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PANTONE 541 CVC PANTONE 300 CVC LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Manifattura e digitale: nuovo fenomeno di cambiamento radicale e continuo di Luca Bonasea* Anche quest’anno - come BNL Gruppo BNP Paribas insieme alla nostra controllata Artigiancassa, banca dedicata agli artigiani e alle piccole imprese - siamo tra i promotori dell’analisi di un fenomeno che sta cambiando il tessuto produttivo, economico e sociale delle nostre grandi città. E lo sta facendo in modo sempre più profondo. Come per la scorsa edizione siamo partner di “Make in Italy Foundation” e “Maker Faire Rome European edition 4.0” e, grazie al solido impianto di ricerca del Censis, abbiamo esplorato le dinamiche che stanno trasformando i tessuti sociali ed economici urbani, già passati per la profonda mutazione da “città fabbrica” degli anni ’70 a “città dei servizi e del terziario”, in una nuova forma di manifattura urbana, in cui servizi e produzione perdono i propri confini perché guidati da tecnologia e design. Parliamo del fenomeno della manifattura digitale che nelle sue diverse forme – incubatori d’impresa, spinoff che nascono dai centri di ricerca delle università, start up e fab lab – sta compensando gli spazi economici, fisici e occupazionali lasciati, a valle della “grande crisi nata nel 2008”, dal terziario e dal commercio di prossimità. E’ un tipo di manifattura nuova , fortemente specializzata, lean nei costi e nelle infrastrutture, , centrata sull’innovazione tecnologica costante e sul processo di design e di prototipazione. Una manifattura che ha tagliato i tempi, rapida ed interconnessa in rete con fornitori, distributori e clienti, parti della stessa comunità. Un nuovo fenomeno, un cambiamento radicale e continuo. BNL è parte di un gruppo, BNP Paribas, che fa del cambiamento uno dei suoi asset primari: siamo “la banca per un mondo che cambia”. La nostra presenza, come azienda ultracentenaria che ha accompagnato e accompagna lo sviluppo dell’economia e della produzione, attenta al tessuto sociale, ha le sue radici nella nostra stessa storia a supporto delle prime cooperative all’inizio dello secolo scorso. E, pur consapevoli di tutte le differenze, oggi ci ritroviamo in una profonda trasformazione “digital driven” del settore bancario come delle più diverse industry, che dà forma a nuovi processi, a una nuova organizzazione, a nuovi modelli di servizio, in un mondo che, mai come oggi, è iperconnesso e “liquido”. In un contesto che si modifica rapidamente, le banche, come ogni altra impresa, operano e crescono se connesse all’ecosistema territoriale grazie ad una conversazione aperta e fondata sulla fiducia, sulla trasparenza e sulla conoscenza del business dei propri clienti. 5 Secondo rapporto Make in Italy Tra l’altro, parlando di evoluzione del contesto produttivo “urbano”, c’è un ulteriore elemento di interesse che riguarda BNL. La nostra Banca, pur avendo una presenza nazionale, concentra una parte significativa dei propri sportelli nelle città. Grazie, quindi, alla prossimità geografica di BNL e alla forza di un grande gruppo internazionale come BNP Paribas, possiamo contribuire in modo significativo allo sviluppo di quegli “ecosistemi abilitanti” che sono alla base della crescita della nuova manifattura urbana. Per questo siamo presenti in contesti, come Maker Faire, dove l’innovazione significa fare, creare, produrre, convinti della centralità del manifatturiero, della transizione verso il 4.0 e del ruolo che possono svolgere le banche in tutto questo. *Luca Bonasea Responsabile Retail Banking BNL Gruppo BNP Paribas LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica La rinascita del Manifatturiero in Italia è ormai una realtà di Stefano Venturi* Ho voluto contribuire alla realizzazione di questa ricerca, come Hewlett Packard Enterprise, perché credo fortemente che lo sviluppo del manifatturiero continui a rappresentare un elemento strategico per l’Italia e costituisca un’importante opportunità di crescita grazie anche al “Piano Industria 4.0” recentemente presentato dal MiSE, che fino al 2020 disegna le priorità per la manifattura avanzata, la ricerca e l’innovazione incentivando il rilancio del nostro Paese e il recupero della competitività nel contesto internazionale. I risultati emersi dalla ricerca infondono ottimismo in quanto evidenziano come l’Italia possa riprendere un percorso di crescita robusto e continuativo ma per poter essere protagonista di questo sviluppo occorre imprimere uno slancio eccezionale ad alcune aree del Paese, in modo che possano fungere da traino e dare impulso all’intero territorio. In questo contesto sicuramente le aree metropolitane, con la cosiddetta “manifattura urbana” emersa dalla ricerca, possono rappresentare un potente motore di sviluppo. Milano ad esempio, con la sua area metropolitana di circa 60Km quadrati, concentra il 25% dell’export e della manifattura italiana, rappresentando un luogo straordinario in cui si incrociano capitale economico, capitale scientifico, capitale estetico e soprattutto capitale sociale, dando così vita ad un intreccio di reciproca e produttiva contaminazione. Nonostante il periodo di recessione da cui sta uscendo la nostra economia, credo siano già evidenti i segnali di una rinascita del manifatturiero e questa ricerca lo dimostra ampiamente: basti pensare che gli imprenditori della Lombardia sono tra i primi a far parte di una KIC (Knowledge Innovation Community), un network europeo sulla Manifattura Avanzata, una partnership per gli imprenditori di domani che unisce imprese, centri di ricerca e università al fine di promuovere l’innovazione in Europa e la creazione di crescita ed occupazione al tempo stesso. La ricerca inoltre ha dimostrato come la “manifattura urbana”, anche attraverso figure imprenditoriali e manageriali con competenze digitali, costituisca un network favorevole alla produzione di idee e contenuti nuovi, favorisca la proliferazione di “start-up” che nascono dall’incontro fra settori con competenze diverse che sono presenti nelle città. Un altro aspetto che mi preme sottolineare e commentare dei risultati di questa ricerca è il notevole 6 7 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica l’aumento del numero di imprenditori e manager formati sul campo per affrontare la sfida della manifattura 4.0,che come già detto si è rivelata essere una “manifattura urbana” e che diviene un contesto sempre più ricco di risorse umane qualificate, aggiornate e specializzate nei più diversi ambiti di interesse, nonché territorio di ricerca e formazione. Tutti questi segnali positivi sono in grado di garantire una forte apertura alla dimensione internazionale e possono facilitare lo sviluppo ed il consolidamento di un nuovo ciclo produttivo urbano, con caratteristiche del tutto diverse dal passato, fatto anche di autoimprenditorialità e micro imprese legate alle nuove tecnologie. Auspico quindi in un futuro prossimo di assistere ad un consolidamento ed ulteriore sviluppo di una “manifattura urbana” radicata nella città, che svolga le proprie mansioni e i propri ruoli per creare più occupazione e sviluppo, contribuendo a dare nuovo impulso all’intero contesto industriale dell’Italia. * Stefano Venturi Corporate Vice President e Amministratore Delegato Hewlett Packard Enteprise Italia Dallo smontaggio della città-fabbrica alla nuova manifattura urbana Roma, Ottobre 2016 8 9 LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica INDICE DEL RAPPORTO INTEGRALE Premessa13 1. Introduzione14 1.1. Il “ritorno” della manifattura14 1.2. La manifattura come esperienza urbana14 2. La centralità della manifattura per l’economia italiana16 2.1. La consistenza, le dinamiche, il ruolo di traino per l’export 16 2.2. L’innovazione tecnologica e nuova manifattura19 2.3. La manifattura artigianale: le opportunità della digitalizzazione24 2.4. Industria 4.0: lo stato dell’arte28 3. Come è cambiato il rapporto città-industria, come è cambiata la manifattura29 3.1. I diversi cicli dello svuotamento produttivo delle città29 3.2. I caratteri generali della nuova manifattura32 3.3. Segnali e significati della risorgenza della manifattura urbana33 3.4. I potenziali effetti rigenerativi sulle città34 4. Consistenza, vitalità e concentrazione delle imprese manifatturiere urbane35 4.1. La consistenza manifatturiera delle città italiane35 4.2. La crescita relativa (nel calo generalizzato) delle nuove imprese manifatturiere nelle città italiane36 4.3. Imprenditorialità manifatturiera urbana: il posizionamento delle città italiane 39 4.3.1. Il posizionamentodelle città letto attraverso tre differenti indici39 4.3.2. Indice di vocazione manifatturiera40 4.3.3. Indice di vitalità manifatturiera40 4.3.4. Indice di concentrazione manifatturiera40 4.3.5. Il posizionamento delle grandi città italiane nel ranking manifatturiero 41 5. Micro-imprese innovative, artigiani 2.0, luoghi di generazione dell’imprenditoria industriale urbana42 5.1. L’andamento delle startup innovative per settori e aree geografiche42 5.2. Le startup innovative del settore manifatturiero nelle grandi città italiane 44 5.3. Il fenomeno dei fablab nelle città italiane: consistenza e dinamiche recenti 45 5.4. L’imprenditorialità che nasce dalla ricerca: il caso degli spin-off universitari 49 5.5. I luoghi di incubazione delle nuove imprese51 5.6. Il posizionamento delle grandi città italiane rispetto ai fenomeni che attestano la presenza di ecosistemi innovativi abilitanti52 6. Roma e il Lazio, l’importanza di scommettere su una nuova manifattura 55 6.1. Il quadro macroeconomico55 6.2. Segnali di futuro57 6.3. Roma: le potenzialità di rilancio legate alla manifattura urbana58 6.4. Una politica di reindustrializzazione basata sull’innovazione60 ALLEGATO: tavole di consistenza, vocazione, vitalita’ e concentrazione urbana del settore manifatturiero 63 11 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Premessa La ricerca, realizzata dal Censis su incarico della Fondazione Make in Italy, si pone l’obiettivo di misurare la consistenza e le caratteristiche attuali della “manifattura urbana”, considerando con ciò le attività produttive manifatturiere realizzate all’interno del perimetro delle città italiane. Uno specifico approfondimento – realizzato con il sostegno di Innova Camera – viene rivolto all’analisi della dimensione manifatturiera del Lazio e della Capitale in particolare. La ricerca ha un impianto di carattere desk che viene però integrato con alcune specifiche rilevazioni di campo e con alcuni approfondimenti di natura qualitativa. Il rapporto si apre con una breve ricostruzione dell’andamento del settore manifatturiero negli ultimi anni. In particolare ne vengono descritti la consistenza, le dinamiche, il ruolo di traino per l’export nazionale. Si fa inoltre il punto sull’innovazione tecnologica che sta caratterizzando il settore e sui programmi pubblici per sostenerla. La ricerca è stata realizzata da un gruppo di lavoro del Censis diretto da Marco Baldi e Stefano Sampaolo, con la collaborazione di Andrea Amico e Laura Aglio (reportistica), Vera Rizzotto (costruzione indici sintetici e ranking), Lorenzo Barbanera (supporto alle elaborazioni statistiche). A seguire si presenta una riflessione su come si è evoluto nel tempo il rapporto tra le grandi città italiane e la produzione industriale cercando di descrivere le potenzialità oggi in essere – per ragioni di tipo economico e sociale – della manifattura urbana. Il cuore del lavoro è rappresentato dal tentativo di evidenziare, a partire dai più recenti dati disponibili, la crescita relativa, stante il calo generalizzato di attività imprenditoriali, delle attività manifatturiere nelle città italiane. Oltre al quadro aggregato, viene presentata una nuova mappatura delle città capoluogo con riferimento a vocazione e vitalità delle attività manifatturiere. Segue un capitolo relativo ai fenomeni più innovativi che, anche se solo in chiave prospettiva, illustrano le potenzialità del nuovo artigianato digitale. Viene rappresentato l’andamento delle start-up innovative e l’incidenza, in questo aggregato, delle micro-imprese afferenti al settore manifatturiero. Grazie ai dati raccolti con un censimento quali-quantitativo, si ricostruisce il quadro aggiornato dei Fablab italiani. Infine, si delinea il quadro degli incubatori d’impresa e degli spin-off universitari. L’analisi di questi materiali alla dimensione urbana, consente di posizionare le principali città italiane rispetto alla più o meno marcata attitudine ad ospitare e incoraggiare queste fenomenologie innovative. L’ultimo capitolo costituisce una sorta di piccolo “carotaggio” sui dati del Lazio e della Capitale, cercando di individuare le potenzialità della manifattura nella città che ospita la fiera dei makers e che è alla continua ricerca di nuovi ruoli produttivi da associare a quelli ormai consolidati nel campo del terziario pubblico, del turismo e della cultura. In allegato si riporta un approfondimento qualitativo realizzato attraverso “storie di impresa” dove emergono i tratti salienti e paradigmatici delle nuove esperienze di manifattura urbana. 12 13 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica 1. Introduzione infatti dei vantaggi peculiari laddove è richiesto un contesto: 1.1. Il “ritorno” della manifattura - favorevole alla produzione di idee e contenuti nuovi, che nascono dall’incontro tra settori e competenze diverse, incontro che è facilitato dalla elevata densità ed eterogeneità di relazioni e di soggetti presenti in città; L’Industrial compact di Bruxelles, finalizzato al rilancio dell’economia europea, prevede di portare l’incidenza sul Pil della manifattura dal 14% attuale al 20% nel 2020. Per il perseguimento di questo obiettivo destina risorse finanziarie consistenti in settori industriali tanto importanti quanto parzialmente dimenticati a fronte della crescita di interesse per le attività terziarie più evolute. In Europa, dunque, si torna a parlare di cantieristica, di automotive, di produzioni meccaniche e, naturalmente, di tutti quei settori che possono crescere al loro seguito. - capace di intercettare e interpretare in senso progettuale le tendenze di cambiamento della società e quindi di anticipare l’evoluzione della domanda di prodotti in un contesto in cui questi al loro interno sempre più incorporano una dimensione di servizio; Guardando oltre oceano, e in particolare agli USA, la volontà di riscatto del manifatturiero è ugualmente presente. Qualche anno fa l’amministrazione Obama ha introdotto incentivi per il rilancio della manifattura statunitense (formazione, competitività, fisco, protezione dalla concorrenza reale) che hanno in effetti arrestato la caduta che era in atto da molti anni, ma che aveva subito una pericolosa accelerazione durante gli anni della crisi. - in grado di garantire una forte apertura alla dimensione internazionale. Per quanto concerne l’Italia, siamo ancora il 2° paese industriale in Europa, anche se certamente i sette anni di crisi economica hanno ridotto il perimetro manifatturiero del Paese. Si è però arrestato il prepotente processo di esternalizzazione di attività produttive alla ricerca di mercati del lavoro più favorevoli, ed altri elementi entrano in gioco nel trattenere le aziende nei luoghi di insediamento (e in alcuni casi a tornarci come attesta la crescita dei fenomeni di back reshoring). - ricco di risorse umane qualificate, aggiornate e specializzate nei più diversi campi di interesse e di luoghi deputati alla ricerca e all’alta formazione; Si tratta di vantaggi che le città debbono mettere a frutto e che possono facilitare lo sviluppo ed il consolidamento di un nuovo ciclo produttivo urbano, con caratteristiche del tutto diverse dal passato, fatto anche di autoimprenditorialità e micro imprese legate alle nuove tecnologie. In sostanza una manifattura “urbana” del futuro ma radicata nella città, che, può fare la sua parte per creare sviluppo e occupazione ma anche per contribuire a rigenerare parti del contesto urbano. Il primo di questi attiene alla possibilità di connotare i prodotti con un brand territoriale favorevole. Questo vale soprattutto per l’industria del Made in Italy, in ossequio al principio che non si può vendere qualcosa che si caratterizza per la sua intrinseca qualità producendolo in un contesto brutto o insignificante. Il secondo elemento è riferibile al fatto che le tecnologie oggi disponibili consentono di abbattere l’impatto ambientale della gran parte delle produzioni industriali. “Produrre pulito” è fondamentale per continuare a produrre in contesti, come quelli italiani, fortemente e capillarmente antropizzati. E inoltre è un modo per aggiungere qualità ed appeal ai prodotti. Un terzo elemento attiene alla nostra “cultura manifatturiera” (industriale e artigianale), ancora molto radicata in alcune aree del Paese (e in fase di iniziale recupero in altre che l’avevano dimenticata). Una cultura che da più parti si considera importante rilanciare, agendo soprattutto sul mondo della formazione tecnico-scientifica sia a livello universitario che professionale. Infine, ancora in fase iniziale ma sicuramente molto promettente, il concetto di “fabbrica digitale”, che comincia ad affermarsi, trova diverse interpretazioni più o meno evolute, ma sicuramente rappresenta il futuro della produzione manifatturiera italiana. 