischio. L’ECG presenta spesso alterazioni in caso
di embolia polmonare, ma la sua normalità non
esclude la diagnosi: è frequente il riscontro di
tachicardia sinusale, possono verificarsi fibrillazione atriale e blocco di branca destra, nelle derivazioni toraciche destre si può verificare inversione dell’onda T per sofferenza cardiaca.
La radiografia del torace spesso presenta lesioni non patognomoniche: possono pre s e n t a r s i
infiltrati a ridosso della pleura che rappresentano
aree di atelectasia; l’innalzamento dell’emidiaframma, con o senza infiltrato polmonare, è indicativo di una riduzione del volume ematico associata a broncocostrizione ed atelectasia parziale.
Altri segni radiografici non diagnostici possono
essere aumento di dimensioni delle arterie polmonari per ridistribuzione del flusso verso i vasi
indenni; ingrandimento delle sezioni destre del
cuore che può essere accompagnato da ingrandimento della azygos e della cava superiore, versamento pleurico.
Tra gli esami di laboratorio fondamentale è l’emogasanalisi che presenta spesso una riduzione
della PaO2 e della PaCO2 del tutto aspecifica.
L’aumento dei prodotti di degradazione del fibrinogeno, dei D-Dimeri e dell’LDH sono molto frequenti.
La scintigrafia polmonare ventilatoria/perfusoria risulta essere una delle metodiche più specifiche nella diagnosi di embolia polmonare, anche
se non disponibile in tutti i nosocomi. Si esegue
registrando la distribuzione in una singola inspirazione di un gas radioattivo come Xenox-133: la
presenza di aree ventilate e non perfuse aumentano la probabilità diagnostica all’80 %. La scinti-
111
grafia perfusionale viene eseguita con macroaggregati di albumina umana marcata con tecnezio
radioattivo; gli scintigrammi perfusionali sono
estremamente sensibili ed evidenziano ostruzioni
a carico di vasi di 3 mm di diametro. Una scintigrafia perfusionale negativa esclude quindi la
diagnosi di embolia polmonare; falsi positivi per
mancanza di specificità della tecnica sono sempre
da considerare, in quanto molte patologie polmonari quali polmoniti ed enfisema possono presentare difetti di perfusione (21,22).
Attraverso l’angiografia polmonare (secondo
alcuni Autori ancora considerata il “goal-standard” per la diagnosi) è possibile evidenziare una
brusca interruzione del decorso dei vasi polmonari e la presenza di difetti di riempimento intraluminale. L’attendibilità di tale metodica è in funzione dell’abilità del tecnico durante l’esecuzione;
la mortalità si aggira intorno allo 0,2% e si esegue
normalmente quando le tecniche non invasive
non permettono una diagnosi certa.
La TC spirale, oramai alla portata di quasi tutti
gli ospedali, è una indagine che permette di evidenziare embolie polmonari centrali o lobari nonché forme segmentarie e sottosegmentarie, utilizzata anche per evidenziare le concause.
La difficoltà nel porre la diagnosi di embolia
polmonare in tempi brevi determina una alta percentuale di morte nella prima ora (50%).
LA TERAPIA DELLA MALATTIA
TROMBOEMBOLICA VENOSA
Prevenzione della MTEV
La prevenzione della MTEV può essere distinta in primaria (da attuare nei soggetti a rischio) e
secondaria (al fine di prevenire nuovi episodi di
TVP e/ o di embolia polmonare).
Può essere attuata con misure di carattere generale e mezzi farmacologici; tra le prime, importanti soprattutto nella persona anziana, evitare le
lunghe permanenze a letto. La deambulazione va
decisamente raccomandata specie dopo interventi chirurgici.
È stato dimostrato che l’impiego delle calze a
compressione graduata o delle fasce elastiche,
specie in presenza di varici, provoca una riduzione di eventi; possono essere prescritte a tutti i
pazienti senza particolari effetti collaterali.
Altra procedura terapeutica è l’applicazione
di dispositivi pneumatici, mediante i quali l’arto
viene compresso in maniera intermittente da una
strumentazione capace di graduare la pressione
dalla caviglia verso l’inguine. Queste apparecchiature, che comunque non aumentano la velocità di flusso del sangue, svolgono il loro effetto
contrapponendosi al rallentamento della corrente
ematica in vicinanza delle cuspidi valvolari, sede
di origine dei trombi.
112
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
È oramai largamente diffuso, nei soggetti a
rischio trombotico, l’impiego delle eparine a basso
peso molecolare (Low Molecular Weight Heparins
- LMWH), costituite da una miscela eterogenea di
polisaccaridi con p.m. medio compreso tra 4.000 e
6.000 dalton. Come l’eparina, esercitano la loro
azione antitrombotica mediante l’attivazione dell’antitrombina ed inibendo il fattore Xa.
I vantaggi delle LMWH, rispetto all’eparina
non frazionata, sono da riferire alla differente farmacocinetica con una maggiore biodisponibilità,
ad una più lunga emivita plasmatica, ad una risposta a dosi fisse più prevedibile e ad una minore incidenza di effetti collaterali dovuti alla minore interazione con le piastrine.
Le LMWH disponibili (enoxaparina, nadroparina, dalteparina, reviparina, tinzaparina, ardeparina) differiscono per il peso molecolare e per il
diverso rapporto di attività anti-Xa-anti IIa; esse
hanno sostanzialmente sostituito l’eparina non frazionata (Unfractionated Heparin – UFH) per la
prevenzione della TVP dopo interventi di chiru rgia maggiore. Studi clinici in Nord America ed
Europa e meta-analisi hanno dimostrato che le
LMWH sono più efficaci dell’UFH nel prevenire la
TVP dopo chiru rgia ortopedica maggiore. In
assenza di profilassi, la chirurgia elettiva o traumatica d’anca si associa a TVP in circa il 50% dei casi,
di cui circa la metà con coinvolgimento degli assi
venosi prossimali e pertanto i pazienti sottoposti a
chirurgia ortopedica maggiore (protesica d’anca o
di ginocchio, frattura d’anca) sono da considerare
a rischio tromboembolico elevato o molto elevato;
meno noto è il rischio di TEV in caso di traumatologia minore o per le procedure artroscopiche (23).
Il fondaparinux rappresenta una nuova opzione, recentemente introdotto in commercio, al
momento solo con indicazione per la prevenzione
della TVP in pazienti sottoposti a chirurgia ortopedica maggiore degli arti inferiori quali frattura
dell’anca, chirurgia maggiore del ginocchio o chirurgia sostitutiva dell’anca; è il primo inibitore
selettivo del fattore Xa ad aver ricevuto l’approvazione della FDA per la prevenzione e il trattamento della trombosi venosa profonda, in particolare in campo di chirurgia ortopedica. Il meccanismo di azione è caratterizzato dal legame con
l’antitrombina, inducendo un cambio conformazionale che ne moltiplica l’affinità per il Xa di
circa 300 volte, viene somministrato una volta al
giorno e finora non è mai stato associato ad alcun
caso di trombocitopenia, come si può osservare in
seguito a terapia con eparina (24).
In pazienti ad elevato rischio emorragico, ci si
astiene ovviamente dalla terapia eparinica, limitandosi a misure quali la deambulazione precoce,
la compressione pneumatica intermittente e l’impiego di fasce e calze elastiche.
I pazienti “non chirurgici” rappresentano una
eterogenea ed ampia categoria di soggetti con cardiopatia ischemica, esiti di ictus cerebrale (ischemico o emorragico), neoplasie e con una serie di
malattie che vanno dallo scompenso cardiaco fino
alle malattie respiratorie croniche ed infettive, che
possono essere a rischio di TVP. Per questo tipo di
patologie non si dispone però di dati altrettanto
accurati come in chirurgia, circa la reale frequenza di tromboembolismo. Analogamente, sono
piuttosto carenti i dati sull’efficacia dei presidi
antitrombotici che sono stati considerati per la
chirurgia generale ed ortopedica. Nonostante ciò
i dati disponibili sembrano suggerire che la profilassi con anticoagulanti mediante eparina a basso
peso molecolare e persino con antiaggreganti piastrinici (generalmente aspirina), possa determinare una riduzione del rischio relativo di incidenza
delle TVP anche nei pazienti medici.
Riguardo i pazienti colpiti da ictus cerebrale
ischemico la prevenzione della TVP va attuata in
tutti i soggetti plegici, con alterazione dello stato
di coscienza, obesi, con pregressa patologia venosa degli arti inferiori, mediante l’uso di eparina
calcica non frazionata (5.000 UI x 2 volte/die) o
eparina a basso peso molecolare al dosaggio suggerito come profilattico per le singole molecole
(25). Tutti i pazienti medici dovrebbero essere
classificati in base al rischio tromboembolico ed
una profilassi dovrebbe essere attuata nei pazienti a rischio moderato e alto.
L’età superiore ai 65 anni non costituisce di per
sé un rischio sufficiente a giustificare una profilassi routinaria nei pazienti geriatrici o di medicina generale, in assenza di altri fattori di rischio
(quali, per esempio, l’immobilizzazione o la ridotta mobilità).
Recentemente è stato introdotto in commercio
il dabigatran etexilato; trattasi di un profarmaco
somministrabile per via orale che è un potente
inibitore, con effetto concentrazione dipendente,
della formazione del trombo e dell’aggregazione
piastrinica indotta dalla trombina. Al momento è
stato approvato nella UE per la prevenzione del
tromboembolismo venoso nei pazienti adulti ed
anziani sottoposti ad artroprotesi totale di anca o
di ginocchio, mentre si è ancora in attesa dell’approvazione per essere utilizzato nella prevenzione dei fenomeni cardioembolici nella fibrillazione
atriale cronica. Il dosaggio raccomandato di dabigatran etexilato nella prevenzione della MTEV,
dopo chirurgia ortopedica è di 220 mg per via
orale una volta al giorno, iniziando con una singola capsula di 110 mg entro 1-4 ore dall’intervento e continuando poi con il dosaggio pieno giornaliero. Nei due trials randomizzati, in doppio
cieco, internazionali, su pazienti con artroprotesi
totale di anca o di ginocchio, il dabigatran etexilato per via orale è risultato non inferiore a enoxaparina sodica per via sottocutanea nel prevenire
Marci M., Teodori R., Scoccia R., Galanti A. - La malattia tromboembolica venosa…
la MTEV o la mortalità per tutte le cause e non
sono state osservate differenze significative negli
endpoints secondari (26).
Terapia della TVP
Lo scopo primario del trattamento della TVP è
quello di inibire la progressione del trombo, e/o
di promuoverne la lisi e di prevenire l’embolia
polmonare.
Oggi i farmaci maggiormente utilizzati per la
terapia della TVP sono le LMWH per via sottocutanea, essendo più maneggevoli della eparina non
frazionata e allo stesso tempo in grado di garantire una sicurezza presumibilmente superiore.
Mediante la somministrazione sottocutanea
due volte al giorno, a dosi adeguate (Tab. 1),
senza monitoraggio dell’aPTT, è possibile trattare
con beneficio la TVP soprattutto nei soggetti
anziani ed in quelli che per varie ragioni non vengono ospedalizzati.
