RUOLO DEI SOCIOLOGI OGGI

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RUOLO DEI SOCIOLOGI OGGI
RUOLO DEI SOCIOLOGI OGGI:
RICERCA QUANTITATIVA E QUALITATIVA
Lavoro a cura di: Ileana Porta, Romeo Fortunata, Tirocchi Federica e Frasca
Valentina.
INDICE
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INTRODUZIONE
QUALITATIVO E QUANTITATIVO: VERSO UN’INTEGRAZIONE
DISEGNO DELLA RICERCA
L’APPROCCIO QUANTITATIVO: ILQUESTIONARIO
L’APPROCCIO QUALITATIVO: L’INTERVISTA
ASPETTI COMUNI E DISTINZIONI FONDAMENTALI
CONFRONTO TRA RICERCA QUANTITATIVA E RICERCA QUALITATIVA
RICERCHE NON INTRUSIVE
CONCLUSIONI
INTRODUZIONE
La Sociologia studia quell’oggetto specifico che è il sociale, ovvero la Società.
Oggi con la riscoperta dell’individualismo metodologico, la società descrive la
realtà in maniera sintetica, infatti postula che la sociologia debba comprendere
le motivazioni dell’azione dal punto di vista dell’individuo che agisce e ritiene
che gli effetti macrosociologici (per esempio la nascita del capitalismo) siano il
risultato dell’aggregazione di azioni individuali .
Il sociologo cerca di capire come a determinate condizioni quel fenomeno si
possa
ripetere.
Ricorsività
e
tipizzazione
sono
le
dimensioni
utilizzate
dall’analista del sociale per comprendere i fenomeni. L’istanza sociologica su
cui si basano determina i fenomeni sociali attraverso le leggi. Nella Sociologia,
la ricerca empirica deve integrare la dimensione teorica, infatti la ricerca
empirica va orientata secondo i concetti. Quando il sociologo elabora i dati, da
subito, ha una sua interpretazione, che è il suo punto di vista, il suo modo di
vedere il mondo.
Possiamo parlare del ruolo del sociologo a partire da due funzioni: uno è il
ruolo consultivo (Weber), dove il sociologo fa le diagnosi e il politico le utilizza.
Dal rapporto tra Sociologia e Politica, possiamo parlare di Sociologia del politico
dove il sociologo ha il ruolo del consulente.
L’altro è il ruolo critico, dove vediamo il sociologo come disvelatore,
nell’assolvere il suo ruolo disvela la realtà e spiega come a volte il potere sia
inutile. Rivendica il ruolo della rappresentazione della realtà con la caduta del
suo guscio apparente e il disvelamento del nucleo di verità. Ovviamente la
funzione consultiva del sociologo è più realistica.
La parte edificante del suo lavoro è nell’obiettività, nella logica dell’indagine
scientifico-sociale, dove l’oggettività del metodo riposa nella pubblicità,
ricorsività, controllo, scientificità.
Quindi il ruolo del sociologo è quello di fornire conoscenza empirica nell’essere
ricercatore, l’analista svolge il suo ruolo di praticante sociale.
QUANTITATIVO E QUALITATIVO : VERSO UN’INTEGRAZIONE
Le premesse logiche della conoscenza scientifica si possono sintetizzare in due
paradigmi
che
si
contrappongono:
quello
neopositivista,
classico
e
costruttivista o interpretativista.
Il primo paradigma utilizza metodiche quantitative, campioni rappresentativi,
analisi dei dati fondate su elaborazioni statistiche e modelli matematici. Il
secondo
paradigma,
si
basa
sulla
convinzione
che
l’unico
modo
per
comprendere ogni fenomeno è di osservarlo nel suo contesto e privilegia
metodiche qualitative. La distinzione tra qualitativo e quantitativo comporta
una notevole differenza. Sono infatti la natura dei dati, l’orientamento della
ricerca, la sua flessibilità, il carattere oggettivo o soggettivo dei risultati che
distinguono i due approcci, le cui differenze sono (o erano) così fondate da
scatenare quella che è stata chiamata la “guerra dei paradigmi”, che ha
enfatizzato l’incompatibilità tra le due posizioni epistemologiche, posizioni
sottese ai due differenti tipi di ricerche.
Per lungo tempo, le tecniche quantitative hanno goduto di miglior credito e
questo per due ordini di motivi. In primo luogo, l’entusiasmo verso la scienza e
i suoi progressi ha sostenuto la visione del mondo e dei fatti sociali, per
analogia al mondo della natura, come suscettibili di essere conosciuti e di
essere “spiegati”. In secondo luogo, la diffusione degli elaborati elettronici ha
consentito la gestione informatica di grandi masse di dati e ha incentivato
inchieste quantitative su larga scala.
Negli anni più recenti, il dibattito si è orientato verso lo studio di una possibile
integrazione tra i due metodi. Nuove tecniche di osservazione che guardano al
vissuto del soggetto al mondo della quotidianità, hanno rilanciato l’approccio
qualitativo, evidenziandone le potenzialità e la migliore adesione all’attualità
della nostra epoca.
Ci troviamo così in un momento di transizione: da un lato la necessità di
riconcettualizzazione e quindi di messa in critica della capacità esplicativa di
variabili “classiche”, come la classe sociale e il genere, invita a trovare nuove
definizioni e i nuovi concetti, da “convalidare” con tecniche quantitative,
dall’altro la complessità e la difficoltà di stare dietro all’incalzare del
mutamento apre la strada alla rivalutazione della capacità esplicativa delle
metodiche qualitative.
Tutto ciò induce ad una considerazione: la necessità, per migliorare la
conoscenza del mondo in cui viviamo, di un’integrazione fra i due metodi. È
auspicabile un’integrazione che frutti il potenziale di complementarietà delle
due tipologie di ricerche. La convergenza fra i risultati di due studi condotti
sullo stesso problema, ma con metodiche differenti, rafforzerà la validità di
entrambe. Oggi spesso troviamo ricerche quali-quantitative, nelle quali la parte
statistica
, individua, delle
connessioni, correlazioni,
mentre
opportune
tecniche qualitative, come le interviste in profondità, mettendo in luce “cosa
c’è dentro quei dati”.
PROCESSO DI RICERCA
DISEGNO DELLA RICERCA
COSTRUZIONE BASE EMPIRICA
(RILEVAZIONE)
ORGANIZZAZIONE DEI DATI
(CODE BOOK E MATRICE DEI DATI)
ANALISI DEI DATI
GENERALIZZAZIONI EMPIRICHE
DISEGNO DELLA RICERCA
Riguarda la progettazione delle diverse fasi di una indagine a carattere
empirico e costituisce la formalizzazione delle procedure necessarie al
ricercatore per la realizzazione di un obiettivo cognitivo.
OBIETTIVO COGNITIVO
ESPLICATIVO
DECRITTIVO
L’interesse
non
è
quello
di
descrivere
solo
un
fenomeno
conosciute ma anche di giungere ad una sua spiegazione inferendola
da leggi e teorie
L’APPROCCIO QUANTITATIVO
I
sostenitori
dell’approccio
quantitativo
si
allagano
principalmente
alla
tradizione positivista. Negli anni ’60, la diffusione degli elaboratori elettronici e
il loro costo sempre più contenuto hanno dato forte impulso alle tecniche
quantitative. Il problema, infatti, come è facile comprendere, sta proprio nel
concetto di “misurazione”, che delega allo studioso la capacità di costruire
variabili e di trovare strumenti di rilevazione, indicatori non solo quelle
“naturali“ ( sesso, età, professione, etc. ) ma anche costruire artificialmente.
Il termine di VARIABILE è stato tratto dalla matematica e dalla fisica ed
INDICA UNA MISURA O UNA CLASSIFICAZIONE SOTTOPOSTA A REGOLE
FORMALI , E CHE HA LA CAPACITA’ DI DESCRIVERE ADEGUATAMENTE UN
FEMONENO O DI UN CONCETTO, E DI RIPRODURRE IL REALE.
Funzione della misura è quella di connettere ogni concetto a qualcosa, a
qualunque livello di astrazione, alla realtà, preparando la verifica successiva
delle ipotesi formulate.
La decisione più importante che il ricercatore deve prendere è definire in modo
chiaro ed esaustivo cosa misurare: se si commettono errori in questa prima
fase si continuerà a spendere solo soldi ed energia. La necessità di arrivare ad
una “misurazione” impone una accurata e definita messa a punto dell’impianto
teorico e concettuale: a differenza della ricerca quantitativa, la flessibilità e la
possibilità di aggiustamenti in itinere è praticamente impossibile.
Nella ricerca quantitativa viene definito come un “DISEGNO” il programma più
lavoro empirico, organizzato nell’ambito di un quadrato sistematico vincolante.
Si articola in quattro tappe:
•
FASE PRELIMINARE D’ IMPOSTAZIONE
Si definisce l’oggetto di studio attraverso la formulazione di opportune
ipotesi sperimentali. Ciò si esplica mediante l’isolamento delle teorie già
disponibili inerenti il tema d’esame. A partire da ciò, il ricercatore dovrebbe
formulare delle ipotesi operative, indispensabili per guidare la fase di
rilevanza delle informazioni necessarie alla ricerca. (Le azioni che abbiamo
descritto, ovviamente, dipendono anche dalle risorse umane e finanziarie a
disposizione dell’operatore, in quanto massima attenzione alla fattibilità del
disegno di ricerca).
1) RILEVAZIONE DELLE INFORMAZIONI PER LA PRODUZIONE DEI DATI
Si pone la necessità, a fronte di una sempre più frequente referenza alle
fonti di statistica ufficiale, avuta per il basso costo delle informazioni, di
individuare la fonte dalle quali ricavare i dati; successivamente si procederà
alla selezione delle tecniche necessarie per la raccolta dei dati grezzi resisi
disponibili.
2) ORGANIZZAZIONE DEI DATI E SUCCESSIVA ELABORAZIONE
L’elaborazione dei dati deve essere coerente con le esigenze espresse dalle
ipotesi operative: è opportuno mantenere una forte logica con il referente
concettuale, pur lasciando allo studioso un grado di libertà nella parziale
riformulazione delle ipotesi operative, qualora inadeguate alle esigenze
originali di ricerca.
