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PANTONE 300 CVC
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Manifattura e digitale: nuovo fenomeno
di cambiamento radicale e continuo
di Luca Bonasea*
Anche quest’anno - come BNL Gruppo BNP Paribas insieme alla nostra controllata Artigiancassa,
banca dedicata agli artigiani e alle piccole imprese - siamo tra i promotori dell’analisi di un fenomeno
che sta cambiando il tessuto produttivo, economico e sociale delle nostre grandi città. E lo sta facendo
in modo sempre più profondo.
Come per la scorsa edizione siamo partner di “Make in Italy Foundation” e “Maker Faire Rome European edition 4.0” e, grazie al solido impianto di ricerca del Censis, abbiamo esplorato le dinamiche
che stanno trasformando i tessuti sociali ed economici urbani, già passati per la profonda mutazione
da “città fabbrica” degli anni ’70 a “città dei servizi e del terziario”, in una nuova forma di manifattura
urbana, in cui servizi e produzione perdono i propri confini perché guidati da tecnologia e design.
Parliamo del fenomeno della manifattura digitale che nelle sue diverse forme – incubatori d’impresa,
spinoff che nascono dai centri di ricerca delle università, start up e fab lab – sta compensando gli spazi
economici, fisici e occupazionali lasciati, a valle della “grande crisi nata nel 2008”, dal terziario e dal
commercio di prossimità. E’ un tipo di manifattura nuova , fortemente specializzata, lean nei costi e
nelle infrastrutture, , centrata sull’innovazione tecnologica costante e sul processo di design e di prototipazione. Una manifattura che ha tagliato i tempi, rapida ed interconnessa in rete con fornitori,
distributori e clienti, parti della stessa comunità. Un nuovo fenomeno, un cambiamento radicale e
continuo.
BNL è parte di un gruppo, BNP Paribas, che fa del cambiamento uno dei suoi asset primari: siamo “la
banca per un mondo che cambia”. La nostra presenza, come azienda ultracentenaria che ha accompagnato e accompagna lo sviluppo dell’economia e della produzione, attenta al tessuto sociale, ha le sue
radici nella nostra stessa storia a supporto delle prime cooperative all’inizio dello secolo scorso. E, pur
consapevoli di tutte le differenze, oggi ci ritroviamo in una profonda trasformazione “digital driven”
del settore bancario come delle più diverse industry, che dà forma a nuovi processi, a una nuova organizzazione, a nuovi modelli di servizio, in un mondo che, mai come oggi, è iperconnesso e “liquido”.
In un contesto che si modifica rapidamente, le banche, come ogni altra impresa, operano e crescono
se connesse all’ecosistema territoriale grazie ad una conversazione aperta e fondata sulla fiducia, sulla
trasparenza e sulla conoscenza del business dei propri clienti.
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Secondo rapporto Make in Italy
Tra l’altro, parlando di evoluzione del contesto produttivo “urbano”, c’è un ulteriore elemento di interesse che riguarda BNL. La nostra Banca, pur avendo una presenza nazionale, concentra una parte
significativa dei propri sportelli nelle città. Grazie, quindi, alla prossimità geografica di BNL e alla forza
di un grande gruppo internazionale come BNP Paribas, possiamo contribuire in modo significativo
allo sviluppo di quegli “ecosistemi abilitanti” che sono alla base della crescita della nuova manifattura
urbana.
Per questo siamo presenti in contesti, come Maker Faire, dove l’innovazione significa fare, creare, produrre, convinti della centralità del manifatturiero, della transizione verso il 4.0 e del ruolo che possono
svolgere le banche in tutto questo.
*Luca Bonasea
Responsabile Retail Banking BNL Gruppo BNP Paribas
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
La rinascita del Manifatturiero in Italia
è ormai una realtà
di Stefano Venturi*
Ho voluto contribuire alla realizzazione di questa ricerca, come Hewlett Packard Enterprise, perché
credo fortemente che lo sviluppo del manifatturiero continui a rappresentare un elemento strategico
per l’Italia e costituisca un’importante opportunità di crescita grazie anche al “Piano Industria 4.0”
recentemente presentato dal MiSE, che fino al 2020 disegna le priorità per la manifattura avanzata,
la ricerca e l’innovazione incentivando il rilancio del nostro Paese e il recupero della competitività nel
contesto internazionale.
I risultati emersi dalla ricerca infondono ottimismo in quanto evidenziano come l’Italia possa riprendere un percorso di crescita robusto e continuativo ma per poter essere protagonista di questo sviluppo
occorre imprimere uno slancio eccezionale ad alcune aree del Paese, in modo che possano fungere da
traino e dare impulso all’intero territorio. In questo contesto sicuramente le aree metropolitane, con
la cosiddetta “manifattura urbana” emersa dalla ricerca, possono rappresentare un potente motore di
sviluppo.
Milano ad esempio, con la sua area metropolitana di circa 60Km quadrati, concentra il 25% dell’export
e della manifattura italiana, rappresentando un luogo straordinario in cui si incrociano capitale economico, capitale scientifico, capitale estetico e soprattutto capitale sociale, dando così vita ad un intreccio
di reciproca e produttiva contaminazione.
Nonostante il periodo di recessione da cui sta uscendo la nostra economia, credo siano già evidenti
i segnali di una rinascita del manifatturiero e questa ricerca lo dimostra ampiamente: basti pensare
che gli imprenditori della Lombardia sono tra i primi a far parte di una KIC (Knowledge Innovation
Community), un network europeo sulla Manifattura Avanzata, una partnership per gli imprenditori di
domani che unisce imprese, centri di ricerca e università al fine di promuovere l’innovazione in Europa
e la creazione di crescita ed occupazione al tempo stesso.
La ricerca inoltre ha dimostrato come la “manifattura urbana”, anche attraverso figure imprenditoriali
e manageriali con competenze digitali, costituisca un network favorevole alla produzione di idee e
contenuti nuovi, favorisca la proliferazione di “start-up” che nascono dall’incontro fra settori con competenze diverse che sono presenti nelle città.
Un altro aspetto che mi preme sottolineare e commentare dei risultati di questa ricerca è il notevole
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LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
l’aumento del numero di imprenditori e manager formati sul campo per affrontare la sfida della manifattura 4.0,che come già detto si è rivelata essere una “manifattura urbana” e che diviene un contesto
sempre più ricco di risorse umane qualificate, aggiornate e specializzate nei più diversi ambiti di interesse, nonché territorio di ricerca e formazione.
Tutti questi segnali positivi sono in grado di garantire una forte apertura alla dimensione internazionale e possono facilitare lo sviluppo ed il consolidamento di un nuovo ciclo produttivo urbano, con
caratteristiche del tutto diverse dal passato, fatto anche di autoimprenditorialità e micro imprese legate
alle nuove tecnologie.
Auspico quindi in un futuro prossimo di assistere ad un consolidamento ed ulteriore sviluppo di una
“manifattura urbana” radicata nella città, che svolga le proprie mansioni e i propri ruoli per creare più
occupazione e sviluppo, contribuendo a dare nuovo impulso all’intero contesto industriale dell’Italia.
* Stefano Venturi
Corporate Vice President
e Amministratore Delegato Hewlett Packard Enteprise Italia
Dallo smontaggio della città-fabbrica
alla nuova manifattura urbana
Roma, Ottobre 2016
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LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
INDICE DEL RAPPORTO INTEGRALE
Premessa13
1.
Introduzione14
1.1. Il “ritorno” della manifattura14
1.2. La manifattura come esperienza urbana14
2.
La centralità della manifattura per l’economia italiana16
2.1. La consistenza, le dinamiche, il ruolo di traino per l’export 16
2.2. L’innovazione tecnologica e nuova manifattura19
2.3. La manifattura artigianale: le opportunità della digitalizzazione24
2.4. Industria 4.0: lo stato dell’arte28
3.
Come è cambiato il rapporto città-industria, come è cambiata la manifattura29
3.1. I diversi cicli dello svuotamento produttivo delle città29
3.2. I caratteri generali della nuova manifattura32
3.3. Segnali e significati della risorgenza della manifattura urbana33
3.4. I potenziali effetti rigenerativi sulle città34
4.
Consistenza, vitalità e concentrazione delle imprese manifatturiere urbane35
4.1. La consistenza manifatturiera delle città italiane35
4.2. La crescita relativa (nel calo generalizzato)
delle nuove imprese manifatturiere nelle città italiane36
4.3. Imprenditorialità manifatturiera urbana: il posizionamento delle città italiane
39
4.3.1. Il posizionamentodelle città letto attraverso tre differenti indici39
4.3.2. Indice di vocazione manifatturiera40
4.3.3. Indice di vitalità manifatturiera40
4.3.4. Indice di concentrazione manifatturiera40
4.3.5. Il posizionamento delle grandi città italiane nel ranking manifatturiero 41
5.
Micro-imprese innovative, artigiani 2.0,
luoghi di generazione dell’imprenditoria industriale urbana42
5.1. L’andamento delle startup innovative per settori e aree geografiche42
5.2. Le startup innovative del settore manifatturiero nelle grandi città italiane 44
5.3. Il fenomeno dei fablab nelle città italiane: consistenza e dinamiche recenti 45
5.4. L’imprenditorialità che nasce dalla ricerca: il caso degli spin-off universitari
49
5.5. I luoghi di incubazione delle nuove imprese51
5.6. Il posizionamento delle grandi città italiane rispetto ai fenomeni
che attestano la presenza di ecosistemi innovativi abilitanti52
6.
Roma e il Lazio, l’importanza di scommettere su una nuova manifattura
55
6.1. Il quadro macroeconomico55
6.2. Segnali di futuro57
6.3. Roma: le potenzialità di rilancio legate alla manifattura urbana58
6.4. Una politica di reindustrializzazione basata sull’innovazione60
ALLEGATO: tavole di consistenza, vocazione, vitalita’
e concentrazione urbana del settore manifatturiero
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Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Premessa
La ricerca, realizzata dal Censis su incarico della Fondazione Make in Italy, si pone l’obiettivo di misurare la consistenza e le caratteristiche attuali della “manifattura urbana”, considerando con ciò le
attività produttive manifatturiere realizzate all’interno del perimetro delle città italiane. Uno specifico
approfondimento – realizzato con il sostegno di Innova Camera – viene rivolto all’analisi della dimensione manifatturiera del Lazio e della Capitale in particolare.
La ricerca ha un impianto di carattere desk che viene però integrato con alcune specifiche rilevazioni
di campo e con alcuni approfondimenti di natura qualitativa.
Il rapporto si apre con una breve ricostruzione dell’andamento del settore manifatturiero negli ultimi
anni. In particolare ne vengono descritti la consistenza, le dinamiche, il ruolo di traino per l’export
nazionale. Si fa inoltre il punto sull’innovazione tecnologica che sta caratterizzando il settore e sui programmi pubblici per sostenerla.
La ricerca è stata realizzata da un gruppo di lavoro del Censis
diretto da Marco Baldi e Stefano Sampaolo,
con la collaborazione di Andrea Amico e Laura Aglio (reportistica),
Vera Rizzotto (costruzione indici sintetici e ranking),
Lorenzo Barbanera (supporto alle elaborazioni statistiche).
A seguire si presenta una riflessione su come si è evoluto nel tempo il rapporto tra le grandi città italiane e la produzione industriale cercando di descrivere le potenzialità oggi in essere – per ragioni di tipo
economico e sociale – della manifattura urbana.
Il cuore del lavoro è rappresentato dal tentativo di evidenziare, a partire dai più recenti dati disponibili,
la crescita relativa, stante il calo generalizzato di attività imprenditoriali, delle attività manifatturiere
nelle città italiane. Oltre al quadro aggregato, viene presentata una nuova mappatura delle città capoluogo con riferimento a vocazione e vitalità delle attività manifatturiere.
Segue un capitolo relativo ai fenomeni più innovativi che, anche se solo in chiave prospettiva, illustrano le potenzialità del nuovo artigianato digitale. Viene rappresentato l’andamento delle start-up innovative e l’incidenza, in questo aggregato, delle micro-imprese afferenti al settore manifatturiero. Grazie
ai dati raccolti con un censimento quali-quantitativo, si ricostruisce il quadro aggiornato dei Fablab
italiani. Infine, si delinea il quadro degli incubatori d’impresa e degli spin-off universitari. L’analisi di
questi materiali alla dimensione urbana, consente di posizionare le principali città italiane rispetto alla
più o meno marcata attitudine ad ospitare e incoraggiare queste fenomenologie innovative.
L’ultimo capitolo costituisce una sorta di piccolo “carotaggio” sui dati del Lazio e della Capitale, cercando di individuare le potenzialità della manifattura nella città che ospita la fiera dei makers e che
è alla continua ricerca di nuovi ruoli produttivi da associare a quelli ormai consolidati nel campo del
terziario pubblico, del turismo e della cultura. In allegato si riporta un approfondimento qualitativo
realizzato attraverso “storie di impresa” dove emergono i tratti salienti e paradigmatici delle nuove
esperienze di manifattura urbana.
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Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
1. Introduzione
infatti dei vantaggi peculiari laddove è richiesto un contesto:
1.1.
Il “ritorno” della manifattura
- favorevole alla produzione di idee e contenuti nuovi, che nascono dall’incontro tra settori e
competenze diverse, incontro che è facilitato dalla elevata densità ed eterogeneità di relazioni e
di soggetti presenti in città;
L’Industrial compact di Bruxelles, finalizzato al rilancio dell’economia europea, prevede di portare
l’incidenza sul Pil della manifattura dal 14% attuale al 20% nel 2020. Per il perseguimento di questo
obiettivo destina risorse finanziarie consistenti in settori industriali tanto importanti quanto parzialmente dimenticati a fronte della crescita di interesse per le attività terziarie più evolute. In Europa,
dunque, si torna a parlare di cantieristica, di automotive, di produzioni meccaniche e, naturalmente,
di tutti quei settori che possono crescere al loro seguito.
- capace di intercettare e interpretare in senso progettuale le tendenze di cambiamento della società e quindi di anticipare l’evoluzione della domanda di prodotti in un contesto in cui questi
al loro interno sempre più incorporano una dimensione di servizio;
Guardando oltre oceano, e in particolare agli USA, la volontà di riscatto del manifatturiero è ugualmente presente. Qualche anno fa l’amministrazione Obama ha introdotto incentivi per il rilancio della manifattura statunitense (formazione, competitività, fisco, protezione dalla concorrenza reale) che
hanno in effetti arrestato la caduta che era in atto da molti anni, ma che aveva subito una pericolosa
accelerazione durante gli anni della crisi.
- in grado di garantire una forte apertura alla dimensione internazionale.
Per quanto concerne l’Italia, siamo ancora il 2° paese industriale in Europa, anche se certamente i
sette anni di crisi economica hanno ridotto il perimetro manifatturiero del Paese. Si è però arrestato
il prepotente processo di esternalizzazione di attività produttive alla ricerca di mercati del lavoro più
favorevoli, ed altri elementi entrano in gioco nel trattenere le aziende nei luoghi di insediamento (e in
alcuni casi a tornarci come attesta la crescita dei fenomeni di back reshoring).
- ricco di risorse umane qualificate, aggiornate e specializzate nei più diversi campi di interesse e
di luoghi deputati alla ricerca e all’alta formazione;
Si tratta di vantaggi che le città debbono mettere a frutto e che possono facilitare lo sviluppo ed il
consolidamento di un nuovo ciclo produttivo urbano, con caratteristiche del tutto diverse dal passato,
fatto anche di autoimprenditorialità e micro imprese legate alle nuove tecnologie.
In sostanza una manifattura “urbana” del futuro ma radicata nella città, che, può fare la sua parte per
creare sviluppo e occupazione ma anche per contribuire a rigenerare parti del contesto urbano.
Il primo di questi attiene alla possibilità di connotare i prodotti con un brand territoriale favorevole. Questo vale soprattutto per l’industria del Made in Italy, in ossequio al principio che non si può
vendere qualcosa che si caratterizza per la sua intrinseca qualità producendolo in un contesto brutto o
insignificante.
Il secondo elemento è riferibile al fatto che le tecnologie oggi disponibili consentono di abbattere
l’impatto ambientale della gran parte delle produzioni industriali. “Produrre pulito” è fondamentale
per continuare a produrre in contesti, come quelli italiani, fortemente e capillarmente antropizzati. E
inoltre è un modo per aggiungere qualità ed appeal ai prodotti.
Un terzo elemento attiene alla nostra “cultura manifatturiera” (industriale e artigianale), ancora molto
radicata in alcune aree del Paese (e in fase di iniziale recupero in altre che l’avevano dimenticata). Una
cultura che da più parti si considera importante rilanciare, agendo soprattutto sul mondo della formazione tecnico-scientifica sia a livello universitario che professionale.
Infine, ancora in fase iniziale ma sicuramente molto promettente, il concetto di “fabbrica digitale”, che
comincia ad affermarsi, trova diverse interpretazioni più o meno evolute, ma sicuramente rappresenta
il futuro della produzione manifatturiera italiana.
1.2 La manifattura come esperienza urbana
A fronte dei caratteri della nuova manifattura descritti sopra, il rapporto tra produzione e città, intesa
come luogo denso di abitanti, attività e flussi, sta conoscendo una fase nuova.
A rimettere in gioco la città come luogo (anche) di produzione è il fatto che l’ambiente urbano offre
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Secondo rapporto Make in Italy
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2. La centralità della manifattura per l’economia italiana
L’ultimo dei tre punti richiamati, è declinabile in almeno tre dimensioni strategiche: quella di traino
per le altre branche dell’economia nazionale, quella di principale driver dell’innovazione tecnologica
delle imprese, quella di principale supporto alla bilancia nazionale dei pagamenti. Più nel dettaglio il
manifatturiero italiano:
2.1
La consistenza, le dinamiche, il ruolo di traino per l’export
Come esce dalla crisi la manifattura italiana? Certamente ridimensionata dal punto di vista soggettuale. Tra il 2009 e il primo semestre del 2016 l’industria manifatturiera italiana ha perso 54.992
imprese, corrispondenti al 9,2% del totale. Una dinamica negativa più accentuata di quella relativa
all’intera economia italiana dove la contrazione di soggetti imprenditoriali è risultata inferiore al 2,5%.
Naturalmente si è ridotta anche l’incidenza delle imprese manifatturiere sul totale delle imprese: erano
il 10,5% nel 2009 e sono scese al 9,7% nel 2016. Una perdita significativa, che sicuramente ha incorporato una riduzione consistente della capacità produttiva, di generazione del reddito e, soprattutto,
di assorbimento della forza lavoro (tab.1). A quest’ultimo riguardo, il quadro che si ricava dai dati
Istat sulle forze di lavoro presenta una contrazione di occupati nel manifatturiero particolarmente significativa nell’intervallo temporale 2009-2015 (-9,3%) e molto superiore a quella registrata a livello
dell’intero sistema economico (-1%) (tab.2).
Guardando al valore aggiunto generato nell’intervallo 2008-2013 (ossia negli anni più duri della crisi)
si registra una riduzione particolarmente consiste per il manifatturiero (-13,5%), corrispondente a circa 30,4 miliardi di euro in valori correnti. Al riguardo occorre considerare che, nello stesso intervallo
di tempo, l’economia italiana nel suo complesso ha visto una contrazione del valore aggiunto prodotto
del 7% (tab.3).
In base ai dati Eurostat il contributo al Pil del settore manifatturiero italiano è oggi del 14,2%, sostanzialmente in linea con il dato medio dell’area euro (14,6%). In termini di occupazione la manifattura
italiana vale invece il 15,8% del totale degli occupati.
A fronte di un quadro generale a tinte decisamente fosche, è però opportuno introdurre alcune considerazioni che rimarcano il perdurante carattere strategico della produzione manifatturiera nazionale:
· si colloca al centro degli scambi intersettoriali assorbendo e trasformando i prodotti agricoli,
rappresentando un importante soggetto di domanda per diverse tipologie di servizi (logistica,
finanza, commercio, telecomunicazioni, ecc.) e attivando investimenti nel settore delle costruzioni;
· applica elementi di innovazione continua ai suoi processi produttivi per rimanere competitivo
nello scenario globale. Sul totale della spesa delle imprese italiane per ricerca e sviluppo, l’incidenza del manifatturiero è del 72,1% (Eurostat 2013);
· contribuisce in misura preponderante all’export nazionale di beni, che vale complessivamente
413,9 milioni di euro (al 10° posto tra i Paesi del Mondo con il 2,8% del totale globale, con
una crescita media annua tra il 2011 e il 2015 del 4,3% e con un saldo positivo tra esportazioni
e importazioni nel 2015 di 93,6 miliardi di euro).
