Scritti ascetici (Asc) - Oblati di Maria Vergine

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Scritti ascetici (Asc) - Oblati di Maria Vergine
Asc,0:S
Scritti ascetici (Asc)
Classe V
Opuscoli e scritti teologico-ascetici e mistici
Asc,2267a:S
Modo di resistere alle tentazioni e vincere i rispetti umani
Di mano Lanteri
AOMV, S. 2,9,1:267 a
Asc,2267a:T1
Modo di resistere alle tentazioni e vincere i rispetti umani
Asc,2267a:T1
Nemo potest duobus…
Nemo potest duobus dominis servire, dice il Signore. Due sono i padroni che ci sono proposti a
servire: Iddio e il Demonio.
Se noi viviamo secondo la ragione, conforme alla volontà di Dio, freniamo le passioni, osserviamo i
comandamenti, serviamo Dio.
Se noi secondiamo le passioni, viviamo secondo la concupiscenza, non ci curiamo della ragione,
violiamo i comandamenti, serviamo il Demonio.
O l'uno o l'altro conviene servire.
A tutti e due assieme non si può, mentre si serve l'uno, si disgusta l'altro, ciò che propone l'uno
dispiace all'altro, ciò che suggerisce questo, ripugna a quello, non possono unirsi Cristo e Belial.
Dunque all'uno o all'altro dovete rinunziare quest'oggi: Nemo potest duobus dominis servire, aut
enim unum odio habebit et alterum diliget. Lo assicura Cristo, colui che ha da giudicarci, colui a cui
sta l'accettare per buono o no il nostro servizio. Dunque risoluzione quest'oggi: o rinunziare all'uno
o rinunziare all'altro. Usquequo claudicatis in duas partes? Si Deus est Dominus, sequimini eum, si
Deus est Belial sequimini Baal (3 Reg. 18) diceva Elia al popolo Ebreo.
Asc,2267a:T2
Pensate a quale dei due volete rinunziare e dichiaratevi. Pensate che Cristo è tutta bontà, che non
cerca che il vostro bene, che non cerca se non che viviate secondo la ragione, il suo giogo è giogo
soave e dolce, che Egli è attento a soccorrervi, aiutarvi, è facilissimo ad accontentarvi, accetta fino
la buona volontà quando non si può mettere l'opera. Egli poi promette, rimunera da Dio. I suoi
seguaci poi sono coloro che vivono da uomini ragionevoli, sono sollevati in uno stato grandioso di
amici, figli di Dio, eredi del paradiso, che se fanno fino i divertimenti presi per piacere a Dio, sono
annoverati a merito eterno, partecipano di tutto il bene altrui, si godono una gran pace e tranquillità,
principio poi di quella pace e tranquillità eterna che godrano in morte.
Asc,2267a:T3
Pensate all'opposto che il Demonio è uno spirito maligno intento a farsi servire per perdervi, il suo
comando pare facile, pare dolce, ma in verità egli è duro, se la metà solo si soffrisse di quel che si
soffre talvolta per servire il Demonio, si soffrisse per Dio, sarebbe un gran santo; ed ancora
difficilmente si contenta; pare anche che prometta molto, ma in verità è poco, e cose basse, vili
piaceri e piaceri momentanei; e ancora più volte inganna, e suo carattere è mentire.
I suoi seguaci poi sono coloro che s'assomigliano ai bruti col secondare che fanno bruttamente le
passioni; il pascere che fanno le loro passioni, secondare i loro capricci, sono le loro grandi
occupazioni. Il loro fine è il sudare per divenire miseri in questa vita e nell'altra: rimorsi di
coscienza, l'inferno sono la loro certa eredità.
Scegliete dunque e dichiaratevi eligite cui potissimum debeatis. Ma io punto non dubito che già vi
siate dichiarati, vi siate arruolati sotto lo stendardo di Cristo, ed abbiate rinnovata la rinunzia fatta al
Battesimo e dichiarato guerra contro il Demonio, v'entra qui troppo il vostro interesse; rimane solo
che io vi spieghi il modo di riportare la vittoria di questo infernale nemico. Il modo si è di odiarlo,
odiare poi uno vuol dire disprezzarlo e cercare di danneggiarlo.
Asc,2267a:T4
Conviene dunque in primo luogo disprezzarlo, pertanto non trattenersi secolui quando tenta come
fece Eva col serpente, ma voltargli subito le spalle dispettosamente e dirgli francamente, non
voglio, vade retro Satana, anzi per maggior dispetto fare l'opposto. Vi tenta egli pertanto di peccato
di gola o di libidine, voi appunto per questo comandatevi l'astinenza o fate voto di castità per
quell'ora e così delle altre tentazioni.
Conviene in secondo luogo cercare di nuocerlo, e lo nuocerete se v'impegnate a distruggere il suo
regno, cioè procurando anzi d'impedire che altri offendino Dio, d'animarli al bene con buoni
discorsi, di trarli seco voi alla Chiesa, alla dottrina, alla Messa. Ecco ciò che è odiare il Demonio,
ecco l'officio di chi milita sotto lo stendardo di Gesù Cristo.
Coraggio diletti, che quindi ne risulterà gran vantaggio, servirà a vostra pace e gloria. Servirà a
vostra pace, perché il Demonio così sovente disprezzato, siccome è lo spirito superbo, cesserà di
tentarvi trovando d'essere sempre vinto, anzi vedendo che nient'altro sa guadagnare se non che di
servirvi da svegliarino per farvi esercitare la virtù opposta.
Asc,2267a:T5
In secondo luogo servirà a gloria vostra, imperocché se è glorioso scacciare i demoni dai corpi
ossessi, sarà tanto più glorioso scacciarli dalle anime, impedire loro che non vi entrino, rubare loro
delle anime per darle a Dio (ad imitazione di Davide con tutta facilità), e questo con quella
generosità d'animo con cui Davide prostrò il Gigante Golia, scacciarli con frutto della Chiesa
militante, come ad esempio S. Michele che scacciò i demoni dal cielo. Questa è la gloria che ci
verrà dal disprezzare e cercare di nuocere al Demonio, gloria che tanto desideravano i Santi, che
riportò il primo Cristo.
Coraggio dunque diletti, conviene vendicarci del Demonio; il Demonio vi disprezzò, vi danneggiò;
con altrettanto disprezzo e danno suo vendicatevi del disprezzo e danno che recò a voi stesso.
Rinunziate ora come faceste nel Battesimo, rinunziategli nuovamente e ditegli: “Testimonio il Cielo
e la terra: Maledetto Demonio.”
Ma qui un grande ostacolo conviene che si scopra, perché suole trattenere tanti dal dichiararsi
apertamente di fare guerra al Demonio, questo si è il maledetto rispetto umano. Vi dichiarerò
pertanto cosa è il rispetto umano, i motivi e la maniera per vincerlo.
Asc,2267a:T6
Il rispetto umano…
Il rispetto umano è una soverchia e sregolata dipendenza, quanto all'operare da vani giudizi, gusti e
detti degli uomini, sicché per riguardo ad essi, ovvero tralasciamo di fare ciò che dovremmo:
correggere chi pecca, abbassare gli occhi all'incontro d'oggetti pericolosi, mostrare pazienza e
mansuetudine verso chi v'ingiuria, praticare in pubblico qualunque altra virtù, ovvero facciamo ciò
che non dovremmo fare, lasciandoci trarre dai compagni, p.e. dalla Chiesa, proseguendo cattivi
discorsi, approvando gli storti altrui sentimenti. Questo è che veggiamo accadere tutto dì anche
contro il proprio volere, e quasi forzatamente per puro timore che comportandosi altrimenti, non
vengano disprezzati e derisi come persone scrupolose, malinconiche, spiriti deboli. Questa è quella
pietra d'inciampo per cui tanti precipitano all'inferno, conviene togliersela dai piedi, perciò ve ne
proporrò i motivi per indurvi a farlo.
Asc,2267a:T6,1
1. Agnosce homo dignitatem tuam. Voi siete nati liberi e padroni di voi stessi, eccettuata la
sommissione dovuta ai superiori, nelle cose però secondo Dio e la ragione. Ora è troppo gran viltà
d'animo che chi nacque libero e padrone di se stesso, senza nessun bisogno e guadagno si sottometta
come schiavo spontaneamente ad arbitri di persone uguali, o anche inferiori, lasciandosi tirare da
costoro come schiavo a fare contro sua voglia, con dispiacere e per forza, ciò che crede di loro
gusto, con suo proprio pregiudizio, senza aver cuore di contraddirli. Diletti, questa è bassezza
d'animo troppo vergognosa e indegna di spirito nobile. E chi è colui che dobbiate vivere a suo
beneplacito, e non piuttosto egli al vostro? Voi avere soggezione di lui, e non piuttosto lui di voi?
Chi vi costringe a farvi servo senza nessun vostro emolumento, anzi con discapito notabilissimo?
Eh! Mantenetevi nella vostra padronanza, di cui non v'ha di più onorevole all'uomo; si dica checché
vogliono, fate voi liberamente ciò che giudicate meglio. Dipendano gli altri piuttosto dai vostri
giudizi, non dipendete voi da essi.
Asc,2267a:T6,2
2. Chi sono costoro per cui vi ritraete dal fare del bene o vi muovete al male per timore dei loro detti
o giudizi? Sono a giustamente stimarli una vile ciurmaglia di persone stolte e senza giudizio. Non
sono già uomini savi e prudenti che vi scherniscano a cagione del vivere voi rettamente e fare il
vostro dovere; che sciocchezza è dunque la vostra, portare loro tanto rispetto, e di tenere in sì gran
conto quel che pensano o dicano di voi. Lasciatevi pure deridere da costoro. Vi faranno plauso gli
Angeli e tutti anche gli uomini savi di questa terra; che se farete all'opposto vi applaudirà bene
quella gente sciocca, ma vi disprezzerà Dio e la corte celeste, e diverrete esoso agli occhi di tutti i
Santi: scegliete quel che più vi piace.
Il condiscendere ad essi e muovervi alle loro dicerie sarebbe lo stesso che vedendo alcuni ubriachi
in pubblica piazza totalmente ignudi, e sentendovi da essi burlare perché andate vestiti, per evitare
le loro vanissime dicerie, vi denudaste ancora voi senza intanto curare il giustissimo scherno che vi
meritereste presso tutti gli altri uomini savi e sani di mente.
Asc,2267a:T6,3
Il 3o motivo si è che tutti i loro giudizi, le loro dicerie che vi possono fare? Non hanno forza di
torcervi neppure un capello, o recarvi un minimo danno, dove che se per essi offendete Dio, non
potete a meno d'incorrere nella pena della sua disgrazia e del castigo d'un fuoco eterno. Anzi
quand'anche per fare vostro dovere vi sopraffacesse qualche gran male dallo sdegno altrui, che
sarebbe questo a paragone del fuoco eterno? Non sarebbe egli come chi per timore d'un cagnolino
che gli abbaia, fuggisse a ricoverarsi dentro la caverna di un drago? Eh nolite timere eos qui
occidunt corpus, animam autem non possunt occidere; sed potius timete eum qui potest et animam
et corpus perdere in Gehennam (Matth. 10). Badate che mentre temete di dispiacere ai compagni, vi
tirate addosso l'ira d'un Dio onnipotente; avete paura d'inimicarvi un uomo, v'inimicate un Dio;
avete paura della morte del corpo, incorrete la morte dell'anima; ma che dico, morte del corpo,
mentre si riduce poi tutto ad un motto, ad un viso torto, ad un gesto da scherno?
Asc,2267a:T7,1
I mezzi
Ecco i motivi pressanti per spingervi a vincere arditamente con santa sfacciataggine i rispetti umani.
Ve ne indicherò ora i mezzi.
1. È spacciarvi a fronte scoperta per vero cristiano, per giovane di buona coscienza, per fedele servo
di Dio, parlare liberamente di Dio e dell'animo quando l'occasione si presenta, né ciò timidamente e
a mezza bocca, ma con autorità, possesso e franchezza, come cosa che non può parere strana a
cristiani, più che parere possa strano fra soldati parlare di prodezze, di vittorie. E questo vi bisogna
massimamente nelle prime volte che incominciate trattare qualcuno. Sicché quegli prevenuto in tale
guisa, non abbia poi ardire di opporsi al vostro virtuoso operare, che anzi invece di ritirarvi voi dal
fare bene, egli piuttosto per vostro rispetto e per sua vergogna si trattenga dal fare male. Avviso di
grande importanza. Poiché se i malvagi vi guadagnano la mano traendovi a seguire qualche volta il
loro esempio, sempre più vi parrà difficile il resistere loro. Laddove portandovi così generosamente
fin dalle prime volte, avrete per sempre vinti i loro vani gudizi, e vi lasceranno stare. Più ancora,
diletti, non conviene contentarvi di difendervi così, ma conviene essere più arditi ed assalirli, non
solamente non tralasciando di fare quel bene che volete fare, ma invitandoli ancora con possesso e
da amico, anzi sforzandoli quasi a fare lo stesso. Talché se alcuno p.e. tentasse di ritirarvi d'andare
alla Chiesa, voi lo prendiate francamente per mano in atto di volerlo tirare con voi stesso. Ora mio
caro, sia questa mia dabbenaggine, o come volete chiamarla voi, avete questa sera a venire ancora
voi, se mi siete amico. Vi conviene ad ogni modo avere pazienza, se volete essermi compagno,
conviene adattarvi al mio gusto.
Asc,2267a:T7,2
Il 2o mezzo si è che se uno avesse provato più volte d'aver ceduto ai loro vani timori, e costoro
abbiano acquistato predominio su di lui, e perciò sia difficile oltremodo il vincerli in altre occasioni,
allora conviene fuggirli, abbandonarli, lasciarli. Sebbene sarebbe migliore rimedio per chi si
sentisse abbastanza di coraggio, se si armasse d'una generosità cristiana e cercasse a bella posta
conversare con essi, mentre così dopo due o tre vittorie, sperimentando quanto sia dolce la libertà,
uscireste da quella servile schiavitù e riacquistereste la perduta autorità di operare a modo vostro.
Asc,2267a:T8
Questa è, diletti, la maniera di vincere i rispetti umani, ostacolo sì grande per la perseveranza nel
servizio di Dio. Sicché, giàcché vi siete dichiarati di militare sotto il suo stendardo, conviene, non
basta conviene, levarlo in alto, farsene gloria, dichiararsene apertamente, cercare anzi le occasioni
per farsi conoscere e così sarà tanto più certa e sicura la vittoria contro il Demonio, e temerete nel dì
del giudizio il terribile rimprovero di Cristo: Qui me erubuerit, erubescam et ego eum coram Patre
meo.
Asc,2267a:T9
Coraggio dunque, diletti, alziamo oggi la bandiera di Cristo e dichiariamoci apertamente in faccia a
tutto il mondo e innanzi a tutta la corte celeste. Testimonio ne sia il Cielo e la terra. Rinunziamo al
Demonio come abbiamo fatto al Battesimo, rinunziamogli un'altra volta: Maledetto Demonio,
ditegli, nemico giurato di Dio e degli uomini, calpesto la tua bandiera, mi dichiaro e mi dichiarerò
sempre alla presenza di chiunque tuo perpetuo nemico di pubblica professione, e fermamente
stabilisco e propongo di sempre ed in ogni cosa contrariarti, mai più in eterno dirò, farò, permetterò
che si faccia, per quanto starà da me, cosa alcuna di tuo beneplacito. Abbimi pure dunque, finché
vivrò, per tuo nemico perpetuo in ogni mia azione, e principalmente nell'ora di mia morte. Vade
retro Satana, Dominum Deum meum adorabo et illi soli serviam. Così vi aiuti Dio e la Santissima
Vergine. E badate quando dite nel Pater, et ne nos inducas in tentationem, di chiedere a Dio di
resistere subito fin da principio e fortemente alle tentazioni, e dire con santa alterigia, Vade retro
Satana. Nolo.
Asc,2267b:S
Regolamento della giornata, ossia distribuzione delle ore e delle azioni
Di mano Lanteri
AOMV, S. 2,9,1:267 b
Asc,2267b:T
Regolamento della giornata, ossia distribuzione delle ore e delle azioni
1. Vedere il bene dell'ordine, sia per provvedere alle occupazioni, per farne di più e farne meglio,
sia per provvedere ai meriti, non intraprendendosi le azioni per impeto, e facendosi con metodo.
2. Vedere quante ore si possono assegnare al corpo, quante all'anima, quante restano alle
occupazioni, e n.b. fissare l'ora del riposo e della levata.
3. Passare alle occupazioni in particolare.
1) Levarsi subito, e le orazioni vocali come si deve.
2) Meditazione con metodo.
3) S. Messa.
4) Studio o altre occupazioni di dovere (si tratta o di tesorizzarci l'ira di Dio, o travagliare al vento,
o meritare in tutto) e per riuscirle pensare che sono tante commissioni del Padrone, consultare
dunque la volontà di Dio, riferirle a Dio in principio e nel mezzo (verbo, rettitudine d'intenzione),
evitare l'ozio.
5) Lettura spirituale.
6) Visita al Santissimo Sacramento (Liguori, Sposa).
7) Esame di coscienza.
Asc,2267c:S
Metodo di vita cristiana ossia diario delle azioni
Di mano Lanteri
AOMV, S. 2,9,1:267 c
Asc,2267c:T1
Metodo di vita cristiana ossia diario delle azioni
Fino i gentili dicevano che la perfezione dell'uomo consisteva nell'essere questi esatto a prevedere
la mattina le sue azioni giornaliere, e cercare il modo di farle bene. Diogene era solito dire che
prima d'uscire di casa si doveva riflettere a ciò che si doveva dire e fare, e come doveva dirsi e farsi,
ritornato poi a casa esaminare come si sia passata la cosa. Pitagora diceva che due tempi si
dovevano osservare la mattina per prevedere le azioni, la sera per esaminarle. Fin qui giunsero i
gentili col lume della ragione, né era cosa difficile l'arrivarvi, perché se rimiriamo il cielo, tutto vi
vediamo ordinato, se rimiriamo la terra, tutte pure le cose vi sono ordinate, era dunque ragione che
anche nell'uomo tutto pure si ordinasse. Ed è per questo, diletti, che stamane voglio tesservi un
catalogo delle azioni da farsi da voi. Ma m'avanzerò io ancora di più, e v'insegnerò (ciò che non
seppero ritrovare i gentili) a far divenire di gran prezzo le vostre azioni. Si sudò tanto per cercare la
pietra filosofale, e invano, ma l'ho ben trovata io, ed ho piacere di comunicarvela.
Incomincio dunque dal primo svegliarsi d'un Giovane, vi additerò tutte le azioni da farsi fino alla
sera ed il modo di farle divenire tutte oro. Attenti dunque, diletti.
Asc,2267c:T2,1
La mattina subito svegliati, alzatevi dal letto e alzatevi risolutamente,
prestamente e religiosamente, prontamente.
Non state a litigare col letto o mendicando scuse, pretesti, hora surgendi ne te trices, non fartela da
pigro che sta rivoltandosi nel suo letto, come si rivolta l'uscio nel suo cardine, sicut vertitur ostium
in cardine suo, ita piger in lectulo suo. Diletti, questa è cosa vile, restarsene così sonnacchiosi e
come di piombo nel letto, d'ordinario neppure gli animali lo sogliono fare, perché fa freddo, perché
si è dormito a sonni interrotti, perché il capo gli pesa. Diletti, il corpo è servo pigro che volentieri
mentisce, non conviene lasciarsi prendere la mano, si è la vostra ragione che deve comandare.
Quousque obdormis piger nisi consurgas e somno tuo veniet tibi quasi cursor egestas mentis et
mendicitas spiritus quasi vir armatus.
Se non v'alzate da letto prontamente, proverete funesti effetti: si perderanno per voi le mezz'ore, le
ore intere, che tempo più perduto di questo, quando non v'ha niente di più prezioso del tempo;
quindi mancherà il tempo per le vostre orazioni e obbligazioni, e avrete a renderne conto.
Indebolendovi il corpo e offuscandovi l'intelletto, vi renderà tiepido tutto il giorno, quindi
difficilmente adempirete i vostri obblighi o ne perderete il merito, o almeno lo diminuirete di certo,
e più ancora vi sottrarrete tanti lumi, tante grazie che avreste sentite e ricevute, senza parlare poi del
pericolo in cui più volte vi trovate d'offendere Dio per cagione di questa vostra pigrizia.
Asc,2267c:T2,2
Se poi siete solleciti ad alzarvi di letto, veniet tibi ut fons messis virtutum et egestas animæ longe
fugiet a te. Si quæ cor tuum tradideris ad vigilandum diluculo ad Dominum, et in conspectu
Altissimi aperueris os tuum in oratione, ipse spiritu intelligentiæ replebit te et diriget consilium
tuum.
Vigilanza dunque, diletti, la prima vittoria è principio di più altre, in questo che influisce in tutto il
giorno mantenetevi padroni di voi stessi, alzatevi come se quelle piume si cangiassero in quei
carboni ove giaceva S. Lorenzo. Subito svegliati sorgete, abbandonate prontamente il letto, come
abbandoneranno il loro sepolcro i morti nel dì del giudizio, fingete che l'Angelo custode v'abbia
svegliato e vi dica: Surge velociter, morieris tu et non vives, reddasque rationes villicationis tuæ, e
principiate il vostro giorno ferventemente come se fosse il primo, cautamente come se fosse
l'ultimo; se fosse il primo quanto sarebbe fervido, se l'ultimo quanto sareste cauti.
Sorgete poi religiosamente mandando di quando in quando devoti sospiri dal cuore, come sogliono
fare gli uccelletti quando cantano. I vostri primi pensieri ed affetti siano di Dio. Dio vuole primizie
per sé, voi dovete dargliele. Fattovi il segno di croce, ditegli dunque di cuore: Mio Dio eccomi
desto, eccomi ai vostri cenni, eccomi a fare la vostra volontà; Deus, Deus meus ad te de luce vigilo.
Nel nome del Padre che mi creò, del Figliuolo che mi redense, dello Spirito Santo che mi santificò,
sorgo ed incomincio questo giorno in onore ed ossequio della Ss. Trinità o di etc.
Asc,2267c:T2,3
Allorché vi vestite, ricordatevi che Dio vi vede, e portate rispetto al vostro S. Angelo custode e dite:
“Vestitemi o Signore della veste nuziale della vostra S. grazia, acciò l'anima mia si presenti a voi in
veste d'oro con la varietà delle virtù per ornamento”.
Quando vi lavate dite: Amplius lava me, amplius munda me ut tibi placeam.
Mentre vi mirate nello specchio, dite a voi stessi: Quid superbis terra et cinis, omnia vanitas præter
amare Deum et illi soli servire.
Pettinandovi, polverizzandovi: Memento homo quia pulvis es et in pulverem reverteris; memento
pulvis quia homo es et in hominem reverteris.
Asc,2267c:T2,4
Vestito poi che siate, portatevi in un luogo fuori di disturbo, avanti una sacra immagine, e quivi
invocate il Signore, venerate la Vergine santa, l'Angelo vostro custode, i vostri Santi protettori
dicendo al vostro solito, il “Vi adoro”, l'orazione insegnataci da nostro Signore che è il “Pater”, la
“Salutazione Angelica”, il “Credo”, la “Salve”, l'“Angele Dei”, raccomandatevi indi agli altri Santi:
Omnes Sancti et Sanctæ Dei intercedite pro me, e farete bene se aggiungeste un atto di fede,
speranza e carità per frequentarli e assuefarli a farli bene.
Soprattutto poi ricordatevi d'indirizzare a gloria di Dio in unione del nostro spirito tutte le vostre
azioni della giornata, quanto sarete per pensare di fare e soffrire, per non faticare invano con un
breve sospiro: “Tutto si fa, ad te Domine dirigantur omnes vires et actiones meæ”. Indi alzatevi,
prendete in mano il crocifisso, se l'avete, e ditegli: “Mio Dio, piuttosto morire che offendervi,
neppure venialmente, deliberatamente, e m'asterrò massime dal N. Gesù, siatemi Gesù” e baciatelo.
Asc,2267c:T2,5
Ma perché la preghiera vi giovi, conviene che vi insegni la maniera di pregare. Udite che è facile, e
vi può servire sempre che preghiate quietamente, adagio e con enfasi.
Pregate quietamente, cioè in luogo ed in tempo che niente vi disturbi. Con gravità nell'esteriore,
cioè con l'esteriore composto. L'affare è grave, è un parlare, un discorrere, un conversare con Dio
alla presenza degli Angeli, dunque va trattato gravemente. Gravitas in exteriori. Ardor in verbis.
Affectus in mente. S. Narciso si componeva tutto il corpo quando aveva da pregare, fino gli occhi ed
il volto. Principium cum elevatione mentis. Medium cum pausis et enphasi. Finis cum mentis
affectu. Con ardore nelle parole, cioè con piccole pause, ruminando per poco ciò che si dice di
quando in quando, e anche di quando in quando pronunziando con enfasi ciò che si dice. Il
pesantore del corpo deprime di quando in quando lo spirito, conviene rilevarlo, e giovano a
meraviglia, il pronunciare con enfasi esempi etc.
Badate di rimirare le vostre orazioni come peso, non fate quel torto a Dio e a voi, che consideriate
peso il trattare con Lui. Non v'ha poi industria migliore per trarre frutto dall'orazione che prendere
stima dell'orazione. Io v'inculco bene questo punto, perché dalle orazioni della mattina dipende il
riuscire bene tutta la giornata, perché se chiedete, vi sarà dato, se non chiedete, non vi sarà dato.
Asc,2267c:T3,1
Segue poi il sentire la Messa e va sentita con riverenza e con
attenzione.
Con riverenza di corpo: Nil Deo gratius, nil nobis utilius. Le cose sante debbono trattarsi
santamente; cosa più santa del Sacrificio della Messa non v'è, perché è lo stesso sacrificio della
Croce, e basterebbe una sola Messa a salvare tutto il mondo. Quivi Dio stesso viene a supplire le
nostre veci, a fare un atto di adorazione degno di Dio, un atto di ringraziamento, di propiziazione,
d'impetrazione, vuole solo che noi l'accompagniamo perché partecipiamo del merito di questi atti da
noi. Prendete per modello Gesù Cristo, allorché pregando nell'orto si offriva al Padre, dite che
atteggiamento d'occhi, di mani, di volto, che atteggiamento umile, composto, affettuoso, devoto. Lo
stesso richiede in voi la fede e la professione di vostra fede.
Con attenzione di mente. L'azione è grande, non ve n'ha di più grata a Dio, di più utile a noi. Quivi
lo stesso Figliuolo di Dio viene etc. come sovra.
Asc,2267c:T3,2
La maniera poi d'assistervi più propria e con maggior frutto, si è di meditare la Passione di Gesù
Cristo o da voi, o su qualche libro per tutto il tempo della Messa, riflettendo di quando in quando
chi è che così patisce, per chi patisce, e voi che patite per lui, oppure potete trattenervi di meditarla
sino alla consacrazione e quivi fare un vivo atto di fede sulla presenza di Gesù Cristo sino al Pater.
Giunto al Pater recitarlo col Sacerdote, indi esporgli i vostri e altrui bisogni, chiedergli le grazie
necessarie e fare atti di viva speranza. Giunto all'Agnus Dei fare atti di carità, comunicarvi
spiritualmente, desiderare che venga dentro di voi. Chiedergli la grazia di mai più separarvi da Lui,
protestare di mai più volerlo offendere, indi ringraziarlo, pregare Maria Vergine, l'Angelo Custode,
i Santi ad assistervi. Potete ben anche recitare l'ufficio, la corona, ma la più propria e utile è quella
che vi ho detto. Se così farete, sarà immenso il bene che ne trarrete, e di grazia non tralasciate
d'udirla per non privarvi di tanto bene.
Asc,2267c:T4
Altre preghiere poi lungo la giornata da praticarsi sono le orazioni
giaculatorie, frequentemente e ferventemente.
Le giaculatorie sono brevi e infuocati sospiri a Dio, sono come saette infuocate che partono dal
cuore e si lanciano a Dio. Converrebbe usarne una ogni ora, almeno fissatene da principio sei o otto
al giorno. Le occasioni possono essere qualunque cosa vediate potete lodare il Creatore, fatevi, per
es., un segno al fazzoletto per ricordarvi o simile. I sentimenti poi non sono difficili a trovarsi, può
somministrarvene il Credo, il Pater, l'Ave, le Litanie; il solo verbo “Amo” quante non ve ne
somministra, l'indicativo “V'amo”, l'imperativo “Ama anima mia”. Può fissarsi per ciascun giorno il
genere di giaculatorie. Deh! V'ami, v'avessi sempre amato, desidero d'amarvi etc. Così faceva S.
Ignazio che giunto a questo verbo andava fuori di sé; non sapeva più cessare di declinarlo in questa
maniera, ferventemente, cioè con enfasi e con affetto. Sappiate che non v'ha miglior modo di
declinare presto dal male, che coniugare le sue azioni col verbo amare.
Fate così e presto vi avanzerete nell'amore di Dio, e vi attirerete grandi grazie.
Asc,2267c:T5,1
Un'altra devozione che occorre anche fra il giorno è la visita del Ss.mo
Sacramento.
Tre sono i troni di Gesù Cristo: di gloria in Cielo, di grazia in terra nel Ss.mo Sacramento, di
giustizia nella valle di Giosafat. È nel trono di Grazia che ci aspetta per aprirci i suoi tesori, e
diffonderci a misura che ne chiediamo e speriamo d'ottenere. Adeamus dunque secondo l'avviso di
S. Paolo: cum fiducia ad Thronum gratiæ ut misericordiam consequamur; expectat enim ut
misereatur nostri. Andare anche a visitarlo: ora da figliuolo prodigo, ora come la Maddalena, il
pubblicano, il cieco, etc. Andiamo e per primo facciamoGli un atto di adorazione, indi trattiamo con
Lui come con amico, con Padre, delle nostre occorrenze; esponiamoGli i nostri bisogni;
chiediamoGli i lumi e le grazie; pensiamo che lezione ci darebbe e proponiamo di eseguirla.
Altre volte tratteniamoci a farGli un atto di fede, speranza e carità, altre volte porgiamoGli la
supplica fatta da Lui stesso che è il Pater, non fosse altro che una sola domanda per ogni giorno
della settimana.
Asc,2267c:T5,2
Mi direte che voglio tutto occuparvi in devozioni, ma aspettate: 1. Dovrebbe esservi cosa ben grata.
2. Le orazioni, la mattina, è cosa più che giusta, la Messa siete soliti sentirla in Chiesa, e i bravi
giovani non la lasciano le vacanze, le giaculatorie non occupano tempo, qualunque cosa facciate
non v'impedisce un sospiro a Dio, un quarto d'ora di visita al Sacramento non è poi tanto, e se non
potete tanto, passando innanzi la chiesa entrate solo a farGli una domanda del Pater, o almeno
fatela passando, adoratelo in spirito.
Asc,2267c:T6
Restano ora le altre azioni che occorrono fra la giornata:
lo studiare,
il mangiare,
conversare,
divertirvi, poscia
il mortificarvi nelle cose necessarie e libere,
fare l'esame della sera.
Asc,2267c:T7,1
Studiate e lavorate alle ore debite lietamente, ordinatamente e
seriamente.
Lietamente con animo volenteroso, come se sentiste una voce dal cielo che vi chiama allo studio. Se
non badate che a fare le cose per gli uomini, le farete con pena, perché con rispetto umano. Pensate
che servite a Dio in ogni cosa, e qualunque cosa facciate, e per chiunque la facciate, la fate per Dio,
ed ogni vostro lavoro sarà giocondo, sarà leggero perché devoto e diretto al piacere di Dio. Io
consacro le mie opere al Re, diceva il Profeta, non ad un uomo, ad un principe, ma al Re dei Re, al
Signore del Cielo. Dite ancora dunque voi prima d'incominciare: Dico opera mea Regi a quel Re
che mi vede, che mi aiuta, che mi ricompensa. Un'immagine sempre davanti, e di quando in quando,
lanciarvi dei sospiri.
Ordinatamente prima siano i lavori d'obbligo, poi gli altri liberi. Non fare quel che vi piace, ma che
conviene e giova di fare. Il tempo non solamente si perde col far male, col far niente, ma anche col
far altro da quel che si deve. Dove non v'è ordine, v'è confusione ed orrore (sì vi lodo, nam qui
sectatur otium stultissimus est). Vi trovi il Demonio occupato, ma non in cose aliene, inutili o
senz'ordine.
Asc,2267c:T7,2
Seriamente, non con languidezza o per modo d'avere l'apparenza di fare. Questo sarebbe offerire a
Dio una pecora coperta di scabbia. Qualunque sia il vostro lavoro di mani, di piedi, di testa, fatelo
secondo le vostre forze e secondo esige il lavoro, se non volete che cada sopra di voi la sentenza
pronunziata nel Vangelo contro il servo pigro: sicché perdi tutto in poco. Cominciate dalle cose
d'obbligo e d'ufficio, e queste fatele per eccellenza con tutta la diligenza possibile: se v'avanzerà del
tempo farete le altre. V'animi Dio Spettatore, Aiutatore, Remuneratore.
Asc,2267c:T8
Segue il cibarvi. Cibatevi moderatamente, modestamente.
La gola è il primo vizio che conviene combattere.
Quando vi cibate, in prima chiedere da Dio la benedizione di voi e dei cibi, indi cibarsi
moderatamente. 1. Astenetevi dai cibi nocivi: anche il veleno dolce è veleno. 2. Con misura, buona
regola è levarsi da tavola con un po' d'appetito. L'appetito sia suddito a voi e non voi a lui. Chi si
crede di non aver pranzato bene perché non ha pieno il ventre, non nutrisce se stesso, ma infermità
di animo e di corpo. Qui bene ingerit, digerit, egerit, sanus erit. Il cibo è fatto per giovare, non per
nuocere. Callistene essendo invitato a bere largamente alla salute d'Alessandro rispose: “Nolo
bibere pro Alexandro, sic ut opus habeam Æsculapio.” Il vostro appetito sia sempre suddito a voi, e
non padrone.
Le divine Scritture ci attestano che più coloro che periscono per la gola che per la spada. Entrate nei
cimiteri, siate persuasi che la maggior parte vi sono condotti tanto più presto per eccessi di
gozzoviglia, e a moltissimi potrebbe servire d'epitaffio quest'iscrizione: “Io qui mi trovo per aver
troppo mangiato e bevuto.”
Modestamente il bere, oppure assaggiare le cose a sorsi e a centellini è da coppiere e da cuoco, il
tracannare è da pecora, l'ingoiare da cane che s'affretta per afferrarsi tosto un altro boccone. È da
uomo ben educato affrettarsi lentamente, tenere la strada di mezzo. Per tenerla osservate Gesù come
sedeva alle nozze di Cana, imitateLo, imitate i suoi atteggiamenti d'occhi, di mani, di bocca: Sic ille
oculos, sic manus, sic ora tenebat, imitare, festina lente, impera tibi, esto Dominus.
Asc,2267c:T9,1
Nella ricreazione poi ricreatevi e divertitevi, ma onestamente,
umanamente, allegramente.
Onestamente. Lungi da voi quei divertimenti dove c'è pericolo per l'anima. Siate cauto nella scelta e
maniera dei divertimenti, del luogo, dei compagni, e nel modo. Quanto alla scelta ed al luogo dei
divertimenti, fuggite sempre ogni angolo remoto, e temete l'angelo che vi vede. Quanto ai
compagni, non mischiatevi con chi non è onesto e dabbene, vi faranno divenire presto cattivi anche
voi. Quanto al modo, prendete il divertimento come cibo e medicina, servitevene, ma parcamente
senza soverchia avidità. Non vivete per divertirvi, ma vi divertite per vivere e vivere utilmente.
Lungi dunque ogni eccesso. Ne quid nimis, se non è male divertirsi, è male divertirsi troppo: vi
distrae dalle cose serie per occuparvi in bagatelle.
Asc,2267c:T9,2
Umanamente. Ogni uomo è debitore di rispetto verso ogni altro. Guardatevi dunque di mancare in
questo, o per troppa famigliarità, o per alterigia. La famigliarità allo stesso sesso genera disprezzo,
con diverso sesso pericolo. L'acqua e la terra sono cose buone, ma miste producono fango; perciò,
allontana il rispetto, discaccia il contegno custodi della virtù, sottentra la libertà, e questa apre la
porta alla disonestà. Siate cauti, non lo sarete mai abbastanza, resistete da principio o siete perduti.
L'alterigia è un vizio opposto: soverchia gravità a tutti è grave. L'affabilità è virtù dei nobili, se ne
siete privi, invano vi vantate di nobiltà. Siete simile a quella pulce che si gloriava di essere nata da
sangue d'uomo illustre, ed altri le rispondeva: “Siate pure nobile pulce, ma non tralasciate mai
d'essere pulce”, cioè (se non sapete vantare altro che origini di sangue) un animale superfluo,
molesto, nato a seccare gli altri animali migliori di te.
Asc,2267c:T9,3
Allegramente. Chi presto si trista, facilmente si offende, presto s'adira, non è degno conversare con
gli uomini. Conviene dissimulare ciò che vi dispiace, conviene essere sordo e muto alle offese, e
scampare i motti pungenti col riso e metterli in burla, altrimenti sarete come l'orso che anche
quando scherza usa le unghie. Gli umili non si mischino in conversazione, coloro cioè che sono
molesti a sé e agli altri. Conviene dunque essere allegri: è tempo di piangere, è tempo di ridere,
purché non s'ecceda. Vi sono coloro cui non piace altr'allegrezza se non è congiunta con l'offesa di
Dio. Fare pompa d'ingegno con motti osceni è loro trastullo, empio trastullo, guai a voi che così
ridete, piangerete un giorno, perché non mai si ride impunemente con offesa di Dio. Altri non sanno
divertirsi se non offendono il prossimo, sparlano degli assenti, insultano i presenti, ora espongono
l'uno alle risate, ora insultano l'altro, giocando trastullo per essi, perché i circostanti fanno plauso.
Infame gusto, tempo verrà che coloro che si beffarono degli altri saranno esposti alle beffe dei
demoni.
Asc,2267c:T9,4
Altri finalmente contano per ricreazione ciò che è pericolo per l'anima. Non piace leggere loro se
non libri d'amore, non è bella una commedia se non è lasciva, non amano il giuoco se non lo
passano senza risse, non il convitto se non vi è stravizzo, non il ballo se non è immodesto. O uomini
occupati in tesoreggiarsi gli sdegni della divina giustizia.
N.B. il modo di conversare, d'aggiungersi.
Asc,2267c:T10
Mortificatevi frequentemente, con fortezza.
Frequentemente, per divenire padroni di voi stessi, conviene esercitarsi a raffrenare i sensi e
moderare gli affetti. È lecito concedere ai sensi qualche divertimento, ma oltre alla qualità di tali
divertimenti, conviene badare alla quantità, se vi sentite portati con impeto trattenetevi con il ritardo
e la moderazione. Il ritardo rompe quell'impetuosità che vi strascina quale giumento, la
moderazione vi preserva dall'eccesso.
Tra gli affetti vi sono i principali: il desiderio e il timore, adunque non desiderate niente con troppo
ardore, né temete niente con troppa ansietà, e così otterrete la pace dell'animo. Difficili precetti mi
direte, anzi facili, purché vi scolpiate nel cuore gran verità: che non ci sono beni né mali veramente
grandi, fuorché gli eterni. Non lasciate dunque passare giorno senza vittoria di voi stesso, ma fatelo
e mezzi per ricordarsene: fissarne il numero; fare un segno nel fazzoletto, etc.
Con fortezza, un fanciullo delicato non è capace di cose grandi, il bene che vi acquistate è grande,
meritate più con una piccola voglia mortificata che se guadagnaste un mondo. Con fortezza, chi non
usa così non farà mai cose grandi, sempre avrà paura che gli sia per nuocere, sempre teme. Questo
orrore poi vi farà sembrare sempre più difficile la cosa. S. Teresa diceva che nulla le importava
dover morire più presto per cagione dell'astinenza. Imita S. Luigi. Rompete tale timore,
mortificatevi spesso e con libertà e generosità d'animo. Siate padroni di voi stessi, e nelle cose
avverse, necessarie, e anche nelle libere.
Asc,2267c:T11
Regulæ pro perfectione
Hæc documenta suis Ignatius docuit alumnis,
Ut methodo parva commoda magna ferent
Nulli vel minimo quavis ratione repugnes,
Cedere te potius, quam superare juvat.
Obsequium studeas præstare per omnia cæcum,
Judiciumque lubens subjice cuique tuum.
Non vitia inspicias aliena, et visa retundas,
Sed propria accuses, atque patere velis.
Quidquid agas, dicas, mediteris prospice finem,
Proximo an expediat, complaceatque Deo.
At sua spiritus libertas semper, et illam
Nec persona potens, causa vel ulla gravet.
Nec facili jungas tibi consuetudine cunctos,
Spiritus, ac ratio quemlibet ante probent.
Exerce assidue pia mente, et corpore facta;
Sis populo demens, sic sapis ipse Deo.
Fac matutino, vespertinoque revolvas
Hæc studio: et lectum dum petis adde preces.
Asc,2267c:T12,1
Segue l'esame di coscienza
Il sonno (come si suol dire) è il fratello della morte: quanti si sono coricati sani la sera, e la mattina
sono trovati morti. Considerate dunque il vostro letto come la vostra tomba, e prima aggiustate i
vostri conti con Dio; il che sia come il vostro testamento, fate il vostro esame di coscienza; fate ciò
che vorreste aver fatto se doveste morire.
Fate l'esame di coscienza ogni giorno e con esattezza. Ogni giorno, perché ogni giorno si pecca. Se
non vuoi che la tua casa divenga in breve ingombra di ragnatele, sii attento a disfarne ogni giorno il
lavoro, se non fai così contrarrai l'abito di peccare, il quale trarrà seco una coda di mali. Siccome i
buoni, così gli scellerati non si sono formati d'un tratto, d'ordinario hanno cominciato da piccole
cose; chi queste disprezza, facilmente trabocca negli eccessi: qui spernit modica paulatim decidet.
Con esattezza, fate così. Mettetevi alla presenza di Dio, adorateLo, dite che v'illumini, indi scorrete
la serie delle occupazioni del giorno, d'ora in ora, riflettete come e quale Dio sia stato verso di voi,
quale voi avreste dovuto e siete stato verso Dio, quanto egli benefico, voi quanto ingrato. Sarebbe
bene indagare anche la radice dei difetti: da che affezioni e disposizioni d'animo provengano.
Doletevene vivamente, chiedeteGli perdono, pensate se volete continuare così, niente promettete
mai più così corrispondere, e grazia di eseguirlo.
Prefiggersi qualche penitenza: baciare la terra, dire qualche Pater o Ave con le braccia aperte,
prolungare le orazioni, qualche mortificazione, etc. Recitate quindi come la mattina con gravità
d'esteriore, adagio e con affetto, e di quando in quando con enfasi le vostre orazioni, scuotetevi dal
sonno, non conversate con Dio sonnacchiosi.
Asc,2267c:T12,2
Prima poi di coricarvi, un sospiro per la benedizione a Dio: Ecce vado ad quietem, ut surgam
alacriter ad laborem propter te; segnatevi col segno della S. Croce: Me cum prole pia benedicat
virgo Maria et S. Joseph in agonia, Amen. Indi benedite il letto.
In letto poi segnatevi tre volte di croce: in fronte, sulle labbra, sul cuore. Dite: Gesù nella mia
mente, Gesù nella mia bocca, Gesù nel mio cuore. Addormentatevi colle mani in Croce come se
foste sulla bara. Così facendo, avrete una felice notte e vi succederà un buon giorno, quand'anche
doveste svegliarvi nell'altro mondo.
Se non poteste dormire, pensate ai novissimi, chiedetevi che cosa vorreste aver fatto o fare di
grande, se ora vi trovaste con la candela in mano per morire fra poco. Quale sarebbe la vostra
speranza o il vostro timore, se foste ora chiamato al giudizio? Io ora me ne giaccio morbidamente e
pure non posso dormire; che sarebbe se dovessi continuare così un anno? Che sarebbe se dovessi
stare così sui carboni dell'inferno per un'eternità? O inferno, o eternità! Signore i vostri Santi vi
lodano, e io me ne giaccio qui da pigro. Ma Signore il mio corpo riposa perché così volete, ma il cor
veglierà con Voi, e si unirà coi cantici dei vostri Santi.
Diletti, voi così praticando diverrete Santi e gran Santi, e presto gran Santi: che Dio lo voglia.
Asc,2268a:S
Indirizzo per una religiosa
Una nota d'archivio indica che la religiosa a cui lo scritto era indirizzato può essere suor Radegonda, delle Canonichesse
Regolari di Torino, esclaustrata dopo il 1798, diretta per molti anni da Lanteri e da Guala.
AOMV, S. 2,9,2:268a (copia di mano ignota, forse di suor Radegonda)
Asc,2268a:T0,1
A.M.D.G.
Indirizzo per una religiosa
Il singolare beneficio che il Signore per sua infinita misericordia le ha fatto di eleggerla a servirLo
in qualità di sposa, esige da lei una corrispondenza, per cui non basta una semplice risoluzione di
salvarsi, ma di più, deve aspirare seriamente e con tutto l'animo a salvarsi con perfezione. Ora
questa perfezione, ella è al certo un'opera grande, una torre altissima, ma se noi miriamo di qual
cosa sia composta una torre materiale, troveremo non essere ella di una sola pietra, né di alcune
molto grandi, ma dall'unione di moltissime che separate sono assai piccole. Così noi non dobbiamo
immaginarci che solo con atti eroici di virtù si possa giungere alla perfezione, ma anche con le
piccole azioni che secondo il nostro stato andiamo facendo da mattina a sera. Possiamo certamente
farne acquisto, se queste piccole azioni siano fatte con virtù; dico con virtù, perché non basta che le
azioni per se stesse siano buone, come deve supporsi siano tutte le azioni di una osservante
religiosa, ma di più debbono prendere la loro vita queste azioni da un principio di virtù che ne sia
come l'anima, talché l'operare esteriore non vada, per quanto si può, scompagnato dall'interiore, o
con un motivo generale rinnovato frequentemente di piacere con esse a Dio, di glorificarLo e di
adempiere il suo santo volere; o col motivo particolare di esercitare le virtù proprie delle azioni che
si vanno facendo, e sia certa, che così operando, farà gran progresso nella religiosa perfezione,
perché consistendo la perfezione nella carità, quanto più procurerà di accompagnare le sue esteriori
azioni con l'interna carità, tanto piaceranno più al Signore e saranno ad essa di maggior merito, al
quale corrisponderà il premio che ne riceverà dal liberalissimo Iddio nella gloria.
Asc,2268a:T0,2
In conferma di che, osservi che avendo il Signore rivelata a S. Maria Maddalena de Pazzi la
grandezza di gloria a cui aveva innalzato S. Luigi, le fece proferire nello stupore della sua estasi
queste parole a nostra istruzione; cioè, Luigi ha tanta gloria, perché operò con l'interno. Chi
potrebbe mai narrare il valore e virtù dell'opere interne? Non ci è comparazione alcuna
dall'interno all'esterno. Così la Santa. Vedendo dunque quanto importi il dare alle nostre opere un
tale pregio, dobbiamo col prevederle, procurare che non manchi cosa che sia nell'interno che
nell'esterno impreziosire le possa, talché vengano ad essere come tanti piccoli diamanti atti a
formare un ricco gioiello. Ora io per facilitarle questa sì utile pratica, le andrò esponendo le azioni
che giornalmente deve fare, con quelle avvertenze (che per quanto io conosco) in esse debbono
aversi, acciò siano ben fatte, talché non vi sia momento del suo vivere, da cui non possa trarne
guadagno per l'eternità e tenga fissa nella sua mente questa verità, cioè, essere tutta la nostra vita
composta di questi brevissimi momenti, ed essendo il numero di questi a tutti prescritto dal
sapientissimo Dio, acciò in essi operiamo con la santa sua grazia il grande affare della nostra
eternità, ne dobbiamo fare grande stima di ognuno di essi, essendo irrimediabile la loro perdita se si
trascurano, e per sempre resteremo prive di quei gradi di gloria corrispondenti a gradi di grazia, che
col mal uso del tempo avremo perduti, porrò ancora alcune devote pratiche per trarre dalle nostre
opere maggior frutto.
Asc,2268a:T1,1
Cap. 1. Per le prime azioni del giorno
Asc,2268a:T1,1
Per essere le primizie…
Per essere le primizie dei nostri pensieri, dei nostri affetti e delle nostre fatiche, tributi dei quali
siamo debitori a S.D.M. [Sua Divina Maestà], il demonio fa perciò tutti i suoi sforzi per togliere allo
stesso Dio questo primo omaggio, che come a nostro primo principio ed ultimo fine Gli è dovuto;
quindi è che il primo suo pensiero allo svegliarsi, sarà di adorare la Ss. Trinità col santo segno della
croce, e chiamare subito Gesù nella sua mente, nel suo cuore, e nella sua bocca, dicendo Jesus sit in
mente, Jesus sit in corde, Jesus sit in ore. Benedicamus Patrem et Filium cum Sancto Spiritu. Per
singulos dies benedico te, et laudo nomen tuum in sæculum et in sæculum sæculi. Dignare Domine
die isto sine peccato me custodire. Amantissimo Gesù, questo primo sospiro del giorno presente
tratto dall'intimo del mio cuore a Voi indirizzo e mando con tutto il mio spirito, pregandoVi che in
questo giorno tutte le azioni mie del corpo e dell'anima vogliate operare con me, per Voi medesimo,
e tutte emendate nel dolcissimo vostro cuore, ed unite alle perfettissime vostre opere, Vi degniate
offerire in sacrificio di amore, di lode e di ringraziamento al vostro Padre. Se proverà qualche
rincrescimento in dover sorgere, questo sia il primo fiore che con generosità presenti al suo Signore,
figurandosi che il segno che la chiama sia la stessa sua voce, perciò le risponda con ogni prontezza:
Domine, quid me vis facere? Paratum cor meum Deus, paratum cor meum, exurgam diluculo.
Asc,2268a:T1,2
Né sia facile a lasciarsi ingannare dall'amor proprio che le metterà avanti mille sognate necessità,
per farle credere di aver bisogno di più lungo riposo; ma deve pensare che molte di quelle che
sorgono ne avranno più bisogno di lei, e ciò nonostante l'amore che portano a Dio e lo zelo della
regolare osservanza di cui sono pietre sode (che queste fanno che la casa sia casa religiosa, non già
le mura) gliele fanno superare, e dicono: Non veni solvere legem, sed adimplere; così lei operando
con questo santo fervore, proverà di poter molto più di quello che l'amor proprio le dava a credere;
gioverà pure per maggiormente infervorarla, il considerare che sua D.M. le concede ancora questo
giorno, acciò in esso possa più glorificarla, fare più penitenza dei suoi peccati, ed avanzarsi nella
perfezione, e ciò senza fare cose straordinarie e grandi; ma solo con far bene le consuete, amando
ed eseguendo fedelmente e amorosamente la Santissima, Dolcissima, Amabilissima volontà di Dio.
Asc,2268a:T1,3
Incominciandosi a vestire…
Incominciandosi a vestire, dirà il Vi adoro, che contiene molti belli atti. Nel mettersi il santo abito
lo bacerà e dirà: Signore, degnatevi di vestire l'anima mia delle religiose virtù, acciò possa fare
frutti degni di penitenza, ed essere avanti a Voi, quale questo santo abito mi fa comparire agli occhi
del mondo; oppure, Signore Gesù, che diceste, il mio giogo è soave, ed il mio peso leggero, fatemi
degna di portarlo, affinché consegua la vostra grazia. Nel mettersi la cintura dirà: Præcinge me
Domine cingulo puritatis, continentiæ et castitatis, ut casto corpore servire, et mundo corde tibi
placere valeam. Confige timore tuo carnes meas. Mettendosi la sottogola dirà: Signore,
concedetemi grazia che mi porti nell'esterno, secondo che esige la religiosa modestia, e che amante
sia sempre della purezza del cuore; ovvero: Accipiam galeam salutis, qua semper protecta valeam,
ignita tela exstinguere, per misericordiam dilectissimi sponsi mei Jesu Christi crucifixi. Mettendosi
la benda dirà: Signore, circondate in modo la mia mente di buoni e santi pensieri, che non dia mai
luogo a cosa che non sia degna di Voi.
Asc,2268a:T1,4
Mettendosi il velo dirà: Signore, concedetemi grazia di vivere mai sempre sconosciuta agli occhi
altrui, e solo grata agli occhi vostri; ovvero, Domine, Domine, virtus salutis meæ, obumbrasti caput
meum in die belli, non tradas me, Domine, a desiderio meo peccatori. Mettendosi il crocifisso dirà:
Bone Jesu, pone te ut signaculum super cor meum, et accipe eum tibi, ut nullum præter te
amatorem admittat; mihi absit gloriari nisi in cruce Domini nostri Jesu Christi. Indi si avvierà al
coro dicendo: Signore, che diceste, vado a quello che mi ha mandato, fate che sempre Voi rimiri,
sicché a Voi mio ultimo fine diriga tutti i moti del mio corpo e dei miei affetti: Dirige Domine
gressus meos in viam salutis et pacis. Prendendo l'acqua benedetta dirà: Per l'aspersione di
quest'acqua salutare, mondate Signore la mia mente, il mio cuore ed il mio corpo, e contro le
insidie del tentatore armatemi; ovvero, Aqua benedicta deleantur mea delicta. Entrando in coro
dirà, Introibo in domum tuam, adorabo ad templum sanctum tuum.
Asc,2268a:T1,5
La genuflessione già sa essere un atto di religione, perciò l'accompagni con viva fede di quella gran
Maestà, avanti a cui si presenta, adorata e corteggiata da milioni d'Angeli, e dica nel farla: Tutto si
prostri avanti di Voi, grandezza infinita, Vi adori ogni spirito, Vi ami ogni cuore, Vi obbedisca ogni
volontà. Si confessa indegna di stare alla sua presenza con i sentimenti del Pubblicano, poi inviti le
sue potenze ad adorarLo dicendo: Venite adoremus et procedamus ante Deum, ploremus coram
Domino qui fecit nos, quia ipse est Dominus Deus noster; Regi sæculorum immortali et invisibili,
soli Deo honor et gloria in sæcula sæculorum. Benedicta sit Sancta et individua Trinitas, nunc et
semper, et per infinita sæculorum sæcula. Gloria Patri etc.
Asc,2268a:T1,6
Farà pure un atto di particolare adorazione a Gesù sacramentato che tiene presente; di poi prenderà
la benedizione della Ss. Vergine, mettendosi sotto la sua protezione con dire il Sub tuum præsidium.
Di poi tutta al suo Dio deve di nuovo dedicarsi, e perché il tempo è breve prima del Mattutino, le
suggerisco un atto che in poco contiene tutto; essendo che per fare le nostre azioni più meritorie tre
cose si ricercano, primo indirizzarle alla gloria di Dio, secondo unirle ai meriti di Gesù Cristo, terzo
ampliare i desideri, dirà dunque: Grande Iddio, io oggi come se fosse il primo giorno di mia vita a
Voi lo dedico per sempre, Vi offerisco tutti i miei affetti, pensieri, parole ed opere, per glorificarVi
e piacere unicamente a Voi, per adempiere in tutto la santissima volontà vostra, e cooperare alla
mia eterna salute; unisco quanto farò e patirò a ciò che fece e patì il mio Salvatore Gesù, e vorrei
in ciascuna mia opera più amare e più patire, per darVi più gloria e per piacere maggiormente a
Voi.
Asc,2268a:T1,7
Non ometta di recitare…
Non ometta di recitare l'Angelus Domini devotamente, rinnovando in tale tempo i Santi voti così
dicendo: Angelus Domini, consideri l'ambasciata che fu spedita alla più pura di tutte le Vergini, ed
offerisca il voto di castità, dicendo: Ecce ancilla Domini, consideri l'umile e pronta obbedienza
della Santissima Vergine, ed offerisca il suo voto d'obbedienza con pienezza di volontà,
desiderando che in lei si adempia il divino volere, dicendo: Et Verbum Caro. Consideri
l'abbassamento del Divino Verbo che, per così dire, s'impoverisce vestendo la natura umana, e si
rinchiude nel seno della Ss.ma Vergine, e le offerisca i voti di povertà e di clausura; nel dire ad ogni
Ave il Deo gratias intenda di ringraziare la Divina Maestà per questa grande opera, ed insieme,
della grazia a lei fatta col chiamarla allo stato religioso; sia devota di spesso rinnovare i suoi voti
compiacendosi d'averli fatti, che le apporterà grandi beni.
Asc,2268a:T1,8
Le orazioni quotidiane, se non può dirle prima del Mattutino, le dica terminata l'orazione mentale, e
potrà dirle a questo modo: Vi adoro Iddio mio, Vi amo con tutto il cuore, Vi ringrazio d'avermi
creata, redenta, fatta cristiana, chiamata a questa santa religione, e conservata in questa notte. A
Voi principio e fine mio, nel quale consiste la mia vera felicità, consacro questo giorno di vita per
spenderlo tutto nel vostro amore e servizio. Io Vi consacro in esso tutta me stessa, e come se fosse il
primo e l'ultimo di mia vita voglio in esso servirVi e amarVi con la maggior perfezione che mi sia
possibile, e però Vi offerisco tutti i miei pensieri, parole e opere, in unione di quella santissima
intenzione con la quale Voi sempre operaste, e offeriste Voi medesimo per amor mio sopra la croce
e in unione dei vostri meriti. Io intendo che ogni mio respiro sia una continua attestazione della
mia fede, speranza e amore che Vi devo, supplicandoVi a non permettere che mi scordi di Voi, e
molto meno che Vi offenda in cosa alcuna, ma che sia sempre fedele e ferma in adempire la vostra
Divina Volontà con ogni fervore e perfezione, rinunciando ad ogni altro gusto e soddisfazione.
Assistetemi Voi con la vostra grazia, senza la quale niente sono e niente posso, e con la quale ogni
cosa mi sarà facile e preziosa. Amen.
Asc,2268a:T1,9
Di poi dirà il Pater, l'Ave, il Credo, l'Angele Dei, i Comandamenti di Dio e della Santa Chiesa, indi
farà un atto di contrizione per chiedere perdono di tutti i peccati contro di quelli commessi, dicendo
prima di farlo il Deus in adjutorium etc. per impetrare grazia di farlo bene; farà in seguito gli atti di
fede, speranza e carità, conchiudendo con il versetto Dignare Domine die isto etc. con il rimanente
del Te Deum; di poi le orazioni Domine Deus omnipotens etc., Dirigere et sanctificare etc.,
Dominus nos benedicat etc. il che tutto troverà nell'Officio.
Asc,2268a:T2,1
Cap. 2. Per la recita dell'officio
Asc,2268a:T2,1
Siccome è dovere…
Siccome è dovere, secondo l'avviso dello Spirito Santo di preparare l'anima nostra davanti
l'orazione, così non trascuri questa preparazione dovendo recitare il Mattutino (ciò che le suggerisco
per il medesimo le servirà pure le altre ore), essendo questo uno dei principali doveri della religiosa,
procuri di adempirlo nella miglior maniera che le sia possibile. Si consideri come destinata
ambasciatrice dalla S. Chiesa porgere alla D.M. quell' omaggio a nome di tutti i fedeli, ed
impetrarne quelle grazie che tutto l'universo abbisogna, perciò il farlo male sarebbe defraudare sé e
gli altri, onde con questa considerazione di stima dell'opera che deve fare, dirà devotamente l'Aperi
Domine etc. in cui oltre l'indirizzare quest'azione, se le ricorda insieme la maniera di farla bene,
poiché alla parola Digne se le ricorda la compostezza esteriore della persona, non lasciando
particolarmente svagare gli occhi, il che renderebbe colpevoli le distrazioni; in quella Attente, se le
rammemora l'attenzione nel pronunciare bene le parole e fare con esattezza le cerimonie prescritte,
e finalmente nella parola Devote si deve ricordare l'interno affetto con cui la deve accompagnare,
poi se avrà tempo, farà anche il seguente indirizzo:
Mio Dio, intendo, recitando quest'officio, di soddisfare al mio ministero secondo le intenzioni della
Santa Chiesa, con tutti quei fini che si possano avere, e di cominciare quella lode che spero di
darVi in tutta l'eternità, intendo di secondare gli affetti espressi nei salmi, inni, ed orazioni uniti
alla Santa Chiesa, di pregare dove prega, gemere dove geme, compiacermi dove si compiace,
sperare, temere e amare dove spera, teme e ama; se ammira, se loda, se gode, se desidera, se
abomina, bramo, e intendo di farne io altrettanto. Amen.
Asc,2268a:T2,2
Procuri almeno ad ogni Gloria Patri di avvivare la fede della Divina presenza, considerandosi in
compagnia dei Santi angeli ad ossequiare la Divina Maestà; s'inchini profondamente con tutto lo
spirito in protestazione della sua fede, potrebbe anche indirizzare questo atto d'ossequio nella
seguente maniera.
La domenica, intenda di adorare, glorificare e ringraziare la Ss. Trinità per la manifestazione di
questo gran mistero che lei crede e confessa di credere, protestandosi pronta a dare la vita per questa
e per tutte le cattoliche verità.
Il lunedì intenda di adorare e ringraziare la Ss. Trinità per l'altissimo e amorosissimo fine per cui
l'ha creata e fatta nascere nel grembo della Santa Chiesa. Si ricordi aver detto Iddio, In gloria mea
creavi eos, perciò desideri e procuri di glorificarLo a tutto suo potere, e insieme desideri di darGli
gloria per tutti quelli che non pensano a glorificarLo dimentichi del loro fine.
Il martedì, intenda di adorare e ringraziare la Ss. Trinità per averla chiamata allo stato religioso,
come pure d'averle dato un angelo per sua custodia, e per il beneficio fatto a quest'angelo col crearlo
e preservarlo d'entrare nel partito di Lucifero, pregando particolarmente in questo giorno il suo buon
angelo a tenerla sempre sul retto sentiero del cielo.
Asc,2268a:T2,3
Il mercoledì, intenda di lodare e ringraziare la Ss. Trinità per il beneficio della conservazione, non
solo del corpo, ma più dell'anima, nella preziosa vita della Divina grazia, con cui può glorificare
Iddio, e fare molto acquisto di eterna gloria in cielo, ed insieme di ringraziarla di tutte le grazie fatte
ai Santi, e specialmente ai suoi Protettori, ed in particolare a S. Giuseppe.
Il giovedì, intenda di lodare e ringraziare la Ss. Trinità per il gran beneficio della instituzione del
Divinissimo Sacramento, e per averla messa in stato di parteciparne sì spesso, e di averlo nella
propria casa; desideri ed intenda con queste adorazioni accompagnate dal più tenero amore di
risarcirLo, se potesse, delle tante irriverenze e freddezze che riceve dalla maggior parte degli
uomini.
Il venerdì, intenda di lodare e ringraziare la Ss. Trinità per la grand'opera della redenzione, intenda e
desideri di contraccambiare (per dir così) il buon Gesù di tutti gli insulti e strapazzi tollerati nella
sua Passione, confessandolo con quest'ossequio per suo vero Dio col Padre e con lo Spirito Santo.
Il sabato, intenda di lodare e ringraziare la Ss. Trinità di tutti i favori e privilegi concessi alla Ss.
Vergine, massime d'averla preservata da ogni peccato, e del beneficio fatto a lei d'avergliela data
per Madre, e deve prendere come dette a sé quelle parole che disse nostro Signore dalla Croce: Ecco
la tua Madre, e prenda per sua come S. Giovanni questa Divina Madre, e l'ami di vivo cuore.
Asc,2268a:T2,4
Con quest'arte…
Con quest'arte verrà a fare grata memoria dei Divini benefici, e senza fare di più, pagherà in parte il
gran debito di gratitudine che deve al suo liberalissimo Iddio.
Procuri di stare in quest'impiego delle Divine Lodi come se non vi fosse mondo per lei, tenga tutta
l'anima occupata da una grande stima dell'azione che fa, da un soave timore della Persona con cui
tratta e parla; consideri che le tiene sopra gli occhi e vede il grado d'affetto con cui prega, perciò
procuri che il cuore e la lingua parlino di concerto; se intende ciò che recita, le sarà più facile, ma se
non l'intende, procuri di tratto in tratto svegliare l'affetto con qualche breve giaculatoria, dicendo
per esempio: Mille lingue vorrei avere e mille cuori per lodarVi ed amarVi mio Signore. Vi loderò
mio Dio quanto posso, ma so che siete maggiore d'ogni lode. Degno siete, o Signore Dio nostro, di
ricevere lode, gloria, onore e benedizione nei secoli dei secoli. Siccome di dire in occorrenza di
distrazione una delle seguenti: Domine vim patior, responde pro me. Deduc me Domine in viam
rectam. Confirma me Deus in hac hora. Audiam quid loquatur in me Dominus Deus.
Asc,2268a:T2,5
Terminata ciascun'ora dell'officio dirà l'orazione Suscipe clementissime Deus etc. che troverà
nell'officio, oppure questa Bone Jesu quod minus est in me dignare supplere pro me, offerens Patri
Sanguinem tuum pretiosum.
Procuri poi di disporre le cose sue in maniera che non abbia ad uscire dal coro dopo il Mattutino,
ma se ne stia ad udire la meditazione che si legge, benché ne tenesse già altra apparecchiata, perché
potrebbe il Signore in quella che sta udendo, imprimerle qualche buon sentimento, e pagarle nella S.
orazione l'abnegazione che esercita con vietare all'amor proprio questa libertà, massime nei gran
caldi e nei gran freddi; abbiamo pure da fare con un Dio buono e infinitamente buono!
Asc,2268a:T3,1
Cap. 3. Per l'orazione mentale
Circa la S. orazione, la desidero sì premurosa e costante, talché quantunque le paresse impossibile
di farvi alcun progresso e che vi perde il tempo, e cent'altri pretesti che il Demonio o la nostra
infingardaggine ci potessero suggerire, mai e poi mai si ometta; custodiamo il nostro posto come
vigilanti sentinelle, pronte prima a perdere la vita che a gettare le armi, vi stiamo per fare la volontà
di Dio senza proprio interesse, vi cerchiamo il Dio delle consolazioni, e non le consolazioni di Dio;
lavoriamo come buoni figliuoli (non come giornalieri che vogliono la mercede al fine del giorno),
ed il nostro buon Padre oltre il pensiero che avrà di provvederci del bisognevole, ci darà in fine la
sua eredità; questa libertà di spirito è sommamente necessaria se si ha da perseverare in questo santo
esercizio; vorrei pure che spesso leggesse libri che ne trattano, particolarmente il Padre Rodriguez,
per concepirne una grande stima, ed apprendere quello che deve fare dal canto suo, oltre alcune
avvertenze che sono per suggerirle.
Asc,2268a:T3,2
Quanto alla preparazione remota, prima si deve procurare la maggior purità di coscienza che sia
possibile, poiché dice S. Teresa: l'orazione mentale non è altro, a mio parere, se non trattare
d'amicizia con Dio, stando molte volte ragionando da solo a solo con chi sappiamo che ci ama. Ora
come i peccati veniali volontari raffreddano questa amicizia, sminuendo il fervore della carità, e
mentre conserveremo l'affetto a questi peccati, non potremo gustare il dolce di quest'esercizio, né
avanzarci in esso, perciò ponga in questo, grande avvertenza, ma però senza angustia per gli
involontari, e molto meno dare in scrupoli, il che pure sarebbe un ostacolo, perché siccome
un'acqua che si muove non può rappresentare alcuna figura, così un intelletto agitato da scrupoli,
non è disposto a ricevere le impressioni della divina grazia.
La seconda avvertenza sia che procuri di astenersi da ogni curiosità, talché non faccia mai passo,
non interroghi, non alzi, per quanto può, occhio, per sapere quel che si fa o si dice, e se si avvede
che desidera di sapere ciò che non le spetta, si volga subito al suo buon angelo e lo preghi di darle
qualche lume sopra l'amabilità del suo Signore, acciò possa più amarLo. Andando poi per la casa,
procuri di tenere gli occhi dimessi, con passo alquanto affrettato, affinché non venga trattenuta per
cose da nulla, e sia suo studio di sgombrare la sua mente ed il suo cuore dalle inutilità, senza però
rendersi ruvida e scortese con le sue sorelle.
Asc,2268a:T3,3
La terza sia che procuri sbandire dal suo cuore ogni timore e desiderio inquieto, fissando
immobilmente la sua volontà nella santissima e amabilissima volontà di Dio: questo è un gran
punto, perché chi tiene ansiosi desideri o inquieti timori, pone un vero ostacolo all'unione con Dio,
né tiene in vista il suo ultimo fine ed il sacrificio che ha fatto al Signore della sua volontà al
cospetto del cielo e della terra; fa pure un gran torto alla divina bontà, non fidandosi alle sue
amorose disposizioni; sono esse quelle distrazioni che più si attaccano al cuore ed impediscono tutto
il frutto della S. orazione occupando questi tutta l'anima, sgombro il cuore di questi desideri e
timori, le sarà agevole meditare con riposo di spirito, perché le altre distrazioni, come saranno di
cose che poco l'interessano, si presenteranno al pensiero, ma non avendo radice nel cuore, sarà
facile lo scacciarle, e non le recheranno molto disturbo. Insomma chi vuole ricavare qualche ritratto,
deve prendere una tela in cui non vi sia altra cosa già dipinta; e sia certa che con qualunque ragione
si vogliano palliare questi disegni propri, non sono certamente che amor proprio, non dico di più, e
la rimetto a ciò che dice S. Teresa nel suo libro del cammino di perfezione.
Asc,2268a:T3,4
Per la preparazione prossima, oltre gli atti consueti, insista molto negli atti d'umiltà, persuadendosi
che non può avere da sé neppure un pensiero buono; questa umiltà le farà implorare con ardente
affetto il divino aiuto, e ricevere con tutto il riconoscimento le misericordie del Signore, la terrà
pure rassegnata e perseverante, quando il Signore mostri di non udirla, poiché al parere di S. Teresa,
certi lamenti pusillanimi hanno origine dalla poca umiltà; dica dunque al Signore come il grande
Abramo: Parlerò al mio Signore, benché polvere e cenere; consideri che la polvere non può
sollevarsi da se stessa, e tanto sta in alto, quanto ve la tiene il vento, anzi deve considerarsi come
fango, perché la polvere è già disposta ad essere sollevata, ma noi siamo come fango, per l'attacco
alle cose terrene ed a noi medesime.
Asc,2268a:T3,5
Atti di preparazione all'orazione
Fede
Dio d'infinita potenza, sapienza e bontà, io credo con ferma e viva fede, d'essere alla vostra Divina
presenza, so che Voi penetrate il più intimo del mio cuore, ed a Voi è noto quale io sia nel vostro
cospetto.
Adorazione
Umilmente prostrata avanti l'incomprensibile maestà vostra, Vi adoro con tutti quelli che Vi
adorano in cielo e in terra, V'adoro uno in essenza e trino in Persone, adoro e mi compiaccio dei
vostri divini attributi.
Contrizione ed umiltà
Detesto col più vivo sentimento del mio cuore, tutto ciò che può dispiacere ai vostri purissimi
sguardi, perché V'amo e desidero di sempre più amarVi; so che da me a nulla sono valevole, però
Vi supplico a soccorrermi con la vostra santa grazia che umilmente Vi chiedo e spero per i meriti
della vostra santissima Vita, Passione e Morte.
Preghiera ed offerta
Santissima Vergine, Vi prego di parteciparmi gli effetti clementissimi di vostra protezione. Angelo
mio custode, Santi miei Protettori vi prego d'intercedere per me, affinché io riporti da questa
orazione quel frutto che sarà di maggior gloria di Dio e profitto dell'anima mia; intendo di unirla
con quella che fece Gesù nell'orto, con quelle della Ss. Vergine e di tutti i Santi del cielo e dei giusti
che sono in terra, con tutti quei fini che Dio desidera; rinuncio a tutte le tentazioni e distrazioni che
possono venirmi, e protesto col vostro aiuto di non volerle seguire. Amen. Benedicat me, bone Jesu
tua Omnipotentia, instruat me tua Sapientia, repleat me tua Dulcedo, trahat et uniat me tibi tua
Bonitas in sæcula.
Asc,2268a:T3,6
Nella meditazione procuri principalmente d'accendere la sua volontà di santi affetti che la
conducano a risoluzioni opportune e pratiche per emendarsi dei suoi difetti, e disporsi ad operare
con virtù, poiché al dire di S. Teresa la meditazione che non produce questi effetti (per quanti belli
sentimenti ci paresse d'avere), non si deve credere buona; poiché meditando l'anima le verità della
fede, deve in esse come in uno specchio scorgere come a tali verità si conformi il suo vivere, e così
illuminato l'intelletto, verrà la volontà a concepire orrore al vizio ed amore alla virtù, al quale fine è
indirizzata l'opera dell'intelletto, poiché essendo la volontà una potenza cieca, deve avere per guida
l'intelletto, ma questo per ben guidarla, non deve prendere il lume che dalle verità della fede, ed
accostarsi a Dio con umiltà per essere illuminato, senza di che non seguirà che le impressioni dei
sensi ed i movimenti delle varie passioni da questi eccitate, il che le deve imprimere una grande
stima della meditazione delle verità della fede; quando poi la volontà abbia concepiti gli opportuni
affetti e risoluzioni che sono il fine della meditazione, non si devono questi lasciare per meditare
altri punti, il che sarebbe lasciare il fine conseguito per andare in traccia dei mezzi atti a
conseguirlo, o lasciare il Signore per tornare a cercarlo.
Asc,2268a:T3,7
Pertanto seguiti quanto può a trattenersi avanti il Signore in santi desideri e preghiere, perché mi
pare che dal mancamento di preghiera provenga il poco frutto che si ricava dalla meditazione, ed il
non pregare mostra che non conosciamo la nostra miseria e che ci confidiamo in noi stesse, onde
affinché resti più persuasa della necessità della preghiera per eseguire i buoni desideri concepiti
nella meditazione, voglio ricordarle essere verità di fede che non basta che l'intelletto conosca tutti i
doveri della giustizia cristiana per adempirli, se insieme la volontà non è invigorita dalla grazia, di
più, che noi siamo indegnissimi di questa grazia unica fonte d'ogni chiarezza, d'ogni forza e d'ogni
bene, della quale la preghiera si è come la chiave, tutto sperando dalla potenza e misericordia di Dio
per i meriti di Gesù Cristo nostro mediatore. La fede anche aggiunge a questo conoscimento quello
del comandamento che Dio ci fa di pregare e di sperare fermamente che Egli eserciterà sopra il
nostro cuore questa possanza e questa misericordia, se noi perseveriamo a pregare con umiltà e
confidenza.
Asc,2268a:T3,8
Finalmente io vorrei…
Finalmente io vorrei che procurasse uscire dall'orazione con tale desiderio di piacere a Dio, con fare
in ogni cosa il suo santo amabile volere, atto a farla operare con virtù, ed anche con tale
preparazione di cuore per tutto ciò che piacerà al Signore disporre di lei, atta a tenerla sommessa,
umile e paziente, perché se desidera sinceramente di piacere al Signore, non troverà miglior mezzo
che il fare sempre la sua santa amabile volontà, cioè adempire fedelmente ogni suo dovere in quella
miglior maniera che Dio le farà conoscere, ad esempio di Gesù Cristo vero nostro esemplare, di cui
è scritto che fece bene ogni cosa; bisogna poi anche volere quel che Dio fa, onde consideri tutti i
mali sì di animo che di corpo che le potrebbero avvenire, e poi con una pacifica ed amorosa
conformità si offerisca pronta di accettarli; e se così farà, sia certa che si avvezzerà ad operare in
vista di eseguire il santo volere di Dio, il che renderà rette le sue intenzioni e la farà attenta ad
evitare nelle sue opere ogni difetto conosciuto; con il volere poi quel che Dio fa, si renderà disposta
a conservare la preziosa pace del cuore nei sinistri accidenti, e la carità col prossimo nei disgusti che
ne potesse ricevere, talché invece di sdegnarsi e mormorare, rifletterà essere questi mezzi di cui Dio
si serve per farle acquistare le sante virtù, poiché non basta che noi procuriamo con vari mezzi di
farci sante, ma bisogna anche lasciarci fare dal Signore con gradire e profittare dei mezzi che Egli ci
porge, senza di che, non mai al certo arriveremo alla perfezione, perché sempre vivrà in noi quel
verme maligno della propria volontà che è quello, al dire di S. Teresa, che col rodere ogni nostra
opera di virtù, la rende sempre difettosa.
Asc,2268a:T3,9
Si ricordi che la santità è una veste così stretta che non può vestirsi sopra quella dell'amor proprio, e
tengo questa sia la cagione principale che di molte persone che attendono alla perfezione sì poche vi
giungono, perché non vogliono intendere di spogliarsi delle loro passioni, della propria volontà,
dall'attacco al proprio, onore e comodo, che sono i due occhi dell'amor proprio, come dice la santa
dei Pazzi; poi vorrebbero vestirsi della perfezione come di una sopravveste, e perdono il tempo e la
fatica. Prendiamo dunque questa pratica negli incontri disgustosi di unirci alla adorabile ed amorosa
volontà di Dio, e volerli tollerare con quel fine che Egli intende, considerandoLo quale
Sapientissimo Medico che conoscendo i veri nostri mali per l'amore che ci porta vi applica gli
opportuni rimedi, onde ci importa tutto l'abbandonarci con docilità nelle sue mani e ringraziarLo di
cuore, né più permetta al suo spirito di fermarsi a considerare l'oggetto della sua pena, perché
questo la rende più sensibile, eccita la passione e la mette in pericolo di commettere molti
mancamenti. Si tenga anche in pronto qualche parola che in questi incontri le ricordi il suo Dio
come sarebbe, Fiat voluntas tua; ovvero: ho ammutolito, né ho aperta la bocca perché voi Signore
l'avete fatto; Vi ringrazio Signore dell'occasione che mi date di praticare la tale virtù.
Asc,2268a:T3,10
Obbedirò al mio Padre, darò gusto al mio Sposo, darò gloria al mio Dio, col tale atto di virtù.
Voglio ancora mostrarle un'altra utilità dei santi desideri d'operare il bene, e della preparazione del
cuore per sostenere i mali; ed è che come ogni cattivo desiderio è peccato e merita castigo, così ogni
buon desiderio è atto di virtù, merita premio; oltre di ciò, questo desiderio sincero d'operare con
virtù conforme al volere di Dio, ci rende meno colpevoli nei mancamenti che per nostra fragilità e
miseria commettiamo, mercè l'antecedente buona volontà; e quel Signore, che come dice il santo
Davide, ha esaudito il desiderio del povero, ci darà anche più grazia per emendarci. La
preparazione del cuore a sostenere i mali, ci sarà di grande utile ancorché i mali non ci avvengano,
perché il nostro buon Dio, oltre all'esaudire il desiderio del povero, al dire dello stesso Davide, ha
pure udita la preparazione del suo cuore, onde ci darà anche premio dei mali che non avremo
tollerati, ma che già eravamo preparate a tollerare per suo amore. Procuri in fine, uscire dalla santa
orazione con una forte risoluzione di vivere ai Piedi di Gesù Cristo, mercé un'umile sommessione
nelle sue Divine Mani, con un confidente abbandono nel sacro suo Cuore, con un vero sincero
amore.
Asc,2268a:T3,11
Atto da farsi per conclusione della Meditazione
Mio Dio, Vi ringrazio della bontà che avete avuta in ascoltarmi, dell'onore che mi avete fatto in
parlarmi al cuore, i buoni pensieri che ebbi in mente, gli affetti che concepì il cuore, le risoluzioni
che ha prese la volontà, tutto riconosco per vostro dono e desidero darvene eterne lodi. Vi offerisco
per le mani della Ss. Vergine queste stesse risoluzioni in unione dei meriti infiniti di Gesù Cristo,
acciocché suggellate col suo preziosissimo Sangue, riposte nell'amabilissimo di Lui Cuore, Egli le
custodisca e dia grazia di metterle in esecuzione, ma perché conosco il mio demerito, interpongo i
meriti della Ss. Vergine e dei Santi miei Protettori. Avanzandomi ancora a raccomandarVi quanto
so e posso i miei superiori ed inferiori, i miei parenti e benefattori, i miei amorevoli ed avversi, e
singolarmente le sante anime del Purgatorio, con tutte quelle persone sane ed inferme che si
raccomandano alle mie povere orazioni. Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam,
Pater et Ave etc.
Asc,2268a:T3,12
Per ultimo le raccomando di eseguire con fedeltà quello che il Signore le farà conoscere nella
meditazione volere da lei, talché non passi il giorno senza che faccia qualche atto della virtù che ha
proposto di praticare, e sia certa che questa fedeltà le sarà una sorgente di lumi e di grazie che la
guideranno con sicurezza nel pericoloso cammino di questa misera vita.
Nell'uscire dal Coro desideri di restarci col cuore, e supplichi la Ss. Vergine, gli Angeli ed i Santi
che dimorino in suo luogo a lodare ed amare Gesù; procuri subito uscita di sfuggire il favellare, ed
esamini come si è portata in detto tempo.
Asc,2268a:T4,1
Cap. 4. Per la Santa Messa
La Santa Messa procuri di accompagnarla coi più ardenti affetti. Si figuri d'essere presente al gran
sacrificio del Calvario, considerando che in Gesù Cristo ha un tesoro con cui soddisfare a tutti i suoi
debiti, purché con l'applicazione del cuore se ne sappia prevalere, perciò deve al principio offerirla
così: Mio Dio, Vi offerisco questo santo Sacrificio per riconoscere, onorare e glorificare l'infinita
vostra grandezza ed il supremo dominio che, come primo principio ed ultimo fine, avete sopra tutte
le cose create. Vi rendo quest'omaggio per tutti quelli ancora che non sanno o non vogliono
riconoscerVi.
In rendimento di grazie per i benefici che io e tutto il mondo abbiamo ricevuti e riceveremo dalla
Vostra bontà infinita; in soddisfazione dei peccati miei e di tutto il mondo, per impetrare le grazie
che sono necessarie alla mia eterna salute ed a tutto il genere umano, ed in queste offerte potrà poi
più estendersi. Nel tempo dell'elevazione è poi il tempo più opportuno per chiedere a Dio le grazie
per i meriti di Gesù Cristo; e siccome la grazia della finale perseveranza è quella che deve starci più
a cuore, ed è certo che non si può meritare, né il Signore si è obbligato a darcela, ma dobbiamo
sperare che non sarà negata a chi, con perseverante preghiera, umilmente la chiede; dirà dunque
dopo una profonda adorazione: Mio Dio, mio Creatore, Vi supplico a concedermi la grazia della
finale perseveranza, so per fede che non la merito, né posso meritarla, ma la merita il Vostro
Divino Figliuolo che per me la domanda con tante bocche, con quante ferite Vi dimostra nel suo
Santissimo Corpo per mio amore piagato.
Asc,2268a:T4,2
Non ometta di fare la comunione spirituale, essendo essa molto grata a Dio, e di nostro molto
profitto, onde avverta che per troppo caricarsi di vocali orazioni, non la faccia in fretta, il che
sarebbe cagione di non poterla gustare, né trarne quel vantaggio che se ne trae se si fa con
tranquillità ed intera applicazione d'animo; perciò parmi che ad una religiosa, oltre le orazioni di
obbligo, potrebbe bastare di recitare ogni giorno cinque Pater ed Ave per dare un tributo di grata
memoria ai patimenti di Gesù Cristo, ed anche per conseguire le indulgenze, il che si potrebbe fare
nel tempo della benedizione, come si usa, o non essendovi, dopo l'orazione della sera; inoltre, una
visita all'altare della Ss. Vergine recitandovi le sue litanie, la terza parte del rosario che può dire
travagliando, le tre Ave all'Immacolata purità di Maria, un Pater ed Ave ai suoi Protettori, ed una
visita all'altare dell'angelo custode; il che, prescindendo dai giorni festivi, sarà sufficiente.
Asc,2268a:T5,1
Cap. 5. Per il lavoro
Nel mettersi al lavoro rinnovi la sua intenzione dicendo: Signore mio Gesù Cristo, in unione di
quella Divina intenzione con cui in terra avete operato dando gloria al Padre, così io adesso
quest'opera Vi offerisco, ovvero, Domine, hoc opus offero tibi per unicum Filium tuum, in virtute
Spiritus Sancti, in laudem æternam. Ma il più bello e giovevole indirizzo, è il non amare, né
compiacersi che nel fare la Santissima e Amabilissima Volontà di Dio in ogni sua opera, e per
questo è necessario mezzo il procurare di rendersi indifferente circa gli impieghi e lavori, mentre la
Santa Volontà di Dio si trova nella ubbidenza, e non nel proprio genio; di più, non si deve
restringere la nostra ubbidienza nell'esercitare quell'impiego che dalla superiora ci viene assegnato,
ma la stessa ubbidienza dobbiamo farci dovere di prestare a quella che presiede al nostro impiego,
né vale il dire che si contraddice alle maggiori, acciò le cose si facciano meglio (sia così), ma questo
non prepondera al suo meglio che si è negare se stessa e mantenere la pace che si rompe col volere
soprastare. Non voglio dire con ciò che lasci di proporre il suo sentimento, ma si proponga in
maniera sì umile che non possa offendere, e con tale indifferenza che se viene rigettato non dia il
menomo segno di dispiacere.
Asc,2268a:T5,2
È pure eccellente ubbidienza l'aderire alle uguali e prendere con indifferenza, anzi con spirito
d'ubbidienza quei lavori, o fatiche nelle quali esse mostrino genio che lei s'impieghi, e sia certa che
se non intende che di fare la Divina Volontà nei suoi impieghi, il suo cuore si libererà da ogni
attacco o avversione, né vi sarà esercizio basso che la ributti, perché la Divina Amabile Volontà è
sempre nobile, amabile e bella in ogni cosa. Metta poi, per dire così, il cuore nel suo officio, acciò
la comunità sia ben servita, con carità, e la Santa povertà vi sia osservata, perché se invece di tenere
a cuore il suo officio, vi tiene lavori a suo genio, non baderà che a spedire quelli del suo officio per
potervi attendere, onde le sorelle saranno mal servite, e manderà le cose a male contro la Santa
povertà.
Asc,2268a:T5,3
Si guardi poi di mai lamentarsi delle sue compagne d'impiego, ma creda se non la passa con buona
armonia che ciò proviene per colpa sua, onde esamini bene come pratichi la carità, l'umiltà, la
dolcezza e la condiscendenza, poi procuri ad ogni costo la pace, ma non con voler riformare le altre,
ma bensì col riformare se stessa, né perda il tempo in pensare alle virtù che dovrebbero praticare le
altre, ma a quelle che nelle presenti circostanze debbono da lei praticarsi, in tale modo che le riesca
col favore Divino di essere pacifica anche con le persone, che pare, odiano la pace, onde possa dire
con verità cum his qui oderunt pacem eram pacificus. E queste parole che dice ogni mattina, le ho
messe acciò le servano a ricordarle questa importante massima.
Sarà anche ottimo mezzo per convivere con tutte in santa pace, il procurare di portarsi da figlia
sommessa e riverente con le maggiori, come sorella civile e condiscendente con le uguali; quale
madre compassionevole con le inferiori. Per rendersi ciò facile, si mantenga mai sempre lieta di
cuore, serena di volto, aggiustata nelle parole, perché con la letizia nel cuore, avrà la pace in sé, il
che è gran disposizione a mantenerla con le altre; con la serenità del volto edificherà e rallegrerà le
altre; con l'aggiustatezza delle parole schiverà l'imprudenza, l'inconsiderazione, seme della
discordia, e darà lode e gloria a Dio, perché tutto si ha ad operare a questo unico fine con ogni
sincerità, senza il menomo raggiro d'umano interesse, e desiderare, pregare e cooperare, per quanto
si può, che questa casa emuli il Cielo, in cui tutti lodano Dio con uno stesso cuore, contenti in quel
grado di gloria in cui il Signore li ha posti, senza invidia e gelosia della maggior gloria degli altri,
compiacendosi unicamente nella Ss.ma Dolcissima e Amabilissima Volontà di Dio.
Asc,2268a:T6
Cap. 6. Per il parlatorio
Quando le occorrerà di essere chiamata al parlatorio, si ricordi che va in luogo di pericolo, perciò
prima d'entrarvi si armi col segno della Santa Croce, si raccomandi alla Ss.ma Vergine col sub tuum
præsidium; ci vada per obbedienza e non per affetto, perciò mai dimostri desiderio di essere più
spesso visitata, nemmeno dai più congiunti; non si mostri curiosa di sapere nuove di mondo, né
racconti quello che occorre in monastero, sì riguardo alla sua persona, che alle altre, acciò per la sua
imprudenza non venga a scemarsi il buon nome del monastero, perciò pure avverta di non andare
girando gli occhi per osservare chi entra e chi esce dal parlatorio, insomma si tenga in aria di
modesta allegrezza e con tutta la persona ben composta; non preghi chi la visita a trattenersi più
lungo tempo, se ode il segno del Coro sia pronta a licenziarsi, che così farà il suo obbligo con
edificazione dei secolari che la crederanno monaca contenta, perché non cerca con esso loro il suo
contento. Uscita dal parlatorio, non racconti le vanità udite o vedute, anzi procuri di levarsele presto
di mente. Sia diligente nell'andare alle ore, per avere tempo di esaminare come le cose sue siano
passate nella mattina, se male, per procurare che così non seguitino nel rimanente del giorno, acciò
non sia giorno perduto, ne domandi perdono a Dio, con proporre di stare più sopra di sé, ed implori
il suo aiuto; se per Divina Misericordia la trovasse bene spesa, gliene dia la dovuta lode, e si animi a
terminare santamente il giorno, sicché sia giorno pieno da contarsi negli anni eterni.
Asc,2268a:T7,1
Cap. 7. Per la refezione
Nell'andare alla mensa si porti subito nel lavatorio, acciò abbia tempo di lavarsi le mani, e mantenga
il buon uso di non uscire più fuori a parlare (come pure di non uscire dopo fatta la benedizione), ma
vada al suo luogo, ed ivi offerisca quest'azione alla gloria di Dio, come cosa di sua volontà, avendo
messa in questa necessità la nostra natura e di più, per essere a noi in tale tempo prescritta dalla
santa regola, sia adunque questo lo spirito con cui la animi, e se vuole servirsi dell'indirizzo
insegnato dal Signore a S. Gertrude dica: Signore, io ricevo questo cibo in quell'amore col quale Tu
lo santificasti quando nella tua Santissima Umanità te ne servisti, a lode di Dio e salute del genere
umano, e ti prego che in unione del tuo divino amore ceda in aumento di salute a tutti i Celesti,
terrestri e purganti. Dica con spirito di carità un Ave Maria per i poveri, per supplire all'elemosina
che essa non può fare ad essi, e mortificare la fretta che potesse avere di cibarsi.
Asc,2268a:T7,2
Ma se vuole che il suo indirizzo le giovi, deve, nel cibarsi, eseguire costantemente
l'ammaestramento del Signore, cioè prendere quello che le viene posto avanti con totale
indifferenza, perché se cerca il suo gusto non cerca più il solo volere di Dio, oltre di che, questa
costante indifferenza è la più eccellente mortificazione (al parere di S. Francesco di Sales) che si
possa praticare, con questa esercita la povertà, perché come dice la Santa de Pazzi Maria
Maddalena, vediamo, dice, che i poveri prendono quello che viene dato loro, e se ci dicessero che
non lo vogliono perché non piace loro, diremo che non sono poveri. Con questa indifferenza
neppure sarà molesta alla cuciniera che dovrebbe tenersela sempre in un cantone della memoria per
potersi ricordare dei suoi gusti; non sia neanche facile a credere che alcune vivande le siano nocive,
perché l'amor proprio ci fa travedere, ma se ama la vita comune, troverà in essa tanto piacere che
per non dipartirsi da essa, procurerà di assuefarsi a tutto, e dove trova nociva la qualità, vi rimedierà
con la minor quantità, giusta quell'assioma che non è la qualità, ma la quantità che nuoce.
Asc,2268a:T8,1
Cap. 8. Della ricreazione
Rese poi devotamente le grazie con cuore riconoscente, e non per uso, farà nel terminarlo il segno
della Santa Croce, indi lo stesso santo segno sopra le labbra dicendo: Mettete Signore una guardia
alla mia bocca ed una porta alle mie labbra, acciò non vi esca parola che sia di vostra offesa. Se
può, non ometta l'atto di carità che fa ora di aiutare a sparecchiare le tavole, indi si porti ad adorare
il Santissimo Sacramento, le offerisca la ricreazione come cosa di sua S. volontà, dica: Rallegrate,
Signore, l'anima della vostra serva, perché a Voi l'ho innalzata, si rallegri il mio cuore temendo il
vostro Santo nome, e ricordandosi che deve rendere conto d'ogni parola. Procuri di non
accompagnarsi sempre con la medesima, neanche a titolo di pietà perché questo non edifica parendo
amicizia particolare, anzi dovrebbe anche in questo mortificare il suo genio trattenendosi con quelle
che al suo naturale sembrano più noiose. Le consiglio ancora, a procurare di non trovarsi con una
sola per non dare luogo a discorsi confidenziali nei quali suole correre rischio la carità; nel
rimanente si mostri modestamente allegra, e se non può introdurre discorsi di pietà (il che deve
prudentemente procurare), non se ne prenda pena purché siano indifferenti.
Asc,2268a:T8,2
Al segno del termine della ricreazione, sia pronta a troncare ogni discorso, e a ritirarsi in cella
massime quando segue il silenzio, ed anche quando non vi è, perché il prolungare a ricrearsi non è
più fare la Santissima e Amabilissima Volontà di Dio; qui mi sovviene il dirle che sarebbe pure una
pratica vantaggiosa l'interrogare spesso se stessa nelle sue opere in tale modo: fo io adesso la
volontà di Dio? Quanto al materiale dell'opera, e quanto all'intenzione? Così non farà opera che sia
o fuori di tempo, o fuori di luogo, o macchiata da meno retta intenzione che certo, se conoscessimo
il male della propria volontà, la temeremo più che il Demonio, e stimeremo il fare la Ss. Volontà di
Dio più di quanto le so io esprimere, onde dirò solo quel che dice S. Bernardo, cioè: Cessi la propria
volontà e non vi sarà Inferno.
Asc,2268a:T9
Cap. 9. Del trattenersi in cella
Si trattenga quanto più può nella sua cella, ed avverta di non uscirne per impulso di natura, ma il
solo motivo ne sia l'obbedienza, la carità o la necessità, né tema sia per recarle malinconia il
procurarsi un poco di solitudine, perché il Signore, per il cui amore ella mortifica la naturale
propensione al dissiparsi, le saprà ben pagare una tale mortificazione, e creda che se si risolve di
superare al principio qualche tedio, saprà poi per propria esperienza quanto sia dolce il trattenervisi,
e con quanta ragione dicesse quel certo Servo di Dio: Cella quasi Cielo. Ma non deve mai
permettere al suo spirito di starvi ozioso, altrimenti non le gioverebbe la solitudine del corpo, ma
procuri di starvi col suo Signore col mezzo di devoti pensieri e santi affetti.
In omnibus requiem quæsivi, et non inveni illam, nisi in cella cum libello.
Asc,2268a:T10
Cap. 10. Del visitare le inferme
La debbo avvertire a guardarsi che l'affetto alla cella non la deve far omettere il caritatevole ufficio
di visitare le inferme, essendo questa un'opera di misericordia che molto le raccomando, anzi la
deve prendere a cuore, perché le viene raccomandata da Gesù Cristo, perciò sarebbe bene il
prefiggersi di visitarne una per giorno, talché tutte siano da lei visitate indistintamente, salvo che la
stessa carità la deve spingere a visitare più spesso quelle che fossero più lasciate, altrimenti, se ella
più sovente si portasse dove vi è più concorso, non sarebbe più atto di carità, ma soddisfare l'amor
proprio, un andare cercando di ciarlare, nulla meno che se andasse a trattenersi con un'amica sana, il
che pure deve evitarsi, se pure non si trovasse bisognosa di un ragionevole sollievo, ma questo è un
rimedio che non bisogna troppo usarlo.
Asc,2268a:T11,1
Cap. 11. Della lezione
La lettura che deve fare ogni giorno, vorrei che si facesse con un vivo desiderio di trarne profitto,
perciò prima d'incominciarla si metta in ginocchio alla presenza di Dio come ora costuma, dica il
versetto Veni Sancte Spiritus, indi l'Ave Maria. Nel leggere, non si affretti, ma procuri di gustare ciò
che legge imprimendosi nella memoria per suo buon regolamento ciò che le pare faccia per lei, cioè
più al suo bisogno. Sarebbe anche dovere, quando sentisse qualche interna mozione, di fermarsi per
dare luogo alla considerazione ed all'affetto. Circa i libri, non sia curiosa di scorrerne molti, né mai
si lasci entrare la vanità di voler comparire d'aver letto molto, ma si appigli al consiglio del pio
Autore della Imitazione di Cristo, che dice Leggi tali materie, le quali piuttosto ti diano
compunzione che occupazione. Anzi per accertare in questa scelta, non legga libro senza che le sia
approvato da chi conosce il suo spirito. Con queste cautele, vorrei che si rendesse assidua alla
lettura, per quanto glielo permettono le occupazioni dell'obbedienza, talché, tutto il tempo libero,
massime nei giorni festivi, fosse impiegato nella Lezione e Meditazione, il che sarà un mezzo
efficacissimo per mantenersi nella vita di fede, di cui vive il giusto, primo, perché la lettura è quella
che deve ordinariamente somministrare la materia per la Meditazione delle verità della fede, che per
questo viene chiamata sorella della Meditazione.
Asc,2268a:T11,2
Secondo, perché potendo occorrere che alle volte il suo spirito non possa fissarsi nella Meditazione,
verrà con la Lezione a mettersi, per dire così, sotto gli occhi le verità della fede; ho detto deve
essere assidua alla lettura, perché quanto più spesso si metterà sotto gli occhi le massime della fede,
il suo spirito ne resterà più penetrato, e santamente occupato tra queste tutto il giorno, onde le cose
sensibili non le faranno quella impressione che sogliono fare in uno spirito quale non sa quasi
pascersi che degli oggetti sensibili, e si trova in sé come chi si trovasse in una casa affatto
sprovveduta, onde è costretto ad uscirne per trovare nei sensi il suo pascolo, dal che ne viene la noia
che provano nella solitudine, il vivere in una continua dissipazione tra il giorno, che le accompagna
poi, anche nel tempo destinato alla Meditazione, e questa credo che in gran parte sia l'origine del
poco avanzamento delle persone religiose, le quali non dovrebbero operare che per i movimenti
della Divina Carità, e riferire tutto a Dio, ma perché non danno questo pascolo al loro spirito, viene
questo ad offuscarsi e ad aderire troppo ai sensi, onde è che le massime più chiare del Vangelo non
fanno in esse la viva impressione che farebbero, tuttoché abbiano la sorte di partecipare, mediante la
grazia santificante, del dono dell'intelletto, il di cui proprio officio è di far comprendere e gustare
con soavità queste massime, con tutto ciò passano una vita piena d'imperfezioni, senza fortezza
nella fede, senza conforto nella speranza e senza ardore nella carità, pieni d'una certa amarezza che
toglie loro la bella pace del cuore, e per loro grande sciagura, in pericolo di cadere in peccato,
mentre dal non vivere quella vita di fede di cui vive il giusto, cioè dal non regolarsi con le massime
della fede, ne segue l'aderire ai sensi, alle passioni ed all'amor proprio, come si scorge dalla stima in
cui tengono ciò che dal mondo si apprezza, dal riempirsi di umani desideri, di propri disegni, con
tanto impegno ed inquietudine, come se nulla sperassero dalla Divina Provvidenza.
Asc,2268a:T11,3
Così pure nelle avversità non sanno rimirare i flagelli nelle amorose mani di Dio, ma solo rimirano
alle cause seconde, rendendosi non solo inutile un mezzo col quale la Divina Provvidenza e
Misericordia voleva porgere loro occasione di acquistare molto merito, ma di più se lo rendono con
la loro impazienza occasione di molti peccati, e questo perché non si fissano nelle verità della fede,
ma tengono troppo gli occhi rivolti verso la terra, rattristandosi o rallegrandosi, secondo ciò che
riesce o si oppone alla loro propria volontà, e come a questa mirano i loro desideri, così sono tiepidi
nei desideri di glorificare il loro Dio e di darGli gusto, ed anche professando di seguitare Gesù
Cristo, sfuggono, quanto più possono, di partecipare alla sua Croce.
Deplorabile cecità: vivere nell'amoroso seno di Dio senza conoscerLo, essere per la grazia nello
stato di Santi e privarsi per aderire ai sensi della comunicazione che la Divina Bontà si compiace di
mantenere coi Santi, e che sempre aumenterebbe in loro la fede e l'amore, e toglierebbe ben presto
le loro imperfezioni.
Asc,2268a:T12,1
Cap. 12. Dell'osservanza della S. Regola
Custodiamo la santa regola, diceva S. Maria Maddalena de Pazzi, affinché ella ci custodisca; ed in
vero, a che tendono le sante regole se non a somministrarci i mezzi per osservare con perfezione la
Divina legge ed i santi voti, ed essendo i voti come i muri della religione, le regole ne sono
l'antemurale, onde, finché questo stava in piedi, non potrà il muro essere abbattuto. Mostra l'esatta
osservanza il nostro rispetto al santo volere di Dio, quale possiamo giustamente riconoscere in ogni
benché menoma regola, e noi felici se potremo dire con Gesù Cristo: Io fo sempre quel che piace al
mio Padre, e questa sommessione e fedeltà ci otterrà molte grazie, mercé le quali ci sarà agevole il
resistere alle tentazioni ed il passare la nostra vita nella Divina Grazia, e credo che in questo senso
dica la suddetta Santa che la santa regola ci custodisce.
Asc,2268a:T12,2
Si deve anche osservare con spirito d'amore, e procurare che questo sia come l'anima della nostra
esatta e perseverante osservanza, il che, quanto piaccia al Signore e sia a noi giovevole, lo dimostrò
a S. Teresa facendole vedere un religioso che andò al Cielo subito spirata l'anima, benché non
risplendesse agli occhi del mondo per singolare santità, e disse il Signore alla detta Santa che per
essere stato quello esatto osservatore della sua regola, gli aveva data grazia di conseguire la plenaria
indulgenza concessa in articolo di morte a quelli del suo ordine, e da ciò osservi che le grazie non si
concedono a chi porta l'abito religioso, ma a chi ne osserva le regole. Le consiglio di leggere
sovente la santa regola, nella quale deve principalmente riscontrare la sua maniera di vivere, e come
il mezzo datole da Dio per tendere a quella perfezione alla quale l'obbliga il suo stato, fuori della
quale è per lei inutile il cercarla, ma le raccomando di prendere di mira quelle regole, per cui
osservare non vi abbisognano forze corporali, e che si possono osservare in ogni circostanza, come
primieramente quella che c'impone la continua mortificazione interna ed esterna, e ce la propone
come carattere distintivo del nostro istituto, e per darle un'idea di quale dovrebbe essere la nostra
mortificazione voglio proporle i sentimenti di un gran servo di Dio che dice: La mortificazione di
Gesù Cristo e la sua Croce si abbraccino amorosamente e fedelmente sino alla morte.
Asc,2268a:T12,3
Il primario esercizio della mortificazione sia il fare sempre la Ss.ma Amabilissima Volontà di Dio,
rinunciando perciò al genio, al senso, patendo, scapitando, etc.
Secondo, la materia della mortificazione sia l'ubbidienza e l'andare in ogni cosa con la comunità.
Terzo, il fare bene e con amore le cose ordinarie della sua vocazione, ed in queste tre materie la
mortificazione è tutta santa e cara a Dio, ed affatto sicura dagli inganni.
Quanto poi alle materie volontarie, la più eleggibile, sopra la quale si possa esercitare la
mortificazione, è la Carità, cioè in servire ed aiutare i prossimi, rinunciando per ciò alle comodità,
consolazioni, etc. patendo per loro, etc.
Secondariamente, è buonissima materia di mortificazione l'umiltà, dove il senso è vivo, e la pugna e
vittoria piace assaissimo a Dio.
Terzo, è buon esercizio di mortificazione intorno a quelle passioncelle o affetti o propensioni che
particolarmente ritardano dall'unione con Dio; e però in queste tre materie di mortificazione si abbia
gran premura.
Asc,2268a:T12,4
Quanto alla mortificazione in altre materie indifferenti, come nella mensa, letto, veste, sensi, etc. si
pratichi la maggiore che si può, così per esercizio di penitenza, come per imitare la vita e dottrina
del Salvatore; purché si avverta, primo, che l'amor Divino sia quello che ecciti e moderi la
mortificazione, ed egli ne sia la causa efficiente e finale. Secondo, che la mortificazione soggiaccia
in tutto e per tutto all'ubbidienza. Terzo, che non pregiudichi alla sanità che si ricerca per lo stato ed
offici. Quarto, che si eviti totalmente la singolarità, e piuttosto si lasci la mortificazione, che si
faccia alcuna singolarità. Dal detto, può scorgere quale sodo fondamento di perfezione getterebbe
nel suo cuore, se mettesse in pratica questa regola, e quale regno di pace si stabilirebbe, e come si
disporrebbe alla Divina unione che è il termine della perfezione, poiché mortificando le passioni ed
i sensi, si tolgono i difetti ed il contrasto alla pratica delle virtù, e particolarmente di quelle che ci
ingiunge la regola che dice: Parleranno il meno che sia possibile, e sempre con voce bassa ed
umile. Osservi che col silenzio si edifica l'oratorio interno, e col parlare con voce bassa ed umile si
praticano le due virtù che Gesù Cristo ci disse volere che da Lui imparassimo, che sono la
mansuetudine e l'umiltà, perché chi osserva questa regola non parla con voce sonante e sdegnosa, né
con parole arroganti; il che troppo disdice in chi professa d'imitare Gesù Cristo che è tutto dolcezza
nel Volto, nelle parole, nelle opere, e insino nel nome, finalmente quella che ingiunge la continua
presenza di Dio, la provvede di un'arma potente per combattere i suoi nemici, e le somministra il
mezzo più efficace per perfezionare il suo spirito nella santa orazione e unione con Dio. Le ho fatte
queste riflessioni sopra la santa regola, affinché faccia di essa la dovuta stima, e comprenda con
quanta ragione si canti a gloria del nostro santo Padre: Tu de vita monachorum sanctam scribis
regulam, quam qui amant et sequuntur, viam tenent regiam.
Asc,2268a:T12,5
Inoltre, dobbiamo riporre nell'esatta osservanza il maggior lustro e decoro del nostro monastero, e la
preziosa eredità che dobbiamo trasmettere a quelle che ci seguiranno, come è stata a noi trasmessa
da quelle che ci hanno precedute; e per comprendere quale sia l'importanza di conservare questo
deposito, rifletta che una figlia entrando in religione, segue d'ordinario la strada che trova battuta, e
più si appiglia a quello che vede praticarsi, che a quello che trova scritto, onde viene ad
incominciare il suo viaggio fuori di strada, per colpa di chi ha introdotta la inosservanza, la quale si
fa rea di tutte le funeste conseguenze, e questo tanto importa che la stessa S. dei Pazzi dice che
dobbiamo essere pronte a mettere la vita e il sangue prima che permettere il minimo allargamento
della regola, e che dobbiamo pensare ognuna ad essere sola ad osservare ogni minima cosa della
regola, e che da ognuna dipenda il vigore di essa, onde, supposto che lei si trovasse veramente sola
ad osservare qualche regola, dovrebbe anche con maggior impegno osservarla.
Asc,2268a:T13,1
Cap. 13. Per l'esame particolare
Nell'ora del Vespro, procuri di fare il suo esame particolare sopra l'acquisto di qualche virtù, o
l'emendazione di qualche difetto; essendo che la persona spirituale deve sempre avere in vista
qualche nuovo acquisto di virtù, per cui deve ordinare il suo esame particolare ed il frutto di sue
meditazioni e comunioni. Io molto le raccomando la pratica di questo esame, acciò l'anima sua non
divenga simile alla vigna dell'uomo pigro, della quale dice il Savio che passò per essa, e vide che la
siepe d'intorno era caduta e che ogni cosa era piena d'ortiche e di spine, onde, affinché l'anima sua
non cada in così misero stato, sia molto sollecita di valersi di questo mezzo, né mai desistere, né
perdersi d'animo per le difficoltà, e dica col S. Davide: Perseguiterò i miei nemici, e non mi
stancherò, né ritornerò addietro, sino a riportare vittoria di essi. Ma se desidero che il suo
desiderio della virtù sia ardente e sollecito in farle prendere costantemente i mezzi per acquistarla, è
pure necessario che sia paziente, altrimenti ne seguirà il perdersi d'animo, dicendo nel suo cuore:
questo mezzo non mi giova, poiché non acquisto la virtù che pure desidero, e credo che il Demonio
non lascerà d'adoperarsi per farle perdere ogni cosa con questi pensieri pusillanimi, perciò parmi
necessario il premunirla contro quest'astuzia del maligno, ossia della nostra infingardaggine. Però
rifletta essere la perfezione un lavoro di tutta la vita e che perciò dobbiamo almeno procurare che la
morte ci trovi con le armi in mano, cioè sollecite in servirsi di mezzi opportuni per farne acquisto.
Asc,2268a:T13,2
Secondo, si ricordi di quello che dice l'Autore dell'Imitazione di Cristo, cioè se cade quello che
propone gagliardamente spesso manca, ché farà quello che raramente e con poca fermezza
propone; e di più dice che se ogni anno emendassimo un solo difetto, saremo ben presto perfetti; mi
pare che ciò dica per insinuarci questo desiderio paziente, e perché non si emenda al certo un
difetto, senza che in conseguenza se ne emendino più altri; né si acquista una virtù, senza che se ne
acquistino in conseguenza più altre. Terzo, giudichi se opererebbe con senno chi avesse a fare
viaggio in una strada piena di ghiaccio, per cui frequentemente cade, e dopo essersi alzato molte
volte dicesse: è inutile che più mi alzi, poiché già prevedo che tornerò a cadere; è certo che così
facendo verrebbe a perire, in luogo che se perseverasse ad alzarsi ed a camminare, giungerebbe pure
finalmente al bramato termine. Animo dunque a perseverare, e dica che non profitta perché non ha
diffidato abbastanza di sé, né confidato unicamente in Dio, e che più si è appoggiata a mezzi, che
nel Divino favore, che perciò deve accrescere il suo ricorso a Dio con maggior umiltà; e se tra il
giorno farà atti della proposta virtù, ne renda subito a Dio le grazie, almeno col Deo gratias, e
cadendo nel difetto, farà un atto di pentimento, proponendo di ricominciare.
Asc,2268a:T14,1
Cap. 14. Dell'esame generale e del riposo
Asc,2268a:T14,1
Alla sera farà…
Alla sera farà esattamente l'esame generale prescritto, osservando i cinque punti.
Primo, ringrazierà Iddio dei benefici ricevuti, particolarmente in quel giorno.
Secondo, domanderà grazia di conoscere i mancamenti commessi, ed un vivo dolore dei suoi
peccati e fermo proposito.
Terzo, si esaminerà sopra i pensieri, parole, opere ed omissioni, massime delle ispirazioni non
corrisposte per l'avanzamento alla perfezione religiosa. L'esame non esigerà gran tempo, se
procurerà tra il giorno di stare sopra di sé e prenderà il lodevole costume di esaminarsi, terminate le
principali sue azioni.
Quarto, procurerà di concepire un vero pentimento delle sue colpe, non solo di quelle del giorno,
ma anche di quelle di tutta la vita che non si devono mai in generale perdere di vista.
Quinto, farà un fermo proponimento d'emendarsi, nel che si deve usare diligenza per non andare
avanti un dì dopo l'altro con gli stessi difetti.
Asc,2268a:T14,2
Indi offerisca i meriti di Gesù Cristo e le sue divine virtù in sconto dei suoi difetti. Prima di uscire
dal Coro dirà: Signore, io vorrei poter stare tutta questa notte avanti di Voi per amarVi, lodarVi,
ma poiché non posso tanto, supplico tutti gli angeli ed i Santi ad amarVi e lodarVi anche per me, ed
a questi rivolta dica: Adorate eum omnes Angeli ejus, laudate eum omnes virtutes ejus. Di poi,
prenderà la benedizione dal Signore dicendo, Benedicat nos Deus, Deus noster, benedicat nos Deus
e dicendo queste tre volte Deus, si ricordi che fa memoria della Ss. Trinità. Andando alla sua cella,
dirà un Agimus per tutto il bene che col divino aiuto ha fatto in quel giorno, ed un De profundis in
penitenza dei difetti commessi.
Asc,2268a:T14,3
Giunta in camera, posta ai piedi del Crocifisso, reciti il Te lucis ante terminum, etc. Dignare
Domine nocte ista con il rimanente del Te Deum. Indi, asperga il letto coll'acqua benedetta, poi dica
l'oremus Visita, quæsumus Domine, etc. Noctem quietam, etc. Custodi me Domine, etc. Salva nos
Domine, etc. Di poi bacerà devotamente le Ss.me Piaghe del Crocifisso come se ricevesse l'estrema
unzione, dicendo per ciascuna: Mio Gesù, perdonatemi i peccati che ho commesso con il gusto e le
parole, e nello stesso modo, con l'udito, con il tatto, baciando quella del Costato dirà: Mio Gesù
perdonate al mio cuore le sue ingratitudini, ve l'offerisco contrito e umiliato, desideroso di amarVi
unicamente; ed avrà intenzione nel fare quest'esercizio di chiedere il perdono dei peccati che con i
suoi sentimenti ha commessi, per i meriti dei patimenti che Gesù nei suoi ha sofferti. Farà poi il
seguente indirizzo: Mio Gesù, nel vostro amabilissimo Costato io intendo di riposare questa notte.
Beatissima Vergine, difendetemi dalle insidie del nemico infernale, e datemi la vostra santa
benedizione, Nos cum prole pia benedicat Virgo Maria. Ho intenzione, mio Gesù, che tutti i respiri
di questa notte siano tanti atti d'amore di Iddio; tutte le palpitazioni del mio cuore siano tanti atti di
contrizione e dolore dei miei peccati; tutti i movimenti del mio corpo, siano tanti atti di desiderio
d'unirmi a Voi e di goderVi nel santo Paradiso. Amen.
Asc,2268a:T14,4
Di poi, come riverente figlia bacerà la mano alla Ss.ma Vergine come a sua carissima e buona
Madre, dicendo intanto: Monstra, o Maria, te mihi veram esse Matrem, ama me usque in finem,
consolare me in extremis, et perduc me ubi cum Filio tuo te contempler et glorificem in sæcula
sæculorum. Magna Mater, suscipe filiam cum tota æternitate luctantem. Ad pedes tuos, piissima
Domina mea, vivere volo et mori cupio.
Indi levandosi il velo dirà: Signore, fate che mai mi scordi della morte, onde pronta sia sempre a
lasciare questa misera vita. Levandosi il frontale dirà: Signore, sciogliete i miei pensieri da tutto ciò
che m'impedisce l'unirmi a Voi. La sottogola, Signore concedetemi quella purezza di cuore che
conviene ad una vostra sposa. La cintura, Signore, Vi supplico a perdonarmi le mancanze
commesse nei santi voti. L'abito (che deve sempre baciare), Signore, spogliate l'anima mia da tutto
ciò che Vi dispiace. Poi si metterà in ginocchio, ed abbassando il capo sino a terra adorerà la Maestà
di Dio presente dicendo: Regi sæculorum immortali et invisibili, soli Deo honor et gloria in sæcula
sæculorum.
Asc,2268a:T14,5
Posta in letto…
Posta in letto, e preso tra le mani il Crocifisso dirà: O Cor Jesu dulcissimum, tibi commendo hac
nocte cor et corpus meum, ut in te dulciter requiescat, et quoniam ego obdormitura Deum laudare
nequeo, hoc tuum mi Jesu suavissimum cor pro me supplere dignetur. Amen.
Penserà poi come in simile atteggiamento si troverà alla morte, perciò come se avesse a morire, si
accosti alle labbra il Crocifisso dicendo: Hora mortis meus flatus intret, Jesu, tuum latus: hinc
expirans in te vadat, ne hunc leo trux invadat, sed apud te permaneat. In manus tuas Domine etc.,
con desiderio di esalare l'ultimo respiro nel Ss. Costato di Gesù, poi dica: In pace in idipsum
dormiam et requiescam. Con questi pensieri, prenda riposo nel sacro Cuore di Gesù, e tra le braccia
della Divina Misericordia. Svegliandosi tra la notte, volti subito il cuore a Dio, con queste o altre
giaculatorie: Anima mea desideravit te in nocte*1. Non dormitavit neque dormiet qui custodit
Israel*2. Media nocte clamor factus est: ecce sponsus venit*3. Illuminare his qui in tenebris etc.*4
Jesu esto mihi Jesu et salva me, ne permittas me separari a Te, quem Tu de nihilo creasti, et
proprio sanguine redemisti. Stella matutina ora pro me. Ave maris stella. Veni Jesu dulcissime, veni
divine amor, et Tu mihi somnia dispone. Fac me Jesu dulcissime, super pectus tuum requiescere.
Peto Domine, et desidero ut singulæ respirationes meæ hac nocte laudem, et honorem tibi
exhibeant.
Asc,2268a:T15,1
Cap. 15. Alcuni devoti pensieri e santi affetti per ricevere con spirito
d'amore tutto ciò che ci succede
Asc,2268a:T15,1
Giacché sei indegna del martirio…
Giacché sei indegna del martirio, eleggiti almeno per tuo tiranno l'amor divino, e soggettati
amorosamente a tutti gli strazi che vorrà fare di te: se ti vorrà lasciare ignuda, se ti torrà la libertà, se
ti priverà di tutte le comodità, se ti torrà l'onore, se ti leverà il senno, se ti martirizzerà il genio, se la
volontà, se ti torrà la sanità, se la vita, se non ti lascerà né tempo, né ora che sia tua, se ti torrà tutti i
mezzi spirituali, se ti negherà una stilla di consolazione, se ti cruccerà con le aridità, desolazioni,
tentazioni, tedi, e talvolta con le occupazioni esteriori.
Se ti strapazzerà, e ti vorrà sotto i piedi di tutti. Se ti condannerà per schiava perpetua delle sue
creature, senza lasciarti un'ora di respiro: sappi vivere in questo nobile martirio e spenderci il cuore
e la vita. Ordinariamente i martiri hanno patito per la fede, tu per carità, quelli per difendere la
parola di Dio, tu per dare gusto al Cuore divino, e per contentare il suo amore. Fatti cuore, perché il
tuo martirio può essere più degno, perché la carità è più degna della fede, ed inoltre il martirio
dell'amore è più lungo e senza colpa d'alcuno, viene da mano più nobile, apparisce meno al mondo,
e spesso più giova ai prossimi, perché si suole patire per giovarli. Le suggerisco qualche ispirazione
da fare tra il giorno.
Asc,2268a:T15,2
Nell'uscire di cella:
Vias tuas Domine demonstra mihi et semitas tuas edoce me.
Nell'andare:
Sequar te Domine quocumque ieris, quia verba vitæ æternæ tu habes.
Nell'ascendere le scale:
Datemi grazia, Signore, d'ascendere per la scala delle virtù, finché io giunga alla perfezione e
finalmente al possesso della gloria.
Nel ritornare in cella:
Aperite mihi portas justitiæ – justi intrabunt in ea.
Mirando il Crocifisso:
Ego sum tui plagæ doloris, tuæ culpa occisionis, merui mortem, peto vitam.
Al suono delle ore:
Offero tibi Pater quidquid dixero, fecero, cogitavero hac hora, utinam eam utiliter transigam ad
majorem tui gloriam.
Vedendo la pioggia:
Irriga, Domine, arentem animam meam, ut fructum bonæ operis reddat temporibus suis.
Vedendo la serenità:
Dissipa, Domine, a corde meo nebulas terrenorum affectuum, et lucis tuæ radius illustra animam
meam.
Mirando il Cielo:
O magna Domus Dei, quam vilis mihi fuisti; pænitet me Domine, da mihi constantiam in servitio
tuo. Cæli Cælorum laudate Deo.
Asc,2268a:T15,3
Mi rimane ancora d'avvertirla che le aspirazioni che le ho suggerite, particolarmente quelle della
mattina e della sera, non le ho poste per restringere ad esse il suo spirito, ma solo acciò non resti
oziosa, quando non se le presenta con che santamente occuparlo; onde se alla mattina, premessi i
primi atti nello svegliarsi, e detto il Vi adoro, se può tenere occupato il suo spirito intorno alla
meditazione che deve poi fare, o in altro che il Signore le metta in cuore, lasci liberamente le
piccole orazioni che le ho poste per il tempo che si veste. Così la sera, se si occupa in prevedere la
meditazione del seguente giorno, credo non possa usare migliore pratica. Vorrei pure che prima di
prendere sonno si prefiggesse l'uso che intende di fare dell'impetrazione e soddisfazione delle sue
opere per il giorno seguente, poiché deve sapere che ogni opera di pietà, di carità e di penitenza
contiene il merito, l'impetrazione e la soddisfazione. Il merito, si è quello che le aumenta la grazia
nella presente vita e la gloria nella futura, e questo è proprio della persona che opera.
L'impetrazione, può applicarla per ottenere le grazie per sé, o per altri. Così le soddisfazioni, può
applicarle per sconto dei suoi peccati, o per gli altrui, e massime per le sante anime del Purgatorio.
Ora questo indirizzo è quello che le consiglio di fare la sera, acciò non lo dimentichi nel giorno
seguente, oppure lo faccia quando già molte opere saranno trascorse, e le avvenga che dicendo nelle
litanie ora pro nobis, se fosse poi interrogata dalla Beata Vergine o dai Santi che cosa desideri che
le impetrino non lo sapesse, il che proviene dalla poca cognizione delle nostre miserie, del niente
che possiamo, e per ciò quanto bisognosi siamo del divino aiuto, e ciò è anche la cagione per cui sì
freddi siamo nelle preghiere.
Asc,2268a:T15,4
Benché la serie degli esercizi che in questo regolamento le ho proposti, tendino, se siano fedelmente
praticati, a raccogliere lo spirito, nondimeno parmi sarebbe manchevole questo indirizzo, se
omettessi d'inculcarle il santo esercizio della presenza di Dio; essendo questo il più importante e
senza del quale poco le gioverebbe quanto le ho proposto, non potendo uno spirito dissipato
praticare un virtuoso e stabile tenore di vita, ed al contrario, chi avesse questo spirito di
raccoglimento, non avrebbe d'uopo d'alcun indirizzo per ben regolare le sue azioni, perciò desidero
molto che si prenda a praticare con amore l'esercizio che si propone ogni mattina nel Noviziato, il
quale ne rende più facile la pratica con la varietà degli affetti, ed a continuarlo anche quando ne sia
uscita, onde glielo metto qui, acciò non le cada di memoria.
Asc,2268a:T15,5
Domenica, i Protettori saranno…
Domenica, i Protettori saranno i Santi Angeli. Si faranno atti frequenti di ringraziamento dei
benefici tanto generali che particolari alla D.M. [Divina Maestà], e per gratitudine cinque negazioni
di volontà, la giaculatoria Agimus. La presenza di Dio come Padre, Mio gran Dio, Vi adoro, Vi
onoro, V'amo, mio Padre, Vi ho disonorato con i miei peccati, Vi chiedo pietà.
Asc,2268a:T15,6
Lunedì, i Santi Patriarchi e Profeti. Si penserà spesso alla morte, con aver particolare memoria delle
anime del Purgatorio, e per suffragarle mezz'ora di silenzio, e dire spesso il requiem; mortificarsi
nel vedere la presenza di Dio come Re, la giaculatoria, Tu es ipse Rex meus, Deus meus et omnia,
mio caro Gesù Voi siete il mio Re, disprezzo dunque ogni altra cosa per Voi.
Asc,2268a:T15,7
Martedì, i Santi Apostoli e Discepoli del Signore. Si pregherà specialmente per l'esaltazione della
Santa Chiesa con dire spesso: Ut Ecclesiam tuam sanctam, etc. Ut inimicos sanctæ Ecclesiæ, etc.
Mortificarsi nell'udito. La presenza di Dio come Maestro, giaculatoria Mio caro Maestro Gesù,
insegnatemi a fare la vostra S. Volontà; Domine, doce me orare.
Asc,2268a:T15,8
Mercoledì, i Santi Martiri, chiedendo per i loro meriti un vero dolore dei nostri peccati, massime in
punto di morte, con raccomandarsi anche a S. Giuseppe, si pregherà particolarmente per gli
agonizzanti, con dire sovente: Te ergo quæsumus, tuis famulis subveni quos prætioso sanguine
redemisti. Mortificare il gusto. La presenza di Dio come Pastore, giaculatoria Mio buon Pastore,
pascete l'anima mia solo di Voi. Caro Gesù, caro Pastore, Voi siete il mio grato cibo, né d'altro
cibo mi diletterò, se non di Voi.
Asc,2268a:T15,9
Giovedì, i Santi Dottori. Si pregherà specialmente per la conversione dei peccatori, dicendo spesso:
Illuminare his qui in tenebris etc., ed anche: Gesù mio, misericordia. Sarà questo giorno dedicato ad
onore del Ss. Sacramento, perciò ogni volta che andremo in coro, dopo l'adorazione si bacerà la
terra con intenzione d'ottenere l'umiltà, ed oggi se ne farà tre atti per apparecchio alla Comunione.
La presenza di Dio come Giudice, giaculatoria Delicta juventutis meæ et ignorantias meas ne
memineris Domine. Mio sovrano Giudice, perdonate i miei delitti, come perdono a chi mi ha offesa.
Asc,2268a:T15,10
Venerdì, i Santi Confessori. Si pregherà per i tribolati, dicendo: Ne despicias, omnipotens Deus,
populum tuum in afflictione clamantem: sed propter gloriam nominis tui, tribulatis succurre
placatus per Dominum etc. Sarà dedicato questo giorno alla Passione del Nostro Signore. Si
praticherà la mortificazione di tutti i nostri sensi, con atti frequenti di contrizione. Si praticherà
l'obbedienza con maggior esattezza, un'ora di silenzio per le parole oziose. La presenza di Dio come
nostro Redentore, giaculatoria Gesù salute mia, tutta mi dono a Voi, io da Voi redenta col vostro
sangue prezioso, Vi prego a salvarmi, o Signore pietoso. O bone Jesu, quod minus est in me
dignare supplere pro me, offerens Patri sanguinem tuum pretiosum.
Asc,2268a:T15,11
Sabato, le Sante Vergini. Sarà specialmente dedicato alla Ss.ma Vergine. Si farà ricorso a Lei con
dire spesso, Regina virginum ora pro nobis, Virgo singularis; raccomandandoLe principalmente
tutte le persone che professano il nostro stato, supplicandola ad esserci Madre, ed ottenerci da Dio
tutte le virtù necessarie alla nostra salute, massime una perfetta confidenza in Dio, ed oggi se ne
farà tre atti per apparecchio alla Santa Comunione. La presenza di Dio come Medico, giaculatoria
Caro Gesù, sanate l'anima mia. Sana, Domine, animam meam, quia peccavi tibi. Sangue di Gesù,
lacrime di Maria, sanate l'anima mia.
Asc,2268a:T15,12
E questi riflessi…
E questi riflessi le serviranno come un porto, in cui il suo spirito prenda riposo in mezzo alle
distrazioni che seco portano le esterne occupazioni, e vivrà quella vita di fede di cui vive il giusto,
che consiste principalmente:
primo, in mirare Dio che sempre ci mira, Vide Videntem, ed in che meglio possiamo occupare il
nostro intelletto che in questo sguardo di fede; e quale miglior mezzo per evitare i difetti. Procuri
perciò di avvivare spesso questa fede della Divina Presenza, né si fermi nel solo intelletto, ma passi
ad esercitare qualche atto della volontà, Domine ut videam.
Secondo, udire Dio che ci parla, Audi loquentem, cioè renderci fedeli alla grazia con aderire alle
ispirazioni e prendere per regola del nostro vivere gli insegnamenti di Gesù Cristo.
Terzo, temere Dio che ci giudica, Time damnantem, e sarà questo il mezzo più valevole per operare
con pura intenzione e vincere gli umani rispetti.
Asc,2268a:T15,13
Il danno poi che ne proviene dal non applicarsi a questa vita di fede, raccolta ed interiore, si è il
vivere a sensi, alle passioni, ed all'amor proprio, onde lo spirito viene sempre più ad offuscarsi,
talché le massime più chiare del Vangelo non fanno più impressione, benché si abbia la sorte di
partecipare mediante la grazia santificante del dono dell'intelletto, il cui proprio officio è di far
comprendere e gustare con soavità queste massime, ma a cagione della dissipazione dello spirito, si
vive una vita piena d'imperfezioni, senza fortezza nella fede, senza conforto nella speranza, senza
ardore nella carità, senza desiderio di glorificare Dio, né di darGli gusto, e di più, in pericolo di
cadere in peccato. Deplorabile cecità vivere nell'amoroso seno di Dio senza conoscerLo, essere per
la grazia nello stato di Santi, e privarsi per aderire ai sensi della comunicazione che la Divina Bontà
si compiace di mantenere con i Santi, e che sempre aumenterebbe la nostra fede, confidenza ed
amore, e toglierebbe ben presto le nostre imperfezioni. Altro non aggiungo per inculcarle questo
santo esercizio della presenza di Dio, essendovi molti libri che ne trattano, né io qui intendo istruirla
del modo di praticare le virtù ed i santi esercizi, ma solo che si hanno da praticare, e tanto più
questo, che è come l'anima di tutti.