Benché meno utilizzata che in passato l’eparina sodica non frazionata per via endovenosa, rappresenta una opzione terapeutica ancora valida.
Dopo bolo di 3.000 o 5.000 UI si prosegue con
somministrazione continua in pompa ad un
dosaggio medio di 1.000 U.I./ora (24.000 U.I.
24/ore). Il dosaggio va comunque personalizzato
per ogni singolo paziente mantenendo un aPTT
tra 2 e 2,5 volte il valore basale. La somministrazione va subito embricata e poi sostituita con
anticoagulanti orali (antagonisti della vitamina K:
acenocumarolo, warfarin) mantenendo l’INR tra
2 e 3 a seconda delle condizioni cliniche (27-29).
Per evitare eventuali recidive, la TAO (terapia
anticoagulante orale) va proseguita per almeno
sei mesi nella TVP idiopatica; può essere ridotta a
tre mesi se la TVP è secondaria a fattori scatenanti temporanei. Quando vi siano alterazioni del
processo coagulativo come carenza di ATIII, resistenza alla proteina C attivata, presenza di LAC,
la terapia deve essere proseguita per tutta la vita.
Nella prima fase della malattia è consigliabile,
per alcuni giorni e se non vi sono controindicazioni assolute, la permanenza a letto meglio se con
applicazione di fascia o calza elastica per ridurre
l’edema dell’arto; successivamente va ripresa gradualmente la deambulazione con terapia contenitiva. Al fine di lisare il trombo, entro la prima setTab. 1 – Dose giornaliera delle varie LMWH
in base al peso corporeo
Enoxaparina
Nadroparina
Dalteparina
Reviparina
Tinzaparina
Ardeparina
150 UI/Kg/die
180 UI/Kg/die
200 UI/Kg/die
200 UI/Kg/die
175 UI/Kg/die
260 UI/Kg/die
113
timana dall’inizio della sintomatologia e, soprattutto nelle trombosi dell’asse iliaco-femorale, possono essere utilizzati i farmaci trombolitici come
1’attivatore tissutale ricombinante del plasminogeno (rt-PA). Anche se autorizzato in Italia solo
per l’embolia polmonare ed infarto del miocardio, l’interesse per l’rt-PA è legato alla possibilità
di determinare una trombolisi selettiva.
L’r-tPA in virtù della sua specificità per la
fibrina adesa al trombo, consente il confinamento
dell’effetto litico in loco e quindi evita la comparsa di iperplasminemia circolante con conseguente
digestione del fibrinogeno. L’alta affinità dell’rtPA per il plasminogeno in presenza di fibrina
comporta un’efficiente attivazione dell’rt-PA a
livello del trombo, mentre la sua attivazione nel
plasma risulta inefficiente. Viene somministrato
per via endovenosa alla dose di (5 mg/kg/ora
per 24 ore fino ad un massimo di 150 mg). Altro
farmaco trombolitico utilizzato è l’urochinasi alla
dose di 4.400 U.I. /Kg/ora fino alla completa lisi
del trombo e non oltre le 48-72 ore.
La terapia trombolitica va presa in considerazione solo in pazienti con trombosi venosa profonda massiva. Per la non univocità degli studi
effettuati e la mancanza di altri, più ampi e completi, che dimostrino la reale efficacia e sicurezza
di queste molecole, è ragionevole riservare il loro
impiego ai casi di grave trombosi venosa profonda, in particolare in coloro che presentano compromissione funzionale dell’arto (gangrena venosa o phlaegmasia coerulea dolens) (30).
Tra le complicanze della terapia trombolitica
l’emorragia è la più temibile; l’incidenza oscilla
tra il 2 ed il 10 %. Le manifestazioni emorragiche
più comuni sono l’emorragia nella sede della
puntura, l’ematuria, la metrorragia, le emorragie
gastrointestinali, retroperitoneali e cerebrali.
È necessario selezionare con estrema accuratezza i soggetti da sottoporre a trombolisi: vanno
esclusi i pazienti che hanno subito interventi chirurgici o prelievi bioptici nei 10 giorni precedenti,
recenti traumi, sanguinamento gastrointestinale
nei tre mesi precedenti, recente rianimazione cardiopolmonare con massaggio cardiaco esterno,
patologia neoplastica, eventi cere b ro v a s c o l a r i
(ischemia o emorragia) nell’ultimo anno oppure
soggetti in età molto avanzata.
L’embolectomia chirurgica è oggi del tutto
abbandonata per le gravi complicanze che determina e per la facile possibilità di recidiva.
Attualmente vi è anche un notevole ridimensionamento nelle indicazioni alla applicazione
dei filtri cavali (Tab. 2) (23).
L’impiego dei filtri cavali, con introduzione
per via endoluminale, riduce la mortalità e la
morbilità, con una buona protezione dell’embolia
polmonare ed una ottima pervietà a distanza
della vena cava inferiore. Le complicanze sono
114
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
Tab. 2 – Indicazioni alla applicazione dei filtri cavali
– Gravi emorragie in corso di TAO;
– Controindicazione assoluta alla terapia anticoagulante;
– EP recidivante nonostante un corretto trattamento anticoagulante.
rappresentate dall’ematoma nella sede della puntura, dalla trombosi nella sede di inserzione del
filtro e dalla migrazione distale dello stesso. È
opportuno che i pazienti portatori di filtro cavale
vengano trattati permanentemente con TAO.
Terapia dell’EP
Didatticamente può essere distinta una terapia
sintomatica di supporto ed una volta a ridurre o
eliminare l’embolo.
L’utilizzo di morfina per il dolore è da valutare con attenzione vista l’azione depressiva sul
centro del respiro. L’ipossia viene corretta con la
somministrazione di O2. Nei casi gravi si rende
necessaria la respirazione assistita. In presenza di
riduzione della gittata cardiaca con shock si utilizza dopamina con azione inotropa positiva per
il miocardio, ed infusione di liquidi, anche se il
loro utilizzo può, in presenza di aumento della
pressione venosa centrale, peggiorare le condizioni circolatorie.
Il trattamento anticoagulante iniziale con eparina è il caposaldo della terapia dell’embolia polmonare; l’obiettivo è quello di prevenire l’estensione o la recidiva della trombosi venosa profonda che l’ha determinata. Se il paziente è emodinamicamente stabile si preferiscono le LMWH rispetto all’eparina non frazionata al massimo
dosaggio consentito dalla singola molecola per il
peso corporeo.
L’eparina non frazionata è indicata in presenza di insufficienza renale grave con clearance
della creatinina < 30 ml/min, in pazienti con ipotensione persistente, in caso di aumentato rischio
di sanguinamento, quando il BMI > 40, o nel
sospetto fondato di dover poi praticare trombolisi sistemica con rt-PA
L’eparina non frazionata si utilizza a partire da
un bolo di 5000 UI seguito da infusione continua
di 1000 UI/ora nelle prime 24 ore adattando il
dosaggio ai valori di aPTT (2-2,5 volte quello di
base). L’infusione continua riduce l’incidenza di
complicanze emorragiche rispetto alla somministrazione in boli.
Il trattamento con eparina viene progressivamente sostituito, come nelle TVP, dalla TAO; questo approccio terapeutico evita la formazione di
nuovi trombi o l’estensione di un trombo preesistente. La terapia va mantenuta per 3-6 mesi; va
continuata oltre nei casi di episodi ricorrenti di
embolia o in presenza di fattori di rischio (22-23).
La trombolisi con urochinasi, streptochinasi,
rt-PA determina una lisi rapida del trombo e
nonostante si siano dimostrati in grado di migliorare rapidamente i parametri funzionali, ancora
non vi è una utilizzazione capillare specie come
terapia di attacco nelle forme massive con segni
di shock (31). La somministrazione di rt-PA va
effettuata con infusione per via venosa sistemica
da praticare in due ore.
La prognosi a lungo termine dei pazienti che
sopravvivono ad un episodio di embolia polmonare è buona se non vi è ipertensione polmonare
ed insufficienza cardiaca.
CONCLUSIONI
Alla luce di quanto esposto, possiamo concludere che la MTEV è una entità clinica molto frequente, tanto da essere una delle principali cause
di mortalità nei pazienti ospedalizzati, soprattutto nell’anziano, proprio perché in età avanzata
aumentano i fattori di rischio predisponenti, rappresentati da ipercoagulabilità, patologie cardiovascolari (IMA, scompenso cardiaco), neurologiche (ictus cerebrale), ortopediche, neoplastiche e
tutte le altre condizioni che costringono questi
soggetti ad una prolungata immobilizzazione.
La diagnosi clinica di TVP presenta spesso
notevoli difficoltà, per la per la frequente assenza
di manifestazioni cliniche; In uno studio di Bounameaux apparso nel 1999 sulle pagine di
“Thrombosis and Haemostasis” (32) è stato dimostrato che soltanto una piccola percentuale di pazienti operati sviluppa eventi sintomatici e che le
l’EP fatale rappresenta la punta dell’iceberg di
una patologia la cui reale incidenza è attualmente
sottostimata.
Si comprende, quindi, l’importanza della pro f ilassi primaria della MTEV che si attua con la precoce mobilizzazione dei pazienti dopo un evento
clinico e con terapia mediante farmaci anticoagulanti come eparina, warfarin od elastocompre s s i one degli arti inferiori nei soggetti a rischio.
Proprio al fine di meglio valutare il rischio dell’insorgenza della MTEV, negli ultimi tempi ci si è
resi conto che diversi fattori predisponenti quest’ultima, lo sono anche per la malattia aterosclerotica e quindi una migliore valutazione dei dati
anamnestici e dei dati clinici ci può sicuramente
aiutare nel ridurre il manifestarsi di eventi spesso
misconosciuti nelle corsie ospedaliere.
Relazione presentata al Convegno di Aggiornamento
“La malattia aterotrombotica: dalla prevenzione alla
terapia” – Tivoli Terme (Roma) 4 Aprile 2009.
Marci M., Teodori R., Scoccia R., Galanti A. - La malattia tromboembolica venosa…
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Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno 117
L’INSUFFICIENZA RESPIRATORIA CRITICA
D’Angelo C.
Direttore U.O.C. di Geriatria, Pescara e Penne, Lungodegenza p.a. Penne
Definiamo anzitutto “Insufficienza Respiratoria”
(IR) una condizione clinica caratterizzata da alterata
pressione parziale di uno o entrambi i gas arteriosi
(O2, CO2) quando all’emogasanalisi arteriosa riscontriamo una PaO2 inferiore a 55-60 mmHg durante
respirazione in aria ambiente accompagnata o meno
da una PaCO2 superiore a 45 mmHg (distinguendo
quindi una insufficienza respiratoria parziale o globale a seconda dei due casi).
È necessario ricordare che l’apparato respiratorio è formato da due componenti:
1. l’organo dello scambio gassoso (i polmoni);
2. la pompa ventilatoria (ovvero quel complesso
anatomo-funzionale che permette la ventilazione
polmonare e che è costituito dal Sistema Nervoso
Centrale, dal Sistema nervoso Periferico, dalla
gabbia toracica, e dai muscoli respiratori).