3) FORMULAZIONE DEI RISULTATI
Qui si chiude il processo di indagine, con la generalizzazione dei risultati. La
generalizzazione terrà conto della strutturazione delle ipotesi e segnalerà gli
aspetti più significativi individuati nel corso dell’indagine: si procede per
livelli
di
elementi
approfondimento
descrittivi
ed
successivi,
analisi
fornendo
contemporaneamente,
interpretative.
L’obiettivo
della
generalizzazione è passata dalle proposizioni descrittive a proposizioni
interpretative. L’obiettivo della generalizzazione è passata dalla proposizione
descrittiva a proposizione interpretativa dei fenomeni. (Il limite, infatti, della
proposizione descrittiva è che tende a fare riferimento ad una circoscritta
entità geografica e sociale con scarse possibilità estrapolative dei risultati
acquisiti).
Il compito del ricercatore sarà, quindi: operare in un contesto empirico
multidisciplinare,
dominando
diversamente
“dimensioni”
logiche
del
processo di ricerca, e manifestando doti di ANALISI E SINTESI.
Deve avere, quindi, queste DOTI:
1) Conoscenza approfondita del teorico di riferimento;
2) Capacità di generalizzazione;
3) Predisposizione all’analisi quantitativa
ed esperto utilizzatore della
statistica sociale;
4) Abilità nella lettura da dati statistici;
5) Attento e cauto nell’interpretazioni dei risultati;
6) Critico nelle proprie affermazioni.
•
IL QUESTIONARIO
Per “rilevazione diretta”, ci si riferisce a quelle ricerche che hanno come
“unicità di rilevazione” la persona giustificata “fonte di informazione”, in quanto
portatrice delle conoscenze a mai necessarie. La contrapposizione tra ciò che si
vuole conoscere, ciò che si vuole indagare, e le sue risposte alle nostre
domande ha sempre una dose di arbitrarietà: le informazioni, così ricevute,
sono soggettive, nel senso che seguono il percorso mentale del soggetto
interrogato, ma entro certi limiti possono ritenersi rappresentative.
E’ quindi molto importante la scelta dei soggetti a cui sottoporre le nostre
domande: sono gli obiettivi dell’indagine che hanno i criteri per sceglier chi
interroga e per sapere che cosa chiedere.
La scelta e la selezione delle persone da intervistare e da interrogare può
essere diversa: se la popolazione di interesse è troppo vasta, si ricorre ad un
campione; se non ci interessa la rappresentatività, ci troveremo nella
condizione di “scegliere”, soggetti giusti per il nostro scopo (es. leader
d’opposizione).
CHE-CHI-COME sono strettamente legati.
Caposaldo, della tecnica quantitativa, è il QUESTIONARIO.
Insieme strutturato di domande che consente una raccolta immediata e coesa
di informazione e che porta a controllare le ipotesi di ricerca mediante la
successiva elaborazione delle risposte ottenute. Ha una ampia diffusione nella
ricerca empirica sia in indagini di statistica ufficiale, sia in altri tipi di
rilevazioni.
La costruzione del questionario richiede abilità: ad esempio, le domande
devono essere poste in modo chiaro, e le possibili differenti modalità di
risposta devono poter essere raccolte con facilità dall’ intervistatore.
L’ utilizzo del questionario consente di ottenere dati comparabili e, in una certa
misura, attendibili. La formalizzazione fa sì che esso possa essere utilizzato
indifferenti ricerche.
Il questionario, in definitiva, consente la raccolta di tipi di informazione:
1) Fatti e conoscenze
2) Comportamenti e atteggiamenti
3) Opinioni e motivazioni
4) Percezioni
La lunghezza del questionario non prevede regole fisse: per un questionario
strettamente quantitativo la lunghezza è ottimale se compresa tra i 30-45
minuti,
con una interruzione di 10-20 minuti per capire il contenuto delle domande.
Non è un’operazione semplice formulare le domande di un questionario: si
tratta di domande che devono essere rivolte ad un certo numero di persone e,
quindi, dovranno eccellere in comprensibilità, flessibilità e rapidità espositiva.
E’ buona regola domandarsi se tutti gli intervistati capiscono le domande, ma
anche se l’interpretazione delle stessa sia univoca: i redattori devono, quindi,
avere idee molto chiare sugli argomenti da investigare e sulle parole da usare
nelle domande.
I requisiti di una domanda meritevole di essere inserita in un questionario
sono:
1) CHIAREZZA DEL CONTENUTO
Esige precisione nella formulazione della domanda, ed univocità di significato.
2) FORMA ADATTA
L’uso di una forma specifica per ciascuno domanda può influire gradatamente
sui risultati, anche a parità di contenuti della domanda stessa (i tipi più
frequenti di forma sono: a risposta aperta, a risposta chiusa, a risposta
strutturata, a risposta multipla, a risposta gerarchizzata).
3) ASSENZA DI EFFETTI SECONDARI
La domanda non dovrebbe influire l’intervistato, con la sottolineatura di
particolari aspetti da sottoporgli al suo giudizio.
Alcune domande possono intaccare la PRIVACY dell’ intervistato: il loro numero
deve essere limitato, e il loro posizionamento nel questionario separato da
domande di altra natura.
Nella ricerca quantitativa, lo strumento di rilevazione più importante, a oggi;
risulta essere il questionario. E queste sono le procedure di somministrazione
del questionario:
1) INTERVISTA DIRETTA
Dialogo tra una o più persone che propongono una serie di domande sui
beni di ricerca , ed una o più persone che si ritiene siano in grado di dare
risposte alle richieste. C’è la presenza fisica dell’intervista.
2) INTERVISTA TELEFONICA
Maggiore tempestività nella raccolta delle informazioni, costi alquanto
contenuti, nonché una serie di registrazioni e controlli automatici.
3) AUTOCOMPILAZIONE
Qui i costi sono ancora minori, e l’organizzazione del lavoro sul campo è
meno complessa.
Elemento necessario è il buon livello di collaborazione da parte dei
rispondenti.
•
L’APPROCCIO QUALITATIVO
Da un punto di vista teorico, la ricerca qualitativa comprende una vasta e
complessa area di metodiche, tematiche e strumenti di indagine, suoi propri,
ritenuti più idonei a fornire conoscenza su aspetti e fenomeni complessi.
Gli obiettivi di questo approccio sono: la maggiore conoscenza di un fenomeno
poco approfondito, o emergente; l’esplorazione di un dato fenomeno quando,
anche per effetto del mutamento sociale, non sia più interpretabile con le
ipotesi e le teorie già esistenti; la ricerca di nuove idee, di nuove ipotesi, di
nuove teorie.
La ricerca qualitativa consente di conoscere un certo fatto in profondità, e
questo è particolarmente utile quando si vuole investigare temi complessi
oppure di particolare delicatezza, quali ad esempio la religione, la sessualità, la
pena di morte e il razzismo, in generale tutti quei temi per i quali esiste una
forte connotazione sociale. Un indiscusso vantaggio risiede nella ricchezza delle
informazioni raccolte molto dettagliate. Il grande ostacolo che incontra questo
tipo di indagine è nella scelta di come raccogliere le informazioni
e nella
trattazione di dati grezzi e non formalizzati.
Il merito della ricerca qualitativa sta proprio nella capacità di descrivere un
fenomeno in tutti i suoi dettagli. Un problema pratico, rende abbastanza
sporadico l’uso di ricerche qualitative: il tempo che si deve dedicare alla
ricerca, un tempo intensivo. Ed è proprio per questo motivo che è poco
presente nel mondo accademico.
Il disegno della ricerca qualitativa.
Per pianificare una ricerca qualitativa, bisogna rispondere a quattro domande:
-
Che cosa si vuole conoscere?
-
Chi o che cosa può essere ben informato della questione?
-
Qual è la via migliore per conoscere queste cose?
-
Quali altre strategie possono essere applicate?
Si parte dalla definizione del problema per poi pensare a come concretizzare la
ricerca. La fase di riflessione deve, quindi prevedere sia la ricerca di studi già
condotti da altri sullo stesso argomento, sia la messa a punto delle ipotesi della
ricerca. La differenza tra ricerca quantitativa e qualitativa è che, quest’ultima,
ha concetti che non hanno la necessità di essere espressi in modo definitivo e
resi operativi. Qui i concetti sono flessibili, approssimativi: si inizia quindi con
un ragionamento di tipo induttivo, che considera i fatti relativi a situazioni
specifiche senza avere come riferimento una teoria particolare.
Grande attenzione per la specificazione del contesto: selezione dei casi, dei
dati, dei modi e dei criteri per ottenere, senza ridondanze, i soggetti necessari
allo studio e un ambiente idoneo. (L’approccio qualitativo il più delle volte si
muove in un ambito circoscritto).
Definite queste fasi, si passa alla strategia della rilevazione, che verrà scelta in
sintonia con lo scopo della ricerca. La vera differenza tra i due tipi di ricerca sta
nella capacità del ricercatore, soprattutto nella delicata fase della raccolta delle
informazioni che lo vede partecipe, anche se con differente gradualità. Per
questo, massima attenzione alle questioni etiche che devono essere tenute in
massimo conto dai partecipanti allo studio.
Doti del ricercatore qualitativo
- Conoscenza approfondita di ciò che si vuole investigare
- Capacità di individuare prospettive teoriche utili
- Predisposizione al lavoro induttivo
- Pazienza e capacità di instaurare un rapporto empatico
- Conoscenza di più metodiche di ricerca sociale
- Meticolosità nella rilevazione scritta
- Sicurezza delle proprie interpretazioni
- Costante verifica e critica delle sue informazioni
- Capacità di redazione del suo studio ai fini della pubblicazione.
I dati qualitativi
Includono virtualmente ogni informazione che può essere catturata e che non
abbia una natura numerica. E nella ricerca qualitativa, le informazioni possono
essere raccolte in vario modo:
- intervista in profondità: condotte su un numero limitato di soggetti con
l’obiettivo di cogliere le idee dell’intervistato sul fenomeno d’interesse;
- studi del caso: studio intensivo di un individuo specifico o di un contesto
specifico;
- osservazione( partecipante o non partecipante): l’osservazione diretta si
distingue dall’intervista in profondità perché l’osservatore non ha lo scopo di
fare domande, ma quello di osservare;
- approccio biografico: questo approccio si basa sulla soggettività, un’intesa
come unità e specificità;
- gruppo di discussione: è una discussione accuratamente pianificata con un
gruppo di persone comprese tra 7-12. Ha come obiettivo ottenere percezioni,
idee ed opinioni su un’area di interesse ben definite e circoscritte;
- documenti: ci si riferisce a documenti esistenti, quali giornali, riviste, archivi.