Asc,2268a:T16,1
Cap. 16. Dei giorni festivi
Asc,2268a:T16,1
I giorni festivi devono essere…
I giorni festivi devono essere consacrati al divin culto da ogni cristiano, come intende la Santa
Chiesa nel comandarli, quanto più dunque sarà dovere che noi religiose secondiamo questa sua
santa intenzione. Perciò quella che in detti giorni perdesse il tempo in oziosi discorsi, o chiedesse il
permesso di fare qualche lavoro per passare il tempo, ben dimostrerebbe di non intendere lo spirito,
e di avere poco zelo della sua perfezione, mentre si devono risguardare da noi come giorni di grazia
e di benedizioni, in cui volendoci il Signore disoccupate dalle esteriori faccende, ci invita, e pare
che goda (per dir così) di vederci ai suoi piedi, e ci esibisca favorevole udienza; onde, se ci sapremo
ben prevalere di essi, il nostro spirito prenderà nuove forze per avanzarsi nella perfezione, mediante
l'orazione che deve essere il principale esercizio di questi giorni, con assistere a più messe
potendolo, e dare qualche tempo di più alla meditazione e lezione, con fare la Via Crucis, ed altre
devozioni secondo il pio affetto, o le occorrenti festività, né ometta l'uso di recitare il santo rosario
nelle feste della Ss.ma Vergine, e nei giorni in cui si fa memoria di alcuno dei misteri del detto
rosario, né ometta pure in ogni Domenica, di leggere qualche capo della Dottrina Cristiana, benché
le sembri di saperla, e questo se lo tenga a cuore. Vorrei anche, che sovente in questi giorni, facesse
un poco di esame sopra i punti seguenti per rimettervi il suo spirito, caso che alquanto ne fosse
deviato, il che parmi le potrà molto giovare per mantenersi fedele nel divino servizio.
Asc,2268a:T16,2
Primo, se si prendono le cose spirituali con serietà, cioè con un certo impegno e stima grande, talché
ad esse si dia il primo luogo; di più, se si fanno con tutte quelle circostanze che noi conosciamo
richiedersi, acciò siano ben fatte, e questo molto importa, perché dalla negligenza nelle cose
spirituali nasce la tiepidezza; inoltre, se niente si trascuri dei mezzi che al lume di Dio si sono presi
per il nostro profitto, come sono, la fedeltà nei nostri propositi, la frequenza dei sacramenti, la
preparazione della mattina, l'esame particolare, e simili.
Asc,2268a:T16,3
Secondo, se con coraggio ed animo grande perché, come dice il Signore, il Regno dei Cieli patisce
violenza, e chi si fa violenza lo rapisce. Si persuada perciò, che solo nelle difficoltà si acquista la
vera virtù, talché Santa Maria Maddalena de Pazzi diceva: “Non so dare fede a quelle anime che in
tutta la loro vita hanno navigato un mare di dolcezza e di tranquillità, e in quello hanno acquistato la
loro perfezione, perché io so pure che non è vera virtù quella che non avrà il suo contrario di una
vera prova, qual è la tentazione e tribolazione, o da Dio o dalle creature o dallo stesso Demonio, e
se non c'è questa prova, le virtù saranno finte, e col tempo non resterà nell'anima effigie di virtù”.
Da ciò vede essere impossibile il perseverare ed avanzare senza grand'animo, poiché essendo molte
le difficoltà che nella strada della virtù s'incontrano, verremo perciò ad arrestarci ad ogni tratto, ed
anche disanimate a ritornare indietro.
E che questo così succeda, vuole dimostrarlo il Signore in una misteriosa visione a Santa Caterina
da Siena presentandole un albero di altezza e di bellezza superiore di gran lunga alle nostre volgari
piante, dai cui rami pendevano copiosi e gradevoli frutti, ma che non meno l'altezza del tronco, che
la folta siepe di pruni cresciuti intorno, rendevano alquanto difficile il salirvi sopra. Le pareva che
molta gente affamata, colà passando, si accostasse all'albero, ma sbigottiti dal timore di restare
punti, si perdevano d'animo rivoltando i passi indietro. Vi arrivavano poi altri più animosi, perché
non temendo le punture si accostavano al tronco, ma alzando l'occhio, ed accorgendosi che la
smisurata altezza richiedeva molto stento per salirvi, abbandonavano l'impresa. Dietro a costoro
altri venivano, dotati di spirito coraggioso e magnanimo, i quali dal tentare la salita fino alle altre
cime dell'albero, non ratteneva né il riguardo ai pungenti pruni, né le difficoltà da superarsi nel
dovere cotanto in alto salire; onde, benché non senza grave stento, colà giunti, coglievano e
gustavano a piacere loro di quei saporiti frutti, frutta di nutrimento cotanto sostanzioso che
impingua lo spirito e fa divenire robusto chiunque nauseando ogni altro cibo con quelle sole cerca
di sedare l'appetito della sua fame.
Asc,2268a:T16,4
Da questo si vede al vivo, quanto necessario sia il superare l'arduo della virtù, per godere poi anche
nella presente vita, le dolcezze ineffabili del divino amore. Coraggio dunque, ed animo grande, e
pensi che quelle difficoltà che incontra sono le spine sopra di cui animosa deve porre il piede, e ciò
le darà grande animo, e la disporrà a fare gran progresso nella virtù, dicendo S. Teresa che mai
conobbe persona coraggiosa che non la vedesse molto presto approfittata. Ma questo coraggio deve
essere accompagnato da umile preghiera, perché tutto deve appoggiarsi alla Potenza e Bontà del
Signore che può e vuole aiutarci, perciò quale fiducia dovremo avere in fare ricorso a Lui, per
domandarGli l'aiuto di cui abbisogniamo, per superare i nostri nemici, e mantenerci a Lui fedeli?
Quale preghiera piacerà più al Signore di questa? Perciò se manchiamo di fedeltà, non avremo
scusa, perché non ci siamo valse d'un mezzo tanto facile, per cui non v'è né luogo, né tempo in cui
non ce ne possiamo servire, un'occhiata amorosa ed umile a quel Dio che sempre è presente e che è
in noi, un sospiro pieno di fede con cui imploriamo il suo aiuto, e ciò subito che ci sentiamo
insorgere qualche motto di passione, subito, subito.
Asc,2268a:T16,5
Terzo, se con sincerità…
Terzo, se con sincerità non volendo, per dir così, venire a patti con Dio, dandoGli quello che meno
ci costa, e risparmiandoci in quello che più ci duole. Prova di questa sincerità si è la prontezza in
corrispondere alle ispirazioni, anche a costo dell'amor proprio, ed una fedele obbedienza a chi tiene
verso di lei il luogo di Dio, come pure il non aderire a certe massime che troppo si confanno alla
guasta natura, dandoci a credere che anche senza tanta custodia dei sensi, raccoglimento,
mortificazione, osservanza, etc. giungeremo alla perfezione. No, sia così sincero il nostro desiderio
di glorificare Iddio e di piacerGli, come quello del marinaio di giungere al porto, questo per
spingere avanti la sua nave, è disposto a fare gitto delle cose a sé più care; così noi dobbiamo essere
pronte a distaccarci da qualunque cosa quando Dio lo voglia, e a dare il colpo contro noi stesse, per
arrivare al nostro felice termine.
Asc,2268a:T16,6
Quarto, se con ilarità. Questo spirito di santa allegrezza è così necessario, che senza di esso direi
essere impossibile il perseverare, e se pure strascinando andremo adempiendo i nostri obblighi, ci
troveremo poi d'aver avanzato poco, perché il nostro operare sarà senza fervore. E come potrà un
tale operare piacere a Dio, dicendo S. Paolo che Dio ama il donatore allegro? Non dico però che si
debba operare con fervore di spirito, ossia con fervore sensibile, che ciò non è in mano nostra, ma
bensì con spirito di fervore, cioè con prontezza di volontà, per una volontaria compiacenza di
glorificare e dare gusto al Signore e godere di servirLo e d'adempiere la sua Santissima ed
Amabilissima Volontà.
Ma per avere questa santa allegrezza non le consiglio quell'allegrezza vana che si diffonde in risa,
facezie e continua dissipazione (benché pure desidero che a tempi debiti convenga, e contribuisca
con cordiale e vera giovialità alle comuni ricreazioni, che questo deve farsi, e può farsi con merito),
ma il modo di mantenersi sempre lieta, e che le sarà di grande aiuto al perseverare, si è quello che
consiglia il santo Re Davide dicendo: “Dilettatevi nel Signore, ed Egli adempirà le domande del
vostro cuore”; e che altro intende, che il consigliarci il dolce esercizio dell'amore di compiacenza
che consiste in rallegrarci del bene di Dio, della gloria di Dio, come bene nostro e gloria nostra, né
creda che questo amore solo si possa, o si debba esercitare in tempo di gran fervore sensibile, che
anzi con questo deve sollevare il suo spirito nelle afflizioni, dicendo, benché senza gusto: a me
basta che il mio Dio è stato, è di presente, e sarà eternamente incomprensibilmente beato, il mio Dio
sarà sempre Dio, sia però di me, quel che vuole il mio Dio.
Asc,2268a:T16,7
Inoltre, ciò che suole maggiormente affliggere chi desidera piacere a Dio, si è il conoscere le
tenebre della sua mente, la freddezza della sua volontà, ed il poco che fa per un Signore sì grande, e
che ha tanto merito d'essere servito, amato e glorificato dalle sue creature, ma questa cognizione,
benché debba tenerla sempre umiliata, non deve però farla cadere in pusillanimità, se ne serva
dunque per motivo a dire di cuore: mi rallegro che il mio Dio è degnamente conosciuto, amato e
glorificato, perché conosce, ama e glorifica se stesso; del rimanente ella deve avvezzarsi a
considerare Iddio come un Dio propizio, pietoso e clemente, il quale conosce la creta di cui siamo
formati, e la di cui bontà sorpassa infinitamente tutte le nostre miserie, sappia e rifletta spesso che
Dio si compiace di essere da lei considerato sotto questo aspetto di bontà e di clemenza infinita, a
fine che ella con un fiducioso ricorso, non tema d'invocarLo, in tutte le occorrenze, di aprirGli
incessantemente il suo cuore con una certa filiale confidenza, e di trattenersi dolcemente con Lui fra
giorno ed in ogni occasione, come con un amantissimo Padre di cui ella conosce la degnazione,
l'amore ed il cuore Paterno.
Asc,2268a:T16,8
Questa avvertenza è una delle principali che si debbono avere da chiunque brama la santa allegrezza
del cuore, e ben può essere certa un'anima, la quale si sia una volta avvezzata a rimirare Iddio sotto
questo verissimo aspetto, ed a trattare così con Lui che insensibilmente, ella diventerà superiore ai
suoi difetti e miserie per una parte, e per l'altra, a certi vani ma molesti timori ed a certe malinconie
scrupolose ed inette che il Demonio talvolta eccita, le quali tutte da quel commercio fiducioso con
Dio vengono dileguate, siccome la nebbia viene dileguata da un chiaro sole: così si terrà in santa
allegrezza per fare dispetto al Demonio che procura di togliergliela anche con pretesto di virtù,
massime di falsa umiltà per poter meglio pescare nel torbido, sapendo bene il maligno quanto giovi
ad un'anima lo staccarsi dalle creature ed il vivere raccolta in sé, che però procura di turbarla e
riempirla di malinconia, al fine di costringerla a cercare con la dissipazione qualche alleviamento; e
questo è ciò che pretende il nemico per tenderle poi maggiori insidie; al contrario, se ella procura
tenersi quieta, allegra, potrà in tutto ed in sé rimirare Dio con occhio di fede; con impeto di speranza
staccarsi da sé e da tutto ed aspirare a Dio; con violenza di carità nauseando ogni diletto terreno,
non compiacersi che in Dio; non pensando, non amando, non volendo che la sola volontà di Dio, la
pura gloria di Dio.
Asc,2268a:T16,9
Un altro mezzo ancora le suggerisco valevole a mantenerla nella interna pace ed allegrezza, ed è
l'esercizio costante dell'umiltà ed obbedienza, poiché l'umiltà ci tiene nella soggezione che
dobbiamo a Dio, rendendoci conformi alla sua santa Volontà, in tutto ciò che di noi dispone o
permette che ci avvenga, sicché ci fa volere quello che Egli fa; con l'obbedienza poi, noi veniamo a
fare ciò che Egli vuole, eseguendo fedelmente i suoi precetti e consigli, ed aderendo alle sante
ispirazioni quando veramente le riconosciamo per tali, senza di che, non si può sperare d'aver pace,
essendo scritto “chi mai le resistette, ed ebbe pace?” Di più, l'umiltà ci spoglia d'ogni vana
pretensione mercé il basso sentimento che di noi ci inspira, e con questo sentimento della nostra
insufficienza, noi dobbiamo abbandonarci senza riserva nella santa obbedienza, diffidando della
propria volontà collegata sempre con l'amor proprio, non stimandoci abili che a quanto dalla
obbedienza ci viene prescritto, talché l'umiltà ci renda obbedienti, e l'obbedienza tenga da noi
lontana la falsa umiltà che ci rende pusillanimi, ed anche con pretesti di virtù ci porta a fare la
volontà propria.
Asc,2268a:T17,1
Cap. 17. Della confessione
Una delle maggiori felicità che gode una religiosa si è il poter spesso frequentare i santi Sacramenti,
deve però porre ogni diligenza per rendersi fruttuosa questa frequenza; io per altro non imprendo ad
istruirla sopra la maniera di ben disporsi, essendovi molti libri che di ciò trattano; ma mi restringo
solo a suggerirle alcune avvertenze che secondo il nostro stato parmi ci possano giovare. La prima
sia di non trattenersi a discorrere mentre attende per confessarsi, perché oltre il disturbo che si reca
alle altre, ciò potrebbe indicare poca stima dell'azione che sta per fare, parlando in tempo in cui
dovrebbe con pensieri di fede eccitare il suo cuore alla più intensa compunzione, mentre, benché si
trovi a sufficienza preparata, ben sa che a misura che cresce la sua contrizione, crescerà il merito
della sua confessione, e la diminuzione delle pene temporali dovute ai suoi peccati.
Asc,2268a:T17,2
La seconda sia di tenere un ordine stabile di confessarsi due volte, o almeno una volta la settimana,
né mai omettere questa pratica se non per obbedienza o carità, ma non variare, o per parerle che ne
cava poco frutto, o perché il confessore non le va troppo a genio; no, si tenga stabile, tanto con i
confessori ordinari che straordinari. Per evitare poi queste incostanze, le gioverà l'avvezzarsi a
camminare con fede, confidando l'anima sua non al governo degli uomini, ma di Dio, e portarsi ai
piedi dei suoi Ministri come si porterebbe ai piedi dello stesso Gesù Cristo, mirandoli come
interpreti dei suoi voleri, così non si attacherà di soverchio ad essi, con stare poi molto tempo
turbata quando si hanno da cangiare, ma penserà che il Signore non vuole più indicare i suoi voleri
per mezzo di quella persona, e con uguale confidenza procederà con ognuno, né darà luogo a certe
avversioni nocive. Non s'induca, senza qualche motivo legittimo, a voler confessore particolare con
discostarsi senza cagione dalla S. regola che dice: Si confesseranno ogni otto giorni dal Padre
Confessore ordinario. Sia certa di godere d'una speciale provvidenza del Signore per il regolamento
di sua coscienza, mentre lei per obbedirlo, a quelli che vengono da Lui destinati la confida.
Asc,2268a:T17,3
Non badi alle loro qualità naturali, ma se con buone maniere la consolano, pensi che Dio è quello
che con tale mezzo la vuole consolare, se le sembra che la ributtino, non se ne offenda, né si turbi,
ma porti con pace la sua pena, pensando che il Signore vuole lasciarla un poco patire; a Lui con
fiducia ricorra, e sia certa che, non dando sfogo a questi dispiaceri con lamenti, il Signore la renderà
consolata. Seguiti poi a procedere col confessore con la stessa confidenza e sommessione, né ciò le
sarà troppo difficile, se come dissi cammina in fede ed apporta alla confessione un sincero dolore
delle sue colpe, questo toglierà dalla sua mente tanti riflessi inutili che diminuiscono la confidenza
col confessore. Consideri la Maddalena ai piedi di Gesù Cristo in circostanze che secondo gli umani
riflessi l'avrebbero dovuta trattenere, ma la sua mente penetrata dalla grandezza del suo male, non
dà luogo ad altri pensieri, che a cercarne il rimedio; così lei eviterà molti intoppi che il Demonio e
l'amor proprio si sforzeranno di metterle per diminuire almeno, il merito ed il profitto delle sue
confessioni, se procurerà che sempre siano accompagnate da un vivissimo dolore.
Asc,2268a:T17,4
Si ricordi poi essere questo un tribunale di misericordia sì, ma anche di giustizia, che perciò, se il
Signore le fa sentire qualche peso in fare quest'azione, questo deve essere contenta di portare in
spirito di penitenza; e procuri di non essere troppo tenera sopra se stessa, ma con animo generoso ed
umile, cerchi il suo rimedio, non il suo contento; insomma proceda nella direzione di sua coscienza
come chi si ciba solo per vivere, che si contenta d'un cibo sostanzioso, senza molto curarsi
d'intingoli. Di più, professi al suo confessore un'esatta obbedienza, essendo questa la strada più
sicura lasciataci dalla Divina Bontà per sicurezza e pace della nostra coscienza, e per opporre
qualche scudo alle turbazioni che il nemico procura ognora di suscitare nel nostro interno, e
particolarmente nel tempo della morte. Obbedisca con fede, come allo stesso Dio, avendo detto il
nostro divin Salvatore: Chi ascolta voi, ascolta me. Sia segretissima di quanto le dice il confessore
non comunicandolo alle sorelle, che da questo ne possono nascere molti inconvenienti, ne parli
sempre con stima, e si faccia coscienza di non essere cagione che alcuna, per sua imprudenza, ne
venisse a diminuire la confidenza (e questa cautela deve anche aversi riguardo ai superiori).
Asc,2268a:T17,5
Non si lasci poi mai entrare in cuore una certa gelosia che il confessore si trattenga più con altre che
con lei, ma con spirito franco vada, quando ne tiene bisogno, senza pretendere d'essere ricercata,
dica quanto le occorre senza aspettare d'essere interrogata, né badi alle altre; se molto si fermano ne
avranno necessità, ma quanto a lei, si attenga alla S. regola che ingiunge la schiettezza e brevità.
Tale è pure il sentimento di S. Caterina da Siena che vedeva le cose in verità. Ella scrivendo ad una
sua nipote monaca le dice così: Al confessore dì il tuo bisogno e fuggi. Tenga stabile questa
massima che è di somma importanza; sia con lui civile, di poche parole, non gli dia mai il minimo
dispiacere, parli solo di sé, né mai gli faccia alcun rapporto, perché anche in confessionale, talvolta
santamente si mormora.
Asc,2268a:T18,1
Cap. 18. Della S. Comunione
Circa la S. Comunione quel che mi preme d'inculcarle si è che procuri di vivere in maniera di non
trovarsi nella dura necessità di lasciarne alcuna, sia di regola o di consuetudine, e di superare quelle
difficoltà che gliene possono intiepidire il desiderio, una delle quali sarebbe lo scorgere in sé il poco
profitto che ne ricava; e certamente, è dovere di chi frequenta la S. Comunione il procurare una
seria emendazione dei suoi difetti, e che risplenda in tale persona lo spirito di Gesù Cristo, spirito di
carità, di mansuetudine e di umiltà; ma il lasciare la santa Comunione è forse un mezzo per
acquistare questo spirito? No certo, dunque a quest'effetto deve accostarsi per ottenere dalla divina
misericordia la forza di vincere le sue passioni, e porre dal canto suo tutti i mezzi necessari per
sottometterle, e se procurerà per mezzo d'una viva fede di accendere nel suo cuore un ardente
desiderio di ricevere il suo Signore, questo desiderio le sarà un forte stimolo a vincere se stessa, e la
renderà pronta a sacrificare ogni cosa, piuttosto che privarsi di un tanto bene.
Asc,2268a:T18,2
Siccome già fecero molti dei sudditi di Enrico VIII re d'Inghilterra, ai quali avendo questo re
divenuto eretico proibita la santa Comunione con pena pecuniaria a chi vi si accostasse, questi udito
un tale ordine, vendettero i loro stabili, ed apparecchiarono la somma da pagare per ogni
comunione, senza volere per questo diminuirne la frequenza; onde se questa fede stimolò secolari a
sacrificare le sostanze, e indi la vita, quanto più dovrà essere di stimolo ad una religiosa a cui corre
obbligo di tendere alla perfezione. Ma molte volte avviene che questo poco profitto sia un timore
che mette il Demonio, non essendo sì facile lo scorgere il proprio avanzamento; perciò abbia sincera
volontà di mai commettere alcun peccato neanche veniale volontariamente, e riconosca come frutto
della frequente comunione, il vivere stabilmente in grazia di Dio, ed il desiderio di servirLo e
piacerGli in tutto.
Asc,2268a:T18,3
Un altro motivo la potrebbe indurre a lasciare molte volte la S. comunione, ed è il patire di sonno
nel tempo della preparazione, ma neppure vorrei che per questo si lasciasse (supposto che non vi sia
una volontaria negligenza), ma vorrei che nell'orazione della sera antecedente facesse la sua
preparazione, e che questo fosse l'ultimo suo pensiero nel prendere sonno ed il primo nello
svegliarsi, impiegando tutto il tempo antecedente al mattutino in atti di fede, di umiltà, di amore, di
desiderio, e poi ancorché nel tempo dell'apparecchio il suo spirito resti alquanto assopito, non per
ciò la lasciasse, perché, o questo sonno è cagionato dal Demonio, e lasciandola quello ne avrebbe il
suo intento e lei ne sarebbe sempre più molestata, o procede da necessità, ed io credo che la
violenza che si fa per intervenire stabilmente al mattutino piacerà al Signore e le servirà di
preparazione.
Asc,2268a:T18,4
Ma come molte sono le astuzie con cui procura il Demonio di allontanare le anime da un tanto bene,
le dico per tutte, che le sarà agevole l'evitarle se cammina con fervore, perché in tale caso esporrà a
chi deve i suoi dubbi e timori, e poi si lascerà con intera semplicità regolare dalla obbedienza;
all'opposto se vi entra la tiepidezza, entreranno anche i pretesti, o di lasciarla a suo talento o di
produrre ragioni mendicate per farsi dare risposte a suo modo; né si creda d'incorrere in minor male
in lasciarla quando si sente distratta, svogliata e tiepida, anzi le dico che ne incorre in molto
maggiore, perché se in luogo di scuotere la tiepidezza, avvivando la fede del gran bene che
dall'accostarsi al Signore gliene proviene, ed avendo dispiacere di non essere più fervente, a Lui si
accosta con umiltà e desiderio di servirLo meglio, se invece dico di così fare da Lui si allontana,
non solo si rimarrà ognora più tiepida, ma corre rischio di rimanere del tutto fredda. No, non fugga
la faccia del suo Signore alla vista delle sue colpe, come Caino, ma si getti in seno della sua
misericordia che certamente, se procede con verità, troverà rimedio per ogni cosa. Si figuri quando
le viene questa tentazione di lasciare di comunicarsi, che il Signore le dica da quella finestrella per
cui in quel giorno si dà alle altre, quelle parole che disse entrando in Gerusalemme: Se tu conoscessi
il gran bene che in questo giorno io ti esibisco per la tua pace, ancora tu correresti ad accogliermi.
Procuri poi quando vi si accosta quella maggior disposizione che le sia possibile, sì per la riverenza
dovuta al Signore, sì per ricevere quel maggior aumento di grazia proporzionato alle sue
disposizioni.
Asc,2268a:T18,5
Perciò il giorno antecedente pratichi maggior mortificazione, con esercitarsi in molti atti interni di
virtù, massime di desiderio e di amore, faccia qualche particolare preghiera alla Ss. Vergine ed a S.
Giuseppe, acciò si degnino parteciparle un poco del loro amore e riverenza con cui trattarono per
tanti anni con Gesù Cristo. Offerisca a Gesù il cuore umile, puro e ardente di Maria Ss. con varie
offerte della Passione di Gesù Cristo. Questa pratica fu comandata da nostro Signore a S. Maria
Maddalena de Pazzi dicendole: “Dalle ventidue ore sino a che hai a ricevermi, starai in continua
offerta della mia Passione, di te stessa, e delle creature mie al mio Eterno Padre, e questo ti sarà in
preparazione a ricevermi”.
Asc,2268a:T18,6
Offerisca ancora le virtù dei Santi di cui si celebra in quel giorno la memoria, avendo il Signore
mostrato di gradire questa offerta con far vedere a Santa Gertrude una delle sue monache adorna
nell'atto di comunicarsi delle virtù di S. Benedetto di cui correva la festa, perché gliele aveva
offerte. Vi si accosti per quei nobilissimi fini che ebbe Gesù nell'instituire questo Augustissimo
Sacramento, e desideri, se fosse possibile, di riceverlo con quell'amore con cui Egli a noi ne viene.
Sia poi santamente avara del tempo che tiene Gesù in sé, Lo stringa al seno come il Santo Simeone,
e l'offerisca al Divin Padre per glorificarLo, ringraziarLo, e chiederGli per suo mezzo le grazie che
abbisognano. Si getti ai suoi piedi come la Maddalena, chiedendoGli perdono delle sue colpe;
insomma, procuri trattenersi con Lui quanto le sia possibile, con amore ed umiltà; né si contenti di
un affettuoso rendimento di grazie, ma procuri ancora di ringraziarLo con le opere, cioè di serbare
tra il giorno una più esatta custodia del suo cuore e dei suoi sensi, una maggior esattezza nelle cose
spirituali, una inalterabile dolcezza nel trattare col prossimo, perché chi si accosta, anzi si unisce a
Gesù Cristo, deve ricopiarne lo spirito. Proponga in particolare, la pratica di quella virtù, o
l'emendazione di quel difetto che fa il soggetto del suo esame particolare.
Asc,2268a:T18,7
Ma se la desidero ansiosa di ricevere spesso il suo Signore, la desidero ancora altrettanto umile per
non appontarsi col confessore se le venga negato, che questo sarebbe una grande presunzione,
preghi ed esponga il suo desiderio con umiltà, e poi si quieti, benché ne senta pena, faccia un buon
uso di questa mortificazione, e creda che il Signore abbia disposto che le venisse negata per
avvertirla a prepararsi meglio. Se poi il confessore permette delle comunioni straordinarie, non mai
vi si opponga, come pure se permette a qualche particolare una maggior frequenza, ne abbia una
santa invidia, ma non biasimi la condotta, né di chi la permette, né di chi vi si accosta; finalmente,
chi mangia non rimproveri chi digiuna e chi digiuna, non rimproveri chi mangia.
Asc,2268a:T19,1
Cap. 19. Del ritiro del mese
Asc,2268a:T19,1
Un altro mezzo le propongo…
Un altro mezzo le propongo per tenersi stabile nella strada della perfezione, ed è il fare ogni mese
un giorno di ritiro, e vorrei che lo facesse con tutto l'impegno, come fa ora nel noviziato. Si guardi
di lasciarsi entrare in capo quell'inganno che per trovarsi in un officio, in cui non può avere un
giorno tutto libero per potervi attendere, sia meglio non lo fare; questo è un consiglio della
tiepidezza che induce con vani pretesti a non fare nulla, perché non si può fare tutto. Ma come si
vede chiaro che male la discorrerebbe chi, per non poter fare un pranzo di mezz'ora, lasciasse di
farlo di un quarto, e si rimanesse tutto il giorno digiuno, così può facilmente scorgersi
l'insussistenza di questa scusa; onde non la pensi così, ma lo faccia al meglio che può, e sempre lo
faccia, benché non avesse tempo che di fare una sola meditazione ed un esame sopra lo scorso
mese.
Asc,2268a:T19,2
Mantenga l'uso di fare alla prima occasione la confessione dei mancamenti commessi in quel mese
(se però il confessore giudica che le sia utile), e non perda di vista l'anima sua per quante
occupazioni possa avere, perché è incredibile con quanta facilità vi entri la negligenza, la
dissipazione e la tiepidezza, talché poi quando si rientra in sé, vi si scorgono tanti difetti che fanno
dare in pusillanimità, ed invece di porvi pronto rimedio, si volge altrove lo sguardo, e si tira avanti
per attendere, sì dice d'avere tempo per fare un ritiro compito; ma se vuole procedere con vera
prudenza, non si contenti mai di risoluzioni che non si adattano alla presente sua situazione, per
quanto buone le sembrino, perché queste sono il giuoco del Demonio che con queste tiene a bada il
nostro spirito, facendoci perdere il tempo presente, e di poi altre macchine preparerà per sturbarci
l'esecuzione di esse, giunto che sia il tempo di eseguirle; tanto più che questo avvenire è così incerto
che il disporre di esso è disporre di ciò che non è in nostro potere.
Asc,2268a:T19,3
Se poi possa dare a questo santo ritiro un giorno intero, faccia in esso quattro meditazioni e due
letture di mezz'ora, e due esami di un quarto, con la preparazione alla morte. Circa tutte queste cose
potrà servirsi del libro del P. Pinamonti intitolato “La religiosa in solitudine”. Vorrei pure che desse
qualche pensiero al come vorrebbe in morte essersi diportata verso Dio, verso il prossimo, e verso
se stessa, e spero riporterà molto utile da un tal riflesso. Gli esami saranno uno sopra lo scorso
mese, e l'altro sopra la virtù che fa il soggetto del suo esame particolare, e quest'esame troverà nel
libro che le ho additato. Io voglio solo metterle sotto l'occhio i caratteri di due virtù che direi siano
come i due poli della vita spirituale, cioè la carità e l'umiltà. Queste vanno unite come le due coppe
della bilancia, talché se una deve innalzarsi, deve necessariamente abbassarsi l'altra.
Asc,2268a:T19,4
Con queste cammineremo sicure nel burrascoso mare della presente vita, mentre la carità,
riempiendoci di santa fiducia, ci animerà al corso, e l'umiltà con salutare timore ci farà avvertire i
pericoli che si possono incorrere; perciò si avvezzi a considerare spesso la divina bontà e la sua
miseria, queste siano come due compagne che si tenga sempre a lato, ammiri la divina bontà che
l'ama nonostante le offese da lei ricevute, la sopporta nelle presenti sue imperfezioni, e di più,
continuamente la benefica. A questi riflessi il suo cuore si accenderà di santo amore, di gratitudine e
di desiderio di corrisponderli, ma come meglio può mostrarGli la sua corrispondenza che con
amare, sopportare e beneficare il suo prossimo, essendosi il nostro Amantissimo Redentore
dichiarato che avrebbe ricevuto, come fatto a Lui stesso, ciò che noi avessimo fatto al nostro
prossimo. E questo è il principale carattere a cui possiamo conoscere, se veramente amiamo il
nostro Dio, e senza di questo, per quanti esercizi di devozione noi facessimo, invano ci lunsighiamo
di amarLo, e neanche di fare alcun progresso nella perfezione, ed al contrario la carità come regina
introduce tutte le virtù nell'anima e le nutrisce; il che parmi ben dichiari un fatto che si legge nella
vita del Beato Simeone di Roxas, il quale essendosi portato una mattina nella cucina del suo
convento per mettere al fuoco una pentola che doveva servire per il pranzo di molti poveri, il cuoco
troppo di malumore non vuole mai che ve la mettesse, dicendo non esservi luogo. Il Beato cedette
(benché guardiano) e la portò nel cortile dove, con alcuni pochi stecchi da lui raccolti, tosto si mise
a bollire. All'incontro, per quanto si adoperasse il cuoco per far cuocere le vivande dei religiosi, mai
non gli fu possibile neanche che si riscaldassero, onde avvedutosi del suo errore andò a chiedere
perdono al suo guardiano, e lo pregò a permettergli mettesse al comune fuocolaio la sua pentola che
cuoceva nel cortile, e ben si appose, perché appena l'ebbe messa che tutte le altre incominciarono a
bollire, e così poté apprestare il suo pranzo.
Asc,2268a:T19,5
Dunque quando non sente più quell'ardore nel divino servizio, e si trova arida, svogliata, tiepida, e
come arenata nella strada della virtù, esamini come si trova circa la carità, e procuri d'infervorarsi
nell'amore di Dio, e questo amore la spingerà all'amore del prossimo, sicché la sua carità sia santa
nel suo motivo, perciò universale, e che sia di cuore, di lingua, di opere. Inoltre chi desidera
avanzarsi nell'amore di Dio procura con ogni studio serio, ma non inquieto:
primo una gran mondezza di cuore dai peccati veniali deliberati;
secondo un vero distacco dalle creature e da se stessa, amando di negare la propria volontà per
appagare quella di Dio;
terzo un continuo esercizio di mortificazione interna ed esterna;
quarto la presenza di Dio, con atti interni di fede, di speranza, e massime di amore, di offerte, di
ringraziamenti;
quinto una gran prontezza ed affetto alle divine lodi in coro, con pari devozione e riverenza a tutto
ciò che spetta al divin culto;
sesto un ritiramento in cella, spontaneo, gradevole, per trattare più liberamente con Dio;
settimo un gran desiderio della Ss. comunione, e premura di starsene più che può, ai piedi di Gesù
sacramentato, trattenendosi in mille atti amorosi;
ottavo un gran sentimento delle offese che riceve dalle sue creature, con desiderio d'impedirle e
risarcirle, quanto le sia possibile, con preghiere ed ossequi;
finalmente, una sollecita vigilanza sopra i suoi affetti, acciò non si allaccino in umane amicizie, il
che può facilmente succedere massime in chi vive in comunità.
Asc,2268a:T19,6
Onde affinché…
Onde affinché ella non possa prendere scambio, e la sua carità non vada degenerando con
grandissimo suo pregiudizio, le pongo qui gli indizi che propone S. Bonaventura, nei quali, come in
uno specchio, potrà discernere le macchie dei suoi affetti.
Primo, l'amore santo si diletta di discorsi spirituali, utili ed edificativi, e l'umano in ragionamenti
vani, leggeri ed affettuosi.
Secondo, lo spirituale procede sempre con la modestia negli occhi e la decenza nel tratto; l'altro è
libero negli sguardi, scomposto negli atteggiamenti.
Terzo, il buono poco pensa alla persona che ama quando è lontana, e se vi pensa è solo per
raccomandarla a Dio; il meno buono vi pensa sempre anche nel tempo dell'orazione, quando
dovrebbe stare sola con Dio, né può cancellarla dalla mente.
Quarto, l'amore santo come è universale, è disappassionato, desidera che il bene che egli vuole alla
tale persona, glielo vogliano gli altri ancora; l'umano è pieno di torbide gelosie, si rattrista che altre
amino la sua amica, che trattino con lei, che le entrino in grazia, temendo essa di decaderne.
Quinto, l'amore virtuoso sopporta qualche sgarbo dalla persona che ama, né se ne offende; l'amore
imperfetto non lo può tollerare, dà in rimproveri dei benefici fatti, in contese, sebbene poi tutta la
guerra va a finire in una lega più stretta.
Sesto, l'amore spirituale non è amico dei donativi; al contrario l'altro è amicissimo di conciliarsi
l'altrui affetto coi doni.
Settimo, l'amore santo inclina a scoprire a chi ama i suoi difetti, perché come li odia in sé, così li
aborrisce nella persona che ama; all'opposto, l'amore vano li ricopre, li scusa, li difende, adula
l'amica, perché tutta la sua premura non consiste in volere il suo vero bene, ma in non perdere il suo
affetto. Si tengano dunque sotto gli occhi questi contrassegni, e sia certa che il Demonio non la
potrà far travedere, e sgombro così il suo cuore dagli umani affetti, darà luogo al Santo Divino
amore che è la vita delle nostre anime, e tutto il suo vivere sarà carità.
Asc,2268a:T19,7
Quanto all'umiltà, essa è tanto necessaria, quanto è necessaria la Divina grazia al nostro ben
operare, perché questa grazia si nega ai superbi e solo si concede agli umili. Di più è necessaria per
conservare il bene operato, e chi senza di essa aduna quanto si voglia di bene, non fa che adunare
paglie al vento; e tutte le più funeste cadute, dal mancamento di umiltà, riconoscono la loro origine,
essendo queste permesse da Dio per umiliare i cuori superbi da lui tanto odiati; perciò non ometta di
chiedere instantemente al Signore questa virtù, e di prendere spesso per soggetto delle sue
meditazioni quelle che pone il P. Pinamonti nel suo libricino dello Specchio che non inganna, con le
quali potrà fondarsi bene nella propria cognizione, la quale viene chiamata da S. Teresa, pane che
deve mangiarsi con ogni vivanda, per significare che in qualunque stato in cui la persona si trovi,
non la deve perdere di vista; troverà pure nel detto libro, la pratica dell'umiltà verso Dio, col
prossimo e con se stessa; perciò mi ristringo solo a farle osservare alcuni caratteri di questa virtù.
Asc,2268a:T19,8
Primo: il vero umile di cuore, mai non parla con poca estimazione d'alcuno.
Secondo: non dice parola che possa ridondare in sua lode.
Terzo: se viene ripreso o tace senza scusarsi, o essendovi giusta causa di palesare il vero, lo fa con
termini ristretti, precisi, con pace, senza punto di empito, a puro fine che la verità sia manifestata.
Quarto: se viene lodato meritevolmente tace, e mirando la cosa ben fatta come dono di Dio, ad esso
dirizza le lodi, ed in se medesimo vie più si abbassa; se poi la lode presupponga ciò che non è, dice
semplicemente senza fiocchi non essere vero.
Quinto: se viene ripreso, accetta di buon cuore la correzione, la quale reputa sempre minore del suo
demerito.
Sesto: il suo portamento è niente affettato, arioso o altiero, ma riverente, dolce, arrendevole, senza
mai, per quanto può, sturbare o incomodare alcuno, e molto meno contraddire, ove la necessità non
lo richieda, e se deve contraddire per difesa o dell'osservanza, o dell'innocenza altrui, lo fa senza ira,
senza ostentazione, e fino a quel grado che non oltrepassi i confini.
Settimo: si contenta del comune ed anche del peggiore, senza mai lamentarsi del trattamento,
fuggendo a tutta possa ogni distinzione.
Ottavo: non si risente dei suoi dispregi ed irrisioni, né che non sia fatto conto alcuno della sua
persona e delle cose sue.
Finalmente assolve ognuna (per dir così) dal dovergli amore, sopporto, aiuto; e procura dal canto
suo di amare, sopportare ed aiutare ognuna; pronta, se per umana debolezza offende alcuna, a dargli
soddisfazione nella migliore maniera, essendo questa virtù inseparabile dalla vera carità, ed
aiutandosi esse scambievolmente. Procuri dunque sopra questa idea, andare formando il suo spirito
in sincera umiltà, che oltre al portarle nel cuore una dolce pace, la renderà sempre più disposta a
godere gli effetti della divina liberalità poiché osservò in se stessa S. Teresa che mai il Signore le
fece qualche insigne favore che non le desse prima sentimenti di profonda umiltà.
Asc,2268a:T20,1
Cap. 20. In tempo di malattia
Potendo succedere che nelle infermità, invece di secondare gli amorosi fini per cui la Divina
Provvidenza ce le invia, il nostro spirito cada in rilassamento, perciò parmi necessario di premunirla
acciò non venga a perdere il gran tesoro di meriti che può accumulare ed il suo spirito non ne riporti
alcun discapito. Dunque il primo avvertimento sia di sovvenirsi, che l'infermità non la disobbliga di
tendere alla perfezione religiosa, ma soltanto ne cangia i mezzi, ed il Demonio collegato coll'amor
proprio, nemico del patire per farci perdere questi, ci fa porre il pensiero nel bene che faremo,
essendo sane.
Asc,2268a:T20,2
Frattanto, pascendoci di questi desideri che non possono effettuarsi, perdiamo il bene della
rassegnazione, e trascuriamo quello che col divino aiuto sta in nostra mano, ed è portarci con virtù
nello stato presente, il che dovremo sempre avere in vista in qualunque circostanza, o stato che ci
trovassimo, che così facendo, non ne sarebbe alcuno che non fosse per noi un mezzo di salute. Le
gioverà anche molto questa avvertenza di mirare sempre al bene che può fare nello stato in cui la
pone il Signore, e di esso solo occuparsi, e le sarà di grande aiuto quando Egli la chiami a sé, perché
allora non potrà fare cosa più grata al Signore e di maggior suo utile, quanto il rassegnarsi con la più
umile sommessione al suo santo volere. Ma il nemico le metterà in capo delle belle idee di fare una
vita molto più santa, se le fosse prolungata, e che non avrebbe poi da stare tanto nel Purgatorio; e
con questi pretesti di virtù, le toglierebbe il maggior bene, anzi l'unico che possa fare, che è pensare
a morire con virtù, ed è pure quello per cui il Signore le esibisce la grazia per poterlo fare, se ella
vuole corrisponderGli.
Asc,2268a:T20,3
Onde per non cadere in questa illusione, deve bensì dolersi di non aver approfittato del tempo per
glorificare il suo Dio con una santa vita, e desiderare se le fosse prolungata di farlo; ma supposto
che non le sia concesso, ella sacrifica di buon cuore tutti questi desideri al solo dominante desiderio
di fare la volontà santissima di Dio, confessando umilmente che merita le siano troncati quei giorni
di cui sì poco si è approfittata, e di pagare nel Purgatorio quei debiti a cui spontaneamente non ha
soddisfatto, (e questo sia detto per incidenza), e prosieguo a dimostrarle come possa rendersi mezzi
di salute per l'anima le corporali infermità.
Conviene dunque esercitare la fede, credendo che viene da Dio che Egli l'ha disposta ab æterno per
sua gloria e nostro bene, e ce l'ha inviata in quel tempo e in quella maniera che era più convenevole
ai suoi disegni, la qual cosa è molto da notarsi, ed è una sorgente di dolcissima pace. Appresso
conviene esercitare la speranza, attendendo con tranquillità l'aiuto divino sì per sopportare il male,
che per esserne liberati, non mettendo la sua confidenza nei medici, il che deve renderci indifferenti
circa i rimedi.
Asc,2268a:T20,4
Conviene pure esercitare la carità, baciando amorosamente quella Mano che ci flagella, godendo di
disfarci per darle gusto. Si deve ancora esercitare l'umiltà, considerando che Iddio spedisce a noi il
male, per supplemento di quell'austerità che dovremo esercitare con noi se ci volessimo bene vero,
ma siamo tutti tenerezza verso il nostro corpo, se lo palpiamo invece di medicarlo, onde il Signore
per emendare un trattamento sì ingiusto, vi sovrappone la sua mano, e ristora in noi la mancanza di
questo rigore, contro chi ci dovrebbe essere servo e ci è nemico: così rivelò il Signore ad un'anima
santa.
Asc,2268a:T20,5
L'esercizio poi di questa virtù, ci disporrà a sopportare con pazienza sì il male, che i mancamenti di
chi ci assiste, come pure ad obbedirli, ed anche obbedire ai medici. Basteranno questi atti, e
l'andarvi di tratto in tratto esaminando, sì per evitare i difetti, sì per non poter reggere ad un più
lungo esame di tutto il giorno, basteranno, dico, per portarci con virtù nelle malattie più gravi, e
ricordarci che siamo povere, e come tali ricevere con gratitudine e come per carità tutti i servigi che
ci si prestano, né pretendere che si facciano per noi più spese in consulti ed in rimedi, chiedendo
però come povere con umiltà quei sollievi che ci abbisognano, ma proibendoci i lamenti per quello
che può mancarci. Con queste avvertenze, non diverremo più inferme nello spirito, di quello
possiamo esserlo nel corpo, e daremo buona edificazione a chi ci assiste ed a chi ci visita,
particolarmente ai medici che molto si edificano in vedere una religiosa inferma lieta e tranquilla in
volto, rassegnata e indifferente a prendere quanto le viene ordinato, il che denota una grande
abnegazione ed un vero distacco.
Ma il maggior pericolo di scapitare e intiepidirsi, si è nel tempo della convalescenza, con dare luogo
ad una soverchia delicatezza condiscendendo troppo alla natura, la quale servendosi del pretesto di
ristorare giustamente le forze, non solo allenta, come è dovere, l'arco della mortificazione, ma lo
scioglie affatto, dandosi all'ozio ed alle ciarle, come fu mostrato ad una santa religiosa che vide
l'infermeria ripiena di demoni che istigavano le inferme ai lamenti, alle mormorazioni, alla curiosità
di sapere tutto quello che occorreva.
Asc,2268a:T20,6
Onde per evitare questi difetti, dovrà la mattina, dette le sue orazioni, leggere o farsi leggere
qualche punto di meditazione, e se non è in stato di farla, stabilisca almeno sopra di essa il suo
proposito, e porti spesso sopra la medesima i suoi pensieri tra il giorno; non deve pure lasciare
passare occasione di partecipare ai Ss. Sacramenti, non lasciandosi sedurre da quella apparente
ragione di attendere alcuni giorni per essere in stato di riceverli con maggior riverenza, ed intanto,
sopraggiungono molte volte nuovi incomodi, e le converrà poi restarne priva molto tempo; lasci
pertanto giudicare di questo a chi si deve, e lei non pensi che a valersi della opportunità. Quando le
venga permesso di dire l'officio, procuri dirlo alle ore che si dice in coro per unire le sue lodi a
quelle delle sue sorelle, e quando non può ancora dirlo, preghi in detto tempo il suo buon angelo di
fare le sue veci, e procuri in questo tempo, se comodamente lo può, di starsene sola per trattenersi
col suo Dio. Procuri ancora di trovarsi col desiderio a tutte le osservanze con le sue sorelle, ad esse
si unisca, desideri di fare tutte le comunioni, i digiuni, e tutti gli esercizi e fatiche che esse fanno,
(senza però mai inquietarsi per non poterli fare) che ne acquisterà tutto il merito. Fugga l'oziosità
occupandosi in lavori secondo le proprie forze; e con questi mezzi fedelmente praticati, uscirà dalle
sue malattie senza scapito per il suo spirito, ma come l'oro dal fuoco, cioè più infervorata e pura.
Fine*5
Asc,2268a:T21
Cap. 21. Desiderium pauperum
Non credo vi sia cosa più atta a farvi avanzare nel cammino della religiosa perfezione, quanto il
procurare di piantarvi in cuore un desiderio vivo ma quieto, insaziabile ma rassegnato, di piacere a
Dio; ed a fine di meglio esprimervi il mio pensiero, vi metto in considerazione quel che mi pare
faccia una persona che desideri piacere ad un'altra. Ma in ogni occasione la loda, ed approva tutto
quello che fa; procura di acquistare tutte le sue maniere a genio della persona amata; se può farle
qualche servizio, darle qualche regalo, non perde l'opportunità. Ora così dovete fare voi per piacere
al vostro grande e amabilissimo Iddio, dovete il più che potete tenere a Lui rivolti ed innalzati i
vostri pensieri, e gli affetti tutti del vostro cuore, e da tutto prendere motivo di lodarLo e benedirLo,
approvando con tutta la sommessione della vostra volontà tutte le santissime e giustissime sue
disposizioni. Procurate in tutte le vostre opere farle in quella maniera che Egli vi fa conoscere dover
essere fatte, acciò le siano grate; finalmente quando vi occorre dovervi fare qualche violenza
maggiore, o patire qualche cosa, rimirate queste come preziose gioie che vi viene fatto di trovare
per farne dono a chi tanto dovete; ed è ben giusto che voi facciate per il vostro Dio, ciò che tanti
fanno con sua grande offesa per misere ed indegne creature, e poiché non potete renderGli
quell'amore e servitù che Gli è dovuta, che almeno veda in voi questo desiderio, che credo sia quel
desiderio del povero che Egli dice per Davide che esaudisce, è quella preparazione del suo cuore
che dice di ascoltare, poiché un cuore così disposto sarà sempre pronto a secondare le sante
ispirazioni, accompagnerà il suo operare e patire con una volontaria compiacenza ed ardente amore,
e lo renderà con questo molto più meritorio, renderà sempre più pura dall'amor proprio la sua
intenzione, se da altro desiderio non lascia occupare il suo cuore, talché potrà dire con la Sposa dei
Sacri Cantici: “Tutti i pomi del mio orto, io li serbai per il mio diletto”. ChiedeteGli pure talvolta
con santa confidenza se Gli piace la vostra servitù, protestatevi che se voi sapeste come servirLo
meglio, di tutto cuore lo fareste, e pregateLo sempre di assistervi con la sua santa grazia, acciò Gli
siate fedele; e ricordatevi che non dovete avere in vista e cercare se non Dio solo, Dio solo, Dio
solo: Da Domine, quod jubes et jube quod vis.
Asc,2268a:T22
Cap. 22. Avvertimento
Voi sapete che il soffrire con virtù, è il vero carattere dell'amore che portiamo al nostro
amabilissimo Iddio. Ora io considero che la nostra sensibilità, figlia della superbia e dell'amor
proprio, è quella che ci toglie il merito nelle occasioni di qualche sofferenza; né saprei come meglio
si possa vincere questa sensibilità, se non che, con un generoso dispregio di noi stesse, perché
mentre noi ci rivolgiamo a rimproverarci di sentire tanto certe piccole cose (che tali sono appunto
quelle che da noi tanto si sentono), veniamo a rivolgere tutti i nostri pensieri e la nostra
indignazione contro di noi, il che ci distoglie del tutto dall'oggetto del nostro risentimento; ed oltre
che più presto ci troveremo quiete, soffriamo ancora con maggiore umiltà, perché chi nel soffrire si
prende ai motivi di pazienza, resta nel fondo del cuore con un certo sentimento d'aver fatto qualche
cosa in dissimulare qualche parola o altro; ma chi sprezzandosi si crede che la sua sensibilità non
proviene che dalla sua poca virtù, che se avesse umiltà gioirebbe di ciò di cui si affligge, e con
questo sentimento si deve porre gli occhi in quello che patì Gesù Cristo e tanti Santi suoi veri
imitatori, e finiranno di parerci un gran che, le nostre piccole sofferenze e poi al come hanno essi
patito, e scacceremo ogni vento di vanità che potrebbe nascere dalla nostra stessa minima
sofferenza. Non credete mai d'aver fatto un gran progresso nella virtù finché non potrete sopportare
una correzione senza scusa, una confusione senza turbarvi, una mortificazione senza lamentarvi,
una calunnia senza risentimento, un comando, senza repliche.
Asc,2268a:T23,0,1
Cap. 23. Apparecchio per il Ss. Natale
Amemus Puerum de Bethlem,
Amemus Puerum.
L'invito che ci fa la S. Chiesa a prepararci alla venuta del nostro Salvatore, è dovere che sia da noi
corrisposto col più tenero affetto, massime considerando che tanti dei suoi figliuoli si rendono sordi
alle voci di sì buona Madre, e chiudono i loro cuori a Gesù che è venuto al mondo per amore, ed è
stato mandato dal Divino Padre per amore, come lo dichiarò Gesù stesso dicendo a Nicodemo: Così
Iddio amò il mondo che gli diede l'unigenito suo Divino Figliuolo, affinché chiunque in Lui crede
non perisca, ma abbia la vita eterna. Perciò dobbiamo accenderci di desiderio d'accoglierLo, se
fosse possibile, coll'amore con cui si dona, ed incominciare dal S. Avvento a disporci, al che ci
servono di continuo stimolo le suddette parole: “Così Iddio amò il mondo, ecc.” Queste procuriamo
che spesso risuonino nel nostro interno, e siano in questo tempo il nostro trattenimento tra il giorno,
e ne trarremo un grande eccitamento sì a corrispondere a tanto amore, come a porgerGli frequenti
suppliche per quelli che non curano di disporsi.
Tra tutte le devote pratiche che si propongono per ben preparsi, appigliamoci principalmente a
quella che insegna il devoto Autore dell'Imitazione di Cristo che dice: “Nelle solennità principali
dobbiamo rinnovare i buoni esercizi e più ferventemente domandare i suffragi dei Santi; da una
festa all'altra dobbiamo prepararci come se avessimo a partire allora da questo mondo, e pervenire
all'eterna festa, e però nei tempi di devozione dobbiamo sollecitamente apparecchiarci e conversare
più devotamente e più strettamente guardare tutta l'osservanza, come se in breve fossimo per
ricevere il premio della nostra fatica da Dio”.
Asc,2268a:T23,0,2
Questo sia come il fondo su cui si ha da fare il ricamo con i seguenti esercizi. In ogni domenica
dell'Avvento si tirerà a sorte un biglietto in cui avremo la nostra pratica di virtù per tutta la
settimana. Oltre le 40 Ave Maria che si dicono in comune diremo con particolare sentimento
l'Angelus Domini, baciando a riverenza del gran Mistero umilmente la terra al Verbum Caro.
Nell'inchinarci al Gloria dell'officio, intendiamo tenerGli compagnia in questo suo stato di
patimento. Nella novena abbiamo ad avere questi tre risguardi, cioè che nasce Gesù, primo per
essere conosciuto, secondo per essere amato, terzo per essere imitato. Primieramente, per
conoscerLo prenderemo qualche tempo per meditare attentamente e farne il nostro interno
trattenimento tra il giorno, uno dei seguenti contrapposti:
1. Nato ed eterno, 2. Piccolo e grande, 3. Paziente e beato, 4. Tremante ed infuocato, 5. Umiliato ed
adorato, 6. Innocente e penitente, 7. Ristretto ed immenso, 8. Povero e padrone di tutto, 9. Dio ed
uomo; oppure le seguenti considerazioni:
Asc,2268a:T23,1
Primo giorno
1o Gesù essendo Signore dell'universo poteva nascere in un Palazzo Reale, con tutto il più festoso
corteggio. Tutto ricusò per insegnare a noi il disprezzo dell'onore. Voi per un tale idolo del mondo
che sentimento nutrite, quanto vi siete avanzata nel disprezzo di tutto ciò che si ama, stima ed
applauso dalle creature.
2o Considerate come il Santo Bambino, non solamente disprezzò l'equipaggio da Re, ma ancora il
titolo, non volendo altro nome che quello di Salvatore, che quello di verme e rifiuto della terra.
Intendete questa importante verità! Che appresso Dio non si fa conto di altro titolo che quello che vi
può dare la vera e cristiana virtù.
3o Il Santo Bambino si contentò di essere adorato e riconosciuto da poveri pastori. Voi come
soffrite di vivere sconosciuta e dimenticata, qualora le vostre azioni non sono o rimirate, o
approvate, o ricompensate, ne giubila la virtù, oppure si risente la passione.
Asc,2268a:T23,2
Secondo Giorno
1o Considerate come il Santo Bambino, benché fosse l'innocenza medesima, pure volle prendere
l'apparenza di peccatore, volle trattarsi da tale con la penitenza; a tale vista che dice la delicatezza di
chi non sa dare un disgusto al proprio corpo, tuttoché non abbia l'innocenza di Gesù Cristo.
2o Considerate come il Santo Bambino subito nato versò molte lacrime sovra i peccati del mondo.
Voi che zelo avete per la conversione dei peccatori; quale disgusto per le offese che si fanno a Dio
dai seguaci del mondo; quale gratitudine dimostrate a Dio per avervi tratta fuori da tanti pericoli di
offenderLo? La devozione pratica di questo giorno sarà di offerire a Dio qualche penitenza
corporale in soddisfazione dei peccati che si commetteranno purtroppo da molti in questi santi
giorni, e di più recitare il Veni Creator allo Spirito Santo per la conversione dei peccatori. La
giaculatoria sia questa: Buon Gesù, che mai Vi avessi offeso.
Asc,2268a:T23,3
Terzo Giorno
1o Considerate gli esempi di pazienza che ci diede Gesù prima di nascere, soffrendo di essere
rigettato da cittadini e parenti di Betlemme, e imparate a non querelarvi, qualora sarete sfuggita o
posposta.
2o Considerate la pazienza di Gesù nel nascere scegliendo le circostanze più adattate a patire, e poi
riflettete, se un tale esempio non dia motivo di confusione a chi in tutte le cose cerca la morbidezza
ed il proprio comodo.
3o Considerate la pazienza che esercitò dopo che fu nato, soffrendo le punture del fieno, la
rigidezza dei venti e la mancanza dei panicelli. Che dice a questo confronto chi non sa tollerare
neppure la puntura di una parola, che si risente al dover provare qualche effetto della domestica
povertà? Recitate oggi il salmo, Domine Dominus noster ecc., pregando il Santo Bambino che
distrugga in voi inimicum, ed ultorem, cioè l'amor proprio, e privatevi di qualche ristoro dal freddo.
La giaculatoria sia quella di Santa Teresa: “o patire, o morire”.
Asc,2268a:T23,4
Quarto giorno
1o Considerate l'obbedienza di Gesù quanto fu generosa nella sua estensione, mentre si sottomette a
quanto mai volle da Lui l'Eterno suo Padre, senza una menoma eccezione.
Non è certamente simile a questa l'obbedienza di chi si sottomette che nelle cose di proprio genio e
conforme al suo giudizio.
2o Considerate quanto fu pronta la sua obbedienza senza discorrervi sopra, senza esaminare i
motivi, senza consultarsi con le naturali ripugnanze. Mirate se sia di questa tempra la vostra.
3o Considerate quanto fu umile la di Lui obbedienza, sottoponendosi non solo all'Eterno Padre, ma
a S. Giuseppe ed a Maria Ss.ma. Così fa chi nella creatura destinata per superiore, o di tutta la casa,
o dell'officina, riconosce la persona di Dio. In questo giorno recitate tre volte il Pater noster, e dopo
ciascuno di essi aggiungete il versetto Christus factus est pro nobis obœdiens usque ad mortem,
mortem autem crucis. Usate particolare prontezza ad ogni voce e segno dell'obbedienza, e la
giaculatoria sia: O bone Jesu da mihi cor docile, fatemi arrendevole ad ogni vostra voce, ed a
quella di chi tiene il vostro luogo, o mio caro e buon Gesù.
Asc,2268a:T23,5
Quinto giorno
1o Considerate la semplicità di Gesù nell'assumere tutti i tratti da vero fanciullo, e ricordatevi che
fatto già adulto, ricordò a tutti i suoi seguaci che se non si vestiranno delle proprietà fanciullesche,
impicciolendosi innanzi a tutti, Nisi efficiamini sicut parvuli, non intrabitis, non avranno parte nel
Cielo.
2o Considerate la sua semplicità nel succhiare il latte della Madre, e da un tale esempio non vi
rincresca il prendere il latte della pietà dai Direttori Spirituali, né vi rincresca di dipendere in tutto e
per tutto da essi.
3o Considerate la sua semplicità nel trattare con ingenuità e candore con tutti, e prendete ferma
risoluzione di allontanare per sempre da voi ogni spirito di doppiezza, di pura apparenza e di
mondana politica. Per pratica di questo giorno reciterete le litanie della Beata Vergine con
particolare riflesso a quei versetti nei quali ella è invocata nel titolo di Madre, pregandoLa ad
ottenervi dal Divino suo Figliuolo la virtù della semplicità religiosa, risolvete di usarla tutta con le
Superiori, con il Direttore Spirituale. La giaculatoria sarà: Mio Gesù, Voi solo io conosco, fate che
Voi solo io cerchi con cuor sincero, e semplice.
Asc,2268a:T23,6
Sesto giorno
1o Considerate la mansuetudine del Santo Bambino. Primo, fermatevi a considerare il titolo
d'agnello che prese, onde, anche per questo, volle nascere in una stalla, ed essere visitato da Pastori.
RingraziateLo di questo bel nome, e prendete quindi motivo di rincuorare le vostre diffidenze.
2o Considerate la mansuetudine della lingua, non adoperata da Lui ad altro che a teneri vagiti, i
quali allettavano tutti ad amarLo e compatirLo, per altro non gli mancava né argomento di valersene
a riprensioni, né facondia per esprimerli. Voi come siete mansueta di lingua alle occasioni.
3o Considerate la mansuetudine di Gesù nell'operare, come tutti accoglieva con fronte serena, con
lieto ciglio, con dolce sorriso. Qui pure fate confronto, e vi troverete forse di che umiliarvi nel
vedervi sì dissomigliante da Lui. La devozione di questo giorno sarà recitare in tre ore diverse l'Ave
maris stella; fermandovi singolarmente in quel versetto Virgo Singularis, e pregherete di cuore
Maria Vergine ad ottenervi la virtù della mansuetudine. In questo giorno vi guarderete da ogni atto
contrario a questa virtù, e farete qualche mortificazione in sconto dei mancamenti contrari ad essa.
La giaculatoria sarà questa: O bone Jesu utinam discam a Te quia humilis es, et mitis corde. “Caro
Gesù quando sarà che impari da Voi ad essere umile e mansueto?”
Asc,2268a:T23,7
Settimo giorno
1o Considerate quanto piacesse al Santo Bambino la ritiratezza, in quanto si oppone agli strepiti del
gran mondo, e con questa occasione riconoscete il gran beneficio che vi ha fatto Dio, con trarvi
fuori da tumulti e pericoli del secolo.
2o Considerate il suo raccoglimento interiore, con cui oltre la solitudine della capanna, un'altra se
ne formò dentro il suo Cuore, riserbata al solo commercio con l'Eterno suo Padre, o qui sicché ha
grande motivo di confondersi la vostra dissipazione di spirito, per cui entrano ad ogni momento ad
occuparvi la mente ed il cuore, pensieri ed affetti così alieni dal vostro stato.
3o Considerate il suo amore al silenzio, perciò volle scegliere l'ora più mutola, qual è quella della
mezzanotte, e vergognatevi di avere sì poco genio a questa virtù, senza la quale difficilmente si
custodisce lo spirito di vera devozione. Per devozione pratica di questo giorno, recitate cinque Pater
in memoria delle cinque lettere che compongono il santo nome di Gesù; tre volte in questo giorno,
portatevi avanti il S. Bambino, ed offeriteGli la vostra lingua, e chiedeteGli perdono dei trascorsi
commessi con il male uso di essa. La giaculatoria sarà: Pone, Domine, custodiam ori meo, “Signore
custodite la mia lingua”.
Asc,2268a:T23,8
Ottavo giorno
1o Mirate il Santo Bambino che sospira, trema e lacrima, e considerate quale sia l'oggetto dei suoi
sospiri; non era un alloggiamento più comodo, né un corteggio più proporzionato, né altra cosa
terrena; i suoi sospiri erano desideri di patimenti, di croci, di villanie; ed i vostri a quale oggetto
sono indirizzati?
2o Considerate quale fosse la cagione del suo tremore, non era il freddo della stagione, era il freddo
del nostro amore, tremava per noi al vederci cotanto beneficati e cotanto ingrati; tremate anche voi
alla vista dei benefici che Dio vi ha fatti.
3o Considerate il motivo delle sue lacrime, non erano per sfogo di passione, erano lacrime di
devozione, erano sugo di amore per noi. I vostri occhi per chi ne hanno sparse in maggior copia
sopra le disgrazie dell'anima, o sopra temporali, furono sfoghi di pietà oppure di passione
disordinata? In questo giorno recitate tre volte la Salve Regina fermandovi alquanto su quelle
parole: Ad te suspiramus gementes et flentes in hac lacrimarum valle. Chiedete a Maria per le
lacrime che Ella mescolò a quelle del Santo Bambino di fare in avvenire migliore uso delle vostre.
Rinnovate più del solito, e con più calore, la contrizione delle vostre colpe. La giaculatoria sia: Fac
me vere tecum flere, donec ego vixero.
Asc,2268a:T23,9
Nono giorno
1o Entrate nel Cuore di Gesù Bambino, e rimirate l'amore che vi porta. Considerate quanto fu
costante nell'amarvi mentre vi amò con amore di misericordia anche quando fuggiste da Lui; voi
tutto all'opposto ad un tempo siete tutta fervore, ad un altro tutta gelo.
2o Considerate quanto il suo amore fu disinteressato, mentre venne in terra non per suo utile ma
unicamente per il nostro. Voi lo amate quando vi prospera, o quando vi fa sentire qualche buon
trattamento spirituale, ma se viene a visitarvi con una tribolazione temporale, o vi lascia cadere in
aridità di spirito, date subito a vedere che lo amate per interesse.
3o Considerate quanto fu forte e generoso, mentre lo ridusse a sottoporsi a tanti patimenti. Voi
vorreste amare Gesù, ma nulla vorreste patire per Lui; un amore così debole non è degno di essere
chiamato amore. La pratica di questo giorno sia di fare un atto di amore a Dio tutte le volte che
sentirete a battere le ore, di più privatevi per amore di Dio di qualche cosa a voi più cara, e
finalmente per amore suo, qualche mortificazione più contraria all'amore proprio. La giaculatoria
sarà: Mille volte, Gesù, Vi adoro ed amo.
Asc,2268a:T23,10,1
Per amarLo protestiamoGli ogni mattina, che ad ogni alzata d'occhio al Cielo, e metterci la mano al
petto, e rimirando la sua immagine, intendiamo d'amarLo quanto Lo amano tutti gli angeli e Santi, e
preghiamo ogni giorno un coro d'angeli: 1o gli angeli, 2o gli arcangeli, 3o i Troni, 4o le
Dominazioni, 5o le Virtù, 6o Principati, 7o Potestà, 8o Cherubini, 9o Serafini ad ossequiarLo ed
amarLo per noi, ed esercitandoci ogni giorno in frequenti atti d'amore, avvertendo che tutti i nostri
affetti siano a Gesù e per Gesù, procurando di mantenere nelle nostre occupazioni un particolare
raccoglimento, con una vigilante custodia dei nostri sensi. Si terrà ogni giorno un'ora di silenzio,
cioè una mezz'ora alla mattina, e l'altra al dopo pranzo. Per imitarLo nello stato dei patimenti,
d'umiliazione, in cui si è messo per carità, prendiamo volentieri tutte le occasioni che ci si
presenteranno di patire, con tre atti di volontaria mortificazione, tre di umiltà, tre di carità verso il
prossimo, né omettiamo di porgere frequenti suppliche alla Divina Madre, affinché ci ottenga grazia
di disporre il nostro cuore in maniera grata a Gesù. Inoltre, faremo ogni giorno un breve esame per
vedere come sia disposto il nostro spirito a portarsi a Betlemme per adorare e servire a Gesù.
Asc,2268a:T23,10,2
1o giorno, chi si mette in viaggio, si allontana da parenti e dagli amici. Ora noi esaminiamo quale
sia il nostro distacco, non solo da congiunti, ma ancora dalle amicizie particolari, nel Monastero,
risolvendo di dare tutto intero il nostro cuore a Gesù.
2o Si lascia condurre da persone esperte per la strada che esse giudicano la più sicura, benché
malagevole. Ora noi osserviamo quale docilità professiamo, e quale obbedienza a Confessori e
Superiori.
3o Si scarica di tutto il superfluo per non aggravarsi. Esaminiamo il nostro amore per la Santa
Povertà, se ci contentiamo del necessario, sacrificando anche qualche cosa a Gesù.
4o Non si ferma ad ogni tratto per levarsi ogni curiosità. Osserviamo quale sia la nostra
mortificazione dei sensi tanto necessaria alle religiose.
5o Si alza per tempo al fine di giungere presto al bramato termine; e noi esaminiamo i nostri
desideri di perfezionarci nelle virtù, se siano efficaci, il che sarà quando eseguiremo con fedeltà i
buoni propositi.
6o Non può godere i comodi della propria casa. Esaminiamo il nostro distacco dai propri comodi, se
ci preme di essere bene adagiati, e quale sia il nostro amore alla penitenza.
7o Cammina senza pompa e corteggio, e tiene nascoste le cose preziose. Esaminiamo il nostro
amore alla santa umiltà, alla vita nascosta, e se operiamo il bene a riguardo di Dio solo.
8o Non si attacca alle città e case dove alberga. Esaminiamo se viviamo come pellegrini, sempre
disposte a passare dal tempo all'eternità.
9o Prende seco un piccolo fardello delle cose più necessarie. Esaminiamo se andiamo provvedute
d'alcuna massima evangelica più atta ad animarci alla mortificazione delle proprie passioni, ed
all'acquisto delle virtù, e se non si è fatto questo è il tempo opportuno.
Asc,2268a:T24,1
Cap. 24. Novena di S. Francesco di Sales
Niente contro Dio. Primo, presentarsi tre volte il giorno avanti a Gesù, a Maria, come si presentò da
giovanetto il Santo, e fare a loro di se stesso un'intero dono.
Secondo, pregare Gesù e Maria, per la grazia di poter morire interamente a noi medesime, e vivere
totalmente a Dio ed al prossimo; verso Dio col negare sempre in qualsivoglia riscontro la propria
volontà, per fare puramente quella di Dio, e col prendere sempre con perfetta rassegnazione quella
croce che lo stesso Dio ci manda, sia interna o esterna, e col seguirLo con costanza sino alla morte,
crocifiggendo il nostro amor proprio. Verso il prossimo col sempre trattarlo con dolcezza, con
risguardare il suo difetto con occhio di carità e semplicità, e con amarlo di modo che si vegga dal
cuore, dalle parole e operazioni che rimiriamo il prossimo nel Cuore adorabile di Gesù, come
faceva lo stesso Santo.
Terzo, si reciterà ogni volta che ci presenteremo, un Pater ed Ave, e Gloria, al fine venga da Dio
gradito il nostro dono, ed imitato il Santo nelle anzidette virtù, a gloria di Dio ed in santificazione
propria e del prossimo.
Asc,2268a:T24,2
Per la santa comunione
Accostarsi col desiderio del Santo, che era sempre di unirsi a Dio, ed in se stesso in cui potesse
bramare di subito morire ed apparire avanti a Dio.
Asc,2268a:T25
Cap. 25. Apparecchio alla festa della Purificazione di nostra Signora
Se per avviso di S. Agostino le solennità della Chiesa furono istituite, non tanto per glorificazione
di Dio e dei suoi Santi, quanto per nostro eccitamento ad imitare le loro virtù, ut imitari non pigeat
quod celebrare delectat. Non potremo non incontrare il totale gradimento della gran Vergine nel
prepararci alla festa della sua Purificazione, se anche noi attenderemo in questi giorni con qualche
particolare diligenza a purificare il nostro cuore; a questo fine in ciascuno di questi nove giorni ci
fisseremo sopra di esso per farne anatomia al fine di purgarlo dalle male qualità che lo infettano, e
fornirlo delle buone che hanno a perfezionarlo.
Asc,2268a:T25,1
1o giorno. Cuore retto
Osservate se il vostro cuore sia retto, Dirige cor tuum in viam rectam; se retto nelle intenzioni, negli
affetti, nelle parole, nelle opere. Intenzioni che mirano al proprio onore, al proprio interesse, al
proprio genio, sono tutte storte, per conseguenza guastano tutta l'opera, ancorché per le altre sue
circostanze lodevoli non sono gradite a Dio, e nulla contano per l'Eternità; affetti che vi impegnano
per le creature e vi distaccano da Dio, che vi riempiono d'inquietudine, e vi distaccano dalla
devozione, sono torciture del cuore. Un parlare che non concordi con la veracità e con la sincerità,
che sia intessuto a doppiezze e simulazioni e adulazioni è proprio d'una lingua che serve ad un
cuore pieno d'obliquità. Opere che non sono conformi alla regola dell'onesto, che deviano da
dettami della retta ragione, opere di buona apparenza, ma di cattiva sostanza che soddisfano agli
occhi degli uomini, ma non a quelli di Dio, declinano tutte dall'evangelica dottrina. In questo giorno
pertanto spenderete almeno un quarto d'ora a dare una rivista allo stato abituale dell'anima vostra.
Le vostre giaculatorie saranno queste: Illumina Domine oculos meos, ne unquam obdormiam in
morte. “Deh mio Dio apritemi gli occhi prima che venga la morte.” Vide si via iniquitatis in me est,
et deduc me in semitam rectam. “Se io devio dalla via retta, deh rimettetemi in quella.” Visiterete
tre volte il Ss.mo Sacramento, recitando ciascuna volta tre Pater ed Ave, ed al fine d'ognuna
aggiungerete questa breve preghiera: Spiritum rectum innova in visceribus meis.
Asc,2268a:T25,2
2o giorno. Cuore puro
Considerate che per rendere il vostro cuore somigliante a quello di Maria, vi fa d'uopo d'averlo puro
e mondo. Se Dio si contentasse delle pure apparenze coll'astenersi dalle opere e discorsi contrari
alla purità, avreste adempito ogni vostro dovere, ma Egli mira il cuore: Deus autem intuetur cor, e
se vede che questo dà ricetto a pensieri, a compiacenze, a desideri contro questa virtù, tosto
abomina assai più che non farebbero le creature della terra, se compariste loro davanti con una
cancrena verminosa sul volto, essendo nel cospetto di Dio assai più grave il fetore d'un cuore
immondo, che un cadavere del tutto fracido, che una carogna che ammorbi l'aria. Mirate pertanto in
questo giorno, come vi portate in occasione di tentazione contro questa virtù. Se date loro veruna
cagione con la libertà dei vostri sensi, col troppo morbido trattamento del vostro corpo, col passare
il tempo in ozio; se siete pronta per ribattere i primi assalti; se ricorrete senza indugio a chiedere
aiuto dal Signore; se nel confessarvene palesate la vostra colpa con quella sincerità che vi viene
dettata dalla vostra coscienza. Le giaculatorie di questo giorno saranno: Cor mundum crea in me
Deus. Mio Dio, Voi che creaste questo mio cuore, mondatelo da ogni lordura. Vitam presta puram.
Vergine Ss.ma che foste specchio tersissimo d'umiltà, di purità, perfezionatemi in queste virtù.
Portatevi in questo giorno tre volte avanti l'immagine di Maria, recitando ciascuna volta l'Ave maris,
ecc.
Asc,2268a:T25,3
3o giorno. Cuore semplice
Considerate che Iddio si compiace del cuore semplice, con questo tratta volentieri, Cum simplicibus
sermocinatio ejus, da questo si lascia trovare. In simplicitate cordis quærite illum, e perciò incaricò
i suoi Discepoli d'affezionarsi a questa colombina virtù: Estote simplices, sicut columba, e la
ragione si è perché nessuna al pari di questa ci rende più simile a Lui, essendo Egli di un essere
semplicissimo, ma non si conforma già a dettami di chi si studia di parere migliore di quel che
infatti è. Chi in vista delle creature si porta meglio, che quando non è osservato che da Dio!
Chi non procede con schiettezza e candore dell'anima, ma chi scorretto invece d'umiliarsi, pensa
tosto a scuse e giustificazioni. Chi procede con ragioni suggerite da mondana politica. Esaminatevi
in questo giorno sui punti accennati al principio d'ogni nuova azione. Dite a Dio col Santo Re
Davide: In simplicitate cordis Jesu obtuli universa. Le giaculatorie siano queste: Cor pravum et os
bilingue detestor, “abomino e detesto ogni malizia e doppiezza”; Non declines cor meum in verba et
in opera malitiæ, “lungi da me ogni linguaggio ed ogni operare mascherato e finto”. Ricorrete a
Maria perché vi ottenga d'imitarLa in questa virtù, con recitare a tale fine le litanie.
Asc,2268a:T25,4
4o giorno. Cuore pronto
Il Santo profeta Davide per invitare il Signore a prendere possesso del suo cuore, diceva d'averlo
pronto e preparato a riceverLo: Paratum cor meum, Deus, paratum cor meum. Considerate in
questo giorno quale sia la prontezza del vostro ad abbracciare le occasioni di vincervi, ed esercitarvi
in opere di devozione, ed arrendervi alla voce di chi tiene sovra di voi le veci di Dio. Sareste mai
una di quelle anime pigre che prima d'arrendersi alle sante ispirazioni si perdono in lunghi
combattimenti, che trovano ogni festuca pesante, che operano abitualmente con svogliatezza, che
strascinano la Croce di Gesù invece di portarla con allegra disinvoltura? Vi sovvenga essere questa
sorta d'anime, addimandate da Dio di cuore pesante: Filii hominum usquequo gravi corde, e perciò
essere in grande pericolo d'essere portate dal loro peso al centro della terra nel rompersi quel filo di
vita che le sostiene. Ponete pertanto oggi il vostro cuore sulle bilance del santuario per vedere se
mai esorbitasse nel peso. Esaminatevi sulla prontezza nel seguire le divine ispirazioni, a valervi
delle buone occasioni, a vincervi con prontezza e per avvezzarvi a riconoscere in ogni segno
dell'obbedienza la voce del Signore.
Cominciate da questo giorno ad usare ogni volta che sarete chiamata a qualche osservanza la
giaculatoria: Paratum cor meum Deus, paratum cor meum. Ecce ancilla Domini, fiat mihi
secundum verbum tuum. “Sono pronta, o mio Dio, ad ubbidirVi. Ecco la vostra ancella disposta a
seguirVi, ad ubbidirVi.” Visitate tre volte l'altare, o l'immagine di Maria recitando ciascuna volta il
Magnificat, in onore della prontezza da Lei usata agli inviti celesti, e La pregherete ad ottenervi
grazia di rendervi sua vera imitatrice.
Asc,2268a:T25,5
5o giorno. Cuore generoso
Sarebbe poco pregevole la prontezza, quando fosse limitata a quei soliti esercizi di virtù che sono di
poco costo all'amor proprio, e non si estendesse altresì a maggiori cimenti. Converrà pertanto che
abbiate un cuore non solamente pronto, ma generoso, ma tale fu appunto quello di Maria Ss.ma a
cui la S. Chiesa adatta quelle parole dell'Evangelio: Maria optimam partem elegit sibi, quasi volesse
dire che nelle elezioni mirava sempre al più arduo e grandioso, che nell'operare e nel patire non
ammetteva limitazioni; che dove si trattava di dare gusto a Dio allargava con profusione la mano,
che non si arrestava sulle cose di puro obbligo, ma passava a quelle di supererogazione, ed in tutte
ne procurava la più esatta perfezione; onde la sua vita poté dirsi, giusta il sentimento di S.
Ambrogio, un modello perfettissimo di tutte le virtù: Talis fuit Maria, ut ejus vita omnium sit
disciplina virgo intra domum, comes ad Ministerium, Mater ad templum. Fate ora il confronto tra il
vostro cuore e quello di Maria. Che ve ne pare? Qual è la vostra magnanimità nelle occasioni di
qualche maggiore difficoltà? Quale e quanta la vostra liberalità con Dio? Sapete pure che l'attenersi
al puro obbligo, è lo stesso che esporsi a declinare dall'obbligo, declinantes in obligationes adducet
Dominus cum operantibus iniquitatem. Sapete che nella via delle virtù chi non prende le mire alte
non batterà giammai nel segno, e che il Reale Profeta riconobbe di non aver osservata la Santa
Legge, che quando concepì un cuore grande: Viam mandatorum tuorum cucurri, cum dilatasti cor
meum. Esaminatevi oggi sulle dimensioni del vostro cuore. Le giaculatorie di questo giorno siano
queste: Spiritu principali confirma me. Infondetemi, o mio Dio, un cuore sovrano, cui minoratur
corde cogitat Maria. Misera me, se non fo un cuore grande, sarò sempre pigmea nella virtù.
Portatevi avanti all'altare, o l'immagine di Maria, pregateLa a voler fare un cambio dei cuori, con
prometterLe di renderLe il suo, dopo che avrà rifatto il vostro riducendolo a più ampia misura,
recitando a tale fine tre volte la Salve.
Asc,2268a:T25,6,1
6o giorno. Cuore costante
Cuore pronto, cuore generoso sono entrambi d'ottima tempra, ma di poco giovamento all'eterna
salute, se insieme non prendono la qualità di fermi e costanti; di questa verità, ne possono fare
testimonianza perfino i dannati, i quali odono le strida di coloro che cœperunt ædificare et non
potuerunt, o per dire meglio, noluerunt consumare, incominciarono bene e finirono male. Tra i
cristiani sono rari coloro che mai abbiano posto il piede nella via della virtù; la massima parte o in
un'età, o nell'altra ha gustato quam suavis sit Dominus. Ha assaporato il dolce della virtù e pietà, ma
che pro, se la maggior parte si perde per difetto della perseveranza, è vero che questo non può
essere frutto del nostro libero arbitrio, essendo uno specialissimo dono di Dio che anche ai giusti si
conferisce graziosamente, e non per giustizia, tuttavia in mano dell'arbitrio aiutato dalla grazia sta
l'allontanarsi da quegli scogli che possono causare naufragio. L'usare quei mezzi che molto
concorrono alla perseveranza, ed in particolare all'orazione in cui si domanda a Dio un tale dono.
Asc,2268a:T25,6,2
Principalissima Avvocata ad otternerlo è la Madre di Dio, la quale lo possiede in grado
perfettissimo, mentre fu confermata in grazia: In Sion firmata sum. Quel Dio che entrò ad
impadronirsi del di lei Cuore vi piantò un immobile padiglione per mai più dipartirsene, requievit in
tabernaculo meo, e fin sotto la Croce diede eroiche prove d'invitta costanza: Stabat juxta Crucem
Maria Mater ejus. Spendete oggi qualche spazio di tempo per osservare se i vostri portamenti siano
di cuore costante, oppure vacillante. Rivedete le carte dei vostri propositi, ed esse vi diranno se
abbiate fermezza di virtù. Le giaculatorie più frequenti siano: Confirma hoc Deus quod operaris in
nobis. Mio Dio, date fermezza a quei buoni sentimenti che Vi degnate d'infondermi. Confige timore
tuo carnes meas. Deh, inchiodate una volta con la punta del vostro timore la mia instabilità.
Ricorrete a Maria tre volte in questo giorno con cinque Ave per ogni volta, ed aggiungendo questa
breve domanda: In electis tuis mitte radices, fate che ogni virtù getti in me profonde radici.
Asc,2268a:T25,7,1
7o giorno. Cuore umile
La base di tutte le prerogative lodevoli di un cuore ha da essere l'umiltà. Così l'intese Maria a cui
premeva di appagare i disegni dell'Altissimo, e di assicurarsi il suo aggradimento, e per pratica del
di Lui genio si diede all'acquisto ed all'esercizio della più fina umiltà, ed infatti questa fu la calamita
che trasse nell'anima di Lei tanta copia di doni e favori celesti, questo il fondamento di quel
magnifico edificio di santità che essa innalzò: quia respexit umilitatem ancillæ suæ, fecit mihi
magna qui potens est. È verissimo che la sorgente delle celesti grazie altra non è che la Divina
Bontà, ma è altresì certo che non le tramanda che nelle valli simboleggiate delle anime umili:
Emittis fontes in convallibus, sicché, se vogliamo che il nostro cuore sia innaffiato da divini favori,
e divenga fecondo di virtù, facciamolo assomigliare ad una valle, cadano a terra le alture del fasto,
dell'ambizione, della stima propria, sottentri invece il conoscimento della propria bassezza, la
noncuranza delle lodi e degli onori mondani, e la sofferenza delle proprie umiliazioni, che allora ci
abiliteremo a ricevere benefici dal Signore.
Asc,2268a:T25,7,2
Oh Dio, che strana cosa è mai ella, che avendo d'intorno a noi tanti motivi di abbassarci, pure come
se a noi non appartenessero, proviamo tanto proclività all'insuperbirci, e non vogliamo intendere
che senza umiltà non si entra in Cielo. Rientrate oggi in voi ad esaminarvi su questa rilevantissima
virtù. Mirate nel vostro intelletto se vi siano sentimenti d'umiltà, e se nel vostro cuore annidino
affetti contrari a questa virtù. Come siete umile nel parlare, umile nell'operare, umile nell'ubbidire;
se tenace nel vostro parere, se intollerante di contraddizioni, se vi contentate delle cose e degli
impieghi più abietti, se accadendo qualche cosa di vostra umiliazione la ricevete con giubilo, o
almeno con pazienza, se sfuggite le umane lodi, se riconoscete da Dio il bene che avete ed il felice
successo delle vostre azioni. Le giaculatorie di questo giorno siano: Mihi absit gloriari nisi in Cruce
Domini nostri, “lungi da me il gloriarmi fuorché nella Croce del mio Gesù”. Domino Deo nostro
justitia, mihi autem confusio faciei meæ, “a Voi, mio Dio, è dovuta giustizia e gloria, a me non altro
che confusione”. Portatevi due volte in diversi tempi avanti l'immagine di Gesù Crocifisso, il quale
si è umiliato per noi usque ad mortem, mortem autem crucis, e con recitare cinque Pater ed Ave, in
memoria delle cinque Piaghe sue santissime, pregateLo a farvi umile.
Asc,2268a:T25,8,1
8o giorno. Cuore compunto
Non è difficile di acquistare un cuore umile a chi procura d'averlo compunto, onde il Reale Profeta
con saggia avvedutezza al cuore contrito accoppiava il cuore umile: Cor contritum et umiliatum
Deus non despicies. Non vi manca anche in ciò l'esempio di Maria Vergine, la quale se non aveva
propri peccati da piangere, non lasciava perciò di piangere sopra i peccati altrui, e di piangerli con sì
doloroso sentimento, che l'amarezza del suo rammarico viene paragonata a quella dell'acqua del
mare: Magna est velut mare contritio tua. Oh, se intendessimo la grande disgrazia che è di un anima
perdere la grazia e l'amicizia di Dio, divenire l'oggetto della sua indignazione, contrarre una
mostruosa deformità che mette orrore perfino agli angeli, e farsi schiavo del Demonio, non sarebbe
già vero che mirassimo i nostri peccati con indifferenza, che li confessiamo con sì fiacco dolore, che
avessimo sì poca premura di farne penitenza, e che potessimo divagarci in vane allegrie, diremo
ancora noi col penitente Davide: “Io non trovo pace alla vista dei miei peccati”, non est pax ossibus
meis, a facie peccatorum meorum. Non sapremo distogliere la memoria dalla considerazione dei
nostri peccati: peccatum meum contra me est semper, e non contenti d'averli pianti altre volte,
proseguiremo a piangerli, né finiremo mai d'esclamare: amplius lava me ab iniquitate mea.
Asc,2268a:T25,8,2
Sia dunque esercizio proprio di questa giornata, l'esaminare la compunzione del vostro cuore, se
portate alla confessione un dolore intimo e non superficiale; fervoroso e non freddo, sincero e non
apparente, universale e non ad alcuni peccati di più orrida qualità. Mirate altresì quale sia la vostra
penitenza, e sia premura di soddisfare alla Divina Giustizia, se vi esercitate stabilmente in alcune
opere penali col consenso del Direttore, se in occasione d'infermità, od altra tribolazione vi
ricordate subito che i vostri peccati meritano di peggio. Le giaculatorie più frequenti siano queste:
Scelera mea et delicta mea ostende mihi. Fatemi, Signore, conoscere il numero e peso delle mie
colpe. Pater peccavi in Cælum, et coram te, jam non sum dignus vocari filius tuus. Ah, che
purtroppo Vi offesi, o mio buon Padre, se pure mi lice chiamarVi Padre a chi tanto Vi strapazzò.
Iniquitatem meam annuntiabo, et cogitabo pro peccato meo. Conserverò, Signore, l'amara
rimembranza di averVi offeso, e vivrò in continuo pensiero di soddisfarVi. Invocate la protezione di
Maria come rifugio dei peccatori, acciò vi ottenga una stabile e vera compunzione di cuore, ed a
questo fine visiterete tre volte il suo altare recitando in ogni volta la Salve con aggiungere quel
versetto: Fac me vere tecum flere, crucifixo condolere donec ego vixero.
Asc,2268a:T25,9,1
9o giorno. Offerta del cuore intera e perpetua
Fornito che avrete il vostro cuore di tutte le sopraddette qualità, potrete disporvi a farne l'offerta
all'Altissimo per mano di Maria Santissima, avvertendo che se ha da incontrare il totale gradimento
della Divina Maestà è necessario che l'offerta abbia due condizioni: la prima sia che offeriate con
integrità, la seconda che abbiate animo d'offerirlo per sempre. Se pensate di farne una oblazione
dimezzata con rilasciare una parte del vostro cuore a cose terrene, cioè a dire con ritenere qualche
attacco smoderato verso alcuna creatura, voi la sbagliate all'ingrosso, perché sta scritto: Dilige
Dominum Deum tuum ex toto corde tuo, ex tota anima tua. “Amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore
e con tutta l'anima tua”, e di chi pensa di fare divisione, ne sta di già registrata la sentenza: Divisum
est cor eorum nunc interibunt. Vi sovvenga che il cuore umano è fatto solo per Dio, e solo in Lui
come a suo centro può trovare pace. Infatti se rintracciate attentamente l'origine delle vostre
tribolazioni ed affanni, troverete che non d'altronde provengono, che dall'aver voluto far parte del
vostro cuore a cose caduche; lo stesso dite di chi alla sua oblazione lascia mancare la seconda
condizione, che è di dare il cuore a Dio, non per qualche tempo ma per sempre. Quel professare
devozione, raccoglimento e fervore per il corso di una novena, o nella settimana e poi ritornare alla
dissipazione, alla freddezza, alle condiscendenze coll'amor proprio, è lo stesso che dichiararsi
annoiato della pietà e mal contento di Dio.
Asc,2268a:T25,9,2
Chi cammina a passo seguito, s'avvanza verso il suo termine, ma chi va facendo ritornelli e
fermatelle, va a rischio di stancarsi senza profitto: sic currite ut comprehendatis, correte in guisa di
giungere a riportare il pallio, ci avvisa l'Apostolo Paolo. Mirate se le offerte che finora avete fatte
siano state accompagnate da queste due condizioni, e trovando che alcuna, o entrambi siano loro
mancate, chiedete perdono a Dio, interponendo l'intercessione di Maria per ottenerlo; indi
consegnate in mano di Lei il vostro cuore, con protesta di volere che sia tutto di Dio, pregateLa a
custodirvelo, perché non entri mai alcun terreno affetto a dividerlo o a ritoglierlo da quell'altare.
Domani lo sacrificherete recitando a tale fine tre volte l'inno O Gloriosa Virginum. Le giaculatorie
più frequenti siano: Deus cordis mei et pars mea Deus in æternum. Il padrone del mio cuore ha da
essere il mio Dio, né altri ha da averne parte fuori di Lui. Dilectus meus mihi et ego illi, l'amato mio
Dio mi basta per tutto, né amerò altra cosa fuori di Lui. Quis me separabit a caritate Christi? Non
speri più veruna cosa creata di staccarmi dal mio caro Gesù.
Asc,2268a:T26,0,1
Cap. 26. Apparecchio per la venuta dello Spirito Santo
Non facendo lo Spirito Santo la sua dimora, se non nella pace, siccome sta scritto, factus est in pace
locus ejus, perciò la prima disposizione, sia di preparare al Divin Ospite delle nostre anime un cuore
pacifico, che fermo in Dio si tenga nei vari accidenti di questa misera vita, senza mai permettergli
alcuna turbazione, neanche per i propri difetti, perché siccome non si potrebbe dipingere una tela
che da sé volesse muoversi, così non è disposta un'anima che si turbi a ricevere le divine operazioni.
Dobbiamo anche guardarci di turbare il prossimo, rompendo la santa carità, ma imitare i Santi
Apostoli e Discepoli, che si dice che erano unanimi.
La seconda sarà di fare un'aspra guerra alla propria volontà, non ammettendo alcun disegno e
desiderio proprio, ma facendoli tutti morire nella Ss.ma Amabilissima e Dolcissima Volontà di Dio,
mettendo il nostro gusto in questa morte, perché come non si può dipingere una tela già dipinta, se
prima non si cancella l'antica pittura, così non è disposta un'anima a ricevere le impressioni del
Divino Spirito, se non si spoglia della propria volontà.
La terza sia di vegliare sui propri affetti, né permettere che si volgano verso le creature, ma tutti
ridurli a quell'uno che solo li merita, e a cui si devono, e quante volte si risveglieranno questi affetti,
dobbiamo fare subito un atto d'amore non amando noi stessi, né il prossimo, se non in Dio e per
Dio.
Ma come queste virtù non si fabbricano che sopra il fondamento della santa umiltà, perciò
diffidando delle nostre forze, conviene ricorrere con più ardore al divino aiuto, ed implorare fra il
giorno con più frequenti aspirazioni d'amore, d'offerta, di conformità, di desiderio, la venuta del
Divino Ospite recitando tre volte al giorno il Veni Creator, cioè la mattina, dopo pranzo, ed alla
sera, con interporre l'intercessione della Ss.ma Vergine, facendo a tale fine una visita al suo altare
recitando la seguente orazione:
Asc,2268a:T26,0,2
Adoro e venero in Voi, Maria Santissima, il gran mistero operato dallo Spirito Santo
nell'Incarnazione del Divin Verbo, e compiacendomi della dignità a cui Vi sublimò di Madre di
Dio, Vi supplico a muovere con la vostra intercessione lo Spirito Santo ad operare in me, secondo la
sua Ss.ma Volontà. Angelus. Ave.
In unione di quell'umile rassegnazione con la quale Vi offeriste alle operazioni che lo Spirito Santo
voleva fare in Voi, Maria Santissima, io pure mi offro a tutto ciò che dispone fare in me, pregateLo
Voi, mia cara Madre, e presentateGli il mio cuore come soggetto capace delle sue divine operazioni,
ed io intendo di acconsentire ai suoi santi voleri dicendo con Voi: Ecce ancilla. Ave.
Altissimo Iddio, ammiro l'estrema vostra degnazione nel prendere l'umana carne, e soggettarVi a
tanti patimenti per comunicarVi a noi misere creature. Vi offro gli stessi vostri meriti e quelli di
Maria Ss.ma con quel profondo atto di umilissima adorazione che Ella fece, ricevendoVi nelle sue
viscere, e Vi prego a farmi partecipe dei doni dello Spirito Santo che mi meritaste, ed a levare da
me e da tutti gli ostacoli alle sue divine operazioni. Et Verbum. Ave.
Asc,2268a:T26,0,3
Oremus
Deus, qui Beatam Mariam Virginem Spiritus Sancti habitaculum effecisti, præsta, quæsumus, ut
ejus intercessione Spiritum Sanctum accipere mereamur. Per Dominum nostrum Jesum, etc.
Ma siccome il Signore non comunica d'ordinario la sua grazia, se non si tolgono da noi gli
impedimenti di quella, e noi per la nostra cecità molte volte non li conosciamo, perciò porrò qui un
esame da farsi ogni giorno della Novena in questo modo. Poste alla presenza di Dio, e recitato il
Veni Creator, con l'orazione Deus cui omne cor patet etc., consideriamo gli impedimenti che
possiamo mettere alla grazia, con animo risoluto di toglierli col divino aiuto. Sarà anche utile per
questo la che troverà posta avanti ciascun esame.
Asc,2268a:T26,1
1o giorno: meditazione Veni Sancte Spiritus etc.
1o punto. Quanto gran male è restarsene in tenebre, senza il raggio delle divine inspirazioni.
2o Quante finora ne ho ricevute a cui ho mal corrisposto.
3o Quanto debbo temere che mi sia finalmente sottratto un sì bel raggio, se non ne fo maggior
conto.
Pratica
State sopra di voi per non fare azione che non sia regolata dal volere di Dio, con vari atti di
desiderio che questo in voi si adempia.
Esame
Il primo impedimento è l'amor di noi stesse, per il quale con storta intenzione in ogni nostra opera,
cerchiamo o la nostra utilità, o il nostro onore, o il nostro comodo, o preferiamo il nostro bene
particolare alla gloria di Dio, e questa ricerca del nostro interesse non si fa solamente nelle azioni
ordinarie e naturali, ma anche nel desiderio delle virtù e dei doni di Dio, desiderando tutto questo
più per piacere a noi stesse, che per piacere a Dio e fare la sua Santa Volontà, dal che ne viene di
cadere poi in molti errori e peccati. Per rimediare a questo disordine dobbiamo implorare prima il
divino aiuto, e poi vegliare con diligenza sopra i nostri desideri, parole ed opere per esaminare le
nostre intenzioni, se in esse noi cerchiamo altro che la gloria di Dio, e lasciare le creature e noi
stesse nel tempo e nell'eternità, e non dire, né fare che ciò che crederemo essere di gusto di Dio.
Asc,2268a:T26,2
2o giorno: meditazione Veni Pater pauperum, etc.
1o Che mi gioveranno tutti gli onori ed i comodi, se perdo l'anima?
2o Chi può darmi un vero onore e felicità, se non la grazia di Dio?
3o Quale stima faccio di questo gran tesoro nelle occasioni di aumentarlo?
Pratica
Procurate d'aumentarlo con la frequenza degli atti interni di virtù, massime delle virtù che si dicono
Teologali.
Esame
Il secondo impedimento è l'amore disordinato delle creature. Questo amore inquieta il cuore sopra il
successo di molte cose, di modo che l'occhio dell'anima turbato confusamente dalle passioni
d'amore, d'odio, di vana allegrezza, di tristezza, di timore, non può più discernere, né Dio, né se
stessa, né il dovere. Per rimediarvi dobbiamo conservare il nostro spirito libero dall'amore delle
creature, rimettendo alla condotta della divina Provvidenza tutto ciò che ci può accadere, da
qualunque parte che ci venga, a Lei lasciando un'intera cura di noi, a Lui rimettendo ogni nostra
sollecitudine, vegliando acciò non entri nel nostro cuore, né l'occupi che Dio solo. Dobbiamo dare
la terra per il Cielo, il mondo per possedere il regno di Dio, tutte le cose di quaggiù sono da
disprezzarsi come indegne del nostro amore. Lasciamo il mondo per quelli che sono del mondo, per
il quale Gesù non si è degnato di pregare. Se desideriamo sapere ciò che noi amiamo, esaminiamo
sopra quali oggetti si portino i nostri pensieri, perché come dice: “dove è il nostro tesoro, là è il
nostro cuore, il nostro spirito”.
Asc,2268a:T26,3
3o giorno: meditazione Consolator optime etc.
1o Quante amarezze porta seco il peccato, e in vita e in morte.
2o Quando mai ho provata una soda consolazione, se non quando fui più fervente?
3o Perché dunque non mi risolvo di essere santa, perché troppo aderisco ai miei sensi?
Pratica
Procurate di tenere i sensi nella maggior mortificazione che vi sia possible, che vi toglierete un
grande ostacolo alle virtù.
Esame
Il terzo impedimento è il difetto di mortificazione, quale fa che ci portiamo a secondare le naturali
inclinazioni per contentare i nostri sensi, a prendere i nostri comodi oltre i termini della necessità, e
di una discrezione ragionevole; ciò si può osservare nel cibarsi, nel cercare trattenimenti di vani
discorsi, in curiosità, in occupazioni di genio che fanno perdere e impediscono la pace interna e la
consolazione dello Spirito e la grazia, e come queste persone seminano nella carne, tale deve essere
la loro raccolta. Dobbiamo dunque vegliare sopra i nostri sensi, e negare loro con coraggio ciò che
non è necessario, sintantoché lo Spirito ne sia padrone, sottomettendoli con facilità.
Asc,2268a:T26,4
4o giorno: meditazione In labore requies etc.
1o Il giogo delle passioni, dell'amor proprio è pesante, perché sono incontentabili.
2o Il giogo di Cristo è soave, mercé l'aiuto della grazia.
3o Dunque vorrò piuttosto portare un pesantissimo giogo per dannarmi, che un dolcissimo per
salvarmi.
Pratica
Armatevi di un odio santo contro voi stessa per contraddire alle vostre passioni, né date ascolto a
verun patto, perché a tutto vi faranno arrendere.
Esame
Il quarto impedimento è la superbia, la vanagloria, la propria stima, la compiacenza e l'allegrezza
che si concepisce dal favore, dalle lodi, e dalla stima degli uomini. Molti sono abbandonati da Dio a
cagione di questo vizio, perché credendo essi di godere di una perfetta salute, né cercano, né
ricevono alcun rimedio, onde per non cadere in sì misero stato, dobbiamo procurare di acquistare la
vera umiltà che è la strada sicura ed unica per andare a Dio, domandarla incessantemente, e
persuaderci che siamo del pari orgogliosi e vili. Teniamo sempre avanti gli occhi dello Spirito da un
lato, l'infinita Maestà, Sapienza e Bontà di Dio, dall'altro, l'abisso del nostro nulla, giudicando che
siamo i più grandi peccatori del mondo a cagione della nostra ingratitudine e malizia, indegni dei
benefici di Dio e delle creature; degni di tutte le pene immaginabili. Con questi sentimenti
sottomettiamoci a tutti gli uomini, cerchiamo l'ultimo luogo, gridiamo come miserabili: Oh Dio,
siate misericordioso a questo peccatore; ed in questi sentimenti desideriamo di essere disprezzati e
calpestati da tutti. Questa umiltà piace grandemente a Dio, e rese l'uomo capace di ricevere ogni
grazia. Ohimé, chi è quello che possa attribuirsi santità, essendo sì difficile sapere se abbiamo vinta
la sensualità o la volontà propria, e che bene spesso prendono i movimenti della natura per
argomento di una santità.
Asc,2268a:T26,5
5o giorno: meditazione O lux beatissima etc.
1o Spirito Santo e propria volontà non possono assolutamente stare insieme.
2o Quale dei due sta nell'intimo del mio cuore, quello che dà il motivo al mio operare?
3o Il Divino Spirito m'invita all'abnegazione, il mio alla libertà, quale dei due la vince?
Pratica
Osservate ciò che vi rallegra o affligge, e vedrete quale spirito è in voi.
Esame
Il quinto impedimento è l'amarezza del cuore, per la quale siamo portati all'impazienza, al disprezzo
del prossimo, a certa rudezza di tratto, a sinistri giudizi, mirando tutto col medesimo veleno che
rende infermi i nostri occhi, rendendoci odiosi a Dio ed agli uomini. Si rimedia a questo, con
procurare di amare in Gesù tutti gli uomini, onorando in ciascuno di essi la sua immagine, non
lasciando andare nel nostro cuore alcuna amarezza, presentandosi a tutti con faccia serena nella
dolcezza della carità e benignità, con essere disposte a sopportare gli altrui difetti, a perdonare le
offese, le quali, dopo averle offerte a Dio e deposto ai suoi piedi ogni risentimento, non solo non
dobbiamo più raccontare a persona, ma infine vietarci di rammentarle a noi stesse. Dobbiamo pure
prendere ogni cosa in buona parte, non giudicando, né affligendo alcuna, anzi procurare d'assistere
indifferentemente a chi abbisognasse il nostro aiuto, in una parola essere disposto a spargere sopra
tutti la nostra compiacenza e il nostro amore.
Asc,2268a:T26,6
6o giorno: meditazione Sine tuo Numine etc.
1o Quali sono stati finora i miei costumi, quali le pratiche di virtù? Oh, che motivo di confondermi!
2o Quanto peggiorerò sempre, se presto non mi emendo. Oh, che motivo di non tardare!
3o Se mentre differisco, il Signore mi abbandona a cagione di mia infedeltà, oh, che motivo di
temere!
Pratica
Rivedete i propositi fatti e metteteli in esecuzione.
Esame
Il sesto impedimento è la propria volontà, il proprio sentimento. Vi sono taluni che talmente in
questa si fissano, che pare non si fidano di Dio, né degli uomini. Questa proprietà ostinata è in essi
come la base di tutti i loro disegni ed opere, anche nelle cose spirituali; sempre inquieti perché
vogliono servire a Dio secondo le loro idee, in luogo di cercare a seguire la sua santa volontà, onde
queste persone, benché facciano molte opere che agli occhi delle creature paiono buone, sono
nondimeno a quelli di Dio macchiate dall'amor proprio che a quelle dà il moto, in luogo che non
dovrebbero averlo che dal divino amore, perciò avranno a purificarsi queste opere, in apparenza
buone, nel Purgatorio, sinché siano nette da questa zizzania della propria volontà. Si rimedia a
questo vizio mettendo uno stabile fondamento di abbandono pieno e perfetto di sé, mediante il quale
si spogli d'ogni proprietà con un'intera rassegnazione nel divino volere, senza che il cuore niente si
riservi, abbracciando con tutta l'anima la Santa Volontà di Dio, con interna compiacenza nella sua
esecuzione, con intimo aborrimento alla volontà propria, credendo che chi distrugge questa
proprietà, vedrà cadere in se le mura di Gerico, cioè la maggior parte delle sue imperfezioni. Con
questo principio si sottometterà agli uomini, obbedendo con sicurezza e confidenza della speciale
Provvidenza che tiene Dio di un'anima che riconosce con fede la stessa sua voce nella santa
obbedienza, ed in quella si riposa.
Asc,2268a:T26,7
7o giorno: meditazione Lava quod est sordidum etc.
1o Una sordidezza nella veste la porterei tanto tempo, quanto porto le imperfezioni nell'anima?
2o Per rendere fruttifera una vigna, userei sì poca cura come uso nella coltura del mio spirito?
3o Per guarire da una piaga, tratterei così superficialmente dei rimedi? Segno che più stimo il corpo,
la terra, una veste che l'anima mia.
Pratica
Procurate di cavare frutto da Santi Sacramenti, Meditazioni, e letture.
Esame
Il settimo impedimento è l'incostanza nei devoti esercizi, gettandosi con leggerezza a fare prova di
vari esercizi di virtù, lasciandoli poi per tedio, pigliandone indi altri diversi senza mantenere
stabilità nel bene che intraprende, non ponendo in effetto i buoni propositi che dalla Divina Grazia
nelle comunioni, meditazioni, prediche, ritiri, o in altre maniere le vengono suggerite. Questa
infedeltà è uno dei grandi ostacoli che si mettono alla nostra perfezione, essendo un abuso della
grazia, per cui meritiamo che il Signore ci lasci privi di lume nell'intelletto, e freddi nella volontà.
Castigo terribile! Rimedio a questo male si è il mantenere le sante pratiche, che in tempo che più
risplendeva sopra di noi il divino lume si sono intraprese (massime se si è fatto con consiglio)
mantenendoli stabilmente sino alla morte senza rallentare o intiepidirsi, né per tentazioni, né per
dicerie, ma facendo a tutto faccia con animo intrepido e costante, e se hanno a omettersi, non sia
che per cose migliori e con consiglio, e farsi un dovere di andare mettendo in esecuzione i buoni
propositi, né credere un piccolo male l'infedeltà.
Asc,2268a:T26,8
8o giorno: meditazione Flecte quod est rigidum etc.
1o Con quante inspirazioni mi ha il Signore stimolata al fervore, ed io sempre tiepida?
2o Mi ha date le regole come ottima strada, ed io con trasgredirle ho traviato.
3o Con quanti avvisi sono stata esortata, a quali mi sono resa sorda?
Pratica
Obbedite alla voce di Dio, alla santa regola, e ai Superiori.
Esame
L'ottavo impedimento è la libertà di pensieri che ci porta ad una continua dissipazione, a
ragionamenti vani, a curiosità, il che riempie l'anima nostra di tanta caligine, che ci rende inabili a
sentire le divine inspirazioni, e come terra piena di sterpi e di spine. Se avviene che in qualche
occasione di raccoglimento le nasca qualche buon desiderio nel cuore, presto resta da questi
fantasmi, che sempre l'occupano, soffocato senza che produca alcun frutto. Il rimedio a questo male
si è di togliersi mediante una custodia vigilante dei sentimenti ogni occasione di distrarsi e cacciare
con la mortificazione delle potenze interne le antiche immagini che la libertà concessa ai vostri vizi
ve l'ha adunate, così l'intelletto si purificherà da questa immagine, ed il cuore si vuoterà dalle
creature, ed unendo tutte le vostre potenze dentro di voi in silenzio, vi sarà facile d'elevarvi in Dio.
Procurate che qualunque azione voi facciate, sempre vi sembra di udire battersi al vostro interno
udito, queste parole: “Mia figlia, ritornate al vostro cuore, fate conto non esservi al mondo che Dio
e voi, ed aspirate alla divina unione, con uguale fervore ed umiltà”.
Asc,2268a:T26,9
9o giorno: meditazione Da tuis fidelibus etc.
1o Quale stima ho fatto sinora dei doni dello Spirito Santo, se sono stati languidi i miei desideri?
2o Quali sono state le mie preghiere, e gli esercizi di virtù per dispormi a riceverli, se in essi non ho
perseverato?
3o Quale è stata la mia sollecitudine a vegliare sopra i miei affetti sregolati per togliere gli
impedimenti alla Divina Grazia, se sono sempre dissipata?
Pratica
Atti d'umiltà per supplire con essi a ciò che non si è fatto.
Esame
Il nono impedimento si è la tiepidezza, per cui si lascia ozioso il capitale della grazia, poco
operando col nostro interno per un cattivo abito di non badare a dare pregio alle nostre opere con
l'attuale carità e purità d'intenzione, perdendo perciò molto merito nelle nostre opere, e facendo
molto poco profitto nella perfezione. Rimedio a questo sarà procurare con ogni sollecitudine di
destare nella nostra anima un desiderio veemente ed insaziabile di piacere a Dio e di glorificarLo,
prendere questa regola come compendio di tutta la perfezione, di tenere il nostro cuore in una
tendenza amorosa, elevato in Dio con un gran desiderio di amarLo sempre più, a questo aspirando
con brevi ed infuocati affetti, come sarebbe… Oh mio Dio, oh vita dell'anima mia, oh tutto il mio
desiderio e contento, quando potrò amarVi ardentemente e sprezzare me stessa ed il mondo per
Voi. Oh mio Dio, fate che io Vi ami; e con simili movimenti aspirate al vostro Dio, amateLo,
desiderate amarLo di più, rendeteGli grazie ed offeritevi alla sua gloria, compiacetevi nelle
occasioni che vi somministra d'esercitare la virtù. Questo esercizio è nobile e di molto utile. Voi
potete domandare infiniti beni a quello che è Infinito, ed avendo Egli promesso di esaudire le nostre
suppliche, non permetterà che il minimo dei nostri sospiri verso di Lui resti defraudato. Guardatevi
molto bene di perdere per noia o tiepidezza tanti beni che ad ogni momento potete ricevere, non
cessate di chiedere, non abbandonatevi dalla faccia del Signore, e benché distratta e tediata, e senza
forze, fate sempre a Lui ricorso, che troppo gran torto le fareste a rimanervi nella vostra miseria,
avendo nella preghiera un tanto tesoro.
Asc,2268a:T26,10
Per la festa: meditazione Da virtutis meritum etc.
1o Quale ha da essere l'esito di questa mia breve vita, o eterna gloria o eterna pena?
2o Da quale cosa dipende l'una o l'altra di queste due sorti, dalle mie opere?
3o Se mi perdo non potrò lagnarmi di Dio che tanto ha fatto per salvarmi, neanche del Demonio che
non ha potere di perdermi; solo dunque di mia volontà.
Pratica
Concepire un gran odio alla propria volontà e timore di secondarla.
Per quanto utili possono essere gli esercizi esposti, credetemi che poco vantaggio ne trarrete, se non
ponete ogni studio di prendere (come dice la Scrittura) le piccole volpi che distruggono la vigna,
cioè il mortificare le passioni e gli sregolati affetti dell'anima nostra; sono essi volpi per l'astuzia
con cui le copre il nostro amor proprio, sempre con esse d'accordo, sono piccole e facilmente
sfuggono dallo sguardo di chi non veglia con diligenza sopra gli andamenti del suo cuore; e prima si
vede il guasto della vigna che si conosca d'onde è provenuto. Questo deve impegnarvi a reprimere
nel loro nascere i piccoli sdegni, avversioni, sospetti, gelosie, vanità, amicizie, curiosità, volontà
propria, doppiezze, sinistri giudizi, etc., ed armarvi di coraggio per non risparmiarle, e credetemi
che molto v'ingannereste se in questa Novena solo attendeste ad accrescere le devote pratiche, ed
intanto trascuraste purificare il vostro cuore da sregolati affetti dell'amor proprio. Questo sarebbe
allontanare quel Divino Spirito che non cessate d'invitare con le preghiere, e sempre ve ne resterete
fredda per non mai togliere dal vostro cuore gli ostacoli al suo divino amore, ostacoli piccoli in
apparenza, ma oh quanto grandi e dannosi in sostanza. Dunque attendiamo a spogliarci, e
confidiamo che lo Spirito Santo ci rivestirà dei suoi preziosi doni. Amen.
Asc,2268a:T27,1
Cap. 27. Novena dell'Assunta
Maria Virgo Cælos ascendit, gaudete.
Siamo invitati a celebrare con straordinaria allegrezza i Trionfi della nostra Regina e Madre, ma la
nostra allegrezza, se ha da essere grata, deve assomigliare a quella degli angeli, i quali gaudent,
laudantes benedicunt Dominum, con pienezza di gaudio danno lodi e benedizioni al Creatore.
Pertanto impariamo che per celebrare con modo angelico la presente solennità, dobbiamo in suo
ossequio benedire Iddio con lodi pratiche e cordiali, perché queste formano armonia gioconda alle
orecchie della Regina del Cielo. Attendiamo dunque più esattamente del consueto al divino
servizio, al raccoglimento, nella recita dell'ufficio e nell'orazione, con impiegare le tre potenze in
onore dell'Altissimo, così la trionfatrice Regina giubilerà nel vedere da noi perfettamente servito
Iddio, e ci accompagneremo con gli angeli, mentre con il loro gaudio si accompagnerà la nostra
potenza d'animo in tutti i nostri esercizi ed osservanze, con le loro lodi il nostro fervore, e con le
loro benedizioni il nostro cuore sincero ed intenzione pura. Questa solennità comprende poi sotto un
solo nome il transito, l'ascensione, la coronazione della Santissima Vergine.
Asc,2268a:T27,2
In onore del transito ci presenteremo una volta di più avanti il suo altare, pregandoLa di poter
sempre vivere da vere seguaci del Crocifisso, supplicandoLa della sua speciale assistenza nella
nostra morte ed Essa, essendo morta di puro amore, ci ottenga di morire nell'amore, per ciò
procureremo ottenere di morire alla nostra volontà, sottraendoli in questi giorni e sempre ogni
pascolo. In onore della sua gloriosa ascensione, procureremo di staccare il cuore da ogni cosa che
non sia Dio, per sollevarlo al Cielo, dando frequenti occhiate a quel sublime Trono dove sta la
nostra cara Madre, compiacendoci della sua gloria, ed aspirando alla sua Beata Compagnia. In
onore della sua incoronazione, dobbiamo spesso salutarLa, massime passando avanti la sua
immagine con l'Ave Regina cælorum, e tesserle una corona di dodici atti di carità, cioè tre di amor
di Dio, tre di carità con il prossimo, tre di umiltà, e tre di mortificazione, e per carità un'Ave Maria
per chi ha scritto.
Asc,2268a:T28,1
Cap. 28. Ricordi che diede S. Caterina da Genova alla V.M. Gioanna
Batta Vernazza quando entrò nel Monastero di Santa Maria delle
Grazie.
Beata voi, mia cara Tommasina, che Dio vi rimira con occhio di tanta bontà, vi elegge sua diletta. O
celle religiose! O gabinetti sacrosanti! O solitudine beata, dove il mio amore parla cuore a cuore alle
anime sue elette. Egli vi chiama con infinito amore, ma voi udite con tutto il cuore le sue chiamate:
Audi, filia, et inclina auram tuam. Non ascoltate le parole del mondo, né dei parenti, né dell'amor
proprio, ma scordatevi anche del padre, madre, patria e paese, e ricordatevi solo di Dio tutto beltà
ed amore; e vi assicuro che sarete molto ben contraccambiata, poiché disamando voi le creature, vi
amerà, anzi Si innamorerà di voi, il Creatore. O cambio ammirabile! O pazzia dei mortali! E perché
non amano tutti Dio che tanto li ama? O infelice cecità! O cieca perversità! E voi tanto più
avventurosa a cui Dio fa risplendere la luce di questa santa vocazione, acciocché uscendo dalle
tenebre del mondo, entriate nell'ammirabile regno dei suoi splendori. Paradiso è il chiostro, ma
meglio fornace d'amore. Oh che cosa proverete quando esperimenterete il dono di Dio! Si scires
donum Dei. Andate dunque, andate, anzi volate, ma con immutabile risoluzione di essere religiosa,
non solo di luogo e d'abito, ma di osservanza delle regole, e zelo della santa perfezione, perché né il
luogo, né l'abito fa santa, ma il buon cuore infervorato ed osservante: questo vuole Iddio in
sacrificio, non il corpo; e questo donateGli voi interamente; imperocché nella stessa donazione
consiste la perfezione vera. Se a Dio ne farete dono, Egli ne avrà il pensiero di santificarlo, e sarà
segno d'averglielo interamente donato, se vorrete servire a Dio, non al vostro modo, ma a quello di
Dio.
Asc,2268a:T28,2
Come pure se prenderete di giorno in giorno, anzi di punto in punto ogni cosa come procedente
dalla Divina Volontà, senza contristarsi; e se indifferente sarete ad ogni avvenimento, godrete nel
vostro spirito una pace di Paradiso, quantunque nel vostro corpo e nell'interno provaste non un
Purgatorio, ma un Inferno; e questa indifferenza sarà segno che nelle mani di Dio avete posto il
vostro cuore.
Figlia, Gesù nel cuore, Eternità nelle mente, mondo sotto i piedi, Volontà di Dio in ogni cosa, e
sopra tutto amore, amore a Dio che è tutto amore. Laus Deo.
Asc,2268a:T29
Cap. 29. Primo grado delle virtù
L'ufficio della prudenza è di regolare tutte le azioni, tutti i desideri e tutti i pensieri con la sola
ragione; ed ella non deve giammai permettere che la volontà si porti, se non a quello, che è
uniforme alla virtù. L'ufficio della fortezza consiste nel rendere l'anima superiore a tutti i pericoli, e
non permette che ella possa essere presa da altro timore, che dal timore del peccato, essa deve con
grande egualità di spirito far ricevere tutti gli accidenti con cui la divina Provvidenza suole
esercitare gli uomini, cioè a dire le avversità senza abbattersi, e le prosperità senza insuperbirsi.
L'ufficio della temperanza è di non lasciar prendere all'uomo alcun piacere di cui poi se ne possa
pentire, e di ritenere sempre i desideri dell'appetito inferiore sotto l'impero della ragione.
L'ufficio della giustizia è di conservare in tutto una grande egualità, è di rendere a ciascuno ciò che
gli è dovuto. S. Tommaso insegna che non si deve mai fare alcuna cosa di cui non se ne possa
rendere la ragione, per vivere secondo la virtù.
Asc,2268a:T30,1
Cap. 30. Vera felicità dello stato religioso
Quando si parla della felicità dello stato religioso, parmi che se ne dia qualche volta un'idea molto
umana. Confesso che non sento volentieri i Predicatori rappresentarci la vita religiosa come una vita
molto dolce, esente da ogni pena e sollecitudine. Si direbbe, a sentirli, che le religiose non hanno
niente a soffrire, che niente manca loro, che tutto loro arride, che tutto loro succede secondo il loro
desiderio, e perché dunque farsi religiose? Parmi strano che si cerchi fuori del mondo quello che si è
preteso di fuggire lasciando il mondo, vale a dire, delle felicità puramente temporali e delle
dolcezze tutte naturali. Il grande vantaggio della professione religiosa è l'abnegazione cristiana, è la
mortificazione dei sensi, è la Croce; e questo è l'aspetto per il quale va mirata; tutto ciò che si
allontana da questa vista, si allontana dalla verità, e per conseguenza non è che illusione. Io voglio
dunque che non si dissimuli niente a una figlia che si sente chiamata alla casa di Dio, anzi che se ne
mostri le spine di cui è seminata la strada ove ella entra, perché qual'è in effetto la vita religiosa, se
non l'evangelio ridotto e messo in pratica, e nella pratica più perfetta? E cos'è l'evangelio in pratica,
se non una legge di rinunciamento a se stesso, di morte a se stesso, e di guerra perpetua contro se
stesso? Ma mi si dirà che questa idea è capace di fare perdere il coraggio ad un'anima e ributtarla,
ed io rispondo che anzi da quest'idea ella può, e deve trarne i più forti motivi per risolversi, e
rendersi stabile.
Asc,2268a:T30,2
Come? Perché da questo ella impara a stimare lo stato religioso da ciò che lo rende precisamente e
sovranamente stimabile, come stato di santificazione, di perfezione e di salute, come stato ove
l'anima può adunare ogni giorno nuovi meriti per l'eternità, ed accumulare corone sopra corone:
punto essenziale a cui deve unicamente mirare, e nel quale deve far consistere la sua felicità sopra la
terra; se a questo non si mira, io non dubiterei di dire dello stato religioso, ciò che S. Paolo diceva
del Cristianesimo, se la speranza che noi abbiamo si restringe a questa vita, di tutti gli uomini noi
siamo i più infelici. Ecco ciò che io direi senza temere che alcuno che abbia esperienza della vita
religiosa mi dimentisse; ma quando mi si parlerà della vocazione religiosa come di un pegno di
predestinazione, che mi si farà riconoscere una predilezione di Dio, una provvidenza speciale per
rapporto alla mia salute, allora io esclamerò con il medesimo Santo: sono ripiena di consolazione
(in mezzo alle mie tribolazioni, e nelle prove più dure del mio stato) e colma di gioia, ed
aggiungerei ancora come il Profeta: un giorno nella vostra Casa, o Signore, più vale per me, che
mille anni in mezzo dei peccatori del secolo. Che io vi sia umiliata in questa casa del mio Dio, che
vi occupi l'ultimo luogo, che vi provi tutti gli incomodi d'una stretta povertà, che porti il peso d'una
rigorosa ubbidienza, che la natura con tutti i suoi desideri vi sia combattuta, domata, sacrificata, mi
basta che sia in casa di salute per rendermela non solo sopportabile, ma dolce e agreabile e amabile.
Prendere in questa maniera la felicità della religiosa, è prendere quel che vi è di sodo, di reale,
altrimenti si dirà molte belle parole che non convinceranno.
Asc,2268a:T30,3
Né mi si risponda che tutti i Padri della Chiesa fondati nella parola di Gesù Cristo, promettono al
religioso, non solamente il centuplo nell'altra vita, ma ancora in questa, e che tale centuplo altro non
può essere che il riposo che essi godono, e tutte le dolcezze che l'accompagnano. È vero che il
Salvatore ha parlato di doppio centuplo, uno nella vita futura, l'altro della presente, perché Egli l'ha
detto in termini formali, ed è vero che questo centuplo della vita presente non può essere altro, per
un'anima religiosa, che la pace che ella gusta nel suo stato, e che sola vale cento volte più che tutte
le ricchezze da lei rinunciate, ed è così che gli interpreti verificano il passo di S. Marco, e che
intendono la promessa di Gesù Cristo. Ma cos'è questa pace? Ed ecco l'articolo essenziale, sopra il
quale una giovane può essere in errore, ed è bene disingannarla in luogo di tenerla con discorsi
melati e vane esagerazioni.
Asc,2268a:T30,4
Quando Gesù Cristo ha dato la pace ai suoi Discepoli, li avvertì che la sua pace non era una pace
quale la crede e la desidera il mondo: vi do la mia pace, disse Gesù Cristo, e la mia, non quella del
mondo, quella pace falsa, riprovata, oziosa, fondata sopra una vita agiata e comoda, e soprattutto ciò
che piace alla natura o all'amor proprio, ma la pace di una religiosa è stabilita sopra principi tutti
opposti, cioè sopra l'odio di sé, sopra un sacrificio perpetuo dei suoi desideri, inclinazioni, passioni
e della sua volontà, talmente che la religiosa non può essere contenta nel suo ritiro che tanto quanto
ella sa umiliarsi, crocifiggersi, vincersi, rendersi obbediente, povera, paziente, assidua al lavoro,
esatta nei suoi doveri, non risparmiandosi in niente, né volendo essere risparmiata, tutto questo le
deve costare, ma per una specie di miracolo, meno ella si risparmia, più sente l'abbondanza della
pace diffondersi nel suo cuore. Così non vediamo noi che nelle comunità più austere, e dove regna
una più grande allegrezza, è dove si trova il giogo di Cristo più leggero? Tutto contribuisce a
rendere contenta un'anima religiosa, l'indifferenza nella quale si trova riguardo alle cose umane, il
suo distaccamento da tutti gli interessi che cagionano ai mondani tanta inquietudine, l'intero
abbandono della sua persona nelle mani dei Superiori per lasciarsi condurre a grado loro, la dolce
calma della coscienza, l'aspettazione dell'eterna beatitudine ove ella unicamente aspira, e verso la
quale fa ogni giorno nuovi progressi, l'unzione interna della grazia che la riempie, mentre Dio che è
fedele alla sua parola, per mille vie segrete se le comunica e la colma delle più pure delizie.
Asc,2268a:T30,5
A giudicarne dall'esterno, non si vede altro che di disgustosa clausura, dipendenza, silenzio, regola
genante, sommessione cieca, osservanze incomode, esercizi umilianti, ma sotto queste apparenze,
quante consolazioni vi sono! Incognite a chi non conosce i misteri di Dio, riservate a quelle che Lo
amano, e servono in spirito e verità; da questo viene con una meraviglia che l'uomo terrestre non
conosce, che queste vergini sagge dicono con S. Paolo, gloriandosi delle loro catene: Queste catene
che voi vedete, miei fratelli, è per la speranza d'Israele, che io ne sono stretta, la sua clausura, e
clausura perpetua pare che abbia dell'affronto, ed una figlia nata libera, onde può dire con S. Paolo
che ella è incatenata, imprigionata, ma ella è ugualmente consolata e intenerita quando riflette che
ella è prigioniera per Gesù Cristo; che ella è incatenata con volontarie catene per la speranza
d'Israele: speranza che ella conserva preziosamente nel suo seno.
Quam dulcis es Jesu, quam suave est jugum tuum, et onus leve.
Asc,2268a:T31,1
Discours sur la vie cachée en Dieu
Asc,2268a:T31,1
Vous êtes morts…
Vous êtes morts et votre vie est cachée en Dieu avec Jésus-Christ. Quand Jésus-Christ qui est votre
vie apparaîtra, alors vous apparaîtrez en gloire avec Lui (Aux Col.).
Vous êtes morts; à quoi? Au péché. Vous y êtes morts par le baptême, par la pénitence, par la
profession de la vie chrétienne, de la vie religieuse vous êtes morts au péché; et comment pourriezvous donc maintenant y vivre? Mourez-y donc à jamais, et sans retour; mais pour mourir
parfaitement au péché, il faudrait mourir à toutes nos mauvaises inclinations, à toute la flatterie des
sens et de l'orgueil: car tout cela dans l'Écriture s'appelle péché, parce qu'il ne nous permet pas
d'être entièrement sans péché.
Asc,2268a:T31,2
Quand est-ce donc que s'accomplira cette parole de S. Paul: Vous êtes morts? Dans quel
bienheureux endroit de notre vie? Quand serons-nous sans péché? Jamais dans le cours de cette vie
puisque nous avons toujours besoin de dire: pardonnez-nous nos péchés. À qui donc parle S. Paul,
quand il dit: Vous êtes morts: est-ce aux esprits bienheureux? Sont-ils morts, et ne sont-ils pas au
contraire dans la terre des vivants? Sans doute; ce n'est point à eux à qui S. Paul dit: Vous êtes
morts. C'est à nous, parce qu'encore qu'il y ait en nous quelque reste de péché, le péché a reçu le
coup mortel. La convoitise du mal reste en nous, et nous avons à la combattre toute notre vie. Mais
la tenons-nous atterrée, abattue, et anéantie? Nous le devrions, nous le pouvons avec la grâce de
Dieu; et alors elle reçoit le coup mortel. Et si pendant le combat, elle nous donnait quelque atteinte,
nous ne cesserions de gémir, de nous humilier, de dire avec S. Paul: qui me délivrera de ce corps de
mort? Vous en êtes donc délivrées, âmes chrétiennes! Vous en êtes délivrées en espérance, et en
vœu: vous êtes morts. Il ne vous faut plus qu'un drap mortuaire, un voile sur votre tête, un sac sur
votre corps, d'où soient bannies à jamais toutes les marques du siècle, toutes les enseignes de la
vanité. Il ne vous faut qu'une impénétrable retraite pour vous servir de tombeau. Cela est fait: vous
êtes morts, et votre vie est cachée; ce n'est donc pas une mort entière; c'est ce que disait S. Paul: Si
Jésus-Christ est en vous, votre corps est mort à cause du péché qui y a régné, et dont les restes y
sont encore; mais votre esprit est vivant à cause de la justice qui a été répandue dans vos cœurs avec
la charité. C'est à raison de cette vie de la justice que S. Paul nous dit aujourd'hui: et votre vie est
cachée en Dieu.
Asc,2268a:T31,3
Qu'on est heureux! Qu'on est tranquille! Affranchi des jugements humains, on ne compte plus pour
véritable que ce que Dieu voit en nous, ce qu'il en sait, ce qu'il en juge. Dieu ne juge pas comme
l'homme; l'homme ne voit que le visage, que l'extérieur; Dieu pénètre le fond des cœurs; Dieu ne
change pas comme l'homme; son jugement n'a point d'inconstance; c'est le seul sur lequel il faut
s'appuyer. Qu'on est heureux alors! Qu'on est tranquille! On n'est plus ébloui des apparences, on a
secoué le joug des opinions; on est uni à la vérité, et on ne dépend que d'elle. On me loue, on me
blâme; on me tient pour indifférent, on me méprise; on ne me connaît pas, ou l'on m'oublie: tout
cela ne me touche pas, je n'en suis pas moins ce que je suis, l'homme se veut mêler d'être Créateur;
il me veut donner un être dans son opinion, ou dans celle des autres: mais cet être qu'il me veut
donner (et qui néanmoins n'est pas en moi) est un néant: car qu'est ce qu'un être qu'on me veut
donner, sinon une illusion, une ombre, une apparence; c'est-à-dire dans le fond un néant. Qu'est-ce
que mon ombre qui me suit toujours, tantôt derrière, tantôt à côté? Est-ce mon être? Rien de tout
cela. Mais cette ombre semble marcher et se remuer avec moi? Ce n'est pas plus mon être.
Asc,2268a:T31,4
Ainsi en est-il du jugement des hommes qui veut me suivre partout, me peindre, me figurer, me
faire mouvoir à sa fantaisie; et il croit par là me donner une sorte d'être, mais au fond, je le sens
bien, ce n'est qu'une ombre, une lumière changeante, qui me perd tantôt d'un côté, tantôt d'un autre,
allonge, apetisse, augmente, diminue cette ombre qui me suit, la fait paraître en diverses sortes en
ma présence, et la fait aussi disparaître en se retirant tout à fait, sans que je perde rien du mien. Et
qu'est-ce que cette image de moi-même que je vois encore plus expresse, et en apparence plus vive
dans cette eau courante? Elle se brouille et souvent elle s'efface elle-même, elle disparaît quand
cette eau est trouble! Qu'ai-je perdu? Rien du tout qu'un amusement inutile. Ainsi en est-il des
opinions, des bruits, des jugements fixes si vous voulez, ou les hommes avaient voulu me donner un
être à leur mode. Cependant non seulement je m'y amusais comme à un jeu, mais encore je m'y
arrêtais comme à une chose sérieuse et véritable: et cette ombre et cette image fragile me troublaient
et m'inquiétaient en se changeant; et je crois perdre quelque chose. Désabusé maintenant d'une
erreur dont je ne devais jamais me laisser surprendre, et encore moins m'entêter, je me contente
d'une vie cachée, et je consens que le monde me laisse tel que je suis. Qu'on est tranquille alors!