Guardando poi alla congiuntura recente, si vedono segnali di miglioramento anche sotto il profilo del
numero di soggetti coinvolti. Si segnala, in particolare, che nel 2015 si sono iscritte ai registri camerali
17.465 imprese (+2,3% rispetto al 2014) e che nel 1° semestre del 2016 le iscrizioni hanno toccato le
9.883 unità. Altro segnale positivo riguarda le cessazioni, che stanno diminuendo anno dopo anno:
nel 2013 hanno interrotto l’attività 31.177 imprese manifatturiere mentre nel 2015 a chiudere i battenti sono state 27.796 aziende. Certamente il saldo rimane negativo ma tende a ridursi sempre più nel
tempo. A ciò si aggiunga che le imprese iscritte nel 2015 dispongono di 53.699 addetti (in aumento
rispetto all’anno precedente) e che il numero medio di addetti nelle nuove imprese tende ad aumentare dal 2013 ad oggi (da 1,8 a 3,1). Ovviamente si tratta di dati congiunturali, che possono variare in
maniera anche significativa di anno in anno, tuttavia segnalano un primo e non trascurabile punto di
flesso.
· in primo luogo occorre considerare che è verosimile che durante gli anni della crisi siano uscite
dal mercato soprattutto le aziende più deboli, meno pronte a raccogliere le sfide dell’innovazione e della internazionalizzazione, determinando in questo modo un innalzamento delle
performance medie delle imprese attive nel loro complesso;
· si consideri poi che l’incidenza della produzione manifatturiera nazionale sul Pil colloca comunque l’Italia al secondo posto in Europa dopo la Germania;
· in terzo luogo, è opportuno rimarcare che la mera considerazione del peso del manifatturiero
sul Pil complessivo del Paese non fa giustizia del carattere strategico della nostra industria di
trasformazione rispetto all’intera economia nazionale.
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LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Tab. 1 - La demografia del sistema d’impresa manifatturiera, anni 2009-2015 - I semestre 2016 (v.a., val.%, var.% e differenze)
Tab. 3 - Valore aggiunto (*) per settori di attività, anno 2013 (v.a. milioni di euro correnti, var.% reale)
2009
2013
2014
2015
17.988
17.068
31.177
28.430
Imprese
21.443
iscritte (v.a.)
Imprese
cessate (2) 35.540
(v.a.)
Saldo
tra
iscritte
e
-14.097
cessate (2)
(v.a.)
Var.% (1)
I semestre
2 0 0 9 - 2 0 1 3 - 2 0 1 4 - 2016
2015
2015
2015
17.465
-18,6
-2,9
2,3
9.883
27.796
-21,8
-10,8
-2,2
15.730
Totale attività economi- Agricoltura
che
Territorio
Nordest
Centro
Sud e
Isole
Industria
Industria in
senso stretto
di cui
manifatturiero
Costruzioni
Servizi
326.293
8.731
93.237
76.056
68.415
17.181
224.324
315.521
5.312
64.374
49.395
38.011
14.980
245.835
334.535
13.431
58.171
40.178
27.338
17.993
262.933
341.633
267.461
221.483
74.171
1.071.207
Italia
1.446.420
33.580
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
-13.189
-11.362
-10.331
-26,7
-21,7
-9,1
-5.847
Imprese at553.268
tive
515.267
506.782
500.901
-9,5
-2,8
-1,2
498.276
2.2
Tasso di na3,4
talità
3,0
2,9
3,0
-0,4
0,0
0,1
1,7
5,6
5,1
4,8
4,7
-0,9
-0,4
0,0
2,7
La trasformazione digitale in corso sta richiedendo al mondo imprenditoriale un evidente cambio di
approccio: da un lato, una revisione dei processi industriali manifatturieri che abiliti la creazione di
nuovi prodotti-servizi e dall’altro, l’impostazione di nuovi modelli di business che non possono prescindere dalle tecnologie digitali, oltre alla concentrazione degli investimenti in aree tecnologiche ben
definite.
Tasso di svi-2,2
luppo
-2,2
-1,9
-1,8
0,5
0,4
0,1
-1,0
Addetti alle
imprese (3) (v.a.)
3.775.669
3.747.909
3.698.314
-
-2,0
-1,3
3.670.537
57.356
50.749
53.699
-
-6,4
5,8
17.340
Tasso
mortalità
di
A d d e t t i
alle imprese
iscritte nell’anno (3)
(v.a.)
(1) Differenza tra i tassi, variazione in tutti gli altri casi (2) Non d’ufficio (3) Fonte dato Inps
Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere, DB Telemaco – Stockview
Tab. 2 - Occupati, anni 2009-2015 (v.a. in migliaia, var.%)
Occupati
2009 (mgl)
Occupati
2015 (mgl)
Var.%
2009-2015
Manifatturiero*
4.543,9
4.121,8
-9,3
Totale economia
22.698,7
22.464,8
-1,0
Settori economici
* Dato al 2009 stimato per il passaggio dall’ATECO 2002 all’ATECO 2007
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
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L’innovazione tecnologica e nuova manifattura
In tal senso questa rivoluzione industriale vuole fornire un primario indirizzo per l’innovazione di
alcuni dei prodotti più competitivi e gioca quindi il ruolo di fondamentale driver di innovazione di
processo. E’ facile comprendere che i settori direttamente interessati da questo fenomeno sono principalmente quelli ad alta intensità di conoscenza, come la meccanica e l’automotive, oltre all’industria
farmaceutica, aeronautica e aerospaziale, dove il cambio di passo in chiave innovativa è agevolato dalla
propensione agli investimenti in ricerca e sviluppo.
L’Italia è però riconosciuta nel mondo per essere il Paese del “bello e ben fatto” (BBF). Con questa
definizione negli ultimi anni si stanno identificando tutti quei beni di consumo di fascia medio-alta
che si contraddistinguono per il design, la cura, la qualità dei materiali e delle lavorazioni. I settori
interessati da questi prodotti sono principalmente quelli che ci identificano per il “Made in Italy” e la
capacità creativa: alimentare, arredamento, abbigliamento e tessile casa, calzature, occhialeria e oreficeria-gioielleria. Si tratta ovviamente di manifattura ma di una manifattura che in molti casi è ancora a
basso contenuto di innovazione, soprattutto dal punto di vista digitale.
L’innovazione è da sempre la premessa e condizione senza la quale non avviene alcun cambiamento e
non si ha alcun progresso economico e sociale. Ma questa rivoluzione industriale sta attribuendo ancora maggiore importanza all’innovazione degli investimenti in ricerca e sviluppo.
E’ bene chiedersi a questo punto quale rapporto esiste in Italia fra manifattura e innovazione tecnologica e quali competenze sta mettendo in campo il nostro Paese per affrontare questa rivoluzione e
supportare i fabbisogni delle imprese. Il primo elemento, dal punto di vista produttivo, è dato dalla
correlazione tra spesa in ricerca e sviluppo e crescita del PIL, che incide sulla performance di innovazione di un Paese, e che vede l’Italia agli ultimi posti a livello globale, assieme a Portogallo e Grecia.
Il secondo elemento, dal punto di vista della forza-lavoro, deve prendere in considerazione sia il tema
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Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
dell’istruzione verso le nuove generazioni, che la formazione e il numero di addetti potenzialmente da
coinvolgere in una conversione e aggiornamento delle loro competenze.
Tab. 4 - Spesa per R&S intra-muros in Italia - Anni 2009 - 2015 (migliaia di euro)
Spesa totale
Partendo dal primo punto, l’andamento della spesa totale in R&S in Italia dal 1999 al 2013, in termini
percentuali rispetto al Pil, registra nel 2013 una leggera ripresa, passando da 1,22% del Pil a 1,31%
(tab.4).
L’incidenza degli investimenti delle imprese italiane rispetto al Pil risulta invece inferiore all’1% seppur
in crescita dallo 0,65% del 2009 allo 0,71% del 2013.
In valore assoluto gli investimenti delle imprese italiane in R&S hanno toccato gli 11,5 miliardi di
euro, con un aumento del 3,3% rispetto al 2012. Lo stesso aumento in termini assoluti si registra per
il comparto manifatturiero (tab. 5). L’incidenza del comparto manifatturiero sul totale della spesa delle
imprese italiane in R&S si mantiene fondamentale (72,1% nel 2013), seguito a distanza dai servizi di
informazione e comunicazione che, nel 2013, si attestano sull’11,3% (fig. 1).
Se consideriamo la distribuzione della spesa in R&S fra i diversi settori che la effettuano (Amministrazioni pubbliche, Università, Imprese e Istituzioni Private di ricerca No Profit - IPNP), in Italia sono
quindi le imprese a rappresentare la quota maggiore degli investimenti in R&S, per un valore di 9,2
mld di euro pari all’80,6% nel 2013 in crescita rispetto al 2012, di cui il 61% derivante dalle imprese
manifatturiere.
Entrando nel dettaglio, nell’anno 2013 l’attività con la quota maggiore di spesa in R&S è la fabbricazione di mezzi di trasporto (29,65%); valori inferiori si rilevano per fabbricazione di macchinari e
attrezzature (16,57%) e fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica (15,65%) (fig.2).
Questi dati confermano che oltre la metà della spesa in R&S in Italia è distribuita fra i principali settori ad alto tasso di conoscenza, mentre la manifattura tradizionale, rappresentata dal comparto del
tessile e dell’abbigliamento, si ferma al 5,81%, dimostrando così un elemento di debolezza in termini
di innovazione.
Considerando la distribuzione della spesa in R&S delle imprese italiane, in funzione del loro numero
di addetti si evidenzia la concentrazione nelle imprese con oltre 500 addetti (il 62,5% nel 2013) pur in
leggero calo a favore di un incremento da parte delle imprese come meno di 50 dipendenti, passate dal
9,2% del 2012 al 10,6% del 2013. Queste imprese costituiscono la maggioranza del tessuto imprenditoriale italiano e ciò dimostra un segnale, seppur timido, di ripresa negli investimenti in innovazione
(tab.6).
L’avvento della quarta rivoluzione industriale sta ponendo all’attenzione del mercato del lavoro numerose sfide, in particolare dal punto di vista della formazione e degli skills richiesti. Il tema delle
competenze e delle nuove professionalità trova le sue risposte a partire dall’attuale situazione della forza
lavoro. Si registra una generale ripresa del sistema con un aumento del numero di addetti coinvolti dai
processi di ricerca e sviluppo. Nel solo comparto manifatturiero sono aumentati, in valore assoluto, dai
112.978 del 2012 ai 120.240 del 2013 (tab.7).
Spesa esclusa università
Variazione % su
anno precedente
Valori concaRapporto
tenati (anno Valori a Valori consul PIL
catenati
di riferimento: prezzi
(valore
(anno di
2010) (a)
%) (d)
corriferimento:
renti
2010) (a)
Valori a
prezzi correnti
Valori concatenati (anno
di riferimento:
2010) (a)
ANNI
Valori a
prezzi correnti
2009
19.208.952
19.266.752
1,1
-0,8
1,22%
13.396.981
13.437.293
2010
19.624.886
19.624.886
2,2
1,9
1,22%
13.977.419
13.977.419
2011
19.810.606
19.517.838
0,9
-0,5
1,21%
14.141.438
13.932.451
2012
20.502.485
19.924.670
3,5
2,1
1,27%
14.754.725
14.338.897
2013
20.983.102
20.137.334
2,3
1,1
1,31%
15.044.867
14.502.882
2014 (b)
20.770.252
19.781.157
-1,0
-1,8
1,29%
15.180.866
14.462.997
15.219.711
14.592.924
2015 (b)
(c)
(a) Calcolati mediante il deflatore del PIL.
(b) Stima su dati di previsione forniti da imprese, istituzioni pubbliche e istituzioni private non profit.
c) E’ stata utilizzata la previsione di variazione del deflatore del Pil inserita nel Documento Programmatico
di Bilancio 2016.
d) Per i dati sul Prodotto Interno Lordo sono state utilizzate le nuove serie storiche dei conti economici
nazionali, aggiornate secondo il nuovo Sec 2010 (Sistema europeo dei conti) e rilasciate dall’Istat nel Settembre 2015.
Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat
Tab. 5 - Spesa per ricerca e sviluppo intra-muros – val.ass. a prezzi correnti (migliaia di euro)
2012
Totale attività
Attività manifatturiere
2013
Totale economia
Imprese (escluse università private)
Totale economia
Imprese (escluse università private)
8.251.463
6.833.952
8.279.012
6.993.666
11.107.205
8.835.813
11.480.390
9.255.557
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
20
21
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Tab. 6 - Spesa per Ricerca e Sviluppo. Ripartizione % per classe di addetti - Italia,
2012-2013
Fig. 2 - Ripartizione della spesa in R&S delle imprese manifatturiere in Italia per
attività economica, 2013
2012
2013
0-49
50-249
250499
500 e
più
0-49
50-249
250499
500 e
più
Totale economia
8,9%
13,9%
11,7%
65,4%
10,3%
16,4%
10,8%
62,5%
12,0%
63,1%
10,6%
18,4%
11,8%
59,2%
Imprese (escluse università
9,2% 15,7%
private)
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
Fig. 1 - Spesa per Ricerca e Sviluppo per settore di attività economica – ripartizione
percentuale – 2013
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
22
23
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Tab. 7 - Spesa e addetti per Ricerca e Sviluppo - Settore di attività economica e
qualifica professionale
ultimi dieci anni hanno avuto un incremento di 4 punti percentuali (fig. 3).
2012
Qualifica professionale
totale economia
attività manifatturiere
ricercatori
tecnici
altro personale di supporto (esclusi tecnici e ricercatori)
totale
v.a.
v.%
v.a.
v.%
v.a.
v.%
v.a.
49.950
30,8%
79.296
48,9%
32.777
29,0%
162.023
32.110
28,4%
55.243
48,9%
25.625
22,7%
112.978
2013
ricercatori
totale economia
attività manifatturiere
altro personale di supporto (esclusi
tecnici e ricercatori)
totale
v.a.
v.%
v.a.
v.%
v.a.
v.%
v.a.
52.710
30,8%
83.629
48,9%
34.789
20,3%
171.128
33.544
27,9%
59.078
49,1%
27.618
23,0%
120.240
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
2.3
tecnici
La manifattura artigianale: le opportunità della digitalizzazione
L’innovazione digitale sta operando grandi trasformazioni con importanti ricadute sulla manifattura:
si è avviato un processo nel quale le imprese, attraverso le cosiddette Smart Manufacturing Technologies, riducono i costi ed aumentano efficienza e competitività. Non sono solo le grandi imprese ad
essere coinvolte, per necessità di adeguamento, nel processo inarrestabile della Digital Transformation. Se si vuole che il business cresca questa è una condizione irrinunciabile anche per gli artigiani e
le PMI che, se dotate di sistemi intelligenti, possono operare in modo flessibile e veloce nella produzione, nella logistica e nella qualità, senza dimenticare il comparto della sicurezza.
Le imprese manifatturiere artigiane, 315.015 attive nel 2015, rappresentano il 62,9% (erano il 64,2%
nel 2009) del totale delle imprese manifatturiere (500.901) e incidono per il 23,3% sul totale delle
imprese artigiane (1,3 ml) (tab. 8).
I settori più rappresentati sul totale delle imprese manifatturiere artigiane sono, nel 2015 (valori costanti nel II trimestre 2016), quello della fabbricazione di prodotti in metallo (20,8%), seguito dalle
industrie alimentari (12,7%) e dalle altre industrie manifatturiere (10,3%). L’abbigliamento e l’industria del legno seguono rispettivamente con il 9,3% e il 9,1%.
Data la generale diminuzione del numero di imprese manifatturiere artigiane tra il 2009 e il 2016
(14,1%), è importante comprendere come arrestare questo fenomeno e garantire competitività ad un
settore dell’economia italiana che rappresenta la maggioranza del tessuto imprenditoriale ma che appare ancora piuttosto debole negli investimenti in innovazione digitale.
Se nel complesso nell’ultimo decennio gli investimenti hanno registrato un calo significativo nel nostro
Paese, accompagnato da una leggera ripresa solo tra il 2015 e il 2016, gli investimenti digitali negli
24
Pur a fronte di tale crescita il Digital Economy and Society Index 2016 (DESI) pone l’Italia al 25°
posto in Europa (EU 28), davanti solo a Grecia, Bulgaria e Romania, con un punteggio complessivo
pari a 0,4, frutto dall’analisi complessiva di cinque dimensioni: connettività, capitale umano, uso di
internet, integrazione delle tecnologie digitali e servizi pubblici digitali.
Nell’integrazione della tecnologia digitale, che misura il livello di digitalizzazione delle imprese (ERP,
Rfid, IoT, fatturazione elettronica, social media, cloud computing e e-commerce), l’Italia si colloca
20esima tra i paesi dell’UE. Nonostante la posizione ricoperta emergono alcuni dati confortanti: un
ruolo crescente del commercio elettronico nel fatturato delle PMI (aumentato dal 4,9% nel 2014
all’8,2% del 2015) e una copertura delle reti NGA (Next Generatione Access) passata dal 36% delle
famiglie nel 2014 al 44% nel 2015.
I progressi sono però ancora troppo lenti (sono il 5,4% del totale gli abbonamenti sottoscritti alla
banda larga veloce) e ostacolano anche l’industria italiana che potrebbe trarre vantaggi da un uso più
diffuso delle soluzioni di eBusiness.
Entrando nel dettaglio della composizione dell’indicatore, è possibile riscontrare che l’impresa italiana,
tra il 2012 e il 2015, ha migliorato di molto la sua posizione per ciascuno dei valori che lo compongono. In particolare va sottolineato l’incremento percentuale delle PMI che hanno implementato sistemi
ERP (Enterprise Resource Planning) per la pianificazione e integrazione dei processi aziendali interni, ambito nel quale si è passati dal 20,3% del 2012 al 35,2% del 2015 superando la media europea
(34,3%).
Ugualmente in crescita, nello stesso periodo, il ricorso a software CRM (Customer Relationship Management) da parte delle PMI, passate dal 17,1% al 18,3% in tre anni, seppur ancora al di sotto della
media europea (20,1%). La presenza online attiva delle imprese italiane sta inoltre migliorando: l’indice per 2015 evidenzia una crescita percentuale anche per gli indicatori relativi all’uso del sito web
(35,5%) e dei social media (37,3%) anche se ancora al di sotto della media europea (rispettivamente
del 55% e 39%).
A fronte della 20° posizione per l’innovazione digitale, secondo i dati Eurostat l’Italia delle PMI fa
registrare, per il periodo 2010-2012, una 4° posizione per la quota di piccole imprese che svolgono
attività innovative (56,1%), dopo Germania, Lussemburgo e Irlanda, con riferimento ad attività di
innovazione di processo, prodotto, marketing e organizzativa (fig.4).
La situazione complessiva dimostra quindi che è sempre più necessaria una nuova gestione dell’azienda
che deve essere ripensata per rimanere al passo con un mercato sempre più globale e veloce e per raggiungere competitor di altri Paesi più digitalizzati.
Con l’introduzione delle tecnologia digitale e la disponibilità della rete internet ogni fase del ciclo di
vita di un prodotto e di un servizio tenderà infatti a dotarsi sempre più di una componente immateriale generata dalle principali tecnologie abilitanti in continua evoluzione. La trasformazione auspicata
(e in parte in atto), supportata dagli elementi di policy analizzati, sta portando i primi risultati grazie
ad un complesso sistema di tecnologie abilitanti: IoT, cloud computing, stampa 3D e additive manufacturing, cyber-security, robotica avanzata, realtà aumentata, wearable technologies, sistemi cognitivi.
Un recente studio di Confartigianato stima che nel 2020 l’Internet of Things (IoT) varrà 97,9 mld di
euro coinvolgendo oltre 800 mila imprese artigiane con più di 2 ml di addetti (73,6% dell’occupa25
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
zione dell’artigianato) e oltre 1 milione di micro e PMI con meno di 20 addetti e con un incremento
medio annuo dei ricavi sul PIL del 20,4%. I settori maggiormente interessati da IoT sono oltre al manifatturiero, l’autoriparazione e soprattutto l’impiantistica interessata dallo sviluppo della domotica, il
trasporto e la logistica.
Fig. 3 - Investimenti ICT (computer, hardware, telecomunicazioni, software e basi di
dati), anni 2005-2015 (% del PIL a prezzi costanti)
Ma l’Industria 4.0. grazie ai cosiddetti big data genererà anche enormi quantità di dati che dovranno
essere analizzati e interpretati per rendere più competitivo e innovativo ogni processo produttivo.