Si considerano anche i documenti prodotti dalla comunicazione sociale, quali
film, pubblicità, programma televisivi.
Poiché i fondamenti filosofici di riferimento della ricerca qualitativa, sono
diversi da quelli della ricerca quantitativa, è evidente l’impossibilità di applicare
identici criteri per valutare l’attendibilità dei risultati. Eppure non si è potuto
fare a meno di partire dagli stessi concetti usati nella ricerca quantitativa, per
riconoscere criteri
alternativi di validità interna ed esterna, attendibilità ed
oggettività.
Molti autori concordano su quattro criteri per giudicare la solidità di una ricerca
quantitativa:
RICERCA QUANTITATIVA
RICERCA QUALITATIVA
- VALIDITA’ INTERNA
CREDIBILITA’
- VALIDITA’ ESTERNA
TRASFERIBILITA’
- ATTENDIBILITA’
AFFIDABILITA’
- OGGETTIVITA’
CONFERMABILITA’
I criteri di credibilità risiedono nella documentazione scritta o usuale, propria
del contesto di indagine, comprese le discussioni e le interpretazioni tra i
componenti dello studio, diari, registrazioni etc.. I risultati della ricerca devono,
quindi essere credibili nella prospettiva dei partecipanti alla ricerca.
Il
concetto
di
trasferibilità
è
considerato
equivalente
al
concetto
di
generalizzazione. Per trasferibilità non si deve intendere la riproduzione dei
risultati ottenuti, ma la possibilità di utilizzare procedimenti e risultati della
ricerca in altre situazioni simili.
L’attendibilità, nella ricerca qualitativa, è impossibile, in quanto impossibile è
misurare un concetto. La possibilità di replicare o ripetere una ricerca che fa
ottenere gli stessi risultati, conferma le ipotesi.
La confermabilità si riferisce alla possibilità che i risultati siano confermati da
altri ricercatori. Ci sono varie strategie per accrescere la confermabilità:
documentare le procedure con cui sono stati scelti i dati, documentare il
processo attraverso il quale si è arrivati ai risultati.
•
L’INTERVISTA
L’intervista qualitativa può essere
vista come il corrispondente, sul versante
dell’interrogare di quanto l’osservazione partecipante rappresenta sul versante
dell’osservare.
L’obiettivo di fondo resta comunque quello di accedere alla prospettiva del
soggetto studiato: cogliere le sue categorie mentali, le sue interpretazioni, le
sue percezioni, i suoi sentimenti e i motivi delle sue azioni.
Per
evitare
confusioni,
noi
preferiamo
utilizzare
il
termine
intervista,
nell’approccio della ricerca qualitativa e quantitativa, nel caso dell’ultimo
parliamo di questionario.
L’intervista (qualitativa) è provocata dall’intervistatore. Possiamo definire
l’intervista come una conversazione :
a) provocata dall’intervistatore;
b) rivolta a soggetti scelti sulla base di un piano di rivelazione;
c) in un numero consistente;
d) avente finalità di tipo conoscitivo;
e) guidata dall’intervistatore;
f) sulla
base
di
uno
schema
flessibile
e
non
standardizzato
di
interrogazione.
Quindi si tratta di una conversazione privata nella quale l’intervistatore
stabilisce l’argomento e controlla che lo svolgimento corrisponda ai fini
conoscitivi che egli si è posto. Questo intervento di guida dell’intervistatore può
realizzarsi con diversi gradi di direttività, ma sostanzialmente rispettando la
libertà dell’intervistato di ristrutturare la risposta, o addirittura tutta la
conversazione come egli meglio crede.
ASPETTI COMUNI E DISTINZIONI FONDAMENTALI
Vogliamo mettere analiticamente a confronto le risposte che le tecniche
quantitative e qualitative sanno dare ai problemi più rilevanti della ricerca
sociale. In che cosa e quanto si differenziano tra loro i due approcci
nell’operato concreto della ricerca.
•
QUALITATIVA
•
QUANTITATIVA
Aspetti comuni
-
Progettazione disegno della ricerca
-
Rilevazione delle informazioni
-
Trattamento delle informazioni
-
Analisi dei dati
-
Generalizzazioni empiriche
Distinzione fondamentale
Orientamento e individualizzazione
Orientamento
generalizzante
Base empirica non statistica
Base empirica di tipo
Assenza matrice dati
statistico
Analisi empirica effettuata con procedure
Presenza matrice dati
non formalizzate
Analisi empirica
effettuata
Analisi in profondità
con processo di
formalizzate
Comprensione
Analisi tecnicamente
rigorosa
Spiegazione
CONFRONTO TRA RICERCA QUALITATIVA E RICERCA QUANTIATTIVA
1.
PROCESSO
DI RICEERCA
RICERCA QUALITATIVA
RICERCA
QUANTITATIVA
-IMPOSTAZIONE
-Strutturata
RICERCA
logicamente sequenziali
-Deduzione
fasi -Aperta , interattiva
(la
LETTERATURA
(la
teoria
teoria emerge
precede l’osservazione)
-FUNZIONE
-Induzione
dall’osservazione)
DELLA E’ fondamentale per la E’ ausiliaria
definizione della teoria e
delle ipotesi
-CONCETTI
Operativizzati
Orientativi,
costruzione
-RAPPORTO
CON Approccio manipolativo
Naturalistico
aperti
in
L’AMBIENTE
-INTERAZIONE
Osservazione
PSICOLOGICA
che
STUDIOSO/STUDIATO
neutrale
è
scientifica Immedesimazione
distaccata
e empatica
nella
prospettiva del soggetto
studiato
-RUOLO DEL SOGGETTO Passivo
Attivo
STUDIATO
-INTERAZIONE
FISICA Distanza,
STUDIOSO/STUDIATO
(nessun
separazione Prossimità,
contatto
contatto
fisico (l’incontro tra studioso e
tra studioso e studiato)
studiato
è
precondizionato
per
la
comprensione)
2 .RILEVAZIONE
-DISEGNO
DELLA Strutturato,
RICERCA
chiuso
precede la ricerca
e Destrutturato,
aperto
costruito nel corso della
ricerca
-STRUMENTO
DI Uniforme
RILEVAZIONE
per
tutti
i Varia
a
seconda
soggetti
dell’interesse
dei
Obiettivo: matrice dati
soggetti e non si tende
alla standardizzazione
-NATURA DEI DATI
-Hard cioè soggettivi e Soft
standardizzati
ricchi
e
profondi
(profondità
(oggettività
vs
vs superficialità)
soggettività)
3. ANALISI DEI DATI
-
OGGETTO La variabile (analisi per Individuo
DELL’ANALISI
variabili, impersonale)
-OBIETTIVO
Spiegare
DELL’ANALISI
delle variabili
-TECNICHE
Uso intenso
MATEMATICHE
STATISTICHE
E
la
(analisi
per
soggetti)
variazione Comprendere i soggetti
Nessun uso
4. I RISULTATI
-PRESENTAZIONE DATI
Tabelle
(prospettiva Brani di interviste di testi
relazionale)
-GENERALIZZAZIONI
Correlazioni.
casuali.
Leggi.
(prospettiva narrativa)
Modelli Classificazione
Logica tipologie.
della causazione
Tipi
e
ideali.
Logica
della
classificazione
-PORTATA
DEI Al limite nomotetica
RISULTATI
Specificità
(al
limite
idiografica)
RUOLO DEL RICERCATORE
•
RELAZIONE TEORIA/RICERCA
- RICERCATORE QUALITATIVO
- RICERCATORE QUANTITATIVO
Spesso respinge la formulazione di teorie prima di cominciare il lavoro sul
campo, vedendo ciò un condizionamento che potrebbe inibirgli la capacità di
comprendere il punto di vista dell’oggetto studiato.
•
RAPPORTO PERSONALE DEL RICERCATORE CON LA REALTA’ STUDIATA
Uno dei maggiori problemi che il ricercatore sociale si trova ad affrontare è
quello della reattività dell’oggetto del suo studio.
- RICERCATORE QUALITATIVO
(A)
- RICERCATORE QUANTITATIVO
(B)
(A)
(B)
Si astiene da qualsiasi manipolazione,
Non ritiene che il
problema
stimolazione, interferenza o disturbo.
della reattività del
soggetto
Nei confronti della realtà la quale viene
studiata nel corso del suo innaturale
possa rappresentare un
ostacolo di base, o per lo
svolgersi (osservazione partecipante) .
meno ritiene che un
certo
margine
di
manipolazione
controllata
sia
ammissibile
(esperimento).
•
INTERAZIONE PSICOLOGICA STUDIOSO/STUDIATO
Si colloca il più possibile internamente
Assume un punto di
osservazione
al soggetto di analisi, nella prospettiva
esterna al soggetto
studiato,propria
di vedere la realtà sociale con gli occhi
dell’osservatore scientifico
neutrali
dei soggetti studiati (immedesimazione).
•
e distaccato.
RAPPRESENTATIVITA’
RICERCATORE QUALITATIVO
(A)
RICERCATORE QUANTITATIVO (B)
(A)
(B)
Il ricercatore mette al primo posto
Il ricercatore è preoccupato
della
la comprensione anche a costo
generalizzabilità dei
risultati e
di perdersi in situazioni atipiche
perciò fa uso del campione
e di meccanismi non generalizzabili.
statisticamente
rappresentativo.
•
RICERCHE NON INTRUSIVE
Epistemologia dei metodi non intrusivi
C’ è oggi, un convincimento persistente e diffuso nelle scienze sociali: per
ottenere informazioni sulla gente è indispensabile “chiedere”. E’ un incipit
efficace , perché riassume in poche righe una “filosofia del fare ricerca” nelle
scienze sociali che mai come negli ultimi anni ha permeato l’operare dei
ricercatori. Come se solo il chiedere garantisse alle informazioni da raccogliere
per fare ricerca quell’alone di verità che sta alla base della scientificità dei
risultati.