1.2 La manifattura come esperienza urbana A fronte dei caratteri della nuova manifattura descritti sopra, il rapporto tra produzione e città, intesa come luogo denso di abitanti, attività e flussi, sta conoscendo una fase nuova. A rimettere in gioco la città come luogo (anche) di produzione è il fatto che l’ambiente urbano offre 14 15 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica 2. La centralità della manifattura per l’economia italiana L’ultimo dei tre punti richiamati, è declinabile in almeno tre dimensioni strategiche: quella di traino per le altre branche dell’economia nazionale, quella di principale driver dell’innovazione tecnologica delle imprese, quella di principale supporto alla bilancia nazionale dei pagamenti. Più nel dettaglio il manifatturiero italiano: 2.1 La consistenza, le dinamiche, il ruolo di traino per l’export Come esce dalla crisi la manifattura italiana? Certamente ridimensionata dal punto di vista soggettuale. Tra il 2009 e il primo semestre del 2016 l’industria manifatturiera italiana ha perso 54.992 imprese, corrispondenti al 9,2% del totale. Una dinamica negativa più accentuata di quella relativa all’intera economia italiana dove la contrazione di soggetti imprenditoriali è risultata inferiore al 2,5%. Naturalmente si è ridotta anche l’incidenza delle imprese manifatturiere sul totale delle imprese: erano il 10,5% nel 2009 e sono scese al 9,7% nel 2016. Una perdita significativa, che sicuramente ha incorporato una riduzione consistente della capacità produttiva, di generazione del reddito e, soprattutto, di assorbimento della forza lavoro (tab.1). A quest’ultimo riguardo, il quadro che si ricava dai dati Istat sulle forze di lavoro presenta una contrazione di occupati nel manifatturiero particolarmente significativa nell’intervallo temporale 2009-2015 (-9,3%) e molto superiore a quella registrata a livello dell’intero sistema economico (-1%) (tab.2). Guardando al valore aggiunto generato nell’intervallo 2008-2013 (ossia negli anni più duri della crisi) si registra una riduzione particolarmente consiste per il manifatturiero (-13,5%), corrispondente a circa 30,4 miliardi di euro in valori correnti. Al riguardo occorre considerare che, nello stesso intervallo di tempo, l’economia italiana nel suo complesso ha visto una contrazione del valore aggiunto prodotto del 7% (tab.3). In base ai dati Eurostat il contributo al Pil del settore manifatturiero italiano è oggi del 14,2%, sostanzialmente in linea con il dato medio dell’area euro (14,6%). In termini di occupazione la manifattura italiana vale invece il 15,8% del totale degli occupati. A fronte di un quadro generale a tinte decisamente fosche, è però opportuno introdurre alcune considerazioni che rimarcano il perdurante carattere strategico della produzione manifatturiera nazionale: · si colloca al centro degli scambi intersettoriali assorbendo e trasformando i prodotti agricoli, rappresentando un importante soggetto di domanda per diverse tipologie di servizi (logistica, finanza, commercio, telecomunicazioni, ecc.) e attivando investimenti nel settore delle costruzioni; · applica elementi di innovazione continua ai suoi processi produttivi per rimanere competitivo nello scenario globale. Sul totale della spesa delle imprese italiane per ricerca e sviluppo, l’incidenza del manifatturiero è del 72,1% (Eurostat 2013); · contribuisce in misura preponderante all’export nazionale di beni, che vale complessivamente 413,9 milioni di euro (al 10° posto tra i Paesi del Mondo con il 2,8% del totale globale, con una crescita media annua tra il 2011 e il 2015 del 4,3% e con un saldo positivo tra esportazioni e importazioni nel 2015 di 93,6 miliardi di euro). Guardando poi alla congiuntura recente, si vedono segnali di miglioramento anche sotto il profilo del numero di soggetti coinvolti. Si segnala, in particolare, che nel 2015 si sono iscritte ai registri camerali 17.465 imprese (+2,3% rispetto al 2014) e che nel 1° semestre del 2016 le iscrizioni hanno toccato le 9.883 unità. Altro segnale positivo riguarda le cessazioni, che stanno diminuendo anno dopo anno: nel 2013 hanno interrotto l’attività 31.177 imprese manifatturiere mentre nel 2015 a chiudere i battenti sono state 27.796 aziende. Certamente il saldo rimane negativo ma tende a ridursi sempre più nel tempo. A ciò si aggiunga che le imprese iscritte nel 2015 dispongono di 53.699 addetti (in aumento rispetto all’anno precedente) e che il numero medio di addetti nelle nuove imprese tende ad aumentare dal 2013 ad oggi (da 1,8 a 3,1). Ovviamente si tratta di dati congiunturali, che possono variare in maniera anche significativa di anno in anno, tuttavia segnalano un primo e non trascurabile punto di flesso. · in primo luogo occorre considerare che è verosimile che durante gli anni della crisi siano uscite dal mercato soprattutto le aziende più deboli, meno pronte a raccogliere le sfide dell’innovazione e della internazionalizzazione, determinando in questo modo un innalzamento delle performance medie delle imprese attive nel loro complesso; · si consideri poi che l’incidenza della produzione manifatturiera nazionale sul Pil colloca comunque l’Italia al secondo posto in Europa dopo la Germania; · in terzo luogo, è opportuno rimarcare che la mera considerazione del peso del manifatturiero sul Pil complessivo del Paese non fa giustizia del carattere strategico della nostra industria di trasformazione rispetto all’intera economia nazionale. 16 17 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Tab. 1 - La demografia del sistema d’impresa manifatturiera, anni 2009-2015 - I semestre 2016 (v.a., val.%, var.% e differenze) Tab. 3 - Valore aggiunto (*) per settori di attività, anno 2013 (v.a. milioni di euro correnti, var.% reale) 2009 2013 2014 2015 17.988 17.068 31.177 28.430 Imprese 21.443 iscritte (v.a.) Imprese cessate (2) 35.540 (v.a.) Saldo tra iscritte e -14.097 cessate (2) (v.a.) Var.% (1) I semestre 2 0 0 9 - 2 0 1 3 - 2 0 1 4 - 2016 2015 2015 2015 17.465 -18,6 -2,9 2,3 9.883 27.796 -21,8 -10,8 -2,2 15.730 Totale attività economi- Agricoltura che Territorio Nordest Centro Sud e Isole Industria Industria in senso stretto di cui manifatturiero Costruzioni Servizi 326.293 8.731 93.237 76.056 68.415 17.181 224.324 315.521 5.312 64.374 49.395 38.011 14.980 245.835 334.535 13.431 58.171 40.178 27.338 17.993 262.933 341.633 267.461 221.483 74.171 1.071.207 Italia 1.446.420 33.580 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat -13.189 -11.362 -10.331 -26,7 -21,7 -9,1 -5.847 Imprese at553.268 tive 515.267 506.782 500.901 -9,5 -2,8 -1,2 498.276 2.2 Tasso di na3,4 talità 3,0 2,9 3,0 -0,4 0,0 0,1 1,7 5,6 5,1 4,8 4,7 -0,9 -0,4 0,0 2,7 La trasformazione digitale in corso sta richiedendo al mondo imprenditoriale un evidente cambio di approccio: da un lato, una revisione dei processi industriali manifatturieri che abiliti la creazione di nuovi prodotti-servizi e dall’altro, l’impostazione di nuovi modelli di business che non possono prescindere dalle tecnologie digitali, oltre alla concentrazione degli investimenti in aree tecnologiche ben definite. Tasso di svi-2,2 luppo -2,2 -1,9 -1,8 0,5 0,4 0,1 -1,0 Addetti alle imprese (3) (v.a.) 3.775.669 3.747.909 3.698.314 - -2,0 -1,3 3.670.537 57.356 50.749 53.699 - -6,4 5,8 17.340 Tasso mortalità di A d d e t t i alle imprese iscritte nell’anno (3) (v.a.) (1) Differenza tra i tassi, variazione in tutti gli altri casi (2) Non d’ufficio (3) Fonte dato Inps Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere, DB Telemaco – Stockview Tab. 2 - Occupati, anni 2009-2015 (v.a. in migliaia, var.%) Occupati 2009 (mgl) Occupati 2015 (mgl) Var.% 2009-2015 Manifatturiero* 4.543,9 4.121,8 -9,3 Totale economia 22.698,7 22.464,8 -1,0 Settori economici * Dato al 2009 stimato per il passaggio dall’ATECO 2002 all’ATECO 2007 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat 18 L’innovazione tecnologica e nuova manifattura In tal senso questa rivoluzione industriale vuole fornire un primario indirizzo per l’innovazione di alcuni dei prodotti più competitivi e gioca quindi il ruolo di fondamentale driver di innovazione di processo. E’ facile comprendere che i settori direttamente interessati da questo fenomeno sono principalmente quelli ad alta intensità di conoscenza, come la meccanica e l’automotive, oltre all’industria farmaceutica, aeronautica e aerospaziale, dove il cambio di passo in chiave innovativa è agevolato dalla propensione agli investimenti in ricerca e sviluppo. L’Italia è però riconosciuta nel mondo per essere il Paese del “bello e ben fatto” (BBF). Con questa definizione negli ultimi anni si stanno identificando tutti quei beni di consumo di fascia medio-alta che si contraddistinguono per il design, la cura, la qualità dei materiali e delle lavorazioni. I settori interessati da questi prodotti sono principalmente quelli che ci identificano per il “Made in Italy” e la capacità creativa: alimentare, arredamento, abbigliamento e tessile casa, calzature, occhialeria e oreficeria-gioielleria. Si tratta ovviamente di manifattura ma di una manifattura che in molti casi è ancora a basso contenuto di innovazione, soprattutto dal punto di vista digitale. L’innovazione è da sempre la premessa e condizione senza la quale non avviene alcun cambiamento e non si ha alcun progresso economico e sociale. Ma questa rivoluzione industriale sta attribuendo ancora maggiore importanza all’innovazione degli investimenti in ricerca e sviluppo. E’ bene chiedersi a questo punto quale rapporto esiste in Italia fra manifattura e innovazione tecnologica e quali competenze sta mettendo in campo il nostro Paese per affrontare questa rivoluzione e supportare i fabbisogni delle imprese. Il primo elemento, dal punto di vista produttivo, è dato dalla correlazione tra spesa in ricerca e sviluppo e crescita del PIL, che incide sulla performance di innovazione di un Paese, e che vede l’Italia agli ultimi posti a livello globale, assieme a Portogallo e Grecia. Il secondo elemento, dal punto di vista della forza-lavoro, deve prendere in considerazione sia il tema 19 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica dell’istruzione verso le nuove generazioni, che la formazione e il numero di addetti potenzialmente da coinvolgere in una conversione e aggiornamento delle loro competenze. Tab. 4 - Spesa per R&S intra-muros in Italia - Anni 2009 - 2015 (migliaia di euro) Spesa totale Partendo dal primo punto, l’andamento della spesa totale in R&S in Italia dal 1999 al 2013, in termini percentuali rispetto al Pil, registra nel 2013 una leggera ripresa, passando da 1,22% del Pil a 1,31% (tab.4). L’incidenza degli investimenti delle imprese italiane rispetto al Pil risulta invece inferiore all’1% seppur in crescita dallo 0,65% del 2009 allo 0,71% del 2013. In valore assoluto gli investimenti delle imprese italiane in R&S hanno toccato gli 11,5 miliardi di euro, con un aumento del 3,3% rispetto al 2012. Lo stesso aumento in termini assoluti si registra per il comparto manifatturiero (tab. 5). L’incidenza del comparto manifatturiero sul totale della spesa delle imprese italiane in R&S si mantiene fondamentale (72,1% nel 2013), seguito a distanza dai servizi di informazione e comunicazione che, nel 2013, si attestano sull’11,3% (fig. 1). Se consideriamo la distribuzione della spesa in R&S fra i diversi settori che la effettuano (Amministrazioni pubbliche, Università, Imprese e Istituzioni Private di ricerca No Profit - IPNP), in Italia sono quindi le imprese a rappresentare la quota maggiore degli investimenti in R&S, per un valore di 9,2 mld di euro pari all’80,6% nel 2013 in crescita rispetto al 2012, di cui il 61% derivante dalle imprese manifatturiere. Entrando nel dettaglio, nell’anno 2013 l’attività con la quota maggiore di spesa in R&S è la fabbricazione di mezzi di trasporto (29,65%); valori inferiori si rilevano per fabbricazione di macchinari e attrezzature (16,57%) e fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica (15,65%) (fig.2). Questi dati confermano che oltre la metà della spesa in R&S in Italia è distribuita fra i principali settori ad alto tasso di conoscenza, mentre la manifattura tradizionale, rappresentata dal comparto del tessile e dell’abbigliamento, si ferma al 5,81%, dimostrando così un elemento di debolezza in termini di innovazione. Considerando la distribuzione della spesa in R&S delle imprese italiane, in funzione del loro numero di addetti si evidenzia la concentrazione nelle imprese con oltre 500 addetti (il 62,5% nel 2013) pur in leggero calo a favore di un incremento da parte delle imprese come meno di 50 dipendenti, passate dal 9,2% del 2012 al 10,6% del 2013. Queste imprese costituiscono la maggioranza del tessuto imprenditoriale italiano e ciò dimostra un segnale, seppur timido, di ripresa negli investimenti in innovazione (tab.6). L’avvento della quarta rivoluzione industriale sta ponendo all’attenzione del mercato del lavoro numerose sfide, in particolare dal punto di vista della formazione e degli skills richiesti. Il tema delle competenze e delle nuove professionalità trova le sue risposte a partire dall’attuale situazione della forza lavoro. Si registra una generale ripresa del sistema con un aumento del numero di addetti coinvolti dai processi di ricerca e sviluppo. Nel solo comparto manifatturiero sono aumentati, in valore assoluto, dai 112.978 del 2012 ai 120.240 del 2013 (tab.7). Spesa esclusa università Variazione % su anno precedente Valori concaRapporto tenati (anno Valori a Valori consul PIL catenati di riferimento: prezzi (valore (anno di 2010) (a) %) (d) corriferimento: renti 2010) (a) Valori a prezzi correnti Valori concatenati (anno di riferimento: 2010) (a) ANNI Valori a prezzi correnti 2009 19.208.952 19.266.752 1,1 -0,8 1,22% 13.396.981 13.437.293 2010 19.624.886 19.624.886 2,2 1,9 1,22% 13.977.419 13.977.419 2011 19.810.606 19.517.838 0,9 -0,5 1,21% 14.141.438 13.932.451 2012 20.502.485 19.924.670 3,5 2,1 1,27% 14.754.725 14.338.897 2013 20.983.102 20.137.334 2,3 1,1 1,31% 15.044.867 14.502.882 2014 (b) 20.770.252 19.781.157 -1,0 -1,8 1,29% 15.180.866 14.462.997 15.219.711 14.592.924 2015 (b) (c) (a) Calcolati mediante il deflatore del PIL. (b) Stima su dati di previsione forniti da imprese, istituzioni pubbliche e istituzioni private non profit. c) E’ stata utilizzata la previsione di variazione del deflatore del Pil inserita nel Documento Programmatico di Bilancio 2016. d) Per i dati sul Prodotto Interno Lordo sono state utilizzate le nuove serie storiche dei conti economici nazionali, aggiornate secondo il nuovo Sec 2010 (Sistema europeo dei conti) e rilasciate dall’Istat nel Settembre 2015. Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat Tab. 5 - Spesa per ricerca e sviluppo intra-muros – val.ass. a prezzi correnti (migliaia di euro) 2012 Totale attività Attività manifatturiere 2013 Totale economia Imprese (escluse università private) Totale economia Imprese (escluse università private) 8.251.463 6.833.952 8.279.012 6.993.666 11.107.205 8.835.813 11.480.390 9.255.557 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat 20 21 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Tab. 6 - Spesa per Ricerca e Sviluppo. Ripartizione % per classe di addetti - Italia, 2012-2013 Fig. 2 - Ripartizione della spesa in R&S delle imprese manifatturiere in Italia per attività economica, 2013 2012 2013 0-49 50-249 250499 500 e più 0-49 50-249 250499 500 e più Totale economia 8,9% 13,9% 11,7% 65,4% 10,3% 16,4% 10,8% 62,5% 12,0% 63,1% 10,6% 18,4% 11,8% 59,2% Imprese (escluse università 9,2% 15,7% private) Fonte: elaborazione Censis su dati Istat Fig. 1 - Spesa per Ricerca e Sviluppo per settore di attività economica – ripartizione percentuale – 2013 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat Fonte: elaborazione Censis su dati Istat 22 23 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Tab. 7 - Spesa e addetti per Ricerca e Sviluppo - Settore di attività economica e qualifica professionale ultimi dieci anni hanno avuto un incremento di 4 punti percentuali (fig. 3). 2012 Qualifica professionale totale economia attività manifatturiere ricercatori tecnici altro personale di supporto (esclusi tecnici e ricercatori) totale v.a. v.% v.a. v.% v.a. v.% v.a. 49.950 30,8% 79.296 48,9% 32.777 29,0% 162.023 32.110 28,4% 55.243 48,9% 25.625 22,7% 112.978 2013 ricercatori totale economia attività manifatturiere altro personale di supporto (esclusi tecnici e ricercatori) totale v.a. v.% v.a. v.% v.a. v.% v.a. 52.710 30,8% 83.629 48,9% 34.789 20,3% 171.128 33.544 27,9% 59.078 49,1% 27.618 23,0% 120.240 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat 2.3 tecnici La manifattura artigianale: le opportunità della digitalizzazione L’innovazione digitale sta operando grandi trasformazioni con importanti ricadute sulla manifattura: si è avviato un processo nel quale le imprese, attraverso le cosiddette Smart Manufacturing Technologies, riducono i costi ed aumentano efficienza e competitività. Non sono solo le grandi imprese ad essere coinvolte, per necessità di adeguamento, nel processo inarrestabile della Digital Transformation. Se si vuole che il business cresca questa è una condizione irrinunciabile anche per gli artigiani e le PMI che, se dotate di sistemi intelligenti, possono operare in modo flessibile e veloce nella produzione, nella logistica e nella qualità, senza dimenticare il comparto della sicurezza. Le imprese manifatturiere artigiane, 315.015 attive nel 2015, rappresentano il 62,9% (erano il 64,2% nel 2009) del totale delle imprese manifatturiere (500.901) e incidono per il 23,3% sul totale delle imprese artigiane (1,3 ml) (tab. 8). I settori più rappresentati sul totale delle imprese manifatturiere artigiane sono, nel 2015 (valori costanti nel II trimestre 2016), quello della fabbricazione di prodotti in metallo (20,8%), seguito dalle industrie alimentari (12,7%) e dalle altre industrie manifatturiere (10,3%). L’abbigliamento e l’industria del legno seguono rispettivamente con il 9,3% e il 9,1%. Data la generale diminuzione del numero di imprese manifatturiere artigiane tra il 2009 e il 2016 (14,1%), è importante comprendere come arrestare questo fenomeno e garantire competitività ad un settore dell’economia italiana che rappresenta la maggioranza del tessuto imprenditoriale ma che appare ancora piuttosto debole negli investimenti in innovazione digitale. Se nel complesso nell’ultimo decennio gli investimenti hanno registrato un calo significativo nel nostro Paese, accompagnato da una leggera ripresa solo tra il 2015 e il 2016, gli investimenti digitali negli 24 Pur a fronte di tale crescita il Digital Economy and Society Index 2016 (DESI) pone l’Italia al 25° posto in Europa (EU 28), davanti solo a Grecia, Bulgaria e Romania, con un punteggio complessivo pari a 0,4, frutto dall’analisi complessiva di cinque dimensioni: connettività, capitale umano, uso di internet, integrazione delle tecnologie digitali e servizi pubblici digitali. Nell’integrazione della tecnologia digitale, che misura il livello di digitalizzazione delle imprese (ERP, Rfid, IoT, fatturazione elettronica, social media, cloud computing e e-commerce), l’Italia si colloca 20esima tra i paesi dell’UE. Nonostante la posizione ricoperta emergono alcuni dati confortanti: un ruolo crescente del commercio elettronico nel fatturato delle PMI (aumentato dal 4,9% nel 2014 all’8,2% del 2015) e una copertura delle reti NGA (Next Generatione Access) passata dal 36% delle famiglie nel 2014 al 44% nel 2015. I progressi sono però ancora troppo lenti (sono il 5,4% del totale gli abbonamenti sottoscritti alla banda larga veloce) e ostacolano anche l’industria italiana che potrebbe trarre vantaggi da un uso più diffuso delle soluzioni di eBusiness. Entrando nel dettaglio della composizione dell’indicatore, è possibile riscontrare che l’impresa italiana, tra il 2012 e il 2015, ha migliorato di molto la sua posizione per ciascuno dei valori che lo compongono. In particolare va sottolineato l’incremento percentuale delle PMI che hanno implementato sistemi ERP (Enterprise Resource Planning) per la pianificazione e integrazione dei processi aziendali interni, ambito nel quale si è passati dal 20,3% del 2012 al 35,2% del 2015 superando la media