Racconto dell`esperienza vissuta durante il corso FFA-M2

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Racconto dell`esperienza vissuta durante il corso FFA-M2
FRANCESCA VIVIAN SALATINO
Racconto dell’eseprienza vissuta durante il corso FFA-M2: “Accompaganre
processi di formazione in gruppo”
È stato come intraprendere un viaggio, quel tipo di viaggio dove appena si rientra a casa si ha la
sensazione di non essere completamente tornati, come se ci si trovasse in un altro pianeta. Io mi
sentivo come se fossi in un altro pianeta.
Ma facciamo qualche passo indietro e torniamo all’inizio di questa esperienza. Mi stavo recando
ad un corso di tipo residenziale. Per entrare al meglio nel clima del corso stesso ho scelto di
pernottare nell’albergo stabilito anche la notte precedente l’inizio della formazione. Con me c’era
anche Lorena, amica conosciuta ad un precedente corso di formazione. Già l’ubicazione
dell’hotel, dentro una valle, contribuisce a questa sensazione di estraniamento dalla vita reale. Al
nostro arrivo, l’albergo era completamente buio salvo una luce proveniente da una stanza
illuminata. Alla porta d’ingresso c’era un cartello con scritto “Mercoledì chiuso”. Ahimè, era
proprio mercoledì. Temevamo che il titolare dell’albergo si fosse dimenticato della nostra
prenotazione. Decisi di telefonargli. Fortunatamente si ricordava di noi ed è sceso ad aprirci la
porta d’ingresso. Per la cena abbiamo dovuto andare altrove, perché di mercoledì l’albergo è
appunto chiuso.
L’indomani, dopo la colazione, prima dell’orario di ritrovo sono andata nel terrazzo della mia
camera, da dove vedevo arrivare man mano in miei compagni di corso, parcheggiare l’auto e
trascinare le loro valigie. Notai con curiosità che qualcuno aveva delle valigie davvero piccole per
un soggiorno di 3 notti, altri invece avevano delle valigie che mi parevano adatte piuttosto ad una
vacanza di 2 settimane.
Il primo incontro era previsto all’ingresso dell’albergo, dove i partecipanti al corso avrebbero
avuto l’occasione di fare una prima conoscenza. Una tazza di buon tè è stata il pretesto per
avere il primo contatto con una compagna che non fosse la mia amica Lorena.
Giunti in aula, finalmente cominciava il corso stesso.
Per presentarci, abbiamo iniziato scegliendo ciascuno un’immagine (tra quelle messe a
disposizione dai formatori) che desse il senso del gruppo, per poi commentarla ai compagni. Tra
le immagini messe a disposizione, ciascuna conteneva una o più mani. Scelsi l’immagine di una
mano che suona uno strumento a corda. Per me un gruppo può essere visto come un insieme di
corde che, messe insieme, formano uno strumento musicale. Lo strumento ha uno scopo:
produrre note musicali, fare musica. Se lo strumento non è accordato bene, se anche solo una
corda non è accordata, ecco che ne esce una musica imperfetta, anche se suonata dal miglior
musicista. Allo stesso modo occorre una mano (un leader) capace di suonare questo strumento.
Quindi in un gruppo può esserci armonia o disarmonia.
Si tratta di un modo molto insolito di iniziare un corso: generalmente si fa il classico (e
noiosissimo) “giro dei banchi” nel quale ciascuno dice il proprio nome, il luogo di abitazione e la
materia che insegna. Al termine del giro, immancabilmente ci si ricorda a malapena la metà dei
nomi dei compagni. Delle altre informazioni solitamente non si ricorda quasi nulla.
Ho trovato molto interessante scoprire le immagini scelte dai miei compagni e ascoltare le
motivazioni della loro scelta. È stato un modo per conoscere qualcosa di più di ciascuno di noi
che non fosse soltanto il nome.
Al termine di questa prima parte ho avuto la sensazione che forse quello era un gruppo nel quale
mi sarei integrata e che probabilmente la convivenza con quelle persone per 4 giorni avrebbe
funzionato. Più tardi mi convinsi che non mi sbagliavo.
Nel pomeriggio abbiamo svolto un’attività che mi preoccupava fin dalla mattina: ci siamo messi
tutti in cerchio, seduti, e ciascuno di noi ha raccontato un aneddoto della propria vita che
descrivesse sé stesso nel gruppo. Intanto venivamo filmati da una telecamera.
Nella comunicazione c’è sempre un valore di messaggio e un valore di comunicazione.
Durante i racconti che abbiamo descritto mentre venivamo filmati, sono emerse alcune metafore,
ad esempio quella della crescita: una signora che insegna a fare il pane ha raccontato del
rapporto che ha con il suo lievito; un operatore sociale appassionato di botanica ha raccontato
del rapporto che ha con le sue piante.
Durante il racconto di alcuni miei compagni riuscivo a vedere come in un filmato quanto mi
raccontavano. Ad esempio ricordo di avere immaginato come era fatto il terrazzo di Guglielmo
(l’appassionato di botanica). Riuscivo perfino a vederlo mentre annaffiava le sue piante.
Durante il racconto di Federica riuscivo a vederla mentre dirigeva come un direttore d’orchestra il
coro composto dai componenti della sua famiglia.
Di sera avevo l’abitudine di parlare un po’ con Lorena. Poi, prima di andare a letto, stavo un po’
nel terrazzo della mia camera a guardare il paesaggio al buio. Sapevo che gli altri si ritrovavano
nella stanza di un nostro compagno dove bevevano e “facevano festa” fino a tardi. Ma di sera io
sentivo invece il bisogno di stare un po’ tranquilla, da sola. Mentre ero in terrazzo mi sentivo
come se fossi sulla Luna e stessi guardando la Terra, dove c’è la vita reale.
Al termine del corso i formatori ci hanno consegnato un foglio nel quale è raffigurato un noto
dipinto di Magritte che ci era stato mostrato all’inizio del corso. L’immagine è accompagnata da
una frase di Paul Valéry che dice: “Bisogna essere leggeri come gli uccelli, non come le piume”.
A dire la verità, giunta a casa dopo questo corso io mi sentivo leggera come un’astronauta. Già
durante il tragitto in macchina verso casa sentivo qualcosa di strano in me. Ero stata 4 giorni e 4
notti dentro quell’albergo senza mai uscire, salvo qualche boccata d’aria nel cortile dell’albergo
stesso e una breve passeggiata serale (al buio) lì nei paraggi. Avevo vissuto per tutto quel tempo
le dinamiche di quel gruppo. Mi trovavo poi in macchina, verso casa, e guardavo il paesaggio
fuori, vedevo la gente…
Arrivata a casa trovai una festa: era il compleanno di mio figlio. I miei bambini mi corsero
incontro. La mia casa era piena di parenti. La tavola era colma di pasticcini, bibite e una torta con
3 candeline. La sala straripava di regali. Rientravo nella mia vita di tutti i giorni. L’esperienza del
corso residenziale in Vallemaggia era terminata. Ero felice di essere a casa mia, di riabbracciare i
miei bambini, ma c’era qualcosa dentro di me che non so spiegare: mi sentivo come se fossi
ancora sulla Luna.