Se oggi si facesse un sondaggio d’opinione fra i ricercatori per convalidare
l’ ipotesi che è proprio il sondaggio il metodo di raccolta dati più scientifico, si
arriverebbe a convalidare il risultato che ci eravamo prefissati in partenza. Si fa
volutamente riferimento al sondaggio, pur senza escludere l’efficacia di questo
strumento per la rilevazione delle informazioni, in quanto se ne fa un abuso
anche in ambienti non “scientifici”: al giorno d’oggi, praticamente in ogni
rivista, periodico, quotidiano e programma televisivo è possibile assistere alla
spiegazione di qualche sondaggio che ci racconta , di volta in volta, abitudini,
pensiero atteggiamenti di universi di persone fra i più variegati.
Eppure non è sempre stato così. Anzi. Per citare due fra i maggiori sociologi del
passato, quali E.Durkheim e M.Weber , è indubbio che abbiano lasciato il segno
nel campo della ricerca sociale, pur senza ricorrere ai sondaggi d’opinione.
L’avvio alle analisi e, al tempo stesso, l’introduzione del concetto di intrusività
nella ricerca sociale si deve, nella metà degli anni ’60, a quattro ricercatori
americani, che già allora avevano fatto notare come la gran parte delle
ricerche sociali fossero basate su questionari e interviste. Un modo di lavorare,
che
sovrautilizzando
strumenti
assolutamente
fallibili
e
in
assenza
di
controprove, poteva produrre effetti pericolosi, in quanto era nota la loro
natura di produrre distorsioni. “Nessuno strumento di ricerca è immune da
distorsione. Questionari e interviste vanno supportati da metodi che testino le
medesime variabili sociali ma che abbiano debolezze metodologiche differenti”.
Ma allora cosa significa fare ricerca utilizzando metodi intrusivi, oppure
utilizzando metodi non intrusivi?... “Intrusione come manipolazione senza
secondi fini... come epistemologia che non può che consentire tecniche dirette
di raccolta delle
informazioni con tutti i vantaggi e gli svantaggi che ciò
comporta “. I metodi non intrusivi sono quelli che consentono la raccolta dei
dati in assenza di consapevolezza da parte dell’oggetto di ricerca di essere tale.
Ogni volta che, insomma, manchi la consapevolezza da parte dell’indagato di
essere tale e vi sia qualcuno che indaghi in proposito, possiamo parlare di
ricerca non intrusiva: con tutti i risvolti positivi e negativi, compresi quelli di
carattere etico. Al contrario, parleremo di intrusività tutte le volte che ci sia “
contatto” tra intervistatore ed intervistato. Da questo punto di vista, quindi,
l’accezione di intrusività differisce da quella fornita da altri autori, in quanto la
definisce in maniera più stretta ed univoca: Delli Zotti, infatti, propone una
tripartizione in non intrusivi, intrusivi non strutturati ed intrusivi strutturati.
Ragionando su osservazione partecipante, esperimenti, utilizzo di informatori e
atti verbali scritti (lettere, diari, biografie….), Delli Zotti
constata che
“utilizzando questi strumenti è escluso, o molto improbabile, che il ricercatore
possa influenzare in qualche modo il comportamento o gli atteggiamenti
dell’oggetto di studio. Ed è proprio questo molto improbabile a fare la
differenza fra i due approcci: nel nostro non sarà mai data la possibilità di
ottenere informazioni influenzate dal ricercatore, in quanto
i metodi
considerati prescinderanno indiscutibilmente dalla consapevolezza stessa di
essere oggetto di indagine. Delli Zotti afferma che “ bisogna ribadire che per
non intrusione intendo solamente l’impossibilità da parte del ricercatore di
influenzare i dati che va raccogliendo. È chiaro, ad esempio, che vi è intrusione
del ricercatore nella vita del testimone qualificato, ma non è lui con i suoi
atteggiamenti, i suoi comportamenti, che il ricercatore sta studiando. Allo
stesso modo, studiare diari, lettere, significa, in un certo senso, entrare nella
PRIVACY delle persone, ma i diari sono stati sono stati scritti senza tener conto
che un giorno sarebbero stati esaminati da un ricercatore: dunque, non si può
parlare di intrusione vera e propria.
L’impressione è che in questi due esempi le cose vadano in modo differente:
perché se è vero che non si può parlare assolutamente di intrusione nel caso
dell’ analisi di diari o lettere, non è altrettanto assodato che non vi sia
intrusività nel primo caso, quello dell’intervista a testimoni qualificati. Perché
sia che le stesse interviste vengano utilizzate per verificare ipotesi di ricerca
pre- esistenti, sia che invece diventino la base sulla quale strutturare un
questionario o un’intervista su larga scala, il rischio che gli esiti siano
influenzati dalla consapevolezza di far parte di una ricerca sono presenti.
Fino a qualche tempo addietro, la ricerca sociale è stata ad appannaggio
esclusivo degli scienziati sociali. In effetti è stato proprio il sondaggio
d’opinione a far conoscere alla gente la possibilità di “fare ricerca”
conoscere atteggiamenti, opinioni e credenze della popolazione in
e di
modo
ampio, con la possibilità da un lato di generalizzazione dei risultati e dall’ altro
di diffusione degli stessi su larga scala. Anche se una delle prime applicazioni di
questo strumento, in occasione delle elezioni
presidenziali del 1936
negli
USA, fu un flop clamoroso.
Il sondaggio d’opinione, quindi, esteso a parti più o meno consistenti della
popolazione, consente di raccogliere informazioni “dirette” e immediatamente
fruibili: si prendono le risposte, si mettono nel frullatore dei metodi statistici ed
ecco
pronti
i
risultati,
pronti
per
essere
diffusi
su
larga
scala
e
immediatamente valutati e commentati. È un pò la metafora di una società
moderna, veloce ed impaziente di andare OLTRE, di pensare ad ALTRO ancora
in fase di metabolizzazione dell’esito di un’indagine. A tutto ciò, si aggiunga
l’incremento di velocità che alcuni mezzi consentono oggi nella fase di raccolta
ed elaborazione delle informazioni e il gioco è fatto.
Il nuovo Modo di operare è diventato il chiedere direttamente: un nuovo, vero
e proprio approccio alla conoscenza sociale. Ma al di là di tutto questo c’è
un’altra ragione importante, a mio avviso, perché i sondaggi d’opinione hanno
al giorno
inerisce
d’oggi una grande rilevanza nelle scienze sociali. Questa ragione
al
carattere
di
democraticità
maggiore
che
risiederebbe
nella
condivisione di alcuni fra i passaggi più importanti in una ricerca sociale. Ma è
nella co-istituzione delle informazioni (oltre ai problemi di natura linguistica,
percettiva e comportamentale) che si annida uno dei nemici della qualità delle
informazioni raccolte: un nemico che va sotto il nome di EFFETTO HAWTHORNE
(1932).
Le
caratteristiche
di
tale
effetto
consistono
nella
distorsione
inconsapevole ma sistematica dei risultati della ricerca, in presenza dei
ricercatori. Insomma, il sapere in qualche modo di essere oggetto d’interesse
da parte di ricercatori si tramuta, sia pure inconsapevolmente, in un’occasione
per introdurre, nelle risposte, elementi non corrispondenti a verità, producendo
quindi distorsioni.
Ma i problemi non si esauriscono con la presa d’atto che, quando intervistatore
ed intervistato interagiscono, può verificarsi quello che gli studiosi dei
fenomeni organizzativi notarono già negli anni ‘30. Le insidie che possono
provocare distorsioni nelle informazioni raccolte sono molte, ed il seguente
elenco ne rappresenta solo alcuni, non per ordine crescente di importanza, in
quanto a volte si possono anche presentare in forma multipla, congiunta.
I.
Accade molto frequentemente che le risposte date dagli intervistati
ad una domanda siano in qualche modo indotte dallo stesso
intervistatore .
II.
Non bisogna sottovalutare, nel momento in cui si predispone un piano
di interviste o di somministrazione di questionari, il ruolo che il genere
dell’ intervistatore gioca sulle risposte date dagli intervistati.
III.
Un’altra
gamma
di
insidie
proviene
dai
cosiddetti
WORDING
QUESTIONS. I problemi che possono sorgere quando si incorre in una
non corretta interpretazione delle domande sono stati analizzati in
modo molto diffuso e contribuiscono in maniera rilevante alla
produzione di distorsioni nei risultati.
IV.
Un aspetto da considerare quando si valutano le risposte date alle
diverse domande di un questionario è anche quello che, dato che da
qualche anno a questa parte l’uso dei sondaggi è incrementato in
modo esponenziale, c’è in larga parte della popolazione una sorta di
idiosincrasia a farsi intervistare: mai come oggi, infatti la gente muore
dalla voglia di farsi intervistare.
V.
Ulteriori problemi sono connessi all’uso di scale. Anche in questo
campo le conferme sono molte. Le scale di atteggiamenti tendono a
cogliere quella che è stata definita “fedeltà tra un dato, tenuto conto
delle convenzioni introdotte dalla definizione operativa al supposto
stato effettivo di un soggetto su una data proprietà”.
VI.
All’interno di una considerazione generale proprio relativa al fatto di
essere oggetto di ricerca, i soggetti potrebbero anche essere indotti a
cambiare gli stessi comportamenti.
Questa è solo una panoramica dei problemi che possono sorgere quando
vengono utilizzati metodi di raccolta dei dati INTRUSIVI, PANORAMICA
ASSOLUTAMENTE NON ESAUSTIVA.
L’utilizzo dei metodi di raccolta delle informazioni NON INTRUSIVI dovrà
quindi,
laddove
possibile,
affiancare
quelli
tradizionalmente
usati
dai
ricercatori. Si dovrà favorire quell’integrazione con il periscopio, inteso come
“misura non intrusiva e protetta onde capire le cose e lo svilupparsi della vita”.
Periscopio come osservazione partecipante che non è tale, che non lascia
tracce di sé nell’altro…”.
C’è da chiedersi, insomma, se i risultati di alcune importanti ricerche nel campo
delle scienze sociali
avrebbero avuto gli stessi esiti, se si fosse fatto uso di
metodi di raccolta delle informazioni differenti, intrusivi appunto.