Encore un coup, qu'on est heureux!
Asc,2268a:T31,5
Ô homme qui me louez…
Ô homme qui me louez, que voulez-vous faire de moi? Je ne parle pas de vous, homme malin, qui
me louez artificieusement par un côté pour montrer mon faible de l'autre; ou qui me donnez
froidement de faibles et de fades louanges qui sont pires que les blâmes; ou qui me louez fortement,
peut-être pour m'attirer de l'envie, ou pour me mener où vous voulez par la flatterie; ou pour faire
dire que j'aime à être loué, et ajouter ce ridicule (le plus grand de tous) aux autres que j'ai déjà: ce
n'est pas de vous que je parle, louangeur faible ou malin: je parle à vous qui me louez de bonne foi,
et c'est à vous à qui je demande, que voulez-vous faire de moi? Me cacher mes défauts?
M'empêcher de me corriger? Me rendre fou de moi-même? M'enfler de mon mérite prétendu? De là
me le faire perdre et m'attirer trois ou quatre fois de la bouche du Sauveur cette terrible sentence: en
vérité, en vérité je vous le dis, ils ont reçu leur récompense? Taisez-vous, amis dangereux. Montrezmoi plutôt mes faiblesses, ou cessez du moins de m'empêcher d'y être attentif en m'étourdissant du
bruit de vos louanges. Hélas! Que j'ai peu de besoin d'être averti de ces vertus telles que vous les
vantez. Je ne m'en parle que trop à moi-même, je ne m'entretiens d'autre chose; mais à présent je
veux changer: ma vie est cachée, et s'il y a quelque bien en moi, Dieu l'y a mis, il l'y conserve, il le
connaît, c'est assez pour moi, je ne veux être connu d'autres que de lui, je veux me cacher à moimême.
Asc,2268a:T31,6
Malheureux l'homme qui se fie à l'homme, et attend sa gloire de lui: par conséquent malheureux
l'homme qui se fie ou qui se plaît à lui-même; parce que lui-même n'est qu'un homme, et un homme
à son égard plus trompé, et plus trompeur que tous les autres. Taisez-vous donc, trompeur, qui me
faites si grand à mes yeux. Ma vie est cachée; et si je vis véritablement de cette vie chrétienne, dont
S. Paul me parle, je ne le sais pas, je l'espère, je le présume de la bonté de Dieu, mais je ne le puis
savoir avec certitude.
On me blâme, on me méprise, on m'oublie. Lequel est le plus rude à la nature, ou plutôt à l'amourpropre? Je ne sais. Qu'importe au monde qui vous soyez, où vous soyez, ou même que vous soyez?
Cela lui est indifférent; on n'y songe seulement pas. Peut-être aimerait-on mieux être tenu pour
quelque chose, paraître blâmé, que d'être ce pur néant qu'on laisse là. Vous n'êtes pas fait, vous diton, pour cet oubli du monde, pour cette obscurité où vous passez votre vie, pour cette nullité de
votre personne (s'il est permis de parler ainsi); vous étiez né pour tout autre chose, ou vous méritiez
tout autre chose, que n'occupez-vous quelque place comme celui-ci, comme celle-là, qui n'ont rien
dans leur personne au-dessus de vous? Mais pour qui voulez-vous que je l'occupe? Pour moi ou
pour les autres? Si c'est seulement pour les autres, je n'en ai donc pas besoin pour moi; je n'en
voudrais pas, si on me comparait avec les autres.
Asc,2268a:T31,7
Mais n'est-il pas bien plus véritable de me regarder moi-même, par rapport à moi-même, que de
m'attacher bassement à l'opinion d'autrui et en faire dépendre mon bonheur. Allez, laissez-moi jouir
de ma vie cachée. Que suis-je, si je ne suis rien que par rapport aux autres hommes aussi indignes
que moi? Si pour être heureux chacun a besoin de l'estime et du suffrage d'autrui, tout le genre
humain, qu'est-ce autre chose, qu'une troupe de pauvres et de misérables qui croient pouvoir
s'enrichir les uns les autres, quoique chacun y sente qu'il n'a rien pour soi, et que tout y soit à
l'emprunt.
Vous voulez que je fasse du bruit dans le monde, que je sois dans une place regardée, en un mot
qu'on parle de moi. Quoi donc? Afin que je dise comme faisait ce conquérant parmi les travaux
immenses que lui causaient ses conquêtes: que de maux! Pour faire parler les Athéniens, pour faire
parler des hommes que je méprise en détail, et que je commence à estimer quand ils s'assemblent
pour faire du bruit de ce que je fais! Hélas! Encore une fois, ce que je fais est peu de chose, s'il y
faut ce tumultueux concours des hommes, cet assemblage de bizarres jugements pour y donner du
prix.
Asc,2268a:T31,8
Il ne faut point vous ensevelir avec ce mérite, et ces autres distinctions de votre personne. Faites
paraître vos talents; car pourquoi les enterrer et les enfouir? De quels talents me parlez-vous, et à
qui voulez-vous que je les fasse paraître? Aux hommes? Est-ce là un digne objet de mes vœux? Que
devient donc cette sentence de S. Paul: “Si je plaisais encore aux hommes, je ne serais pas serviteur
de Jésus-Christ”? Mais encore, à quels hommes voulez-vous que je paraisse? Aux hommes vains et
pleins d'eux-mêmes ou aux hommes vertueux et pleins de Dieu? Les premiers méritent-ils qu'on
cherche à leur plaire? Si les derniers méritent qu'on leur plaise, ils méritent encore plus qu'on les
imite. Éteignons donc avec eux tout désir de plaire à d'autres qu'à Dieu.
Vous voulez que je montre mes talents. Quels talents? Est-ce la véritable et solide vertu qui n'est
autre que la piété? Irai-je donc avec l'hypocrite, sonner de la trompette devant moi? Prierai-je dans
les carrefours, dans les coins des rues, afin qu'on me voie? Défigurerai-je mon visage, et ferai-je
paraître mon jeûne par une triste pâleur? Oublierai-je en un mot cette sentence de Jésus-Christ:
“prenez garde”? À quoi mon Sauveur? À ne point faire de péché? À ne scandaliser point votre
prochain? Ce n'est pas ce qu'il veut dire en ce lieu: prenez garde à un plus grand mal que le péché
même, prenez garde de ne pas faire votre justice devant les hommes pour en être vu, autrement vous
n'aurez point de récompense de votre Père Céleste.
Asc,2268a:T31,9
Ces vertus qu'on veut montrer…
Ces vertus qu'on veut montrer, sont de vaines et fausses vertus; on aime à cacher les véritables; car
on y cherche son propre devoir, et non pas l'approbation d'autrui, la vérité et non l'apparence, la
satisfaction de la conscience, et non des applaudissements; à être parfait et heureux, et non pas à le
paraître aux autres. Celui à qui il ne suffit pas d'être parfait et heureux, ne sait ce que c'est que
perfection et félicité; ces vertus, ces rares talents que vous voulez que je montre, sont donc ceux que
le monde prise, l'esprit, l'agrément, le savoir, l'éloquence si vous le voulez, la sagesse du
gouvernement, l'adresse de manier les esprits, c'est-à-dire le plus souvent, l'adresse de tromper les
hommes, de les mener par leurs passions, par leurs intérêts, de les amuser par des espérances.
Hélas! Est-ce pour cela que je suis fait? Que je suis donc peu de chose! Que ces talents sont vils, et
de peu de poids! Est-ce la peine de me charger du soin des autres, de mendier leur estime, d'écouter
leurs importuns discours? De flatter leurs passions? De les satisfaire quelquefois? De les tromper le
plus souvent? Car c'est là ce qu'on appelle gouverner les hommes, c'est ce qu'on appelle la
supériorité du génie: puissance, autorité, crédit, et pour cela, je me chargerais devant les hommes
des soins infinis, de mille chagrins envers moi-même, et devant Dieu d'un compte terrible. Qui le
voudrait faire, s'il n'était trompé par les opinions humaines? Ou qui voudrait étaler ces vains talents,
s'il considérait qu'ils ne sont rien que l'appas de la vanité, la nourriture de l'amour-propre, la matière
des feux éternels? Ah que ma vie soit cachée pour n'être point sujette à ces illusions!
Asc,2268a:T31,10
Dites ce que vous voudrez, il est beau de savoir forcer l'estime des hommes, de se faire une place,
où l'on se fasse remarquer, ou si l'on y est par son mérite, par sa naissance, par son adresse, en
quelque sorte que ce soit, y étaler toutes les richesses d'un beau naturel, d'un grand esprit, d'un génie
heureux, et vaincre enfin l'envie, ou la faire taire; c'est une fumée, disait quelqu'un; mais elle est
douce: c'est le parfum, c'est l'encens des dieux de la terre. Est-ce aussi celui du Dieu du Ciel? S'en
croit-il plus grand, plus heureux pour être loué et adoré? A-t-il besoin de cet encens? Et l'exige-t-il
des hommes et des Anges par autre raison que parce qu'il leur est bon de le lui offrir? Et que dit-il à
ceux qui se font des dieux par leur vanité? Sinon qu'il brisera leur fragile image dans la cité sainte,
et la réduira au néant, afin que nulle chair ne se glorifie devant lui, et que toutes créatures
confessent qu'il n'y a que lui qui soit.
Asc,2268a:T31,11
Et pour ceux qu'il a fait des dieux véritables en quelque façon, en imprimant sur leur front un
caractère de sa puissance, les princes, les magistrats, les grands de la terre, que leur dit-il du haut de
son trône, et dans le sein de son éternelle vérité? J'ai dit vous êtes des dieux, et vous êtes tous les
enfants du Très Haut, mais vous mourrez comme les hommes et comme ont fait tous les autres
grands, car personne n'en est échappé; terre et poudre, pourquoi vous enorgueillissez-vous? Laissezmoi donc être terre et cendre à mes yeux, terre et cendre dans le corps, quelque beau, quelque sain
qu'il soit: encore plus terre et cendre au-dedans de l'âme, c'est-à-dire un pur néant plein d'ignorance,
d'imprudence, de légèreté, de témérité, de présomption, de corruption, de faiblesse, de vanité,
d'orgueil, de jalousie, de lâcheté, de mensonge, d'infidélité, de toutes sortes de misère; car si je n'ai
pas tout cela à l'extrémité, j'en ai les principes et les semences, j'en ressens dans les occasions les
effets funestes. Je résiste dans les faibles et petites tentations, par orgueil plutôt que par vertu, et je
voudrais bien me pouvoir dire à moi-même que je suis quelque chose, un grand homme, une grande
âme, un homme de cœur et de courage; mais qui m'a dit si je me tiendrais, si j'étais plus haut?
Asc,2268a:T31,12
Est-ce qu'à cause que je serai vain à me produire et téméraire à m'élever, Dieu se croira obligé à me
donner des secours extraordinaires? Voilà donc les talents que vous voulez que j'étale, mes
faiblesses, mes lâchetés, mes imprudences; non, non, ma vie est cachée. Laissez-moi décroître aux
yeux du monde, comme aux miens; que je connaisse le peu que je suis, puisque je n'ai que ce seul
moyen de me corriger de mes vices; les yeux ouverts sur moi-même, sur mes péchés et sur mes
défauts, en un mot sur mon indignité, je jouirai sous les yeux de Dieu de la justice que me fait le
monde, de me blâmer, de me décrier, de me déchirer s'il veut, de me mépriser, de m'oublier, s'il
l'aime mieux de la sorte, de me tenir pour indifférent, pour un rien à son égard; et plût à Dieu, car je
pourrais espérer par là de devenir quelque chose devant Dieu.
Asc,2268a:T31,13
Cachée en Dieu; quel mystère…
Et ma vie est cachée en Dieu: cachée en Dieu; quel mystère? Cachée dans le sein de la lumière,
dans le principe de voir. Oui, cette haute et inaccessible lumière me cache le monde, me cache au
monde et à moi-même. Je ne vois que Dieu. Je ne suis vu que de Dieu. Je m'enfonce si intimement
dans son sein, que les yeux mortels ne m'y peuvent suivre. De mon côté, je ne puis me détourner
d'un si digne, d'un si doux objet; attaché à la vérité même, je n'ai plus d'yeux pour la vanité; c'est
ainsi que je devrais être, s'il y a en moi quelque chose de chrétien, c'est ainsi que je veux être. Ô
Dieu, mes yeux s'affaiblissent, se confondent à force de regarder en haut; mes yeux défaillent, ô
Seigneur, pendant que j'espère en vous. Ô Seigneur, soutenez ces yeux défaillants, arrêtez mes
regards en vous, et détournez-les des vanités, des illusions, des biens trompeurs et de tout l'éclat de
la terre, afin que je ne le voie seulement pas et qu'un tel néant ne tire pas seulement de moi un coup
d'œil. Averte oculos meos ne videant vanitatem. Ajoutez ce qui suit: in via tua vivifica me, donnezmoi la vie en m'attachant à vos voies, que je ne voie pas les vanités, que j'en retire tout jusqu'à mes
yeux; c'est par là que, m'attachant à vos voies, vous me donnerez la vie et ma vie sera cachée en
vous.
Asc,2268a:T31,14
Celui qui aime Dieu, disait S. Paul, en est connu. Maintenant que vous connaissez Dieu, ou plutôt
que vous en êtes connus, comment pouvez-vous retourner à ces faibles et stériles observances, ou
vous voulez vous assujettir de nouveau? C'est ce que disait S. Paul, en parlant des observances de la
loi, et on le peut dire de même de tous les stériles attachements de la terre, et de toute la gloire du
monde; maintenant que vous avez connu Dieu, ou plutôt que vous êtes connu de Lui, que votre vie
est cachée en Lui, que vous ne voyez que Lui, et qu'il est, pour ainsi parler, attentif à vous regarder,
comme s'il n'avait que vous à voir. Comment pouvez-vous voir autre chose? Comment pouvez-vous
souffrir d'autres yeux que les siens? Et votre vie est cachée en Dieu. Je vous vois donc Seigneur et
vous me voyez et plût à Dieu que vous me vissiez de cette tendre et bienheureuse manière dont vous
privez justement ceux à qui vous dites: “je ne vous connais pas”: plût à Dieu que vous me vissiez de
cette manière dont vous voyiez votre serviteur Moïse, en lui disant: “Je te connais par ton nom, et tu
as trouvé grâce devant moi”; et un peu après: “Je ferai ce que tu demandes, parce que tu plais à mes
yeux, et je te connais par ton nom”, c'est-à-dire: “Je t'aime, je t'approuve”; mon Dieu, si Vous me
connaissiez de cette sorte, si Vous m'honoriez de tels regards, qu'ai-je à désirer davantage?
Asc,2268a:T31,15
Si Vous m'aimez, si Vous m'approuvez, qui serait assez insensé pour ne se pas contenter de votre
approbation, de vos yeux, de votre faveur? Je ne veux donc autre chose; content de vous voir, ou
plutôt d'être vu de Vous, je Vous dis avec le même Moïse: “Montrez-moi votre gloire, montrezVous Vous-même”. Et si Vous me répondez comme à lui: “Je te montrerai tout le bien, tout le bien
qui est en moi, et toute ma perfection, tout mon être, et je prononcerai mon nom devant ta face, et tu
sauras que je suis le Seigneur, qui ai pitié de qui je veux, et qui fais miséricorde à qui il me plaît”.
Que me faut-il de plus pour être heureux autant qu'on le peut être sur la terre? Et quand Vous me
direz comme à Moïse: “Tu ne verras pas maintenant ma face: tu la verras un jour; mais ce n'est pas
ici le temps: car nul mortel ne la peut voir; mais je te mettrai sur la pierre; je t'établirai sur la foi,
comme sur un immuable fondement. Et je te laisserai une petite ouverture, par laquelle tu pourras
voir mon incompréhensible lumière: et je mettrai ma main devant toi. Moi-même je me couvrirai
des ouvrages de ma puissance: et je passerai devant toi, et je retirerai ma main en un moment, et je
ferai outrepasser tout ce que j'ai fait et tu me verras par derrière: obscurément, imparfaitement, par
mes grâces, par une réflexion, et un rejaillissement de ma lumière comme le soleil qui se retire, qui
se couche, est vu par quelques rayons qui restent sur les montagnes à l'opposite”. N'est-ce pas de
quoi me contenter, en attendant que je voie la beauté de votre face désirable que Vous me faites
espérer?
Asc,2268a:T31,16
Qu'ai-je besoin d'autres yeux? N'est-ce pas assez de vos regards et du témoignage secret que Vous
me rendez quelquefois dans ma conscience que Vous voulez bien Vous plaire en moi, et que j'ai
trouvé grâce devant Vous? Et si cette approbation, si ce témoignage me manque, que mettrai-je à la
place, et à quoi me servira le bruit que le monde fera autour de moi? Cette illusion me consolera-telle de la vérité? Ou faudra-t-il que je me laisse étourdir moi-même par ce tumulte, pour oublier une
telle perte, et faire taire ma conscience qui ne cesse de me la reprocher? Non, non, quand Vous
cesserez de me regarder, il ne me restera autre chose que de m'aller cacher dans les enfers. Car
qu'est-ce en effet que l'enfer, sinon d'être privé de votre faveur? Qu'aurai-je donc à faire, que d'en
pleurer la perte nuit et jour? Et où trouverai-je un lieu assez sombre, assez caché, assez seul, pour
m'abandonner à ma douleur, et rechercher votre face, pour cacher de nouveau ma vie en vous, ainsi
que dit l'Apôtre?
Asc,2268a:T31,17
Cachée en Dieu avec Jésus…
Et ma vie est cachée en Dieu avec Jésus, c'est ici qu'il faut épancher son cœur en silence et en paix
dans la considération de la vie cachée de Jésus-Christ. Le Dieu de gloire se cache sous le voile d'une
nature mortelle: tous les trésors de la sagesse et de la science de Dieu sont en lui; mais ils y sont
cachés: c'est le premier pas, c'est le second, il se cache dans le sein d'une vierge, la merveille de sa
conception virginale demeure cachée sous le voile du mariage; se fait-il sentir à Jean Baptiste, et
perce-t-il le sein maternel où était ce S. Enfant? C'est à la voix de Marie que cette merveille est
opérée: “À votre voix, dit Élisabeth, l'enfant a tressailli dans mes entrailles”. Peut-être du moins
qu'en venant au monde il se manifestera. Oui, à des bergers, mais au reste, il n'a jamais été plus
véritable qu'alors; et dans le temps de sa naissance, qu'il est venu dans le monde et que le monde
avait été fait par Lui et que le monde ne le connaissait pas. Tout l'univers l'ignore, son enfance n'a
rien de célèbre, on parle du moins des études des autres enfants, mais on dit de celui-ci: “Où a-t-il
pris ce qu'il sait puisqu'il n'a jamais rien étudié et n'a pas été vu dans les écoles?”
Asc,2268a:T31,18
Il paraît une seule fois à l'âge de douze ans, mais encore ne dit-on pas qu'il enseignât. Il écoutait les
docteurs et les interrogeait, doctement à la vérité; mais il ne paraît pas qu'il décidât, quoique ce fût
en partie pour cela qu'il fût venu. Il faut pourtant avouer que tout le monde et les docteurs, comme
les autres étaient étonnés de sa prudence et de ses réponses. Mais il avait commencé par entendre et
par demander: et tout cela ne sortait pas de la forme de l'instruction enfantine et quoi qu'il en soit,
après avoir éclaté un moment, comme un soleil qui fend une nuée épaisse, il y rentre et se replonge
bientôt dans son obscurité volontaire. Et lorsqu'il répondit à ses parents qui le cherchaient: “Ne
savez-vous pas qu'il faut que je sois occupé des affaires de mon Père?”, ils n'entendirent pas ce qu'il
leur disait. Ce qu'il ne faut point hésiter à entendre de Marie même, puisque c'est à elle précisément
qu'il fait cette réponse pour montrer qu'elle ne savait pas encore elle-même ce que c'était que cette
affaire de son Père.
Asc,2268a:T31,19
Et encore qu'elle n'ignorât ni sa naissance virginale qu'elle sentait en elle-même, ni sa naissance
divine, que l'ange lui avait annoncée, ni son règne, dont le même ange lui avait appris la grandeur et
l'éternité, c'est comme si elle ne l'eût pas su; puisqu'elle n'en dit mot et qu'elle ne fait qu'écouter ce
qu'on dit de son fils en paraissant étonnée comme les autres, comme si elle n'en eût point été
instruite; ainsi que dit S. Luc: “Son père et sa mère étaient en admiration de tout ce qu'on disait de
Lui”, car c'était le temps de cacher ce dépôt qui leur avait été confié et c'est pourquoi on ne sait rien
de Lui durant trente ans, sinon qu'il était fils d'un charpentier, charpentier Lui-même et travaillant à
la boutique de celui qu'on croyait son père, obéissant à ses parents et les servant dans leur ménage et
dans cet art mécanique, comme les enfants des autres artisans. Quel était donc alors son état, sinon
qu'il était caché en Dieu ou plutôt que Dieu était caché en Lui? Et nous participerons à la perfection
et au bonheur de ce Dieu caché, si notre vie est cachée en Dieu avec Lui.
Asc,2268a:T31,20
Ils sort de cette sainte et divine obscurité et il paraît comme la lumière du monde, mais en même
temps ce monde ennemi de la lumière que Lui découvrait ces mauvaises œuvres, a envoyé de tous
côtés comme des noires vapeurs des calomnies pour l'obscurcir. Il n'y a sorte de faussetés dont on
[n'] ait tâché de couvrir la vérité que Jésus apportait au monde et la gloire que Lui donnaient ses
miracles et sa doctrine. On ne sait que croire de Lui: c'est un prophète, c'est un trompeur; c'est le
Christ, ce ne l'est pas; c'est un homme qui aime les plaisirs, la bonne chair et le bon vin, c'est un
samaritain, un hérétique, un impie, un ennemi du temple et du peuple saint, il délivre les possédés
au nom de Béelzebut, c'est un possédé Lui-même: le malin esprit agit en Lui, peut-il venir quelque
chose de bon de Galilée? Nous ne savons d'où il vient mais certainement il ne vient pas de Dieu
puisqu'il n'observe pas le sabbat, qu'il guérit les hommes, qu'il fait des miracles en ce saint jour. Qui
est cet homme qui entre aujourd'hui avec tant d'éclat dans Jérusalem et dans le temple? Nous ne le
connaissons pas et il y avait parmi le peuple une grande dissension sur son sujet. Qui vous
connaissait, ô Jésus? Vraiment Vous êtes un Dieu caché, le Dieu et le Sauveur d'Israël.
Asc,2268a:T31,21
Mais quand l'heure fut arrivée de sauver le monde, jamais il ne fut plus caché: c'était le dernier des
hommes, ce n'était pas un homme mais un ver, il n'avait ni beauté ni figure d'homme. On ne le
connaissait pas, il semble s'être oublié Lui-même. Mon Dieu, mon Dieu! Ce n'est plus son Père:
pourquoi m'avez-Vous délaissé? Quoi donc, n'est-ce plus ce Fils bien-aimé qui disait autrefois: Je
ne suis pas seul, mais nous sommes toujours ensemble, moi et mon Père qui m'a envoyé et celui qui
m'a envoyé est avec moi et il ne me laisse pas seul. Et maintenant il dit: pourquoi me délaissezVous? Couvert de nos péchés et comme devenu pécheur à notre place, il semble s'être oublié soimême et c'est pourquoi le psalmiste ajoute en son nom: mes péchés (les péchés du monde que je me
suis appropriés) ne me laissent point espérer que Vous me sauviez des maux que j'endure. Je suis
chargé de la dette, comme caution volontaire du genre humain; il faut que je la paie tout entière.
Il expire, il descend dans le tombeau et jusque dans les ombres de la mort. Tôt après il en sort et
Madeleine ne le trouve plus; elle a perdu jusqu'au cadavre de son Maître. Après la résurrection il
paraît et il disparaît huit ou dix fois; il se montre pour la dernière fois et un nuage l'enlève à nos
yeux, nous ne le verrons jamais.
Asc,2268a:T31,22
Sa gloire est annoncée…
Sa gloire est annoncée par tout l'univers, mais s'il est la vertu de Dieu pour les croyants, il est
scandale aux Juifs et folie aux gentils. Le monde ne le connaît pas et ne le veut pas connaître. Toute
la terre est couverte de ses ennemis et de ses blasphémateurs; il s'élève des hérésies du sein même
de son Église qui défigurent ses mystères et sa doctrine. L'erreur prévaut dans le monde et jusqu'à
ses disciples, tout le méconnaît. Nul ne le connaît, dit-il Lui-même, que celui qui garde ses
commandements. Et qui sont ceux qui les gardent? Les impies sont multipliés au-dessus de tout
nombre et on ne les peut plus compter. Mais vos vrais disciples, ô mon Sauveur! Combien sont-ils
rares, combien clairsemés sur la terre et dans votre Église même? Les scandales augmentent, la
charité se refroidit. Il semble que nous soyons dans le temps où vous avez dit: pensez-vous que le
Fils de l'homme trouvera de la foi sur la terre? Cependant vous ne tonnez pas, vous ne faites point
sentir votre puissance. Le genre humain blasphème impunément contre vous et à n'en juger que par
le jugement des hommes, il n'y a rien de plus équivoque ni de plus douteux que votre gloire. Elle ne
subsiste qu'en Dieu où vous êtes caché, et moi aussi.
Asc,2268a:T31,23
Je veux donc être caché en Dieu avec Vous. En cet endroit, mon Sauveur, où m'élevez-vous? Quelle
nouvelle lumière me faites-Vous paraître, je vois l'accomplissement de ce qu'a dit ce Saint Vieillard.
Celui-ci est établi pour être en ruine et en résurrection à plusieurs, et comme un signe de
contradiction à toute la terre. Mais, ô mon Sauveur, que vois-je dans ces paroles? Un caractère du
Christ qui devait venir, un caractère de grandeur, de divinité. C'est une espèce de grandeur à Dieu
d'être reconnaissable par tant d'endroits et d'être si peu connu: d'éclater de toutes parts dans ses
œuvres et d'être ignoré de ses créatures, car il était de sa bonté de se communiquer aux hommes et
de ne se pas laisser sans témoignage, mais il est de sa justice et de sa grandeur de se cacher aux
superbes qui ne daignent, pour ainsi dire, ouvrir les yeux pour le voir. Qu'a-t-il à faire de leur
connaissance? Ce n'est pas une grâce qu'on Lui fait, c'est une grâce qu'il fait aux hommes, et on est
assez puni de ne le pas voir.
Asc,2268a:T31,24
La gloire essentielle est toute en Lui-même et celle qu'il reçoit des hommes est un bien pour eux et
non pas pour Lui. C'est donc aussi un mal pour eux; et le plus grand de tous les maux de ne le pas
glorifier; ils le glorifient malgré eux en refusant de le glorifier mais d'une autre sorte, parce qu'ils se
rendent malheureux en le méconnaissant. Qu'importe au soleil qu'on le voie? Malheur aux aveugles
à qui la lumière est cachée. Malheur aux yeux faibles qui ne la peuvent soutenir. Il arrivera à cet
aveugle d'être exposé à un soleil brûlant et il demandera: qu'est-ce qui me brûle? On lui dira: c'est le
soleil. Quoi! Ce soleil que je vous entends tant louer, tant admirer tous les jours, c'est lui qui me
tourmente? Maudit soit-il. Il détestera ce bel astre parce qu'il ne le voit pas; et ne le pas voir sera sa
punition, car s'il le voyait lui-même, il lui montrerait avec sa lumière bénigne où il pourrait se
mettre à couvert contre ses ardeurs. Tout le malheur est donc de ne le pas voir.
Asc,2268a:T31,25
Mais pourquoi parler de ce soleil, qui après tout n'est qu'un grand corps insensible que nous ne
voyons que par deux petites ouvertures qu'on nous a faites à la tête; parlons d'une autre lumière
toujours prête par elle-même à luire au fond de notre âme, et à la rendre toute lumineuse. Qu'arrivet-il à l'aveugle volontaire qui l' empêche de luire pour lui, sinon de s'enfoncer dans les ténèbres et de
se rendre malheureux? Et Vous éternelle lumière, Vous demeurez dans votre gloire et dans votre
éclat: et Vous manifestez votre grandeur en ce que nul [ne] Vous perd que pour son malheur. Vous
donc, Père des lumières! Vous avez donné à votre Christ un caractère semblable afin de manifester
qu'il était Dieu comme Vous, l'éclat de votre gloire et le rejaillissement de votre lumière, le
caractère de votre substance. Et il est en ruine aux uns et en résurrection aux autres et par son éclat
immense, il est en butte aux contradictions; car quiconque n'a pas la force ni le courage de le voir, il
faut nécessairement qu'il le blasphème.
Asc,2268a:T31,26
Ce qui a paru dans le chef…
Ô mon Dieu! Ce qui a paru dans le chef et dans le Maître, paraît aussi sur les membres et sur les
disciples. Ce monde superbe n'est pas digne de voir les disciples et les imitateurs de Jésus-Christ, ni
de les connaître; et il faut qu'il les méprise et les contredise et qu'il les mette au rang des insensés,
des gens outrés, des gens qu'ont un travers et un secret dérèglement dans l'esprit, qui font un beau
semblant et au-dedans se nourrissent de gloire ou de vanités comme les autres. Et que n'a pas
inventé ce monde contre vos humbles serviteur? Et vous voulez par là leur donner part au caractère
de votre Fils et au vôtre. Je veux donc être caché en vous avec Jésus-Christ jusqu'à ce que la vérité
paraisse en triomphe, quand Jésus-Christ votre gloire apparaîtra, alors vous apparaîtrez en gloire
avec Lui. Je ne veux point paraître quand mon Sauveur ne paraîtra pas. Je ne veux de gloire qu'avec
Lui; tant qu'il sera caché, je le veux être; car si j'ai quelque gloire pendant que la sienne est encore
cachée en Dieu, elle est fausse et je n'en veux point, puisque mon Sauveur la méprise et ne la veut
pas pour Lui-même.
Asc,2268a:T31,27
Quand Jésus-Christ paraîtra, je veux paraître parce que Jésus-Christ paraîtra en moi. Quand vous
verrez arriver ces choses et que la gloire de Jésus-Christ sera proche, regardez et levez la tête: car
alors votre rédemption, votre délivrance approche; la gloire que nous aurons alors sera véritable
parce que ce sera réellement de la gloire de Jésus-Christ. Jusqu'à ce temps bienheureux je veux être
cachée, mais en Dieu avec Jésus-Christ dans sa crèche, dans ses plaies, dans son tombeau, dans le
ciel avec Lui à la droite de son Père, sans vouloir paraître sur la terre. Je ne veux plus de louanges,
qu'on les rende à Dieu, si je fais bien; si je fais mal, si je m'endors dans mon péché, dans la
complaisance du monde enchanté ou de ses honneurs et de son éclat, ou de ses plaisirs ou de ses
joies, qu'on me blâme, qu'on me condamne, qu'on me réveille par toutes sortes d'opprobres, de peur
que je ne m'endorme dans la mort.
Asc,2268a:T31,28
Que me profitent ces louanges qu'on me donne? Elle achèvent de m'enivrer, de me séduire. Si le
monde me loue le bien, tant mieux pour lui: “Mes frères, disait un grand saint, ce serait vous porter
envie de ne vouloir pas que vous louassiez les discours où je vous annonce la vérité. Louez-les
donc, car il faut bien que vous les estimiez et les louiez afin qu'ils vous profitent. Je veux donc bien
vos louanges parce que sans elles je ne puis vous être utile. Mais pour moi qu'en ai-je à faire? Ma
vie et ma conscience me suffisent. L'approbation que vous me donnez vous est utile à vous, mais
pour moi elle m'est dangereuse. Je la crains, je vous la renvoie, je ne la veux que pour vous; et pour
moi, ma vie est cachée en Dieu avec Jésus-Christ; c'est là ma sûreté, c'est là mon repos”.
Asc,2268a:T31,29
Pour moi, disait saint Paul, je me mets fort peu en peine d'être jugé par les hommes, ou par le
jugement humain. Les hommes me veulent juger et il m'ajournent, pour ainsi dire, devant leur
tribunal pour subir leur jugement, mais je ne reconnais pas ce tribunal, et le jour qu'ils ont marqué,
comme on fait dans les jugements, pour prononcer leur sentence, ne m'est rien. Qu'on me mette
devant ou après celui-ci, ou celui-là, au-dessus, ou au-dessous: qu'on me mette en pièces, qu'on
m'anéantisse comme par un jugement dernier: je me laisse juger sans m'émouvoir, ou si je m'en
émeus, je plains ma faiblesse, car ce n'est pas aux hommes à me juger: je ne me juge même pas
moi-même. Le premier des jugements humains, dont je suis désabusé, c'est le mien propre, car
encore que ma conscience ne me reproche rien, je ne me tiens pas justifié pour cela. C'est le
Seigneur seul qui me juge.
Asc,2268a:T31,30
Soyez donc cachés aux hommes sous les yeux de Dieu, comme inconnus, disait le même S. Paul, et
toutefois bien connus, puisque nous le sommes de Dieu; comme morts à l'égard du monde, où nous
ne sommes plus rien et toutefois nous vivons et notre vie est cachée en Dieu; la balayure du monde,
mais précieux devant Dieu, pourvu que nous soyons humbles et que nous sachions tirer avantage du
mépris qu'on fait de nous; tranquilles, indifférents à tout ce que le monde dit et fait de nous; soit
qu'il nous mette à droite ou à gauche, du bon ou du mauvais côté, dans la gloire ou dans l'ignominie,
dans la bonne ou dans la mauvaise réputation, nous allons toujours le même train, comme tristes par
la gravité et le sérieux de notre vie, par la tristesse apparente de notre retraite et de nos humiliations
et néanmoins toujours dans la joie par une douce espérance qui se nourrit dans le fond de notre
cœur, comme pauvre et enrichissant le monde par notre exemple, si nous avons le courage de lui
montrer qu'on se peut passer de lui, comme n'ayant rien et possédant tout et parce que moins nous
avons des biens que le monde donne, plus nous possédons Dieu qui est tout. Fuyons, fuyons le
monde et tout ce qui est dans le monde car ce n'est que corruption: vanité des vanités, dit
l'Ecclésiaste, vanité des vanités et tout est vanité. Crains Dieu et garde ses commandements car c'est
là tout l'homme, ou comme d'autres traduisent: c'est le tout de l'homme.
Asc,2268a:T31,31
Et vous qui que vous soyez…
Allez ma fille, aussitôt que vous aurez achevé de lire cet humble et petit écrit, et vous qui que vous
soyez, à qui la Providence Divine le fera tomber entre les mains, grands ou petits, pauvres ou riches,
savants ou ignorants, ecclésiastiques ou laïques, religieux ou religieuses ou vivant dans la vie
commune, allez à l'instant au pied de l'autel. Contemplez-y en silence Jésus-Christ dans ce
sacrement où il se cache. Demeurez-y, ne lui dites rien. Regardez-le et attendez qu'il vous parle et
jusqu'à ce qu'il vous dise dans le fond du cœur: tu le vois, je suis mort ici et ma vie est cachée en
Dieu, jusqu'à ce que je paraisse en ma gloire pour juger le monde. Cache-toi donc en Dieu avec moi
et ne songe point à paraître que je ne paraisse. Si tu es seul, je serai ta compagnie; si tu es faible, je
serai ta force; si tu es pauvre, je serai ton trésor; si tu as faim, je serai ta nourriture; si tu es affligé,
je serai ta consolation et ta joie; si tu es dans l'ennui, je serai ton goût; si tu es dans la défaillance, je
serai ton soutien.
Asc,2268a:T31,32
Je suis à la porte et je frappe: celui qui entend ma voix, et m'ouvre la porte, j'entrerai chez lui et j'y
ferai ma demeure avec mon Père et je souperai avec lui et lui avec moi. Mais je ne veux point de
tiers, ni autre que lui et moi, moi et lui, et je lui donnerai à manger du fruit de l'arbre de la vie, qui
est dans le Paradis de mon Dieu avec la manne cachée dont nul ne connaît le goût, sinon celui qui la
reçoit. Que celui qui est altéré vienne à moi et que celui qui voudra, reçoive de moi gratuitement
l'eau qui donne la vie. Ainsi soit-il, ô Seigneur, qui vivez et régnez avec le Père et le Saint-Esprit
aux siècles des siècles. Amen.
Fin
Asc,2268a:T32
Indice dei Capi
Introduzione, Pag. 1
Cap. 1. Per le prime azioni della giornata pag. 3
Cap. 2. Per la recita dell'Officio pag. 8
Cap. 3. Per l'orazione mentale pag. 13
Cap. 4. Per la Santa Messa pag. 22
Cap. 5. Per il lavoro pag. 24
Cap. 6. Per il parlatorio pag. 26
Cap. 7. Per la refezione pag. 28
Cap. 8. Per la ricreazione pag. 29
Cap. 9. Del trattenersi in cella pag. 30
Cap. 10. Del visitare le inferme pag. 31
Cap. 11. Della lezione pag. 32
Cap. 12. Dell'osservanza della santa regola pag. 35
Cap. 13. Per l'esame particolare pag. 39
Cap. 14. Dell'esame generale, e del riposo pag. 41
Cap. 15. Alcuni devoti pensieri e santi affetti, per ricevere con spirito d'amore tutto ciò che ci
succede pag. 45
Cap. 16. Dei giorni festivi pag. 53
Cap. 17. Della confessione pag. 62
Cap. 18. Della Santa Comunione pag. 66
Cap. 19. Del ritiro del mese pag. 71
Cap. 20. In tempo di malattia pag. 80
Cap. 21. Desiderium pauperum pag. 86
Cap. 22. Avvertimento pag. 88
Cap. 23. Apparecchio per il Santo Natale pag. 90
Cap. 24. Novena di San Francesco di Sales pag. 98
Cap. 25. Apparecchio alla festa della Purificazione pag. 98
Cap. 26. Apparecchio alla venuta dello Spirito Santo pag. 107
Cap. 27. Novena dell'Assunta pag. 117
Cap. 28. Ricordi di S. Caterina da Genova pag. 118
Cap. 29. Primo grado delle Virtù pag. 119
Cap. 30. Vera felicità dello stato religioso pag. 119
Discours sur la vie cachée en Dieu pag. 123
Fine
Asc,2268a:*1
Is. 26, 9.
Asc,2268a:*2
Sal. 120, 4.
Asc,2268a:*3
Matt. 25, 6.
Asc,2268a:*4
Luc. 1, 79.
Asc,2268a:*5
A questo punto finisce anche la copia AOMV, S. 2,9,2:268c.
Asc,2268b:S
Indirizzo per una religiosa
Il documento AOMV, S. 2,9,2:268b è un'altra copia del precedente con varianti. Non contiene i capitoli 21, 22, 29, 30 e
il Discours sur la vie cachée en Dieu. Inserisce dopo il capitolo 27 una Novena del Crocifisso. Riproduciamo qui solo
questa parte.
Asc,2268b:T
Novena del Crocifisso
Ben volentieri vorrei condurvi ad assistere all'agonia del vostro Padre Crocifisso e ricevere la sua
benedizione, ed a raccogliere l'eredità che vi lascia, che non è altra che la sua Croce ed il suo amore.
In questi giorni non vi lamentate di nessuna e di niente per onorare la sua mansuetudine ed il suo
silenzio. Date ogni giorno tre occhiate al Crocifisso con un atto di contrizione, di speranza e di
amore. Gesù non si è scelta la Croce, ma ha portata quella che gli è stata offerta; non quella che
volete, ma prendete e portate quella che Iddio vi manda, la più ripugnante alla natura è la migliore.
Rinnovate ogni giorno i voti, che sono i tre chiodi che vi hanno a conficcare alla Croce di Cristo.
Pensate che Gesù viene per le Comunioni nel vostro cuore, per condurvi seco al Calvario, per
menarvi al Cielo. Vivete con Gesù, morrete con Gesù. Così sia. Mihi vivere Christus est et mori
lucrum.
Asc,2268b:T1
Neuvaine
À l'honneur du Sacré Cœur de Jésus pour neuf vendredis, ou neuf jours
consécutifs.
Asc,2268b:T1
Premier office
La Médiatrice demandera au Père éternel de faire connaître le Sacré Cœur de Jésus, au Saint-Esprit
de le faire aimer, à la S. Vierge d'employer son crédit afin qu'elle fasse sentir son pouvoir à tous
ceux qui s'y adresseront. Depuis midi jusqu'à 3 heures, elle se retirera dans le Cœur Divin, s'y
unissant selon son attrait et s'associera au chœur des Trônes pour l'honorer avec eux; fera une visite
au S. Sacrement pour la communauté, demandant par les mérites de ce Divin Cœur, qu'il règne sur
tout l'ordre de la Visitation (qu'il s'est choisi) et sur chaque religieuse selon ses desseins. Elle
récitera les litanies du Sacré Cœur de Jésus ou l'Ave Cor. Sa vertu sera de s'accommoder à l'humeur
du prochain en esprit de paix et de douceur; se souvenant de la clémence du Cœur de Jésus, elle en
fera cinq actes.
Bienheureuse sera celle à qui cet office plaira; car Notre Seigneur a dit qu'il sera lui-même son
médiateur. Sr. M. Alacoque.
Aspirations
Cœur le plus grand des cœurs
Cœur le plus élevé!
Sans vous mon faible cœur
Ne peut être sauvé.
Par votre Sacré Cœur transpercé, blessez les nôtres, ô très aimable Jésus, des flèches de votre pur
amour tellement, qu'ils ne puissent plus s'attacher à rien de terrestre ni d'humain, mais qu'ils soient
tous perdus et abîmés dans l'immensité du vôtre, pour l'éternité. Prière de sainte Gertrude, qui lui a
obtenu de très grandes grâces.
Asc,2268b:T2
Deuxième office
La Réparatrice est particulièrement chargée de demander très humblement pardon à Dieu de toutes
les injures qui Lui sont faites au Très Saint Sacrement.
Depuis 3 heures d'après-midi jusqu'à 6, elle se renfermera dans le Sacré Cœur de Jésus, comme
dans une prison d'amour. Et se trouvant insolvable pour payer de si grandes dettes, elle l'offrira Luimême pour satisfaire à la Divinité outragée.
Elle priera le chœur des Puissances de lui aider à dédommager Jésus-Christ pour les Messes mal
célébrées et les communions faites en état de tiédeur par les âmes qui lui sont spécialement
consacrées et aussi pour les fautes commises dans la Communauté, qui ont plus sensiblement déplu
à son Cœur Divin. Dans ces vues elle fera une visite au S. Sacrement et fera amende honorable.
Mais les vendredis, et surtout le premier de chaque mois, elle signalera son amour par un
redoublement de ferveur à honorer ce Cœur Divin; lui rendant encore de plus particuliers
hommages selon le mouvement de sa piété.
Sa vertu sera l'exacte pratique des règles de son état. Cinq actes. Qu'heureuse sera la Réparatrice
puisque son office est si agréable à Notre Seigneur qu'elle peut se confier humblement (selon sa
promesse) qu'elle obtiendra grâce et pardon pour elle. S. M. Alacoque.
Aspirations
Cœur divin de Jésus, souverain en puissance
Forcez, des cœurs ingrats, l'injuste résistance.
Votre Cœur, ô mon Jésus, est un trésor dont notre confiance est la clef: faites-nous-en sentir le prix.
Asc,2268b:T3
Troisième office
L'Adoratrice suppléera à l'oubli de Dieu presque universel dans le monde, par de fréquentes
adorations intérieures envers la Très Sainte Trinité, en union des louanges que lui donne le Cœur de
Jésus.
Depuis 6 heures du soir jusqu'à 9 elle se complaira dans ces cantiques éternels que chantent les
Esprits bienheureux: Saint, Saint, Saint est le Dieu Très-haut, et le répétera avec les chœurs des
Dominations; offrant par eux, à l'auguste Cœur de Jésus, le bien qui se fait dans toute l'étendue de la
terre, pour le consacrer à sa plus grande gloire. Visitera le Saint-Sacrement au nom de la
Communauté, lui demandant pour chacune en particulier et pour tous les prêtres et religieux, l'esprit
de ferveur et de zèle à bien réciter le saint Office. Elle dira trois fois: O vere adorator etc., avec le
Gloria in Excelsis, ou l'Ave Cor.
Sa vertu sera un respect profond dans l'Église pour Jésus-Christ présent, s'y comportant avec
modestie et recueillement. Cinq actes.
Maxime
On ne glorifie véritablement, qu'autant qu'on imite ce qu'on adore.
Aspirations
Cœur, digne adorateur du Souverain des Cieux
Ah! Que rien, hors de vous, ne me soit précieux.
Ô Dieu, adorateur d'un Dieu, je m'unis de tout mon cœur aux hommages que Vous rendez
continuellement à votre Père Céleste dans le secret de votre Cœur Divin; et je voudrais pouvoir
recueillir dans ma foi et dans mon amour tout ce que votre Esprit inspire à l'auguste Marie et à Vos
Saints, pour Vous honorer et glorifier à jamais.
Asc,2268b:T4
Quatrième office
L'Amante du Sacré Cœur le dédommagera de l'indifférence et froideur de tant de cœurs qui lui sont
consacrés.
Depuis 9 heures du soir jusqu'à 6 du matin, elle s'associera au chœur des Séraphins pour qu'ils
tiennent sa place devant le Saint Sacrement pendant les heures de son sommeil. Pour cet effet, avant
de se coucher, elle le visitera et renfermera son cœur dans le Saint Tabernacle, prendra son repos,
disant: je dors, mais mon cœur veille dans celui de mon bien-aimé. S'éveillant durant la nuit, elle
s'unira de cœur et d'esprit aux célestes cœurs qui font son Office. Le matin, à l'oraison, elle les
remerciera et renouvellera sa protestation d'amour envers ce Sacré Cœur, lui demandant de ranimer
dans nombre de cœurs tièdes et lâches, le feu de sa charité, qui y est presque éteint, afin que nous
soyons tous embrasés et un jour consumés de ses vives flammes.
Elle dira trois fois: O Cor amabilissimum etc.
Sa vertu sera la fidélité de l'Épouse qui ravit le cœur de son Époux par un de ses cheveux:
exactitude aux petites choses, en vue de l'amour, et pour l'amour. Cinq pratiques.
Ô Cœur de Jésus, divin brasier d'amour, que dans vous les nôtres soient tous consumés! Je suis venu
apporter le feu sur la terre; que désiré-je, sinon qu'il brûle? Jésus-Christ.
Maxime
On n'arrive au séjour éternel du divin amour qu'autant que dans le chemin on est accompagné de
l'amour.
Aspirations
Cœur qui m'avez blessé d'une langueur mortelle,
Rendez, aimable Cœur, ma blessure éternelle.
Je vous conjure et vous supplie,
Anges de la Céleste Cour,
De dire à l'Auteur de ma vie
Que je languis pour Lui d'amour.
Asc,2268b:T5
Cinquième office
La Disciple du Cœur de Jésus se rendra fort attentive à L'écouter dans l'oraison, à l'approche des
Sacrements, elle désirera que tout ce qu'Il a soin d'enseigner profite, et elle ne lui résistera jamais.
Depuis 6 heures du matin jusqu'à 9, elle entrera dans ce Sacré Cœur, comme dans une divine école,
où l'on apprend la science du pur amour, qui fait oublier toutes les sciences mondaines; elle
s'appliquera à repasser dans son esprit les leçons qu'elle en a reçues pour sa perfection; et s'associant
au chœur des Chérubins, pour avoir avec eux accès dans les splendeurs et lumières qui rejaillissent
du Cœur de Jésus, elle lui demandera de les répandre sur tant de disciples de l'erreur, pour qu'ils
reviennent dans la vérité. À ce dessein elle visitera le Saint Sacrement, y récitant la petite Couronne
du Sacré Cœur, ou le Veni Creator.
Sa vertu sera le recueillement et le silence. Cinq actes.
Maxime
Plus elle sera silencieuse, mieux elle sera enseignée, et retiendra la grande leçon de son Adorable
Maître, la douceur et l'humilité. Sr. M. Alacoque.
Aspirations
Cœur Sacré de Jésus, Cœur Saint, Cœur adorable,
Apprenez à mon cœur que vous seul êtes aimable.
Ah! Divin Cœur! Où vous êtes le Maître, on est bientôt instruit: instruisez-moi donc, auguste Cœur,
qui daignez m'accepter pour disciple; ouvrez les oreilles du mien, rendez-le docile à vos divines
leçons, et convertissez tous ceux qui sont rebelles à la vérité.
Asc,2268b:T6
Sixième office
La Victime doit entrer dans l'esprit de sacrifice, pour apaiser la colère de Dieu contre les pécheurs.
Depuis 9 heures du matin jusqu'à midi, elle s'offrira au Cœur de Jésus, pour participer à son état de
victime au Saint Sacrement, et se conformant aux mouvements de son ardente charité, elle dira:
Amen. C'est dans cette disposition qu'elle viendra le visiter sur son Autel où l'amour le sacrifie et,
prosternée, adorera la Justice divine, avec le cœur des Vertus, en s'immolant au bon plaisir de ce
Cœur lui-même immolé. L'offrant au Père Éternel, surtout dans le moment de la Sainte
Communion, pour attirer plus efficacement sur les pécheurs sa miséricorde. Elle se renouvellera
dans l'esprit de sacrifice particulièrement tous les vendredis; et rendra chaque jour hommage au
Cœur de Jésus, par l'acte de Consécration.
Sa vertu sera la mortification sur la curiosité de l'esprit, les affections du cœur et les satisfactions
des sens. Cinq actes.
Maxime
Quand c'est l'amour divin qui sacrifie la victime, ses coups les plus rudes lui semblent doux.
Aspirations
Sans cesse en m'immolant, je voudrais, Divin Cœur,
Désarmer le Très-Haut, réparer votre honneur.
Ô Sacré Cœur, victime d'amour, qui résidez sur nos Autels, que désirez-vous? que demandez-vous?
sinon des victimes pour continuer en elles votre sacrifice; me voici, Seigneur: prenez possession de
moi, afin d'être une Hostie immolée et consumée dans les flammes de votre amour, à la gloire de
votre Divin Père, et pour le salut des pécheurs: Père Céleste, qui m'avez choisie pour victime,
recevez-moi par le Sacré Cœur de votre Fils unique.
Asc,2268b:T7
Septième office
L'Esclave du Divin Cœur de Jésus mettra sa gloire à porter les chaînes du tendre et généreux amour,
qui le retient captif volontaire dans le Tabernacle.
À chaque heure du jour elle renouvellera par ces paroles: Ecce ancilla Domini, la servitude qu'elle a
vouée au Cœur Divin, comme à son Seigneur et Maître, préférant en toutes choses sa sainte volonté
à la sienne. Connaissant que le plus ardent désir de Jésus-Christ dans l'Eucharistie, est de se
communiquer à nos âmes par la Communion, elle le priera, le visitera sur son Autel, d'agréer
l'offrande de toutes ses bonnes œuvres, pour obtenir que cet adorable Sacrement soit plus souvent,
et plus dignement fréquenté, qu'il produise dans tous les cœurs les fruits de grâce et de salut dont il
est source. Elle intéressera le chœur des Archanges dans ce service tout d'amour, afin qu'ils
appellent les conviés au Festin, et les revêtent de la robe nuptiale. Elle récitera le Pange Lingua.
Sa vertu sera la fidélité aux inspirations. Cinq actes.
Maxime
Servir le Cœur de Jésus, c'est régner; vivre en Lui, c'est le vrai bonheur; y mourir, est le désir de
l'âme fidèle.
Aspirations
Jésus, que votre chaîne a de charme pour moi!
Liée à votre Cœur, je veux vivre sa Loi.
Ô Tout-Puissant amour de mon Dieu, qui avez rompu les liens qui me captivaient loin de vous! Que
ne puis-je attirer après moi tous ceux qui Vous ont fui comme moi, et leur faire goûter, comme je
goûte à l'ombre de vos Autels, les charmes d'un nouvel esclavage qui fait de tous ses captifs autant
d'heureux! Ô mystérieuse dépendance de Jésus, dans l'Hostie! Je me dévoue à Vous honorer, et
désire Vous unir tous les cœurs.
Asc,2268b:T8
Huitième office
La Suppliante du Cœur de Jésus, pénétrée d'une foi vive et d'une entière confiance dans les mérites
de ce Cœur Divin, ne cessera de les offrir au Père Éternel pour en obtenir l'abondance de ses grâces,
tant pour elle que pour ceux qui sont en péril de corps et d'âme; elle priera particulièrement pour les
agonisants et les âmes du Purgatoire.
Pour cet effet, à chaque heure du jour et de la nuit (si elle s'éveille) elle s'unira au Cœur tendre et
compatissant de Jésus-Christ. Animée de son esprit et excitée par quelques traits de sa charité, elle
suppliera principalement, dans ses Communions et Oraisons, l'Être suprême d'exaucer ses humbles
prières en vue de ce Cœur adorable, l'unique objet de ses complaisances. Elle invitera le chœur des
Anges, nommément les Anges Gardiens, à s'unir avec elle, et à l'accompagner en sa visite au Saint
Sacrement, où elle récitera le Pater, et offrira toutes ses bonnes œuvres, ayant soin d'y faire
participer les âmes du Purgatoire.
Sa vertu sera la charité du prochain et l'humilité. Cinq actes.
Maxime
Toute grâce nous vient par Jésus-Christ et découle de son Cœur Sacré, comme d'une source dont
rien n'épuise la fécondité. Ce Cœur adorable est ouvert à tous; entrons-y avec confiance, comme
dans un sanctuaire où réside la Divinité; offrons-y d'humbles prières unies à celles de Jésus-Christ,
elles ne peuvent manquer d'être reçues favorablement.
Aspirations
Écoutez, Divin Cœur, la voix des opprimés,
Et soyez le secours de ces infortunés.
Ô Cœur Miséricordieux de Jésus, vous n'aimez qu'à pardonner et à faire des heureux.
Asc,2268b:T9
Neuvième office
La Zélatrice aura singulièrement en recommandation la gloire du Cœur de Jésus.
Elle invoquera les neuf chœurs des Anges, particulièrement celui des Principautés, pour obtenir par
leur intercession que le Cœur de Jésus soit connu par toute la terre, et qu'il attire à son amour tant
d'idolâtres et d'infidèles, qui ne le connaissent pas, et une infinité de chrétiens qui lui refusent leurs
justes adorations; ce sera l'objet de sa visite au Saint Sacrement et de son ardent désir pour la sainte
Communion. À chaque heure du jour elle glorifiera cet adorable Cœur par une élévation du sien
vers lui, dans la vue de donner à son amour un dédommagement pour les défauts de celles qui se
sont rendues négligentes à bien s'acquitter de ses différents offices. La saint zèle et la prudence la
guideront dans toutes les occasions où il est possible d'accroître le culte et le nombre des Adorateurs
du Cœur Divin, insinuant cette dévotion autant par ses vertus, que par ses paroles. Elle récitera la
Prose du Divin Cœur, ou le Te Deum.
Sa vertu sera l'obéissance simple et prompte aux volontés de ses supérieures. Cinq actes.
Notre Seigneur réserve à la zélatrice des trésors de grâce incompréhensibles; et son nom sera écrit
dans son Cœur Divin, pour n'en être jamais effacé. Sr. M. Alacoque.
Maxime
Le Cœur de Jésus n'a respiré que zèle pour la gloire de son Père Céleste; il veut être imité. Qui
manque de zèle, dit S. Augustin, manque d'amour.
Aspirations
Que n'ai-je, ô Divin Cœur, une voix de tonnerre
Pour porter votre amour jusqu'au bout de la terre!
Ô Cœur de Jésus très aimable et très aimant, quand serez-vous très aimé?
Asc,2268b:T10
Acte d'Hommage envers le Divin Cœur
Acte d'Hommage envers le Divin Cœur pour faire tous les jours de la Neuvaine, si l'on veut, à la
place des prières prescrites à la fin de chaque Exercice.
Cœur adorable de Jésus, ma paix et ma réconciliation auprès du Père Céleste, appliquez à nos âmes
le prix du Sang qui nous a rachetés; je Vous abandonne, mon Divin Maître et Médiateur, tous mes
intérêts; je me livre entièrement à ceux de votre gloire. Pénétrée de douleur en voyant votre amour
méprisé, je veux, selon mon pouvoir, réparer un si grand outrage; je n'ai qu'un cœur à Vous offrir:
lui-même a été ingrat mais il ne veut plus l'être. Contrit, humilié, je vous l'offre en sacrifice; Vous
avez promis de ne le pas rejeter; c'est lui qui Vous fait amende honorable pour tant d'impies, de
lâches chrétiens, de faux dévots qui vous offensent si grièvement dans ce Mystère le plus étonnant
de votre amour; que n'ai-je en ma disposition tous les cœurs des hommes pour Vous en faire avec
moi une digne réparation par un amour tendre, généreux, fidèle et reconnaissant. Je m'unis à tant
d'âmes saintes qui Vous adorent, et qui dans la suite des années vous adoreront en vérité sur nos
Autels.
Par leur esprit, et par leur cœur, je prétends perpétuer et éterniser en quelque sorte, mes hommages
et mon amour, et vous dire sans cesse avec elles: Nous vous louons, ô Cœur très saint et très pur,
Cœur admirable dans vos vertus et dans vos perfections infinies. Ô Cœur de Jésus, tout brûlant
d'amour, nous Vous adorons, louons, glorifions et rendons grâces; nous vous aimons de tout notre
cœur, de toute notre âme, de toutes nos forces; nous Vous offrons notre cœur, nous Vous le
donnons, le consacrons, l'immolons; daignez-le recevoir et le posséder tout entier; purifiez-le,
éclairez-le, et sanctifiez-le, afin que Vous y viviez et régniez maintenant et toujours et dans tous les
siècles des siècles: O vere Adorator et immense Dei amator, miserere nobis.
Asc,2269a:S
Tesoro del crocifisso o vantaggi da ricavarsi da Gesù Cristo crocifisso
Manoscritto di mano ignota.
AOMV, S. 2,9,3:269a
Pubblicato in Lanterianum, novembre 1998, pag. 11-17.
Asc,2269a:T0,1
Tesoro del crocifisso o vantaggi da ricavarsi da Gesù Cristo crocifisso
Gesù Cristo è tutto per noi.
Nulla vi ha di più certo di questa verità.
I Profeti ce ne assicurano. Parvulus natus est nobis, et Filius datus est nobis (Is. 9, 6).
È nato per noi un pargoletto, e ci è stato dato un Figlio.
Gli Angioli lo pubblicano espressamente nella sua nascita: Natus est vobis hodie Salvator (Luc. 2,
11).
Oggi è nato il Salvatore. Egli è nato per voi.
I Vangelisti protestano che Iddio l'ha dato a noi. Sic Deus dilexit mundum, ut Filium suum
unigenitum daret (S. Giov. 3, 16). Iddio ha talmente amato il mondo, che gli ha dato il suo
unigenito Figliuolo.
S. Paolo l'ha predicato per tutta la terra. Qui tradidit semetipsum pro nobis (Ad Tim. 2, 6). Egli ha
dato se stesso per noi.
Asc,2269a:T0,2
La Chiesa lo canta solennemente: Nobis datus, nobis natus. Egli ci è stato dato ed è nato per noi.
Chi mai dunque potrebbe dubitare di questa verità dopo tante e sì autentiche testimonianze?
Gesù Cristo è tutto per noi.
Suo Padre lo ha dato a noi.
Egli medesimo si è dato a noi.
Non vi ha miglior acquisto di questo dono.
Egli è dunque mio. Si, egli è mio ed appartiene a me. O amore! O bontà!
Che cosa dunque è necessaria dal canto mio per profittare di questo dono, maggiore d'ogni dono, e
che contiene in sé tutti gli altri doni?
Tre cose sono necessarie: Fede, Confidenza, ed Offerta.
1. Unirsi a Lui, ed appropriarlo a se stesso per mezzo della Fede.
2. Collocare in Lui tutta la nostra confidenza.
3. Offrirlo all'Eterno suo Padre in soddisfazione dei nostri peccati.
Asc,2269a:T1,1
1. Fede in Gesù Cristo Crocifisso
Gesù Cristo medesimo ci ha insegnato questo vantaggio, che dobbiamo ricavare dalla sua morte per
la salute dell'anima nostra, quando disse in S. Giov. cap. 3, v. 14-15: Sicut Moyses exaltavit
serpentem in deserto, ita exaltari oportet Filium hominis, ut omnis, qui credit in ipsum, non pereat,
sed habeat vitam æternam.
Siccome Mosè innalzò nel deserto il Serpente di bronzo, così fa d'uopo che il Figliuolo dell'uomo
sia innalzato, affinché chiunque crede in Lui, non perisca, ma abbia la vita eterna.
Gesù Cristo con queste parole ci volle indicare il genere della sua morte, che era di essere
crocifisso, ed il vantaggio che noi dobbiamo ritrarre dalla sua morte per la salute dell'anima nostra,
come se avesse detto:
Mosè per guarire nel deserto il popolo Ebreo dal morso dei serpenti, innalzò sopra di un patibolo,
ossia sopra una specie di croce un Serpente di bronzo, che aveva la figura di serpente senza averne
il veleno. Nella stessa guisa per guarire gli uomini dal morso pestifero del Serpente infernale; vale a
dire, per guarirli dal peccato, mio Padre vuole che io, che ho preso la somiglianza del peccato senza
averne la verità, sia innalzato sopra la croce. E siccome gli Ebrei morsi dai serpenti, nel riguardare
quel Serpente di bronzo restavano guariti, così i peccatori penitenti che mi riguarderanno
coll'occhio della Fede sulla Croce, ivi troveranno il rimedio dal veleno del Serpente infernale.
Asc,2269a:T1,2
Né rechi meraviglia quello che vi dico, che mio Padre mi ha condannato a morire sopra la croce per
la vostra salute.
Sic enim Deus dilexit mundum. Perché Iddio ha amato talmente il mondo, che gli ha dato il suo
unigenito Figliuolo, affinché chiunque crede in Lui, non perisca ma abbia la vita eterna.
Ecco la consolante verità, che Gesù Cristo medesimo ci ha voluto fare apprendere.
Suo Padre ce l'ha dato, affinché restassimo guariti dai nostri peccati mediante la Fede che in esso
avremo avuta.
Che cosa dunque vi conviene fare per ricuperare la perfetta guarigione dell'anima vostra? Accettate
il dono che vi viene fatto e servitevene giusta il fine, per cui vi è fatto. Ut omnis, qui credit in ipsum
etc.
Asc,2269a:T1,3
Pratica
Sì mio Dio, accetto questo dono dei doni, questo dono del vostro amore immenso, infinito,
ineffabile, Gesù Cristo vostro unico Figliuolo, l'oggetto delle vostre tenere compiacenze, e l'accetto
per servirmene secondo le vostre intenzioni. Affinché chiunque crede in Lui, non perisca, ma abbia
la vita eterna. Credo in Lui, spero in Lui, e crederò e spererò fino all'ultimo respiro del viver mio.
Io dunque non perirò, mio Dio? Dunque goderò della vita eterna?
Ma tu sei un peccatore…
Sì, egli è vero, o Signore, e questo è appunto quello che forma il mio tormento: detesto con tutto il
cuore le mie colpe, ve ne domando perdono e propongo fermamente di emendarmene col vostro
santo aiuto.
Questo perdono lo spero tanto più fermamente dalla vostra misericordia, perché ve lo chiedo pei
meriti del Salvatore, che mi avete dato, adempiendo la condizione colla quale mi faceste un tanto
dono.
Asc,2269a:T1,4
Credo, o mio Dio, si credo che Gesù Cristo sulla Croce è la verità del mistero, di cui il Serpente di
bronzo era la figura.
Con questo spirito lo riguardo mediante la Fede, credo in Lui, mi unisco a Lui per essere guarito da
tutti i morsi del Serpente infernale.
Considerate adunque Gesù Cristo sulla croce, come Vita, e sorgente della Vita.
Considerate la fede, come un canale, per cui la vita della grazia scaturisce dal cuore di Gesù Cristo
in quello dei fedeli.
Quindi per mezzo di questo canale unitevi al cuore di Gesù Cristo.
State uniti a questo Sacratissimo cuore, sorgente di vita, onde attirare nel vostro cuore la vita, ed il
vivere della vita di Gesù Cristo.
O Vita! O sorgente di Vita! Datemi la vita, comunicate, diffondete, e fate discendere la vostra Vita
nell'anima mia.
Asc,2269a:T2,1
2. Confidenza in Gesù Cristo Crocifisso
Il Discepolo prediletto di Gesù Cristo, S. Giovanni, ci ha insegnato questo secondo vantaggio, che
dobbiamo ricavare dalla morte del Divino Maestro, quando nella sua prima lettera (cap. 2, v. 2) ci
disse con tanta tenerezza ed amore:
“Figliuolini miei, vi scrivo queste cose affinché non pecchiate; che se nonostante alcuno verrà a
peccare, si rammenti che abbiamo per avvocato appresso del Padre, Gesù Cristo suo unico
Figliuolo, e questo è quegli che è vittima di propiziazione per i nostri peccati, e non solo per i nostri,
ma ancora per quelli di tutto il mondo”.
In queste consolanti parole osservate tre cose:
1. Gesù Cristo, come nostro Avvocato, perorò sulla croce la nostra causa, e continua tuttora a
perorarla in Cielo.
2. Gesù Cristo, come nostra Vittima di propiziazione, ha sparso il suo sangue sulla croce per la
nostra salute, e l'offre continuamente in Cielo all'Eterno suo Padre.
3. Il merito di questo Avvocato, e di questa Vittima è infinito, capace di espiare non solo i nostri
peccati, ma tutti i peccati del mondo, e quelli ancora di infiniti altri mondi, se pure esistessero.
Che cosa esige da noi?
Una confidenza ferma e sincera nel Sangue d'un prezzo infinito, e capace di santificare un'infinità di
mondi macchiati di ogni sorta di delitti.
Asc,2269a:T2,2
Per quanti dunque innumerevoli ed enormi possano essere i vostri peccati, purché li detestiate
sinceramente, e proponiate di fuggirli, ricorrete con confidenza a quello che è la Vittima di
propiziazione per i vostri peccati, e ne ottenerete il perdono.
Non temete, no, di esaurirne i meriti. Ipse enim est propitiatio pro peccatis nostris et non pro
nostris tantum, sed etiam pro totius mundi (1 Joan. 2, 2).
Che se la vostra coscienza vi rimprovera, e vi obbliga a questa confessione: “Ma tu hai mille volte
meritato la morte”, rispondete pure con fiducia: “Sì egli è vero, lo so, lo confesso con dispiacere,
ma Gesù Cristo, unico Figliuolo di Dio, è morto per me, in mia vece, e per liberarmi dalla morte”.
“Ma i tuoi peccati sono enormissimi, ed in grandissimo numero”.
“Egli è vero, lo confesso ancor'io: ma il merito della morte di Gesù Cristo uomo-Dio è infinito; ed
in conseguenza sorpassa infinitamente il numero e l'enormità dei miei peccati; ed appunto per
questo ripongo nei meriti del sacrificio dell'Agnello di Dio tutta la mia confidenza”.
Agnus Dei qui tollis peccata mundi, miserere nobis.
Asc,2269a:T2,3
Qui aprite il vostro cuore. Il cuore di Gesù Cristo per voi non è chiuso; non vogliate dunque
chiudere il vostro a Lui. Dilatamini et vos (2 Cor. 6, 13).
I meriti di Gesù Cristo sono come un oceano immenso ed infinito: aprite e dilatate il vostro cuore
con confidenza, onde poter partecipare di questi suoi meriti con maggior abbondanza. Quanto più
grande sarà la vosta confidenza, tanto più sarete a parte dei meriti infiniti di questa Vittima.
Asc,2269a:T3,1
3. Offerta di Gesù Cristo Crocifisso
Il Padre Eterno vi ha dato il suo Figliuolo, affinché voi glielo offriate con un cuore penetrato da
dolore in soddisfazione dei vostri peccati: Pater: accipe unigenitum meum, et da pro te; così si può
ripetere con S. Anselmo.
A questo fine Gesù Cristo crocifisso per i vostri peccati si è dato a voi, acciocché col medesimo
sentimento di dispiacere e di dolore l'offriate per voi al suo Divin Padre: et ipse Filius: tolle me, et
redde pro te (S. Anselm. lib. Cur Deus homo, cap. 19). Non si può mai abbastanza ripetere.
Corrispondendo adunque a questa misericordia infinita di Dio verso di voi, profittate dei meriti di
Gesù Cristo secondo l'intenzione di Dio, e di Gesù Cristo medesimo.
Detestando con tutto il cuore i vostri peccati, offrite a Dio Gesù Cristo morto per la vostra salute;
offritegli la santità della sua vita per la remissione di tutta la vostra malizia; la sua umiltà per la
vostra superbia; la sua obbedienza per la vostra disobbedienza; la sua purità per le vostre
immodestie; la sua povertà per i vostri eccessi: la sua vita adorabile per la vostra abominevole; i
meriti della sua morte per [i*1] demeriti della vostra vita peccaminosa.
Penetrate bene il valore di ciò che voi offrite, e confidando unicamente nel valore della vostra
offerta, consolatevi e sperate di avere per mezzo dell'offerta di Gesù Cristo soddisfatto alla Giustizia
di Dio per i vostri peccati.
Asc,2269a:T3,2
Sì, mio Dio, lo credo, e lo spero; ed oso ancora dirvi che vi offro infinitamente più di quello che non
vi ho tolto; poiché vi offro un Dio per un uomo; tutte le virtù del vostro prediletto figliuolo per le
offese del vostro schiavo. Non ho io dunque luogo da credere e sperare che soddisfo alla vostra
Giustizia?
Ma tu nulla mi dai del tuo.
Come, o mio Dio? Questo prediletto del vostro cuore appartiene a me; voi me ne avete fatto un
dono. Sic Deus dilexit mundum etc. Egli medesimo si consegnò per me: tradidit semetipsum pro
nobis (Ephes. 5, 2). Ecco la vostra parola, la vostra Scrittura.
Ora nulla vi è che dia un più giusto diritto sopra una cosa, quanto l'averla acquistata per mezzo di
donazione: dunque avendomi voi donato il vostro figlio, questi appartiene a me, ed avendolo io
accettato, ve l'offro e ve lo dono per me: in lui e per lui dò una piena soddisfazione alla vostra
Giustizia.
Asc,2269a:T3,3
Se egli non è infinitamente migliore di quello, che io non sono malvagio; se la sua vita non è
infinitamente più santa di questo, che la mia non è peccaminosa, voglio essere eternamente l'oggetto
dei rigori della vostra Giustizia. Ma se voi infinitamente più vi compiacete della Santità del vostro
Figliuolo di quello, che non avete orrore alla malizia del vostro schiavo, non ho io pienamente
soddisfatto alla vostra Giustizia? Non debbo io sperare di essere l'oggetto del vostro amore? Non
posso io essere certo di aver a cantare eternamente le vostre misericordie?
Sì, mio Dio, lo credo e lo spero in virtù dei meriti infiniti di Gesù Cristo vostro Figliuolo e mio
Salvatore, e propongo col vostro santo aiuto di non più offendervi, di adempiere la vostra santa
volontà, di amare voi solo, e mai più separarmi da voi né in vita, né in punto di morte. Aiutatemi,
Gesù mio, a mantenermi fedele a queste promesse.
Asc,2269a:T4
Conclusione
Horrendum est incidere in manus Dei viventis (Hebr. 10, 31). Ella è cosa orribile il cadere nelle
mani di un Dio vivente, dice S. Paolo.
Sì, il cadervi spogliato di tutto, senza virtù, e col peccato mortale sull'anima; ma è cosa soave il
cadervi con Gesù Cristo, unito di cuore a Gesù Cristo, stando nei sentimenti di Gesù Cristo,
detestando il peccato, come Gesù Cristo l'ha detestato, unendo il proprio cuore contrito al Cuore
contrito di Gesù Cristo, e la piccola moneta della nostra penitenza al tesoro infinito della morte di
Gesù Cristo.
Una piccola moneta unita all'erario di un gran Re diventa una gran somma.
La vostra penitenza unita alla penitenza, alla Passione, ed alla morte di Gesù Cristo forma un tesoro
infinito di soddisfazione alla Giustizia divina, che vi farà trovare un giorno misericordia.
Dolcissimo Gesù Cristo, voi siete il mio Salvatore, la mia salute, la mia redenzione, la mia giustizia,
la mia soddisfazione; in voi solo ripongo tutta la mia speranza, e confidando unicamente nei vostri
meriti voglio entrare nel sonno della morte, e spero di venire con voi nel riposo eterno.
In pace in idipsum dormiam et requiescam (Ps. 4, 9).
Non timebo mala, quoniam tu mecum es (Ps. 22, 4).
In te, Domine, speravi etc. (Ps. 30, 2).
Asc,2269a:*1
Nel testo la “i” viene cancellata.
Asc,2269b:S
Brevi istruzioni divote
Opuscolo a stampa con copia di mano ignota.
AOMV, S. 2,9,3:269b
Pubblicato in Lanterianum, novembre 1998, pag. 17-19.
Asc,2269b:T
Brevi istruzioni divote
Asc,2269b:T1,1
Mezzo per sempre pregare
Accendersi 1. d'un vero e vivo desiderio della beata vita e d'una voglia ardente del Paradiso, e di
salir al Cielo dove si vede Dio, e si fruisce del sommo Bene.
2. D'un affetto volenteroso di scampare dai lacci, pericoli, difficoltà che si trovano in questo deserto
del mondo, che sogliono impedire i cuori malaccorti di giungere al lucidissimo cospetto della faccia
formosa, e gloriosa di Dio.
3. Sapendo di certo di non avere forze bastanti a quest'impresa altissima, desiderare con tutta
l'anima d'essere aiutato da Dio, poiché nella sola mano del suo aiuto è posta la nostra beata sorte, lo
scampo da tutti i mali, e l'acquisto di tutti i beni. E considerando che questo è il nostro ultimo fine, e
che in questo mondo non si deve cercare altro, e cercandosi altro, ogni cosa si perde, stendere il
cuore e dilatarlo a desiderare il divino aiuto per essere liberato dagli occorrenti impedimenti, ed
ottenere i desiderati beni, il che deve parere dolce all'anima che è creata per essere beata.
Asc,2269b:T1,2
Questa sorta d'orazione fatta per forza di desideri per cui si mendicano in terra i beni del Cielo è
sicuramente sempre esaudita da Dio, questi desideri diventano gridi piacevoli alle orecchie di Dio, e
ottengono tutto, poiché Dio nessuna cosa fa più volentieri, che d'aiutare chi desidera d'arrivare al
fine per cui siamo ordinati.
Questo desiderio poi deve sempre conservarsi in cuore sia che mangiamo o ci affatichiamo, o
riposiamo, o qualunque altra cosa facciamo, così sempre si ora, e il sonno stesso non vaca
dall'orazione, quantunque non stiamo sempre in atto di desiderare e pregare per essere molte volte
impediti ad altro, come un prigioniero che ha i ferri non altro desidera che la libertà da chi gliela
può dare, sebbene non sempre attualmente la desideri e domandi.
Asc,2269b:T2
Mezzo per ottenere sicuramente quanto si domanda
Quando si domanda dobbiamo sempre spendere il nome di Gesù; e servirci dei suoi meriti, perché
Dio non è cosa che non faccia per amore del suo Figliuolo.
Fortificati dunque e animati dalle parole di Cristo che non mente, dire per es. così:
Padre eterno, il vostro Figliuolo tanto a voi caro, nel quale io spero, mi manda a voi, e vi prega che
mi facciate questa grazia, mi rimettiate i miei peccati, e mi ha detto che vi dica per parte sua che per
l'avvenire, per amor suo, mi diate forze per non più offendervi.
Signore, se riguardassi solo me stesso, non ardirei alzare gli occhi, né potrei aspettarmi che castighi,
ma alzo con confidenza le mani al Cielo in nome del vostro diletto Figliuolo, e vi porto una polizza
sottoscritta col suo nome, e con lettere del suo Sangue, vedetela, leggetela, dove troverete che mi fa
una donazione di tutti i suoi meriti, che sono infiniti, e io li ho accettati, talché mi siate debitore per
giustizia di darmi quanto vi domando, perché non sono più suoi, ma miei, avendoli rifusi a me;
onde domando mi sia dato quel che esso mi ha meritato, e so che nessuna cosa potete negare a chi
tanto amate, e a tanto obbligato siete, perché così buono e giusto.
In questo modo l'uomo non più tanto trema al presentarsi alla Maestà Divina. Dio eterno Re del
Cielo ripercosso dalla coscienza dei propri peccati e dalla propria indegnità, ma si sente rinvigorito,
e col cuore allegro non dubita d'ottenere quanto chiede.
Asc,2269b:T3
Modo d'eccitarsi ad amare Dio solo
L'anima che ama il suo bene deve (qual Colomba che volando sull'acqua non ha dove posarsi, si
ritira dalla terra) gettarsi in Dio, dove si trovano tutti i beni con infinita perfezione, e sono eterni, e
saziano il cuore, e fanno l'anima beata, e si acquistano amando. Oppure come il Cervo che ha sete,
mette la bocca al fonte, così l'anima s'alzi a Dio, e getti se stessa in quel pelago di bontà, e gusti
quanto è soave il suo Signore, e dia licenza al suo cuore, che col peso di suo amore si lasci a
piombo cadere in Dio, e sebbene non si senta accesa, ma fredda nei suoi affetti, non lasci di sforzare
dei desideri e parole infuocate per dimostrarsi innamorata di Dio, perché se persevera in quelle
dimostrazioni, parole, e segni d'amore, e trattare con Dio come amatore fervente, troverà col tempo
che veramente l'ama; come accade a chi ha bisogno di dormire, ma non ha sonno, eppure vorrebbe
dormire, per provocare il sonno si mette a giacere, chiude gli occhi, lascia ogni pensiero, finge di
dormire, alfine di nascosto s'insinua il sonno, e dorme davvero. Così in quest'esercizio si abbia
pazienza se non subito si accende il fuoco, perché il cuore nostro pieno d'amore del mondo e di se
stesso è come un legno verde che con tutti i carboni accesi di sotto, e sebbene si soffi, non subito
s'accende; prima fa fumo solamente, poi fa fumo e fiamma, alfine fa fiamma senza fumo.
Così accade a chi pregia la bellezza mortale che con usare parole studiate, forzate d'amore, lodando,
cantando, fingendosi innamorato, infine s'accende d'amore, e tutto si consuma per l'oggetto amato.
Quanto più s'accenderà all'amore di Dio chi dopo aver contemplata la divina Bellezza adopererà
affetti, parole, gesti che usano i veri amanti dell'eterna Bellezza di Dio appunto per giungere ad
amare Dio con tutte le forze, con tutta la volontà, come ci è comandato.
Asc,2271:S
Expositio Cantici Canticorum
Note con graffe, di mano Lanteri.
AOMV, S. 2,9,5:271
Pubblicate in Lanterianum, novembre 2000, pag. 12-17 (traduzione italiana a cura di T. Testone pag. 18-22).
Asc,2271:T0,1
Tres sunt Salomonis libri canonici…
Tres sunt Salomonis libri canonici, quia Sapientia Divina ad triplicem statum nos ordinat.
1o Informat ad passiones regulandas et ad civilem vitam componendam sub debita morum
honestate: en Proverbia.
2o Informat ad passiones funditus eradicandas et vitam istam totaliter contenendam per humilem
considerationem vanitatis et miseriæ hujus vitæ: Ecclesiastes.
3o Docet ascendere ad sapientiam amorosam et extaticum Dei amorem cujus initiatio est in hac vita
et consumatio transit ad alteram vitam: Cantica Canticorum.
Cantici Canticorum finis et sensus est de extatico connubio Dei et animæ per ejus amorem
inflammantem et in contemplationis excessum sublimandæ et sublimatæ.
Asc,2271:T0,2
Tres ejus partes: De Amore Nuptiali
1o Prout est desponsationem inchoans.
2o Prout est ad regalem gloriam sublevans: En lectulum Salomonis (c. 3, 7).
3o Prout est spiritualis prolis procreationi et gubernationi condescendens: Descendi in hortum meum
(c. 6, 10).
In prima parte ostendit quomodo trahitur ad sponsi amplexum per conatum proprium ferventium
desideriorum et virtualium pugnarum – Recti diligunt te (cap. 1, 4), ibi sponsa sponsi petit osculum
ostendens sui desiderium, motivum et allectivum; sentiens se sua virtute non posse ad hoc
pertingere petit sui tractum, promittens post hunc celare cursum – Trahe me post te (ib. c. 1, 3),
ostendit qualiter post hæc est introducta ad sponsi osculum, promittens ex hoc assiduum divinæ
laudis jubilum – Introduxit me (ib. c. 1, 4). Et per sponsi illapsum – Vox dilecti mei (cap. 2, 8). Et
per sponsi abscessum altivolum et sui absconditum – Revertere, similis esto (c. 2, 17).
N.B. Licet primo oporteat sponsam trahi ad sponsum quam pertingat ad osculum ejus, tamen prius
præcedit desiderium osculi, quia finis prior est in desiderio, quam via et auxilium ad illam.
Asc,2271:T0,3
In Cantica Canticorum
Duo prima capita Cantici Canticorum sunt velut compendium reliquorum 6 capitum.
Asc,2271:T1
Cap. 1
Primis sex versibus petit omnia salutis et perfectionis suæ primordia, media et summa. Vers. 7 ad
11 instruit ad viam perfectionis h.e. præcipuarum virtutum studia; a vers. 11 ad finem mutuis
laudibus se excitant ad ardentiorem amorem.
Asc,2271:T1,1
Vers. 1
Osculetur me osculo oris sui: hoc est suæ sapientiæ quæ ex ore altissimi prodivit, significat
conjunctionem, unionem et contactum spiritualem Dei et animæ. Osculum multiplex:
1o incarnationis quo Filius Dei hypostatice unitus est naturæ nostræ.
2o sanctificationis quo Spiritus Sanctus unitur nostris singulorum animabus.
3o reconciliationis cum Deo per baptismum et pænitentiam.
4o instructionis per S. Scripturam, per illuminationes internas, per revelationes et per monita et
exempla aliorum.
5o familiaritatis et recreationis per internam conversationem per epulum Eucharistiæ, et per alias
delicias.
6o incrementi amoris, amicitiæ, et gratiæ per auxilia excitantia, adjuvantia, attollentia in Deum.
7o beatitudinis æternæ qua essentia divina perfectissime unitur animæ et perpetuo possidebitur.
Asc,2271:T1,2
Vers. 2
Oleum effusum nomen tuum: hoc est, tu ipse per beneficia creationis, conservationis, cooperationis,
justificationis et beatificationis; per teipsum et tuam essentiam quia ubique præsens, effusus et in
immensum diffusus. Per oleum, ratione unionis hypostaticæ, perfectissimarum gratiarum in omni
genere; effusum in omnes homines a mundi origine usque in æternitatem per gratiam et gloriam
quam singulis promeruit omnium redemptor et princeps.
Asc,2271:T1,3
Vers. 3
Trahe me: hoc est Tu, non mundus et caro, tu solus tua gratia, hoc est mentem illumina et affectum
inflamma.
Trahe me in vinculis caritatis, et si non sufficit, adde flagella et compelle intrare.
Nec mihi sufficit gratia communis ad talem qualem amorem tui vel ad ordinaria exercitia virtutum.
Sed posco auxilia maxima et potentissima quibus exciter et juver ad actus heroicos, et quidem non
obiter et perfunctorie, sed continuo et permanenter exercendos; non semel iterumque; per diem, sed
perpetuo et constanter sequar te; nec modo otiosa et languida, sed omni studio, diligentia et zelo
alios lucrandi.
Post te et simul curremus: ferventissime et celerrime, post te sequendo tua vestigia, præcepta,
consilia et exempla heroica.
In odorem unguentorum tuorum: hoc est allectæ cælestibus illustrationibus et piis affectibus et
consolationibus quæ sunt quasi signa divinæ tuæ præsentiæ et invitationis et quasi illecebræ quibus
animas trahis.
Asc,2271:T2,1
Cap. 2
Vers. 9
En ipse stat post parietem: hoc est Verbum divinum se manifestat per carnem assumptam, S.
Eucharestiam, et cælos et alias creaturas.
Unde est Deus absconditus, sed non quin adverti possit, nam respicit per fenestras, et fenestrarum
cancellos quæ sunt creaturæ omnes, S. Scripturæ, imagines rerum spiritualium.
Asc,2271:T2,2
Vers. 10
En dilectus loquitur mihi: hoc est pressius me cubantem et dormientem excitans.
Surge: ab omni affectu terreno quo es dissimilis mihi attollere ad præexcelsa et magnifica ad quæ te
voco.
Propera: ne nectas morar, dilatio nocet, ne cesset donec fias mihi prorsus similis et mecum unum
quid.
Veni: ad me, ducam te ad summum perfectionis gradum.
Asc,2271:T2,3
Vers. 14
Surge amica mea ad foramina petræ, ad cavernam maceriæ.
Designantur vulnera manuum, pedum et lateris Christi, perfectiones divinæ per quas ad divinam
Majestatem prorepimus, angelorum presidia quibus vineæ cinguntur, S. Scripturæ et quævis
creaturæ, per quas ad divina contendimus.
Ibi pro placito te abscondes, mecum conquiescas et vacabis a periculis, insidiis et strepitu; libere
vacabis optatæ contemplationi.
Ostende mihi faciem tuam: semper ad me conversa, intuere me tibi continuo præsentem et
complectentem te et tua.
Asc,2271:T2,4
Vers. 16
Dilectus meus mihi: hoc est unicus sponsus et dilectus mihi est omnia creator, magister, Dominus,
pastor, pater, sponsus, via, veritas, vita; redemptio, santificatio, justitia, sapientia; spes, salus,
gaudium, beatitudo.
Solus mihi sufficit quia in illo omnia possideo.
Solus ipsi sufficio qui præter me nil aliud requirit a me.
Ipse mihi, ego illi: mutuo contenti sumus.
Asc,2271:T3,1
Cap. 3
Vers. 1
Quæsivi quem diligit anima mea: utpote summum bonum et ultimum finem meum, qua quæsitione
nil sublimius, utilius et jucundius.
Quæsivi per noctes afflictionis, desolationis et ariditatis. In lectulo meo hoc est pigre, desidiose
nimirum mihi indulgens, et meæ unius studens quieti, tranquillitati, delectationi etiam in oratione, in
meditatione, in studio virtutum.
Quæsivi illum et non inveni: nam occupabat solus mei ipsius amor proprius, nam amor divinus
quærendus est a loco quietis, lectulo florido strenuis virtutum actibus, sanctis et puris intentionibus,
inflammatis desideriis.
Surgam et circuibo: hoc est neglecto orationis studio, totam me immergam occupationibus non
profanis sed honestis, religionis, in bonum proximi mei sed meque inveni, quia illæ immoderatius
assumptæ et plures quam par est animum abstrahunt, dilacerant, terræ et amori proprio affigunt.
Invenerunt me vigiles: angeli custodes, confessores, consiliarii, hi docuerunt me incumbere orationi
pro virili, non causa meæ quietis et oblectationis, sed ut divinæ voluntati per omnia obsecundem;
externis occupationibus me dare cum magna discretione, et me altius non emergere quam exigat vel
propria utilitas, vel proximi necessitas; patienter præstolari me arbitrando indignam minimo
munuscolo et dignissimam maximis pœnis.
Paululum pertransivi: hos vigiles, hoc est divina sponsi vocatione me altius attollente (nam
singulare Dei donum est, nec sola instructione vel hominum, vel angelorum; nec proprio solo
conatu obtineri potest).
Inveni quem diligebam, et in eo veram pacem, solidam tranquillitatem, plenum gaudium.
Asc,2271:T3,2
Vers. 4
Tenui eum nec dimittam: Tenui crebra cogitatione, continuo amore, morum imitatione, his velut
osculis et amplexibus illum mihi teneo adstrictum, et intime unitum, unum cum illo me efficio.
Tenui sic dilectum meum, nec scivi me divelli ab ejus amplexibus imo firmiter statui non dimittere
illum.
Donec introducam in domum matris meæ hoc est meam, nempe in cor meum, et mentem meam quæ
est pars superior et nobilior animæ ubi resident virtutes theologicæ, et dona Spiritus Sancti etc., et
ibi fovere intimam cum Deo familiaritatem et illo perpetuo frui.
Asc,2275:S
Pratiche di pietà durante l'anno liturgico
Testo di mano Lanteri, disposto in schemi con graffe.
AOMV, S. 2,9,9:275
Asc,2275:T
Pratiche di pietà durante l'anno liturgico: del modo di santificare i
mesi di ottobre, novembre, e dicembre, ossia: degli angeli custodi,
delle 8 beatitudini, e del S. Avvento.
Asc,2275:T1
Avvento
Castità: 1) Mortificazione esterna dei sensi; 2) Mortificazione interna dell'immaginazione,
intelletto, e volontà.
Umiltà: 1) Interna, d'intelletto e di volontà; 2) Esterna, circa le azioni.
Asc,2275:T2
Natale fino alla Purificazione
1) Povertà nel disprezzo dei beni della terra opposto o contro la stima che se ne ha; nel distacco del
cuore contro l'amore che si ha alle ricchezze: Natività.
2) Obbedienza alla legge di Dio ed ai disegni della Provvidenza: Circoncisione.
3) Divozione pronta, coraggiosa, affettuosa, operativa: Adorazione dei Magi.
4) Prudenza a fuggire le occasioni del peccato: Fuga in Egitto.
5) Zelo come tollerare i peccatori e vivere in mezzo ai cattivi: Dimora in Egitto.
6) Religione, rendere a Dio l'onore che si deve, alla Chiesa la sottomissione a quel che comanda:
Purificazione.
Asc,2275:T3
Purificazione fino alla Quaresima
1) Rispetto e sommissione ai superiori, agli uguali, agli inferiori.
2) Obbedienza alla volontà e alla legge di Dio con fedeltà, attenzione, e sommissione di giudizio e
di volontà.
3) Vita nascosta.
4) Studio d'avanzarsi nella virtù.
Asc,2275:T4
Quaresima: penitenza quanto:
1) All'odio ed orrore del peccato come offesa di Dio.
2) Alla tristezza di averne commessi tanti, e dei tristi effetti che ne risente.
3) Al proposito di non più commetterlo.
4) Alla soddisfazione e modo di praticarla.
5) Al modo di distruggerne la radice col combattere il desiderio dei beni che Gesù disprezzò, e col
combattere il timore dei mali che Gesù cercò.
6) Alla mortificazione: dei sensi, ad esempio del Crocifisso, e del cuore.
Asc,2275:T5
Pasqua fino all'Ascensione
1) Allegria: esercitandola con Gesù risorto, con Maria Vergine, con gli Angioli, con la Maddalena,
con S. Pietro, con i discepoli d'Emmaus, con gli Apostoli.
2) Fede.
3) Speranza per i beni e mali spirituali e corporali.
4) Speranza del perdono dei peccati.
5) Speranza degli aiuti per combattere.
6) Speranza della vita eterna.
Asc,2275:T6
Dall'Ascensione a Pentecoste
Preparazione per ricevere lo Spirito Santo.
Asc,2275:T7
Da Pentecoste a S. Giovanni
Carità: 1) Amor di scelta, di stima, di preferenza; 2) Amor d'unione.
Eucarestia come 1) Sacrificio; 2) Sacramento.
Asc,2275:T8
Da S. Giovanni fino all'Assunzione
1) Amor a Gesù tenero negli affetti e veemente negli ardori.
2) Amor a Gesù forte e trionfante.
3) Amor a Gesù effettivo.
4) Amor per Gesù verso il prossimo in genere.
5) Amor per Gesù verso gli afflitti.
6) Amor per Gesù verso i peccatori.
Asc,2275:T9
Dalla Natività di Maria Vergine fino all'ottobre
1) Temperanza.
2) Fortezza.
3) Timor di Dio, filiale e servile.
Asc,2275:T10
Ottobre: Divozione agli Angioli
1) Custodi nostri.
2) Custodi degli altri.
3) Della seconda gerarchia.
4) Della terza gerarchia.
Asc,2275:T11
Novembre
1) Studio d'attendere alla santità con distaccarsi dal male ed attaccarsi a Dio.
Mezzi alla santità:
2) povertà di spirito.
3) Dolcezza.
4) Divenir pacifico.
5) Pronto a soffrire ogni persecuzione.
Asc,2275:T12
Festa di:
S. Giuseppe
Della Concezione
Della Natività
Dell'Annunciazione
Della Purificazione
Dell'Assunzione
Asc,2275:T13
Per il mese di ottobre
Gli Angioli Custodi si meritano bene il vostro onore e la vostra riconoscenza per le sollecitudini che
si prendono di voi, perciò questo mese s'impiegherà ad onorarli come di dovere.
Asc,2275:T13,1,1
1a Settimana
Fisserò i miei pensieri al mio Angelo Custode per attestargli le mie più tenere affezioni.
Poiché la divina Provvidenza con tanta bontà dal primo momento della nascita vi diede uno dei suoi
Spiriti beati per custodirvi e difendervi, voi che siete cotanto inferiori a queste pure intelligenze,
quale rispetto non esige la sua presenza! Quale riconoscenza non richiedono i suoi soccorsi! Quale
sommissione non domanda la sua condotta! Quanta confidenza non dà la sua protezione, e quanta
consolazione non dà la sua compagnia! Leggete S. Bernardo sul Salmo: Qui habitat.
Asc,2275:T13,1,2
La pratica sarà:
1) Alla mattina dopo averlo ringraziato delle sollecitudini che ebbe per voi tutta la notte (poiché egli
veglia quando voi dormite), gettarvi nelle sue braccia, confidarvi alla sua condotta, domandargli
consiglio nei dubbi, soccorso nelle tentazioni, consolazione nelle afflizioni, e trattenervi con lui
nella solitudine del vostro cuore come fareste con un amico con confidenza, con un principe della
terra con rispetto, con un padrone con sommissione, con un benefattore con riconoscenza dei beni
procurativi dal primo momento della vostra vita.
2) Alla fine del giorno: ringraziarlo della buona guida, chiedergli perdono di non aver corrisposto
alle sue sollecitudini; pregarlo di non ributtarvi per le nostre infedeltà e di continuare a vegliare
sopra di noi; concludere con l'Angele Dei.
Mittam Angelum meum qui te custodiat, observa eum.
Asc,2275:T13,2,1
2a Settimana di ottobre
Considererò gli Angeli Custodi impiegati alla condotta degli altri, i quali vegliano sui diversi stati;
sono commessi alla conservazione degli Ordini religiosi e presiedono nei luoghi santi, cioè nelle
chiese. Presterò loro i miei rispetti e la mia riconoscenza: li considererò come perfetti modelli di
carità, di pazienza, di preghiera per noi, e di vita che debbo tenere con gli altri.
I motivi sono:
gli avvantaggi della loro natura; l'eccellenza della grazia e della gloria cui sono innalzati; la
dipendenza ed i bisogni che abbiamo del loro favore; i beni innumerevoli che riceviamo dalla loro
bontà che ci prestano con tanto amore e sollecitudini costanti ed inviolabili.
Quanto sono potenti questi motivi per indurci, ove non siamo insensibili, a rendere loro i nostri
doveri!
Asc,2275:T13,2,2
La pratica:
1) Nella Società indirizzerò il primo atto di rispetto agli Angioli custodi come a personaggi più
onorevoli: li pregherò di vegliare che Dio non sia offeso, di aiutarmi a procurare la gloria di Dio e di
Maria; mi guarderò di non scandalizzare ed offendere alcuno, massime i piccoli, i poveri, gli afflitti,
per non contristare i loro Angioli.
2) Quanto ai beni che mi vengono, io li riceverò come effetti delle loro sollecitudini e preghiere e
mi guarderò di abusarne contro il servizio di Dio per non affliggerli.
3) Entrando nelle chiese io saluterò gli Angioli che vi presiedono e procurerò di rendermi imitatore
delle adorazioni e delle lodi che rendono a Dio.
4) Queste pratiche io le continuerò tutta la vita, poiché continuano sempre i benefici che riceviamo
dagli Angioli.
In conspectu Angelorum psallam tibi.
Asc,2275:T13,2,3
La 1a gerarchia assiste al Trono di Dio e contiene:
– I Serafini che sono accesissimi ed ardono d'eccessivo amor di Dio, e lo trasfondono negli altri.
– I Cherubini che sono tutta luce, e pieni d'intelligenza di Dio, forniti di una mirabile e profonda
cognizione di Dio, e la comunicano agli altri.
– I Troni formano specialmente la Sede di Dio, godono una gran pace e sicurezza, la quale sogliono
partecipare agli altri.
La 2a gerarchia è impiegata intorno agli altri Angioli e contiene:
– Le Dominazioni hanno un gran potere sopra ogni cosa creata e particolarmente a loro si
riferiscono come a principi i ministeri degli altri Angioli.
– Le Potestà hanno tutta l'autorità sopra i Demoni e ad ogni suo cenno proibiscono loro di nuocere o
permettono d'esercitare la loro malizia.
– I Principati rappresentano la Maestà e la Dignità dell'Altissimo e impongono e commettono alle
Virtù l'esecuzione degli ordini di Dio.
La 3a gerarchia si occupa degli uomini e del rimanente creato, e contiene:
– Le Virtù sono costanti a ricevere ed eseguire le ordinazioni di Dio, ed operano particolarmente
miracoli e cose prodigiose.
– Gli Arcangeli sono particolarmente consapevoli, e Ambasciatori di sublimi arcani di Dio.
– Gli Angioli sono gli Ambasciatori ordinari dei voleri di Dio.
Asc,2275:T13,3,1
3a Settimana d'ottobre
Ascenderò alla seconda gerarchia che riguarda la gloria di Dio nella condotta degli Stati e dei
Regni. Si comprendono: le Dominazioni che significano agli ordini inferiori la volontà di Dio, di
Gesù loro capo e di Maria che riconoscono per Regina; i Principati che vegliano sulla condotta dei
regni e delle provincie; le Potestà occupate a resistere alle forze dell'Inferno e a rompere gli sforzi
dei Demoni che cospirano a corrompere il mondo e a turbare l'ordine del Creatore.
Asc,2275:T13,3,2
Pratica:
1) Ammirare la Provvidenza nel bell'ordine stabilito da Dio per la condotta dell'universo.
2) Ringraziare Dio con sentimenti di gioia d'aver sommesso gli spiriti beati a Gesù e a Maria.
3) Ricevere i beni temporali come effetti della loro bontà, offrirli a loro in riconoscenza.
4) Ricorrere ad essi nelle necessità pubbliche e particolari.
5) Mettersi sotto la loro protezione quando la tentazione vi premerà d'avvantaggio.
6) Adorare con sommissione perfetta i giudizi di Dio nei disordini che arrivano nel mondo,
imitando in questo la conformità della volontà degli Angioli a quella di Dio.
Qui facis Angelos tuos spiritus;… benedic anima mea Domino.
Asc,2275:T13,4,1
4a Settimana d'ottobre
Ascenderò alla prima gerarchia per riconoscere la gloria che rendono a Dio, cui s'attaccano
unicamente ed imitarli in questi doveri così gloriosi.
I Serafini tutti ardenti alla vista delle sue incomparabili perfezioni non respirano che il suo amore,
l'amano di tutto cuore e gridano incessantemente agli uomini e ai beati che non conviene altro
amare che Lui.
I Cherubini pieni di luce che si spande dalla faccia di Dio e dal suo trono, occupati dalla
contemplazione delle sue grandezze, non hanno altro desiderio che di conoscerlo e farlo conoscere
da tutti. Così onorano la sua Sapienza.
I Troni illuminati dalla luce che si spande dai Cherubini e riempiti del fuoco di cui abbruciano i
Serafini, contenti di conoscere ed amare Dio, sono in un riposo profondo come per ricevere un Dio,
per servirgli di trono, e far trionfare da per tutto la sua Maestà.
Asc,2275:T13,4,2
La pratica che segue da queste sublimi cognizioni si è:
1) Ringraziare Dio della gloria cui li ha elevati.
2) Rallegrarsi con essi della loro felicità.
3) Farli conoscere ed onorare da tutti per quanto si può.
4) Domandare loro di ottenerci la grazia di conoscerlo ed amarlo come essi, e di vivere in ispirito
d'unione e pace per servire di dimora a un Dio venuto a portare la pace.
Ma siccome l'imitazione è ciò che più piace ai Santi, cercherò d'imitare le virtù degli Angioli per
partecipare alla loro felicità; onde passerò i due primi giorni nel desiderio di conoscere e far
conoscere Dio, con frequenti giaculatorie ad imitazione di David; i due giorni seguenti nell'amor di
Dio per imitare i Serafini ed essere tutto amore per un Dio che è tutto bontà; i due ultimi giorni nel
formare la mia quiete e soddisfazione in questa cognizione ed amor di Dio, per possedere Dio, dirò
sovente: “Conosco, mio Dio”; “Io l'amo”; “Cosa posso desiderare di più sulla terra?”.
Finalmente tutti i giorni mi unirò agli Angioli per dire cento volte “Sanctus, Sanctus”.
Erunt sicut Angeli Dei.
Asc,2275:T14,1,1
Per il mese di novembre
Asc,2275:T14,1,1
1a Settimana
Poiché la Chiesa al principio di questo mese ci apre il Cielo e ci scopre la gloria che i Santi vi
possiedono, eleviamo i nostri affetti e pensieri verso questo felice soggiorno, ed alla vista di quei
beni eterni e dell'esempio dei Santi concepiamo una risoluzione degna di figliuoli dei Santi che è di
farsi Santo, e siccome la santità consiste nel distaccarsi dal male ed attaccarsi unicamente a Dio,
questa ferma volontà ed inviolabile sia l'impiego di questa settimana e di tutta la vita.
Asc,2275:T14,1,2
I motivi:
1) La volontà di Dio che ci ha messi al mondo per questo ed ha attaccata la nostra salute e
predestinazione alla santità.
2) Le pene immense che Gesù Cristo ha sofferto per prepararci i mezzi che ci aiutino e procurarci
gli esempi che vi ci conducano, e tutto questo dovrà essere perduto?
3) I Santi che gridano dal Cielo che le ricompense e la gloria che coronano le loro fatiche sono
infinitamente superiori ai loro meriti, e tutto il resto fuor della santità è tutto follia e vanità.
Asc,2275:T14,1,3
La pratica sarà:
Concepire una forte risoluzione ai piedi dell'altare, alla presenza di Gesù e di Maria, di travagliare
seriamente alla Santità.
Rinnovare ogni mattina simile risoluzione.
Osservare esattamente le regole che sono i mezzi datici da Dio per giungervi, massime quelle che
riguardano più immediatamente il servizio di Dio.
Cercare la compagnia di quelli con i quali potete trattare la pratica della santità.
Conversare con i Santi in Cielo, imparare da essi che tutto il resto non è che vanità.
Rimirare il Cielo sospirando come il luogo della nostra felicità ed il termine dei nostri travagli.
Sancti estote.
Asc,2275:T14,2,1
2a Settimana di novembre
Propostaci la gloria dei Santi e la santità come il termine dei nostri desideri, sono da considerarsi i
mezzi di acquistarla compresi nelle lezioni lasciateci da Gesù, dette Beatitudini, perché ci aprono la
strada alla vita beata. Se ne propongono 4 perché delle altre si è parlato nei capi antecedenti.
Il mondo si opponga finché vuole; Gesù l'ha detto, e sarà sempre vero che i ricchi sono degli infelici
ed i poveri di spirito sono beati: questa è la prima lezione lasciataci che conviene praticare.
La povertà di spirito consiste ad abbandonare effettivamente i suoi beni, ovvero se Dio ci ha messi
in questo stato di amarlo perché ci rende più simili a Gesù. Consiste nel non attaccare il nostro
cuore e il nostro affetto a questi beni, se ci troviamo fra i comodi di questa vita, ed essere così
poveri di spirito e di cuore se non lo siamo in effetto.
Asc,2275:T14,2,2
Il motivo non sarà altro che quello propostoci da Gesù Cristo, cioè il possesso del Regno dei Cieli
che non s'acquista che con la povertà di spirito. Si aggiunga l'esempio degli Apostoli e di tanti
Confessori i quali, per aver abbandonato tutto ed amato la povertà, possiedono il Cielo. Procuriamo
d'entrare nei loro sentimenti.
Asc,2275:T14,2,3
Per la pratica non si chiede che abbandoniate effettivamente i vostri beni, riteneteli, ma usateli
cristianamente. Persuadetevi di questa verità: che un cuore attaccato alla terra non può pretendere al
Regno dei Cieli, che non v'è che Dio ed il Cielo che meritano la nostra stima ed il nostro affetto.
Risoluzione di perdere tutto piuttosto che perdere Dio, di morire che perdere la vita dell'anima con
un peccato, quand'anche si trattasse di acquistare un mondo.
Trattenetevi in questi sentimenti di disprezzo dei beni della terra e di desiderio dei beni eterni.
Dite sovente: Là, o anima mia, si trovano quei gran beni e quelle grandi corone che Dio ci ha
preparato.
Beati pauperes spiritu.
Asc,2275:T14,3,1
3a Settimana di novembre
La seconda beatitudine e lezione si è la mansuetudine.
La mansuetudine è una virtù che, moderando i moti della collera e il fuoco del naturale violento, ad
un tempo tiene l'anima in pace e spande la dolcezza nei pensieri e nelle azioni.
Asc,2275:T14,3,2
Motivi:
Questa virtù quanto è amabile e potente per regnare sui cuori, per trattenere la pace e la carità,
procurare nell'anima un'immagine del Cielo sulla terra.
In Gesù non v'è niente che non vi ci porti, quanto alla persona, al nome, alle parole, alle azioni,
basta il considerare la persona, pronunciare il nome, ascoltare le parole, studiare le azioni per
imparare questa lezione.
La sua dolcezza è stata sì grande che né la crudeltà né i tormenti non hanno potuto inasprire il suo
cuore; si trova tra i carnefici come un agnello che non apre neppure bocca per lagnarsi.
In Maria non v'è stato che dolcezza. Essa è una casta colomba che non ha né fiele né amarezza, né
nel cuore, né sulla lingua, né nelle azioni.
Dunque per essere riconosciuti da Gesù e da Maria, conviene prendere la risoluzione di imitare la
loro dolcezza.
Asc,2275:T14,3,3
La pratica non è difficile; conviene vegliare su se stesso per non far niente con precipitazione,
impazienza e violenza. No, non dirò una parola sgraziosa, non farò un'azione scompiacente e un
moto violento, invece mi studierò ad addolcire le mie parole, a spandere la dolcezza sul mio volto.
E per riuscirvi più facilmente considererò le azioni di Gesù Cristo, ascolterò le sue parole piene di
dolcezza e se mi sarò lasciato trasportare, non mi scoraggerò e non mi irriterò per essermi
impazientito, ma mi riprenderò con dolcezza.
Beati mites.
Asc,2275:T14,4,1
4a Settimana di novembre
Non basta per contentare il Cuore di Gesù, di tenere il suo cuore in pace con la dolcezza, conviene,
per portare il glorioso titolo di figliuolo di Dio, da per tutto portare la pace e far regnare Dio che
non regna che per via della pace. Questo è l'esercizio di questa settimana proprio dei figli di Maria,
che l'unione dei cuori deve far regnare nella pace e nella carità.
Asc,2275:T14,4,2
Motivi:
La promessa che Dio loro fece di riconoscerli per suoi figli, è ben capace di portarli a questa felice
ed amabile pace, la quale è così apprezzata da Dio che non ha inviato il suo divin Figliuolo che per
portarla.
Infatti Gesù nascendo l'ha fatta annunciare, vivendo l'ha predicata, morendo l'ha confermata, dopo
la risurrezione l'ha portata dappertutto. Comanda ancora ai discepoli di conservarla tra di loro come
carattere del suo amore e di portarla da per tutto dove andranno.
È dunque l'officio di Gesù il portare dappertutto la pace. Non vi è dunque impiego più degno di
questo per i suoi figli.
Asc,2275:T14,4,3
La pratica si è di:
1) Guardarsi con somma diligenza dal non mai gettare la discordia e la divisione negli spiriti con i
consigli, discorsi, rapporti, l'esempio.
Temere questo peccato come uno di quelli che è più detestato dal nostro Padre celeste, il quale non
può soffrire questi spiriti di divisione che seminano le querele e portano la discordia da per tutto.
2) Impedire le querele e calmarle. Travagliare con tutta l'industria che può suggerire la carità per
raddolcire gli spiriti e riunire i cuori.
Impiegare gli uomini e gli Angioli per mezzani di questa pace. Domandarla a Dio per i meriti del
gran Pacificatore e l'intercessione della Regina della pace.
Beati pacifici.
Asc,2275:T14,5,1
5a Settimana di novembre
Gesù l'ha detto, e il suo Apostolo ci avverte che tutti coloro che vogliono vivere con Gesù Cristo ed
essere Santi saranno odiati dal mondo e perseguitati dai mondani. Ma non sono per questo
disgraziati perché il Salvatore, la di cui stima fa la felicità degli uomini, li giudica beati.
Coraggio, dunque, conviene risolversi ad essere maltrattato dal mondo e dagli empi, ed essere
nonostante costante nel servizio di Gesù e di Maria.
Questo esercizio finirà e coronerà gloriosamente l'anno.
Asc,2275:T14,5,2
Motivi:
Per rassodare il vostro coraggio non vi propongo né l'estensione del Regno dei Cieli che Gesù ci
apre nella settima Beatitudine, né la grandezza delle ricompense promesse nell'ottava.
Basta dire che Gesù è passato per questa strada, che le persecuzioni e le croci, i disprezzi e gli
oltraggi sono le gloriose livree dei suoi servi, perché sono state la porzione del loro buon Maestro, il
quale malgrado queste difficoltà non ha mai abbandonato l'opera della nostra salute.
Basta il dire che non vi ha niente di più accetto a Dio che un'anima costante e fedele nel suo
servizio in mezzo a tutte le persecuzioni del mondo.
Asc,2275:T14,5,3
La pratica sarà una risoluzione inviolabile di restare costante nel servizio di Dio.
Quantunque diventiate talvolta soggetto delle risa degli spiriti libertini che vorreste guadagnare a
Dio, siate fermi, ricevete tutto con pazienza e piacere. Rallegratevi di ciò che Dio vi giudica degni
d'essere trattato come il suo Figlio.
Guardatevi di non rattristarvi e di non rendere male per male, e soprattutto di non cangiare, ma di
superare tutte queste difficoltà per l'amor di colui che ci ha amati fino negli orrori della morte.
Beati qui persecutionem patiuntur.
Asc,2275:T15
Per il tempo dell'Avvento
L'Avvento ci apporta l'amabile nuova della venuta del Salvatore e ci serve d'un dolce e salutare
avviso di prepararsi a ricevere lo spirito che è venuto a spandere e comunicare agli uomini.
La preparazione dei figli sarà quella della Madre, placuit virginitate, concepit humilitate. La virtù
della castità prepara il corpo per ricevere il Figlio d'una Vergine, l'umiltà dispone l'anima a ricevere
un Dio umiliato fino all'annientamento. La castità è una virtù che modera tutte le affezioni sregolate
ai piaceri del senso conforme alla legge divina ed alla ragione.
I motivi d'attendere all'acquisto di questa virtù che è il carattere dei figli della Vergine si prendono
dall'esempio di quelli che riconosciamo per nostri Patroni.
Questi sono: 1) Gli Angioli Custodi che ci circondano, sono puri spiriti, hanno orrore per le anime
attaccate alla carne e al sangue. 2) S. Giuseppe che per la sua castità meritò d'essere sposo d'una
Vergine, non soffrirà mai nel numero dei suoi servi gli spiriti carnali. 3) Maria che non volle essere
Madre di Dio se cessava di essere Vergine, non vuole dei figli che non siano casti. 4) Inoltre le
ardenti propensioni del Cuore di Gesù per quest'amabile virtù, poiché conviene che sia una vergine
per riceverlo in terra ed essere sua Madre, [e che sia] casta per essere sua sposa, tenergli compagnia,
approssimarsi all'altare e ricevere il suo corpo verginale.
Si è un fare oltraggio a Gesù ed allo Spirito Santo obbligarlo a dimorare in un corpo così macchiato,
e non vi dimorerà mai.
Asc,2275:T15,1,1
1a Settimana dell'Avvento
Siccome l'impurità entra nel cuore per i sensi che sono le porte più aperte alla tentazione, così non
v'ha mezzo più sicuro che la mortificazione dei sensi; epperò questa settimana sarà occupata in una
vigilanza ben esatta per non lasciarli sfuggire.
Asc,2275:T15,1,2
Il motivo:
1) Il pericolo evidente di perdere questa bella virtù, come consta dalle spaventevoli cadute, anche
d'anime grandi, ora per uno sguardo curioso, ora per un'azione libera. Servirà pure di motivo il
mistero corrente.
2) Il Salvatore: nelle caste viscere della Vergine vi è in un'intiera mortificazione dei suoi sensi;
nell'Eucarestia questa mortificazione dei sensi è così particolare e grande che se ne interdice perfino
l'uso, ha occhi e non vede, ha orecchie e non ascolta, etc.
3) La Ss. Vergine volle né vedere, né trattare coll'Angiolo perché aveva preso corpo umano, finché
non fu assicurata che la sua purità non ne sarebbe stata interessata.
Asc,2275:T15,1,3
La pratica sarà:
1) Un'attenzione sopra se stesso per tenere i sensi in dovere; per evitare tutte le sorprese; per
impedire tutte le piccole libertà che danno i primi attacchi alla purità.
2) Non dare ai sensi altra libertà che quella che permette la ragione regolata dalle massime del
Vangelo.
3) Consacrarli al Verbo incarnato ai piedi dell'altare in vista della sua mortificazione così intera nel
seno di Maria e nel tabernacolo. Sarebbe bene destinare un giorno della settimana alla
mortificazione di un senso particolare.
Pepigi fœdus cum oculis meis.
Asc,2275:T15,2,1
2a Settimana dell'Avvento
Per conservare la purità, oltre di custodire l'esterno, conviene pure regolare l'interno con
un'attenzione, la più costante e la più fedele, cioè: l'immaginazione, con vegliare sulle sue scappate
per tenere lontane tutte le cattive immagini; l'intelletto, soffocando nel loro nascere i cattivi
pensieri; la volontà, con l'impedire che né le immaginazioni, né i cattivi pensieri non facciano la
menoma impressione sui nostri cuori che conviene conservare in una purità inviolabile, come
richiedono da noi Dio e Maria.
Asc,2275:T15,2,2
Il motivo sarà questo:
1) Il vostro intelletto e volontà sono il tempio di Dio sulla terra per farvi la sua più grata dimora.
Egli vuole riempire l'intelletto dei suoi lumi e accendere la volontà dei suoi ardori per prepararci
alla somma verità e bontà, soli propri oggetti dei vostri pensieri ed affetti. Guardatevi che egli trovi
lo spirito nell'imbarazzo di mille pensieri che lo faticano e lo corrompono, ed il cuore occupato
d'una moltitudine di affetti che lo dividono e macchiano, perché il suo spirito non vi dimorerà, egli
esige la pace e la purità per farvi la sua dimora.
2) L'esempio della Vergine che nel colloquio con l'Angiolo si porta con una riserva mirabile, che
dovete fare voi?
3) Riflettere come si può comparire avanti a Gesù, Maria, Giuseppe e agli Angioli Custodi con uno
spirito turbato da cattive immaginazioni e con una volontà attaccata alla carne e al sangue, mentre
essi non sono che purità.
Asc,2275:T15,2,3
La Pratica sarà:
1) Evitare le compagnie, le conversazioni, i giuochi e i divertimenti, i quali dissipano lo spirito ed
accendono le passioni, e così impediscono la condotta interiore dello spirito di Dio.
2) Vivere alla presenza continua, ma rispettosa ed affettuosa di Gesù, di Maria e degli Angeli
Custodi, i quali hanno sempre gli occhi fissi su voi per osservare i vostri pensieri, parole ed affetti, e
soffrono di vedere prostituire quel cuore e quello spirito che è unicamente destinato a Dio.
Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt.
Asc,2275:T15,3,1
3a Settimana dell'Avvento
L'umiltà è una virtù per cui l'anima alla vista delle grandezze di Dio e delle proprie bassezze si
abbassa e si confonde innanzi a Dio, stimandosi indegna di onore e gloria perché dovuta alla sua
sola grandezza, e degna all'opposto d'ogni sorta di disprezzo e di umiliazione dovuta alla bassezza,
all'infermità, alla malizia ed ai propri peccati. Quanto ella deve essere profonda, dovendo essere
proporzionata a grandezze così elevate e a bassezze così prodigiose.
Asc,2275:T15,3,2
I motivi debbono prendersi:
1) Dalla grandezza di Dio, e bassezza della creatura.
2) Dalle umiliazioni del Verbo fino all'annientamento.
3) Dagli abbassamenti di Maria che non vuole che il titolo di serva, mentre l'Angiolo le presenta
l'augusto titolo di Madre di Dio. Ma siccome l'umiltà è interna ed esterna, l'interna sarà l'impiego di
questa settimana.
L'umiltà interna consiste negli atti di intelletto e volontà, richiedendosi in quello un basso
sentimento di se stesso ed un'intera convinzione della propria debolezza; in questa una confusione
ed abbassamento affettuoso innanzi a Dio; un amore e desiderio dei disprezzi ed umiliazioni come
di una cosa dovuta; un orrore ed apprensione alla gloria che non appartiene che a Dio e che non si
può pretendere senza ingiustizia.
I motivi si prendono da quanto si è detto, ma particolarmente:
1) Dalle umiliazioni profonde ed annientamenti interiori che praticava Gesù nel seno della Vergine,
ed alla vista delle grandezze di Dio.
2) Dai sentimenti della Vergine considerando il suo Figlio ed il suo Dio, così abbassato e così
umiliato nel suo seno.
Converrebbe essere stranamente avidi della gloria e dell'onore per non umiliarsi alla presenza delle
vere grandezze così abbassate.
Asc,2275:T15,3,3
La pratica:
1) Camminare alla presenza di Dio come oppresso dal peso della sua Maestà.
2) Comparire innanzi a Dio sempre in una profonda confusione quando si tratta con Lui, quando si
esamina la coscienza e quando si va massimamente all'altare, ove un Dio ha trovato nuovi abissi per
umiliarsi innanzi a suo Padre.
3) Esercitarsi in essa con giaculatorie frequenti.
Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam.
Asc,2275:T15,4,1
4a Settimana d'Avvento
Studiarsi di praticare l'umiltà esterna che appartiene alle facoltà esteriori, regolandone le azioni
secondo i sentimenti dell'intelletto e gli affetti della volontà. Essa consiste:
1) A non cercare mai né coi pensieri, né con le azioni la gloria, la stima, l'approvazione degli
uomini.
2) A moderare il fasto e l'orgoglio che potrebbe comparire nei gesti, nelle parole, negli abiti e nel
portamento di tutto il corpo.
3) A cercare sempre il posto più basso; di più a cedere a tutti; a impiegarsi in azioni basse e
dispregevoli; a conversare con i poveri.
Asc,2275:T15,4,2
Il motivo sarà l'esempio del Verbo incarnato che si umilia sensibilmente a segno di farsi uomo, il
più piccolo degli uomini; di prendere i contrassegni di peccatore; di passare tutta la vita negli
esercizi più umili.
Facciamo pure quanto possiamo, ma le nostre umiliazioni saranno sempre ben lontane da quelle di
Gesù. Le umiliazione nostre non saranno che superficiali, accidentali, passeggiere, quelle del Verbo
incarnato sono e saranno sempre sostanziali, permanenti, eterne.
Asc,2275:T15,4,3
La pratica sarà secondo il bisogno, così, dopo un serio esame della mia vita, se conosco che ricerco
la vanità nelle mie parole, azioni, abiti, io regolerò questi secondo le regole e le massime del gran
Maestro dell'umiltà; se conosco che cerco la preferenza e cerco d'importarla sugli altri, io cederò a
tutti, in tutto; se conosco che ho orrore delle azioni basse, mi impiegherò quanto la prudenza e la
carità mi permetteranno, ricordandomi che non vi è stato più convenevole ad una creatura innanzi a
Dio che di essere umiliata ed abbassata, e non vi è cosa che glorifichi maggiormente Dio quanto
l'umiliazione e l'abbassamento affettuoso della sua creatura.
Vilior fiam plus quam factus sum.
Asc,2275:T16,1
Capo 3. Da Natale alla Purificazione
Andiamo alla stalla, o anima mia. Gli Angioli vi ci invitano, Maria e Giuseppe vi ci ricevono, e ci
condurranno al Trono di questo Bambino Dio per rendergli i nostri rispetti e le nostre adorazioni.
Ma dopo averlo fatto, fermiamoci per imparare la bella lezione che ci dà la Maestà d'un Dio
alloggiato in una stalla e coricato sulla paglia, la quale non è che la povertà.
Questa consiste in due punti:
1) In un disprezzo generoso dei beni della terra, opposto alla stima che gli uomini ne fanno.
2) In un distacco perfetto del nostro cuore e volontà opposto all'amore ardente che si ha per le
ricchezze.
Asc,2275:T16,2
Motivi. Non basta forse per infiammarci alla pratica di così bella lezione, primo, il sapere che è la
prima che ci ha dato il nostro buon Maestro, e secondo, considerare, in vedendo quanto soffre sulla
paglia, quanto gli costa per facilitarcene l'esercizio?
Del resto non temiamo:
– Egli è la sapienza di un Dio che non può ingannarsi, che ha fatto questa scelta; vi è cosa più
potente per convincerci del disprezzo che dobbiamo fare delle ricchezze e della stima che dobbiamo
avere della povertà?
– Egli è il Figliuolo d'un Dio che aveva nelle mani tutti i tesori del suo Padre e che li ha
abbandonati; vi è cosa più forte per distogliere le nostre volontà e distaccare i nostri cuori
dall'amore dei beni di questa terra ed attaccarli alla stalla del Salvatore, affinché non stimino che ciò
che ha stimato e non amino che ciò che Egli ha amato?
Asc,2275:T16,3
La pratica sarà d'andare tutti i giorni alla stalla per imparare questa lezione, ma non conviene
entrarci che con sentimenti di confusione di vedersi nell'abbondanza dei comodi, mentre il nostro
Dio è in un'intera povertà.
Bisogna:
– Studiarla con la considerazione di tutte le circostanze che la rendono amabile ed imitabile.
– Consultare Maria e Giuseppe sui sentimenti che ne hanno, e pregarli di farcene parte.
Dirò, ritornando da questa amabile dimora ed entrando in casa: “Dio non aveva per casa che una
stalla, ed ancora comune alle bestie”; dirò vestendomi: “Il mio Dio, il mio Maestro è tutto nudo, ed
io suo misero servo cerco la pompa e la vanità negli abiti”; dirò coricandosi: “O Dio, voi siete sulla
paglia esposto ai rigori dell'aria, ed io non voglio soffrire niente”.
Conviene conservare tutto il giorno tali sentimenti, paragonando la magnificenza delle case dove
abitiamo con la stalla; il comodo degli alloggi con la mangiatoia; la pompa degli abiti con le lane
che coprono il Salvatore.
Filius hominis non habet ubi caput reclinet.
Asc,2276a:S
Del dovere dello studio per gli ecclesiastici
Note di mano Lanteri.
AOMV, S. 2,9,10:276a
Pubblicate in Lanterianum, maggio 1998, pag. 17-20.
Asc,2276a:T1
Præcedit scientia virtutis cultum (Gris.).
La volontà, potenza cieca, si lascia in tutto guidare dall'intelletto, che è l'occhio della volontà con
cui essa discerne il male dal bene; prevede i pericoli di inciampare nel male; conosce l'opportunità
d'operare il bene; comprende la bellezza, i pregi, i premi della virtù perché l'abbracci; comprende la
deformità, la gravezza, i castighi dei vizi perché li abomini; comprende gli obblighi particolari dello
stato perché li adempia. Insomma, comprende il sublime, il grande, l'importantissimo fine
dell'eterna salute cui indirizzare si debbono tutte le azioni.
Nemo potest fideliter appetere quod ignorat, et malum nisi cognitum non timetur.
Finem autem opportet esse præcognitum hominibus, qui suas intentiones et actiones debent
ordinare in finem (S. Th. 1 p. q. 1).
Scientia litterarum quod primum est in homine mores purgat (S. Cass. l. 3 ep.).
Asc,2276a:T2
Lo studio mezzo unico per acquistare la cognizione che si deve avere da un ecclesiastico di Dio e di
Gesù Cristo.
Ignorantia inter generales causas peccati numeratur (S. Th. 2, 2, q. 53, a. 2 ad 2).
Ignoranza: fonte principale di tutti i falli che sogliono commettersi negli esercizi del ministero
ecclesiastico, non senza detrimento singolare del divin culto, avvilimento di quei degnissimi
Ministri, e danno gravissimo delle anime.
Ignoranza: madre di tutti i vizi: Ignorantia mater cunctorum errorum, maxime in sacerdotibus
vitanda (c. ignor. d. 38); capital nemica d'ogni sorta di bene: Ubi non est scientia non est bonum
(Prov. 19, 2).
Ubi non adest suipsius notitia eorumque quæ ad salutem, vitæque statum cognitu sunt necessaria,
ibi nullum adest solidum et constans bonum, sed temeritas, imprudentia, error et lapsus
quandoquidem homo necessaria scientia destitutus omnia facit præpropere et absque consideratione;
sequitur enim animi sui impetus, affectuumque impulsus, adeoque non potest crebro impingere.
Adeo annexa est scientia legis, ut simul cum injunctione officii intelligatur etiam et scientiæ legis
injunctio (S. Th. 2, 2, q. 16, a. 2 ad 4).
Asc,2276a:T3
Può trovarsi un ecclesiastico ignorante che sia ad un tempo timorato ed esemplare, ma questi sarà
un buon cristiano perché osservante della legge e perché sa quæ tenetur scire communiter quæ sunt
fidei, et humilia juris præcepta; ma non un buon ecclesiastico qui tenetur scire quæ ad statum et
officium spectant.
Sarà dunque buon cristiano ed insieme mal sacerdote e confessore. Perché imperitia in ciò che uno
è tenuto a sapere, culpæ adnumeratur (L. Imp. de Reg. Juris).
Dottrina necessaria ad un ecclesiastico per la sicurezza della salute propria ed altrui.
Attende tibi, et doctrinæ, insta in illis, hoc enim faciens et teipsum salvabis, et eos qui te audiunt (1
Tim. 4).
Né giova il dire che non è ignoranza sempre voluta, perché è voluta saltem indirecte, et per
accidens puta cum aliquis non vult laborare in studio, ex quo sequitur eum esse ignorantem (S. Th.
1, 2, q. 76, a. 2). Quindi è colpa propter negligentiam: ignorantia eorum quæ aliquis scire tenetur
est peccatum (ibi art. 4).
Che se l'ignoranza nei secolari è dannosa solo ad essi, essa è dannosissima poi ancora agli altri negli
ecclesiastici, ed è qual pestilenza crudelissima. Elaborandum itaque est sacerdotibus ut
ignorantiam a se quasi pestem quandam abjiciant (Dist. 37, c. ideo, paragr. ut itaque).
Asc,2276a:T4
Quod Christi sumus propter nos, quod presbyteri propter alios (S. Aug.).
1) Il fine per cui Gesù Cristo istituì l'ordine si fu per renderti della sua milizia soldato intrepido, dei
suoi Altari ministro vigilantissimo, della sua Chiesa operaio indefesso.
2) Il Sacerdozio è dunque un ufficio pubblico indirizzato al bene e alla salute pubblica. Perciò il
Sacerdote viene chiamato: Luogotenente di Dio, Ambasciatore di Cristo, Mediatore tra Dio e gli
uomini, Guida, Maestro, Lucerna, Sale di popoli.
Ogni ecclesiastico si ordina per faticare per gli altri che deve illuminare, istruire, pascere, salvare.
Suo modo Deo in hoc assimilatus quasi Deo cooperans (S. Th. Sup. 3 p. q. 34 a. 1).
Asc,2276a:T5
Est periculum in mora.
Negligentia universæ doctrinæ et disciplinæ noverca (Boezio).
Esempio di S. Carlo; [vedi] Vita (Giussano) l. 8 c. 29.
Vedi rivelazione di S. Brigida; vedi Bilancia del Chiericato (p. 190).
Miserum est eum Magistrum fieri qui numquam discipulus fuit. Periculum est ne ordo omnium
sanctissimus fiat omnium maxime ridiculus (Dist. 61 c. Miserum est).
Cum enim nec Medici, nec Pictoris nomen quisque obtineat, ni prius aut morborum naturas
consideraverit, aut multos colores miscuerit, invenitur contra Pastor, Sacerdos, Levita non
elaboratus, sed recens quantum ad dignitatem simul satus et editus, quemadmodum Poetæ Gigantes
fabulantur (Naz. Or. 20).
Doceri omnes oportet qui Domini Sacerdotio funguntur, ut et cæteros instruant et sibi proficiant (S.
Anacl. Ep. omnibus fidelibus).
Multo tempore disce quæ postmodum doceas (Hier. ep. 4).
Asc,2276b:S
Circa l'amministrare i sacramenti
Note di mano Lanteri.
AOMV, S. 2,9,10:276b
Pubblicate in Lanterianum, maggio 1998, pag. 20-21.