Questo scenario richiede importanti investimenti in competenze digitali, non solo per l’assunzione di
nuove figure professionali (spesso da formare) ma anche per la formazione continua degli addetti. Se
nel passato le rivoluzioni industriali hanno valorizzato le economie di scala, oggi attraversiamo una fase
in cui diventa cruciale l’intensità di conoscenza. La manifattura 4.0 richiede infatti delle high-skills,
competenze tecniche e digitali che possano dare valore aggiunto alla produzione e al processo di un
nuovo business innovativo.
Secondo il DESI 2016, l’Italia occupa la 24° posizione in Europa per digital skills e la 22° per la presenza di forza lavoro con competenze ICT nelle imprese. Con riferimento a quest’ultimo indicatore è
interessante osservare che in Italia, nel 2015, è aumentata la percentuale di forza lavoro occupata con
competenze ICT con più di 35 anni (74,6%, superiore alla media europea del 63,6%) e si è ridotta
invece la quota dei più giovani passando dal 36,7% del 2009 al 25,4% del 2015, molto al di sotto della
media europea). Se confrontiamo questo dato con i settori in cui sono occupati riscontriamo che forza
lavoro con competenze ICT nelle imprese italiane è pari al 17% della forza lavoro totale (rispetto al
20% della media EU28), e nelle imprese manifatturiere (di cui più della metà artigiane) questo dato
non si discosta di molto dalla media europea.
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
Fig. 4 - Quota di PMI che svolgono attività innovative nell’Unione Europea (valore
percentuale), 2010-2012
Una vera economia digitale è dunque quella in cui le imprese sanno sfruttare appieno le possibilità e i
vantaggi offerti dalle tecnologie digitali, sia per migliorare la loro efficienza e produttività sia per raggiungere i clienti e concretizzare le vendite. Nel pieno della quarta rivoluzione industriale non si può
prescindere quindi da una manifattura che si basi sull’utilizzo di macchine intelligenti, interconnesse e
collegate ad internet. La connessione tra sistemi fisici e digitali, la possibilità di effettuare analisi complesse attraverso big data e adattamenti real-time nella produzione costituiscono la reale opportunità
che il digitale sta offrendo all’impresa. Mai come in questo momento storico si è potuto affermare che
“digitali si diventa”.
Tab. 8 - Demografia imprese attive, manifatturiero e artigianato (valore assoluto) Italia (2009-2015-II trim. 2016)
2009
Totale manifatturiero
Totale Italia
2016 (II TRIM)
Imprese
Di cui artigiane
Imprese
Di cui artigiane
Imprese
Di cui artigiane
553.268
355.341
500.901
315.015
498.276
311.443
5.283.531
1.465.949
5.144.383
1.349.797
5.153.222
1.338.838
Fonte: elaborazione Censis su dati Movimprese
26
2015
Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat
27
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
2.4
Queste policy devono contemporaneamente traguardare un orizzonte sovranazionale perché i nuovi
business non si giocano più in difesa.
Industria 4.0: lo stato dell’arte
Industria 4.0. è contaminazione: un mix di luoghi di produzione, strumenti (digitali), competenze,
modelli di business innovativi. Con il termine Industria 4.0. si identificano, e spesso confondono, gli
strumenti che caratterizzano l’evoluzione tecnologica e digitale della quarta rivoluzione industriale:
internet delle cose, cloud computing, big data, realtà virtuale tra i più noti.
Non è invece facile fornirne una definizione che tenga conto del processo verso cui l’impresa e il sistema economico si stanno avviando. Un processo partito, almeno in Italia, con approccio bottom
up. Questo processo è inserito in un momento storico in cui si sono affermate da un lato, l’economia
della condivisione o sharing economy, con al centro l’utente e la “folla” (pensiamo al crowfunding), e
dall’altro l’economia del fare o maker economy, basata sul nuovo ruolo dell’artigiano e di chi produce
“sporcandosi le mani”, recuperando anche luoghi e professioni in parte abbandonati.
L’Industria 4.0. è comunque figlia della quarta rivoluzione industriale e del 21° secolo. Tutte le rivoluzioni industriali hanno comportato effetti enormi sull’incremento della produttività e sul benessere
della società. Dopo l’avvento dell’energia idroelettrica (XVIII secolo), delle produzioni di massa e
dell’elettricità (XIX secolo), e dell’automazione, in particolare dell’elettronica e dell’informatica (XX
secolo), l’Industria 4.0. è un fenomeno che, pur non essendo ancora codificato nei libri di scuola, è già
considerato come un cambiamento di portata epocale.
In ciascuna di queste fasi dell’economia mondiale, a determinare i maggiori guadagni in termini di
produttività, oltre che di efficienza e ricchezza, non è stata solo la tecnologia. Un ruolo importante è
stato giocato dalle innovazioni organizzative e di approccio al cliente e ai mercati, e dalla capacità di
adattamento. E così sta avvenendo anche per questa nuova fase.
Capire, governare e capitalizzare questo cambiamento è determinante anche per le imprese odierne,
chiamate ad affrontare le nuova sfide del mercato. Questo vale in particolare in un Paese come l’Italia
che, come ci confermano i dati, ha nel suo settore manifatturiero uno dei più importanti driver di
crescita, di competitività, di occupazione.
In base ad una recente analisi Istat (febbraio 2016) sono i settori della meccatronica (computer, apparecchi elettronici e ottici, apparecchi elettrici, macchinari ed apparecchi) a presentare la migliore
prospettiva in termini di reazione al cambiamento: le tecnologie digitali applicate a questi comparti
del Made in Italy - in crescita del 4,5% nell’ultimo anno - si stima interessino 31.361 micro e piccole
imprese con meno di 20 addetti, e un totale di 113.747 addetti, pari al 23,9% dell’occupazione del
settore.
Che cosa si identifichi, quindi, con il temine Industria 4.0 è ancora in parte da definire. Il termine è
stato usato per la prima volta ad una fiera di elettronica, ad Hannover, nel 2011. Considerate le premesse, i confini fra manifattura, servizi e settori produttivi si fanno sempre più rarefatti in un processo
di cosiddetta “servitizzazione” del manifatturiero.
Parlare di Industria 4.0 significa quindi mettere a sistema, amplificandole e integrandole, una serie di
misure e di linee politiche per la promozione e il sostegno alle imprese che innovano, anche in chiave
digitale, che si internazionalizzano e sono flessibili, automatizzate, interconnesse e reattive al cambiamento. Sono queste le caratteristiche da valorizzare per la competitività delle imprese e da promuovere
con adeguate linee di politica industriale. Le istituzioni sono infatti chiamate a mettere al centro della
propria azione le condizioni abilitanti perché le imprese possano lavorare, sperimentare e svilupparsi.
28
La Legge di Stabilità 2014 (l.147/2013), come le successive modifiche nella Legge di Stabilità 2016
(l.208/2015), hanno per prima introdotto in Italia la disciplina relativa all’industria sostenibile e all’artigianato digitale con l’istituzione di un fondo destinato al sostegno delle imprese per lo sviluppo di
attività innovative e di ricerca e sviluppo anche con forme di collaborazione fra le imprese manifatturiere e gli enti di ricerca e le università.
Il governo italiano, nel settembre 2016, ha inoltre messo in campo i suoi strumenti e le sue competenze, presentando il Piano Industria 4.0: un documento di posizionamento strategico con qualche
prima indicazione di policy. L’obiettivo è quello di sviluppare, da un lato, un framework di azione per
favorire gli investimenti delle imprese in ottica 4.0, ma anche quello di individuare un primo pacchetto
di misure da inserire nella Legge di Stabilità 2017, recependo quanto il mercato sta già anticipando
concretamente.
Il Piano, che punta a sostenere questa trasformazione, arriva dopo la strategia francese e tedesca e,
stanziando oltre 13 mld di euro (più dei 10 mld di Parigi e del miliardo di Berlino), si pone come
proposta di via italiana all’industria 4.0. e individua alcune aree su cui concentrare l’azione di policy
del Governo: investimenti in innovazione, fattori abilitanti, standard di interoperabilità, sicurezza e
comunicazione, IoT, rapporti di lavoro, salario e produttività, finanza d’impresa.
Ma la via all’industria 4.0. ha un suo importante pilastro anche sulle policy messe in campo in ambito
digitale. Il Piano Crescita Digitale e il Piano Banda Ultra Larga, i documenti che costituiscono l’Agenda Digitale nazionale, hanno tracciato le basi e le premesse strategiche per agevolare i diversi contesti
interessati: la scuola, l’impresa, la PA e il cittadino. L’obiettivo più ambizioso, dato il gap italiano, è sicuramente quello relativo alla connettività: raggiungere l’85% della popolazione con almeno 100 Mbts
e il 15% con almeno 30 Mbts. Questo consentirebbe di essere competitive e attraenti per le imprese e
per nuovi insediamenti 4.0. anche alle aree cosiddette a “fallimento di mercato”, non raggiunte dagli
operatori.
Il sistema industriale italiano, quindi, con i suoi punti di forza e di debolezza in tema di digitalizzazione, presenta sia opportunità che rischi derivanti anche dal contesto europeo e internazionale, che
influiscono nel favorire un passaggio concreto all’industria 4.0.
La digitalizzazione dei processi produttivi in generale, e del settore manifatturiero in particolare, rappresenta quindi non solo l’opportunità dello Smart Manufacturing per la nostra industria ma presenta
anche dei rischi e delle minacce tanto per l’impresa quanto per l’economia europea e mondiale: il
World Economic Forum, ad esempio, ha di recente paventato la perdita di 5 milioni di posti di lavoro.
Una partita importante si gioca sul tema della formazione e delle competenze. La domanda di lavoratori con “adeguate competenze digitali” cresce del 4% all’anno in tutta Europa (Commissione EU)
e si potrebbe arrivare a 825.000 posti di lavoro non coperti entro il 2020 se non saranno sviluppate
azioni concrete. Per ridurre il gap e quindi il rischio di una mancanza di figure professionali sufficienti a
coprire il fabbisogno nazionale ed europeo, l’Agenzia per l’Italia Digitale della Presidenza del Consiglio
dei Ministri (AgID), nell’ambito del Piano Crescita Digitale, ha condotto un percorso di ricognizione
delle esperienze formative in corso a tutti i livelli, dal locale al nazionale. La strategia italiana per le
competenze digitali trova attuazione anche in una piattaforma (competenzedigitali.agid.gov.it) dove
raccogliere, mediante autocandidatura, tutte le progettualità che prevedono occasioni formative verso
tutti i target: PA, imprese e cittadini.
29
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Anche il Piano Industria 4.0. intende fornire una risposta concreta alla necessità di figure dotate di
e-skills da inserire in azienda, non solo mediante la formazione professionale rivolta ai NEET, i giovani
che non studiano e non lavorano, per introdurli nel mercato del lavoro, ma anche al middle management per un aggiornamento continuo e una auspicabile crescita aziendale. Il Governo punta inoltre ad
una formazione scolastica e post-scolastica in chiave digitale, che traguardi tutti gli ambiti, comprese le
scienze umane. L’obiettivo è dotarsi di 200.000 studenti universitari, 1.400 dottori di ricerca e 3.000
manager specializzati.
3. Come è cambiato il rapporto città-industria, come è cambiata la manifattura
L’azione trasversale messa in atto è quindi uno strumento a disposizione delle imprese, stimolate da
iniezioni di fondi pubblici e incentivazioni, ma lasciate libere di intraprendere la strada più congeniale
scegliendo come e dove investire per accrescere la competitività e puntare al loro rilancio anche internazionale.
La manifattura, nata in città, ha visto riconfigurarsi la sua presenza nelle aree urbane attraverso cicli
diversi.
3.1.
I diversi cicli dello svuotamento produttivo delle città
In particolare a partire dagli agli anni ’70 del secolo scorso, la crisi di alcuni settori industriali tradizionali e le spinte alla rilocalizzazione degli impianti fuori dai confini urbani hanno determinato un
imponente processo di dismissione di impianti produttivi urbani.
Fenomeno di portata europea e che da noi ha riguardato soprattutto le città industriali del Nord. Molte aziende industriali (anche se certamente non tutte) hanno lasciato le città per delocalizzarsi negli
hinterland e in alcuni casi anche in aree non urbane ma dotate di buona accessibilità. A spingere la
produzione industriale fuori dalle città sono stati essenzialmente i vincoli di spazio, l’aumento dei costi
di terreni e immobili, la crescente consapevolezza ambientale.
La ristrutturazione del sistema produttivo ed i relativi effetti di dismissione hanno generato “vuoti
urbani” in alcuni casi di ampia dimensione, in altri a carattere quasi interstiziale, che nei decenni
successivi il mercato immobiliare ha in parte metabolizzato, quasi sempre in chiave commerciale o
residenziale.
Nel frattempo, con la trasformazione post-industriale, le città sono sempre più diventate protagoniste
della crescente domanda di servizi intermedi anche in settori economici tradizionali. Domanda legata
in parte alla necessità delle imprese di uscire dalla dimensione locale e di operare in mercati più ampi,
di dimensione regionale, nazionale o internazionale, e quindi di ricorrere a servizi specializzati per affrontare i mercati. Dato che lo sviluppo di questi servizi specializzati e di livello superiore beneficia di
economie di agglomerazione, è avvenuta una forte concentrazione nelle grandi città, caratterizzate da
una elevata densità e varietà di soggetti, e da una maggiore disponibilità di expertise.
Peraltro, a livello urbano, ciò ha determinato la fine del modello di città moderna basato sulla divisione
funzionale per grandi comparti, e l’affermarsi delle caratteristiche tipiche della città contemporanea:
frammentazione, sovrapposizione di funzioni, soggetti, attrezzature.
Più in generale negli anni Ottanta e Novanta le città investite dalla deindustrializzazione hanno tentato (con maggiore o minore successo) di compensare la perdita di attività e posti di lavoro grazie al
consolidamento dei nuovi settori legati ai servizi, dalla finanza al turismo, dal commercio alla cultura.
In questo contesto una parte significativa dei contenitori produttivi dismessi è stata progressivamente
valorizzata, riconvertendola a vari usi: il mercato immobiliare ha metabolizzato questo patrimonio
quasi sempre per accogliere le nuove funzioni terziarie direzionali o in chiave commerciale e residenziale (spesso di livello medio-alto).
Ciò non significa che è stato del tutto estromesso il manifatturiero dallo scenario urbano, ma questo si
è fortemente ridimensionato nei numeri ed integrato nei tessuti urbani.
In una fase successiva il processo di globalizzazione per abbassare i costi di produzione ha determinato
30
31
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
ulteriori effetti delocalizzativi, questa volta a scala non più territoriale ma internazionale, spostando
fuori dai paesi occidentali soprattutto produzioni a basso valore aggiunto e attività fortemente “routinizzate”.
Oggi, a causa della crisi recente, ci confrontiamo con gli effetti di un ulteriore ciclo di dismissione
urbana, un nuovo effetto di “svuotamento”, che ha riguardato non più i grandi recinti industriali,
ormai pressoché assenti all’interno delle città, ma piuttosto gli spazi terziari e quelli del commercio
soprattutto di prossimità. Si è al riguardo parlato di desertificazione urbana, con riferimento alle tante
saracinesche abbassate di negozi e attività artigianali. Peraltro, data la grave crisi del settore, stavolta
non vi è all’orizzonte la spinta immobiliarista, che negli scorsi decenni è stata forte, e che ha portato
alla riconversione urbana di tanti aree e contenitori dismessi.
Il rischio oggi evidente è che nelle aree centrali dei contesti urbani sopravvivano solo o prevalentemente funzioni legate alla rendita e al consumo “rapido” e di massa: hotel e ristoranti, bar, pizzerie e
gelaterie, negozi di souvenirs, bed & breakfast e alloggi in affitto per turisti. Ne deriverebbe una grave
perdita di identità, l’impoverimento di quella diversificazione sociale e funzionale che è un carattere
fondamentale delle città più dinamiche ed attrattive, nonché la progressiva espulsione delle funzioni
non legate alla rendita, fondamentali per generare sviluppo e occupazione.
Quali sono i fattori di contrasto a questa deriva di svuotamento? Una risposta può venire dal consolidamento di un nuovo ciclo produttivo urbano, con caratteristiche del tutto diverse, fatto anche di autoimprenditorialità e micro imprese legate alle nuove tecnologie. In sostanza una manifattura “urbana”
del futuro ma radicata nella città, che oltre al suo impatto economico e occupazionale, può contribuire,
ad invertire in parte il processo di svuotamento.
3.2.
I caratteri generali della nuova manifattura
Prima di parlare dei segnali recenti di un rinnovato rapporto tra città e manifattura, per delimitare il
fenomeno e comprenderne anche le ragioni profonde, è importante inquadrarlo nel contesto generale.
Contesto che è fatto di fenomeni diversi che si sovrappongono e cumulano i loro effetti.
In particolare è bene ricordare che:
mente di fabbrica intelligente, di applicazione dell’Internet delle cose alla fabbrica. La manifattura 4.0 è già, seppur parzialmente, una realtà in cui le nuove tecnologie sono riunite ed
integrate, con macchinari in grado di dialogare tra loro, di essere riprogrammati a distanza e
quindi di diventare più flessibili e adatti a produrre su lotti piccoli. Parallelamente sono fortemente diminuiti gli impatti ambientali della produzione: fabbriche non solo intelligenti ma
anche “pulite”;
- in questo quadro si segnala lo sviluppo dell’additive manufacturing. Grazie ad essa si sono
abbattuti i costi ed i tempi di protopizzazione e non si deve necessariamente produrre elevate
quantità per competere sul prezzo. Pertanto è possibile focalizzarsi su mercati di nicchia in cui
l’elemento chiave è la personalizzazione ed il design, cioè le dimensioni più creative;
- in questo contesto aumentano le competenze richieste ai lavoratori. Ciò perché nel processo
produttivo si sta verificando una migrazione da attività di trasformazione manuale ad attività
centrate sulla regolazione, il settaggio, la manutenzione ed il miglioramento.
3.3.
Segnali e significati della risorgenza della manifattura urbana
Pur a fronte di una trasformazione della base economica della maggior parte delle città occidentali che
ha visto passare dalla centralità della produzione a quella dei servizi, della conoscenza e della comunicazione, sarebbe sbagliato affermare che la manifattura è scomparsa nei centri urbani.
Come dimostrano molte analisi, un particolare tipo di manifattura rappresenta una parte significativa
dell’attuale economia urbana.
Un segmento legato a prodotti di personalizzazione, self-made design, arte, come anche ad attività di
produzione altamente sperimentali sviluppate da università e centri di ricerca.
Uno sviluppo che è avvenuto sulla base di alcuni fattori che valevano anche in passato: il desiderio di
essere vicino a un mercato particolare, la vicinanza a lavoratori qualificati, l’accesso alle reti di trasporto.
In questi ultimi anni è tornata l’attenzione alla dimensione urbana della produzione, alla rinascita di
attività manifatturiere pregiate all’interno delle città. Il tema è legato evidentemente ad un’evoluzione
della manifattura indirizzata verso una produzione sempre più personalizzata e flessibile, e con bassi
impatti ambientali.
- la crisi, con il crollo della domanda interna, in questi anni ha messo fuori mercato molte imprese, costringendole a chiudere. Gran parte di quelle che sono sopravvissute hanno nella capacità di innovare, di presidiare e di aprirsi sempre di più a mercati internazionali la loro strategia
di salvezza. La dimensione delle esportazioni, già rilevante, ha acquisito ulteriore importanza;
Come ha messo in evidenza Saskia Sussen, la nuova manifattura che si sviluppa nelle città inverte in
qualche modo il rapporto storico tra servizi e produzione: i servizi storicamente sono stati sviluppati
per soddisfare le esigenze delle aziende produttrici, mentre in questo caso l’industria produce su richiesta del settore dei servizi.
- vi sono importanti evidenze di un fenomeno di rientro in patria di alcune imprese industriali (back reshoring), che da noi riguarda essenzialmente il Nord e proprio i settori forti del
nostro export (la meccanica, innanzitutto e poi abbigliamento, arredamento, agroindustria e
farmaceutica). Le regioni del tornare a produrre in Italia sono la presenza di competenze, della
cultura d’impresa del “bello e ben fatto”. Fattori che rimandano al capitale umano, al capitale
sociale, di territori di antica e solida industrializzazione, l’attitudine alla flessibilità e all’innovazione di processo) che legano in modo originale tradizione e innovazione, qualità e impiego
intelligente delle conoscenze produttive; La manifattura urbana attuale è fatta di soggetti leader nella progettazione di prodotti unici e specializzati, alcuni dei quali svolgono un ruolo importante nel settore delle tecnologie emergenti e del
settore sempre più importante della tecnologia verde. Si tratta di una manifattura che vede al centro il
design ed il progetto, e che per essere messo a fuoco richiede un superamento della distinzione rigida
tra produzione e servizi.