Di seguito si può vedere una sistematizzazione di caratteristiche relativa a
metodi di raccolta delle informazioni di natura intrusiva o periscopica. È quindi
possibile cogliere quali possano essere i vantaggi che derivano dall’uso di
tecniche non intrusive, vantaggi che si risolvono a tutto credito per quanto
concerne i risultati di una ricerca nell’ipotesi di una INTEGRAZIONE FRA
METODI INTRUSIVI E NON. Va inoltre ricordato il valore aggiuntivo dato dalle
indagini che utilizzano metodi non intrusivi rispetto a quelli tradizionali: le
prime, infatti, tendono a concentrare la propria attenzione sul comportamento
e su i suoi esiti, piuttosto che sulle espressioni verbali dello stesso. L’uso di
metodologie non intrusive accrescerà quindi la qualità complessiva della ricerca
stessa.
Osservazione intrusiva
VS
Osservazione non-intrusiva
Condizionante
- Estranea
Manipolatoria
- Neutrale
Artificiale
- Naturale
Etero consapevole
- Etero inconsapevole
Razionalizzazioni
- Pratiche
Recita
- Vita
Tecniche dirette
- Tecniche indirette
Interazione
- Comunicazione
Simmetria
- Asimmetria
Co-produzione cosciente
-Co-produzione incosciente
Intenzionalità
- Comportamento orientato
Empatia faccia a faccia
- Empatia mediata
Tolleranza personale
- Tolleranza metodologica
Legittimazione consensuale
- Legittimazione morale
Dipendenza relazionale
indipendenza attiva e
e cognitiva di etero
cognitiva di etero
L’impossibilità del “co”: risorse e limiti dei metodi non intrusivi
-
Constatare, collegare, combattere… parola in cui il primo elemento, il “CO” di
origine latina, significa CON, ossia il contributo di più elementi nel dare origine
ad un fenomeno nuovo. Partiamo dalla definizione di Sociologia: scienza che
studia come un particolare elemento, il soggetto, CONVIVENDO insieme ad
altri soggetti, dia luogo ad una terza realtà, la Società. Senza questo apporto
comune sarebbero impensabili il linguaggio, la cultura, l’identità. Così definita,
anche la ricerca sociale non può che essere assunta come una forma di
conoscenza, fondata sulla concordanza di due o più soggetti: a differenza delle
scienze naturali dove il ricercatore tratta atomi, cellule e onde
elettromagnetiche, ecc… nelle scienze sociali ci si pone di fronte ad un oggetto
di studio che è esso stesso soggetto, aperto al mondo con analoghi
interrogativi di senso. La nostra analisi verterà, quindi, su tre blocchi tematici:
1. Selezione degli APPROCCI PIU’ SIGNIFICATIVI EPISTEMOLOGICI che
hanno animato il dibattito sociologico.
2. Verificare SE E COME ABBIAMO TRATTATO il problema della relazione
tra ricercatore e soggetto.
3. Implicazioni metodologiche riguardanti l’adozione di tecniche di ricerca
definite come “NON INTRUSIVE”.
Focalizzando, inizialmente, il contributo del REALISMO, si definisce come un
approccio epistemologico che caratterizza la Sociologia sin dal suo nascere e
che l’accompagna fino ai giorni nostri.
Fondatore è E. Durkheim, il quale sostiene che se la sociologia vuole dotarsi di
una metodologia scientifica deve CONSIDERARE I FATTI SOCIALI COME COSE.
In altri termini, occorre sbarazzarsi di quei preconcetti e pregiudizi nascosti
nella tradizione o nella morale, in cui anche il ricercatore, crescendo in un
determinato contesto culturale, non ha potuto che identificarsi.
Queste pre-nozioni inquinano la sua attività investigativa, impedendogli di
aprirsi ai fenomeni sociali nella loro nuda realtà ed esaminarli così come si
danno ai suoi sensi. La stessa distanza che occorre tenere rispetto alle proprie
pre-nozioni deve essere contenuta anche nei confronti delle soggettività che si
stanno analizzando. Al Realismo, il dibattito scientifico contemporaneo ha
contrapposto L’APPROCCIO COSTRUTTIVISTA. Tale approccio si caratterizza
per l’assunto secondo il quale la conoscenza del ricercatore non si basa, non
può ambire, ad un’esatta corrispondenza con la realtà esterna, come sostiene
invece il Realismo: la conoscenza sociologica e non solo, è sempre comunque
redatta a cominciare da una prospettiva che ridisegna il mondo a partire da i
propri codici. Sebbene su premesse ribaltate rispetto all’approccio realista,
anche il costruttivismo non attribuisce una particolare importanza alla relazione
tra ricercatore e soggetto di studio: nell’approccio realista, infatti, il ricercatore
si annichiliva per cogliere esaustivamente la realtà nella sua verità assoluta; in
quello costruttivista, invece, la relatività del suo punto di vista si afferma in un
modo così radicale da chiudersi in un insuperabile auto-riferimento.
Oltre i riduzionismo di realismo e costruttivismo, si pone la proposta CORELAZIONALE, che fa riferimento filosofico alla fenomenologia di Husserl.
Facendo appello ai fondamentali principi di questo indirizzo teorico, si incontra
anzitutto il principio fenomenologico delle epoche, inteso come sospensione di
ogni giudizi, riconoscimento e messa da parte di ogni pre-nozione con cui il
ricercatore ha inevitabilmente strutturato la propria visione del mondo. Sulla
base di questa “messa tra parentesi” di ogni conoscenza pregressa, questo
approccio ambisce a porsi di fronte all’altro con uno sguardo aperto alla sua
autentica differenza, uno sguardo
che non richiede un inutile quanto
impossibile annullamento della soggettività dello studioso e non è offuscato
dalla volontà di fotografare le leggi che governano il mondo sociale. Ciò è
possibile attraverso l’ideale cognitivo e metodologico dell’EMPATIA, che è
comprensione dell’altro così come egli stesso vede il mondo e gli attribuisce
senso. La relazione
tra ricercatore e soggetto di studio è così ridefinita nei
termini di una co-istituzione dell’informazione di base, ossia, una conoscenza
emergente dall’intreccio e dal reciproco apporto di entrambi i protagonisti
dell’indagine scientifica: l’attenzione è rivolta al vissuto dell’altro; ma affinché i
suoi valori, le sue rappresentazioni e le sue emozioni possano divenire
informazione scientifica, è al contempo necessaria la presenza attiva del
ricercatore. Entro i confini di una metodologia che ambisce ad incrociare
L’ATTENZIONE EMPATICA al vissuto dell’altro, assume particolare rilevanza la
distinzione tra METODI “INTRUSIVI” e METODI “ NON INTRUSIVI”. Si
definiscono “INTRUSIVI” tutti quei metodi che intendono produrre informazione
scientifica attraverso un’interazione diretta col soggetto di studio, il quale è
consapevole di essere coinvolto in una relazione con obiettivi investigativi.
Questionari, interviste, osservazione diretta sono le tecniche più emblematiche.
Il soggetto è inevitabilmente “INVASO” e incondizionato, non solo attraverso le
domande che gli sono rivolte, ma anche percependo la presenza osservante del
rilevatore. L’effetto è quello di allestire meccanismi di difesa, di inibizione, che
minano la spontaneità e la naturalezza delle informazioni prodotte, finendo per
“inquinare” l’autenticità.
“NON INTRUSIVE” o “PERISCOPICHE”
sono invece tutte quelle modalità di
ricerca dell’informazione in grado di osservare il mondo, celando al contempo
la propria presenza (come, appunto, il periscopio di un sommergibile). Queste
tecniche intendono investigare il sociale rendendosi inaccessibili allo sguardo e
alla consapevolezza dell’altro. In questo caso, il soggetto indagato, non
sapendo di essere esaminato, è più libero di agire spontaneamente, senza
doversi curare della propria immagine sociale, e senza essere interrogato su
aspetti intimi, qualora su di essi fosse rivolta una domanda diretta ed esplicita.
L’informazione diretta prodotta attraverso tali tecniche cade sotto l’esclusiva
elaborazione del ricercatore, senza che vi sia alcun riscontro da parte della
soggettività osservata. Il rischio è quello, dunque, di cadere in una visione
auto-referenziale fondata su procedure coerenti solo ai presupposti normativi,
cognitivi ed emotivi del ricercatore.
Nessuno dei due versanti metodologici garantisce, quindi, per sé un’assoluta
affidabilità scientifica: ciascuno presenta dei pro e dei contro. Si può affermare,
con ciò, che tuttavia sia soprattutto la scuola fenomenologica ad aprire il
problema di un tale bilancio metodologico.
Infatti, in un’ottica realista il problema dell’intrusività non si pone, in quanto la
realtà di riferimento è vista solo come “banca-dati”, e nell’ottica costruttivista,
il problema dell’intrusione è eliminato alla radice, in quanto ogni interlocutore è
chiuso nella sua irrinunciabile auto-refenzialità. Il principale presupposto
metodologico in grado di dare affidabilità scientifica alle situazioni investigative
di natura periscopica, è una adeguata RIFLESSIVITA’.
Concentriamo l’attenzione sulla prima fase della ricerca sociale, denominata
co-istituzione dell’informazione. Si può analizzare questa fase articolando tra
prospettive reciprocamente implicatesi:
•
Le soggettività coinvolte (ricercatore e soggetto indagato);
•
Il mezzo di comunicazione che media l’apertura verso il soggetto indagato;
•
Il contesto socio-culturale in cui si afferma il processo investigativo.
CONTESTO SOCIALE
Ricercatore
•
medium comunicativo
Soggetto
LE SOGGETTIVITA’ COINVOLTE
Osservare il comportamento di un soggetto dietro a uno specchio
unidirezionale, o comunque senza annunciare che la propria presenza è in
realtà
motivata
da
finalità
esplicitamente
investigative,
significa
sostanzialmente dar luogo a un processo relazionale essenzialmente
unidirezionale, almeno in un primo momento. È il soggetto indagato,
seppure inconsapevolmente, fornisce informazioni ai ricercatori. Questi le
selezionano in base alle proprie ipotesi teoriche, ma è tecnicamente
impossibile o comunque volutamente impedito un feed-back verso detta
fonte informativa. Anzi, proprio tale distacco comunicativo è considerato la
risorsa metodologica della ricerca: quella che in generale si definisce coistituzione assume i tratti dell’auto-istituzione dell’informazione di base.