europea (34,3%). Ugualmente in crescita, nello stesso periodo, il ricorso a software CRM (Customer Relationship Management) da parte delle PMI, passate dal 17,1% al 18,3% in tre anni, seppur ancora al di sotto della media europea (20,1%). La presenza online attiva delle imprese italiane sta inoltre migliorando: l’indice per 2015 evidenzia una crescita percentuale anche per gli indicatori relativi all’uso del sito web (35,5%) e dei social media (37,3%) anche se ancora al di sotto della media europea (rispettivamente del 55% e 39%). A fronte della 20° posizione per l’innovazione digitale, secondo i dati Eurostat l’Italia delle PMI fa registrare, per il periodo 2010-2012, una 4° posizione per la quota di piccole imprese che svolgono attività innovative (56,1%), dopo Germania, Lussemburgo e Irlanda, con riferimento ad attività di innovazione di processo, prodotto, marketing e organizzativa (fig.4). La situazione complessiva dimostra quindi che è sempre più necessaria una nuova gestione dell’azienda che deve essere ripensata per rimanere al passo con un mercato sempre più globale e veloce e per raggiungere competitor di altri Paesi più digitalizzati. Con l’introduzione delle tecnologia digitale e la disponibilità della rete internet ogni fase del ciclo di vita di un prodotto e di un servizio tenderà infatti a dotarsi sempre più di una componente immateriale generata dalle principali tecnologie abilitanti in continua evoluzione. La trasformazione auspicata (e in parte in atto), supportata dagli elementi di policy analizzati, sta portando i primi risultati grazie ad un complesso sistema di tecnologie abilitanti: IoT, cloud computing, stampa 3D e additive manufacturing, cyber-security, robotica avanzata, realtà aumentata, wearable technologies, sistemi cognitivi. Un recente studio di Confartigianato stima che nel 2020 l’Internet of Things (IoT) varrà 97,9 mld di euro coinvolgendo oltre 800 mila imprese artigiane con più di 2 ml di addetti (73,6% dell’occupa25 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica zione dell’artigianato) e oltre 1 milione di micro e PMI con meno di 20 addetti e con un incremento medio annuo dei ricavi sul PIL del 20,4%. I settori maggiormente interessati da IoT sono oltre al manifatturiero, l’autoriparazione e soprattutto l’impiantistica interessata dallo sviluppo della domotica, il trasporto e la logistica. Fig. 3 - Investimenti ICT (computer, hardware, telecomunicazioni, software e basi di dati), anni 2005-2015 (% del PIL a prezzi costanti) Ma l’Industria 4.0. grazie ai cosiddetti big data genererà anche enormi quantità di dati che dovranno essere analizzati e interpretati per rendere più competitivo e innovativo ogni processo produttivo. Questo scenario richiede importanti investimenti in competenze digitali, non solo per l’assunzione di nuove figure professionali (spesso da formare) ma anche per la formazione continua degli addetti. Se nel passato le rivoluzioni industriali hanno valorizzato le economie di scala, oggi attraversiamo una fase in cui diventa cruciale l’intensità di conoscenza. La manifattura 4.0 richiede infatti delle high-skills, competenze tecniche e digitali che possano dare valore aggiunto alla produzione e al processo di un nuovo business innovativo. Secondo il DESI 2016, l’Italia occupa la 24° posizione in Europa per digital skills e la 22° per la presenza di forza lavoro con competenze ICT nelle imprese. Con riferimento a quest’ultimo indicatore è interessante osservare che in Italia, nel 2015, è aumentata la percentuale di forza lavoro occupata con competenze ICT con più di 35 anni (74,6%, superiore alla media europea del 63,6%) e si è ridotta invece la quota dei più giovani passando dal 36,7% del 2009 al 25,4% del 2015, molto al di sotto della media europea). Se confrontiamo questo dato con i settori in cui sono occupati riscontriamo che forza lavoro con competenze ICT nelle imprese italiane è pari al 17% della forza lavoro totale (rispetto al 20% della media EU28), e nelle imprese manifatturiere (di cui più della metà artigiane) questo dato non si discosta di molto dalla media europea. Fonte: elaborazione Censis su dati Istat Fig. 4 - Quota di PMI che svolgono attività innovative nell’Unione Europea (valore percentuale), 2010-2012 Una vera economia digitale è dunque quella in cui le imprese sanno sfruttare appieno le possibilità e i vantaggi offerti dalle tecnologie digitali, sia per migliorare la loro efficienza e produttività sia per raggiungere i clienti e concretizzare le vendite. Nel pieno della quarta rivoluzione industriale non si può prescindere quindi da una manifattura che si basi sull’utilizzo di macchine intelligenti, interconnesse e collegate ad internet. La connessione tra sistemi fisici e digitali, la possibilità di effettuare analisi complesse attraverso big data e adattamenti real-time nella produzione costituiscono la reale opportunità che il digitale sta offrendo all’impresa. Mai come in questo momento storico si è potuto affermare che “digitali si diventa”. Tab. 8 - Demografia imprese attive, manifatturiero e artigianato (valore assoluto) Italia (2009-2015-II trim. 2016) 2009 Totale manifatturiero Totale Italia 2016 (II TRIM) Imprese Di cui artigiane Imprese Di cui artigiane Imprese Di cui artigiane 553.268 355.341 500.901 315.015 498.276 311.443 5.283.531 1.465.949 5.144.383 1.349.797 5.153.222 1.338.838 Fonte: elaborazione Censis su dati Movimprese 26 2015 Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat 27 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica 2.4 Queste policy devono contemporaneamente traguardare un orizzonte sovranazionale perché i nuovi business non si giocano più in difesa. Industria 4.0: lo stato dell’arte Industria 4.0. è contaminazione: un mix di luoghi di produzione, strumenti (digitali), competenze, modelli di business innovativi. Con il termine Industria 4.0. si identificano, e spesso confondono, gli strumenti che caratterizzano l’evoluzione tecnologica e digitale della quarta rivoluzione industriale: internet delle cose, cloud computing, big data, realtà virtuale tra i più noti. Non è invece facile fornirne una definizione che tenga conto del processo verso cui l’impresa e il sistema economico si stanno avviando. Un processo partito, almeno in Italia, con approccio bottom up. Questo processo è inserito in un momento storico in cui si sono affermate da un lato, l’economia della condivisione o sharing economy, con al centro l’utente e la “folla” (pensiamo al crowfunding), e dall’altro l’economia del fare o maker economy, basata sul nuovo ruolo dell’artigiano e di chi produce “sporcandosi le mani”, recuperando anche luoghi e professioni in parte abbandonati. L’Industria 4.0. è comunque figlia della quarta rivoluzione industriale e del 21° secolo. Tutte le rivoluzioni industriali hanno comportato effetti enormi sull’incremento della produttività e sul benessere della società. Dopo l’avvento dell’energia idroelettrica (XVIII secolo), delle produzioni di massa e dell’elettricità (XIX secolo), e dell’automazione, in particolare dell’elettronica e dell’informatica (XX secolo), l’Industria 4.0. è un fenomeno che, pur non essendo ancora codificato nei libri di scuola, è già considerato come un cambiamento di portata epocale. In ciascuna di queste fasi dell’economia mondiale, a determinare i maggiori guadagni in termini di produttività, oltre che di efficienza e ricchezza, non è stata solo la tecnologia. Un ruolo importante è stato giocato dalle innovazioni organizzative e di approccio al cliente e ai mercati, e dalla capacità di adattamento. E così sta avvenendo anche per questa nuova fase. Capire, governare e capitalizzare questo cambiamento è determinante anche per le imprese odierne, chiamate ad affrontare le nuova sfide del mercato. Questo vale in particolare in un Paese come l’Italia che, come ci confermano i dati, ha nel suo settore manifatturiero uno dei più importanti driver di crescita, di competitività, di occupazione. In base ad una recente analisi Istat (febbraio 2016) sono i settori della meccatronica (computer, apparecchi elettronici e ottici, apparecchi elettrici, macchinari ed apparecchi) a presentare la migliore prospettiva in termini di reazione al cambiamento: le tecnologie digitali applicate a questi comparti del Made in Italy - in crescita del 4,5% nell’ultimo anno - si stima interessino 31.361 micro e piccole imprese con meno di 20 addetti, e un totale di 113.747 addetti, pari al 23,9% dell’occupazione del settore. Che cosa si identifichi, quindi, con il temine Industria 4.0 è ancora in parte da definire. Il termine è stato usato per la prima volta ad una fiera di elettronica, ad Hannover, nel 2011. Considerate le premesse, i confini fra manifattura, servizi e settori produttivi si fanno sempre più rarefatti in un processo di cosiddetta “servitizzazione” del manifatturiero. Parlare di Industria 4.0 significa quindi mettere a sistema, amplificandole e integrandole, una serie di misure e di linee politiche per la promozione e il sostegno alle imprese che innovano, anche in chiave digitale, che si internazionalizzano e sono flessibili, automatizzate, interconnesse e reattive al cambiamento. Sono queste le caratteristiche da valorizzare per la competitività delle imprese e da promuovere con adeguate linee di politica industriale. Le istituzioni sono infatti chiamate a mettere al centro della propria azione le condizioni abilitanti perché le imprese possano lavorare, sperimentare e svilupparsi. 28 La Legge di Stabilità 2014 (l.147/2013), come le successive modifiche nella Legge di Stabilità 2016 (l.208/2015), hanno per prima introdotto in Italia la disciplina relativa all’industria sostenibile e all’artigianato digitale con l’istituzione di un fondo destinato al sostegno delle imprese per lo sviluppo di attività innovative e di ricerca e sviluppo anche con forme di collaborazione fra le imprese manifatturiere e gli enti di ricerca e le università. Il governo italiano, nel settembre 2016, ha inoltre messo in campo i suoi strumenti e le sue competenze, presentando il Piano Industria 4.0: un documento di posizionamento strategico con qualche prima indicazione di policy. L’obiettivo è quello di sviluppare, da un lato, un framework di azione per favorire gli investimenti delle imprese in ottica 4.0, ma anche quello di individuare un primo pacchetto di misure da inserire nella Legge di Stabilità 2017, recependo quanto il mercato sta già anticipando concretamente. Il Piano, che punta a sostenere questa trasformazione, arriva dopo la strategia francese e tedesca e, stanziando oltre 13 mld di euro (più dei 10 mld di Parigi e del miliardo di Berlino), si pone come proposta di via italiana all’industria 4.0. e individua alcune aree su cui concentrare l’azione di policy del Governo: investimenti in innovazione, fattori abilitanti, standard di interoperabilità, sicurezza e comunicazione, IoT, rapporti di lavoro, salario e produttività, finanza d’impresa. Ma la via all’industria 4.0. ha un suo importante pilastro anche sulle policy messe in campo in ambito digitale. Il Piano Crescita Digitale e il Piano Banda Ultra Larga, i documenti che costituiscono l’Agenda Digitale nazionale, hanno tracciato le basi e le premesse strategiche per agevolare i diversi contesti interessati: la scuola, l’impresa, la PA e il cittadino. L’obiettivo più ambizioso, dato il gap italiano, è sicuramente quello relativo alla connettività: raggiungere l’85% della popolazione con almeno 100 Mbts e il 15% con almeno 30 Mbts. Questo consentirebbe di essere competitive e attraenti per le imprese e per nuovi insediamenti 4.0. anche alle aree cosiddette a “fallimento di mercato”, non raggiunte dagli operatori. Il sistema industriale italiano, quindi, con i suoi punti di forza e di debolezza in tema di digitalizzazione, presenta sia opportunità che rischi derivanti anche dal contesto europeo e internazionale, che influiscono nel favorire un passaggio concreto all’industria 4.0. La digitalizzazione dei processi produttivi in generale, e del settore manifatturiero in particolare, rappresenta quindi non solo l’opportunità dello Smart Manufacturing per la nostra industria ma presenta anche dei rischi e delle minacce tanto per l’impresa quanto per l’economia europea e mondiale: il World Economic Forum, ad esempio, ha di recente paventato la perdita di 5 milioni di posti di lavoro. Una partita importante si gioca sul tema della formazione e delle competenze. La domanda di lavoratori con “adeguate competenze digitali” cresce del 4% all’anno in tutta Europa (Commissione EU) e si potrebbe arrivare a 825.000 posti di lavoro non coperti entro il 2020 se non saranno sviluppate azioni concrete. Per ridurre il gap e quindi il rischio di una mancanza di figure professionali sufficienti a coprire il fabbisogno nazionale ed europeo, l’Agenzia per l’Italia Digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri (AgID), nell’ambito del Piano Crescita Digitale, ha condotto un percorso di ricognizione delle esperienze formative in corso a tutti i livelli, dal locale al nazionale. La strategia italiana per le competenze digitali trova attuazione anche in una piattaforma (competenzedigitali.agid.gov.it) dove raccogliere, mediante autocandidatura, tutte le progettualità che prevedono occasioni formative verso tutti i target: PA, imprese e cittadini. 29 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Anche il Piano Industria 4.0. intende fornire una risposta concreta alla necessità di figure dotate di e-skills da inserire in azienda, non solo mediante la formazione professionale rivolta ai NEET, i giovani che non studiano e non lavorano, per introdurli nel mercato del lavoro, ma anche al middle management per un aggiornamento continuo e una auspicabile crescita aziendale. Il Governo punta inoltre ad una formazione scolastica e post-scolastica in chiave digitale, che traguardi tutti gli ambiti, comprese le scienze umane. L’obiettivo è dotarsi di 200.000 studenti universitari, 1.400 dottori di ricerca e 3.000 manager specializzati. 3. Come è cambiato il rapporto città-industria, come è cambiata la manifattura L’azione trasversale messa in atto è quindi uno strumento a disposizione delle imprese, stimolate da iniezioni di fondi pubblici e incentivazioni, ma lasciate libere di intraprendere la strada più congeniale scegliendo come e dove investire per accrescere la competitività e puntare al loro rilancio anche internazionale. La manifattura, nata in città, ha visto riconfigurarsi la sua presenza nelle aree urbane attraverso cicli diversi. 3.1. I diversi cicli dello svuotamento produttivo delle città In particolare a partire dagli agli anni ’70 del secolo scorso, la crisi di alcuni settori industriali tradizionali e le spinte alla rilocalizzazione degli impianti fuori dai confini urbani hanno determinato un imponente processo di dismissione di impianti produttivi urbani. Fenomeno di portata europea e che da noi ha riguardato soprattutto le città industriali del Nord. Molte aziende industriali (anche se certamente non tutte) hanno lasciato le città per delocalizzarsi negli hinterland e in alcuni casi anche in aree non urbane ma dotate di buona accessibilità. A spingere la produzione industriale fuori dalle città sono stati essenzialmente i vincoli di spazio, l’aumento dei costi di terreni e immobili, la crescente consapevolezza ambientale. La ristrutturazione del sistema produttivo ed i relativi effetti di dismissione hanno generato “vuoti urbani” in alcuni casi di ampia dimensione, in altri a carattere quasi interstiziale, che nei decenni successivi il mercato immobiliare ha in parte metabolizzato, quasi sempre in chiave commerciale o residenziale. Nel frattempo, con la trasformazione post-industriale, le città sono sempre più diventate protagoniste della crescente domanda di servizi intermedi anche in settori economici tradizionali. Domanda legata in parte alla necessità delle imprese di uscire dalla dimensione locale e di operare in mercati più ampi, di dimensione regionale, nazionale o internazionale, e quindi di ricorrere a servizi specializzati per affrontare i mercati. Dato che lo sviluppo di questi servizi specializzati e di livello superiore beneficia di economie di agglomerazione, è avvenuta una forte concentrazione nelle grandi città, caratterizzate da una elevata densità e varietà di soggetti, e da una maggiore disponibilità di expertise. Peraltro, a livello urbano, ciò ha determinato la fine del modello di città moderna basato sulla divisione funzionale per grandi comparti, e l’affermarsi delle caratteristiche tipiche della città contemporanea: frammentazione, sovrapposizione di funzioni, soggetti, attrezzature. Più in generale negli anni Ottanta e Novanta le città investite dalla deindustrializzazione hanno tentato (con maggiore o minore successo) di compensare la perdita di attività e posti di lavoro grazie al consolidamento dei nuovi settori legati ai servizi, dalla finanza al turismo, dal commercio alla cultura. In questo contesto una parte significativa dei contenitori produttivi dismessi è stata progressivamente valorizzata, riconvertendola a vari usi: il mercato immobiliare ha metabolizzato questo patrimonio quasi sempre per accogliere le nuove funzioni terziarie direzionali o in chiave commerciale e residenziale (spesso di livello medio-alto). Ciò non significa che è stato del tutto estromesso il manifatturiero dallo scenario urbano, ma questo si è fortemente ridimensionato nei numeri ed integrato nei tessuti urbani. In una fase successiva il processo di globalizzazione per abbassare i costi di produzione ha determinato 30 31 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica ulteriori effetti delocalizzativi, questa volta a scala non più territoriale ma internazionale, spostando fuori dai paesi occidentali soprattutto produzioni a basso valore aggiunto e attività fortemente “routinizzate”. Oggi, a causa della crisi recente, ci confrontiamo con gli effetti di un ulteriore ciclo di dismissione urbana, un nuovo effetto di “svuotamento”, che ha riguardato non più i grandi recinti industriali, ormai pressoché assenti all’interno delle città, ma piuttosto gli spazi terziari e quelli del commercio soprattutto di prossimità. Si è al riguardo parlato di desertificazione urbana, con riferimento alle tante saracinesche abbassate di negozi e attività artigianali. Peraltro, data la grave crisi del settore, stavolta non vi è all’orizzonte la spinta immobiliarista, che negli scorsi decenni è stata forte, e che ha portato alla riconversione urbana di tanti aree e contenitori dismessi. Il rischio oggi evidente è che nelle aree centrali dei contesti urbani sopravvivano solo o prevalentemente funzioni legate alla rendita e al consumo “rapido” e di massa: hotel e ristoranti, bar, pizzerie e gelaterie, negozi di souvenirs, bed & breakfast e alloggi in affitto per turisti. Ne deriverebbe una grave perdita di identità, l’impoverimento di quella diversificazione sociale e funzionale che è un carattere fondamentale delle città più dinamiche ed attrattive, nonché la progressiva espulsione delle funzioni non legate alla rendita, fondamentali per generare sviluppo e occupazione. Quali sono i fattori di contrasto a questa deriva di svuotamento? Una risposta può venire dal consolidamento di un nuovo ciclo produttivo urbano, con caratteristiche del tutto diverse, fatto anche di autoimprenditorialità e micro imprese legate alle nuove tecnologie. In sostanza una manifattura “urbana” del futuro ma radicata nella città, che oltre al suo impatto economico e occupazionale, può contribuire, ad invertire in parte il processo di svuotamento. 