- il cambiamento tecnologico è assoluto protagonista della fase attuale. Si parla ormai diffusa32
Del resto gli abitanti delle grandi città sono spesso i principali consumatori di prodotti di fascia alta, di
prodotti specializzati legati al design e realizzati da piccoli produttori.
La nuova stagione della manifattura urbana post-industriale è indipendente, locale e fai da te; e cen33
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
trata sulla crescita dell’innovazione tecnologia e l’imprenditorialità piuttosto che sulla produzione di
massa.
4. Consistenza, vitalità e concentrazione delle imprese manifatturiere urbane
Perché i produttori urbani traggono un vantaggio competitivo dalla loro posizione all’interno di reti
urbane dense? Perché la prossimità alla scena urbana permette loro di sfruttare e capitalizzare la maggiore comprensione delle tendenze del design, della, progettazione e del mercato e regolare rapidamente il prodotto alle variazioni della domanda.
4.1.
La consistenza manifatturiera delle città italiane
Approfittando di questi vantaggi competitivi, la manifattura urbana tende pertanto a:
- essere di piccole dimensioni (in genere occupano meno di 20 addetti);
- fornire un prodotto altamente specializzato o di nicchia;
- avere tempi di sviluppo rapidi;
- essere orizzontalmente integrata in reti di numerosi clienti, fornitori, distributori e subappaltatori.
Tutto ciò porta a produrre in loco, proprio perché una produzione manifatturiera fortemente customizzata richiede frequenti contatti faccia a faccia.
3.4.
I potenziali effetti rigenerativi sulle città
Il settore manifatturiero non potrà forse tornare ad avere l’importanza che aveva un tempo all’interno
delle città. Tuttavia la presenza di un segmento solido e innovative che contribuisce all’offerta di posti
di lavoro qualificati è di grande importanza.
Riportare in città la manifattura a basso impatto, mantenere la capacità di produrre prodotti fisici (non
limitandosi ad essere delle piazze di consumo),) è una delle chiave per le città di rimanere a lungo termine leader nel campo dell’innovazione.
Del resto l’insediamento di attività imprenditoriali di piccole dimensioni ha un impatto positivo sullo
spazio urbano: consente di riqualificare i centri urbani con un mix di funzioni, contribuisce ad attivare
spazi pubblici, ad investire nella manutenzione di edifici, ecc.
Si tratta evidentemente di un’opportunità anche occupazionale. La produttività e la competitività delle
imprese non è data solo dall’innovazione dei macchinari ma anche dalla presenza di figure specializzate,
fondamentali per garantirne il corretto funzionamento e per la personalizzazione dei prodotti.
E’ un tema impostante se si considera che negli ultimi anni la recessione economica ha prodotto
fenomeni di parziale desertificazione di alcune zone urbane, in cui si è ridotta la presenza di attività
commerciali, artigianali e di servizio.
34
Sono circa mezzo milione le imprese manifatturiere operanti in Italia e danno lavoro a circa 3,7 milioni
di addetti. La dimensione media è di 7,4 addetti ad impresa, un dato che di per sé è poco significativo:
ci troviamo infatti al cospetto di un tessuto pulviscolare di decine di migliaia di micro-aziende e di un
numero circoscritto di grandi aziende con migliaia di addetti.
La maggior parte di queste aziende è diffusa capillarmente sul territorio nazionale corrispondendo in
questo al modello insediativo che caratterizza la popolazione residente. Guardando al sottoinsieme
delle imprese localizzate nei capoluoghi di provincia si registrano 127mila aziende circa (il 25,4% del
totale) e poco meno di un milione di addetti (il 26,6% degli addetti totali). Accogliendo il 30% della
popolazione complessiva, il complesso delle 110 città italiane capoluogo di provincia mostra dunque
una vocazione manifatturiera non molto dissimile da quella del Paese nel suo complesso.
Scendendo più nel dettaglio è possibile valutare la consistenza manifatturiera delle città capoluogo.
Due sono le dimensioni che l’attestano e che, nella loro semplicità, sono del tutto auto-evidenti: da
un lato il numero complessivo degli addetti che operano nelle aziende manifatturiere localizzate nei
capoluoghi, dall’altro il numero di aziende.
Il primo elemento che colpisce, guardando la figura 9, è la forte polarizzazione in alcune specifiche
grandi città.
Milano ospita 208 mila addetti nel manifatturiero che valgono il 21% degli addetti presenti nei capoluoghi italiani. Al secondo posto Torino (11,2%) seguita da Roma (10,2%). Ovviamente le dimensioni
urbane “contano”, ma il dato bruto sugli addetti è comunque importante per comprendere il “peso”
del manifatturiero urbano. Nei paragrafi successivi si farà riferimento a indici di natura differente, più
sofisticati e, soprattutto più adatti a descrivere le vocazioni produttive delle città e la loro “vitalità”
manifatturiera.
Pur a fronte di questo ragionamento colpisce il dato relativo al comune di Prato, che si colloca al 4°
posto (2,9% degli addetti) sopravanzando città come Verona, Napoli, Firenze, Parma, Modena e Genova (dal 2,0% al 2,6% degli addetti). Una vera “incursione”, quella del comune toscano specializzato
nel tessile, tra le grandi città italiane.
35
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Fig. 9 - Distribuzione % addetti al manifatturiero - comuni capoluogo, anno 2015
(val.%)
Bisogna comunque considerare che nel manifatturiero, a differenza di quanto avvenuto a livello del
sistema produttivo generale, nel 2015 il numero delle cessazioni di imprese manifatturiere (27.800
circa) è stato ancora decisamente superiore a quello delle nuove iscrizioni (17.500 circa).
Si tratta dunque di un quadro fatto di luci ed ombre caratterizzato ancora da dati generali molto critici,
e da alcuni interessanti segnali positivi individuabili soprattutto in ambito urbano.
Osservando meglio il dato sulle nuove iscrizioni, da interpretare come segnale di reazione alla crisi, si
registra che, a fronte di un dato nazionale di riduzione delle nuove iscrizioni di imprese manifatturiere
tra 2009 e 2015 pari al 18,5%, il ridimensionamento è meno accentuato nelle città. In particolare tra
i due anni considerati le iscrizioni diminuiscono:
- del 19,2% nei comuni non capoluogo;
- del 16,7% nei comuni capoluogo;
- di appena l’8% nelle 12 grandi città con più di 250 mila abitanti.
Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere - Istat
4.2.
La crescita relativa (nel calo generalizzato) delle nuove imprese manifatturiere nelle città italiane
Sul fronte della vitalità del manifatturiero urbano, qualche segnale interessante viene dall’analisi dei
dati contenuti nel Registro delle imprese (banca dati Telemaco).
Il primo dato, certamente positivo, è individuabile nel fatto che il numero delle cessazioni di imprese manifatturiere si è fortemente ridimensionato. Nel 2015 l’emorragia di imprese (circa 27.800
aziende hanno cessato l’attività nel corso dell’anno) è stata assai meno rilevante che nel 2009, quando
cessarono l’attività oltre 35.500 aziende manifatturiere. In termini percentuali il ridimensionamento
delle cessazioni è stato del 21,8%, sostanzialmente un quinto di cessazioni in meno rispetto al 2009.
Tale fenomeno di riduzione in termini percentuali è maggiore di quello registrato a livello generale,
cioè considerando le imprese di tutti i settori economici, dove il totale delle cessazioni di impresa ha
registrato un calo dell’11,3%.
Ne deriva che il peso relativo delle città all’interno del volume totale delle iscrizioni è cresciuto. Infatti
nel 2009, fatte 100 le nuove iscrizioni di imprese manifatturiere, quelle relative ad imprese localizzate
nei comuni capoluogo pesavano per il 26,7% del totale, mente nel 2015 la loro quota sale al 27,4%.
Prendendo in considerazione solamente le 12 grandi città con più di 250mila abitanti, la loro quota
sul totale delle iscrizioni passa dal 9,0% del 2009 all’11,2% del 2015.
In sostanza, in un contesto in cui ancora le iscrizioni di imprese manifatturiere sono più basse rispetto
al 2009, le città, ed in particolare quelle di maggiori dimensioni, mostrano segnali di relativa vivacità,
in gran parte inaspettati.
Se ne ha riscontro guardando in dettaglio ai dati relativi alle singole grandi città. Rimanendo sul terreno delle nuove imprese che si iscrivono ai registri, va segnalato – pur considerando che si tratta di variazioni relative a stock di contenute dimensioni -, che le iscrizioni nel 2015 rispetto al 2009 crescono:
- del 25,0% a Venezia;
- del 14,8% a Bologna;
- del 15,5% a Firenze;
- del 10,9% a Milano.
Altre città come Torino e Roma registrano dati ancora negativi (rispettivamente -4,9% e -9,7%), ma
comunque decisamente più contenuti rispetto al dato medio nazionale che, come già rimarcato, si
36
37
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
attesta sul -18,5% (tab.9).
4.3.
Allargando l’analisi ad altri settori produttivi si vede bene come questo fenomeno sia nei fatti generalizzato: l’andamento delle iscrizioni tra i due anni considerati segnala infatti una maggiore tenuta della
città e in particolare del cluster con più di 250.000 abitanti. Più in dettaglio:
4.3.1.
- nei settori dove le iscrizioni sono in calo, come il manifatturiero e soprattutto le costruzioni, la
diminuzione è meno marcata nei comuni capoluogo e ancor più nelle grandi città;
- nel settore che registra una crescita delle iscrizioni, quello dei servizi, sono le grandi città le
protagoniste, mentre la crescita è meno sostenuta nei comuni non capoluogo (fig. 10).
Tab. 9. Iscrizioni di nuove imprese manifatturiere 2009-2015
v.a
Comuni non capoluogo
12.686
2015
% sul totale
72,6%
27,4%
Comuni capoluogo
4.779
Grandi Comuni
11,2%
1.953
(oltre 250mila abitanti)
100,0%
Totale
17.465
Fonte: elaborazioni Censis banca dati Telemaco
v.a.
15.708
2009
% sul totale
73,3%
Var. %
2009-2015 numero
iscrizioni
-19,2%
5.735
26,7%
-16,7%
2.123
9,0%
-8,0%
21.443
100,0%
-18,5%
Fig. 10 - Iscrizioni di nuove imprese nel manifatturiero, costruzioni e servizi, 20092015 (var.%)
Imprenditorialità manifatturiera urbana: il posizionamento delle
città italiane1
Il posizionamento delle città letto attraverso tre differenti indici
E’ noto che i territori italiani presentano una elevata differenziazione funzionale che è riscontrabile
soprattutto nelle diverse vocazioni produttive. Le analisi a livello provinciale lo confermano con chiarezza. Meno evidente è tuttavia il contributo offerto dai comuni capoluogo alle vocazioni evidenziabili
nell’area vasta. Il “ranking manifatturiero delle città italiane” esplora questa dimensione valutando in
maniera congiunta tre diversi aspetti connessi con la produzione manifatturiera. Il primo di questi è la
“vocazione”: una città con forte vocazione manifatturiera avrà una percentuale elevata di addetti al manifatturiero sul totale degli addetti, un numero elevato di imprese attive nel manifatturiero in rapporto
ai suo abitanti e un numero elevato di imprese manifatturiere sul totale delle imprese.
La seconda dimensione su cui si concentra lo studio è la “vitalità manifatturiera”. In questo caso, quello
che conta non è tanto lo stock di imprese quanto le nuove iscrizioni (rapportate agli abitanti per neutralizzare l’effetto della dimensione urbana), le nuove iscrizioni in rapporto alle imprese attive, nonché
la variazione percentuale di imprese manifatturiere nel breve periodo.
L’ultima dimensione considerata, ma forse quella più innovativa, attiene al fenomeno della concentrazione urbana del manifatturiero. E’ noto che il modello produttivo italiano è di tipo fortemente diffuso
e territorializzato, basti pensare ai distretti industriali o alla presenza di produzioni manifatturiere nelle
aree montane del paese (dalle valli marchigiane alle alture del Veneto). Per questa ragione si è ritenuto
di valutare l’incidenza di attività manifatturiere nei capoluoghi in relazione alla forza produttiva delle
province che li contengono. L’indice di “Concentrazione manifatturiera” è basato su due indicatori: la
quota percentuale di imprese manifatturiere nel comune capoluogo rispetto alla provincia e la quota
percentuale di addetti nel manifatturiero nel comune capoluogo rispetto alla provincia.
Sotto il profilo metodologico, gli strumenti utilizzati sono indicatori semplici relativi ai dati su imprese
e addetti nel manifatturiero, trattati in termini sia di consistenze che di flussi, relativizzati e comparati
in vario modo (ad es. posti in relazione al totale economia o indicizzati sulla popolazione, o ancora
rappresentati attraverso il confronto tra i comuni capoluogo e l’intero territorio provinciale, o in serie
storica valutando l’andamento nell’ultimo triennio disponibile). Successivamente gli indicatori di base
sono stati raggruppati in indicatori sintetici al fine di esplorare tre aspetti rilevanti in relazione all’insediamento del manifatturiero nei comuni capoluogo italiani.
Per la costruzione degli indicatori sintetici è stato utilizzato un metodo di sintesi basato sulla misurazione dei fenomeni multidimensionali formulato da Matteo Mazziotta e Adriano Pareto (Istat) definito
anche come “metodo delle penalità per coefficiente di variazione”. Il criterio utilizzato standardizza
gli indicatori in modo da depurarli sia dall’unità di misura che dalla loro variabilità ed utilizza, come
funzione di aggregazione, una media aritmetica corretta mediante un coefficiente di penalità che dipende, per ciascuna unità, dalla variabilità degli indicatori rispetto al valor medio. L’indice ottenuto è
di semplice determinazione ed è facilmente interpretabile e comparabile nel tempo.
CC= Comuni capoluogo
CNC= Comuni non capoluogo
Fonte: elaborazioni Censis banca dati Telemaco
38
1
In allegato si riportano le tavole con indici e posizionamenti di tutti i capoluoghi di provincia
39
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
4.3.2.
duttivo e la capacità di generare reddito attraverso la produzione e la vendita di manufatti.
Indice di vocazione manifatturiera
Analizzando i dati del 1° ranking (vocazione manifatturiera), come era prevedibile si evidenzia il buon
posizionamento di alcuni capoluogo lombardi (Varese, e Lecco, su tutti) veneti (Treviso e Vicenza)
e marchigiani (Fermo), con alcune incursioni di comuni piemontesi (Cuneo), abruzzesi (Chieti) e
marchigiani (Macerata). La prima città del Sud è Avellino (19^ posizione. Tante medie città dunque,
o addirittura medio-piccole, come si può osservare dalla tabella 1. La prima tra le grandi città è invece
Firenze, al 46° posto in graduatoria e questo conferma la tesi di fondo dell’uscita della manifattura dalle
grandi città negli anni scorsi e del suo peso “relativo”, perlomeno al momento attuale. Da notare che
Roma si colloca all’ultimo posto e che la stessa Milano non sta molto meglio (86^ posizione). A scanso
d’equivoci è il caso di ribadire che questo non significa affatto che la manifattura non sia presente nelle
grandi città italiane, ma semplicemente che il suo peso relativo rispetto al totale delle attività economiche le colloca molto in basso nel ranking dei capoluoghi italiani.
4.3.3.
Indice di vitalità manifatturiera
Il secondo indice (“Vitalità manifatturiera”) standardizza le iscrizioni di imprese sugli abitanti e sul
totale delle imprese attive. La scelta di non utilizzare dati dimensionali in valore assoluto corrisponde
all’esigenza di mappare la vitalità delle città a prescindere dalla loro ampiezza demografica. Si rimanda
ad altri paragrafi del testo la valutazione del “peso” manifatturiero delle città italiane.
L’indice di “vitalità manifatturiera” presenta una geografia molto diversa dall’indice precedente. Basti
considerare che tra le prime 10 città in graduatoria, solo Varese era presente anche nel ranking vocazionale. D’altra parte era prefigurabile che la geografia vocazionale corrispondesse maggiormente al senso
comune, mentre la vitalità presenta elementi di assoluta novità. Al primo posto Prato, la cui effervescenza imprenditoriale nell’industria di trasformazione è ben nota. Interessanti però i posizionamenti
nella parte alta della graduatoria di Isernia al Sud e di Bolzano nel Nord-Est.
Nel caso di questo indice le grandi città sembrano avere qualcosa da dire: Torino è infatti 15^ e Firenze
24^, Bologna 26^. Ancora indietro invece Milano (52^) e, soprattutto, Roma (94^).
4.3.5.
Considerando congiuntamente la consistenza manifatturiera (numero di addetti) e gli indici sviluppati per classificare la vocazione, la vitalità e la concentrazione urbana del manifatturiero nei capoluoghi di provincia italiana, è possibile costruire un ranking complessivo che assume senso soprattutto se
ritagliato sulle grandi città italiane. La tabella 4 evidenzia la prima posizione di Torino, forte rispetto
ala consistenza, ma anche sul fronte della vitalità e della concentrazione. Al secondo posto Firenze, ben
posizionata rispetto a vocazione e vitalità. Al terzo Verona, che tra le grandi città si impone sotto il
profilo della vitalità. Milano raggiunge la 4^ posizione soprattutto in virtù del 1° posto quanto a consistenza e del 6° posto per la concentrazione urbana. Seguono le medie città del centro-nord con un’incursione di Catania, che si piazza al 7° posto. La Capitale occupa la 9^ piazza grazie alla consistenza ed
alla concentrazione urbana ma fortemente penalizzata con riferimento alla vocazione ed alla vitalità.
Agli ultimi posti del ranking troviamo tutte le restanti città del Mezzogiorno: Palermo, Napoli e Bari
nell’ordine (tab.10).
Tab. 10 – Ranking manifatturiero delle grandi città italiane - Posizione tra i 110
capoluoghi rispetto agli indici di consistenza, vocazione, vitalità e concentrazione
urbana del manifatturiero
Consisten- Vocazione Vitalità ma- Concentra- Posizionamento
za mani- manifattu- nifatturiera zione urba- medio
fatturiera
riera
na del manifatturiero
Ranking manifatturiero delle
grandi città italiane
Torino
2
50
16
10
19,5
1
Verona
5
32
26
46
27,3
3
Firenze
4.3.4.
Indice di concentrazione manifatturiera
Il terzo ed ultimo indice sintetico rappresenta un fenomeno legato non solo alla capacità delle città
italiane di generare, attrarre o mantenere sul territorio le imprese manifatturiere, ma anche al dimensionamento della superficie fisica comunale ed alla popolazione residente del capoluogo rispetto
all’insieme dei comuni che compongono la provincia. Per questa ragione le grandi città tendono a
posizionarsi nella parte alta del ranking: Roma, il più vasto comune d’Italia si piazza in 3^ posizione,
Genova, una città che occupa quasi interamente la superficie provinciale , si piazza al 5° posto. Torino,
circondato da micro-comuni, al 10° posto.
Ma l’indice ci dice cose interessanti soprattutto guardando contemporaneamente ai comuni che occupano le prime e le ultime posizioni in graduatoria. Trieste, al primo posto, ospita all’interno del comune il 79,1% delle imprese manifatturiere della provincia e il 78,2% degli addetti). Macerata, all’ultimo
posto, detiene solamente il 5,9% delle imprese manifatturiere e il 3% degli addetti manifatturieri
dell’intera provincia. E’ evidente che sono due città agli antipodi per quanto concerne il modello pro40
Il posizionamento delle grandi città italiane nel ranking manifatturiero
Milano
Bologna
Venezia
Genova
Napoli
Catania
Roma
Palermo
Bari
7
1
12
20
10
6
32
3
26
33
46
86
67
96
106
92
95
110
109
83
15
61
30
20
67
92
55
99
88
76
39
6
52
42
5
18
28
3
9
71
26,8
38,5
40,3
44,5
47,0
52,0
52,5
53,8
58,0
65,8
2
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere, DB Telemaco - Stockview
41
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LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
5. Micro-imprese innovative, artigiani 2.0, luoghi di generazione dell’imprenditoria industriale urbana
Fig. 11 – Andamento trimestrale delle iscrizioni di startup alla sezione speciale
5.1.
L’andamento delle startup innovative per settori e aree geografiche
Il fenomeno delle startup innovative è agevolmente monitorabile attraverso i dati provenienti dalla sezione speciale del registro delle imprese. La presenza della data esatta di iscrizione alla sezione speciale
permette di seguire l’andamento dello stock di startup innovative sin dai primi trimestri di applicazione della normativa.
L’incremento nel numero di nuove imprese iscritte è costante lungo tutto il periodo e sembra addirittura accelerare negli ultimi 5 trimestri (fig.11).