Anche se è indispensabile l’apporto di due soggettività, i rimanenti
comunicativi fluiscono inevitabilmente in modo UNIDIREZIONALE. Dal punto
di vista metodologico, il rapporto tra il ricercatore e l’attore sociale è
fortemente asimmetrico: il secondo è più autonomo, libero e indipendente
nel mostrare se stesso. Non sentendosi oggetto di alcuna osservazione
scientifica, vi sono minori rischi che egli manipoli quanto va dicendo o
facendo, al fine di assicurarsi un’adeguata “reputazione”. Allo stesso tempo,
cade però in una situazione di dipendenza cognitiva nei confronti del primo,
il quale assume un controllo del processo di costruzione di informazione
tanto più assoluto, quanto più efficace la non intrusività nell’analisi. Diventa
necessario, quindi, che il ricercatore, tenendo il massimo potere sulla
produzione dell’informazione, sia estremamente consapevole su ciò che sta
elaborando, per non cadere vittima delle sue stesse costruzioni mentali. Il
primo passo metodologico diretto a sviluppare la suddetta riflessività
consiste nell’assumere che il ricercatore non è una banale macchina che
elabora informazioni, ma una soggettività complessa che si caratterizza per
particolari scelte di valore, che pensa, prova emozioni, al pari di un attore
sociale, e non può non avere reazioni interne a quanto osserva. Significa,
quindi, avvicinarsi all’ideale metodologico dell’empatia. Partendo dai valori
che caratterizzano e condizionano la ricerca, M. WEBER conia la celebre
distinzione tra “RELAZIONE AI VALORI” e “LIBERTA’ AI VALORI”.
Il sociologo si occupa di valori: uno degli obiettivi prioritari della sua analisi
è proprio quello di comprendere i significati e le sue attribuzioni di rilevanza
che sottendono all’agire degli uomini. In tale analisi, egli può mettere in
luce il legame che connette le azioni ai valori che le guidano; può verificare
se mezzi utilizzati sono coerenti ad un razionale conseguimento degli scopi,
ma non deve esprimere giudizi di valore verso essi, ma solo giudizi di fatto.
Il quesito da porsi ora è questo: può davvero lo scienziato essere così
padrone di se stesso, da mantenere costantemente separati i propri giudizi
di fattori da i propri giudizi di valore?
Il problema nella pratica di ricerca nasce dal fatto che non sempre lo
studioso è pronto ad accogliere le potenziali novità che le scoperte
scientifiche implicano: il ricercatore sociale detiene infatti, pre-giudizi o prenozioni che possono “incanalare” le informazioni ottenute dalle indagini
secondo percorsi pre-ordinati inconsapevolmente della mente, in modo da
non destabilizzare.
Anche in un contesto di OSSERVAZIONE NON INTRUSIVA, dunque, il
ricercatore può avere dentro di sé vissuti e conflitti che, tanto più risultano
non risolti, quanto più vengono spostati da sé all’altro, al fine di poter
criticare, analizzare, modificare ciò che in realtà risiede dentro di sé, e
proprio per questo non può essere preso in considerazione e affrontato,
pena il coinvolgimento in un conflitto interiore troppo pesante da sopportare
emotivamente. Il ricercatore DEVE DOTARSI DI UNA RIFLESSIVITA’ tale da
saper distinguere il più profondamente possibile ciò che appartiene ai propri
assunti normativi, cognitivi ed emotivi, e ciò che invece gli si annuncia come
autentica manifestazione dell’altro. In un processo metodologico in cui il
soggetto esaminato non ha alcuna possibilità di replica immediata, egli
viene disegnato attraverso una rappresentazione che assume i tratti di
un’allucinazione autoreferenziale e arbitraria.
Un ulteriore aspetto da vagliare riflessivamente entro un’investigazione nonintrusiva, concerne il MEDIUM COMUNICATIVO con cui il ricercatore accede
al suo oggetto sociale.
•
MEDIUM COMUNICATIVO
A seconda che sia selezionato un codice di tipo orale, visivo, letterario o
numerico, il supporto informatico in base al quale si elabora l’immagine
dell’altro
muta
radicalmente,
consentendo
all’ideale
metodologico
dell’apertura empatica di applicarsi secondo potenzialità di volta in volta
differenti. I media comunicativi possono essere così suddivisi:
- CODICE VISIVO. Davanti ad un’immagine siamo in grado di cogliere in un
solo attimo ciò che essa rappresenta e ci comunica: l’immagine è, rispetto
all’espressione verbale, una vera e propria scorciatoia. È in grado di
assolvere ad una funzione creativa e produttiva: il ricercatore accede
lentamente
al
vissuto
dell’altro
senza
il
filtro
di
altri
mediazioni
comunicative. Una delle più frequenti applicazioni metodologiche del codice
visuale è il VIDEO-TAPE (video registrazione) con cui è possibile cogliere lo
svolgersi naturale di una situazione di interazione e fare attenzione a tutto
ciò che di non verbale c’è nella comunicazione. Occorre, però, tener
presente che tramite il solo supporto fotografico, l’immagine perde molte
delle sue potenzialità informative: seleziona una sola prospettiva spaziale
così come una sola puntualità temporale.
-
CODICE ORALE. Quello orale è il più utilizzato nella metodologia
sociologica. Accanto alle parole e al loro significato linguistico, è possibile
prendere in considerazione tutte le componenti para-linguistiche quali
l’intonazione, l’inflessione della voce, il ritmo della produzione verbale.
-
CODICE NUMERICO. Il codice costituisce uno snodo centrale della
metodologia sociologica. Esso veicola l’informazione soprattutto nell’analisi
secondaria dei dati, quando cioè il ricercatore esamina e confronta secondo
uno specifico interrogatorio fonti statistiche già esistenti.
-
CODICE LETTERARIO. Nella stessa distanza rispetto alla vita sociale è
collocabile anche il codice letterario (lettere, bibliografie…). Attraverso
questo canale comunicativo, l’altro diviene accessibile attraverso un’analisi
ermeneutica del testo che consente di prendere contatto con fenomeni
talvolta lontani e ne ridefinisce l’immagine alla luce di un nuovo processo
interpretativo.
•
LE APPARENZE SOCIO-CULTURALI
La terza prospettiva entro cui effettuare una riflessione tocca il contesto entro
cui si collocano il ricercatore e il soggetto di studio. Condurre una indagine su
persone che condividono col ricercatore il medesimo quadro di riferimenti è
indubbiamente diverso rispetto all’indagare realtà sociali in qualche misura più
distanti e differenti. A questo riguardo, Schütz pone in evidenza come la
comprensione dell’altro venga a fondarsi su modelli di significato comune
appresi durante tutto il percorso di socializzazione. Si può, facilmente, non
concordare con una visione epistemologica secondo la quale la struttura di
schemi interpretativi sedimentati nel mondo sociale, finisce per costruire un
riferimento condizionante per ogni attribuzione di senso del soggetto. Invece si
può assumere che questi sia dotato di una certa autonomia, la quale è in grado
di attingere al patrimonio simbolico collettivo anche per distanziarsene, per
rielaborarlo ed introdurre elementi di novità o di rottura, in un rapporto di
ambivalenza reciproca e contesto socio-culturale di appartenenza. Preme,
però, sottolineare come il riferimento dell’autore ci permetta di tener conto
che, la comprensione dell’altro, accanto ad un atteggiamento il più possibile
empatico, non possa non attingere a criteri interpretativi che connotano
l’identità e le conoscenze del ricercatore. Tali criteri giocano un ruolo diverso, a
seconda del fatto che ciò che congiunge al soggetto sociale sia “IL MONDO
AMBIENTALE” o il “IL MONDO DEI CONTEMPORANEI”.
Il “mondo ambiente” indica l’insieme dei rapporti Io-Tu-Egli, rapporti di tipo
diretto che connettono le due soggettività sulla base di comuni appartenenze
familiari, amicali, di tutte le reti primarie in genere. All’altro estremo si colloca
invece il “mondo dei contemporanei”, individuato sulla base di una sfera più
allargata di appartenenze sociali che vanno oltre il mondo ristretto della vita
quotidiana e delle sue reti primarie. Ciò che qui mette il ricercatore in rapporto
al soggetto di studio è una relazione del tipo Noi-Voi-Loro. Via via che si passa
dal MONDO AMBIENTE al MONDO DEI CONTEMPORANEI, il vissuto di
conoscenza dell’altro è colto attraverso la mediazione di modelli simbolici
sempre più “tipizzati”, modelli che cioè vanno dall’esperienza personale del
ricercatore, a quanto ha appreso nella comunicazione sociale. Si fa appello a
modelli di significato in modo ANONIMO. In una ricerca non intrusiva, questa
tipologia di nessi simbolici viene a ricoprire una funzione ambivalente: qualora
il ricercatore si accosti ad un oggetto sociale che in qualche modo si colloca
entro il “mondo ambientale”, la possibilità di attingere ad una comune struttura
di significati può sopperire ai limiti di una distanza relazionale che ostacola un
diretto incrocio di aperture empatiche. Allo stesso modo, però, proprio questa
comune
appartenenza
socio-culturale
può
coinvolgere
emotivamente
il
ricercatore al punto di impedirgli individuazioni di importanti spunti informativi.
Viceversa, se lo stesso ricercatore è connesso all’oggetto sociale sulla base di
comuni appartenenze risalenti al “mondo dei contemporanei”, può certamente
attingere ad una struttura simbolica più complessa per intraprendere l’altro,
ma sono tuttavia ridotte le possibilità di immedesimarsi e di cogliere
immediatamente una serie di nessi di senso ad alta densità soggettiva. Tali
possibilità si assottigliano quando dal “mondo dei contemporanei” passiamo al
“mondo dei predecessori”, quando cioè il ricercatore dedica il suo interesse di
studio ad un oggetto che si colloca nel passato storico. Se è già ripetuto
diverse volte che è la riflessività il requisito metodologico di cui si deve dotare
la tecnica periscopica per diventare scientifica. Anche in una ricerca nonintrusiva, che fonda esplicitamente il suo statuto metodologico sull’assenza di
interazione tra ricercatore e soggetto di studio, si rivela fondamentale il
recupero della DIMENSIONE DIALOGICA a diversi livelli, affinché il requisito
della riflessività sia effettivamente applicabile:
Integrazione metodologica tra tecniche intrusive e non
Tra autonomia dell’altro e
rispetto
e
l’autenticità
potenziale dipendenza dal ricercatore, tra
della
realtà
sociale
e
sua
inconsapevole
colonizzazione, tra empatia e autoreferenzialità, si propone una rilettura
critica delle tecniche non-intrusive con l’obiettivo di metterne in luce sia le
potenzialità che le debolezze.