Asc,2276b:T1
De obligatione sacerdotis administrandi sacramenta
Asc,2276b:T1
Pænitentiæ
Habeantur idonei confessarii et erit reformatio cristianorum. Confessarii debent pollere scientia et
bonitate; debet esse in caritate dives, in mansuetudine mellifluus, in prudentia gravis.
Ideo Christus posuit Ordinem in Ecclesia ut quidam aliis sacramenta traderent (S. Th. sup. q. 34 a.
1).
Ideo sacerdotes appellantur lux mundi, sal terræ, cooperatores Dei.
Qui renuunt saluti animarum incumbere titulo imbecillitatis falsam humilitatem habent (S. Fr.
Sales).
Ista est falsa humilitas, et inventus amoris proprii qui sub hoc specioso prætextu quærit tegere
socordiam.
Cum Deus aliquod nobis talentum donat, juste petit ut illud exerceamus, unde qui eo utitur et paret
magis humilem se ostendit. Superbi.
Superbi vere excusam habent ut nullum suscipiant onus quia tales in se ipsis fidunt.
Humiles contra magnanimi sunt quia non perpendunt proprias vires, sed in Deo confidunt cui placet
in nostra infirmitate suam omnipotentiam extollere (S. Fr. Sales).
Asc,2276b:T2
Sacerdotes constituuntur ut saluti animarum incumbant. “Sicut misit me Pater et ego mitto vos”
(Joan. 20, 21); nempe Christus mittit sacerdotes ut in suum officium succederent, et pro eo
legationem fungerentur (1 Cor. 3).
Ideo quoad promovendos ad Sacerdotium (Trid. Sess. 23 c. 14), requirit ut comprobentur idonei ad
ministranda sacramenta.
Ideo ipsis confertur potestas duplex sacrificandi et absolvendi, imo specialiter ad hoc munus
absolvendi Christus Spiritum Sanctum infudit: insufflavit et dixit: “accipite Spiritum Sanctum,
quorum remiseritis etc.”
Ergo si Christus misit præcipue sacerdotes ad salvandas animas eas absolvendo a peccatis, sequitur
hoc munus proprium sacerdotum et eos ad hoc se habiles reddere debere ne in vacuum dicantur
gratiam recipere.
Ergo qui ob desideria et metum peccandi dotibus, hoc est Sacerdotio et ingenio et doctrina, sibi
datis non utuntur ab his Christus rationem exposcet in die judicii.
Nec dicat hoc opus esse caritatis tantum, nam licet sit vere exercitium caritatis, tum non oritur ex
simplici motivo caritatis, sed ex proprio officio Sacerdotis cui ex Christi institutione hæc obligatio
est annexa (B. Lig. l. 6 n. 625, Praxis Conf. n. 50).
Asc,2276b:T3
Multam malitiam docuit otiositas (Eccli. 33, 29).
Nil agendo discunt homines male facere.
L'acqua che stagna presto imputridisce.
L'aria che non si muove facilmente appesta.
Cavendum ne ad nos etiam sententia illa terribilis dirigatur quam servus ille audire meruit, qui
acceptum talentum noluit duplicare: “serve male et piger, quare non dedisti pecuniam meam
nummulariis ad mensam, et ego veniens cum usuris exigissem illam” (Matth. 25, 26, S. Cæs. Arel.
hom. 22 t. 7 Bibl. Patrum). Inutilem servum projicite in tenebras exteriores ibi erit fletus, et stridor
dentium (Matth. 25, 30).
Ad mala quæ propria habemus alienas quoque mortes addimus, quia tot occidimus quot ad mortem
ire quotidie tepidi, et tacentes videmus (S. Greg. hom. super Ezech. et Past. p. 2, 6).
Noli negligere gratiam quæ in te est, quæ data est tibi cum impositione manuum presbiterii (1 Tim.
4, 14).
Il tempo preziosissimo conceduto non per altro che per impiegarlo a trafficare con esso per te e per
gli altri il grande acquisto del Paradiso.
Particula boni diei non te prætereat (Eccli. 14, 14).
Dum tempus habemus operemur bonum (Gal. 6, 10).
Asc,2276c:S
Della mortificazione dei sensi, e della mortificazione interna
Appunti di mano Lanteri.
AOMV, S. 2,9,10:276c
Testo preparato per gli Oblati. Le frasi tra parentesi sono appunti del P. Lanteri scritti in margine al foglio.
Asc,2276c:T1,1
Cap. 1. Della mortificazione dei sensi
Asc,2276c:T1,1
Le sensazioni…
(Le sensazioni: i sensi servono a istruire l'animo di ciò che deve cercare, o fuggire per la
conservazione del corpo unito.
Quest'istruzione sarebbe imperfetta e nulla se non ci aggiungiamo la ragione.
Oltre i bisogni i sensi aiutano ancora a conoscere tutta la natura: per mezzo dei sensi l'anima tiene a
tutto).
I sensi sono come certe vie per le quali l'anima esce come fuori di sé e va a cercare dei piaceri nelle
cose aliene dalla sua sostanza (dice S. Gregorio), poiché per mezzo di essi come da altrettante
finestre rimira gli oggetti esterni infinitamente a sé inferiori, e rimirandole le desidera, e in questo
modo entra in casa la morte dell'anima.
Resta dunque sommamente necessario chiudere con somma diligenza questi passaggi affinché la
concupiscenza della carne non entri per i sensi; non altrimenti come fa una donna savia che si mette
alla finestra solo quando fa d'uopo, ed apre quanto basta per vedere chi si presenta, e né lascia
entrare alcuno prima d'averlo esaminato, e non come una donna stordita che si mette alla finestra in
ogni tempo per vedere ed essere veduta, s'amusa con chiunque passa, ed apre la porta a chi si sia.
L'anima virtuosa se ne sta rinchiusa nel suo cuore come in casa sua dove ha sempre il suo tesoro,
veglia sui pensieri e sui sentimenti per non dare l'ingresso che ad oggetti buoni ed onesti, e
difendersi prudentemente dai cattivi.
(Servirà di motivo l'esempio di Gesù Cristo nelle caste viscere di Maria Vergine ove pratica
un'intera mortificazione dei sensi.
Così nell'Eucarestia se ne interdice fin l'uso, ha gli occhi, le orecchie, ed è come se non vedesse,
non ascoltasse).
Gli Oblati dunque etc. [vedi sotto]
Asc,2276c:T1,2
(Servirsene solo per le cose necessarie, fuggire le nocive, negare loro le cose superflue per quanto si
può, trattenerli da molte cose lecite per amor di Dio).
I sensi più pericolosi sono gli occhi, le orecchie, la lingua. Quanto agli occhi sarà sempre più
pericoloso inciampare con essi che coi piedi, a segno che il Salvatore ci dica: si oculus tuus
scandalizat te, erue eum, et proice abs te, volendo con questo prescriverci di togliere efficacemente
ogni strumento, occasione di caduta; per essi le creature tirano le loro saette d'amore che vanno al
cuore, e fa cadere nei suoi lacci l'anima anche più forte, per uno sguardo curioso, un'azione libera: è
dunque necessario, dice S. Bernardo (de mod. ben. viv. c. 23), fare un patto con gli occhi di non
vedere ciò che non deve vedersi. Non si debbono mai fissare gli occhi nel volto altrui. Lungi pure il
cercare cose odorifere che effeminano. Fra tutti deve custodirsi con tutta diligenza il tatto, onde e
neppure per ischerzo sia lecito toccare un altro. Finalmente aver attenzione di servirsi dei sensi per
le cose necessarie soltanto, e negare loro le cose superflue per quanto si può.
(Attenzione a tenere i sensi in dovere: fuggire le cose nocive, evitare le sorprese; impedire le
piccole libertà; non dare a loro altra libertà che quella che permette la ragione diretta dalla fede).
Asc,2276c:T1,3
Venit Jesus cum fores essent clausæ. Rulf. t. 3, disc. 11, pag. 244. Le colpe dei sensi quanto hanno
costato a Gesù. Cum fortis armatus custodit atrium suum in pace sunt eaque possidet. Sepi aures
tuas spinis. Linguam nequam noli audire. Verbis tuis facito statera et frenos ori tuo rectos, attende.
Attende ne forte labaris in lingua. Pone, Domine, custodiam ori meo. Averte oculos meos ne videant
vanitatem.
Frutti della custodia dei sensi: un sentimento interiore della presenza di Dio (factus in pace locus
ejus, beati mundo corde); un giusto sentimento interiore delle cose di spirito (sciolti questi lacci,
l'anima vola a Dio, spazia per la regione dello spirito, riacquista i sensi interiori); una grazia
particolare d'affezionare gli altri alla virtù (pregio della modestia).
Asc,2276c:T1,4
Gli Oblati dunque avendo innanzi agli occhi l'esempio del Verbo incarnato che nelle sacre viscere
di Maria Vergine pratica un'intera mortificazione dei sensi, e nell'Eucarestia ancora vi sta come se
neppure si avesse avuto alcun senso, fanno attenzione a tenere i loro sensi in dovere e ben custoditi.
Evitano le sorprese ed impediscono le piccole libertà; non danno loro altra libertà che quella che
permette la ragione diretta dalla fede.
Pertanto fuggono le soddisfazioni nocive, circa le inutili e superflue ne fanno opportunamente un
sacrificio a Dio. Se ne servono solo per le cose necessarie, oneste ed utili, ed anche nelle oneste e
lecite talvolta si mortificano per amor di Dio.
Circa gli altri sollievi necessari e ragionevoli si guardano da ogni etc.
In specie poi, sono inesorabili in praticare la temperanza nel cibarsi e nel bere in tavola, né mai fuor
di tempo prendono cosa alcuna senza vero motivo. Circa il sonno non oltrepassano senza licenza o
senza consegnarlo al Superiore il tempo prescritto.
Circa la vista, gli occhi, memori della sentenza del Salvatore si oculus tuus scandalizat te, erue eum
et projice abs te, fanno un patto con gli occhi di non vedere mai ciò che non deve vedersi, e
particolarmente si prefiggono di non mai fissarli in volto di alcuno. Dicono sovente averte oculos,
ne videant vanitatem.
Chiudono le orecchie a curiosi racconti. Non dicono tutto ciò che viene in mente solo per parlare.
Quanto alla lingua, sanno che è tempo di parlare, tempo di tacere. Usano discrezione circa le
persone con cui parlano.
Circa il tatto, non si permettono, neppure per scherzo, di mettere le mani addosso.
Si guardano dalla vita molle anche per vivere di più e vivere sano, cristianamente. Sanno che la
stessa sofferenza produce la robustezza, all'opposto snerva il corpo l'evitare ogni sofferenza. Sono
tolleranti delle molestie, massimamente che non si possono evitare tutte.
Asc,2276c:T1,5
Rogacci…
Rogacci parte 3a cap. 17, 22, 23.
Né deve usarsi troppa indulgenza ma allenarlo alla fatica, ma avvezzare il corpo a faticare, patire
per servizio di Dio ad astenersi da gusti non necessari, a guidarsi coi dettami della ragione, non con
gli istinti.
Chi fa altrimenti serve più al corpo che a Dio: est modus in rebus. Il corpo né deve trattarsi con
tanta piacevolezza che diventi insolente e capriccioso, né con tanta austerità che resti inabile a
servire Dio e l'anima.
Si pasca quasi giumento, ma con esigerne insieme che porti la soma.
Cibaria et virga, et onus asino, panes, et disciplina et opus servo (Eccli. 33, [25]).
L'uso deve regolarsi col fine, perciò:
– chi gli nega il trattamento necessario a tal fine l'ama meno del dovere;
– chi l'accarezza oltre quanto richiede tal fine l'ama più del dovere;
– chi lo governa quanto si conviene a tal fine l'ama secondo il dovere, e così governandolo piuttosto
che servire al suo corpo, serve a Dio nel suo corpo.
E questo si ottiene col consiglio di S. Paolo: sive manducatis, sive bibitis, sive aliud quod facitis
omnia in gloriam Dei facite (1 Cor. 10).
Si prenda dunque quanto si crede necessario d'alimento, di riposo, di sonno, di altri sollievi, ma
tutto col fine di rendersi più atto a operare in servizio di Dio. Fortitudinem meam ad te custodiam:
stando solo attenti che l'amore naturale non spinga a prenderlo più per suo contentamento che per
Dio.
S. Teresa: finché non si risolse a non far caso del corpo né della salute, “sempre mi vidi legata a non
far nulla di buono… Iddio volle farmi conoscere questo stratagemma del demonio… dappoiché non
mi ho tanta cura, né m'accarezzo tanto, ho assai più salute” (Vita, cap. 13).
Asc,2276c:T1,6
1) In dubbio quello si elegga a cui meno la natura e l'appetito ci porta; ita salubrius est laborando
potius excedere quam deficere, edendo potius deficere quam excedere, laboribus enim minus
capimur quam voluptatibus.
2) Guardarsi dall'affetto soverchio ai sollievi anche necessari, cioè: l'avidità nell'aspettarli e
prenderli; la sollecitudine che non manchino; la tristezza se mancano.
Dunque vi vuole puro motivo di servizio di Dio, quiete e libertà di spirito, cioè mai con impegno, a
suo tempo, coi mezzi ragionevoli, né smoderatamente ne goda. Così facendo, quanto da lui si
richiede, si contenta d'averlo vigoroso o fiacco, sano o cagionevole come piacerà al Signore, perché
allora Domino suo stat aut cadit.
Questa protesta di retta intenzione deve farsi sovente, ne cum spiritu cœperint, carne consumentur.
Così si nobilitano queste azioni con fine non meno nobile che nel comunicarsi, dire Messa, etc.
Perché sebbene materialmente differenti, secondo la forma ugualmente appartengono alla carità.
E così il suo cibarsi, stare a letto, riscaldarsi, prendere aria, il suo lavarsi, pettinarsi, tosarsi è amare
Dio.
Asc,2276c:T2,1
Cap. 2. Della mortificazione interna
Asc,2276c:T2,1
Le passioni nello stato…
Le passioni nello stato dell'originale innocenza si contentavano d'avvisare la volontà dei bisogni
rispettivi, e per la conservazione e per non averne pregiudizio, indi erano perfettamente sommesse
alla parte superiore e mirabilmente la servivano nel preferire il bene spirituale al temporale, ed il
Creatore alla creatura. (Così Gesù Cristo si servì del timore, della tristezza e della fame).
(Nelle passioni si deve osservare l'oggetto e il modo).
Dopo il peccato sono divenute così ribelli alla parte superiore, e ripugnanti a quanto v'ha di
ragionevole ed onesto, che sebbene mortificata e repressa non cessano di ripugnare e di resistere,
quando poi si secondano, tanto più diventano ardite.
E quel che è peggio, la volontà che dovrebbe signoreggiarle è divenuta inferma, inconstante per il
bene, pigra, irresoluta, inclinata ancora al male, egoista, piena d'attacchi disordinati, e di desideri
vani e cattivi, nemica di ogni legge umana e divina.
L'intelletto che deve dirigere la volontà è ingombrato dall'ignoranza e dall'errore, è soggetto
all'inconsiderazione e precipitazione nei suoi giudizi, dalla pertinacia e dalla temerità, e dominato
dalla prudenza della carne.
Asc,2276c:T2,2
La memoria è ripiena di idee vane, inutili ed indecenti che l'immaginazione va ravvivando con
fingerne ancora delle nuove, e sollecita ora l'intelletto a rimirarle, ora la volontà ad amarle.
La ragione intanto che scorge tanto disordine ne geme, e sovente invano, ed ancora corre pericolo
d'accecarsi e di pervertirsi, e di fedele consultrice divenire adulatrice, ciò che sarebbe il colmo dei
mali.
Quanto dunque è importante l'obbligo che Dio ci fa di attendere alla mortificazione interna,
massime se si riflette all'utilità così grande che ne risulta poiché le passioni, soggette che siano,
divengono sommamente utili e conducenti all'acquisto delle virtù, elevabunt vos, dice S. Agostino si
fuerint infra vos.
Così l'ambizione ci eleverà a maggior grandezza di quella del mondo; l'avarizia ci porterà ad
accumulare tesori celesti; l'invidia ad emulare virtù più perfette, la collera a zelare l'onore di Dio, e
simili.
Pertanto si fanno un impegno d'assoggettare le proprie passioni colla vigilanza, colla preghiera,
colla riflessione, colla destrezza, colla forza, poco meno in certo modo come si fa coi bruti; perciò si
sono proposte le seguenti avvertenze sulle quali si esamineranno sovente.
Asc,2276c:T2,3
E primariamente…
E primariamente quanto alle facoltà dell'anima sanno che in queste consiste l'immagine di Dio e che
sono capacità immense che si chiamano porte eternali, perché fatte per aprirsi solo agli oggetti
eterni dei quali si riempiono, partecipano della loro qualità tanto da diventare simili ad esse.
Se riempite di cose temporali s'impiccioliscono e diventano simili ad esse.
Se riempite di oggetti eterni s'ingrandiscono e diventano simili a Dio.
Bramano però di vuotarlo di ogni creato, e riempirlo di Dio, e perciò ricorrono soventi alle Tre
divine Persone, ad esse le consacrano, le consegnano.
Asc,2276c:T2,4
Consegnano dunque la memoria all'Eterno Padre, fonte di tutti i lumi e doni, affinché la richiami
dagli oggetti creati, e la dilati e l'ingrandisca, la riconduca ed unisca a sé, la riempia di santi
pensieri, e così ripiena la custodisca e la conforti ad operare, intanto non lasciano con la divina
grazia di cooperare con tutto l'impegno per disprezzare e dimenticare con opportune diversioni le
cattive immaginazioni impresse, e a non ammetterne delle nuove, essendo indegno che nel tempio
di Dio vi rimangano immagini indecenti.
Consegnano pure l'intelletto al Divin Verbo, affinché lo richiami dallo strepito e dalle troppe
sollecitudini delle cose temporali, lo preservi dall'ignoranza e dall'errore, lo illumini e lo pascoli col
pane della sua divina parola. Intanto essi attenti ad applicarsi all'orazione ed allo studio, a guardarsi
da ogni precipitazione ed ostinazione di giudizio, ad evitare ogni spirito di curiosità, a rendersi
docili e fermi nelle verità della fede, non volendo altra guida che la ragione, né la ragione sola così
facile ad errare, ma la ragione guidata, assicurata e perfezionata dalla fede, non volendo riconoscere
altra prudenza che la prudenza dei figliuoli della luce.
Così consegnano allo Spirito Santo la volontà affinché la visiti, la fortifichi a vincere ogni attacco
alle creature e la renda superiore ad ogni umana attrattiva, la porti a disprezzare ed odiare se stessa,
la infiammi e la riempia del suo divino amore, e la conforti affinché mai sia sovvertita, né mai
soccomba.
Intanto essi sono attenti a corrispondervi con guardarsi da ogni affetto sregolato verso la creatura
che sempre macchia l'anima. Omne desiderium averte a me (Eccli. 23, 5). Sono pronti a mortificarsi
dovunque riscontrano la propria volontà, e a farle guerra con atti contrari, sia nell'esterno come
nell'interno, per fare niente, puramente per fare la propria volontà, nel temporale come anche nello
spirituale, nelle cose non solo cattive ma anche nelle indifferenti, detestando ogni attacco ed ogni
sentimento di propria volontà, non volendo altra volontà che quella comune a Dio ed al prossimo:
qua fit ut bona tua tibi bona non sint… a voluntate tua avertere (Eccli. 18).
Asc,2276c:T2,5
Chiudono per questo la porta del cuore ad ogni vano ed inutile desiderio, ricorrendo al Signore per
ottenere tale grazia dicendogli sovente: Domine Pater et Deus vitæ meæ omne desiderium averte a
me (Eccli. 23), poiché non voglio lasciarvi regnare altri che il desiderio delle cose spirituali ed
eterne.
(La pace annunziataci da Dio si trova solo nel Vangelo e nella Chiesa, e per averla fa d'uopo avere
le facoltà dell'anima attaccate a queste fonti, e che vivano con buona intelligenza, così l'intelletto
illuminato conosce l'errore ed i pericoli; la memoria sede della speranza e del timore si fortifica, la
volontà s'affeziona e si riempie dell'eterno, disprezza il temporale. La pace viene stabilita e consiste
nella perfetta mortificazione delle passioni, e totale sommissione dell'anima a Dio).
Si guardano ancora da ogni turbazione interna o tristezza, che è sempre un principio o effetto di
qualche passione, tenendosi alla regola di S. Teresa: “niente ti turbi”, non volendo dare, neppure per
poco, luogo alla passione ed al demonio, onde massimamente travagliano ad acquistare la pace
interna così raccomandata da S. Francesco di Sales che suggerisce di vedere Combat spirituel, 15,
16, 17: Non in commotione Deus.
Asc,2276c:T2,6
Quanto alla memoria sono attenti a disprezzare e dimenticare con diversioni le cattive
immaginazioni state impresse, e a non ammetterne delle nuove procurando anzi di riempirla di sante
idee.
Quanto all'intelletto procurano di renderlo applicato nell'orazione e nello studio, evitando ogni
spirito di curiosità e d'impegno, si guardano da ogni precipitazione ed ostinazione di giudizio, ad
imitazione di Maria Vergine la quale cogitabat qualis esset ista salutatio, indi rispose: ecce ancilla
Domini. Vogliono che la ragione, la fede e la prudenza cristiana serva d'unica regola.
Quanto alla volontà, prima di tutto cercano di purgarla dall'amor proprio disordinato, sapendo che
chi ama se stesso e non Dio ed il prossimo, non è vero che ami se stesso, ed all'opposto, chi ama
Dio ed il prossimo e non se stesso, questi ama veramente se stesso.
Asc,2276c:T2,7
Gli appetiti ossia le passioni per loro natura ed istituzione non sono cattivi, difatti nello stato
dell'originale innocenza si contentavano di avvisare la volontà dei loro bisogni senza ripugnare in
alcun modo, ma ora dopo il peccato sono divenuti ribelli ed insolenti, quali fiere indomite, e quanto
più sono secondati tanto più diventano arditi, intanto la volontà che deve pur signoreggiarli è
inferma, incostante, anzi inclinata al male; l'intelletto che deve dirigerla è ingombrato da ignoranza
ed errore; la memoria tiene impressi gli oggetti frivoli e cattivi; l'immaginazione li ravviva, ne finge
dei nuovi; l'intelligenza stessa concorre a raffinare i piaceri offerti, ne suggerisce i modi e i mezzi di
ottenerli, trasformando anche il bene in male.
La ragione intanto geme invano e reclama, seppure non finisce anch'essa di accecarsi e pervertirsi, e
di fedele consigliatrice divenire adulatrice, ciò che sarebbe il colmo dei mali, per cui diventa
infinitamente superiore a tutto l'universo creato rimirato nel solo ordine della natura.
Conviene pure ponderare per altra parte la natura del suo corpo cui va unita, quale non è che un
piccolissimo strumento che punto non conta in confronto di tutto l'universo cui essa è già
infinitamente superiore nell'ordine della grazia, strumento ancora composto di fango, e ben sovente.
Asc,2276c:T3,1
Sulle passioni, e massime sulla collera
Asc,2276c:T3,1
In genere di passioni…
In genere di passioni sarà sempre più facile resistere ai loro primi moti, che reprimerle quando uno
ha già consentito a lasciarle entrare nel cuore. Più facilmente si respinge il nemico alle barriere, che
quando si è già lasciato penetrare nel campo. Tanto più che d'ordinario a misura che si cede, la
passione cresce. Facilius est ea non admittere, quam admissa moderari, nam cum se in possessione
posuerunt potentiora rectore sunt.
La ragione non conserva il suo impero sulla passione che a misura che non ci consente, ed è attenta
a reprimerla nel loro nascere, e rigettare le idee sempre false che presentano allo spirito per sedurla,
a soffocare i sentimenti che imprimono nel cuore per trascinarlo nel loro partito, a misura cioè che è
attenta ad escluderla dal suo consiglio e a ricusare nell'esecuzione il soccorso pericoloso che offre,
anche sotto pretesto d'animare la nostra virtù. Dal momento che l'anima comincia a deliberare col
nemico tutto il suo impero datole dalla natura sulle azioni, s'indebolisce. Ratio tamdiu potens est
quamdiu deducta est ab affectibus, ubi se illis immiscuit non poterit continere quos submovere
potuisset.
Sic, comme un homme qui s'est jeté par les fenêtres ne peut se soutenir en l'air contre l'effort de sa
pesanteur, ita animus si in iram se projecit reprimere impetum non permittitur. Continent se
quomodo? Cum jam ira evanescit, vel cum affectus repercussit affectum non rationis beneficio, sed
aliorum affectuum infida et mala pace. Il ne faut donc pas prendre la passion, par exemple la colère,
pour conseil, mais pas même pour exécuteur de ses ordres, étant un exécuteur qui passe toujours sa
commission.
Asc,2276c:T3,2
N.B. La prima emozione per es. della collera viene dalla natura, ma il consenso viene solo dalla
volontà.
Essa ci è data per renderci attenti al male, di cui ci attesta la presenza o il prossimo arrivo; è una
guardia avanzata, che tira il colpo in aria per avvertire che il nemico non è lungi; questa è la sua
funzione naturale, conviene obbligarla a fermarsi lì.
Tocca alla ragione, e alla ragione sola prescrivere il resto, cioè 1) il deliberare tra sé senza
consultare un'emozione così cieca, 2) il determinarsi senza lasciarsi trasportare dal primo moto,
come un cavaliere mal pratico del suo cavallo, e finalmente 3) l'eseguire senza turbarsi ciò che avrà
determinato secondo la ragione, la virtù, la religione (P. André t. 3, pag. 185, Discours sur l'usage
de la colère).
Asc,2276c:T3,3
Le passioni sono nemiche della pace, dove esse regnano non vi regna la pace, né con Dio – prima
pace da aversi – perché s'oppongono alle sue verità, né col prossimo, né con Dio: quis restitit Deo,
et pacem habuit? Né con Dio, né con sé, in conseguenza neppure col prossimo.
Pace di spirito nella sommissione di esso alla fede, pace del cuore nella sommissione della volontà
ad eseguire ciò che la fede prescrive.
Passioni: per sradicarle dare addosso alla dominante:
Vanalesti t. 3, pag. 90
Calino t. 3, pag. 368
etc. etc. Coppa, Bordoni, Rulfo
Granelli, Trento
Vince teipsum Tornielli
Asc,2276c:T3,4
Si aggiungano i seduttori invisibili artefici di mille frodi e malizie che sempre ci stanno d'attorno,
d'accordo con gli appetiti disordinati per farci cadere.
Chi non dirà che fra tanti nemici seduttori interni ed esterni, fra tanti assalti d'ogni parte non sia
necessario eccitare la vigilanza, procacciare i soccorsi, prevenire gl'inganni, rintuzzare gli attacchi
per assoggettare le nostre passioni colla destrezza e colla forza, appunto come si usa coi bruti?
Alla necessità si aggiunga l'utilità che ne risulta. Poiché soggetti che siano, diventano utili e buoni, e
conducenti alla virtù, elevabunt vos si fuerint infra vos.
Così l'ambizione, per es., ci eleverà a maggior grandezza di quella del mondo, l'avarizia ci porterà
ad accumulare tesori celesti, l'invidia ad emulare virtù più perfette, l'ira a zelare solo la gloria di Dio
e simili.
E come fare questo senza pratiche?
Conviene dunque mortificare la memoria.
Asc,2276c:T3,5
Sono risoluti a fare la guerra alla volontà propria, giusta l'avviso dello Spirito Santo a voluntate tua
avertere (Eccli. 18), e ci fanno la guerra non in qualche cosa soltanto, ma in tutto, nell'esterno e
nell'interno, nel temporale e nello spirituale, ovunque vi è la volontà propria, non comune cioè con
Dio e con il prossimo, a segno di voler far niente puramente per fare la nostra volontà, e soddisfare
questa inclinazione, e questo non solo nelle cose cattive, ma anche nelle indifferenti, talvolta anche
nelle buone, quando si vogliono troppo, e allora lasciano di farlo, o fanno il contrario, quando si
può, senza inconvenienti, e accostumarci a rompere quest'umore di proprietà.
Così nelle compagnie praticano la condiscendenza e si acquietano alla volontà degli altri, sempre
che si può secondo Dio, disprezzano i propri sentimenti per abbracciare quelli degli altri.
Chiudono perciò la porta del cuore ad ogni vano ed inutile desiderio della terra, non del Cielo, o alle
cose eterne; delle virtù desiderano poco, e quel poco con molta moderazione, dicendo sovente:
Domine Pater et Deus vitæ meæ, omne desiderium averte a me (Eccli. 23, 5), massime essendo
questa la sorgente della pace, perché dove non ci sono desideri, non ci sono pene.
(Guardarsi da ogni turbazione interna che è sempre o principio o effetto di qualche passione. Pregio
della pace interna).
Asc,2276c:T3,6
Non si tratta d'annientare…
Non si tratta d'annientare le passioni, ma di moderarle secondo la ragione.
Vi si deve osservare l'oggetto ed il modo.
Gli attacchi sono i fomenti delle passioni, il silenzio, beati pacifici.
Siccome tutte le passioni partono o dal concupiscibile, o dall'irascibile, si possono ridurre a due,
cioè: al desiderio o al timore; al desiderio d'un bene presente o al timore d'un male.
Gli oggetti sopra i quali si raggirano sono i beni o i mali, sia dello spirito che del corpo.
Ora proponendone non dei veri, ma falsi e apparenti, ora esagerandoli più di quel che sono.
Si debbono dunque trattenere affinché non si portino sopra simili oggetti proibiti.
Il modo con cui cercano di abbracciare o rigettare alcuni simili oggetti, si è senza moderazione
(desiderano o aborriscono, operano, si è di esagerare la turbazione ed il difetto di moderazione).
Fa dunque sempre d'uopo primieramente moderazione in tutto, in secondo luogo considerazione
tranquilla secondo la ragione conforme.
Procurano prima di tutto di mai lasciarsi turbare per niente, né operare con impeto e precipitazione,
ma sempre con quiete, dare luogo a considerare tranquillamente secondo la ragione conforme alle
verità rivelate l'oggetto proposto dalla fede.
Quanto alle passioni, siccome si riducono tutte al desiderio o al timore di qualche bene o male di
spirito o di corpo soltanto apparente e falso, o seppur vero ma esagerato, o al modo di agire con
impeto, con precipizio, senza moderazione, così (avanti che le passioni insorgano, fuggire le
occasioni di peccato per non dar luogo alla tentazione: nolite locum dare diabolo. Insorta poi)…
Asc,2276c:T3,7
1) Sono attenti prima di tutto a non mai lasciarsi turbare, non mai operare con impeto o
precipitazione.
2) A non voler desiderare o temere se non ciò che è eterno, esaminando quindi sulla bilancia
dell'eternità l'oggetto ed il modo proposto dalla passione.
3) A praticare risolutamente il vince teipsum, operando il contrario da quel che detta la passione.
Con tre semplici massime, pratiche rimediano alle loro passioni:
1) præcipe moram, quiesce per dare luogo all'orazione ed alla riflessione tranquilla, non si lasciano
mai turbare e si guardano d'operare con impeto e precipizio;
2) muta objectum, nil time, nil cupe nisi quod æternum est affinché l'oggetto proposto dalla
passione, esaminato l'oggetto con la bilancia dell'eternità, rivestiscano l'oggetto proposto, i beni
eterni, la gloria eterna, il gaudio eterno, rivesta l'oggetto temporale, e mutano il temporale
nell'eterno;
3) age contrarium, vince teipsum risolvendosi ad operare tutto il contrario, anche con atti eroici, se
fa d'uopo, massime sapendo che il cominciare con un atto eroico può farci santi.
Asc,2276c:T3,8
La modestia…
La modestia in gesti consiste in ciò che ciascun membro faccia il suo ufficio per cui è creato, e lo
faccia né più né meno. Un buon palazzo deve conoscersi dall'istesso vestibolo.
Chi serve ai sovrani in corte sempre che debbono comparire loro d'innanzi, si studiano d'essere
puliti in faccia, nelle vesti, si guardano da ogni atto, o gesto o parola indecente e non composta, ed è
conveniente di tenere lontano da sé tutto ciò che è difforme e sordido, quando si vuole piacere ad
alcuno.
Così deve fare chi milita all'eterno Re, chi deve gustare dell'angelica conversazione deve procurare
che il suo servizio, anche esteriore, sia grato.
Oculi tui, oculi Christi sunt: non è lecito volgerli alle vanità. Os tuum, os Christi est: non debbono
servire a discorsi vani, oziosi, dovendo servire alle lodi di Dio.
Esempio di Maria Vergine, di Gesù: formetur Christus in vobis.
Il corpo si compone nello stesso modo in cui l'anima è composta.
L'anima non è sana dove c'è un tetro colore di modestia. Giova a promuovere l'edificazione del
prossimo, perché attira all'imitazione, spectaculum facti sumus, e siamo specchio. Giova a
promuovere la maggior gloria di Dio, l'indicò Gesù Cristo: sic luceat etc. E giova a promuovere la
fama propria, perché la faccia è lo specchio della mente.
Asc,2276c:T3,9
Essendo tempio di Dio, glorificate et portate Deum in corpore vestro. Se noi non amiamo la casa
immonda, neppure Dio vuole la sua casa macchiata.
(Nell'orologio l'indice denota le ore, si richiede l'ordine interno delle ruote da cui l'indice esterno
procede; il peso giusto causa il moto ordinato alle ruote, così i motivi causano la modestia).
Media: la presenza di Dio basta per eccitare la modestia, e l'esame particolare.
Consiste nell'ilarità e serenità della fronte e della faccia, onde guardarsi dai due estremi: 1) da
troppa gravità e severità di volto, che si scopre dalle rughe della fronte e dal naso, le quali indicano
tristezza, o altro inordinato modo; 2) dal ridere smoderato ed immodesto che snerva l'anima, nuoce
al corpo, fœde ad cachinnos moveris, fœdius moves (S. Bernardo).
Nella mondezza delle vesti e dei membri che compaiono che giova alla sanità, all'edificazione, che
sappia di povertà, mai d'immondezza, e di negligenza.
Nel gesto e nel moto dei membri quale è riprensibile se è:
– molle che significa lascivia,
– dissoluto che significa negligenza,
– celere ed impetuoso che significa inconstante,
– tardo che significa pigrizia.
Nel discorso ottemperato deve ricordarsi la modestia e l'edificazione, sia nelle parole che nel modo
di parlare, né troppo alto o basso.
Caput sicut aurum, gravità nel muoverlo.
Oculi sicut columbæ simplices.
Genæ sicut areolæ aromatum ob hilaritatem in facie.
Labia distillantia myrrham, ob accuratam custodiam, manus tornatiles ob decentiam.
Crura ut columnæ marmoreæ ob incessus tarditatem et gravitatem.
Venter eburneus ob honestatem et munditiam vestitus.
Ex abundantia cordis os loquitur, qualis domus talis Dominus.
Asc,2276c:T3,10
Saint-Jure, Connaissance et amour de J.C., t. 2, l. 3, p. 881
Qui absconditus est cordis homo in incorruptibilitate quieti et modesti spiritus (Petri [1a] ep. 3, 4).
Les ornements de l'homme intérieur sont la constance et l'incorruption d'un esprit tranquille et
modeste fondé sur la mémoire continuelle de la présence de Dieu dans un profond abaissement
d'esprit et un extrême respect du corps; sur la mortification des passions pour qu'ils ne fassent plus
d'impressions sur le corps qui ne soient bien réglées; sur l'étude de l'oraison qui retient avec une
douceur efficace tous les sens extérieurs et intérieurs et faisant goûter Dieu lui ôte l'envie de se
répandre au-dehors.
Alors cette modestie est durable en tout temps et tout lieu avec quiconque et étant seul.
Finis modestiæ timor Domini (ut causa) divitiæ et gloriæ et vitæ (ut effectus) – Prov. 22, 4.
Dives est modestia quia portio Dei est: omnia fecit in numero, pondere et mensura. È accetta a Dio,
agli angioli, agli uomini. Giova alla purità di cuore, per il raccoglimento, per l'acquisto della virtù. È
un gran mezzo di salute perché tutto passa per i sensi, quali disordinati introducono ogni vizio,
ordinati portano alla virtù. È un gran principio di perfezione essere cieco, sordo, muto a tutto il
creato.
Aggiungerai che la simpatia dell'anima col corpo e con l'esteriore, è sì grande che le qualità di
quella si comunicano sì facilmente a questo. Infatti siccome subito si conosce se si sta bene, o male
di sanità corporale, così pure facilmente si conosce se uno sta molto bene o no con Dio.
Asc,2276c:T3,11
Lessius l. 4, c. 4, d. 12
Modestia dicitur a modo motibus imponendo. Est virtus externos corporis motus et gestos ex
prescripto rectæ rationis temperans, et decorum in externis motibus et gestibus servans.
Materia est motus corporis et gestus exterior sensibus obvius ut incessus, statio, sessio, motus
capitis, contractio, explanatio vultus, membrorum jactactio, vox, visus, aspectus. Quia motus externi
sunt liberi, ergo rationi subduntur, ergo sunt materia virtutis et vitii.
Forma est congruentia ad personam spectatam tum absolute, tum in ordine ad eos coram et cum
quibus agitur; et congruentia ad locum, tempus, negotia de quibus agitur. Decorum est quod
congruit naturæ rationali cui inest. Debet etiam congruenter fieri ad alios pro diversitate personarum
et circumstantiæ temporis et loci. Officium est moderatio gressus, cap. 18; vocis, cap. 19; orationis,
cap. 22, l. 1 offic. D. Ambr.
Potest imperari a diversis virtutibus, unde si hoc facias ut te foris exhibeas qualem intus te esse
putas, pertinebit ad virtutem veritatis, secus est hypocrisis aliud foris simulas; ut te aliis
commodum, suavem in conversatione exhibeas, erit officium amicitiæ et affabilitatis; ut
reverentiam rebus sacris habeas, erit officium Religionis.
Peccatur per excessum, si externi motus et gestus communem modum excedent, est petulantia et
insolentia; si alium modum tibi ne congruenter assumes, ut si Religiosus utatur moribus occlusis
quod pertinet mollities in voce, in gressu, in gestibus; si ficto animo modum aliquem assumas est
hypocrisis. Non est mortale ni ratione pravi finis vel scandali etc. Peccatur per defectum morum
ruditate et rusticitate, non est mortale ni per accidens propter scandalum et offensionem cum alii
putant se sic contemni.
Asc,2276c:T3,12
S. Th. 2, 2, q. 160; Lessius ut supra d. 6
Modestus est qui intra modum et limites sui status, ingenii, fortunæ se continet suo modulo
contentus.
Modestia est affinis temperantiæ.
Moderatis enim: delectationibus carnis per temperantiam, impetum iræ per mansuetudinem.
Superest moderari motus animi ad excelsa et hos coercet humilitas; desiderium cognitionis
præsertim curiosæ, hos refrenat studiositas; motus et gestus externi corporis, hos componit
modestia morum; externus cultus et apparatus in vestibus, conviviis, suppellectilibus quod
moderatur modestia et cultus.
Amictus corporis, risus dentium, et ingressus hominis enuntiant de illo (Eccli. 19, 27).
Modestia vestra nota sit etc. (Philip. 4, 5).
Asc,2278:S
Pensieri di pace e consolazione cristiana
Vari testi di mano Lanteri, citati in parte da Gastaldi, 160-164.
AOMV, S. 2,9,12:278
Asc,2278:T1,1
Pensieri di pace e consolazione cristiana
Asc,2278:T1,1
S. Michele e Lucifero…
S. Michele e Lucifero erano stati costituiti come capi degli altri Angeli, ed ad essi affidatane la
direzione, siccome pur lo sono di presente quando sorse tra di essi una gran questione (prœlium
magnum factum est in cælo) di cui vincitore fu S. Michele, il quale in segno di vittoria gridò:
Ignosce Domine (Michael angelus tuba cecinit ignosce Domine, o come legge l'Ebreo, Ignosce
Agne), dal che si vede ove si raggirasse la questione, e se S. Michele pubblicò con gran festa la
riportata vittoria concepita in tali termini, conviene che Lucifero sostenesse l'opposta sentenza, e per
conseguenza non avesse che sentimenti di rigore, di qui si cava qual sia il caratteristico dei Demoni
(Apoc. 12). Unde agnus occisus est ab origine mundi (13). Perbelle Bernard. ex serm. 17 in Cant. n.
5 Ex Vespr. S. Michaelis. Ira viri justitiam Dei non operatur (Jacob. 1 v. 20).
Se in linea naturale Dio è ter Optimus Maximus cosa dovrà dirsi in linea soprannaturale.
Asc,2278:T1,2
(a) Item S. Bernardus Serm. 11 in Ps. 90, n. 7, 9., Serm. 5 Assumpt. n. 14.
Gaudent Angeli ad pænitentiam peccatorum, quod si deliciæ Angelorum lacrimæ meæ quid deliciæ
(Serm. 68 Cant.).
Lacrimæ pænitentium vinum Angelorum (30 Cant.).
Illas veras lacrimas mutari in vinum dixerim quæ fraternæ compassionis affectu in fervore prodeunt
caritatis (Serm. 3 in Epifania).
D. Bernardi Theologia Speculativa, Auctore R.D. Laurentio Bertrando, Astæ 1678.
Asc,2278:T1,3
S. Bernardo spiega in quei luoghi che gli Angeli caddero in peccato per non voler che la seconda
persona s'incarnasse gridando: ut quid perditio hæc?
Essendosigli manifestato il mistero dell'Incarnazione, Lucifero non lo volle approvare, non
approvando che il Figliuolo di Dio tanto s'abbassasse per noi miserabili creature per cotanto
sollevare la nostra misera umanità, unendola alla sua divinità, esaltandola sopra la natura angelica;
che se ciò faceva s'abbassava troppo, e perciò pretendeva essere superiore a Gesù Cristo, acciò il
peccato d'immisericordia e superbia propri degli immisericordi che temono troppo d'umiliarsi e fare
altrimenti. Quindi è che [secondo] Ignazio*1
Dovendosi contentare in Dio la misericordia e la giustizia, si assegnò a questa tutta l'eternità, a
quella tutto il tempo, onde pendente questa vita regna la misericordia, nell'altra la giustizia, la quale
non ha più ragione di lagnarsi di non aver luogo nel tempo, avendo per sé tutta l'eternità, altrimenti
sarebbe offesa la misericordia.
O homo factus es mensura Dei (S. Prosp.). Vide ergo qua mensura etc. eadem enim.
La Retorica è per persuadere: ora chi mai persuaderà rendendo la nostra religione difficile, ed i
mezzi per giungere all'eterna salute?
La nostra religione si fa gloria di cambiare il male in bene, e perché Voi, o Sacerdoti etc.
Asc,2278:T1,4
Se la miseria più è grande, più è atta a muovere di modo che quando è giunta ad un certo grado ha
forza di muovere anche i cuori più duri, cosa dovrà dirsi di cuori tanto misericordiosi? Ora la
miseria dell'uomo cagionata dal peccato era eccessiva, e trovandosi per altra parte eccessiva in Dio
la misericordia, trovò questa di che abbondamente pascolarsi, e questo cagione fu che la
misericordia diede in eccessi simili per sollevare la nostra miseria, né certo altro motivo si poteva
trovare in noi che potesse indurre un Dio a tali cose. Onde, o peccatore quanto più sei grande tanto
più spera, perché tanto più sei sicuro di muovere la divina misericordia quale non ha altro pascolo di
questo.
I peccatori più grandi sono quelli su cui Iddio maggiormente diffonde le sue grazie, qualora
volontariamente non resistono; così avvenne a S. Maria Maddalena, a S. Agostino etc.
Asc,2278:T1,5
L'ultimo mezzo che si può tentare per guadagnare alcuno si è pregarlo che lasci e che permetta che
si abbia ancora l'onore di pregare il Signore per lui.
Per Dio anche economizzare quando fa d'uopo.
Tutto sta nella maniera con cui si rimira il sacramento della penitenza, se si rimira come un rigoroso
sindacato non si può durare, né si ricaverà gran frutto; all'opposto se si rimira come industria
ritrovata da Dio per guadagnare anime, per facilitare loro la conversione, e si prenda la cosa
humano modo, non si può a meno di ricavarne gran frutto.
S. Ambrogio si metteva talmente a piangere per i peccati dei suoi penitenti che li sforzava a
convertirsi.
Quando fa d'uopo differire l'assoluzione, allora bisogna rappresentare la cosa in maniera che sia lo
stesso penitente che ne domandi la dilazione.
Asc,2278:T1,6
Gli anni passati…
Gli anni passati ricordarsene con compunzione consolante, gli anni avvenire passarli come se non
fossimo mai esistiti, ed ad ogni istante nascessimo di nuovo.
Siccome un medico deve guardarsi dal proporre nelle cose oscure ed incerte, rimedi incerti, così un
teologo nelle cose questionabili e oscure.
Sia che si abbia da confessare, sia che si abbia da predicare, riguardare il prossimo con rispetto
reverenziale, noi stessi con timore di non amministrare bene la parola di Dio, e con gran diffidenza
di noi, e questo in modo che lo stesso prossimo lo senta.
Maria Vergine fu assunta in cielo senza né lasciarci, né mandarci niente di sua memoria, è vero, ma
se ne andò per ricevere la sua dote, che sono i peccatori, e acciò il Padre Eterno avesse una persona
umana e prediletta a rimirare, per cui si muovesse a compassione delle anime peccatrici.
Siccome ci rallegriamo di più con una persona che l'ha scampata da qualche malattia che se fosse
sempre stata sana, così è il gaudio sulla conversione d'un peccatore in cielo (Luc. 15 v. 7).
Asc,2278:T1,7
O bisogna togliere la moda di peccare, o mettere gli uomini nell'occasione prossima di fare del
bene, la quale non può consistere in altro che in agevolare la nostra religione, e far comparire nel
suo più bello aspetto la dolcezza ed amabilità dei suoi precetti, e dimostrare facile il pentimento e
Dio essere galantuomo.
Siccome inetto sarebbe quel Capitano che comandasse la battaglia senza provvedere d'armi i suoi
soldati, così ingiuria sarebbe a Dio il dire che non ci dia forza da resistere alle tentazioni, forze od
aiuti sovrabbondanti per salvarci.
Se si stimasse fortunato chi potesse rendere a Gesù in persona qualche servigio in ricompensa
dell'eccessivo amore che ci portò, non si stimerà ugualmente fortunato chi può soccorrerlo nella
persona del prossimo? Chi soccorre temporalmente o spiritualmente il prossimo, immagine vera di
Dio, e sapendo di fede che ciò che facciamo al prossimo lo facciamo a Gesù, ed Egli come tale lo
accetta e lo rimunera il centuplo. E se si stimasse ingrato chi ricuserebbe un qualche servigio a Gesù
in ricompensa dei suoi, non sarà ugualmente ingrato chi ricuserà di prestarglielo nella persona del
prossimo, essendo fatto al prossimo ugualmente che alla persona di Gesù, come egli si protesta e
tanto più che egli tanto lo desidera e ce lo raccomanda?
La moda del pensare d'oggidì consiste nel sostituire l'immaginazione alla ragione in materia di
verità sia naturali, sia soprannaturali, e le passioni all'intimo senso, in materia di massime morali e
di costumi. Posti i principi, l'arte di pensare e l'arte di parlare, si trova la scienza, altrimenti c'è
l'insipienza.
Asc,2278:T1,8
Gli uomini non sono che miseria, Iddio non è che misericordia, il mezzo di unire la miseria alla
misericordia è la confidenza.
Deus qui omnipotentiam tuam parcendo maxime ostendis, Deus cujus natura bonitas, cujus opus
misericordia.
Dolcezza della Chiesa, di Gesù, dei suoi servi.
Sales, Amor di Dio l. 8, c. 4 e 12; l. 9, c. 4, 5, 6, 7, 8.
Sentite de Deo in bonitate.
Nemo bonus nisi solus Deus (Matth. 19). Deus de suo bonus, de nostro justus.
Docebit mites vias suas (Ps. 14). Hic est fratrum amator (2 Macchab. 15 num. 14).
Spes quæ differtur affligit animam (Prov. c. 13, v. 12).
Aut obliviscetur misereri Deus? Aut continebit in ira sua misericordias suas (Ps. 76 v. 15).
Qui habet doctrinam miserationis docet et erudit tamquam Pastor gregem suum; qui non habet
doctrinam miserationis docet et erudit tamquam lupus gregem suum; qui suscipit doctrinam
miserationis docetur et eruditur tamquam agnus; qui non suscipit doctrinam miserationis docetur et
eruditur tamquam hircus. Et miseretur Deus excipientis doctrinam miserationis. Et non miseretur
Deus non excipientis doctrinam miserationis. (Eccli. 18, 13; 2 Cor. 6).
Demoniorum doctrina (1 Timoth. 4; Matth. 23).
Misericordia est virtus inclinans voluntatem ad alienæ miseriæ sublevationem.
Misericordiam volo non sacrificium.
Spes vita æterna, galea nostra.
Villicus iniquitatis (Luc. 16).
Si trovano al mondo uomini che sono buoni perché pieni di bontà, ma nessuno uguaglierà mai la
bontà di Dio, il quale è bontà per excellentiam.
Le verità senza carità, sono carità senza verità.
Asc,2278:T1,9
Il cristiano si fa un piacere dei doveri, il mondano si fa un dovere dei piaceri.
Di uno non si può dire altro se non che chi sia, cosa abbia fatto e cosa abbia patito (per definire cosa
sia una cosa bisogna vederne il soggetto e le forze). Il fine o è dell'operante o dell'operato, di questo
è l'effetto, di quello è che l'oggetto riceva l'azione. Vi è un altro motivo che si chiama impellente e
si dice cujus gratia: ora amare Dio per il piacere, il vantaggio che ne viene, se è per motivo finale
non si può, se per motivo movente, impellente, cujus gratia si può, poiché anche Gesù Cristo
proposito sibi gaudio etc.
Se ci conosciamo dobbiamo stupirci se l'uomo non pecca piuttosto che all'opposto (Sales 48, l. 5).
Della carità mirabilmente parla S. Francesco in più capi dell'XI libro, dell'Amor di Dio. Voi ci
comandate di amare i nemici perché siamo perfetti come il Padre celeste, dunque tanto lo farete voi
perfettissimo. Se io non so, né potrei senza crudeltà esigere molto da chi può poco, conviene che
Iddio, che pur anche ci proibisce di farlo, non usi altrimenti verso dell'uomo, poiché allora sarei io
più sapiente e più prudente di lui.
Nominato l'uomo, viene nominata la fragilità e la miseria.
Asc,2278:T1,10
Giansenio dice…
Giansenio dice che l'intelletto è guasto, e non sa che errare, siccome diceva Lutero della volontà,
che non sapeva che peccare.
Uno si può ben abusare della bontà di Dio, ma giammai della sua misericordia, poiché questa
suppone la cognizione della propria miseria.
Un predicatore, o confessore deve sempre attribuire a se stesso, se l'uditore, o il penitente non ricava
alcun frutto: così facevano i Santi.
Ad un operaio per ricavare frutto conviene che abbia una grande idea dell'abisso della bontà di Dio,
dell'abisso della propria miseria, ed una riverenziale compassione ed affetto del prossimo, carattere
di tutti i Santi.
Asc,2278:T1,11
Un predicatore conviene che predichi con gran devozione, timor di se stesso, e rispetto ed affetto
degli uditori, guardandosi d'avanzare proposizioni che la Chiesa che pur poteva e sapeva, non ha
avanzate, e ricordandosi che l'intelligenza delle Scritture, è appo la Chiesa, e non appo qualunque
spirito privato.
Agli uomini, siccome non sono se non miserabili, loro non si deve proporre altro che misericordia,
ciò che non è misericordia non si deve proporre.
Numquid resina non amplius est in Galaad? Dunque se ve n'è ancora, siccome ve né sarà sempre,
perché non produce il suo effetto? Perché la resina per operare conviene che sia oleosa, ed ora
l'hanno resa essicata avendo tolto l'olio della compassione e misericordia.
Quanto sta registrato nelle sacre carte di Dio tutto appartiene o alla sua Maestà, o alla sua bontà, e
misericordia (S. Bernardo).
Se vi occorre di commettere qualche mancamento, non vi perdete d'animo, anzi rimettetevi subito,
né più né meno, come se non foste caduta (Sales let. 27 l. 4).
Le nostre imperfezioni non ci hanno a piacere, ma non ci debbono neanche spaventare, né far
perdere d'animo, ne dobbiamo bensì avere sommessione, umiltà e diffidenza di noi stessi, ma non
l'avvilimento, né l'afflizione di cuore (Sales let. 65 l. 3). Per quanto siamo miserabili, non lo siamo
però tanto quanto Dio è misericordioso (Sales let. 28 l. 4).
Asc,2278:T1,12
Ha la divina bontà maggior piacere di darci le sue grazie, che noi di riceverle (Sales, Trattato Amor
di Dio t. 2, l. 1, c. 14).
Quanto la nostra miseria sarà maggiore, tanto più grande bisogna che abbiamo la confidenza in Dio
(Sales, Trattato 1, n. 1). A misura che vi troverete circondati da imperfezioni e miserie, sollevate il
vostro coraggio a bene sperare (Sales let. 60 l. 4). Quomodo miseretur pater filiorum, miseritus est
Dominus timentibus se, quoniam ipse cognovit figmentum nostrum (Ps. 102, 13). Scit Deus quia
homo positus in terræ regione sine peccato esse non potest (Ambrosius). Non pensiamo già sinché
saremo in questa vita di poter vivere senza imperfezioni (Sales let. 15 l. 7).
Quid opus est misericordia ubi nulla est miseria? (Aug., Contra Julianum l. 1, n. 39). La
misericordia di Dio è infinitamente maggiore per perdonare, che tutti i peccati del mondo per
dannare (Let. 70 l. 7, cap. 1).
Asc,2278:T2
S. Michel protecteur contre l'amour-propre
C'est une marque certaine de cet amour-propre quand, Notre Seigneur ayant donné à une âme
quelques grâces particulières et qu'il les lui retire ensuite, cette âme en ressent beaucoup de chagrin
et d'affliction.
Cet amour-propre spirituel est comme planté et enraciné dans un fonds de sainteté qui est beaucoup
plus feint que solide. Il mène l'âme par un chemin fort étroit qui fait paraître à ceux qui pratiquent
cette âme, que la voie de Dieu est bien plus étroite et plus difficile qu'elle ne l'est véritablement. Il
engendre en elle et dans ceux qui la hantent et qui l'écoutent, une espèce de sainteté qui n'est pas
plus véritable que celle de son fonds. Il y produit même des choses qui paraissent grandes et
merveilleuses, et qui donnent à tous des mouvements d'étonnement et d'admiration, mais
accompagnés d'inquiétude d'esprit; car, comme l'on voit ensuite qu'on ne saurait arriver à cette
haute perfection et à cette sainteté prétendue qu'on admire en autrui, l'on en ressent un
découragement et une confusion qui ne laissent point de repos à l'âme; marque évidente que telle
sainteté est un effet de l'amour-propre.
Asc,2278:T3
Placeat tibi Deus: stude ut placeas Deo
Esclamazione sopra il Sacro Cuore di Gesù così poco conosciuto e perciò così poco riamato, anzi
ingratamente vilipeso.
Per ciò dimostrare, verrà in acconcio la parabola del Buon Pastore (Matt. cap. 18), di cui in primo
luogo si considererà la buona volontà, cioè l'eccessivo amore che ci porta, come necessitato e dalla
sua natura, e dalle nostre miserie, come si può raccorre dalla Scrittura, dai Padri, ragioni, esempi e
similitudini, massime cavate dalla stessa Sacra Scrittura.
2o [Si considererà] come questa volontà non è semplice velleità, ma volontà efficace congiunta con
un massimo interessamento del nostro vantaggio, siccome la Scrittura e l'esperienza ce lo dimostra.
Ps. 94 Venite exultemus etc., Ps. 99 Jubilate Deo etc.
3o Considerare la corrispondenza della pecorella: come non rese amor ad amore, come se ne
dimenticò, come fece la sorda, nuovamente chiamata non volendo far attenzione, come rese male
per bene.
Asc,2278:T4,1
Quid enim est peccatum…
Quid enim est peccatum ad misericordiam Dei? Tela aranea quæ vento flante nusquam comparet
(Grisost. in proœmio Ps.).
Dio esercitando la sua giustizia non ci guadagna niente, appena ci cava la conservazione della sua
gloria. Un Re non diventa più grande, più amabile per far giustiziare qualcuno, appena ci cava la
conservazione della pace del pubblico. All'opposto esercitando la misericordia diventa più grande,
più amabile, accresce la sua gloria estrinseca, come si vede anche in humanis, dunque conviene dire
che Dio abbia più a caro esercitare la misericordia che la giustizia.
Tua malitia mensuram habet Dei vero pietas et clementia mensuram non habet, ipsa igitur tuam
malitiam superat (Grisost. orat. 3 tom. 5).
In terra bisogna combattere tra la speranza ed il timore con patto però, che la speranza sia sempre
più forte, considerando l'onnipotenza di colui che ci soccorre (Sales let. 79 l. 4).
Che impegno in Dio perché speriamo, e speriamo in ciò che ci è utile e vantaggioso, arriva fino a
comandarcelo e porlo in articoli di fede. Che miseria è la nostra in ostinarsi a non sperare e non
credere, crediamo e speriamo piuttosto le cose temporali, ma niente è più difficile che muovere a
credere e sperare le cose spirituali e celesti. Ecco la mancanza di cognizione e speranza, ecco la
necessità di veri operari.
Far servire i nostri mancamenti in meglio, come si fanno servire d'ornamento le piccole rotture delle
tele fini, con lavorargli sopra qualche bel fiore, onde non mai rammaricarsene, ma consolatamente
compungersi.
Più l'uomo si fa cattivo, più si deve sperare in bene, perché più facilmente può arrivare a conoscere
il suo male, e sempre più crescono gli sforzi di Dio per farglielo conoscere e convertirlo, e questo è
il carattere della longanimità.
Asc,2278:T4,2
Se Dio pensasse di non poter sollevare uno solo di noi, questo pensiero lo affliggerebbe più che lo
consolano le consolazioni del paradiso.
Vid. Manuale pauperum, Christus frater, peccata nostra.
Gesù Cristo è nostro vero fratello, perché riguardo all'anima non è Dio, ha la medesima origine di
Dio, ed ha nulla essenzialmente più di noi, anzi egli è di fede che è nostro fratello, dunque anch'egli
sta soggetto al comando dell'Apostolo di amare i nostri fratelli, e far del bene a chi fa del male, e di
mettersi nei panni e nelle miserie altrui per sollevarli, ed è tenuto sotto pena di peccato mortale. E
siccome Gesù non vuole, né può commettere peccato alcuno, neppure imperfezione, pensate quale
sarà il suo amore verso noi fratelli? E se vi furono uomini, che pur sono cattivi, che fecero a questo
proposito atti eroici, pensate cosa non farà poi Gesù, le cui virtù sono portate all'ultimo eccesso?
Asc,2278:T4,3
Chi può parlare dell'inferno ad occhi asciutti, massime quando si tratta di parlare, di dimostrare che
certe persone vi si mettono in pericolo di precipitarvi? Certo questi non ha buona retorica, quale
deve imitare i veri moti dell'animo commosso: semplicità, libertà, dolcezza, mortificazione, volontà
di Dio, soffrire il prossimo.
Ha egli un protettore cui ha confidato tutti i suoi meriti, e non gli può negare niente, e questi è la
confidenza in lui, quale dobbiamo procurarci quanto è dal canto nostro, e quando non possiamo dire
col cuore diciamo almeno colla bocca “anch'io fossi nell'inferno, spererei in voi”.
La speranza è la sola propria degli uomini. Abbiamo di comune coi dannati la fede, colla differenza
ch'essi credono e tremano, e noi crediamo e speriamo. Abbiamo di comune coi beati la carità, colla
differenza che essi amano ciò che posseggono, noi amiamo ciò che speriamo di possedere. La sola
speranza è bandita dal paradiso e dall'inferno, ed abita solo sulla terra, ed è propria tutta di noi, e
perciò forma il nostro caratteristico, l'essenziale della vita spirituale, perché ci differenzia dai beati e
dai dannati. Questa è il motore della fede e della carità, così c'induciamo a credere ed amare ciò che
ci appartiene e speriamo d'ottenere, onde questa dobbiamo piantare e rassodare negli uomini, senza
cui non si otterrà mai niente; granché l'uomo è portato a credere ed amare ciò che spera gli sia più
utile e vantaggioso, eppure crede ed ama sì poco Dio, certo non proviene da altro che da mancanza
di convinzione e di speranza.
S. Gertrude: la vita e le opere stupende per muovere la confidenza. In Dio non è che bontà, ed in noi
non altro che miseria. Fissiamo bene il nostro sguardo in Dio e troveremo la bontà di Dio sempre
propizia alla nostra miseria; la nostra miseria sempre oggetto della divina bontà.
Asc,2278:T4,4
Dice S. Gregorio…
Dice S. Gregorio: La vera giustizia agli infermi, cioè ai peccatori è aver compassione. Ma la falsa
giustizia ha indignazione, ed è segno di coscienza amaricata e inquinata.
Dice S. Crisostomo: Quello il quale va perscrutando curiosamente gli altrui detti e fatti, e duramente
li condanna, non meriterà mai da Dio la remissione dei suoi peccati. Ancora se da questo vizio non
si emenderà in tal modo che gli venga poi in consuetudine appena c'è speranza della sua
emendazione.
(Specchio di Perfezione del P. Van Herp*2 min. osserv., 1546, cap. 7).
Gesù mentre lo tormentavano era così pacifico, paziente, longanime etc. Cosa dovrà essere il
confessore mentre se li vede ai suoi piedi?
Io che sono cattivo non avrei cuore stare a godermela, mentre vedessi delle miserie. Cosa dovrò dire
di Dio che è buonissimo?
Nel meditare la vita di Gesù considerare l'istoria (compassione), il modo (amore), il fine
(corrispondenza).
Ignoti nulla cupido perché dunque pretendere che i popoli sappiano o pratichino quanto sta scritto in
grossi volumi di morale?
Asc,2278:T4,5
Dio di potenza ordinaria non può diffondere le sue grazie, nei liberi arbitri che gli resistono; pure
pel gran piacere che egli ha di comunicargliele, tenta tutti i mezzi per ingannarli, alcuni li copre
sotto l'aspetto di cause seconde ma li lascia alquanto conoscere. Altri si gode non lasciarli conoscere
e così ingannarci, e siccome pare non possa essere beato senza di noi; siccome chi sta a godere non
ha cuore di vedere di miserie (siccome arriva in noi cattivi), così tenta Dio ogni strada per gabbare
in bene il nostro libero arbitrio tanto renitente, e perciò usa i stratagemmi più fini della sua
onnipotenza, che sono gli sforzi che fa per dimostrarci il suo amore e così essere riamato [da noi].
Eppure noi, o Dio, quanto a nostro danno stiamo attenti per non lasciarci gabbare? Ah! Lasciamoci
ingannare da Dio, che è più premuroso del nostro bene, di quel che lo siamo noi stessi, siamogli
docili, confidiamo in lui, ed andrà bene per voi, e non confidate in noi che non siamo che suoi
ministri, ed ancora ministri quando predichiamo e possediamo i frutti dello Spirito Santo, poiché
altrimenti non possiamo chiamarci ministri di Dio mentre predichiamo e facciamo l'opposto.
È pur compassionevole la storia della natività del Signore Gesù, pure è allegra, pacifica, benigna,
longanime, perché ha speranza con questo di serbarci e guadagnarci a sé.
Asc,2278:T4,6
Miseria e misericordia
Il Salvatore per fare il suo ingresso solenne in Gerusalemme spedisce due discepoli ad un Castello,
dice loro che avrebbero trovato un puledro d'una giumenta, ordina loro che lo sciolgano e lo
conducano a lui, e (soggiunge) se alcuno vi domanda che fate, rispondete franco che ne abbisogno:
quia Domino necessarius est (Marc. 11, 3).
N.B. che nel giumento sono figurati i peccatori, nei discepoli, i Ministri di Dio. N.B. l'incombenza
che lascia ai Ministri di Dio: D'ora innanzi, trovando difficoltà nella conversione dei peccatori dirò:
“Signore Voi ne avete bisogno, pensate a promuovere il vostro onore e nome” e certamente nel
nome del Signore cesseranno gli impedimenti.
N.B. come pensa 1) alla libertà dei peccatori, 2) all'onore suo, perché avendo risoluto di fare un
magnifico ingresso in Cielo, ha gran bisogno dei peccatori per mettere in tutto il suo lume la
misericordia, e come la miseria è necessaria per far spiccare la misericordia, e come cercando di
sollevare la miseria cerca il suo nome di Misericordioso. Quindi S. Paciano: Nemo de vilitate animæ
suæ ita desperet ut se jam Deo non necessarium credat.
N.B. la storia dell'adultera: relicti sunt Duo Miseria et Misericordia.
Asc,2278:T4,7
Siccome le verità naturali…
Siccome le verità naturali prima senza la rivelazione non erano conosciute che da pochi, dopo
lunghe meditazioni, e miste ancora di moltissimi errori, così le verità soprannaturali, senza
l'interprete della Chiesa, non si trarrebbero dalle sacre Scritture, se non da pochi, dopo profonde
meditazioni e con grandissimi errori, come si vede accadere riguardo agli eretici.
Maniera di procurare il bene, la salute del prossimo (Sales lib. 11 c. 15).
Tutta la morale consiste nel mitis et humilis corde, massime in chi deve dirigere gli altri.
Il religioso è lo specchio, il libro dei laici.
Intanto non si riconosce in Dio la misericordia, perché non si vuole riconoscere, per cagione della
superbia, la propria miseria, essendo la misericordia una cordialità della miseria altrui, etc.
Un bel quadro di un penitente, atto a muovere a penitenza qualunque peccatore si è il quadro della
vita di S. Maria Maddalena.
Asc,2278:T4,8
La soddisfazione dovuta del nostro peccato che era infinita, se l'addossò Gesù Cristo, né altro più ci
resta che fare che pentircene, o quanto facilmente provvide Gesù alla nostra infermità.
I rispetti umani se non si vogliono vincere mai o una volta, se una volta perché non adesso? Le
tentazioni sono ispirazioni ed occasioni che Iddio ci propone di battaglia, né senza di noi ci
potranno mai nuocere.
Qualunque volta ci sentiamo abbattuti, o crediamo d'essere in peccato, o no, se no, non v'è
occasione d'essere triste; se in peccato perché abbattersi, se non abbiamo che a fare un atto di
contrizione per mettersi in grazia, quale possiamo fare subito, e non sta che da noi. Se non lo
facciamo, anzi non facendolo, priviamo d'un gaudio Iddio, gli Angeli, i Beati.
S. Bernardus ex Serm. de Maria Magdalena n. 4, n. 8, 9.
Ex sermone 10 in Cant. n. 5, 7.
Ex sermone 12 in Cant. n. 1 maxime.
Ex sermone 11 in Cant. n. 1.
Cap. 7 lib. 1 De consideratione (50 diversorum).
Sermone de triplici bonorum genere.
Epist. 8 ad Episcop. Coloniensem.
Serm. 4 De jejunio quadragesimæ.
Serm. 5 Quadragesimæ de triplici modo orandi n. 4.
Serm. 2 De annuntiatione n. 2.
Serm. Dominicæ primæ post Epiphaniam.
Serm. Dominicæ infra octavam Epiphaniæ.
Asc,2278:T4,9
A tre capi si riduce tutta la perfezione del Cristiano, cioè ad una compunzione consolante, quale
però patisce acrimonia, ad una dolce speranza e confidenza in Dio, quale patisce siccità, ad un
amoroso rispetto verso il prossimo e cordiale compassione verso i peccatori, quale non patisce
alterazione veruna.
S. Bernardo: bonum enim unguentum contritionis ex recordatione peccatorum, et mittitur in pedes,
quia cor contritum et humiliatum Deus non despiciet. Longe melius unguentum devotionis et
confidentiæ ex recordatione beneficiorum Dei, et capiti idoneum reputabatur, quia sacrificium
laudis honorificabile a Deo appellatur. Utrumque vincit unctio pietatis, quæ de respectu miserorum
fit, et per totum Christi corpus diffunditur, non quod crucifixum fuit, sed quod illius acquisitum est
Passione (Serm. 12 in Cant. in medio); optimum unguentum in cujus comparatione cætera non
respicit, qui ait misericordiam volo non sacrificium. Hoc est super omnia aromata morbis omnibus,
et periculis salutare, nec ulli umquam pesti invenitur inefficax, de ipso legitur Maria Magdalenæ et
Maria Jacobi emerunt aromata, ut venientes ungerent Jesum (serm. de Magd. n. 9). Hoc expendi
noluit in corpore suo mortuo, ut servaret vivo etc. (serm. 12 in Cant.).
Asc,2278:T4,10
Per ottenere la tranquillità…
Per ottenere la tranquillità in ogni evento sì prospero che avverso, conviene fissare due punti: quello
dell'intelletto e quello del cuore.
Una volta S. Francesco di Sales essendo ai piedi del Crocifisso, poco mancando che venisse meno,
proruppe in queste parole: “O Gesù, non v'è più al mondo chi ami le povere anime, se non che io e
voi”.
La misericordia è la massima delle virtù. Lo Spirito Santo è dono, anzi la stessa donabilità. Onde è
più facile che Dio dia lo Spirito Santo che un Re un quattrino.
Iddio è infinitamente e sovranamente buono, onde come tale detesta necessariamente l'iniquità, il
peccato come il supremo male; perciò adopera ogni mezzo per impedirlo, se non v'è, e toglierlo se
v'è di già nelle sue creature, onde finché queste sono capaci (e sono capaci finché muoiono), non
tralascia di mettere in esecuzione tutti i mezzi per liberarle da tanto male, ma quando le sue creature
ostinate resistono, e nella sua ostinazione se ne muoiono deformi pel peccato, non può a meno di
sommamente castigarle, atteso il sommo odio che porta a tanto male, che è necessitato di portare
per essere il sommo buono.
Asc,2278:T4,11
Justitia Dei est bonitas Dei Sapientiæ, legibus attemperata (Leibniz, Sfondrati pag. 233).
Petre amas me? Pasce oves meas, amas me etc.
La natura diede all'uomo non le passioni, ma le semipassioni.
I fanciulli non sono portati naturalmente che a fare del bene agli altri.
Cum iratus fueris misericordiæ recordaberis (Hebr. 3).
Qui credit in Domino misericordiam diligit [Prov. c. 14, 21].
Qui patiens est multa gubernatur sapientia: qui autem impatiens est exaltat stultitiam suam (Prov.
c. 14, 29).
Responsio mollis frangit iram, sermo durus suscitat furorem (c. 15 Prov.).
Chi non propone altro che motivi d'attrizione, e non assolve se non v'è la contrizione, mette l'uomo
in impossibilità di salvarsi.
Asc,2278:T4,12
Se Iddio comanda a noi e suggerisce di giungere al segno di bontà da non lasciarci vincere dal male,
di perdonare i nostri nemici, cosa dovremo aspettarci da chi è già la stessa infinita bontà? Non
dubitiamo ch'egli saprà farlo molto meglio di noi, anzi stiamone sicuri.
Gesù Cristo attese continuamente a rendersi amabile con tutti, anche coi peccatori, e sopportare i
nostri difetti. Imitiamolo anche noi verso il nostro prossimo.
Conveniva alla bontà divina, che ci ha ordinato di vincere il male per il bene, di non lasciarsi
vincere dal peccato (Sales, Amor di Dio l. 2, c. 5, c. 8, c. 9, c. 10, 11, 12, etc. etc.). Justitia est
decentia divinæ bonitatis (S. Anselmo – Sfondrati p. 235).
O Gesù, Gesù si vuole rendere il vostro nome odioso, non consolante, non sanno che oleum effusum
est nomen tuum.
Asc,2278:T4,13
Iddio è facilissimo a perdonare, più che la stoppa a bruciarsi, ed esige poco dagli uomini, perché
essendo sapientissimo ed avendo fatta una religione per gli uomini, non può e non esige da questi
che siano Angeli, ma dovette farla humano modo, ed adattata facilmente alla capacità degli uomini.
È proprio della Carità facilitare il più che si può, dunque Dio Caritas non esset se non avesse fatta
una religione facile.
Le opere di Dio sono in ragione composta di Dio e delle creature, cioè a Sua Maggior Gloria, e in
pro degli uomini; ora non può dirsi in pro degli uomini una religione difficile, onerosa, dunque
dev'essere divina, umana, cioè adatta agli uomini e facile.
Anche posto che vi fosse del gravoso nella nostra religione, non dovrebbe dirsi, perché
generalmente ciascuno procura di dimenticare ed esimersi dalle cose difficili, e non sono intraprese
se non da pochissimi, perché siamo tutti uomini, né potrebbe darsi, per proposizione generale che la
religione nostra fosse per gli uomini.
Asc,2278:T4,14
Quid ostendis potentiam tuam contra folium quod vento rapitur etc. Deus qui miserendo et
parcendo potentiam tuam ostendis.
An ignoras thesauros bonitatis Dei, nescis quoniam (non quod) benignitas (non bonitas) Dei te
adducit ad pænitentiam (Rom. 2).
Avete difficoltà di farlo? Dunque non siete i suoi veri ministri, se ributtate i peccatori, ricordatevi
che siete i ministri della misericordia e non quei della giustizia, che sono i demoni.
Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos, ed in che modo? Tollite
jugum meum super vos, et invenietis requiem animabus vestris, e che giogo, sentite, discite a me
quia mitis sum et humilis corde, jugum enim meum suave est et onus meum leve.
La religione cristiana è consolante, dunque la sbaglia chiunque con le sue massime, la rende
gravosa, odiosa.
Gesù Cristo non permise ai suoi discepoli che andassero a predicare prima di condurseli seco sul
monte degli Ulivi, e quivi non fossero inzuppati ben bene dell'olio della dolcezza (S. Brunone
d'Asti).
Asc,2278:T4,15
Il cuore dell'uomo…
Il cuore dell'uomo è fatto per amare, e ama ciò che più lo muove, e gli fa impressione, scopriamogli
la bontà di Dio come si deve e ne sarà rapito, e si volgerà ad amare questa. S. Maria Maddalena
amava il mondo, e faceva gran cose per il mondo, amò Gesù Cristo, e fece per lui gran cose. Ama et
fac quod vis.
Arbor bona bonos fructus facit, i frutti quali dovranno essere, se non sono quelli dello Spirito Santo,
caritas, gaudium, pax etc. Tutti i frutti assieme sono degli aggettivi a ciascun frutto. Trovino, se
possono, qual altro fu il caratteristico di Gesù Cristo se non lo fu la misericordia.
Fu un giorno condotta nel tempio innanzi a Gesù Cristo una peccatrice, acciò egli la condannasse.
Gesù Cristo si volta ad essi, e dice loro, che chi si sentisse senza peccato desse egli il primo di mano
ad una pietra e la lapidasse. Ciò sentendo, se ne uscirono tutti dal tempio, e lasciarono soli*3, onde
restarono essi due soli. Interroga qui S. Agostino chi erano quei due soli, e risponde essere la
miseria e la misericordia.
Asc,2278:T4,16
Tanto era pubblica la misericordia e la compassione che Gesù Cristo aveva verso i peccatori, che
vollero tentarlo per vedere sino a che segno giungeva questa, e se potevano in qualche maniera
vincerlo in tale virtù. Sapevano questa essere la sua passione predominante, e il suo caratteristico.
Conoscevano anche la sua perfetta osservanza della legge, e per vedere cos'avrebbe saputo fare la
sua compassione in confronto della legge, e se una volta potevano vincerlo in tale virtù cotanto
odiata dai farisei, gli condussero avanti l'adultera, ma il buon Gesù come seppe conciliare tutto, e
far sovrabbondare la misericordia!
In Gesù Cristo non solo v'è la pazienza, ma la virtù della longanimità etc.
Il caratteristico di Gesù è la misericordia e compassione: quel degli uomini deve essere la speranza,
promoviamole ambedue.
S. Francesco di Sales (nel Trattato dell'Amor di Dio tom. 1, lib. 1, cap. 15) parlando del secondo
rapporto tra Dio e l'uomo, cioè l'incontro dell'indigenza con l'abbondanza, del povero con il ricco,
avendo massimamente deciso Gesù Cristo stesso che è meglio dare che il ricevere, etc. e nel tom. 2
lib. 10 cap. 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, dello zelo.
Manuale pauperum per tutto consolantissimo. Esempio del Vescovo Carpo rapportato da S. Dionigi
e da S. Francesco di Sales, Amor di Dio, l.c.
Asc,2278:T5
Della risurrezione
Asc,2278:T5
1. Risorse Cristo
2. Risorgeremo noi.
Frutto, ilarità d'animo. 1o Preludio: il Sepolcro vuoto, e gli Angioli. 2o Preludio: Hæc dies quam
fecit Dominus. Exultemus!
Asc,2278:T5,1
1. Cristo risorse è certa fede. 1) Cristo risorse: Quanto diciamo in una parola etc. 2) Veramente
Cristo risorse, è fede certa per i vaticini e per i testimoni, per vaticini etc., per testimoni di vita, in
numero e autorità tali che non potevano ingannare né essere ingannati; 500 lo videro, fu visto ora
dagli uni ora dagli altri, senza l'uno sapesse dell'altro: fu visto 15 volte in vari luoghi, tempi, in
mezzo giorno, gli parlarono, l'udirono, mangiarono assieme, lo toccarono, dunque non poterono
ingannarsi, né ingannare. Difatti a che pro spargere una tale favola d'un uomo morto, anzi con tanto
loro male, con quanta pertinacia lo sostennero, come avrebbero potuto persuadere cosa sì
incredibile a tanta gente, uomini di nessuna autorità, sapienza e potenza, se non per quella che Dio
loro comunicava per miracoli? Certo che Dio sarebbe stato fautore dell'inganno.
Da questo come dovetti comportarmi, meditando la Passione di Gesù, e nelle mie tribolazioni, un
occhio fissarlo nel Redentore moribondo, e l'altro riservarlo per rimirarlo risorto, così mi sarei
persuaso la pazienza ed il gaudio. Così gli Apostoli non predicavano della Passione senza fare
memoria della Risurrezione. Utile osservazione e adattata alla nostra infermità, perché si
compatimur et conglorificabimur, non possiamo più onestamente vivere, più gloriosamente morire,
perché così visse, così morì, e risuscitò ancora Cristo.
Asc,2278:T5,2
2. Noi risorgeremo, allegra fede. Omnes resurgemus, sed non omnes immutabimur. O gioconda
nuova per gli uni, triste per gli altri, etc. Veramente risorgeremo. Non possiamo dubitare della
potenza di Dio, perché chi poté creare il tutto dal niente, a cui è possibile omne verbum, può anche
rifarci dalla polvere, né della volontà, perché basta leggere i profeti e il Vangelo che si trova passo
passo menzione del Giudizio, e della risurrezione alla pena, e premio seguente, ibunt in ignem
æternum, justi autem in vitam æternam. S. Martiri: quanto siete contenti? Gesù non mai parlò della
sua Passione che non parlasse anche della Risurrezione. Generosità nei buoni propositi contro
qualunque molestia. Il terzo dì risusciteremo: il primo è di Passione; il secondo è di gloria; non puoi
attendere fino al terzo dì. Comandati la pazienza fino al terzo dì.
Asc,2278:*1
L'ultima riga non è leggibile a causa della lacerazione del foglio.
Asc,2278:*2
Enrico di Herp, scrittore mistico, nato circa il 1405, morto a Malines nel 1477. Il suo capolavoro,
Spieghel der Volcomenheit, fu composto in fiammingo tra il 1455 e il 1460.
Asc,2278:*3
Precedentemente aveva scritto “e gli lasciarono la peccatrice”. Parole cancellate in seguito.
Asc,2285:S
De perfectionibus Dei relativis
L'opuscolo ms. in cm. 20 x 30 si presenta anonimo, ma è certamente di paternità Lanteri, come si può provare con
argomenti esterni ed interni.
a) Argomenti esterni: la paternità Lanteri si rileva anzitutto dall'esistenza in AOMV (S. 2,10,1:285) della copia
autografa dello stesso opuscolo, e dalla copia di mano estranea conservata nella Biblioteca Diocesana di Ivrea, dove in
testata si legge: Opusculum R.di P. Lanteri, scritto da colui che aveva copiato il testo dall'originale.
b) Argomenti interni: gli argomenti interni, pensiamo noi, sono ancora più determinanti, e risultano dall'esame del
contenuto e dello stile: lo stile è prettamente lanteriano e il contenuto appare indirizzato a uno scopo principalmente
pastorale e parenetico, per quanto basato su un rigidissimo schema scientifico. Il Lanteri espone su una base
strettamente teologica alcuni temi degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio.
Nella trascrizione, per comodità di lettura e per maggiore scorrevolezza del testo, sono state eliminate le frequenti graffe
usate dall'Autore.
Questo opuscolo è tuttora inedito (Calliari).
Secondo il P. Calliari, si tratta di due opuscoli distinti, il secondo cominciando con il titolo De modo unionis
hypostaticæ. Però la tavola delle materie scritta dal P. Lanteri all'inizio del suo testo non conferma una tale divisione.
Asc,2285:T
De perfectionibus Dei relativis
nimirum de ejus 1. benignitate, ubi de proprietatibus divini amoris considerandis in amore Dei; 2.
misericordia, ubi de lapsu et redemptione hominis, de incarnatione Verbi Dei, de modo unionis
hypostaticæ, de magnitudine beneficii Incarnationis, de beneficio doctrinæ Christi, de beneficio
exemplorum omnis virtutis, de beneficio liberationis a peccato, de beneficio adoptionis, de
beneficio thesauri meritorum Christi.
Les perfections relatives de Dieu marquent le rapport qu'il a aux créatures, montrent ses traces, ses
vestiges, mais il ne le découvrent pas; j'en connais les effets, et non pas la cause, parce qu'il en peut
produire de plus grands et de plus merveilleux.
Asc,2285:T1
De benignitate Dei
Perfectio Dei triplex alia ratione naturæ et dicitur bonitas naturali; ratione moris et dicitur sanctitas;
ratione beneficentiæ et dicitur benignitas.
Benignitas oritur ex perfectione naturæ, ex eo enim quod res sit perfecta in sua entitate, propendet
ad se communicandum sicut vas perfecte plenum propendet ad sui liquoris effusionem.
Duplex autem est sui communio naturalis et omnia plena; libera et diminuta per quam
communicatur natura et constituitur æquale; solum aliquod naturæ imitationem, adumbratum
vestigium. Nam cum divina essentia sit infinitæ perfectionis, et excellentiæ, propendet naturaliter et
intime ad communicationem sui infinitam, sicut res inferiores propendent ad procurationem sui
similis et æqualis.
Verum quum id quod infinitum est, multiplicari non potest, idcirco divina essentia non se
communicat productione essentiæ similis numero distinctæ sicut res creatæ, sed largitione sui ipsius
et veluti replicatione, ita ut eadem numero simplicissima natura sit in tribus distinctis hypostasibus.
Hæc tum communicatio quum sit naturalis propensio ad hanc dicitur fecunditas, non benignitas.
Ipsa vero communio non est beneficentia, sed naturalis productio personæ et communicatio naturæ.
Benignitas vero proprie respicit communicationem liberam ad inferiora descendentem. Oritur
quidem ex infinita Dei bonitate et super plenissima Dei perfectione sicut et fecunditas, et est Deo
naturalis; actus tum ipsius sunt liberi.
Benignitas ergo Dei est naturalis propensio ad se communicandum inferioribus, seu creaturis pro
captu cujusque. Ex hac provenit primo et immediate amor erga creaturas quo vult illis suorum
bonorum communicationem, sed maxime erga creaturam naturalem, quæ sola divinitatis per
intellectum et voluntatem est capax. Idcirco enim naturam angelicam et humanam condidit et gratiæ
suæ donis cumulavit.
Cætera autem omnia ob naturam humanam quæ infinitis adminiculis egebat, fabricata est.
Asc,2285:T2
Effectus amoris divini et modus operandi
Ex amore divino omne bonum creatum profluxit, et vi ejusdem omnia in Deum reducuntur. Sicuti
enim amor ex bonitate divina procedens, descendit et exundat ad creaturas, ita rursus easdem ad
divinam bonitatem convertit, ut æternum quiescant unde profluxerunt.
S. Dionysius, de divinis nominibus c. 4, dicit amorem divinum esse 1o. vim motricem sursum in
Deum trahentem, qui solus est ipsum pulchrum et bonum; item 2o. manifestationem Dei per se
ipsum, per 5 egressus; 3o. benignum processum eximie illis unionis per se mobilem, innatam; 4o.
amatoriam motionem simplicem præexistentem in bono, ex bono in ea quæ sunt exuberantem,
rursum in bonum revertentem.
Asc,2285:T2,1
Nota dicit: 1o. esse vim motricem, quia Deum movet ut descendat ad creaturas, creaturis sua bona
communicet; ipsas res creatas sursum trahit in Deum, efficiens extasim quia amantem transfert a se
ipso in amatum, nempe Deum in creaturam et creaturam in Deum.
Verum etsi Deum moveat ad creaturas, non tamen ipsum sinit in rebus creatis quiescere, sed ab illis
retrahit eum una cum creatis in se ipsum. Nam totum bonum quod confert rebus creatis statim
reflectit, refert ad se ipsum, qui est ipsum per se bonum et pulchrum, quod omnia ad se allicit, trahit
potentissime.
Asc,2285:T2,2
2o. Dicit esse manifestationem Dei per seipsum, quia quum Deus lucem habitet inaccessibilem, ita
ut nulli creaturæ per se esse possit manifestus, per amorem egreditur extra se, et sic manifestatur
creaturis. Amor enim movet Deum ad 5 modos egressus:
1. ad egressum per creationem qua non solum rebus creatis imprimit illustre vestigium suæ
potentiæ, sapientiæ, bonitatis, sed etiam naturæ rationali angelicæ et humanæ vultus sui imaginem
inserit; absque hoc egressu Deus maneret prorsus ignotus creaturis, nulla creatura posset existere; 2.
ad egressum per gubernationem qua omnia Deus conservat, movet, perficit, ad fines suos dirigit ex
hac mundi gubernatione clare ejus præsentia cognoscitur; 3. ad egressum per mysterium
Incarnationis qua Deus factus est verus homo, corporata est visibilis Divinitas. Hic egressus fuit
maxime admirabilis, et maxime nobis patefecit Deus suam potentiam, sapientiam, sanctitatem,
misericordiam, justitiam; 4. ad egressum per doctrinam, illuminationem, justificationem juxta illud
exit qui seminat seminare semen suum; 5. ad egressum per infusionem, seu communicationem
luminis gloriæ, per renovationem totius universi, per glorificationem qua se aperte manifestabit
omnibus sanctis et omnia ad se convertet.
Ex his patet quomodo amor sit manifestatio Divinitatis. Porro quum amor Dei quo seipsum et
creaturas amat, Deus sit, quando amor Deum manifestat. Deus seipsum per seipsum manifestat, hoc
est seipsum ut summum bonum et pulchrum, per seipsum ut per amorem summi boni et pulchri.
Asc,2285:T2,3
3o. Dicit esse processum benignum eximiæ illius unionis, quia amor Dei est processus quidam
veluti germen amoris Dei quo amat seipsum, sicut amor mediorum est quædam extensio, veluti
surculus amoris ipsius finis; sicut cognitio effectuum est quidam processus cognitionis
principiorum.
Per eximiam illam unionem intelligitur amor ille quo Deus seipsum ut summum bonum et pulchrum
amat. Hic enim est unio quædam Dei ad seipsum.
Asc,2285:T2,4
4o. Dicit esse motionem amatoriam quia amor est motio quædam vitalis per seipsam faciens amare,
et amantem transire a seipso in dilectum.
Simplicem quia amor Dei in se unicus et simplicissimus est, etsi infinita sint ea ad quæ procedit.
Per se mobilem quia amor proposito bono et pulchro per se excitatur; per se innatam quia amor
divinus non est ab alio productus in Deo, neque aliunde excitatus, sed ex ipsa Dei benignitate sponte
exortus.
Præexistit hæc motio in bono quia ante omnem creaturam hic amor est in Deo, et prius (nostro
modo concipiendi) est in divina essentia, uti in causa objectiva quam sit in Deo, seu divina
voluntate formaliter, præsertim cum amor creaturarum sit libere susceptus.
Ex bono in ea quæ sunt exundat, et rursus in bonum revertitur. Hic comparatur amor circulo et
motui circulari, qui principio et fine caret.
Unde pergit S. Dionysius: qua in re fine et principio se carere divinus amor excellenter ostendit,
tamquam sempiternus circulus propter bonum, ex bono, in bono, ad bonum, indeclinabili
conversione circumiens in eodem, secundum idem, semper procedens, manens, remeans.
Dicitur circulus perpetuus quia amor Dei assidue in creaturas tendit, creaturas in Deum convertit,
quod indicat ipsa creatio et gubernatio, nec ab ullo potest impediri.
Dicitur ex bono, ad bonum, quia amor divinus oritur ex divina bonitate et immediate in divinam
bonitatem tendit; propter bonum, in bono, quia propter divinam bonitatem descendit in creaturas, ita
tamen ut semper in Deo maneat, nempe demittit se ad illas non ut ibi sistat, sed ut eas in fontem
boni, unde exortæ sunt, reducat. Semper ergo amor Dei procedit a Deo in creata, manet in Deo, in
Deum remeat, idque secundum idem sui et propter idem sui.
Asc,2285:T3,1
De proprietatibus divini amoris quæ sunt octo, ex dictis enim colligitur.
1o. Amor divinus eminenter et originaliter præexistit in pulchro et bono, id est in pulchritudine et
bonitate divina tamquam in ratione objectiva, veluti causa, radice, fundamento.
Asc,2285:T3,2
2o. Ex pulchro et bono tamquam fonte oritur, ut existat jam formaliter in Deo. Hoc enim ipso quo
Deus suam pulchritudinem et excellentiam infinitam intuetur, exoritur in ipso infinitum amoris
incendium, quo tantum illam amat, quantum amari digna est, nempe infinities infinite.
Nam pulchrum et bonum cognitum statim amorem accendit, unde infinitum pulchrum et bonum
infinite cognitum infinitum amorem ciebit, infinitum in quam ardore et æstimatione, hoc est
intensive et appretiative.
Asc,2285:T3,3
3o. Immediate in pulchrum et bonum se reflectit, unde hic est sempiternus quidam circulus. Nam
pulchrum et bonum menti divinæ propositum accendit amorem in voluntate, qui proxime et
essentialiter reflectitur in pulchrum et bonum trahens in illud voluntatem, eamque totam circa illud
occupans. Amor enim est occupatio amantis circa amatum, ipsius amati causa.
Asc,2285:T3,4
4o. Propter pulchrum et bonum ad creaturas se extendit et descendit nimirum ut illud creaturis
communicet vel totum, vel aliquot radios et adumbrationes, pro cujusque captu et meritis, quod
enim summe amamus, cupimus ejus præstantiam et pulchritudinem omnibus innotescere, ejus
dulcedinem ab omnibus percipi ut ab omnibus laudetur. Idem facit amor in Deo.
Asc,2285:T3,5
5o. Creaturas sursum rapit, et ad pulchrum et bonum convertit. Hoc maxime locum habet in Angelis
et hominibus. Nam cætera divinam pulchritudinem et bonitatem non capiunt, sed in homine
trahuntur quodam modo in Deum cætera, quia omnes naturæ gradus in ipso et cætera omnia propter
ipsum; unde ipso peccante cætera omnia quoque fuere afflicta et subjecta servituti corruptionis et
mutabilitatis, et ipso ad gloriam evecto cætera quoque pro captu extollentur.
Denique eo ipso quo singula appetunt pulchritudinem et perfectionem suæ speciei congruentem
cernitur in illis vestigium quoddam hujus amoris, et tendunt suo modo in pulchrum et bonum. Ex
amore namque divino impressam habent hanc inclinationem, eamque Deus per bonum et pulchrum
particulare, in quod proxime tendit, dirigit in bonum et pulchrum universale, omnis boni et pulchri
exemplar, prototypum.
Asc,2285:T3,6
6o. Divinus amor est extaticus, quia amantem extra se trahit in amatum. Amor enim 1. Deum suæ
celsitudinis quodammodo facit oblivisci, ad humilitatem nostram inclinat, totum in salutis nostro
negotio occupat, cujus signum Incarnatio, prædicatio, miracula, Passio, mors, sacramenta, item
missio Spiritus Sancti, gubernatio Ecclesiæ assidua et mirabilis, singulorum cura et directio.
2. Hominem extra se ponit efficiens, ut non cogitet de se aut suis commodis, sed de Deo et de Dei
bonis. Unde magnus Dei amator seipsum abnegat, suis cupiditatibus renuntiat, suas utilitates
negligit, sui obliviscitur, totus in iis est quæ ad Deum pertinent; est enim cogitatione et affectu,
totus extra se et translatus in Deum, unde exclamat cum S. Ignatio: “Amor meus crucifixus est”; et
cum S. Paulo: “Mihi vivere Christus est, et mori lucrum. Vivo ego, jam non ego, vivit vero in me
Christus”.
Asc,2285:T3,7
7o. Amor divinus est vis unitiva, ideo enim facit extasim et excessum amantis a se ipso, ut illam in
amatum transferat, illi arctissime uniat, unum cum illo efficiat. Sic amor univit Deum homini non
solum affectu et cura, sed etiam effectu et substantia unione nimirum hypostatica; unit hominem
Deo, it aut prorsus ab ipso deficiens, in Deum transeat, veluti colliquescat, nil amplius cogitans,
intelligens, sentiens præter Deum, nil aliud appetens aut desiderans, nulla alia re gaudens, quam de
bonis Dei.
Qui sic Deo adhæret unus spiritus efficitur, quia seipsum exuit et Deum induit, ac perinde ac si in
divinam naturam transformatus esset, totus cogitatione et affectu est in Deo. Sic omnes Sancti unum
erunt cum Deo, quia omnes agnoscent suum nihil quod ex se sunt, et se nil æstimabunt nisi
quatenus sunt Dei vel propter Deum; et hoc modo penitus a se deficient, cur enim hæreant in nihilo?
Deinde intellectu et voluntate potentissime rapientur in illum, et toti in ipso erunt et in ipsum veluti
liquescent, transformabuntur, nil aliud sentientes, gustantes, æstimantes, quam Deum, bonum
ipsius, perinde ac si ipsi in Deum essent transmutati.
Asc,2285:T3,8
8o. Motus amoris est orbicularis, idque dupliciter.
1. Circa proprium objectum, quod est ipsum pulchrum et bonum, ut in 3a proprietate. Sic ponitur
circulus a Dionisio in visione beatifica; nam ab essentia divina, quod est ipsum pulchrum et bonum
descendit in mentem angelicam lumen gloriæ; ex mente et lumine gloriæ statim oritur visio beata,
quæ immediate reflectitur in pulchrum et bonum, tamquam in suum objectum et principium.
2. Est circulus in amore divino, ut se extendit ad creaturas, nam ex bono et pulchro descendit ad res
creatas, easque suo attactu accendens, convertit et reducit secum in idem pulchrum et bonum. Est
exemplum in sole: sol in rebus corporeis est pulchrum et bonum, sicut in intelligibilibus Deus; ex
sole descendit calor ad res inferiores, descendit autem per lucem, prius enim res illustrantur quam
calorem concipiant; calore concepto, fiunt spirituales et leves, sursum in cælum vehuntur. Ita sol
symbolum est Dei, lux symbolum sapientiæ, calor symbolum amoris, res symbolum animarum et
spirituum.
A Deo descendit amor per sapientiam, prius enim mens illustratur cognitione pulchritudinis et
bonitatis divinæ. Deinde per cognitionem concipit amorem, amor conceptus efficit animam
spiritualem et cælestem, eamque mox sursum trahit et Deo conjungit illique soli æterno similem,
veluti quemdam parelium (qui solis est expressa imago) effecit.
Asc,2285:T4
Quinque consideranda in amore Dei erga hominem nempe:
1o. majestas amantis, 2o. qualitas eorum quos amat, 3o. bona quæ illis partim confert et offert, 4o.
modus quo amat, 5o. finis propter quem amat.
Asc,2285:T4,1
1o. Quis nos amat, non est princeps terrenus aut Angelus, sed Deus ipse infinitus, immensus,
æternus, infinitæ potentiæ, sapientiæ, sanctitatis, gloriæ, beatitudinis; nullius est sibi
sufficientissimus, et hic amor non est recens, sed ab æterno præconceptus. “In caritate perpetua
dilexi te, ideo attraxi te miserans” (Jer. 31). Ipse prior dilexit nos. “Numquid oblivisci potest mater
infantem suum, ut non misereatur filio uteri sui? Et si illa oblita fuerit, ego tum non obliviscar tui.
Ecce in manibus meis descripsi te; muri tui coram oculis meis semper” (Is. 49).
At quanta res est amari a tanta majestate? In aulis principum plerique laborant, omnem operam
ponunt, ut favorem principis assequantur, quo obtento gloriantur et beatos se putant, et vix se
capiunt, idque quia talis favor et benevolentia magnam illis adfert dignitatem et æstimationem apud
homines, et quia illis inde proveniunt honores, præfecturæ opes.
Porro si favor terreni et mortalis principis nobis similis et nostris miseriis subjecti tanti æstimatur,
quanti censeri debet favor divinus? Certe infinite pluris cum majestas Dei sit infinite major, et
dignitas et opulentia quam confert infinitis partibus melior et optabilior nimirum quantum præstant
cælestia terrenis, divina humanis, sempiterna caducis et momentaneis.
Asc,2285:T4,2
2o. Spectanda conditio eorum quos Deus amat. “Sic Deus tantus dilexit nos tantillos tales” (S.
Bernardus). “Nusquam enim Angelos apprehendit, sed semen Abrahæ apprehendit” (Rom. 5).
“Commendat caritatem suam Deus in nobis, quoniam cum adhuc peccatores essemus, secundum
tempus Christus pro nobis mortuus est” (Rom. 5). “Quid est homo quod memores ejus, aut filius
hominis quoniam visitas eum, aut apponis erga eum cor tuum?” (Ps. 8).
Hi sunt si spectes creaturam: infimi inter creaturas rationales (sicut enim materia prima est infima
inter res corporeas, ita anima inter res spirituales); si spectes qualitatem: inimici, superbi, ingrati,
carnales, item cælestium incurii, terrenis affixi, inepti ad omne bonum, proni ad omne malum. Res
plane mirabilis tam vilem et ingratam creaturam, tantopere a suo Creatore, atque adeo etiam præ
Angelis dilectam! Sicut si potentissimus monarca æthiopica aliquot mancipia infimis solum
obsequitur idonea, sæpius triremes et mortem commerita, vellet amare præ patria nobilitate,
adoptare in filios, omni studio niti evehere ad communionem regni sui, et tamen in iis esset naturæ
paritas, solius fortunæ discrimen.
Supra naturam humanam tot sunt Angelorum ordines omnes sublimes, spirituales, illustres, omnes
sapientia et caritate repleti, omnes in Deum semper intenti, ab omni contagione alieni, cæli cives
naturales, et tamen his omnibus prætulit naturam humanam rationalis naturæ terminum, terræ
civem, brutorum sociam, adde peccatis inquinatam, ignorantiæ tenebris circumfusam, a rebus
divinis longissime dissitam. Nimirum hoc est benignitatis divinæ ingenium demittere se ad infima,
curare infirma, colligere abjecta, attollere humilia, et ubi est major inopia, ibi magis suas opes
erogare et suam opem ferre.
Asc,2285:T4,3
3o. Spectanda bona quæ Deus nobis partim præparavit, partim dedit, quorum primus est: 1.
communicatio æternæ beatitudinis et Regni sui; ut hanc nobis daret, cetera omnia præparavit. Hoc
bonum est æstimationis infinitæ; 2. anima rationalis, immortalis, capax tanti boni; 3. gratia cælestis
qua possimus gloriam illam promereri; 4. corpus idoneum animæ instrumentum, quinque sensibus
instructum; 5. tota mundi machina cum omnibus opibus et bonis quæ illo continentur; hæc enim
omnia condita sunt propter hominem, ut in mundo vivat et juvetur rebus omnibus ad Dei cultum et
ad divinitatem promerendam; 6. angelica custodia: fecit enim Angelos velut nostros pedagogos,
custodes, directores ad salutem.
Et hæc omnia ante peccatum; post peccatum vero, quum meremur his omnibus privari, addidit
multo majora. Quantæ vero æstimationis sint hæc singula bona ex eo patet quod nemo integritate
sensuum vel membrorum quæ tamen sunt ex minimis, vel aureis montibus commutare vellet.
Confer cum his quæ mundus dare potest, videbis quam ea sint parvi momenti, quam tenuia, quam
fluxa, quam fallacia et tamen a plerisque plus amantur quam Deus, plus studii et obsequii defertur
illis quam Deo.
Asc,2285:T4,4
4o. Modus hujus dilectionis: 1. diligit enim nos Deus non solum ut princeps subditos vel Dominus
servos, sed ut Pater filios, unde se Patrem a nobis vocari jubet, vult enim nos facere Regni sui
hæredes et participes bonorum omnium suorum. 2. Diligit nos non vulgari modo ut alii patres solent
diligere filios adoptivos, sed prorsus inaudito et inæstimabili, ita ut Filium suum unigenitum,
æternam sapientiam, nostram naturam assumere et in ea voluerit nos instruere verbo et exemplo, pro
nostris delictis satisfacere, pro nobis mortem perpeti. Sic tam ardenter et tanta æstimatione tanti nos
fecit. “Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret” (Joan. 3, 16).
Videtur sane iste amor summus non solum intentione, ardore, sed etiam æstimatione et prætio, non
enim Deus in creaturam videtur plus dilectionis potuisse impendere, quam homini reipsa impendit.
Asc,2285:T4,5
5o. Finis hujus dilectionis: non enim sui commodi causa nos dilexit, sicut solent principes diligere
suos populos et famulos, sed commodi nostri, nimirum ut nos Regni sui participes faceret, et
inexhaustum suæ lucis et bonitatis fontem in nos derivaret.
Nec obstat quod hoc totum referatur ad gloriam suam, hoc enim ipsa rerum natura postulat; omnis
enim creatura est quid Dei, et ordinatur ad ipsius gloriam, sicut enim finis, et ita dicam, felicitas
vasi figlini, vel alterius artefacti, est servire usibus humanis, et si statum suum intelligeret, tunc se
maxime felicem judicaret quando huic usui maxime commodaret. Sic finis hominis et naturæ
rationalis est servire Deo ipsum cognoscendo, amando, laudando, colendo.
Itaque quod Deus totum bonum creaturæ ad gloriam suam referat, nullo modo impedit, quin amor
ipsius in nos sit sincerissima benevolentia et amor amicitiæ, velitque nostrum bonum, ut nobis bene,
optime sit absque intuitu sui commodi.
Confirmatur 1. quia etiam nos totam nostram beatitudinem intrinsecam referemus ad Dei gloriam,
eamque pluris faciemus, plus amabimus et de ea gaudebimus, ut est bonum quoddam Dei gloriam
ejus illustrans et laudem ejus celebrans quam ut est bonum nostrum, maximis commodis et gaudiis
nos afficiens. Id enim rectus ordo postulat cum creatura nulla sit sibi ultimus finis, sed solus Deus.
Itaque non in se ultimo, sed in Deo quiescere debet ejus appetitus. 2. Deinde quia nos magis felices
et beatos censebimus bonis Dei, quam bonis nostris intrinsecis; amor enim uniet nos Deo, et unum
cum eo spiritum efficiet, unde nil magnopere æstimabimus et amabimus, nisi quatenus est bonum
Dei et in ejus cedit gloriam, quasi alia ratione non magnopere ad nos pertineat.
Asc,2285:T5
Sic per amorem ad nos Deus descendit…
Sic per amorem ad nos Deus descendit, ut in nobis amoris ardorem accenderet, et per illum sursum
corda nostra raperet et in se converteret; sicut ignis vi ardoris sui omnia in se convertit, sic facit
Deus, ignis enim consumens est.
Nec ullus erat ad hoc modus efficacior quam amor; ipse enim est virtus extatica et unitiva, faciens
ut a nobis excedamus et in ipsum transferamus. Non poteramus mutari per naturam, hoc præstitit
Deus per amorem; hinc mille modis illum in nobis accendit, ut ejus ardore in ipsum colliquescamus
et absorbeamur, sicut aquæ gutta in vini dolium immissa in vinum convertitur, si colorem et
saporem spectes, salva manente aquæ substantia; amor enim facit amantem affectu et sensu a se
deficere, et in dilectum mutari, ut nullum inter se et dilectum percipiat discrimen.
Sic per amorem processimus inesse nostrum creatum, sicut forma domus ab artifice prodit in opus
et in materia, vel imago ex mente pictoris in tabulam, ita rursum per amorem reducimur, reducti
unimur, transformamur ad ideam nostram seu ad exemplar nostrum primitivum, in quo ab æterno in
Deo extitimus, viximus, luximus, cum in nobis nil adhuc essemus, sicut si imago e tabula posset se
in mentem pictoris penetrare, et ibidem suo exemplari intime se conjungere.
Illo ergo igne amoris tui corda nostra accende et in te converte ut nil præter te et tua cogitemus, nil
sapiamus, sentiamus, loquamur, optemus. Ille nos faciat excedere a nobis, nostri quasi non simus
oblivisci, in te migrare, in te commorari, vivere, delectari. Ille vitam nostam gloriæ tuæ impendere
et pro illa nulla pericula formidare, nullo detrectare labores. Ille omnia mundana nobis vertat in
amaritudine, aspera pro te suscepta vertat in dulcedinem, ut putemus contumeliam gloriam, inopiam
divitias, persecutiones prosperitates, item infamiam honorem, morbos solacia, mortem vitam.
Omnia enim mala hujus vitæ amore tui tolerata, meliora sunt omnibus hujus sæculi bonis. Si enim
compatimur, et conglorificabimur. Per illum ergo tu nobis sis vita et refectio, domicilium et
possessio, divitiæ et gloria, fortitudo et refugium, item quies et solacium, protectio et securitas,
gaudium et beatitas. Amen.
Asc,2285:T6,1
De Misericordia Dei
Misericordia est virtus incitans voluntatem ad opitulandum alienæ, miseriæ, eamque depellandam.
Misericordia exerceri potest vel ex affectu benevolentiæ, hoc est quando alteri malum tollit et
bonum vult, ut illi bene et optime sit, et est actus proprius caritatis; vel ex odio et displicentia
miseriæ tamquam inordinationis in natura rationali, et tunc est actus proprius virtutis misericordiæ.
Misericordia quocumque modo consideretur perfectissime est in Deo; cum enim ipse omnis boni et
perfectionis, commodi et felicitatis sit fons, auctor, largitor, ipse quoque omnis miseriæ (utpote quæ
non tollitur, ni collatione boni) est peremptor et exterminator. Sed quia Deus in tollendo malo
potissimum spectat, ut creaturæ bene sit, misericordiæ opera potius sunt caritatis, quam alterius
virtutis; ita misericordia ejus est ipsa caritas inadequate considerata.
Multiplex misericordiæ Dei opus. Nimirum
1o. res omnes præsertim ratione præditæ ex nihilo in quo æternum sepultæ erant, in suas naturas
produxit. Deus enim in tanto defectu (nempe infinito) illas videns, misericordia quadam commotus,
statuit imperfectionem illam infinitam tollere, easque ex nihili sui tenebris in lucem essentiæ et vitæ
educere, inde naturam formare, speciem distinguere, suis instruere facultatibus et ornamentis; sed
hæc misericordiæ beneficia magna et inæstimabilia quidem sunt, sed nonnisi initia et rudimenta
majorum.
Unde 2o. ex statu naturæ in statum gratiæ et filiorum Dei, naturam angelicam et humanam evexit.
Qui status omni possibili naturæ statu quantumvis perfecto et sublimi, est longe præstantior utpote
qui nulli substantiæ creatæ naturalis, nulli naturali dignitati debitus esse possit; nulla enim creatura
per naturam suam potest esse filius Dei, hæres Regni, possessor Spiritus Sancti. Hoc in gradu facti
sumus secretorum Dei participes, Deo adhærentes supernaturali fide, spe et caritate, omnibus creatis
infinite superiores.
Hinc homo ipsis angelicis spiritibus est venerandus, qui nisi ad similem dignitatem evecti essent,
merito possent illi tantum honoris fastigium invidere. Hinc apud Deum pluris æstimatur unus justus,
quam innumeri impii donis naturalibus repleti.
3o. Hunc statum gratiæ et filiationis inchoatæ ad statum gloriæ et filiationis completæ, adhuc
evexit. Dona enim gloriæ infinite excellentiora sunt donis gratiæ. Hic est supremus bonorum
gradus, in quo omnis miseria et imperfectio plane depellitur, ibi in consortio bonorum et divitiarum
Dei, in consummata gloria et gaudio constituimur.
Asc,2285:T6,2
Verum quum ad hunc gradum nobis esset nitendum omnibusque præsidiis essemus instructi, ut cum
summa facilitate et jucunditate possemus ad illum conscendere. Heu vecordia parentis nostri (in
cujus arbitrio omnia nostra erant constituta) ab ipso statu gratiæ cecidimus et a Deo aversi in
exitium sempiternum præcipitati sumus. Nil supererat opis et subsidii ab ulla natura creata, quia a
nullo justitiæ Dei condigna satisfactio pro tali crimine præstari poterat. Actum proinde erat de salute
nostra, cum ecce Deus misertus nostri rursus succurrit, sed consilio plane admirando et inaudito
omnibusque sæculis obstupescendo, nimirum ut Filius Dei Patri consubstantialis et coæternus
nostram naturam assumeret, et homo passibilis, similis nobis effectus, divinæ justitiæ nostro nomine
suis cruciatibus et sua morte satisfaceret, per quod nobis præstitit copiosam redemptionem,
remissionem peccatorum, justificationem et omne bonum.
Et sic maxime nobis manifestavit Deus viscera misericordiæ suæ. Beneficia enim superius
memorata ad benignitatem potius pertinent quam ad misericordiam, nimirum quatenus illa beneficia
sunt productiones ex nihilo in suas naturas et species cum perfectionibus naturalibus; quum enim
creatura penitus non est, non est proprie misera vel ulli malo subjecta, unde bona quæ ipsi
proveniunt ex Dei benignitate potius oriuntur, quæ est fons omnis boni creati. Malum autem est
privatio boni quod deberet inesse, unde supponit subjectum existens, cui illud bonum deest, et
miserum redditur, et hanc miseriam depellere proprie ad misericordiam pertinet.
Si tamen malum et miseriam non ita stricte accipiamus, sed generalius pro quovis privativo et
negativo a quo natura abhorret, sic non esse, non est parvum malum nec modica miseria, est enim
summa imperfectio et summus defectus totum bonum exhauriens, a quo omnis natura rerum
vehementissime abhorret, sic animantia et homines mala gravissima perpeti malunt, quam subire
interitum quasi hoc sit pejus et miserabilius. Sed de operibus misericordiæ Dei strictim sumptis
prolixius dicendum, maxime enim bonitatem Dei depredicant.
Asc,2285:T7,1
De lapsu hominis et ejus redemptione præ Angelis
Prolapsa natura generis nostri in primo parente fraude Diaboli a statu supranaturali et amissa justitia
originali et ceteris virtutibus, præter fidem et spem, subtracta etiam singulari Dei protectione et
directione, obœdientia partis inferioris, dono immortalitatis, incidit in miserrimum statum; neque
aliud restabat quam ut sibi relicta suo pondere et impetu de peccato in peccatum recens per varios
anfractus errorum et dolorum, in pelagus exitii sempiterni devolveretur. Talis enim erat ad malum
pronitas et impetus, ut nil fere nisi peccare posset, et a nemine nisi a Deo posset sisti et inhiberi.
Ipsum vero malum tam atrox et penitus inolitum ut a nullo præterquam a Deo posset exscindi.
Deus igitur cujus misericordiæ non est numerus et bonitatis infinitus est thesaurus, intimis
misericordiæ visceribus commotus, statuit nos ab ista multiplici miseria eripere.
Verum id nec ita convenienter, nec satis fructuose fieri poterat, nisi et pro peccato justitiæ divinæ
equivalens satisfactio exhiberetur, et fons quidam perennis et inexhaustus quo peccata
quotiescumque homines in ea inciderent, deleri possent, constitueretur; parum enim fuisset in
pristinum gradum justitiæ restitui, nisi etiam futuris lapsibus in tanta infirmitate et mali proclivitate
consultum fuisset. At neutrum illorum a pura creatura præstari poterat: nulla enim poterat pretium
offerre equivalens pro homine liberando, nec fontem perpetuæ remissionis et justificationis
construere. Tanta enim est vel unius peccati mortiferi malignitas, in majestatem Dei injuria, ut
omnibus Sanctorum, Angelorum et hominum præstitis obsequiis, precibus, humiliationibus,
pænitentiis, afflictionibus vel ultionibus ad æqualitatem nequeat compensari.
Cum igitur nullum remedium nec in cælo nec in terra nostris malis medendis et bonis amissis
recuperandis appareret, nec ullus Angelus, nec ulla mens creata quidquam congrui auxilii posset
invenire, misericordia divina inauditum, mirabile, ineffabile, item incomprehensibile et
obstupescendum omnibus Angelis, hominibus et sæculis consilium excogitavit.
Nempe ut Filius Dei, Sapientia genita, per quam facta sunt omnia, naturam nostram sibi copularet,
et per eam totum genus humanum repararet. Nisi enim Reparator noster esset Deus, non posset
exhibere pro offensione et injuria a nobis in Divinitatem commissam quidquam æquivalens, nec
posset constituere perennem et indefectibilem reconciliationis thesaurum; nisi esset homo, cessaret
meritum, satisfactio, exemplum et illa suavis, naturæ congruentissima providentia, qua res per ea
quæ sunt sui generis gubernentur.
Asc,2285:T7,2
Sed cur Deus naturam humanam præ angelica reparare voluit? An non unus Angelus, si naturam
spectes infinitis hominibus æquipollet? Cujus signum est quod infiniti homines et infinito temporis
tractu non possent sibi tantam comparare sapientiam, quanta est vel in uno angelico spiritu, imo nec
centesimam quidem illius partem. Item omnes totius mundi exercitus et tota generis humani
multitudo omnibus suis armis instructa non posset, vel uni Angelo resistere, aut ejus vim continere.
Adde etiam comparationem quoad ceteras perfectiones et numerum etiam cujuslibet chori. Cur ergo
naturæ tam eximiæ non est habita ratio?
Nempe misericordiæ indoles est inclinare ubi major est miseria, abjectio, vilitas. Deposuit enim
potentes de sede et exaltavit humiles. Atque hoc est (post lapsum) primum et maximum
misericordiæ Dei in nos beneficium, utpote infinitum et aliorum multorum origo et fundamentum
quo maxime Deus in nos infinitum suum amorem declaravit. Merito ergo considerandum et
exclamandum cum Joan. 3: “Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitus daret, ut omnis
qui credit in illum, non pereat, sed habeat vitam æternam.”
Sic dilexit, hoc est tam intense, effuse, ardenter, tanta æstimatione, tanti illum fecit, appretiavit, et
me in specie;
Deus, hoc est illa infinita Majestas nullius egens, sibi sufficientissima, ille qui verbo creavit omnia,
cui tot milliones Angelorum serviunt, qui momento infinitos alios servos et cultores sibi ex nihilo
condere poterat;
Mundum, hoc est genus humanum infimum naturæ rationalis terminum, brutis affine, terrenis
addictum, cælestium inane, item immundum, ingratum, inimicum, rebelle, in quo nil dignum amore,
plura digna odio et supplicio; angelicis spiritibus tam sublimi ingenio et natura præditis in sua
damnatione relictis;
Filium suum unigenitum, non cherubim, aut seraphim, aut filium aliquem adoptivum, sed Filium
suum unigenitum, naturalem consubstantialem ejusdam majestatis, potestatis, sapientiæ,
excellentiæ; Filium quem infinito amore dilexit, et cui totam suam substantiam una cum omnibus
suis perfectionibus et thesauris bonorum ab æterno profudit;
Daret in rectorem, doctorem, exemplum vitæ, redemptorem, in pretium et satisfactionem peccatis,
in thesaurum perpetuum justitiæ et reconciliationis, in juge sacrificium, in sacerdotem æternum, in
panem vitæ æternæ, alimentum immortalitatis, pignus futuræ gloriæ, Regem et Judicem,
Remuneratorem vivorum et mortuorum, cælestis patriæ triumphum et gloriam;
Daret ad unionem nostræ naturæ, ad alapas et sputa, ad flagella et spinarum punctiones, ad omne
genus probrorum et dolorum, ad crucem et mortem, nuditatem et paupertatem, labores et
incommoda, contumelias et persecutiones, ut peccata nostra portaret, eaque quasi auctor et reus
lueret;
Daret ut omnis qui credit in ipsum etc. hoc est, totum hoc fecit ut nos ab exitio sempiterno eriperet
et nos æterna vita donaret, nec a nobis aliud requirit quam ut credamus in Filium et Filio
obœdiamus.
Asc,2285:T8
De incarnationis Verbi beneficio
Poterat Deus absolute loquendo nos liberare, vel per auctoritatem suam absolutam et infinitam nos
liberando, vel gratis omnia condonando et in statum pristinum restituendo, vel tenui aliqua hominis
satisfactione acquiescendo, vel angelicas preces in ea re admittendo. Tamen incarnationem Verbi
prætulit tamquam medium necessarium, ut salus nostra modo optimo, et Dei justitiæ, misericordiæ,
hominis saluti congruentissimo perficeretur.
Asc,2285:T8,1
1o. Justitiæ Dei convenientissimum erat triplici ratione: 1) ratione solutionis debiti, quia cum non
esset conveniens ut justitia divina maneret semper violata et læsa per peccatum, nulla facta
reparatione idonea, per Verbum incarnatum exhibita est plena et æquipollens satisfactio, quæ a
nulla creatura præstari poterat; 2) ratione manifestationi Justitiæ, quia sic ostensum est duo: nempe
1. summus rigor et severitas Justitiæ divinæ exigendo pro peccato pretium infinitum et
satisfactionem infinitam; 2. quanta sit peccati malitia, quum solo sanguine Filii Dei deleri poterat;
3) ratione modi spoliandi Diabolum, dum non potentiæ virtute, sed justitiæ ratione suo dominatu
exuitur, victus non ab alia natura quam vinxerat, et amittens omnium servitutem, dum nil sibi
debentis persequitur libertatem.
Asc,2285:T8,2
2o. Misericordiæ convenientissimum: longe enim præstantior est hæc salvandi ratio, quam alia
gratuita et absque satisfactione. Uti si rex, deposito diademate, suscipiat statum servi, ut ipsum a
morte liberet, longe majorem illi caritatem et misericordiam exhibet, quam si sola auctoritate nil
pendens justitiæ morti eximat.
Justitia divina instar severi judicis hominem tenebat captivum et vinculis peccatorum obstrictum, ut
eum morte æterna plecteret. Misericordia accessit et oblato divini sanguinis pretio justitiæ abunde
satisfecit et hominem redemit. Denique hac ratione constitutus est homini perpetuus fons
salvationis, semper patens ad ablationem peccatorum, qui alia ratione constitui non poterat.
Asc,2285:T8,3
3o. Sapientiæ et Potentiæ Dei declarandæ accommodatissimum: tale enim consilium nonnisi ab
infinita Sapientia excogitari et ab infinita Potentia executioni mundari poterat. Nil enim difficilius
aut admirabilius quam Deum hominem et hominem Deum fieri, et eidem personæ inesse et tribui
omnia quæ sunt divinitatis et humanitatis. Item sic ostensum est Deum non solum aliquas sui
participationes vel umbraticas imitationes posse creaturis communicare, sed etiam totam suæ
divinitatis plenitudinem illis infudere et substantialiter unire ac proinde tres esse gradus et ordines
generales rerum nempe naturæ, gratiæ, unionis hypostaticæ.
Asc,2285:T8,4
4o. Saluti hominum convenientissimum:
1. Ad confirmandum in fide. Quis enim non firmissime credat quod Deus ipse nobiscum visibiliter
versatus, docuit et confirmavit? Ut homo fidentius ambularet ad veritatem, ipsa Veritas, Dei Filius
homine assunto constituit et fundavit fidem (S. Aug. l. 11 de Civit. c. 2);
2. Ad erigendam spem salutis. Nil enim tam necessarium ad erigendam spem nostram quam ut
demonstraretur nobis quantum diligeret nos Deus, ait S. Augustinus (l. 13 de Trinitate, c. 10). Si
cum adhuc inimici essemus, reconciliati sumus Deo per mortem Filii ejus, multo magis reconciliati,
salvi erimus in vita ipsius (Rom. 5); non enim rursus carnem sumere, pati debet, ut nos salvet nec
dubitandum quin benignissime de me cogitet et me etiam salvet qui tanta pro me adhuc inimico
fecit et passus est, si ipse pro modulo meo Deo respondero; cur enim vellet pretium sanguinis sui in
me esse inane, aut labores suos pro me irritos et cassos?
3. Ad excitandam caritatem. Quomodo enim tam inusitata et ineffabilis dilectio, qua dilexit nos,
carnem nostram assumens et sanguine suo nos redimens ad redamandum nos excitet, vel si
modicum perpendatur? Nullum sane esse poterat amoris majus incentivum et potentius illicium?
4. Ad incitandum studium omnium virtutum. Exemplo enim nos provocat ad paupertatem,
castitatem, obœdientiam; ad contemptum honorum et sæculi, humilitatem, zelum animarum; ad
labores pro illis suscipiendos, ad patientiam, ad studium orationis, ad vigilias, ad jejunium, ad omne
opus bonum. Quis tantum Ducem non libenter sequatur? Quis Deum ipsum exemplo præeuntem,
hortantem, incitari recuset?
5. Ad hominem sanctificandum, ad hominem Deo conjungendum. Hoc enim modo Deus unum
hominem sibi substantialiter unicus, sanctum efficiens, ita ut simul sit fons sanctitatis et vitæ, per
illum sanctificat ceteros omnes qui illi adhærent, et spiritum qui in ipso est ad alios extendit. Sic
omnes illi adhærentes reconciliantur Deo, sanctitatem adquirunt et rediguntur ad unum corpus, ut
vivificentur ab illius spiritu, veluti una mystica persona, una hypostasis, uno capite, corpore et
spiritu, sed multis membris constans, ut ait Apostolus: “Omnes unum sumus in Christo, sicut omnia
membra sunt unum corpus in homine.”
6. Ad perfectionem universi, tum quia homine assumpto, totum universum quodammodo est
Divinitati assumptum et connexum; quia universum accepit caput et rectorem sibi congruentem,
nempe homogeneum et ejusdem naturæ, sive corporeæ sive incorporeæ; quia sic universo additus
est supremus gradus communionis divinæ, hoc est unionis hypostaticæ, omnium excellentissimus.
Ad perfectionem gloriæ Sanctorum quæ sic tantopere aucta est, nam primarium post Divinitatem
beatitudinis objectum est humanitas Christi, ex qua plus gaudii percipiunt beati, quam ex tota
Sanctorum societate et Angelorum innumerabili frequentia.
Asc,2285:T9,1
De modo Unionis Hypostaticæ
Humanam naturam assumpsit Verbum non ut volebant:
Nestoriani qui personas multiplicantes, dicebant Hominem assumptum esse quasi Divinitatis
templum, vel instrumentum, vel ut amicum; si enim Deus conjungi solet plurimis Sanctis, insuper
sic Homo assumptus non esset etiam Filius naturalis et æternus, et Deus ipse, nempe sic duæ essent
Personæ;
Eutychiani qui diversitatem personarum tollere volentes unam tantum admittebant naturam,
fingebant enim Divinitatem conversam esse in carnem quasi Verbum divinam naturam exuisset vel
amisisset, et humanam induisset et ipsi successisset, et sic Divinitatem mutatam fuisse.
Sed fide certissima tenendum est in Domino nostro esse duas naturas absolutas, integras cum
omnibus suis proprietatibus et conditionibus humanis et divinis; ipsas coaluisse in unam personam
ita ut unus idemque Deus sit verus Deus et verus homo; personam divinam habere omnia quæ sunt
Divinitatis et humanitatis et omnia quæ conveniunt Filio Dei, vero Deo conveniant, et homini
assumpto, huic homini tribuantur quoque Filio Dei.
Hoc modo in Christo Jesu est idiomatum communicatio perfecta utriusque naturæ; Christi persona
etsi unica et simplicissima, tamen in duabus naturis complete subsistit, habet vim duarum, ita
perfecte operans per utramlibet, quasi illam solam haberet.
Excellentissimus hic unionis modus explicari potest exemplo, 1. insitionis, ut ramus prunæ insertus
in trunco piri unum ramum naturalem habent; 2. ignitionis, ut in ferro candenti carbone ignito; 3.
animationis, ut anima rationalis et caro unus est homo.
Asc,2285:T9,2
1. Insitionis ratione utraque natura manet salva et integra, et ita unitur, ut fiat quodammodo una
arbor ratione unius trunci in quo subsistunt. Truncus ipse est ramo alteri naturalis, alteri extraneus,
sicut hypostasis Verbi est naturalis Divinitati, accessoria humanitati.
Fusionis ratione unio ipsa est quodammodo substantialis, est enim continuatio et connexio quædam
venarum, fibrarum trunci cum venis et fibris rami insiti, ita ut succum ex illis attrahat.
Ratione istius unionis dicere possumus pirum et prunum producere pruna et pira, et si ramus pruni
exarescat, pirum exaruisse quodammodo.
Fructus pruni excellentiam quamdam contrahunt a succo trunci sicut opera humanitatis a Verbo.
2. Ignitionis ratione: sicut enim ignis totum ferrum penetrat et occupat, et ad suam puritatem et
nitorem attrahit, sibique penitus adstringit et unit, ita est Divinitas erga naturam humanam.
Sicut unio ignis cum ferro est ita intima, ut invicem non amplius distinguantur, manente tamen
naturæ, proprietatem distinctione, ita natura humana est Divinitate imbuta, et refulgens perseverante
rationali discrimine, et integritate.
Sicut durante illa unione ferrum est incapax ferruginis, vel nigroris, vel frigoris, ita humanitas
peccati.
Sicut operatio ignis tribuitur ferro candenti, et contra: ita hoc mysterio quæ sunt Divinitatis
tribuuntur homini, quæ sunt humanitatis Deo, quin tamen imperfectiones humanitatis Divinitatem
lædant.
3. Animationis ratione: anima et caro infinite distant, tamen anima vi sua, suo contactu carnem
extollit, ad se trahit, sibi substantialiter unit, et unus ex utroque homo constat.
Per hanc unionem caro fit spiritualis et pulchra, et viva, et nobilis, et bonorum animæ particeps, ita
ut omnis honor qui animæ defertur simul etiam deferatur carni. Caro non gestat animam, sed anima
carnem, et ipsa in anima velut in sustentante recumbit, non viceversa.
Præterea iste homo, e.g. Petrus, est anima et caro, seu spiritualis et carnalis, et immortali, ratione
præditus, et mortalis, ratione carens.
Denique quidquid operatur vel patitur anima, id etiam operatur et patitur homo carnalis.
Simili modo, sed infinito adhuc discrimine, intervenit in humanam et divinam naturam.
Asc,2285:T9,3
Proveniunt hæc mirabilia ex infinitate Verbi, quod sicut in aliis, ita in ratione hypostasis vim
infinitam habet, qua substantiarum existentias per modum hypostasis possit terminare, naturas ipsas
actuales per se formaliter hypostaticas sustentando, idem se ad quamlibet naturam terminandam et
sustentandam absque ulla sui mutatione, vel habitudinis intrinsecæ accessione extendere et proferre.
Unde quamvis omnis substantia sibi relicta per se existat, nulli alteri insita aut inhærens, sibi ipsi
sufficiens hypostasis: tamen omnipotentia Dei potest dare illi modum quemdam in existendi quo
formaliter existat in alio, præsertim in Persona Divina.
Adde alia mirabilia illis consectaria: 1. Corpus Christi in instante formatum; 2. Quod omnipotens
virtus Spiritus Sancti vicem virtutis seminalis suppleverit; 3. Anima Christi beatissima in primo
instanti creationis et infusionis sui lumine gloriæ, et omnibus cælestibus virtutibus, et bonis
eminentissime fuerit repleta adeo ut per tempus spatia nulla ei fieri potuerit accessio; 4. A Virgine
conceptus; 5. A Virgine natus absque virginalis claustri apertione uti lumen per vitrum effusum; 6.
Gloria animæ in corpus non redundavit, sicut gloria Divinitatis in animam, sed corpus manserit
passibile; 7. Gaudium beatificum mæstitiam animæ, dolorum acerbitatem non excluserit.
Asc,2285:T10
De Magnitudine beneficii Incarnationis
Magnitudo hujus Beneficii patet ex magnitudine rei ipsius quæ datur, ex modo quo datur, ex fructu
qui inde provenit.
1. Res, quæ datur immensa est, nempe Filius Dei. Multum fuisset si vel unus ex supremis Angelis
misisset qui visibiliter nobiscum versaretur nosque doceret, dirigeret, revocaret ad salutem, sicut
enim rex terrenus unum ex principibus suis mittit ad solandos vel liberandos captivos. Omni enim
hujusmodi beneficio eramus indigni. Sed quod Deus Filium suum miserit, eumque in totum nostrum
bonum donaverit, id omnem superat æstimationem.
2. Modus est cum tanto incommodo, humiliatione, exinanitione ipsius Divinitatis. Quum enim in
formam Dei esset exinanivit semetipsum formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus,
et habitu inventus ut homo. Si Monarcha terrenus ad liberandum mancipium a morte suam
Majestatem ad statum servilem demitteret et servus servi fieret, quanti æstimaretur hoc beneficium,
hæc misericordia et caritas? Longe et incomparabiliter pluris ille modus quam commodum et vita
servi quæ inde resultat. Pari ratione, quod infinita illa Majestas nostræ salutis causa se tantopere
demiserit, nostram mortalitatem assumpserit, longe pluris æstimandum est quam tota salus nobis
collata.