Quando la patologia iniziale colpisce il polmone,
il primo fenomeno sarà una ipossiemia arteriosa
seguita istantaneamente da una ipocapnia. Se invece
l’insulto iniziale colpisce una delle quattro componenti della “pompa ventilatoria” la manifestazione
iniziale sarà una ipercapnia arteriosa seguita successivamente da una inesorabile ipossiemia(ne sono
esempi l’overdose di oppiacei che determina una
marcata depressione del SNC, la sclerosi laterale
amiotrofica, la miastenia gravis o la deformazione da
cifoscoliosi della gabbia toracica) (1).
Questa classificazione fisiopatologica ci permette in urgenza di sapere se ci si trova di fronte
ad una “Lung Failure” o “Pump Failure” ovvero
ad un problema di ossigenazione o di ventilazione, anche se i due quadri possono evolvere l’uno
nell’altro e quindi determinare una forma mista di
IRA, tra l’altro molto frequente. Sia l’edema polmonare acuto che una crisi asmatica, o una BPCO
possono mutare da una iniziale lung failure verso
una “defaillance” della muscolatura respiratoria e
quindi verso una pump failure.
Come già detto l’insufficienza respiratoria può
essere classificata in:
Acuta:
1. IRA polmonare (focolaio broncopneumonico,
EPA, crisi asmatica);
2. IRA ventilatoria (depressione dei centri nervosi).
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Carlo D’Angelo
Direttore U.O.C. di Geriatria, Ospedale Civile
Via Fonte Romana, 8 – 65124 Pescara
Tel. 0854252728
Cronica:
1. IR cronica polmonare (fibrosi polmonare);
2. IR cronica ventilatoria (BPCO in fase ipercapnica stabile).
Cronica riacutizzata (BPCO in fase ipercapnica
che va incontro ad una riacutizzazione).
L’INSUFFICIENZA RESPIRATORIA CRITICA
In presenza di una insufficienza respiratoria,
l’obiettivo principale rimane quello di mantenere
un adeguato trasporto dell’O2, ridurre l’eccessivo
lavoro respiratorio e stabilizzare l’equilibrio elettrolitico e acido-base. Ed è proprio in base al valore di pH riscontrato all’emogasanalisi che noi definiamo critica una insufficienza respiratoria.
Nei liquidi corporei esistono piccole quantità
di ioni H+ liberi. Il pH è espressione della concentrazione di H+:
pH: - log [ H+]
Per una normale funzione cellulare di tutto
l’organismo, la concentrazione degli ioni H+ deve
essere mantenuta entro limiti molto ristretti, attraverso i sistemi tampone, il rene, il polmone. I
sistemi tampone sono sostanze capaci di legare o
liberare ioni H+ in modo da rendere minime le
variazioni della concentrazione di H+ liberi. Il rene
contribuisce all’equilibrio acido-base regolando la
concentrazione di HCO3- attraverso variazioni
dell’escrezione di H+ mentre il polmone interviene
nell’equilibrio acido-base regolando la concentrazione di CO2 attraverso variazioni della ventilazione alveolare.
Il valore normale del pH è 7,4 (variazioni da
7,38 a 7,42) mentre i valori compatibili con la vita
sono rispettivamente 6,8 il valore inferiore e 7,8 il
valore superiore. Si parla di acidosi quando il
valore del pH è inferiore a 7,38 mentre si parla di
acidosi grave quando il valore è inferiore a 7,2.
Si parla di alcalosi quando il pH è superiore a
7,42 e di alcalosi grave se il pH è maggiore di 7,6.
O c c o r re anche ricord a re che l’acidosi può essere
metabolica(diminuzione della concentrazione di
HCO3-) o respiratoria(aumento della CO2) mentre
l’alcalosi può essere metabolica(per un aumento
della concentrazione di HCO3-) o respiratoria(per
un aumento della concentrazione di HCO3-).
Le risposte compensatorie sono date dal compenso renale (nelle acidosi/alcalosi respiratorie) e
dal compenso respiratorio (nelle alcalosi/acidosi
metaboliche). Quando questi meccanismi di compenso non sono più sufficienti per riportare il pH
118
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
nel range di normalità siamo di fronte ad una
insufficienza respiratoria critica che può presentarsi nell’anziano, purtroppo, con segni clinici iniziali anomali(delirium, confusione, agitazione o
alterato stato di coscienza), sia per la ridotta capacità del paziente anziano di esprimere il sintomo
sia per il concomitante deterioramento cognitivo,
sia per la ridotta percezione della dispnea e per
l’assenza dei fenomeni compensatori (i.e. frequenza cardiaca). L’errore diagnostico a volte è
dovuto alla presentazione clinica simile per varie
patologie, alla concomitanza di più patologie, alla
prevalenza di sintomi non respiratori su quelli
respiratori, al fatto che gli esami di laboratorio e
quelli strumentali sono spesso non conclusivi (Rx
torace non specifico; assenza di segni di flogosi
sistemica…).
Si verifica allora il quadro di Acute Respiratory Failure che può essere diagnosticato quando il pH è inferiore a7.30 e ricorrono almeno due
delle seguenti condizioni (2):
PaO2/FiO2 < 200
Frequenza Respiratoria > 30
Reclutamento dei muscoli respiratori accessori
Segni di fatica dei muscoli respiratori
Encefalopatia ipossico-ipercapnica
Apnee o drive respiratorio insufficiente
pH > 7.30 ma PaO2 < 55 mmHg con FiO2 50%
In questi casi è necessaria la ventilazione meccanica in quanto l’apparato respiratorio del paziente non è sufficiente a mantenere le concentrazioni dei gas ematici all’interno del range di normalità nonostante la somministrazione di terapia
medica e di O2. Oltre che riconoscere una Acute
Respiratory Failure, è necessario saperla trattare
anche in Geriatria, in quanto, sino ad oggi, soggetti con tale affezione erano appannaggio delle
rianimazioni o delle UU.OO. di Pneumologia. Il
Geriatra in nessun caso vuole sostituirsi al rianimatore o allo pneumologo ma deve cercare di
trattare il più possibile in reparto tali pazienti per
una serie di motivi ben evidenti. A parte il fatto
che il paziente anziano presenta sempre una pluripatologia cui i geriatri sono più consoni, assistiamo giornalmente ad un elevato numero di
pazienti anziani affetti da insufficienza respiratoria e ad una sempre crescente richiesta di ricoveri
in rianimazione tanto che si corre il rischio di
bloccare tutte le UU.OO. di rianimazione con i
nostri pazienti. Esclusi i casi in cui oltre la ventilazione occorra anche l’intubazione, manovra
precipua dei colleghi anestesisti, è necessario che
ogni unità di Geriatria possa e sappia gestire in
proprio tali casi. D’altra parte una ventilazione
non invasiva mostra evidenti vantaggi (3):
– evita i traumi da intubazione;
– preserva le difese aeree;
– riduce l’incidenza delle polmoniti nosocomiali;
– consente l’alimentazione e la comunicazione;
– evita l’isolamento dal caregiver;
– riduce la necessità della sedazione;
– riduce la durata dell’ospedalizzazione;
– riduce i costi.
Non sempre, però, è possibile attuare una NIV,
esistendo precisi quadri clinici in cui la NIV non
solo non è indicata ma anzi è controindicata e cioè
quando si è in presenza di:
– coma;
– incapacità a proteggere le vie aeree;
– occlusione intestinale;
– instabilità emodinamica;
– traumi oro-facciali;
– abbondanti secrezioni;
– pneumotorace
La ventilazione meccanica è quella tecnica o
insieme di tecniche che utilizzano degli apparecchi o macchine per assistere o supplire totalmente la ventilazione polmonare di un soggetto. Il
ventilatore agisce come un “muscolo” supplementare e può svolgere completamente il lavoro
ventilatorio o solo supportare gli atti respiratori
spontanei del paziente, attivandosi in risposta ad
uno sforzo inspiratorio. La VM si realizza con
apparecchi che esercitano una pressione positiva
continua nelle vie aeree (Continuous Positive Airway Pressure, CPAP), una pressione positiva nelle vie aeree su due livelli (Bilevel Positive Airway
Pressure, BiPAP) o una pressione positiva di fine
espirazione (Positive End Expiratory Pressure,
PEEP) (4).
Scopo fondamentale della ventilazione meccanica è quello di ridurre il lavoro respiratorio del
paziente. Disponiamo oggi di una vasta gamma
di modalità ventilatorie che vanno dall’abolizione
totale del lavoro muscolare del paziente (ventilazione controllata) alla riduzione del lavoro respiratorio che rimane però totalmente a carico del
paziente (CPAP). La ventilazione a pre s s i o n e
positiva può essere assistita, controllata oppure
assistita – controllata a seconda che sia il paziente
a determinare l’atto respiratorio o che sia l’apparecchio a determinare la frequenza del respiro.
I ventilatori pressometrici sono in grado di
erogare una P positiva nelle vie aeree ad ogni atto
inspiratorio. Il livello di P da raggiungere è stabilito dall’operatore e regolato sull’apparecchio; tale
livello viene raggiunto ad ogni atto inspiratorio.
I ventilatori volumetrici sono in grado di erogare nelle vie aeree un volume prestabilito di aria
per ogni atto inspiratorio. A differenza degli apparecchi pressometrici, la quantità di volume di
aria è decisa ed impostata dall’operatore ed è
costante ad ogni atto inspiratorio.
La ventilazione assistita prevede che il paziente abbia un’attività respiratoria propria;infatti, in
modalità assistita lo sforzo respiratorio del pa-
D’Angelo C. - L’insufficienza respiratoria critica
ziente dà inizio all’inspirazione e all’espirazione.
Il ventilatore viene “attivato” dal paziente ed ha
lo scopo di “assisterlo” nella ventilazione. In modalità controllata il ventilatore erogherà flusso
d’aria, pressione ed una frequenza respiratoria
(FR) impostati dall’operatore quando il paziente
non è in grado di attivare il ventilatore
La ventilazione assistita controllata è una modalità di ventilazione in cui il ventilatore apporta
un re s p i ro ad una P positiva ed un prefissato volume corrente in risposta allo sforzo inspiratorio del
paziente (componente assistita). Il ventilatore può
anche fornire respiri ad una frequenza minima
prefissata (FR di sicurezza) se non si verifica alcuno sforzo del paziente entro un periodo di tempo
preselezionato (componente controllata) (5).
Una particolare ventilazione meccanica è quella fornita dal “polmone d’acciaio” che la nostra
unità ha usato e gestito da vari decenni, passando
da modelli antidiluviani a quelli attuali. Anche se
usato raramente, il polmone d’acciaio trova la sua
indicazione per i pazienti che non sono in grado di
collaborare con le comuni tecniche ventilatorie. Il
paziente è sistemato all’interno di un cilindro
dove alternativamente si realizza una pressione
positiva e negativa, regolabile, mentre la testa
rimane al di fuori del cilindro, con possibilità
anche di somministrazione di O2. Il paziente,
anche se non collaborante, è obbligato a respirare
secondo il ciclo impostato dall’operatore .