Back-talk con i soggetti coinvolti nell’indagine
Se la prima fase della ricerca NON-INTRUSIVA diviene non CO- ma AUTOistituzione dell’informazione da parte del ricercatore, è essenziale che nella
fase finale della diffusione dei dati, il ricercatore recuperi il back-talk degli
stessi,
cioè
ricerchi
di
ripristinare
un
a
situazione
di
interazione
comunicativa con gli attori sociali esaminati.
Il confronto dell’equipe di ricerca e nella comunità scientifica
Oltre alla concorsualità tra più tecniche e alla possibilità di confrontarsi con
l’oggetto di ricerca, le peculiarità delle tecniche periscopiche richiamano alla
necessità di recuperare la dimensione dialogica sia a livello di EQUIPE
interna, sia nell’ambito della più ampia comunità scientifica.
Problemi etici nella ricerca non intrusiva
Possiamo ora sviluppare la seguente domanda: quali sono le problematiche e
le implicazioni etiche della ricerca sociologica di tipo non intrusivo?
Il sapere moderno, i suoi obiettivi e le sue metodologie, stanno vivendo un
momento particolarmente critico, il progresso delle conoscenze sta subendo
infatti un processo di revisione da parte sia delle diverse componenti culturali,
laiche e religiose della società sia della politica. In tempi brevi, l’attenzione
potrebbe verificarsi anche nel campo delle scienze umane e sociali. Alla base di
queste problematicità, vi è il progresso tecnologico e soprattutto le modalità di
utilizzo della tecnologia sia nelle metodologie di ricerca sia nell’utilizzazione dei
risultati ottenuti. Possiamo affermare che la società moderna sia una società
“sottocontrollo”, in particolare ci riferiamo al possibile utilizzo delle “tecnologie
di sorveglianza” anche per scopi di ricerca.
Questa sorveglianza elettronica emerge anche in materia di ricerca sociale,
infatti, nell’ambito delle metodologie di ricerca non intrusive, le tecnologie di
monitoraggio potrebbero essere strumenti di particolare utilità.
Nel momento in cui è messo in atto un sistema tecnologico di monitoraggio e
sorveglianza, viene creata una banca dati che per il ricercatore è un grande
patrimonio.
In relazione al rapporto tra metodi e strumenti di sorveglianza e metodi e
strumenti di ricerca sociale, possiamo vedere il ruolo dell’individuo, quale
soggetto da “spiare” e oggetto da studiare. L’atteggiamento predominante
nella collettività rispetto all’essere cavia inconsapevole di esperimenti sia di
sicurezza che di ricerca è la diffusa accettazione tacita del sacrificio imposto dal
rispetto della privacy e della riservatezza, in nome di maggiori garanzie di
tutela e tranquillità. Esiste una sorta di esibizionismo individuale e collettivo
che ha lo scopo della ricerca della spiegazione scientifica di quel segmento di
vissuto che viene reso pubblico. Di conseguenza sembrerebbe venirsi a creare
maggiore spazio per metodologie di ricerca non intrusive, fondate sulla ricerca
di atteggiamenti e comportamenti il più possibile naturali e incondizionati.
All’interno della società moderna, esiste contestualmente a questa spinta
esibizionistica, anche un intollerante rifiuto alle invasioni, mediatiche e non,
nella sfera individuale. Secondo alcuni studi, possiamo parlare di paranoia da
“socialismo tecnologico”, una paura concreta di essere ascoltati e spiati nella
propria quotidianità, senza potersi opporre in alcun modo.
Limiti etici e giuridici nella ricerca non intrusiva
Il sapere moderno è un sapere libero. Più che di conflitti sarebbe opportuna
parlare di trade-offs, cioè quelle situazioni in cui si contrappongono interessi
divergenti tutti però meritevoli di tutela. Interessi che, possono costituire dei
limiti reali alla ricerca stessa e al progresso della conoscenza. La prima causa
di questi limiti consiste nel rapporto contrastato tra il rispetto dei diritti
fondamentali e delle libertà individuali da un lato e le inevitabili restrizioni che
l’attività di ricerca non intrusiva finisce per imporre dall’altro. Il contrasto è
però insanabile dato che una ricerca che guarda all’individuo avendo alla sua
base il mancato coinvolgimento e l’ignoranza del soggetto, non può integrare
questo elemento nel suo processo conoscitivo e organizzativo.
La
seconda
causa
riguarda
la
contrapposizione
tra
il
progresso
della
conoscenza, soprattutto in campo sociologico, e rispetto/tutela della privacy.
La privacy è un concetto che ha pervaso tutte le società “evolute”, soprattutto
nei paesi occidentali, diventandone un elemento costitutivo importante. Uno
dei problemi della privacy è la sua intangibilità, ovvero la difficoltà di stabilire
se, quando e come essa venga violata, è un bene immateriale la cui percezione
e importanza varia molto da individuo a individuo, perché diversi sono i livelli
di sensibilità e attitudine personali nei suoi confronti. Tutto ciò rende difficile
stabilire se e quanto sia profondo il trade-offs tra ricerca e privacy.
Il terzo limite, più generale e complesso, riguarda il rapporto tra etica e ricerca
che si pone una domanda di base, ovvero, la ricerca deve essere neutrale e
distaccata oppure umana e contestualizzata? Ciò equivale a chiedersi anche se
la ricerca debba avere un ruolo di guida per l’evoluzione dell’umanità, o se
invece essa debba porsi al di fuori delle problematiche sociali, limitandosi a
studiarle.
L’elemento fondante e ricorrente della ricerca è proprio il consenso prestato o
negato. La centralità, ovvero la presenza/assenza del consenso, ci permette di
introdurre un altro trade-offs riferito alla contrapposizione tra progresso della
conoscenza e rispetto del diritto all’identità (la pretesa di veder riconosciuta,
anche pubblicamente, la propria individualità anagrafica e soggettiva). La
crescente
attenzione
per
il
rispetto
e
per
le
diverse
modalità
di
utilizzo/sfruttamento della propria individualità sembra essere uno degli effetti
dello sviluppo tecnologico; infatti, la diffusione di quest’ultimo ha determinato
il moltiplicarsi e il diffondersi di forme di abuso e furto delle identità.
Dal punto di vista della ricerca non intrusiva, il problema può definirsi come il
diritto al dissenso da parte del singolo, rispetto a metodologie di ricerca non
intrusive che sono comunque invasive della sua sfera intima e personale. I
trade-offs di cui abbiamo finora parlato evidenziano alcuni degli ostacoli etici
che la ricerca non intrusiva si potrebbe trovare ad affrontare.
Esistono però anche dei limiti giuridici che potrebbero influenzarne lo
svolgimento. In qualche modo sembra essere proprio la costituzione a
suggerire un modo per ridurre, almeno in parte, i limiti etici e giuridici che
condizionano la ricerca occulta.
Il ricercatore etico
In conclusione, possiamo chiederci in che termini la ricerca non intrusiva può
essere definita. La ricerca è un “fatto individuale” intimamente legata alla sfera
personale di ciascun ricercatore, non si può negare infatti che l’osservatore sia
sempre parte in causa nello studio dell’oggetto osservato. Inoltre l’etica è
intrinsecamente un “fatto umano”, un’esigenza che deriva e coinvolge la
persona, più che l’attività. Infatti per quanto contestabile, esiste sempre una
possibilità di giudicare, eticamente o giuridicamente, le scelte compiute da un
operatore scientifico nell’ambito dello svolgimento del suo lavoro.
A questo punto possiamo chiederci come dovrebbero rapportarsi alla ricerca e
alla società i ricercatori etici. La soluzione più adatta a contemperare le
esigenze della ricerca e del progresso conoscitivo con quelle di tutela, riguarda
proprio la ricerca di un equilibrio tra gli interessi contrapposti, tutti comunque
meritevoli di essa. Questo risultato non è sicuramente un obiettivo facile da
raggiungere. Alcune proposte per altro anche contrapposte provengono
soprattutto dalle scienze mediche. Le varie ipotesi proposte in campo sociale
riconoscono a ciascun ricercatore una responsabilità per il proprio lavoro; viene
sostenuto che gli scienziati non possono più essere considerati non responsabili
delle loro azioni. Ciascun ricercatore ha il dovere di utilizzare la sua
“immaginazione morale” nello stesso modo in cui usa la sua “immaginazione
scientifica”.
Quell’impostazione secolare che vuole lo scienziato quale esecutore della
razionalità scientifica, completamente non condizionato da implicazione di
ordine etico-morale ed indifferente alle ripercussioni del proprio lavoro sulla
collettività, è stata quindi sostituita dalla richiesta al ricercatore di adottare una
responsabilità etica nello svolgimento delle proprie attività. Perché ciò possa
realizzarsi, il ricercatore deve calarsi nella realtà che lo circonda, aprendosi al
dialogo e al confronto, e accettando le risposte date dalla dimensione empirica
della normalità del vivere quotidiano.
Da
questa
prospettiva
relativa
alla
dimensione
individuale
del
singolo
ricercatore, assume un significato ancora più centrale e concreto il richiamo di
Max Weber al realismo e alla passione, all’oggettività e al contestuale recupero
della vocazione, all’accettazione consapevole del politeismo dei valori e
all’onesta intellettuale. Secondo l’autore, proprio lo scienziato sociale sarebbe
esposto al rischio di cedere alla vanità e all’autocompiacimento personale, al
punto da finire per confondere la dimensione puramente scientifica da un lato e
l’ambito morale e politico dall’altro.