Le imprese che hanno effettuato, nei primi trimestri, l’iscrizione al registro speciale quasi esclusivamente per i vantaggi fiscali e i risparmi ottenibili, non trovandosi più in fase di inizio delle attività sembrano aver definitivamente lasciato il posto a imprese effettivamente in fase di startup. Un’ulteriore riprova
deriva dal fatto che la data di inizio operazioni e quella di iscrizione al registro generale delle imprese
con il passare dei trimestri tende a coincidere con quella di iscrizione alla sezione speciale startup.
Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere
Fig. 12 Ð Numero di startup
innovative per provincia
Fig.13 Ð Quota di startup innovative
per 10.000 imprese registrate
- 3 trimestre - 2015
Le startup si concentrano prevalentemente nelle province delle grandi città (Milano, Roma, Torino,
Napoli, Bologna e Firenze) e in più in generale soprattutto nel quadrante più propulsivo della penisola, il Nord-Est (fig. 12).
Guardando, invece all’incidenza delle startup innovative sul totale delle imprese la situazione cambia
a favore di realtà anche più piccole ma che sembrano in grado di mettere meglio a sistema i poli universitari e i centri ricerca di eccellenza con il substrato di piccole e medie imprese all’avanguardia che
costituiscono l’asse portante dell’economia nazionale (fig. 13).
L’alta incidenza di startup innovative nella provincia di Torino, più di 170 ogni 10.000 imprese regolari, e nelle province di Trieste, Trento e Milano rende questi territori particolarmente importanti per
tutto l’ecosistema startup. La presenza di incubatori e di facoltà universitarie scientifico-ingegneristiche
fra le migliori del paese agevola, di fatto, la creazione di nuove imprese dal carattere innovativo.
Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere
42
43
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
5.2.
Tab.11 - Startup innovative nel settore manifatturiero nelle grandi città italiane
(2016)
Le startup innovative del settore manifatturiero nelle grandi città
italiane
Rispetto alle analisi contenute in questo rapporto, assume interesse la verifica della quota di startup
innovative che operano in un ambito urbano avendo collocato la propria sede operativa all’interno di
un comune capoluogo di provincia. Sul totale delle startup italiane ben il 64,9% si trova oggi in questa
situazione. In alcuni casi come Genova, Milano, Roma, quasi la totalità delle startup è centralizzata nel
capoluogo. Le città, dunque, “producono” startup più di quanto sia in grado di fare l’area vasta.
Ma è interessante chiedersi se questo vale anche per il settore manifatturiero che, tradizionalmente,
tende a popolare l’area vasta. Non a caso, nel paragrafo dove si è dato conto dell’indice di concentrazione
urbana dell’attività manifatturiera si registra un valore per l’intero Paese del 25% circa (solo ¼ delle
aziende manifatturiere ha sede nei capoluogo di provincia).
Ebbene, con riferimento all’aggregato costituito dai 12 più grandi comuni italiani, la quota di startup
inquadrate nel manifatturiero vale il 50,2% dell’insieme delle startup localizzate nelle 12 province
considerate. Un dato dunque non molto dissimile da quello rilevato per la totalità delle startup a prescindere dal settore di appartenenza. Guardando solo ai comuni più grandi il dato cresce ulteriormente
attestandosi tra l’80% e il 90% per Roma, Torino e Milano (tab.11).
Per concludere, l’analisi fin qui condotta consente di evidenziare due fenomenologie in parte inaspettate:
· la prima attiene alla forte presenza di attività manifatturiere: più di 1000 imprese, corrispondenti a circa il 18% di un aggregato di aziende innovative che opera prevalentemente nel perimetro delle nuove tecnologie informatiche e telematiche;
· la seconda attiene alla presenza forte di queste aziende nel perimetro urbano delle grandi città
italiane, che contengono evidentemente un humus di fertilizzazione di non poco conto.
Startup innovative (tutti i
settori)
% startup
comune capoluogo
sul totale provincia
Startup
Startup
settore manifatturiero
settore manifatturiero nel
capoluogo
Startup
settore manifatturiero negli altri
comuni
della provincia
% startup settore manifatturiero nel capoluogo sul totale
provincia
Provincia
Bari
117
49,1
18
6
12
33,3
Cagliari
106
83,5
12
6
6
50,0
Catania
98
56,1
15
10
5
66,7
Genova
81
96,3
13
12
1
92,3
Milano
880
90,5
88
67
21
76,1
Napoli
196
73,5
20
15
5
75,0
Palermo
77
84,4
5
3
2
60,0
Reggio di
Calabria
36
63,8
4
3
1
75,0
Roma
525
93,7
32
29
3
90,6
Torino
293
86,7
65
53
12
81,5
Venezia
69
60,9
12
5
7
41,7
Verona
78
59,0
24
13
11
54,2
6018
64,9
1044
524
520
50,2
Totale
Italia
Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere
5.3.
Il fenomeno dei fablab nelle città italiane: consistenza e dinamiche recenti
Il fenomeno dei fablab è in crescita costante. Se da un lato non si arresta la fase della proliferazione,
dall’altra non si notano fenomeni di vero e proprio consolidamento. I fablab rimangono un fenomeno
con un evidente carattere “bottom up” fortemente caratterizzato dall’intraprendenza di singoli soggetti
privati anche se emergono alcuni tentativi di favorirne l’apertura da parte di soggetti istituzionali (ad
es. la Regione Lazio).
Nel 2014 Make in Italy diede vita al primo censimento dei fablab italiani riuscendo ad ottenere informazioni puntuali da 70 laboratori su un totale di 100 laboratori attivi. Quella prima fotografia è stata
aggiornata nel settembre 2016 e presenta il quadro attuale dei fablab attivi nelle province italiane. Le
informazioni di base sono disponibili su un campione di 96 laboratori su un totale di 116 (82,7%).
Ai fini di questo studio assume rilievo soprattutto la distribuzione dei fablab sul territorio. Come si
vede chiaramente dalla figura 14 la distribuzione è ancora molto disomogenea: ci sono province con
almeno 4 strutture (Milano, Roma, Bologna, Napoli, Modena e Treviso) e ben 36 province nelle quali
non è stato al momento attivato nessun fablab. D’altra parte, che i fablab siano un fenomeno a carattere spontaneo lo si può vedere da diverse angolature: la sede di cui dispongono è nei 2/3 dei casi di
proprietà privata (fig. 15), il soggetto fondatore nella maggior parte dei casi è una persona fisica (fig.16)
44
45
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
e l’attività viene finanziata prevalentemente con risorse private (fig.17).
Fig.15 - Proprietà della sede (val. %)*
Il “carattere di base” dei fablab italiani emerge con una certa chiarezza anche guardando alle risposte
fornite dai gestori rispetto ai soggetti che dovrebbero finanziarne l’attività. La maggior parte delle risposte converge sulle istituzioni locali (il fablab viene dunque percepito come una “risorsa” del territorio). Anche le imprese locali e le loro associazioni vengono chiamate in causa come possibili sostenitori
dei fablab sul territorio. Per contro, circa un terzo delle risposte totali si appuntano su un possibile
coinvolgimento del governo centrale (tab.12).
Molto basse sono invece le attese verso il mondo accademico e praticamente assenti sono i riferimenti
a banche o venture capitalist. Il fablab, nella visione di chi lo ha promosso e lo gestisce, deve dunque
rimanere un laboratorio a carattere autonomo e indipendente, a supporto della comunità di coloro che
si interessano alla fabbricazione digitale ed alle potenzialità che questa esprime.
Per quanto concerne le attrezzature disponibili, si può dire che la stampante 3 D sia il dispositivo “costitutivo” e inevitabile dei Fablab, essendo presente praticamente ovunque. Buone 8introno ai 2/3 dei
fab lab) anche le dotazioni di cutter a laser e di frese (tab.13).
Fig. 14 - Presenza di Fablab per provincia, anno 2016 (v.a.)
*1 missing - Fonte: elaborazione Censis su dati Make in Italy
Fig. 16 - Fondatore del Fab Lab (val. %)
Fonte: elaborazione Censis su dati Make in Italy
Fig. 17 - Fonte di sostegno economico prevalente (val. %)
Fonte: elaborazione Censis su dati Make in Italy
46
Fonte: elaborazione Censis su dati Make in Italy
47
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Tab. 12 - Soggetti che dovrebbero mettere a disposizione risorse maggiori secondo i responsabili dei Fab Lab (val. %, possibili più risposte)
Istituzioni Locali
Imprese
private
Governo
78,1
35,4
31,3
Associazioni
Università
imprenditoriali
21,9
13,5
Fonte: elaborazione Censis su dati Make in Italy
Istituti
di credito
Venture capitalist
7,3
3,1
D.RE.A.M: il FabLab della Città della Scienza dalle curiosità
del pubblico ai servizi digitali innovativi per startup e PMI.
Nell’ambito del piano per la ricostruzione della Città della Scienza di Napoli, sostenuto
dal MIUR (“CDS 2.0 – nuovi prodotti e servizi dell’economia della conoscenza”), e
all’interno del Business Innovation Centre tra i più grandi incubatori d’Italia, è stato
realizzato un “sogno”. D.RE.A.M. (Design and REsearch in Advanced Manufacturing)
è un FabLab di oltre 1.000 mq, una nuova officina/laboratorio specializzata in advanced
design e fabbricazione digitale, dove svolgere attività di ricerca, sviluppo, alta formazione e educazione sulle tecnologie e metodologie “maker”.
L’iniziativa è volta ad intercettare le opportunità di sviluppo economico, industriale e
sociale offerte dall’avvento delle tecnologie digitali in ambito manifatturiero: dal coding
all’elettronica, dalla robotica all’automazione. Oltre al FabLab l’attività si articola, infatti, anche in una D.RE.A.M. Academy e in un Distretto della Fabbricazione Digitale
(D.RE.A.M. District).
Accanto al “luogo della ricerca 2.0.” dotato di un sistema di macchinari e servizi digitali
innovativi a servizio delle startup e delle PMI, DREAM avrà anche un Exhibit FabLab,
una officina museale di nuova generazione per progettare, sperimentare e realizzare i
nuovi spazi da adibire a mostra del Science Centre, con un approccio collaborativo e
multidisciplinare, a partire dalle domande e dalle curiosità del pubblico e con il coinvolgimento di studenti, ricercatori, imprese.
L’approccio di DREAM, che parte da un sistema evoluto di progettazione e produzione
in ambito museale, si candida alla replicabilità del modello in tutti i contesti, anche
industriali, rappresentando una piattaforma privilegiata per lo sviluppo di competenze,
nuove professionalità e imprese innovative nel settore della fabbricazione digitale.
Tab.13 - Attrezzature presenti nei Fab Lab (val. %, possibili più risposte)
Stampante
3d
98,9
Cutter laser
70,5
Fresa
65,3
Plotter
Fonte: elaborazione Censis su dati Make in Italy
37,9
Scanner
3d
32,6
Tornio
8,4
Tornio a
controllo numerico
2,1
5.4.
L’imprenditorialità che nasce dalla ricerca: il caso degli spin-off
universitari
Da circa 15 anni le università italiane individuano negli spin-off imprenditoriali uno dei più importanti canali per trasferire nella concreta attività produttiva gli esiti dell’attività di ricerca che svolgono.
Lo sono sicuramente nella misura in cui rappresentano un elemento di crescita e di vitalità del tessuto
economico locale, ma rappresentano anche una importante via di finalizzazione concreta sul piano
occupazionale per ricercatori che hanno messo a punto tecnologie innovative adatte a trasformarsi in
opportunità di business. Da molti anni l’andamento degli spin-off delle università italiane viene monitorato da NetVal, associazione che raccoglie attualmente il 57% di tutti gli atenei italiani (oltre ad
altri istituti di ricerca come ad esempio il CNR), il 69,1% degli studenti, il 76% dei docenti su base
nazionale, il 77,3% dei docenti afferenti a settori disciplinari scientifici e tecnologici.
Ai fini di questo lavoro assume significato il database di spin-off universitari che viene aggiornato dal
Netval stesso insieme al Centro per l’Innovazione e l’Imprenditorialità dell’Università Politecnica delle
48
49
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Marche, e l’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna.
Tab. 14 - Spin-off italiani della ricerca pubblica attivati da Università e Centri di
ricerca dei grandi comuni (oltre 250.000 abitanti) (*)
Dall’analisi dei dati in esso contenuti si desume che gli spin-off italiani della ricerca pubblica attivati
da università ed enti di ricerca pubblici sono 1.389 al 2015. Il dato si riferisce agli spin-off attivati e
non a quelli esistenti, ma occorre considerare che la cessazione di queste realtà imprenditoriali non è
elevata, al contrario di quanto avviene ad esempio per le startup, e dunque si tratta di un numero che
approssima le imprese effettivamente attive.
Non esiste una correlazione diretta tra le dimensioni degli atenei e il numero di spin-off. Il dato risente,
evidentemente, delle diverse scelte operate sul tema dai vari atenei. Naturalmente un numero molto
elevato di questi spin-off ha come attività prevalente i servizi di consulenza tecnico-scientifica per le
aziende industriali italiane. In questo modo si offre un contributo alla soluzione dei problemi connessi
alla difficoltà delle piccole e piccolissime imprese italiane (soprattutto le manifatturiere) di presidiare
l’innovazione tecnologica.
Rispetto al tema precipuo di questo studio è interessante verificare il numero di spin-off che si sono
originati dalle università e dai centri di ricerca pubblici delle principali città italiane, individuando
in questo fattore un elemento di vivacità locale rispetto al tema della valorizzazione economicoimprenditoriale dell’attività di ricerca.
Il primo elemento da segnalare attiene al fatto che il 43,5% del totale degli spin-off è riconducibile
all’attività delle università delle grandi città italiane, soprattutto Roma, Torino e Milano. Da segnalare,
inoltre, che il fenomeno è in crescita: il 19,2% degli spin-off (e il 18,2% di quelli che interessano le
grandi città) è nato negli ultimi 3 anni (tra il 2013 e il 2015).
Al primo posto troviamo Roma, forte dei suoi tre atenei ma anche dell’attività svolta dal CNR. Seguono Torino e Milano, con i rispettivi Politecnici. Le città del centro Italia (Bologna, Firenze) occupano
le posizioni centrali del rating. Spicca, tra le città del Sud la performance di Bari (49 spin-off) mentre
delude è Napoli (1 solo spin-off) anche se ciò dipende in parte dal fatto che alcune sedi universitarie
sono collocate al di fuori del capoluogo e dunque non vengono conteggiati a livello comunale (tab.15).
E’ comunque evidente che, se si escludono Roma, Milano e Torino, alcune medie città con specifica
vocazione universitaria come Pisa, Padova, Ancona, Perugia, Udine sono in grado di generare spin-off
in misura di gran lunga superiore ad alcune grandi città italiane (e non solo del Mezzogiorno).
v.a.
% sul totale
di cui: attivati negli
ultimi 3 anni (%)
Roma
137
9,9
11,7
Milano
91
6,6
Torino
119
Firenze
Genova
Bari
Bologna
54
53
49
43
8,6
12,6
3,9
42,6
3,8
3,5
3,1
15,4
26,4
10,2
4,7
Palermo
18
1,3
27,8
Venezia
12
0,9
58,3
Verona
Catania
Napoli
16
11
1
1,2
0,8
0,1
37,5
18,2
0,0
Totale grandi comuni
604
43,5
18,0
Totale spin-off attivati
1.389
100,0
19,2
(*) Il comune è relativo alla sede principale dell’università/EPR che ha attivato lo spin-off. Nel caso di collaborazione tra più università/EPR lo spin-off è stato attribuito al grande comune
Fonte: elaborazione Censis su dati reperiti sul portale http://www.spinoffricerca.it/
5.5.
I luoghi di incubazione delle nuove imprese
La realtà degli incubatori d’impresa è ormai radicata in molte nazioni europee fra le quali Germania,
Francia, Inghilterra, Spagna, Olanda, Svezia e Belgio. In generale, il numero degli incubatori aumenta
costantemente, e ciò che più sorprende è che tale crescita si sia verificata soprattutto nel periodo della
crisi economica globale; basti pensare che dal 2007 al 2013 il numero degli incubatori d’impresa in
Europa ha fatto segnare un incremento del 400%.
Si tratta quindi di un panorama composito, nel quale è andata sviluppandosi una pluralità di modelli
che seguono diversi principi e cambiano a seconda delle aree geografiche di riferimento. Questa varietà
può essere tuttavia sottesa da due linee direttrici principali; la prima – tipica del Regno Unito - designa
un modello centralizzato in cui la distribuzione degli incubatori si concentra principalmente nelle capitali, nelle grandi città capoluogo e nei poli ad alta concentrazione tecnologica. Lo stesso non accede,
per esempio, in Svezia e Spegna, dove si promuove un modello decentralizzato, con molti incubatori
uniformemente distribuiti in più aree geografiche.
Anche in Italia gli incubatori d’impresa sono uno dei pilastri fondamentali su cui poggia l’ecosistema
delle startup innovative. Gli incubatori italiani certificati dal Ministero dello sviluppo economico e
50
51
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
iscritti all’apposita sezione speciale del registro delle imprese sono in totale 40, concentrati principalmente nei territori a più alta vocazione imprenditoriale. Il modello italiano sembra essere di tipo misto, non vi è un’estrema concentrazione ma nemmeno una diffusione capillare in grado di assicurare a
tutti i territori i servizi e le opportunità offerte dagli incubatori d’impresa. In Lombardia sono presenti
oltre un terzo di tutti gli incubatori, con la provincia di Milano che da sola arriva a nove società che
sono totalmente o almeno in parte dedicate a offrire servizi utili alle nuove imprese innovative. Seguono Roma con quattro incubatori, Ancona con tre, Trieste e Torino con due. Per la maggior parte si
tratta di incubatori dalle dimensioni ridotte in grado, quindi, di offrire i servizi ad un numero limitato
di nuovi potenziali imprenditori o di nuove startup innovative.
Milano si colloca al 1° posto primeggiando in quasi tutti gli indicatori (è sopravanzata da Roma solo
per numero di spin-off ma d’altra parte il dato romano risente della presenza positiva del CNR). Roma
è al 2° posto che le viene conteso da vicino da Torino, più forte della Capitale per capacità di generare startup a carattere manifatturiero. Seguono Firenze, Bologna e Napoli. Il capoluogo partenopeo
raggiunge la 6^ posizione (subito prima di Genova) grazie ad un buon numero di startup, mentre è
largamente deficitari rispetto a tutti gli altri elementi considerati. Seguono le città del Sud insieme a
Venezia e Verona (tab.15).
In oltre la metà dei casi il valore della produzione nel 2015 è stato inferiore al milione di euro con un
numero di addetti inferiore ai 9. Fa eccezione l’incubatore all’interno di Telecom Italia spa che rientra
nel registro con la società principale, con il conseguente valore di produzione (più di 50 milioni) e di
addetti (oltre 250) “fuori scala”. Il Bic Lazio e Trentino Sviluppo sono altri due fra i più grandi incubatori per numero di addetti e per valore di produzione. L’erogazione di servizi (spazi, attrezzature tramite i fablab, formazione e accesso ai mercati di riferimento) ne fa degli hub territoriali che sostengono
l’innovazione e la crescita dell’imprenditorialità.
InfiniteArea: l’incubatore “capovolto” che crea startup e fa
open innovation partendo dai fabbisogni delle imprese.
Nasce nel 2015, nel pieno dell’area industriale di Montebelluna (TV), l’incubatore che
parte dalle esigenze delle imprese del territorio per sviluppare progetti di innovazione
e, in alcuni casi, trasformarli in startup. Grazie a gruppi di lavoro messi a disposizione,
un’impresa esistente con una necessità da risolvere o una opportunità da sviluppare può
avviare un proprio innovation lab o una startup on demand per generare innovazione.
InfiniteArea è infatti definito l’incubatore “capovolto”. All’interno di un capannone industriale dismesso riqualificato di 2.500 metri si trovano spazi di lavoro, aree di coworking, sale meeting, sale training, uffici, un’arena e, al centro della struttura, la carlinga
incompiuta di un ATR-42 che viene utilizzata come sala riunioni e che simboleggia la
volontà di far decollare idee, talenti e imprese.
L’obiettivo del suo fondatore Patrizio Bof, imprenditore e presidente della software house Pat, è da un lato quello di eliminare l’incertezza di non sapere se l’idea sviluppata
avrà o meno un mercato, poiché le startup nascono proprio da un bisogno concreto del
mercato stesso, e dall’altro rilanciare il territorio locale.
InfiniteArea si candida quindi a modello sostenibile e performante a supporto delle
imprese di un territorio in cui alla richiesta di open innovation che arriva da un’azienda,
corrisponde la creazione di nuovo lavoro.
5.6.
Il posizionamento delle grandi città italiane rispetto ai fenomeni
che attestano la presenza di ecosistemi innovativi abilitanti
Analizzando congiuntamente tutte le fenomenologie più innovative fin qui considerate (startup, spinoff, incubatori e fablab) è possibile costruire un indice sintetico di dotazione per le grandi città italiane.