3.2. I caratteri generali della nuova manifattura Prima di parlare dei segnali recenti di un rinnovato rapporto tra città e manifattura, per delimitare il fenomeno e comprenderne anche le ragioni profonde, è importante inquadrarlo nel contesto generale. Contesto che è fatto di fenomeni diversi che si sovrappongono e cumulano i loro effetti. In particolare è bene ricordare che: mente di fabbrica intelligente, di applicazione dell’Internet delle cose alla fabbrica. La manifattura 4.0 è già, seppur parzialmente, una realtà in cui le nuove tecnologie sono riunite ed integrate, con macchinari in grado di dialogare tra loro, di essere riprogrammati a distanza e quindi di diventare più flessibili e adatti a produrre su lotti piccoli. Parallelamente sono fortemente diminuiti gli impatti ambientali della produzione: fabbriche non solo intelligenti ma anche “pulite”; - in questo quadro si segnala lo sviluppo dell’additive manufacturing. Grazie ad essa si sono abbattuti i costi ed i tempi di protopizzazione e non si deve necessariamente produrre elevate quantità per competere sul prezzo. Pertanto è possibile focalizzarsi su mercati di nicchia in cui l’elemento chiave è la personalizzazione ed il design, cioè le dimensioni più creative; - in questo contesto aumentano le competenze richieste ai lavoratori. Ciò perché nel processo produttivo si sta verificando una migrazione da attività di trasformazione manuale ad attività centrate sulla regolazione, il settaggio, la manutenzione ed il miglioramento. 3.3. Segnali e significati della risorgenza della manifattura urbana Pur a fronte di una trasformazione della base economica della maggior parte delle città occidentali che ha visto passare dalla centralità della produzione a quella dei servizi, della conoscenza e della comunicazione, sarebbe sbagliato affermare che la manifattura è scomparsa nei centri urbani. Come dimostrano molte analisi, un particolare tipo di manifattura rappresenta una parte significativa dell’attuale economia urbana. Un segmento legato a prodotti di personalizzazione, self-made design, arte, come anche ad attività di produzione altamente sperimentali sviluppate da università e centri di ricerca. Uno sviluppo che è avvenuto sulla base di alcuni fattori che valevano anche in passato: il desiderio di essere vicino a un mercato particolare, la vicinanza a lavoratori qualificati, l’accesso alle reti di trasporto. In questi ultimi anni è tornata l’attenzione alla dimensione urbana della produzione, alla rinascita di attività manifatturiere pregiate all’interno delle città. Il tema è legato evidentemente ad un’evoluzione della manifattura indirizzata verso una produzione sempre più personalizzata e flessibile, e con bassi impatti ambientali. - la crisi, con il crollo della domanda interna, in questi anni ha messo fuori mercato molte imprese, costringendole a chiudere. Gran parte di quelle che sono sopravvissute hanno nella capacità di innovare, di presidiare e di aprirsi sempre di più a mercati internazionali la loro strategia di salvezza. La dimensione delle esportazioni, già rilevante, ha acquisito ulteriore importanza; Come ha messo in evidenza Saskia Sussen, la nuova manifattura che si sviluppa nelle città inverte in qualche modo il rapporto storico tra servizi e produzione: i servizi storicamente sono stati sviluppati per soddisfare le esigenze delle aziende produttrici, mentre in questo caso l’industria produce su richiesta del settore dei servizi. - vi sono importanti evidenze di un fenomeno di rientro in patria di alcune imprese industriali (back reshoring), che da noi riguarda essenzialmente il Nord e proprio i settori forti del nostro export (la meccanica, innanzitutto e poi abbigliamento, arredamento, agroindustria e farmaceutica). Le regioni del tornare a produrre in Italia sono la presenza di competenze, della cultura d’impresa del “bello e ben fatto”. Fattori che rimandano al capitale umano, al capitale sociale, di territori di antica e solida industrializzazione, l’attitudine alla flessibilità e all’innovazione di processo) che legano in modo originale tradizione e innovazione, qualità e impiego intelligente delle conoscenze produttive; La manifattura urbana attuale è fatta di soggetti leader nella progettazione di prodotti unici e specializzati, alcuni dei quali svolgono un ruolo importante nel settore delle tecnologie emergenti e del settore sempre più importante della tecnologia verde. Si tratta di una manifattura che vede al centro il design ed il progetto, e che per essere messo a fuoco richiede un superamento della distinzione rigida tra produzione e servizi. - il cambiamento tecnologico è assoluto protagonista della fase attuale. Si parla ormai diffusa32 Del resto gli abitanti delle grandi città sono spesso i principali consumatori di prodotti di fascia alta, di prodotti specializzati legati al design e realizzati da piccoli produttori. La nuova stagione della manifattura urbana post-industriale è indipendente, locale e fai da te; e cen33 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica trata sulla crescita dell’innovazione tecnologia e l’imprenditorialità piuttosto che sulla produzione di massa. 4. Consistenza, vitalità e concentrazione delle imprese manifatturiere urbane Perché i produttori urbani traggono un vantaggio competitivo dalla loro posizione all’interno di reti urbane dense? Perché la prossimità alla scena urbana permette loro di sfruttare e capitalizzare la maggiore comprensione delle tendenze del design, della, progettazione e del mercato e regolare rapidamente il prodotto alle variazioni della domanda. 4.1. La consistenza manifatturiera delle città italiane Approfittando di questi vantaggi competitivi, la manifattura urbana tende pertanto a: - essere di piccole dimensioni (in genere occupano meno di 20 addetti); - fornire un prodotto altamente specializzato o di nicchia; - avere tempi di sviluppo rapidi; - essere orizzontalmente integrata in reti di numerosi clienti, fornitori, distributori e subappaltatori. Tutto ciò porta a produrre in loco, proprio perché una produzione manifatturiera fortemente customizzata richiede frequenti contatti faccia a faccia. 3.4. I potenziali effetti rigenerativi sulle città Il settore manifatturiero non potrà forse tornare ad avere l’importanza che aveva un tempo all’interno delle città. Tuttavia la presenza di un segmento solido e innovative che contribuisce all’offerta di posti di lavoro qualificati è di grande importanza. Riportare in città la manifattura a basso impatto, mantenere la capacità di produrre prodotti fisici (non limitandosi ad essere delle piazze di consumo),) è una delle chiave per le città di rimanere a lungo termine leader nel campo dell’innovazione. Del resto l’insediamento di attività imprenditoriali di piccole dimensioni ha un impatto positivo sullo spazio urbano: consente di riqualificare i centri urbani con un mix di funzioni, contribuisce ad attivare spazi pubblici, ad investire nella manutenzione di edifici, ecc. Si tratta evidentemente di un’opportunità anche occupazionale. La produttività e la competitività delle imprese non è data solo dall’innovazione dei macchinari ma anche dalla presenza di figure specializzate, fondamentali per garantirne il corretto funzionamento e per la personalizzazione dei prodotti. E’ un tema impostante se si considera che negli ultimi anni la recessione economica ha prodotto fenomeni di parziale desertificazione di alcune zone urbane, in cui si è ridotta la presenza di attività commerciali, artigianali e di servizio. 34 Sono circa mezzo milione le imprese manifatturiere operanti in Italia e danno lavoro a circa 3,7 milioni di addetti. La dimensione media è di 7,4 addetti ad impresa, un dato che di per sé è poco significativo: ci troviamo infatti al cospetto di un tessuto pulviscolare di decine di migliaia di micro-aziende e di un numero circoscritto di grandi aziende con migliaia di addetti. La maggior parte di queste aziende è diffusa capillarmente sul territorio nazionale corrispondendo in questo al modello insediativo che caratterizza la popolazione residente. Guardando al sottoinsieme delle imprese localizzate nei capoluoghi di provincia si registrano 127mila aziende circa (il 25,4% del totale) e poco meno di un milione di addetti (il 26,6% degli addetti totali). Accogliendo il 30% della popolazione complessiva, il complesso delle 110 città italiane capoluogo di provincia mostra dunque una vocazione manifatturiera non molto dissimile da quella del Paese nel suo complesso. Scendendo più nel dettaglio è possibile valutare la consistenza manifatturiera delle città capoluogo. Due sono le dimensioni che l’attestano e che, nella loro semplicità, sono del tutto auto-evidenti: da un lato il numero complessivo degli addetti che operano nelle aziende manifatturiere localizzate nei capoluoghi, dall’altro il numero di aziende. Il primo elemento che colpisce, guardando la figura 9, è la forte polarizzazione in alcune specifiche grandi città. Milano ospita 208 mila addetti nel manifatturiero che valgono il 21% degli addetti presenti nei capoluoghi italiani. Al secondo posto Torino (11,2%) seguita da Roma (10,2%). Ovviamente le dimensioni urbane “contano”, ma il dato bruto sugli addetti è comunque importante per comprendere il “peso” del manifatturiero urbano. Nei paragrafi successivi si farà riferimento a indici di natura differente, più sofisticati e, soprattutto più adatti a descrivere le vocazioni produttive delle città e la loro “vitalità” manifatturiera. Pur a fronte di questo ragionamento colpisce il dato relativo al comune di Prato, che si colloca al 4° posto (2,9% degli addetti) sopravanzando città come Verona, Napoli, Firenze, Parma, Modena e Genova (dal 2,0% al 2,6% degli addetti). Una vera “incursione”, quella del comune toscano specializzato nel tessile, tra le grandi città italiane. 35 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Fig. 9 - Distribuzione % addetti al manifatturiero - comuni capoluogo, anno 2015 (val.%) Bisogna comunque considerare che nel manifatturiero, a differenza di quanto avvenuto a livello del sistema produttivo generale, nel 2015 il numero delle cessazioni di imprese manifatturiere (27.800 circa) è stato ancora decisamente superiore a quello delle nuove iscrizioni (17.500 circa). Si tratta dunque di un quadro fatto di luci ed ombre caratterizzato ancora da dati generali molto critici, e da alcuni interessanti segnali positivi individuabili soprattutto in ambito urbano. Osservando meglio il dato sulle nuove iscrizioni, da interpretare come segnale di reazione alla crisi, si registra che, a fronte di un dato nazionale di riduzione delle nuove iscrizioni di imprese manifatturiere tra 2009 e 2015 pari al 18,5%, il ridimensionamento è meno accentuato nelle città. In particolare tra i due anni considerati le iscrizioni diminuiscono: - del 19,2% nei comuni non capoluogo; - del 16,7% nei comuni capoluogo; - di appena l’8% nelle 12 grandi città con più di 250 mila abitanti. Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere - Istat 4.2. La crescita relativa (nel calo generalizzato) delle nuove imprese manifatturiere nelle città italiane Sul fronte della vitalità del manifatturiero urbano, qualche segnale interessante viene dall’analisi dei dati contenuti nel Registro delle imprese (banca dati Telemaco). Il primo dato, certamente positivo, è individuabile nel fatto che il numero delle cessazioni di imprese manifatturiere si è fortemente ridimensionato. Nel 2015 l’emorragia di imprese (circa 27.800 aziende hanno cessato l’attività nel corso dell’anno) è stata assai meno rilevante che nel 2009, quando cessarono l’attività oltre 35.500 aziende manifatturiere. In termini percentuali il ridimensionamento delle cessazioni è stato del 21,8%, sostanzialmente un quinto di cessazioni in meno rispetto al 2009. Tale fenomeno di riduzione in termini percentuali è maggiore di quello registrato a livello generale, cioè considerando le imprese di tutti i settori economici, dove il totale delle cessazioni di impresa ha registrato un calo dell’11,3%. Ne deriva che il peso relativo delle città all’interno del volume totale delle iscrizioni è cresciuto. Infatti nel 2009, fatte 100 le nuove iscrizioni di imprese manifatturiere, quelle relative ad imprese localizzate nei comuni capoluogo pesavano per il 26,7% del totale, mente nel 2015 la loro quota sale al 27,4%. Prendendo in considerazione solamente le 12 grandi città con più di 250mila abitanti, la loro quota sul totale delle iscrizioni passa dal 9,0% del 2009 all’11,2% del 2015. In sostanza, in un contesto in cui ancora le iscrizioni di imprese manifatturiere sono più basse rispetto al 2009, le città, ed in particolare quelle di maggiori dimensioni, mostrano segnali di relativa vivacità, in gran parte inaspettati. Se ne ha riscontro guardando in dettaglio ai dati relativi alle singole grandi città. Rimanendo sul terreno delle nuove imprese che si iscrivono ai registri, va segnalato – pur considerando che si tratta di variazioni relative a stock di contenute dimensioni -, che le iscrizioni nel 2015 rispetto al 2009 crescono: - del 25,0% a Venezia; - del 14,8% a Bologna; - del 15,5% a Firenze; - del 10,9% a Milano. Altre città come Torino e Roma registrano dati ancora negativi (rispettivamente -4,9% e -9,7%), ma comunque decisamente più contenuti rispetto al dato medio nazionale che, come già rimarcato, si 36 37 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica attesta sul -18,5% (tab.9). 4.3. Allargando l’analisi ad altri settori produttivi si vede bene come questo fenomeno sia nei fatti generalizzato: l’andamento delle iscrizioni tra i due anni considerati segnala infatti una maggiore tenuta della città e in particolare del cluster con più di 250.000 abitanti. Più in dettaglio: 4.3.1. - nei settori dove le iscrizioni sono in calo, come il manifatturiero e soprattutto le costruzioni, la diminuzione è meno marcata nei comuni capoluogo e ancor più nelle grandi città; - nel settore che registra una crescita delle iscrizioni, quello dei servizi, sono le grandi città le protagoniste, mentre la crescita è meno sostenuta nei comuni non capoluogo (fig. 10). Tab. 9. Iscrizioni di nuove imprese manifatturiere 2009-2015 v.a Comuni non capoluogo 12.686 2015 % sul totale 72,6% 27,4% Comuni capoluogo 4.779 Grandi Comuni 11,2% 1.953 (oltre 250mila abitanti) 100,0% Totale 17.465 Fonte: elaborazioni Censis banca dati Telemaco v.a. 15.708 2009 % sul totale 73,3% Var. % 2009-2015 numero iscrizioni -19,2% 5.735 26,7% -16,7% 2.123 9,0% -8,0% 21.443 100,0% -18,5% Fig. 10 - Iscrizioni di nuove imprese nel manifatturiero, costruzioni e servizi, 20092015 (var.%) Imprenditorialità manifatturiera urbana: il posizionamento delle città italiane1 Il posizionamento delle città letto attraverso tre differenti indici E’ noto che i territori italiani presentano una elevata differenziazione funzionale che è riscontrabile soprattutto nelle diverse vocazioni produttive. Le analisi a livello provinciale lo confermano con chiarezza. Meno evidente è tuttavia il contributo offerto dai comuni capoluogo alle vocazioni evidenziabili nell’area vasta. Il “ranking manifatturiero delle città italiane” esplora questa dimensione valutando in maniera congiunta tre diversi aspetti connessi con la produzione manifatturiera. Il primo di questi è la “vocazione”: una città con forte vocazione manifatturiera avrà una percentuale elevata di addetti al manifatturiero sul totale degli addetti, un numero elevato di imprese attive nel manifatturiero in rapporto ai suo abitanti e un numero elevato di imprese manifatturiere sul totale delle imprese. La seconda dimensione su cui si concentra lo studio è la “vitalità manifatturiera”. In questo caso, quello che conta non è tanto lo stock di imprese quanto le nuove iscrizioni (rapportate agli abitanti per neutralizzare l’effetto della dimensione urbana), le nuove iscrizioni in rapporto alle imprese attive, nonché la variazione percentuale di imprese manifatturiere nel breve periodo. L’ultima dimensione considerata, ma forse quella più innovativa, attiene al fenomeno della concentrazione urbana del manifatturiero. E’ noto che il modello produttivo italiano è di tipo fortemente diffuso e territorializzato, basti pensare ai distretti industriali o alla presenza di produzioni manifatturiere nelle aree montane del paese (dalle valli marchigiane alle alture del Veneto). Per questa ragione si è ritenuto di valutare l’incidenza di attività manifatturiere nei capoluoghi in relazione alla forza produttiva delle province che li contengono. L’indice di “Concentrazione manifatturiera” è basato su due indicatori: la quota percentuale di imprese manifatturiere nel comune capoluogo rispetto alla provincia e la quota percentuale di addetti nel manifatturiero nel comune capoluogo rispetto alla provincia. Sotto il profilo metodologico, gli strumenti utilizzati sono indicatori semplici relativi ai dati su imprese e addetti nel manifatturiero, trattati in termini sia di consistenze che di flussi, relativizzati e comparati in vario modo (ad es. posti in relazione al totale economia o indicizzati sulla popolazione, o ancora rappresentati attraverso il confronto tra i comuni capoluogo e l’intero territorio provinciale, o in serie storica valutando l’andamento nell’ultimo triennio disponibile). Successivamente gli indicatori di base sono stati raggruppati in indicatori sintetici al fine di esplorare tre aspetti rilevanti in relazione all’insediamento del manifatturiero nei comuni capoluogo italiani. Per la costruzione degli indicatori sintetici è stato utilizzato un metodo di sintesi basato sulla misurazione dei fenomeni multidimensionali formulato da Matteo Mazziotta e Adriano Pareto (Istat) definito anche come “metodo delle penalità per coefficiente di variazione”. Il criterio utilizzato standardizza gli indicatori in modo da depurarli sia dall’unità di misura che dalla loro variabilità ed utilizza, come funzione di aggregazione, una media aritmetica corretta mediante un coefficiente di penalità che dipende, per ciascuna unità, dalla variabilità degli indicatori rispetto al valor medio. L’indice ottenuto è di semplice determinazione ed è facilmente interpretabile e comparabile nel tempo. CC= Comuni capoluogo CNC= Comuni non capoluogo Fonte: elaborazioni Censis banca dati Telemaco 38 1 In allegato si riportano le tavole con indici e posizionamenti di tutti i capoluoghi di provincia 39 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica 4.3.2. duttivo e la capacità di generare reddito attraverso la produzione e la vendita di manufatti. Indice di vocazione manifatturiera Analizzando i dati del 1° ranking (vocazione manifatturiera), come era prevedibile si evidenzia il buon posizionamento di alcuni capoluogo lombardi (Varese, e Lecco, su tutti) veneti (Treviso e Vicenza) e marchigiani (Fermo), con alcune incursioni di comuni piemontesi (Cuneo), abruzzesi (Chieti) e marchigiani (Macerata). La prima città del Sud è Avellino (19^ posizione. Tante medie città dunque, o addirittura medio-piccole, come si può osservare dalla tabella 1. La prima tra le grandi città è invece Firenze, al 46° posto in graduatoria e questo conferma la tesi di fondo dell’uscita della manifattura dalle grandi città negli anni scorsi e del suo peso “relativo”, perlomeno al momento attuale. Da notare che Roma si colloca all’ultimo posto e che la stessa Milano non sta molto meglio (86^ posizione). A scanso d’equivoci è il caso di ribadire che questo non significa affatto che la manifattura non sia presente nelle grandi città italiane, ma semplicemente che il suo peso relativo rispetto al totale delle attività economiche le colloca molto in basso nel ranking dei capoluoghi italiani. 