Minima enim Divinitatis humiliatio infinite pluris est, quam universum bonum creaturæ, quia hoc
totum est instar nihili ad illam celsitudinis infinitatem.
Quod igitur illa sublimitas nostram humilitatem subierit, non salutis nostræ dignitas promeruit, vel
justa bonorum nostrorum æstimatio postulavit, sed misericordiæ et caritatis divinæ abyssus
præstitit, cui complacuit tantis impendiis creaturæ suæ misellæ et perditæ subvenire.
3. Effectus denique est infinitus, complura enim beneficia infinitæ æstimationis inde nobis
manarunt, de quibus infra.
Asc,2285:T11,1
De beneficio Doctrinæ per Verbum Incarnatum nobis collato
Ante Adventum Domini mundus quantis tenebris et erroribus implicitus erat.
Ignorabant homines Deum creatorem ejusque providentiam et gubernationem; ignorabant Deum
esse nostrum ultimum finem, ac proinde vitam et mortem æternam, animæ immortalitatem,
peccatorum malitiam, regulam bene vivendi: cæci currebant ad mortem secundam, ad mortem
æternam; idolatria replebat omnem terram; Diabolus princeps tenebrarum omnes tenebat sub suo
imperio et disciplina.
Dominus misericordia motus in mundum venit, sua doctrina tenebras dispulit, errores detexit,
Diaboli fraudes et tyrannidem aperuit.
Item mundum illuminavit Deum Creatorem, ejusque perfectiones ostendit; denique totam salutis
viam, omnibus clarissime demonstravit et facillimam reddidit, æterna præmia et supplicia proposuit.
Fecit autem hoc non per Angelum vel Prophetam, sed per se ipsum aliquot annorum tractu, ingenti
labore, in fame, siti, æstu, frigore, in variiis locis, oppidis, viculis, civitatibus, in deserto, in
montibus, in campestris, in terra, in mari, et privatim et publice; per domos, synagogas, in templo,
in plateis, nunc multis nunc paucis auditoribus.
Neminem designabat, nemini doctrinam cælestem subtrahebat, omnibus eam offerens, et passim
ingerens occasionem captans ubi opportunum judicabat.
Neque ob hominum duritiem aut phariseorum calumnias, atroces in ipsum blasphemias, neque ob
tormentorum et mortis metum umquam destitit.
Jam vero quam benigne ad discipulorum et auditorum captum se demisit; apte eorum ruditati
sublimem suam doctrinam accomodavit, adhibitis exemplis, parabolis, similibus ex rebus humanis
et usitatis, utensque sermone vulgari, absque verborum fuco vel vanis orationis lenociniis.
Quam patienter eorum inconsiderationem, ingenii tarditatem et crassitudinem sustinuit; sæpius
eadem explicans, ad rudes eorum interrogationes benigne respondens, distortas apprehensiones
corrigens, mentes terrenis assuetas ad cælestia capienda familiariter instruens.
Mirabile spectaculum videre Sapientiam æternam cum hominibus rudibus et infimæ sortis, cum
piscatoribus et meccanicis assidue versantem, ambulantem, sedentem, comedentem, loquentem; in
illis erudiendis et docendis assidue occupatam, et eorum captui suaviter se accomodantem.
Quis jam non libentissime se in rudibus erudiendis se occupet, cum videat id tanto studio ab ipsa
Sapientia Incarnata præstitum?
Asc,2285:T11,2
Si Doctrina ipsa spectetur, tota gravis, seria, ab omni curiositate aliena ipsa est, et nil nisi saluti utile
continet.
Item plana, rudibus etiam accommodata, ut omnes ejus participes esse possint.
Item quam sublimis, ut nullum ingenium sit tantum, quin semper in ea possit proficere, pura, et
omni parte perfecta totum illustrans intellectum, reformans affectum, omnem excludens
iniquitatem, dirigens operationem, componens vitam.
Item omnia hominis interiora et exteriora conformans divinæ voluntati et æternæ legi.
Universa S. Scriptura est admirabilis et divina, sed multum enim et Evangelicus sermo: est enim
planior, et sublimior, ad affectum potentior, ad intellectum illustrior, ad gustum internum dulcior, ad
conversionem efficacior, ad perfectionem assequendam convenientior. Utebantur enim antea
Spiritus Sanctus scriptorum ingeniis velut instrumentis, eorumque conditioni se plurimum
attemperabat quoad elocutionem et modum apprehendendi; neque enim consuetum illorum modum
eloquendi et concipiendi immutabat, sed iis utebatur prout invenerat; quo fit ut magna sit varietas
pro varietate scriptorum.
At instrumentum evangelici sermonis est humanitas ipsa Christi, sapientia et eloquentia prædita, nil
scabri, distorti, obscuri, aut alicujus imperfectionis humanæ habens, quare poterat orationem optime
ad captum et utilitatem nostram temperare.
Unde hac doctrina nil vel elocutione, conceptibus et sententiarum vi excellentius; nil hoc
convenientius et salutarius excogitari poterat, ex eaque facile perspicitur auctorem longe majorem
hominem fuisse: quo fit, ut qui illam attente legit et perpendit mire afficiatur, et summa tanta
Sapientiæ admiratione capiatur.
Asc,2285:T11,3
Considerandum hic quam miris modis, et ad quantam perfectionem nos excitet hæc mirabilis
Doctrina, nempe:
– ad terrenorum abdicationem: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est Regnum cælorum. Nisi
quis renuntiaverit omnibus quæ possidet, non potest esse meus discipulus. Si vis perfectus esse,
vade, et vende omnia quæ habes, et da pauperibus, et habebis thesaurum in cælo (Matth. 19).
Amen dico vobis quod vos qui reliquistis omnia, et secuti estis me, centum accipietis, et vitam
æternam possidebitis (ibid.). Amen dico vobis: nemo est qui reliquerit domum, aut fratres aut
patrem, aut agros propter me et Evangelium qui non accipiat centies tantum nunc in hoc tempore, et
in sæculo futuro vitam æternam (Marc. 10, Luc. 18);
– ad castitatem: Sunt eunuchi qui se ipsos castraverut propter Regnum cælorum, qui potest capere,
capiat (Matth. 19);
– ad integram sui mortificationem: Si quis vult venire post me, abneget semetipsum, et tollat
crucem suam, et sequatur me. Si quis venit ad me, et non odit patrem suum, et matrem suam, et
filios, et fratres, et sorores, adhuc autem et animam suam, non potest esse meus discipulus (Luc.
14). Qui amat animam suam perdet eam, et qui odit animam suam in hoc mundo in vitam æternam
custodit eam (Joan. 12); hoc sæpius;
– ad dilectionem inimicorum: Ego autem dico vobis: “Diligite inimicos vestros, benefacite his qui
vos oderunt vos, et orate pro persequentibus et calumniantibus vos, ut sitis filii Patris vestri, qui in
Cælis est; qui solem suum oriri facit super justos et injustos. Et si peccaverit in te frater tuus
(dimittes ei) non septies, sed septuagies septies”. Quis ante Domini doctrinam hæc scivit, tam clare
et enucleate tradidit, ad hæc homines tam efficaciter concitavit?
Asc,2285:T11,4
– ad studium orationis: Parabola judicis iniqui docet oportere semper orare, numquam deficere
(Luc. 18). Parabola amici petentis ab amico tres panes (Luc. 11), idipsum ostendit, inde concludens:
Et ego dico vobis, petite, et dabitur vobis, quærite, et invenietis, pulsate, et aperietur vobis; omnis
enim qui petit accipit, et qui quærit invenit, et pulsanti aperietur. Quis ex vobis petit patri panem,
numquid lapidem dabit illi? Aut si petierit ovum, numquid scorpionem porriget ei? Si ergo vos cum
sitis mali nostis bona data dare filiis vestris, quanto magis Pater vester de cælo dabit spiritum
bonum petentibus se. Sæpe repetit omnia nos impetraturos, quæ in nomine ipsius petierimus.
Tandem mirabilis est illa oratio, quam discipulos docuit ipse Jesus.
Omitto alias parabolas sapientiæ plenas quibus nos mirabiliter instruit ad fiduciam divinæ
providentiæ, mortis contemptum, patientiam, mansuetudinem, humilitatem, temperantiam
cæterasque virtutes; et ad doctrinam stupendam, carni paradoxam, beatitudinum cujus nec umbra
quidem apud Prophetas.
Quis neget hoc beneficium doctrinæ esse infiniti pretii? Est enim fundamentum salutis, radix
immortalitatis et vitæ æternæ.
Sine ipsa omnis ars, scientia, prudentia, eloquentia, industria vana est magis noxia, quam utilis. Ad
hanc humana sapientia nox est, et tenebræ.
Denique si beneficii magnitudo pensetur ex modo et labore quo collatum est, etiam ex hoc capite
infinite æstimandum quod tanto labore et sudore, studio et incommodo Filii Dei nobis est
præstitum.
Asc,2285:T12,1
De Beneficio exemplorum omnis virtutis
Non satis fuit Domino nostro nos verbo docere, et nobis commendare omnis boni disciplinam, sed
et voluit nos exemplo suo confirmare et incitare, et ad omne virtutis officium præire.
Multi enim dixissent, facile esse perfectam virtutem docere, sed nimis difficile factis exhibere, hanc
difficultatem Dominum nostrum non esse expertam gravia nobis onera imposuisse, quæ digito suo
non tetigisset: sic difficultate deterrit salutarem doctrinam vel non fuissent complexi, vel semel
susceptam abjecissent.
Mens enim humana, cum sit inter naturas rationales infima, ac proinde carni mortali inserta et
sensibus addicta, nil præter sensibilia et temporalia, ut honores, divitias, voluptates, perfecte
apprehendit; spiritualia vero uti pulchritudinem virtutum, bona vitæ futuræ, nonnisi obscure et
confuse.
Hinc fit ut a spiritualibus moveatur parum et languide, a sensibilibus multum et valide; motiones
enim affectuum cognitionis apprehensionem sequuntur; quare objecti difficultatibus carni molestis
homo facile retrocedit, molestias enim illas utpote sensibiles et naturales valide apprehendit;
cumque oriantur ex rebus obscuris et non satis experientia comprobatis, fingit eas centuplo
graviores quam sunt, et ita facile ab iis vincitur; bonum enim imperfecte apprehensum uti est bonum
virtutis et gloriæ æternæ non tantum attrahit, quantum deterret ingens molestiarum imaginatio.
In bonis autem sensibilibus persequendis etsi magnæ difficultates sese offerant, tamen mens
humana perstat, magis tum bonorum speratorum vehemens apprehensio allicit, quorum ardens amor
facit, etiam ipsas molestias longe quam reipsa sunt minores videri.
Hæc est tota ratio et prima origo cur via virtutis alioquin facilis et jucunda, videatur difficilis et
amara; contra via sæculi, aspera et molestissima, videatur facilis et jucunda. Plus enim allicit fortis
apprehensio bonorum sensibilium, quam deterreat imaginatio malorum annexorum, et plus deterret
valida imaginatio molestiarum in virtutis exercitio, quam apprehensio bonorum spiritualium, quæ in
nobis valde tenuis et obscura alliciat.
Dominus igitur noster infirmitatis conscius ut fortius apprehenderemus bonorum spiritualium
excellentiam, et minoris æstimaremus difficultates annexas, exemplo suo in omnibus præire voluit,
ad quod assidue intuentes vitam nostram conformemus.
Asc,2285:T12,2
En autem exempla præclarissima quæ nobis dare dignatus fuit, nempe:
Paupertatis et humilitatis: sibi parentes pauperes diligit, in stabulo nascitur, præsepio cunarum loco
utitur;
Contemptus sæculi dum nullam possidet domum, suppellectilem, locum ubi caput reclinet, mendici
instar eleemosynis piorum vivit, pauperes sibi sociat discipulos;
Castitatis, quia ipse de Virgine castissima nasci voluit, perfectissime servavit virginitatem, omnes
tantæ rei capaces ad ejus excellentiam est hortatus;
Obœdientiæ, subdens se parentibus, subjiciens principibus, legi veteri, obœdiens Patri usque ad
mortem, mortem autem Crucis;
Orationis, crebro rogans Patrem, semotus turbis, pernoctans in oratione Dei, præterquam quod
mens ejus in omni loco, tempore per contemplationem, amorem, laudem, gratiarum actionem,
divinitati conjuncta est;
Zeli honoris Dei et salutis animarum, dum facto flagello ejicit e templo ementes et vendentes,
circumit totos dies vicos et oppida prædicans regnum Dei, nulli parcens labori, nullis cedens
injuriis, in fame et siti, in vento et pluvia, in æstu et frigore, per aspera et lutosa, et nudo capite,
nudis pedibus; item fatigatus laboribus, afflictus doloribus, affectus contumeliis, appetitus
lapidibus; multis malis pro beneficiis exceptus; sponte se in mortem et omne genus tormentorum
tradit pro gloria Dei et salute hominum;
Patientiæ et Mansuetudinis, tum in tota vita, maxime in Passione, qui cum malediceretur non
maledicebat, cum pateretur non comminabatur, tradebat autem judicanti se injuste. Qui peccata
nostra pertulit in corpore suo super lignum. Qui etiam pro iis qui eum tot contumeliis et tormentis
afficiebant in mediis tormentis Patrem rogavit.
Simili modo dedit nobis exempla modestiæ, et gravitatis; maturitatis et sobrietatis; castigationis
corporis, et vigilantiæ. Item circumspectionis in dictis et factis, benignitatis et affabilitatis,
compassionis et misericordiæ, et aliarum virtutum, ita ut tota ipsius vita exacte respondet ipsius
doctrinæ.
Et hæc exempla adeo eximia et perfecta sunt, ut præstantiora animo concipi nequeant.
Asc,2285:T12,3
Quantum autem sit hoc beneficium exempli exinde patet quod sine ipso nihil, vel certe parum actum
erat in genere humano ad vitæ sanctitatem, ut ostensum, longe enim majorem impressionem faciunt
viva exempla quæ oculis videntur et manibus palpantur, quam sublimis doctrina longe a sensibus
remota. Hæc exempla tanti steterint Filio Dei, ideo enim tot annis in terris nobiscum versatus est, tot
labores subiit, tot calumnias et acerbitates sustinuit, tam gravia et indigna passus est.
Neque enim ad solvendum pretium nostræ salutis, tot, et tam diuturnis perpessionibus et laboribus
opus erat, una enim precatio vel sanguinis gutta ad abluenda totius mundi peccata sufficientissima
erat; sed ad lucentissimum exemplum omnis virtutis et perfectionis exhibendum illa erant
potissimum necessaria.
Quamvis simul in illis subeundis non solum exemplum et imitationem, sed etiam redemptionem et
solutionem nostri debiti spectaverit ut propitiatio et redemptio nostra eo copiosior et redundantior
esset; ratio tamen exempli et imitationis videtur esse præcipua, cum modum redemptionis tantopere
excesserit.
Hinc: Christus passus est pro nobis, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia ejus (1 Petr.
2).
Christo igitur passo in carne, et vos eadem cogitatione armamini (id. cap. 4).
Cupientibus regnare cum Christo inter primos respondit Jesus: “Potestis bibere calicem, quem ego
bibiturus sum” (Matth. 20).
Paulus passim Christum crucifixum ut exemplar omnis sanctitatis imitandum proposuit.
Non ergo Christo Domino tantopere cordi fuisset exemplum omnium virtutum nobis præbere nec
propter hoc tot labores et dolores pertulisset, si ejus exemplum nobis necessarium non fuisset.
Hoc Sancti omnes intuiti sunt, Martyres excitavit, ex hoc omnia Sanctorum exempla veluti ex
prototypo sunt deducta.
Quare sicut Pictor qui eximiam aliquam formam in tabula vult depingere assidue propositum habet
exemplar, quod vult imitari ad illud creberrime intuens, ut illi suam picturam quantum fieri potest
assimilet. Ita quivis christianus, cujus tota professio Christum induere, imitari Christum, imaginem
Christi in se exprimere, ut dicere possit cum Paulo: “Vivo ego jam non ego, vivit vero in me
Christus”; debet Christi vitam et conversationem semper præ oculis habere, menti imprimere,
imaginationi sibi representare, ita ut hæc cælestis forma ex intellectu transeat penitus in affectum,
ex affectu in opus, totamque vitam externam, ut foris et intus simus omnino Christo similes, et
christiformes.
Est enim summa hominis christiani perfectio similem esse Christo Domino; nam non est discipulus
supra magistrum, perfectus autem omnis erit, si sit sicut magister ejus: tales fuere omne sanctitate
vitæ eximii.
Asc,2285:T13,1
De beneficio liberationis a peccato, et a morte æterna
Liberatio a peccato beneficium est immensum, sive spectes malum quod tollitur, modum et
difficultatem qua sublatum est.
Quoad malum: sicut Deus est summum bonum, bonum infinitum, ita peccatum quod repugnat
divinæ bonitati est summum malum, immensum malum: crescit enim magnitudo offensionis ex
magnitudine personæ offensæ, quo ita dignior, eo injuria est gravior.
Hinc fit ut nulla creatura possit ex æquo pro peccato mortifero satisfacere longe enim preponderaret
peccatum, si in statera appensum fuisse cum tota bonorum operum collectione, quæ umquam ab
Angelis vel hominibus facta fuissent.
Tota enim illa collectio est finitæ bonitatis, et quasi nihilum ad honorem tantæ Majestatis debitum,
at peccatum cum repugnet illi Majestati, infinitam quandam continet malitiam, utpote superioris
ordinis in ratione mali, quam sint opera justorum in ratione boni. Unde demonstratur ex Patribus
necessitas Incarnationis Verbi ut pro peccatis justa satisfactio et pretium æquale divinæ Justitiæ
exhiberetur.
Hinc patet peccatum natura sua esse irremissibile ac proinde constituere hominem in termino, et
ipso facto illum æternis penis addicere sine ulla spe liberationis.
Unde peccatum dicitur mors animæ, sicut enim mors constituit in termino, eo quod vita semel
amissa non viribus creaturæ recuperari potest, ita peccatum quum tollat vitam animæ, quæ nullius
creaturæ ope restaurari potest, hominem in termino, et in æterna damnatione constituit.
Sic Angeli perierunt, quia non habuerunt Deum Redemptorem, qui pro ipsis satisfaceret, et vim
peccati ad inferos trahentis suspenderet. Idem nobis accidisset sine Christo Redemptore nostro. Est
enim peccatum veluti quoddam pondus creaturam infinito quodam impetu deorsum in infernum
trahens, cui non potest obsistere nisi sola Dei Misericordia, et omnipotentia.
Ergo peccatum est malum insuperabile, immensum, ac proinde ejus solutio, et deletio infinitum est
beneficium.
Asc,2285:T13,2
Liberatio a morte æterna. Hoc beneficium continetur quidem in priore, remissa enim culpa tollitur
etiam reatus pœnæ æternæ, tamen hæc mala sunt distincta, et diversi ordinis, quamvis alterum ab
altero pendeat.
Unde duplex beneficium, nec minores gratiæ agendæ, quam si alterum ab altero non penderet.
Etsi enim peccatum originis per se non mereretur pœnam ignis æterni, tamen illo non remisso
necesse erat in multa peccata mortifera prolabi, quibus æternus cruciatus debetur.
Hæc sane infinita quædam erat miseria, cui omnes miseriæ hujus vitæ, etsi in infinitum
multiplicentur, non valent comparari; omnes enim istæ breves et momentaneæ sunt; illa vero
(præterquam omnia tormenta, quæ mortalis natura, non dico præferre, sed vel sentire, et capere ad
breve tempus potest, acerbitate longe superat), nullum finem habet.
Perpende modo quod sit esse in illo teterrimo carcere, in illis horrendis tenebris, semotum ab omni
luce, creaturarum amœnitate, omni solatio, in summis omnium sensuum cruciatibus, in acerrimis
illis incendiis, ibi torreri et ardere, idque non unum diem vel annum, non centum annos, non mille,
non centum annorum millia, sed infinitos annorum milliones quamdiu stabit orbis, quamdiu vivet
Deus, absque ulla spe liberationis vel dolorum intermissione.
Quis non dicat hanc miseriam esse immensam et incomprehensibilem? Ac proinde infinitum
beneficium quo illa sublata fuit?
Ab infinita enim miseria nos eximere est misericordia infinita, beneficium infinitum.
Adde modum quo hoc beneficium nobis tulit. Solvendo nempe pœnas in suo corpore, quæ peccatis
nostris debebantur, quæ ob infinitam personæ dignitatem facile compensare poterant nostrarum
pœnarum æternitatem.
Asc,2285:T14,1
De Beneficio Adoptionis
Adoptio filiorum, et jus vitæ æternæ, beneficium est a prioribus distinctum, non enim cohæret
necessario cum remissione peccati, vel pœnæ, si naturam rerum spectemus.
Quum enim Princeps condonat alicui quem ex humillimo statu adoptarat crimen commissum
remittens injuriam, indulgens pœnam, abstergens infamiam, non eo ipso rursus adoptat in filium,
tribuit jus ad regnum, sed satis multum est, si cum tantis malis liberatum patiatur vivere in proprio
statu, quem ante adoptionem habebat.
Pari modo non erat necesse ut Deus condonato peccato et supplicio debito non rursus in filios
adoptaret, sed poterat relinquere in statu naturæ, et pro mercede dare statum angelicum, qualis
Angelis est naturale: præclare adhuc nobiscum actum fuisset, quando tantis exempti malis
potuissemus ad tam eximium statum nostræ naturæ conditionem tantopere excedentem aspirare,
esse nimium Angelis similes immortalitate, impassibilitate, agilitate; item sufficientia sui, qua quis
sibi sufficiens æternis præsidiis non indiget; exacta omnium rerum creatarum notitia.
Negari non potest quin sit felicitas longe major quam omnes honores, divitiæ, voluptates hujus vitæ
adferre possint homini sanissimo et omnibus naturæ præsidiis ornatissimo.
Verum his contenta non fuit immensa illa bonitas, sed incomparabiliter majora nobis præparavit;
non enim solum condonat injuriam peccati et pœnam æternam, et evehit ad spiritualem naturæ
sortem naturalem, sed rursus adoptat in filios, restituit jus regni cælestis et divinæ hereditatis, quæ
naturali Angelorum felicitati infinite est præstantior.
Asc,2285:T14,2
In hoc beneficio quattuor sunt consideranda, nempe:
1. Status unde evehit
2. Status ad quem evehit
3. Bonum quod inde expectamus
4. Medium quo id præstitit.
1. Evehit enim nos cum essemus inimici, indigni omni benevolentia vel beneficio vel bono, æternis
suppliciis obnoxii et addicti.
2. Evehit autem nos non ad statum aliquem mediocrem, ad felicitatem humanæ vel angelicæ naturæ,
sed ad statum supremum, divinum, ut simus filii Dei, hæredes Dei, cohæredes Christi, consortes
divinæ gloriæ, participes omnium divinorum bonorum.
3. Ex quo tantum bonum, gaudium et gloriam expectamus, quantam nec oculus vidit, auris audivit,
in cor hominis ascendit; quanta distantia inter statum a quo erepti, et ad quem evecti sumus, inter
infimum, quo infra omnem creaturam eramus depressi, et inter summum quo supra omnem naturæ
creatæ excellentiam attollimur, inter statum inimici Dei, et filii ejus carissimi.
Sane negari non potest quum immensum sit horum statuum intervallum, quum plures gradus diversi
ordinis (quorum proinde discrimen est incomparabile et immensum) sunt interjecti.
Nam inter statum peccati, et statum naturæ nudæ et innocentis, innocentis naturæ humanæ, et
Angelicæ, Angelicum et Filiorum Dei, est quoddam intervallum infinitum.
Tantum enim inter hos status est discrimen, ut nulla bonorum ejusdem ordinis appositione ab
inferiore ad superiorem perveniri vel ascendi possit.
Qui enim est in statu peccati mortiferi, etsi absque fine divitiis, honoribus et imperiis cumuletur,
miserrimus est, nec umquam ei qui in statu naturæ innocentis vivit comparari poterit; peccati enim
mortiferi malignitas nullis bonis opprimi potest quum hominem infelicissimum et vilissimum faciat.
Qui vero in statu naturæ innocentis numquam poterit ad perfectionem angelicam pertingere etiamsi
absque fine bonis humanis, quorum scilicet natura illius vi sua est capax, ut robore, agilitate,
pulchritudine, sic sanitate, eloquentia, industria, item experientia, artibus liberalibus, mechanicis;
item mathesi, astronomia, cæteris scientiis augeatur: tota enim humanæ naturæ perfectio ad
angelicam comparata est veluti nil, et veluti punctum ad cælorum immensitatem.
Denique angelica perfectio etiamsi absque fine in suo ordine crescat, numquam statum filiorum et
gloriam ipsis præparatam æquabit.
Ex quibus constat quam immensum sit intervallum inter statum illum e quo per misericordiam Dei
erepti, et illum ad quem evecti sumus, ac proinde quam immensum sit beneficium adoptionis.
Asc,2285:T14,3
4. Medium quo adoptionem nobis contulit est etiam prorsus mirabile.
Nam primo unum hominem in filium naturalem assumpsit, tota divinitatis plenitudine in ipsum
refusa et substantialiter unita.
Per hunc adoptat et filios Dei efficit quotquot illi homini per fidem et Sacramenta, tamquam rami
trunco vel palmites viti inseruntur, statim enim ac quis inseritur et adhærescit Christo, a Spiritu
Christi, qui est ejus Divinitas veluti animatur et vivificatur, ac proinde efficitur filius Dei: qui enim
spiritu Dei aguntur, hi sunt filii Dei, eodem enim spiritu vivunt quo vivit Deus ipse et Christus
Filius Dei, etsi diverso modo hic Spiritus ipsis communicetur: qua adhæret Deo uni spiritus est.
Nam personis divinis, humanitati Christi, et nobis communicatur per identitatem, idque vel
immediatam necessitatem ut Patri, generationem ut Filio, inspiratione ut Spiritui Sancto; per
hypostaticam unionem; per quamdam extensionem qua mediatur dono gratiæ justificantis incipit
esse noster spiritus et nostra vita; nos inhabitans, ornans, movens, regens, et omnes vitales
functiones Deo placentes in nobis excitans et edens.
Itaque hoc Spiritu Divinæ Personæ vivunt naturaliter quum illarum sit esse et vita naturalis;
Humanitas Christi quasi naturaliter vivit propter substantialem unionem; nos vero omnino
spiritualiter vivimus, est enim ut ita dicam nostra vita supervitalis, essentia superessentialis.
Cogita Spiritum Christi esse veluti immensa quamdam animam, quæ angustiis hujus humanitatis
non coercetur, sed in omnem partem in infinitum quasi exundat; itaque sufficiens est ut non solum
illum hominem, sed etiam omnes illos qui ipsi adhærent, vivificet, et consequenter filios Dei
efficiat.
Asc,2285:T14,4
In illis qui justificantur sequuntur effectus sequentes:
1. Remissio peccatorum quæ fit per gratiam justificationis, non quatenus præcise est donum
creatum, sed quatenus unit nobis Spiritum Sanctum, seu naturam divinam.
2. Constituit filios Dei tamquam naturæ divinæ participes.
3. Ita secum trahit naturam divinam, eaque nobis præsentem et inhabitantem facit ut etiamsi ipsa
non esset ubique aut immensa, tamen eam nobis intime præsentem sisteret, quia hæc unio non fit
solum per affectum et amorem, sed est unio per naturæ communicationem et inhabitationem
Spiritus. Non enim possemus dici filii Dei et participes divinæ naturæ, si divina natura non sit in
nobis, sed foret procul a nobis separata. Hinc dicitur in justificatione Spiritus Sanctus nobis dari,
ipse Deus ad nos venire et in nobis manere.
4. Tribuit jus ad vitam æternam, eaque nos dignos reddit.
5. Opera nostra bona efficit digna vita æterna, non præcise quia sunt supernaturalia, non enim sunt
condignæ passiones hujus temporis ad futuram gloriam, sed quia sunt condigna moralis
æstimationis, quam accipiunt a divinitate inhabitante et constituente filios Dei, seu quatenus sunt
opera filiorum Dei et Deificatorum.
Asc,2285:T15,1
De Beneficio thesauri perpetui meritorum Christi
Filius Dei ita negotium nostrum cum Divina Justitia composuit, ut non tantum semel nobis fieret
peccatorum remissio, et restitueretur adoptio et jus vitæ æternæ, sed quotiescumque contigeret nobis
relabi et converti: quæ certe misericordia est prorsus inaudita et inæstimabilis.
Quis umquam Princeps ita clemens et misericors ut paratus sit ignoscere crimina læsæ majestatis
vel alia capitalia, quotiescumque quis illa committit et veniam postulat, aut parens in filium ita
indulgens ut semper recipiat in gratiam quoties post nova scelera veniam petat.
At Deus non semel indulget naturæ legem relaxans et peccatum mortiferum natura sua
incondonabile efficiens remissibile, sed etiam paratus est millies id facere; nec solum est paratus
remittere, sed etiam thesaurum infinitum meritorum et satisfactionum construxit, unde copia nobis
suppeteret exhibendi æquivalens noxæ et omnem injuriam sarciendi.
Hic est thesaurus ex quo hauriuntur omnes divitiæ spirituales et æternæ; est omnium bonorum
inexhaustus oceanus, sine quo nil actum erat.
Etsi enim una remissio et adoptio infinitæ sit æstimationis, parum tamen nobis profuisset si semel
vel bis tantum potuisset nobis obtingere, adeo inconstans, infirma et ad malum prona est voluntas
nostra.
Si Angelis semel peccantibus, vel semel oblata fuisset facultas reconciliationis, infinite id
æstimassent et infinito beneficio se putassent affectos.
Quanti nobis æstimandum erit, quibus sine fine peccantibus, sine fine et numero et limitatione
offertur remissio, constituitur thesaurus, unde satisfaciamus toto debitis, tam immensis et infinitis?
Asc,2285:T15,2
Ratione hujus thesauri Christus:
1. Dicitur interpellare pro nobis et esse noster advocatus apud Patrem, non semel vel bis tantum, sed
semper et assidue, tum quia omnia ejus merita et preces quas habuit in hac vita mortali semper
manent in conspectu et acceptatione Dei, et totius Trinitatis nobis misericordiam et gratiam
flagitando; manet enim Christus apud Patrem in eadem benignissima erga nos mente, quam habuit
in hac vita, cupiens nobis sua merita secundum ordinem suæ Providentiæ prodesse; ejus merita non
possunt exhauriri nec plene umquam compensari cum sint infinitæ æstimationis.
2. Dicitur quod Christus sit apud Patrem et semper vivens ad interpellandum pro nobis.
Duæ circumstantiæ hinc notandæ, quia plus potest qui præsens est Regi, et in summa auctoritate,
quam qui absens est, vel minoris auctoritatis; adde quod præsentia sui corporis in quo manent
vestigia vulnerum memoriam excitat eorum quæ gessit et passus est, et tacita ipsa specie petit
mercedem; major ratio haberi solet vivorum quam mortuorum, et in vivo perseverare potest
pristinus amor et benigna affectio juvandi.
Perpendenda hic summa facilitas qua thesaurus iste nobis applicatur et communicatur.
Potuisset, et merito Divina Bonitas multas et diuturnas asperitates a nobis exigere, quæ sane
recusandæ non forent, imo summis votis amplectendæ ad tantum bonum obtinendum, sed noluit
præ nimia dulcedinis suæ abundantia, unde sola a nobis peccatorum displicentia, cum proposito
emendationis requisita, externas quasdam cæremonias constituit numero paucissimas, usu
facillimas, virtute efficacissimas. Item forma decentissimas, significatione sanctissimas, quibus
hunc thesaurum, et simul reconciliationem, adoptionem, jus vitæ æternæ inclusit, ut eo ipso quo
cærimoniis illis utimur, ista omnia bona consequamur.
Habent enim illæ cæremoniæ et externi ritus ex divina ordinatione annexa et inclusa merita Christi,
unde eo ipso quo illas usurpamus, illa merita nobis donantur, et quodammodo nostra fiunt, ac si a
nobis præstita essent.
Asc,2285:T15,3
His Christi meritis ditati:
1. Satisfacimus condigne pro culpis omnibus mortiferis et pœna æterna omnem injuriam Deo
illatam compensantes ex æquo, quidquid enim satisfactionis præstare possumus, si non est
conjunctum cum meritis Christi infinite abest ut par esse possit culpæ letali et pœnæ æternæ, et pro
ipsis condigne satisfacere, sed applicatione ista meritorum Christi per Sacramenta ex thesauro
Christi facta, nil deest quominus divinæ Justitiæ condignam compensationem (utpote ipsius Christi
satisfactionem nobis donatam) possimus exhibere.
2. Digni efficimur adoptione divina, qua in filios Dei adoptamur; qua obtenta jam habemus jus vitæ
æternæ et regni cælestis.
Si enim filii, et hæredes (Rom. 8). Nullum verum opus creaturæ etsi supernaturale, si per se
spectetur, tanti est pretii, ut hanc tam eximiam sublimationem possit ex dignitate promereri, solum
id possunt merita filii Dei, idcirco ea nobis communicare voluit.
3. Meremur divinam protectionem qua nos tamquam filios protegat et dirigat usque in finem.
Non enim satis erat peccata condonari, Deo reconciliari, adoptari in filios Dei, sed oportebat adesse
alterius protectionem et directionem divinam, per quam in finem usque in statu filiorum adversus
omnes tentationes carnis, mundi et Satanæ possemus perseverare.
Hæc itaque custodia et gubernatio divina ob idem Christi meritum nobis in Sacramento collatum est
debita uti reconciliatio et adoptio.
Adde quod ad hæc tam mira bona obtinenda non requiritur ut in veteri lege, tam perfecta animi
comparatio, utpote egens multo lumine, multa gratia excitante, multo conatu naturæ. Nam ut via
salutis omnibus facilis esset et pateret, et nemo asperitate remedii deterretur, dispositione animi
contentus rudi et imperfecta, thesaurum istum externis quibusdam ritibus, quorum usus cuilibet
facilis et expeditus sit inclusit, ita ut nemo sit qui non facile quamdiu est in hac vita Deo reconciliari
et amissam salutem recuperare possit, nec quidquam excusationis possimus prætendere si a salute
exciderimus.
Asc,2285:T15,4
Notandum vero quod etiamsi merita Christi sint infiniti valoris, non tamen semper communicantur.
Communicantur enim ad duos potissimum effectus, ad remissionem peccatorum et adoptionem
filiorum, seu ad satisfactionem et ad meritum.
Porro ad primum effectum communicatur quodammodo infinite et sine mensura, nam ita nobis
datur, ut ejus communione efficimur digni remissione omnium peccatorum etiam infinitorum,
satisfaciamus enim per illa pro omnibus salutem quoad culpam et pœnam æternam.
Verum pro pœna temporali non semper, unde quoad hanc est limitatio in applicatione, sed id
provenit ex insufficientia et imperfectione nostræ dispositionis, non ex circumspectione vel defectu
virtutis meriti Christi Sacramento annexi.
Ad secundum effectum non ita applicantur ut efficiamur infinite grati et digni, infinito quodam
adoptionis gradu, sed secundum certum modum divinitus limitatum et prout dispositio major vel
minor in nobis fuerit.
Itaque meritum Christi ut Satisfactio habet effectum in nobis quodammodo infinitum, quia
respondet infinitis peccatis, illa ex æquo compensans et excedens. Meritum bonorum
supernaturalium habet effectum magis limitatum: quum enim hæc communicatio meritorum, non
physice, sicut in Christo, sed moraliter fiat per imputationem et acceptationem, tota pendet in suis
effectibus ex ordinatione Sapientiæ divinæ, sic, vel sic instituentis, et merita Christi diversis modis
annectentis.
Unde continent quidem omnia Sacramenta meritum Christi infinitum, sed illud applicant ad
majorem vel minorem effectum pro ratione dispositionis; quamvis ea quæ perfectiora et digniora
sunt, cæteris paribus ad eandem dispositionem majorem gratiæ, effectum conferant.
Asc,3403:S
Speculum animæ – De Imitatione Christi
Pubblicato in Lanterianum, settembre 1996, pag. 13-24 (traduzione italiana a cura di P. Calliari, pag. 24-31).
Si tratta di uno scritto del P. Lanteri (AOMV, S. 3,1,4:403) di grande importanza per comprendere la centralità
dell'Imitazione di Cristo nella sua spiritualità.
Il P. Calliari scrive: “Lo scritto autografo è di pp. 8 in 8o piccolo. È una raccolta rielaborata di pensieri teologicoascetici sull'Imitazione di Cristo, uno dei temi spesso trattati dal Lanteri anche in altri scritti, desunti da S. Bonaventura,
S. Bernardo, il Lessio, il P. Gesuita Vaubert, il Nouet, il Saint-Jure, e altri”.
Non si conosce con esattezza l'epoca esatta della composizione di questo scritto, “è accertato e pressoché sicuro non
essere anteriore all'anno 1800, o posteriore all'anno 1813. Con ogni probabilità lo scritto risale al periodo della
relegazione alla Grangia (1811-1814)”.
Dal P. Calliari è ancora messo in risalto che si tratta “di un'opera tutta di getto, cioè senza le aggiunte che di solito si
trovano in altri scritti”, lo si deduce “dall'uniformità della calligrafia, dell'inchiostro e della penna”. Da notare ancora
che “la diecina di pagine in bianco dello stesso quaderno farebbero pensare che l'argomento sia stato lasciato in sospeso,
forse in attesa di ulteriore completamento, che poi non ci fu”.
Asc,3403:T1
Speculum repræsentat adamussim…
1. Speculum repræsentat adamussim imagimem, omnes motus et affectiones ipsas.
Angeli sunt specula et lumina perfectionum Dei.
Animæ sunt specula et lumina Dei vel demonis, et debent tum ex creatione esse (specula) Dei.
Sed Deus qui erat sequendus videri non poterat, homo qui videri poterat non erat sequendus.
Ut ergo exhiberetur homini, et qui videretur ab homine et quem sequeretur homo, Deus factus est
homo.
Fecit nempe de corpore suo speculum animæ meæ.
Imago ad eum qui est ad imaginem venit cum quærit quod est ad similitudinem sui, ut iterum signet
et conformet.
Sed debet esse speculum sine macula, et quidquid creati afficit, inficit.
Ubi enim thesaurus est, ibi et cor, et ubi cor, ibi et oculus, hoc est cogitatio.
Attendendum ergo: 1. ad cogitationes intrantes et manentes; 2. ad verba exeuntia. “Ex fructibus
enim cognoscetis eos”.
2. Spiritus Christi duo corpora vivificat, nimirum corpus ipsius verum et mysticum: hinc vita
passibilis Christi.
In morte cessavit in propio corpore, cœpit in mystico corpore.
Quia cum non amplius posset pati et mereri in propria persona, voluit suas passiones et merita
continuare in suis membris mysticis, ut sic Patrem glorificaret per sanctas actiones vitæ patientis
usque ad consummationem sæculi.
Unde Christiani vita proprie non est, nisi expressio et continuatio vitæ Jesu, quæ quodammodo
completa non est, sed quotidie completur in sanctis qui ejus exempla sequuntur, et complebitur in
fine mundi.
Unde dicit Augustinus: “In capite dixit consummatum est, restant in membris passiones”.
Dicit Paulus: “Ipsum dedit caput super omnem Ecclesiam quæ est corpus et plenitudo ejus, qui
omnia in omnibus adimpletur”.
Quod dicit de passionibus, dicitur etiam de omnibus actionibus virtutis quas fideles agunt in eodem
spiritu.
Idcirco Christianus qui est membrum Christi et vivit ipsius spiritum, per proprias actiones virtuosas
continuat actiones Christi quas ipse fecit in vita sua mortali.
Unde quando orat, laborat, conversat in caritate, continuat Jesus orationem, vitam laboriosam,
conversationem cum hominibus.
Sic Christianus est imago Christi, sicut Christus imago Patris.
Ideo Jesus cuique dicit: “Pone me ut signaculum super cor tuum, super brachium tuum”.
Asc,3403:T2
Hoc modo:
1. Placebis Patri, quia Filius est figura substantiæ ejus. Ergo imitando Filium, anima fit imago
Patris, vel exemplar et extensio imaginis ipsius, in quo Pater sibi complacet, et perget sibi
complacere in vita Christiani, quasi in odore vestimentorum Filii sui.
Nec aliter sibi complacebit, quia “quos præscivit hos prædestinavit conformes fieri imagini Filii
sui”. “Hic est Filius meus dilectus, ipsum audite”.
Ideo omnes salvandi debent habere signum Tau.
2. Placebis Filio quia sicut Ipse est sigillum Patris, ita quando ipsum imitaris, sigillum ipsius super
te imprimis et illo uteris sicut optat, quia sigillum factum est ad imprimendam imaginem quam
habet.
Item, quia nos ardentissime amat nil aliud optat quam strictissime nobiscum uniri sicut ardenter
postulavit pridie quam pateretur: “Ut sint consummati in unum”.
Verum perfecta unio consistit in hoc quod sis unum cum Ipso, sicut Ipse est unum cum Patre,
nempe in natura, in virtute, in operatione, cum hoc discrimine quod Ipse est unum per naturam, nos
vero unum sumus per participationem, per adoptionem, per gratiam, et per voluntatem.
3. Placebis Spiritui Sancto quia sequimur ductum ejus, qui nil aliud suggerit et optat quam Christum
formare in corde nostro, sicut formavit in ventre Mariæ Virginis.
4. Placebis Ss. Trinitati cujus finis est perficere in nobis imaginem suam, et efficere ut vivamus
vitam ipsius Dei, quod fit in nobis quando imitamur Christum.
Quia Jesus quum esset Deus et homo non poterat nisi vivere vitam divinam, nec facere opera Dei,
unde si exercebat ex. gr. opus misericordiæ movebatur secundum cor Dei et conformabatur bonitati
Dei, perfecte in omnibus imitando modum agendi Divinitatis ipsius.
Nos vero qui Deum non videmus, Jesum habemus visibilem in actionibus suis theandricis, quas
possumus imitari, et eas imitando, imitari Deum: quo nil sublimius!
Cave ergo imitari, secus faciendo, phariseos qui consilium Dei spreverunt in semetipsis.
Asc,3403:T3
Jesum sequendo…
Jesum sequendo non deest:
1. Lumen intellectus: “qui sequitur me non ambulat in tenebris…”.
“Sequere me!”.
“Accedite ad eum et illuminamini”.
“Illuminans tu mirabiliter a montibus æternis…”.
“Unigenitus qui est in sinu Patris ipse enarravit vobis…”.
“Lucerna pedibus meis verbum tuum”.
Lucerna est lumen in testa, lumen in vase est divinitas in humanitate.
Lumen divinitas, vita est via, tenebræ sunt ignorantiæ.
Præcedit Christus tenens lucernam, sequitur christianus tenens exempli semitam.
Proposuit humanitatem lucentem divinitate, extulit lucernam ut videamus in fide, ambulemus in
operatione, dirigamur imitatione.
Domus totus mundus est.
Lucernæ accensio est Verbi Incarnatio. Candelabrum est lignum Crucis. Lucerna in candelabro
lucens est Christus in Cruce pendens.
Vides tu, videamus et nos; tenebræ sunt, non offendamus.
Luceat nobis lucerna, doceat nos Verbum in carne (Augustinus).
2. Consolatio cordis, nam quidquid voluntatem allicere potest invenitur in exemplo vitæ et Passionis
Jesu, qui est dulcedo inæstimabilis, per quem omnia dulcorantur.
3. Virtus perficiendi. Jesu enim dat velle et perficere.
Le prophète Élisée mit sa main sur celle du roi Joas avant qu'il tirât des flèches contre la Syrie pour
le rendre victorieux: de même nous fait Jésus.
Sine Jesu nil est in homine, nil est innoxium, sed si Jesus pro nobis, quis contra nos?
Quis potest laborare, sequens Jesum cum Ipse dicat: “Venite ad me omnes qui laboratis et onerati
estis et Ego reficiam vos”.
Sequamur ergo Jesum semper nec desinamus, quod si semper sequamur, numquam deficimus.
Dat enim vires sequentibus se. Itaque qui proprior virtuti fueris, eo fortior eris.
Asc,3403:T4
Gesù ci ha scelti per fare i suoi interessi, e dare corso alle sue massime, prendendo la difesa della
virtù contro le perniciose massime del mondo. “Spectaculum facti sumus mundo et Angelis et
hominibus”. “Quoniam propter te sustinui opprobrium”. “Noli vinci a malo, sed fac in malo
bonum”.
Il faut paraître à l'exemple de Jésus-Christ comme un Dieu conversant dans une chair mortelle avec
l'étonnement de l'univers.
Quelle gloire d'un chrétien qui vit de telle sorte qu'on peut dire que c'est un autre Jésus-Christ, que
ce sont des actions du Verbe Incarné, que c'est la Sagesse éternelle qui parle par sa bouche, à
l'exemple de Jésus-Christ qui disait: “Philippe, qui videt me, videt et Patrem meum”.
Quia sicut in cera imprimitur sigilli regis figura, ita in humanitate caracter et figura Dei.
Comme toute la gloire du Verbe Incarné est d'être l'image du Père, ainsi toute la gloire du chrétien
est d'être l'image du Verbe en quoi consiste toute la sainteté de cette vie et la félicité de l'autre.
Salvus sum si non confundar de Domino meo.
Beatus qui non fuerit scandalizatus in me.
Qui me confessus fuerit, confitebor et ego eum.
Qui me erubuerit, et sermones meos, hunc Filius hominis erubescet cum venerit in majestate sua.
Imus ad æternitatem, et Jesus est via, terminus, lux, veritas, magister, viaticum, socius, vita, adjutor.
Asc,3403:T5
Pratique pour l'imitation
a) Induimini ergo Dominum Jesum Christum: une grande résolution d'imiter Jésus-Christ.
b) Au commencement de chaque action:
1. Donnez un regard simple et amoureux à Jésus pour regarder comment il faisait ce que vous allez
faire, comment il le ferait s'il se trouvait à votre place.
2. Animez cette vue d'un grand désir de lui plaire, de le contenter, de l'honorer.
3. Unissez votre cœur au sein et votre action à la sienne afin d'en tirer forces et vigueur pour la faire
dans son esprit, c'est-à-dire dans toutes les vues et dessins, dans toute la perfection qu'il désire que
vous la faisiez.
4. Priez qu'il mette sa main sur la vôtre, qu'il travaille avec vous, car sans lui vous ne pouvez faire
rien que de défectueux.
c) Dans l'examen du soir, confrontez vos actions avec celles de Jésus-Christ.
Demandez-lui pardon par ses sacrées plaies.
Recevez avec respect le sang qui en découle pour laver vos taches et fautes de l'âme.
Prenez une forte résolution de vous rendre plus fidèle à l'exemplaire Jésus.
d) Tempore meditationis, Sanctæ Missæ, Visitationis Sanctissimi, souvenez-vous que Jésus-Christ
est le cachet du Père dont il marque tous les prédestinés, et que si toute sa gloire est d'être l'image de
son Père, le caractère de sa substance, aussi tout notre bonheur est d'en recevoir l'impression, d'en
porter les traits et les linéaments.
Figurez-vous qu'il vous invite à le graver bien dans votre cœur. Priez-le qu'il le grave lui-même,
qu'il l'imprime profondément dans toutes les puissances de votre âme.
Priez-le qu'il s'applique à vos yeux pour sanctifier vos regards, à votre bouche pour consacrer toutes
vos paroles, à votre entendement pour purifier toutes vos pensées, à votre volonté pour régler toutes
vos affections, à votre corps et à votre âme pour y imprimer des marques éclatantes de son humilité,
de sa pureté, de son innocence, de toutes ses vertus.
Asc,3403:T6
Paradisus noster Jesus Crucifixus; quique fontes ex eo manant:
1. une source de miséricorde pour effacer nos péchés;
2. de sagesse pour éclairer nos âmes contre la prudence de la chair et contenter notre soif de justice;
3. de dévotion pour arroser les plantes des vertus, et de nous rendre fertiles;
4. de charité pour enflammer notre zèle, embraser notre cœur des flammes d'amour;
5. de vie qui est réservée dans l'éternité.
“Propter hos quattuor fontes, quattuor in locis vulneratus est Jesus adhuc vivens in Cruce; propter
quintum cum jam tradidisset spiritum, transforatus est in latere” (S. Bernardus).
“Semper oculis cordis sui Christum in Cruce tamquam (actu) morientem videat qui devotionem in
se vult conservare inextinguibilem” (S. Bonaventura).
“Apud te est fons vitæ, ad te levavi animam meam, tamquam vas ad fontem attuli: imple ergo me,
quoniam ad te levavi animam meam” (S. Augustinus).
“Submerge in Sanguine Christi Crucifixi, immerge te Sanguini, satia te Sanguine, inebria te
Sanguine, vesti te Sanguine, dole super te in Sanguine, recrea te in Sanguine, cresce et confortare in
Sanguine immaculati, vulnerati, atque occisi Agni” (S. Caterina da Siena).
Asc,3403:T7
Modus imitandi Christum in virtutibus cardinalibus
Ubi vera prudentia nisi in Christi doctrina?
Ubi vera justitia nisi in Christi misericordia?
Ubi vera temperantia nisi in Christi vita?
Ubi vera fortitudo nisi in Christi Passione?
Soli ergo prudentes qui Christi doctrina imbuti sunt;
soli justi qui Christi misericordia veniam consecuti sunt;
soli temperantes qui Christi vitam imitari student;
soli fortes qui Christi patientiæ documenta fortiter in adversis tenent.
Incassum ergo laborat qui in adquisitione virtutum aliunde eas sperandas putat quam a Domino
virtutum, cujus doctrina est seminarium prudentiæ, cujus misericordia est opus justitiæ, cujus vita
est speculum temperantiæ, cujus mors insigne est exemplum fortitudinis.
Securus es si te præcedit veritas, sine ipsa frustra laboras.
Ad ipsum imus, per ipsum imus, quid timemus?
Discite a me quia mitis sum, et humilis corde.
Sur l'humilité, lisez Vatier, Exercices spirituels, Réflexions sur la méditation des 2 étendards, la 3e
partie de la méditation des degrés de l'humilité, Entretien du 6e jour sur l'humilité, remarque 16.
Lessius, De justitia et jure. S. Bonaventure.
Asc,3403:T8
De l'Imitation de Jésus-Christ.
“O veritas Deus fac me unum tecum in caritate perpetua.”
“Tædet me sæpe multa legere et audire: in te est totum quod volo et desidero”.
“Taceant omnes Doctores, sileant omnes creaturæ in conspectu tuo. Tu mihi loquere solus”.
L'esprit de Jésus anime deux corps, son corps réel et son corps mystique: ainsi il a deux vies, l'une
dans son corps, l'autre dans le corps de l'Église et dans tous les fidèles qui en sont les membres.
Il finit à la mort sa vie “passible” dans son corps, mais il l'a commencée dans son corps mystique, il
voulut continuer ses souffrances, ses mérites. De sorte que la vie d'un chrétien n'est qu'une
expression et une continuation de la vie de Jésus. (Vide etiam Saint-Jure, Retraite sur l'amour de
Jésus-Christ, Méditation fondamentale).
Jésus-Christ nous a choisis pour porter ses intérêts, pour donner cours à ses maximes en prenant la
défense de la vertu contre les pernicieuses coutumes du monde.
Jésus-Christ est tout ensemble notre chemin, notre terme, notre lumière, notre viatique, notre guide
(Nouet, in 4o, vol. 3, p. 52).
La ressemblance est la cause de l'amour, il faut l'imiter si vous voulez qu'il vous aime.
Il chérit puis tellement ses amis qu'il ne veut être avec eux qu'une même chose.
1. Pour cela il a institué le sacrement d'amour en forme de viande qui s'incorpore en celui qui la
prend afin de s'unir corporellement à nous, et n'être qu'un en quelque façon en unité de substance.
2. Il nous a donné le Saint-Esprit afin de n'être qu'un avec nous en unité d'esprit et de vertu.
3. Mais pour rendre cette union parfaite, il veut qu'elle passe jusqu'aux œuvres par la conformité de
nos actions avec les siennes, et de notre vie avec celle qu'il a menée sur la terre.
Car l'unité parfaite consiste à n'être qu'un en unité de substance, de puissance, d'opération.
C'est la demande qu'il fit la veille de sa Passion: “ut sint consummati in unum”, comme il est un
avec son Père (Nouet, p. 55).
Unissez votre cœur et votre action à la sienne pour en tirer force et vigueur, et pour la faire dans son
esprit, hoc est dans toutes ses vues, ses desseins, sa perfection.
Priez-le qu'il mette sa main sur la vôtre, qu'il travaille avec vous.
Faites qu'il soit, par une douce application à Jésus opérant et conversant, effectivement votre
Emmanuel par la présence et par l'influence de son esprit dans le vôtre.
Asc,3403:T9
Pone me ut signaculum super cor tuum, super brachium tuum.
Figurez-vous qu'il vous invite à le graver bien avant dans votre cœur, priez-le qu'il le grave luimême, qu'il s'applique à vos yeux pour sanctifier vos regards, à votre bouche pour consacrer toutes
vos paroles, à votre entendement pour purifier toutes vos pensées, à votre volonté pour régler toutes
vos affections, à votre corps et à votre âme pour y imprimer des marques éclatantes de son humilité,
de sa pureté, de son innocence.
Asc,3403:T10
Humilité de Jésus-Christ
Qui l'a porté à nous conférer le bénéfice de son corps et de son sang? Son humilité: “Nisi esset
humilis Deus, nec manducaretur, nec biberetur” (S. Augustinus, in Ps. 33, p. 150).
Verbum caro factum, Divinitas in luto.
L'humilité est fille de la grandeur de Dieu car elle naît de la connaissance de ses perfections
infinies.
Rien de plus puissant pour anéantir notre orgueil: quis ut Deus?
Les effets de la grâce tendent tous à l'humiliation de l'homme et à la gloire de Dieu.
La première chose que doit faire la grâce, c'est d'apprendre à l'âme que le premier usage de son
entendement, de sa volonté, de ses puissances, c'est de les anéantir devant la majesté suprême du
Créateur, comme les victimes qu'on lui offrait étaient détruites pour montrer que la créature devant
lui doit se tenir devant lui comme le néant qui ne peut subsister ni agir sans son assistance
particulière (n.b. d'autant plus dans l'ordre surnaturel).
Emitte Spiritum tuum et creabuntur, et renovabis faciem terræ.
D'où vient que l'humilité n'est pas moins nécessaire pour les bonnes œuvres que la grâce de la part
de Dieu.
Nous aimons tous la grandeur mais l'échelle pour y arriver, c'est l'humilité.
Ce fut le mal caduc de Lucifer.
Qui sait que Dieu est tout, doit se tenir comme un néant devant lui.
S. Ignace jamais n'envoyait quelqu'un travailler avant de lui recommander l'exercice de l'humilité
(Nouet, p. 175), car qu'il réussisse ou qu'il ne réussisse pas, il a également besoin de l'humilité.
Quæ Christus noluit, rejecit, quæ rejecit, damnavit, quæ damnavit, in pompam diaboli reputavit;
non enim damnasset nisi non sua, alterius autem esse non possunt, nisi Diaboli qui Dei non sunt
(Tertullianus).
Les brigues pour les honneurs sont des brigues du démon, qui est toujours de la partie: omnis honor
sæculi diaboli negotium est.
Asc,6309:S
Considérations pour une retraite de prêtres
Dopo 1816 (beatificazione di Alfonso de Liguori)
Opera di paternità non sicura: lo stile e il contenuto non sembrano essere di Lanteri. Si noti il paragrafo su Liguori, peu
connu dans ces contrées, mais très estimé à Rome, dans toute l'Italie et ailleurs, dove però si riprendono in favore del
beato gli stessi motivi utilizzati da Lanteri nelle Idées sur la théologie morale.
AOMV, S. 6,3,9:0 (d'altra mano)
Asc,6309:T1,1
J.M.J.
Considérations pour une retraite de prêtres
Asc,6309:T1,1
Introduction
Le but d'une retraite est de méditer, et de graver toujours plus profondément dans son cœur les
vérités éternelles que Dieu nous a fait connaître pour sa gloire et notre sanctification. Mais on ne
peut ignorer qu'une connaissance stérile de ces vérités ne servirait qu'à nous rendre plus coupables,
et qu'elles doivent nécessairement être mises en pratique. Non omnis qui dicit mihi: Domine
Domine, intrabit in Regnum Cælorum, sed qui facit voluntatem Patris mei qui in Cælis est; ipse
intrabit in Regnum Cælorum… Ille autem servus qui cognovit voluntatem Domini sui, et non fecit
secundum voluntatem ejus vapulabit multis. S'occuper de la fin de l'homme, de la malice du péché,
des terribles jugements de Dieu, des châtiments qu'on doit craindre, des récompenses qu'on peut
espérer, est un devoir indispensable pour tout chrétien, à plus forte raison pour un prêtre, mais il
faut absolument descendre dans le détail, comparer notre conduite avec les principes inflexibles, et
donner toute notre attention à y conformer toute notre vie. Il est en particulier très nécessaire de
faire des sérieuses réflexions sur les devoirs de notre état, qui seront sans doute une des principales
matières de notre jugement. Il en est que nous sommes peut-être accoutumés à regarder comme de
peu d'importance, et qui n'en sont pas moins graves, quand on les considère au poids du Sanctuaire.
Trop de légèreté, les exemples de nos confrères, les louanges que nous recevons des fidèles nous
aveuglent souvent sur nos obligations, et nous perdent. On est habitué à dire: c'est un bon prêtre,
comme les mondains disent de leurs semblables: c'est un honnête homme, c'est-à-dire qui ne tue ni
ne vole, ou du moins qu'on ne voit pas commettre des crimes. Mais hélas le jugement de Dieu est
bien différent. Quicumque autem totam legem servaverit, offendat autem in uno factus est omnium
reus. Il y a même bien des choses qui sont petites de leur nature, mais qui négligées, ont des grandes
conséquences. Nemo repente fit summus, qui spernit modica paulatim decidet, qui in modico
infidelis est, et in majori iniquus est. Il importe peu qu'un vaisseau périsse subitement par un
ouragan, ou à la longue par l'eau qui s'introduit à travers une légère fente et fini pour le submerger.
Le Démon ne commence guère par nous proposer des grands crimes, mais il sait très bien que la
multitude des infidélités nous y conduira presque infailliblement.
Asc,6309:T1,2
Nous ferons donc quelques réflexions sur les devoirs de notre état mais il faut savoir auparavant,
qu'il ne s'agit pas ici de les examiner tous, encore moins de présenter sur chacun un traité
théologique; mais nous proposons seulement de dire quelques mots sur quelques devoirs, auxquels
bien des prêtres manquent trop souvent, et chacun ensuite pourra, et même devra selon le besoin
chercher dans les bons auteurs ou dans les conseils des Docteurs les explications et distinctions que
le temps ne nous permet pas de donner, et qu'on n'est pas embarrassé de trouver; tenons seulement
pour certain qu'en général les articles qui nous choquent et que nous combattons sont souvent ceux
où nous avons le plus besoin de réforme et sur lesquels nous voulons moins nous réformer.
Asc,6309:T1,3
Beaucoup de ces observations sont extraites de la Théologie de Liguori, Évêque de Sainte-Agathe,
peu connu il est vrai dans ces contrées, mais très estimé à Rome, dans toute l'Italie, et ailleurs; il n'a
écrit qu'après trente ans de ministère, souvent dans les missions, et a travaillé pendant 15 ans à son
ouvrage loué de Benoît XIV. C'est le dernier auteur de théologie, et il s'est servi des lumières de
tous ses prédécesseurs. Personne de ceux qui le connaissent ne l'accuseront de rigorisme, tout au
contraire il y a quelquefois des principes que certains Docteurs appelleraient laxisme, il ne faut
cependant pas se hâter de leur donner cette qualification, car Liguori est béatifié et quoiqu'il ne
s'ensuive pas qu'il ait eu le don d'infaillibilité, il est cependant bien certain que l'Église n'a pas
trouvé dans sa doctrine non rétractée un seul mot contraire à celle qu'elle enseigne ou permet
d'enseigner.
On ne se propose donc pas d'engager les prêtres à une perfection impraticable. Si quelqu'un disait
qu'une vie si régulière ne convient qu'à des religieux, Liguori lui répondrait (Homo Apostolicus,
tract. ult. p. 39) qu'il faut beaucoup plus d'examen pour être prêtre séculier que régulier, car, dit ce
saint évêque, sacerdotes sæculares habent eandem, immo majorem obligationem quam religiosi, et
contra manent in iisdem sæculi periculis: unde ut quis bonus evadat sacerdos in sæculo (in quo
raro, ne dicam rarissime boni inveniuntur) oportet ut prius egerit vitam valde exemplarem…
deditam orationi. Sed quis est hic et laudabimus eum? Alioquin se ponet in statum quasi certæ
damnationis.
Cette pensée de Liguori n'est pas nouvelle, elle est très conforme à celle de S. Jean Chrisostome:
non temere loquor, sed ut affectus sum et sentio, non arbitror inter sacerdotes multos esse qui salvi
fiant, sed multi plures qui pereant. Ainsi parlait ce Saint Docteur, des prêtres des premiers siècles.
Sommes-nous meilleurs? Notre conduite ne donne-t-elle pas tout lieu de craindre que ce sentiment
ne soit trop vrai? Pensons-y bien.
Asc,6309:T1,4
Quand on citera des Bulles, on ne prétendra pas décider si elles sont reçues ou non dans le lieu où
on les cite: seulement il faut faire attention 1. à ne pas décider trop vite qu'elles ne sont pas reçues;
2. qu'il y en a qui sont appuyées sur la loi naturelle, ou divine, ou sur d'autres lois ecclésiastiques, et
qui sous ce point de vue obligent partout; 3. que dans ce cas, quoiqu'on n'encoure pas les censures,
par défaut de réception de Bulle, on n'en pèche pas moins par la transgression des autres lois, sur
lesquelles les Bulles sont fondées; 4. que dans tous les cas les Bulles nous indiquent l'esprit de
l'Église et méritent tout notre respect.
Dans toutes nos considérations, ayons présente cette pensée: qu'ai-je dû faire? Qu'ai-je fait? À
l'article de la mort, que voudrais-je avoir fait, et comment? Au jugement de Dieu, je ne serai justifié
que quand il sera prouvé que pas une des âmes qui m'ont été confiées n'a péri par ma faute ou par
ma négligence, ou que j'ai réparé cette terrible faute par la pénitence, et quelle pénitence…
Asc,6309:T2,1
Fréquentation et soin à l'église
Avons-nous apprécié la grâce étonnante que Dieu nous accorde d'être les Gardiens nés de son
Temple, et même de son adorable Majesté? Notre cœur nous entraîne-t-il sans cesse vers ces
aimables et redoutables tabernacles? Éprouvons-nous en y entrant la joie du Roi Prophète: Lætatus
sum in his quæ dicta sunt mihi, in domum Domini ibimus? Nous y rendons-nous, du moins souvent,
de grand matin pour y entendre les confessions nécessaires ou utiles des pauvres gens qui ne
peuvent pas venir pendant la journée, et qui ont un droit continuel à nos soins?
Quand nous entrons dans l'église et pendant que nous y demeurons, les fidèles en remarquant notre
modestie, notre silence, notre recueillement, notre profond respect, sont-ils forcés de dire: Voilà un
prêtre qui croit à la présence réelle de Jésus-Christ, qui pense à la grandeur de Jésus-Christ, qui est
pénétré d'Amour pour Jésus-Christ?
Avons-nous soin de faire taire avec douceur, mais aussi avec force ceux qui profanent le temple par
leurs conversations, qui dérangent les autres, ces enfants serveurs des messes souvent si indécents,
ces Rosters [sic] qui montrent quelquefois une familiarité si effrayante avec Dieu et sont à l'église
comme sur la Place du Marché?
Gardons-nous le silence dans la sacristie, partie quelconque du lieu Saint, uniquement destinée à se
préparer aux Ss. Mystères, et à rendre grâces, n'y parlons-nous pas sans nécessité, des futilités, à
voix haute, avec nos confrères ou autres, et peut-être assez pour troubler et même scandaliser par
notre immodestie les fidèles que nous empêchons de prier dans l'église? (c'est encore plus nuisible
l'après-midi, parce qu'on est tenté de l'attribuer aux effets du dîner).
Sommes-nous zélés pour introduire ou conserver la décence et la propreté dans le lieu Saint?
N'avons-nous pas des ornements déchirés dont une honnête personne ne s'habillerait pas, des linges
sales et tout dégoûtants, que nous n'emploierions pas chez nous aux usages les plus bas? Ne nous
excusons-nous pas sur la pauvreté ou le défaut de volonté de la fabrique, sans parler qu'en sollicitant
quelques bonnes âmes, nous trouverions des ressources sinon pour la splendeur, du moins pour la
propreté; sans considérer que dans notre maison il y a de si beaux meubles, du linge si propre, tant
de choses inutiles, que le Curé se met dans l'abondance et les délices, tandis qu'il laisse le Seigneur,
son Dieu, dans l'état de la dernière misère? Quelle horreur? Savons-nous bien que l'indécence et la
saleté des églises contribue beaucoup à diminuer la foi dans les fidèles qui ne peuvent se persuader
que le Curé croie présent Jésus-Christ qu'il traite si indignement, et par suite ne le croient peut-être
pas beaucoup plus? Monseigneur De la Motte demandait à un curé négligent sur ce point: croyezvous à la présence réelle?
Asc,6309:T2,2
N'oublions-nous pas peut-être ce qu'il y a de plus essentiel dans une église, je veux dire de tenir les
vases sacrés dans l'état où ils doivent être, quant à la matière, à la propreté, à la dorure exigée. Mais
ce qui est encore bien important, n'abandonnons-nous pas à un Roster, du moins insouciant, la
fonction de préparer les hosties pour la consécration, ou plutôt de les jeter, sans les purifier des
parcelles, que nous ne purifions pas nous-mêmes, quand elles sont rassemblées dans le ciboire? Je
ne le croirais pas, si je ne l'avais vu; mais j'ai trouvé dans certains ciboires assez de parcelles pour
en faire plusieurs hosties, j'y ai trouvé, je frémis en le disant, jusqu'à du foin. Grand Dieu!… En
donnant la Sainte Communion prenons-nous toutes les précautions qui dépendent de nous pour qu'il
ne tombe pas des parcelles à terre, c'est-à-dire pour que Jésus-Christ ne soit pas profané et foulé aux
pieds? Fasse le Seigneur que Personne n'ose commettre les fautes que j'ose à peine écrire!
Réfléchissons-nous souvent à l'extrême bonté de Jésus-Christ qui reste continuellement par amour
pour nous, et avec le désir de nous enrichir, dans nos églises, où il n'a souvent personne qui le visite,
surtout à la campagne? Serions-nous assez insensibles pour ne pas aller du moins le soir lui tenir
compagnie, et l'adorer quelques moments? Méritons-nous le grand titre de ses amis, si nous n'allons
le visiter que par nécessité, ou, pis encore, pour gagner de l'argent? Si un homme qui se dirait notre
ami en agissait ainsi avec nous, qu'en penserions-nous?
Comment nous acquittons-nous de la récitation du bréviaire, cette prière publique que l'Église nous
impose pour parler à Dieu en son nom? Nous y préparons-nous, choisissons-nous les temps les plus
propres pour le bien dire, sommes-nous exacts à éviter les distractions, n'aurions-nous pas sujet de
craindre qu'il en fût dit de nous: Oratio ejus fiat in peccatum? Comment Dieu nous entendrait-il,
quand nous ne nous entendons pas nous-mêmes, et qu'en lui parlant, nous pensons à tout, excepté à
lui?
Asc,6309:T3,1
La Sainte Messe et les Saints Offices
Si l'on disait au plus grossier idolâtre qu'un homme sur la terre a reçu le pouvoir d'appeler dans ses
mains le Dieu de l'univers, de l'immoler pour son salut et celui de tous les hommes, en supposant
que cet Idolâtre le crût, quelle idée aurait-il de la dignité de ce prêtre, de sa Sainteté, de sa
reconnaissance pour son Dieu? Réfléchissons-nous profondément sur la sublimité de notre
Ministère, nous en acquittons-nous avec les dispositions qu'il exige? Quelle préparation y
apportons-nous, ne volons-nous pas d'une occupation toute profane et toute dissipante jusqu'au
Saint autel avec plus de légèreté que nous n'irions déjeuner? Outre le mal que nous faisons pour
nous-mêmes, quelle idée donnons-nous aux fidèles de notre foi? Comment observons-nous les
rubriques, les rites que l'Église nous prescrit, qui donnent aux Ss. Mystères une dignité extérieure,
qui signifient souvent les effets produits par les Sacrements; les rites ne deviennent-ils pas pour
nous des espèces de jeux de main, des contorsions de corps qui feraient penser que nous sommes
sur un méchant théâtre des rues plutôt qu'auprès d'un autel du Dieu vivant? N'oublions pas que si
cette négligence va jusqu'au mépris, comme il est souvent très à craindre, il n'est pas un théologien
qui ne la taxe de péché mortel. Très peu de prêtres observent bien les rubriques, quelques-uns
mêmes les ont oubliées. Votre cœur apprécie-t-il la différence incalculable qui se trouve entre le
pain et le vin avant la consécration, et les saintes espèces après les paroles redoutables? N'agitonsnous pas la sainte hostie avec tant de rapidité, qu'on pourrait nous dire comme Bourdoise à un
prêtre: pensez donc que vous avez dans les mains un enfant de grande famille?
Asc,6309:T3,2
Employons-nous un temps raisonnable pour célébrer la sainte Messe, c'est-à-dire pour faire la plus
grande et la plus importante des actions? Il est en général difficile de dire une Messe quelconque
avec quelque décence et piété en moins de 20 minutes, et il est fort à désirer qu'on y mettre à peu
près une demi-heure, chose bien étonnante et inconcevable! Presque tous ceux qui disent la Messe
si vite, si lestement et si mal, passent ordinairement la moitié du jour et souvent plus, à des
occupations ou à des conversations du moins très inutiles, et souvent pires. Après la Messe nous
occupons-nous sérieusement de remercier et d'adorer le Seigneur? Serions-nous assez malheureux
pour nous hâter de jeter les habits sacerdotaux sur la table et aussitôt causer et rire dans la Sacristie,
ou bien en présence du peuple nous sauver dans les rues comme si l'église était en feu? Plût à Dieu
qu'on renouvelât pour de tels prêtres ce que pratiqua pour l'un deux Bourdoise, en le faisant
conduire avec des flambeaux, précédé de la clochette, et couvert du dais, comme un homme dont le
corps renfermait le S. Sacrement.
N'avons-nous pas encore sujet de réfléchir sur les offices chantés pour les vivants et pour les morts?
Ne consistent-ils pas dans un bourdonnement insignifiant, des cris précipités qui peuvent et doivent
causer de grands scandales?
Célébrer avec un air qui annonce de la foi, contribue beaucoup à exciter la foi dans le cœur des
assistants; mais célébrer sans foi, c'est détruire la foi dans les autres. En effet comment les pauvres
fidèles, les mondains ignorants, les hommes vicieux, pourraient-ils avoir du respect pour nos
mystères et y croire, lorsque notre extérieur ne leur donne que trop lieu de penser que nous-mêmes
n'en faisons aucun cas?
Il pourrait encore être utile de voir, si par amour du gain, on ne garde pas plus d'intentions des
Messes que les règles ne le permettent, et si l'on ne devient pas coupables de retards.
Asc,6309:T4,1
Tribunal de la Pénitence
Noli quærere fieri judex, nisi valeas virtute irrumpere iniquitates.
Après la célébration de la sainte Messe, rien de plus grand ni de plus important que le pouvoir
donné par Jésus-Christ aux prêtres de remettre et de retenir les péchés, pouvoir que Dieu n'a pas
donné aux anges, et dont l'objet n'est rien moins que d'arracher à l'enfer, et de rendre propres au Ciel
des âmes rachetées par le précieux sang de Jésus-Christ, et de décider ainsi de leur bonheur ou
malheur éternel. Quelles ont été nos pensées et notre conduite sur le confessional, qu'on peut
appeler le trône de la miséricorde divine? Éprouvons-nous de la joie en pensant que nous sommes
les instruments de l'infinie bonté de Dieu? N'aurions-nous pas eu le malheur d'avoir démontré de
l'ennui pour écouter les confessions, de témoigner de l'humeur à ceux qui nous y demandent, de les
faire attendre longtemps, surtout quand ils étaient pauvres (car pour les riches on est toujours
empressé) et par là de leur aggraver le fardeau de la Confession, et de finir par les en dégoûter?
Nous rendons-nous plusieurs fois la semaine, et aux heures les plus convenables au Confessional
pour y entendre les Confessions générales qui sont quelquefois d'une nécessité indispensable,
d'après tous les principes de morale et de raison, et qu'il est comme impossible de bien faire lorsqu'il
y a un certain concours de peuple.
N'aurions-nous pas eu quelque chagrin causé par la jalousie, l'orgueil etc. lorsque les personnes les
plus riches ou les plus pieuses s'adressent à un autre que nous? N'avons-nous pas cherché à nous
attacher certaines pénitentes, tandis que les confesseurs sages et vertueux trouvent qu'il suffit, pour
les envoyer à un autre, qu'on remarque en soi ou en elles quelque attachement peu conforme aux
règles de la spiritualité? On s'aveugle souvent sur ce point et ordinairement on finit mal.
Asc,6309:T4,2
Avant que d'entrer au Confessional nous sommes-nous recueillis, avons-nous demandé avec ferveur
les lumières, et aussi les grâces dont nous avons besoin pour ne pas nous souiller nous-mêmes; qui
tetigerit picem inquinabitur? Observons-nous pendant tout le temps que nous y sommes cet esprit
de recueillement et de prière sans lequel, au lieu de faire du bien, nous nous exposons à nuire très
gravement à nous-mêmes et aux autres?
Lorsque la providence nous envoie un pécheur couvert de crimes, mais repentant, ou que nous
devons tâcher d'amener au repentir, l'avons-nous reçu avec cet attendrissement de cœur que JésusChrist éprouve lui-même et nous indique dans les paraboles de l'enfant prodigue, de la brebis
perdue après laquelle il court et qu'il rapporte au bercail? Avons-nous partagé la joie qu'une
conversion cause aux anges dans les cieux? N'avons-nous pas préféré à ces pécheurs des filles
pieuses, qu'il ne faut pas mépriser, mais dont les besoins ne sont pas à beaucoup près si pressants?
Si notre cœur est ouvert pour les pécheurs, il enverra facilement sur notre langue les paroles qui leur
seront utiles, et nous fournira même le ton de voix qui pourra les toucher; il faut sans doute leurs
représenter leurs désordres, leur en montrer l'horreur et les dangers, mais il faut qu'ils sentent que
nos avis ne sont pas le fruit de l'humeur ni du despotisme, qu'ils ne nous sont dictés que par une
tendre compassion et un désir ardent de les sauver. Oh! Combien de pécheurs cachent leurs crimes
en confession, et quelquefois depuis la jeunesse jusqu'à la vieillesse et la mort, parce qu'étant jeunes
ils se sont adressés à un confesseur qui leur a parlé avec dureté? Il faut cependant avoir grand soin
de ne pas laisser apercevoir aux filles cette tendresse, mais seulement et toujours une gravité
paternelle.
Avons-nous étudié, et tâché d'éviter autant que possible le rigorisme et le laxisme? Qu'il est rare de
se soustraire à ces deux écueils! Ce n'est pas aux hommes de faire la loi, ni d'ajouter ou d'ôter à la
loi de Dieu et de l'Église, mais de la connaître, de l'observer et la faire garder aux autres. Si le
pénitent n'est pas disposé, l'absolution est sacrilège, et elle l'est aussi pour nous, si nous n'avons pas
fait notre devoir pour le préparer; s'il est disposé, il a droit à l'absolution, et l'en priver c'est
commettre une plus grande injustice que de voler tous les trésors de l'univers. Le confessional ne
serait donc rien moins qu'un tribunal de fantaisie, de caprice et de despotisme.
Asc,6309:T4,3
Avons-nous eu soin…
Avons-nous eu soin de nous assurer si les pénitents savent tout ce qui est de nécessité, de moyen et
de précepte, ce qui regarde le Sacrements de pénitence, s'ils ont la foi surnaturelle? Les prêtres qui
ne veulent pas se faire illusion conviennent que dans beaucoup d'endroits la plupart des soi-disant
fidèles sont dans une profonde ignorance de toutes ces vérités; la raison en est toute simple, on les
apprend dans l'enfance et comme des enfants, sans les comprendre ou par sa faute, ou par la
négligence du curé, on a bien vite fait de les oublier; après la première communion, on se croirait
déshonoré de relire le Catéchisme, d'ailleurs on a bien d'autres choses à faire, et l'on s'embarrasse
peu du péché, on n'en lit plus rien; lors même qu'on fréquente encore l'église on n'en entend plus
rien dans les prônes, ou sermons, et cependant sans ces connaissances et cette foi, on ne peut se
sauver.
Asc,6309:T4,4
Écoutons Benoît XIV (Constit. Etsi T. 1 Bul. 110): “curabit Episcopus ut Sacerdos excipiens
confessiones fixum illud, immotumque semper animo habeat, invalidam esse absolutionem, quum
quis ignoranti res necessarias necessitate medii impertitur… sedulo animadvertat ad aliud tempus
rejiciendam esse absolutionem illius qui necessaria necessitate præcepti suo vitio nescit. Eo
quandoque casu absolvi posse, si doleat de ignorantia, et serio promittat, impense discere.” D'après
cette doctrine, il est donc évident qu'il faut interroger sur ces points, s'assurer qu'on les sache, et si
l'on peut quelquefois absoudre celui qui ignore ce qui est de nécessité de précepte sur sa promesse
de l'apprendre impense, il faut sans doute avoir l'espoir raisonnable et fondé qu'il tiendra la
promesse, espoir dont on peut rarement se contenter, ou plutôt se bercer. Grand Dieu! Combien de
prêtres et de fidèles seront accablés au jour du jugement en voyant tant de millions de confessions
invalides, et presque toujours sacrilèges de part et d'autre pour ce seul défaut! Prenons donc pour
règle invariable d'interroger dès que nous avons un doute raisonnable: si le pénitent le sait nous le
verrons en très peu de temps, et tant qu'il se confessera au même prêtre, c'est fini pour toujours, et
s'il l'ignore comment oserions-nous l'absoudre? Interrogeons du moins pour notre tranquillité. Si un
prince assez riche pour s'en acquitter promettait à chaque prêtre de lui donner autant de louis d'or
qu'il pourrait prouver avoir eu au confessional de personnes qui ignorent le nécessaire, oh! combien
en interrogerait-il, et surtout combien on trouverait de ces ignorants parmi ceux qu'on n'interroge
jamais! Quelle serait en peu de temps l'immense fortune des prêtres! C'est-à-dire qu'on ferait pour
un vil métal, ce qu'on ne veut pas faire pour arracher à l'enfer sa pauvre âme et celle des autres!
Remarquons bien et n'oublions jamais, que très souvent les plus riches et les plus puissants sont les
plus ignorants, et que ce sont ordinairement ceux que le respect humain empêche d'interroger,
cependant si un seul ignorant riche ou pauvre périt par la faute ou négligence du pasteur, Dieu dit à
ce pasteur: “Sanguinem ejus de manu tua requiram”; ou plutôt ce n'est pas son sang, mais son âme
perdue pour l'éternité.
Asc,6309:T4,5
Mais comment faire pour instruire tous ces ignorants? Chacun fera comme il voudra, mais le fait
est, qu'il faut les instruire. On pourrait faire une partie de cet ouvrage par la prédication, comme je
dirai plus bas, mais cela ne suffit pas si l'on veut, j'indiquerai spécialement pour le Confessional un
moyen qui presque toujours, et très souvent a réussi à plusieurs prêtres. Il faut d'abord dire qu'il est
très difficile de les instruire au Confessional, c'est trop long, d'ailleurs ils y comprennent peu et
retiennent encore moins; souvent il est impossible de les faire venir chez soi; si on leur dit
d'apprendre leur catéchisme, la longueur les effrayera, ils ne le feront pas; si on les envoie au
catéchisme de la paroisse, souvent ils en auront honte; ensuite ils devraient quelquefois le
fréquenter un an pour y trouver tout ce qui leur faut; enfin si ce catéchisme est mal fait, comme c'est
trop ordinaire, ils n'en tireront aucun fruit. Que faire donc? Réunir sur une ou deux feuilles tout ce
qu'il est nécessaire de devoir croire, et pratiquer, ne pas y oublier les dispositions requises par le
Sacrement de pénitence, on répand les feuilles, on en donne soi-même à ses pénitents en leur disant
qu'il faut absolument qu'ils les lisent, ou se les fassent lire avec grande attention, et alors on a
presque toujours la consolation de les voir revenir après peu de jours, et répondre raisonnablement
sur tout ce qui est de nécessité.
Ils les faisaient apprendre et réciter par les enfants qui fréquentaient le catéchisme pour leur
présenter les choses les plus essentielles de la religion dans un plus petit cadre, et pour qu'ils s'en
souvinssent mieux.
Asc,6309:T4,6
Il y a quelques péchés qui par leur nature inspirent moins d'horreur que d'autres, et dont on s'occupe
peu dans les confessions, par exemple assister sans attention à la sainte Messe les dimanches et
fêtes, se permettre des médisances souvent bien dangereuses, quoiqu'on les appelle légères, ne pas
faire l'aumône autant qu'on le devrait, se liver à des regards, pensées, familiarités contre la chasteté
quand on ne va pas jusqu'au dernier crime; pour les parents et les maîtres, négliger leurs devoirs
bien étendus envers leurs enfants et leurs domestiques, lire, garder, et prêter des livres qui ne
peuvent que corrompre. On ne peut s'étendre ici sur tous ces points; mais il est certain qu'il y a
beaucoup à examiner souvent même en genre de péché mortel, et qu'ils offrent aux confessions un
champ bien vaste qui faute de leurs soins ne produit que des ronces et des épines.
C'est encore un défaut bien ordinaire aux pénitents de se tourmenter hors de mesure pour leur
examen et de penser très peu à la contrition, et à ces conditions sans lesquelles cependant on
n'obtient pas le pardon. Quant à l'examen, c'est un devoir pour les Confesseurs d'aider beaucoup par
leurs interrogations les ignorants de tout état: Segneri, Liguori, et autres théologiens appellent une
erreur intolérable la conduite des Confesseurs qui renvoient ces ignorants pour qu'ils s'examinent;
ils ne savent pas le faire, ils se dégoûtent; au contraire quand le confesseur y est accoutumé, ce qui
est facile, il y réussit bien plus vite, et bien mieux.
Il ne sera peut-être pas inutile d'examiner si jusque dans le confessional on ne se laisse pas aller à la
faiblesse pour les riches, n'osant les contrarier, palliant leurs péchés, taisant leurs obligations, par
respect humain, pour conserver leur amitié, pour être bienvenu chez eux à leur table, pour en
obtenir des présents etc. Que de misère!…
Asc,6309:T4,7
On trouve dans…
On trouve dans tous les bons théologiens, et même dans la saine raison les règles sages qu'on doit
suivre par rapport aux habitudinaires, ce n'est pas ici le lieu de les détailler, mais c'est bien le temps
de chercher comment nous les avons observées; il est certain que le confesseur doit interroger et que
le pénitent doit répondre sur la durée et la violence de l'habitude, et qu'il faut lui prescrire les
moyens de supprimer, ou dans certains cas du moins de rendre éloigné ce qui lui est occasion
prochaine de péché mortel; il y a de grands inconvénients à différer longtemps l'absolution à un
pécheur qui fait des efforts, et montre des dispositions, mais il n'y en a pas de moindres à absoudre
celui qui ne donne pas des signes satisfaisants. Il est également déraisonnable de ne vouloir jamais
absoudre à la première confession, et de vouloir toujours le faire. Le Grand et Savant S. Charles
Borromée donne une règle qui les renferme à peu près toutes, la voici: absoudre un habitudinaire à
la première fois quand on a lieu de croire qu'il veut sincèrement se convertir, et même la seconde
fois, lorsque revenant avec des rechutes, il donne cependant des preuves d'une volonté plus
déterminée qu'à la première fois (voir dans Liguori), peut-être encore, et tout au plus une troisième
fois, mais ensuite exiger l'épreuve, c'est-à-dire ne plus l'absoudre jusqu'à ce que sa conduite prouve
le changement de son cœur. Les prêtres ont sans doute le pouvoir de remettre tous les péchés, mais
pourvu qu'ils observent les conditions imposées de Dieu même, et que nous connaissons par
l'Écriture Sainte ou par les lois de l'Église, ou quelquefois même par les seules lumières de la
conscience, et de la raison. C'est particulièrement avec ces pauvres habitudinaires qu'il faut
beaucoup de douceur et de patience, et un cœur vraiment paternel afin qu'ils sentent eux-mêmes
qu'on ne les diffère que pour leur salut et par nécessité. Il est bien clair que c'est la même chose
qu'ils aient promis de changer à nous, ou à d'autres Confesseurs et que ce serait une grande
absurdité de dire: c'est la première fois qu'il se confesse à moi, quoiqu'il ait déjà promis et non tenu
parole à d'autres. Avec un tel déraisonnement, il suffirait de changer de confesseur à chaque fois
pour avoir toujours les dispositions. On ne peut douter que ces habitudinaires n'aient extrêmement
besoin de confession générale, lorsque comme c'est l'ordinaire, leurs confessions précédentes ont
été mauvaises par défaut de contrition, de propos etc.
Asc,6309:T4,8
Que dirons-nous donc de ces malheureux prêtres qui absolvent toujours et en très peu de temps tout
ceux qui viennent à leur Confessional sans les interroger, sans rien examiner sur l'état de leur âme,
sans s'embarrasser d'aucune règle? Sans doute si de tels prêtres avaient été présents lorsque JésusChrist institua le Sacrement de pénitence, ils lui auraient dit: Seigneur, vous faites quelque chose de
très inutile en donnant le pouvoir de lier, je suis décidé à toujours délier et à ne jamais lier: affreux
blasphème qui n'est cependant que trop commun dans la pratique. Ne craignons donc pas de dire
qu'un prêtre qui est résolu de toujours et en tout cas absoudre à la première fois (et
malheureusement il y en a) est en état habituel de péché mortel, et par conséquent s'il ne change, il
est damné.
Asc,6309:T4,9
Dieu soit loué si nous n'avons rien à nous reprocher sur la Garde du sceau de la Confession; je ne
dis pas qu'on le rompe directement, mais n'arriverait-il pas quelquefois que dans des conversations
bien trop gaies, et surtout à la fin des repas, on se permît de conter même devant les laïcs, bien des
choses, ne fût-ce que pour les confessions des enfants, qui sont de nature à éloigner les fidèles de la
confession et qui produisent trop souvent cet effet, comme l'on en a des exemples, que le temps ne
permet pas de citer? N'aurait-on pas perdu de vue les deux Bulles de Benoît XIV, l'une pour
défendre de demander en confession le nom du complice, l'autre de sollicitantibus, quoad
denuntiationem etc.?
Asc,6309:T4,10
Enfin après avoir réfléchi sur les confessions que nous écoutons, il peut être utile ou nécessaire de
penser aux nôtres, et de se voir au flambeau du Sanctuaire, si elles ne sont pas beaucoup trop rares,
à cause de l'insouciance dans laquelle nous vivons, si nous ne faisons pas notre examen sans
attention ni délicatesse de conscience; ne regardons-nous pas comme des peccadilles ou des
scrupules des fautes qui n'approchent que trop du mortel? Ne prenons-nous pas pour confesseur le
premier venu pour ne pas avoir la peine d'en chercher un meilleur plus loin, ou plutôt ne
choisissons-nous pas exprès un bon vivant pour qu'il ne nous alarme pas, ne faisons-nous pas nos
confessions sans dispositions, sans contrition, sans propos, sans amendement et sans fruit?
Asc,6309:T5,1
Prédication
Væ mihi si non evangelizavero. Voilà encore une des obligations les plus indispensables pour un
Pasteur, son nom seul la lui indique; la loi naturelle et divine, et ecclésiastique, la justice même la
lui imposent sub gravi, il doit donner suffisamment et même abondamment à son troupeau la
nourriture céleste de la parole divine, et répondre sans doute au jugement de tout ce qu'il aura pu et
dû faire pour instruire ses ouailles, leur apprendre leur religion, les détourner de tout mal et les
porter au bien; fasse le Seigneur que tous s'en acquittent bien.
Combien de fois faut-il prêcher pour être en sûreté de conscience, si je le décidais, quelques-uns
pourraient croire que je me trompe, mais c'est tout décidé par le saint concile de Trente qui porte
très clairement (sess V, c. 11 et sess. XXIV, cap. IV) qu'un curé doit prêcher per se, vel per alium
idoneum diebus saltem dominicis et festis solemnibus. L'obligation d'instruire est de tous les jours et
de toutes les heures, mais le saint concile l'a fixée pour la publicité aux dimanches et fêtes saltem.
Remarquons bien ce saltem qui signifie sans contredit, que quiconque ne prêche pas tous les
dimanches et fêtes n'obéit pas au concile. J'avoue que je ne connais pas de coutume qui puisse
légitimement prescrire contre toutes ces lois, remarquons aussi que le même saint concile (sess.
XXIII cap. I) ne met pas de différence entre le devoir de dire la Messe pour son Peuple et celui de
l'instruire par la prédication. Sans vouloir dire plus que le saint concile, et sûrement bien éloigné de
dispenser les curés de dire la Messe et le peuple d'y assister, je ne crains cependant pas d'avancer
que pour une certaine classe d'ignorants (puisse-t-il ne s'en plus trouver) qui ne savent pas un mot
de leur religion, et qui apportent par routine et par mode leur corps dans le lieu où se dit la Messe,
sans se douter de ce qui s'y fait, il serait bien plus urgent d'être instruits que d'être présents à la
Messe, sans en dire toutes les raisons assez évidentes, l'une est de droit naturel, l'autre n'est que de
droit ecclésiastique.
Sans doute comme le Pasteur est obligé de prêcher, le peuple l'est aussi de venir l'écouter;
cependant il peut y avoir, du moins quelquefois pour les fidèles des empêchements légitimes, leur
obligation diminue à proportion qu'ils sont instruits; mais comme il y aura toujours un bon nombre
d'ignorants, qu'il faut d'ailleurs entretenir les connaissances, et les perfectionner, les Pasteurs
demeurent toujours obligés de prêcher, quelquefois même deux fois par dimanche, s'il y a une
première Messe, où s'il est besoin de la faire l'après-midi.
Asc,6309:T5,2
Comment faut-il prêcher?
Comment faut-il prêcher? Disons d'abord comment il ne faut pas le faire: il en est qui ont composé,
ou trouvé un certain cercle de sermons et qui répètent tous les ans le même à pareil jour; ils
s'exposent à dégoûter tous ceux qui les savent déjà par cœur, d'ailleurs il est difficile de placer dans
ce cercle inamovible tout ce qui est nécessaire ou utile de dire; d'autres font une lecture, en général
on n'en tire pas grand fruit, et chacun pense qu'il pourrait aussi bien la faire chez soi; d'autres plus
zélés cherchent des beaux sermonnaires, les apprennent, ou en forment des discours très fleuris, très
éloquents, qu'ils débitent ensuite dans la chaire. Dieu me garde de condamner nos grands orateurs
chrétiens, il est dans l'ordre qu'il y en ait quelques-uns soit pour honorer le catholicisme, soit pour
satisfaire un petit nombre de gens de talent, mais il est peu d'hommes que Dieu fasse naître
éloquents. Vouloir les singer quand on n'en a pas l'aptitude, c'est, en voulant faire de l'esprit,
montrer aux gens sensés qu'on n'en a pas. D'ailleurs, on emploie bien du temps à cette étude, il faut
écrire, apprendre etc., on s'ennuie, on se dégoûte, on prêche mal et rarement. Enfin c'est par une
providence spéciale que peu de prêtres naissent éloquents, parce que parmi les auditeurs la plupart
sans études, et souvent même les savants peu instruits de leur religion, comprendraient peu ou pas,
même dans les villes, ce qu'on leur dirait d'un style trop élevé, et en général on prêcherait pour les
murailles. Contentons-nous donc de ce que Dieu nous a donné pour le bien commun.
Asc,6309:T5,3
Mais comment faut-il prêcher? C'est encore le saint concile de Trente qui va nous l'apprendre (sess.
X, c. II): plebes sibi commissas pro sua et earum capacitate pascant salutaribus verbis docendo
quæ scire omnibus necessarium est ad salutem, annuntiandoque eis cum brevitate et facilitate
sermonis vitia quæ eos declinare, et virtutes quas sectari oporteat, ut pœnam æternam evadere, et
cælestem gloriam consequi valeant. Pesons un moment ces paroles.
Plebes sibi commissas: c'est à nous que Dieu confie ces âmes pour que nous soyons les instruments
de leur sanctification, il nous en demandera un compte bien rigoureux.
Pro sua (parochi) capacitate, c'est-à-dire que chacun fasse valoir autant qu'il peut les talents qu'il a
reçus, et qu'il ne cherche pas à s'approprier ceux d'un autre qui ne lui appartiendront jamais, et dont
il ne peut faire un usage louable et utile.
Et earum capacitate: il faut donc, quand même on aurait de grands talents, se proportionner à ceux
des auditeurs, et du commun des auditeurs, des plus grossiers auditeurs, auxquels nous sommes
aussi redevables qu'aux autres.
Asc,6309:T5,4
Pascant salutaribus verbis: les âmes ne se nourrissent pas de fumée, de grands mots, de belles
phrases, mais salutaribus verbis, de paroles qui les conduisent au salut, à se sauver, en servant Dieu.
Docendo ea quæ scire omnibus necessarium est ad salutem, voilà donc le premier et le principal
objet de tous les prônes et sermons, celui auquel doivent se rapporter tous les autres, enseigner tout
ce qu'il faut que tous sachent pour se sauver, expliquer comme on le trouve dans quelques
théologiens tout ce que renferment ces mots: credo, pater, mandans, Ecclesia, septem. Outre ces
explications, des curés très vertueux et très savants s'étaient fait une règle invariable de lire tous les
dimanches au prône une partie de l'abrégé de ce qu'il faut croire et faire pour être sauvé, et disaient
pour raison que si les plus grossiers de leurs paroissiens ne le retenaient pas à la 100e fois, il le
retiendraient à la 200e ou la 300e. Des missionnaires très célèbres, en prêchant dans les plus
grandes villes, ne manquaient jamais d'en réciter au commencement ou à la fin de tous leurs
sermons, et recommandaient beaucoup cette pratique à tous les missionnaires et prédicateurs. Ces
bons ouvriers pensaient avec Cornelius a Lapide que la plupart de ceux qui sont damnés le sont
faute d'instructions, et les curés y ont presque toujours une grande part en les négligeant. C'est dans
ces vues que des Évêques zélés ont manifesté le désir ardent qu'on fît tous les dimanches un
catéchisme pour les personnes de tout âge, beaucoup de curés l'ont fait avec grand succès, reste à
savoir si tous se sont acquittés de ce devoir avec toute l'attention qu'il mérite.
Asc,6309:T5,5
Le saint concile ajoute: cum brevitate et facilitate sermonis; il faut que ce soit court pour ne pas
fatiguer les auditeurs, mais plus il y a de brièveté, plus il doit y avoir de clarté et de force pour
laisser des impressions durables; le style doit être simple et à la portée de tout le monde, le Pasteur
doit y parler avec tendresse, et faire sentir combien il désire le salut de ses ouailles; il faut qu'il
s'abaisse jusqu'aux plus petits et aux plus ignorants, car dit encore le saint concile, parvuli petierunt
panem, et non erat qui frangeret eis; parce que tous les auditeurs sont de petits enfants dans la
science du salut, si on leur donne un grand pain tout entier, quoiqu'il leur offre de quoi vivre, ils
mourront de faim auprès; la croûte est trop dure, ils ne peuvent le couper, encore moins le manger,
c'est au Père de famille, au Pasteur, de partager le pain, d'en proportionner les morceaux à leur
bouche, à leurs dents; alors ils se nourriront et vivront. Si l'on s'abonnait à cette sainte simplicité, on
parlerait plus aisément, plus souvent, on plairait aux riches, aux savants, aux mondains mêmes,
pourvu qu'il n'y eût jamais de trivialités; on aurait la consolation d'être utiles à tous en suivant les
traces de Jésus-Christ, le Grand Maître des prédicateurs, qui employait des paraboles si simples, et
on n'aurait pas la crainte d'entendre au Jugement ce reproche: Non pavisti, occidisti (S.
Chrysostome).
Asc,6309:T5,6
Sur quoi faut-il prêcher?
Sur quoi faut-il prêcher? Le saint concile le dit aussi: annuntiando eis vitia quæ eos declinare, et
virtutes quas sectari oporteat; voilà une phrase qui renferme bien des choses: il faut d'abord
apprendre à fuir le vice; si l'on y était parvenu, on serait porté à croire que tout est fini, mais pas du
tout, ce ne serait encore qu'une partie des fonctions d'un Pasteur, qui doit aussi absolument exciter à
pratiquer la vertu: ce n'est pas ici une pensée purement pieuse; elle est fondée sur l'Évangile qui
déclare ce serviteur inutile celui qui n'aurait fait ni bien, ni mal, condamné au feu éternel. On ne
peut ici entrer dans tous les détails, il est cependant bon d'indiquer quelques points qu'on néglige
plus souvent; il faudrait rappeler fréquemment aux hommes leurs fins dernières, les leur faire
envisager avec toute l'énergie dont on est capable, en conclure toujours qu'on doit dans tous les états
se détacher des choses terrestres, des richesses, des honneurs, des faux plaisirs, ne voir la terre que
comme un lieu d'exil, soupirer sans cesse après la Patrie céleste, et sans cesse y tendre par toutes
sortes de bonnes œuvres. Il faudrait insister fortement à persuader ses auditeurs de la malice du
péché; leur en peindre tous les caractères et les dangers, les suites déplorables et éternelles, graver
dans leur cœur que le péché est le seul mal qu'il y ait dans l'univers, et ne pas manquer de les
instruire à fond sur le péché véniel. Il faudrait s'élever avec force contre les divertissements trop
souvent coupables qui profanent le saint jour du dimanche au lieu de le sanctifier, en particulier
contre les cabarets et les maudites danses, écueil funeste où l'innocence d'un si grand nombre a fait
et fait encore naufrage tous les jours, et au milieu desquels presque personne ne conserve la pureté.
Si l'on comprend bien saint François de Sales, on verra qu'il pense et parle tout comme les autres, et
qu'il demeure toujours vrai que les danses, surtout dans nos jours, sont très dangereuses pour tous,
occasion de péché mortel pour beaucoup, enfin que si nous pouvions lire dans les cœurs et qu'il
s'agît de faire la liste de ceux et celles qui n'y pèchent pas du tout, elle serait terriblement courte.
Pourquoi ne parlerait-on pas aussi de cette fureur des parures, qui même quand elles sont décentes,
ce qui devient rare, ont très souvent pour but de plaire, ou pour mieux dire de séduire? Voyez tout
ce que disent les Ss. Pères sur ces articles.
Asc,6309:T5,7
Il faudrait tonner sans relâche contre les jurements, les basphèmes, les paroles impudiques, crimes
si abominables, que maintenant beaucoup regardent à peine comme de petits péchés, qui outre la
malice et la noirceur qui leur est propre deviennent encore scandale pour ceux qui les entendent et
finissent par les accoutumer à imiter ces pécheurs.
Que de soins il faudrait apporter pour inculquer aux parents combien grandes sont leurs obligations
pour l'éducation de leurs enfants! Que de parents et d'enfants damnés parce qu'on ne réfléchit pas
sur ces devoirs si importants! À quoi devons-nous la décadence des mœurs, l'irreligion, et tous les
crimes qui inondent le monde? Sans doute en grande partie à ce qu'on néglige l'éducation des
enfants de toutes les classes, et disons-le, à ce que les curés n'en parlent pas assez souvent: plus on
tardera d'arrêter ce fléau, plus on s'assurera d'avoir des générations encore pires que les précédentes;
il y a sur ce seul article des détails presque infinis à donner qu'on trouvera dans les bons livres, et
qui d'ailleurs sortiront facilement du cœur du Pasteur, s' il est un Pasteur selon le cœur de Dieu.
Asc,6309:T5,8
Un autre champ bien vaste…
Un autre champ bien vaste pour la prédication et malheureusement peu cultivé c'est l'enseignement
énergique et circonstancié du précepte de l'aumône. Hélas! Combien n'en parlent jamais ou en
parlent peu et mal! Il ne s'agit cependant, pour un grand nombre, de rien moins que d'être damnés,
pour avoir manqué à la loi de la charité et presque tous s'endorment au bord du précipice, ou plutôt
ont une espèce de persuasion que l'Aumône est une bonne œuvre de surérogation, de dévotion et
que dès que l'on en fait, c'est toujours assez. Voilà comme l'on établit un nouvel Évangile! Il
faudrait d'abord faire bien comprendre en quoi consiste la charité que Dieu nous commande envers
tous les hommes, ensuite il serait aisé de démontrer que quoique les riches soient les maîtres de leur
superflu par rapport aux autres hommes, ils ne le sont pas par rapport à Dieu, qui les oblige de le
donner aux pauvres, comme chose qui leur appartient, on se récriera peut-être contre cette
proposition, je ne m'en étonne pas, mais j'en conclus seulement qu'on doit mieux étudier cette
matière et spécialement lire et méditer ce qu'en dit Antoine, théologien très estimé (t. 1 pag. 291
edit. Taurin. 1789). On verra comment il la prouve par l'Écriture, les textes des Ss. Pères, et la
raison. On peut lire aussi bien des passages de S. Chrysostome, spécialement conc. 11 de Lazaro,
hom. 11 ad pop. ant., Hom. 62 in Matth. Aussi Grenade et une foule d'autres bons auteurs,
qu'aujourd'hui l'on regarde presque comme des radoteurs. Combien il y aurait à dire sur la seule
parabole du riche damné auquel l'Évangile ne reproche rien d'autre que la bonne chère et l'abandon
d'un pauvre. Il faudrait faire retentir le temple des malédictions que l'Évangile lance sur les riches,
væ, væ, væ, et des paroles de condamnation qu'il leur annonce pour le jour du jugement, faire bien
comprendre que tout ce qu'on donne ou refuse aux pauvres, c'est à Jésus-Christ même qu'on le
donne ou le refuse, et qu'au jour du jugement il rendra l'un et l'autre comme fait à lui-même, qu'en
conséquence il s'agit peut-être moins de secourir les pauvres, que de nous arracher à l'enfer et
d'acheter le Ciel.
Asc,6309:T5,9
On devrait aussi expliquer d'après les théologiens (Antoine, loco cit.) les trois degrés de nécessité et
les trois sortes de biens. Mais si l'on s'en tient à ces principes on n'aura encore rien gagné, car les
mondains eux-mêmes en conviennent assez et ne manquent que dans l'application, c'est-à-dire qu'ils
prétendent toujours n'avoir que très peu ou pas du tout de superflu. Il faut donc fulminer contre tous
ces prétextes inventés par l'avarice et l'amour des plaisirs, contre ce luxe qui ne connaît plus de
bornes, contre ces tables splendidement couvertes de la chair des pauvres, c'est-à-dire de ce qui
devrait les nourrir et si l'on nous dit que l'on se conduit comme ceux de son état, répondre qu'en
imitant ceus qui se damnent, on se damnera comme eux; car il n'est peut-être rien sur quoi l'on
s'abuse davantage que sur ce prétendu nécessaire de l'état.
Enfin il faut apprendre à donner l'aumône pour l'amour de Dieu et en état de grâce, pour n'en pas
perdre le mérite céleste. Comme il est bon qu'on ne regarde pas les Pasteurs comme des censeurs
incommodes et fâcheux, ils feront très bien de publier que quoiqu'il soit louable pour les riches de
chercher les pauvres, on ne leur en impose pas obligation, mais que cette obligation des recherches
et des secours est imposée aux Pasteurs par le saint concile de Trente sess. 23 cap. 2 (voyez
Antoine, loco cit.) et que s'ils ne la remplissaient pas ils seraient coupables envers les riches en ne
les instruisant pas et ne les exhortant pas, et envers les pauvres en ne leur procurant pas d'assistance.
Qui pourrait excuser de cruauté un père qui aurait du crédit chez les riches, et laisserait ses enfants
souffrir la faim, parce que, ne l'éprouvant pas lui-même, il ne voudrait pas parler pour leur obtenir
du secours? Après ces instructions les riches trouveront tout simple que nous ne voulions pas
participer à leur luxe, à leurs tables splendides, puisque ce serait coopérer à leurs péchés par nos
actions et nos exemples, et même les approuver par notre présence.
Asc,6309:T5,10
Il ne faut pas oublier d'éclairer sur le précepte de l'aumône spirituelle, bien plus facile, mais aussi
bien plus précieuse, et plus obligatoire que la temporelle.
Tout ceci n'est qu'une ébauche bien imparfaite de ce qu'on doit dire sur l'aumône, ne manquons pas
de jeter attentivement les yeux sur nous-mêmes et de voir sans nous éblouir, si nous qui devons
servir de modèle aux autres, et imiter plus particulièrement les vertus de Jésus-Christ, si nous
n'avons pas trouvé de l'argent pour le luxe des meubles, les délices de la table, enfin pour tous nos
plaisirs, si nous n'avons pas eu le malheur de l'entasser, tandis que nous ne nous trouvons presque
rien pour les pauvres.
Asc,6309:T5,11
Ne laissons pas ignorer…
Ne laissons pas ignorer à nos paroissiens que c'est la loi naturelle qui exige que nous les
avertissions, que nous éloignions d'eux tout mal, et leur procurions le plus de bien possible. Quand
ils en seront persuadés, ils ne verront plus dans nos réprimandes, que notre zèle pour notre salut et
le leur. Parochi (Liguori, Homo Apostolicus, tract. 7, n. 30 et beaucoup d'autres) tenentur etiam
cum periculo vitæ corripere subditos in peccato mortali, vel in ejus periculo, proximo existentes,
etiam cum gravi eorum necessitate, modo fulgeat emendationis spes. Descendons dans certains
détails auxquels presque personne ne pense; par exemple prémunir contre les dangers trop
communs pour les jeunes gens qui se disposent au mariage; Liguori dit (ibid. n. 32) impediat ne
sponsi domus sponsarum adeant, et (n. 37) nec ipsi, nec parentes absolvantur, quin hanc
occasionem removeant (ibid. n. 34); sciat et moneat eos qui præcepto Paschali desunt, quod raro fit
erga “divites” (ibid. n. 38, 40); leur faire connaître combien l'on pèche en se livrant aux pensées
d'impureté, les instruire sur la contrition, ses qualités, sa nécessité; qu'ils sachent que quiconque se
présente pour le mariage doit être, avant les bans, examiné sur l'instruction religieuse, dit Benoît
XIV Syn. l. 8, c. 14, règle fondée sur la loi naturelle, puisque devant absolument instruire les
enfants, il faut qu'il soit lui-même instruit; même loi, et même source pour les parrains, cautions des
enfants, et suppléants, au besoin, des parents qui ne s'acquittent pas de leur devoir: recevrait-on
pour caution d'une somme celui qui n'aurait rien pour payer? L'un et l'autre sont souvent bien mal
observés, quand il s'agit des riches. On trouve dans Antoine (t. 11 pag. 331, 332, edit. Taur. 1789)
des explications très intéressantes sur l'examen à faire de ceux qui se présentent pour le mariage;
elles sont presque toutes de Benoît XIV qui dit qu'on ne peut les admettre s'ils ignorent ce qu'il est
nécessaire de savoir: nec parochus ponit impedimentum novum, sed declarat positum a lege
naturali donec instruantur; on voit la même doctrine dans le Rituel Romain, dans S. Charles
Borromée, et dans une foule de synodes cités ibid. Benoît XIV dit de ces ignorants: Sunt in peccato
mortali, et ita Sacramentum recipiunt sacrilego, nec parochus potest (licet non esset minister) sua
præsentia firmare contractum sacrilege initum; le même dit (Syn. l. 8, c. 14): parochus et testes non
possunt licite assistere matrimonio publicorum peccatorum ne sacrilegii participes fiant; immo
sponsa videtur peccare graviter contrahendo cum peccatore publico.
Asc,6309:T5,12
Il est encore bien essentiel d'avertir les mères de procurer le baptême aux enfants nés longtemps
avant le terme quand on n'est pas très sûr qu'ils soient morts; des grands missionnaires ont procuré
par cet avis souvent répété la grâce de la régénération à un très grand nombre d'enfants, les Pasteurs
ne peuvent manquer sans faute de s'assurer si les sages-femmes savent très bien baptiser. On
éviterait bien des crimes en exigeant des parents qu'ils ne laissent pas coucher leurs enfants
ensemble.
Il y aurait bien des éclaircissements à donner pour extirper même dans les villages, le vice de l'usure
qui y fait de grands progrès, plus encore par ignorance que par malice.
Beaucoup de médecins ont grand besoin qu'on leur intime le devoir que la charité, la loi naturelle
leur imposerait de visiter les pauvres gratuitement, et surtout celui qui a la même source et qui est si
fortement recommandé par Pie V, d'avoir soin que tous les malades se confessent au
commencement de la maladie, et qu'on les administre à temps.
Asc,6309:T5,13
Qu'il est indispensable que les pasteurs et les prédicateurs dans les endroits où ce vice existe,
tonnent avec véhémence contre les indécences que commettent dans leurs vêtements les femmes et
les filles, ces démons en chair, qui ne savant plus rougir, et qui étalent aux yeux du public ce que la
pudeur ordonne de cacher! Qu'il est aisé de voir qu'en se prévalant des modes, des usages, de leur
commodité, elles n'ont et ne peuvent avoir d'autre but que de séduire, et damner les autres en se
damnant elles-mêmes, et qu'elles portent l'extravagance jusqu'à sacrifier à cet abominable plaisir
leur santé et leur vie, comme on en a tant d'exemples, de l'aveu des médecins les moins religieux!
Ces infâmes prostituées croient n'avoir pas fait assez en promenant leur impudicité dans les
maisons, dans les rues, dans les places publiques, elles osent bien encore en faire parade jusque
dans nos églises, y disputer à Jésus-Christ l'honneur qui n'est dû qu'à lui seul, attirer sur elles tant de
regards criminels et prétendre d'être adorées à la place de Dieu lui-même. On a imprimé et répandu
dans tout ce pays les Bulles d'Innocent XI et de Pie VII qui expliquent clairement en quoi consistent
ces indécences, qui les estiment d'une tout autre manière que les mondains, même appelés pieux,
qui en font un cas réservé et défendent d'admettre aux Sacrements celles qui en sont coupables. Je
n'examine pas ici si ces Bulles sont reçues, mais il demeure toujours certain que ces malheureuses
créatures pèchent mortellement contre la loi naturelle par le scandale et l'occasion de péché mortel
qu'elles offrent malicieusement à tous ceus qui les voient et pour lesquels il est si difficile de les
éviter. Que penserait-on, que dirait-on, si jamais des prêtres, leurs Pasteurs mêmes se trouvaient
sans horreur dans les assemblées, dans les repas où ces monstres affichent leur honteux trafic?
Serait-il bien possible qu'on les admît dans cet état aux Sacrements, à la Sainte Communion, au
mariage? Nous savons qu'un respectable curé d'une grande ville n'a pas hésité, même dans des
temps très nébuleux, d'envoyer se couvrir une de ces filles indécentes qui se présentait au mariage,
et qui n'était pas sans crédit. Nous avons loué ce Pasteur, mais l'avons-nous tous imité? Si nous ne
l'avons pas imité, où est notre conscience?
Asc,6309:T5,14
Il est encore un objet…
Il est encore un objet dont beaucoup de prêtres parlent bien rarement, soit en chaire, soit au
confessional, soit dans les conversations, et qui doit cependant trouver une place spéciale dans les
instructions, c'est la vocation: presque personne n'y pense, chacun prend d'après des raisons
purement temporelles et souvent criminelles l'état qui lui promet plus de richesses et de plaisirs, on
ne consulte pas Dieu, ni les lumières de la foi, de là tant de désordres dans le monde, dont les
hommes sages et vertueux voient une des principales causes dans les vocations manquées.
L'Évangile nous apprend que Dieu veille si continuellement sur nous, qu'un cheveu ne tombe pas de
notre tête sans sa volonté, et nous ne voulons pas lui donner part dans l'affaire la plus importante de
la vie! Dieu veut qu'il y ait un certain nombre d'hommes dans tous les états, mais il appelle plus
spécialement à l'un qu'à l'autre et donne pour celui auquel il appelle les dispositions de l'esprit et du
corps, des grâces dont on sera privé dans les autres états, et faute desquelles on courra grand risque
de ne pas s'y sauver.
Asc,6309:T5,15
Il faut principalement le dire de l'état ecclésiastique, où personne ne doit s'ingérer sans y être
véritablement appelé. Combien de jeunes gens ne s'en occupent qu'avec des vues toutes humaines,
et le comble du malheur c'est que quand ils vont consulter ceux de qui ils ont droit d'attendre
lumière, ceux-ci disent à l'un qu'ayant quelque fortune il fera mieux de prendre tout autre parti,
parce que l'état ecclésiastique n'offre plus ni richesses, ni honneurs, ni plaisirs, ils disent à l'autre
que n'ayant rien pour vivre ils lui procureront par leurs amis une bourse au Séminaire, et qu'il vaut
toujours mieux être prêtre que d'être journalier ou artisan. Voilà les motifs effrayants sur lesquels on
fait reposer la décision pour embrasser le plus grand et le plus dangereux de tous les états de
l'univers. Combien de choses il y aurait à dire sur cet article? Mais si on les cherche, on les trouvera
aisément dans les bons auteurs. Nouvel examen à faire pour ceux que Dieu appelle à l'état religieux.
Oh qu'il est donc déplorable de voir l'espèce de négoce que l'on fait des enfants, le despotisme qu'on
exerce pour les obliger à prendre l'état où Dieu ne les veut pas, l'abus qu'on fait de leur obéissance
pour exiger qu'ils se mettent en opposition avec la volonté de Dieu, et lui désobéissent
continuellement? Les parents sont sans doute bien coupables, ils pourraient connaître leurs devoirs à
ce sujet par la seule loi naturelle; mais les Pasteurs sont-ils excusables, s'ils ne suppléent pas à leur
négligence qui engendre l'ignorance, et si ils ne les instruisent pas?
Asc,6309:T6,1
Catéchisme
Le soin des enfants est, au jugement et d'après les exemples de Jésus-Christ, une des principales
fonctions d'un Pasteur des âmes. Ce Divin Maître aimait les enfants d'un amour tendre, et de
préférence, il voulait que ses disciples les laissassent approcher de lui, il trouvait son plaisir avec
eux, et comme il connaissait leur innocence, il déclarait que c'était à ceux qui leur ressemblaient
qu'appartenait le Royaume des Cieux. Jésus-Christ a légué à tous les Pasteurs son affection pour les
enfants et a chargé ces Pasteurs d'entretenir dans leurs jeunes ouailles la simplicité qui les ravit, ou
s'ils ont eu le malheur de perdre momentanément la grâce, de la rappeler dans leurs cœurs, avant
qu'ils ne s'endurcissent dans l'habitude du péché. Le catéchisme ou l'instruction des enfants est donc
une fonction aussi noble devant Dieu, qu'elle est basse aux yeux des mondains.
Asc,6309:T6,2
Est-ce ainsi que nous avons envisagé le catéchisme? L'avons-nous regardé comme une de nos plus
douces et de nos plus précieuses occupations? Avons-nous pensé qu'il y a souvent plus de facilité
pour faire du bien aux enfants, qu'aux personnes âgées, que le bien qu'on leur fait se perpétue
ordinairement jusqu'aux générations futures, dont ils deviennent auteurs, et que les négliger c'est
poser la cause non seulement de leurs propres péchés, mais encore de ceux de leurs descendants?
Nous sommes-nous préparés avec zèle par la lecture des bons auteurs et surtout par la prière, à
exceller dans la grande science de très bien faire le catéchisme? Avons-nous tâché de nous abaisser
jusqu'à ces petits pour nous faire comprendre d'eux, et quand leurs dispositions ne répondaient pas à
nos désirs, en avons-nous pris occasion d'exercer la douceur et la patience, jusqu'à ce que nous
puissions arriver à leur esprit et ensuite à leur cœur? Excitons-nous leurs parents à nous aider par
leurs discours, et surtout par leurs exemples à en faire des vrais chrétiens? Un zèle éclairé et
obligatoire nous porte-t-il à aller instruire dans les champs et dans les bois ceux qui, faute de temps,
ou même par quelque négligence, ne viennent pas au catéchisme? Cette obligation n'en paraîtrait
pas une à des Pasteurs indolents, mais Lacroix, que personne ne taxera de rigorisme, dit: “Si essent
rudes qui ob custodiam gregum etc. non possent adire Ecclesiam, tenetur parochus eos adire et
instruere, quantocumque suo incommodo” (l. 2, qu. 14 et l. 3 pag. 2, n. 469). Liguori, un peu plus
doux encore, dit: que si c'était extrêmement difficile, “ob horum rudium multiplicitatem, curet
saltem eos instruere tempore præcepti paschalis, aut cum accedunt ad suscipiendum sacramentum
confirmationis aut matrimonio” (Homo Apostolicus, tract. VII, n. V). Cette doctrine n'aurait pas
paru trop sévère à S. François de Sales qui dans son diocèse s'exposait dans les précipices pour aller
visiter les pauvres, je dirais presque les sauvages, et éprouvait du chagrin de ce qu'avant lui un
pauvre avait fait le sacrifice de sa vie pour retirer une vache tombée dans les rochers. Et en effet qui
pourrait comprendre qu'un père dont l'enfant serait aux champs et ne pourrait venir chercher à
manger à la maison, ne lui en portât, ou ne lui en envoyât pas? Mais pour nous, il s'agit de la
nourriture de l'Âme!…
Asc,6309:T6,3
Il faut porter cette ardeur à instruire les enfants jusqu'à ceux qui viennent d'atteindre l'usage de la
raison. 1o: parce qu'ils doivent déjà s'en servir pour connaître, aimer et servir à Dieu, selon leur
capacité; 2o. parce que dès lors ils peuvent pécher, ils le font presque toujours, et quelquefois
mortellement, et dans ce cas ils sont tenus à se confesser du moins une fois l'an. C'est ici le lieu de
remarquer que les Pasteurs auraient grand tort s'ils entendaient ces confessions légèrement, à la hâte
et par manière d'acquit; les premières impressions que les enfants reçoivent restent ordinairement
toute leur vie, et d'ailleurs il en est qui, dès ce bas âge, contractent des habitudes de péché mortel, et
alors pour eux comme pour tous les autres, c'est un devoir sub gravi pour le Pasteur de les prévenir
ou du moins de les déraciner avant qu'elles ne s'invétèrent, et pour y réussir, de les confesser autant
de fois l'an que la prudence le requiert, fût-ce toutes les semaines, jusqu'à victoire et persévérance,
et après les avoir bien instruits de les absoudre pour leur procurer l'état de grâce, qu'il serait plus que
déraisonnable de les faire attendre jusqu'à la première communion; 3o. parce que ces enfants
peuvent devenir malades et mourir, et quelle est la douleur d'un Pasteur qui conserve un peu de foi,
lorsqu'il voit sans instruction par sa négligence un enfant de 7 à 8 ans qu'il a tout lieu de craindre
“avoir péché mortellement”, surpris d'une maladie grave, privé de connaissance, incapable
d'instruction, et par conséquent d'absolution, partir pour l'éternité avec ses péchés dont le Pasteur
aurait pu et dû le délivrer.
Asc,6309:T6,4
L'époque la plus intéressante pour les enfants est sans doute celle de la première Communion, un
Pasteur vigilant sait qu'il ne peut y apporter trop de soin. Dès l'année précédente il veille à ce que
les enfants qu'il désire y disposer soient assidus au catéchisme, il en tient liste, il fait l'appel, il
marque les absents; pendant cette année il les confesse tous les 3 mois (sauf les habitudinaires
comme nous avons dit) mais pour l'année même de la Communion ils les fait aller à confesser
chaque mois, les divisant à différents jours de la semaine et exigeant qu'ils en apportent des billets.
Il est très louable de leur donner, à part du catéchisme, des instructions sur la prière, la modestie à
l'église, la présence de Dieu, le rosaire, les actes de vertu théologales, les motifs de contrition, la
manière d'entendre la Messe, de s'examiner, de se confesser, sur la douceur, l'obéissance, les
jurements, le péché etc. Il est très convenable de leur donner une petite retraite avant la Communion
(voyez vie de Valère), de rendre le jour très solennel. Enfin il faut aviser aux meilleurs moyens de
leur faire fréquenter le catéchisme après la Communion, et s'efforcer de le rendre intéressant pour y
attirer les grandes personnes.
Quant à l'âge, quoiqu'on ne puisse le fixer positivement, il est en général vrai de dire que le plus tôt
est le mieux. S. Charles Borromée, au 9e synode, a ordonné aux curés de rendre les enfants habiles
à communier à dix ans. Quand on diffère beaucoup, il est à craindre qu'on n'ait pour motif la paresse
à les instruire et l'espoir que plus tard les parents ou les maîtres d'école les instruiront, ce qui se
trouve souvent faux. Il est vrai que les enfants plus âgés ont ou peuvent avoir plus de discernement,
mais beaucoup ont contracté des habitudes de péché mortel dont on ne les débarrasse pas
facilement, et alors on se voit forcé de différer toujours davantage la Communion, et peut-être de
finir par les y admettre avec des dispositions du moins bien douteuses.
Asc,6309:T6,5
Les Pasteurs ont souvent tort en protégeant les pensionnats, qui se multiplient tous les jours, dont
les maîtres ne cherchent que l'argent, et ne peuvent inspirer aux enfants la foi, la piété, les mœurs
quand ils n'en ont pas eux-mêmes, ou n'en ont que les grimaces, comme on ne le voit que trop. Rien
de pis que d'engager les parents à y mettre leurs enfants; ils pèchent en le faisant, car ils n'y gagnent
que l'orgueil et la corruption, deviennent les fléaux de leurs familles et souvent de leurs paroisses,
ce sont de vrais démons qui ne s'occupent qu'à pervertir tout ce qui les approche.
Asc,6309:T7,1
Du soin des malades
Le Pasteur se doit sans doute tous les jours à tous les membres de son troupeau, mais il est des
moments où il faut qu'ils leurs montre une tendresse spéciale, et il en est peu de plus intéressant que
celui où ils sont malades, et exposés à voir bientôt jugée la grande affaire de leur éternité, qui
dépend particulièrement de leurs dispositions à l'instant de la mort. Sommes-nous toujours partis
avec joie et promptitude aussitôt que nous avons été appelés pour un malade, à toute heure de jour
et de nuit? Avons-nous même demandé instamment et publiquement qu'on vînt toujours nous
avertir dès le commencement de l'infirmité? Se conduire autrement serait manquer à la charité et
souvent à la justice, ce serait exposer les pauvres âmes à se perdre; ceux qui ont bien vécu ont tout à
craindre des tentations du démon qui fait alors ses derniers efforts pour qu'ils succombent, et il ne
faut qu'un instant pour en être victime. Ceux qui ont mal vécu peuvent encore se convertir alors, et
ont grand besoin de nos secours; il en est qui réservent jusqu'au moment de la mort des accusations
de péché mortel, qu'ils n'ont pas eu le courage de faire auparavant. Les habitudinaires exigent aussi
une grande sollicitude, et l'on a quelquefois la consolation, après bien des travaux de les voir mourir
d'une manière plus ou moins satisfaisante.
Asc,6309:T7,2
Ne se contente-t-on pas d'un trop petit nombre de visites, surtout quand les malades sont pauvres, et
qu'on n'en attend rien? Il y en a qui s'y rendent une seule fois pour les confesser vite, et les
administrer en même temps, puis ils disent froidement: “il a tout ce qu'il lui faut”, et n'y retournent
plus, ou fort peu; conduite indigne d'un Pasteur qui doit préférer de visiter six fois de trop, qu'une
fois de moins; encore plus abominable si, ayant un jeune vicaire zélé, le Pasteur le détournait de
visiter souvent les malades, malice diabolique dont la cause est que l'on craint de laisser au Vicaire
l'estime dont on ne veut pas pour soi-même, et de voir dans ses actions du Vicaire la censure tacite
des siennes. Il en est, heureusement très peu, qui ont pris la résolution de ne jamais se lever la nuit
quand ils sont appelés pour les infirmes, c'est dire clairement qu'ils aiment mieux que les âmes
soient damnées, s'il y a lieu, que d'interrompre leur sommeil, et comment pourrait-on ne pas dire
que de tels Pasteurs ou plutôt de tels mercenaires sont en état de péché mortel habituel, par leur
seule disposition, quand même le cas ne se présenterait pas? Ceux qui y vont de mauvaise grâce, qui
se plaignent, qui montrent du déplaisir à ceux qui les viennent avertir, et les en dégoûtent, ne sont
pas beaucoup moins coupables.
Asc,6309:T7,3
Enfin avons-nous employé, pour consoler et secourir les malades, tout ce qu'un bon cœur, et plus
encore la grâce suggère à un vrai ministre du Jésus-Christ, leur avons-nous parlé avec foi, avec
amour, avec zèle, les avons-nous instruits et administrés à temps? Ici il faut remarquer que le
catéchisme romain p. 2, c. 6, porte: “gravissime peccant qui illud tempus ægrotos ungendi observare
solent, cum omni salutis spe amissa vita et sensibus carere incipiunt”. Avons-nous édifié par notre
recueillement les parents et les assistants? Avons-nous profité du spectacle de la maladie, et surtout
de l'administration et de la mort, pour leur montrer avec force la caducité et la brièveté des choses
terrestres, et les exciter d'une manière tendre et pressante à mettre ordre à leur conscience et ne pas
se laisser surprendre?
Asc,6309:T8,1
Devoirs des Vicaires envers leurs curés et vice-versa
Le Vicaire d'un bon Pasteur doit considérer ce Pasteur comme son Père, lui porter un profond
respect dû à ses vertus, à ses talents, à ses travaux, à sa dignité, lui obéir en tout ce que le Pasteur
peut attendre de lui, l'aider et le soulager autant qu'il peut, le faire respecter et aimer des paroissiens,
le consulter dans la conduite des Âmes, puisque c'est pour l'apprendre qu'on est mis en sous-ordre,
et acquiescer à ses avis; mais remarquons bien 1. qu'il s'agit ici du Vicaire d'un bon Pasteur; 2. qu'on
doit croire le Pasteur bon, quand on n'a pas de preuves du contraire.
Les curés doivent traiter leurs Vicaires avec charité, leur donner de bons exemples, bien plus
puissants que tous les discours. Il serait bien affligeant et bien condamnable qu'un Curé entraînât
son Vicaire aux visites, aux pertes de temps, aux repas, qu'il lui donnât des conseils mondains, qu'il
le portât au laxisme, et il serait abominable que le Pasteur tournât en ridicule la piété de son Vicaire,
qu'il en fît des railleries et l'exposât à succomber au respect humain.
Le Pasteur, quoiqu'il ait un Vicaire approuvé de l'Évêque, conserve toujours la responsabilité du
Troupeau, car, dit Liguori, Évêque lui-même (Homo Apostolicus, tract. VII, n. 24), malgré
l'approbation de l'Évêque, parochus certus debet fieri Vicarium idoneum esse, tam quoad scientiam,
quam quoad mores, alias rationem ipse Deo redditurus est de omnibus damnis quæ ob ejus
ignorantiam et pravos mores eveniunt. Quand même le Vicaire est capable et bon, il ne faut pas
pour cela l'écraser et se décharger de presque tout sur lui, car le Vicaire est un aide, mais si c'était
un remplaçant, il faudrait que le curé lui cédât la place et la cure.
Asc,6309:T8,2
Le curé doit concilier l'estime à son Vicaire, et il serait fâcheux et nuisible qu'il le reprît même de
ses fautes devant des laïcs quelconques, encore plus qu'on remarquât entre eux quelque
mésintelligence, qu'ils se vissent rudement et froidement, ce serait un vrai scandale… Il ne convient
pas qu'un curé garde pour lui tous les bons émoluments, l'esprit de l'Église est que chacun reçoive à
proportion de son travail. Si dans quelque lieu c'était l'usage que le curé ne confessât et
n'administrât que les riches et laissât ex professo les pauvres au Vicaire, il faudrait être bien humble
ou bien bas pour continuer cet usage si déshonorant pour un ministre de Jésus-Christ. D'ailleurs les
pauvres peuvent avoir des fortes raisons de se confesser au curé, ils n'oseront pas le demander si la
pratique est contraire, et le curé manquera facilement en cela à la justice in gravi.
C'est encore un usage bien avilissant et bien mauvais que celui de se recommander pour obtenir une
cure, c'est montrer qu'on a des idées bien fausses sur la charge d'âmes qu'on ne devrait prendre que
par force. C'est convenir qu'on a du moins peu de mérite puisqu'on craint que l'Évêque et son
conseil ne puissent l'apercevoir, si on [ne] les en avertit. Ces recommandations sont perfides
lorsqu'on y emploie des laïcs puissants de la paroisse qu'on désire; si malheureusement on l'obtient,
on se trouve enchaîné et engagé à être leur esclave par fas et nefas pour tout le temps qu'on sera leur
Pasteur.