In conclusione è necessario ribadire che la
ventilazione meccanica esterna rappresenta oggi
un presidio terapeutico fondamentale per risolvere l’Insufficienza Respiratoria Critica, determinando il miglioramento della PaCO2 e del pH già
dopo 1-2 ore dall’inizio della terapia anche se
alcuni quadri clinici coesistenti(scompenso car-
119
diaco o polmonite) richiedono tempo e pazienza,
essendo di per sé indici predittivi negativi.
Nella nostra unità operativa di Pescara sono
stati trattati, nel corso dell’ultimo anno, numerosi
casi di insufficienza respiratoria critica, sia con
ventilatori volumetrici che pressumetrici, ottenendo risultati molto lusinghieri, grazie a medici
ed infermieri esperti nell’utilizzo di tali apparecchi e motivati nella riuscita dell’azione terapeutica. Sono stati trattati anche pazienti ultraottantenni, ricoverati nella nostra unità in condizioni ipercritiche, che una volta dimessi hanno potuto continuare a domicilio la NIV essendo stati adeguatamente istruiti in reparto per utilizzare tali apparecchiature anche a casa loro.
Indubbiamente la ventilazione non invasiva si
avvia ad essere uno strumento di lavoro per tutte
le Geriatrie, dal momento che pazienti con insufficienza respiratoria grave sono sempre presenti
nelle nostre corsie ospedaliere. Negli anni a venire il numero dei pazienti affetti da insufficienza
respiratoria critica da trattare in Geriatria sarà
ancora maggiore, sia per l’invecchiamento progressivo della popolazione sia per il trend in crescita delle forme di broncopneumopatia cronica
ostruttiva. A noi tutti spetta il compito di dare
una risposta adeguata ad una patologia che, se
ben gestita, aggiunge vita agli anni dei pazienti
ed è fonte di notevole soddisfazione professionale, purchè gli operatori sanitari siano dotati oltre
che di ventilatori di tanto entusiasmo e tanta
voglia di fare.
Relazione presentata al Congresso Interregionale della
S.I.G.Os. Marche-Abruzzo/Molise-Lazio – Macerata
23-24 Ottobre 2009.
120
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
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Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno 121
REALTÀ E RICERCA NELLE NEOPLASIE DELL’ANZIANO
Torresi U., Valeri M., Pistilli B., Benedetti G., Nacciarriti D., Saladino T., Mariani C.,
Cingolani D., Mancini C., Latini L.
U.O. Oncologia, Dipartimento Oncologico, Ospedale di Macerata
Riassunto: I tumori costituiscono una patologia di notevole frequenza nell’età anziana, sia per incidenza che per
mortalità.
Le cause risiedono nella maggior instabilità genetica insita negli anziani, nell’aumentata esposizione a carcinogeni e nel processo di immunosenescenza.
La prognosi del cancro è notevolmente influenzata dalla precocità della diagnosi.
Risulta evidente l’importanza di tener conto delle comorbidità presenti, dello stato funzionale nonché delle caratteristiche psicologiche e di supporto sociale che caratterizzano il malato anziano e da cui non si può prescindere
nella programmazione di un piano integrato di intervento socio-sanitario.
A tale scopo è stata introdotta in clinica la Valutazione Geriatrica Multidimensionale (VGM).
Nell’ambito dell’oncologia geriatrica la chemioterapia è finalizzata al miglioramento della qualità della vita, nell’ottica di minimizzare i rischi ed il grado di tossicità del trattamento. La gestione completa del paziente oncologico anziano prevede quindi la diffusione di strutture sanitarie dedicate all’approccio multidisciplinare e l’applicazione di terapie di supporto.
Parole chiave: Tumore, anziano, Valutazione Geriatrica Multidimensionale (VGM), chemioterapia, biologia molecolare.
Summary: Tumour represents a highly frequent pathology in elderly patients, both in incidence and mortality.
Causes are findable both in high genetic instability incidental to elderly and in greater exposition to carcinogens and in immu no-senescence.
Cancer prognosis is strictly influenced by the precociousness in diagnosis.
It is clear the importance of considering the co-morbidities, the functional state and the psychological and social features that
characterize elderly patients and it is impossible to ignore them when scheduling an integrated planning of social-sanitary
intervention.
This is the reason for the clinic introduction of the Multidimensional Geriatric Evaluation.
In Geriatric Oncology chemotherapy is aimed to grant a better quality life condition, trying to minimize risks and toxicity
linked to treatment. The global management of the elderly cancer patient involves both the spreading of sanitary structures
committed to multidisciplinary approach and the application of palliative support therapies.
Key words: Tumour, elderly, Multidimensional Geriatric Evaluation, chemotherapy, molecular biology.
INTRODUZIONE
Negli ultimi due decenni l’interesse di medici
e ricercatori verso le neoplasie dell’anziano ha
avuto un notevole incremento. Ciò è dovuto sia al
pro g ressivo invecchiamento della popolazione,
che all’aumento dell’incidenza dei tumori legato
all’età, ma anche alle incertezze relative alla possibilità di ottimizzare i trattamenti nei pazienti
geriatrici. La mortalità è maggiore in un paziente
anziano rispetto ad uno giovane per la presenza
di patologie concomitanti (1,2). In genere i pazienti geriatrici vengono inseriti in studi clinici in
numero molto minore: l’unica possibilità per raccogliere dati relativi alla fattibilità ed efficacia dei
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Luciano Latini
U.O. Oncologia, Ospedale Civile
Via S. Lucia, 2 – 62100 Macerata
Tel. 07332572556 Fax 07332572526
E.mail: [email protected]
trattamenti deriva da studi prospettici specifici o
osservazionali retrospettivi. Molto importante nei
tumori è la prevenzione primaria attuata mediante test di screening, che però spesso negli anziani
non viene effettuata. Alla luce di queste considerazioni emerge quindi la necessità di campagne
educative rivolte alla popolazione geriatrica e ai
medici curanti che portino a sostituire l’atteggiamento passivo e rinunciatario di fronte al tumore,
abbastanza frequente nei confronti del paziente
anziano, con quello rivolto ai giovani che prevede
un impegno attivo sia nella prevenzione, che nella
diagnosi e terapia.
ASPETTI DEMOGRAFICI
Come in tutti i Paesi industrializzati, in Italia
circa un quinto della popolazione è costituita da
anziani. Il 15,1% degli uomini e il 20,7% delle
donne ha più di 65 anni di età e l’attesa di vita
aumenta costantemente (14 anni per gli uomini e
122
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
18 per le donne). Nel 2012/2013 l’Italia sarà il
Paese con la maggior popolazione anziana d’Europa.
L’incidenza dei tumori aumenta con l’età.
Usando le informazioni ricavate dai Registri
Tumori, si può stimare che in Italia siano diagnosticati circa 270000-300000 nuovi casi di tumore
per anno: di questi il 63,7% di tutti i nuovi tumori si verifica negli anziani (il 65,9% negli uomini e
il 61,5% nelle donne). Negli uomini, più del 50%
dei tumori degli anziani si verifica in quattro sedi:
il polmone (16,8%), la prostata (14,5%), il colonretto (11,5%) e la vescica (9,7%). Nelle donne sono
sei le sedi più colpite: mammella (17,8%), colonretto (14,1%), stomaco (6,9%), polmone (5,2%),
pancreas (3,7%) e corpo dell’utero (3,6%) (3). Aspetti peculiari dell’incidenza dei tumori sono il
forte e costante aumento che si osserva con l’aumentare dell’età e la diminuzione della sopravvivenza con l’aumentare dell’età alla diagnosi (4). Il
rischio di tumore è circa 40 volte più alto che nei
giovani adulti (20-44 anni) e circa 4 volte maggiore che nelle persone di età compresa tra i 45 e i 64
anni. Dopo un anno dalla diagnosi, gli anziani
affetti da tumore presentano un rischio relativo di
morte più alto rispetto ai giovani che varia da 1,2
a 2,2, secondo il sesso e il tipo di tumore (5). Esistono a questo proposito incertezze sul fatto che
gli anziani affetti da tumore ricevano effettivamente gli stessi standard terapeutici dei pazienti
più giovani. In Italia più del 70% delle morti attribuibili a tumori avviene in pazienti geriatrici: il
35% delle morti tra gli uomini e il 46% tra le
donne si verifica oltre i 75 anni. È inoltre evidente
un gradiente Nord-Sud, particolarmente spiccato
per gli uomini. Le sedi più importanti sono rappresentate dal polmone (27%), dal colon-retto
(12%), dalla prostata (10%), dallo stomaco (9%) e
dall’apparato urinario (8%) negli uomini; dal
colon-retto (16%), dalla mammella (14%), dallo
stomaco (10%), dal polmone (7%) e da malattie
emolinfopoietiche (6%) nelle donne. Segnali incoraggianti emergono dall’analisi temporale dei
dati di mortalità: la mortalità complessiva nella
fascia di età 65-84 è diminuita del 5,5% negli
uomini e del 4,5% nelle donne. In Italia la diminuzione più marcata è stata registrata per il cancro
allo stomaco (30%) e alla prostata (11%) negli
uomini, per il cancro dello stomaco (25%) e dell’intestino (27%) nelle donne.
INVECCHIAMENTO E CANCRO:
ALCUNI ASPETTI RILEVANTI DELLA
RICERCA BIO-MOLECOLARE
Il termine invecchiamento è generalmente utilizzato per indicare una condizione in cui modificazioni molecolari e cellulari sono responsabili
della riduzione dell’aspettativa di vita così come
dell’aumento della morbilità e della progressiva
perdita dell’autonomia nelle attività quotidiane
dell’individuo.
Un aspetto rilevante correlato al problema dell’invecchiamento della popolazione è la diffusione di patologie cronico-degenerative quali i
tumori. L’anziano è più suscettibile ad ammalarsi
di cancro del giovane a causa di due fattori principali: il tempo e la senescenza. La carcinogenesi è
un processo che richiede diverso tempo per portarsi a compimento e inoltre la senescenza si
manifesta come un processo dinamico di rimodellamento del sistema immunitario, strettamente
legata al declino del sistema ormonale, con conseguenti alterazioni sia a livello sistemico che cellulare. Si osserva pertanto una minore capacità di
riparazione dei danni al DNA, con accumulo di
lesioni genetiche che, se interessano la funzione
di proto-oncogeni e/o oncosoppressori, possono
condurre al cancro.
Numerose evidenze sperimentali supportano
l’ipotesi secondo la quale l’invecchiamento favorisca la sviluppo della patologia tumorale quale
conseguenza della maggiore sensibilità dell’anziano ai carcinogeni ambientali e della ridotta capacità di controllo dei meccanismi regolanti la
proliferazione tumorale e la metastatizzazione.
Da un punto di vista biologico il tumore può
essere considerato il risultato finale di uno squilibrio tra la proliferazione cellulare e l’apoptosi.
Alcuni tipi di tumore si comportano diversamente in base all’età del paziente e ciò dipende
sia dalle caratteristiche biologiche intrinseche del
tumore sia dalle reazioni dell’organismo anziano
al tumore stesso. In particolare, ad esempio, la
prolungata stimolazione antigenica ricevuta nel
corso della vita determinerebbe nel soggetto
anziano un’attivazione continua dell’immunità
innata che provoca uno stato flogistico cronico, il
cosiddetto inflammaging, il quale costituisce la
base fisiopatologica di diverse patologie tipiche
dell’anziano, tra cui il tumore.