4.3.3. Indice di vitalità manifatturiera Il secondo indice (“Vitalità manifatturiera”) standardizza le iscrizioni di imprese sugli abitanti e sul totale delle imprese attive. La scelta di non utilizzare dati dimensionali in valore assoluto corrisponde all’esigenza di mappare la vitalità delle città a prescindere dalla loro ampiezza demografica. Si rimanda ad altri paragrafi del testo la valutazione del “peso” manifatturiero delle città italiane. L’indice di “vitalità manifatturiera” presenta una geografia molto diversa dall’indice precedente. Basti considerare che tra le prime 10 città in graduatoria, solo Varese era presente anche nel ranking vocazionale. D’altra parte era prefigurabile che la geografia vocazionale corrispondesse maggiormente al senso comune, mentre la vitalità presenta elementi di assoluta novità. Al primo posto Prato, la cui effervescenza imprenditoriale nell’industria di trasformazione è ben nota. Interessanti però i posizionamenti nella parte alta della graduatoria di Isernia al Sud e di Bolzano nel Nord-Est. Nel caso di questo indice le grandi città sembrano avere qualcosa da dire: Torino è infatti 15^ e Firenze 24^, Bologna 26^. Ancora indietro invece Milano (52^) e, soprattutto, Roma (94^). 4.3.5. Considerando congiuntamente la consistenza manifatturiera (numero di addetti) e gli indici sviluppati per classificare la vocazione, la vitalità e la concentrazione urbana del manifatturiero nei capoluoghi di provincia italiana, è possibile costruire un ranking complessivo che assume senso soprattutto se ritagliato sulle grandi città italiane. La tabella 4 evidenzia la prima posizione di Torino, forte rispetto ala consistenza, ma anche sul fronte della vitalità e della concentrazione. Al secondo posto Firenze, ben posizionata rispetto a vocazione e vitalità. Al terzo Verona, che tra le grandi città si impone sotto il profilo della vitalità. Milano raggiunge la 4^ posizione soprattutto in virtù del 1° posto quanto a consistenza e del 6° posto per la concentrazione urbana. Seguono le medie città del centro-nord con un’incursione di Catania, che si piazza al 7° posto. La Capitale occupa la 9^ piazza grazie alla consistenza ed alla concentrazione urbana ma fortemente penalizzata con riferimento alla vocazione ed alla vitalità. Agli ultimi posti del ranking troviamo tutte le restanti città del Mezzogiorno: Palermo, Napoli e Bari nell’ordine (tab.10). Tab. 10 – Ranking manifatturiero delle grandi città italiane - Posizione tra i 110 capoluoghi rispetto agli indici di consistenza, vocazione, vitalità e concentrazione urbana del manifatturiero Consisten- Vocazione Vitalità ma- Concentra- Posizionamento za mani- manifattu- nifatturiera zione urba- medio fatturiera riera na del manifatturiero Ranking manifatturiero delle grandi città italiane Torino 2 50 16 10 19,5 1 Verona 5 32 26 46 27,3 3 Firenze 4.3.4. Indice di concentrazione manifatturiera Il terzo ed ultimo indice sintetico rappresenta un fenomeno legato non solo alla capacità delle città italiane di generare, attrarre o mantenere sul territorio le imprese manifatturiere, ma anche al dimensionamento della superficie fisica comunale ed alla popolazione residente del capoluogo rispetto all’insieme dei comuni che compongono la provincia. Per questa ragione le grandi città tendono a posizionarsi nella parte alta del ranking: Roma, il più vasto comune d’Italia si piazza in 3^ posizione, Genova, una città che occupa quasi interamente la superficie provinciale , si piazza al 5° posto. Torino, circondato da micro-comuni, al 10° posto. Ma l’indice ci dice cose interessanti soprattutto guardando contemporaneamente ai comuni che occupano le prime e le ultime posizioni in graduatoria. Trieste, al primo posto, ospita all’interno del comune il 79,1% delle imprese manifatturiere della provincia e il 78,2% degli addetti). Macerata, all’ultimo posto, detiene solamente il 5,9% delle imprese manifatturiere e il 3% degli addetti manifatturieri dell’intera provincia. E’ evidente che sono due città agli antipodi per quanto concerne il modello pro40 Il posizionamento delle grandi città italiane nel ranking manifatturiero Milano Bologna Venezia Genova Napoli Catania Roma Palermo Bari 7 1 12 20 10 6 32 3 26 33 46 86 67 96 106 92 95 110 109 83 15 61 30 20 67 92 55 99 88 76 39 6 52 42 5 18 28 3 9 71 26,8 38,5 40,3 44,5 47,0 52,0 52,5 53,8 58,0 65,8 2 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere, DB Telemaco - Stockview 41 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica 5. Micro-imprese innovative, artigiani 2.0, luoghi di generazione dell’imprenditoria industriale urbana Fig. 11 – Andamento trimestrale delle iscrizioni di startup alla sezione speciale 5.1. L’andamento delle startup innovative per settori e aree geografiche Il fenomeno delle startup innovative è agevolmente monitorabile attraverso i dati provenienti dalla sezione speciale del registro delle imprese. La presenza della data esatta di iscrizione alla sezione speciale permette di seguire l’andamento dello stock di startup innovative sin dai primi trimestri di applicazione della normativa. L’incremento nel numero di nuove imprese iscritte è costante lungo tutto il periodo e sembra addirittura accelerare negli ultimi 5 trimestri (fig.11). Le imprese che hanno effettuato, nei primi trimestri, l’iscrizione al registro speciale quasi esclusivamente per i vantaggi fiscali e i risparmi ottenibili, non trovandosi più in fase di inizio delle attività sembrano aver definitivamente lasciato il posto a imprese effettivamente in fase di startup. Un’ulteriore riprova deriva dal fatto che la data di inizio operazioni e quella di iscrizione al registro generale delle imprese con il passare dei trimestri tende a coincidere con quella di iscrizione alla sezione speciale startup. Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere Fig. 12 Ð Numero di startup innovative per provincia Fig.13 Ð Quota di startup innovative per 10.000 imprese registrate - 3 trimestre - 2015 Le startup si concentrano prevalentemente nelle province delle grandi città (Milano, Roma, Torino, Napoli, Bologna e Firenze) e in più in generale soprattutto nel quadrante più propulsivo della penisola, il Nord-Est (fig. 12). Guardando, invece all’incidenza delle startup innovative sul totale delle imprese la situazione cambia a favore di realtà anche più piccole ma che sembrano in grado di mettere meglio a sistema i poli universitari e i centri ricerca di eccellenza con il substrato di piccole e medie imprese all’avanguardia che costituiscono l’asse portante dell’economia nazionale (fig. 13). L’alta incidenza di startup innovative nella provincia di Torino, più di 170 ogni 10.000 imprese regolari, e nelle province di Trieste, Trento e Milano rende questi territori particolarmente importanti per tutto l’ecosistema startup. La presenza di incubatori e di facoltà universitarie scientifico-ingegneristiche fra le migliori del paese agevola, di fatto, la creazione di nuove imprese dal carattere innovativo. Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere 42 43 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica 5.2. Tab.11 - Startup innovative nel settore manifatturiero nelle grandi città italiane (2016) Le startup innovative del settore manifatturiero nelle grandi città italiane Rispetto alle analisi contenute in questo rapporto, assume interesse la verifica della quota di startup innovative che operano in un ambito urbano avendo collocato la propria sede operativa all’interno di un comune capoluogo di provincia. Sul totale delle startup italiane ben il 64,9% si trova oggi in questa situazione. In alcuni casi come Genova, Milano, Roma, quasi la totalità delle startup è centralizzata nel capoluogo. Le città, dunque, “producono” startup più di quanto sia in grado di fare l’area vasta. Ma è interessante chiedersi se questo vale anche per il settore manifatturiero che, tradizionalmente, tende a popolare l’area vasta. Non a caso, nel paragrafo dove si è dato conto dell’indice di concentrazione urbana dell’attività manifatturiera si registra un valore per l’intero Paese del 25% circa (solo ¼ delle aziende manifatturiere ha sede nei capoluogo di provincia). Ebbene, con riferimento all’aggregato costituito dai 12 più grandi comuni italiani, la quota di startup inquadrate nel manifatturiero vale il 50,2% dell’insieme delle startup localizzate nelle 12 province considerate. Un dato dunque non molto dissimile da quello rilevato per la totalità delle startup a prescindere dal settore di appartenenza. Guardando solo ai comuni più grandi il dato cresce ulteriormente attestandosi tra l’80% e il 90% per Roma, Torino e Milano (tab.11). Per concludere, l’analisi fin qui condotta consente di evidenziare due fenomenologie in parte inaspettate: · la prima attiene alla forte presenza di attività manifatturiere: più di 1000 imprese, corrispondenti a circa il 18% di un aggregato di aziende innovative che opera prevalentemente nel perimetro delle nuove tecnologie informatiche e telematiche; · la seconda attiene alla presenza forte di queste aziende nel perimetro urbano delle grandi città italiane, che contengono evidentemente un humus di fertilizzazione di non poco conto. Startup innovative (tutti i settori) % startup comune capoluogo sul totale provincia Startup Startup settore manifatturiero settore manifatturiero nel capoluogo Startup settore manifatturiero negli altri comuni della provincia % startup settore manifatturiero nel capoluogo sul totale provincia Provincia Bari 117 49,1 18 6 12 33,3 Cagliari 106 83,5 12 6 6 50,0 Catania 98 56,1 15 10 5 66,7 Genova 81 96,3 13 12 1 92,3 Milano 880 90,5 88 67 21 76,1 Napoli 196 73,5 20 15 5 75,0 Palermo 77 84,4 5 3 2 60,0 Reggio di Calabria 36 63,8 4 3 1 75,0 Roma 525 93,7 32 29 3 90,6 Torino 293 86,7 65 53 12 81,5 Venezia 69 60,9 12 5 7 41,7 Verona 78 59,0 24 13 11 54,2 6018 64,9 1044 524 520 50,2 Totale Italia Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere 5.3. Il fenomeno dei fablab nelle città italiane: consistenza e dinamiche recenti Il fenomeno dei fablab è in crescita costante. Se da un lato non si arresta la fase della proliferazione, dall’altra non si notano fenomeni di vero e proprio consolidamento. I fablab rimangono un fenomeno con un evidente carattere “bottom up” fortemente caratterizzato dall’intraprendenza di singoli soggetti privati anche se emergono alcuni tentativi di favorirne l’apertura da parte di soggetti istituzionali (ad es. la Regione Lazio). Nel 2014 Make in Italy diede vita al primo censimento dei fablab italiani riuscendo ad ottenere informazioni puntuali da 70 laboratori su un totale di 100 laboratori attivi. Quella prima fotografia è stata aggiornata nel settembre 2016 e presenta il quadro attuale dei fablab attivi nelle province italiane. Le informazioni di base sono disponibili su un campione di 96 laboratori su un totale di 116 (82,7%). Ai fini di questo studio assume rilievo soprattutto la distribuzione dei fablab sul territorio. Come si vede chiaramente dalla figura 14 la distribuzione è ancora molto disomogenea: ci sono province con almeno 4 strutture (Milano, Roma, Bologna, Napoli, Modena e Treviso) e ben 36 province nelle quali non è stato al momento attivato nessun fablab. D’altra parte, che i fablab siano un fenomeno a carattere spontaneo lo si può vedere da diverse angolature: la sede di cui dispongono è nei 2/3 dei casi di proprietà privata (fig. 15), il soggetto fondatore nella maggior parte dei casi è una persona fisica (fig.16) 44 45 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica e l’attività viene finanziata prevalentemente con risorse private (fig.17). Fig.15 - Proprietà della sede (val. %)* Il “carattere di base” dei fablab italiani emerge con una certa chiarezza anche guardando alle risposte fornite dai gestori rispetto ai soggetti che dovrebbero finanziarne l’attività. La maggior parte delle risposte converge sulle istituzioni locali (il fablab viene dunque percepito come una “risorsa” del territorio). Anche le imprese locali e le loro associazioni vengono chiamate in causa come possibili sostenitori dei fablab sul territorio. Per contro, circa un terzo delle risposte totali si appuntano su un possibile coinvolgimento del governo centrale (tab.12). Molto basse sono invece le attese verso il mondo accademico e praticamente assenti sono i riferimenti a banche o venture capitalist. Il fablab, nella visione di chi lo ha promosso e lo gestisce, deve dunque rimanere un laboratorio a carattere autonomo e indipendente, a supporto della comunità di coloro che si interessano alla fabbricazione digitale ed alle potenzialità che questa esprime. Per quanto concerne le attrezzature disponibili, si può dire che la stampante 3 D sia il dispositivo “costitutivo” e inevitabile dei Fablab, essendo presente praticamente ovunque. Buone 8introno ai 2/3 dei fab lab) anche le dotazioni di cutter a laser e di frese (tab.13). Fig. 14 - Presenza di Fablab per provincia, anno 2016 (v.a.) *1 missing - Fonte: elaborazione Censis su dati Make in Italy Fig. 16 - Fondatore del Fab Lab (val. %) Fonte: elaborazione Censis su dati Make in Italy Fig. 17 - Fonte di sostegno economico prevalente (val. %) Fonte: elaborazione Censis su dati Make in Italy 46 Fonte: elaborazione Censis su dati Make in Italy 47 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Tab. 12 - Soggetti che dovrebbero mettere a disposizione risorse maggiori secondo i responsabili dei Fab Lab (val. %, possibili più risposte) Istituzioni Locali Imprese private Governo 78,1 35,4 31,3 Associazioni Università imprenditoriali 21,9 13,5 Fonte: elaborazione Censis su dati Make in Italy Istituti di credito Venture capitalist 7,3 3,1 D.RE.A.M: il FabLab della Città della Scienza dalle curiosità del pubblico ai servizi digitali innovativi per startup e PMI. Nell’ambito del piano per la ricostruzione della Città della Scienza di Napoli, sostenuto dal MIUR (“CDS 2.0 – nuovi prodotti e servizi dell’economia della conoscenza”), e all’interno del Business Innovation Centre tra i più grandi incubatori d’Italia, è stato realizzato un “sogno”. D.RE.A.M. (Design and REsearch in Advanced Manufacturing) è un FabLab di oltre 1.000 mq, una nuova officina/laboratorio specializzata in advanced design e fabbricazione digitale, dove svolgere attività di ricerca, sviluppo, alta formazione e educazione sulle tecnologie e metodologie “maker”. L’iniziativa è volta ad intercettare le opportunità di sviluppo economico, industriale e sociale offerte dall’avvento delle tecnologie digitali in ambito manifatturiero: dal coding all’elettronica, dalla robotica all’automazione. Oltre al FabLab l’attività si articola, infatti, anche in una D.RE.A.M. Academy e in un Distretto della Fabbricazione Digitale (D.RE.A.M. District). Accanto al “luogo della ricerca 2.0.” dotato di un sistema di macchinari e servizi digitali innovativi a servizio delle startup e delle PMI, DREAM avrà anche un Exhibit FabLab, una officina museale di nuova generazione per progettare, sperimentare e realizzare i nuovi spazi da adibire a mostra del Science Centre, con un approccio collaborativo e multidisciplinare, a partire dalle domande e dalle curiosità del pubblico e con il coinvolgimento di studenti, ricercatori, imprese. L’approccio di DREAM, che parte da un sistema evoluto di progettazione e produzione in ambito museale, si candida alla replicabilità del modello in tutti i contesti, anche industriali, rappresentando una piattaforma privilegiata per lo sviluppo di competenze, nuove professionalità e imprese innovative nel settore della fabbricazione digitale. Tab.13 - Attrezzature presenti nei Fab Lab (val. %, possibili più risposte) Stampante 3d 98,9 Cutter laser 70,5 Fresa 65,3 Plotter Fonte: elaborazione Censis su dati Make in Italy 37,9 Scanner 3d 32,6 Tornio 8,4 Tornio a controllo numerico 2,1 5.4. L’imprenditorialità che nasce dalla ricerca: il caso degli spin-off universitari Da circa 15 anni le università italiane individuano negli spin-off imprenditoriali uno dei più importanti canali per trasferire nella concreta attività produttiva gli esiti dell’attività di ricerca che svolgono. Lo sono sicuramente nella misura in cui rappresentano un elemento di crescita e di vitalità del tessuto economico locale, ma rappresentano anche una importante via di finalizzazione concreta sul piano occupazionale per ricercatori che hanno messo a punto tecnologie innovative adatte a trasformarsi in opportunità di business. Da molti anni l’andamento degli spin-off delle università italiane viene monitorato da NetVal, associazione che raccoglie attualmente il 57% di tutti gli atenei italiani (oltre ad altri istituti di ricerca come ad esempio il CNR), il 69,1% degli studenti, il 76% dei docenti su base nazionale, il 77,3% dei docenti afferenti a settori disciplinari scientifici e tecnologici. Ai fini di questo lavoro assume significato il database di spin-off universitari che viene aggiornato dal Netval stesso insieme al Centro per l’Innovazione e l’Imprenditorialità dell’Università Politecnica delle 48 49 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Marche, e l’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna. Tab. 14 - Spin-off italiani della ricerca pubblica attivati da Università e Centri di ricerca dei grandi comuni (oltre 250.000 abitanti) (*) Dall’analisi dei dati in esso contenuti si desume che gli spin-off italiani della ricerca pubblica attivati da università ed enti di ricerca pubblici sono 1.389 al 2015. Il dato si riferisce agli spin-off attivati e non a quelli esistenti, ma occorre considerare che la cessazione di queste realtà imprenditoriali non è elevata, al contrario di quanto avviene ad esempio per le startup, e dunque si tratta di un numero che approssima le imprese effettivamente attive. Non esiste una correlazione diretta tra le dimensioni degli atenei e il numero di spin-off. Il dato risente, evidentemente, delle diverse scelte operate sul tema dai vari atenei. Naturalmente un numero molto elevato di questi spin-off ha come attività prevalente i servizi di consulenza tecnico-scientifica per le aziende industriali italiane. In questo modo si offre un contributo alla soluzione dei problemi connessi alla difficoltà delle piccole e piccolissime imprese italiane (soprattutto le manifatturiere) di presidiare l’innovazione tecnologica. Rispetto al tema precipuo di questo studio è interessante verificare il numero di spin-off che si sono originati dalle università e dai centri di ricerca pubblici delle principali città italiane, individuando in questo fattore un elemento di vivacità locale rispetto al tema della valorizzazione economicoimprenditoriale dell’attività di ricerca. Il primo elemento da segnalare attiene al fatto che il 43,5% del totale degli spin-off è riconducibile all’attività delle università delle grandi città italiane, soprattutto Roma, Torino e Milano. Da segnalare, inoltre, che il fenomeno è in crescita: il 19,2% degli spin-off (e il 18,2% di quelli che interessano le grandi città) è nato negli ultimi 3 anni (tra il 2013 e il 2015). Al primo posto troviamo Roma, forte dei suoi tre atenei ma anche dell’attività svolta dal CNR. Seguono Torino e Milano, con i rispettivi Politecnici. Le città del centro Italia (Bologna, Firenze) occupano le posizioni centrali del rating. Spicca, tra le città del Sud la performance di Bari (49 spin-off) mentre delude è Napoli (1 solo spin-off) anche se ciò dipende in parte dal fatto che alcune sedi universitarie sono collocate al di fuori del capoluogo e dunque non vengono conteggiati a livello comunale (tab.15). E’ comunque evidente che, se si escludono Roma, Milano e Torino, alcune medie città con specifica vocazione universitaria come Pisa, Padova, Ancona, Perugia, Udine sono in grado di generare spin-off in misura di gran lunga superiore ad alcune grandi città italiane (e non solo del Mezzogiorno). v.a. % sul totale di cui: attivati negli ultimi 3 anni (%) Roma 137 9,9 11,7 Milano 91 6,6 Torino 119 Firenze Genova Bari Bologna 54 53 49 43 8,6 12,6 3,9 42,6 3,8 3,5 3,1 15,4 26,4 10,2 4,7 Palermo 18 1,3 27,8 Venezia 12 0,9 58,3 Verona Catania Napoli 16 11 1 1,2 0,8 0,1 37,5 18,2 0,0 Totale grandi comuni 604 43,5 18,0 Totale spin-off attivati 1.389 100,0 19,2 (*) Il comune è relativo alla sede principale dell’università/EPR che ha attivato lo spin-off. Nel caso di collaborazione tra più università/EPR lo spin-off è stato attribuito al grande comune Fonte: elaborazione Censis su dati reperiti sul portale http://www.spinoffricerca.it/ 5.5. I luoghi di incubazione delle nuove imprese La realtà degli incubatori d’impresa è ormai radicata in molte nazioni europee fra le quali Germania, Francia, Inghilterra, Spagna, Olanda, Svezia e Belgio. In generale, il numero degli incubatori aumenta costantemente, e ciò che più sorprende è che tale crescita si sia verificata soprattutto nel periodo della crisi economica globale; basti pensare che dal 2007 al 2013 il numero degli incubatori d’impresa in Europa ha fatto segnare un incremento del 400%. Si tratta quindi di un panorama composito, nel quale è andata sviluppandosi una pluralità di modelli che seguono diversi principi e cambiano a seconda delle aree geografiche di riferimento. Questa varietà può essere tuttavia sottesa da due linee direttrici principali; la prima – tipica del Regno Unito - designa un modello centralizzato in cui la distribuzione degli incubatori si concentra principalmente nelle capitali, nelle grandi città capoluogo e nei poli ad alta concentrazione tecnologica. Lo stesso non accede, per esempio, in Svezia e Spegna, dove si promuove un modello decentralizzato, con molti incubatori uniformemente distribuiti in più aree geografiche. Anche in Italia gli incubatori d’impresa sono uno dei pilastri fondamentali su cui poggia l’ecosistema delle startup innovative. Gli incubatori italiani certificati dal Ministero dello sviluppo economico e 50 51 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica iscritti all’apposita sezione speciale del registro delle imprese sono in totale 40, concentrati principalmente nei territori a più alta vocazione imprenditoriale. Il modello italiano sembra essere di tipo misto, non vi è un’estrema concentrazione ma nemmeno una diffusione capillare in grado di assicurare a tutti i territori i servizi e le opportunità offerte dagli incubatori d’impresa. In Lombardia sono presenti oltre un terzo di tutti gli incubatori, con la provincia di Milano che da sola arriva a nove società che sono totalmente o almeno in parte dedicate a offrire servizi utili alle nuove imprese innovative. Seguono Roma con quattro incubatori, Ancona con tre, Trieste e Torino con due. Per la maggior parte si tratta di incubatori dalle dimensioni ridotte in grado, quindi, di offrire i servizi ad un numero limitato di nuovi potenziali imprenditori o di nuove startup innovative. Milano si colloca al 1° posto primeggiando in quasi tutti gli indicatori (è sopravanzata da Roma solo per numero di spin-off ma d’altra parte il dato romano risente della presenza positiva del CNR). Roma è al 2° posto che le viene conteso da vicino da Torino, più forte della Capitale per capacità di generare startup a carattere manifatturiero. Seguono Firenze, Bologna e Napoli. Il capoluogo partenopeo raggiunge la 6^ posizione (subito prima di Genova) grazie ad un buon numero di startup, mentre è largamente deficitari rispetto a tutti gli altri elementi considerati. Seguono le città del Sud insieme a Venezia e Verona (tab.15). In oltre la metà dei casi il valore della produzione nel 2015 è stato inferiore al milione di euro con un numero di addetti inferiore ai 9. Fa eccezione l’incubatore all’interno di Telecom Italia spa che rientra nel registro con la società principale, con il conseguente valore di produzione (più di 50 milioni) e di addetti (oltre 250) “fuori scala”. Il Bic Lazio e Trentino Sviluppo sono altri due fra i più grandi incubatori per numero di addetti e per valore di produzione. L’erogazione di servizi (spazi, attrezzature tramite i fablab, formazione e accesso ai mercati di riferimento) ne fa degli hub territoriali che sostengono l’innovazione e la crescita dell’imprenditorialità. InfiniteArea: l’incubatore “capovolto” che crea startup e fa open innovation partendo dai fabbisogni delle imprese. Nasce nel 2015, nel pieno dell’area industriale di Montebelluna (TV), l’incubatore che parte dalle esigenze delle imprese del territorio per sviluppare progetti di innovazione e, in alcuni casi, trasformarli in startup. Grazie a gruppi di lavoro messi a disposizione, un’impresa esistente con una necessità da risolvere o una opportunità da sviluppare può avviare un proprio innovation lab o una startup on demand per generare innovazione. InfiniteArea è infatti definito l’incubatore “capovolto”. All’interno di un capannone industriale dismesso riqualificato di 2.500 metri si trovano spazi di lavoro, aree di coworking, sale meeting, sale training, uffici, un’arena e, al centro della struttura, la carlinga incompiuta di un ATR-42 che viene utilizzata come sala riunioni e che simboleggia la volontà di far decollare idee, talenti e imprese. L’obiettivo del suo fondatore Patrizio Bof, imprenditore e presidente della software house Pat, è da un lato quello di eliminare l’incertezza di non sapere se l’idea sviluppata avrà o meno un mercato, poiché le startup nascono proprio da un bisogno concreto del mercato stesso, e dall’altro rilanciare il territorio locale. InfiniteArea si candida quindi a modello sostenibile e performante a supporto delle imprese di un territorio in cui alla richiesta di open innovation che arriva da un’azienda, corrisponde la creazione di nuovo lavoro. 5.6. Il posizionamento delle grandi città italiane rispetto ai fenomeni che attestano la presenza di ecosistemi innovativi abilitanti Analizzando congiuntamente tutte le fenomenologie più innovative fin qui considerate (startup, spinoff, incubatori e fablab) è possibile costruire un indice sintetico di dotazione per le grandi città italiane. 52 L’analisi fin qui condotta può essere integrata esaminando i dati con riferimento alle province di cui risultano capoluogo le 12 maggiori città italiane. Quest’operazione è giustificata dal fatto che le province considerate (con l’esclusione di Verona) costituiscono la base territoriale delle nuove Città Metropolitane (che comprendono anche Reggio Calabria, Cagliari, e Messina). I nuovi enti dovranno redigere dei piani strategici di area vasta dove prevedere la collocazione dei driver dell’innovazione e dell’imprenditorialità e questo giustifica la scelta metodologica adottata. Estendendo l’analisi all’intero territorio provinciale il ranking degli ecosistemi innovativi risulta in parte modificato. Le prime tre province non si differenziano rispetto al posizionamento ottenuto dai capoluoghi. Bologna sale al 4° posto superando Firenze con riferimento a tutti gli indicatori considerati. Bari sale al 7° posto (era al 9° considerando il solo capoluogo). Risalgono anche le due città venete, che possiedono una quota significativa del loro ecosistema innovativo distribuito nei comuni della provincia (tab.16). Tab. 15 - Ecosistema innovativo delle maggiori città italiane (v.a., val. % e numeri indice) Startup innovative manifatturierio Startup innovative totale Incubatori Fablab Spinoff(*) Milano 67 797 9 7 91 122 1 Roma 29 492 4 4 137 111 2 Torino 53 254 2 1 119 105 3 Firenze 18 103 1 2 54 99 4 Bologna 17 115 1 2 43 98 5 Napoli 15 144 0 3 1 96 6 Genova 12 78 0 1 53 96 7 Catania 10 55 0 2 11 95 8 Bari 6 53 0 0 49 94 9 Venezia 5 42 1 1 12 94 10 Palermo 3 65 0 1 18 94 11 Verona 13 46 0 0 16 93 12 Totale Grandi città 248 2244 18 24 604 % grandi città sul totale 47,3 37,3 45,0 20,7 43,5 Città Indice sintetico Rango Totale Italia 524 6018 40 116 1389 (*) il dato è relativo alla sede dell’ente generatore dello spin-off e non alla localizzazione dell’impresa Fonte: elaborazioni Censis su fonti varie 53 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Tab. 16. - Ecosistema innovativo provinciale delle maggiori città italiane (v.a., val. % e numeri indice) 6. Roma e il Lazio, l’importanza di scommettere su una nuova manifattura Città Startup innovative settore manifatturierio Startup innovative totale Incubatori Fablab Indice Spin-off(*) Rango sintetico Milano 88 880 9 8 91 122 1 Roma 32 525 4 5 139 110 2 Torino 65 293 2 3 119 106 3 Bologna 38 186 1 5 43 101 4 Firenze 21 138 1 2 54 97 5 Napoli 20 196 0 4 2 96 6 Bari 18 117 0 2 49 96 7 Verona 24 78 0 2 16 95 8 Genova 13 81 0 1 53 94 9 Venezia 12 69 1 2 12 94 10 Catania 15 98 0 2 11 94 11 Palermo 5 77 0 1 18 92 12 351 2738 18 37 607 248 2244 18 24 604 23,8 37,3 45,0 20,7 43,5 33,6 45,5 45,0 31,9 43,7 Totale Province Totale Grandi città % grandi città sul totale % province sul totale Totale Italia 1044 6018 40 116 1389 (*) il dato è relativo alla sede dell’ente generatore dello spin-off e non alla localizzazione dell’impresa Fonte: elaborazioni Censis su fonti varie 6.1. Il quadro macroeconomico La dimensione economica della regione e del territorio romano sono rilevanti. Il Pil del Lazio è paragonabile a quello dell’Irlanda e superiore a quello della Grecia, il Pil dell’area romana, secondo in Italia solo a quello dell’area milanese, è equivalente a quello dell’intera Romania. Le peculiarità della regione sono note. L’assoluta predominanza di Roma rispetto all’armatura urbana regionale costituisce per il Lazio un dato di fatto “storico”: basti ricordare che il territorio della Città metropolitana di Roma ospita il 73,7% della popolazione regionale e produce l’82% del Pil regionale. Anche dal punto di vista manifatturiero il peso di Roma è predominante, anche se in misura meno accentuata (62% del valore aggiunto). A questo squilibrio a livello regionale corrisponde, al contrario, un minore squilibrio tra Roma e l’Italia. La Capitale ha, rispetto al Paese, un peso relativo, in termini economici e demografici, assai inferiore rispetto a quanto si registra nella maggior parte degli altri paesi europei. L’area romana pesa appena per il 9% circa del Pil nazionale, contro percentuali ben più elevate ad esempio di Parigi (30%), Vienna (26%), Lisbona (37%), Copenaghen (39%), Londra (22%). Ad ulteriore dimostrazione che il nostro dal punto di vista economico-produttivo nonché urbano e demografico, resta un paese fortemente policentrico. Veniamo da anni che hanno profondamente segnato l’economia della regione e della città. La crisi ha prodotto in questi anni un arretramento del sistema produttivo laziale, modificando il peso relativo dei diversi settori. In particolare alla diminuzione generale del valore aggiunto regionale ha corrisposto una riduzione dell’incidenza dell’industria sul totale dell’economia. Tra 2008 e 2013 il valore aggiunto prodotto nel territorio della Città metropolitana di Roma è sceso, in termini reali, di oltre 6 punti percentuali, in linea col dato regionale e con quello dell’Italia centrale (fig. 18) . Isolando l’andamento del solo settore manifatturiero la caduta è più accentuata: a Roma e nel Lazio si registra un -10,7%, un dato assai critico ma meno negativo di quello dell’Italia centrale nel suo insieme (-15,7%) e del Paese (-13,5%). Chiaramente un settore altrove molto rilevante per l’economia e l’occupazione, come l’industria, ha nell’area romana un peso relativo decisamente inferiore alla media nazionale. Come del resto il volume di esportazioni (considerevoli nelle altre province della regione) è assai limitato, non in linea con le dimensioni della ricchezza espressa dal territorio. Peraltro il peso del manifatturiero sul Pil in questi stessi anni è diminuito, sia a livello regionale che a livello romano (tab. 17). Nel Lazio è passato dal 7,5% del 2008 al 6,1% del 2009, con un parziale recupero negli anni successivi. Oggi il manifatturiero concorre al Pil regionale in misura inferiore al 7%, e a quello dell’area romana nella misura del 5%, mentre nel resto della regione il contributo è molto più rilevante e si attesta sopra il 14%, un valore superiore a quello medio dell’Italia centrale. Ciò grazie alla forte incidenza del settore industriale nell’economia delle province di Frosinone (19%) e Latina (16%), grazie soprattutto al primato consolidato dei comparti della farmaceutica e della chimica, che trainano le esportazioni della regione. In termini complessivi queste dinamiche hanno ulteriormente accentuato la vocazione terziaria del ter- 54 55 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica ritorio a scapito del settore industriale. Su questo dato incide naturalmente il peso dell’area romana, in cui per diverse ragioni anche storiche (il ruolo di Capitale, lo straordinario patrimonio storico-artistico e quindi il grande appeal turistico ecc.), la prevalenza del settore dei servizi è pressoché assoluta: quasi l’87% del Pil e l’87% degli occupati. Tab. 17 - Peso del settore manifatturiero sul Pil (val.%) La fase critica dell’economia cittadina ha aspetti per alcuni versi inediti. Infatti a Roma il peso della pubblica amministrazione e del suo indotto da un lato, e quello dell’edilizia dall’altro, per anni hanno svolto la funzione di fattori anticiclici, tanto che Roma e la sua area registravano, nei periodi di crisi dell’economia nazionale, performances migliori della media del Paese. Oggi la situazione è in parte mutata: se prevalgono i servizi, ed il peso della PA resta comunque più rilevante della media del Paese, la capacità della spesa pubblica di alimentare i circuiti economici della città si è molto ridimensionata e l’edilizia abitativa, dopo un lungo ciclo espansivo, è ancora in forte crisi. Quindi le difficoltà generali del Paese si riflettono fortemente anche sulla sua Capitale. In questo contesto è importante analizzare l’andamento di un settore, quello manifatturiero, che seppur minoritario, rappresenta uno spazio importante di diversificazione dell’economia urbana. Certo la dimensione comunale a Roma è tale che la città ha comunque presenze industriali diffuse (10mila imprese), ancorché di modeste dimensioni. Per numero di imprese manifatturiere Roma è comunque il secondo comune italiano. Del resto, il tessuto imprenditoriale romano è fatto di poche grandissime imprese (in sostanza ex partecipazioni statali) e da molte piccole e piccolissime aziende che operano in tanti settori, mentre manca la misura intermedia. Quanto agli addetti, Roma con il 10,2% del totale nazionale si colloca al terzo posto tra i comuni italiani dopo Milano (21%) e Torino (11%). Peraltro anche il settore industriale romano ha registrato una significativa contrazione occupazionale: si è passati dai circa 145mila occupati agli attuali 122mila. Sebbene si associ facilmente l’immagine della città al settore delle costruzioni, questo concorre meno di quello dell’industria in senso stretto sia alla creazione del Pil (circa il 4% contro il 9%), che all’occupazione (96mila occupati nell’edilizia contro i 122mila dell’industria). Fig. 18 – Variazione 2008-2013 del valore aggiunto in termini reali (val.