La sfida posta ai ricercatori moderni potrebbe essere riassunta nella loro
capacità di comporre quella che Nietzsche definì l’oltreumanità, un’umanità in
grado di riconoscere e difendere la propria coscienza individuale, consapevole
di appartenere ad un gruppo eletto, ma sempre in contatto con la realtà in cui
vive.
La valutazione non intrusiva
La valutazione è un’operazione che noi compiamo in modo involontario, noi
osserviamo, misuriamo, stimiamo, confrontiamo fra loro fatti e atteggiamenti
sociali, quindi tendiamo a raggrupparli seguendo un principio di omogeneità e
uno di eterogeneità; nel momento in cui raggruppiamo, stiamo compiendo
un’operazione di valutazione. Questa valutazione ha una valenza micro, infatti
è riferita al nostro sistema di valori, serve a noi stessi per prendere decisioni
conseguenti
ed
è
quindi
assolutamente
autoreferenziali.
È
quindi
una
valutazione non intrusiva, poiché utilizziamo una classificazione pre-esistente e
in qualche modo l’aggiorniamo con nuovi elementi; è non intrusiva in quanto
manca quella co-istituzione del “fatto valutativo” fra valutatore e valutato: noi
valutiamo con l’inconsapevolezza del soggetto di essere valutato. Possiamo ora
chiederci se è possibile un’azione di valutazione non intrusiva.
Nella storia possiamo distinguere quattro diversi periodi legata al movimento
della valutazione.
1. Valutatore: misurazione.
Il primo periodo nasce tra le due guerre mondiali negli Stati Uniti, è
sviluppato soprattutto in campo psicologico: una valutazione che possiamo
considerare
come
una
misurazione
di
tipo
tecnico,
cioè
i
risultati
quantitativi di un test misurativo. Quindi misurazione e valutazione erano
concetti considerati sinonimi e il miglior valutatore che era in grado di
utilizzare il maggior numero di test di misurazione/valutazione. Questa
prima generazione è condizionata dall’influsso delle scienze esatte sulle
scienze sociali.
2. Valutatore: descrizione.
La seconda generazione nasce sulla base dell’insoddisfazione che questo
modo di procedere genera.
Intorno agli anni ’40, questi valutatori
inglobano la misurazione all’interno di un approccio più articolato che
comprende la descrizione del processo. Nascono le valutazioni dei modelli
forti o deboli, descrizioni di applicazioni in grado o meno di valutare il
raggiungimento degli obiettivi.
3. Valutatore: ruolo di giudice.
Le caratteristiche di misurazione e descrizione ad un certo punto vengono
ritenute
riduttive,
ci
si
rende
conto
che
accanto
alle
prime
due
caratteristiche debba essere introdotta una terza, quella di un giudizio. Il
valutatore prima solo misuratore, poi descrittore viene ad assumere un
ruolo di giudice, con l’estensione del processo di valutazione sia ai risultati
che allo stesso progetto nella sua globalità.
Si capisce che si tratta di un processo che via via ha inglobato all’interno
delle funzioni di valutatore, aspetti sempre più aperti e qualitativi assieme
ai primi di tipo quantitativo.
4. Valutatore: attori sociali.
C’è un aspetto che accomuna questi tre periodi: l’assoluta mancanza di
riferimenti all’insieme degli attori coinvolti nei processi che vengono valutati
(mancano
i
cittadini,
gli
utenti,
gli
stakeholders).
Solo
la
quarta
generazione di valutatori ha cominciato a sviluppare il processo di
valutazione insieme alla condivisione di problemi e prospettive con gli attori
sociali.
Si può ipotizzare per il valutatore un futuro da negoziatore, un ruolo cioè
che sappia tener conto anche di interessi e principi etici proprio degli attori
sociali. Possiamo distinguere tre tipi differenti di valutazione:
•
Valutazione ex ante
•
Valutazione in itinere
•
Valutazione ex post
Valutare ex ante equivale a svolgere quell’operazione che viene fatta
quando si decide di vagliare un’ipotesi di progetto non ancora realizzato:
l’azione seguita dai valutatori riguarderà una funzione di orientamento
all’interno delle diverse possibili opzioni.
Valutare in itinere corrisponde ad un processo che si svolge parallelo a
quello della stessa implementazione, per verificare ad esempio la corretta
applicazione di alcune procedure previste.
Valutazione ex post coglie aspetti positivi o critiche dei programmi una
volta che l’iter di un intervento si è concluso. Da un lato serve come verifica
dello specifico intervento analizzato, dall’altro come base di analisi per
eventuali possibili programmi futuri in situazioni analoghe.
Accanto a questi tre differenti tipi di valutazione ce n’è un quarto, per certi
versi trasversale ai primi: la valutazione di processo. Alcuni tratti distintivi
di questa valutazione riguardano:
•
Chiarire ruoli, relazioni e loro gestione in generale fra quanti sono
coinvolti;
•
Criticità e aspetti positivi legati all’implementazione delle misure;
•
Aspetti
legati
alla
partecipazione
complessiva
da
parte
degli
stakeholders.
Il ruolo della partecipazione nella valutazione
Appare chiaro ora che nei processi di valutazione sono assolutamente
fondamentali
il
ruolo
che
giocano
i
processi
di
coinvolgimento
e
di
partecipazione da parte di tutti gli attori. Possiamo fare un esempio che
riguarda la sociologia della salute, una diagnosi, cioè la valutazione medica di
uno stato di salute può essere fatta in tre modi differenti: nel primo troviamo
un medico in modo top down vale a dire si basa sulla sua lettura della
sintomatologia esistente in assenza di un confronto con il paziente. Un secondo
modo è quello di fare una diagnosi per mezzo dei risultati strumentali che
emergono da un’indagine ad hoc: in questo caso non è tanto il medico a fare la
valutazione quanto lo strumento, che mette in luce problemi legati ad un
particolare stato di salute del paziente. Il terzo modo prevede uno scambio di
informazioni continuo fra medico e paziente, entrambi soggetti attivi, del
processo di valutazione. Questo tipo di approccio è condiviso da molti studiosi:
ricordiamo chi parla di valutare la qualità dell’intervento come assunzione del
punto di vista dell’utente e chi è convinto del fattore che l’azione di valutazione
in campo sociale non possa prescindere dal coinvolgimento degli attori.
Una valutazione partecipata esprime anche un carattere di trasparenza che in
qualche modo la legittima e ne fa uno strumento di assoluta importanza nel
processo di crescita collettiva da parte di attori e programmi impostati. Quindi
il concetto di partecipazione nel processo valutativo è condizione necessaria
ma non sufficiente per fare buona valutazione.
Valutazione e qualità
Valutazione e qualità sono due concetti che molto spesso viaggiano insieme,
perché in fondo, valutare vuol dire anche verificare l’esistenza di requisiti di
qualità, o almeno così dovrebbe essere. Perché invece spesso l’operazione di
valutazione si riduce ad un giudizio di conformità dal quale sono assenti i
requisiti,
appunti
della
qualità.
È
centrale
e
vista
come
un
fattore
assolutamente co-prodotto la questione della qualità nel caso di un processo di
valutazione dei servizi alla persona.
Il concetto di qualità intrecciato a quello della valutazione può essere
considerato secondo quattro differenti approcci:
1. Qualità come adeguatezza rispetto ai propositi.
Vediamo la qualità come un aspetto funzionale, essa si ha se un dato servizio
ha raggiunto gli obiettivi che si è posto, importante è proprio la condivisione
degli obiettivi e evidente che sono chiamati in causa tutti gli attori. Non si può
quindi avere valutazione non intrusiva perché il fissare obiettivi in modo
unilaterale
(inconsapevolezza
degli
attori)
equivale
ad
una
operazione
autoreferenziale e di rottura.
2. Qualità come raggiungimenti degli standard.
In questo caso gli standard di eccellenza da raggiungere dovranno scaturire da
un processo di condivisione fra gli attori, per evitare che vengano posti
standard che esprimano qualità “parziale” non percepita come tale da tutti gli
attori coinvolti. Perciò non si potrebbe avere comunque una valutazione non
intrusiva.
3. Qualità come eccellenza.
Il concetto di eccellenza pone l’oggetto valutativo in posizione predominante
rispetto al resto degli esempi della stessa natura. Sarebbe impensabile definire
eccellenza ciò che è in qualche modo unico e irripetibile a prescindere da un
confronto con altre realtà e senza aver stabilito i criteri stessi di eccellenza, è
appunto l’andar oltre l’eccellenza, standard fissati e condivisi cioè intrusivi.
4. Qualità come processo.
L’ultimo approccio della qualità valutativa è legata ad un processo, si tratta di
qualità condivisa. Infatti il processo spesso prevede una finalità di crescita
collettiva per tutti gli attori coinvolti nel rapporto. È il caso particolare di servizi
o programmi rivolti alla persona (utente, consumatore o paziente).
CONCLUSIONE
La risposta alla domanda iniziale “Si può fare valutazione sociale non
intrusiva?” non è forse certamente univoca ma segue alcune linee.
Nel sociale si valutano i fatti, programmi e progetti che prevedono sempre la
compresenza degli attori differenti. Quindi la valutazione, in assenza di
consapevolezza da parte degli attori, appare una forma di valutazione simile ad
una prima visione di insieme, cioè una presa d’atto di alcuni fenomeni che non
prende in esame la ricchezza dei contenuti espressi dagli attori e di
conseguenza non può avere il criterio della validazione che deriva da una
condivisione degli obiettivi.
Al contrario abbiamo il caso di valutazione secondaria: se l’obiettivo fosse per
esempio la certificazione dell’avvenuto raggiungimento di alcuni standard
prefissati e condivisi allora l’operazione potrebbe essere fatta senza ulteriore
condivisione.
Ma
si
tratta
di
una
semplice
certificazione,
infatti,
fare
valutazione nel sociale è operazione certamente intrusiva, con tutte le
connotazione
procedimenti.
positive
che
tale
intrusività
può
avere
sui
risultati
dei
BIBLIOGRAFIA
- Bisi “Le forme del conoscere i dati nella ricerca empirica” Bonanno Editore
2006
-
Corbetta “Metodologia e tecnica della ricerca sociale” Il Mulino 2006
-
Corposanto “Metodologia e tecniche non intrusive nella ricerca sociale”
Franco Angeli
-
Statera “La ricerca sociale” logica, strategie,tecniche. Edizione Seam 2004