Nel paziente anziano si verificano infatti
modificazioni del sistema immunitario, sia per
quanto riguarda le cellule B sia T. I linfociti B possono essere numericamente ridotti e con una
diminuita capacità di risposta anticorpale, il pool
di linfociti T naive appare depleto e si può osservare un profondo squilibrio tra cellule T helper 2 e
T helper 1, a sfavore di queste ultime, con conseguente maggiore suscettibilità a infezioni virali e
ridotta capacità di presentare l’antigene.
A fronte di un’aumentata incidenza dei tumori in età avanzata, si può osservare altresì una
ridotta crescita tumorale e metastatizzazione,
dovuta ad un ridotto rilascio di fattori di crescita
e ad un minor potenziale angiogenetico.
Nei pazienti anziani si evidenzia inoltre una
certa instabilità genetica, direttamente collegata
Torresi U., Valeri M., Pistilli B. - Realtà e ricerca nelle neoplasie dell’anziano
alle modificazioni a carico dei telomeri indotte dall’età. I telomeri tendono infatti a perd e re le ripetizioni tandem di sequenze TTAGGG in modo stre ttamente dipendente dall’invecchiamento, come
una sorta di orologio biologico dell’individuo (6).
L’ a c c o rciamento telomerico determina un
danno a carico del DNA anche per la perdita di
regioni codificanti per proteine coinvolte nella
riparazione del DNA stesso. Spesso però nelle
cellule tumorali si assiste anche alla riattivazione
della telomerasi, enzima deputato all’allungamento dei telomeri, al fine di sostenere la loro crescita cellulare. Tutte le neoplasie dei pazienti
anziani si associano ad accorciamento dei telomeri e riattivazione delle telomerasi.
Infine, nella senescenza vi possono essere
modificazioni post-trascrizionali di proteine cellulari prodotte in risposta allo stress, come le cha peronine, che risultano funzionalmente inattive o
alterate nella loro distribuzione (7).
A loro volta le chaperonine sono implicate nel
controllo immunitario, pertanto sistema immunitario, alterazione dei telomeri e instabilità genetica si integrano in un complesso sistema regolatorio cellulare.
TERAPIE
Appare oggi chiara la necessità di definire
strategie terapeutiche che tengano conto della
complessità dell’individuo e che abbiano come
obiettivo il miglioramento dello stato globale di
salute e non la sola risposta antitumorale.
Nel paziente anziano, la capacità di tollerare i
trattamenti antineoplastici è influenzata dalla
senescenza (8-10). Nella maggior parte dei tumori dell’anziano è indicato il trattamento chirurgico. L’intervento chiru rgico elettivo è tollerato
bene nei pazienti anziani senza comorbilità o
disabilità importanti, mentre la mortalità aumenta in caso di interventi d’urgenza. Le maggiori
complicazioni postoperatorie dell’anziano sono
di tipo respiratorio o cardiovascolare. Occorre
quindi valutare attentamente le riserve funzionali, le comorbilità, ma anche le aspettative di vita e
l’influenza dell’intervento sulla qualità della vita.
La radioterapia a dosi standard è in genere
ben tollerata dal paziente geriatrico e può rappresentare un’importante alternativa in caso di controindicazioni alla chirurgia. Essa può essere utilizzata sia con intento curativo che palliativo.
Non vi è differenza riguardo alla tolleranza della
radioterapia nei pazienti anziani con buono stato
funzionale rispetto a quelli più giovani (11).
La chemioterapia nei pazienti anziani necessita la conoscenza dell’influenza dell’invecchiamento sulla farmacocinetica e sulla farmacodinamica, le quali risultano entrambe alterate (12).
L’assorbimento e il volume di distribuzione sono
123
ridotti, così come la funzionalità epatica. La clea rance dei farmaci antineoplastici è influenzata
dalla riduzione della filtrazione glomerulare. Ciò
comporta la necessità di aggiustare la dose dei
chemioterapici in base al valore della filtrazione
glomerulare (13,14). La riduzione delle riserve
funzionali e le comorbilità rendono l’anziano più
suscettibile agli effetti tossici della chemioterapia.
La mielotossicità è uno dei più comuni. L’anemia
rappresenta un fattore prognostico importante in
quanto può far precipitare alcune patologie. Relativamente alla tossicità, anche la mucosite è in
genere più frequente e più severa nell’anziano,
così come l’incidenza di cardiomiopatie e di neurotossicità (15-26).
VALUTAZIONE DEL PAZIENTE ANZIANO
L’invecchiamento è una pro g ressiva perdita
della riserva funzionale dei sistemi multiorgano
con conseguente riduzione della tolleranza alla
chemioterapia. La gestione dei pazienti anziani
a ffetti da tumore è basata su due tipi di decisioni
cliniche: il riconoscimento dei pazienti che possono avere il massimo beneficio dai trattamenti stand a rd e l’istituzione di interventi per migliorare la
tolleranza alla chemioterapia. Sono stati stabiliti
due punti fermi: il limite inferiore di senescenza
clinica è 70 anni mentre il limite superiore è 85
anni. Al di sopra di quest’età la prevalenza di fragilità clinica aumenta sensibilmente. La definizione di fragilità ha confini molto ampi, che non
riguardano solo l’ambito fisico ma anche gli aff e tti e le relazioni sociali e che hanno in comune la
perdita della risposta di adattamento. Nell’ambito
dell’oncologia geriatrica la fragilità è definita
come una condizione di elevato rischio di decadimento psicofisico che si accompagna ad un significativo deterioramento della qualità della vita in
risposta alla malattia neoplastica e all’azione della
chemioterapia. Esiste quindi una fragilità pre c l i n ica in cui rientrano persone con più di 75 anni aff e tte da tumore, le quali abbiano parzialmente perso
l’autonomia fisica e sociale e siano affette da patologie croniche multiple non scompensate. In queste persone la fragilità comporta un rischio elevato di subire gli effetti collaterali dei trattamenti
antineoplastici. Esiste infine una fragilità avanzata o disabilità in cui rientrano gli anziani nei quali
gli effetti dell’invecchiamento e/o delle malattie
sono complicati da problemi socio-economici.
Per un corretto management del paziente oncologico anziano è necessario identificare il livello
di fragilità mediante uno strumento per lo scree ning della fragilità stessa (27-29).
La Valutazione Geriatrica Multidimensionale
(VGM) è una valutazione nella quale sono
descritte le problematiche, le capacità funzionali,
le necessità di servizio assistenziale dell’anziano e
124
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
attraverso la quale viene sviluppato un piano di
trattamento. Gli elementi che contribuiscono allo
sviluppo della fragilità sono identificabili con tale
valutazione che analizza in maniera sistematica lo
stato funzionale, le comorbilità, la condizione socio-economica, lo stato cognitivo, psico-emozionale e nutrizionale e la farmacoterapia del paziente anziano (Tab. 1) (30-38).
La presenza di più patologie croniche non scompensate (Score 1-3) è compatibile con una condizione di fragilità preclinica, mentre la presenza di
almeno una patologia scompensata (Score 5) è
necessaria per definire una condizione di fragilità
conclamata. Le patologie cardiache anche non
scompensate (Score 4) sono sufficienti per escludere un paziente da trattamenti aggressivi (39-41).
CRITERI DI SCREENING
Stato funzionale
La capacità fisica si misura con l’abilità di eseguire sia le funzioni minime quotidiane incluse
nella scala A D L (Activity of Daily Living), sia le attività più complesse necessarie per vivere in un contesto sociale incluse nella scala IADL (Instrumental
Activity of Daily Living). La dipendenza anche in
una sola attività della vita quotidiana è sintomo di
fragilità grave mentre la dipendenza per una o più
delle attività della scala IADL inserisce l’anziano
nella categoria di fragilità preclinica (42).
Età
I confini cronologici prima evidenziati sono di
utilità pratica per definire i gruppi di persone
anziani e fragili, ma non sono sufficienti a definire l’aspettativa di vita e lo stato funzionale.
Comorbilità
La frequenza di più patologie croniche coesistenti, aumenta con l’età ed è associata a disabilità
e ad una ridotta aspettativa di vita. La comorbilità
rappresenta, così come la compromissione dello
stato funzionale, un fattore prognostico negativo
di fondamentale importanza. La scelta tra le
numerose scale adottate in ambito geriatrico deve
cadere su uno strumento in grado di identificare il
numero e il tipo di patologie presenti, ma anche di
pesarne l’intensità e la gravità. Gli indici più utilizzati sono la Charlson Comorbidity Scale e la
Cumulative Illness Rating Scale-Geriatric (CIRS-G).
Stato cognitivo e affettivo
Le alterazioni dello stato cognitivo ed emozionale possono interferire con la comprensione e
l’accettazione del programma terapeutico da
parte del paziente. Si stima che circa la metà degli
anziani sopra gli 80 anni abbia disturbi cognitivi.
Il test più utilizzato per valutare tali disturbi è il
Mini-Mental State Examination (MMSE).
Tab. 1 – Valutazione Geriatrica Multidimensionale (VGM)
Parametri
Strumenti
Dati demografici
Età, sesso, scolarità, nucleo familiare
Stato funzionale
Activities of Daily Living (ADL): lavarsi, vestirsi, funzioni corporali, spostamenti, continenza degli sfinteri,
nutrirsi
Instrumental Activities of Daily Living (IADL): utilizzare il telefono, fare la spesa, cucinare, pulire la casa,
lavare la biancheria, utilizzare i trasporti pubblici,
assumere farmaci, utilizzare correttamente il denaro
Comorbilità
Numero e tipo di patologie concomitanti
(Charlson Comorbidity Scale, Cumulative Illness Rating
Scale-Geriatric)
Stato socio-economico
Livello culturale
Supporto socio-assistenziale
Reddito
Stato cognitivo-emozionale
Demenza, delirio (Mini-Mental State Examination,
Cognitive Capacity Screening Examination)
Stato nutrizionale
Stato nutrizionale (Mini Nutritional Assessment)
Valutazione pliche bicipiti
Farmacoterapia
Numero di medicamenti
Interazioni farmaco-farmaco
Torresi U., Valeri M., Pistilli B. - Realtà e ricerca nelle neoplasie dell’anziano
Stato socio-economico
Il livello culturale, il tipo di supporto socioassistenziale, il reddito e l’ambiente familiare rappresentano tutti fattori da considerare nella terapia delle neoplasie dell’anziano. Il processo di
invecchiamento della popolazione ha prodotto un
incremento del numero delle famiglie composte di
soli anziani. Un ruolo chiave viene assunto dal
cosiddetto care-giver, generalmente un familiare o
un amico che svolge le funzioni di coordinare il
trattamento, organizzare i trasporti e mediare la
comunicazione della diagnosi e delle cure. Spesso
il successo della risposta alle terapie in pazienti
anziani fragili dipende dalla sua presenza.