%) 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Lazio 7,5 6,1 6,9 6,5 6,5 6,9 Resto della regione 15,8 13,3 13,7 13,9 13,8 14,4 Italia 17,1 15,2 15,8 15,8 15,4 15,3 Provincia di Roma Italia centrale 5,6 13,8 4,6 11,8 5,4 12,4 4,9 12,0 4,9 11,9 5,2 12,0 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat 6.2. Segnali di futuro Il Lazio e Roma in particolare, rappresentano, al di là di immagini stereotipate, realtà dinamiche in cui accanto a numerosi elementi critici, non mancano esperienze di forte innovazione. Riguardo alla Capitale è il caso qui di richiamare alcune evidenze già illustrate nella parte generale del rapporto. Se Roma si colloca nella parte bassa della classifica per quanto riguarda gli indici di vocazione e vitalità manifatturiera il suo posizionamento è, al contrario, di vertice tra le grandi città italiane rispetto ai fenomeni che attestano la presenza di ecosistemi innovativi abilitanti (vedi cap. 5). Come si è visto, l’indice sintetico di dotazione costruito analizzando congiuntamente tutte le fenomenologie più innovative fin qui considerate (startup, spin-off, incubatori e fablab), vede Roma al secondo posto dopo Milano. Del resto: - il profilo degli occupati nel settore “industria in senso stretto” vede al livello nazionale una quota di laureati pari al 10,8%. A Roma tale dato sale al 27%, seconda solo a Milano che registra addirittura un 36% di laureati tra gli addetti manifatturieri; - in relazione alle start up innovative Roma con 525 realtà occupa il secondo posto in termini assoluti tra i comuni, considerando tutti i settori, ed il terzo posto considerando solo la start up che operano in ambito manifatturiero (sono 32 contro le 88 di Milano e le 65 di Torino); - per quanto riguarda gli spin off universitari, Roma occupa (anche grazie alla presenza del CNR) il primo posto con ben 137 realtà (circa il 10% del totale); - quanto agli incubatori, con 4 strutture certificate Roma è - sempre in termini assoluti - la seconda realtà italiana dopo Milano che ne conta 9; - infine in relazione al fenomeno dei FabLab, Roma con 4 strutture si colloca nella parte alta della graduatoria. E’ evidente che, in relazione a tali posizionamenti nel ranking, la grande dimensione della città è determinante, ma tale vivacità rimanda chiaramente anche a : - la vocazione di polo nazionale e internazionale, che rende possibile intercettare stimoli diversissimi; Fonte: elaborazione Censis su dati Istat 56 - la forte concentrazione di luoghi di alta formazione e di ricerca (atenei, istituti di ricerca pubblici e privati, ecc.) nei più diversi ambiti; - la presenza di un settore creativo legato alla comunicazione molto forte; 57 Secondo rapporto Make in Italy - l’evoluzione della domanda e degli stili di vita che proprio nella grande metropoli sono più facilmente rappresentati. Pur non avendo alle spalle una vocazione manifatturiera paragonabile a quella di altre città del centro-nord, in questa nuova fase legata all’industria 4.0 Roma può giocare un ruolo importante. Sono infatti elevate le potenzialità della Capitale nella “manifattura innovativa”, ambito nel quale registra performances sicuramente migliori rispetto a quelle della manifattura considerata complessivamente. Si tratta anche, in termini generali, di creare un contesto culturale favorevole, aperto a considerare il futuro della città come sempre più legato all’innovazione, a nuove idee e modelli di sviluppo (creando iniziative imprenditoriali e nuovo lavoro a maggiore valore aggiunto), che aiuti la città ad abbandonare le vecchie logiche della rendita, che tanto hanno pesato finora sull’economia romana. Da questo punto di vista è certamente significativo il fatto stesso che Roma ospiti per il quarto anno consecutivo la “Maker Faire – The European Edition”, evento che registra un crescente e per molti verso inatteso riscontro di pubblico, soprattutto giovanile. In questi anni la crescita della Maker Faire, resa visibile a tutta la città dal trasferimento della sede di anno in anno in spazi urbani sempre più grandi, è andata di pari passo con una sempre maggiore curiosità ed interesse dei giovani per il tema dell’innovazione e dell’autoimprenditorialità. Per qualche giorno la città diventa quello che in prospettiva può diventare, un centro propulsivo a livello europeo di nuove idee, contenuti e modelli economici. Vi sono, ma vanno rafforzati, i presupposti perché questa prospettiva diventi sempre più concreta: si tratta evidentemente in primo luogo di fare interagire più intensamente una serie di asset che la città possiede e che se riescono a trovare sintesi possono contribuire a dare alla Capitale una prospettiva di nuovo sviluppo certamente promettente. E si tratta anche di valorizzare e far crescere quei segnali di futuro che oggi sono rappresentati dalle diversissime e interessanti imprese innovative che si affacciano sulla scena romana. 6.3. Roma: le potenzialità di rilancio legate alla manifattura urbana Per comprendere in che modo la nuova manifattura può offrire un contributo importante in termini di riorganizzazione della base produttiva urbana, è stato realizzato uno specifico approfondimento su alcune imprese romane. I cinque casi di imprese illustrati nelle pagine seguenti, relativi ad altrettante giovani imprese romane operanti in ambiti molto diversi tra loro (abbigliamento, agroalimentare, elettronica, bioscienze, artigianato artistico), sono paradigmatici dell’evoluzione della manifattura urbana. Va detto che si tratta di imprese di piccole dimensioni ma che operano a scala nazionale e internazionale. Quindi al di là della dimensione, non sono aziende che vivono della domanda locale, o che si originano in qualche modo dalla domanda storica legata al ruolo di Capitale. In passato, infatti, tale funzione ha fatto sviluppare alcuni ambiti industriali come risposta diretta alla domanda della PA, si pensi ad esempio al settore poligrafico. I casi dimostrano come Roma possa rappresentare un esempio interessante di connubio tra il settore dei servizi e settori produttivi a partire dall’importanza che ha nella sua economia l’industria creativa e culturale. Analizzando attraverso il caso romano i vantaggi e i limiti di una localizzazione urbana della manifattura, si può dire che (tav.1): 58 LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica - a fronte della centralità che assume la forza innovativa dell’idea imprenditoriale, non vi è dubbio che da questo punto di vista l’ambiente urbano offra dei vantaggi peculiari. Tra i fattori positivi vi sono certamente gli stimoli all’ideazione che vengono dalla densità di relazioni e di soggetti presenti in città, ovvero dallo stare in contatto con tanti ambiti diversi e dalla possibilità di ibridare e integrare competenze diverse. L’incrocio tra creatività, ricerca e innovazione da un lato e la capacità imprenditoriale dall’altro può dar luogo ad esiti imprevisti. L’innovazione frequentemente nasce nell’incontro tra competenze e culture diverse: come nel caso dell’incontro, talvolta casuale, tra ricerca tecnologica e nuove esigenze sociali, che da luogo a produzioni innovative; - un secondo fattore di vantaggio potenziale è costituito dall’offerta di lavoro. Il grande bacino urbano offre, grazie alla presenza di grandi atenei, la possibilità di intercettare facilmente risorse umane qualificate, aggiornate e specializzate nel campo di interesse. Risorse qualificate, e purtroppo, nel contesto attuale, spesso a basso costo; - sul piano del presidio del mercato, operare nella grande città certamente facilita la comprensione delle tendenze di punta della società e quindi dell’evoluzione della domanda; - infine, vi è un altro elemento importante: operare in una grande città di fama internazionale aumenta la propria potenziale visibilità ed accresce le ambizioni di leadership di mercato: si fa impresa pensando in grande anche quando si è piccoli dal punto di vista dimensionale. A fronte di questi elementi di potenziale vantaggio, riscontrabili anche nei casi di imprese che sono stati analizzati (vedi allegato), è interessante sottolineare che vi sono altri fattori, che in passato costituivano degli ostacoli alla coesistenza tra industria e città, che oggi possiamo quasi considerare neutri. Infatti: - i costi di insediamento, che in passato rendevano poco sostenibili localizzazioni urbane, dopo la crisi del mercato costituiscono una barriera meno importante rispetto agli anni del boom immobiliare (1997-2007); - gli impatti ambientali (in termini di consumo di suolo, rumore, inquinanti) grazie all’evoluzione della manifattura sono notevolmente diminuiti e ciò rende maggiormente compatibili produzione e contesto urbano; - anche l’assenza di un retroterra imprenditoriale solido (sia a livello del singolo che a livello della comunità urbana), appare oggi un ostacolo superabile. Infatti non mancano strutture come gli incubatori e gli acceleratori, o anche i Fablab che in modi diversi svolgono un ruolo fondamentale di sostegno delle start-up imprenditoriali. Infine, gli elementi di vincolo, i fattori di penalizzazione: - non vi è dubbio che la grande città presenta elevati fattori di dispersione, congestione, frammentazione che se non ben governati diventano degli ostacoli al fare impresa. Spesso nascono iniziative individuali di grande qualità, che vengono anche supportate dal settore pubblico ma che poi, in un contesto dispersivo come quello metropolitano, rischiano di rimanere isolate, di non fare sistema tra loro. In questo senso a maggior ragione nella grande città, sono fondamentali gli stimoli e la facilitazione dei processi aggregativi di reti d’impresa; - anche la burocrazia, gli iter procedurali, nella grande città possono risultare ancor più onerosi; - infine un fattore di penalizzazione molto avvertito (specie nel caso romano) è quello relativo alle disfunzioni della logistica e ad una mobilità profondamente invischiata e congestionata. 59 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Tav. 1 - La nuova manifattura urbana oggi: punti di forza e di debolezza rispetto al tradizionale modello insediativo industriale alto valore aggiunto e con maggiore presenza di lavoro ad alta qualificazione, la chance per Roma e per il Lazio è quella di creare un “ponte” ed un legame organico tra la realtà (importante a Roma) dei tanti centri di ricerca ed innovazione ed il mondo della produzione. Fattori di potenziale vantaggio della città Stimoli all’ideazione che vengono dallo stare in contatto con tanti ambiti diversi e ibridarli Fattori tendenzialmente neutri (su cui è possibile incidere nel breve) (più difficili da neutralizzare) Costi di insediamento, dopo la Tempi lunghi e faticosi della burocrisi meno importanti per la elecrazia, iter più complicati rispetto vata disponibilità di aree e conte- al piccolo centro nitori sfitti Possibilità di intercettare facilmen- Inserimento in tessuti urbani te risorse umane qualificate e spe- misti con forte componente resicializzate nel campo di interesse denziale (a basso costo) Possibilità di presidiare delle tendenze di punta della società e quindi della domanda di mercato, in continua evoluzione Fattori penalizzanti Potenziale debolezza del retroterra imprenditoriale (assenza di una vocazione storica) Rischio di maggiore frammentazione e dispersione nel tessuto urbano Fattori di congestione che possono incidere sulla logistica Maggiore visibilità nazionale ed internazionale. Possibilità di intercettare opportunità di finanziamento e iniziative di sostegno che provengono Ambizioni di leadership di mercato dalla PA Possibilità di sfruttare segmenti di mercato e reti di distribuzione ampie e variegate (rilevanti anche quando si tratta di nicchie) Fonte: Censis 2016 6.4. Una politica di reindustrializzazione basata sull’innovazione Si tratta di una strategia complessiva di riqualificazione dell’offerta produttiva, che intende abbandonare vecchie logiche di intervento inefficaci come quelle basate sulla distribuzione a pioggia delle risorse, che prescindevano da obiettivi e qualità dei progetti. La logica è invece quella di valorizzare e sostenere le trasformazioni positive in atto supportando le imprese nella loro trasformazione verso la manifattura 4.0. Nel caso di Roma, naturalmente, un’attenzione particolare è indirizzata ad una dimensione importante e peculiare dell’industria romana che è quella creativa, culturale, legata all’entertainment, ecc. Oltre al sostegno alle imprese, attraverso una serie di bandi (nel Lazio circa 200 imprese innovative hanno beneficiato di un sostegno), è importante sottolineare il ruolo per la città e la regione di luoghi/ strutture che hanno come mission specifica quella di sostenere e diffondere le imprese innovative, e facilitarne la crescita. Si tratta di un’azione di particolare rilevanza in un contesto come quello romano, dove la vocazione manifatturiera è storicamente meno forte che altrove. Di qui l’importanza di strutture come gli incubatori/acceleratori di impresa, fondamentali per sostenere gli sforzi iniziali delle startup ed accompagnarle in un percorso di crescita, fornendo strumenti e spazi utili. Al riguardo nella Capitale operano almeno sei strutture, ed altre due sono attive nell’area metropolitana (tav. 2). Ed è anche il caso dei FabLab. In questo ambito, ai Fablab già presenti (come Makers Roma) si aggiungono quelli promossi dalla Regione nell’ambito del progetto per la creazione di una rete del Fablab regionale diffuso. Rete che si articola su quattro poli con differenti indirizzi: - FabLab Roma Casilino, specializzato appunto nell’industria creativa; Si è fatto cenno all’emergere di segnali di futuro, pur all’interno di un contesto ancora critico per l’economia cittadina e regionale. Naturalmente si tratta spesso di realtà imprenditoriali ancora giovani, che hanno piccola dimensione, che si muovono su territori inesplorati e che nascono all’incrocio tra mondo della produzione e mondo dei servizi. Sono in prospettiva segnali importanti per Roma perché la mera risposta adattiva alla crisi, fatta soprattutto di crescita dei servizi (che hanno visto aumentare il numero delle imprese e gli occupati), spesso a basso valore aggiunto, non basta, anzi può costituire un grosso limite, ed infatti non è stata in grado di contenere la perdita di valore. Per tornare a crescere e riacquistare le quote di PIL perse, Roma ed il Lazio devono diversificare maggiormente la loro base economica, puntando quindi anche sull’industria manifatturiera urbana, da rilanciare in sinergia con i servizi, e ridando una nuova mission al settore edile, che deve diventare protagonista della rigenerazione sostenibile della città esistente. In questo contesto, è significativo che la Regione abbia varato una strategia per incentivare e sostenere la reindustrializzazione sul territorio. Una politica che, partendo dalla presa d’atto delle dinamiche recenti dell’economia regionale e dei mutamenti intervenuti all’interno della stessa manifattura, cerca di favorire un processo di ricollocazione del sistema industriale sulla frontiera della tecnologia avanzata. - FabLab Bracciano, specializzato nell’agrifood; - FabLab Viterbo, specializzato nell’industria culturale; - FabLab Latina, laboratorio con indirizzo multispecialistico. L’obiettivo è supportare tutti quelli che sono portatori di un’idea progettuale - e non sanno come realizzarla - a dar vita a progetti innovativi attraverso sperimentazione, produzione e prototipazione rapida. In ogni sede del FabLab infatti è possibile utilizzare macchinari sofisticati e tecnologie all’avanguardia, tutti messi a disposizione degli associati. In particolare le sedi di Roma, Bracciano e Viterbo del FabLab distribuito, nascono dal progetto “STAART UP – Creazione di FabLab regionali per imprese operanti nel campo culturale, creativo e delle arti figurative” promosso dall’Assessorato alla Cultura e Politiche giovanili della Regione Lazio e finanziato dal POR-FESR 2007-2013. Si tratta evidentemente di un processo in divenire, in cui tentativi dal basso e dall’alto sono in corso per sostenere nel territorio regionale e specificatamente romano un ecosistema dell’innovazione. A fronte delle trasformazioni interne alla stessa manifattura, con lo spostamento verso produzioni ad 60 61 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Tav. 2 . Gli incubatori e acceleratori di impresa dell’area romana In città Struttura Localizzazione ITech (BIC Lazio) Tecnopolo Tiburtino Spin Over (Università Tor Vergata) Luiss EnLabs (Luiss) Anno avvio 2006 Tor Vergata 2008 Stazione Termini 2010 Impact Hub Roma Business Unit (Rete Impact Hub) San Lorenzo Pi Campus EUR TIM Working Capital (TIM) Trastevere Negli altri comuni metropolitani 2012 2013 2016 Focus Promozione progetti innovativi, aiuto nell’accesso a fondi di investimento Supporto a imprese che provengono dal mondo della ricerca. Digitale e innovazione (oltre al mentoring offre anche finanziamenti) Innovazione sociale e territoriale Startup innovative e digitale Direzione aziendale e consulenza gestionale IAgri – Spazio Attivo Bracciano(BIC Lazio) Bracciano Produzioni agricole e alimentare di qualità Spazio Attivo Colleferro Efficienza energetica e sostenibilità ambientale (BIC Lazio) Fonte: Censis 2016 62 Colleferro ALLEGATO: TAVOLE DI CONSISTENZA, VOCAZIONE, VITALITA’ E CONCENTRAZIONE URBANA DEL SETTORE MANIFATTURIERO 63 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Tav A. La “consistenza” manifatturiera delle città italiane - Imprese attive e addetti nel manifatturiero e popolazione residente nei comuni capoluogo, anno 2015 (v.a.) Territorio Addetti nel manifatturiero 2015 (v.a.) % Territorio Imprese attive nel manifatturiero 2015 (v.a.) % Territorio Popolazione residente 2015 (v.a.) % Milano 208.795 21,3 Milano 13.852 10,9 Roma 2.864.731 15,7 Torino 110.458 11,2 Roma 13.300 10,5 Milano 1.345.851 7,4 Roma 100.502 10,2 Torino 6.957 5,5 Napoli 974.074 5,3 Prato 28.313 2,9 Napoli 6.686 5,3 Torino 890.529 4,9 Verona 25.401 2,6 Prato 5.941 4,7 Palermo 674.435 3,7 Napoli 25.280 2,6 Firenze 3.690 2,9 Genova 586.655 3,2 Firenze 23.811 2,4 Genova 3.687 2,9 Bologna 386.663 2,1 Parma 21.078 2,1 Palermo 2.781 2,2 Firenze 382.808 2,1 2.728 2,1 Bari Modena 20.749 2,1 Barletta-Andria-Trani Genova 19.439 2,0 Bologna 2.070 1,6 Catania Reggio nell’Emilia 18.677 1,9 Catania 1.989 1,6 Venezia Bologna 18.160 1,8 Modena 1.921 1,5 Verona 258.765 251.471 238.439 Brescia 16.493 1,7 Parma 1.838 1,4 Barletta-Andria-Trani Bergamo 12.922 1,3 Venezia 1.800 1,4 Messina 1.778 1,4 Padova 326.344 314.555 263.352 Foggia Piacenza 6.649 0,7 Pescara 942 0,7 Rimini 147.750 0,8 Ravenna 6.361 0,6 Salerno 938 0,7 Salerno 135.261 0,7 Trento 6.182 0,6 Latina 922 0,7 Ferrara 133.155 0,7 Catania 6.039 0,6 Ravenna 902 0,7 Sassari 127.525 0,7 Bari 5.969 0,6 Rimini 902 0,7 Latina 125.985 0,7 Terni 5.780 0,6 Livorno 895 0,7 Monza 122.671 0,7 877 0,7 Siracusa 151.991 0,8 Lecco 5.619 0,6 Reggio di Calabria Rimini 5.615 0,6 Piacenza 833 0,7 Pescara 121.014 0,7 Pordenone 5.151 0,5 Ferrara 806 0,6 Bergamo 119.381 0,7 Treviso 5.001 0,5 Trieste 796 0,6 Forlì-Cesena 117.913 0,6 Ferrara 4.413 0,4 Pistoia 791 0,6 Trento 117.317 0,6 Cremona 4.317 0,4 Taranto 790 0,6 Vicenza 112.953 0,6 Novara 4.252 0,4 Como 776 0,6 Terni 111.501 0,6 Pescara 4.236 0,4 Siracusa 752 0,6 Bolzano 106.441 0,6 Livorno 4.099 0,4 Sassari 746 0,6 Novara 104.380 0,6 Como 4.057 0,4 Lucca 711 0,6 Piacenza 102.191 0,6 0,4 Olbia-Tempio 711 0,6 Ancona 700 0,6 Arezzo 3.871 122.291 100.861 0,7 0,6 0,4 Cagliari 3.732 0,4 Foggia 689 0,5 Udine 99.169 0,5 Alessandria 3.689 0,4 Varese 675 0,5 Lecce 94.773 0,5 Lucca 3.684 0,4 Terni 658 0,5 Pesaro e Urbino 94.582 Pisa 3.663 0,4 Lecce 602 0,5 La Spezia 93.959 0,5 Taranto 3.584 0,4 Ancona 597 0,5 Alessandria 93.943 0,5 Salerno 3.520 0,4 Bolzano 593 0,5 Catanzaro 90.612 0,5 Siracusa 