Asc,6309:T9,1
Hors les fonctions du S. Ministère, visites et repas chez les laïcs
Un Pasteur zélé doit faire quelquefois des visites à ses paroissiens, outre la visite générale qu'il est
bien de pratiquer deux fois par an, la nécessité ou des convenances qui lui ressemblent obligent d'en
faire de temps en temps des particulières. Il est très important d'examiner comment nous nous y
comportons, si nous y montrons la gravité, la modestie, le recueillement, qui persuade aux laïcs que
nous sommes occupés de Dieu, pénétrés de la dignité de notre caractère, pro Christo legatione
fungimur, si notre extérieur leur donne une idée de celui de Jésus-Christ sur la terre, sacerdos alter
Christus. Voici à ce sujet un passage du S. Concile de Trente que nous devrions lire bien souvent
(sess. 22, def. c. 1): Decet clericos… vitam moresque suos omnes componere, ut habitu, gestu,
sermone, aliisque omnibus rebus, nil nisi grave, moderatum ac religione plenum præ se ferant;
levia etiam delicta, quæ in ipsis maxima essent, effugiant, ut eorum actiones cunctis afferant
venerationem. Ensuite le S. Concile renouvelle toutes les lois antérieures des Papes et des conciles
de clericorum vita, honestate, cultu… ac simul de luxu, commessationibus, choreis, aleis, lusibus…
non obstantibus consuetudinibus quibuscumque etc. Si nous sommes pénétrés de tous ces principes,
notre extérieur tout seul sera déjà une prédication très efficace, nous y ajouterons quelques mots de
piété et d'édification selon les circonstances et de telles visites porteront de grands fruits.
Asc,6309:T9,2
Si au contraire un prêtre paraît léger, dissipé, trop enjoué il en résulte des inconvénients quelquefois
incalculables. Le moindre est qu'on ne le respecte ni ne l'estime, mais ces sentiments sont bientôt et
involontairement appliqués à la religion dont il est ministre, et il en résulte nécessairement une
grande diminution de foi. De là ce terrible passage de S. Bernard qu'on devrait lire fréquemment
quand on est enclin à ce défaut si notable: Nugæ in ore laici, nugæ sunt, in ore sacerdotis
blasphemiæ; consecrasti os tuum Evangelio, talibus aperire illicitum, assuescere sacrilegum. Ceci
paraîtra exagéré aux mondains, mais après tout, c'est en pensant, parlant et agissant de la sorte que
les Saints sont devenus Saints, et nous chercherons en vain un autre chemin pour y parvenir.
Il serait du moins très convenable de porter toujours la soutane, c'est l'habit de notre état. Quand
nous en sommes revêtus, nous sommes de ce côté plus aptes à exercer au besoin les fonctions du S.
Ministère, d'ailleurs nous nous respectons davantage nous-mêmes, et nous inspirons plus de respect
aux autres. En supposant que ce saint habit ait quelque petite incommodité, il faudrait être bien peu
mortifié pour ne pas savoir la supporter.
Asc,6309:T9,3
Mais remarquons bien quelle sorte de visites nous devons faire, c'est-à-dire celles de nécessité ou
d'une telle convenance qu'il serait moins bien de ne pas les faire. Si nous voulons, comme nous le
devons, suivre cette règle, n'en aurons-nous pas beaucoup à retrancher? Jetons un coup d'œil sur
quelques-unes des suites des visites inutiles. 1. C'est une perte de temps, dont on ne fait peu de cas
que parce qu'on ne veut pas réfléchir que chaque instant n'est rien moins que le prix du sang de
Jésus-Christ qui nous l'a acheté et payé si cher pour que nous l'employassions à travailler à notre
salut, et à celui des autres. 2. C'est toujours une rapine sur les occupations de Ministère ou de piété
auxquelles nous sommes obligés. Assurément un prêtre qui veut remplir ses devoirs, ne trouve pas
un quart d'heure qu'il puisse perdre dans une année. 3. On s'accoutume à penser et à parler comme
les mondains, et sans s'en apercevoir, on devient en peu de temps tout comme eux, ou même pire,
tout occupé de richesses, de plaisirs, enfin tout vide de Dieu, tout plein du monde, de ce monde que
Jésus-Christ a déclaré réprouvé. 4. Chacun a ses défauts, plus on nous voit, mieux on les connaît, on
nous estime peu, on nous respecte moins, on n'a pas de confiance en nous, ou ce n'est qu'une
confiance purement humaine, tandis que si nous vivions retirés, on nous attribuerait même des
vertus que nous n'aurions pas. 5. On contracte un esprit habituel de dissipation qu'on ne remarque
guère, et qui est cependant la vraie cause de toutes les fautes grandes et petites que l'on commet par
centaines. Peu de prêtres ont le cœur corrompu, et font le mal pour le plaisir de le faire, mais par un
autre principe ils font à peu près le même mal que les hommes pervers; ce principe est la
dissipation: desolatione desolata est terra, quia non est qui recogitet corde, et il faudrait s'aveugler
terriblement pour imaginer qu'on ne répondît pas devant Dieu de toutes ces fautes dont on a posé la
cause radicale par la vie peu ecclésiastique que l'on mène. Enfin la suite nécessaire de tous ces
maux, c'est que tout ce qu'il y a de plus sacré dans le S. ministère ne devient plus qu'une espèce de
routine à laquelle on se livre sans foi, comme sans attention.
Asc,6309:T9,4
Il est vrai que l'on dit qu'on fait ces visites, et qu'on y tient cette conduite pour rendre la vertu
aimable et même pour engager les pécheurs à se convertir; mais on doit sentir dans son cœur, que
c'est là le plus faux des prétextes, qu'il y a une énorme différence entre l'amabilité de la vertu et la
dissipation. L'on sait par expérience que quand un pécheur veut sincèrement se convertir il ne
s'adresse jamais à un jovial visitateur, mais toujours à un homme qu'il croit rempli de son état; on
n'attire donc tout au plus que des agneaux de Pâques, appuyés sur l'espérance fondée qu'ils auront
bon marché de celui qui se divertit habituellement avec eux, et à peu près comme eux.
Asc,6309:T9,5
De quoi s'occupe-t-on…
De quoi s'occupe-t-on dans ces visites? Souvent de jeux défendus par les conciles sous peine de
censure, et on y boit quelquefois pendant plusieurs heures. Supposons, comme il est ordinairement
vrai, qu'on ne blesse pas en cela les règles strictes de la tempérance, il n'en est pas moins évident
que c'est une triste occupation pour un ministre de Jésus-Christ de passer tant de demi-journées à
jouer, à boire, et à tenir des conversations du moins bien oiseuses et bien séculières. Ajoutons ce qui
en est presque inséparable, la crainte de perdre au jeu, le désir d'y gagner, et le danger que ce
divertissement messéant ne finisse par devenir une véritable passion.
La multiplicité des visites engendre nécessairement la fréquence des repas, et des grands repas, du
moins trop grands relativement au prêtre. Ces festins sont encore interdits aux ecclésiastiques par
plusieurs conciles, et le concile de Trente, que nous venons de citer, dit qu'il renouvelle leurs
ordonnances, non obstantibus consuetudinibus quibuscumque. Nous ne cherchons pas ici si ces
conciles ont encore force de loi par rapport aux jeux et aux repas, ni si l'on croit le S. concile de
Trente usé tout comme les autres. Contentons-nous de dire que ces conciles ont défendu ces plaisirs
parce qu'ils y trouvaient des inconvénients, et qu'ils ont porté des censures parce qu'ils les savaient
très dangereux.
Il s'agirait donc de démontrer que ces inconvénients et ces dangers n'existent plus de nos jours, je le
souhaite, mais en voici quelques-uns qui demeurent, qui sont de tous les temps, et qui suffisent
abondamment pour s'en abstenir.
Asc,6309:T9,6
1. On participe, comme il a été dit à l'article de l'Aumône, à une foule de dépenses qui ne peuvent se
faire qu'en volant les pauvres, on se nourrit comme les laïcs, de leur chair, on s'abreuve de leur
sang, on s'ôte tout droit de parler contre ce péché, puisqu'au contraire on l'autorise avec scandale par
sa présence et ses actions. 2. Ici viennent sans contredit toutes les observations déjà faites à l'article
de la perte du temps par les visites. 3. Je suppose qu'on ne s'enivre pas, je sais même que c'est très
rare, mais il est toujours vrai qu'à la fin de ces repas on est plus ou moins échauffé par les boissons,
que toute la soirée on est lourd ou agité, et peu propre à la prière ou à l'étude, que s'il survient en cet
état une fonction du S. Ministère, on s'en acquittera d'une singulière manière, quelquefois même le
lendemain matin on est encore assez mal disposé. Si ces repas ont lieu deux ou trois fois la semaine,
nous voilà la moitié de notre vie dans un état où nous ne sommes à peu près bons à rien ou tout au
moins, nous n'avons pas cette facilité de penser, cette parfaite droiture de jugement si indispensable
pour les grandes et terribles fonctions d'un Ecclésiastique.
Asc,6309:T9,7
4. N'a-t-on pas vu plusieurs fois des prêtres qui étaient d'abord fort sobres, s'accoutumer en
fréquentant ces repas à boire toujours un peu plus, et enfin devenir ivrognes de profession, au grand
déshonneur de la religion et au grand détriment des âmes? Quand une fois ce vice est contracté,
l'expérience apprend combien il est rare et difficile de s'en corriger. Ou bien sans devenir ivrognes,
il en est qui parviennent à être potentes ad bibendum. Il leur faut du vin en quantité, et ensuite des
liqueurs plus fortes que le vin, ils en boivent hors des repas, ils mangent à peine, ils se ruinent la
santé, et sans être jamais complètement ivres, ils sont continuellement dans un état d'abrutissement
qui leur empêche de rien dire ni faire de raisonnable. Quelle assurance avons-nous qu'un semblable
malheur ne nous arrivera pas si nous nous y exposons? 5. Ce serait un art jusqu'ici inconnu que
celui de concilier la parfaite chasteté avec l'abondance du vin et des liqueurs. Que de tentations!
Que de combats avec une chair échauffée et révoltée! Et souvent que de chutes auxquelles on fait
peu d'attention et qui en mériteraient beaucoup! 6. Dans ces repas parle-t-on jamais de Dieu et de
religion si ce n'est quelquefois par manière de nouvelles et de gazette? Peut-être moins qu'à la table
du Grand Turc. Combien de plaisanteries et de fadaises! Sous prétexte de politesses, combien de
bassesse et de familiarité avec des femmes de toute espèce, dont les vêtements indiquent trop les
sentiments, combien de phrases à double sens, que tous comprennent dans un très mauvais sens.
Nouvelle et grande misère quand ces repas sont prolongés pendant la nuit et qu'on voit le prêtre
sortir avec cette bande de mondains pour se retirer chez lui. Le danger n'est pas moindre, parfois
même plus grand avec les femmes adonnées à la piété.
Asc,6309:T9,8
Disons-nous donc sans cesse: qui amat periculum in eo peribit. Celui que tous ces dangers
n'effraient pas et ne réveillent pas ne dort pas, il est déjà mort. Ceux qu'on appelle les cèdres du
Liban ont tant de peine à se sanctifier dans les exercices de la prière et de la pénitence, et nous
espérerions y réussir dans une vie si peu chrétienne, ou plutôt si païenne! Pour comble de malheur il
n'est pas rare de trouver des laïcs qui ont enfin perdu la foi pour avoir fréquenté des prêtres, et
surtout pour avoir été témoins de leur conduite dans les repas.
Enfin, n'en doutons pas, un des principaux fruits que les mondains mêmes attendent de nous après
notre retraitre, c'est notre réforme sur les visites, et les repas. Si par sensualité ou par orgueil nous
refusons de leur payer cette dette, ils continueront de nous refuser l'estime que nous ne pouvons
attendre d'eux; les amitiés apparentes qu'ils nous feront en présence seront compensées par le
mépris dont ils nous couvrirent en notre absence, du moins dans leurs cœurs, et souvent par leurs
discours. Mais un désordre bien plus effrayant, c'est que nous exposerons par cette vie tout animale
notre salut et celui des autres.
Asc,6309:T10,1
Visites à ses confrères
La charité qui doit nous porter à aimer tous les hommes exige que nous soyons liés d'une manière
plus étroite avec nos confrères, et que nous les voyions de temps en temps. Nous pouvons et nous
devons tirer un grand profit de ces visites, si nous savons les régler, et les diriger à l'utilité. En effet
de quoi parlent les hommes quand ils se rencontrent, si ce n'est de leur état, de ce qu'ils connaissent,
ou désirent apprendre mieux? Un militaire parle de la guerre, un cultivateur de l'agriculture, etc. Il
est donc bien dans l'ordre et il doit être naturel que des prêtres parlent ensemble de Dieu, et de tout
ce qui concerne son service, qu'ils s'excitent mutuellement à la ferveur pour procurer sa gloire,
qu'ils se communiquent leurs lumières sur la conduite des âmes. Nostra conversatio in cælis est, S.
Paul le disait à tous les chrétiens, mais qui l'observera, si ce n'est les prêtres? Il est donc très louable
de tâcher de trouver dans ses environs un ou quelques prêtres de ce caractère, de se réunir à eux une
fois la semaine quand le Ministère le permet, et même de faire ensemble une petite agape, mais de
celles qui sont vraiment telles, et non de celles que l'Apôtre condamne et réprouve.
Asc,6309:T10,2
Il serait sans doute bien fâcheux que les visites entre ecclésiastiques se passassent en conversations
de futilités et de bagatelles, qui obligeraient les prêtres vertueux à s'en écarter, et qui nuiraient
beaucoup aux jeunes prêtres qui s'y laisseraient entraîner. Il le serait encore davantage qu'on y
ajoutât des repas vraiment mondains, où l'on trouverait presque tous les inconvénients des festins
laïcs, peut-être même encore plus. Il est très utile d'examiner quel a été notre usage par rapport à ces
repas, avec nos amis, surtout aux kermesses et aux obsèques, mais aussi pendant le courant de
l'année. Nous ne pouvons oublier que nous devons donner l'exemple aux laïcs, en particulier sur
l'Aumône, que sous plusieurs rapports nous sommes encore plus obligés qu'eux à la faire, qu'il est
facile de les scandaliser sur ce point, et encore plus aisé de se rendre coupables devant Dieu. Dans
certains endroits, combien de profusion sur les tables des prêtres? Ne pourrait-on pas dire
quelquefois que des hommes seulement raisonnables devraient se contenter du quart de ce qu'on y
sert? Ne trouve t-on pas des prêtres d'ailleurs assez réguliers, qui dépensent 20 et 30 louis par an
seulement pour vin, café, liqueurs. D'autres moins réguliers jusqu'à 50 louis et au-dessus, et on ne
pense même pas à se le reprocher. Il est juste que les prêtres boivent du vin quand leurs travaux ou
leur santé l'exige, mais comme S. Paul le disait à Timothée: modico à cause de ses infirmités
fréquentes. Quelle différence entre ce modico et les sommes qu'on y emploie? Peut-on penser de
sang-froid que tandis qu'on fait si bonne chère, on prive par toutes ces dépenses de leur vrai
nécessaire des pauvres qui sont souvent près de la maison comme Lazare et qui périssent presque de
faim? On est alors bien éloigné de remplir le précepte d'aimer le prochain comme soi-même.
Asc,6309:T10,3
Quand on est arrivé à ce degré, il a quelquefois encore plus d'inconvénients aux repas des
ecclésiastiques, qu'à ceux des laïcs; manger à satiété, et des choses recherchées, boire beaucoup plus
qu'il ne faut, discours bouffons ou mêmes pires, dissipation excessive, rien n'y manque pour
produire un détestable assemblage, et fasse le Ciel qu'on n'y invite pas de laïcs pour être témoins et
trompettes de tous ces désordres, de notre opposition à l'esprit de recueillement et de mortification,
et à la pratique de tous ceux qui sont devenus Saints. Puisse-t-on du moins avoir la prudence d'en
écarter les jeunes prêtres, comme d'un fléau qui les perdrait, puisque partie par simplicité, partie par
respect humain, ils imiteraient dès qu'ils le pourraient ces malheureux bons vivants. Le comble du
ridicule serait d'entendre ceux qui trouvent tant d'argent pour l'employer si mal, se plaindre et se
lamenter de ce que leurs cures ne leur rapportent que 500 francs. On ne demande pas où ils prennent
le reste, mais il est certain qu'ils en ont toujours trop, d'après l'usage qu'ils en font, pour parvenir au
Ciel.
Asc,6309:T11,1
Étude
Quand nous aurons retranché toutes les visites inutiles, outre les avantages d'une vie recueillie et
vraiment sacerdotale, l'estime que nous concilierons à notre Ministère, et le soin avec lequel nous
nous en acquitterons, nous trouverons encore beaucoup de temps pour nous livrer à l'étude, sans
laquelle toute la piété possible ne formerait pas un ministre de Jésus-Christ: Labia sacerdotis
custodiunt scientiam et legem requirent de ore ejus. Quia tu scientiam repulisti, repellam te ne
sacerdotio fungaris mihi. La science seule enfle et perd, mais sans la science, du moins nécessaire,
on ne peut être qu'un mauvais prêtre et l'on fait par ignorance à peu près les mêmes maux qu'un
autre pourrait faire par malice. Enfin l'oisiveté est la source de tout vice; il faut une occupation, et il
n'en est pas pour nous de plus légitime ni de plus indispensable que l'étude.
Un prêtre a tant de choses à apprendre et à entretenir, l'Écriture Sainte, les Saints Pères, la théologie
dogmatique et morale, les livres de piété, l'Histoire ecclésiastique, même le droit canon, quand on le
peut, offrent des occupations auxquelles ne suffit pas la vie la plus longue, surtout quand on veut,
comme on le doit, ne pas étudier superficiellement, mais approfondir, examiner, comparer,
pourporter un jugement sain sur des choses si graves et si importantes.
Asc,6309:T11,2
L'étude est nécessaire en particulier pour des jeunes gens que les circonstances obligent d'élever au
sacerdoce avant qu'ils n'aient appris tout ce qu'ils doivent savoir, leurs supérieurs veulent, ou plutôt
la loi naturelle exige qu'ils s'appliquent sérieusement à acquérir tout ce qui leur manque, et s'ils
s'abandonnent à la dissipation et à la paresse, leur ordination et même leur mission deviendra le
sujet de leur condamnation, ils seront même, autant qu'il est en eux, destructeurs de la religion, car
chacun de ces ignorants voudra paraître tout savoir, donnera ex cathedra des décisions uniquement
fondées sur ses imaginations, c'est-à-dire que chacun d'eux fera une religion à sa mode. Le pis est
qu'ils vivent fort tranquilles et contents, tandis que des prêtres fort âgés qui s'intruisent constamment
depuis leur jeunesse, disent toujours avec Job: Verebar omnia opera mea.
L'étude est encore nécessaire pour ceux qui s'y livrent depuis longtemps, car il est facile d'oublier
quand on n'entretient pas ses connaissances, c'est pour cela que les prêtres savants et vertueux ne
passent pas un seul jour sans étudier l'Écriture Sainte et la morale et entre autres Monseigneur De la
Motte, ce grand Évêque d'Amiens, le pratiquait si exactement que ne pouvant plus lire, le jour de sa
mort, il se fit faire par un secrétaire les deux lectures accoutumées.
Asc,6309:T11,3
L'étude est encore plus nécessaire dans ces temps de deuil et de calamité pour se préserver des
sophismes et des prestiges que l'incrédulité et l'indifférentisme engendrent tous les jours. Parmi les
nombreuses chutes que nous avons eu à déplorer depuis quelques années dans les ministres du
sanctuaire, quelques-unes, il est vrai, ont été le fruit de la méchanceté, d'autres ont été causées par la
peur des mauvais traitements, l'attachement aux richesses et aux honneurs, mais beaucoup ont été
directement annoncées par l'ignorance. On perd son temps, on ne lit que les gazettes presque
toujours propres à séduire, et quand il se présente une question un peu plus difficile, dépourvu
d'armes, on est vaincu et même perdu.
Enfin l'étude deviendrait nuisible, si l'on n'y puisait pas une doctrine saine, et pour ne pas se
tromper, on peut dire qu'une seule règle les renferme toutes, c'est de s'en tenir à la doctrine prêchée,
ou du moins admise par la Sainte Église Romaine mère et maîtresse de toutes les Églises, de fuir ces
systèmes modernes inventés en partie par étourderie, mais aussi favorisés de l'enfer, parce qu'ils
deviennent des appuis très avantageux pour toutes les hérésies. Il n'est pas nécessaire qu'une
nouvelle doctrine soit anathématisée à Rome pour nous inspirer de l'horreur, dès que Rome
l'improuve, la déclare en opposition avec la sienne, et par conséquent mauvaise, souscrivons sans
hésiter au jugement doctrinal de Rome qui sous tous les rapports l'emporte incomparablement sur
les idées même d'une Église particulière, nous aurons la consolation de voir, comme il s'est toujours
fait, que la presque totalité des autres Églises accède et se conforme aux jugements du Pape, et cet
accord en fait de catholicité, nous donne un autre degré de sûreté que les imaginations de quelques
savants d'une Église.
Asc,6309:T12
Avarice
On a peine à comprendre comment l'avarice peut s'introduire chez les prêtres, puisque, même
humainement parlant, comme ils n'ont ni femmes, ni enfants, quelquefois même se soucient peu de
leurs parents, on ne sait pas pourquoi ils entassent, et encore moins pourquoi ils y sont plus portés
dans la veillesse, lorsque bientôt il ne leur faudra plus qu'un linceul, et qu'ils n'ont pour toute
perspective que de laisser en peu leurs biens à des héritiers qui ne tarderont pas de tout dissiper en
divertissements. Ce vice devient encore plus inconvenable quand on considère les centaines de
textes de l'Écriture Sainte qui le condamnent, les maux incalculables qu'il a faits, le sort de Judas,
les exemples si contraires de Jésus-Christ et des Saints. Quoi qu'il en soit, ce vice n'est
malheureusement pas assez rare parmi les prêtres, et le pis est que ceux qui en sont souillés ne
veulent ni en convenir ni même l'apercevoir, mais le couvrent du voile d'une prudente économie,
d'une sage prévoyance de l'avenir incertain, prétextes bien peu recevables au jugement de Dieu.
Prenons du moins pour règle qu'il est bien dangereux pour notre âme de nous exposer à tomber dans
l'avarice, et qu'il lui est bien avantageux, par une sainte prodigalité, à éprouver bien des privations.
Asc,6309:T13,1
Cohabitation
Une retraite ecclésiastique serait presque incomplète si l'on n'y disait quelques mots des personnes
qui habitent avec les prêtres. Je ne sais rien de mieux que d'examiner ce qu'en ont pensé les conciles
et les Saints Pères. Le concile de Reims sous Hadrien Ier défendait de prendre dans sa maison les
parentes pauvres; le 3e concile de Mayence ne permettait pas d'y avoir sa sœur. Le 3e concile de
Constantinople, 6e œcuménique, n'excepte que la mère! Le concile de Tours sous Pélage Ier et
auparavant celui d'Agde défendent d'y recevoir des couturières à journée. Il ne faut qu'ouvrir S.
Cyprien, S. Jérôme, S. Chrysostome et autres pour savoir ce qu'ils en pensaient; nous lisons tous les
ans dans le Bréviaire que S. Augustin ne voulait pas sa sœur, et pourquoi.
Les conciles et les Saints Pères ont donc cru qu'on pouvait et qu'on devait s'en passer, et de fait on
s'en passait. Maintenant il serait à examiner si ce sont eux qui ont mal vu ou nous, si nous sommes
meilleurs et plus vertueux qu'on ne l'était de leur temps, s'il y a pour nous moins de dangers, si ce ne
serait pas encore de ces lois, qui quand elles n'auraient pas actuellement force par elles-mêmes,
seraient fondées sur d'autres lois ou naturelles ou ecclésiastiques qui obligent tout le monde en tout
temps?
Asc,6309:T13,2
Nous ne pouvons nier qu'une servante ne présente bien des inconvénients; le moindre est qu'elle
devienne maîtresse et dispose de tout à son gré, même publiquement et dans la paroisse. Cum
muliere frequens esse, et cum muliere non peccare, plus est quam mortuum suscitare.
Nous ne sommes pas plus forts que David, ni plus sages que Salomon, les tête-à-tête en hiver, pour
ménager le feu, sont perfides, il y a de temps en temps des chutes connues, et il y en a aussi des
inconnues. On s'expose du moins à bien des calomnies ou médisances. Prendre une jeune servante
n'est pas édifiant; on ne veut pas [une] vieille qui bientôt ne sera plus bonne à rien; celles entre deux
âges sont souvent et très souvent plus dangereuses.
On trouve quelquefois des curés servis par des hommes, et mieux que par des femmes; ils n'ont pas
de si grands repas, mais ces repas sont moins que nécessaires, il leur en coûte un peu plus cher, mais
ils le gagnent abondamment par les repas diminués.
Que déciderons-nous? Je n'en suis pas chargé.
Asc,6309:T14
Conclusion
Les réflexions que nous avons faites sur les Saints devoirs de notre état, sur le grand intérêt que
nous avons de nous en bien acquitter, sur les grands maux qui nous menaceraient si nous les
négligions, nous feront apprécier combien il est heureux pour nous que Dieu ait chargé nos
supérieurs de nous aider dans cette importante entreprise: elles réveillent nos sentiments de respect,
d'amour et de reconnaissance pour le vénérable prélat qui gouverne ce diocèse, et pour ceux qu'il
s'est associés dans le dessein qu'ils en partageassent avec lui la sollicitude et l'aidassent dans ses
pieux travaux. Nous bénirons la providence du zèle qu'elle leur inspire pour notre sanctification, et
quand ils nous avertiront des oublis auxquels la fragilité humaine pourrait nous entraîner, loin de les
regarder comme des censeurs incommodes, nous nous pénétrerons de la juste pensée qu'il le font
pour s'acquitter de leur devoir tamquam rationem pro animabus vestris reddituri, que si par excès
de bonté ils toléraient en nous ce qui déplairait à Dieu, ils lui en rendraient un compte terrible au
grand jour du Jugement, et seraient coupables de toutes les fautes que leur trop grande indulgence
nous aurait laissé commettre, fautes qui en causeraient quelquefois des milliers d'autres dans les
âmes qui nous sont confiées, et dont ils porteraient eux-mêmes l'énorme poids au Tribunal Divin.
Il est donc vrai de dire que nos supérieurs ne peuvent guère se sauver, s'ils ne font tout ce qui
dépend d'eux pour nous sauver nous-mêmes. Soyons touchés de la charité avec laquelle ils
acceptent le pesant fardeau qui leur est imposé, tâchons de l'alléger par notre correspondance à leurs
bons désirs, et demandons sans cesse pour eux les lumières, la force, le courage, la vigilance, enfin
toutes les grâces dont ils ont besoin pour s'en bien acquitter, nous conduire au Ciel et l'obtenir euxmêmes.
Asc,6311b:S
De l'Acte d'abandon à Dieu
Copia (da Suor Radegonda?) in AOMV, S. 6,3,11:0
Del P. Diessbach? Non pare affatto essere del Lanteri.
Asc,6311b:T1
Discours sur l'acte d'abandon à Dieu
Asc,6311b:T1
Mettons-nous aux pieds de Jésus…
Mettons-nous par un acte de foi aux pieds de Jésus avec Marie sœur de Marthe en grand silence,
pour entendre sa parole.
Jésus parle encore tous les jours dans son Évangile; mais il parle d'une manière admirable dans
l'intime secret du cœur: car il est la parole même du Père Éternel, où toute vérité est renfermée. Il
faut donc lui prêter ces oreilles intérieures dont il est écrit: vous avez, Seigneur, ouvert l'oreille à
votre serviteur.
Heureux à qui Dieu a ouvert l'oreille en cette sorte, ils n'ont qu'à la tenir toujours attentive, leur
oraison est faite de leur côté. Jésus leur parlera bientôt, et il n'y a qu'à se tenir en état d'entendre sa
voix. Marie était assise aux pieds de Jésus. Assise, tranquille aux pieds de Jésus: humilité,
soumission, se soumettre à la parole éternelle, à la vérité, silence! Que tout se taise: il se fit un
silence dans le ciel environ une demi-heure. Qui parle durant ce temps? Dieu seul. Environ une
demi-heure: ce grand silence de l'âme, où tout cesse, où tout se tait devant Dieu, dans le ciel, et dans
la haute partie de notre âme, ne dure guère durant cette vie; mais pour peu qu'il dure, qu'il se dit de
choses, et que Dieu y parle! Sois attentive, âme chrétienne, ne te laisse pas détourner dans ces
bienheureux moments.
Asc,6311b:T2
Entrez dans le cabinet et fermez la porte sur vous: priez votre Père dans le secret, et votre Père qui
vous voit dans le secret, vous le rendra. Que vous rendra-t-il? Parole pour parole: pour la parole par
laquelle vous l'aurez prié de vous instruire, la parole par laquelle il vous fera entendre ce qu'il veut
de vous, et son éternelle vérité.
Entrez donc, et fermez la porte: entrez en vous-même, et ne vous laissez détourner par quoi que ce
soit, quand ce serait une Marthe, une âme sainte qui viendrait vous inviter à servir Jésus, demeurez
enfermée dans ces saints et bienheureux moments. Jésus ne veut point de vous de ces services
extérieurs: tout le service qu'il veut de vous, c'est que vous l'écoutiez seul, et que vous prêtiez
l'oreille du cœur à sa parole.
Parlez donc, Seigneur, il est temps: votre serviteur écoute. Parlez et que direz-vous? Marthe,
Marthe, tu es empressée, et tu te troubles dans le soin de beaucoup de choses, or il n'y a qu'une seule
chose qui soit nécessaire. Ne faut-il donc pas s'acquitter de tous ses devoirs, de toutes ses
obédiences? Il le faut sans doute: mais il ne faut jamais être empressée, et il y a d'heureux moments
où tout autre devoir, tout autre exercice, toute autre obédience cèdent en vous: il n'y a pour vous
d'autre obédience que celle d'écouter Jésus, qui vous veut parler.
Asc,6311b:T3
Il n'y a qu'une seule chose qui soit nécessaire, il n'y a qu'un Dieu seul qui soit nécessaire, il est tout:
le reste n'est rien; et tout ce qui est disparaît devant sa face, et toutes les nations sont un vide et un
néant à ses yeux, il est lui seul nécessaire à l'homme, c'est lui seul qu'il faut désirer, et à qui il faut
s'unir. Crains Dieu, et observe ses commandements; car c'est là tout l'homme, tout le reste lui est
étranger: cela seul lui appartient, comme une chose qui lui est propre, mais c'est tout le fond de
l'homme, toute sa substance, tout son être. Quoi que tu perdes, ô homme, pourvu que tu ne perdes
pas Dieu, tu n'as rien perdu du tien, laisse donc écouler le reste; ne te réserve que de craindre et
aimer; c'est là tout l'homme. Il n'y a qu'une chose qui soit nécessaire. Comme Dieu est seul, et que
l'homme se considère comme seul devant lui, il faut trouver quelque chose en l'homme qui soit
parfaitement un; un acte qui renferme tout dans son unité: qui d'un côté renferme tout ce qui est
dans l'homme, et de l'autre côté, réponde à tout ce qui est en Dieu.
Asc,6311b:T4
Faites-moi trouver cet acte…
Faites-moi trouver cet acte, ô mon Dieu! cet acte si étendu, si simple, qui vous livre tout ce que je
suis, qui m'unisse à tout ce que vous êtes. Ô Jésus! Je suis à vos pieds, faites-le-moi trouver, cet
unique nécessaire. Tu l'entends déjà, âme chrétienne: Jésus te dit dans le cœur que cet acte est l'acte
d'abandon, car cet acte livre tout l'homme à Dieu, son âme, son corps, en général et en particulier
toutes ses pensées, tous ses sentiments, tous ses désirs, tous ses membres, toutes ses veines avec
tout le sang qu'elles enferment, tous ses nerfs, jusqu'à la moelle, toutes ses entrailles, tout ce qui est
au-dedans et au-dehors jusqu'aux moindres linéaments, tous ses os, et jusqu'à l'intérieur. Tout vous
est abandonné, ô Seigneur! Faites-en ce que vous voulez, ô mon Dieu! Je vous abandonne ma vie, et
non seulement celle que je mène en captivité et en exil sur la terre, mais encore ma vie dans
l'éternité; je vous abandonne mon salut, je remets ma volonté entre vos mains, je vous remets
l'empire que vous m'avez donné sur mes actions. Faites-moi selon votre cœur; et créez en moi un
cœur pur, un cœur docile et obéissant. Tirez-moi, nous courrons après vous et après les douceurs de
vos parfums. Faites-moi donc droit ô mon Dieu, afin que je vous aime de tout mon cœur, de ce cœur
que vous formez en moi par votre grâce; je vous ai tout livré: je n'ai plus rien. C'est là tout l'homme.
Asc,6311b:T5
Que si cet acte répond à tout ce qui est de l'homme, il répond aussi en même temps à tout ce qui est
Dieu. Je m'abandonne à vous, ô mon Dieu, à votre unité pour être fait un avec vous, à votre infinité
et à votre immensité incompréhensible pour m'y perdre et m'y oublier moi-même; à votre sagesse
infinie, pour être gouverné selon vos desseins, et non pas selon mes pensées; à vos décrets éternels,
connus et inconnus, pour m'y conformer, parce qu'ils sont tous justes; à votre éternité pour en faire
mon bonheur; à votre toute-puissance pour être toujours sous votre main; à votre bonté paternelle,
afin que dans le temps que vous m'avez marqué vous receviez mon esprit entre vos bras; à votre
justice en tant qu'elle justifie l'impie et le pécheur afin que d'impie et de pécheur vous me fassiez
devenir juste et saint. Il n'y a qu'à cette justice qui punit les crimes, que je ne veux pas
m'abandonner, car ce serait m'abandonner à la damnation que je mérite. Et néanmoins Seigneur, elle
est sainte cette justice comme tous vos autres attributs; elle est sainte, et ne doit pas être privée de
son sacrifice, il faut donc aussi m'y abandonner et voici que Jésus-Christ se présente afin que je m'y
abandonne, en lui et par lui. Donc ô Dieu saint! ô Dieu vengeur des crimes! j'adore vos saintes et
inexorables rigueurs, et je m'y abandonne en Jésus-Christ qui s'y est abandonné pour moi, afin de
m'en déliver; car il s'est soumis volontairement à porter tous mes péchés et ceux de tout le monde, et
s'est livré pour eux tous aux rigueurs de votre justice, parce qu'il avait un mérite et une sainteté
infinie à lui opposer. Je m'y livre donc, en lui et par lui, et je vous offre pour vous apaiser envers
moi ses mérites et sa sainteté, dont il m'a couvert et revêtu; ne me regardez pas en moi-même, mais
regardez-moi en Jésus-Christ et comme un membre du corps dont il est le chef. Donnez-moi telle
part que vous voudrez à la Passion de votre saint Fils Jésus, afin que je sois sanctifié en vérité, en
celui qui s'est sanctifié pour moi, comme il dit lui-même.
Asc,6311b:T6
Enfin ô Dieu! unité parfaite, que je ne puis égaler et comprendre par la multiplicité quelle qu'elle
soit de mes pensées, et au contraire dont je m'éloigne d'autant plus que je multiplie mes pensées, je
vous en demande une, si vous le voulez, ou je ramasse en un autant qu'il est permis à ma faiblesse,
toutes vos infinies perfections, ou plutôt cette perfection seule et infinie, qui fait que vous êtes Dieu,
le seul qui est, de qui tout est, en qui tout est, qui est heureux par lui-même: ô Dieu soyez heureux
éternellement, je m'en réjouis; c'est en cela que je mets tout mon bonheur. En cet esprit mon Dieu,
grand dans vos conseils, incompréhensible à penser, qui vous êtes fait un nom et une gloire
immortelle, par la magnificence de vos œuvres, je m'abandonne à vous de tout mon cœur, à la vie et
à la mort, dans le temps et dans l'éternité. Vous êtes ma joie, mon consolateur, mon refuge, mon
appui, qui m'avez donné Jésus-Christ pour être la pierre posée dans le fondement de Sion, la pierre
principale, la pierre d'angle, la pierre éprouvée, choisie, affermie, inébranlable, la pierre solide et
précieuse, et qui espère en cet appui, qui s'y abandonne, ne sera point confondu dans son espérance.
Asc,6311b:T7
Faisons donc comme ceux…
Faisons donc comme ceux qui, accablés de travail et ne pouvant plus se soutenir, aussitôt qu'ils ont
trouvé quelque bras ferme et puissant, mais bienfaisant tout ensemble, qui se prête à eux, s'y
abandonnent, se laissent porter et se reposent dessus. Ainsi nous qui ne pouvons rien par nousmêmes que nous tourmenter vainement jusqu'à l'infini, laissons-nous aller avec foi entre les bras
secourables de notre Dieu, notre sauveur et notre Père: car c'est alors que nous apprenons
véritablement à l'appeler de ce nom; puisque comme de petits enfants innocents et simples, en un
certain sens, pour l'avenir, nous rejetons en lui toutes nos inquiétudes, parce qu'il a soin de nous,
comme dit saint Pierre, fondé sur cette parole du Sauveur: votre Père sait que vous avez besoin de
ces choses.
Je te dis donc, âme chrétienne, quelle que tu sois, et de quelques soins que tu sois agitée, je te dis au
nom du Sauveur: votre Père sait de quoi vous avez besoin, ne vous laissez donc point agiter; et
comme dit le même Sauveur en S. Luc: ne vous laissez point élever en haut et comme tenir en
suspens, entre le ciel et la terre, incertain de quel côté vous allez tomber; mais laissez-vous
doucement tomber entre les bras secourables de votre Père céleste.
Avec cet acte mon cher frère, ma chère sœur, chrétien qui que vous soyez, ne soyez en peine de
rien, ne soyez point en peine de votre faiblesse; car Dieu sera votre force. Le dirai-je: ne soyez point
en peine de vos péchés mêmes; parce que cet acte, s'il est bien fait, les emporte tous; et toutes les
fois qu'il n'a pas tout son effet, c'est à cause qu'il n'est pas fait dans toute sa perfection. Tâchez donc
seulement de le bien faire, et livrez-vous tout entier à Dieu, afin qu'il le fasse en vous, et que vous le
fassiez avec son secours. Tout est fait, et vous n'avez qu'à y demeurer.
Asc,6311b:T8
Cet acte est le plus parfait et le plus simple de tous les actes: car ce n'est pas un effort, comme d'un
homme qui veut agir de lui-même; mais c'est se laisser aller pour être mû et poussé par l'esprit de
Dieu, comme dit saint Paul, non pas toutefois (à Dieu ne plaise) à la manière des choses inanimées,
puisque c'est se laisser aller à cet esprit qui nous meut volontairement, librement, avec une sincère
complaisance pour tout ce que Dieu est et par conséquent pour tout ce qu'il veut, puisque sa volonté
c'est Dieu lui-même, pour dire avec le Sauveur: oui, mon Père, il est ainsi, parce qu'il a été ainsi
déterminé devant vous.
Il ne faut donc pas s'imaginer comme quelques-uns, qu'on tombe par cet abandon, dans une nonaction, ou dans une espèce d'oisiveté. Car au contraire, s'il est vrai, comme il l'est, que nous soyons
d'autant plus agissants que nous sommes plus poussés, plus mus, plus animés par le Saint-Esprit, cet
acte par lequel nous nous y livrons, et à l'action qu'il fait en nous, nous met, pour ainsi parler, tout
en action pour Dieu: nous allons avec ardeur à tous nos exercices, parce que Dieu à qui nous nous
sommes abandonnés le veut ainsi; nous recourons continuellement aux Saints Sacrements comme
aux secours que Dieu, à qui nous nous sommes livrés, nous a donnés pour nous soutenir. Ainsi un
acte si simple enferme tous nos devoirs, la parfaite connaissance de tous nos besoins, et un efficace
désir de tous les remèdes que Dieu donne à notre impuissance.
Asc,6311b:T9
C'est cet acte qui nous fait dire: que votre nom soit sanctifié. Car nous sanctifions, autant que nous
le pouvons, tout ce qui est en Dieu, quand nous nous y unissons de tout notre cœur. Ce même acte
nous fait dire encore: que votre règne arrive, puisque nous ne nous livrons à Dieu qu'afin qu'il règne
en nous et qu'il fasse en nous son royaume. Ainsi que dit le Sauveur: le Royaume de Dieu est audedans de vous. Cet acte nous fait dire aussi: votre volonté soit faite dans la terre comme au ciel;
parce que nous consentons de tout notre cœur de la faire en tout ce qui dépend de nous, et que Dieu
la fasse en tout ce qui n'en dépend pas, en sorte qu'il soit maître en nous, comme il l'est au ciel sur
les esprits bienheureux qui n'ont, lorsque Dieu agit, qu'un amen à dire, c'est-à-dire ainsi soit-il,
qu'un alleluia à chanter, c'est-à-dire Dieu soit loué, de tout ce qu'il fait, comme il paraît dans
l'Apocalypse, et comme dit l'apôtre Saint Paul: abondant en action de grâces, rendant grâces en tous
temps et en toutes choses à Dieu le Père, par notre Seigneur Jésus-Christ.
Ainsi le partage du chrétien est une continuelle action de grâces rendue à Dieu, de tout ce qu'il fait,
parce que tout ce qu'il fait tourne à sa gloire, et cette action de grâces, c'est le fruit de cet abandon
par lequel nous nous livrons à lui, par une entière complaisance pour ses volontés.
Asc,6311b:T10
Vous trouverez dans cet acte…
Vous trouverez dans cet acte, âme chrétienne, un parfait renouvellement des promesses de votre
baptême; vous y trouverez une entière abnégation de tout ce que vous êtes née. Parce que si vous
n'étiez née dans l'iniquité, et que vous ne fussiez point par votre naissance, toute remplie de péché et
d'ordure, vous n'auriez pas eu besoin de renaître; vous trouveriez un entier abandon à cet esprit de
nouveauté, qui ne cesse de vous réformer intérieurement et extérieurement, en remplissant tout
votre intérieur de soumission à Dieu, et tout votre extérieur de pudeur, de modestie, de douceur,
d'humilité et de paix.
Vous trouverez dans le même acte, âme religieuse, le renouvellement de tous vos vœux. Parce que
si Dieu seul est votre appui, auquel vous vous livrez tout entier, vous ne voulez donc nul appui dans
ces biens qu'on nomme richesses, et ainsi vous êtes pauvre; vous en voulez encore moins dans tout
ce qui flatte les sens, et ainsi vous êtes chaste; et encore moins en tout ce qui flatte au-dedans votre
volonté, et ainsi vous êtes obéissante.
Car qu'est-ce que l'amour des richesses, si ce n'est un emprunt qu'on fait des choses extérieures, et
par conséquent une marque de la pauvreté du dedans? Et qu'est-ce que l'amour de sa propre volonté,
si ce n'est encore un emprunt qu'[elle] va se faire continuellement à elle-même, pour tâcher de se
contenter, sans pouvoir jamais en venir à bout, au lieu de se faire riche une bonne fois en
s'abandonnant à Dieu et en prenant tout en lui, ou plutôt en le prenant lui-même tout entier.
Asc,6311b:T11
Te voilà donc, âme chrétienne, rappelée à ton origine, c'est-à-dire à ton baptême. Te voilà, âme
religieuse, rappelée à ton origine, c'est-à-dire au jour bienheureux de ta profession. Que reste-t-il
maintenant, sinon que tu renouvelles ta ferveur, et que ton sacrifice soit agréable, comme les
sacrifices des premiers jours, lorsque tout abîmée en Dieu et toute pénétrée du dégoût du monde, tu
ressentais la première joie d'une âme nouvellement délivrée de ses liens?
Cet abandon est la mort du péché: et premièrement, c'est la mort des péchés passés, parce que
lorsqu'il est parfait, il les emporte. Car cet acte, qu'est-ce autre chose qu'un amour parfait et une
parfaite conformité de nos volontés avec celles de Dieu, à qui on se fie souverainement? Qu'est-ce
encore un coup? Qu'est-ce que cet acte, sinon comme dit Saint Jean, cet amour parfait, cette parfaite
charité qui bannit la crainte? Il n'y a donc plus rien à craindre pour ceux qui feront cet acte avec
toute la perfection que Dieu y demande: il n'y a plus rien à craindre, ni péchés passés, ni supplice, ni
punition. Tout disparaît devant cet acte, qui enferme par conséquent toute la vertu de la contrition et
celle du sacrement de pénitence, dont elle emporte le vœu. Mais quels regrets, quelle repentance ne
reste-t-il point de cet abandon? Quelle douleur d'avoir abandonné, quand ce ne serait qu'un seul
moment, celui à qui on s'est livré, en s'abandonnant tout entier.
Ô mon Dieu, je n'aurai jamais assez de larmes pour déplorer un si grand malheur, quand je serais
tout changé en pleurs. Mais si jamais j'ai des larmes, si je regrette jamais mes péchés, ce sera pour
avoir tant outragé et offensé cette divine bonté à laquelle je m'abandonne.
Asc,6311b:T12
Mais aussi pour faire un tel acte et s'abandonner tout à fait à Dieu, à quoi ne faut-il pas renoncer? À
quelles inclinations? À quelles douceurs? Car puis-je me livrer à Dieu avec l'amour, pour peu qu'il
soit des biens de la terre, sans craindre cette sentence du Sauveur: Vous ne pouvez pas servir deux
maîtres? Il faut renoncer à tout autre maître, c'est-à-dire à tous les désirs qui me maîtrisent et qui me
dominent dans le cœur. Il faut renoncer jusqu'au bout, car il serait encore mon maître, ou je ne
voudrais pas renoncer tout à fait. Ainsi cet abandon n'est pas seulement la mort des péchés passés,
c'est encore celle des péchés à venir. Car quelle âme qui se livre à Dieu pourrait dans ce saint état se
livrer à l'iniquité et à l'injustice? Et en même temps, c'est la mort de tous les scrupules; parce que
l'âme livrée à Dieu et à sa bonté afin qu'il fasse et excite en elle tout ce qu'il faut pour lui plaire, ne
peut rien craindre, ni d'elle-même, ni de son péché, puisqu'elle est toujours unie par son fond au
principe qui les guérit et les purifie.
Comment donc, une telle âme n'est-elle pas assurée de sa sainteté et de son salut? Comment, si ce
n'est pour cette raison qu'il ne lui est jamais donné en cette vie de savoir si elle s'abandonne à Dieu
de bonne foi, ni si elle persévérera à s'y abandonner jusqu'à la fin. Ce qui la porte à s'humilier
jusqu'aux enfers, et en même temps lui sert d'aiguillon pour s'abandonner à Dieu de nouveau à
chaque moment, avec la même ardeur que si elle n'avait jamais rien fait, mettant sa force, son repos
et sa confiance, non en elle-même, mais en Dieu dont tout lui vient.
Asc,6311b:T13
Pour revenir à l'Évangile…
C'est là enfin, pour revenir à l'Évangile que nous avons lu au commencement, et à Marie que nous y
avons vue si attentive au Sauveur, c'est là dis-je, ce qui s'appelle être véritablement assise aux pieds
du Sauveur, pour écouter ce qu'il veut, et se laisser gouverner par ce qu'on écoute comme sa loi,
c'est là cet unique nécessaire que Jésus explique, et que Marie avait déjà choisi. Et il ne faut pas
s'étonner si Jésus ajoute: Marie a choisi la meilleure part, qui ne lui sera point ôtée.
Elle a choisi d'être assise aux pieds du Sauveur, d'être tranquille, attentive, obéissante à sa parole
intérieure et extérieure, à ce qu'il dit au-dedans et au-dehors, d'être unie à sa volonté et abandonnée
à ses ordres.
Elle a choisi la meilleure part, qui ne lui sera point ôtée. La mort viendra, et en ce jour, toutes les
pensées des hommes périront. Mais cette pensée par laquelle l'homme s'est livré à Dieu ne périra
pas; au contraire elle recevra sa perfection. Car la charité, dit Saint Paul, ne finira pas lors même
que les prophéties s'évanouiront et que la science humaine sera abolie: la charité ne finira pas, et
rien ne périra que ce qu'il y a d'imparfait en nous.
Viendra le temps de quitter les pieds de Jésus, de rentrer dans les exercices ordinaires. Mais le
partage de Marie ne périra pas. La parole qu'elle a écoutée la suivra partout. L'attention secrète
qu'elle y aura, lui fera tout faire comme il faut. Elle ne rompra ce silence intime qu'avec peine, et
lorsque l'obéissance et la charité le prescriront. Une voix intérieure ne cessera de la rappeler dans
son secret. Toujours pressée à y retourner, elle ne laissera pas de prêter son attention à ses emplois;
mais elle souhaitera avec une infatigable ardeur sa bienheureuse tranquillité aux pieds du Sauveur,
et encore avec plus d'ardeur la vie bienheureuse où la vérité sera manifestée et où Dieu sera tout en
tous.
Asc,6311b:T14
Au reste, mes frères, que tout ce qui est véritable, tout ce qui est honnête, tout ce qui est juste, tout
ce qui est saint, tout ce qui nous peut rendre aimable (sans vouloir plaire à la créature), tout ce qui
est d'édification et de bonne odeur, s'il y a quelque sentiment raisonnable et vertueux, et quelque
chose de louable dans le règlement des mœurs, que tout cela soit le sujet de vos méditations et
l'unique entretien de vos pensées. Car à quoi pense celui qui est uni à Dieu, sinon aux choses qui lui
plaisent? Que si quelqu'un parle, que ce soit comme si Dieu parlait en lui: si quelqu'un sert dans
quelques saints exercices, qu'il y serve comme n'agissant que par la vertu que Dieu lui donne, afin
qu'en tout ce que vous faites, Dieu soit glorifié par Jésus-Christ et tout ce que vous ferez, faites-le
de tout votre cœur: jamais avec nonchalance et par coutume, comme par manière d'acquit. Faites-le,
dis-je, de tout votre cœur, comme le faisant pour Dieu et non pour les hommes. Servez Notre
Seigneur Jésus-Christ, que ce soit votre seul maître. Amen. Amen. Oui, je viens bientôt. Ainsi soit-il.
Venez Seigneur Jésus, venez, la grâce de notre Seigneur Jésus-Christ soit avec vous. Amen. Amen.
Finis.
Asc,9006a:S
Tesori di confidenza in Dio
Proposti alle anime angustiate dal P. Giuseppe Loggero Sac. Oblato di M.V., ridotti a miglior lezione da Pietro Paolo
Gastaldi Sac. della med. Congr., Torino, G.B. Berruti, 1898
Asc,9006a:I1
L'opera è stata pubblicata per la prima volta a Pinerolo nel 1831 con il titolo Tesori di confidenza in Dio ossia
Compendio del manuale dei Poveri, coll'aggiunta dello scioglimento delle difficoltà a conforto de' peccatori bramosi di
convertirsi e delle anime angustiate da eccessivo timore. Essa venne tradotta in francese ed edita a Parigi nel 1834. Nel
1879 fu stampata in Roma presso la Tipografia Poliglotta della S. Congregazione di Propaganda Fide. Altre edizioni
italiane si ebbero nel 1898 e nel 1931.
La prima parte del libro, come si dice nel titolo originale, è ricavata dal Manuale Pauperum del Ven. Padre F.
Alessandro, carmelitano scalzo. La seconda, pur “essendo opera e lavoro del Loggero, fu però esaminata e riveduta dal
venerando P. Lanteri”, come ebbe a notare Padre Gastaldi. Loggero si spinse più in là fino ad affermare che il libro si
può dire del Lanteri, in quanto “Egli lo rivide e corresse più volte finché fu ridotto a di lui piacimento” (Loggero,
Memorie, pag. 6, cfr. Positio, 632).
Dimenticando come la prima parte sia una redazione di un'opera precedente e come Lanteri fosse negli ultimi anni
malato e debole, nella prefazione all'edizione del 1931 si arrivò a dire: “Questo volume […] è tutto di ispirazione
Brunoniana, può servire a dare un saggio della spiritualità di quest'Uomo, a cui il Piemonte, e non solo il Piemonte,
deve gran parte della sua grandezza religiosa”.
Riportiamo qui di seguito l'avvertimento di Gastaldi all'edizione del 1898. Da esso si può capire perché vada data una
particolare attenzione agli ultimi due capitoli della prima parte e alla seconda parte.
Asc,9006a:I2
“Al Pio Lettore
La presente operetta, appunto come il titolo che porta in fronte, è un vero conforto non solo alle anime dubbiose ed
angustiate, sì a quelle tuttavia che investigando le ricchezze della bontà di Dio, bramano crescere in riconoscenza ed
amore verso di Lui.
La prima delle due parti onde consta, spiega trenta motivi di fiducia che soavemente dilatando il cuore, lo inondano di
letizia e di pace. È dessa come si dicesse un compendio del Manuale pauperum composto, sono ormai trecent'anni, dal
Venerabile Padre Alessandro di S. Francesco de' Carmelitani Scalzi, maneggiato e ridotto alla presente forma dal Padre
Giuseppe Loggero della Congregazione degli Oblati di M.V., al quale compendio stampato la prima volta nel 1831 in
Pinerolo dalla Tipografia Vescovile di P. Massara-Novara aggiunse del suo il tesoro XXIX: La nostra predestinazione,
ed il XXX: La santa allegrezza.
La seconda parte poi nella quale si sciolgono le obiezioni contro la bontà e misericordia di Dio, è di sana pianta lavoro e
studio del sullodato Padre Loggero.
Vivendo Egli in tempi nei quali parecchie verità, tuttoché registrate nella Sacra Scrittura e nei Padri, erano però
commentate oltre i termini del giusto e del conveniente, cercò di mitigarne l'asprezza, e colla scorta de' migliori
Interpreti ed Apologisti cangiare quelle spiegazioni troppo austere in principi e fondamenti di soave speranza.
Asc,9006a:I3
Il bene da Lui fatto con quest'opera sua fu grande, e come quelle acque amare che si addolcirono pel legno gettatovi
dentro dal profeta Mosè (Exod. 15, 23), così molti cuori angustiati da soverchio timore, leggendo queste pagine
cominciarono a respirare più serenamente tranquilli, e quel Dio che di continuo temevano circondato di pura giustizia e
vendetta, comparve loro, qual è veramente, Dio di bontà e di amore, Domine qui amas animas (Sap. 2, 27).
Perciò molti sacerdoti, direttori di anime e superiori di Religioni bramavano e chiedevano che nuovamente si
consegnasse questo lavoro alla stampa.
Quantunque la cosa fosse buona in sé ed eccellente, ciò nullameno sembrava che sarebbe stata anche migliore se,
riveduto il testo, comparisse non dico in altra forma, sì nella prima sua, ma meno dimessa.
Imperocché, o sia che le troppe occupazioni gli togliessero il tempo, o non curando la lingua badasse maggiormente
all'intelletto ed al cuore, è verità però che non di rado lo scritto del Loggero lasciava desiderare assai, ed era esercizio di
pazienza.
Laonde piegatomi al desiderio de' miei superiori procurai questa nuova edizione, cui aggiunsi una biografia del Loggero
medesimo. Pietro Paolo Gastaldi S. O. di M.V.”
Questa biografia, stampata da Gastaldi col titolo Brevi cenni circa la vita del P. Giuseppe Loggero, pp. IX-XXIV, non
viene riprodotta nella presente edizione.
Asc,9006a:T0,1
Parte prima
Tesori di confidenza in Dio
Asc,9006a:T0,1
Prefazione
Sebbene Iddio, che è infinita bontà per essenza, sia sopra ogni cosa degnissimo di amore, ciò non di
meno, tanto ci parrà Egli più amabile quanto lo crediamo tale, cioè buono infinitamente, ed oltre
ogni dire propenso a farci del bene. Ma se all'opposto dubitiamo della carità sua immensa,
facilmente per tali dubbi ci si raffredda nel cuore ogni affetto per Lui.
Così pure il desiderio del Paradiso deve essere tanto vivo e connaturale ad ogni cristiano, quanto a
chi si trovi schiavo tra barbari, la brama di ritornare libero alla cara sua patria.
Ora, quantunque principale scopo di alcuni autori sia di far conoscere Iddio nella sua amabilità, e
procurare, come dice S. Paolo, che tutti i fedeli abbondino di speranza1 animandoli all'acquisto del
Paradiso; molti altri però coll'ispirare soverchio timore li abbattono; mercecché presentando la
Religione sotto rigidissimo aspetto, dipingono Iddio come padrone di difficile contentamento, più
propenso al castigo che non al perdono, e così inducono a supporre quasi insuperabili le difficoltà di
pur giungere alla beatitudine eterna.
Non è quindi meraviglia se molti cuori si fanno vedere pusillanimi e senza spirito nel Divino
servizio; simili appunto a quei soldati già mezzo vinti, solo perché temono di esserlo, e volgono
codardi le spalle al nemico, perché si credono incapaci di fargli testa.
Né minore è il danno che ne incoglie alle anime buone; poiché abbattute da siffatto eccessivo
timore, come infermi che talora appetiscono cibi che arrecano più danno che non sollievo, riescono
a fomentare e nutrire colla lettura di tali libri la tristezza e la diffidenza della propria salute, sino a
rendersi quasi incurabili.
A porgere dunque sì ai primi che ai secondi un rimedio, parve cosa ben fatta mettere loro
sott'occhio talune verità consolanti, le quali essendo pur capaci di illuminarne lo spirito,
rianimassero in pari tempo la confidenza in Dio.
Asc,9006a:T0,2
Anche si convengono queste verità alle anime tiepide; perché siccome la debolezza nasce
dall'eccessivo timore, così la considerazione delle verità terribili a vece di riaccenderle al bene,
accresce le difficoltà del metterle in opera: ed all'incontro per questa delle consolanti ravvivandosi
la fiducia in Dio, rinasce pure il coraggio e si aumenta il fervore nel divino servizio2.
Dirò di più: è utile un tal conforto a quegli stessi grandi peccatori, i quali vorrebbero convertirsi, ma
atterriti dalla moltitudine dei peccati, dalla difficoltà di vincere le cattive abitudini, dall'ostinato
resistere alla grazia, stimano quasi impossibile la conversione, e vano ogni sforzo di salvarsi; a
costoro, dico, non solo utile, ma è necessario così fatto conforto, affinché, come osserva l'Angelico,
spinti da disperazione, non proseguano a battere senza freno la strada dell'iniquità, né lascino di
affaticarsi per giungere a salvamento3.
A tutti insomma fa bisogno appigliarci all'ancora saldissima della confidenza in Dio, sì per
domandare ed avere il perdono delle colpe4, sì per correre la via dei Divini Comandamenti5.
Per tutte queste ragioni, parve buona cosa assai dare alla luce il presente compendio, cui è aggiunta
una seconda parte, nella quale chiamati ad esame quei versi della Sacra Scrittura, i quali paiono
ispirare terrore ed eccessivo spavento, se ne sciolgono le difficoltà; primo, a disinganno di coloro
che da tali espressioni prendono occasione di fomentare idee contrarie alla bontà di Dio; secondo, a
sollievo delle anime angustiate da soverchio timore; e finalmente a vantaggio dei peccatori,
acciocché, liberati dalla diffidenza del perdono o dalla supposta grave difficoltà di salvarsi, non
vogliano più oltre annighittire nella colpa.
Piaccia al Signore di benedire questa, quantunque tenue fatica, ed alla sua bontà dolce e soave, far sì
che torni a maggiore sua gloria, ed a vantaggio delle anime nostre.
Asc,9006a:T1
Tesoro I. I meriti di Gesù Cristo
Asc,9006a:T1,1
O Gesù, tesoro di tutti i tesori, Voi contenete la pienezza delle celestiali ricchezze, e da Voi ne
deriva tutto che possiamo avere di prezioso e di grande. O Gesù, in Voi veramente ci si fa manifesta
l'origine di tutti i meriti, essendo Voi quella miniera divina donde possiamo di continuo accumulare
tesori senza che mai abbia a diminuirsene la soprabbondanza: dirò di più, qualunque dovizia di beni
possiamo desiderarci, sarà sempre infinitamente al disotto di quanto in Voi possiamo avere e
possedere.
Discendeste pure nella pienezza dei tempi dal trono reale6, o desideratissimo nostro, e veniste
dall'altezza dei Cieli a visitarci, e fummo inondati di letizia7, poiché appena vi ebbe veduto l'eterno
divin Padre vestito di nostra carne, subito in grazia vostra ci fece dagli Angeli annunziare la pace8, e
liberandoci da ogni miseria, ci destinò al regno suo, e ci colmò d'ogni bene9.
Ed ora per maggiormente accenderci nell'amore del caro nostro Gesù, e meglio comprendere di
quale inestimabile tesoro ci abbia arricchiti, consideriamo attentamente il valore ed il merito delle
sue operazioni, e quante gli siano costato fatiche e dolori.
Mettiamo dunque sopra la bilancia da una parte il merito del primo suo pensiero od azione, e
dall'altra il cancellamento dei peccati del mondo, e la redenzione di tutto il genere umano: se questo
ci pare ancora poco, aggiungiamo il dono della grazia di Dio, e la partecipazione all'eterna gloria: e
se la bilancia tuttavia non batte pari, immaginiamo infiniti mondi, pensiamo a doni e grazie quanto
si possa dire eccellenti; ora tutti questi doni e queste grazie saranno sempre inferiori paragonate al
dono della unione ipostatica del Verbo colla umana nostra natura, od anche solamente col primo
pensiero, od azione sua, quantunque minima, perché e quest'azione e questo pensiero sono di valore
infinito.
Asc,9006a:T1,2
Se dunque, o buon Gesù, un solo vostro pensiero, una lacrima sola è di tanto merito e valore, di
quale saranno tanti viaggi, stenti, pene, e dispregi da Voi per amore ed utile nostro sofferti? Di
quanto prezzo quello schiaffo, quei flagelli, quelle spine e la spietata morte di croce? Oh immenso
abisso d'amore, e di meriti! Oh pelago senza fondo e senza misura che eccedi ogni umana ragione!
Che se saremmo sommamente consolati qualora nei temporali nostri bisogni avessimo un capitale,
che senza affievolirsi, né scemare, ci provvedesse compitamente in tutti gli incontri; oh come
dobbiamo chiamarci felici e beati, essendo in Gesù Cristo possessori di un capitale, che oltre non
diminuire, ci dona i mezzi per comperare il Cielo, anzi lo stesso Padrone del Cielo! Eppure qual
caso ne abbiamo fatto finora?
Deh, Cristiani! Partecipi noi, possessori e padroni dei meriti di Gesù Cristo, quantunque poveri ed
abietti, accostiamoci a Lui, e vedremo per esperienza quanto sia benigno, e liberale nel distribuire le
sue ricchezze. Con esso Lui non fa bisogno d'oro o d'argento10 per aver beni: nessuno è ributtato o
mandato via scontento, se pur egli stesso non lo voglia, perché il nostro Gesù per eccesso di carità è
venuto in questo mondo a stentare, patire e morire sulla Croce, e così formare il tesoro di tanti
meriti a beneficio di noi poveri peccatori11.
Onde sebbene, o Signore Iddio e remuneratore nostro, il solo volgere verso di noi il pietoso vostro
sguardo sia opera di grande misericordia, perché non lo meritiamo, tuttavia se mirerete la faccia del
vostro Cristo12, ogni altra ricompensa fuori di Voi sarà certamente assai inferiore a quella, che per
Lui è dovuta; perché quei tesori infiniti di beni e grazie, che ci furono acquistati colle azioni,
fatiche, digiuni, virtù, patimenti, morte, e meriti tutti del nostro caro Gesù, tutti senza riserva li ha
lasciati scritti alla nostra partita, acciocché liberamente li riscuotiamo.
Asc,9006a:T1,3
Oh! In qual sommo pregio teneva S. Bernardo questo tesoro, allorché trovandosi gravemente
infermo, e già quasi per dare l'ultimo spirito, gli parve essere presentato al tribunale di Dio, ove si
fece vedere anche Satana, il quale allegava quanto poteva, e sapeva trovare contro di lui: ma il
Santo senza turbarsi, coraggiosamente rispose: “Lo confesso, né sono degno, né posso per i miei
meriti ottenere il regno dei Cieli. Sappi nondimeno che il mio Signor Gesù Cristo lo possiede per
due titoli: uno come Figliuolo di Dio e perciò vero erede; l'altro per averlo comprato a prezzo del
proprio sangue sparso nella sua Passione e morte. Egli si contenta del primo titolo; del secondo ne
fa a me libero e grazioso dono, in virtù del quale non mi può essere negato il Paradiso; e quindi né
temo le tue accuse, né per i miei peccati mi confondo io punto”.
A tale risposta restò vinto il Demonio; e l'uomo di Dio giustificato, ritornò in sé. Apparvegli poi la
Beatissima Vergine accompagnata dai Santi Lorenzo e Benedetto e lo guarì della sua infermità. In
questo modo adunque appoggiati ai meriti preziosissimi della Passione di Gesù Cristo, procuriamo
d'acquistarci il tesoro del regno dei Cieli.
Asc,9006a:T2
Tesoro II. I meriti e l'intercessione di Maria Ss.
Asc,9006a:T2,1
Fra questi tesori annoveriamo pure ed onoriamo Maria Santissima Madre nostra, perché, dice lo
Spirito Santo13, quegli che onora la madre sua è appunto come chi fa tesori.
Orsù accostiamoci a Lei; corriamo al suo cuore pietoso, mostriamola all'eterno Padre, e basterà per
ottenere quanto desideriamo; perché è un troppo sicuro ed utile trafficare, quando il negozio passa
tra una ricchissima ed amorosissima madre, ed un suo figliuolo povero e necessitoso. Oh quanta
sicurezza di ottenere, quando quella che intercede è tutt'insieme Madre di Dio che ha da concedere,
e dell'uomo, che tiene bisogno di ottenere!
Infatti, o Madre di Gesù, che non meritaste, allorquando concepiste e deste alla luce questo UomoDio? Quando lo nutriste e portaste nelle vostre braccia? Quando stanco lo refiziaste, e finalmente
quando come madre fedele ed amorosa da quella spada medesima, che a Lui diede morte, fu
affannosamente trafitto il vostro cuore addolorato?
O buono e dolce Gesù, se ai vostri servi prometteste troni nel Cielo, e li costituiste Giudici e
Principi del mondo14, perché lasciarono tutte le cose per amor vostro e vi seguirono; se a chi dona al
bisognoso un bicchiere d'acqua fresca15 per amor vostro, date rimunerazione centuplicata, e
promettete la vita eterna, i meriti della Santissima Madre vostra quale mercede avranno? Quale
pertanto non deve essere la nostra fiducia se con tutti i beni del Figlio16, essendoci anche data la
Madre17, furono per conseguenza fatti nostri anche i suoi meriti?
Asc,9006a:T2,2
Perciò differente dai Discepoli18, non mai questa buona Madre volle sapere quale sarebbe stato il
suo premio; e, ciò sia per mostrarsi a questo modo vera Madre di Gesù, sia ancora perché fu sempre
sua intenzione, che quanto era dovuto ai suoi meriti, tutto fosse di noi poveri peccatori. Né qui
finiscono tanti beni, poiché altri maggiori assai ce ne annunzia la Chiesa con dirci19 a questo fine
essere stata da Dio assunta al Cielo la Vergine, perché colassù fidatamente interceda per la
remissione dei nostri peccati.
Ma, o benedetta Madre nostra dolcissima, non potevate anche stando in terra fra noi provvedere alle
necessità dei peccatori? Se i vostri meriti debbono ottenerci il perdono, ed il cancellamento delle
colpe, rimanendo Voi sulla terra sempre li avreste moltiplicati, la qual cosa non potete fare nel
Cielo. Sì questo è verissimo; però siccome quando il benedetto Figlio vostro parlando di
ritornarsene al Padre20 sentiste che diceva: essere spediente per noi che se ne andasse, perché ci
avrebbe mandato il Paracleto; così, o Madre pietosa, ci immaginiamo che venuto il tempo della
vostra andata al Cielo, abbiate detto: “Figli miei, lasciatemi andare, perché grandi sono i beni, che a
voi ne verranno. Avendo già un avvocato in terra nella persona dello Spirito Santo mandatovi dal
Padre in grazia del suo e mio Unigenito, avete ora bisogno che io vi sia avvocata nel Cielo, ove
vicina del Figlio mio starò di continuo intercedendo per voi21, epperciò lasciate pure che io vada,
poiché prenderò a cuore la vostra causa nel Cielo”.
Asc,9006a:T2,3
Anzi quanto maggior vantaggio ce ne verrà, o Madre carissima, se vi degniate considerare, che se
tanto foste sublimata, e siete sì potente e gloriosa, noi peccatori ve ne apprestammo la via per le
colpe, che purtroppo abbiamo commesse. Egli è vero, o Benedetta Madre nostra, che sopra ogni
altro avete in somma abominazione il peccato, ma è vero altresì che non potete aborrire noi poveri
meschini, perché senza di noi non sareste sollevata a Madre di cotanto Figlio22, ed è per questo
motivo che ci invitate a ricorrere a Voi; ci accarezzate con peculiare affetto per mondarci dalle
colpe, che in noi vi dispiacciono, e per tale opera di misericordia e pietà procurate di compensarci
con quei beni, onde fummo occasione a Voi di entrarne nel possesso.
Con quale certa speranza possiamo dunque ricorrere a questa amorosa Madre nelle nostre angustie!
E dire con tutta fidanza e arditamente al suo Figlio: “O divin Giudice, mentre ci ricordiamo d'aver
favorevole Maria Madre nostra, non paventiamo l'essere citati al giudizio, perché essendo noi il
prezzo del vostro Sangue23 ed essendone Voi giusto esaminatore, quanto neghereste al vostro
Sangue, lo neghereste pure a quella Madre, che ve lo diede; epperò avvertite di non fare torto alla
Genitrice vostra Santissima, dando libero corso al vostro, benché giusto sdegno, contro di noi miseri
e peccatori”.
Oh quanta fiducia dobbiamo riporre in Maria! Imperocché se conosciamo d'avere Iddio per amico e
benevolo, è necessario stare di buon cuore, essendo che in Lui possediamo ogni bene; se poi ci
consti d'averlo contro di noi adirato per le nostre colpe, detestiamole sì, ma non disperiamo; anzi,
armiamoci subito di grande speranza, mercecché24 sebbene sia nel colmo del suo sdegno, non
lascerà di ricordarsi della sua misericordia, cioè di quella Vergine benedetta, la quale appunto volle
fosse chiamata Madre di misericordia; ed essendo Ella tutta tenerezza, non può non sentirsi
muovere a pietà delle miserie nostre, perché anche noi fummo nella persona dell'amato Discepolo
Giovanni a Lei dati per figli dal figliuolo suo Gesù25.
Asc,9006a:T3
Tesoro III. I meriti e l'intercessione dei Santi
Asc,9006a:T3,1
Quanto è mai ricca e spaziosa la casa di Dio! E chi potrà comprendere l'abbondanza dei suoi tesori?
I domestici di questa beata famiglia sono ben provveduti di doppia veste26, cioè di grazia e di gloria,
e tengono in mano diversi vaselli pieni di benedizioni e ricchezze non già in loro uso e servizio, non
avendone bisogno veruno; sì per diffonderle sovra di noi poverelli e comunicarcele. Orsù dunque
facciamo cuore, benché necessitosi assai; e se riverenti e timidi ci prostriamo in quella gran corte
del Paradiso alla maestà del sommo Re e della Sovrana Regina, accostiamoci fidatamente però ai
nostri compagni e fratelli, cioè a quei beati Spiriti: portiamo con noi molti vaselli vuoti, che senza
fallo saremo per mezzo loro abbondantemente forniti d'ogni bene, e la casa del cuore nostro sarà
con grande vantaggio ricolma d'ogni benedizione.
Asc,9006a:T3,2
Né abbiamo da temere, che ci avvenga come a quelle vergini stolte, le quali non furono ricevute
dallo sposo; poiché non ci accostiamo già come desse con mal guarnite le lampade a ricevere
premio e mercede; ma supplichevoli per avere grazia e fortezza per operare virtuosamente, e quindi
ottenerne la corrispondente mercede. Accostiamoci senza timore; le porte di questo Reale Palazzo
stanno di continuo spalancate a quelli che con tale disposizione desiderano entrarvi. In quella
Reggia non si dà repulsa a veruno; sì i nobili paggi, che i Grandi, anzi lo stesso Re, instantemente
invitano a battere, cercare e chiedere. O felice e mille volte beata Reggia, in cui si reputa maggiore
ventura il dare, che non il ricevere! Reggia abitata da Principi tanto nobili e generosi, che mai non
cercano il proprio utile, sì la gloria ed il piacere del loro Sovrano; cui quanti si aggiungono
compagni, altrettanto si aumenta la letizia e la gioia. Reggia felice e veramente desiderabile, ove dal
Re si celebra più festoso e giocondo banchetto27, se vegga un povero peccatore stare alla porta
piangendo, e domandando misericordia, che non nel sentire migliaia d'Angeli soavemente lodarlo. E
chi troverà nel mondo Reggia consimile? O Gerusalemme veramente beata! O città di Dio eccelso28,
quanto grandi cose sono state dette di te! Ricorriamo pertanto con grande fiducia a quei beatissimi
Spiriti29, i quali tutti come nostri tutori e curatori affettuosamente s'impiegano in radunarci ricchezze
di Paradiso, di cui molto più bramano farcene doviziosi, che non noi di acquistarle.
Né ci stupisca cosiffatto linguaggio, poiché fin da quando l'umanità nostra nel Salvatore Gesù, e
nella Vergine Madre prese possesso dei Cieli, fu adorata dagli Angeli, d'allora in poi questi spiriti
celesti tanto ebbero ed hanno a cuore il bene e la gloria nostra, da non sentire cosa che in certo
modo più li prema ed affligga, quanto vedere noi compagni del loro Re e parenti, anzi fratelli,
immersi in tante miserie, spogliati d'ogni bene, caduti nella schiavitù del Demonio e da lui scherniti,
insultati, derisi.
Asc,9006a:T3,3
E quanto considerammo degli Angeli, ugualmente ed a più grande ragione lo dobbiamo credere dei
Santi, poiché conoscono a quanto sublime gloria per Gesù è stata sublimata la discendenza
d'Abramo, alla quale grandezza non fu promossa la natura angelica.
Ripensando a sì grande beneficio, stanno dessi, per così dire, con gran timore, che provocato dai
nostri peccati di nuovo incresca, e dolga al Re loro d'aver creato l'uomo30 e sublimato cotanto;
epperò ad esempio della loro Regina e Signora con grande studio procurano di arricchirci dei loro
stessi tesori e beni, anzi vorrebbero poter donare e trasfondere in noi tutta l'abbondanza dei loro
meriti.
Conoscendo pertanto la nostra povertà, non stiamocene neghittosi più oltre, perché morremmo di
disagio; ma procuriamo di provvederci qualche corona, o candida di verginità, o rubiconda di
martirio, o verdeggiante di confessore con sofferenza di fatiche e di travagli per Dio. Eccole queste
corone ci sono preparate sulle piazze della Figliuola di Sion; ed i beati cittadini che vediamo colassù
congregati, stanno come diligenti mercanti specolando circa la maniera di procurarci tesori di
meriti, trattando il negozio della nostra eterna salute.
Ci si allarghi dunque il cuore ed affrettiamoci a fare nostri i beni infiniti di Paradiso, nulla curando
le bagatelle terrene che sinora con tanta ansietà e pazza premura cercammo.
Che se brameremmo tuttavia un pegno di maggior sicurezza per avvicinarci a quei beatissimi, ecco
tra loro molti ve ne ha che già ci furono in questo mondo od amici o parenti, od a noi per alcun
beneficio legati. Ora da costoro quanto non possiamo riprometterci aiuto per fare acquisto d'ogni
vera ricchezza, mercecché nello stato loro felice, non solo vivono ricolmi d'ogni bene, ma pieni di
carità per farcene partecipi!
Asc,9006a:T3,4
Sopra tutto poi ci apporti gaudio e confidenza grande il considerare che, mentre siamo in questo
esilio, ciascuno ha per compagno un Angelo cui da Dio fu commessa la cura di noi; ed egli in tutte
le vie nostre sarà nostro custode31. Questo Angelo ci ama teneramente più che se ci fosse stretto
congiunto, anzi più che il padre o la madre nostra medesima. Così sommo è l'amore che ci portano
gli Angeli, atteso che per noi furono fatti degni di vedere l'umanità del Verbo Salvatore Cristo
Gesù. Onde come a ripagarcene sono solleciti ad illuminarci, additando la strada per cui camminare;
così ci sostengono colle loro mani, affinché sgraziatamente non cadiamo nei lacci tesi dai
fraudolenti e superbi nostri nemici32, essendo verissimo che il minimo tra gli Angeli è più accorto e
valente, che non tutti assieme gli spiriti dell'inferno.
Se pertanto andremo di conserva col nostro buon Angelo e gli saremo obbedienti in tutto ciò che
propone ed insegna, ce ne verranno moltissimi beni, poiché ogni opera buona, sia pur piccola, ed
ogni nostra mortificazione, sia pur leggera, sarà da lui presentata al cospetto della divina Maestà a
fine d'ottenerne ed impetrarne benefici sempre maggiori, e più copiosa l'abbondanza della sua
grazia.
Coraggio, dunque, coraggio: di che temiamo? Confortiamoci alla vista di tanti e tali aiuti, e
procuriamo ad ogni costo di giungere al possedimento di quel Regno beato.
Asc,9006a:T4
Tesoro IV. I meriti e l'intercessione di tutti i giusti della Chiesa
militante
Asc,9006a:T4,1
Se pur vivendo su questa terra ci riesce difficile salire al Cielo ed ameremmo gustare ed avere di
quei frutti che si maturano nel nostro esilio, volgiamo dunque lo sguardo a quella moltitudine
d'uomini giusti che furono, sono e saranno nel mondo. Siano tra questi non solo i vissuti
perseveranti nel bene e predestinati alla gloria, ma quanti tuttoché per brevissimo tempo, furono,
sono e saranno amici di Dio. Deh quale cumulo sterminato di opere sante non vennero dalla loro
pietà, e quindi quante ricchezze per il Cielo!! Eppure, oh nostra gioia, in virtù della comunione dei
Santi noi partecipiamo a questo immenso tesoro, ed in ogni giorno, ogni ora e momento arricchiamo
l'anima di cotanto nobili beni.
O Gesù, verità eterna ed infallibile, non diceste Voi forse che se due di noi ci accorderemo sopra la
terra a domandare qualsiasi cosa, ci sarà concessa dal Padre vostro che è nei Cieli33?.
Ora che farete se saranno dieci gli uniti a pregare ed operare per nostro vantaggio? Che, se siano
cento, se mille? E se saranno uniti tutti quelli dei quali Voi solo conoscete il numero, perché Voi
solo tenete piena notizia d'ogni istante dell'eterna eternità? Oh con quanta larghezza quel buon
Padre di famiglia darà ai suoi figli quella parte che loro è dovuta, memore della promessa fatta!
Quanto utile sarà a noi questa eredità nostra34, se cristianamente vivendo ce ne staremo uniti coi
Santi; tanto più che il celeste Padre stima non solo le opere grandi ed eroiche, ma tiene pure in gran
conto ogni minima azione dei giusti, di modo che non lascia senza premio un bicchiere d'acqua
fresca data in nome di Gesù Cristo suo Figlio35!
Asc,9006a:T4,2
Se quando Iddio bruciò quelle infami città di Sodoma e Gomorra con fuoco dal Cielo36, Lot e la sua
famiglia ne furono liberati per i meriti di Abramo, non siamo per avventura anche noi altrettanti
suoi figli? Ponderiamo dunque più attentamente questa nostra felicità. È vero che tutti cadendo in
quel primo capo Adamo, fummo soggetti ad infinite sciagure, ma siano grazie al nostro Dio, il quale
per Gesù e per i meriti della sua Passione e morte ci ha dato altri capi, in virtù dei quali se vivremo
uniti con loro possiamo ottenere forza e vigore per ogni opera buona. Così di questi nuovi capi a noi
dati, uno è Abramo padre di molti meriti, nel quale furono benedette tutte le genti. Anzi nella
pienezza dei tempi se ne venne dall'imperiale trono del Cielo il nostro amato capo Gesù, in cui solo
si trova tutta la pienezza della divinità, ed è fonte ed origine di ogni giustizia e giustificazione, dal
quale poi come da capo, si diffuse tanta virtù in noi che siamo e corpo e membri suoi, fu cancellata
la sentenza di dannazione eterna, e fummo fatti salvi37, purché volontariamente col peccato non
vogliamo da Lui separarci. Così pure dopo la gloriosa sua ascensione al Cielo Gesù Cristo ci lasciò
S. Pietro per capo e fondamento della sua Chiesa, per la fede e buone opere del quale fosse stabilita
e benedetta.
Asc,9006a:T4,3
O Beatissimo Pietro, se l'ombra del vostro corpo tanto poteva presso Dio in beneficio degli infermi,
quanto più gioverà a noi l'essere con voi un corpo stesso, e membra di quel capo, del quale anche
voi siete membro? Se a quelle catene, che vi tenevano legato nell'oscura prigione furono
comunicate tante prerogative per aver solamente toccato il vostro corpo, che si farà a noi in grazia
vostra, a noi che componiamo insieme a voi questo corpo mistico? Non crediamo già, o Principe,
che abbiate pregato Iddio di comunicare quella virtù all'ombra del vostro corpo ed a quelle catene; e
nulladimeno la comunicò in tanta abbondanza; ora è certo, che nei tormenti da voi tollerati, pregaste
molto per noi figli vostri, e per noi li patiste ed offriste a Dio; quanto dunque sarà per essere
maggiore l'influsso di grazie e benedizioni, che per essi ci saranno comunicate?
Orsù dunque parliamo anche noi secondo la dottrina insegnataci da Gesù Cristo nostro capo e
maestro. Egli comandò che ci amassimo l'un l'altro con quell'amore che ebbe per noi; ci insegnò
anche a valerci di quelle parole, che Egli stesso disse: “Chi si tiene in me, io mi tengo in lui38”; ed in
altro luogo: “Io sono nel Padre, ed il Padre è in me39”. Dunque può dire anche ciascuno di noi: S.
Pietro stava meco unito per carità mentre pativa, pregando per me, ed io sto in lui ricevendo gli
influssi delle sue orazioni. Oh potenti, preziosi ed ammirabili effetti della carità, per virtù della
quale i meriti e le persone, anzi lo stesso parlare si fa comune a tutti, ed a ciascuno! Facciamo ben
attenzione a ciò che l'Apostolo Paolo, assorto nel contemplare quest'unione di carità, altamente ci
predica40: “Fratelli miei, dice egli, non v'ingannate pensando di essere ospiti e pellegrini,
considerandovi quali diventaste per la caduta di quel nostro primo capo Adamo. No, non siete più
quelli; ma sappiate, che siete concittadini dei Santi e della famiglia di Dio, edificati sopra il
fondamento degli Apostoli e dei Profeti, pietra maestra angolare essendo lo stesso Cristo Gesù,
sopra di cui voi pure siete insieme edificati in abitacolo di Dio mediante lo Spirito.”
Asc,9006a:T4,4
Ora come può essere che fondati sopra un sì prezioso edificio, ed associati alle ricchezze loro ce ne
restiamo poveri di meriti e di gloria? Se non ne abbiamo dunque dei nostri propri, facciamo nostre
la croce di S. Pietro, la spada di S. Paolo, le pietre di S. Stefano, la graticola di S. Lorenzo e tutti
insomma quegli strumenti di martiri e pene, che lavorarono ai Santi così preziose corone; e con ogni
confidenza diciamo a Dio: “Signore, ecco per Voi sono stato crocifisso, decapitato, lapidato,
arrostito, ucciso; quale corona in premio m'avete perciò preparato?” Che se Egli ci replicasse:
“Quando vi ho io visti a sopportare per mio amore crocifissione, spade, fuoco, lapidamento e
morte?” Rispondiamo pure intrepidi: “Quello che ha fatto e patito per Voi qualsivoglia dei nostri
fratelli, facciamo conto di averlo fatto e patito noi stessi: siamo forse noi stati esclusi da quella
unione di carità, che fa tutte le cose comuni? Se Voi medesimo ci assicurate che quanto si fa ad uno
dei più piccoli nostri fratelli si fa alla persona vostra41, e se quando S. Martino diede della sua
clamide al poveretto di Amiens, diceste che a Voi l'aveva donata e la vestiste e la portaste come
veramente vostra; perché non possiamo anche noi vestirci come di cosa propria della veste nuziale
d'oro e di porpora, che donaste ai Santi Martiri, e con quella comparirvi innanzi, protestando ed
attestando, che a noi nella persona loro fu data ed è cosa nostra, attesa la società e fratellanza che a
coloro ci unisce? Quel vincolo di carità che annoda e fa del povero di Amiens una stessa cosa con
Voi, Gesù Cristo ricchissimo, non farà fors'anche noi poverelli una cosa medesima con tanti
ricchissimi giusti; ed i loro meriti non saranno meriti nostri?” Oh quanto buona dunque e dolce cosa
è che i fratelli siano insieme uniti in vincolo di vera carità42!
Asc,9006a:T5
Tesoro V. Il Sacrosanto Sacrificio della Messa
Asc,9006a:T5,1
Saliamo ora al colle dell'incenso, ove sopra l'altare viene offerto ogni giorno a Dio vivo e vero, non
più il sangue dei capri o dei vitelli, ma il pane santo di vita eterna ed il calice di salute perpetua43,
ove Gesù, Sacerdote e vittima, in tutti i sacerdoti ed in tutte le ostie che furono, sono e saranno
offerte, sta di continuo porgendo con grande istanza44 supplichevoli preghiere a nostro favore; e con
ogni certezza di essere esaudito, domanda che si tratti la causa nostra non solo avuto riguardo alla
misericordia, sì a termini ancora di rigorosa giustizia.
Chi potrà pertanto rendervene le debite grazie? O dolcissimo Gesù, non fu pago il generoso cuore
vostro di aver soddisfatto una volta ad ogni nostro debito col sacrificio da Voi offerto del sangue e
della vita, spasimando sopra la Croce, ma voleste di più, per eccesso d'amore, istituire questo
incruento Sacrificio, acciocché per Lui rinnovandosi il doloroso del Calvario, ne raccogliessimo in
ciascuna Messa quei medesimi abbondantissimi frutti, che a noi provennero dalla vostra Passione e
morte45.
Oh quale abisso di tesori è codesto, perché in ogni cosa ci si presenta su questo colle il nostro dolce
Gesù infinitamente ricco, e bramoso di arricchirci!
Asc,9006a:T5,2
Infatti se miriamo a noi medesimi, per i quali viene offerto il sacrificio, eccoci46 nascosti e sepolti
con Gesù Cristo, ed a Lui uniti come membra al proprio capo; epperciò Egli stesso come Capo
nostro prega in noi e con noi; se poi consideriamo il sacerdote che sacrifica, in esso pure trovasi
Gesù Cristo, come ministro ed offerente principale che prega per noi; se consideriamo l'Ostia che
viene offerta, sta in lei realmente tutto il nostro caro Gesù, del quale pure sta scritto, che per mezzo
del proprio sangue entrò una volta nel sancta ritrovata, avendo una redenzione eterna47. Se
finalmente consideriamo a chi viene offerto questo sacrificio, vediamo Dio in Gesù Cristo, il quale
ci assicura che chi vede Lui, vede pure il Padre suo48.
Tremava con ragione quel vostro servo49, nel sentirsi chiamato a saldare ogni suo debito, non
avendo di che pagarvi: ma noi con questo tesoro nelle mani non vogliamo neppure aspettare di
essere citati al vostro divino tribunale per il pagamento dei nostri; sì con santo ardire e colla più
grande fiducia di poter soddisfare a tutto rigore di giustizia, vi preghiamo di venire ora
all'assestamento dei nostri conti con Voi50.
Asc,9006a:T5,3
Infatti se lodaste, o Gesù caro, la prudenza di quel fattore, che sebbene con mezzo illecito seppe
provvedere ai suoi futuri bisogni colla roba medesima del padrone, quale compiacenza non sarà per
provare il vostro divino Padre nel vederci fare sì buon uso delle ricchezze infinite dell'unigenito suo
diletto Figliuolo, per soddisfare a tutto rigore di giustizia, anzi, sovrabbondantemente ai nostri
debiti, sebbene in certo modo infiniti?
E primieramente noi vi dobbiamo, è vero, un onore infinito, attesa l'infinita vostra maestà e
grandezza51; tuttavia degnatevi, o Signore, d'avere pazienza con noi52; e non sì tosto vi sia offerto
quest'incruento sacrificio, ne sarete pienamente soddisfatto. Ed invero; non ricevete Voi maggior
onore da una sola Messa del più povero sacerdote, di quanto ve ne possano rendere il sangue di tutti
i Martiri, le lodi e l'amore dei Santi, degli Angeli, dei Serafini, anzi della stessa Regina del Cielo
Maria Santissima? Conciossiaché tutti questi ossequi, quantunque grandi, sono però finiti53; ma
l'ossequio e l'onore che vi si rende coll'oblazione del vostro divino Figlio Gesù in questo sacrificio,
sale ad un ordine divino, ed è a tutto rigore infinito e degno di Dio; di modo che la santa Messa è
veramente per eccellenza la gloria vostra54 e gloria sì sublime e divina, che né Voi potete averne una
maggiore, né ad altri che a Voi, Signore nostro Iddio, può essere offerta.
Oh quale consolazione pertanto proviamo nel poter, sia celebrando che assistendo devotamente alla
santa Messa, tributarvi un ossequio in tutto degno dell'infinita vostra Maestà! O Signore nostro
Gesù, degnatevi di unire a questa vostra oblazione quella che vi facciamo dei nostri poveri cuori, e
di tutti gli affetti nostri, affinché sia pure gradita agli occhi del vostro divino Padre.
Asc,9006a:T5,4
In secondo luogo…
In secondo luogo sebbene sia più che giusto e conveniente55, che in ogni luogo vi si rendano
continue grazie per gli innumerevoli favori a noi dall'infinita vostra bontà e liberalità compartiti,
tuttavia non ci perdiamo di cuore, poiché mentre Tobia56 non sapeva rinvenire nei radunati tesori
con che dare all'Angelo un degno compenso per i benefici ricevuti, noi abbiamo in questo sacrificio
il mezzo di far entrare il vostro divino Figlio Gesù a parte del pagamento del nostro immenso
tributo di riconoscenza e di gratitudine: tributo che Egli già cominciò ad offrirvi per noi,
allorquando istituì questo divino sacrificio nell'ultima cena57.
Oh Santa Messa! Come veramente tu sei oggetto di desiderio e di consolazione infinita per noi;
mentre per te cessiamo di essere ingrati al nostro Dio58.
Neanche ci sgomenta l'immenso debito, che abbiamo per i nostri peccati, poiché l'amorosissimo
nostro Gesù non contento di farla continuamente da avvocato in Cielo59, in ogni sacrificio viene in
persona sui nostri altari a farla da sacerdote e mediatore fra noi e la spada della divina giustizia. E
che avremo da temere, se Gesù nell'atto più umile e riverente quasi di agnello ucciso, offrendo se
medesimo al Padre suo, presenta le piaghe e la morte sua dolorosa sofferta a sconto delle nostre
colpe?
Alla vista d'un Figlio disposto ad annichilarsi col perdere l'essere sacramentale, divenendo cibo del
sacerdote, alla vista di tanti stenti, e di un sì caro prezzo per noi sborsato, come potrà non placarsi
l'Eterno Padre60? Come non passare dallo sdegno a tenera compassione verso di noi? Come non
accordarci il dono della contrizione, rimettendoci i peccati, per quanto siano gravi?
Asc,9006a:T5,5
Ed ora quali grazie vi renderemo, o amabilissimo Gesù, che non pago l'amore vostro di onorare,
ringraziare e placare per noi il celeste Genitore, vuole inoltre con questo sacrificio impetrarci ogni
sorta di beni? Ed avendoci in esso aperto una miniera d'oro finissimo, possiamo ricavarne continua
ricchezza di grazie secondo le disposizioni che apportiamo nell'offrirvelo od assistervi?
Non lamentiamo più dunque dicendo: piacesse a Dio, che ci fossimo trovati al piè della Croce,
allora quando con sì liberale abbondanza si spargeva il prezzo della nostra redenzione; oh volesse
Iddio, che almeno una stilla di quel preziosissimo sangue avesse toccato gli occhi nostri, ché
certamente sarebbero stati aperti come quelli di Longino, ed avremmo partecipato al gaudio del
Paradiso col buon ladrone! Imperciocché quale sarebbe in tale caso la nostra fede? No, se ben
riflettiamo, non eravamo lontani dalla Croce, mentre vi era presente la madre Maria ed il fratello
nostro Giovanni. Anzi anche adesso siamo in realtà presenti alla Croce non solo ogni giorno, ma in
ogni momento, quando con lo spirito ci poniamo innanzi all'altare di Dio, mentre si offre questo
sacrosanto sacrificio. Oh! Con quale santo ardire standole così vicini, possiamo domandare con
sicurezza di ottenere ogni grazia? Quale cosa non sarà pronto a darci anche al presente il Padre,
volgendo gli occhi alla Croce del suo Figlio Gesù?
E non saranno in ogni tempo infallibili le promesse fattegli dicendo61: “Chiedimi e ti sarà
accordato?” Anzi, o Eterno Padre, se concedeste al vostro Figliuolo la redenzione di tutto il genere
umano per virtù della Passione da Lui sofferta quella sola volta con lo spargimento del proprio
sangue, che non sarete per concedergli ora a favore nostro in virtù della stessa Passione di continuo
rinnovata nel sacrificio santissimo dell'altare?
Asc,9006a:T5,6
In Lui inoltre noi troviamo, o divino Padre, un'altra doviziosa miniera, poiché quegli che è unico
vostro Figlio e dilettissimo, si è per questa immolazione fatto nostro cibo e nostra bevanda.
E ci chiameremo ancora poveri noi, che possiamo a piacimento saziarci in questo banchetto
celestiale? Noi che possiamo ogni giorno ricevere ed offrire all'eterno Padre questo pane
soprasostanziale per rimedio di tutte le nostre necessità? Noi insomma, che abbiamo per fondo e
capitale proprio, lo stesso Dio? Supponiamo che ad un solo uomo fosse accordato un sì grande
favore, non lo stimeremmo noi più di tutti i sovrani e principi della terra, anzi più ancora degli stessi
Angeli del Cielo? Ora avendo Iddio fatto questo beneficio così interamente a tutti, come se a
ciascuno di noi in particolare lo avesse impartito62, si consideri ognuno come quell'unica e singolare
persona da Dio cotanto privilegiata, e sappiamo una volta apprezzare la nostra dignità ed essere
grati a beneficio sì grande.
O Madre beata e Vergine intatta Maria Ss., permetteteci in grazia di dirvi63, che se Iddio fece con
Voi un portento ed uno sforzo veramente grande nel darsi a Voi per figlio, non minore sfoggio fece
con noi della sua onnipotenza e bontà col darsi a noi in cibo e bevanda, in ostia e sacrificio64.
Se stando una volta Iddio grandemente offeso contro il popolo ebreo, sì che lo voleva aspramente
punire, ma facendogli Mosè con le orazioni dolce violenza, si placò, accordando il perdono65; non
può forse assai più di Mosè la Chiesa, la quale sta di continuo offrendo non solo orazioni e
preghiere, sì lo stesso corpo e sangue del dilettissimo Figlio per mediatore?
Che se le anime del Purgatorio ricevono di continuo refrigerio, alleggerimento ed anche liberazione
totale da quelle pene per virtù del divino sacrificio66, malgrado che non possano in tale luogo
meritare; quanto più noi dovremmo essere solleciti di assistervi con frequenza e devozione per
ricavarne in molto maggior abbondanza e vita e salute!
Asc,9006a:T6
Tesoro VI. Le promesse di Gesù Cristo
Asc,9006a:T6,1
Ascoltiamo ora, e con attenzione ponderiamo ciò che Gesù Cristo vero Dio e Figlio del divino
Padre ci ha con giuramento promesso allorché, stando per sacrificare la vita a pro dei suoi nemici,
compiuta già l'ultima cena coi discepoli, fece il suo testamento, e con parole tutte di amore, obbligò
se stesso ed il Padre suo verso di noi dicendo67: “In verità, in verità vi dico: che qualunque cosa
domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà. Fino adesso non avete chiesto cosa nel nome
mio; chiedete e otterrete, affinché il vostro gaudio sia compito”.
Se pertanto ci pare cosa indegna d'uomo il mancare di parola, ancorché la promessa sia senza
giuramento, quanto più grave torto faremmo noi a Dio anche solo immaginandoci, che possa
mancare alla sua giurata promessa? Certo, che se un qualche grande signore, o potente di questo
mondo, o figliuolo di Re o d'Imperatore ci dicesse: “Domandatemi quanto desiderate, e prometto da
quel che sono di darvelo”; quanto grande fortuna ci parrebbe questa!
Ora il Figliuolo di Dio, Re dei Re e Signore dei Signori, la Signoria e Regno del quale è Signoria
eterna e Regno di tutti i secoli68, alla cui volontà obbediscono le cose tutte sì in Cielo che in terra,
ecco non solo, come faceva una volta per i suoi Profeti, ma egli stesso in persona, e con solenne
giuramento ci ha promesso, che il Padre ci darà quanto in nome suo gli domanderemo; e tuttavia
con sì larga e preziosa promessa non concepiremo la più grande speranza, standocene tutt'ora
irresoluti e timidi? Eh! Via, stendiamo anzi la mano dell'orazione a sì nobili beni, e non siamo per
tale guisa privi di senno, che volendo tenere l'occhio alla nostra indegnità, veniamo a derogare
all'onnipotenza ed infallibile fedeltà di Dio, che ci fa promessa così grande.
Asc,9006a:T6,2
L'essere ingannato ed ingannare altrui è cosa che sovente si vede tra uomini, ma non che trovare si
possa in quegli, che essendo vero Uomo ed insieme vero Dio, ci rese questa fedele testimonianza di
se medesimo, dicendo: “Io sono la verità. Il Cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non
passeranno69”.
Che se ci interniamo via più in questi misteri d'amore, toccheremo con mano non aver noi ragione
alcuna di diffidare. Infatti non aveva egli Iddio prima della sua promessa, operato in nostro bene
cose di niente minore importanza, di quante volle poscia operarne? Poteva per avventura l'uomo
pensare o bramare cosa più nobile e grande, quanto il vedere un Dio farsi uomo per lui?
Anzi perché meravigliarci, o Gesù dolcissimo, che Voi abbiate detto “Domandate ciò che volete”;
se prima di prometterci ogni cosa, non solo vi eravate già dato a noi per compagno nascendo in una
capanna, per maestro insegnandoci la via della salute, ma con eccesso d'amore vi eravate fatto
nostro cibo, inventando un mezzo veramente ineffabile, col quale Voi poteste stare con noi, e noi in
Voi, e così vi possedessimo in una maniera tanto connaturale con sommo nostro gusto e diletto?
O Gesù buono! Era necessario tuttavia farci questa promessa: domandate e riceverete? Se Voi state
in noi e noi in Voi, come potremmo non possedere con Voi ogni vostro bene?
Asc,9006a:T6,3
Consideriamo ora se sia più difficile a credersi, che Iddio abbia potuto patire per noi tanti dispregi e
pene sì obbrobriose ed aspre, cose che tanto ci appaiono contrarie alla dignità di Dio, oppure abbia
potuto prometterci ed assicurarci, che il suo Padre ci darà quanto gli domanderemo in grazia sua e
per i meriti suoi.
Non desistiamo pertanto dal chiedere, cercare e battere con perseveranza; che se talora domandando
non otteniamo, non falla però Iddio nella sua promessa, ma la mancanza è nostra; imperocché o non
preghiamo coll'umiltà e confidenza necessaria, o domandiamo cose non utili alla nostra eterna
salute; dovendo essere certissimi, che quando siano in noi le condizioni volute, Iddio fedele
mantenitore della sua parola, senza dubbio alcuno infallibilmente ci esaudirà.
Si rallegri pertanto e giubili il cuore nostro per così ampia e ricca promessa.
Asc,9006a:T7
Tesoro VII. Gesù Cristo dato a noi
Asc,9006a:T7,1
Se possiamo accostarci con tanta fiducia al trono di Dio per domandargli che compia la sua
promessa, quanto più confidentemente possiamo pregarlo, che ci dia non solo quanto promise, sì
quel che in effetto ci donò una volta? Ora non ci ha forse Iddio già donato quanto di bello e di
buono Egli abbia70? Sono pure queste le precise parole di S. Paolo: “Dio ci donò tutti i beni allora
quando ci donò il suo Figliuolo”. O beato Apostolo, che dite voi mai? E sarà dunque ciò vero? Che
se appunto così è la cosa, nulla dunque gli restò che donarci, mercecché fuori del bene non c'è che
dare, e quanto Dio fece e creò, tutto è buono71, anzi tute le cose possibili nel loro modo di esistere
sono buone. Lo stesso primo essere increato è buono; dunque tutto ci fu dato e donato quando
l'Eterno Padre ci diede il suo proprio Figlio72. Altissima verità Voi ci insegnate, o gran Maestro
delle genti; verità che essendo noi tenuti a credere di fede, in tutto ci assicura e ci dà certa caparra
della nostra felicità e beatitudine eterna, perché in tale maniera ci vediamo come fatti padroni di Dio
e di ogni suo avere; essendo certissimo che in virtù della donazione s'acquista il dominio della cosa
donata.
E veramente non fu un donarci il proprio Figlio, quando per nostro amore lo volle nato in vile
capanna? Umile ed obbediente sino a lasciarsi vendere, giudicare e crocifiggere dagli uomini quasi
fossero suoi signori e padroni73? Essendo poi questo Figlio vero Dio, non ne viene forse per
legittima conseguenza trovarsi in Lui racchiusi tutti i beni?
O sapientissimo Apostolo, grandi in vero sono le cose che ci dite; e tuttavia sono verissime! Non era
dunque sazia, o Signore, la vostra carità sottomettendo a noi le pecore ed i buoi, gli uccelli dell'aria
ed i pesci del mare74, se non ci sottomettevate in certo modo anche lo stesso Creatore?
Asc,9006a:T7,2
Ah perdonateci, o Gran Dio, se osiamo così parlare, perché a dire il vero, quando consideriamo il
nostro dolce Gesù Figliuolo vostro lavare i piedi agli Apostoli, e quelle sacrate mani creatrici
dell'universo poste sotto i piedi degli uomini, ci pare di poterlo dire senza timore alcuno.
Oh inaudite ed inscrutabili invenzioni d'amore sgorgate dal fonte dell'immensa carità di Dio! Il
quale trovò un mezzo veramente ineffabile, perché la creatura potesse godere in proprio vantaggio
non solo di tutto il creato, ma del Creatore medesimo: poiché se lo stesso Creatore non fosse nostro,
tutte le creature essendo necessariamente del Creatore, non potremmo avere cosa alcuna che fosse
veramente nostra; ma avendoci fatto padroni dello stesso Creatore, ci fece pure padroni di tutte le
creature sue, e ciò egli compì allora, quando disceso tra noi questo Re, che è il Figliuolo di Dio, si
cominciò a chiamare figliuolo dell'uomo, e riconobbe la superiorità di questo Padre con
assoggettarsi a Lui ed obbedirlo75.
Che se S. Paolo appoggiato a siffatta verità non temeva guerra alcuna dicendo: “Se Dio è per noi,
chi fia contro di noi76?” Se lo stesso Re Davide, sebbene non avesse peranco preso possesso di
questo Re Gesù Cristo, tuttavia con indicibile confidenza cantava: “Non temerò disastri, perché
meco sei tu77”; come sarà possibile che ci lasciamo vincere dal timore, noi i quali possiamo dire di
Gesù, che non solo sta in nostra compagnia, ma è anzi cosa nostra?
Siamo dunque di buona voglia, e col cuore pieno di confidenza diciamo coll'Apostolo78: “Nessuna
cosa creata potrà dividerci dalla carità di Dio, la quale è in Cristo Gesù Signore nostro, né privarci
della sua grazia, se pure non lo vogliamo da noi medesimi con la colpa”.
Affinché però non abbiamo a cadere mai in tale frenesia di voler da noi medesimi privarci di tanto
bene, ricorriamo a Colui che è tutto nostro e stiamo sicuri; poiché se non può negarci se stesso,
molto meno79 potrà il Padre suo rifiutarci la buona volontà e la grazia di stare seco Lui uniti per
sempre.
Asc,9006a:T8
Tesoro VIII. Le briciole, ossia i beni sovrabbondanti di Gesù Cristo
Asc,9006a:T8,1
Se pure coll'essere noi tanto perversi, tuttavia diamo ai nostri figli quei beni che da Dio ci sono dati,
sì che quando ci domandano pane, loro diamo pane e non pietre; se ci chiedono un uovo, non diamo
loro uno scorpione80; così se chiederemo noi al nostro Padre celeste non già pani interi, ma solo di
quelle briciole che cadono dalla sua mensa e si sogliono dare ai cani, ci negherà Egli una tale
domanda? E ciò via più, stante la promessa e donazione da Lui fattaci, per cui ci fece padroni d'ogni
suo avere?
Andiamocene dunque ora a scavare nuove miniere di tesori, cioè quelli della Cananea, dei quali,
sebbene di valore immenso, tuttavia se ne fa parte ai cani medesimi, cioè ai peccatori.
Usciamo pertanto dai confini dell'umana nostra condizione, e come famelici cagnolini impariamo
ed avvezziamoci a chiedere, piangendo sotto la mensa del nostro Signore Iddio. Gridiamo di tutto
cuore, e fortemente esclamiamo: “Abbiate pietà di noi, o Figliuolo di Davide81”; e se per avventura
pare che finga di non udire, né ci risponda, mandiamo grida maggiori: se ci riprenda, se ci mostri
faccia turbata, se ci chiami impertinenti e fastidiosi, se acremente ci rinfacci che siamo come cani,
non sbigottiamo perciò, né perdiamo confidenza; anzi più alte alziamo le grida e confessandoci tali
diciamo: “È verissimo, Signore, che siamo peggiori dei cani, però non altro vi domandiamo,
all'infuori di quelle briciole che cadono dalla vostra tavola, e gli avanzaticci del pane82; e Voi ben
sapete, che a siffatte coserelle hanno diritto i poveri, i pezzenti ed anco gli stessi cani”.
Asc,9006a:T8,2
83
E non siete forse Voi, che ci comandaste di dare ai poverelli quanto ci avanza ? Signore, ecco qui
dei poveri e dei pezzenti: quello che alla mensa vostra sovrabbonda certamente è infinito, come
dunque potrà essere, che lasciate di fare con noi ciò che ne comandate di fare, mentre vi ci
proponete per esempio da imitare? Oltrecché se noi facciamo elemosina di ciò che sopravanza, è
certo che quanto più diamo agli altri, tanto meno ci resta; ma Voi, Signore nostro Dio, per molto
che doniate ad altri delle ricchezze vostre, non per questo diminuite punto il tesoro. Se noi
mandiamo via qualche povero senza dargli elemosina, non perciò si morrà di fame, trovando altri
che lo soccorrano: ma se Voi, o Signore, ci lasciate digiuni, necessariamente morremo, perché
nessun altro può rimediare alle nostre necessità.
Ricordatevi, o caro Gesù, quanto rigorosamente giudicaste quel disgraziato riccone, che non volle
dare in elemosina al povero Lazzaro di quelle briciole della sua tavola, sì che Voi non voleste poi
concedergli neanche una goccia d'acqua da refrigerare le riarse sue fauci84. Mentirà dunque la
Scrittura la quale dice, che Voi principiaste a fare e ad insegnare85? O come si potrà mostrare vero,
essere la giustizia vostra inviolabile? Voi donare e spandere largamente ai poveri86, e poi negarci
anche le briciole? E come potrà reggervi il cuore che le vostre misericordie siano trattenute nell'ira
vostra87, sì che neppure di quanto vi avanza, vogliate concedere qualche briciola per sovvenimento
delle nostre necessità? Che altro poi sono in sostanza tutte le cose che noi domandiamo per la nostra
salute, se non briciole in paragone dell'ineffabile e lautissima vostra mensa?
Essendo Voi pertanto compitamente satollo nella felice eternità; come potrete non accordare gli
avanzi ai vostri figli, che ve li domandano? Deh Signore e Padre, l'anima nostra tiene necessità di
una sola briciola: con una parola, con un solo fiat voi potete a sufficienza provvedere alla nostra
miseria, e sarà possibile, che ci neghiate una parola, Voi, che per amore nostro non ricusaste di
sopportare flagelli e croce?
Asc,9006a:T8,3
88
Voi siete pure quegli, che a noi vi proferiste dicendo : “Chi ha sete venga a me e beva”. Voi,
Signore, Voi siete quel medesimo che nella felice Samaritana diceste, che89 se avessimo conosciuto
il dono di Dio e chi era Colui che ci parlava, noi medesimi forse ve ne avremmo richiesto, e Voi ci
avreste dato di un'acqua viva. Ora ecco che conoscendo di quanto gran prezzo siano queste vostre
briciole, noi ne abbiamo fame e sete, ed a gran voce le domandiamo a Voi che fedelmente
confessiamo nostro Signore e Dio. Ma come potrà stare vera la vostra parola, se ce le neghiate?
Perdonateci, o dolce Signore nostro, se noi miserabili entriamo con Voi in giudizio; poiché non
intendiamo già di litigare appoggiati ai meriti nostri, sì a quella legge medesima, che Voi stesso vi
siete fatta e ci insegnaste: anzi così trattiamo con Voi per non farvi il gravissimo affronto di avere in
più basso concetto la vostra pietà, che non quella di un uomo.
Ora chi di noi, se adagiato a lauta mensa, sentisse latrare un cane od un povero domandare per la
fame, non gli darebbe un pezzo di pane se non per carità, almeno per l'importunità di cosiffatte
grida? Ancorché pertanto noi siamo scellerati, vostri nemici, ed anche peggiori dei cani, tuttavia vi
domandiamo e ridomandiamo queste briciole, ed insistiamo in ogni modo per ottenerle, perché ce le
avete promesse, e ne abbiamo estrema necessità. E di chi, in grazia, sono quelle parole registrate
nelle sacre pagine90: “Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete, dagli acqua da bere”?
Perché dunque insegnandoci tali dottrine, non farete altrettanto con noi che pure abbiamo l'obbligo
di seguitare i vostri esempi?
Lasciate pertanto, o Signore, se volete liberarvi dalla nostra importunità, lasciate cadere dalla vostra
divina bocca quelle preziosissime briciole, che a suo sì gran pro lasciaste cadere alla fortunata
Cananea, e concedeteci quello che da Voi desideriamo: mercecché da quel punto sarà anche fatta
salva l'anima nostra91.
Asc,9006a:T9
Tesoro IX. Gesù Cristo povero
Asc,9006a:T9,1
Ed ora ci si offre anche miglior mezzo e più sicuro per giungere a raccogliere queste briciole piene
di inestimabili tesori. Caviamo fuori dalla spelonca di Betlemme quel vero povero, il quale essendo
in se stesso la miniera di tutte le ricchezze del Cielo e della terra, si fece per amore nostro il più
indigente e bisognoso, affinché ricavassimo da questa sua povertà l'abbondanza di ogni vera
ricchezza92.
Presentiamolo pertanto così come sta carico di tutte le nostre miserie93 al divino cospetto, alla porta
del palazzo del gran Re del Cielo. O voi tutti che passate per la strada, fermatevi ed osservate se si
può trovare alcun misero indigente simile a questo. È costui quel povero forestiero e pellegrino
preso, legato e posto in prigione, percosso e pesto sì che tiene la faccia tutta livida per pugni e
schiaffi a Lui dati94, e dalla pianta del piede sino alla sommità della testa non ha parte del corpo suo
delicatissimo, che non sia tormentata e malamente ferita in modo che più non si può conoscere se
sia uomo. Si è fatto l'obbrobrio degli uomini ed il rifiuto della plebe95; insomma sembra un verme e
non un uomo96. Si è addossato le iniquità di tutti noi e ne porta la pena; così maltrattato, se ne sta il
povero Gesù alla porta della divina misericordia, batte, alza gli occhi al cielo, sospira, piange e fa
orazione per i trasgressori97.
Ora è cosa consolantissima il credere di essere noi in questo povero, sapendo che siamo sue
membra, ed Egli sta in noi, e noi in Lui, e più non siamo molti poveri, ma un solo98. Infatti: “Ebbi
fame, dice Egli stesso99, e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere”; dice che a Lui stesso
hanno dato soccorso100, perché dato ai suoi membri bisognosi, nel numero dei quali anche noi siamo
annoverati.
Asc,9006a:T9,2
Ma vediamo anche più apertamente come, eziandio, dopo la sua partenza da questo mondo per
ritornare al Padre, restò nondimeno fra noi nella persona dei poveri. Se Saulo perseguita i suoi
discepoli, Egli si lamenta come perseguitato nella propria persona101. Se Martino dà della sua
clamide al povero di Amiens, Gesù la indossa e dice essere stata a sé donata102. Se Gregorio
appresta il pranzo ai poveri, Gesù si fa vedere fra i convitati: quale dubbio potrà ancora rimanerci,
che ogni nostra miseria o necessità non sia miseria e necessità sua?
Ricordiamogli pertanto di continuo questa similitudine103: Medico, guarite Voi stesso in noi.
Alzatevi su e giudicate la causa vostra: porgete preghiere al Padre vostro per Voi stesso, e stiamo un
po' a vedere se avrà cuore di negare le briciole al Figlio suo quel Padre, cui non bastò l'animo di
negare lo stesso unico Figlio ai suoi nemici medesimi? Tutto quello, o Eterno divino Padre, che ci si
nega domandandolo in nome del Figliuolo vostro, viene negato al Figlio stesso, poiché siamo sue
membra: e quanto in nome suo riceviamo, a Lui viene dato, ed in grazia sua ci è concesso.
Quale partito dunque sarà il vostro, o divino Padre? Potrete forse lungamente durarla nel vedere
questo Figlio diletto starsene digiuno e famelico, per non volergli accordare quattro briciole per
sfarmarsi, mentre Egli per obbedirvi si lasciò privare della vita, confitto in Croce104?
Dunque a noi comandaste di ascoltare questo vostro Figlio, e Voi non lo udirete benigno? Potrete
nascondere la vostra faccia a quel dilettissimo Figlio, che in ogni cosa perfettamente vi compiacque
e vi obbedì?
Se pertanto ci ascoltate, se ci volgerete pietosi gli occhi, se ci porgerete soccorso, queste sono quelle
briciole che noi poveri peccatori tanto desideriamo e domandiamo. Con esse sarà rallegrata, saziata
e fatta salva l'anima nostra.
Asc,9006a:T9,3
O felicissima nostra povertà in Gesù Cristo, per cui nulla avendo, tutto in Lui possediamo105!
Ora ci si fa agevole il comprendere perché, patendo noi fame e piangendo in mezzo alle maledizioni
e persecuzioni degli uomini, siamo chiamati beati106. Si è appunto perché il dolce Gesù nostro
patisce nella nostra persona tutti questi mali, e supplicando all'Eterno suo Padre, viene esaudito per
la dignità di sua persona e per la sua umile riverenza107; né solo ci ottiene queste briciole, ma con
esse ancora un'allegrezza piena, una sazietà compita, una mercede e premio copiosissimo, il Regno
dei Cieli, il possesso insomma di ogni bene in Dio.
Asc,9006a:T10
Tesoro X. La misericordia di Dio
Asc,9006a:T10,1
O fonte copiosissimo di immensi tesori! Fonte le cui acque mai non vengono meno. O Signore, che
con tutti sei benefico, e in tutte le opere tue hanno luogo le tue misericordie108, oh quanto buona
cosa è per noi lo starcene vicino a Te! Mentre sappiamo che Dio è tutto misericordia, di che
temeremo noi? Mentre è tutto impiegato in usarci misericordia, quali e quanti beni non dobbiamo
sperare? Il modo che tiene l'uomo nell'usare misericordia con altri, non può paragonarsi a quello che
adopera Iddio con noi. Ha compassione veramente l'uomo, ma mentre compatisce i bisognosi, non
sempre li provvede, poiché non sempre ha che dare ai poveri, né sempre può fare ad altri quel bene
che pure bramerebbe di fare. Ma Voi, o Dio nostro, essendo insieme misericordioso ed onnipotente,
quel bene, che come misericordioso ci desiderate, come onnipotente ce lo fate.
Ma per sempre più rallegrarci, osserviamo che la causa di questo compatire e soccorrere che fa
Iddio, non è in Lui come si dicesse una passione o qualità estrinseca, che talora si trova negli
uomini, ed altre volte no, ma è propria sua essenza e la stessa Deità, appunto come lo chiamava
Davide; Dio mio, misericordia mia109. Perché siccome Dio è carità, così è anche misericordia, e
come ci amò con amore eccessivo, perciò anche ci compatisce e sovviene con eccessiva
misericordia; e siccome Iddio è sempre Dio ed in ogni luogo, così è anche sempre ed in ogni
incontro carità e misericordia. Laonde non per occasione presa da noi, né come mosso da noi, ma
spontaneamente ab intrinseco, e per propria inclinazione, abbondanti a noi manda le acque delle sue
miserazioni; le manda il mattino per tempo prevenendoci e muovendoci al bene; le manda sul
mezzogiorno; le manda la sera; le manda ogni giorno, ogni momento ed in ogni luogo110.
Asc,9006a:T10,2
111
Epperò abbiamo sempre un titolo da presentare a questo vero Padre delle misericordie , per
umilmente supplicarlo ad usarcele. Basta offrirgli per prezzo la nostra miseria, le nostre necessità, le
nostre suppliche, perché ne abbia tosto compassione e ci soccorra; non supponendosi in quegli, cui
si concede a titolo di misericordia, altro merito fuorché la sua necessità e miseria; onde quel che si
dà per misericordia si dà gratis, senza contraccambio di sorta, altrimenti non sarebbe misericordia;
anzi, la disposizione che in noi si ricerca per ottenerla, altra non è che il volere da vero, che questo
misericordioso medico ci risani di tutte le nostre infermità. Infatti ci dice Egli medesimo nel
Vangelo112: “Vuoi tu essere fatto sano? Che vuoi che io ti faccia?” Come se dicesse: “La mia
misericordia è già apparecchiata e pronta, altro non manca che il tuo consenso a riceverla”. Ora
quale sarà quel povero tanto miserabile che non voglia misericordia e neanche si degni di
esclamare: “Misericordia, o Signore, misericordia113”?
O gran tesoro della veneranda bontà di Dio, che sebbene infinito, pure può acquistarsi soltanto con
gridare di cuore: Abbi pietà di me!
Né per piegarvi, o Signore, ad usarcela, abbiamo bisogno di molta eloquenza o di sottili e dotti
argomenti: imperciocché Voi avete posto le vostre misericordie, i vostri doni, le vostre ricchezze in
mano di chi le vuole e le domanda, sicché ognuno può averne quanto ne desidera e ne ricerca. La
stessa sete è il prezzo con cui si compra quest'acqua celeste. Sentiamo infatti che Egli ne dice114:
“Sitibondi, venite tutti alle acque; e voi che non avete argento, fate presto, comprate e mangiate:
venite, comprate senza argento e senz'altra permuta vino e latte”.
Asc,9006a:T10,3
Anzi, per tale modo bramate, o Signore, di usarci misericordia che ci prevenite, offrendocela prima
ancora che la domandiamo115. Deh dolcissimo Padre delle misericordie, quante cortesie e quante
grazie, perché rimosso l'impedimento della nostra ostinatezza, possiate tutta soddisfare
l'inclinazione amorosa di usarci misericordia116? Poiché solo che ci pieghiamo a desiderarla, dessa è
così pronta al nostro bene, che fra il domandarla e l'ottenerla, non corre tempo di sorta. Vogliamo
essere fatti sani? Domandiamo, e subito lo saremo. Vogliamo essere mondati117? Domandiamo, e
tosto mondi saremo. Desideriamo Iddio di tutto cuore? Domandiamo, e già ne siamo in possesso;
poiché il desiderio suppone l'amore; né potremmo amare Dio senza possederlo. Insomma non dopo
aver gridato a Dio, ma nello stesso punto che stiamo domandando, Egli pure sta concedendo quel
che domandiamo: non aspetta dopo la tribolazione a darci conforto, ma nel tempo stesso che siamo
tribolati118.
Di che temiamo dunque noi tuttavia? Forse la moltitudine o la gravezza o la bruttura dei nostri
peccati? Eh! Facciamo cuore: per molti e gravi che siano, ancorché moltiplicati ogni giorno a mille
volte più di quanti se ne siano commessi, o per commettersi sino alla fine del mondo, sono tuttavia
limitati, epperciò saranno sempre di numero infinitamente minore di quanto sia la misericordia del
nostro buon Dio, perché è infinita, ed Egli è eccessivamente propenso ad usarcela, ed a perdonarci
non già per meriti che trovi in noi, ma perché in se stesso è benigno, misericordioso e tutto bontà119.
Asc,9006a:T10,4
Né solo perdonate…
Né solo perdonate, o Signore, ma dimenticate affatto i peccati rimessi120, e versate con tutta
profusione ed abbondanza sopra di noi i vostri beni e le vostre grazie come se non vi avessimo
offeso mai121, e donate assai più che non oseremmo domandare: infatti quel servo debitore tremando
vi chiese un poco di dilazione al pagamento, e Voi gli accordaste il condono totale del debito122;
chiese a somma grazia di essere accettato quale servo in casa vostra il prodigo, e Voi gli donaste
l'anello della predilezione123; vi pregò soltanto di avere di lui memoria il buon ladrone, e Voi gli
prometteste il Paradiso nello stesso giorno124. Che più? Voi, o Signore, vi ci protestate obbligato, se
accettiamo i vostri medesimi doni125.
Il vostro amore è il solo e vero che non ha bisogno d'essere mosso da altri per amare, essendo Egli
causa ed origine a se stesso di amare e favorire altrui. Dio ama e fa del bene perché vuole: però
siccome questo divino amore è infinito, così con modo infinito inclina ad amare e comunicarsi ad
altri.
Asc,9006a:T10,5
Ma come potrà questo divino amore comunicarsi infinitamente fuori di sé? Essendo ciò impossibile,
è necessario assegnare un termine alla comunicazione, che di se stesso fa Iddio attualmente alle sue
creature, ed infatti ha il suo limite.
Ma chi potrà mai assegnare misura, modo e confine a quella propensione e brama, che l'amoroso
nostro Dio ha di comunicare a noi se medesimo? Unica e singolare, o Signore, è quella eterna ed
intima comunicazione che sazia di tutti i beni i desideri nostri, quella cioè, di cui pascete nelle
delizie vostre Voi stesso di Voi; mentre dal Padre al Figlio, e dal Padre e Figlio allo Spirito Santo si
comunica l'essenza stessa, la medesima sostanza, divinità, amore e bontà; e questa comunicazione
ad intra è veramente unica ed infinita; ma quella che esce da Voi fuori di Voi, sebbene grande e
molteplice, è però limitata. Essendo infinita la propensione e tendenza vostra a fare del bene ed
usare misericordia alle creature, può venire meno in noi la sete di queste acque divine, ma non mai
in Voi, Dio nostro amantissimo, potrà mancare la brama di darcela, ed è perciò che di continuo ci
invitate dicendo: “Chiunque ha sete, venga a bere126”.
Se pertanto ci trovassimo da ogni parte attorniati da mille sciagure, né sapessimo a quale partito
appligliarci, alziamo gli occhi al nostro Dio, invochiamolo col Reale Profeta ed infallibilmente
saremo liberati dai nostri nemici127, imperocché non solo Egli è Padre delle misericordie e Dio di
tutta consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione, quando a Lui facciamo ricorso128.
Cantiamo dunque, ed in eterno da noi si esalti la divina misericordia, che non permise la nostra
rovina, né mai lasciò di venirci in sollievo ed aiuto129.
Asc,9006a:T11
Tesoro XI. Il cuore di Gesù pronto a sostenere per la nostra salute più
di quanto abbia già sofferto e patito
Asc,9006a:T11,1
Molte, anzi innumerabili sono le grazie e misericordie, che ci avete compartite, o Gesù, ma in verità
non sappiamo comprendere, e l'intelletto nostro resta sopraffatto dal pensare se abbiamo ad esservi
più obbligati per le meravigliose cose, che già operaste in beneficio dell'anima nostra, oppure per
quelle maggiori e più stupende, che sareste pronto a compiere e soffrire, se fosse necessario per la
nostra salute.
Che se volessimo indagare per quale modo possiamo essere certi di questa volontà di Gesù in fare e
patire di nuovo per il nostro bene, quanto già fece e patì, gli faremmo gravissimo torto, poiché tale
cosa si può temere e porre in dubbio di un uomo mutabile, che può cessare d'essere buono e
misericordioso; ma non di Gesù, Uomo e Dio, il quale per conseguenza è sempre lo stesso in ogni
tempo ed in eterno130.
Anzi, non solo il Figliuolo di Dio, ma il Padre stesso e lo Spirito Santo ci amano con sì svicerato
amore, e per tale modo vogliono la nostra salute, che ciascuna di queste persone divine per quella
stessa ed indivisa carità, onde sono unite, sarebbe disposta ed apparecchiata a vestirsi di carne
mortale e sopportare quelle stesse pene e miserie cui si soggettò la divina persona del Figlio.
E ben Voi medesimo, o Gesù, ne palesaste chiaramente questa volontà, allorquando Pietro, vostro
vicario, fuggendo di Roma, e dalla morte, vi faceste a lui vedere carico di Croce, dicendo che
andavate di nuovo a morire per lui.
Lo stesso ci deste a conoscere allorché, al beato Carpo che tutto si mostrava sdegnoso contro alcuni
peccatori, che non volevano tornare a penitenza: al vederli vicini ad una voragine, desiderando egli
che fossero inghiottiti e divorati dalle fiamme che ne uscivano, Voi, tutto pietà ed amore, diceste:
“Me stesso ferisci piuttosto, o Carpo, mercecché sono apparecchiato a sopportare di nuovo morte
crudele per la salute degli uomini, e mi è cosa gratissima che siano aiutati a desistere dalla colpa”.
Asc,9006a:T11,2
Oh! Se avessimo a questo mondo un Re, il quale, per mostrarci il suo amore, si dichiarasse pronto
non solo a concederci ogni grazia, ma spargere continuamente il proprio sangue, e dare la vita per
nostro bene, quante ricchezze, in pochi giorni raduneremmo? Non ci parrebbe forse d'avere in mano
nostra lo stesso regno?
Ed ora chi potrà darsi a credere che l'amorosissimo Gesù sia per negarci le grazie, e l'aiuto suo,
mentre, per amore e salute nostra, già sparse, e sarebbe ancora prontissimo a spargere di nuovo il
suo sangue?
Se dunque avessimo non solo sette volte131, ma settanta volte sette dissipate con i nostri peccati le
ricchezze e le grazie ricevute, perché non ricorriamo prestamente ai piedi del nostro amabilissimo
Gesù? Non sono già venute meno le sue infinite ricchezze, né si è cangiata la buona volontà di
questo nostro mallevadore; anzi, in qualunque momento ci pentiamo di cuore, subito in Lui, e per
mezzo di Lui ritroveremo tutti i tesori per nostra colpa perduti132; anzi, ci saranno restituiti, con
grande guadagno133, se, come ragione vuole, lo ameremo più che non per l'addietro134.
O Sangue di Gesù, divenuto sangue nostro, e prezzo sovrabbondante e continuo della nostra salute,
che sempre te ne stai raccolto in quel Sacro Cuore, e piegato ai nostri bisogni!
O Sangue, sparso per noi una volta, e sempre pronto ad essere sparso! Dio ti salvi, o Santa Croce da
Gesù nostro Maestro anche al presente tanto amata135, deh fa, te ne preghiamo, che per te ci riceva
chi in te, quella sola volta morendo, ci ha sovrabbondantemente redenti per sempre136.
Asc,9006a:T12
Tesoro XII. Dio nostro padre
Asc,9006a:T12,1
L'Abisso chiama l'abisso137, ed un tesoro ci scopre un altro tesoro nella grande sovrabbondanza delle
misericordie di Dio.
Il Padre ci fa vedere le sue ricchezze nel Figlio, ed il Figlio nel Padre. Questi ci insegna a chiamare
l'eterno Genitore suo col dolce nome di Padre nostro138. O voce consolatissima! Voce più dolce e
soave d'ogni altra voce, voce ripiena di dolcezza e d'amore, di festa e di allegrezza, voce che in sé
racchiude la nostra vita, la nostra salute, la nostra gloria, voce che ci è arra di tutti i beni,
contrassegno di pace e di amicizia, principio dell'eternità ed assaggio dolcissimo della divinità! Dio
è nostro padre! Quale nobiltà, quale grandezza, quale eccellenza può immaginarsi maggiore di
questa?
Dio è nostro padre! Quale patrimonio più dovizioso, quale eredità più ampia possiamo noi
possedere od aspettarci? Dio è nostro padre! Quale cura di noi più tenera, quale carità più grande,
quale amore più ardente possiamo noi desiderarci? Anzi, se crediamo, come è verità di fede, che il
nostro padre è Dio in Cielo, dobbiamo anche credere in conseguenza che noi siamo Dei e figliuoli
tutti dell'Altissimo139.
Quale povertà e miseria potrà pertanto temere in terra colui che tiene in Cielo un Dio onnipotente,
che può e deve chiamare ed avere per Padre?
Ma e come potrebbe l'uomo, creatura tanto vile, abietta e spregevole, persuadersi d'avere per padre
lo stesso Dio? Quale congiunzione di sangue, quale somiglianza, od uguaglianza, non deve passare
tra il Padre ed il Figlio, come dunque potrà combinarsi insieme Dio e l'uomo? Quale distanza, quale
disparità maggiore può immaginarsi di questa? Dio è lo stesso essere: l'uomo un niente. Dio è
immenso, eterno, perfettissimo, beato: l'uomo, fango e cenere, concepito in peccato, nato agli stenti,
cresciuto alle miserie, inchinato ad ogni malvagità, soggetto alla morte.
Asc,9006a:T12,2
Così è infatti, né mai, parlando umanamente, avrebbe potuto l'uomo persuadersi di questa verità
consolante, che Dio è suo padre, se Egli medesimo non gliela avesse scoperta e tutta la Ss. Trinità
non gliene avesse fatta autentica testimonianza.
Infatti, l'Eterno Padre chiama il figlio di Maria vero Dio e vero Uomo, Figliuolo suo proprio
amatissimo140. Il Figlio poi, non solo ci consiglia, ma ci comanda, quando vogliamo fare orazione,
di trattare con Dio come col nostro vero Padre141. Finalmente S. Paolo ci insegna che lo Spirito
Santo fa fede al nostro spirito, che noi siamo figliuoli di Dio142.