Stato nutrizionale
Il 20% delle persone con età superiore a 70
anni è malnutrito, generalmente come conseguenza della solitudine, della demenza o di altre
malattie croniche associate. La malnutrizione può
influenzare la capacità di tollerare la chemioterapia, pertanto la programmazione di un adeguato
apporto calorico rappresenta un obiettivo importante della VGM.
Farmacoterapia
Molti pazienti anziani assumono un’ampia
varietà di farmaci, la cui accurata revisione da
parte del medico può valutare le eventuali interazioni farmacologiche una volta iniziata la chemioterapia (43-45).
INTERVENTI
Ci sono 3 tipi di interventi praticabili nei confronti del paziente anziano affetto da tumore:
Terapia del tumore: scopo della terapia antineoplastica nei pazienti fragili è offrire la migliore
qualità di vita possibile. Dove è necessario l’utilizzo di farmaci, essi dovrebbero avere una bassa
incidenza di tossicità ematologica, non essere cardiotossici, essere affatto o scarsamente emetici,
avere un ampio spettro d’azione e proprietà farmacocinetiche tali da poterli utilizzare in pazienti con ridotta riserva di funzionalità renale. La
prevenzione della tossicità prevede la valutazione della condizione di anemia, di un eventuale
stato di malnutrizione e di neutropenia.
Risorse aggiuntive e rete assistenziale: un piano
assistenziale per un anziano fragile prevede la
consulenza di diverse figure professionali, quali il
nutrizionista e il fisiatra. Il coinvolgimento del
medico di medicina generale (MMG) nella stesura del piano di assistenza alla dimissione dall’ospedale è indispensabile per stabilire canali effi-
125
caci di comunicazione fra le figure professionali
coinvolte nell’assistenza. Dovrebbero inoltre essere previste procedure che garantiscano il ricovero
in Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) e, per i
pazienti fragili con problemi più complessi, in
Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA).
Terapia di supporto: la terapia di supporto riveste un ruolo centrale nel trattamento del paziente
fragile, sia nella fase preclinica che nella fase conclamata o avanzata, quando è finalizzata alla palliazione dei sintomi.
CONCLUSIONI
L’invecchiamento della popolazione nei paesi
occidentali impone un’attenzione sempre maggiore per la cura delle neoplasie in età avanzata,
perché sempre maggiore è il numero di pazienti
affetti da tumore ed il tasso di mortalità ad esso
legato.
La prognosi del cancro dell’anziano è notevolmente influenzata dalla precocità della diagnosi.
Da ciò deriva l’importanza di un’accurata pre v e nzione primaria e di una corretta interpretazione
dei segni e sintomi. Nell’anziano i sintomi sono
spesso mascherati dai cambiamenti delle funzioni
fisiologiche dovute alla senescenza e alle fre q u e nti patologie concomitanti. Il ritardo diagnostico è
spesso dovuto sia a fattori legati al paziente che al
medico che lo cura. Gli oncologi che si occupano
di oncologia geriatrica hanno infatti dimostrato
che una buona parte di essi può essere trattata in
modo adeguato con una possibilità di guarigione
analoga a quella dei giovani adulti.
Il concetto di “prendersi cura” del paziente
oncologico nella sua totalità psico-fisica diventa
un imperativo nel paziente anziano, nel quale
accanto alla conoscenza degli aspetti biologici del
tumore (sede di insorgenza, natura, estensione)
occorre avere una approfondita conoscenza delle
caratteristiche proprie del paziente (sesso, stato
civile, livello culturale, stato cognitivo), del contesto socio-familiare-geografico in cui vive ed infine del suo stato di salute o di malattia (quelle non
tumorali), che possono influenzare la sopportazione delle cure oncologiche.
A tale scopo è quindi auspicabile la diffusione
di strutture sanitarie dedicate all’approccio multidisciplinare dell’anziano dove ci sia piena interazione tra le varie branche della medicina.
Relazione presentata al Congresso Interregionale della
S.I.G.Os. Marche-Abruzzo/Molise-Lazio – Macerata
23-24 Ottobre 2009.
126
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
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Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno 127
IL MODELLO DELL’ACCOGLIENZA APPLICATO AL
NURSING DEL PAZIENTE ANZIANO IN OSPEDALE
Rizzello A., Venturi B.*, Poletti M.**, Zappi R.°
Coordinatore Infermieristico, U.O. Geriatria, AUSL di Imola
* Coordinatore Infermieristico, U.O. Lungodegenza Post Acuti, AUSL di Imola
** Infermiera, U.O. Geriatria, AUSL di Imola
° Infermiera, U.O. Geriatria, AUSL di Imola
Riassunto: Obiettivo: Dare una risposta al ben noto stress del ricovero in ospedale. Disegno dello studio e setting:
Nell’ambito di un progetto aziendale rivolto al miglioramento dell’accoglienza del paziente in ospedale, le
UU.OO. di Geriatria e di Lungodegenza Post Acuti hanno sviluppato un proprio progetto trasversale che interessa il percorso dell’anziano dal momento del ricovero alla dimissione. Il progetto prevede: Un momento di accoglienza all’ingresso nell’U.O.; materiale informativo (presentazione del’U.O., degli operatori, delle offerte assistenziali
proprie geriatriche); valutazione multidimensionale infermieristica attraverso l’utilizzo di scale specifiche; pianificazione assistenziale per problemi di nursing geriatrici specifici (lesioni da decubito, disturbi della deglutizione,
mobilizzazione…); creazione di un punto di ascolto infermieristico; gestione della dimissione protetta “accogliente ed informata”.
Parole chiave: accoglienza del paziente anziano in Ospedale, nursing.
Summary: Objective: To address the well-known stress of admission to hospital for elderly patients. Study design and set ting: As part of a health-district-wide project to improve the process of welcoming patients to the hospital, the Geriatrics and
Long-Term Postacute Care Divisions have developed an associated program concerning the elderly patient’s hospital stay from
the moment of admission to discharge. The program consists of: a moment of welcome upon admission to the hospital; provi sion of information (tour of the unit, introduction to personnel, offer of personalized geriatric care); multidimensional nur sing evaluation using specific assessment tools; planning of nursing care to manage particular geriatric needs (dermal lesions;
problems of mobility and deglutination); a place where families may consult with the nursing staff on a regular basis; mana gement of a humane discharge process (open and informed for patients and families).
Key words: welcoming patients to the hospital, nursing.
INTRODUZIONE
Accade di frequente che nella vita di ognuno
di noi, lasciati i panni di normale cittadino e
indossati quelli del “degente”, siano dimenticati
alcuni dei diritti della persona riconosciuti come
fondamentali; quando questo accade ad un
paziente anziano il fatto assume una valenza rilevante.
Il più delle volte il malato si trova a vivere il
periodo del ricovero senza conoscere quale sia il
suo iter dal momento dell’ingresso nella struttura
al momento della dimissione.
I momenti critici dell’ospedalizzazione dell’anziano che provocano stress sono legati fondamentalmente a due aspetti complementari tra di
loro: l’aspetto psicologico e quello fisico.
In questi due diversi momenti hanno particolare rilevanza: la scarsa privacy; la difficoltà ad
adattarsi a persone e ambiente nuovi; la modifica
Indirizzo per la corrispondenza:
Anna Rizzello
U.O. di Geriatria, AUSL
Via Montericco – 40026 Imola (BO)
Tel. 0542662520
E.mail: [email protected]
delle abitudini di vita quotidiana ed inoltre il difficile adattamento rispetto all’evento malattia che
spesso lascia esiti invalidanti.
L’indirizzo del Welfare degli ultimi anni prevede un maggior impegno di risorse umane ed
economiche per l’integrazione ospedale/territorio per facilitare l’assistenza centrata sul paziente,
sollevare i caregivers dal gravoso e prolungato
carico assistenziale e non per ultimo ridurre l’ospedalizzazione con un conseguente risparmio
economico.
DATI DI RIFERIMENTO
Dietro la spinta del processo di Accreditamento in corso, le UU.OO. di Geriatria e Lungodegenza dell’Azienda Ospedaliera di Imola
hanno intrapreso un percorso di miglioramento
della qualità della accoglienza e della degenza.
Da sei anni negli ultimi tre mesi dell’anno, a
tutti i ricoverati al momento della dimissione,
viene consegnato un questionario sulla qualità
della degenza in ospedale.
L’analisi delle risposte pervenute ha fornito
indicazioni rispetto alle aree in cui era possibile
apportare dei miglioramenti:
128
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
– relazioni col personale sanitario;
– chiarezza dell’informazione ricevuta;
– piano assistenziale individualizzato;
– coinvolgimento di pazienti e familiari nel processo assistenziale.
La figura 1 rappresenta l’analisi dei dati relativi al questionario sulla qualità percepita durante il
ricovero e somministrati negli ultimi quattro anni.
Gli items presi in analisi sono relativi a:
– garanzia della privacy;
– qualità e chiarezza delle informazioni;
– gentilezza dei professionisti.
Le opzioni di risposta date dal questionario
sono:
1. per niente o poco soddisfatto;
2. abbastanza o molto soddisfatto.
Nel grafico sono stati riportati i dati relativi
alla risposta “per niente o poco soddisfatto”e analizzato l’andamento nel corso degli anni:
1. La gentilezza dei professionisti: i dati sono
relativi a una media sulla valutazione della
gentilezza del personale sanitario percepita dai
pazienti; si nota come nel corso degli anni sia
cresciuta la percentuale dei pazienti che hanno
avuto la percezione di una minore gentilezza
dei professionisti.
2. Qualità e chiarezza delle informazioni: questo
dato in effetti è in recupero anche se di poco
tale da dare indicazione ai professionisti che
occorre attuare un piano di miglioramento.
3. Garanzia della privacy: dopo un sensibile calo
della percezione in negativo del rispetto della
privacy (da 14,5% a 8,7%), vi è stato un incremento (da 8,7% a 8,9%).
OBIETTIVO DEL PROGETTO
– “Costruire” un nuovo modello di accoglienza
considerando tutto il percorso del ricovero ,
approfondendone l’aspetto dell’umanizzazione
in generale; fornire delle precise indicazioni sull’offerta assistenziale presente in Azienda ( sia
in ospedale che sul territorio), ed inoltre dare un
sostegno al caregiver (informazione ed educazione sanitaria).
Fig. 1
– Sviluppare e migliorare le competenze professionali dell’ approccio olistico nella gestione
dell’anziano fragile.
DESTINATARI
Il progetto è rivolto a tutti gli operatori delle
UU.OO. di Geriatria e Lungodegenza.
DISEGNO DEL PROGETTO
Il progetto di “Modello dell’Accoglienza applicato al Nursing del paziente anziano nel settino ospedaliero” prevede:
Protocollo di Accoglienza:
– presentazione verbale al paziente dell’U.O. con
descrizione ambientale e logistica;
– presentazione delle figure professionali che operano all’interno dell’U.O. e loro competenze;
– l’accertamento dei bisogni assistenziali del
paziente;
– pianificazione assistenziale con l’utilizzo anche
di scale di valutazione multidimensionali previste da Protocolli Aziendali in uso;
– adeguata informazione del PAI programmato e
condivisione col paziente e il suo caregiver.