3.456 0,4 Alessandria 583 0,5 Pistoia Chieti 3.391 0,3 Ragusa 568 0,4 Pisa 89.158 0,5 Cuneo 3.387 0,3 Trento 566 0,4 Lucca 89.046 0,5 Rovigo 3.248 0,3 Udine 552 0,4 Brindisi 88.302 0,5 Pistoia 3.149 0,3 La Spezia 551 0,4 Como 84.495 0,5 Fermo 2.899 0,3 Asti 548 0,4 Treviso 83.731 0,5 1,0 Ascoli Piceno 2.889 0,3 Novara 534 0,4 Grosseto 0,9 Brindisi 2.880 0,3 Treviso 506 0,4 Varese 80.799 0,4 Lecce 2.878 0,3 Fermo 506 0,4 Caserta 76.326 0,4 La Spezia 2.845 0,3 Frosinone 506 0,4 Asti 76.202 0,4 Messina 2.778 0,3 Lecco 501 0,4 Olbia-Tempio 73.611 Foggia 2.756 0,3 Cremona 497 0,4 Ragusa 73.313 0,4 Siena 2.731 0,3 Matera 471 0,4 Pavia 72.576 0,4 1,4 1,4 1,4 1,3 12.146 1,2 Bari 1.706 1,3 Trieste 204.420 1,1 Padova 10.074 1,0 Brescia 1.703 1,3 Taranto 201.100 1,1 Forlì-Cesena 9.149 0,9 Verona 1.527 1,2 Brescia 196.480 1,1 Arezzo 8.962 0,9 Arezzo 1.500 1,2 Parma 192.836 1,1 Venezia 8.740 0,9 Padova 1.382 1,1 Prato 191.150 1,0 Varese 7.915 0,8 Perugia 1.236 1,0 Modena 184.973 1,0 0,8 Forlì-Cesena 1,0 Reggio di Calabria 183.035 171.345 166.134 1,2 Vicenza 7.648 0,8 Messina 1.169 0,9 Reggio nell’Emilia Monza 7.572 0,8 Cagliari 1.149 0,9 Perugia Pesaro e Urbino 7.533 0,8 Bergamo 1.093 0,9 Livorno Palermo 7.228 0,7 Vicenza 988 0,8 Ravenna 159.116 0,9 Perugia 7.175 0,7 Monza 962 0,8 Cagliari 154.460 0,8 64 0,8 3.786 Trieste 159.219 961 Biella 1,7 1,3 1.214 Pesaro e Urbino Massa-Carrara 12.432 7.778 0,7 1,8 Reggio nell’Emilia Bolzano 7.039 Mantova Barletta-Andria-Trani 210.401 Latina 0,9 0,9 99.543 90.315 82.087 0,5 0,5 0,5 0,5 0,4 65 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Massa-Carrara 2.674 0,3 Caserta 470 0,4 Cremona Ancona 2.666 0,3 Trapani 442 0,3 L’Aquila 69.753 0,3 Massa-Carrara 69.479 Olbia-Tempio 2.575 0,3 Cosenza 440 71.901 Belluno 710 0,1 Verbano-Cusio-Ossola 202 0,2 Nuoro Cosenza 709 0,1 Oristano 202 0,2 Belluno 35.870 0,2 Vibo Valentia 682 0,1 Siena 194 0,2 Gorizia 34.844 0,2 Nuoro 626 0,1 Vibo Valentia 190 0,1 Aosta Ogliastra 576 0,1 Gorizia 171 0,1 Vibo Valentia 33.941 0,2 0,2 0,4 0,4 0,4 37.091 0,2 Teramo 2.359 0,2 Catanzaro 439 0,3 Trapani Ragusa 2.239 0,2 L’Aquila 433 0,3 Cosenza 67.546 0,4 Frosinone 2.221 0,2 Pisa 426 0,3 Viterbo 67.173 0,4 Matera 2.063 0,2 Grosseto 426 0,3 Potenza 67.122 0,4 Oristano 573 0,1 Belluno 168 0,1 Oristano 31.630 Udine 2.033 0,2 Caltanissetta 426 0,3 Caltanissetta 0,3 Agrigento 564 0,1 Enna 152 0,1 Verbano-Cusio-Ossola 30.961 Asti 1.998 0,2 Rovigo 412 0,3 Crotone 62.178 0,3 Avellino 1.969 0,2 Viterbo 409 0,3 Savona 61.345 0,3 563 0,1 150 0,1 Enna Benevento 1.861 0,2 Ascoli Piceno Imperia Medio Campidano 408 0,3 Matera 0,3 467 0,0 Aosta 143 0,1 Medio Campidano 22.631 Reggio di Calabria Medio Campidano 1.761 0,2 Chieti 402 0,3 Benevento Enna 458 0,0 Ogliastra 134 0,1 Isernia 21.842 0,1 Caserta 1.656 0,2 Biella 400 0,3 Agrigento 59.770 0,3 Isernia 426 0,0 Isernia 132 0,1 Sondrio 21.778 0,1 Grosseto 1.634 0,2 Pavia 400 0,3 Cuneo 56.081 0,3 Sondrio 333 0,0 Sondrio 99 0,1 Ogliastra 16.514 0,1 Sassari 1.621 0,2 Cuneo 391 0,3 Carbonia-Iglesias 55.944 Lodi 1.584 0,2 Brindisi 389 0,3 Teramo 54.892 0,3 Pavia 1.488 0,2 Teramo 387 0,3 Avellino 54.857 0,3 Italia (capoluoghi) 127.003 100,0 ITALIA 500.901 - 360 0,3 Siena 68.759 63.360 60.436 60.091 Viterbo 1.395 0,1 Benevento Aosta 1.382 0,1 Crotone 360 0,3 Rovigo Caltanissetta 1.350 0,1 Pordenone 357 0,3 Chieti L’Aquila 1.242 0,1 Potenza 357 0,3 Pordenone 51.229 Crotone 1.231 0,1 Avellino 356 0,3 Campobasso 49.431 49.407 Gorizia 1.164 0,1 Savona 336 0,3 Ascoli Piceno Trapani 1.052 0,1 Campobasso 321 0,3 Mantova Savona 999 0,1 Lodi 300 0,2 Lecco 53.903 51.867 51.815 48.671 47.999 0,4 0,3 0,3 0,3 0,3 0,3 0,3 0,3 0,1 Rieti 300 0,2 Rieti 976 0,1 Mantova 285 0,2 Vercelli 46.754 0,3 Rieti 974 0,1 Vercelli 278 0,2 Frosinone 46.323 0,3 Macerata 922 0,1 Nuoro 278 0,2 Lodi 44.945 0,2 274 0,2 Biella 886 0,1 Campobasso 881 0,1 Macerata 258 0,2 Macerata Potenza 872 0,1 Imperia 232 0,2 Imperia Carbonia-Iglesias 798 0,1 Agrigento 213 0,2 Fermo 66 44.733 42.473 42.034 37.655 3.698.314 - 26,6 28.019 Italia (capoluoghi) 18.217.599 ITALIA 60.665.551 25,4 Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere - Istat 0,2 0,1 100,0 - 30,0 Tav. B - La vocazione manifatturiera nelle città italiane, anno 2015 0,3 990 Vercelli % comuni capoluogo sul totale Italia 100,0 0,2 0,3 Catanzaro Carbonia-Iglesias ITALIA 982.228 0,2 0,3 Verbano-Cusio-Ossola 47.698 Italia (capoluoghi) 34.390 INDICE DI VOCAZIONE MANIFATTURIERA 0,3 0,2 0,2 0,2 0,2 Territorio % Addetti nel manifatturiero sul totale addetti 2015 Imprese attive nel manifatturiero per 1.000 abitanti 2015 Imprese attive nel manifatturiero sul totale imprese attive 2015 Regione INDICE Rango (Italia= 100) Varese Lombardia 28,7 104,8 117,5 132,9 1 Fermo Marche 33,0 90,6 95,8 130,3 2 Treviso Veneto 20,0 117,5 119,9 129,1 3 67 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Lecco Lombardia 33,0 70,6 79,9 125,0 4 Benevento Campania 15,4 29,2 31,9 104,1 42 Vicenza Veneto 16,9 98,8 105,0 123,1 5 Pistoia Toscana 13,3 32,2 34,0 103,8 43 Mantova Lombardia 21,7 82,0 83,0 121,5 6 Ancona Marche 9,2 37,6 45,5 103,7 44 Cuneo Piemonte 16,5 92,4 96,0 121,1 7 Prato Toscana 40,9 10,4 8,7 103,5 45 Chieti Abruzzo 23,3 60,6 73,7 118,2 8 Firenze Toscana 15,5 27,4 28,1 103,3 46 Monza Lombardia 20,9 67,3 75,1 118,1 9 Bergamo Lombardia 16,8 84,3 73,5 117,5 10 Trento Trentino A.Adige 13,2 27,1 35,7 103,2 47 Macerata Marche 9,5 97,5 98,6 116,8 11 Latina Lazio 19,6 21,1 22,2 103,2 48 Teramo Abruzzo 19,8 60,6 73,5 116,3 12 Sondrio Lombardia 2,6 53,3 61,9 102,9 49 Pordenone Friuli 25,7 49,1 57,7 115,4 13 Torino Piemonte 27,6 13,2 13,0 102,8 50 Brescia Lombardia 17,5 65,3 64,3 114,5 14 Lodi Lombardia 12,7 27,2 33,9 102,7 51 Frosinone Lazio 16,8 69,0 62,8 114,3 15 Bolzano 11,5 30,8 33,8 102,6 52 Modena Emilia Romagna Trentino A.Adige 24,6 42,5 46,4 112,2 16 Novara Piemonte 12,0 26,5 35,1 102,5 53 Rovigo Veneto 23,2 44,5 46,3 111,9 17 Gorizia Friuli 15,2 20,7 29,5 102,4 54 Pesaro e Urbino Marche 26,2 40,0 43,0 111,9 18 Piacenza 20,8 16,9 18,4 102,4 55 Avellino Campania Emilia Romagna 13,5 56,8 65,3 111,2 19 Trapani Sicilia 8,6 33,3 42,2 102,3 56 Como Lombardia 11,4 66,2 67,1 111,2 20 Udine Friuli 6,1 40,8 47,4 102,3 57 Cremona Lombardia 24,9 34,8 45,7 111,0 21 Siena Toscana 6,4 38,0 46,1 102,1 58 Caserta Campania 11,1 65,2 67,3 110,9 22 Enna Sicilia 8,9 29,0 38,0 101,5 59 Salerno Campania 12,0 55,7 60,7 109,6 23 Aosta Valle d’Aosta 15,1 19,2 24,5 101,4 60 Arezzo Toscana 27,7 32,0 31,2 109,2 24 Massa-Carrara Toscana 16,0 20,1 20,7 101,4 61 Pisa Toscana 15,3 44,1 49,9 108,6 25 Agrigento Sicilia 6,4 31,6 44,5 101,1 62 Alessandria Piemonte 19,1 34,8 42,4 108,1 26 Vibo Valentia Calabria 11,6 22,2 29,4 100,9 63 Lucca Toscana 16,6 41,0 44,4 108,1 27 Ogliastra Sardegna 15,8 15,7 17,8 100,2 64 Pavia Lombardia 7,8 56,2 71,5 108,0 28 Potenza Basilicata 5,8 32,2 38,6 100,1 65 Ascoli Piceno Marche 18,5 35,8 42,2 108,0 29 Ragusa Sicilia 11,7 21,4 22,3 99,8 66 Lecce Puglia 10,8 55,1 52,4 107,7 30 Bologna 13,1 17,6 20,9 99,8 67 14,7 38,1 49,9 107,5 31 Emilia Romagna Nuoro Sardegna 7,8 26,9 31,2 99,7 68 Verbano-Cusio-Os- Piemonte sola Verona Veneto 22,2 28,2 32,9 107,0 32 Campobasso Molise 8,6 25,2 29,5 99,7 69 Belluno Veneto 8,9 44,3 68,2 106,9 33 Matera Basilicata 15,4 13,7 16,9 99,6 70 Biella Piemonte 20,0 34,7 28,7 106,4 34 Terni Umbria 20,8 7,6 10,0 99,4 71 Padova Veneto 11,9 45,4 46,2 106,4 35 Oristano Sardegna 8,5 24,4 27,0 99,2 72 Cosenza Calabria 4,9 56,7 64,2 105,2 36 Asti Piemonte 12,0 17,7 20,3 99,2 73 Perugia Umbria 15,8 30,8 35,9 105,1 37 Vercelli Piemonte 6,0 27,0 34,5 99,0 74 Reggio nell’Emilia Emilia Romagna 18,7 28,9 27,7 104,9 38 Rieti Lazio 14,4 12,8 16,6 99,0 75 Brindisi Puglia 18,5 20,7 35,0 104,6 39 Caltanissetta Sicilia 10,1 19,9 23,0 98,9 76 Parma Emilia Romagna 26,5 17,5 19,8 104,5 40 L’Aquila Abruzzo 7,8 23,6 28,2 98,9 77 Siracusa Sicilia 14,5 12,0 16,4 98,9 78 Forlì-Cesena Emilia Romagna 21,9 21,4 23,5 104,3 41 Isernia Molise 9,3 21,7 23,5 98,9 79 68 69 Secondo rapporto Make in Italy Barletta-Andria-Trani Puglia Viterbo LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica 24,6 3,9 4,5 98,9 80 Lazio 9,1 22,1 22,1 98,6 81 Foggia Puglia 10,6 17,0 21,5 98,6 82 Bari Puglia 7,5 21,4 29,5 98,6 83 Ferrara Emilia Romagna 12,9 13,5 15,7 98,3 84 Crotone Calabria 12,1 13,2 17,7 98,2 85 Milano Lombardia 15,4 11,7 9,2 98,1 86 Ravenna Emilia Romagna 13,4 11,9 13,9 98,0 87 Taranto Puglia 11,9 10,5 19,9 98,0 88 Imperia Liguria 6,7 24,7 24,7 98,0 89 Savona Liguria 5,8 23,1 28,4 97,7 90 La Spezia Liguria 12,6 10,0 13,2 97,3 91 Napoli Campania 10,8 13,3 14,8 97,2 92 Medio Campidano Sardegna 8,5 17,4 18,7 97,2 93 Pescara Abruzzo 10,8 14,4 13,7 97,2 94 Catania Sicilia 9,3 14,4 18,2 97,1 95 Venezia Veneto 7,5 16,9 21,8 97,0 96 Trieste Friuli 21,1 1,0 1,7 96,9 97 Olbia-Tempio Sardegna 12,6 10,6 9,2 96,8 98 Catanzaro Calabria 5,6 19,1 25,2 96,6 99 Reggio di Calabria Calabria 7,4 14,6 21,1 96,5 100 Messina Sicilia 8,4 11,5 20,0 96,5 101 Rimini Emilia Romagna 10,6 11,7 11,6 96,4 102 Livorno Toscana 12,8 6,8 9,0 96,3 Carbonia-Iglesias Sardegna 11,1 6,3 11,0 Grosseto Toscana 8,7 11,6 Genova Liguria 12,7 Cagliari Sardegna Sassari Tav. C - La vitalità manifatturiera nelle città italiane, anno 2015 INDICE DI VITALITA’ MANIFATTURIERA Territorio Regione Iscrizioni Nuove iscrizioni d’imprese per per 100 impre100.000 abitanti se attive var.% iscrizioni di imprese manifatturiere 2012-2015 INDICE (Italia= 100) Rango Prato Toscana 366,7 11,8 -11,4 135,3 1 Imperia Liguria 38,1 6,9 100,0 115,8 2 Isernia Molise 27,5 4,5 200,0 113,1 3 Chieti Abruzzo 42,5 5,5 69,2 111,4 4 Varese Lombardia 35,9 4,3 107,1 109,9 5 Arezzo Toscana 75,3 5,0 13,6 109,4 6 Pavia Lombardia 30,3 5,5 46,7 108,5 7 Bolzano Trentino AA 28,2 5,1 50,0 107,6 8 Savona Liguria 31,0 5,7 26,7 107,4 9 Aosta Valle d’Aosta 23,3 5,6 33,3 106,9 10 Massa-Carrara Toscana 47,5 4,7 22,2 106,9 11 Matera Basilicata 31,4 4,0 72,7 106,9 12 Campobasso Basilicata 22,3 3,4 120,0 106,3 13 Rimini Emilia R. 33,2 5,4 11,4 106,1 14 Torino Piemonte 38,9 5,0 15,0 106,0 15 Pordenone Friuli 39,0 5,6 -4,8 105,7 16 Nuoro Sardegna 18,9 2,5 250,0 105,6 17 103 Forlì-Cesena Emilia R. 45,8 4,4 14,9 105,6 18 95,8 104 Pescara Abruzzo 36,4 4,7 15,8 105,2 19 11,8 95,5 105 Terni Umbria 26,9 4,6 30,4 105,0 20 3,5 4,2 95,0 106 Livorno Toscana 28,3 5,0 9,8 104,6 21 6,6 13,1 12,9 94,8 107 Verona Veneto 27,4 4,6 20,3 104,6 22 Sardegna 6,3 9,6 11,1 93,9 108 Mantova Lombardia 22,6 3,9 57,1 104,5 23 Palermo Sicilia 6,1 4,3 7,2 92,6 109 Firenze Tooscana 48,6 5,0 -19,1 104,3 24 Roma Lazio 7,9 2,1 2,5 92,5 110 Crotone Calabria 24,1 4,2 36,4 104,2 25 Bologna Emilia R. 26,1 4,9 6,3 103,8 26 - Grosseto Toscana 20,7 4,0 41,7 103,7 27 Oristano Sardegna 19,0 3,0 100,0 103,7 28 Gorizia Friuli 23,0 4,7 14,3 103,7 29 Macerata Marche 25,9 4,3 22,2 103,7 30 Ascoli Piceno Marche 30,4 3,7 36,4 103,7 31 Medio Campidano Sardegna 22,1 3,3 66,7 103,6 32 ITALIA 22,5 8,3 9,7 Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere, DB Telemaco - Stockview 70 100,0 71 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Venezia Veneto 30,4 4,4 6,7 103,4 33 Monza Lombardia 23,6 3,0 -12,1 98,0 74 Alessandria Lombardia 30,9 5,0 -9,4 103,3 34 Pesaro e Urbino Marche 28,5 2,8 -12,9 97,9 75 Cosenza Calabria 26,6 4,1 20,0 103,2 35 Siracusa Sicilia 18,0 2,9 -8,3 97,6 76 Ravenna Emilia R. 24,5 4,3 14,7 103,1 36 Napoli Campania 11,0 1,6 72,6 97,3 77 Vercelli Piemonte 21,4 3,6 42,9 102,9 37 La Spezia Liguria 20,2 3,4 -32,1 97,2 78 Biella Piemonte 40,2 4,5 -14,3 102,8 38 Palermo Sicilia 10,8 2,6 4,3 96,9 79 Vicenza Veneto 37,2 4,3 -4,5 102,8 39 Sassari Saredegna 11,0 1,9 40,0 96,8 80 51,9 5,0 -39,0 102,7 40 Cuneo Piemonte 23,2 3,3 -38,1 96,7 81 Reggio nell’Emilia Emilia R. Treviso Veneto 25,1 4,2 5,0 102,1 41 Novara Piemonte 17,2 3,4 -33,3 96,7 82 Olbia-Tempio Sardegna 32,6 3,4 20,0 102,0 42 Belluno Veneto 8,4 1,8 50,0 96,7 83 Caserta Campania 21,0 3,4 33,3 101,8 43 Piacenza Emilia R. 20,5 2,5 -12,5 96,5 84 Viterbo Lazio 25,3 4,2 0,0 101,8 44 Cremona Lombardia 18,1 2,6 -13,3 96,4 85 Lecce Puglia 23,2 3,7 15,8 101,5 45 Trieste Friuli 12,2 3,1 -24,2 96,4 86 Modena Emilia R. 37,3 3,6 -4,2 101,3 46 Avellino Campania 16,4 2,5 -10,0 96,3 87 Lecco Lombardia 37,5 3,6 -5,3 101,2 47 Sondrio Lombardia 13,8 3,0 -25,0 96,2 88 Fermo Marche 50,5 3,8 -24,0 101,2 48 Ragusa Sicilia 17,7 2,3 -7,1 95,9 89 Udine Friuli 24,2 4,3 -11,1 101,2 49 Teramo Abruzzi 20,0 2,8 -31,3 95,9 90 Trento Trentino AA 17,9 3,7 16,7 101,2 50 Carbonia-Iglesias Sardegna 10,7 2,2 0,0 95,5 91 Brescia Lombardia 34,1 3,9 -13,0 101,1 51 Pisa Toscana 13,5 2,8 -33,3 95,1 92 Milano Lombardia 34,7 3,4 1,7 101,0 52 Puglia Parma Emilia R. 32,7 3,4 -1,6 100,7 53 Barletta-Andria-Trani 26,6 2,5 -36,8 95,0 93 Ferrara Emilia R. 22,5 3,7 0,0 100,5 54 Roma Lazio 10,7 2,3 -12,1 95,0 94 Potenza Basilicata 10,4 2,0 133,3 100,4 55 Messina Sicilia 11,7 2,4 -24,3 94,5 95 Pistoia Toscana 33,2 3,8 -16,7 100,4 56 Foggia Puglia 11,2 2,5 -29,2 94,3 96 Lucca Toscana 29,2 3,7 -10,3 100,3 57 Rieti Lazio 16,8 2,7 -42,9 94,3 97 Lodi Lombardia 24,5 3,7 -8,3 100,0 58 Taranto Puglia 8,5 2,2 -15,0 94,2 98 Bergamo Lombardia 30,2 3,3 -10,0 99,5 59 Benevento Campania 13,3 2,2 -33,3 93,6 99 Ancona Marche 21,8 3,7 -12,0 99,5 60 Como Lombardia 20,1 2,2 -43,3 93,3 100 Catania Sicilia 16,5 2,6 36,8 99,4 61 Enna Sicilia 10,7 2,0 -25,0 93,2 101 Salerno Campania 19,2 2,8 23,8 99,4 62 Brindisi Puglia 11,3 2,6 -47,4 93,2 102 Siena Toscana 11,1 3,1 20,0 99,1 63 Latina Lazio 18,3 2,5 -53,1 93,1 103 Ogliastra Sardegna 18,2 2,2 50,0 99,1 64 Cagliari Sardegna 14,9 2,0 -43,9 92,3 104 Genova Liguria 20,6 3,3 -4,0 99,0 65 Calabria 7,1 1,5 -23,5 91,6 105 Perugia Umbria Reggio di Calabria 22,3 3,0 2,8 98,9 66 Caltanissetta Sicilia 12,6 1,9 -46,7 91,6 106 L’Aquila Abruzzi 22,9 3,7 -23,8 98,7 67 Vibo Valentia Calabria 11,8 2,1 -55,6 91,4 107 Agrigento Sicilia 11,7 3,3 0,0 98,4 68 Catanzaro Calabria 8,8 1,8 -42,9 91,4 108 Frosinone Lazio 32,4 3,0 -16,7 98,4 69 Trapani Sicilia 10,2 1,6 -36,4 91,3 109 Padova Veneto 22,8 3,5 -23,8 98,2 70 Piemonte Bari Puglia 13,2 2,5 26,5 98,2 71 Verbano-Cusio-Ossola 3,2 0,5 -90,0 83,6 110 Asti Piemonte 26,2 3,6 -33,3 98,1 72 Rovigo Veneto 23,1 2,9 -7,7 98,1 73 -7,9 100,0 - 72 ITALIA 28,8 3,5 Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere, DB Telemaco - Stockview 73 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Tav.D - La concentrazione urbana del manifatturiero nelle città italiane, anno 2015 Regione Territorio INDICE DI CONCENTRAZIONE MANIFATTURIERA Quota % imprese manifatturiere nel comune capoluogo rispetto alla provincia Quota % addetti nel manifatturiero nel comune capoluogo rispetto alla provincia INDICE (Italia= 100) Rango Medio Campidano Sardegna 27,6 29,1 102 33 Ferrara Emilia R. 31,0 25,3 101 34 Ravenna Emilia R. 32,3 23,6 101 35 Taranto Puglia 27,2 27,9 101 36 Reggio nell’Emilia Emilia R. 26,5 27,7 101 37 Messina Sicilia 29,9 23,4 100 38 Firenze Toscana 26,0 26,1 100 39 Reggio di Calabria Calabria 24,7 25,4 99 40 Caltanissetta Sicilia 25,3 23,2 99 41 Trieste Friuli 79,1 78,2 133 1 Venezia Veneto 28,8 19,4 99 42 Barletta-Andria-Trani Puglia 73,5 76,6 131 2 Asti Piemonte 28,9 19,1 99 43 Roma Lazio 68,5 81,8 131 3 Foggia Puglia 21,0 27,5 99 44 Prato Toscana 74,9 73,0 130 4 Brindisi Puglia 17,6 31,3 98 45 Genova Liguria 64,0 67,6 125 5 Verona Veneto 17,3 29,2 98 46 Milano Lombardia 46,8 59,1 117 6 Vibo Valentia Calabria 20,1 24,2 98 47 Olbia-Tempio Sardegna 47,7 56,3 116 7 Aosta Valle D’Aosta 17,8 27,1 97 48 Terni Umbria 43,7 59,5 116 8 Ascoli Piceno Marche 18,7 24,9 97 49 Palermo Sicilia 49,1 48,7 114 9 Modena Emilia R. 19,6 23,1 97 50 Torino Piemonte 37,1 50,7 111 10 Biella Piemonte 20,5 22,0 97 51 Matera Basilicata 36,2 45,5 109 11 Bologna Emilia R. 23,4 18,2 97 52 Ogliastra Sardegna 34,1 47,5 109 12 Pesaro e Urbino Marche 20,2 21,0 97 53 Carbonia-Iglesias Sardegna 43,8 35,5 109 13 Nuoro Sardegna 21,8 18,7 96 54 Livorno Toscana 45,4 33,3 108 14 Viterbo Lazio 21,6 18,0 96 55 Parma Emilia R. 35,2 41,0 108 15 Benevento Campania 17,0 23,1 96 56 La Spezia Liguria 36,9 35,7 107 16 Pistoia Toscana 21,4 17,9 96 57 Crotone Calabria 30,5 43,5 106 17 Catanzaro Calabria 20,3 18,4 96 58 Napoli Campania 34,0 35,9 106 18 Oristano Sardegna 20,8 17,4 96 59 Siracusa Sicilia 33,8 36,0 106 19 Isernia Molise 21,7 16,0 96 60 19,7 17,9 96 61 Rieti Lazio 33,0 35,7 105 20 Lodi Lombardia Sassari Sardegna 37,8 30,4 105 21 Campobasso Molise 20,5 16,7 95 62 Massa-Carrara Toscana 33,4 33,5 105 22 L’Aquila Abruzzo 20,8 15,6 95 63 Cagliari Sardegna 36,2 30,6 105 23 Bolzano Trentino A.A. 15,3 21,0 95 64 Pescara Abruzzo 35,1 31,4 105 24 Perugia Umbria 19,4 15,7 95 65 Piacenza Emilia R. 32,6 30,8 104 25 Gorizia Friuli 19,2 15,1 95 66 Rimini Emilia R. 34,3 28,2 103 26 Trento Trentino A.A. 15,1 19,7 94 67 Grosseto Toscana 31,0 30,6 103 27 Enna Sicilia 15,8 18,3 94 68 Catania Sicilia 30,5 29,4 103 28 Rovigo Veneto 15,2 18,6 94 69 Arezzo Toscana 32,0 26,9 102 29 Imperia Liguria 18,2 14,7 94 70 Ragusa Sicilia 26,6 32,7 102 30 Bari Puglia 19,6 13,1 94 71 Latina Lazio 25,7 32,6 102 31 Cremona Lombardia 16,6 16,2 94 72 Forlì-Cesena Emilia R. 32,4 24,7 102 32 Novara Piemonte 16,2 14,4 93 73 74 75 Secondo rapporto Make in Italy LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica Savona Liguria 19,2 11,2 93 74 Alessandria Piemonte 15,1 15,0 93 75 Trapani Sicilia 16,2 12,7 93 76 Lucca Toscana 16,3 12,5 93 77 Frosinone Lazio 13,7 14,3 92 78 Verbano-Cusio-Ossola Piemonte 14,6 13,1 92 79 Lecco Lombardia 12,9 14,7 92 80 Vercelli Piemonte 18,0 7,9 92 81 Pordenone Friuli 12,4 13,0 92 82 Siena Toscana 8,7 17,8 92 83 Fermo Marche 12,9 11,3 91 84 Brescia Lombardia 11,7 12,0 91 85 Avellino Campania 10,3 13,7 91 86 Padova Veneto 12,6 10,7 91 87 Lecce Puglia 10,3 12,9 91 88 Chieti Abruzzo 11,3 10,9 91 89 Salerno Campania 11,1 10,1 90 90 Pisa Toscana 9,8 11,6 90 91 Agrigento Sicilia 10,1 10,8 90 92 Como Lombardia 12,2 7,8 90 93 Bergamo Lombardia 9,8 10,3 90 94 Potenza Basilicata 14,2 5,6 90 95 Monza Lombardia 10,4 9,4 90 96 Teramo Abruzzo 10,4 9,2 90 97 Ancona Marche 13,6 5,7 90 98 Cosenza Calabria 10,3 7,8 89 99 Caserta Campania 8,6 9,1 89 100 Udine Friuli 12,0 4,9 89 101 Varese Lombardia 7,4 9,9 89 102 Pavia Lombardia 8,9 5,8 88 103 Mantova Lombardia 6,7 8,0 88 104 Vicenza Veneto 8,1 5,7 88 105 Cuneo Piemonte 7,0 6,2 88 106 Belluno Veneto 9,6 3,1 88 107 Sondrio Lombardia 7,9 3,6 87 108 Treviso Veneto 4,9 4,7 87 109 Macerata Marche 5,9 3,0 87 110 25,4 26,6 100 - ITALIA Fonte: elaborazione Censis su dati InfoCamere, DB Telemaco - Stockview 76 77 Secondo rapporto Make in Italy 78 LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica 79 Secondo rapporto Make in Italy 80 LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica 81 Secondo rapporto Make in Italy 82 LE CITTÀ DEI MAKER L’Italia, la nuova manifattura e la crescita economica 83 Secondo rapporto Make in Italy 84