Vedete pertanto, dice S. Giovanni quale grande carità ha usata verso di noi il Padre: Egli vuole che,
non solo abbiamo l'onore di portare il nome di figliuoli di Dio, ma che in effetto siamo tali143.
Ed in vero, dappoiché venuta la pienezza dei tempi fummo promossi a tanta dignità, non volle più,
questo nostro buon Dio e Padre, parlarci come a servi e figli di schiava per mezzo dei suoi Profeti,
sì come a figli di libera sposa, ornati di ogni decoro e nobiltà, volle parlarci per bocca dello stesso
divino suo Figlio144.
Allora cominciò, questo Signore, a visitarci in persona, trattenersi e fare le sue delizie con noi145;
allora ci fece veramente vedere che ci è Padre amorosissimo, e comandò che, sebbene ci
conoscessimo vili ed abietti, ci accostassimo nulladimeno a Lui senza timore, anzi con confidenza
di veri figli, poiché, come vero nostro Padre, già si era compiaciuto di costituirci eredi del celeste
suo Regno146.
Di qui ebbero origine quelle voci, che ci promettono l'abbondanza di tutti i beni, in grazia appunto
di questo nome dolcissimo di padre. Quindi, quel persuaderci che fa di non essere troppo
affannosamente solleciti per il vitto e per il vestito, perché sa molto bene, dice Egli, il vostro Padre
celeste, che avete bisogno di tutto questo147: “Gettate lo sguardo sopra gli uccelli dell'aria, i quali
non seminano, né mietono, né empiono granai; e il vostro Padre celeste li pasce. Non siete voi assai
più di essi148?”.
Asc,9006a:T12,3
Tanto gli sta a cuore…
Insomma, tanto gli sta a cuore che lo riconosciamo per padre, che giunge a protestarci di essere Egli
solo degno di questo nome, sì che in paragone di Lui non v'ha chi meriti di venire così nominato149,
perché, per quanto grande e tenero possa essere l'amore dei genitori nostri terreni, scompare al
paragone dell'infinito amore suo verso di noi.
Infatti, i padri terreni mancano soventi volte alla cura che debbono avere dei figli loro, o per
povertà, o per malizia, o per trascurataggine, o per essere i figli stessi cattivi e discoli, o per altri
simili accidenti. Ma non così il Padre nostro celeste, il quale è sempre ricco e potente, sempre ci
ama, è sempre buono, savio e talmente provvido, che, nelle disposizioni, mai non s'inganna, o viene
meno150. Egli è che ci dà l'essere ed il ben essere: Egli che ci fece figliuoli di Dio, e tutti i beni che
competono a tale e tanta figliazione, liberalmente ci diede.
Che, se avendo eletto Maria per madre sua, la adornò insieme di tutte quelle prerogative e grazie,
che all'altissima sua dignità convenivano, avendo eletto noi in figli suoi, come non ci darà anche
tutte quelle grazie e requisiti, che a sì nobile grado appartengono?
Oh quanto onore, e quali ricchezze ci stanno sin d'ora preparate! Onore che ci rende in certo modo
superiore agli Angeli, poiché a nessuno di loro disse Iddio: “Tu sei mio figlio”; anzi, tutti sono suoi
servi, ed essi, ammirando in noi questa speciale eccellenza della figliazione di Dio, molto
prontamente ci servono151. Anzi, quanto di bello e di buono possiede questo celeste Padre, tutto è
nostro, se vivremo nella sua obbedienza e compagnia, come ce ne assicurò nella persona del padre
del figliuol prodigo, il quale disse al buono ed obbediente152: “Figlio, tu sempre sei con me, e tutto
ciò che è mio è pure tuo”. E veramente, quale bene potrebbe mancare ai figli dove i servi medesimi
vivono nell'abbondanza153?
Asc,9006a:T12,4
Quanto buona e gioconda cosa è dunque per noi l'abitare uniti con questo celeste Padre, il quale ci
considera come cosa sola con Lui, e ne dice: “Chi tocca voi, tocca la pupilla dell'occhio mio154; chi
vi disprezza, disprezza me155, ed io stesso prenderò la vostra difesa”. Insomma, se minacciati da
pericoli, ci protegge156; se cadiamo per via, ci sostenta colla sua mano157; se ci viene data la spinta
per farci cadere, ci sta al fianco per sostenerci e, con siffatta cura amorosa, veglia a nostro bene,
che, non solo non permette ci sia fatto in pezzi osso alcuno158, ma neppure un capello del nostro
capo perisca159.
E quale madre o nutrice, si prende cotanta amorosa provvidenza dei figli suoi? Egli ci dà quanto gli
domandiamo, o se ce lo nega, è solo perché non ci torna a vantaggio, di modo che, sebbene non
sempre si pieghi ai nostri desideri, ci esaudisce però sempre secondo la nostra necessità o vero
vantaggio.
Questa sola cosa dunque ci stia a cuore, di non separarci giammai dal nostro amoroso Padre, e
riponiamo ogni nostro bene nell'osservanza esatta dei suoi santi comandamenti. Che se per disgrazia
abbiamo peccato, non disperiamo, sì ci sovvenga della bontà eccessiva di questo padre, il quale non
sdegnò di chiamare suo figlio anche colui che aveva divorato il suo patrimonio con gente di mala
vita e pessime compagnie160.
E malgrado fossimo rei di innumerevoli peccati, ascoltiamo le voci sue amorose, colle quali ci
invita e chiama a sé, e quasi ci prega di ritornare a Lui col pentimento161: “Ed almeno, ora, dice Egli,
chiamami Padre, perché subito si muoveranno a compassione di te le mie viscere amorose,
sentendomi chiamare con tale voce dai figli miei”!
Infatti appena udito un tale nome dal ravveduto suo figlio, con quanta tenerezza e gaudio gli si gettò
al collo! Come lo baciò teneramente, lo rivestì delle migliori vesti, fece ammazzare il vitello più
pingue. Quanta festa insomma perché questo figlio morto per la colpa, era risuscitato per il
pentimento, e perduto, lo aveva ritrovato162.
Asc,9006a:T13
Tesoro XIII. Gesù nostro fratello
Asc,9006a:T13,1
Se mai nei suoi occulti giudizi il Padre nostro celeste mandasse qualche carestia sopra la terra163, sì
che in tutti gli accennati tesori non trovassimo di che arricchirci, ricordiamoci di Gesù nostro vero
fratello, il quale è vero Re, ed assai meglio che Giuseppe in Egitto, ha dominio assoluto in tutta
l'immensa, felicissima terra della celeste Gerusalemme. Quivi possiede Egli numerosi granai, e tutti
ben forniti e ricolmi, appunto per soccorrere i suoi fratelli nel tempo di sterilità e carestia. Questi è
veramente nostro fratello, anzi primogenito tra molti fratelli164, più amato dal Padre di quanto lo
fosse Giuseppe da Giacobbe.
Fratello che ama noi suoi fratelli, assai più che non Giuseppe i suoi. Fratello da noi troppo
scortesemente ricevuto, trattato in modo più aspro e crudele, afflitto ed umiliato assai più che
Giuseppe dai suoi: ma non meno di Giuseppe mandato in questo mondo a sopportare mali
trattamenti per la salute di noi, suoi fratelli165.
Epperciò, siccome Giuseppe ancorché si trovasse in tanta gloria, non si scordò del nome ed affetto
di fratello, e tenerissimamente abbracciandoli, esclamò: “Io sono quel vostro fratello che avete
venduto166”; così appunto Gesù Cristo dopo la sua risurrezione gloriosa non si scordò del suo nome
di fratello, “E andate, disse a Maria Maddalena ed alle altre pietose donne167, andate ad annunziare
ai miei fratelli il mio risorgimento”; anzi, non volle rammentare le ingratitudini sofferte, acciocché
non temessero di accostarsi a Lui come a fratello.
O Signore, come potrà essere che mercè questa sì stretta parentela che a Voi ci lega, noi siamo
molto ben provveduti in terra ed in Cielo? Prima che Giuseppe si desse a conoscere ai suoi fratelli,
potè licenziarli da sé senza onore, trattarli da spie, da ladri; travagliarli ed affiggerli con parole aspre
e minacciose: ma doppoiché si manifestò per fratello, subito si riempì di giubilo e d'allegrezza tutta
la regia Corte, furono loro fatte onorevoli accoglienze, grandi promesse, ed offerto il bello ed il
buono di Egitto168.
Asc,9006a:T13,2
Ora, se è vero come è verissimo, secondo che dice l'Apostolo169, tutte queste cose essere state figura
di quanto doveva passare tra Gesù e noi fratelli suoi, quanto lieti dobbiamo vivere, quanti beni e
tesori sperare da Gesù Re, il quale ci ha onorati del titolo di suoi fratelli, non solo innanzi agli
Angeli ed agli uomini, ma anche innanzi a Dio? Imperciocché Egli, il Re nostro fratello, non dà
titoli vuoti ed inutili, o parole senza sostanza, come il mondo usa fare: ma dandoci il titolo, ci fa veri
fratelli suoi e ci investe, anzi mette al possesso di tutti i beni, onori e ragioni dovute ad un vero
fratello.
Che se Voi stesso, o caro Gesù, diceste per bocca del vostro diletto discepolo, che chi possederà
ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in povertà senza compassione alcuna gli
negherà il necessario soccorso, non ha in sé la carità di Dio170; come sarà possibile che Voi, il quale
siete la stessa carità171, e non solo avete in vostro potere tutte le ricchezze di questo mondo, ma siete
la fonte stessa d'ogni bene, come sarà possibile che, vedendo noi vostri fratelli, posti in cotanto
gravi miserie, possiate non sentire di noi compassione, e lasciarci senza soccorso, mentre ci state
mostrando anche al presente, quelle sanguinose piaghe per nostro amore sofferte?
Fate pertanto, o buon Gesù, con noi ciò che fece Booz con Ruth; stendete il vostro mantello, e con
esso copriteci come con lo scudo di vostra protezione, ed ammetteteci a partecipare delle vostre
virtù, donandoci gli ornamenti della grazia e santità. Che se mai per sventura, negligenza o malizia
dessimo campo al Demonio nostro nemico di ferirci, predarci e spogliarci di questo mantello
celeste, subito ad alta voce domanderemo soccorso a Voi, nostro fratello, pregandovi di recuperarci
da codesto comune nemico le spoglie vostre; e siamo pur certi che lo farete, poiché comandandoci
Voi che, se ci venga veduto un povero nudo lo copriamo172, né essendo carne nostra, lo
disprezziamo, vedendoci voi nudi, non mancherete di ricoprire noi, vostri fratelli e carne vostra,
poiché l'amore di fratello si fa vedere specialmente nelle angustie degli altri fratelli.
Asc,9006a:T13,3
O buon Gesù, ve ne prego, fate che piuttosto muoiamo che abbandonarvi; poiché dove mai, lungi da
Voi, saremmo per capitare? Non siano tra noi contese; che, se talvolta vi offendessimo, ciò che mai
non vorremmo, correggeteci tra Voi solo e noi, acciocché così guadagniate in noi i vostri fratelli con
la correzione fraterna173.
E giacché pure i morti174 odono la vostra voce e risuscitano, fate che anche noi, benché fossimo
morti alla vostra grazia, udiamo tuttavia la voce vostra e risorgiamo col pentimento.
Saremo forse in peggiore condizione dei morti stessi? E dato anche fossimo ridotti al nulla, non
siete Voi da tanto da fare sentire la vostra voce a quelle cose, che non sono con la stessa facilità che
a quelle che sono175?
Essendo pertanto il fratello aiutato dal fratello, come una forte città176, osservate con noi, ve ne
preghiamo, le leggi di buona fratellanza, coll'aiutarci nei nostri bisogni, e non avremo da temere di
alcun male, essendo Voi un fratello onnipotente.
Ma quale dubbio che non siate per aiutarci, essendo Voi un fratello che, a compatire alle nostre
miserie, volle essere tentato in tutto, tolto il peccato177, e ciò appunto per averne compassione e
benigno sopportare le nostre mancanze? Che se il contrassegno datoci da Voi medesimo per essere
conosciuti veri vostri fratelli, è fare la volontà del Padre vostro celeste178, quale cosa possiamo noi
desiderare che ci sia più facile, più gioconda, o necessaria alla salvezza eterna, poiché la sola divina
volontà può e vuole farci giungere all'eterno Regno celeste?
Oh quale tesoro dunque per noi l'avere padre e fratello nostro, Gesù, vero Dio e vero uomo!
Asc,9006a:T14
Tesoro XIV. Gesù nostro amico
Asc,9006a:T14,1
Signore, noi confessiamo che tutti i vostri nomi sono come olio sparso sopra di noi179; ma quando
sentiamo dirci: Gesù è nostro amico, tale è la soavità e dolcezza di questo nome, che se ne strugge e
viene meno la povera anima nostra.
O nome amabilissimo! Gesù è dunque il nostro diletto e noi i suoi cari180!
Che, se un vero amico è migliore di un fratello181, e nella sua fedeltà si possiede un tesoro così
prezioso da non trovarsi ricchezza che gli si possa paragonare182; deh! amico nostro Gesù, sì buono
con chi vi cerca di cuore e con fiducia, non sdegnate che nella semplicità del nostro cuore183,
trattiamo con Voi con la famigliarità propria dell'amicizia, e domandiamo delle vostre amabili doti
ai santi Profeti ed Evangelisti che ci parlano di Voi, affinché possiamo formarci una qualche idea
del gran tesoro che nell'amicizia vostra possediamo.
Quanto ci consolano essi col dirci che siete l'eletto fra mille, il più bello fra tutti i figliuoli degli
uomini, dotato della più profonda sapienza184, e nel tempo stesso il più mansueto ed affabile nelle
maniere185, che più dolci del miele sono gli accenti vostri186, che la grazia è diffusa sulle vostre
labbra divine, da cui escono parole di vita eterna187; ci dicono che mai non si udì alcuno parlare
tanto bene188, che chiunque avesse la bella sorte di sentirvi ragionare, ne rimaneva tanto dolcemente
attirato, che si scordava d'ogni cosa, anche del cibo189 e dappertutto vi seguitava, senza potersi
staccare da Voi, per modo che non vi lasciavano pure tempo per riposare e reficiarvi190.
Asc,9006a:T14,2
E come, o Gesù caro, come avrebbero potuto non seguirvi con la maggior premura? Scorgevano
esse le turbe assai bene che non siete già Voi come gli amici del mondo, i quali liberalissimi in
parole, si protestano ben anche di offendersi se non li obblighiamo, ma poi nelle occasioni ci si
mostrano freddi, e ne sfuggono persino l'incontro: Voi, all'opposto, invitate chiunque sia nelle
angustie ad accostarvisi per averne sollievo e soccorso, e loro tenete parola, col tutti beneficarli e
sanarli191.
Gli altri amici cercano di rompere l'amicizia, se manchino i beni che amavano nell'amico; non così
Voi, dolce amico nostro Gesù192, anzi, vi protestaste amico dei poverelli e degli afflitti, ed eleggeste
i poveri193 per vostri compagni indivisibili, ed amate di conversare con essi.
Gli amici del mondo, per poco che facciano di bene all'amico, ne menano rumore194 e pretendono
grandi obbligazioni: Voi, all'incontro, nascondete i vostri doni coll'attribuirli al merito di chi li
riceve195, come alla fede della madre Cananea, attribuiste la salute della figliuola; al cieco diceste:
“Vattene, la tua fede ti ha sanato”; e così pure al lebbroso guarito; anzi, imponete silenzio a chi,
ricolmo dei vostri benefici, vorrebbe palesarli alle genti.
Se gli amici furono sovvenuti nei loro bisogni, cambiata in meglio la fortuna, sdegnano l'incontro ed
hanno vergogna di vedere chi li soccorre. Voi all'opposto nel dì del giudizio, nella vostra maestà e
gloria, farete sentire a suono di tromba a tutto l'universo la carità usatavi da noi nella persona dei
vostri poveri196.
Né vi è luogo a meraviglia di tanta vostra bontà, mentre il prediletto discepolo ci assicura che siete
ripieno di tanta grazia, e con tale sovrabbondanza che da Voi, come da immenso mare, tutti in noi si
diramano i beni e doni che riceviamo197; anzi ci dice che la gloria vostra è sì grande, che non si può
spiegare, se non col dire che è quale si conviene all'Unigenito del divino Padre198.
Asc,9006a:T14,3
Infatti, se la bellezza…
Infatti, se la bellezza di un'anima separata dalla materia, anche nello stato puramente naturale, è
superiore a tutte le bellezze corporee; e la bellezza dell'inferiore tra gli Angeli supera quella di tutte
le anime ragionevoli, come la bellezza di queste sopravanza quella dei corpi; che potrà dirsi della
bellezza di un'anima ornata delle virtù sovrannaturali e della grazia, mentre la bellezza
d'innumerabili mondi non la potrebbe uguagliare?
Oh Dio! In quale abisso di ricchezze penetriamo noi! Un bambino con la sola grazia del battesimo
possiede un tesoro così prezioso, che supera senza alcun paragone, quanto vi è di bellezza e
perfezioni in tutto l'ordine naturale, sì umano che angelico; di modo che S. Michele, anzi, gli Angeli
benché innumerabili nell'ordine naturale, tutti uniti sarebbero assai meno belli ed amabili del
bambino ornato della grazia.
Di più, un'anima glorificata è tanto superiore a tutte le bellezze di natura e di grazia, che sorpassa
ogni pensiero, ed attesa la bellezza sua inesplicabile, crederemmo di vedere in lei un Dio. Chi
potrebbe pertanto formarsi una qualche idea della quasi infinita bellezza di tutte le anime beate, e
degli innumerabili Angeli di ciascun coro e gerarchia, nell'ordine della grazia e della gloria?
Anzi, quale sarà la prodigiosa bellezza di Maria Santissima, la quale da sé sola sopravanza quella di
tutti gli uomini e di tutti gli Angeli uniti, come tutti li supera in grandezza ed in merito?
Eppure tutta l'incomprensibile beltà che sarebbe per risultarne dal complesso della bellezza e gloria
di tutti i Beati, di tutti gli Angeli e della medesima Regina del Cielo, la gran Madre di Dio, non ha
paragone con quella dell'amico nostro Gesù, il quale possiede tutti i tesori di natura, di grazia e di
gloria in tutta la pienezza e perfezione insomma, quale si conviene all'Unigenito del divino Padre.
Asc,9006a:T14,4
E poiché abbiamo scoperta una così ricca miniera nelle incomparabili doti dell'amico nostro Gesù in
quanto uomo, penetriamo più addentro nelle sue grandezze divine, perché conoscendo ognora più la
preziosità di questo tesoro, lo apprezziamo e ci infiammiamo maggiormente dell'amore di Lui.
Sebbene chi potrà concepirne anche solo una idea, non che spiegare, o Gesù, le infinite vostre
divine perfezioni!
I Ss. Padri, dalle parole da Voi dette a Mosè: “Io sono quegli che sono199”; ne ricavano altissimi
pensieri, dicendo: che siete un essere infinitamente perfetto, che esistete necessariamente eterno,
senza dipendenza alcuna da qualunque essere creato; che tutto deve a Voi l'esistenza, e da Voi
necessariamente dipende, e non potrebbe esistere, né conservarsi senza di Voi; ci dicono che siete la
bellezza infinita, lo stesso bene per essenza, senza ricevere dalle creature alcun bene; che siete la
bontà di tutto il buono, la sorgente di ogni bene, sì che contenete tutte le perfezioni, e ciascuna di
esse è in Voi infinita, senza confusione, senza accrescimento o diminuzione; ci dicono che siete
infinito nella vostra grandezza, incomprensibile nella vostra sapienza, infallibile nelle vostre
promesse, onnipotente, santissimo nelle vostre operazioni, di modo che, in terra ed in Cielo,
risplende la vostra gloria200. Tuttavia, essi, i Santi Padri, nel parlare di Voi e delle vostre perfezioni
si riconoscono con Geremia quasi fanciulli, che ancora non sanno né possono articolare parola201.
S. Paolo stesso ci assicura che vide e udì cose cotanto meravigliose e superiori ad ogni mente
umana, che non è possibile esprimerle con parole202.
E per verità che ci potranno mai dire di Voi gli uomini più grandi ed illuminati, se i Serafini stessi
che assistono continuamente al Trono dell'infinita vostra Maestà, sopraffatti da tanta gloria si
velano per rispetto con le ali la faccia203, tremano riverenti al vostro divino cospetto, ed attoniti a
tanta grandezza e maestà, esclamano con Davide: “Chi sarà simile a Dio, poiché Voi siete il Signore
e Dio di tutti gli Dei204”?
Asc,9006a:T14,5
Sì, potrebbe l'infinita vostra potenza e sapienza creare altrettante migliaia di milioni di Angeli,
quanti atomi può capire l'immenso spazio dei Cieli, tanto più belli quanto incalcolabile è il loro
numero, e tuttavia non si arriverebbe ad ottenere una qualunque minima proporzione coll'infinita
bellezza vostra, da cui emana tutta e qualunque vi sia bellezza da crearsi non che creata. Oh
bellezza ineffabile di Dio che vuole degnarsi di essere l'amico nostro! O Gesù dolcissimo, se una
scintilla, un'ombra di fugace bellezza veduta in qualche creatura ci porta, e quasi trascina con tanta
forza ad amarla, chi potrà non amare Voi, amico nostro Gesù, che siete bellezza increata, perfetta,
immutabile, infinita ed eterna?
Asc,9006a:T14,6
Che se ognuno…
Che se ognuno si sarebbe chiamato felice di avere per amico un Alessandro, innanzi a cui muto si
stette l'universo intero205: se la regina [di] Saba stimava felici, anzi invidiava la sorte non dico degli
amici sì dei servi di Salomone per la meravigliosa di lui sapienza, per l'ordine e splendore della sua
reggia206; quanto più dobbiamo stimarci felici e beati nell'avere per amico Voi, o Gesù, non essendo
tutte queste grandezze, magnificenze e ricchezze, neppure un'ombra della potenza, sapienza e
maestà vostra infinita! Infatti, Voi avete per sgabello dei piedi la luna e le stelle, anzi il Cielo dei
Cieli207: Voi siete quel solo che potete dire d'essere vero Signore e Padrone dell'universo, perché
siete quel solo che di nessuno ha bisogno208, mentre tutti lo hanno di Voi per essere e conservarsi, di
modo che le creature tutte, ed i medesimi regnanti, debbono chiedervi il pane di ogni giorno.
E mentre i re della terra, uniti ai più grandi ingegni del mondo, con tutto lo sforzo del loro potere e
studio, neanche in milioni di secoli potrebbero trarre dal nulla un granello d'arena, e tanto meno un
filo d'erba od un benché vilissimo insetto, Voi, con un semplice atto di volontà209, senza bisogno
d'aiuto o di strumenti produceste dal nulla quante vi sono in Cielo ed in terra innumerabili e
meravigliose creature; e potreste in un istante annientarle, come pure creare migliaia d'altri mondi,
senza che alcuno possa resistere al volere vostro santissimo210.
Insomma, tutti gli uomini ed Angeli, tutto il creato e creabile esistente e possibile, sono un nulla al
vostro cospetto, e debbono recarsi ad infinito onore l'essere ammessi a servirvi ed obbedire ai cenni
vostri.
Asc,9006a:T14,7
Compatiteci però, o Signore, se, attesa l'infinita vostra grandezza, ci assale il timore che sia troppa
temerità il solo immaginarci, che vogliate degnare d'uno sguardo benigno211 la nostra bassezza e
miseria, non che ammetterci alla vostra amicizia, epperciò perdonateci se, per nostro conforto,
desideriamo sapere se pari alla ricchezza e potenza vostra, sia pure la bontà, poiché a nulla ci
gioverebbe il poterci Voi aiutare, se come avviene degli amici del mondo, foste liberalissimo in
parole, ma non ci aveste compassione nelle occorrenze.
Ah perdono, o caro Gesù! Le prove che abbiamo della vostra bontà, non ci lasciano dubbio del
parziale amore col quale mirate noi poverelli per arricchirci di ogni bene212.
E primieramente, non è un tratto di grande bontà, o amico nostro divino, quello di aver creato a
posta, per nostra abitazione, un sì bel mondo, sì vasto, ricco e adorno213?
E quel dichiarare che, in certo modo, vi divertiste nel dare l'esistenza alle diverse innumerevoli
creature destinate a nostro uso e servizio214? E quella cura che aveste di renderle perfette nel loro
genere215; anzi, il crearci Voi stesso come di propria mano216, a preferenza delle altre creature, le
quali, benché eccellenti come il Cielo e gli astri più luminosi e grandi, tuttavia traeste dal nulla, col
solo vostro comando217; non furono forse queste tutte splendide prove d'amore?
Anzi, mentre comandaste agli elementi di produrre le erbe e le altre cose218, che dovevano servire a
beneficio nostro, voleste poi Voi medesimo, per tratto di speciale bontà, piantarci come di propria
mano un giardino di delizie, acciocché vivessimo nella più felice abbondanza di ogni bene219.
Che se è proprio dell'amore cercare l'oggetto amato simile a sé, quale più certa prova potevate Voi
darcene quanto il crearci a vostra somiglianza ed immagine220, dotati nell'anima di tanta capacità ed
ampiezza, che nulla possa appagarla se non Voi bene infinito?
Asc,9006a:T14,8
Quale più tenera…
Quale più tenera della pietà usata verso il nostro progenitore Adamo, allorquando lasciatosi
ingannare dal maligno serpente, ingrato a tanti benefici, vi offese? Come affettuosa madre cui venga
detto il suo bambino essere stato ferito nel corpo, se questi temendo la sferza si nasconde affannato,
se ne esce tosto a cercarlo, ed a vece di rimbrotti, prende a medicare la ferita, e castiga prima chi
malamente lo offese, così o amico dolcissimo, quando vedeste il danno che il serpente aveva fatto al
padre nostro Adamo, e come per timore si era nascosto221, ne andaste subito in traccia, e castigando
prima il serpe maligno222, porgeste rimedio all'uomo, senza dirgli pure una parola di sdegno; solo
dappoi gli deste una salutare penitenza, piena di misericordia223; e volgeste in bene il male stesso col
promettergli un sì grande Redentore224.
Ah Gesù! Se non è questo un tratto del più soave amore, quale sarà mai? Mercecché dovevate Voi
tollerare tale affronto? Egli vi aveva rovinato con la colpa tutto il genere umano225; epperciò
meritava altrettante morti, quanti con la sua superbia ne aveva tratti a morire; e pure a vece di
cacciarlo dalla vostra presenza e confinarlo negli abissi d'inferno, Voi lo cercate, lo chiamate e lo
confortate con la promessa del futuro Liberatore, perché non disperi. Oh eccesso di singolare bontà!
Con ciò voleste pure farci intendere che, anche a noi poveri peccatori, appartiene quella voce amica
onde chiamaste Adamo, e sebbene fossimo altrettanti Lazzari fetenti226, o Giuda traditori, o poveri
privi della veste nuziale della carità, nulladimeno ci chiamate col nome d'amici, e come tali trattare
ci volete227.
Ah! Se mai vi avessimo offeso, o dolcissimo amico, fateci sentire subito questa soave parola di vita,
e non permettete che induriamo come Giuda il nostro cuore, ma invece vi tendiamo l'orecchio, vi
porgiamo la mano ed accettiamo il bacio di pace che ci offrite, rinnovando così l'amicizia col
pentimento e coll'amore.
Asc,9006a:T14,9
Sebbene pensaste Voi, o Gesù, quanto sarà per costarvi stringere amicizia con noi? Certamente non
solo non avrete vantaggio, perché nulla vi è di bene in noi, fuorché i doni vostri; ma l'amicizia
nostra all'incontro vi costerà innumerabili sacrifici.
Sì, non vi è dubbio, tutti li prevedeste, e nondimeno amico generosissimo, con fedeltà ed amore non
solo compiste, ma oltre misura superaste quanto esige il dovere della più stretta amicizia. E
primieramente se fra gli amici i beni tutti debbono essere comuni, e l'amore si conosce dai doni,
quale amico più liberale di Voi, o Gesù, che con tanto eccesso di prodigalità ci metteste a parte dei
vostri beni?
Infatti, le creature tutte ordinaste, è vero, a vostra gloria228; ma in pari tempo voleste che fossero a
nostro uso ed a noi soggette229.
Gli Angeli medesimi che assistono continuamente al Trono dell'infinita vostra Maestà, li avete
destinati alla cura di noi e custodi in tutte le vie nostre230. Anzi, neppure vi serbaste il più prezioso
pegno dell'amore vostro, la cara vostra madre, poiché a Lei ci commetteste, dicendole che ci avesse,
in vece vostra, per figli231.
Che se, fra cordiali ed intimi amici, non solo i beni sono comuni, ma pure i pensieri più occulti ed i
più profondi segreti, quale amico più intimo e più cordiale di Gesù, il quale ci manifestò non gli
occulti segreti della sua sapienza soltanto232, sì tuttavia i più nascosti misteri del Padre suo233?
Che più? Non solo ci faceste parte dei beni vostri, ma siete giunto a tanto eccesso di bontà che ci
donaste Voi stesso, e con Voi tutti gli altri beni senza alcuna riserva234.
Asc,9006a:T14,10
Oh generosità senza limiti! Se noi consideriamo la eccellenza e grandezza del dono, è veramente
infinito per ogni lato; infatti è Dio il donatore, cioè il Padre vostro, che a noi vi diede; è Dio il dono,
cioè Voi, Gesù nostro dolcissimo, è Dio l'amore, per mezzo del quale ci foste donato, cioè lo Spirito
Santo.
E siccome la ragione d'amicizia esige che non solo siano comuni tra gli amici i beni, ma ancora si
dividano le pene, le afflizioni, e si aiutino scambievolmente a portarne il peso; così volle Gesù
adempiere questo dovere penoso dell'amicizia, anzi, vestendo la nostra umana natura, volle che
fosse tra Lui e noi una comunicazione scambievole inaudita, prendendo per sé del nostro la nudità,
le abiezioni, le pene, l'esilio, la morte, appunto per comunicare a noi le sue grandezze, i godimenti,
la vita e il Regno suo eterno. Insomma, si abbassò dal Cielo alla terra per elevare noi dalla terra
fangosa al Cielo, e ci fece altrettanti Dei per partecipazione alla sua divinità, assumendo la nostra
umana natura.
Oh Dio buono! Dove si troverà chi voglia stringere amicizia a simile patto?
Ma chi siamo noi, o Signore, per essere cotanto amati ed arricchiti dei beni vostri, a costo di tanti
sacrifici e sì penosi?
Certamente non siamo che vili vermi di terra, poveri schiavi, oggetti d'orrore e di abominazione;
siamo un abisso di miseria, e tale da non poterla comprendere, come dunque siete sì compreso
d'amore per misere creature?
Asc,9006a:T14,11
E chi mai ricordò…
E chi mai ricordò Monarca sì buono, che non solo per inaudita clemenza, perdonando il perpetuo
castigo ad un suddito ribelle e traditore, ed oltre che ricolmato di benefici, ammesso alla sua
amicizia, servito a mensa di preziose vivande e delicate, eletto ministro e grande di corte, lo abbia
adottato per figlio ed erede del Regno suo medesimo? E quasi ciò non bastasse, abbia voluto essere
corrisposto in amore; e ributtato dal fellone, non gli sia venuto a fastidio, ma per mostrargli il suo
amore, sia morto per lui, e così donatigli tutti i suoi beni e tutte le sue ricchezze?
Quale non più udita meraviglia d'amore sarà dunque fare altrettanto con noi miseri vermi, Voi
Monarca del Cielo e della terra, Re dei re235, Dio onnipotente, Maestà infinita, innanzi a cui
s'inchinano Cielo e terra, e trema l'inferno! Quale meraviglia, che quasi ci supplichiate perché ci
lasciamo accarezzare, e sebbene da noi ingrati, cacciato con la colpa, subito picchiate al nostro
cuore e facciate sentire il desiderio di ritornarvi per amarci più di prima236, sì che, neanche la nostra
ingratitudine mai non abbia potuto seccare la sorgente dei vostri benefici237, né raffreddare l'ardente
brama che avete di stare con noi ed essere da noi amato?
Che se già Voi diceste, essere sommo contrassegno d'amicizia dare la vita a pro degli amici238, che
si dovrà dire dell'eccesso dell'amore vostro nell'aver voluto sacrificare la preziosissima vostra, non
in qualunque modo, ma sopra una croce, e non per amici, ma per noi, mentre eravamo tuttavia
vostri nemici239? Anzi, tanta era la brama di darci questa prova d'amore col morire per noi, che
sentivate gran pena nel dover aspettare il tempo prefisso al vostro sacrificio240; e perché questo non
appagava ancora il vostro amore, per cui avreste desiderato di sacrificarvi continuamente, né mai
separarvi da noi, cercaste modo di compiere le amorose brame, rinnovando ad ogni istante, nel
sacrificio della S. Messa, quello della Croce, e così per il Sacramento, rimanere con noi sino alla
fine dei secoli241.
Asc,9006a:T14,12
Ah! Ve l'abbiamo pure detto, o caro Gesù, che l'amicizia vostra vi avrebbe costato penosi e grandi
sacrifici; almeno adesso siate dunque più cauto nell'accordare l'amicizia vostra, e fatela desiderare
assai, acciocché venga essa apprezzata quanto è possibile, non potendosi per modo nessuno
apprezzare quanto essa si merita. Non avvilite quest'amicizia vostra col prodigarla.
Sebbene, a che raccomandare riserve all'amico Gesù, che non ne conosce alcuna, e desidera tanto di
farcene grazioso dono, che all'opposto ce ne facilita quanto può i mezzi per ottenerla? Infatti, quale
cosa sia pure vile del mondo, sarà così facile da ottenere quanto l'amicizia di Lui preziosissima?
Neanche una pagliuzza non potremmo averla mai col solo volerla; eppure basta il disgusto di non
averlo amato ed il desiderio di amarlo, né più offenderlo, per averlo subito amico nostro242.
Oh Dio buono! Come potete Voi amarci così svisceratamente e senza misura, che quasi vi mostrate
impazzito d'amore? Non prevedeste, Voi che ingrati, non avremmo corrisposto neppure con un
gemito, un sospiro, una lacrima a tante vostre pene, a tanto sangue sì dolorosamente versato per
noi? Qual è dunque la cagione felice di tanto amore vostro? Altra non è fuori quella che ci addita il
vostro diletto Discepolo, cioè l'essere Voi la stessa carità per essenza e carità infinita243; onde
siccome da pura fonte altro non può scaturire che limpida acqua, né dal fuoco altro non può
sgorgare che bontà ed amore senza misura.
Asc,9006a:T14,13
Quale nuova, preziosa miniera veniamo dunque a scoprire! Gesù amico nostro, è lo stesso amore!
Deh quale beata sorte! Chi ebbe mai per amico lo stesso amore? Anzi, essendo Egli la fonte stessa
dell'amore, non ci sarà comune altresì quanto vi è di soave, dilettevole e giocondo, sì in Cielo che in
terra? Non saremo noi, insomma, felici e beati della stessa felicità e beatitudine, che fa felice e
beato l'amore, cioè l'amico nostro Gesù?
Inoltre, se abbiamo quest'amore, Gesù stesso ci assicura che noi dimoriamo in Lui, ed Egli in noi; sì
che quasi siamo una sola cosa con Lui; dal che ne conseguita che noi amiamo Gesù col suo
medesimo divino amore, anzi, Gesù in certo modo ama se stesso per mezzo nostro, poiché l'amore
suo è Dio. Ah! Ora comprendiamo, o caro Gesù, perché l'amore vostro per noi vi cangi in delizie
non solo il rimanere con noi, ma gli stessi maltrattamenti da noi ricevuti; ora conosciamo perché
tanto gustiate d'essere da noi amato; poiché, se vi amiamo, subito vi placate e vi chiamate
soddisfatto, per modo che, quando pure tutti gli uomini, gli Angeli e Maria Ss. medesima, si
offrissero di sopportare tutte le pene d'inferno per un solo peccato mortale, mai per tutta l'eternità
potrebbero placarvi o soddisfare alla vostra giustizia; all'opposto, se avessimo anche commessi tutti
i peccati del mondo, con un atto d'amore soprannaturale, subito vi plachereste, perdonando la colpa
e la pena eterna; ci amereste più di prima; ci donereste il vostro Santo Spirito inseparabile
dell'amore vostro: ora insomma, comprendiamo perché valga più un atto d'amore soprannaturale, di
quanto valgano a placarvi tutti i tormenti d'inferno.
Oh tesoro immenso! Tesoro di prezzo infinito, perché divino! Oh come veramente ci fa esultare di
gaudio l'averlo trovato! E quanto volentieri dovremmo sacrificare tutto il rimanente per farne
acquisto!
Asc,9006a:T14,14
Se però l'atto proprio…
Se però l'atto proprio del vero amore di amicizia, è desiderare e fare del bene all'amico, appunto
perché ci amate, o buon Gesù, è necessario che ci doniate quest'amore, poiché se Voi non ce lo date,
non lo possiamo avere, e se avessimo anche tutti gli altri beni fuori di questo, a nulla ci
gioverebbero, e saremmo poverissimi.
Instantemente pertanto vi chiediamo questo amore vostro, che Voi non ci potete negare, mercecché
spontaneamente vi siete dato a noi per amico; altrimenti permetteteci che umilmente esponiamo a
Voi medesimo la nostra ragione. Non diceste Voi forse, che se alcuno vi ama, adempirà la vostra
parola244, e siamo vostri amici245 se faremo quello che Voi ci comandate?
Ora lasciate che a Voi, rivolgendo le vostre parole, vi diciamo: se ci amate, fate quello di che
instantemente vi preghiamo, cioè che adempiamo la vostra santa volontà: fate che amiamo Voi solo
in tutto e sopra ogni cosa; se siete nostro vero amico, come non possiamo dubitarne, fate quello che
giammai non oseremmo comandarvi, ma solo con grande riverenza supplicarvene, cioè che stiamo
uniti e serviamo a Voi solo in santità e giustizia tutti i giorni della vita nostra246.
Che, se prova di amore è operare a favore dell'amato247, come potreste dimostrarvi nostro vero e
cordiale amico, senza accordarci quanto vi domandiamo? Inoltre, se ha da essere vera, e stare ferma
per tutta l'eternità quella vostra promessa: chiunque domanda riceve248, come sarà possibile che
quelli che annoverate fra i vostri amici, domandino e non ricevano? Siete pure Voi, o caro Gesù, di
vostra natura cotanto buono, che volete e ci comandate che facciamo del bene a chi ci fa del male,
porgiamo preghiere per quelli che ci perseguitano e ci calunniano249, acciocché, così facendo,
imitiamo Voi ed il vostro Padre celeste, il quale fa nascere il suo sole sopra i buoni ed i cattivi250, e
fa cadere la pioggia feconda sopra i giusti e gli ingiusti. Come dunque potreste mostrarvi a noi
amico, se pregandovene, non foste disposto a darci quanto avete promesso di accordare a tutti,
anche ai vostri nemici, dicendo: chiunque domanda riceve? Questa parola chiunque, non esclude
alcuno, giusto o peccatore, amico o nemico che sia.
Asc,9006a:T14,15
Sebbene a che dubitare che non vogliate accordarci il vostro santo e divino amore? Il desiderio
stesso d'amarvi, non è egli amore e dono vostro, di modo che quanto più desideriamo di amarvi,
tanto più vi amiamo? Anzi, se partecipa al peccato chi anche solo consente al reato altrui251, quale
consolazione, all'opposto, per noi aver parte col desiderio all'amore di tutti quelli che vi amano, e
così, o caro Gesù, consacrarvi non solo gli affetti del povero nostro cuore, sì quelli ancora di tutte le
creature capaci d'amarvi, e specialmente gli affetti di tutti i Santi, di tutti gli Angeli e della loro
Regina, la nostra e vostra Madre Maria Santissima?
Che più? Quale sicurezza maggiore di ottenere il vostro santo amore, se essendo l'amicizia un
commercio scambievole di cuori e di affetti, appunto per adempire a questo dovere di amicizia,
senza alcun riguardo all'ineguaglianza del cambio252, Voi stesso ci offrite in compenso del nostro, il
vostro cuore medesimo, affinché vi possiamo amare di vantaggio?
Ah! Sì caro Gesù, noi accettiamo ben volentieri questo cambio di tanta gloria ed onore per noi:
prendetevi dunque il nostro povero cuore, e dateci il vostro, perché d'ora innanzi vi amiamo con
tutto il vostro cuore medesimo; anzi, cercate pure di amare Voi stesso, non solo per mezzo del
nostro cuore, ma con tutti i cuori capaci d'amarvi, e soprattutto col vostro cuore divino, acciocché
siate amato con amore in certo modo infinito, in quanto cioè è divino il cuore e soprannaturale
l'amore, col quale vi amate in noi, e per colmo di bontà vostra infinita, non permettete che mai più
mettiamo ostacolo a questo vostro amore, e così siamo amici vostri, amandovi in questa vita e per
tutta la beata eternità. Così sia.
Asc,9006a:T15
Tesoro XV. Gesù in forma di servo
253
Asc,9006a:T15,1
Seppe, è vero, l'ambizioso e superbo Aman ministro di Assuero, trovare modo di onorare
grandemente quell'uomo cui il re volesse onorare; tuttavia riflettendo attentamente, vedremo con
nostra meraviglia, come il nostro Dio ha compiuto verso di noi non solo le dimostrazioni di
onoranza che già inventò Aman, sì molte altre ne aggiunse di gran lunga maggiori.
Primieramente ha vestito la nostra umanità della regia veste della sua grazia, e nobilitato la natura
nostra, per se stessa vilissima, coi titoli della maestà divina quando la volle unita alla sua divinità.
Le pose anche in capo reale corona, quando l'Uomo-Dio fu riconosciuto ed adorato dai re.
Quello però che deve ricolmarci di meraviglia e per l'onore che ci fa e per l'amore che ci porta, si è
che quegli, il quale ci serve come da paggio, non è un cavaliere dei principali della Corte, come
suggerì Aman254, ma è lo stesso Re in persona; Dio stesso si fa servo di noi suoi schiavi; Egli stesso
nella persona del Figliuolo suo, va pubblicando quell'uomo essere Re e Signore dell'universo, e lo
stesso Gesù apertamente ci fa intendere essere Egli venuto in questo mondo, non come padrone per
essere servito, ma come servo per servire all'uomo255, e come tale se ne sta appunto tra noi come
starebbero i servi, e s'impiega nel prestarci quei servigi che deve prestare un servo, dandoci intanto
ogni diritto e potere sulla sua medesima persona divina.
Oh cosa veramente degna di ammirazione, né da potersi credere, se non ce l'attestasse Iddio
medesimo! O buon Gesù, in quale profondo abisso di abiezione vi fece venire l'amore vostro per
noi! Quanto più abietto però vi mostrate nell'umanità, tanto più grande a noi campeggia la gloria
vostra nella bontà256.
Mentre pertanto quel Gesù stesso, cui tutte le cose obbediscono, si assoggetta a noi e ci serve, quale
meraviglia, che siano pure a noi soggette, ed a noi servano tutte le cose257? Come mai, dicendo noi
ad un sì buon servo: fate questa cosa, non la farà? Come mai non sarà fedele nelle cose facili Colui
che fu fedele nelle cose più difficili e penose, sino a dare il sangue e la vita per noi?
Asc,9006a:T15,2
O Maria, o Giuseppe, diteci quali pensieri si andavano formando nel vostro cuore, nel vedervi Gesù
tanto sommesso ed obbediente258? Quanti doni e quante grazie, quanti frutti di onore e di ricchezza
raccoglieste dalla obbedienza e sommessione di Lui? Che se lo stesso servire a Dio, è un regnare259,
il comandare a Dio che mai sarà?
Siccome però potrebbe parere non gran cosa il servire che Egli faceva ai suoi parenti Maria e
Giuseppe, ecco come Gesù si sottomette al Battista nel Giordano per essere da lui battezzato260. O
Giovanni, quale fra i re della terra poteva stare a tuo confronto, quando avevi Gesù a te sottomesso,
ed udisti quella voce dal Cielo, con la quale l'Eterno Padre attestava essere suo diletto Figlio, quegli
che si faceva tuo suddito?
E tu, o Pietro, che vedesti il Redentore e Dio prostrato ai tuoi piedi per lavarteli, e lo udisti
dichiararti che se non te li avesse lavati, non avresti avuto parte ai suoi beni261; dì, te ne preghiamo,
non conoscesti che da Colui, umiliato ai tuoi piedi come servo, dipendeva tutta la tua felicità?
Infatti, mentre ti fa da servo, ti promette mercede; anzi, appunto la promette affinché ti lasci da Lui
servire, e servendoti, tu possa partecipare agli eterni suoi beni.
Ah ben conoscesti allora l'errore tuo nel ricusare cotale servigio, poiché dopo udite le sue parole, lo
pregasti che si degnasse di lavarti non i piedi soltanto, ma pure le mani ed il capo262.
Asc,9006a:T15,3
Non solo poi si compiacque…
Non solo poi si compiacque assoggettarsi alle persone buone e modeste, sì ancora a scelleratissimi
padroni.
Testimonio ne sia quel perfido Giuda, di cui non vi è persona più malvagia, al quale con sì profonda
umiltà ed eccessivo amore, prestò quell'ossequio di lavarne i piedi, e permise di essere venduto da
lui per trenta monete, come infimo tra gli schiavi. Ah se quel perfido avesse considerato l'amore e la
dignità di Colui che gli stava lavando i piedi, no, per tutto l'oro del mondo non avrebbe mai
consegnato ai suoi nemici un sì buon servo e fedele. A quanto duri, aspri, inumani e scellerati
padroni abbia voluto poi sottomettersi, sino a patire da essi obbrobri, piaghe e morte spietata, non è
qui luogo da ricordarlo, per non passare dal fonte della dolcezza e soavità a quello dell'amarezza e
del pianto; solo deduciamone quanto possiamo aspettarci di bene dall'eccessiva bontà di questo
servo, se procureremo di essergli grati, dappoiché tanto liberalmente e con tanta prontezza servì
sino al fine della vita263 a gente ingrata e perversa.
Vedeva Egli pure quanto contro di sé macchinavano, e pure non restava di fare loro del bene,
saziandoli se famelici, risanandoli se infermi, illuminandoli se ciechi, dando l'udito se sordi,
risuscitandoli se morti. Oh quanto caritativo ed amoroso servo, e quanto potente nello stesso tempo!
Egli perdonava i peccati, cacciava i demoni, indirizzava sul cammino della salute eterna, mentre
essi non lo volevano riconoscere, né guardare di buon occhio.
Asc,9006a:T15,4
Ora, vogliamo credere noi, che presentemente non ci ami quanto allora amava quegli ingrati, e
perciò non voglia renderci gli stessi servigi e farci gli stessi benefici? Anzi, quanto fece di bene lo
fece per tutti, ed in tale modo come lo avesse fatto a ciascuno di noi.
E per verità, non diede Egli, questo buon servo, la vita non solo per la loro salute, sì per quella
ancora di tutti noi? Anzi, gli riuscì cosa sì dolce e gioconda il servirci, che cercò con ogni
sollecitudine e trovò il modo di stare al nostro servizio sino alla fine dei secoli, donando e lasciando
se stesso, cioè la carne sua in cibo ed il suo sangue in bevanda264.
Pareva cosa difficile ed impossibile da credersi, che potesse Iddio farsi servo dell'uomo, e
nondimeno con indicibile prontezza lo fece. E a noi, che per natura siamo servi, parrà difficile e
strana cosa il servire a chi di sua natura, essendo nostro Signore e padrone, per eccesso di carità,
volle prendere forma di servo per il nostro bene265?
O Gesù, dacché vi voleste fare servo, vi preghiamo di questo servigio, facendo sì che vi serviamo
con ogni fedeltà; perché quale vantaggio avremmo dal vedere piegate le vostre ginocchia innanzi a
noi, se non voleste ora degnarvi di esaudire le nostre preghiere, con le quali vi domandiamo di farci
sempre obbedienti ai vostri comandi? La nostra salute, le nostre ricchezze, il nostro stesso regnare
non sono forse riposti nel servire a Voi266?
Ma di che vogliamo temere? Non siete già Voi uno di quei falsi Profeti, i quali se ne vengono con
vesti e sembianza di pecorella, ma poi nel loro interno, sono lupi rapaci267. No, è impossibile che
siate venuto in forma di servo, vi siate mostrato tale, e poi ci contraddiciate e ricusiate di fare
quanto è necessario alla nostra eterna salvezza.
Asc,9006a:T15,5
Né stiamo a fare le meraviglie per vedere Gesù fatto servo, perché supposto che Egli avesse
stabilito di essere nostro cibo, non era conveniente che altri ce lo porgesse; ed ecco perché, come
narra S. Giovanni268, si pone un pannolino avanti, e cingendoselo, fa che noi sediamo a tavola, ed
andando qua e là dove il bisogno nostro lo chiama, ci fa da ministro e servitore, abbassandosi a
lavarci i piedi ed asciugarli, nella persona dei suoi Discepoli, e poscia distribuirci ogni bene in quel
pane di vita.
Oh quanto perciò siamo fortunati e gloriosi nel vederci serviti da Gesù con tanta sollecitudine ed
amorevolezza! Poiché Egli vede tutti gli andamenti nostri, osserva i nostri passi, conosce le nostre
necessità, esamina le nostre fatiche per premiarcene, le nostre debolezze e fragilità per compatirci, e
ci riempie d'ogni bene, più che non sapremmo volercene noi medesimi.
Affidiamogli pertanto tutti gli affari nostri ed il nostro cuore; consegniamo alla sua custodia l'anima
nostra, perché, o dormiamo o vegliamo, sempre starà in noi per soccorrerci nelle tribolazioni, per
esserci rifugio nelle avversità, e liberarci nei pericoli269. Oh quanto sono veramente meravigliose le
opere vostre, o Signore, e sopra ogni nostro intendimento le vostre invenzioni amorose, per cui
tanto vi voleste umiliare ed abbassare sino a farvi nostro servo!
Asc,9006a:T16
Tesoro XVI. Gesù nostro sposo
Asc,9006a:T16,1
Sebbene ci riesca assai amara in questo nome di sposo la rimembranza d'avergli tante volte violata
la fede, tradito l'ardente suo amore, e quindi resa brutta e deforme l'anima nostra, tuttavia non vi è
nome nel quale possiamo porre maggior speranza, e più sinceramente appoggiarci quanto in questo
di sposo. Infatti, non era forse l'anima nostra orrida e misera quando la prima volta questo
gentilissimo sposo Gesù, la sposò con fede270? Non era ella figlia d'ira quando per sua bontà, la
scelse tra mille, la chiamò alle nozze, adornandola della bellezza della grazia e la introdusse nella
sua stanza nuziale, perché con Lui se ne vivesse casta e santamente?
Osserviamo inoltre il comando tutto spirante bontà che questo Sposo dell'anima fece a Pietro, cui
consegnò le chiavi dell'appartamento nuziale, se avvenga mai, dice, che codesta mia sposa sleale ed
ingrata, voglia per la colpa uscire da questo luogo, ma poi pentita brami rientrarvi, tu àprile, non
solo sette volte, ma settanta volte sette271, anzi, tu la incoraggi, la inciti, la preghi, l'aiuti a
ritornare272.
Asc,9006a:T16,2
O caro sposo Gesù, giacché tanto ci amate, vi sovvenga di questi sponsali sottoscritti di vostra
mano, poiché purtroppo abbiamo lordato la candida veste: l'anima vostra sposa è caduta; si è
ravvolta nel fango della colpa, e tutta malamente ne fu imbrattata; quest'obbrobrio e disonore la
macchia, l'avvilisce; ma spetta a Voi, che cosiffatte lordure non deturpino o detraggano all'onore del
nome vostro.
O Gesù, già prima d'eleggerla in vostra sposa, conoscevate a fondo la fragilità e debolezza di lei, e
ciò nulla ostante non aveste a schifo di amarla; ora essendo Voi non solo la parte più nobile e forte,
cioè il Capo della sposa273, ma ancora d'altra più eminente natura, cioè divina ed impeccabile,
uffizio vostro è renderla sana; altrimenti si potrebbe dire, essere maggiore la fiacchezza della donna,
che la possanza e bontà dello sposo; poiché abbandonerebbe la sposa caduta, non si prenderebbe
pensiero di purgarla da quell'infamia, né più l'ammetterebbe alla nuziale dimora, e vie meno ai suoi
casti abbracciamenti.
No, tale cosa non può dirsi di Voi, o dolcissimo sposo. Non mai le debolezze nostre potranno
oscurare, anche per poco, la vostra bontà e possanza; poiché le vostre vie non sono come quelle
degli uomini, né tali i vostri, quali i loro pensieri. Abbiano pure in odio gli uomini quelli che li
offendono e macchiano il loro onore, questo è effetto di umana debolezza, non di cuore magnanimo
e nobile. Ma Voi, o sposo dell'anima nostra, siete forte e potente, sì che dal male stesso sapete e
potete cavare il bene274. Infatti, se uno sposo, dite Voi, avrà ripudiata la sposa sua, ed essa inoltre ne
avrà sposato un altro, sarà forse mai più per ripigliarsela quel primo sposo o ritornare a lei? Non
sarà forse avuta cotale donna come svergognata e adultera? Tuttavia, sebbene tu abbia peccato con
molti amanti, ritorna a me, Voi ne dite, ed io di nuovo ti accetterò. Ritorna dunque, ritorna
vagabonda Israele, anima sleale, che a te non volterò io le spalle275.
Asc,9006a:T16,3
Ricordando sì amabile invito…
Ricordando sì amabile invito, possiamo noi credere che questo divino sposo voglia ripudiarci o ci
macchini la morte, mentre Egli il primo ci corre dietro e ne prega di ritornare a Lui?
Avvertite inoltre, che abbiamo da fare con Voi, o sposo nostro dolcissimo, che siete uomo insieme e
Dio, e che, essendo santo per essenza, santificate gli altri.
Che se l'apostolo Paolo dice, trovandosi un marito cristiano che abbia a moglie una donna pagana, e
questa si accontenti di abitare con lui, egli non la rifiuti in modo veruno, venendo la moglie idolatra
ad essere santificata dal marito cristiano; come sarà possibile, caro Gesù, che a Voi sposata l'anima
nostra, per mezzo del santo Battesimo, se, quantunque peccatrice ed infedele voglia abitare con Voi,
non vi adoperiate in modo che a Voi torni la gloria d'avere quale sposo fedele, santificata la sposa
infedele?
Per quanto macchiata sia perciò e peccatrice l'anima nostra, accostiamoci a Gesù; chiamiamolo
nostro sposo, preghiamolo che lavi con issopo tutte le nostre lordure, e subito Egli renderà l'anima
nostra candida più che la neve276.
Asc,9006a:T16,4
Ma diteci, o caro Gesù, quale sposo vi è mai che non brami di essere amato dalla sposa? Quale che,
potendo, non infonderebbe nel cuore di lei il più ardente e tenero amore? Ora Voi siete quel solo
sposo che potete fare ciò a vostro piacimento, e rendere l'anima nostra la più tenera ed amante
vostra sposa, poiché siete padrone dell'amore vostro verso di lei, e dell'amore di lei verso di Voi. Se
dunque già vi siete a noi dato per sposo, ne segue che, per legge coniugale ci avete fatti padroni di
Voi, siccome per lo stesso vincolo noi vi abbiamo fatto di noi padrone; come dunque potrete
negarci il vostro amore? Egli è certo che non ci potete negare Voi stesso, epperciò essendo Voi lo
stesso amore e carità per essenza, negandoci l'amore vostro, ci neghereste certamente Voi stesso.
Inoltre, se abbiamo da essere una cosa sola con Voi, come vuole il debito nostro, necessariamente
abbiamo da essere una cosa sola coll'amore vostro; dunque non ce lo potete negare.
Ma incalziamo sempre più l'argomento: oh quale dolce e ricco tesoro abbiamo noi trovato; oh
quanto è gradita da questo sposo la domanda fattagli del suo amore! Orsù, caro sposo, noi
desideriamo dimorare con Voi ed in Voi, acciocché Voi facciate altrettanto con noi277, giacché
sappiamo che non ricusate di stare con noi, se acconsentiamo di stare con Voi. Infatti, avete detto
che se resteremo in Voi, pure Voi starete in noi278, non avete già detto: se io resterò in Voi, ma
sebbene, se noi resteremo in Voi, quasi diceste: che io mi compiaccia di stare con Voi, non occorre
dubitarne, tutto il fondamento del dubbio dipende dall'incostanza della vostra volontà di stare in me.
Io, anzi, sto sitibondo di stare con le anime vostre, epperciò chiamo, grido, vieni eletta mia, sposa
mia, ritorna, sì, ritorna, o Sulamite: e fino a quando ti snerverai tra le dissolutezze, o vagabonda
figliuola279?
Asc,9006a:T16,5
Ma quale danno ve ne potrebbe venire, o benignissimo Gesù, ancorché questa sleale e cattiva sposa
per propria malizia, perisse? Forse coll'essere ella da Voi separata, si diminuirà anche di un solo
grado la beatitudine vostra infinita? No, per certo. Quale cosa dunque vi muove a correre tanto
ansiosamente dietro codesta sleale ed ingrata, mentre ella fugge quanto più può da Voi? Perché mai
siete ognora pronto a riaccettarla e dimorare con lei, che tante volte si è da Voi dipartita, ed ha
ricusato, anzi, disprezzato la vostra preziosissima compagnia? Ah! Non per altro certamente, se non
perché ora non si tratta di vigna, non di servi, non di fratelli, non di figli, ma si tratta di una sposa
con uno sposo, Dio il quale siccome non ha permesso che né la vita, né la morte, né qualunque altra
creatura potesse mai operare questa separazione tra Lui e la sua sposa, così dappoiché seguì questa
separazione per colpa di lei, non volle che cosa alcuna potesse porre impedimento al ritorno in
qualunque momento l'avesse voluto.
Fummo perciò liberati da quanto possa impedirci il ritorno a questo sposo fin da quando fummo a
Lui sposati per mezzo del sangue suo sparso per noi. Soltanto ci fu lasciata la podestà della volontà
nostra di essere, o no, sue spose, e questa libertà ci venne lasciata affinché potessimo godere della
dignità di spose, poiché è chiaro non esservi vero sposalizio senza libero consenso di ambo gli
sposi.
Dunque, o Signore, se noi solamente, cioè la nostra volontà può essere causa di non avervi per
sposo, non si distrugga la volontà, acciocché possa sussistere lo sposalizio, ma questa volontà non
sia più nostra, poiché ella potrebbe d'ora in ora cangiarsi in cattiva, ma passi ad essere vostra, che
sempre è buona, né può cangiarsi in mala, e per tale modo si faccia la vostra volontà, sì nella terra
che siamo noi, come nel Cielo che siete Voi, ed allora potrà ciascuno di noi con verità cantare: vivo
io, non più io, ma vive in me lo sposo mio Gesù280.
Deh fate, o Salvatore Santissimo, che queste parole del vostro Apostolo in noi perfettamente si
compiano, onde abbiamo a benedirvi nei secoli.
Asc,9006a:T17
Tesoro XVII. Gesù padrone onnipotente
Asc,9006a:T17,1
Perché spesse volte urtiamo nello scoglio della malvagia nostra volontà, perciò difficilmente
concepiamo speranza dei beni eterni; anzi, mentre andiamo volgendo lo sguardo a tante nostre
scelleratezze, diciamo tra noi afflitti e dolenti, come avrà Egli, Iddio, riguardo alle preghiere di noi
miseri peccatori?
Non dobbiamo però lasciarci opprimere dallo scoraggiamento e dalla diffidenza, perché vi è tuttavia
un tesoro per redimerci di tanta nostra miseria. Alziamo la voce da questo profondo abisso di
abbattimento281 in cui ci troviamo, ed invochiamo Iddio come nostro padrone, pregandolo di
esaudirci282, e prestamente ci farà sentire che, appo di Lui sta la misericordia, e che Egli è rifugio ai
poveri, aiutatore al tempo opportuno, nella tribolazione283; non diffidiamo; questo nome è come
torre fortissima e rifugio sicuro284, e chiunque lo invochi di cuore sarà salvo285, perché non vi è
forza, che valga a resistere all'onnipotenza di questo nostro padrone.
Essendo così, o Dio e Signore nostro potentissimo, sebbene avessimo un cuore impietrito per la
durezza ed ostinazione, non diffidiamo perciò, anzi, lo consegniamo a Voi, che potete dalle pietre
suscitare dei figliuoli di Abramo, e dei cuori di sasso farne cuori di carne286, vi rinunciamo affatto
quel dominio stesso, che ci deste sul nostro cuore, e vi preghiamo di fare in modo che sia
interamente soggetto al vostro supremo e speciale dominio.
E sebbene la nostra volontà possa cangiarsi, ed a Voi ribellandosi ritirare di nuovo questa rinuncia
del nostro cuore, deh! Voi che tutto governate con forza sì, ma insieme con soavità, disponete di lei
e fate ritornare a Voi sommessa codesta ribelle volontà nostra287, come Voi medesimo con le parole
della Chiesa vostra sposa ci insegnate a pregarvene.
Asc,9006a:T17,2
Accostiamoci pertanto con gran confidenza a questo Signore nostro onnipotente, e dall'intimo
dell'anima esclamiamo con quel fortunato lebbroso del vangelo: “Signore, se volete, ci potete
mondare288”.
Signore onnipotente, questa nostra ostinata e proterva volontà, per ribelle e ripugnante che sia, non
può resistere all'onnipotenza vostra più di quella lebbra, essendo l'una e l'altra di forza e virtù
limitata e senza proporzione con la potenza vostra infinita. Stendete perciò l'amorosa possente
destra, e toccate questo cuor nostro lebbroso, dicendo289: “Sii mondo”; e subito sarà mondo, e farete
così vedere come la vostra onnipotenza specialmente campeggia nel perdonare ed usare
misericordia290. E quanto più incancrenita è questa lebbra pestifera della nostra prava volontà, e di
più difficile guarigione della lebbra del corpo, tanto maggiore si farà vedere l'efficacia della vostra
destra, la quale, come diceste al paralitico291, può ugualmente sanare e le infermità del corpo per sé
più facili, e quelle per sé più difficili e gravi dell'anima.
È verissimo, Signore onnipotente, che ci dotaste della libertà del nostro arbitrio, e ci ponete innanzi
la vita e la morte, il bene ed il male292, affinché eleggiamo quello che più ci aggrada; tuttavia non
lasciamo per questo di essere nelle vostre mani, e potete a vostro beneplacito piegare il nostro cuore
all'obbedienza ed esecuzione dei vostri comandamenti, e quindi dura cosa sarebbe per noi il
ricalcitrare contro il pungolo293.
E quand'anche fossimo protervi a segno di voler resistere, o Signore, Voi che siete più forte e
possente, impediteci dall'offendervi, legateci i piedi e le mani, incatenate questi servi iniqui, e, come
padrone, metteteci pure le manette, affinché da quei pazzi che siamo, non cerchiamo più di cozzare
contro di Voi e fuggircene.
Asc,9006a:T17,3
Voi, o Signore, vi lasciaste incatenare e piedi e mani, anzi, ve li lasciaste inchiodare sulla croce per
liberarci dal peccato; il che, per somma degnazione faceste senza che ve ne pregassimo; ed ora che
vi scongiuriamo non a lasciarvi di nuovo inchiodare sulla croce, sì a servirvi della vostra
onnipotenza in legare noi per impedirci dal più offendervi, sarà possibile che Voi, buon padrone,
non vogliate esaudire i vostri servi, e ci vogliate abbandonare in potere della colpa, Voi, che per
redimercene, prendeste forma di servo e vi lasciaste vendere quale vilissimo schiavo?
Certamente Voi siete più propenso a volere il bene che a permettere il male, epperciò anche siete
più pronto a concedere propizio il bene, di cui siete da noi pregato, che non ad accordare per
giustizia ciò che a nostro danno vi domandiamo tale fiata. Che se, in castigo dei loro perversi
desideri, permettete talora che i peccatori soddisfacciano ai loro capricci, come gli ebrei nel
deserto294, potrete non secondare i desideri nostri di fare la vostra volontà in ogni tempo?
Se il mal volere dell'uomo fosse malattia incurabile, non sareste già disceso dal Cielo in terra per
darle rimedio e sanarla, né la vostra Sposa e madre nostra, la Chiesa, vi pregherebbe di liberarci
dall'ira, dall'odio e da ogni cattiva volontà295, né insomma avreste promesso che il Padre vostro
darebbe il suo spirito buono a chi glielo domandasse296; poiché quale altra cosa è mai questo spirito
buono, se non la buona volontà? Noi pertanto desideriamo, o Signore, e vi domandiamo questa
buona volontà e vi preghiamo di liberarci dalla malvagia; e speriamo che, secondo la vostra parola,
anche prima di domandarvela, saremo esauditi297, perché il nostro stesso desiderare e pregare per
avere questa buona volontà procede dalla buona volontà vostra di accordarcela, e per questo
appunto che ce la volete accordare, ci consigliate di domandarvela.
Asc,9006a:T17,4
Né abbiamo timore d'accostarci a questo nostro padrone onnipotente; perché, sebbene sia anche
giusto298, tuttavia Egli è così inchinato a bontà, che gli è come connaturale il sempre usare
misericordia e perdonare299; epperciò più volentieri usa con noi della sua bontà, che non della sua
giustizia. Pertanto, o Signore, ve ne preghiamo, esercitate almeno verso di noi questo atto di
misericordia di perdonarci i peccati commessi, preservarci dall'offendervi in avvenire, e soprattutto
non permettere che, in castigo delle colpe trascorse, novellamente cadiamo nel loro abisso.
Del resto, non siete Voi assoluto padrone di fare quel che volete? Quest'atto di misericordia che vi
domandiamo non è contrario alla vostra giustizia, non la offende, non la diminuisce, né la deprime,
anzi la esalta maggiormente e la fa più gloriosa300. Perché dunque non vorrà la vostra giustizia
concedere alla misericordia quello che più esalta la giustizia vostra medesima? Infatti, se è giusto
colui che non commette ingiustizia, molto più giusto sarà colui che di più usa misericordia; perché
certamente compare la giustizia tanto più lontana dall'ingiustizia, quanto più si usa di misericordia:
anzi, essendo altissima, o Signore, la vostra giustizia301, ne viene in conseguenza che essa deve
essere assodata sopra un abisso di misericordia, poiché la misericordia è il fondamento e la radice
della giustizia.
Per tratto dunque di questa vostra infinita misericordia insegnateci, o Signore, a fare sempre la
vostra volontà, perché Voi siete il nostro buon Dio e buon padrone302, padrone al quale vogliamo
piacere ed ora e sempre.
Asc,9006a:T18
Tesoro XVIII. Gesù nostro legislatore e maestro
Asc,9006a:T18,1
Facciamo ora nostro tesoro i precetti dell'Altissimo, e cominciamo ad ascoltare e comprendere bene
ciò che il Signore vuole dirci, perché le sue parole sono parole di pace col popolo suo, sì a favore
dei giusti come dei peccatori, che al cuore loro ritornano303.
Persuadiamoci che quanto ci comanda Iddio nostro maestro e legislatore, e qualunque cosa ne
insegni, non ce lo comanda od insegna per bisogno che abbia di alcuna cosa nostra, ma all'opposto,
perché ad operare la nostra salute abbisogniamo di quelle cose che Egli ne comanda od insegna; le
quali, non potendo noi avere con le nostre forze, se da Lui non ci vengano date304, mentre ci
comanda alcuna cosa, non altro fa se non indicarci quello di cui abbisogniamo e dobbiamo
domandargli per la nostra medesima eterna salute.
Epperciò quanto più ardue cose e perfette ci comanda Iddio, tanto più dobbiamo confortarci ed
accrescere la nostra confidenza in Lui, perché allora ci dobbiamo aspettare di ricevere molto
maggiori doni e grazie per compiere i suoi ordini.
Onde si può dire, i suoi divini comandi essere piuttosto favori accordati che non servigi voluti.
Asc,9006a:T18,2
Infatti, non fu già per privare Abramo dell'unico suo figlio Isacco, che gli comandò il Padre vostro,
o Signore, di offrirglielo in olocausto, ma per promettergli Voi stesso in figlio: non per spegnere la
sua schiatta, ma per moltiplicarla come le stelle del Cielo, e come le innumerabili arene del mare305.
Oh quanto è grande la vostra bontà, o Signore! Quale vittima eccedente ogni merito tenevate già
Voi preparata a favore d'Abramo, quando a lui chiedevate in olocausto il figlio! Quel parlare e quel
comando, che preso superficialmente, ed inteso all'umana pareva pur tanto duro al cuore di un
padre, epperciò difficile oltremodo ad eseguirsi, penetrato poi ed inteso secondo il concetto ed
intimo senso di Dio, che ciò comandavagli. Oh quanto benigno, giusto, facile, prezioso e salutare
riuscì per Abramo stesso e per tutti i suoi discendenti?
Quanto è dunque buono, quanto giusto, benevolo ed amabile il nostro divino legislatore e
maestro306! Oh giogo veramente soave che impone a noi ed a se stesso; mentre non ci comanda a
capriccio, né pretende cose superiori alle nostre forze, ma obbligandoci ad osservare la sua legge,
obbliga se stesso a darci quanto gli domandiamo per osservarla307! Oh peso veramente leggero, il
quale vuole che portiamo bensì, ma in modo che siamo noi stessi portati da Lui308.
Se dunque sentiamo dirci da questo maestro e legislatore: “Osservate, o figli, i miei
comandamenti309; siate perfetti; amate i vostri nemici310; a chi vi percuote una guancia porgete
l'altra; se il vostro occhio vi è occasione di scandalo, cavatelo e gettatelo via”; e simili altre cose;
non stiamo a dire che il suo parlare e comandamento sia troppo aspro e duro311, anzi, non eseguibile:
no, non diciamo così, ma piuttosto facciamo cuore, poiché comandandoci cose grandi, brama che
domandiamo anche a Lui cose grandi. Vuole da noi grande santità e perfezione, perché è pure
disposto, anzi desidera di accordarcela.
Asc,9006a:T18,3
Eccone un esempio in quella donna Samaritana, la quale, tuttavia ignorante, né assuefatta al parlare
del Signore, sentendo quelle parole: “Donna, dammi a bere”; presa da meraviglia, e tutta sbigottita,
rispose: “Come mai tu, essendo Giudeo, chiedi a me da bere che sono Samaritana?” Imperocché
non hanno comunione i Giudei coi Samaritani. “O donna, se tu conoscessi, soggiunse il Signore, il
dono di Dio, e chi è quegli che ti domanda da bere, tu ne avresti forse chiesto a Lui, ed Egli ti
avrebbe dato di quell'acqua che sale sino alla vita eterna312”.
Osserviamo pertanto, come quegli stesso che le chiedeva acqua, desiderava ardentemente di
dargliene; e come, con quel domandare da bere, provvede alla sua insieme ed alla nostra sete; alla
sua, perché brama di dare; alla nostra, perché abbiamo bisogno che Egli ci dia; epperciò chiedendo
noi i suoi doni, veniamo a calmare la sua sete e la nostra. Imperciocché non è questa sete prodotta in
Lui da scarsezza o mancamento d'umore, ma da sovrabbondanza: epperciò come nutrice che tiene
ricchezza di latte, invita ed alletta il bambino a nutrirsene; così appunto il nostro buon Dio, vera ed
amorosissima nutrice, tenendo ricolmo il seno del latte delle sue grazie313 e misericordie, invita,
alletta e comanda a noi, amati suoi figli, di arricchirci per l'orazione continua di codeste sue grazie,
perché desidera di ricolmarci delle sue misericordie314.
Siccome pertanto, cominciando quella donna a gustare il sugo di quelle divine parole, subito
soggiunse: “Signore, dammi di quest'acqua315”. Così, quando Iddio richiede da noi qualche bene,
diciamogli pure: “Signore, accordateci questo bene che volete che noi facciamo. Ci comandate di
essere casti, umili, obbedienti? Concedeteci quello che ci comandate, e poi comandate ciò che
volete316”.
Asc,9006a:T18,4
Parlate pur dunque, o buon maestro Gesù, ché i vostri servi vi ascoltano; poiché essendo certo che i
vostri ammaestramenti non appartengono solo a noi, ma più a Voi che a noi, perché il discepolo non
è da più del maestro317; né essendo Voi come quelli che dicono e non fanno318, mercecché
principiaste a fare e ad insegnare319, certamente non troveremo tesoro più prezioso, né a bisogni e
necessità nostre più conveniente, quanto la dottrina ed i comandi vostri medesimi.
E per verità, o sapientissimo legislatore e maestro, siete pur Voi che, e per l'Apostolo vostro e per
Voi medesimo ci ammaestraste dicendo: “Non vogliate essere vinti dal male, ma vincete col bene il
male320. Date e sarà dato a Voi321; a colui che vuole toglierti la tua tonaca, cedigli anche il mantello;
e se uno ti trascinerà a correre per un miglio, va con esso anche altre due miglia: fate del bene a
coloro che vi perseguitano, e orate per coloro che vi odiano e vi calunniano322”.
Se dunque è così, permettete, o divino Maestro, che, seguendo i vostri ammaestramenti, a Voi
rivolgiamo le vostre parole medesime. Noi siamo malvagi, lo confessiamo, Voi però non vi lasciate
vincere dal male, ma con la bontà vincete anzi il male nostro; vi siamo debitori di molti talenti, ve
lo concediamo: prima dunque allargate con noi la mano generosa, e saremo in caso di soddisfarvi.
Vi domandiamo la tonaca, accordateci anche il mantello. Vi preghiamo di essere sollecito in nostro
aiuto, e Voi correte frettoloso al soccorso323. Vi abbiamo pure troppo ingiuriato e perseguitato: fatela
dunque per noi da mediatore ed avvocato. Insomma, se ha da adempirsi quanto di Voi sta scritto,
cioè che prima faceste, e poscia insegnaste324, rinnovate a nostro vantaggio la pratica di questa
vostra dottrina e magistero, che così potremo seguire l'esempio donatoci325.
In queste dolci parole, o maestro e legislatore, ci avete come ravvivati nella miseria ed impotenza
nostra, ed in esse ci rendete la legge vostra più preziosa di tutto l'oro del mondo326, e per lei godiamo
di quella dolce consolazione, che si prova nel possesso di tutte le più grandi ricchezze327.
Asc,9006a:T19
Tesoro XIX. Gesù Cristo Dio e Uomo ossia l'unione ipostatica di Dio
coll'umanità
Asc,9006a:T19,1
Se l'uomo considera ciò che è in se stesso, non ha male di cui non abbia ragione di temere; se poi
considera quello che egli è in Gesù Cristo e per Gesù Cristo, non vi è bene che non possa e non
debba sperare.
Ogni qualvolta consideriamo quelle leggi per cui è prescritto di non nascondere, ma trafficare e
rendere con guadagno il talento datoci dal nostro padrone e legislatore Iddio328, ci si gela il sangue
nelle vene, pensando che dovremo presentarci a Lui per essere giudicati secondo queste leggi; ma se
pensiamo che per un tratto di sua infinita bontà l'amabile Gesù si contenta di sottomettersi alle sue
stesse leggi329, il nostro cuore ne è tutto consolato e pieno di tale conforto, che osiamo pregarlo
voglia permettere a noi, suoi servi, d'entrare per un poco in giudizio con Lui Signore nostro, benché
sia la stessa giustizia.
Or via, ecco i libri, e facciamo i conti tra noi. O Gesù caro, confrontiamo le partite e vediamo la
somma che a Voi fu data per nostro conto, e quella che è stata consegnata a noi per conto vostro.
Presto e facilmente si farà il calcolo della partita di quanto, in grazia vostra, sinora abbiamo
ricevuto, o possiamo ancora ricevere in avvenire, perché tale somma, per grande che la supponiamo,
tuttavia è limitata, e si può numerare; ma se porremo sulla bilancia quel solo talento dato a Voi per
causa nostra, cioè quell'immenso, preziosissimo dono dell'ipostatica unione della divinità vostra
colla umanità, chi potrà computare il peso e valore di quanto per mezzo di questo dono, ha ricevuto,
riceverà e godrà per tutti i secoli l'umanità vostra santissima?
Asc,9006a:T19,2
In virtù dunque di questo solo talento che per causa nostra riceveste, osiamo interrogarvi, o Signore,
se avete lucrato a nostro vantaggio tutto ciò che l'immenso valore, o peso di quella può agguagliare?
Oh quale guadagno possiamo noi credere che sia per renderci un cotanto capitale nelle mani di un sì
buono e sollecito negoziante! Che occorre più meravigliarci, o Signore, se ci diceste che
domandiamo in nome vostro quanto vogliamo, e vi siete obbligato con giuramento a concederci
ogni cosa330, mentre non a sorsi sgorgarono come negli altri uomini, ma per quella ineffabile unione,
oltre ogni misura vennero in Voi le grazie, i doni, le virtù, insomma la pienezza di tutti i beni
desiderabili331?
Lasciamo, sì lasciamo pure di meravigliarci, se il nostro Gesù ci ha donato con se stesso il cumulo
di tutti i beni332; giacché Egli per cagione nostra ha ricevuto un dono che contiene un tesoro infinito,
poiché essendosi Iddio fatto uomo, l'uomo fu assunto all'essere Dio, e per conseguenza Gesù Cristo
è Dio-Uomo.
Anzi, sebbene ritornato da questo mondo al Padre, sia nel Cielo Pontefice in eterno, non per questo
tralascia di far fruttare a nostro vantaggio il talento della gloria, che per cagione nostra ivi gode;
poiché se per nostro beneficio discese dal Cielo, pure per bene nostro di nuovo vi ascese, ed ivi
siede in gloria alla destra di Dio Padre onnipotente, ove continuamente la fa da avvocato nel
perorare la nostra causa, né cessa mai dal procurarci con grande istanza le grazie necessarie ed
opportune.
E non basta; supremo e principale nostro pastore, largamente comunica agli altri pastori le sue
facoltà, ed il suo potere perché se ne valgano a beneficio nostro, rimettendo i peccati333, conferendo
la grazia, e procurando i mezzi per accrescerci i meriti od i premi per la vita eterna.
Asc,9006a:T19,3
Pertanto, o dolce Gesù, ve ne preghiamo, fate l'officio che per vostra bontà vi siete assunto,
adempitelo compitamente, riprendeteci, esortateci, ed emendateci con la consueta vostra dolcezza,
pazienza ed efficace ammaestramento, perché, così facendo, ne ricaviate il frutto del vostro talento,
cioè la salute dell'anima nostra alle vostre mani raccomandata.
Ma non fa mestieri di raccomandarci a Lui, poiché prova Egli sommo gusto e soddisfazione quando
noi desideriamo, e veniamo a Lui per domandare; anzi ci consiglia, ci invita, ci esorta a domandare;
ardentemente desidera che riceviamo e godiamo dei grandi beni, onde con tanti stenti e dolori ci
volle arricchiti.
Eppure siamo sì ingrati ed indolenti, che per profittarne aspettiamo che ci faccia violenza, e
costringa ad accettarli.
Che se proverebbe sommo cordoglio un figliuolo di Re, il quale andato ramingo per il mondo
patendo fame, sete, affronti, vituperi e ferite per adunare tesori ai suoi sudditi, li scorgesse poi,
sebbene poveri e bisognosi, talmente disprezzare le sue ricchezze che neppure si degnassero di
venire a palazzo per riceverle in dono; quale atroce ingiuria non faremo al cuore di Gesù nulla
curandoci dei suoi doni così preziosi, e da Lui con patimenti e disagi per puro nostro amore
raccolti?
Di così fatto disprezzo si dolse Egli con S. Birgitta, allorché dopo aver questa sua serva udito una
predica della Passione, la notte seguente le comparve confitto in croce, e tutto sangue, parlandole
intanto della sua Passione amarissima; e da lei richiesto chi mai l'avesse così crudelmente
crocifisso, rispose essere quelli che poco stimano il suo amore, col non giovarsi a propria salute
della sua misericordia infinita.
Asc,9006a:T19,4
Dunque, o Gesù, noi vi crocifiggiamo, disprezzando questa eccessiva vostra carità con cui talmente
ci amaste, che per noi vi deste alla morte, anteponendo la salute della povera anima nostra alla
stessa vostra preziosissima vita! Dunque sprezzando la propria nostra salute, sprezziamo insieme la
vita vostra, poiché sprezziamo quello che Voi amaste più della vostra vita, e mentre siamo nemici e
crudeli contro di noi, lo siamo assai più contro di Voi, o Gesù, col disprezzarvi e crocifiggervi!
Se pertanto non ci sta a cuore il proprio bene, né curiamo di rimanerci sepolti in mille peccati e
laidezze, non avremo noi almeno orrore di crocifiggere altra volta il nostro amabilissimo Redentore
col disprezzo delle sue grazie334? Ed avremo cuore sì duro da novellamente lacerare quel corpo,
fargli spargere vivo sangue per nostra cagione? E chi fu mai sì crudele ed ingrato, che abbia ucciso
l'amico perché con grandi sacrifici e dolori gli volle far parte dei beni suoi, od a lui lasciare la sua
eredità? Così fatta barbarie e fierezza certo non si udì mai! Oh mostri dunque, e non uomini, coloro
che tale cosa pensassero anche solo di fare! E pure noi fummo quei mostri di fierezza e crudeltà
coll'amico nostro Gesù!
Ma no! Non sarà più così; d'ora in poi vogliamo a Voi ricorrere, perché ci doniate quanto per noi
guadagnaste. Spandete pure sopra di noi le vostre misericordie, i tesori del vostro amore, e fate che
dove abbondò il peccato, ivi soprabbondi la grazia335.
Vogliamo portarvi questa consolazione, affinché il mondo conosca quali tesori di beni la vostra
Santissima umanità ci abbia acquistati. Oh con quanta confidenza dobbiamo accostarci a domandare
a chi ha maggiore desiderio di dare che non noi di ricevere, anzi si disgusta se non domandiamo!
Oh tesoro nascosto ai savi e prudenti del secolo, e rivelato ai piccoli e poveri di Cristo336, cui non
solo è data grazia di conoscerne le misteriose ricchezze337, ma inoltre appartiene lo stesso Regno dei
Cieli338!
Asc,9006a:T20
Tesoro XX. Gesù adirato
Asc,9006a:T20,1
Siccome dobbiamo sempre, ed in ogni luogo guardarci da quelli che per loro natura ci odiano339, il
demonio, il mondo e la carne, ancorché ci si mostrino amici ed accarezzino, così all'incontro
dobbiamo sempre fidarci di chi di sua natura ci è amico e benevolo, quale il nostro Gesù, sebbene
compaia talora in sembiante di persona che percuote, ferisce, ed uccide; essendo verissima la
sentenza dello Spirito Santo, essere migliori le ferite che vengono da chi ama, che i falsi baci di chi
odia340. Epperò sotto qualsivoglia sembiante ci venga in mente il nostro caro amico Gesù, siamo
certi che Egli è sempre per noi tesoro, salute, medicina, speranza, propiziazione; insomma è la
nostra vita, ed ogni bene, in modo che possiamo dire con Giobbe, quand'anche Egli ne desse
morte341, non lasceremmo di mettere in Lui ogni fiducia, lo invocheremmo, ed a Lui
raccomanderemmo l'anima nostra. Conciossiaché sebbene da quelle cose tutte, le quali
lodevolmente temiamo, anche lodevolmente ce ne allontaniamo e fuggiamo342; tuttavia Dio solo è
quegli che di tale maniera deve essere da noi temuto, che quanto più lo temiamo, tanto più a Lui ci
accostiamo. Perché veramente quanto Egli è in se stesso, quanto opera e dispone, sia di prospero sia
di avverso, dolce od amaro che ci sembri, tutto dispone per accrescimento del nostro tesoro.
Onde con ragione si meraviglia il Santo Giobbe, del non ricevere noi dal Signore ogni cosa con
uguaglianza d'animo. Se di buona voglia, dice egli, riceviamo dalla sua mano le cose buone e
gradevoli, perché non facciamo lo stesso quando ce le dà contrarie e disgustose343? E giustamente,
poiché da Colui che è fonte d'ogni beneficenza non può scaturire altro che beneficio, e tutto che si
collega alla immensa ed infinita carità, che è il nostro Gesù, tutto respira amore e tiene gusto di
carità.
Asc,9006a:T20,2
Qualunque sia pertanto il nome che di questo Signore si predica, ora di clemenza e d'amore, ora di
sdegno e di minacce, sempre porta in fronte misericordia e pietà per chi bene lo conosca; perciò
disse Davide: “Sperino in Voi quelli che conoscono il nome vostro344”; ed altrove parlando in
persona di Dio disse: “Io lo proteggerò appunto perché conobbe il nome mio345”. E notiamo che
disse assolutamente il mio nome, non già questo o quello in particolare, per manifestarci che
qualsivoglia nome che di Dio si dica, se sano abbiamo l'intelletto è nome pieno sempre di speranza
e di protezione.
Si dica pure dunque, che siete adirato, perché chi sa conoscere la grandezza dell'ira vostra, sa pure346
che nel colmo del vostro sdegno non vi potete trattenere dall'usare misericordia347, di modo che
dallo stesso sfogo, per così dire, della vostra collera, sorge e risplende in modo più sublime e
glorioso la pietosissima vostra bontà.
Iddio fa mostra dell'ira sua a fine di darci a conoscere la soprabbondanza delle sue misericordie348,
d'onde ne segue che quando si mostra più adirato, allora appunto è tempo opportunissimo di
cercare, sperare ed ottenere la sua misericordia349; e ciò vuole mostrarci Davide dicendo: “Allorché
subitamente l'ira di Lui divamperà, beati tutti coloro che si confidano in Lui350”.
Solo dunque viene l'ira di Dio sopra i figliuoli contumaci351, poiché se venga sopra i figli che in Voi
santamente confidano è cosa di un punto, dicendoci Voi per il Profeta: “Nel momento dell'ira ascosi
per poco a te il mio volto, e con sempiterna misericordia ho avuto di te pietà”, dice il Signore che ti
ha redenta352.
Asc,9006a:T20,3
Soggiunge lo Spirito Santo…
Soggiunge lo Spirito Santo, che tutte le cose hanno il loro tempo e luogo353: quale luogo e quale
tempo assegneremo alla misericordia, se non quello di maggiori angustie e miserie? Ora chi potrà
spiegare quale miseria e strettezza sia non già sapere, ma anche solo sospettare che Iddio resti
contro di noi adirato? Al Venerando San Giobbe, tuttoché fosse di cuore generoso ed intrepido, non
bastava l'animo di soffrire così fatta pena, e bramava meglio di serbarsi ascoso nell'inferno fino a
tanto che passasse il suo furore354.
Se pertanto il giorno dell'ira è giorno di calamità grande e di miseria, sarà pure giorno opportuno e
proprio per esercitare la misericordia; onde l'ira stessa è quella che prepara il luogo e dispone il
tempo delle misericordie, ed in certa maniera svela il Signore, e come dice il Profeta, gli ricorda che
allora è il tempo più proprio di usarci misericordia355.
E questo avviene perché i pensieri di Dio, non sono come quelli degli uomini356, i quali quando
stanno adirati non volgono altro per la mente che vendette, ferite, sterminio e morte di coloro contro
i quali sono in furore. Ma il nostro Dio, cui è proprio e connaturale l'usare continuamente
misericordia e perdono357, è talmente alieno dallo stare adirato, che nello sdegno ed ira sua, ciò che
mostra al di fuori sembra collera, ma in effetto è misericordia e salute, perché a questo fine la ordina
la maestà sua, onde se nella sua indegnazione flagella, col suo favore però ne dà vita358.
Così dunque essendo la cosa, o Gesù, ancorché siate adirato, non vi allontanate punto dai vostri
servi359, giacché anche nello sdegno siete molto a noi propizio e favorevole.
Asc,9006a:T20,4
Noi vi brameremmo in vero sempre benigno e piacevole, ma siccome per negligenza e torpore suole
il nostro spirito starsene sonnacchioso e pigro, ci torna a conto, o Signore, che di quando in quando
vi mostriate con noi sdegnato e con questo mezzo inchiodiate col vostro timore le carni nostre360,
moltiplicandoci le pene e le afflizioni in modo che per codesta ira vostra si perfezioni la nostra virtù
e si assodi.
Adiratevi pure, ve ne preghiamo, o Signore, adiratevi contro di noi, a questa condizione però, che
non vi scostiate da noi neppure un tantino, né permettiate che ci sdegniamo contro di Voi, o
veniamo ad offendervi anche in minima cosa.
Vi sovvenga Signore nostro, che Voi stesso ci prescriveste la maniera di vendicarci dei nostri
nemici, cioè non altrimenti, che col beneficarli361: e se hanno fame e sete, porgiamo ad essi il
necessario ristoro di cibo e di bevanda.
Ora in noi, eccovi ai piedi altrettanti poveri affamati, ed arsi dalla sete della vostra carità ed amore.
Siamo forse al vostro sguardo in peggiore condizione dei nemici, ai quali ci comandate che nessuna
di siffatte cose neghiamo? Rendeteci perciò questo solo bene, cioè l'amore vostro invece di tutti
quei mali che contro di Voi abbiamo commesso.
Adiratevi pure, o Signore, di nuovo ve ne supplichiamo, ma in modo che tutto ci torni a salute; e
quand'anche vi adiraste contro di noi per causa dei nostri peccati, vi preghiamo di adirarvi pure
contro gli stessi peccati nostri a fine di distruggerli, e sradicarli affatto da noi, quindi per indirizzarci
alla perfezione e santità.
Castigateci insomma, e non ci risparmiate la sferza, ma fatelo come padre con i figli che ama362;
tanto più, che ogni sferza o disciplina, sebbene nel presente sembri apportatrice di tristezza e di
amaritudine, dopo però, tranquillo frutto di giustizia rende a coloro che in essa siano stati
esercitati363.
Asc,9006a:T20,5
E per verità…
E per verità, volendo Iddio essere da noi amato non tanto per causa della consolazione e gusto,
quanto per quello che Egli è in se stesso e sopra tutte le cose, perciò fa mostra di voler passare
oltre364 senza darci un benigno sguardo: talora di gran mattino ci visita con qualcuna consolazione,
ma poi repentinamente ci mette alla prova365.
Per questo ci dice366, che se ne va da noi e viene a noi, e soggiunge che ci torna molto a conto che se
ne vada, perché altrimenti non verrebbe a noi lo Spirito Santo consolatore367; per questo talvolta
preghiamo e pare che non senta; se ci presentiamo a Lui, pare che volga altrove la faccia, che ci si
cangi in crudele, ci si mostri a spada tratta nemico368 poiché, sebbene sempre in realtà ci sia
dolcissimo amico, ed amorosissimo padre, tuttavia è conveniente che alcuna volta ci si mostri
adirato, anzi quasi nemico, acciocché non siamo scherniti e calunniati da Satana, il quale potrebbe
poi dire che serviamo Iddio solamente perché ci colma di consolazione e di beni. Disse il tentatore:
“Forse che Giobbe teme Iddio senza suo interesse? Non avete voi messo in sicuro lui e la sua casa e
tutti i suoi beni all'intorno? Non avete voi benedette le fatiche delle sue mani369?” Stenda dunque un
poco Iddio la mano sua contro di noi, e ci tocchi nella sanità, od in quanto possediamo di ricchezze
e di onori, e così resterà manifesto a noi ed al mondo tutto se amiamo Dio per se stesso, oppure solo
per i doni suoi.
Asc,9006a:T20,6
Concludiamo dunque che quella apparenza di sdegno è una prova che Iddio fa del nostro amore per
Lui, è come una fornace nella quale si perfeziona e si affina l'oro della nostra carità370; è una scuola
alla quale s'impara a conoscere, si esamina e si prova di quale lega sia il nostro amore verso Dio.
Perché siccome Egli ci diede caparra certa dell'amore suo coll'aver dato il proprio Figlio alla morte
per noi, sebbene gli fossimo tuttora peccatori e nemici371, così noi ancora dimostriamo l'amore
nostro verso Dio, quando con tutto il suo mostrarsi adirato, nulladimeno lo amiamo, e siamo anche
disposti a morire per amore suo.
Prendete pure dunque, o buon Gesù, quel sembiante che più vi aggrada; sarà nostro volere il volere
vostro; solo esaudite la nostra domanda, ed è questa, che sempre continuiate ad amarci, e così amati,
sopra ogni altra mercede amiamo Voi; perché troppo grande ricompensa al nostro amore sarà, se vi
degnerete di amarci.
Asc,9006a:T21
Tesoro XXI. Satana nemico di Gesù e nostro
Asc,9006a:T21,1
È vero, o Signore, noi possediamo un certo paradiso di tesori e di ricchezze, ma pure ci affligge il
timore di esserne spogliati, perché sta nella strada un fiero leone che di continuo va in volta, e
rabbiosamente ruggendo cerca chi divorare372: sta in agguato, e ci tende insidie giorno e notte373. Né
ci pare fuori di ragione questo timore, poiché non abbiamo da lottare con la carne e col sangue374,
ma coi principi e con le potestà del mondo tenebroso.
Questo dragone, o Signore, è tanto satollo di veleno e di malizia, fraudolente ed astuto, che molte
volte si trasforma in Angelo di luce, ed in tale guisa inganna e vince anche i più forti e valorosi.
Non vi è possanza sulla terra, che a lui si paragoni, il quale fu fatto per non aver paura di alcuno375.
Essendo perciò tale e di tanta possanza e malignità questo mostro, chi potrà stargli a fronte o fare
resistenza?
Ciò nulla di meno stiamo pure di buon cuore, perché Iddio ha così disposte le cose tutte per nostro
bene, che abbiamo non solo motivo di stare senza timore, e confidare che liberi dalle mani dei nostri
nemici376, serviremo al nostro Dio con santità e giustizia nel cospetto di Lui per tutti i nostri giorni,
ma possiamo inoltre col santo vecchio Zaccaria ripetere che da Lui ci venne la liberazione dai nostri
nemici, e dalle mani di tutti coloro che ci odiano377.
Se avessimo ruminato colla mente e ben impresso nel cuore quello che ogni dì canta la Chiesa,
invece di lasciarci sbattere qua e là dallo scoraggiamento e tremare dove non vi è occasione di
temere378, ci saremmo non solo burlati dei nostri nemici, ma avremmo anche scoperto un grande e
molto ricco tesoro.
Asc,9006a:T21,2
Consideriamo perciò attentamente chi sia questo nemico. Prima di tutto non è in sostanza nemico
nostro, ma di Dio: contro di Lui pretende principalmente di sfogare l'odio suo, e quando ci affronta,
non a noi, ma a Dio in noi si sforza di fare affronto ed ingiuria; a quel Dio, cioè, la cui somiglianza
disordinatamente ambì di arrogarsi.
Onde ne viene che Dio stesso è pure nemico principale di questo infernale mostro; epperciò noi
siamo soldati di Dio, il quale vuole essere Egli stesso nostro generale Capitano: combattiamo è
vero, ma combattiamo per Dio, in compagnia di Dio379; anzi Iddio combatte in noi e per noi, anzi
per se stesso, e per dire meglio, Iddio e noi combattiamo insieme concordemente, Egli per noi e noi
per Lui.
Ma per quale ragione, o grande Iddio, essendo Voi un Signore tanto potente e forte nelle battaglie380,
voleste piuttosto esporre noi a sì pericolosa zuffa con questo infernale dragone, forte ed astuto, noi
che siamo fragilli e deboli, polvere e cenere?
Oh altezza immensa delle ricchezze della sapienza e scienza di Dio, quanto incomprensibili sono
veramente i vostri giudizi ed imperscrutabili le vostre vie381! Per tale impresa vuole Iddio valersi
della nostra fiacchezza382 e viltà, appunto per confondere ed atterrare la superbia ed arroganza di
colui che ambì, e vanamente presunse di ascendere sopra le stelle del Cielo, porre il suo seggio sul
monte santo di Dio, ed essere in questo modo simile all'Altissimo; vuole valersi del nostro nulla per
rinfacciargli la sua viltà e debolezza; e così si riconosca neanche paragonabile all'uomo colui che
per la sua temeraria superbia orgogliosamente pretese essere pari e simile a Dio.
Asc,9006a:T21,3
Anzi, sdegnò Egli…
Anzi, sdegnò Egli di porre a singolare tenzone con questo suo nemico l'uomo forte e robusto; sì per
superarlo ed abbatterlo elesse la donna di condizione più debole e fragile, e perciò gli intima quel
duello mortale: “Io porrò inimicizie tra te e la donna, e tra il seme tuo e il seme di lei. Ella
schiaccerà la tua testa e te la ridurrà in polvere”, come appunto significa la parola conteret: anzi,
quel nemico che combatteva già cogli Angeli sublimi, non oserà per lo innanzi combattere alla
scoperta neppure con deboli donnicciuole, ma tenderà insidie alla loro parte più abietta e debole,
cioè al calcagno383.
Poteva dunque Iddio farci conoscere più sprezzabile, più codardo e di minor conto questo suo e
nostro nemico?
Entra pertanto lo stesso Dio in questo combattimento contro l'infernale dragone non con la maestà
sua, ma con la nostra debolezza, ponendogli a fronte la nostra condizione e natura, affinché il
Demonio inventore della morte fosse vinto da quella, per mezzo di cui già egli era stato vincitore.
Che se Iddio Capitano generale di questa battaglia ha eletto noi deboli e fragili per opporci in
duello, corpo a corpo con nemico sì forte, non avrà Egli forse pensato a darci gli aiuti necessari
perché riusciamo vittoriosi? Ah! Non solamente Egli ci servirà di scudo e riparo, sì che riposare ci
potremo confidentemente sotto le ali della sua protezione384; ma inoltre ha commessa la cura di noi
ai suoi Angeli, ed essi in tutte le vie nostre ci saranno custodi: ci sosterranno con le loro mani,
affinché sgraziatamente noi non urtiamo col piede nel sasso.
Cammineremo sopra l'aspide e sopra il basilisco, e calpesteremo il leone ed il dragone385.
Asc,9006a:T21,4
Poiché avendo Iddio minacciato che da una donna gli sarebbe stata fracassata e stritolata la testa,
come già si adempì per mezzo di Maria Vergine sopra ogni altra benedetta, non permetterà che
rialzi orgogliosamente il capo contro la propria sua divina persona.
Pertanto abbiamo da combattere bensì, ma con un dragone senza testa, il quale può tendere insidie
al nostro calcagno; può girare attorno ed assaltare la rocca della nostra volontà con rumori, grida e
minacce, ma non atterrarla, né prenderla a viva forza o danneggiarla, perché ella è libera ed
inespugnabile, se volontariamente non ci arrendiamo.
Oh i grandi vantaggi che abbiamo in questo combattimento! Poiché quanto perseveremo in fargli
testa, altrettanto riusciremo vincitori: anzi in così fatta tenzone, non solo non ci può ammazzare
questo nostro nemico, ma nemmeno ferire, se non lo vogliamo noi; ed affinché ciò non accada,
sempre abbiamo al fianco l'aiuto di quegli che tiene inimicizia capitale con questo nostro
avversario, e per altra parte è fedelissimo amico, fratello, padre, sposo e balio nostro, il quale ha
promesso di darci quanto in ordine alla salute gli domanderemo, e certo non manca alla sua parola.
Conosce Egli pure la debolezza nostra, ma armandoci di sua fortezza386, non teme di esporci a
singolare certame con questo comune nemico per difesa dell'onore suo; poiché Egli tiene in potere e
volontà sua le forze nostre, ugualmente che quelle del nemico nostro: sempre Egli è presente ai suoi
soldati mentre combattono per l'onore suo; né sta soltanto quasi spettatore, sì al fianco per aiutarci a
combattere generosamente e con gran forza; anzi, a noi si presenta come premio, corona e
mercede387.
Possiamo pertanto dire con tutta fiducia che, essendo Iddio il difensore della nostra vita, non
abbiamo di che temere388.
Asc,9006a:T21,5
Certo che se anche vedessimo un esercito intero schierato contro di noi, non dovrebbe scemarsi nel
cuore nostro il coraggio; e se già vedessimo cominciarsi contro di noi la zuffa, ce ne dovremmo
stare appunto per questo armati di grande confidenza; e con ragione, poiché il potere e la forza del
nostro nemico per combatterci è limitata, ma la fortezza, fermezza e potere nostro non verrà meno,
perché Iddio stesso onnipotente è quegli che ce lo va somministrando, affinché possiamo resistere,
assaltare, combattere e vincere.
Vorrebbe questo maligno tentarci di continuo, è vero, ma il più delle volte vanamente si sforza;
mercecché solo può tentarci quando ne ha licenza dal nostro Capitano, Re, Dio e Padre nostro389.
Infatti a saziare le sue brame neanche potè una volta entrare in quel gregge di porci, ma fu
necessario che prima chiedesse e ne avesse licenza da Gesù, al cui cenno tutto il creato si regge e
governa390.
Così pure non potè sfogare la sua rabbia contro gli armenti; e la persona di Giobbe391, se non
secondo il modo e tempo prescrittogli da Dio, il quale in ogni conflitto o somministra ai suoi soldati
la forza, o la sottrae ai suoi avversari.
Infatti quale re, dovendo fare guerra contro un altro re, non darebbe ai suoi prodi le migliori armi e
più forti, o potendolo, non toglierebbe al nemico ogni munizione che gli potesse giovare ad ottenere
la vittoria?
Permette bene Iddio, e concede qualche arma e forza a codesto suo e nostro nemico, ma non perché
ci vinca od atterri, sì solo ci possa fare guerra, e così combattendo contro di lui, veniamo a
riportarne vittorie e corone392; epperciò come ci diede sinora il nostro Capitano e Re Gesù Cristo
armi fortissime, così sempre ce ne andrà somministrando altre quando ne sia bisogno, e vorremo
servircene: anzi, perché imparassimo bene a maneggiarle, Egli il primo le adoperò, quando permise
al nemico d'accostarsi a tentarlo, affinché sapessimo quanto facilmente e presto possiamo coll'aiuto
suo ribattere e rendere vani i rabbiosi suoi colpi.
Asc,9006a:T21,6
Volle di più la divina Sapienza…
Volle di più la divina Sapienza che avessimo alla nostra custodia non solamente gli uomini e gli
Angeli santi, ma in certo modo gli stessi Demoni nostri accaniti nemici.
Abbiamo noi mai infatti considerato come Satana, malgrado suo, contribuì a custodire nell'apostolo
Paolo quel gran tesoro dell'umiltà?
“Affinché la grandezza delle rivelazioni non mi levi altura, dice egli, mi è stato dato lo stimolo della
mia carne, un Angelo di Satana che mi schiaffeggi393”.
Ed ecco in quale modo questo superbo nemico fu fatto custode dell'umiltà nel soldato di Cristo e
come combattendoci, suo malgrado ci difende, e mentre si sforza di distruggerci, ne conserva.
Infatti la iniquità del Demonio non cadde forse sulla testa di lui quando, con ingiustissimi odi, si
sforzò d'accendere gli animi dei Giudei contro Gesù Cristo, facendogli spargere il sangue, onde si
operò il riscatto del genere umano394?
Sia pertanto nostro conforto il sapere come il nostro Re e Signore si serve delle armi e macchine
stesse di lui per la sua gloria, per il nostro bene e per la confusione del nemico395.
Non vogliamo perciò abbandonare per infingardaggine il posto in cui Cristo ci ha messi, perché
quivi appunto proveremo l'aiuto del Signore: guardiamoci dall'accondiscendere mai alle lunsinghe
del tentatore, il quale con insidie, inganni ed assalti vorrebbe che da noi medesimi, disertando la
nostra bandiera, ci gettassimo nel profondo, ed insomma, con le proprie mani ci dessimo alla morte
e perdizione eterna, sapendo egli che non può farci male di sorta, se pure noi non lo vogliamo.
Asc,9006a:T21,7
O Signore, esaudite la nostra supplica, privateci di questo potere, come già ne privaste il nostro
nemico. Voi lo proibiste di danneggiarci, e sebbene abbia preteso, e di continuo si sforzi di
nuocerci, non mai però ha potuto trasgredire il vostro divieto. Ora noi, vostri figli, vi domandiamo
in grazia, che da Voi ci sia intimata la stessa proibizione, e ci sia tolto il poter danneggiare noi
medesimi; perché non farete Voi con i figli quanto faceste con il comune nemico per il nostro bene?
E che ci gioverà l'averci liberato da tutti gli avversari, se non ci liberate da noi medesimi, mercecché
noi stessi siamo i più pericolosi nemici dell'anima nostra, dacché ci facemmo a Voi ribelli396?
Che se dobbiamo stare di buon animo, perché attesa la sua infallibile promessa Iddio ci accorderà,
se lo pregheremo, la vittoria compiuta dei nostri nemici e di noi medesimi, tuttavia avvertiamo bene
che, non ci accorderà tale vittoria senza di noi, cioè senza cooperazione, perché ci vuole partecipi
alla battaglia, se bramiamo essere a parte della corona; onde ne dice S. Agostino, ha Dio disposte
tutte le cose a nostro vantaggio in modo che anche le passioni ed i difetti medesimi ci servano come
di scala per arrivare a maggior altezza di gloria nel Cielo397.
Di quanto guadagno pertanto ci sarà questo combattere sopra la terra, e di quanto splendore e gloria
sarà ai combattenti! Nelle battaglie di questo secolo chi combatte, ancorché usi ogni industria e
forza, non perciò riesce sempre alla vittoria, ma sotto lo stendardo di questo nostro Capitano
ognuno riporta premio o corona proporzionata al suo combattere; anzi, combattendo noi al servizio
di Dio, se veramente vogliamo vincere, già abbiamo vinto, poiché se non ci diamo volontariamente
per guadagnati, non vi è forza creata che ci possa costringere al consenso, né superare: ma perché
questo volere è un dono della misericordia di Dio, dobbiamo perciò a Lui domandare molto di cuore
questa buona e ferma volontà di resistere e combattere, e con tutta sicurezza e fiducia, appoggiati
all'infallibile sua promessa sperare di vederci esauditi.
Asc,9006a:T21,8
Forse sarà più pronto sollecito il Demonio a rovinarci, che non Voi Iddio nostro Padre e redentore a
salvarci? Certa cosa è che l'amore vostro, o Signore, verso di noi supera infinitamente l'odio che
Satanasso ci porta.
Ora come sarà più potente l'odio di un miserabil Demonio per nuocerci, che l'amore di un Dio per
sollevarci?
Noi domandiamo perciò umilmente il vostro soccorso per potervi amare, lodare, onorare e servire; e
sia questo disprezzare, confondere, e calpestare noi medesimi per amore di Voi, assoggettandoci
perfettamente al vostro divino volere; e perché tutto questo ridonda a maggior vostra gloria e
vantaggio nostro, abbiamo ferma fiducia di andarne esauditi.
Asc,9006a:T22
Tesoro XXII. L'eccesso della divina pietà
Asc,9006a:T22,1
Ci sono pure conosciuti quanti canali di grazie scaturiscano da questo fonte dei fonti Cristo Gesù,
donde possiamo con grande consolazione attingere acque salutari ed immensi tesori. Ciò non di
meno se cercheremo più addentro, ci sarà dato di trovare altre miniere non meno ricche ed
abbondanti.
Ma a che possono giovarci tutti i tesori promessi, se attorniati da miseria, non solo ci riconosciamo
vacui di ogni bene, ma incapaci pure d'avere un buon desiderio? Il vigore del nostro spirito è
inaridito, come un vaso di terra cotta398, e talmente ci sentiamo svigoriti e di mala voglia per ogni
bene, che non sappiamo come alzare la mente a qualche buon pensiero399. Non vi è sete in noi di
quelle acque salutari, né forza da cavarne una gocciola.
E dovremo per questo disperarci od allontanarci da Dio, che è nostro bene e nostra salute? No,
certamente, perché siffatto allontanarci offenderebbe più d'ogni altra cosa, e sarebbe a noi grave
danno. Non ci partiamo perciò da questo fonte400, anzi, poniamoci a sedere sopra con Cristo Gesù, il
quale, a chiunque starà vicino a Lui, offre quell'acqua che sale fino alla vita eterna.
E non vediamo noi quanto Egli sia pronto a dare consiglio e conforto nelle angustie, quanto
disposto a soccorrerci nelle necessità, a consolarci nelle tribolazioni? Come ne liberi quelli che
confidano in Lui? E quante volte, per l'abbondanza della sua pietà, superi non solo i meriti, ma pure
i desideri di chi lo prega di aiuto401?
E da questo fonte di pietà, che non si seccherà mai, non potremo noi avere ed aspettarci più di
quanto sappiamo desiderare e domandare?
Ci è sfuggito forse dalla mente il modo con cui Egli stesso ci esorta ad aspettare l'aiuto suo? Per
bocca del profeta dice: “Aspetta il Signore, diportati virilmente, e prenda vigore il cuore tuo, e
aspetta pazientemente il Signore402”.
E di se stesso dice Davide: “Aspettai ansiosamente il Signore, ed Egli a me si rivolse”; anzi
soggiunge: “Esaudì le mie orazioni e dall'abisso della miseria mi trasse, e dal sordido fango403”;
perché la confidente perseveranza nell'aspettarlo è come orazione che fa violenza al cuore suo.
Asc,9006a:T22,2
Ma donde il meravigliarci che Dio prontamente soccorra quelli che seco Lui stanno uniti, se la sua
bontà è tale che corre dietro non solo a chi lo offende e lo fugge, ma offre graziosamente e fa quasi
dolce violenza, perché siano accettate le sue grazie da quelli che lo perseguitano?
Non era egli Paolo senza merito, né alcun buon desiderio? Anzi non era pieno di demeriti e pessimi
intendimenti? Non si era egli fatto baluardo contro la Chiesa di Gesù Cristo che con grande ardore
perseguitava404?
Eppure vediamo quale edificio di santità sublimissima abbia Iddio per eccesso di sua carità
innalzato sopra di lui. Disfece questo muro, atterrò questo baluardo, e di sua mano pose sopra di lui
un nuovo fondamento tanto più profondo quanto più alto voleva innalzare l'edificio; vi aggiunse
pietre preziose e tali che servirono per salda e fortissima rocca a difesa della Chiesa, per edificarvi
nel mezzo cotanto altissima torre, donde venisse a manifestarsi il nome di Gesù Cristo in tutte le
genti405.
Asc,9006a:T22,3
Più d'ogni altro poteva dunque egli dire: “È Dio potente per fare che abbondiate voi d'ogni bene,
talmente che abbondiate in ogni buona opera406”.
Perciò la Chiesa madre nostra Santissima conoscendo questo infinito tesoro ce lo addita nel divino
Sacrificio, insegnandoci a pregare così407:
“Onnipotente sempiterno Iddio, che per l'abbondanza della tua pietà nel dare, eccedi i meriti e
desideri di quelli che di cuore a te ricorrono: spargi sopra di noi la tua misericordia, sì che ci
perdoni quello di cui teme la nostra coscienza, ed aggiunga ciò che l'orazione nostra non presume di
chiederti”.
Ora è da riflettere su questa parola effunde, cioè spargi, la quale significa dare con abbondanza, con
liberalità, senza contraccambio o riscuotimento di prezzo, senza che si guardi al merito; insomma, si
offre a chiunque ne voglia ricevere.
Ed invero consideriamo quanto la pietà del nostro Dio sia stata al di là d'ogni nostro merito e
desiderio o bisogno, allorquando per amore nostro il Figliuolo di Dio si impicciolì, e volle che il suo
sangue fosse sparso come acqua e le ossa sue slogate408. Oh quale e quanto grande fu veramente
quel prodigio di amore che volle compiere in Gerusalemme!
Dopo tutto qualsivoglia altra cosa domandiamo, bramiamo o speriamo da Lui, ancorché ecceda ogni
nostro merito, non mai uguaglierà e molto meno potrà sorpassare l'eccesso della sua carità, o
apparire eccessiva rispetto a quella infinita con la quale ci amò ed operò la nostra salute.
Asc,9006a:T22,4
Badiamo però che questo nostro aspettare il soccorso divino non sia come quello di Ozia, il quale
determinò di dare la città di Betulia in potere degli Assiri, se Dio non la soccoresse fra cinque
giorni409; mercecché un così fatto aspettare sarebbe tentare Dio e provocarlo a spargere castighi, non
misericordie. Dobbiamo anzi essere così fermi e perseveranti nell'attendere che, quasi altro
Giacobbe, non cessiamo dal fare alla lotta con Dio, né lasciarlo andare se prima non ci avrà
benedetti410.
E se dopo molto aspettato e sperato, tutto ci succederà all'opposto di quanto speravamo, non ce ne
affliggiamo perciò, né perdiamo speranza; sì siamo costanti come il fedele Abramo411 ed il suo vero
figlio Davide, che diceva di se stesso: “Io sempre spererò, e laudi aggiungerò a tutte le laudi tue412”.
Anzi, imitiamo il santo Giobbe, il quale ancorché sepolto in tante disavventure animosamente
diceva: “Quand'anche Egli mi desse morte, in Lui spererò413”. Così facendo, potremo starcene
sicurissimi del soccorso, vivremo e non saremo confusi; perché questa tardanza che fa lo sposo e
questo suo fare mostra di trascorrere più oltre senza guardarci, o differire a venire in soccorso e
concederci quanto da Lui speriamo e domandiamo, non da altro proviene che dal tesoro
dell'eccessiva sua pietà, la quale, dopo aver provata la nostra fede e pazienza in aspettarlo, vuole poi
accordarci assai più di quanto sappiamo da Lui sperare, desiderare o chiedere.
Non volle il Signore sanare Lazzaro, che sarebbe stata grande grazia e meravigliosa, ed appunto non
lo volle per risuscitarlo poi; il che fu grazia senza paragone, maggiore e stupenda414.
Tirò in lungo la liberazione della figliuola della Cananea, ma per renderne più stabile e meravigliosa
la fede e perseveranza; il che fu per lei molto più utile e glorioso415.
Volle Iddio differirci il talento che gli domandiamo, per rendercelo tanto più moltiplicato coi suoi
frutti416. Perché dunque saremo così diffidenti con Dio, che tardando Egli un poco il concederci
quanto da noi si domanda, ci facciamo freddi verso di Lui ed abbandoniamo il suo servizio?
Asc,9006a:T22,5
Concludiamo pertanto, e siamo fermamente persuasi essere il nostro Dio di tale condizione e natura,
che per l'innata sua pietà tutto dispone a maggior nostro bene417, di modo che quando desideriamo o
domandiamo cose che ci paiono utili e proficue al nostro sprirituale vantaggio, sia che ce le conceda
subito o le differisca, o del tutto le neghi o disponga in qualsivoglia altro modo, sempre dobbiamo
tenere per infallibile che Egli fa tutto per il nostro meglio, e sempre nel darci, eccede ogni nostro
merito e desiderio.
Asc,9006a:T23
Tesoro XXIII. I Benefici di Dio
Asc,9006a:T23,1
Siccome non vi è tra i fedeli chi non riconosca Iddio per vero e solo donatore di ogni bene418, così
da qualunque dei suoi benefici può l'anima nostra arricchirsi di infiniti tesori.
Poiché, sebbene quanto da Lui si riceve, sia poniamo anche di non grande rilievo, essendoci però
dato un Dio, porta seco una certa virtù divina che aumenta il primo dono e lo perfeziona. Anzi è
come preziosa semente, donde continue germogliano altre serie di nuovi ed innumerabili benefici di
cui, per così dire, ne è corona lo stesso Regno dei Cieli; essendo essi come anelli di tale guisa tra
loro concatenati, che gli uni si collegano agli altri.
Ma siccome la funicella da se sola non tira cosa alcuna, se con violenza non la tiriamo a noi,
secondo ciò che sta scritto, il Regno dei Cieli si acquista con le forze ed è preda di coloro che usano
violenza419; perciò impariamo dal granello della senapa del Vangelo per quale modo si debba da un
beneficio o dono di Dio, quasi da semenza fruttifera, cavarne altri non pochi.
Certamente se noi intendessimo da piccolo seme averne un grande albero, non lo terremmo
inoperoso e nascoso, sì conoscendo essere egli fruttifero, lo metteremmo in buon terreno,
adoperandogli attorno diligentissima cura, affinché germogliando, prenda forma di arboscello e
cresca per modo che gli uccelli dell'aria vengano a posarvisi sopra.
Piacesse pure a Dio che così appunto ci diportassimo con Lui, e dopo ricevuta la prima grazia
santificante, che è il piccolo seme per cui l'anima nostra si solleva verso il Regno dei Cieli, mai non
cessassimo dal domandargli sempre nuovi aumenti di santità; perché siccome la potenza e ricchezza
di Dio sono infinite, così ne otteremmo innumerabili grazie; epperciò i nostri desideri
continuamente devono crescere, affinché Iddio ci ricolmi ognora di più grandi benefici e perfetti.
Asc,9006a:T23,2
Né ciò vuole da noi quasi sia Egli terra deserta, sterile e difficile a dare frutti spontanei; sì perché è
necessario che facciamo forza e violenza a noi medesimi in desiderare, cercare e domandare cose di
maggior perfezione.
Queste diligenze si richiedono per disporci a ricevere i suoi beni, perché non ha il Signore difficoltà
in dare, sì noi in ricevere. Non mai Egli si stanca di concederci le sue grazie, sì siamo noi i pigri e
negligenti nel domandarle. Ond'è che parlando di benefici, assai differente è il trattare con Dio dal
trattare con gli uomini.
Infatti se alcuno ci fa un beneficio, saremmo indiscreti e non grati se tosto ne richiedessimo un
altro: perché con gli uomini non è questo il modo di ringraziare; ma piuttosto il mezzo da seccare il
fonte delle beneficenza. Tutto però all'opposto passa la cosa con Dio; poiché se ci comparte alcun
beneficio, il vero mezzo di ringraziarlo e mostrarci grati, è domandargliene subito altri maggiori,
mercecché la sua beneficenza ha origine da un mare infinito, e quindi quanto meno se ne ricava,
tanto gli si fa pena e dolore, perché mostriamo di non conoscerne l'eccellenza e l'ammirabile
ampiezza.
E questo modo di mostrargli la nostra riconoscenza ci è insegnato dall'apostolo Paolo, il quale dice:
“In ogni cosa siano manifestate a Dio le nostre richieste per mezzo del'orazione e delle suppliche
unite al rendimento di grazie420”; con le quali parole ci avverte del pericolo che corriamo di perdere
il beneficio ricevuto, se con il ringraziarlo, non si unisca la domanda di nuove grazie.
Perché siccome i benefici di Dio non si possono da noi conservare senza un suo continuo
beneficio421, così bisogna che procuriamo di sempre riceverne dei nuovi, affinché non perdiamo i
già ricevuti con l'abusarne.
Che se ingrato è chi non rende bene a chi gli fa del bene, in quanto maggior nota d'ingratitudine
cadremo noi, se potendo essere grati ad un piccolo dono ricevuto, non con il ridonare qualche cosa
di proprio, ma con il domandare e ricevere nuovi maggiori doni, ricusassimo di dare al nostro
benefattore Iddio questa consolazione e gusto, che ridonda in tanto nostro profitto e vantaggio?
Asc,9006a:T23,3
Quindi ne viene che nella presente vita non possiamo, come dicono i maestri di spirito, stabilmente
arrestarci nello stesso luogo, cioè nella via di Dio non andare avanti è tornare indietro; perché come
disse Gesù Cristo: “A colui che ha, sarà dato, e a chiunque non ha, sarà tolto anche quello che egli
si crede d'avere422”.
Oh quanto dolce cosa è pertanto il ringraziarvi, o Signore, giacché il vero rendimento di grazie
consiste in domandarvene altre!
Oh veramente felice condizione nostra! Non si sdegna, né mai s'annoia il nostro Dio per il continuo
supplicarlo di favori, anzi grandemente ne gode, perché con ciò fa sempre più campeggiare la sua
infinita beneficenza; e tanto se ne diletta, che non solo ci concede quanto gli domandiamo, sì rende
per soprappiù grazia, mercede e gloria speciale per le domande che gli facciamo.
E neppure qui si ferma l'amorosa bontà del nostro Padre celeste, ma quasi con il non domandargli i
suoi tesori e ricchezze, Egli venga a patirne danno, se ne lagna e se ne mostra offeso423. Quindi ebbe
origine quel compassionevole pianto del nostro buon Gesù sopra Gerusalemme, perché non volle
conoscere il tempo della sua visita424 e sprezzò d'accogliere chi a Lei veniva tanto bramoso per farle
del bene, né volle dargli ricetto in casa sua.
Asc,9006a:T23,4
Oh a quali indicibili miserie condusse quei ciechi Giudei il disprezzo delle ricchezze della sua bontà
e beneficenza! Precipitando essi d'errore in errore, giunsero persino a risolvere di farlo con astuzia
ed inganno prigioniero425, e così col levarlo di vita, togliergli pure il potere e la volontà di fare loro
del bene.
E tuttavia, dopo cotanto nera ingratitudine, trovarono il perdono quanti di cuore fecero ricorso a
Lui, di modo che chiunque non lo ottenne, non può attribuirne la causa a mancanza di benignità e
clemenza in Gesù, sì deve incolparne la perfida ed ostinata malizia del proprio cuore.
Perciò volle in presenza di tutti, domandare al Padre suo il perdono in loro favore426, sia per animarli
a chiederlo ancora essi, sia per far conoscere quanto eccessiva fosse la sua carità, poiché tanti e così
indegni trattamenti non lo potevano trattenere dall'interporsi a loro bene presso il Padre suo. O
miseri voi che chiudeste gli occhi, e vi turaste le orecchie del cuore per non vedere e sentire gli
effetti di tanto eccesso di amore!
O Signore Iddio, benefattore nostro, quando sarà che agli innumerabili benefici aggiungiate ancora
questo, che più oltre non abusiamo dei favori vostri celesti? Voi bene lo vedete che a nulla ci
gioverebbero tutti gli altri, se questo solo ci negaste. Giacché pertanto di infiniti già ci arricchiste
senza che Vi pregassimo, avrete Voi cuore di mandarci dai vostri piedi scontenti? Deh! Aggiungete
ancora questo, o pietoso, ed esauditeci. Se tornò conto che Voi solo moriste acciocché non
perissimo tutti noi427, perché non tornerà pur conto che ci accordiate questo solo beneficio,
acciocché non vada a male tanta moltitudine di altre segnalatissime grazie? Signore, ve ne
supplichiamo, e speriamo da Voi questo beneficio, appoggiati alla parola ed ai meriti vostri. Che se
per umana fragilità fosse in alcuna parte difettosa la fiducia nostra, supplisca, ve ne preghiamo,
l'abbondanza della vostra pietà, che nel donare eccede di gran lunga i desideri di chi vi supplica e
prega.
Asc,9006a:T24
Tesoro XXIV. La gloria di Gesù Cristo
Asc,9006a:T24,1
Oh! Quale sopra ogni altro immenso ed ineffabile beneficio fu per noi, o Signore, quando così
disponeste le cose, che il nostro bene ed utilità fossero pure nello stesso tempo onore, lode e gloria
vostra! Oh quanta allegrezza e conforto dovremmo provare, se conoscessimo la fondata speranza
d'ogni bene, che da Lui ne deriva!
E sia il vero. Quando voleste, o Gesù amabilissimo, risuscitare Lazzaro, figura del peccatore,
diceste a Marta sua sorella: “Or ora vedrai la gloria di Dio428”. Quando voleste restituire la vista al
cieco nato, vi protestate di farlo, perché campeggiassero nella sanità di lui le opere meravigliose di
Dio429. Ed ora sarà possibile che le nostre miserie, le nostre infermità, anzi gli stessi nostri peccati
possano cooperare a manifestare la gloria vostra?
Sì, ed eccone in prova le parole stesse di S. Paolo: “Tutti hanno peccato ed hanno bisogno della
gloria di Dio430; cioè, soggiunge egli stesso, essendo venuto Gesù Cristo in questo mondo per
salvare i peccatori, ed avendo voluto essere chiamato Gesù, cioè Salvatore431, questo suo nome si
mostra allora meravigliosamente glorioso, quando in realtà compie l'ufficio che è indicato nel nome
suo di Salvatore, liberando le anime dalla schiavitù della colpa, e restituendole alla libertà dei figli
di Dio432”; onde con il reale Profeta la Chiesa ci insegna ad invocare il divino aiuto così: “Aiutateci
Dio, Salvatore nostro, e a gloria del vostro nome liberateci, e siate propizio ai nostri peccati per il
vostro nome433”.
Quindi è che fu udito cantarsi dagli Angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei Cieli”; quando fu
annunziata la pace in terra agli uomini del buon volere434.
Epperciò Chiesa Santa, come ottimamente addottrinata di cotanto mistero, nel fare
commemorazione di così segnalato beneficio, vi rendiamo grazie, dice, per la vostra grande
gloria435, poiché allora, con modo più ammirabile, la manifestò Iddio quando a noi, miseri ed
indegni, compartì i suoi benefici.
Asc,9006a:T24,2
Se però, con la domanda della nostra salute, va unita insieme la gloria di Dio, quale cosa si potrà o
ci converrà con maggior certezza e facilità sperare ed ottenere, quanto la stessa gloria sua? Potrà
forse Iddio non curarsene, se si protesta che non la cederà a veruno436?
In quale sicuro porto pertanto sta riposta la nostra salute, la nostra felicità, la gloria e l'onore nostro,
essendo collocata nello stesso tesoro della gloria e dell'onore divino, mercecché nella sola e
medesima persona di Gesù stanno guardate ed unite la gloria di Dio e la glorificazione dell'uomo?
In questa sola persona viene Iddio onorato dall'uomo e l'uomo da Dio. Date perciò, o Signore, gloria
al nome vostro437, imperocché non vi è sotto il Cielo altro nome dato agli uomini, mercè di cui
abbiamo noi da essere salvati438. Quindi mai viene negata cosa alcuna spettante alla nostra eterna
salute chiesta in grazia di questo vostro nome, poiché ogni nostro danno e pregiudizio della salute
eterna, pregiudica in certo modo all'onore ed alla gloria di Dio stesso, il quale viene in noi e da noi
glorificato, mentre esaudisce le nostre suppliche, e per questa cagione Egli stesso ci invita a
domandare439.
È quindi comune la causa di cui si tratta. Infatti la vostra, o Signore, è di salvare i peccatori, perché
per la loro salute foste crocefisso, cioè voleste essere Gesù, ossia Salvatore; per questo vi faceste
uomo e moriste in croce; onde ne viene che la nostra salute e la vittoria, che dei nemici riportiamo,
ridonda anche in gloria vostra; epperciò Iddio stesso combatte in noi e per noi, come già disse a
Mosè440. Anzi gli Angeli stessi, quanto maggiormente bramano la gloria e l'onore di Dio, con tanto
maggiore sollecitudine procurano che la vittoria sia nostra; mercecché ben conoscono che non
loderanno il Signore coloro che sono morti nell'anima e nel corpo, né quelli che precipitano
nell'inferno, ma noi che viviamo, benediciamo il Signore e il nome suo441.
Asc,9006a:T24,3
Non ci sbigottisca perciò alcun timore442, per la moltitudine dei nemici che ci perseguitano, e si
avventano contro, perché, quantunque ci misuriamo da noi medesimi, non troviamo cosa più
miserabile, essendo polvere o foglie, sbattuti e trasportati da piccolo soffio di vento443; tuttavia se ci
appoggiamo al nostro Dio, se ci vestiamo della sua corazza, se gli camminiamo al fianco, nessuno
mai potrà starci di fronte444.
Ripetiamo pure dunque col santo apostolo Paolo: volentieri ci glorieremo nelle nostre infermità,
affinché dimori in noi la potenza di Gesù Cristo445, e così chi vuole gloriarsi, si glori solo nel suo
Signore Iddio446.
Asc,9006a:T25
Tesoro XXV. Gesù nostro giudice
Asc,9006a:T25,1
Gesù nostro giudice! A questa voce pare che un sacro orrore ci invada, e tutte tremino le nostre
ossa, poiché sembra di non potervi essere cosa più tremenda dei divini giudizi. Pure, sotto
qualunque nome ci si presenti il nostro amabile Gesù, non vogliamo lasciar sempre crescere nella
speranza e confidenza in Lui, perché Egli è, e sarà sempre il nostro soccorso, la nostra
consolazione447.
Infatti, non è forse questo giudice lo stesso Gesù, che ci promise con giuramento di concederci
quanto avremmo domandato in suo nome? Non abbiamo noi ricevuto dal Padre tutte le cose,
quando ci donò lo stesso Figlio suo448? Questo giudice non ci è Egli pure padre, fratello, amico e
sposo?
Anzi, non giunse Egli ad offrirsi per servo, dicendoci: “Venni in questo mondo per servire e non per
essere servito449”? Che più? Non è ella verità di fede che questo stesso Gesù, per amore nostro e per
salvarci, discese dal Cielo, si incarnò in Maria Vergine per virtù dello Spirito Santo, e si fece
uomo450? Che per noi morì crocefisso e fu sepolto? Che risuscitò il terzo dì, ascese al Cielo e siede
alla destra di Dio Padre onnipotente?
Ora da queste premesse e dagli antecedenti non ne viene appunto la consolantissima conseguenza,
che anche per nostro amore e salute ha da venire di lassù, cinto di gloria a giudicare i vivi ed i
morti451? Se perciò avessimo dovuto sceglierlo noi stessi, avremmo noi potuto eleggere un giudice
di maggior nostra confidenza? Poiché prima di venire a farla da giudice, si esibisce nostro salvatore,
redentore, amico, fratello, padre, sposo tenerissimo e con giuramento si obbliga a concederci quanto
vorremo domandargli.
Asc,9006a:T25,2
È vero che se entrate in giudizio con i servi vostri, o Signore, nessun vivente sarà riconosciuto per
giusto al vostro cospetto452; nulladimeno se noi entreremo nella vostra giustizia accompagnati e
protetti da Voi, possiamo stare con ogni sicurezza e fiducia che non saremo confusi in eterno, e ci
libererete dalla dannazione nella vostra giustizia medesima453.