52
L’analisi fin qui condotta può essere integrata esaminando i dati con riferimento alle province di cui
risultano capoluogo le 12 maggiori città italiane. Quest’operazione è giustificata dal fatto che le province considerate (con l’esclusione di Verona) costituiscono la base territoriale delle nuove Città Metropolitane (che comprendono anche Reggio Calabria, Cagliari, e Messina). I nuovi enti dovranno
redigere dei piani strategici di area vasta dove prevedere la collocazione dei driver dell’innovazione e
dell’imprenditorialità e questo giustifica la scelta metodologica adottata. Estendendo l’analisi all’intero
territorio provinciale il ranking degli ecosistemi innovativi risulta in parte modificato. Le prime tre
province non si differenziano rispetto al posizionamento ottenuto dai capoluoghi. Bologna sale al 4°
posto superando Firenze con riferimento a tutti gli indicatori considerati. Bari sale al 7° posto (era
al 9° considerando il solo capoluogo). Risalgono anche le due città venete, che possiedono una quota
significativa del loro ecosistema innovativo distribuito nei comuni della provincia (tab.16).
Tab. 15 - Ecosistema innovativo delle maggiori città italiane (v.a., val. % e numeri
indice)
Startup innovative
manifatturierio
Startup innovative totale
Incubatori
Fablab
Spinoff(*)
Milano
67
797
9
7
91
122
1
Roma
29
492
4
4
137
111
2
Torino
53
254
2
1
119
105
3
Firenze
18
103
1
2
54
99
4
Bologna
17
115
1
2
43
98
5
Napoli
15
144
0
3
1
96
6
Genova
12
78
0
1
53
96
7
Catania
10
55
0
2
11
95
8
Bari
6
53
0
0
49
94
9
Venezia
5
42
1
1
12
94
10
Palermo
3
65
0
1
18
94
11
Verona
13
46
0
0
16
93
12
Totale Grandi città
248
2244
18
24
604
% grandi città sul totale
47,3
37,3
45,0
20,7
43,5
Città
Indice
sintetico
Rango
Totale Italia
524
6018
40
116
1389 (*) il dato è relativo alla sede dell’ente generatore dello spin-off e non alla localizzazione dell’impresa
Fonte: elaborazioni Censis su fonti varie
53
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Tab. 16. - Ecosistema innovativo provinciale delle maggiori città italiane (v.a., val.
% e numeri indice)
6. Roma e il Lazio, l’importanza di scommettere su una nuova manifattura
Città
Startup innovative
settore manifatturierio
Startup innovative totale
Incubatori
Fablab
Indice
Spin-off(*) Rango
sintetico
Milano
88
880
9
8
91
122
1
Roma
32
525
4
5
139
110
2
Torino
65
293
2
3
119
106
3
Bologna
38
186
1
5
43
101
4
Firenze
21
138
1
2
54
97
5
Napoli
20
196
0
4
2
96
6
Bari
18
117
0
2
49
96
7
Verona
24
78
0
2
16
95
8
Genova
13
81
0
1
53
94
9
Venezia
12
69
1
2
12
94
10
Catania
15
98
0
2
11
94
11
Palermo
5
77
0
1
18
92
12
351
2738
18
37
607
248
2244
18
24
604
23,8
37,3
45,0
20,7
43,5
33,6
45,5
45,0
31,9
43,7
Totale Province
Totale Grandi
città
% grandi città
sul totale
% province sul
totale
Totale Italia
1044
6018
40
116
1389
(*) il dato è relativo alla sede dell’ente generatore dello spin-off e non alla localizzazione dell’impresa
Fonte: elaborazioni Censis su fonti varie
6.1.
Il quadro macroeconomico
La dimensione economica della regione e del territorio romano sono rilevanti. Il Pil del Lazio è paragonabile a quello dell’Irlanda e superiore a quello della Grecia, il Pil dell’area romana, secondo in Italia
solo a quello dell’area milanese, è equivalente a quello dell’intera Romania.
Le peculiarità della regione sono note. L’assoluta predominanza di Roma rispetto all’armatura urbana
regionale costituisce per il Lazio un dato di fatto “storico”: basti ricordare che il territorio della Città
metropolitana di Roma ospita il 73,7% della popolazione regionale e produce l’82% del Pil regionale.
Anche dal punto di vista manifatturiero il peso di Roma è predominante, anche se in misura meno
accentuata (62% del valore aggiunto).
A questo squilibrio a livello regionale corrisponde, al contrario, un minore squilibrio tra Roma e
l’Italia. La Capitale ha, rispetto al Paese, un peso relativo, in termini economici e demografici, assai
inferiore rispetto a quanto si registra nella maggior parte degli altri paesi europei. L’area romana pesa
appena per il 9% circa del Pil nazionale, contro percentuali ben più elevate ad esempio di Parigi
(30%), Vienna (26%), Lisbona (37%), Copenaghen (39%), Londra (22%). Ad ulteriore dimostrazione che il nostro dal punto di vista economico-produttivo nonché urbano e demografico, resta un paese
fortemente policentrico.
Veniamo da anni che hanno profondamente segnato l’economia della regione e della città. La crisi ha
prodotto in questi anni un arretramento del sistema produttivo laziale, modificando il peso relativo dei
diversi settori. In particolare alla diminuzione generale del valore aggiunto regionale ha corrisposto una
riduzione dell’incidenza dell’industria sul totale dell’economia.
Tra 2008 e 2013 il valore aggiunto prodotto nel territorio della Città metropolitana di Roma è sceso,
in termini reali, di oltre 6 punti percentuali, in linea col dato regionale e con quello dell’Italia centrale
(fig. 18) . Isolando l’andamento del solo settore manifatturiero la caduta è più accentuata: a Roma e
nel Lazio si registra un -10,7%, un dato assai critico ma meno negativo di quello dell’Italia centrale nel
suo insieme (-15,7%) e del Paese (-13,5%).
Chiaramente un settore altrove molto rilevante per l’economia e l’occupazione, come l’industria, ha
nell’area romana un peso relativo decisamente inferiore alla media nazionale. Come del resto il volume
di esportazioni (considerevoli nelle altre province della regione) è assai limitato, non in linea con le
dimensioni della ricchezza espressa dal territorio.
Peraltro il peso del manifatturiero sul Pil in questi stessi anni è diminuito, sia a livello regionale che a
livello romano (tab. 17). Nel Lazio è passato dal 7,5% del 2008 al 6,1% del 2009, con un parziale recupero negli anni successivi. Oggi il manifatturiero concorre al Pil regionale in misura inferiore al 7%,
e a quello dell’area romana nella misura del 5%, mentre nel resto della regione il contributo è molto
più rilevante e si attesta sopra il 14%, un valore superiore a quello medio dell’Italia centrale. Ciò grazie
alla forte incidenza del settore industriale nell’economia delle province di Frosinone (19%) e Latina
(16%), grazie soprattutto al primato consolidato dei comparti della farmaceutica e della chimica, che
trainano le esportazioni della regione.
In termini complessivi queste dinamiche hanno ulteriormente accentuato la vocazione terziaria del ter-
54
55
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
ritorio a scapito del settore industriale. Su questo dato incide naturalmente il peso dell’area romana, in
cui per diverse ragioni anche storiche (il ruolo di Capitale, lo straordinario patrimonio storico-artistico
e quindi il grande appeal turistico ecc.), la prevalenza del settore dei servizi è pressoché assoluta: quasi
l’87% del Pil e l’87% degli occupati.
Tab. 17 - Peso del settore manifatturiero sul Pil (val.%)
La fase critica dell’economia cittadina ha aspetti per alcuni versi inediti. Infatti a Roma il peso della
pubblica amministrazione e del suo indotto da un lato, e quello dell’edilizia dall’altro, per anni hanno
svolto la funzione di fattori anticiclici, tanto che Roma e la sua area registravano, nei periodi di crisi
dell’economia nazionale, performances migliori della media del Paese.
Oggi la situazione è in parte mutata: se prevalgono i servizi, ed il peso della PA resta comunque più
rilevante della media del Paese, la capacità della spesa pubblica di alimentare i circuiti economici della
città si è molto ridimensionata e l’edilizia abitativa, dopo un lungo ciclo espansivo, è ancora in forte
crisi. Quindi le difficoltà generali del Paese si riflettono fortemente anche sulla sua Capitale.
In questo contesto è importante analizzare l’andamento di un settore, quello manifatturiero, che seppur minoritario, rappresenta uno spazio importante di diversificazione dell’economia urbana.
Certo la dimensione comunale a Roma è tale che la città ha comunque presenze industriali diffuse
(10mila imprese), ancorché di modeste dimensioni. Per numero di imprese manifatturiere Roma è
comunque il secondo comune italiano. Del resto, il tessuto imprenditoriale romano è fatto di poche
grandissime imprese (in sostanza ex partecipazioni statali) e da molte piccole e piccolissime aziende che
operano in tanti settori, mentre manca la misura intermedia.
Quanto agli addetti, Roma con il 10,2% del totale nazionale si colloca al terzo posto tra i comuni
italiani dopo Milano (21%) e Torino (11%). Peraltro anche il settore industriale romano ha registrato
una significativa contrazione occupazionale: si è passati dai circa 145mila occupati agli attuali 122mila.
Sebbene si associ facilmente l’immagine della città al settore delle costruzioni, questo concorre meno
di quello dell’industria in senso stretto sia alla creazione del Pil (circa il 4% contro il 9%), che all’occupazione (96mila occupati nell’edilizia contro i 122mila dell’industria).
Fig. 18 – Variazione 2008-2013 del valore aggiunto in termini reali (val.%)
2008
2009
2010
2011
2012
2013
Lazio
7,5
6,1
6,9
6,5
6,5
6,9
Resto della regione
15,8
13,3
13,7
13,9
13,8
14,4
Italia
17,1
15,2
15,8
15,8
15,4
15,3
Provincia di Roma
Italia centrale
5,6
13,8
4,6
11,8
5,4
12,4
4,9
12,0
4,9
11,9
5,2
12,0
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
6.2.
Segnali di futuro
Il Lazio e Roma in particolare, rappresentano, al di là di immagini stereotipate, realtà dinamiche in cui
accanto a numerosi elementi critici, non mancano esperienze di forte innovazione.
Riguardo alla Capitale è il caso qui di richiamare alcune evidenze già illustrate nella parte generale del
rapporto. Se Roma si colloca nella parte bassa della classifica per quanto riguarda gli indici di vocazione e vitalità manifatturiera il suo posizionamento è, al contrario, di vertice tra le grandi città italiane
rispetto ai fenomeni che attestano la presenza di ecosistemi innovativi abilitanti (vedi cap. 5). Come
si è visto, l’indice sintetico di dotazione costruito analizzando congiuntamente tutte le fenomenologie
più innovative fin qui considerate (startup, spin-off, incubatori e fablab), vede Roma al secondo posto
dopo Milano.
Del resto:
- il profilo degli occupati nel settore “industria in senso stretto” vede al livello nazionale una quota di laureati pari al 10,8%. A Roma tale dato sale al 27%, seconda solo a Milano che registra
addirittura un 36% di laureati tra gli addetti manifatturieri;
- in relazione alle start up innovative Roma con 525 realtà occupa il secondo posto in termini
assoluti tra i comuni, considerando tutti i settori, ed il terzo posto considerando solo la start
up che operano in ambito manifatturiero (sono 32 contro le 88 di Milano e le 65 di Torino);
- per quanto riguarda gli spin off universitari, Roma occupa (anche grazie alla presenza del
CNR) il primo posto con ben 137 realtà (circa il 10% del totale);
- quanto agli incubatori, con 4 strutture certificate Roma è - sempre in termini assoluti - la seconda realtà italiana dopo Milano che ne conta 9;
- infine in relazione al fenomeno dei FabLab, Roma con 4 strutture si colloca nella parte alta
della graduatoria.
E’ evidente che, in relazione a tali posizionamenti nel ranking, la grande dimensione della città è determinante, ma tale vivacità rimanda chiaramente anche a :
- la vocazione di polo nazionale e internazionale, che rende possibile intercettare stimoli diversissimi;
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
56
- la forte concentrazione di luoghi di alta formazione e di ricerca (atenei, istituti di ricerca pubblici e privati, ecc.) nei più diversi ambiti;
- la presenza di un settore creativo legato alla comunicazione molto forte;
57
Secondo rapporto Make in Italy
- l’evoluzione della domanda e degli stili di vita che proprio nella grande metropoli sono più
facilmente rappresentati.
Pur non avendo alle spalle una vocazione manifatturiera paragonabile a quella di altre città del centro-nord, in questa nuova fase legata all’industria 4.0 Roma può giocare un ruolo importante. Sono
infatti elevate le potenzialità della Capitale nella “manifattura innovativa”, ambito nel quale registra
performances sicuramente migliori rispetto a quelle della manifattura considerata complessivamente.
Si tratta anche, in termini generali, di creare un contesto culturale favorevole, aperto a considerare il
futuro della città come sempre più legato all’innovazione, a nuove idee e modelli di sviluppo (creando
iniziative imprenditoriali e nuovo lavoro a maggiore valore aggiunto), che aiuti la città ad abbandonare
le vecchie logiche della rendita, che tanto hanno pesato finora sull’economia romana.
Da questo punto di vista è certamente significativo il fatto stesso che Roma ospiti per il quarto anno
consecutivo la “Maker Faire – The European Edition”, evento che registra un crescente e per molti verso inatteso riscontro di pubblico, soprattutto giovanile. In questi anni la crescita della Maker Faire, resa
visibile a tutta la città dal trasferimento della sede di anno in anno in spazi urbani sempre più grandi,
è andata di pari passo con una sempre maggiore curiosità ed interesse dei giovani per il tema dell’innovazione e dell’autoimprenditorialità. Per qualche giorno la città diventa quello che in prospettiva può
diventare, un centro propulsivo a livello europeo di nuove idee, contenuti e modelli economici.
Vi sono, ma vanno rafforzati, i presupposti perché questa prospettiva diventi sempre più concreta: si
tratta evidentemente in primo luogo di fare interagire più intensamente una serie di asset che la città
possiede e che se riescono a trovare sintesi possono contribuire a dare alla Capitale una prospettiva di
nuovo sviluppo certamente promettente.
E si tratta anche di valorizzare e far crescere quei segnali di futuro che oggi sono rappresentati dalle
diversissime e interessanti imprese innovative che si affacciano sulla scena romana.
6.3.
Roma: le potenzialità di rilancio legate alla manifattura urbana
Per comprendere in che modo la nuova manifattura può offrire un contributo importante in termini
di riorganizzazione della base produttiva urbana, è stato realizzato uno specifico approfondimento su
alcune imprese romane.
I cinque casi di imprese illustrati nelle pagine seguenti, relativi ad altrettante giovani imprese romane
operanti in ambiti molto diversi tra loro (abbigliamento, agroalimentare, elettronica, bioscienze, artigianato artistico), sono paradigmatici dell’evoluzione della manifattura urbana.
Va detto che si tratta di imprese di piccole dimensioni ma che operano a scala nazionale e internazionale. Quindi al di là della dimensione, non sono aziende che vivono della domanda locale, o che si
originano in qualche modo dalla domanda storica legata al ruolo di Capitale. In passato, infatti, tale
funzione ha fatto sviluppare alcuni ambiti industriali come risposta diretta alla domanda della PA, si
pensi ad esempio al settore poligrafico.
I casi dimostrano come Roma possa rappresentare un esempio interessante di connubio tra il settore
dei servizi e settori produttivi a partire dall’importanza che ha nella sua economia l’industria creativa
e culturale.
Analizzando attraverso il caso romano i vantaggi e i limiti di una localizzazione urbana della manifattura, si può dire che (tav.1):
58
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
- a fronte della centralità che assume la forza innovativa dell’idea imprenditoriale, non vi è dubbio che da questo punto di vista l’ambiente urbano offra dei vantaggi peculiari. Tra i fattori
positivi vi sono certamente gli stimoli all’ideazione che vengono dalla densità di relazioni e di
soggetti presenti in città, ovvero dallo stare in contatto con tanti ambiti diversi e dalla possibilità di ibridare e integrare competenze diverse. L’incrocio tra creatività, ricerca e innovazione da
un lato e la capacità imprenditoriale dall’altro può dar luogo ad esiti imprevisti. L’innovazione
frequentemente nasce nell’incontro tra competenze e culture diverse: come nel caso dell’incontro, talvolta casuale, tra ricerca tecnologica e nuove esigenze sociali, che da luogo a produzioni
innovative;
- un secondo fattore di vantaggio potenziale è costituito dall’offerta di lavoro. Il grande bacino
urbano offre, grazie alla presenza di grandi atenei, la possibilità di intercettare facilmente risorse
umane qualificate, aggiornate e specializzate nel campo di interesse. Risorse qualificate, e purtroppo, nel contesto attuale, spesso a basso costo;
- sul piano del presidio del mercato, operare nella grande città certamente facilita la comprensione delle tendenze di punta della società e quindi dell’evoluzione della domanda;
- infine, vi è un altro elemento importante: operare in una grande città di fama internazionale
aumenta la propria potenziale visibilità ed accresce le ambizioni di leadership di mercato: si fa
impresa pensando in grande anche quando si è piccoli dal punto di vista dimensionale.
A fronte di questi elementi di potenziale vantaggio, riscontrabili anche nei casi di imprese che sono stati
analizzati (vedi allegato), è interessante sottolineare che vi sono altri fattori, che in passato costituivano
degli ostacoli alla coesistenza tra industria e città, che oggi possiamo quasi considerare neutri. Infatti:
- i costi di insediamento, che in passato rendevano poco sostenibili localizzazioni urbane, dopo
la crisi del mercato costituiscono una barriera meno importante rispetto agli anni del boom
immobiliare (1997-2007);
- gli impatti ambientali (in termini di consumo di suolo, rumore, inquinanti) grazie all’evoluzione della manifattura sono notevolmente diminuiti e ciò rende maggiormente compatibili
produzione e contesto urbano;
- anche l’assenza di un retroterra imprenditoriale solido (sia a livello del singolo che a livello della
comunità urbana), appare oggi un ostacolo superabile. Infatti non mancano strutture come gli
incubatori e gli acceleratori, o anche i Fablab che in modi diversi svolgono un ruolo fondamentale di sostegno delle start-up imprenditoriali.
Infine, gli elementi di vincolo, i fattori di penalizzazione:
- non vi è dubbio che la grande città presenta elevati fattori di dispersione, congestione, frammentazione che se non ben governati diventano degli ostacoli al fare impresa. Spesso nascono
iniziative individuali di grande qualità, che vengono anche supportate dal settore pubblico ma
che poi, in un contesto dispersivo come quello metropolitano, rischiano di rimanere isolate,
di non fare sistema tra loro. In questo senso a maggior ragione nella grande città, sono fondamentali gli stimoli e la facilitazione dei processi aggregativi di reti d’impresa;
- anche la burocrazia, gli iter procedurali, nella grande città possono risultare ancor più onerosi;
- infine un fattore di penalizzazione molto avvertito (specie nel caso romano) è quello relativo
alle disfunzioni della logistica e ad una mobilità profondamente invischiata e congestionata.
59
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Tav. 1 - La nuova manifattura urbana oggi: punti di forza e di debolezza rispetto al tradizionale
modello insediativo industriale
alto valore aggiunto e con maggiore presenza di lavoro ad alta qualificazione, la chance per Roma e per
il Lazio è quella di creare un “ponte” ed un legame organico tra la realtà (importante a Roma) dei tanti
centri di ricerca ed innovazione ed il mondo della produzione.
Fattori di potenziale vantaggio
della città
Stimoli all’ideazione che vengono
dallo stare in contatto con tanti
ambiti diversi e ibridarli
Fattori tendenzialmente neutri
(su cui è possibile incidere nel
breve)
(più difficili da neutralizzare)
Costi di insediamento, dopo la
Tempi lunghi e faticosi della burocrisi meno importanti per la elecrazia, iter più complicati rispetto
vata disponibilità di aree e conte- al piccolo centro
nitori sfitti
Possibilità di intercettare facilmen- Inserimento in tessuti urbani
te risorse umane qualificate e spe- misti con forte componente resicializzate nel campo di interesse
denziale
(a basso costo)
Possibilità di presidiare delle tendenze di punta della società e
quindi della domanda di mercato,
in continua evoluzione
Fattori penalizzanti
Potenziale debolezza del retroterra imprenditoriale (assenza di
una vocazione storica)
Rischio di maggiore frammentazione e dispersione nel tessuto
urbano
Fattori di congestione che possono
incidere sulla logistica
Maggiore visibilità nazionale ed
internazionale.