Consegna di scheda informativa (vedi allegato) contenente:
– descrizione delle attività e degli orari del reparto;
– descrizione delle offerte assistenziali.
Realizzazione di un punto counselling con le
seguenti finalità:
– compito di orientare, sostenere e sviluppare le
potenzialità del paziente e della sua rete sociale;
– raccolta delle informazioni su apposita scheda
che il responsabile utilizzerà per la gestione
“accogliente ed informata del ricovero e della
dimissione.
REALIZZAZIONE E STRUMENTI
Il Protocollo di Accoglienza prevede:
L’infermiere responsabile del settore di pertinenza, si presenta al paziente e ai suoi familiari,
gli assegna il posto letto dopo averne valutato le
condizioni cliniche e psichiche.
Le OSS accompagnano e presentano al Paziente e ai suoi familiari l’unità di degenza facendo
riferimento a:
letto articolato/elettrico
– comodino;
– armadio;
– pulsante di chiamata per il personale;
– tipologia di illuminazione;
– servizio igienico.
Se le condizioni del Paziente sono critiche,
sarà l’Infermiere in collaborazione con l’OSS ad
accompagnare il Paziente all’unità di degenza. La
presentazione della stessa è rinviata dopo la stabi-
Rizzello A., Venturi B., Poletti M., Zappi R. – Il modello dell’accoglienza applicato al…
lizzazione del Paziente.
L’Infermiere consegna e illustra ai familiari la
Scheda Informativa dell’U.O. In collaborazione
con l’OSS informa su:
– ubicazione della guardiola infermieristica e
degli studi medici;
– prenotazione del pasto in base al regime dietetico prescritto dal medico (vedi Procedura Informatizzata interna dell’U.O.);
– ubicazione del soggiorno/sala tv, telefono;
– ubicazione della cappella del presidio. A tal proposito si informa anche che su richiesta è disponibile un frate per l’assistenza spirituale;
– ubicazione del bar e dell’edicola all’interno del
presidio e dei distributori automatici di bevande più vicini all’U.O.
– presenza del volontariato e ubicazione della
loro sede all’interno del presidio.
La scheda informativa prevede (Allegato 1 e 2):
– gli orari di apertura al pubblico dell’U.O.di
Geriatria e Lungodegenza Post Acuti;
– orario della visita medica;
– gli orari di ricevimento dei medici;
– giornate e orari di apertura del Punto di Counselling;
– modalità per poter identificare le varie figure
professionali (Codice Colore);
– le offerte assistenziali dell’U.O.,
– norme comportamentali rivolte ai visitatori.
Il Punto di Counselling. L’infermiere ha tra le
proprie responsabilità professionali quella di dare
informazioni di carattere assistenziale e di condividere con il caregiver il piano di assistenza individuale per ogni paziente; inoltre ha la competenza di fornire educazione sanitaria tutte le volte in
cui è prevista oppure richiesta.
I pazienti che accedono alla nostra U.O. di
Geriatria sono frequentemente grandi anziani
assistiti da caregivers, spesso i propri figli anch’essi già anziani. I caregivers hanno bisogno di continue rassicurazioni sia rispetto alle manovre assistenziali che dovranno svolgere al rientro presso il
proprio domicilio sia ai percossi socio/assistenziali extra-ospedalieri presenti sul territorio.
129
Attualmente le informazioni vengono fornite
spesso in modo frammentario dal personale infermieristico per problemi legati ad un elevato
turnover e alla difficoltà di far proprie le competenza circa i diversi percorsi extraospedalieri.
Inoltre fino ad oggi non vi era un orario dedicato
all’incontro tra l’infermiere e la famiglia.
Per questo motivo nasce l’idea di un Punto di
Counselling gestito dal Coordinatore Infermieristico che, dopo una prima valutazione e in base
alla complessità del caso, provvederà ad una raccolta dati compilando una scheda (vedi allegato 3).
Il compito del counsellor è:
– dare supporto psicologico e concreto nella gestione del paziente a domicilio;
– descrivere le diverse tipologie di dimissioni;
– suggerire le possibili soluzioni riguardo i problemi socio-economici dando i riferimenti opportuni;
– rilevare eventuali segnalazioni che possano
essere utili per migliorare sia il servizio che l’assistenza diretta sui pazienti.
I giorni di apertura sono:
lunedì – mercoledì – venerdì - dalle 9,00 alle 10,00
In assenza del Coordinatore Infermieristico le
informazioni verranno fornite dall’Infermiere che
resta in ogni modo la figura di riferimento per le
informazioni di carattere assistenziale.
Scheda raccolta dati del Punto di Counselling
La scheda nasce per raccogliere tutte le informazioni utile per organizzare una dimissione
protetta “accogliente ed Informata”
I dati richiesti sono:
– anagrafici;
– relativi alla tipologia dell’abitazione;
– presenza o meno di familiari conviventi;
– riconoscimento di invalidità ottenuta o da richiedere;
– utilizzo di ausili a domicilio e loro descrizione;
– necessità di nuovi ausili e loro descrizione;
– servizi sociali presenti o da attivare;
– servizio infermieristico presente o da attivare.
INDICATORI E VERIFICA
INDICATORE
STANDARD
% di pazienti a cui non è stata consegnata la Scheda Informativa/N° pazienti ricoverati
1% di pazienti a cui non è stata
consegnata la scheda
% di Dimissioni Protette non attivate/Totale dei pazienti con difficoltà al rientro al domicilio
5% di dimissioni protette non
attivate
N° delle segnalazioni di disservizi ricevuti al Punto di Counselling
% dei pazienti che sono poco o per niente soddisfatti della gentilezza dei sanitari
<8,1%
% dei pazienti che sono poco o per niente soddisfatti della gentilezza dei sanitari
<25,2%
% dei pazienti che sono poco o per niente soddisfatti della privacy
<8,9%
130
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
FASE DI AVVIO
Nella prima fase è previsto un incontro con l’equipe sanitaria per:
– presentare il progetto;
– condividerne i contenuti e gli strumenti.
Durante la fase sperimentale si definiscono tre
steps:
– il primo a Luglio e prevede un incontro col personale sanitario coinvolto per confrontarsi sulle
eventuali difficoltà organizzative riscontrate
nell’applicazione del progetto;
– il secondo a Settembre dove verranno analizzati i dati di verifica raccolti direttamente dall’equipe sanitaria delle U.U. O.O. di Geriatria e
Lungodegenza Post Acuti;
– il terzo a Gennaio dove verranno analizzati i
dati relativi alla somministrazione del questionario sulla qualità percepita.
TEMPI E MODALITÀ DI ATTUAZIONE
L’applicazione sperimentale è prevista per il
periodo Maggio/Dicembre 2008.
Relazione presentata al XXIII Seminario Nazionale
della S.I.G.Os. – Reggio Emilia, 8-9 Ottobre 2009.
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno 131
VITA AGLI ANNI
a cura di:
Sabatini D.
TEMPO LIBERO E TEMPO LIBERATO
(Riassunto del saggio scritto da Benedetta Trevisani e
pubblicato nel libro “Letture brevi di Gerontologia” di
Domenico Sabatini, al quale si rimanda per il testo ori ginale).
"Una società fondata sul lavoro, pensa solo al
riposo" scriveva Leo Longanesi.
Ma il tempo libero è un’altra cosa. Nell’accezione comune è il tempo non occupato da impegni, in genere doveri, necessità, lavoro, e che si
può liberamente dedicare a se stessi. In un riferimento parallelo al greco e al latino il tempo libero
è stato detto rispettivamente scolé (da cui scuola)
e otium; parole che rimandano ad una concezione
alta del tempo libero, possibilmente vissuto in
una dimensione culturale. Al suo contrario, cioè al
tempo impegnato, è toccato un termine costruito
con una negazione del significato di base: in greco
ascolìa e in latino negotium (nec otium).
D’altra parte l’espressione “tempo libero” fa
riferimento a un contenitore più che a un contenuto, per cui di per sé non può garantire un valore.
In quel contenitore ci va tutto, perché il contenuto
dipende dalla cultura, dall’ambiente, dal carattere, dalle disponibilità economiche e da altro ancora. E il tempo libero, oggi, identifica la condizione
sociale, più ancora che un titolo accademico o un
tipo di lavoro.
(….)
Di maggiore interesse ci sembra l’idea di
“tempo liberato”, che rimanda a una concezione
più impegnativa del tempo perché, se “libero”
(aggettivo) indica una qualità in un certo senso
statica, “liberato” (verbo) indica un’azione. E in
tal senso risulta illuminante Seneca che per esprimere un analogo concetto attinge alla sfera giuridica della lingua latina: “Ita fac, mi Lucili: vindica
te tibi”.
Vindicare significa “rivendicare legalmente il
possesso di qualche cosa, togliendola al proprieta-
rio illegittimo”. Quindi, nell’ambito morale cui si
riferisce, indica una riappropriazione di se stessi
attraverso il recupero e il possesso della propria
interiorità.
(….)
L’uomo moderno dispone di strumenti “liberatori” rispetto alla necessità di profondere tempo
e fatica nelle attività pratiche della vita; e però non
sembra avere accresciuto la capacità di vivere il
tempo libero come tempo liberato, sottratto cioè ai
condizionamenti di ritmi sociali che oggi sono frenetici, dispersivi e ansiogeni, anche nelle pause
del lavoro.
Ma chi sconta maggiormente certe contraddizioni della nostra modernità è l’anziano, troppe
volte costretto a vivere il tempo liberato come
tempo di riposo, cioè vuoto.
Sicuramente importanti sono le mille attività
indirizzate agli anziani alternate tra semplice intrattenimento e promozione culturale. Ma appaiono nel complesso palliativi, perché occasionali, in
certi casi elitari, e il più spesso, come prediceva
Bobbio, in odore di consumismo; impulsi di un
mercato di beni voluttuari, piuttosto che proposte
di una progettualità realmente sensibile alle problematiche della terza età.
E il problema sta proprio in questo: nel restituire una funzione positiva all’anziano che, dopo
aver esaurito i suoi compiti attivi per raggiunti
limiti di età, viene emarginato in quanto improduttivo, oppure - peggio - si esclude da sé.
FONTI
Tempo libero e solitudine su www. geragogia net
ALFONSO TRAINA: Il linguaggio dell’interiorità
in Seneca: l’interiorità come possesso (da Lo stile
“drammatico” del filosofo Seneca), Bologna,
PAtron, 1987.
LUCIO ANNEO SENECA: Epistulae morales (1, 1).
MARCO TULLIO CICERONE: De Senectute.
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Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
GERIATRIA NEL MONDO
a cura di:
Zanatta A.
ASSOCIAZIONE TRA 150 GENI E LO SVILUPPO DI OSTEOPOROSI E DI FRATTURE CORRELATE. UNA META-ANALISI IN COLLABORAZIONE
BRENT RICHARDS J., et al.: Annals of Internal
Medicine 20 Ottobre 2009; Vol. 151 N 8: 581-584.
DISEGNO
L'osteoporosi è una malattia con una forte
componente ereditaria.