Possibilità di intercettare opportunità di finanziamento e iniziative di sostegno che provengono
Ambizioni di leadership di mercato dalla PA
Possibilità di sfruttare segmenti
di mercato e reti di distribuzione
ampie e variegate (rilevanti anche
quando si tratta di nicchie)
Fonte: Censis 2016
6.4.
Una politica di reindustrializzazione basata sull’innovazione
Si tratta di una strategia complessiva di riqualificazione dell’offerta produttiva, che intende abbandonare vecchie logiche di intervento inefficaci come quelle basate sulla distribuzione a pioggia delle
risorse, che prescindevano da obiettivi e qualità dei progetti.
La logica è invece quella di valorizzare e sostenere le trasformazioni positive in atto supportando le
imprese nella loro trasformazione verso la manifattura 4.0.
Nel caso di Roma, naturalmente, un’attenzione particolare è indirizzata ad una dimensione importante
e peculiare dell’industria romana che è quella creativa, culturale, legata all’entertainment, ecc.
Oltre al sostegno alle imprese, attraverso una serie di bandi (nel Lazio circa 200 imprese innovative
hanno beneficiato di un sostegno), è importante sottolineare il ruolo per la città e la regione di luoghi/
strutture che hanno come mission specifica quella di sostenere e diffondere le imprese innovative, e
facilitarne la crescita. Si tratta di un’azione di particolare rilevanza in un contesto come quello romano,
dove la vocazione manifatturiera è storicamente meno forte che altrove.
Di qui l’importanza di strutture come gli incubatori/acceleratori di impresa, fondamentali per sostenere gli sforzi iniziali delle startup ed accompagnarle in un percorso di crescita, fornendo strumenti e
spazi utili.
Al riguardo nella Capitale operano almeno sei strutture, ed altre due sono attive nell’area metropolitana (tav. 2).
Ed è anche il caso dei FabLab. In questo ambito, ai Fablab già presenti (come Makers Roma) si aggiungono quelli promossi dalla Regione nell’ambito del progetto per la creazione di una rete del Fablab
regionale diffuso. Rete che si articola su quattro poli con differenti indirizzi:
- FabLab Roma Casilino, specializzato appunto nell’industria creativa;
Si è fatto cenno all’emergere di segnali di futuro, pur all’interno di un contesto ancora critico per l’economia cittadina e regionale. Naturalmente si tratta spesso di realtà imprenditoriali ancora giovani,
che hanno piccola dimensione, che si muovono su territori inesplorati e che nascono all’incrocio tra
mondo della produzione e mondo dei servizi.
Sono in prospettiva segnali importanti per Roma perché la mera risposta adattiva alla crisi, fatta soprattutto di crescita dei servizi (che hanno visto aumentare il numero delle imprese e gli occupati), spesso
a basso valore aggiunto, non basta, anzi può costituire un grosso limite, ed infatti non è stata in grado
di contenere la perdita di valore.
Per tornare a crescere e riacquistare le quote di PIL perse, Roma ed il Lazio devono diversificare maggiormente la loro base economica, puntando quindi anche sull’industria manifatturiera urbana, da
rilanciare in sinergia con i servizi, e ridando una nuova mission al settore edile, che deve diventare
protagonista della rigenerazione sostenibile della città esistente.
In questo contesto, è significativo che la Regione abbia varato una strategia per incentivare e sostenere
la reindustrializzazione sul territorio. Una politica che, partendo dalla presa d’atto delle dinamiche
recenti dell’economia regionale e dei mutamenti intervenuti all’interno della stessa manifattura, cerca
di favorire un processo di ricollocazione del sistema industriale sulla frontiera della tecnologia avanzata.
- FabLab Bracciano, specializzato nell’agrifood;
- FabLab Viterbo, specializzato nell’industria culturale;
- FabLab Latina, laboratorio con indirizzo multispecialistico.
L’obiettivo è supportare tutti quelli che sono portatori di un’idea progettuale - e non sanno come realizzarla - a dar vita a progetti innovativi attraverso sperimentazione, produzione e prototipazione rapida.
In ogni sede del FabLab infatti è possibile utilizzare macchinari sofisticati e tecnologie all’avanguardia,
tutti messi a disposizione degli associati.
In particolare le sedi di Roma, Bracciano e Viterbo del FabLab distribuito, nascono dal progetto
“STAART UP – Creazione di FabLab regionali per imprese operanti nel campo culturale, creativo e
delle arti figurative” promosso dall’Assessorato alla Cultura e Politiche giovanili della Regione Lazio e
finanziato dal POR-FESR 2007-2013. Si tratta evidentemente di un processo in divenire, in cui tentativi dal basso e dall’alto sono in corso per
sostenere nel territorio regionale e specificatamente romano un ecosistema dell’innovazione. A fronte delle trasformazioni interne alla stessa manifattura, con lo spostamento verso produzioni ad
60
61
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Tav. 2 . Gli incubatori e acceleratori di impresa dell’area romana
In città
Struttura
Localizzazione
ITech (BIC Lazio)
Tecnopolo Tiburtino
Spin Over (Università Tor
Vergata)
Luiss EnLabs (Luiss)
Anno
avvio
2006
Tor Vergata
2008
Stazione Termini
2010
Impact Hub Roma Business Unit (Rete Impact
Hub)
San Lorenzo
Pi Campus
EUR
TIM Working Capital (TIM) Trastevere
Negli altri comuni metropolitani
2012
2013
2016
Focus
Promozione progetti innovativi, aiuto nell’accesso a fondi di investimento
Supporto a imprese che provengono dal mondo
della ricerca.
Digitale e innovazione
(oltre al mentoring offre anche finanziamenti)
Innovazione sociale e territoriale
Startup innovative e digitale
Direzione aziendale e consulenza gestionale
IAgri – Spazio Attivo Bracciano(BIC Lazio)
Bracciano
Produzioni agricole e alimentare di qualità
Spazio Attivo Colleferro
Efficienza energetica e sostenibilità ambientale
(BIC Lazio)
Fonte: Censis 2016
62
Colleferro
ALLEGATO:
TAVOLE DI CONSISTENZA, VOCAZIONE, VITALITA’
E CONCENTRAZIONE URBANA DEL SETTORE MANIFATTURIERO
63
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Tav A. La “consistenza” manifatturiera delle città italiane - Imprese attive e addetti nel manifatturiero e popolazione residente nei comuni capoluogo, anno 2015 (v.a.)
Territorio
Addetti nel
manifatturiero
2015 (v.a.)
%
Territorio
Imprese attive
nel manifatturiero 2015
(v.a.)
%
Territorio
Popolazione
residente
2015 (v.a.)
%
Milano
208.795
21,3
Milano
13.852
10,9
Roma
2.864.731
15,7
Torino
110.458
11,2
Roma
13.300
10,5
Milano
1.345.851
7,4
Roma
100.502
10,2
Torino
6.957
5,5
Napoli
974.074
5,3
Prato
28.313
2,9
Napoli
6.686
5,3
Torino
890.529
4,9
Verona
25.401
2,6
Prato
5.941
4,7
Palermo
674.435
3,7
Napoli
25.280
2,6
Firenze
3.690
2,9
Genova
586.655
3,2
Firenze
23.811
2,4
Genova
3.687
2,9
Bologna
386.663
2,1
Parma
21.078
2,1
Palermo
2.781
2,2
Firenze
382.808
2,1
2.728
2,1
Bari
Modena
20.749
2,1
Barletta-Andria-Trani
Genova
19.439
2,0
Bologna
2.070
1,6
Catania
Reggio
nell’Emilia
18.677
1,9
Catania
1.989
1,6
Venezia
Bologna
18.160
1,8
Modena
1.921
1,5
Verona
258.765
251.471
238.439
Brescia
16.493
1,7
Parma
1.838
1,4
Barletta-Andria-Trani
Bergamo
12.922
1,3
Venezia
1.800
1,4
Messina
1.778
1,4
Padova
326.344
314.555
263.352
Foggia
Piacenza
6.649
0,7
Pescara
942
0,7
Rimini
147.750
0,8
Ravenna
6.361
0,6
Salerno
938
0,7
Salerno
135.261
0,7
Trento
6.182
0,6
Latina
922
0,7
Ferrara
133.155
0,7
Catania
6.039
0,6
Ravenna
902
0,7
Sassari
127.525
0,7
Bari
5.969
0,6
Rimini
902
0,7
Latina
125.985
0,7
Terni
5.780
0,6
Livorno
895
0,7
Monza
122.671
0,7
877
0,7
Siracusa
151.991
0,8
Lecco
5.619
0,6
Reggio di
Calabria
Rimini
5.615
0,6
Piacenza
833
0,7
Pescara
121.014
0,7
Pordenone
5.151
0,5
Ferrara
806
0,6
Bergamo
119.381
0,7
Treviso
5.001
0,5
Trieste
796
0,6
Forlì-Cesena
117.913
0,6
Ferrara
4.413
0,4
Pistoia
791
0,6
Trento
117.317
0,6
Cremona
4.317
0,4
Taranto
790
0,6
Vicenza
112.953
0,6
Novara
4.252
0,4
Como
776
0,6
Terni
111.501
0,6
Pescara
4.236
0,4
Siracusa
752
0,6
Bolzano
106.441
0,6
Livorno
4.099
0,4
Sassari
746
0,6
Novara
104.380
0,6
Como
4.057
0,4
Lucca
711
0,6
Piacenza
102.191
0,6
0,4
Olbia-Tempio
711
0,6
Ancona
700
0,6
Arezzo
3.871
122.291
100.861
0,7
0,6
0,4
Cagliari
3.732
0,4
Foggia
689
0,5
Udine
99.169
0,5
Alessandria
3.689
0,4
Varese
675
0,5
Lecce
94.773
0,5
Lucca
3.684
0,4
Terni
658
0,5
Pesaro e
Urbino
94.582
Pisa
3.663
0,4
Lecce
602
0,5
La Spezia
93.959
0,5
Taranto
3.584
0,4
Ancona
597
0,5
Alessandria
93.943
0,5
Salerno
3.520
0,4
Bolzano
593
0,5
Catanzaro
90.612
0,5
Siracusa
3.456
0,4
Alessandria
583
0,5
Pistoia
Chieti
3.391
0,3
Ragusa
568
0,4
Pisa
89.158
0,5
Cuneo
3.387
0,3
Trento
566
0,4
Lucca
89.046
0,5
Rovigo
3.248
0,3
Udine
552
0,4
Brindisi
88.302
0,5
Pistoia
3.149
0,3
La Spezia
551
0,4
Como
84.495
0,5
Fermo
2.899
0,3
Asti
548
0,4
Treviso
83.731
0,5
1,0
Ascoli Piceno
2.889
0,3
Novara
534
0,4
Grosseto
0,9
Brindisi
2.880
0,3
Treviso
506
0,4
Varese
80.799
0,4
Lecce
2.878
0,3
Fermo
506
0,4
Caserta
76.326
0,4
La Spezia
2.845
0,3
Frosinone
506
0,4
Asti
76.202
0,4
Messina
2.778
0,3
Lecco
501
0,4
Olbia-Tempio
73.611
Foggia
2.756
0,3
Cremona
497
0,4
Ragusa
73.313
0,4
Siena
2.731
0,3
Matera
471
0,4
Pavia
72.576
0,4
1,4
1,4
1,4
1,3
12.146
1,2
Bari
1.706
1,3
Trieste
204.420
1,1
Padova
10.074
1,0
Brescia
1.703
1,3
Taranto
201.100
1,1
Forlì-Cesena
9.149
0,9
Verona
1.527
1,2
Brescia
196.480
1,1
Arezzo
8.962
0,9
Arezzo
1.500
1,2
Parma
192.836
1,1
Venezia
8.740
0,9
Padova
1.382
1,1
Prato
191.150
1,0
Varese
7.915
0,8
Perugia
1.236
1,0
Modena
184.973
1,0
0,8
Forlì-Cesena
1,0
Reggio di
Calabria
183.035
171.345
166.134
1,2
Vicenza
7.648
0,8
Messina
1.169
0,9
Reggio
nell’Emilia
Monza
7.572
0,8
Cagliari
1.149
0,9
Perugia
Pesaro e
Urbino
7.533
0,8
Bergamo
1.093
0,9
Livorno
Palermo
7.228
0,7
Vicenza
988
0,8
Ravenna
159.116
0,9
Perugia
7.175
0,7
Monza
962
0,8
Cagliari
154.460
0,8
64
0,8
3.786
Trieste
159.219
961
Biella
1,7
1,3
1.214
Pesaro e
Urbino
Massa-Carrara
12.432
7.778
0,7
1,8
Reggio
nell’Emilia
Bolzano
7.039
Mantova
Barletta-Andria-Trani
210.401
Latina
0,9
0,9
99.543
90.315
82.087
0,5
0,5
0,5
0,5
0,4
65
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Massa-Carrara
2.674
0,3
Caserta
470
0,4
Cremona
Ancona
2.666
0,3
Trapani
442
0,3
L’Aquila
69.753
0,3
Massa-Carrara
69.479
Olbia-Tempio
2.575
0,3
Cosenza
440
71.901
Belluno
710
0,1
Verbano-Cusio-Ossola
202
0,2
Nuoro
Cosenza
709
0,1
Oristano
202
0,2
Belluno
35.870
0,2
Vibo Valentia
682
0,1
Siena
194
0,2
Gorizia
34.844
0,2
Nuoro
626
0,1
Vibo Valentia
190
0,1
Aosta
Ogliastra
576
0,1
Gorizia
171
0,1
Vibo Valentia
33.941
0,2
0,2
0,4
0,4
0,4
37.091
0,2
Teramo
2.359
0,2
Catanzaro
439
0,3
Trapani
Ragusa
2.239
0,2
L’Aquila
433
0,3
Cosenza
67.546
0,4
Frosinone
2.221
0,2
Pisa
426
0,3
Viterbo
67.173
0,4
Matera
2.063
0,2
Grosseto
426
0,3
Potenza
67.122
0,4
Oristano
573
0,1
Belluno
168
0,1
Oristano
31.630
Udine
2.033
0,2
Caltanissetta
426
0,3
Caltanissetta
0,3
Agrigento
564
0,1
Enna
152
0,1
Verbano-Cusio-Ossola
30.961
Asti
1.998
0,2
Rovigo
412
0,3
Crotone
62.178
0,3
Avellino
1.969
0,2
Viterbo
409
0,3
Savona
61.345
0,3
563
0,1
150
0,1
Enna
Benevento
1.861
0,2
Ascoli Piceno
Imperia
Medio
Campidano
408
0,3
Matera
0,3
467
0,0
Aosta
143
0,1
Medio Campidano
22.631
Reggio di
Calabria
Medio Campidano
1.761
0,2
Chieti
402
0,3
Benevento
Enna
458
0,0
Ogliastra
134
0,1
Isernia
21.842
0,1
Caserta
1.656
0,2
Biella
400
0,3
Agrigento
59.770
0,3
Isernia
426
0,0
Isernia
132
0,1
Sondrio
21.778
0,1
Grosseto
1.634
0,2
Pavia
400
0,3
Cuneo
56.081
0,3
Sondrio
333
0,0
Sondrio
99
0,1
Ogliastra
16.514
0,1
Sassari
1.621
0,2
Cuneo
391
0,3
Carbonia-Iglesias
55.944
Lodi
1.584
0,2
Brindisi
389
0,3
Teramo
54.892
0,3
Pavia
1.488
0,2
Teramo
387
0,3
Avellino
54.857
0,3
Italia
(capoluoghi)
127.003
100,0
ITALIA
500.901
-
360
0,3
Siena
68.759
63.360
60.436
60.091
Viterbo
1.395
0,1
Benevento
Aosta
1.382
0,1
Crotone
360
0,3
Rovigo
Caltanissetta
1.350
0,1
Pordenone
357
0,3
Chieti
L’Aquila
1.242
0,1
Potenza
357
0,3
Pordenone
51.229
Crotone
1.231
0,1
Avellino
356
0,3
Campobasso
49.431
49.407
Gorizia
1.164
0,1
Savona
336
0,3
Ascoli Piceno
Trapani
1.052
0,1
Campobasso
321
0,3
Mantova
Savona
999
0,1
Lodi
300
0,2
Lecco
53.903
51.867
51.815
48.671
47.999
0,4
0,3
0,3
0,3
0,3
0,3
0,3
0,3
0,1
Rieti
300
0,2
Rieti
976
0,1
Mantova
285
0,2
Vercelli
46.754
0,3
Rieti
974
0,1
Vercelli
278
0,2
Frosinone
46.323
0,3
Macerata
922
0,1
Nuoro
278
0,2
Lodi
44.945
0,2
274
0,2
Biella
886
0,1
Campobasso
881
0,1
Macerata
258
0,2
Macerata
Potenza
872
0,1
Imperia
232
0,2
Imperia
Carbonia-Iglesias
798
0,1
Agrigento
213
0,2
Fermo
66
44.733
42.473
42.034
37.655
3.698.314
-
26,6
28.019
Italia (capoluoghi)
18.217.599
ITALIA
60.665.551
25,4
Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere - Istat
0,2
0,1
100,0
-
30,0
Tav. B - La vocazione manifatturiera nelle città italiane, anno 2015
0,3
990
Vercelli
% comuni
capoluogo
sul totale
Italia
100,0
0,2
0,3
Catanzaro
Carbonia-Iglesias
ITALIA
982.228
0,2
0,3
Verbano-Cusio-Ossola
47.698
Italia (capoluoghi)
34.390
INDICE DI VOCAZIONE MANIFATTURIERA
0,3
0,2
0,2
0,2
0,2
Territorio
% Addetti nel
manifatturiero
sul totale addetti 2015
Imprese attive
nel manifatturiero per 1.000
abitanti 2015
Imprese attive
nel manifatturiero sul totale
imprese attive
2015
Regione
INDICE
Rango
(Italia= 100)
Varese
Lombardia
28,7
104,8
117,5
132,9
1
Fermo
Marche
33,0
90,6
95,8
130,3
2
Treviso
Veneto
20,0
117,5
119,9
129,1
3
67
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Lecco
Lombardia
33,0
70,6
79,9
125,0
4
Benevento
Campania
15,4
29,2
31,9
104,1
42
Vicenza
Veneto
16,9
98,8
105,0
123,1
5
Pistoia
Toscana
13,3
32,2
34,0
103,8
43
Mantova
Lombardia
21,7
82,0
83,0
121,5
6
Ancona
Marche
9,2
37,6
45,5
103,7
44
Cuneo
Piemonte
16,5
92,4
96,0
121,1
7
Prato
Toscana
40,9
10,4
8,7
103,5
45
Chieti
Abruzzo
23,3
60,6
73,7
118,2
8
Firenze
Toscana
15,5
27,4
28,1
103,3
46
Monza
Lombardia
20,9
67,3
75,1
118,1
9
Bergamo
Lombardia
16,8
84,3
73,5
117,5
10
Trento
Trentino A.Adige
13,2
27,1
35,7
103,2
47
Macerata
Marche
9,5
97,5
98,6
116,8
11
Latina
Lazio
19,6
21,1
22,2
103,2
48
Teramo
Abruzzo
19,8
60,6
73,5
116,3
12
Sondrio
Lombardia
2,6
53,3
61,9
102,9
49
Pordenone
Friuli
25,7
49,1
57,7
115,4
13
Torino
Piemonte
27,6
13,2
13,0
102,8
50
Brescia
Lombardia
17,5
65,3
64,3
114,5
14
Lodi
Lombardia
12,7
27,2
33,9
102,7
51
Frosinone
Lazio
16,8
69,0
62,8
114,3
15
Bolzano
11,5
30,8
33,8
102,6
52
Modena
Emilia Romagna
Trentino A.Adige
24,6
42,5
46,4
112,2
16
Novara
Piemonte
12,0
26,5
35,1
102,5
53
Rovigo
Veneto
23,2
44,5
46,3
111,9
17
Gorizia
Friuli
15,2
20,7
29,5
102,4
54
Pesaro e Urbino
Marche
26,2
40,0
43,0
111,9
18
Piacenza
20,8
16,9
18,4
102,4
55
Avellino
Campania
Emilia Romagna
13,5
56,8
65,3
111,2
19
Trapani
Sicilia
8,6
33,3
42,2
102,3
56
Como
Lombardia
11,4
66,2
67,1
111,2
20
Udine
Friuli
6,1
40,8
47,4
102,3
57
Cremona
Lombardia
24,9
34,8
45,7
111,0
21
Siena
Toscana
6,4
38,0
46,1
102,1
58
Caserta
Campania
11,1
65,2
67,3
110,9
22
Enna
Sicilia
8,9
29,0
38,0
101,5
59
Salerno
Campania
12,0
55,7
60,7
109,6
23
Aosta
Valle d’Aosta
15,1
19,2
24,5
101,4
60
Arezzo
Toscana
27,7
32,0
31,2
109,2
24
Massa-Carrara
Toscana
16,0
20,1
20,7
101,4
61
Pisa
Toscana
15,3
44,1
49,9
108,6
25
Agrigento
Sicilia
6,4
31,6
44,5
101,1
62
Alessandria
Piemonte
19,1
34,8
42,4
108,1
26
Vibo Valentia
Calabria
11,6
22,2
29,4
100,9
63
Lucca
Toscana
16,6
41,0
44,4
108,1
27
Ogliastra
Sardegna
15,8
15,7
17,8
100,2
64
Pavia
Lombardia
7,8
56,2
71,5
108,0
28
Potenza
Basilicata
5,8
32,2
38,6
100,1
65
Ascoli Piceno
Marche
18,5
35,8
42,2
108,0
29
Ragusa
Sicilia
11,7
21,4
22,3
99,8
66
Lecce
Puglia
10,8
55,1
52,4
107,7
30
Bologna
13,1
17,6
20,9
99,8
67
14,7
38,1
49,9
107,5
31
Emilia Romagna
Nuoro
Sardegna
7,8
26,9
31,2
99,7
68
Verbano-Cusio-Os- Piemonte
sola
Verona
Veneto
22,2
28,2
32,9
107,0
32
Campobasso
Molise
8,6
25,2
29,5
99,7
69
Belluno
Veneto
8,9
44,3
68,2
106,9
33
Matera
Basilicata
15,4
13,7
16,9
99,6
70
Biella
Piemonte
20,0
34,7
28,7
106,4
34
Terni
Umbria
20,8
7,6
10,0
99,4
71
Padova
Veneto
11,9
45,4
46,2
106,4
35
Oristano
Sardegna
8,5
24,4
27,0
99,2
72
Cosenza
Calabria
4,9
56,7
64,2
105,2
36
Asti
Piemonte
12,0
17,7
20,3
99,2
73
Perugia
Umbria
15,8
30,8
35,9
105,1
37
Vercelli
Piemonte
6,0
27,0
34,5
99,0
74
Reggio nell’Emilia
Emilia Romagna
18,7
28,9
27,7
104,9
38
Rieti
Lazio
14,4
12,8
16,6
99,0
75
Brindisi
Puglia
18,5
20,7
35,0
104,6
39
Caltanissetta
Sicilia
10,1
19,9
23,0
98,9
76
Parma
Emilia Romagna
26,5
17,5
19,8
104,5
40
L’Aquila
Abruzzo
7,8
23,6
28,2
98,9
77
Siracusa
Sicilia
14,5
12,0
16,4
98,9
78
Forlì-Cesena
Emilia Romagna
21,9
21,4
23,5
104,3
41
Isernia
Molise
9,3
21,7
23,5
98,9
79
68
69
Secondo rapporto Make in Italy
Barletta-Andria-Trani
Puglia
Viterbo
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
24,6
3,9
4,5
98,9
80
Lazio
9,1
22,1
22,1
98,6
81
Foggia
Puglia
10,6
17,0
21,5
98,6
82
Bari
Puglia
7,5
21,4
29,5
98,6
83
Ferrara
Emilia Romagna
12,9
13,5
15,7
98,3
84
Crotone
Calabria
12,1
13,2
17,7
98,2
85
Milano
Lombardia
15,4
11,7
9,2
98,1
86
Ravenna
Emilia Romagna
13,4
11,9
13,9
98,0
87
Taranto
Puglia
11,9
10,5
19,9
98,0
88
Imperia
Liguria
6,7
24,7
24,7
98,0
89
Savona
Liguria
5,8
23,1
28,4
97,7
90
La Spezia
Liguria
12,6
10,0
13,2
97,3
91
Napoli
Campania
10,8
13,3
14,8
97,2
92
Medio Campidano
Sardegna
8,5
17,4
18,7
97,2
93
Pescara
Abruzzo
10,8
14,4
13,7
97,2
94
Catania
Sicilia
9,3
14,4
18,2
97,1
95
Venezia
Veneto
7,5
16,9
21,8
97,0
96
Trieste
Friuli
21,1
1,0
1,7
96,9
97
Olbia-Tempio
Sardegna
12,6
10,6
9,2
96,8
98
Catanzaro
Calabria
5,6
19,1
25,2
96,6
99
Reggio di Calabria
Calabria
7,4
14,6
21,1
96,5
100
Messina
Sicilia
8,4
11,5
20,0
96,5
101
Rimini
Emilia Romagna
10,6
11,7
11,6
96,4
102
Livorno
Toscana
12,8
6,8
9,0
96,3
Carbonia-Iglesias
Sardegna
11,1
6,3
11,0
Grosseto
Toscana
8,7
11,6
Genova
Liguria
12,7
Cagliari
Sardegna
Sassari
Tav. C - La vitalità manifatturiera nelle città italiane, anno 2015
INDICE DI VITALITA’ MANIFATTURIERA
Territorio
Regione
Iscrizioni
Nuove iscrizioni
d’imprese per
per 100 impre100.000 abitanti se attive
var.% iscrizioni di
imprese manifatturiere
2012-2015
INDICE
(Italia=
100)
Rango
Prato
Toscana
366,7
11,8
-11,4
135,3
1
Imperia
Liguria
38,1
6,9
100,0
115,8
2
Isernia
Molise
27,5
4,5
200,0
113,1
3
Chieti
Abruzzo
42,5
5,5
69,2
111,4
4
Varese
Lombardia
35,9
4,3
107,1
109,9
5
Arezzo
Toscana
75,3
5,0
13,6
109,4
6
Pavia
Lombardia
30,3
5,5
46,7
108,5
7
Bolzano
Trentino AA
28,2
5,1
50,0
107,6
8
Savona
Liguria
31,0
5,7
26,7
107,4
9
Aosta
Valle d’Aosta
23,3
5,6
33,3
106,9
10
Massa-Carrara
Toscana
47,5
4,7
22,2
106,9
11
Matera
Basilicata
31,4
4,0
72,7
106,9
12
Campobasso
Basilicata
22,3
3,4
120,0
106,3
13
Rimini
Emilia R.