Nello sviluppo della massa ossea sono stati
coinvolti 150 geni.
Molte di queste correlazioni non sono state
confermate in studi successivi e indipendenti.
PARTECIPANTI
OBIETTIVI
RISULTATI
Stabilire la correlazione tra BMD (indice di
massa ossea Densitometrico), fratture e poliformismi a singolo nucleotide (SNPs).
La Densitometria, a doppio raggio Rx, è stata
praticata sulle vertebre lombari e sul collo femorale, le fratture considerate sono state quelle vertebrali e extra, non conseguenti a trauma inapparente.
La maggior parte dei geni sospettati non hanno mostrato un consistente rapporto col BMD.
Solo 9 geni sono collegati alla regolazione del
BMD, 4 di questi anche nel rischio di fratture.
L'identificazione dei geni correlati al rischio di
osteoporosi viene altrove considerato, efficacemente, come la punta di un iceberg.
Meta-analisi su larga scala di dati collegati, in
senso lato, al genoma.
Viene basato su 5 studi di popolazione internazionali e multicentrici.
I dati sul BMD sono stati ottenuti su 19.195
partecipanti (14.277 donne), provenienti da 5
popolazioni europee.
I dati sulle fratture provengono da una coorte
prospettica (n= 5.974) olandese.
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
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CALENDARIO CONGRESSI
XXI Congresso Nazionale S.I.G.Os
Emergenze ed urgenze in Geriatria
Verona 21-23 Maggio 2009
Per informazioni:
Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
World Congress Gerontology
Parigi 5-11 Luglio 2009
Per informazioni:
www.iag-er.org
13° Corso di Geriatria
23 Settembre 2009 - 7 Ottobre 2009 - 21 Ottobre 2009
Novembre 2009
Teatro Dante – San Pietro di Legnago
Per informazioni:
Dott. Alfredo Zanatta
Ospedale Civile
Via C. Gianella, 1 – 37045 Legnago (VR)
Tel. 0442632754
XXIII Seminario Nazionale S.I.G.Os.
Update clinico-funzionale in Geriatria
Reggio Emilia 8-9 Ottobre 2009
Hotel Mercure Astoria
Per informazioni:
Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
XII Convegno Nazionale Geriatrico “Dottore
Angelico” Città di Aquino - Città di Cassino
La Geriatria Arte, Scienza e Cuore al servizio
delle criticità dell’anziano
15 Ottobre 2009 • Aquino - Chiesa Madonna della Libera
16-17 Ottobre 2009 • Cassino - Palagio Badiale Corte,
Curia Vescovile
Per informazioni:
Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
Congresso Interregionale
Marche - Abruzzo/Molise - Lazio
Medicina geriatrica, il malato e la famiglia
al centro delle cure
Macerata 23-24 Ottobre 2009
Abbazia Cistercense S. Maria di Chiaravalle di Fiastra
Per informazioni:
Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
54° Congresso SIGG
Salute e benessere dell’anziano: la nostra missione
Firenze 2-5 Dicembre 2009
Palazzo dei Congressi
Per informazioni:
PROMO LEADER SERVICE CONGRESSI
Via della Mattonaia, 17 – 50121 Firenze
Tel. 0552462428 Fax 0552462223
E.mail: [email protected]
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
135
NORME PER GLI AUTORI
La rivista GERIATRIA prende in esame per la pubblicazione articoli contenenti argomenti di geriatria. I
contributi possono essere redatti come editoriali, articoli originali, review, casi clinici, lettere al direttore.
I manoscritti devono essere preparati seguendo rigorosamente le norme per gli Autori pubblicate di seguito, che
sono conformi agli Uniform Requirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Editors editi a cura dell’International Committee of Medical Journal Editors
(Ann Intern Med 1997; 126: 36-47).
Non saranno presi in considerazione gli articoli che non
si uniformano agli standards internazionali.
I lavori in lingua italiana o inglese vanno spediti in triplice copia (comprendente pagina di titolo, riassunto in
inglese, parole chiave in inglese, testo, figure, tabelle,
didascalie, bibliografia) con relativo dischetto a:
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Internazionale
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già stato pubblicato e che, se accettato, non verrà pubblicato altrove né integralmente né in parte.
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Principles for Biomedical Research Involving Animals
raccomandati dalla WHO e richiede che tutte le ricerche su animali siano condotte in conformità ad essi.
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dichiarazione firmata da tutti gli Autori: “I sottoscritti
Autori trasferiscono la proprietà dei diritti di autore
alla rivista Geriatria, nella eventualità che il loro
lavoro sia pubblicato sulla stessa rivista.
Essi dichiarano che l’articolo è originale, non è stato
inviato per la pubblicazione ad altra rivista, e non è
stato già pubblicato.
Essi dichiarano di essere responsabili della ricerca, che
hanno progettato e condotto e di aver partecipato alla
stesura e alla revisione del manoscritto presentato, di
cui approvano i contenuti.
Dichiarano inoltre che la ricerca riportata nel loro lavoro è stata eseguita nel rispetto della Dichiarazione di
Helsinki e dei Principi Internazionali che regolano la
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Gli Autori accettano implicitamente che il lavoro venga
sottoposto all’esame del Comitato di Lettura. In caso di
richiesta di modifiche, la nuova versione corretta deve
essere inviata alla redazione o per posta o per via e-mail
sottolineando ed evidenziando le parti modificate. La
correzione delle bozze di stampa dovrà essere limitata
alla semplice revisione tipografica; eventuali modificazioni del testo saranno addebitate agli Autori. Le bozze
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ritardo, la Redazione della rivista potrà correggere d’ufficio le bozze in base all’originale pervenuto.
I moduli per la richiesta di estratti vengono inviati insieme alle bozze.
Gli articoli scientifici
possono essere redatti nelle seguenti forme:
Editoriale. Su invito del Direttore, deve riguardare un
argomento di grande rilevanza in cui l’Autore esprime
la sua opinione personale. Sono ammesse 10 pagine di
testo dattiloscritto e 50 citazioni bibliografiche.
A rticolo originale. Deve portare un contributo originale
all’argomento trattato. Sono ammesse 14 pagine di testo
dattiloscritto e 80 citazioni bibliografiche. L’articolo
deve essere suddiviso nelle sezioni: introduzione, materiali e metodi, risultati, discussione, conclusioni.
Nell’introduzione sintetizzare chiaramente lo scopo
dello studio. Nella sezione materiali e metodi descrivere in sequenza logica come è stato impostato e portato
avanti lo studio, come sono stati analizzati i dati (quale
ipotesi è stata testata, tipo di indagine condotta, come è
stata fatta la randomizzazione, come sono stati reclutati e scelti i soggetti, fornire dettagli accurati sulle caratteristiche essenziali del trattamento, sui materiali utilizzati, sui dosaggi di farmaci, sulle apparecchiature non
comuni, sul metodo stilistico...). Nella sezione dei risultati dare le risposte alle domande poste nell’introduzione. I risultati devono essere presentati in modo
completo, chiaro, conciso eventualmente correlati di
figure, grafici e tabelle.
Nella sezione discussione riassumere i risultati principali, analizzare criticamente i metodi utilizzati, confrontare i risultati ottenuti con gli altri dati della letteratura, discutere le implicazioni dei risultati.
Review. Deve trattare un argomento di attualità ed
interesse, presentare lo stato delle conoscenze sull’argomento, analizzare le differenti opinioni sul problema
136
Geriatria 2009 Vol. XXI; n. 3 Maggio/Giugno
trattato, essere aggiornato con gli ultimi dati della letteratura. Sono ammesse 25 pagine di testo dattiloscritto e 100 citazioni bibliografiche.
Caso Clinico. Descrizioni di casi clinici di particolare
interesse, Sono ammesse 8 pagine di testo e 30 citazioni bibliografiche. L’articolo deve essere suddiviso nelle sezioni: introduzione, caso clinico, discussione, conclusioni.
Preparazione dei lavori
I lavori inviati devono essere dattiloscritti con spazio due, su una sola facciata (circa 28 righe per pagina)
e con margini laterali di circa 3 cm. Gli Autori devono
inviare 3 copie complete del lavoro (un originale e due
fotocopie) e conservare una copia dal momento che i
dattiloscritti non verranno restituiti. Le pagine vanno
numerate progressivamente: la pagina 1 deve contenere il titolo del lavoro; nome e cognome degli Autori; l’istituzione ove il lavoro è stato eseguito; nome, indirizzo completo di C.A.P. e telefono dell’Autore al quale
dovrà essere inviata ogni corrispondenza.
Nella pagina 2 e seguenti devono comparire un riassunto e le parole chiave in inglese; il riassunto deve
essere al massimo di 150 parole.
Nelle pagine successive il testo del manoscritto
dovrà essere così suddiviso:
Intro d u z i o n e, breve ma esauriente nel giustificare
lo scopo del lavoro.
Materiali e metodi di studio: qualora questi ultimi
risultino nuovi o poco noti vanno descritti detta-gliatamente.
Risultati.
Discussione.
Conclusioni.
Bibliografia: le voci bibliografiche vanno elencate e
numerate nell’ordine in cui compaiono nel testo e compilate nel seguente modo: cognome e iniziali dei nomi
degli Autori in maiuscolo, titolo completo del lavoro in
lingua originale, nome abbreviato della Rivista come
riportato nell’Index Medicus, anno, numero del volume,
pagina iniziale e finale. Dei libri citati si deve indicare
cognome e iniziali del nome dell’Autore (o degli A utori), titolo per esteso, nome e città dell’editore, anno,
volume, pagina iniziale e finale.
Ta b e l l e: vanno dattiloscritte su fogli separati e
devono essere contraddistinte da un numero arabo (con
riferimento dello stesso nel testo), un titolo breve ed una chiara e concisa didascalia.
Didascalie delle illustrazioni: devono essere preparate su fogli separati e numerate con numeri arabi
corrispondenti alle figure cui si riferiscono; devono
contenere anche la spiegazione di eventuali simboli,
frecce, numeri o lettere che identificano parti delle illustrazioni stesse.
Illustrazioni: tutte le illustrazioni devono recar
scritto sul retro, il numero arabo con cui vengono menzionate nel testo, il cognome del primo Autore ed una
freccia indicante la parte alta della figura.
I disegni ed i grafici devono essere eseguiti in nero
su fondo bianco o stampati su carta lucida ed avere una
base minima di 11 cm per un’altezza massima di 16 cm.
Le fotografie devono essere nitide e ben contrastate.
Le illustrazioni non idonee alla pubblicazione saranno rifatte a cura dell’Editore e le spese sostenute saranno a carico dell’Autore.
I lavori accettati per la pubblicazione diventano di
proprietà esclusiva della Casa editrice della Rivista e
non potranno essere pubblicati altrove senza il permesso scritto dell’Editore.
I lavori vengono accettati alla condizione che non
siano stati precedentemente pubblicati.
Gli Autori dovranno indicare sull’apposita scheda,
che sarà loro inviata insieme alle bozze da correggere,
il numero degli estratti che intendono ricevere e ciò
avrà valore di contratto vincolante agli effetti di legge.
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sotto la responsabilità degli Autori.
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