33,2
5,4
11,4
106,1
14
Torino
Piemonte
38,9
5,0
15,0
106,0
15
Pordenone
Friuli
39,0
5,6
-4,8
105,7
16
Nuoro
Sardegna
18,9
2,5
250,0
105,6
17
103
Forlì-Cesena
Emilia R.
45,8
4,4
14,9
105,6
18
95,8
104
Pescara
Abruzzo
36,4
4,7
15,8
105,2
19
11,8
95,5
105
Terni
Umbria
26,9
4,6
30,4
105,0
20
3,5
4,2
95,0
106
Livorno
Toscana
28,3
5,0
9,8
104,6
21
6,6
13,1
12,9
94,8
107
Verona
Veneto
27,4
4,6
20,3
104,6
22
Sardegna
6,3
9,6
11,1
93,9
108
Mantova
Lombardia
22,6
3,9
57,1
104,5
23
Palermo
Sicilia
6,1
4,3
7,2
92,6
109
Firenze
Tooscana
48,6
5,0
-19,1
104,3
24
Roma
Lazio
7,9
2,1
2,5
92,5
110
Crotone
Calabria
24,1
4,2
36,4
104,2
25
Bologna
Emilia R.
26,1
4,9
6,3
103,8
26
-
Grosseto
Toscana
20,7
4,0
41,7
103,7
27
Oristano
Sardegna
19,0
3,0
100,0
103,7
28
Gorizia
Friuli
23,0
4,7
14,3
103,7
29
Macerata
Marche
25,9
4,3
22,2
103,7
30
Ascoli Piceno
Marche
30,4
3,7
36,4
103,7
31
Medio Campidano
Sardegna
22,1
3,3
66,7
103,6
32
ITALIA
22,5
8,3
9,7
Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere, DB Telemaco - Stockview
70
100,0
71
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Venezia
Veneto
30,4
4,4
6,7
103,4
33
Monza
Lombardia
23,6
3,0
-12,1
98,0
74
Alessandria
Lombardia
30,9
5,0
-9,4
103,3
34
Pesaro e Urbino
Marche
28,5
2,8
-12,9
97,9
75
Cosenza
Calabria
26,6
4,1
20,0
103,2
35
Siracusa
Sicilia
18,0
2,9
-8,3
97,6
76
Ravenna
Emilia R.
24,5
4,3
14,7
103,1
36
Napoli
Campania
11,0
1,6
72,6
97,3
77
Vercelli
Piemonte
21,4
3,6
42,9
102,9
37
La Spezia
Liguria
20,2
3,4
-32,1
97,2
78
Biella
Piemonte
40,2
4,5
-14,3
102,8
38
Palermo
Sicilia
10,8
2,6
4,3
96,9
79
Vicenza
Veneto
37,2
4,3
-4,5
102,8
39
Sassari
Saredegna
11,0
1,9
40,0
96,8
80
51,9
5,0
-39,0
102,7
40
Cuneo
Piemonte
23,2
3,3
-38,1
96,7
81
Reggio nell’Emilia Emilia R.
Treviso
Veneto
25,1
4,2
5,0
102,1
41
Novara
Piemonte
17,2
3,4
-33,3
96,7
82
Olbia-Tempio
Sardegna
32,6
3,4
20,0
102,0
42
Belluno
Veneto
8,4
1,8
50,0
96,7
83
Caserta
Campania
21,0
3,4
33,3
101,8
43
Piacenza
Emilia R.
20,5
2,5
-12,5
96,5
84
Viterbo
Lazio
25,3
4,2
0,0
101,8
44
Cremona
Lombardia
18,1
2,6
-13,3
96,4
85
Lecce
Puglia
23,2
3,7
15,8
101,5
45
Trieste
Friuli
12,2
3,1
-24,2
96,4
86
Modena
Emilia R.
37,3
3,6
-4,2
101,3
46
Avellino
Campania
16,4
2,5
-10,0
96,3
87
Lecco
Lombardia
37,5
3,6
-5,3
101,2
47
Sondrio
Lombardia
13,8
3,0
-25,0
96,2
88
Fermo
Marche
50,5
3,8
-24,0
101,2
48
Ragusa
Sicilia
17,7
2,3
-7,1
95,9
89
Udine
Friuli
24,2
4,3
-11,1
101,2
49
Teramo
Abruzzi
20,0
2,8
-31,3
95,9
90
Trento
Trentino AA
17,9
3,7
16,7
101,2
50
Carbonia-Iglesias
Sardegna
10,7
2,2
0,0
95,5
91
Brescia
Lombardia
34,1
3,9
-13,0
101,1
51
Pisa
Toscana
13,5
2,8
-33,3
95,1
92
Milano
Lombardia
34,7
3,4
1,7
101,0
52
Puglia
Parma
Emilia R.
32,7
3,4
-1,6
100,7
53
Barletta-Andria-Trani
26,6
2,5
-36,8
95,0
93
Ferrara
Emilia R.
22,5
3,7
0,0
100,5
54
Roma
Lazio
10,7
2,3
-12,1
95,0
94
Potenza
Basilicata
10,4
2,0
133,3
100,4
55
Messina
Sicilia
11,7
2,4
-24,3
94,5
95
Pistoia
Toscana
33,2
3,8
-16,7
100,4
56
Foggia
Puglia
11,2
2,5
-29,2
94,3
96
Lucca
Toscana
29,2
3,7
-10,3
100,3
57
Rieti
Lazio
16,8
2,7
-42,9
94,3
97
Lodi
Lombardia
24,5
3,7
-8,3
100,0
58
Taranto
Puglia
8,5
2,2
-15,0
94,2
98
Bergamo
Lombardia
30,2
3,3
-10,0
99,5
59
Benevento
Campania
13,3
2,2
-33,3
93,6
99
Ancona
Marche
21,8
3,7
-12,0
99,5
60
Como
Lombardia
20,1
2,2
-43,3
93,3
100
Catania
Sicilia
16,5
2,6
36,8
99,4
61
Enna
Sicilia
10,7
2,0
-25,0
93,2
101
Salerno
Campania
19,2
2,8
23,8
99,4
62
Brindisi
Puglia
11,3
2,6
-47,4
93,2
102
Siena
Toscana
11,1
3,1
20,0
99,1
63
Latina
Lazio
18,3
2,5
-53,1
93,1
103
Ogliastra
Sardegna
18,2
2,2
50,0
99,1
64
Cagliari
Sardegna
14,9
2,0
-43,9
92,3
104
Genova
Liguria
20,6
3,3
-4,0
99,0
65
Calabria
7,1
1,5
-23,5
91,6
105
Perugia
Umbria
Reggio di Calabria
22,3
3,0
2,8
98,9
66
Caltanissetta
Sicilia
12,6
1,9
-46,7
91,6
106
L’Aquila
Abruzzi
22,9
3,7
-23,8
98,7
67
Vibo Valentia
Calabria
11,8
2,1
-55,6
91,4
107
Agrigento
Sicilia
11,7
3,3
0,0
98,4
68
Catanzaro
Calabria
8,8
1,8
-42,9
91,4
108
Frosinone
Lazio
32,4
3,0
-16,7
98,4
69
Trapani
Sicilia
10,2
1,6
-36,4
91,3
109
Padova
Veneto
22,8
3,5
-23,8
98,2
70
Piemonte
Bari
Puglia
13,2
2,5
26,5
98,2
71
Verbano-Cusio-Ossola
3,2
0,5
-90,0
83,6
110
Asti
Piemonte
26,2
3,6
-33,3
98,1
72
Rovigo
Veneto
23,1
2,9
-7,7
98,1
73
-7,9
100,0
-
72
ITALIA
28,8
3,5
Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere, DB Telemaco - Stockview
73
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Tav.D - La concentrazione urbana del manifatturiero nelle città italiane, anno 2015
Regione
Territorio
INDICE DI CONCENTRAZIONE MANIFATTURIERA
Quota % imprese
manifatturiere nel
comune capoluogo
rispetto alla provincia
Quota % addetti
nel manifatturiero
nel comune capoluogo rispetto
alla provincia
INDICE
(Italia= 100)
Rango
Medio Campidano
Sardegna
27,6
29,1
102
33
Ferrara
Emilia R.
31,0
25,3
101
34
Ravenna
Emilia R.
32,3
23,6
101
35
Taranto
Puglia
27,2
27,9
101
36
Reggio nell’Emilia
Emilia R.
26,5
27,7
101
37
Messina
Sicilia
29,9
23,4
100
38
Firenze
Toscana
26,0
26,1
100
39
Reggio di Calabria
Calabria
24,7
25,4
99
40
Caltanissetta
Sicilia
25,3
23,2
99
41
Trieste
Friuli
79,1
78,2
133
1
Venezia
Veneto
28,8
19,4
99
42
Barletta-Andria-Trani
Puglia
73,5
76,6
131
2
Asti
Piemonte
28,9
19,1
99
43
Roma
Lazio
68,5
81,8
131
3
Foggia
Puglia
21,0
27,5
99
44
Prato
Toscana
74,9
73,0
130
4
Brindisi
Puglia
17,6
31,3
98
45
Genova
Liguria
64,0
67,6
125
5
Verona
Veneto
17,3
29,2
98
46
Milano
Lombardia
46,8
59,1
117
6
Vibo Valentia
Calabria
20,1
24,2
98
47
Olbia-Tempio
Sardegna
47,7
56,3
116
7
Aosta
Valle D’Aosta
17,8
27,1
97
48
Terni
Umbria
43,7
59,5
116
8
Ascoli Piceno
Marche
18,7
24,9
97
49
Palermo
Sicilia
49,1
48,7
114
9
Modena
Emilia R.
19,6
23,1
97
50
Torino
Piemonte
37,1
50,7
111
10
Biella
Piemonte
20,5
22,0
97
51
Matera
Basilicata
36,2
45,5
109
11
Bologna
Emilia R.
23,4
18,2
97
52
Ogliastra
Sardegna
34,1
47,5
109
12
Pesaro e Urbino
Marche
20,2
21,0
97
53
Carbonia-Iglesias
Sardegna
43,8
35,5
109
13
Nuoro
Sardegna
21,8
18,7
96
54
Livorno
Toscana
45,4
33,3
108
14
Viterbo
Lazio
21,6
18,0
96
55
Parma
Emilia R.
35,2
41,0
108
15
Benevento
Campania
17,0
23,1
96
56
La Spezia
Liguria
36,9
35,7
107
16
Pistoia
Toscana
21,4
17,9
96
57
Crotone
Calabria
30,5
43,5
106
17
Catanzaro
Calabria
20,3
18,4
96
58
Napoli
Campania
34,0
35,9
106
18
Oristano
Sardegna
20,8
17,4
96
59
Siracusa
Sicilia
33,8
36,0
106
19
Isernia
Molise
21,7
16,0
96
60
19,7
17,9
96
61
Rieti
Lazio
33,0
35,7
105
20
Lodi
Lombardia
Sassari
Sardegna
37,8
30,4
105
21
Campobasso
Molise
20,5
16,7
95
62
Massa-Carrara
Toscana
33,4
33,5
105
22
L’Aquila
Abruzzo
20,8
15,6
95
63
Cagliari
Sardegna
36,2
30,6
105
23
Bolzano
Trentino A.A.
15,3
21,0
95
64
Pescara
Abruzzo
35,1
31,4
105
24
Perugia
Umbria
19,4
15,7
95
65
Piacenza
Emilia R.
32,6
30,8
104
25
Gorizia
Friuli
19,2
15,1
95
66
Rimini
Emilia R.
34,3
28,2
103
26
Trento
Trentino A.A.
15,1
19,7
94
67
Grosseto
Toscana
31,0
30,6
103
27
Enna
Sicilia
15,8
18,3
94
68
Catania
Sicilia
30,5
29,4
103
28
Rovigo
Veneto
15,2
18,6
94
69
Arezzo
Toscana
32,0
26,9
102
29
Imperia
Liguria
18,2
14,7
94
70
Ragusa
Sicilia
26,6
32,7
102
30
Bari
Puglia
19,6
13,1
94
71
Latina
Lazio
25,7
32,6
102
31
Cremona
Lombardia
16,6
16,2
94
72
Forlì-Cesena
Emilia R.
32,4
24,7
102
32
Novara
Piemonte
16,2
14,4
93
73
74
75
Secondo rapporto Make in Italy
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
Savona
Liguria
19,2
11,2
93
74
Alessandria
Piemonte
15,1
15,0
93
75
Trapani
Sicilia
16,2
12,7
93
76
Lucca
Toscana
16,3
12,5
93
77
Frosinone
Lazio
13,7
14,3
92
78
Verbano-Cusio-Ossola
Piemonte
14,6
13,1
92
79
Lecco
Lombardia
12,9
14,7
92
80
Vercelli
Piemonte
18,0
7,9
92
81
Pordenone
Friuli
12,4
13,0
92
82
Siena
Toscana
8,7
17,8
92
83
Fermo
Marche
12,9
11,3
91
84
Brescia
Lombardia
11,7
12,0
91
85
Avellino
Campania
10,3
13,7
91
86
Padova
Veneto
12,6
10,7
91
87
Lecce
Puglia
10,3
12,9
91
88
Chieti
Abruzzo
11,3
10,9
91
89
Salerno
Campania
11,1
10,1
90
90
Pisa
Toscana
9,8
11,6
90
91
Agrigento
Sicilia
10,1
10,8
90
92
Como
Lombardia
12,2
7,8
90
93
Bergamo
Lombardia
9,8
10,3
90
94
Potenza
Basilicata
14,2
5,6
90
95
Monza
Lombardia
10,4
9,4
90
96
Teramo
Abruzzo
10,4
9,2
90
97
Ancona
Marche
13,6
5,7
90
98
Cosenza
Calabria
10,3
7,8
89
99
Caserta
Campania
8,6
9,1
89
100
Udine
Friuli
12,0
4,9
89
101
Varese
Lombardia
7,4
9,9
89
102
Pavia
Lombardia
8,9
5,8
88
103
Mantova
Lombardia
6,7
8,0
88
104
Vicenza
Veneto
8,1
5,7
88
105
Cuneo
Piemonte
7,0
6,2
88
106
Belluno
Veneto
9,6
3,1
88
107
Sondrio
Lombardia
7,9
3,6
87
108
Treviso
Veneto
4,9
4,7
87
109
Macerata
Marche
5,9
3,0
87
110
25,4
26,6
100
-
ITALIA
Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere, DB Telemaco - Stockview
76
77
Secondo rapporto Make in Italy
78
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
79
Secondo rapporto Make in Italy
80
LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
81
Secondo rapporto Make in Italy
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LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica
83
Secondo rapporto Make in Italy
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