Oh quanto vi siamo obbligati, o Eterno Padre, che non volendo giudicare alcuno, abbiate deciso che
sia giudice della nostra causa quegli che fu fatto per noi e giustizia e santificazione e redenzione454!
Epperciò non cerchiamo di scamparci da Lui, anzi proferisca pure la sentenza della nostra causa, e
per onore della sua parola ci sia propizio455. Perciocché la misericordia talmente trionfa del
giudizio456 che anche nel tempo stesso dell'essere giudicati, possiamo fidatamente contare sopra una
favorevole sentenza.
Ma per poter più facilmente concepire tale fiducia nel giudice nostro Gesù, non dobbiamo solo
considerarlo giudice dei morti, sì ancora dei vivi457: epperciò nella presente vita preghiamolo che si
degni di giudicarci per la nostra emendazione, affinché non siamo poi con il mondo perverso
condannati nel tempo della nostra morte458.
Procuriamo soltanto d'avere Gesù dalla nostra, e nessun altro giudice potrà dare sentenza contro di
noi459. Imperciocché sebbene, o caro Gesù, vi protestiate di dare a ciascuno secondo il merito delle
opere, e diciate di voler dare sentenza con tutto il rigore, non per questo ci turbiamo, né ricusiamo il
giudizio, anzi lo desideriamo. Si produca pure il libro nel quale stanno notati i debiti e crediti
nostri460, perché non solamente si troverà a nostro conto tutto quello che abbiamo operato noi di
bene e di male, sì pure tutto quello che Voi Dio-Uomo avete fatto e patito; e con ragione, perché
questo pure è nostro, avendolo Voi fatto e patito per noi.
Asc,9006a:T25,3
Fondati pertanto…
Fondati pertanto sopra questo capitale di cui ci arricchiste, facciamo grande istanza e vi preghiamo
che, quanto prima, giudichiate la nostra causa461 e proferiate la finale sentenza462, purché si noti a
nostro conto tutto quello che ci acquistò l'innocentissima e penosissima vostra vita, l'amarissima
Passione e spietatissima morte vostra.
Che se è dovere di un giudice il far sì che siano osservati i patti, si adempiano le promesse, si
mantengano i giuramenti dati, affinché la pubblica fede non resti delusa, rammentatevi, di grazia,
amoroso giudice, che Voi stesso non una, ma più volte giuraste di accordarci quanto avremmo in
nome vostro domandato463.
Ora noi non vi domandiamo altro, se non che Voi medesimo stiate ai patti, concedendoci quanto si
domanda.
Un buon giudice è certamente sollecito che si osservi l'assioma, ciò che è superfluo ad uno si dia ad
un altro bisognoso464.
Ora noi lasciamo giudicare a Voi, o Gesù sapientissimo, se convenga o no che sia sollevata e
provveduta la povertà nostra con quella sovrabbondanza di ricchezze e tesori che sono nella casa
del Padre vostro, tanto più che facendo quest'opera di pietà verso di noi, non solo non causate danno
né a Voi, né ad altri, ma a Voi ed a noi portate grande vantaggio, poiché la nostra necessità diviene
anche necessità Vostra, mentre essendovi voluto fare una cosa sola con noi, come il capo con le
membra, vi protestate che quanto si sarebbe fatto a noi, sarebbe stato fatto a Voi medesimo465.
Asc,9006a:T25,4
Inoltre ogni ragione vuole che innanzi tutto un buon giudice si mostri tale in casa sua, che la
governi bene e giudichi rettamente nelle occorrenze; che porti la sua famiglia a bene e l'allontani dal
male; giudicate perciò, Vi preghiamo, se non sia conveniente che la nostra anima, vostra sposa, viva
secondo il suo stato decentemente vestita ed ornata da Voi suo sposo? Giudicate se sia bene il
negare la porzione di eredità ai figli vostri, che umilmente ve la domandano? Giudicate se sia cosa
prudente che Voi, padrone nostro, lasciate noi servi vostri abbandonati al proprio capriccio in nostra
manifesta rovina, mentre vi supplichiamo di non lasciarci né di permettere tanta sciagura?
Che se conviene pure ad un buon giudice raffermare egli stesso coll'esempio le leggi che ha
stabilite, già vedete in quale modo sia conveniente che Voi nostro giudice sovrano vi diportiate nel
tempo che dovrete giudicarci dei mali commessi: cioè nella stessa maniera con la quale ordinaste a
noi di regolarci con i nostri prossimi ogni qualvolta ci offendono, ed ecco le vostre parole: “Non
rendete male per male466, né maledizioni per maledizioni, ma fate del bene a chi fa del male, amate
chi vi odia, pregate per chi vi perseguita e calunnia, e non vi dico di perdonare fino a sette volte, ma
fino a settanta volte sette volte467”; ora vi preghiamo di osservare pure questa legge con noi.
Asc,9006a:T25,5
Quantunque poi…
Quantunque poi sia dovere di buono e giusto giudice castigare i delitti, un altro tuttavia più stretto
gli incombe ed è questo, provvedere che altri non se ne commettano in futuro, essendo questo lo
scopo della legge ed il fine.
Ora esercitate, ve ne preghiamo, o giudice giustissimo, verso di noi questo ufficio, con il far sì che
per l'avvenire mai più ci avvenga di offendervi. Incatenate fin d'ora questa nostra ribelle volontà,
mettetela in ceppi, anzi inchiodatela sopra la croce. Legate, o dolcissimo padre e giudice, le mani ed
i piedi nostri, e fate che non lasciandoci allettare dalla sensualità, né fuggiamo da Voi, né contro di
Voi osiamo con proterva ostinazione contendere.
Che se per occulto giudizio della profondissima vostra sapienza vi sembrasse spediente non
impedire la nostra volontà, sì che non possa volere il male, almeno vi supplichiamo di non
permettere che operi il male che può voler fare; onde come è proprio della nostra debolezza poter
volere il male, così con la vostra potenza impediteci che lo vogliamo, poiché il vostro potere è
infinitamente superiore ad ogni nostro iniquo volere.
Oh quale felicità sarebbe la nostra, se fin d'ora ci faceste udire dalla vostra benedetta bocca quella
consolantissima parola: “Vi sia pure concesso quanto desiderate468: d'or innanzi più non
peccherete!” All'incontro, oh quanto ci affligge il riflettere che ancora può esserci differita codesta
desideratissima grazia! Oh per noi infelicissimo istante quello in cui per nostra malizia fossimo
ancora per offendere Voi, Dio sì buono!
Ma sebbene fosse per accaderci una sì grande sventura, non per questo vorremmo disperare469,
sapendo aver Voi fatto legge che si ami il nemico e si faccia bene a chi ne fa male. Appoggiati a
Lei470, con fiducia compariremmo dunque al vostro tribunale, pregandovi di non lasciarci vincere
dal male, ma vincere Voi pure il nostro male col bene471, come ci comandaste.
Asc,9006a:T25,6
Finalmente se ogni volta che il reo offre dovuta e giusta soddisfazione, un buono e giusto giudice la
deve accettare, placando il suo sdegno, come si acquietò Assuero quando fu sospeso al patibolo il
superbo Aman; non vi parrà cosa giusta, o Signore, che resti placato lo sdegno vostro contro di noi,
e ci perdoniate i meritati castighi, dappoiché per dare questa soddisfazione Voi unigenito divino
Figlio foste inchiodato sopra la croce, offrendovi ostia, sacrificio ed olocausto per la remissione di
tutte le colpe472?
Sarà possibile che quelle piaghe tollerate per nostro amore e salute, ora si conservino aperte contro
di noi? Confessiamo, è vero, che esse ci alzano contro le grida, poiché causate dai nostri peccati; ma
per altra parte perorano con gran forza la nostra causa, in quanto le riceveste per il nostro bene.
Sicché, giudice nostro benignissimo, se quel male che da noi fu fatto contro la persona vostra non
solo lo sopportaste con pazienza, sì tuttavia lo conservate amorosamente per il nostro bene, amateci
dunque quale Padre, e poi condannateci come giudice se pure lo potete.
Asc,9006a:T26
Tesoro XXVI. Il dono dello Spirito Santo
Asc,9006a:T26,1
Deh quanto ampia e profonda miniera di ricchezze ci è aperta in così magnifico dono!
Consideriamo come questo Dio altissimo, dispensatore delle grazie e di tutti i doni, è stato a noi
donato ed elesse e prese a fare sua dimora in noi473, allorquando fummo arruolati tra i soldati di
Gesù Cristo nel Santo Battesimo.
Oh dono dei doni, dono primario, dono datoci da Dio per pegno di se stesso, che è eredità e mercede
nostra474; dono vivo e vero di Dio vivo e vero; chiamato fonte vivo475, perché non lo immaginiamo
arido e secco. Che se è fonte vivo è certo che ci darà acqua viva, come disse Gesù Cristo, appunto
intendendo dello Spirito che erano per ricevere quelli che credessero in Lui476.
“L'acqua, disse Gesù alla Samaritana, che io darò, diventerà una fonte di acqua che salirà sino alla
vita eterna”. Oh quanto è monda e salutare quest'acqua che vive e sale, e fa che noi ancora viviamo
e saliamo fino alla vita eterna477, se da noi si sappia degnamente ricevere e conservare. Poiché,
siccome la terra per se stessa arida e secca, se sia annaffiata, germoglia vaghissimi fiori e
gustosissimi frutti, così l'anima, benché per se stessa sia arida e sterile di ogni cosa buona, appunto
quale terra senz'acqua478, se venga irrorata da questa pioggia celeste che Dio manda alla sua
eredità479, produce fiori vaghissimi di giustizia e santificazione; e con tutto che quest'acqua celeste
sia uniforme, produce tuttavia molti e diversi frutti di virtù. Onde ad uno è dato per mezzo dello
Spirito il linguaggio della sapienza, all'altro poi il linguaggio della scienza; e così ad altri, altri doni
secondo che a Lui piace480.
Asc,9006a:T26,2
Egli è pure avvocato e consolatore nostro, il quale ci detta, ci stimola e fa che domandiamo cose
opportune e convenienti alla nostra eterna salute481. Che se non fossimo diretti ed ammaestrati da
questo Spirito, quante cose inconvenienti ed inutili, anzi dannose non domanderemmo, ingannati
dalla nostra cupidigia?
Se l'apostolo Paolo fosse stato esaudito di quella sua domanda, non sarebbe egli forse stato privo del
profitto spirituale, che andava cavando da quella molesta tentazione482?
Epperò questo Spirito paraclito come vero suo avvocato domandava per lui assai differentemente,
acciocché la virtù di lui s'andasse, per mezzo di quella infermità, perfezionando.
Poteva per avventura Iddio per il sollecito e felice successo dei nostri negozi provvederci di più
efficace e migliore avvocato di questo Santo Spirito, che è il suo stesso amore? Oh quanto ha di
forza l'amore per persuadere all'amante qualsivoglia cosa pur faticosa, difficile ed aspra che sia,
purché torni in bene ed utile all'oggetto amato483!
E per verità chi fu se non l'amore, quell'avvocato potente e di tanta efficacia presso Dio, che lo
persuase a mandare lo stesso suo Unigenito in quest'esilio, vestito di nostra mortale spoglia484
coll'apparenza di peccatore per la salute di noi poveri peccatori? Chi lo strinse in catene come
ribaldo, chi lo sottopose ai flagelli, chi lo coronò di spine pungenti, chi lo fece morire di spasimo e
dolore confitto in croce; chi lo rese finalmente obbrobrio degli uomini e rifiuto della feccia stessa
del popolo; chi lo ridusse a farsi cibo degli uomini, se non l'amore485?
Se pertanto l'amore di Dio si fa avvocato per noi presso Dio, chi avrà ardire di portare accusa presso
Dio contro di noi486?
Asc,9006a:T26,3
Anzi essendo lo Spirito Santo non solo nostro avvocato, ma la lingua del medesimo Dio che parla in
noi487, il maestro che ci insegna e suggerisce quanto abbiamo da chiedere488, con quanta facilità e
quanto presto per mezzo di Lui, con Lui ed in Lui otterremo abbondantemente quanto ci sia di
bisogno. InvitiamoLo pertanto con la Chiesa Santa489: “Venite, diciamogli, venite, o consolatore
ottimo, o amabilissimo ospite, o dolce refrigerio. Venite a colmare di consolazioni e grazie le
povere anime nostre!”
Ma e come non verrà a noi per arricchirci dei suoi doni questo Santo Spirito, se fin dai suoi tempi il
re Davide esclamò: “Aprii la mia bocca e a me trassi lo spirito490”?
Perciocché Egli è quasi aura delicatissima e sottilissima, la quale viene tirata a sé ed in sé da chi la
vuole, col solo aprire la bocca per domandarla. È questo Spirito consolatore come il cuore di Dio,
essendo Egli lo stesso amore di Dio.
Voi siete dunque, o Spirito Santo, quel fuoco celeste che venne ad accendere in terra il divino
Figlio491. O fuoco, che mentre fate l'uomo amante di Dio, lo cangiate pure in Dio! Poiché l'amore
trasforma l'amante nell'oggetto amato; onde se amiamo la terra, siamo terra, dice S. Agostino, se
amiamo Dio siamo altrettanti Dei492.
Venite dunque, o Santo Spirito, e non ci negate questa grazia, anzi non negatevi a Voi stesso, ed ai
gemiti ed alle domande vostre, mentre Voi siete quegli che ci fate domandare e desiderare la vostra
visita. Venite e non contristateci col negarci l'amore vostro493, affinché d'ora in poi né possiamo, né
vogliamo più contristarvi coll'amare altra cosa fuori di Voi.
Asc,9006a:T26,4
O Spirito divinissimo, se in noi potessimo operare quel che potete Voi, oh quali vorremmo
accendere vive fiamme d'amore nei nostri cuori! Ora se siamo certi che in amarci non solo ci
uguagliate, ma infinitamente ci superate, come dunque potrete non concederci che vi amiamo, non
solo quanto chiediamo e desideriamo di amarvi, ma anche quanto potete darci di questo amore per
Voi, tanto più che siete Voi l'autore ed il promotore di questa nostra brama di amarvi?
Anzi, o Spirito consolatore, se avete da operare tra Dio e noi quella unione che è nel Padre e nel
Figlio, come Gesù a nostro vantaggio ne pregò il Padre suo, forza è che ci doniate un perfettissimo
amore, poiché quanto ci mancherà di perfezione nell'amore, altrettanto ne mancherà pure
nell'unione.
O divinissimo Spirito che in quest'esilio ne rinvigorite e ci consolate con la promessa dei beni già
preparati, deh ve ne preghiamo, fate che anche una volta possedendolo e godendoli, siamo per tutti i
secoli perfettamente gloriosi e beati.
Asc,9006a:T27
Tesoro XXVII. I nostri peccati propri
Asc,9006a:T27,1
Passiamo adesso ad esaminare come i peccati nostri commessi possano, se sappiamo valercene,
riuscirci di aiuto ad accumulare tesori di beni e trarne vantaggio.
O Signore, lo confessiamo, forse vi è in noi troppa audacia, ma ne sia chiamata in colpa la stessa
vostra bontà, perché appunto per questi peccati ricevemmo l'inestimabile dono di avervi per
redentore e salvatore nostro, e ci rendeste bene per male; onde la sposa vostra, la Chiesa Santa fuori
di sé per la meraviglia esclama: “Oh felice colpa, che meritò d'avere un tale e così gran redentore!
Oh veramente necessario peccato d'Adamo, che fu cancellato con la morte di Cristo494!”
Se pertanto può convenire al peccato il nome di felice, di necessario e di merito, perché non gli si
potrà anche adattare quello di tesoro? Voi stesso, Gesù caro, non deste forse il nome di dramma,
ossia moneta al peccatore495?
E perché si era perduta, accendeste la lucerna, scopaste la casa, e dopo molta fatica e diligenza
trovatala, cominciaste a chiamare con sommo contento ed allegrezza gli amici e vicini, e tutto
festoso li invitaste a rallegrarsi con Voi per la moneta trovata.
Ora diteci, o amato Signore, come potreste cotanto magnificare ed ingrandire quella vostra immensa
carità, che esercitate verso i nemici vostri, se non ci fosse chi vi si facesse nemico con il peccato?
Come potreste ammaestrarci ed allettarci con l'esempio e vostro e del celeste Padre ad amare i
nemici, a fare del bene a chi ci fa del male, se non ci fossero peccatori ingiusti ed ingrati sopra cui
la divina maestà facesse cadere la pioggia feconda, e nascere il sole ugualmente sopra i buoni ed
amici suoi? Epperciò più conveniente cosa giudicate il fare bene ai vostri nemici e peccatori, che il
non permettere che ce ne siano; e tollerate, dissimulando le nostre colpe, acciocché meglio risplenda
l'ardente vostra carità.
Asc,9006a:T27,2
Nei segreti vostri giudizi, Voi permettete, dice S. Gregorio, che si commettano mali, onde avere
occasione di comunicarci molti beni.
Ed in vero quale si può trovare maggior male di quello per cui tutti fummo dannati a morte? E quale
bene maggiore di quello, in virtù del quale fummo ritolti alla morte?
Che se Adamo non avesse peccato, non vi era bisogno di Redentore, poiché lo attestò Cristo
medesimo di essere venuto per chiamare e tirare a sé non i giusti, ma i peccatori496.
Se dunque non vi fossero stati peccatori, non vi era bisogno della sua venuta.
E sebbene gravi e molti siano i mali che tirò addosso agli uomini quella prima colpa, chi
nulladimeno tra gli eletti non si contenterebbe di patirne con giubilo infiniti altri e maggiori, anziché
vivere privo di tale e tanto Redentore? Fin qui S. Gregorio.
Asc,9006a:T27,3
Andiamo però molto cauti, affinché allettati dalla vista di sì gran cumulo di bene e dal dolce nome
di tesoro, non ci lasciamo indurre alla colpa. Mercecché il peccato è male sì grande, che porta
all'anima più danno di qualunque altro gravissimo male. “E che giova all'uomo, disse il divino
Redentore, guadagnare tutto il mondo se poi perde l'anima? O che darà l'uomo in cambio dell'anima
sua497?”
E supponendo pure che il peccato si converta in bene dell'anima, tuttavia non è lecito far male a fine
che ne segua del bene. Dobbiamo quindi stare sull'avviso di non esserci indicato questo tesoro dei
nostri peccati, acciocché corriamo loro dietro o ce ne compiaciamo, facendo tregua con loro, perché
così non solo non ci si cangerebbero in tesori, ma in ladroni crudeli, che rubata ogni ricchezza
nostra, nudi e malamente feriti, ci lascerebbero mezzo cadaveri, cioè vivi al mondo e morti a Dio498.
Sì, solo a questo fine ci viene additato che se mai, per disgrazia, cadessimo nelle mani di sì fatti
traditori (dai quali Iddio ci liberi), sappiamo il modo che dobbiamo tenere per farceli cooperare in
bene e trarne occasione da procacciarci abbondanti e ricchi tesori di grazie.
Imperciocché Iddio solo è Colui che da quanto cagionò la morte, fa risorgere la vita, ed è così
sapiente che da mali sommi sa cavarne grandissimi beni.
“Voi faceste, disse Giuseppe ai suoi fratelli, cattivi disegni contro di me: ma Dio li convertì in
bene499, anzi è tanto sagace e potente che non permetterebbe male alcuno, se non sapesse e volesse
volgerlo a frutto.”
Se per somma disgrazia dunque ci accadesse di peccare gravemente, non ci venga meno il coraggio,
né disperiamo. Con dolore sì, ma pieno di fiducia venendo prontamente al nostro Dio, a Lui
scopriamo la piaga dell'anima, pregandolo di volercela convertire in vantaggio e così rendere bene
per male.
Asc,9006a:T27,4
Gesù maestro infallibile…
Gesù maestro infallibile a noi suoi discepoli non insegnò a rendere maledizione per maledizione, sì
a fare del bene a chi ci odia.
Ora non essendo il discepolo più del suo maestro500, e vedendo noi alcuni dei suoi fedeli aver tanto
ben appresa e praticata questa dottrina che, non solo benevoli e mansueti perdonarono ai persecutori
ogni offesa, ma per i nemici loro sacrificarono generosamente la vita, quale giudizio faremo del
maestro da cui hanno appreso tale insegnamento e grazia insieme da praticarlo501?
E non sappiamo noi che la carità, anche grande di tutti i discepoli, messa a confronto con quella di
Gesù loro maestro, non ha la proporzione di una goccia d'acqua con l'immenso oceano?
Infatti sebbene il paragone tra una goccia sola e la sterminata quantità delle acque del mare sia
sproporzionatissimo, tuttavia non gli si può negare una cotale relazione e convenienza; ma fra la
carità dei discepoli e quella del divino Maestro non ve ne è alcuna, come non vi è proporzione tra il
finito e l'infinito.
Asc,9006a:T27,5
Ora se una scintilla piccolissima di carità comunicata da Gesù Cristo ad uomini miserabili è così
efficace, che li spinge a dare la vita a pro dei loro stessi nemici, quale non sarà la forza, e fino a
quali eccessi non giungerà quell'infinito incendio della sopra eminente carità di Gesù Cristo?
Da questa immensità di amore ricavava il Santo Davide quella fiducia per cui null'altro da parte sua
allegando, se non peccati, tuttavia ne chiedeva e sperava il perdono: “Ho peccato, diceva egli,
contro di Voi, o Signore, ed ho commesso un gran male alla presenza della vostra maestà infinita502,
epperciò abbiate pietà di me e perdonatemi”; né solo chiedeva una misericordia ordinaria, ma senza
alcuna misura grande; né adduceva altro motivo nel chiederla così fattamente grande, se non la
gravezza e la moltitudine delle sue colpe503, né bastandogli tuttavia, chiedeva di essere ognora più
purificato dalle sue iniquità e voleva essere affatto mondo dal suo peccato504. Ma, o Santissimo dei
Re, quali ragioni addurrete per pretendere una sì grande vastità di misericordia e cotanta purezza?
Eccole: perocché io conosco la mia iniquità e il mio peccato mi sta sempre davanti505. Sana perciò, o
Signore, l'anima mia, quantunque io abbia peccato contro di te506. Ecco per quale modo dagli stessi
peccati ricavava il Re profeta la somma confidenza per la sua salute.
Asc,9006a:T27,6
Sappiamo benissimo, o Signore, che non vi piacciono i peccati, anzi li abominate sopra ogni
credere: ciò nulla ostante, oh quanto è mai grande la vostra propensione ad usare della vostra
misericordia con noi poveri peccatori!
Voi lo sapete, o Salvatore Santissimo, ognuno è tirato dal suo piacere: mostriamo un ramicello
verdeggiante ad una pecorina, e subito la tiriamo a noi, dice S. Agostino; lasciamo vedere una noce
ad un fanciullo, ed egli ci corre dietro; e l'uomo stesso apprendendo qualche sorta di bene a sé
conveniente, subito vi si sente attirato. Ora diteci, o caro Gesù, che scopriste di buono in noi, che
potesse piacervi ed attirarvi in questo mondo, mentre Voi siete la stessa bellezza e bontà per
essenza? Quale oggetto allacciò tanto il vostro divino cuore, che vi abbassaste dal seno del Padre
celeste a quello di madre terrena, e dalle regali sedi circondate di Serafini vi trasse a nascere in vile
capanna tra stolidi giumenti507?
Forse un qualche splendore di santità scoperto in alcun uomo giusto?
Sentiamo la riposta da Gesù Cristo medesimo, e tripudiamone per allegrezza: “Non mi hanno tirato
nel mondo i giusti, dice Egli, ma i peccatori508”.
Vide Egli il peccatore e talmente fu preso e vinto da compassione per lui, che fu come forzato ad
abbassare i Cieli, e discendere in terra509, e lasciate le novantanove pecorelle, affannosamente corse
dietro a questa sola, che gli si era smarrita, e trovatala dopo tanti sudori e patimenti, l'accolse, la
strinse al seno dolcemente abbracciandola, se la pose sulle proprie spalle510, e la portò con gran
giubilo a casa sua; quindi per ristorarla, la fece seco sedere a mensa511, le distribuì in cibo le sue
deliziose carni medesime ed in bevanda il prezioso suo sangue512, anzi per liberarla dalle unghie del
rabbioso lupo infernale, non ricusò di sopportare Egli stesso i flagelli, e spine, e morte di croce. Oh
quali eccessi d'amore per noi miseri e peccatori!
Asc,9006a:T27,7
Ora che ce ne pare…
Ora che ce ne pare? Non ha Egli questo buon maestro perfettamente messo in pratica la dottrina che
ne insegna? Non ha Egli veramente reso bene per male? Anzi quale bene poteva Egli renderci
maggiore di questo? E sappiamo noi, che si sia ora scordato della sua dottrina e di quanto ha fatto
per noi, sì che più non sia quel medesimo che a nostro riguardo già fu? Non dice Egli, che è sempre
lo stesso513? E S. Paolo non ci assicura che quel Gesù Cristo che fu ieri, quello stesso è anche
oggidì514 e sarà sempre per tutti i secoli?
Dunque se non ci troviamo ad avere presentemente alcuna opera buona da mostrare a questo nostro
Salvatore per allettarlo a farci del bene, mostriamogli i nostri peccati; e, la prima grazia che
abbiamo a domandargli, sia appunto che ci liberi da tutte le colpe, che ci lavi, ci mondi e ci preservi
dal cadervi, affinché possa Egli, con maggior ampiezza e liberalità, colmarci di beni a proporzione
dei mali che per loro causa ci incolsero.
Ed affinché con maggior confidenza domandiamo al Signore che ce ne liberi, teniamo sempre
avanti gli occhi questa verità, che appunto per liberarcene, venne al mondo il Figliuolo di Dio, e gli
fu donato l'ammirabile nome di Gesù, mercecché doveva liberare il suo popolo dai suoi peccati515.
Quale cosa pertanto possiamo noi chiedere con maggior fiducia, ed impetrare più facilmente dal
nostro caro Gesù, quanto quella per cui concederci, discese dal Cielo, si fece uomo, si lasciò
crocifiggere, mettere a morte e seppellire? Non abbiamo perciò alcun timore di presentarci al
medico, perché ci riconosciamo infermi, anzi con tanto maggior fiducia dobbiamo venire a Lui,
essendo venuto dal Cielo a questo fine di guarirci dalle nostre infermità, ben sapendo che gli
infermi, e non i sani, hanno bisogno del medico516.
O pessima e cieca nostra frenesia! D'onde dovremmo prendere occasione di più ansiosamente
ricorrere al medico, cerchiamo all'opposto di starcene più lontani.
Asc,9006a:T27,8
Infatti non solo noi poveri peccatori fuggimmo senza che alcuno ci perseguitasse517, il che è grande
pazzia, ma fummo assai più stolti ancora nel fuggircene di corsa, mentre il Signore tutto
misericordia ci invitava al ritorno, mentre ci rincorreva non per farci del male, ma offrendoci il
perdono e la medicina, mentre si protestava che ci voleva liberare dai peccati e salvarci, anzi,
mentre prometteva e giurava di voler concederci quanto gli avremmo chiesto in ordine alla nostra
eterna salute518.
Che se ci sbigottiscono per avventura quelle voci, che talvolta sentiamo d'ira, di furore, di castigo,
di vendetta, facciamo attenzione che queste non sono propriamente voci di Dio, ma dello stesso
peccato, il quale sempre starà gridando contro di noi fino a tanto che non facciamo sentire dal fondo
del cuore i nostri gemiti, per chiederne a Dio, pentiti, il perdono.
“La voce del sangue del tuo fratello Abele, disse il Signore a Caino, grida a me519 dalla terra che lo
bevve”; perché il peccato appena è commesso si costituisce accusatore e giudice contro il
peccatore520, e pronunzia la sentenza, dannandolo alla meritata pena secondo giustizia; ma se il reo
fa opposizione e si appella col pianto al tribunale di Gesù Cristo suo Salvatore, oh quale dolce
vendetta, e quale sentenza propizia sentirà da Lui!
Sebbene, non verrà Egli il Signore della vendetta? Sì verrà, ma a che fare? Lo dice il Profeta:
“Fatevi coraggio e non temete. Ecco che il vostro Dio menerà vendetta di uguaglianza: Dio verrà
Egli stesso, e vi salverà521”.
Oh bontà di Dio, questi gli sdegni suoi, sono queste le sue vendette!
Asc,9006a:T27,9
O amorosissimo nostro Dio, sempre caro e degno d'amore, poiché non solo dal buon seme che
spargete nei nostri cuori, fate che raccogliamo frutti sì dolci, sì pure dalla cattiva semenza, che quali
nemici di noi stessi andiamo sopra seminando, cavate frutti buoni ed utili, ora comprendiamo
perché non permettiate che subito si sradichi la zizzania seminata sopra la buona semenza522; e la
ragione è questa, che Voi agricoltore divino tanto siete saggio e potente, che raccogliete buon
frumento dalla zizzania medesima; e dalle spine e dai triboli, uve mature e deliziosissimi fichi.
Deh a noi concedete, o Signore, che privi di ogni zizzania, di continuo vi offriamo frutti soavi e
delicati, onde ne sia rallegrato il vostro cuore divino.
Asc,9006a:T28
Tesoro XXVIII. L'Orazione
Asc,9006a:T28,1
Sia pure ora e sempre mille volte benedetto il Signore nostro Dio, il quale ha parlato a noi per il
Figliuolo suo523, insegnandoci a fare orazione con queste parole524: “Padre nostro, che sei nei Cieli –
Sia santificato il nome tuo – Venga il Regno tuo – Sia fatta la volontà tua come in Cielo, così in
terra – Dacci oggi il nostro pane quotidiano – E rimetti a noi i nostri debiti, siccome noi li
rimettiamo ai debitori nostri – Non c'indurre in tentazione – Ma liberaci dal male – Così sia”.
Ecco raccolti insieme tutti i tesori che sinora siamo andati cercando; e perché né facciamo ansiosi,
né ci turbiamo nel cercare molte cose, Gesù medesimo volle insegnarci questa preghiera, la quale,
benché di poche parole525, contiene però tutta la sostanza dell'evangelica dottrina, ed è per noi la
manna celeste contenente in sé ogni delizia ed ogni soave sapore.
Asc,9006a:T28,2
Consideriamo pertanto quanto grandi cose e di quale valore, da noi per questa orazione si chiedano.
Chi sia quel maestro che insegna a pregare in tale modo, e conosceremo di quanto prezzo sia il
parlare del Signore, poiché in esso non si trova jota od apice, nel quale non ci sia dato un pegno
della divina grazia e della futura eterna gloria.
Infatti se solleviamo la mente a considerarne il principio, non ci si dà forse a conoscere, che il
nostro linguaggio tiene la sua origine in Cielo, e che abbiamo padre, fratelli, amici, patria, casa ed
eredità celesti? Cominciando le nostre suppliche, non cerchiamo forse ciò che sopra ogni altra cosa
si deve domandare, cioè sia santificato e glorificato il nome di Dio, e per conseguenza la nostra
santificazione medesima, per cui deve essere santificato il suo nome? Domandiamo in seguito il
regno: oh quali regni e quanti! Il regno della grazia e della misericordia in questa vita; il regno della
gloria e beatitudine nell'altra: insomma, il regno della maestà sua dopo il finale giudizio.
Per lei inoltre si allontana il timore della volontà nostra cattiva, e dei danni che ne possono
incogliere, dicendo: Sia fatta la volontà tua come in Cielo così in terra; e col nome di pane
preghiamo Dio di donarci quanto ogni giorno ci fa bisogno, sì per l'anima che per il corpo.
Imploriamo quindi il perdono di ogni colpa da noi commessa. E perché siamo tanto inclinati al male
e facili al cadervi; e d'altra parte ci è continua esperienza non altro essere la vita dell'uomo che non
interrotto combattimento, perciò supplichiamo che non ci lasci cadere nelle tentazioni, né vederci
accalappiati nelle loro reti.
Si prega finalmente per la liberazione da ogni male, dall'autore di tutti mali che è il Demonio, per la
costanza nella preghiera e la perseveranza finale nel bene.
Asc,9006a:T28,3
Infatti quale potrebbe accadere male maggiore, che l'essere separati da Dio, ed allontanarci da Lui
con il peccato per la negligenza nell'orazione?
Se dunque lo pregheremo di concederci di perseverare costanti sino al fine della vita nell'orazione,
come potrà negarcelo, se Egli stesso lo insegnò e comandò di chiederlo?
Certamente non possiamo dubitare di ottenere per lei qualunque grazia necessaria ed opportuna alla
salute, mercecché abbiamo promessa giurata da Gesù Cristo medesimo di ottenere quanto
domanderemo in nome di Lui al Padre suo celeste526.
Inoltre se in virtù della donazione fattaci527 dall'Eterno Padre, lo stesso Gesù Cristo suo Figlio e tutti
i beni con Lui sono nostri, perché non avrà pure compreso questo sì necessario dono della
perseveranza? Dove troviamo noi che l'abbia eccettuata sia nella promessa, che nella donazione di
tutte le cose?
Finalmente se lo stesso Signore ci comanda di pregarlo con certa speranza di ottenere, perché così
facendo otterremo tutto; per quale motivo pregando, non crederemo fermissimamente di ottenere
quanto domandiamo; o credendolo, come sarà possibile, che non l'otteniamo, se Dio medesimo ci
comanda di credere che l'otterremo528?
Perché anzi non obbediremo a Dio in cosa a noi utilissima ed a Lui grata cotanto?
Asc,9006a:T28,4
Ed ora che diciamo…
Ed ora che diciamo? Ci rimane per avventura cosa veruna a bramarsi? Avremmo noi osato
chiedergli promessa e donazione così vasta ed illimitata? O poteva mai caderci in pensiero di
chiedergli cose tali e sì sublimi, se non ce le avesse insegnate in questa orazione celeste, Egli
medesimo, il nostro misericordioso Signore? Non avremmo noi temuto di essere tacciati di
presuntuosi e superbi? No, non fu un Angelo od un Profeta, non un amico o qualche gran servo di
Dio, ma Dio medesimo datore di ogni bene, quegli che ci ha fatto questa illimitata promessa, che ha
composto questa orazione e ci ha prescritto di pregare così529. E potremo ancora avere dubbio, se ci
voglia concedere, o siano convenienti quelle grazie che Dio stesso ci suggerisce di domandargli? O
dubiteremo se il modo di pregare gli torni gradito, mentre Egli medesimo ce lo insegna? Dove
sarebbero il consiglio, la prudenza e la sapienza dell'Altissimo? A quale fine ci avrebbe fatto questa
promessa e donazione, o fattosi autore e maestro di questa preghiera, se poi non avesse voluto darci
quello che gli avremmo domandato, essendo in sua mano il concederlo?
Come dunque per toglierci ogni dubbio circa la sua volontà e prontezza nell'esaudirci, non c'insegnò
a pregare nella maniera condizionata con cui Egli per se stesso pregò il Padre suo, dicendo: “Padre,
se è possibile, risparmiami questo calice”; ma vuole che senza restrizione od eccezione di sorta
preghiamo risolutamente, non come chi brami una cosa, cioè: “Padre, desidererei che fosse
santificato il nome tuo”; oppure in modo deprecativo, cioè: “Padre, vi supplico di questa grazia”;
così ci impone che domandiamo quanto ci è necessario in modo imperativo, e parliamo con Lui
come già una volta Giosuè disse con voce di comando: “Sole, non ti muovere di sopra Gabaon,
Luna non muoverti di sopra la valle di Aialon”. E così fu530. Ora se foste, o Signor Iddio, cotanto
pronto nell'obbedire alla voce di un uomo prima che il vostro Figlio si umiliasse a farsi uomo,
perché non farete altrettanto ora, che con l'assumere la nostra umanità, l'uomo fu in lui sollevato ad
essere Dio?
Asc,9006a:T28,5
Ah! No, non dubitiamo della vostra prontezza nell'esaudirci, perché parlando noi in tale modo per
ordine ed insegnamento vostro, Voi medesimo parlate per bocca nostra e domandate le grazie per
noi. E il vostro dire non vale forse lo stesso che il fare531?
Oh quanto siamo degni del rimprovero fatto ai discepoli di Emmaus532, mostrandoci restii a dare
credenza a quelle cose, che ci disse di propria bocca lo stesso divino Redentore! E sarà forse meno
difficile il credere che si sia Egli per nostro amore e salute fatto uomo, ed abbia data la vita sopra
una croce, quanto che per l'amore che ci porta e per la nostra salute sia per concederci tutto ciò che
gli domanderemo?
Procuriamo pertanto di giovarci di questo tesoro con essere diligenti nell'orazione; né ci scusiamo,
dicendo non essere cosa tanto facile a chi sia occupato in negozi ed affari del mondo, ed a chi non
può sempre avere vicino l'oratorio; ovunque ci troviamo, si può da noi erigere un altare; mercecché
non il luogo ci impedisce dal sollevarci a Dio, e fa buona orazione colui che offre al Signore una
fervente volontà.
Nemmeno dobbiamo angustiarci per non saper che dire, mentre si prega; diciamo pure
semplicemente ciò che diceva la buona Cananea: “Signore, abbiate pietà di noi: l'anima nostra è
gravemente tormentata dal Demonio che ci vuole tirare alla colpa533”. Quel Miserere mei, sebbene
sia orazione breve, invoca però un pelago immenso di misericordie, epperciò anche fuori di Chiesa
esclamiamo a Dio: “miserere nostri”; neanche muovendo le labbra, purché gridiamo con il cuore,
cioè col desiderio, saremo esauditi534. Preghiamo in ogni luogo; Dio è dentro di noi; non ancora
finito di pregare, già Egli sarà pronto ad esaudirci; ed appena esposti i nostri mali, le nostre
necessità e bisogni, già ne avremo ottenuto rimedio e soccorso535.
Asc,9006a:T28,6
È vero che alcune volte differisce nell'esaudirci, ma ciò non per durezza di cuore o perché non
voglia accordarci la grazia, sì per il nostro bene, cioè per farci accrescere il merito ed accordarci più
abbondanti le grazie. Si compiace di essere importunato, e per persuadercene, propone nel Vangelo
parecchi esempi e parabole; ora di colui che per la sua importunità fece balzare di letto l'amico,
perché gli desse del pane536; ora di quel giudice, il quale, benché non temesse Dio, né avesse
riguardo agli uomini, pure perché la povera vedova non venisse di continuo a rompergli la testa, le
fece ragione del suo avversario537. Nella Cananea, poi, ce lo fece vedere col fatto, che Iddio ci darà
anche quelle cose che non avrebbe date per certo, se con istanza ed affetto cordiale non gliele
avessimo chieste. Infatti la licenziò con dirle non essere conveniente levare il pane ai figliuoli, per
darlo ai cani, pure alla fin fine glielo diede, perché con grande ardore perseverò la misera nel
chiedere538. All'opposto ai Giudei pigri ed indolenti, non concesse neppure quello che già era
disposto a dare; anzi invece di ricevere il soprappiù, perdettero quanto già avevano ricevuto539; e la
buona donnicciuola, perché seppe implorare ed importunare, strappò, per così dire, il pane di mano
ai figliuoli, ancorché sul principio fosse ributtata come cane.
Neppure stiamo a dire che non preghiamo, perché non degni di essere esauditi, imperciocché anche
la Cananea era indegna, e nondimeno impetrò tanto abbondantemente la bramata grazia.
Asc,9006a:T28,7
Nemmeno diciamo di aver commesso…
Nemmeno diciamo di aver commesso molti peccati contro Dio, e quindi non osare invocarlo in
nostro soccorso, avendo tanta ragione di essere irritato contro di noi: perché non guarda Egli al male
che abbiamo fatto, sì al bene che vogliamo fare in avvenire ed alla nostra buona volontà attuale.
Che se alle preghiere della vedova importuna si piegò quel giudice iniquo e perverso, quanto più si
muoverà a compassione di noi il nostro giudice sì buono e pietoso, se ci vedrà perseveranti nel
battere alla porta della sua misericordia.
Quand'anche pertanto non gli siamo amici o domandiamo cose delle quali non siamo degni; se per
aver scialacquato il nostro patrimonio540, né vissuto da figli, lo scorgessimo adirato, non paventiamo
però; mercecché appena verremo a Lui con la preghiera, pentiti di averlo offeso, risoluti di non
offenderlo più, non solo si placherà il suo sdegno, ma Padre pietoso e tenero verrà a noi e ci
perdonerà, accordandoci i suoi segnalati favori541.
Asc,9006a:T28,8
Ma perché tanto timore con un Padre amantissimo e bramoso di essere importunato? Diciamogli
dunque a tutta fidanza: “Signore, permettete che vi presentiamo non solo suppliche, ma ragioni. Ora
dunque sentite: o ci considerate come nemici, o come amici; se come nemici, non potete negarci,
anzi concederete volentieri quanto domandiamo, poiché ci avete comandato di amare i nostri
nemici, fare del bene a chi ci odia, essere liberali con chiunque ci domandi alcuna cosa, anzi, ci
esortaste a dare anche il mantello a chi ne togliesse la veste542, e tutto questo affinché siamo figli del
nostro Padre celeste, il quale fa splendere il sole suo a pro dei buoni e dei cattivi, e manda la pioggia
anche a beneficio dei malvagi ed ingrati. Inoltre Voi siete fedele e ci promettete che riceveremo
quanto vi domandiamo, pregandovi, e non intendeste escludere alcuno da sì consolante promessa,
avendo soggiunto: Tutti quelli che domandano, ricevono543.
Ora come potreste non esaudirci ancorché peccatori e nemici, se Voi siete, come è di fede, perfetto
come il Padre vostro e fedelissimo nelle vostre promesse?
Se poi ci considerate come amici, siete pure in certo modo costretto dalla vostra bontà e fedeltà ad
esaudirci più che volentieri, poiché come potrete ricusare agli amici vostri ciò che concedete sì
largamente ai nemici? Mentre ogni bene deve essere comune tra gli amici, anzi non vi deve essere
tra loro che un solo volere e non volere?”
Asc,9006a:T28,9
Ciò nullameno alcuna volta da noi si prega e non si ottiene. E per quale cagione? Per questa che non
preghiamo con quella confidenza ed importunità con cui pregarono la Cananea, l'amico e la vedova;
perché, sebbene l'abbiamo disgustato, basta però rammentargli che è Padre, per vederlo all'istante
placato544.
Laonde è necessario che nell'orazione badiamo ad una cosa: quando pure ci avvenisse l'opposto di
quanto con fiducia da noi si domanda, tuttavia non desistiamo dal pregare e sperare di essere
esauditi.
Se dunque ci sembrasse di essere trattati anche noi duramente come la Cananea, accostiamoci
maggiormente, ed imparando da quella buona maestra, diciamo con lei: “È vero, o Signore, siamo
peggiori dei cani per le nostre ricadute nel peccato, ma non mangiano i cani almeno le briciole che
cadono dalla mensa dei loro padroni545? Dateci dunque di quelle briciole e ci basta”. Anzi, non
desistiamo dal pregare ancorché più volte vedessimo rigettata la nostra domanda, come ce lo
insinua nella parabola di quell'uomo, cui sebbene ripetutamente fosse data ripulsa, pure
perseverando nel chiedere, non solo ottenne i tre pani, ma quanti gliene abbisognavano546.
Anzi, anche nulla ottenendo, dovremmo pregare: infatti, osserviamo la differenza che passa fra il
chiedere elemosina a qualcuno, e l'orazione con la quale l'uomo domanda a Dio le sue misericordie.
La semplice e sola domanda dell'elemosina non satolla, né provvede alle necessità del povero, sì
non necessari il cibo e la bevanda; all'incontro, la stessa azione per cui domandiamo a Dio le grazie,
ci serve di cibo, ci satolla, ed arricchisce l'anima di meriti e beni celestiali.
Disse una volta Gesù Cristo a Santa Metilde: “Quando tu mi sospiri appresso, tu mi concentri in te,
e vedi meraviglia! Per vile ed abietta che sia una cosa e leggera come pagliuzza, non se ne può
l'uomo impadronire con il solo volerla: e tuttavia, chiunque liberamente con il desiderio, o con un
sospiro mi cerca di cuore, può farmi suo”.
Asc,9006a:T28,10
Che se il pregare…
Che se il pregare ci si facesse anche per lungo tempo e penoso e difficile, non ci perdiamo di animo
però, né cessiamo dal pregarlo di concederci tutte le grazie, e soprattutto non permettere che più
l'offendiamo, dicendo umilmente sì, ma pieni di fiducia: “Fino a quando, o Signore, permetterete
che si vanti il nemico vostro e nostro di averci atterrati e vinto col farci cadere in peccato547?” Forse
ci risponderete che a questo modo la vostra misericordia risplende nel perdonarci? Ma non
comparirà anzi maggiore nel preservarcene?
Né ci vogliate dire, o Signore, che ciò permettete per tenerci in umiltà, poiché a Voi non mancano
innumerabili altri mezzi senza venire a questo di lasciarci cadere. E non fu forse la madre vostra
Maria Santissima la più umile di tutti? Eppure immune la preservaste da qualunque neo di colpa.
Così teneste in umiltà ed il vostro precursore e quanti giusti confermaste in grazia, e pure tutti
furono preservati dalla colpa mortale. Che se necessaria cosa è che da alcune creature vengano
scandali, vi supplichiamo di non metterci nel loro novero; dappoiché voi stesso ci insegnaste a
pregarvi di non lasciarci soccombere alla tentazione.
Asc,9006a:T28,11
Che più? Non solo pregarvi, ma perdonateci, vogliamo costringervi. Infatti sentite: noi stessi, cattivi
quali siamo, non negheremmo tale grazia a chiunque ce la domandasse, se fosse in nostra mano il
concederla. Or bene, dov'è la vostra bontà, o Signore, se Voi che la potete dare ce la ricusate? Anzi
noi, che pure sì poco e malamente amiamo noi stessi, tanto ci desideriamo questa grazia, e Voi che
infinitamente ci amate, avrete cuore di negarcela? Per liberarci dal peccato, tutto versaste con tanta
pena e dolore il sangue vostro; ed ora che a preservarcene non avete che a volerlo, potrà la vostra
clemenza lasciarci dubitare che non lo vogliate? Anzi come potrete non volerlo, se vi degniate di
pensare che essendovi fatto nostro, faceste pure nostra la volontà vostra medesima?
Che se il Padre celeste, non vuole avere riguardo a noi, come purtroppo ce lo meritiamo, ditegli Voi
stesso, o Signore nostro Gesù, che mentre a Lui chiediamo in nome vostro, non a noi, ma a Voi si
nega la domanda nel ricusare il memoriale da Voi presentato548.
Finalmente se Voi stesso, o dolce Gesù, non volete farlo per nostro riguardo, piegatevi almeno per
amore del Padre.
E non offende anche questi, chi offende Voi? Se dunque vi sta a cuore, che non sia da noi offeso il
Padre vostro, esaudite la nostra domanda: ed è questa che non lo offendiamo nell'avvenire.
Asc,9006a:T28,12
Che più? Voi siete sì buono e potente, che non permettereste la colpa, se dal male non poteste
cavarne un gran bene549, come lo palesaste nel volgere il peccato di Adamo a sì nostro grande
vantaggio, che la Chiesa vostra sposa giunse a chiamare felice la colpa che ci procurò un tale e sì
grande Redentore550; di modo che come si esprime Francesco di Sales vostro servo fedele, noi
eravamo perduti, se Adamo non ci avesse rovinati551, mercecché saremmo rimasti privi di tanti beni
avuti per mezzo del Redentore.
E per verità, quanto maggior tesoro di meriti non acquistarono per il loro peccato il vostro vicario
Pietro e l'amante vostra Maddalena e tanti altri Santi penitenti! Anzi, non lo dichiaraste forse Voi
stesso, o Signore nostro, dicendoci che certe meretrici e pubblicani avrebbero avuta maggior gloria
nel regno dei Cieli552, perché la riconoscenza per il perdono ottenuto, li avrebbe eccitati ad amarvi di
più e compensarvi con il loro maggior fervore i disgusti che pure vi diedero553?
Che se il male non si converte in bene ad alcuni peccatori, è appunto per ciò che disprezzando la
grazia e le ricchezze della vostra bontà con la loro perversa ostinazione nel non ricorrere a Voi, si
radunano tesori di ira, e tuttavia anche allora, o Signore, volgete il loro peccato in salute degli altri;
onde non lasciaste mai di cavare bene dal male, secondo le ammirabili disposizioni della vostra
infinita sapienza, potenza e bontà.
Preghiamo pertanto senza mai stancarci e giacché abbiamo tanti mezzi opportuni a salute e speranze
di migliorare, sebbene ogni giorno cadessimo in qualche difetto, ricorriamo nondimeno al nostro
Dio con la più grande fiducia, pregandolo di perdonarci, né permettere che l'offendiamo più oltre,
perché così facendo, non cadremo con tanta facilità e frequenza, riceveremo forza per cacciare
lontano il Demonio, muoveremo Iddio ad usarci misericordia, e tutto volgendo in nostro bene,
conseguiremo la vita eterna.
Fu questa la pratica di tutte le anime sante, e poiché sono esse le nostre fedeli scorte e sicure,
seguitiamone l'esempio, imitiamone le virtù.
Asc,9006a:T29
Tesoro XXIX. La nostra predestinazione
Asc,9006a:T29,1
A questa voce di predestinazione, o dolce Signore nostro Gesù, ci corre per le ossa un freddo gelo di
spavento, temendo di non essere di quell'avventurata schiera dei predestinati alla celeste gloria; e
quindi, anzi che collocare questo imperscrutabile mistero fra i tesori che ci portino a speranza,
sembra che dovremmo allontanarne a tutta possa il pensiero per non esserne oppressi. Tuttavia,
come già altre volte trovammo contro ogni aspettazione, tesori di ricchezze, ove ci prendeva timore
di incontrare abissi di mali, non è bene lo sbigottircene, anzi speriamo di ricavarne anche ora la
nostra consolazione.
E sebbene la Chiesa vostra sposa, ragionando di questo mistero, ci dica che senza divina speciale
rivelazione nessuno può essere affatto certo della sua predestinazione554, ciò nullameno soavemente
ci esorta e ne inculca di riporre in Voi, o Signore nostro, la più ferma speranza, perché se da noi non
si manchi alla vostra grazia, Voi manderete a buon termine l'opera incominciata dell'eterna nostra
salute555.
Asc,9006a:T29,2
E per verità, o apostolo S. Paolo, certamente voi non intendeste atterrire i Gentili convertiti, quando,
avendoli esortati a tenersi umili e non gloriarsi della loro vocazione alla fede, per essere questa una
grazia totalmente gratuita556, proponeste loro di considerare come Iddio avesse permesso la loro
incrudeltà e quella dei Giudei non per condannarli, sì per usare con tutti della sua misericordia, e
concludeste, esclamando per meraviglia: “Oh profondità delle ricchezze della sapienza e scienza di
Dio557”!
E perché, di grazia, se intendevate incuterci timore, non vi serviste delle voci terribili di abisso, di
giusta collera di Dio e di estremo rigore? E perché da affanno oppresso non esclamaste: “Quanto
sono terribili i giudizi di Lui”? Se perciò li diceste soltanto incomprensibili558; se all'opposto usaste
le voci amabili di ricchezze divine, che tanto allettano e devono rallegrare i nostri cuori, non pare
forse che abbiate piuttosto voluto confortarci, portandoci a speranza ed allegrezza, ripensando ai
tesori dell'infinita scienza e sapienza di Dio a nostro vantaggio? E non sono veramente consolanti559,
benché incomprensibili, i vostri giudici ed imperscrutabili le vostre vie, o Signore, nel sapervi
servire e disporre della stessa incredulità degli uni come di mezzo per usare misericordia con gli
altri e quindi con tutti?
Nondimeno, siccome lo stesso Apostolo, dicendoci essere questo un abisso di profondità infinita, ci
avverte di non volerlo curiosamente investigare560, sì compresi da riverenziale timore non pretendere
di andare nel fondo di questa miniera d'infinite ricchezze561, così non entreremo a scrutinare ciò che
di questo mistero a Voi riservaste, o Signore, limitandoci a considerare con umiltà quelle cose
soltanto che per nostro conforto e profitto vi degnaste manifestarci.
Asc,9006a:T29,3
Ed ecco che…
Ed ecco che al primo entrare in questa miniera già ci incontriamo in una vena ricchissima di fiducia
e di consolazione, considerando i nomi vostri amabilissimi, i quali non sono nomi vani e senza
sostanza, ma tali che esprimono le consolanti e soavissime qualità del vostro cuore verso di noi;
epperciò più che bastanti a tranquillizzarci, persuasi che la nostra predestinazione è nelle vostre
mani, o Dio di salute e di amore.
Infatti per riposare tranquilli, potremmo volere che la nostra predestinazione fosse raccomandata ad
un nostro padrone ricco, potente, affezionato e benigno, perché saremmo sicuri che non ci
lascerebbe mancare i mezzi necessari per servirlo, avrebbe riguardo alla nostra debolezza, ci
sopporterebbe con pazienza, ci perdonerebbe facilmente, dandoci inoltre una ricompensa degna di
Lui.
Ma quale immagineremo miglior padrone ricco, potente od amante più di Voi, nostro buon Dio?
Chi più di Voi indulgente, pietoso e propenso ad usare misericordia562? Se vi protestate di voler
essere il rifugio del povero563, come non lo sarete, via più dei poveri che vi servono?
Da chi potremo sperare maggiori mezzi per servirvi, se Voi medesimo che siete l'onnipotente,
volete esserci aiutatore al tempo opportuno nella tribolazione564? Finalmente da chi sperare maggior
ricompensa, fuori che da Voi infinitamente ricco e liberale, a segno che promettete ai vostri servi la
vita eterna anche per un bicchiere d'acqua data per amore vostro565?
Che se concepiremmo maggiori speranze, quando avessimo da fare con un amico affezionato, ricco
e potente, perché dovendo essere tra gli amici comuni i beni, potremmo farne gran capitale; ove ci
sarà dato di trovare migliore amico e più fedele di Voi, o Gesù, che mentre ci degnate di
considerarci non come servi, ma come amici566, assicurandoci di non esservi carità più grande che
quella di colui che dà la sua vita per i suoi amici567, faceste conoscere la grandezza dell'amore
vostro, sacrificando la vita per noi tuttora peccatori nemici568?
Asc,9006a:T29,4
Ma perdonateci, o Signore, la nostra predestinazione è di tanta importanza che la affideremmo più
volentieri ad un buon pastore. Oh se ci voleste considerare come vostre pecorelle, ed averne quindi
sollecita cura, quanto vi saremmo tenuti!
Ma come potrete negarcelo, se Voi medesimo amorosamente assumeste il tenero nome di buon
pastore senza esserne da noi pregato569?
Che se una pecorella si affida al suo pastore, benché si vesta delle lane e si disseti col latte e si nutra
delle carni di lei, quale torto vi faremmo nel non affidarci interamente a Voi, che siete quel pastore
nostro sì tenero, sì provvido, che differente dagli altri, volete vestirci della vostra grazia e delle
vostre virtù, pascerci delle vostre carni, ed abbeverarci con il vostro preziosissimo sangue570? Oh
quali acque di gaudio e di fiducia noi possiamo cavare dai limpidissimi fonti571 di questo pastore sì
buono, che non ricusa di dare la sua vita per noi, sue care pecorelle572!
Oh quanto gli stiamo a cuore, mercecché per ben tre volte raccomandò al suo vicario S. Pietro, che
avesse di noi la più sollecita cura573!
Già dovremmo, è vero, essere tranquilli nelle mani di tanto tenero e sollecito pastore; tuttavia
degnatevi di compatirci; il timore del minimo pericolo in tanto affare ci inquieta, e brameremmo
abbandonare la nostra predestinazione nelle mani di un fratello affezionato, poiché lo Spirito Santo
lo dice: il fratello aiutato dal fratello è una forte città574; perciò ve ne preghiamo, degnatevi di averci
quasi fratelli e rallegrateci con nome sì dolce.
Sebbene a che pregarvi di ciò, se già tante volte ci chiamaste fratelli vostri, e dichiaraste nostro il
Padre vostro medesimo575?
Ora permettete che vi rammentiamo, che Voi stesso ci protestate, che non ha in sé la carità di Dio
chi non soccorre, potendo, il fratello necessitoso576. Come dunque essendo Voi la stessa carità577,
potrete non muovervi a compassione della miseria dei vostri fratelli, e ci vorrete lasciare perire,
potendo soccorrerci con i tesori dell'infinita vostra ricchezza?
Asc,9006a:T29,5
Vi faremmo veramente…
Vi faremmo veramente massimo torto se dubitassimo della nostra predestinazione, avendo da fare
con sì affezionato e ricco fratello, tuttavia non vi sdegnate, o Signore578, se osiamo supplicarvi di
considerarci quali figli vostri. Oh se potessimo ottenere di avervi Padre amoroso e tenero, quanto ci
stimeremmo sicuri di andare salvi un giorno!
Eh via, consoliamoci pure, perché il nostro Signore, non solo ci è buon padrone, amico fedele,
pastore sollecito, fratello affezionatissimo, ma di più per eccesso di carità volle degnarsi di adottarci
quali figli579. O amato discepolo, quale lieta novella ne date! E dove troveremo un Padre più tenero
di Voi, o Signore, che per francarci da ogni timore, vi fate chiamare Padre delle misericordie e
consolatore in ogni nostra tribolazione580? E quale dubbio che vogliate esserci tale, se volendo di
tutto ben provvisti noi, figli vostri, e conoscendo i nostri bisogni581, Voi stesso ci insegnate e ci
suggerite ciò che abbiamo da domandarvi582, e volete che vi invochiamo con il dolce nome di Padre,
per ispirarci confidenza ad ottenere ogni cosa ed essere così liberi dal male583? Oh tenerezza di
amore! Oh degnazione infinita! Noi figli di un Dio onnipotente, ricchissimo, infinitamente buono584!
Oh Dio! Voi dunque nostro Padre! E Padre sì tenero nell'amarci che nessun padre terreno in
confronto a Voi merita nome di padre585! Padre che superate infinitamente nell'amarci la tenerezza
medesima di qualunque più sviscerata madre, e ci assicurate che se pur potesse l'infelice
dimenticarsi, né avere pietà del tenero frutto delle sue viscere, Voi non potreste a meno di avere di
noi e compassione e memoria586.
O Padre amorosissimo, non siete Voi quegli, cui prese tutta pietà di quel figlio scialacquatore, che
non solo non lo rigettaste pentito, ma l'accoglieste, giubilando in casa, e gli donaste vesti nuove e
l'anello587 di predilezione, gli imbandiste lauti conviti e faceste gran festa per il suo ritorno? In quali
migliori mani pertanto potremo noi bramare assicurata la salute nostra? E che ci potrà mancare in
casa di un tale padre? E quale timore in conseguenza potrà ancora turbarci riguardo alla nostra
predestinazione?
Asc,9006a:T29,6
Giacché però foste sinora tanto cortese, o amorosissimo Padre nostro, abbiate ancora un po' di
sofferenza588, e degnatevi di bandire da noi ogni timore; diteci in grazia: avete Voi per tutti noi
servi, amici, pecorelle, fratelli e figli vostri versato il sangue, sacrificata la vita? Diteci insomma, ci
voleste salvi sinceramente?
Oh parole più dolci del miele589! Quanto ci deve confortare il sapere che siete molto misericordioso
e benefico verso tutti590, ed avete cura di ognuno, onde dare a conoscere che ingiustamente non
giudicate, e perché siete il Signore di tutti, con tutti vi fate indulgente591.
Deh come ben diceste, o beatissimo Paolo, che la carità di Gesù Cristo ci stringe, considerando
questa sincera volontà in Lui di salvarci tutti, poiché se uno solo è morto per tutti, ne segue che tutti
eravamo morti592; e Gesù Cristo è veramente morto per tutti, ed è morto appunto, perché in Lui
abbiamo la vera vita; e siccome in Adamo tutti muoiono, così pure tutti in Cristo saranno
vivificati593, perché Egli è propiziazione per i nostri peccati, e non solamente per i nostri, ma anche
per quelli di tutto il mondo594.
Che se tutti, o Signore, possono essere certi della vostra sincera volontà di salvarli, quanto più
dobbiamo essere tranquilli noi, che per grazia vostra nel santo Battesimo già fummo scritti nel libro
della beata predestinazione, avendoci annoverato tra i fedeli, dei quali in speciale modo vi degnate
di chiamarvi il Salvatore595?
Asc,9006a:T29,7
Anzi, ci aspettaste peccatori…
Anzi, ci aspettaste peccatori con tanta pazienza, appunto perché convertiti, a Voi ritornando,
nessuno perisca596, né solo ci aspettaste, ma tanto vi stava a cuore di salvarci tutti, che non mandaste
altri, ma vi degnaste di venire in persona a cercare e salvare quelli che si erano perduti597; che se
tutti eravamo perduti in Adamo, tutti per conseguenza veniste a salvare, e la Chiesa ci consola ed
assicura, che veramente volete tutti salvi, né alcuno si perda; che non escludete dalla vostra
misericordia nemmeno la stessa giudaica perfidia, anzi in ogni tempo cercate di salvare i
peccatori598.
E per verità, se lungi dal rallegrarvi della perdizione dei viventi599, ci protestate con solenne
giuramento di non volere che si danni l'empio, ma desiderate che si converta e viva600; di chi non
vorrete Voi la salute! Se persino il perfido Giuda avrebbe trovato rimedio al suo delitto nella vostra
Passione, se non fosse corso con il laccio alla morte601, chi potrà temere di essere da Voi rifiutato, sì
che non vogliate sinceramente salvarlo?
Che se non può cadere dubbio sulla sincera volontà dichiarata e con giuramento confermata da un
principe verace, giusto e prudente chi potrà senza gravissima ingiuria dubitare della vostra volontà
pubblicata, e con giuramento confermata dal vostro Profeta? E non sarebbe questo un fare di Voi
Dio vero, un Dio da scena sì che solennemente affermaste di volere ciò, cui neppure pensate di
volere?
Asc,9006a:T29,8
Ma un solo sguardo a quanto vi degnaste di operare per la nostra salute, ne assicura ognora più circa
la nostra beata predestinazione, o Signore.
Infatti osservando i sudori che sparge il contadino in arare e seminare il campo, a chi verrà mai in
pensiero che non abbia vero desiderio di averne a suo tempo il frutto? Quale padre usò la necessaria
pazienza nell'ammaestrare il proprio figlio e non ne bramò sinceramente il profitto? Non sarebbe
follia il solo immaginarlo? Poiché non vi è alcuno, che non desideri il fine cui tende il mezzo che
adopera.
Ora, o Signore dolcissimo, a che discendeste dal Cielo in terra? Sopportaste tanti dispregi, sì fiere
persecuzioni, sì crudi patimenti e dolorosa morte, se non per la nostra salute602?
Di un cacciatore, il quale corra anelante dietro una fiera, ed ora la rintracci per balze, ora la insegua
nel piano, ora la cerchi per le caverne: abbia da una parte tese le reti, dall'altra appostati i cani; ora
gridi per atterrirla, ora per assicurarla se taccia, ora la miri per colpirla, perciò si sciolga in sudori e
non si curi, si insanguini tra i pruni e non si rimanga, potrà mai dirsi o pensarsi che non sia vago di
farne sua preda? Che egli si valga di tante industrie, che sopporti tante fatiche e pene per non averla
nelle mani?
Or bene, non è ciò appunto, che Voi fate o Signore, per averci con Voi in Paradiso? Per quanto
tempo, per quante strade, in quanti modi ci teneste dietro, o amantissimo cacciatore celeste603! A
forza di chiamarci a conversione, divenne rauca la vostra voce604; ora con benefici cercaste di
allettarci al bene, ora ci tratteneste con il timore del male; ora malgrado nostro ne attraversaste i
perversi disegni; ora promettendoci carezze nel ritorno, a Voi c'invitaste605.
E se questi non sono segni di una sincera volontà di salvarci, quali altri saranno mai?
Asc,9006a:T29,9
Sebbene non vi sdegnate…
Sebbene non vi sdegnate606, o Signore, se ancora vi siamo una volta importuni; diteci in grazia, ci
avete poi tutti provvisti di mezzi sufficienti per operare la nostra salute?
Deh quanto siete cortese, o Redentore dolcissimo! E non siete Voi quella fonte inesausta di beni,
dalla cui pienezza noi tutti riceviamo607 non solo quanto ne abbisogna, ma con abbondanza608, e
poiché siete il padrone di tutti, così a tutti senza eccezione fate parte delle infinite vostre
ricchezze609. Non solo dunque ci date un semplice e sufficiente mezzo per salvarci, ma una
sufficienza ricca, ampia610, magnifica, e quale deve aspettarsi da una sì grande bontà.
Né possono lamentarsi i peccatori, che sia stata scarsa con loro, sì devono confessare di avere con le
volontarie resistenze disprezzato611 le ricchezze della pazienza e tolleranza, con cui cercavate di
convertirli e salvarli.
Inoltre, non può essere612, o Eterno Padre, che non siano con grandissima fedeltà somministrati ad
ognuno i mezzi bastevolissimi per salvarci, sia perché il vostro divino Figliuolo umanato li ha col
prezzo inestimabile del proprio sangue per noi meritati, sia perché, come notò S. Tommaso, in caso
contrario ne seguirebbe che tutte le creature, ancorché insensate, sarebbero state ordinate meglio al
loro fine che non noi al nostro.
Infatti quale creatura troveremo nell'universo pur abietta che sia, la quale non vada munita di
qualche aiuto per conseguire il suo fine, qualora non possa da sé, sola, raggiungerlo? Ora non
potendo noi con le semplici nostre forze arrivare al nostro fine soprannaturale della felicità eterna, è
credibile che Voi, Signore, non ci abbiate provvisti di altri mezzi veraci e valevoli per giungervi? E
non vi faremmo il più grave torto anche in solo immaginarci, che Voi usiate meglio con i bruti, che
con noi servi, amici, fratelli e figli vostri, che costituiste padroni dei bruti stessi613?
Asc,9006a:T29,10
Anzi, dove sarebbe la vostra equità e giustizia, o Signore, se ci comandaste di volare, di parlare o di
vedere, e non ci voleste somministrare né ali, né lingua, né occhi? Pure non ci sarebbe forse ciò
assai meno impossibile (poiché non esce dall'ordine naturale) quanto pervenire con le sole forze
nostre al fine soprannaturale, verso cui non hanno alcuna proporzione tutti i mezzi naturali? E si
potrà anche solo sospettare in Voi Padre e Dio nostro, un procedere che neanche in qualunque uomo
si potrebbe tollerare?
Obbligandoci inoltre tutti e senza eccezione a raggiungere il fine per cui siamo creati, direttamente
ne consegue che gli aiuti e mezzi necessari a tale fine non potete negarli ad alcuno, finché vive, pur
empio che egli sia, perché a nessuno Voi potete giustamente comandare l'impossibile614, ed
imputarne a colpa la necessaria disobbedienza e punirla: onde ognuno, solo che lo domandi, ha o
può avere quegli aiuti, senza dei quali non potrebbe obbedire al vostro comando, giungere cioè al
fine che è la vita eterna615; di modo che se siamo giusti, possiamo con tali aiuti mantenerci in grazia;
se peccatori, riacquistarla con la conversione616. E quindi ognuno può salvarsi solo che voglia
adoperare tali mezzi ed aiuti.
Asc,9006a:T29,11
Che se manca la grazia…
Che se a nessuno manca la grazia e per conseguenza neppure i mezzi necessari per la salute, attesa
la sincera vostra volontà, o gran Dio, di salvare tutti617, di modo che neanche gli infedeli possono
lagnarsi di Voi, mercecché essi pure se vogliono aderire ai lumi618, ed usare i mezzi che loro
somministrate, possono veramente salvarsi: quanto meno dobbiamo menarne lamento, non in sì
peculiare modo da Voi favoriti del dono della fede, e con lei arricchiti dei mezzi della cristiana
educazione, della preghiera, dei Sacramenti e della divina parola?
Inoltre come potremmo lagnarci, dicendo che per assicurarne la salute, avreste potuto arricchirci di
grazie molto maggiori, o concederci quelle che ad altri accordaste, mentre con queste che
ricevemmo, possiamo facilmente salvarci? I santi Bonaventura poi e Tommaso ci insegnano che di
una medesima grazia ed in pari circostanze possiamo più o meno, od anche niente giovarcene,
secondo la nostra libera, o maggiore o minore, o nulla cooperazione619. Ed infatti dice S.
Agostino620, non avrebbe potuto Faraone, come cedendo ai flagelli, lasciò andare libero dall'Egitto il
popolo d'Israele, così cedendo ai prodigi, riconoscere in questi il braccio onnipotente di quel Dio
che li operava? Ambedue erano uomini e re, Faraone e Nabucodonosor, ambedue tenevano schiavo
il popolo di Dio, e ambedue furono da Dio misericordiosamente ammoniti con flagelli; per quale
cagione pertanto lo stesso rimedio fu rovina all'uno, fu salute all'altro? Per quale cagione fu sì
diverso il loro fine, se non perché uno sentendosi aggravare sopra la mano di Dio, riconobbe e
pianse le sue colpe, l'altro ostinato volontariamente combattè contro la mano pietosa di Dio che lo
puniva?
Anzi, non solo con grazie uguali, ma anche con minori621 possiamo salvarci; ed all'incontro, perderci
con grazie maggiori, come caddero e si persero tanti Serafini (fra i quali dalla comune dei Teologi si
annovera Lucifero) dotati di grazia sublime a proporzione dei doni loro naturali, e secondo la
sublimità del loro angelico ordine; mentre tanti Angeli degli ordini inferiori, epperciò meno ricchi
di grazia e di doni, perseverarono costanti nella grazia ricevuta (a).
Asc,9006a:T29,12
(a) Secondo S. Agostino tanto può salvarsi il predestinato, che il non predestinato, poiché il
salvarsi non dipende dalla predestinazione, potendo noi resistere a qualunque grazia maggiore o
minore, sia che siamo predestinati, sia che non lo siamo. Non dipende nemmeno dalla prescienza,
perché essa non influisce sulle nostre azioni future più di quel che influisca la nostra memoria sulle
azioni passate, perché non è Dio che col prevedere ci faccia agire in conformità della sua
prescienza, ma il nostro libero operare futuro preveduto come operato, che fa ciò a Dio prevedere;
dipende perciò dalla nostra cooperazione622 per porre la quale a tutti è data la grazia, cui possiamo
liberamente aderire, o non aderire.
Epperciò non andiamo cercando altro, dice S. Gregorio Nisseno: “Chiunque vorrà fare bene, sarà
predestinato, chiunque non vorrà fare bene, sarà riprovato” (Hom. I, post Dom. I Quadrag.). Fa
pure a questo proposito ciò che dice Giovanni Gersen (De Imit. Christi, lib. 1, XXV), di una
persona, la quale angustiata, andava dicendo tra sé, mentre orava innanzi ad un altare: “Oh se io
sapessi di aver a perseverare nel bene!” E tosto udì rispondersi interiormente da Dio: “E se ciò
sapessi, che vorresti fare? Fa ora ciò che in tale caso faresti, e sarai sicuro di perseverare”.
Asc,9006a:T29,13
Onde ne consegue…
Onde ne consegue che se ci perdiamo, non è o perché vi manchi la vostra grazia623, o non sia
sufficiente a salvarci, oppure discenda minore in noi che non negli altri, sì per il resisterle che
ostinatamente facciamo, la colpa è nostra, tutta nostra624.
Ecco pertanto nella nostra predestinazione un tesoro, che per parte vostra, o Signore, non può essere
in migliori mani, sì per le qualità della vostra persona a nostro riguardo e per le chiare proteste di
volerci tutti salvi; sì per le prove che ci avete dato di questa vostra sincera volontà, e finalmente per
i mezzi abbondantissimi da Voi somministratici, perché possiamo giungere all'acquisto di tesoro sì
grande (b).
Asc,9006a:T29,14
(b) Quanto osservammo sin qui deve essere più che sufficiente a toglierci ogni difficoltà e timore
riguardo alla volontà sincera di Dio in volerci tutti salvi, poiché non si deve paragonare la volontà
di Dio a quella dell'uomo: questa non si giudica sincera, quando non fa tutto quello che può, e non
adopera tutti i mezzi che dipendono da lui per venirne a termine; l'uomo può fare ciò, perché il suo
potere è circoscritto, ma questo è assurdo riguardo a Dio, essendo impossibile che Egli faccia tutto
quello, ed usi tutti i mezzi che dipendono da Lui, perché sono inesauribili i mezzi della sua infinita
sapienza e del suo potere (Bergier, Dizionario, verb. salute).
Si osservi quindi quanto sia intollerabile la nostra temerità ed indiscrezione, allorquando osiamo
chiedere a Dio perché, volendoci tutti salvi, a tutti pure non accordi quei mezzi di salute, ai quali
prevede che saremmo per acconsentire e ne andremmo salvi; o perché esiga pure la nostra
cooperazione per salvarci625. Non dovremmo noi piuttosto confonderci della nostra ingratitudine,
ed interrogare noi medesimi, per quale cagione ostinati non vogliamo adoperare quei mezzi che
Iddio ci offre con tanta bontà e liberalità, coi quali potremmo così facilmente salvarci, se volessimo
servircene?
Asc,9006a:T29,15
Se un ricco signore vedendo un povero perire di fame, mossone a compassione, gli offrisse una
somma più che sufficiente per provvedersi di quanto è necessario, potremmo noi senza sdegno
vederlo ricusare quell'offerta, solo perché non è di quella specie di moneta che egli desidera?
E che dire inoltre se il povero affamato pretendesse che questo signore andasse egli medesimo a
fare la provvigione, o venisse non a mettergliela nelle mani, sì tra i denti medesimi, e ciò solo per
risparmiarsi il disturbo di alzare il braccio? Potrebbe immaginarsi ostinatezza, indiscrezione più
grande o più pazza pretesa?
Ora non sarebbe altrettanto maggiore la nostra ingratitudine, se mentre sappiamo che a meritarci
l'eterna salute, ed entrare nella gloria, che pure gli era dovuta, dovette626 il Figlio di Dio
sopportare tanti dispregi, e dolori, versare il sangue, sacrificare la vita, e noi pretendessimo che
nulla avesse a costarci per parte nostra il Paradiso?
E non dovremmo vergognarci anche solo di pensare, che l'Altissimo Iddio abbia da adattarsi agli
indiscreti nostri capricci? Non dobbiamo piuttosto a tutta ragione sottometterci alla sua santissima
volontà, ed accettare con umile riconoscenza le grazie che Egli si degna di farci? Vorremo noi, che
per dimostrarci sincera la volontà sua di salvarci, ne mandasse non già un Angelo, che ci portasse
per i capelli, come Abacuc, perché forse troveremmo ancora troppo incomodo un tale mezzo, ma ci
donasse un carro come ad Elia per condurci al Cielo a tutto nostro bell'agio?
Asc,9006a:T29,16
È vero che in quanto a noi abbiamo molto da temere; sia perché, volontariamente abusando della
libertà dataci da Voi padre amantissimo, affinché con merito operassimo il bene, guastiamo le opere
vostre, mettendo indugi ed ostacoli alle vostre paterne beneficenze; sia perché non sappiamo se
saranno buone o cattive le opere nostre in avvenire, essendo cosa certissima che opereremo quale
meglio ci talenta, perché onninamente liberi di piegarci a questa parte oppure a quella.
Conoscendo pertanto l'abisso della nostra miseria, dobbiamo collocare nel vostro aiuto, o Signore,
la ferma fiducia di ottenere con l'orazione627 la perseveranza finale; perché sebbene Voi, o padrone
dell'universo, non avendo da noi ricevuta cosa alcuna, di nulla ci siate debitore, tale però vi faceste
per vostra sola bontà, promettendoci assai più che non avremmo osato domandarvi, mercecché
nell'ampiezza delle promesse fatteci di esaudirci in tutte le domande conformi alla vostra gloria, ed
utile nostro, non eccettuaste la grazia della finale perseveranza. E siccome questa perseveranza
finale che ne assicura la predestinazione, non è una grazia sola, ma una serie di molte e continue
grazie, e per altro l'incertezza non è dalla parte vostra nell'esaudirci, ma nella nostra perseveranza in
pregarvene, così supplicandovi di continuo di darci questa perseveranza nell'orazione, senza fallo da
Voi la otterremo; poiché, sebbene lo spirito vostro spiri dove vuole628, tuttavia non lascia di riposarsi
là dove l'umile preghiera lo invita; anzi, siete così bramoso di esaudirci, che non compiuta ancora la
nostra preghiera, od anche al solo vederci disposti a pregarvi, già ci esaudite629.
Senonché essendo Voi il Padre delle misericordie, il Dio di tutta consolazione, il quale ci consola in
ogni nostra tribolazione630, perché ci lasciaste così sconsolati, ed afflitti nell'incertezza terribile della
predestinazione per parte nostra? E quale cosa vi costava lo svelarci quest'arcano, liberandoci così
da ogni affanno ed angustia?
Deh Signore, perdonateci! Veramente ci angustiamo senza ragione; poiché scoprendo una nuova
miniera di beni in questa incertezza medesima della nostra predestinazione, siamo sicuri di giungere
a salute, se pure vogliamo corrispondere alla grazia vostra ed usare dei mezzi, dei quali con tanta
abbondanza ed amore ci avete provvisti (c).
Asc,9006a:T29,17
(c) È vero che ci è pure necessaria la grazia per volervi cooperare; ma questa grazia non manca
Iddio di darla a tutti631, purché vogliamo consentire a fare quel che possiamo con questa grazia:
onde a quel giovane che lo interrogò quale cosa dovesse fare per salvarsi, non rispose il Signore:
“Se puoi, o se ti darò la grazia di osservare i miei comandamenti; ma se vuoi salvarti, osserva i
comandamenti632”.
Asc,9006a:T29,18
Infatti se l'agricoltore…
Infatti se l'agricoltore non tralascia di arare il campo e seminarlo, ancorché il raccolto possa
mancare per fortuiti accidenti ed avrebbe il più soave conforto nei suoi sudori, se fosse certo di
averlo abbondante a proporzione della sua diligenza e fatica, con quale alacrità e fervore non
dovremo noi operare quanto più di bene possiamo, essendo certi che ci sarà dato, o Signore, dalla
vostra liberalità, un premio non solo corrispondente, ma superiore senza proporzione al merito delle
nostre fatiche633, sì che per una leggera tribolazione nostra riceveremo, sopra ogni misura, smisurato
peso di gloria634.
Anzi, come ci lasciaste nell'incertezza dell'ora della nostra morte, non già a fine di coglierci in colpa
e condannarci, sì per renderci solleciti a non commettere peccato ed operare santamente; così per
tratto di vostra bontà ci lasciaste in questa pure della predestinazione, affinché fossimo umili e
pronti nel ricorrere a Voi per aiuto, e per tale modo fuggendo il male, operando il bene,
assicurassimo la nostra predestinazione medesima.
Né solo ciò, ma per siffatta incertezza da quante e quanto terribili conseguenze non ci liberate, o
Signore! Conciossiaché, ove da ognuno fosse conosciuta la propria predestinazione, assecondando
molti i loro parvi appetiti ne trarrebbero causa di peccato, e malgrado colmi di iniquità avrebbero
fiducia, tuttavia di andarne salvi. Altri poi, non predestinati, dandosi ad ogni eccesso, ad ogni vizio
vorrebbero godere in questa vita ciò che paventano di non avere nell'altra; oppure quasi tigri feroci
e contro Dio e contro se stessi, accelerandosi la dannazione eterna, si darebbero, privi di speranza,
la morte635.
Questo mondo insomma diventerebbe un caos di disordini tanto moltiplicati ed orrendi, che nessuna
legge umana potrebbe mettervi provvidenza, né più sarebbe moralmente abitabile (d).
Asc,9006a:T29,19
(d) Simili pure sono le funestissime conseguenze di quell'assurdo e disperato principio di Calvino,
cioè che comunque sia ognuno per operare, vada necessariamente salvo, se è predestinato, o resti
perduto, se non lo sia. Principio così falso e contrario ad ogni ragione che nessuno di quei
medesimi che per accecamento di passioni lo adottano in ciò che riguarda l'anima, non lo
adotterebbero però in ciò che spetta al corpo, ed ai beni temporali medesimi. Ed infatti essendo
ammalati, non si lusingherebbero di guarire senza i convenienti rimedi; né dai propri poderi
spererebbero abbondante raccolto, se prima non li facessero coltivare a dovere, poiché la
previsione del successo è necessariamente unita a quella dell'uso dei mezzi proporzionati al fine.
Se pertanto alcuno di noi fosse molestato dal tentatore in questo modo: o sei predestinato, e ti salvi,
o non lo sei, e ti danni; e quindi a quale pro tante astinenze, preghiere, frequenza di Sacramenti e
simili, risponda tosto così: o sono predestinato, e mi salvo, o non lo sono, e mi dannerò; a che
dunque mi tenti? Se tutto è fisso, quanto ho da fare di bene o di male, perché vuoi allontanarmi dal
bene, e farmi operare il male?
Inoltre vi è forse tra i dannati chi possa nel giorno del giudizio finale scusarsi, con dire a Dio: “Mi
sono dannato, perché Voi mi avevate predestinato?”
Impariamo pertanto a vincere i sofismi del Demonio da S. Francesco di Sales. Cercava il maligno
di dargli a credere di essere inutile il bene che faceva; poiché come asseriva il bugiardo, egli era
nel numero dei riprovati. “Or dunque, rispose il Santo, se avrò da essere reprobo, voglio almeno
amare Dio quanto potrò in questa vita, giacché in tale caso non potrei amarlo nell'altra”; con ciò
vinse la tentazione, ed ecco quanto dovrebbe ciascuno di noi rispondere subito al nemico tentatore
in simili circostanze, fuggendo per questo modo ogni ragionamento con lui.
Asc,9006a:T29,20
Con quanta ragione pertanto dobbiamo riconoscenti esclamare coll'Apostolo vostro: “O profondità
delle ricchezze della sapienza e della scienza di Voi, vero Padre delle misericordie, nell'averci con
questa certezza per parte vostra, ed incertezza per parte nostra, aperto un così ricco tesoro! Poiché
portandoci in tale modo ad operare il bene e quindi formarci una corona di gloria, ci trattenete in
pari tempo dal peccato e preservate il mondo da innumerabili disordini e gravissimi”.
Asc,9006a:T30
Tesoro XXX. La santa allegrezza
Asc,9006a:T30,1
Rallegratevi grandemente, o Voi che foste nella tristezza, affinché esultiate e siate satolli
nell'abbondanza della consolazione vostra636. Sono pure queste, o Gesù le soavi parole e consolanti
per cui la Chiesa vostra sposa ci esorta a verace letizia, sì che tergendo le lacrime e cacciando ogni
triste pensiero, non ci affanniamo più oltre per la povertà nostra e miseria.
Non è Egli infatti un tesoro di somma consolazione questo che largamente possiamo ripetere dalla
santa allegrezza eccitata dal possesso dei tanti e sì ricchi tesori da noi sinora considerati?
È certamente follia637 cercare la vera allegrezza, la vera pace del cuore nei fallaci beni del mondo,
nei suoi vani divertimenti e nello sfogo delle indegne passioni, poiché in esse non si trova che
allegrezza dissoluta e vana, amareggiata da mille pene e rimorsi; allegrezza che trascinerà
nell'eterno pianto i suoi stolti seguaci, quando meno lo pensino638.
In Dio solo dunque639 e nel suo servizio è da cercare vera letizia, perché fatto il cuore nostro per
Dio, in nessun altro fuori di Lui può trovare pace e riposo640.
Sì in Voi solo, o Signore, sta la vera allegrezza, perché dono della vostra grazia e frutto dei meriti
che rettamente operando ci acquistiamo per il Cielo. Allegrezza fondata sopra beni che non ci
mancheranno mai più, perché comuni agli Angeli, ai Santi, a Voi medesimo, o Signore, degni
perciò della libertà e magnificenza vostra infinita.
Asc,9006a:T30,2
Ora primo bene che ci apporta la santa allegrezza è la serenità di mente, per cui come da pieno
meriggio, scoprendo i tenebrosi nascondigli donde il nemico infernale cerca di saettarci con
tentazioni, rendiamo vani i suoi colpi641.
Né solo ciò; ma trionfando delle sue malizie, aumentiamo le ricchezze spirituali con le spoglie
medesime del tentatore; poiché quanti sono gli atti con cui resistiamo agli assalti suoi, altrettante
sono le corone di gloria onde cingiamo la fronte.
Ed anche il reale profeta, o Signore, ci addita in questa miniera un'altra gemma dicendo: “Corsi la
via dei tuoi comandamenti, quando tu dilatasti il cuore mio642”.
Ora comprendiamo perché con tanto ardore vi chiedesse Egli la santa allegrezza643, miseramente
perduta con l'averla cercata nelle creature; troppo bene sapeva Egli che, siccome senza di lei l'anima
sua assonnava, vinta dal tedio644, così per lei si rinvigoriva il fervore delle sue orazioni, per modo
che otteneva quanto bramasse645; anzi quasi gigante che per robustezza non teme fatica646, affrontava
ogni grande difficoltà, e la vinceva.
E continuando a cercare, troviamo altri tesori.
Chi non sa, non potersi reggere a continua violenza647? Quanto perciò la santa allegrezza ci aiuta a
perseverare nel bene incominciato! Poiché come allora che il mare si fa tempestoso e contrari
soffiano i venti, non solo avanza con lentezza la nave, ma devia dal corso, così quando il cuore è
tranquillo e spira favorevole il dolce zeffiro dell'allegrezza spirituale, con tutta facilità proseguiamo
nel cammino della perfezione648, fin tanto che ricchi di meriti giungiamo al porto desiderato della
salute.
Siffatta allegrezza poi non solo arricchisce l'anima di meriti come gli altri tesori, ma ha questo di
proprio, che ridonda anche in vantaggio del corpo; perché come la malinconia e la tristezza lo
intisichisce e gli affretta la morte, così l'allegrezza gli dona vita, salute, e quasi fa che non
invecchi649.
Asc,9006a:T30,3
Che più? Lo stesso…
Che più? Lo stesso stare allegri con il dimostrarci contenti dei beni che il Signore si degna di
compartirci, mentre a Lui serviamo, non ridonda forse in gloria di Lui, appunto come fa onore al
padrone il vedere la famiglia tutta allegra e gioconda?
Anzi, agli ingannati e miseri seguaci del mondo, non è stimolo potente a convertirsi, il vedere come
l'allegrezza sia prerogativa dei servi di Dio? Che potrebbero anche essi vivere assai più contenti,
servendo così dolce Signore e salvarsi, anziché servire a Lucifero, per poi andarne perduti?
Facciamo dunque festa, serviamo a Dio con allegrezza e stiamo al cospetto di Lui con volto
giocondo, poiché Iddio stesso ci invita a stare allegri per essere i nostri nomi già stati scritti nel libro
della vita650; e quand'anche dovessimo piangere651, perché cancellati dalle nostre colpe, siffatta
tristezza è buona, è santa; ed è vera saviezza652 pentirci delle commesse mancanze, perché
ottenendone il perdono, saremo beati.
Non facciamo però i malinconici come gli ipocriti653 guidati da vanità, ma compaia nella nostra
penitenza medesima la gioia e l'allegrezza654, avendo noi da fare con un Padre sì tenero ed amoroso,
che non solo ci perdona se, pentiti, confessiamo la colpa, ma pure dimentica le nostre iniquità, sì
che non ci siano di danno655; che se riconoscenti, vorremo amarlo e servirlo con maggior fervore in
avvenire, Egli è disposto a darcene una mercede abbondante, una preziosa corona di gloria ed una
eredità, oltre ogni dire, magnifica656.
Rallegriamoci pertanto con il Re penitente, poiché verrà anche per noi quel giorno fortunato657, in
cui andremo a godere dei beni eterni nella casa del Signore.
Asc,9006a:T30,4
Perdonate però, o nostro buon Dio, per quale modo potremmo noi giubilare di allegrezza in questa
valle di pianto658, ove ci è prolungato l'esilio? O come sciogliere inni e cantici di gioia in terra
straniera659?
Ah se fossimo sicuri di venire un giorno nel Cielo, ne saremmo colmi di gioia, ogni croce ci sarebbe
leggera; sarebbe anzi un nulla ogni patire, se ci fosse dato di confortarci con la sicura speranza di
quella patria santa: ma come potremo all'opposto stare allegri in mezzo ai pericoli continui di
perdere un sì gran bene? Questo solo riflesso non basta a snervare ogni nostro coraggio, facendo
pieni di continue lacrime i giorni nostri660?
Sebbene a che rattristarci senza ragione? Non vi compiaceste forse Voi, o Signore nostro Iddio, di
assicurarci il possesso del Paradiso per tale modo che già ritenendolo come nostro, non potrebbe
tutto l'inferno farcelo perdere mai, se pure di proprio volere non gli rinunciamo con la colpa
mortale?
Asc,9006a:T30,5
Infatti non lo andate Voi stesso offrendo a chiunque lo voglia661? Né la condizione che ci ponete è
impossibile662, anzi neanche penosa e difficile663. E perché dunque non potremo considerarlo già
come nostro, se pure lo vogliamo? Avete forse eccettuato alcuno in questa generale offerta che ci
fate, sì che possiamo temere di esserne esclusi, anche adempiendone la condizione prescritta per
ottenerlo? E non è questo, o Signore, il fine che vi prefiggeste nel crearci664, cioè che servendovi,
godessimo poi la vita eterna? Insomma non ci comandate Voi stesso di impadronirci, anzi rapire il
Paradiso665?
E per chi l'avreste creato, se non per noi? Ora se un figlio, cui il suo padre amoroso e provvido fece
fare una veste molto bella, e conservandola in luogo sicuro gli dice: “L'abito è qui fatto, preparato
per te ed a suo tempo l'avrai”; non tiene e considera il figlio quell'abito come suo? Come dunque
non potremo anche noi considerare e tenere nostro a suo tempo il Paradiso, che Voi, o Signore, vi
protestate di averci preparato fin dalla fondazione del mondo666?
In secondo luogo qual è quel figlio che, avendo un genitore affezionatissimo, non consideri ed abbia
come suo il patrimonio e gli averi del padre?
Non dice egli ai compagni: “Venite a casa mia, al mio podere”; quantunque e la casa ed il podere
appartengano al padre?
Ora Voi siete nostro padre per creazione, per rigenerazione, per amore; ed avendoci Voi, Gesù
nostro dolcissimo, fatti vostri fratelli, fummo in pari tempo adottati a figli dal Padre vostro. Ora non
insegnaste a mentire, quando diceste che fidatamente avessimo ad invocarlo e pregarlo come
padre667. Che se Egli per eccesso di carità ci adottò suoi figli non solo di nome ma in effetto,
giustamente dunque conclude S. Paolo che ne siamo anche gli eredi668. Appoggiati pertanto a questo
titolo, noi possiamo sin d'ora chiamare nostro il bel Paradiso.
Asc,9006a:T30,6
Una terza ragione…
Una terza ragione da considerare come nostro un bene è quello della compra. Quando un oggetto è
legalmente comprato e la somma sborsata è corrispondente o maggiore ancora del valore
dell'oggetto comprato, chi dubiterà mai d'avere un diritto più che sufficiente, per entrare al possesso
del bene acquistato?
O Gesù caro, quali grazie vi renderemo per averci, con lo sborso penoso del preziosissimo vostro
sangue, comprato il bel Paradiso? O amabilissimo Redentore, come poteste mai tanto amarci sino a
degnarvi di cancellare con il vostro sangue669 quel chirografo sfavorevole, nel quale erano scritti i
crediti che aveva contro di noi la giustizia eterna! Affiggendo questo chirografo alla vostra croce, ne
riceveste con tanto costo di pene, di sangue e di vita la quietanza dal Padre, ed a noi così
riacquistaste il diritto all'eterna eredità.
Né abbiamo da scoraggiarci per avere di nuovo perduto con i nostri peccati questo diritto, poiché ci
voleste veramente convincere che non ha limiti la vostra misericordia, ed inesauribile è il tesoro
della vostra bontà670. Oh meravigliose invenzioni dell'amore vostro! Chi non vede in queste, Gesù
caro, l'ardentissimo vostro desiderio della nostra salute? Perché non pago di averci comprati a caro
prezzo, dal fianco vostro aperto da lancia crudele, facendo scaturire con il sangue e con l'acqua il
fonte perenne della vostra grazia e dei vostri meriti per i santi Sacramenti, dando le chiavi del Cielo
al vostro Vicario671 e con esse la facoltà di rimettere i peccati, ci formaste per il Sacramento della
penitenza quel bagno salutare in cui non una volta sola, ma sempre672 finché viviamo, potessimo
scontare i nuovi debiti contratti, essere lavati e fatti mondi alle colpe, riacquistando in tale maniera
non solo il diritto perduto al Regno eterno, sì pure il fondo dei meriti già prima acquistati con le
buone opere fatte in grazia673.
Asc,9006a:T30,7
Inoltre può darsi più giusto e sicuro titolo di quello che si ha sulla mercede corrispondente alle
fatiche? Quando un ricco ed onesto signore spontaneamente offrisse una somma a chi voglia per lui
impiegarsi, chiunque abbia compiuto l'opera desiderata, non ha titolo di avere e pretendere come
cosa sua l'offerta fatta da quel cotale?
Or bene, o Signore giustissimo, Voi ci proponeste il Paradiso per nostra mercede674, promettendo di
darlo immancabilmente non solo a chi operi cose grandi o si sottometta a dolorosi sacrifici, ma sì
pure a chiunque dia un bicchiere d'acqua fresca al povero, purché, a titolo di discepolo o per gloria
vostra, s'impieghi nelle azioni più ordinarie, famigliari, continue e necessarie alla vita. Anzi, a
quella violenza medesima onde ci adoperiamo per non commettere il male che pur potremmo, a
siffatta violenza io dico, vi protestaste di serbare in premio eterni beni675.
Ma diteci, o Signore dolcissimo, non temete di avvilire troppo le vostre ricchezze, la vostra grazia,
la vostra gloria, il Paradiso medesimo, offrendolo ed accordandolo a cotanto facile prezzo?
Sì è veramente un torto gravissimo che vi facciamo, nel rattristarci per l'incertezza di avervi a
godere un giorno nel Cielo; mentre con giuramento ci promettete nella vostra bontà, e tutti senza
eccezione ne assicurate, che qualunque cosa noi domanderemo nell'orazione, credendo, la
otterremo676.
Asc,9006a:T30,8
Che più? Non siete…
Che più? Non siete quel liberalissimo e soave padrone che concedete assai più di quanto vi si
domandi? Non siete Voi quegli che condonaste l'intero debito di diecimila talenti al servo, che solo
vi pregò di concedergli una mora al pagamento677? Al paralitico, il quale non ardiva quasi di
pregarvi della sanità, non donaste forse anche la santità con la remissione dei suoi peccati678? Non
accoglieste forse come figlio prediletto quegli che si teneva a buona sorte di esservi servo679? E non
siete Voi finalmente quegli che, a chi mentre moriva per propri delitti, solo pregandovi di ricordarvi
di lui, Voi tutto pietoso gli prometteste all'istante il Paradiso680? Che se nulla vi riserbaste, se
nessuno escludeste da sì consolante promessa, come potrà temere alcuno di noi di esserne escluso, o
che tra i vostri doni sia eccettuato il Paradiso?
A che ci gioverebbe ottenere qualunque altra cosa, se poi non giungessimo a quella patria celeste
che contiene ogni bene, e fuori di cui non vi è alcun bene? Non sarebbe illusoria in tale caso ogni
divina promessa?
Come dunque non potremo dire nostro il Paradiso, se con il solo domandarlo, ci sarà donato?
Chiediamolo pertanto al Padre, in nome del caro Gesù, ed il Paradiso sarà certamente nostro a suo
tempo.
E perché no? Mentre per togliercene ogni dubbio a consolarci della sua assenza, si degnò il
Salvatore di assicurarci di propria bocca che se ne andava al Cielo per prepararci il luogo e
prenderne possesso a nome nostro681? Oh felici noi che già possiamo considerarci come concittadini
dei Santi682, cioè di quei nostri cari fratelli, parenti ed amici, i quali con santa impazienza ci
aspettano, e desiderano di averci seco loro683! Anzi già ivi destinò Gesù il posto ad ognuno di noi, e
quivi in certo modo ci fa con Lui sedere nei Cieli684.
Asc,9006a:T30,9
Insomma, chi di noi temerà di perdere un capitale promesso, quando per guarentigia gli viene posto
nelle mani un pegno che vale altrettanto del capitale medesimo?
Infatti non siete Voi, o Signore nostro Iddio, che costituite l'essenziale gloria del Paradiso685?
E non vi ci siete Voi dato come pegno dell'eterna gloria nell'augustissima Eucaristia? Anzi non solo
un pegno686, ma non abbiamo fin d'ora in questo Sacramento la stessa vita eterna687, poiché si
possiede Iddio, che essenzialmente la costituisce?
Che più? Tanto desiderate, o Salvatore dolcissimo, di darci la vita eterna, che promettete premio
grandissimo anche all'accostarci che facciamo nel ricevere con le debite disposizioni questo dono di
Voi stesso, che siete pegno di gloria; ed affinché non lo rifiutiamo per pigrizia e sconoscenza,
minacciate di privarci della vera vita, se ricusiamo di accettarlo688.
Con tanti e sì possenti motivi di aver un giorno a possedere l'eterna gloria, non faremmo noi grave
torto alla bontà di Dio nello starcene malinconici e tristi?
Rallegriamoci dunque santamente nel Signore, come ci invita la Chiesa, né cessiamo dal benedirlo e
ringraziarlo di tanti tesori acquistatici col suo preziosissimo sangue; e sia nostro studio il
corrispondere a tanta bontà, amandolo con tutto il fervore in questa vita, per amarlo poi tanto più
nei secoli eterni.
Asc,9006a:1
Ut abundetis in spe (Rom. 15, 13).
Asc,9006a:2
Qui sperant in Domino mutabunt fortitudinem… volabunt et non deficient (Is. 40).
Asc,9006a:3
Sublata spe, irrefrenate homines labuntur in vitia, et a bonis laboribus retrahuntur (2, 2, q. 20, a. 3).
Asc,9006a:4
Fortissimum solatium habemus, qui confugimus ad tenendam propositam spem, quam sicut
anchoram habemus animæ tutam ac firmam (Hebr. 6, 18).
Asc,9006a:5
Viam mandatorum tuorum cucurri cum dilatasti cor meum (Ps. 118, 32).
Asc,9006a:6
De cælo a regalibus sedibus (Sap. 18, 15).
Asc,9006a:7
Visitavit nos oriens ex alto (Luc. 1, 78). – Facti sumus lætantes (Ps. 125, 3).
Asc,9006a:8
In terra pax hominibus (Luc. 2, 14).
Asc,9006a:9
Complacuit Patri vestro dare vobis regnum (Luc. 12, 32).
Asc,9006a:10
Venite, emite absque argento (Is. 55, 1).
Asc,9006a:11
Commendat autem caritatem suam Deus in nobis: quoniam cum adhuc peccatores essemus…
Christus pro nobis mortuus est (Rom. 5, 9).
Asc,9006a:12
Respice in faciem christi tui (Ps. 83, 10).
Asc,9006a:13
Sicut qui thesaurizat, ita et qui honorat matrem suam (Eccli. 3, 5).
Asc,9006a:14
Sedebitis et vos super sedes duodecim, judicantes duodecim tribus Israel (Matth. 19, 28).
Asc,9006a:15
Quicumque potum dederit calicem aquæ frigidæ (Matth. 10, 42).
Asc,9006a:16
Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom. 8, 32).
Asc,9006a:17
Dicit Discipulo: Ecce mater tua (Joan. 19, 27).
Asc,9006a:18
Quid ergo erit nobis? (Matth. 19, 27).
Asc,9006a:19
Quam idcirco de præsenti sæculo transtulisti, ut pro peccatis nostris apud te fiducialiter intercedat
(In Vigil. Assump. B. M.V. in orat. secr.).
Asc,9006a:20
Si Ego non abiero, Paraclitus non veniet ad vos, si autem abiero, mittam eum ad vos (Joan. 16, 7).
Asc,9006a:21
Semper vivens ad interpellandum pro nobis (Hebr. 7, 25).
Asc,9006a:22
Peccatores non exhorres – Sine quibus numquam fores – Tali digna Filio.
Asc,9006a:23
Te ergo quæsumus, tuis famulis subveni, quos pretioso Sanguine redemisti (Hymm. ambr.).
Asc,9006a:24
Cum iratus fueris, misericordiæ recordaberis (Abacuc 3, 2).
Asc,9006a:25
Mulier: Ecce filius tuus. Deinde dicit Discipulo: Ecce mater tua (Joan. 19, 26-27).
Asc,9006a:26
Omnes domestici ejus vestiti sunt duplicibus (Prov. 31, 21).
Asc,9006a:27
Gaudium erit in Cælo super uno peccatore pænitentiam agente (Luc. 15, 7. 10).
Asc,9006a:28
Gloriosa dicta sunt de te, Civitas Dei (Ps. 86, 3).
Asc,9006a:29
Nonne omnes sunt administratorii spiritus in ministerium missi propter eos, qui hæreditatem capiunt
salutis? (Hebr. 1, 14).
Asc,9006a:30
Pænitet me fecisse hominem (Gen. 6, 6).
Asc,9006a:31
Angelis suis Deus mandavit de te: ut custodiant te in omnibus viis tuis (Ps. 90, 11).
Asc,9006a:32
In manibus portabunt te: ne forte offendas ad lapidem pedem tuum (Ps. 90, 12).
Asc,9006a:33
Si duo ex vobis consenserint super terram, de omni re quamcumque petierint, fiet illis a Patre meo
qui in Cælis est (Matth. 18, 19).
Asc,9006a:34
Funiculum hæreditatis vestræ (Ps. 104, 11).
Asc,9006a:35
Marc. 9, 40.
Asc,9006a:36
Cum enim subverteret Deus civitates regionis illius recordatus Abrahæ, liberavit Loth de
subversione urbium (Gen. 19, 29).
Asc,9006a:37
Et sicut in Adam omnes moriuntur, ita et in Christo omnes vivificabuntur (1 Cor. 15, 22).
Asc,9006a:38
Qui manet in me, et ego in eo (Joan. 15, 5).
Asc,9006a:39
Ego in Pater, et Pater in me est (Joan. 14, 10).
Asc,9006a:40
Ergo jam non estis hospites, et advenæ: sed estis cives Sanctorum, et domestici Dei, superædificati
super fundamentum Apostolorum et Prophetarum, ipso summo angulari lapide Christo Jesu… in
quo et vos coædificamini in habitaculum Dei in spiritu (Eph. 2, 19. 20. 22).
Asc,9006a:41
Quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis mihi fecistis (Matth. 25, 40).
Asc,9006a:42
Ecce quam bonum et quam juncundum habitare fratres in unum (Ps. 132, 1).
Asc,9006a:43
Panis Sanctus vitæ æternæ, et calix salutis perpetuæ (In Can. Missæ).
Asc,9006a:44
Cum clamore valido, et lacrimis offerens, exauditus est pro sua reverentia (Hebr. 5, 7).
Asc,9006a:45
Quoties hujus hostiæ commemoratio recolitur, opus nostræ redemptionis exercetur (Orat. secr.
Dom. IX post Pentec.). – Cruentæ oblationis fructus per hanc uberrime percipiuntur (Trid., sess. 22,
c. 2; Vid. S. Thom. ep. 6, apud Suarez disp. 79, sect. 1).
Asc,9006a:46
Vita vestra abscondita est cum Christo in Deo (Col. 3, 3).
Asc,9006a:47
Hebr. 9, 12.
Asc,9006a:48
Qui videt me, videt et Patrem meum (Joan. 14, 9).
Asc,9006a:49
Cum cœpisset (Dominus) rationem ponere… non haberet unde redderet… procidens… servus ille
orabat eum (Matth. 18, 25).
Asc,9006a:50
Judica me Deus, et discerne causam meam (Ps. 42, 1).
Asc,9006a:51
Laudate eum secundum multitudinem magnitudinis ejus (Ps. 150, 2).
Asc,9006a:52
Patientiam habe in me et omnia reddam tibi (Matth. 18, 26).
Asc,9006a:53
Omnes gentes… quasi nihilum, et inane reputatæ sunt ei (Is. 40, 17).
Asc,9006a:54
Gloria Domini (S. Ignat. Mart., Ep. ad Ephes.).
Asc,9006a:55
Vere, dignum et justum est, æquum et salutare nos tibi semper, et ubique gratias agere (In Præf.
Missæ).
Asc,9006a:56
Quid dignum poterit esse beneficiis ejus (Tob. 12, 2).
Asc,9006a:57
Et accepto pane, gratias egit… (Luc. 22, 19). Et accipiens calicem, gratias egit… (Matth. 26, 22).
Asc,9006a:58
Ne nos ingrati essemus (S. Iren.).
Asc,9006a:59
Semper vivens ad interpellandum pro nobis (Hebr. 7, 25).
Asc,9006a:60
Hac oblatione placatus Dominus, gratiam et donum pænitentiæ concedens, crimina, et peccata etiam
ingentia dimittit (Trid., sess. 20, c. 22).
Asc,9006a:61
Postula a me, et dabo tibi (Ps. 2, 8).
Asc,9006a:62
Sic totum omnibus, quod totum singulis (Hymn. in fest. Corp. Christi ad matut.).
Asc,9006a:63
Fecit mihi magna qui potens est… Fecit potentiam in brachio suo (Luc. 1, 49. 51).
Asc,9006a:64
Memoriam fecit mirabilium suorum… escam dedit timentibus se (Ps. 110, 4).
Asc,9006a:65
Placatusque est Dominus ne faceret malum, quod locutus fuerat adversus populum (Exod. 32, 14).
Asc,9006a:66
Trid., sess. 20, can. 33.
Asc,9006a:67
Amen, amen dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis. Usquemodo non
petistis quidquam in nomine meo: petite et accipietis, ut gaudium vestrum sit plenum (Joan. 16, 2324).
Asc,9006a:68
Rex Regnum, et Dominus dominantium… cui honor et imperium sempiternum (1 Tim. 6, 15. 16).
Asc,9006a:69
Ego sum veritas (Joan. 14, 6). – Cælum et terra transibunt verba autem mea non præteribunt (Matth.
24, 35).
Asc,9006a:70
Quomodo non etiam cum illo (Filio suo) omnia nobis donavit? (Rom. 8, 32).
Asc,9006a:71
Viditque cuncta quæ fecerat: et erant valde bona (Gen. 1, 31).
Asc,9006a:72
Filius datus est nobis (Is. 9, 6).
Asc,9006a:73
Factus obœdiens usque ad mortem… crucis (Philip. 2, 8).
Asc,9006a:74
Omnia subjecisti sub pedibus ejus (Ps. 8, 7).
Asc,9006a:75
Et erat subditus illis (Luc. 2, 51).
Asc,9006a:76
Si Deus pro nobis, quis contra nos? (Rom. 8, 31).
Asc,9006a:77
Non timebo mala: quoniam tu mecum es (Ps. 22, 4).
Asc,9006a:78
Certus sum enim, quia… neque creatura alia poterit nos separare a caritate Dei… (Rom. 8, 38. 39).
Asc,9006a:79
Quanto magis Pater vester de Cælo dabit spiritum bonum petentibus se? (Luc. 11, 13).
Asc,9006a:80
Quis autem ex vobis patrem petit panem, numquid lapidem dabit illi?… aut si petierit ovum:
numquid porriget illi scorpionem? (Luc. 11, 11. 12).
Asc,9006a:81
Miserere nostri fili David… non respondit ei verbum, etc. (Matth. 15, 22. 23).
Asc,9006a:82
Catelli edunt de micis, quæ cadunt de mensa dominorum suorum (Matth. 15, 27).
Asc,9006a:83
Quod superest, date eleemosynam (Luc. 11, 41).
Asc,9006a:84
Luc. c. 16, v. 19 ad 25.
Asc,9006a:85
Cœpit Jesus facere et docere (Act. 1, 1).
Asc,9006a:86
Dispersit, dedit pauperibus, justitia ejus manet in sæculum sæculi (Ps. 111, 9).
Asc,9006a:87
Aut continebit in ira sua misericordias suas? (Ps. 76, 9).
Asc,9006a:88
Si quis sitit, veniat ad me, et bibat (Joan. 7, 37).
Asc,9006a:89
Si scires donum Dei, et quis est qui dicit tibi: da mibi bibere, tu forsitan petisses ad eo, et dedisset
tibi aquam vivam (Joan. 4, 10).
Asc,9006a:90
Si esurierit inimicus tuus, ciba illum: si sitiverit da ei aquam bibere (Prov. 25, 21).
Asc,9006a:91
Fiat tibi sicut vis et sanata est filia ejus ex illa hora (Matth. 15, 28).
Asc,9006a:92
Propter nos egenus factus est, ut illius inopia vos divites essetis (2 Cor. 8, 9).
Asc,9006a:93
Vere dolores nostros ipse portavit (Is. 53, 4).
Asc,9006a:94
Ipse vulneratus est propter iniquitates nostras, attritus est propter scelera nostra (Is. 53, 5).
Asc,9006a:95
A planta pedis usque ad verticem non est in eo sanitas; vulnus, et livor, et plaga tumens (Is. 1, 6). –
Non est species ei, neque decor… et quasi absconditus vultus ejus, et despectus, unde nec
reputavimus eum (Is. 53, 3). – Opprobrium hominum, et abjectio plebis (Ps. 21, 6).
Asc,9006a:96
Ego sum vermis, et non homo (Ps. 21, 7). – Oblatus est quia ipse voluit. Posuit Dominus in eo
iniquitatem omnium nostrum (Is. 53, 6-7).
Asc,9006a:97
Et pro transgressoribus rogavit (Is. 53, 12).
Asc,9006a:98
Multi unum corpus sumus in Christo (Rom. 12, 5).
Asc,9006a:99
Esurivi, et dedistis mihi manducare, etc. (Matth. 25, 35).
Asc,9006a:100
Quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi fecistis (Matth. 25, 40).
Asc,9006a:101
Saule, Saule: quid me persequeris? (Act. 9, 4).
Asc,9006a:102
Lec. die fest. in Brev.
Asc,9006a:103
Medice cura te ipsum (Luc. 4, 23).
Asc,9006a:104
Factus obœdiens usque ad mortem… crucis (Philip. 2, 8).
Asc,9006a:105
Nihil habentes, et omnia possidentes (2 Cor. 6, 10).
Asc,9006a:106
Beati estis cum maledixerint vobis, et persecuti vos fuerint (Matth. 5, 11).
Asc,9006a:107
Exauditus est pro sua reverentia (Hebr. 5, 7).
Asc,9006a:108
Miserationes ejus super omnia opera ejus (Ps. 144, 9).
Asc,9006a:109
Deus meus, misericordia mea (Ps. 58, 18).
Asc,9006a:110
Repleti sumus mane misericordia tua (Ps. 89, 14). – Deus meus, misericordia ejus præveniet me
(Ps. 58, 11). – Et misericordia tua subsequetur me omnibus diebus vitæ meæ (Ps. 22, 6).
Asc,9006a:111
Pater misericordiarum (2 Cor. 1, 3).
Asc,9006a:112
Vis sanus fieri? (Joan. 5, 6). – Quid vultis ut faciam vobis? (Matth. 20, 32).
Asc,9006a:113
Miserere mei Deus. Miserere mei (Ps. 56, 1).
Asc,9006a:114
Omnes sitientes venite ad aquas: et qui non habetis argentum, properate, emite et comedite. Venite,
emite absque argento, et absque ulla commutatione vinum et lac (Is. 55, 1).
Asc,9006a:115
Venite ad me omnes qui laboratis… et ego reficiam vos (Matth. 11, 28).
Asc,9006a:116
Convertimini… et quare moriemini domus Israel?… revertimini et vivite (Ezech. 18, v. 30. 31. 32).
Asc,9006a:117
Vis sanus fieri?… surge… et statim sanus factus est (Joan. 5, 6. 8. 9). – Volo mundare (Matth. 8, 3).
Asc,9006a:118
Cum invocarem, exaudivit me Deus… in tribulatione dilatasti mihi (Ps. 4, 1).
Asc,9006a:119
Quia præstabilis est super malitia (Joel 2, 13).
Asc,9006a:120
Omnium iniquitatum ejus… non recordabor (Ezech. 18, 22).
Asc,9006a:121
Et erunt sicut fuerunt quando non projeceram eos (Zacch. 10, 6).
Asc,9006a:122
Patientiam habe in me, et omnia reddam tibi… dimisit ei omne debitum (Matth. 18, 26. 27).
Asc,9006a:123
Fac me sicut unum de mercenariis tuis… date annulum in manu ejus (Luc. 15, 19. 22).
Asc,9006a:124
Memento mei… hodie mecum eris in Paradiso (Luc. 23, 40. 42).
Asc,9006a:125
Congratulamini mihi (Luc. 15, 6. 9).
Asc,9006a:126
Omnes sitientes venite ad aquas (Is. 55, 1). – Si quis sitit, veniat ad me et bibat (Joan. 7, 37).
Asc,9006a:127
Laudans invocabo Dominum: et ab inimicis meis salvus ero (Ps. 17, 4).
Asc,9006a:128
Pater misericordiarum: Deus totius consolationis, qui consolatur nos in omni tribulatione nostra (2
Cor. 1, 3-4).
Asc,9006a:129
Misericordiæ Domini quia non sumus consumpti: quia non defecerunt miserationes ejus (Thren. 3,
22).
Asc,9006a:130
Ego enim Dominus, et non mutor (Malachi 3, 6). Jesus Christus heri, et hodie; ipse et in sæcula
(Hebr. 13, 8).
Asc,9006a:131
Non dico tibi usque septies, sed usque septuagies septies (Matth. 18, 22).
Asc,9006a:132
Impietas impii non nocebit ei, in quacumque die conversus fuerit ab impietate sua (Ezech. 33, 12).
Asc,9006a:133
Eduxit eos cum argento et auro (Ps. 134, 37).
Asc,9006a:134
Cui enim minus dimittitur, minus diligit (Luc. 7, 47).
Asc,9006a:135
In Festo S. Andr. Apost.
Asc,9006a:136
Copiosa apud eum redemptio (Ps. 139, 7).
Asc,9006a:137
Abyssus abyssum invocat (Ps. 41, 8).
Asc,9006a:138
Sic… orabitis: Pater noster qui es in Cælis (Matth. 6, 9).
Asc,9006a:139
Ego dixi: Dii estis, et filii Excelsi omnes (Ps. 81, 6).
Asc,9006a:140
Hic est Filius meus dilectus (Matth. 17, 5).
Asc,9006a:141
Sic… orabitis: Pater noster qui es in Cælis (Matth. 6, 9).
Asc,9006a:142
Ipse enim Spiritus testimonium reddit spiritui nostro, quod sumus filii Dei (Rom. 8, 16).
Asc,9006a:143
Videte qualem caritatem dedit nobis Pater ut filii Dei nominemur, et simus (1 Joan. 3, 1).
Asc,9006a:144
Olim Deus loquens Patribus in Prophetis: novissime… locutus est nobis in Filio (Hebr. 1, 1-2).
Asc,9006a:145
Ad eum veniemus, et apud eum mansionem faciemus (Joan. 14, 23). – Deliciæ meæ esse cum filiis
hominum (Prov. 8, 3).
Asc,9006a:146
Nolite timere pusillus grex, quia complacuit Patri vestro dare vobis Regnum (Luc. 12, 32).
Asc,9006a:147
Nolite solliciti esse dicentes, quid manducabimus, aut quid bibemus… scit enim Pater vester
cælestis, quia his omnibus indigetis (Matth. 6, v. 25 ad 34).
Asc,9006a:148
Nonne vos magis pluris estis illis? (Matth. 6, 26).
Asc,9006a:149
Patrem nolite vocare vobis super terram; unus est enim Pater vester qui in Cælis est (Matth. 23, 9).
Asc,9006a:150
Deus cujus providentia in sui dispositione non fallitur (Orat. Dom. VII, post Pentec.).
Asc,9006a:151
Cui enim dixit aliquando Angelorum: Filius meus es tu? Ego ero illi in Patrem, et ipse erit mihi in
Filium? Nonne omnes sunt administratorii spiritus? (Hebr. 1, 5. 14).
Asc,9006a:152
Fili, tu semper mecum es: et omnia mea tua sunt (Luc. 15, 31).
Asc,9006a:153
Quanti mercenarii in domo Patris mei abundant panibus (Luc. 15, 17).
Asc,9006a:154
Qui enim tetigerit vos, tangit pupillam oculi mei (Zacch. 2, 8).
Asc,9006a:155
Qui vos spernit, me spernit (Luc. 10, 16).
Asc,9006a:156
Quoniam in me speravit, liberabo eum: protegam eum (Ps. 90, 14).
Asc,9006a:157
Cum ceciderit, non collidetur: quia Dominus supponit manum suam (Ps. 36, 24).
Asc,9006a:158
Custodit Dominus omnia ossa eorum, unum ex his non conteretur (Ps. 33, 20).
Asc,9006a:159
Et capillus de capite vestro non peribit (Luc. 21, 18).
Asc,9006a:160
Filius hic meus (qui devoravit substantiam suam cum meretricibus) mortuus erat, et revixit (Luc.
15, v. 24. 30).
Asc,9006a:161
Ergo saltem amodo voca me: Pater meus… es tu. Convertimini filii (Jer. 3, 4 et 14).
Asc,9006a:162
Cum adhuc longe esset, vidit illum… et misericordia motus est, et accurrens cecidit super collum
ejus: et osculatus est eum (Luc. 15, v. 20, 22, 23).
Asc,9006a:163
In universo orbe famis prævaluit; in cuncta autem terra Ægypti, panis erat (Gen. 41, 54).
Asc,9006a:164
Primogenitus in multis fratribus (Rom. 8, 29).
Asc,9006a:165
Nolite pavere… pro salute enim vestra misit me Dominus ante vos in Ægyptum (Gen. 45, 5).
Asc,9006a:166
Ego sum Joseph frater vester, quem vendidistis (Gen. 45, 4).
Asc,9006a:167
Ite, nuntiate fratribus meis (Matth. 28, 10).
Asc,9006a:168
Ego dabo vobis omnia bona Ægypti (Gen. 45, 18).
Asc,9006a:169
Hæc autem omnia in figura contingebant illis (1 Cor. 10, 11).
Asc,9006a:170
Qui habuerit substantiam hujus mundi, et viderit fratrem suum necessitatem habere, et clauserit
viscera sua ab eo: quomodo caritas Dei manet in eo. (1 Joan. 3, 17).
Asc,9006a:171
Cujus est totum, quod est optimum (Orat. Dom. VI post Pentec.).
Asc,9006a:172
Cum videris nudum, operi eum, et carnem tuam ne despexeris (Is. 58, 7).
Asc,9006a:173
Si autem in te peccaverit frater tuus, vade et corripe eum inter te, et ipsum solum. Si te audierit,
lucratus es fratrem tuum (Matth. 18, 15).
Asc,9006a:174
Adolescens, tibi dico, surge. Et resedit qui erat mortuus (Luc. 7, 14-15). – Jam fœtet, quatriduanus
est… Lazare veni foras, et statim prodiit qui fuerat mortuus (Joan. 11, v. 39, 43 et 44).
Asc,9006a:175
Vocat ea quæ non sunt, tamquam ea quæ sunt (Rom. 4, 17).
Asc,9006a:176
Frater qui adjuvatur a fratre, quasi civitas firma (Prov. 18, 19).
Asc,9006a:177
Non enim habemus Pontificem, qui non possit compati infirmitatibus nostris, tentatum autem per
omnia pro similitudine absque peccato (Hebr. 4, 15).
Asc,9006a:178
Quicumque fecerit voluntatem Patris mei… ipse meus frater et soror est (Matth. 12, 50).
Asc,9006a:179
Oleum effusum, nomen tuum (Cant. 1, 2).
Asc,9006a:180
Dilectus meus mihi et ego illi (Cant. 2, 16).
Asc,9006a:181
Magis amicus erit, quam frater (Prov. 18, 24).
Asc,9006a:182
Amico fideli nulla est comparatio, et non est digna ponderatio auri et argenti contra bonitatem fidei
illius (Eccli. 6, 15).
Asc,9006a:183
Bonus Dominus sperantibus in eum, animæ quærenti illum (Thren. 3, 25). – In simplicitate cordis
quærite illum (Sap. 1, 1).
Asc,9006a:184
Electus ex millibus (Cant. 5, 10). – Speciosus forma præ filiis hominum (Ps. 44, 3). – Proficiebat
sapientia apud Deum et homines (Luc. 2, 52).
Asc,9006a:185
Discite a me, quia mitis sum (Matth. 11, 29). – Venit tibi mansuetus (Matth. 21, 5).
Asc,9006a:186
Quam dulcia… eloquia tua super mel (Ps. 118, 103).
Asc,9006a:187
Diffusa est gratia in labiis tuis (Ps. 44, 2). – Verba vitæ æternæ habes (Joan. 6, 69).
Asc,9006a:188
Numquam si locutus est homo (Joan. 7, 46).
Asc,9006a:189
Ecce jam triduo sustinent me, nec habent quid manducent (Marc. 8, 2).
Asc,9006a:190
Nec spatium manducandi habebant (Marc. 6, 31).
Asc,9006a:191
Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos (Matth. 11, 28). – Qui
pertransiit benefaciendo, et sanando omnes (Act. 10, 38).
Asc,9006a:192
Oculi ejus in pauperum respiciunt (Ps. 10, 9).
Asc,9006a:193
Nonne Deus elegit pauperes in hoc mundo? (Jac. 2, 5).
Asc,9006a:194
Exigua dabit et multa improperabit (Eccli. 20, 15).
Asc,9006a:195
Matth. 5, 1. – Marc. 10. – Luc. 18. – Luc. 14 et Matth. 9.
Asc,9006a:196
Cum autem venerit Filius hominis in majestate sua, et omnes Angeli cum eo… tunc dicet Rex his…
esurivi enim et dedistis mihi manducare, etc. (Matth. 25, 31 et seq.).
Asc,9006a:197
De plenitudine ejus nos omnes accepimus (Joan. 1, 16).
Asc,9006a:198
Gloriam ejus… quasi unigeniti a Patre, plenum gratiæ et veritatis (Joan. 1, 14).
Asc,9006a:199
Ego sum qui sum (Exod. 3, 14).
Asc,9006a:200
Cæli enarrant gloriam Dei, et opera manuum ejus annuntiat firmamentum (Ps. 18, 1).
Asc,9006a:201
Ecce nescio loqui, quia puer ego sum (Jer. 1, 6).
Asc,9006a:202
Et audivit arcana verba, quæ non licet homini loqui (2 Cor. 12, 4).
Asc,9006a:203
Seraphim stabant super illud; sex alæ uni, sex alæ alteri: duabus velebant faciem ejus (Is. 6, 2, vid.
Tirin.).
Asc,9006a:204
Quis sicut Dominus Deus noster qui in altis habitat? (Ps. 112). – Domine, quis similis tibi (Ps. 34,
10, et alibi). – Deus Deorum Dominus (Ps. 49, 1).
Asc,9006a:205
Et siluit terra in conspectu ejus (1 Macchab. 1, 3).
Asc,9006a:206
Beati viri tui, qui stant coram [te] semper, et audiunt sapientiam tuam (3 Reg. 10, 8).
Asc,9006a:207
Cælos tuos… lunam et stellas… omnia subjecisti sub pedibus ejus (Ps. 8, 4 et 2).
Asc,9006a:208
Dixi Domino: Deus meus es tu, quoniam bonorum meorum non eges (Ps. 10, 1).
Asc,9006a:209
Ipse dixit, et facta sunt, ipse mandavit et creata sunt (Ps. 32, 9).
Asc,9006a:210
Quis resistet tibi? (Ps. 75, 8).
Asc,9006a:211
Quid est homo, quod memor es ejus? (Ps. 8, 5).
Asc,9006a:212
Oculi ejus in pauperem respiciunt (Ps. 10, 9). Desiderium pauperum exaudivit Dominus:
præparationem cordis eorum audivit auris tua (Ps. 17). – Esurientes implevit bonis (Luc. 1, 53).
Asc,9006a:213
Propter eos feci sæculum (Exod. 4, 7 [sic]).
Asc,9006a:214
Ludens in orbe terrarum (Prov. 8, 31).
Asc,9006a:215
Et erant valde bona (Gen. 1, 31).
Asc,9006a:216
Formavit igitur Dominus Deus hominem (Gen. 2, 7).
Asc,9006a:217
Fiat lux et facta est lux (Gen. 1, 2). Fiat firmamentum, et fecit Deus firmamentum, etc. (Gen. 1, 6).
Asc,9006a:218
Producat terra animam viventem in genere suo (Gen. 1, 24).
Asc,9006a:219
Plantaverat autem Dominus Deus paradisum voluptatis… in quo posuit hominem (Gen. 2, 8).
Asc,9006a:220
Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram (Gen. 1, 26).
Asc,9006a:221
Abscondit se Adam… a facie Domini Dei. – Vocavitque Dominus Deus Adam, et dixit ei ubi es?
(Gen. 3, 8. 9).
Asc,9006a:222
Ait Dominus ad serpentem: quia fecisti hoc, maledictus es… (Gen. 3, 14).
Asc,9006a:223
In sudore vultus tui vesceris pane… pulvis es, et in pulverem reverteris (Gen. 3, 19).
Asc,9006a:224
Ipsa conteret caput tuum (Gen. 3, 15).
Asc,9006a:225
In Adam omnes moriuntur (1 Cor. 15, 22).
Asc,9006a:226
Lazarus amicus noster dormit. – Domine, jam fœtet: quatriduanus est (Joan. 11, v. 11. 39).
Asc,9006a:227
Amice, ad quid venisti? (Matth. 26, 50). – Amice, quomodo huc intrasti non habens vestem
nuptialem? (Matth. 22, 12).
Asc,9006a:228
Universa propter semetipsum operatus est Deus (Prov. 16, 4).
Asc,9006a:229
Omnia subjecisti sub pedibus ejus, oves et boves universas, insuper et pecora campi (Ps. 8, v. 8-9).
Asc,9006a:230
Angelis suis Deus mandavit de te, ut custodiant te in omnibus viis tuis (Ps. 90, 11).
Asc,9006a:231
Mulier, ecce filius tuus (Joan. 19, 26).
Asc,9006a:232
Occulta sapientiæ tuæ manifestasti mihi (Ps. 50, 8).
Asc,9006a:233
Vos autem dixi Amicos, quia omnia quæcumque audivi a Patre meo, nota feci vobis (Joan. 15, 15).
Asc,9006a:234
Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom. 8, 32).
Asc,9006a:235
Rex Regum et Dominus dominantium (1 Tim. 6, 15).
Asc,9006a:236
Aperi mihi soror mea, amica mea (Cant. 5, 2). – Ecce sto ad ostium et pulso, et si quis… aperuerit
mihi januam… cenabo cum illo et ipse mecum (Apoc. 3, 20).
Asc,9006a:237
Aquæ multæ non potuerunt extinguere caritatem (Cant. 8, 7).
Asc,9006a:238
Majorem hac dilectionem, nemo habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis (Joan. 15, 13).
Asc,9006a:239
Pro impiis mortuus est (Rom. 10, 6).
Asc,9006a:240
Baptismo… habeo baptizari: et quomodo coarctor, usquedum perficiatur! (Luc. 10, 50).
Asc,9006a:241
Quotiescumque enim manducabitis panem hunc… mortem Domini annuntiabitis, donec veniat (1
Cor. 11, 26).
Asc,9006a:242
Dilectus meus mihi et ego illi (Cant. 2, 16).
Asc,9006a:243
Deus caritas est (1 Joan. 4, 8).
Asc,9006a:244
Si quis diligit me, sermonem meum servabit (Joan. 14, 23).
Asc,9006a:245
Vos amici mei estis si feceritis quæ ego præcipio vobis (Joan. 15, 14).
Asc,9006a:246
Ut… serviamus illi in sanctitate et justitia… omnibus diebus nostris (Luc. 1, 74. 75).
Asc,9006a:247
Probatio dilectionis exhibitio est operis (S. Greg. Pap., Hom., XXX in Evang.).
Asc,9006a:248
Veritas Domini manet in æternum (Ps. 116, 2). Omnis qui petit, accipit (Matth. 7, 8).
Asc,9006a:249
Benefacite his, qui oderunt vos, et orate pro persequentibus et calumniantibus vos (Matth. 5, 44).
Asc,9006a:250
Solem suum oriri facit super bonos et malos, et pluit super justos et injustos (Matth. 5, 45).
Asc,9006a:251
Digni sunt morte: et non solum qui ea (mala) faciunt, sed etiam qui consentiunt facientibus (Rom. 1,
32).
Asc,9006a:252
Præbe, fili mi, cor tuum mihi (Prov. 23, 26).
Asc,9006a:253
Formam servi accipiens (Philip. 2, 7).
Asc,9006a:254
Homo, quem Rex onorare cupit, debet indui vestibus regiis… et accipere regium diadema super
caput suum, et primus de regiis principibus… teneat equum ejus… et clamet et dicat: sic
honorabitur, quemcumque voluerit Rex honorare (Esth. 6, v. 7, 8, 9).
Asc,9006a:255
Filius hominis non venit ministrari sed ministrare (Matth. 20, 28).
Asc,9006a:256
O Jesu, quanto pro me vilior, tanto mihi carior (S. Bern.).
Asc,9006a:257
Quoniam omnia serviunt tibi (Ps. 118, 91).
Asc,9006a:258
Et erat subditus illis (Luc. 2, 51).
Asc,9006a:259
Servire Deo regnare est (In Pontif. Rom. in ordin. Diac.).
Asc,9006a:260
Tunc venit Jesus… ad Joannem, ut baptizaretur ab eo (Matth. 3, 13).
Asc,9006a:261
Si non lavero te, non habebis partem mecum (Joan. 13, 8).
Asc,9006a:262
Domine, non tantum pedes, sed et manus et caput (Joan. 13, 9).
Asc,9006a:263
Factus obœdiens usque ad mortem… crucis (Philip. 2, 8).
Asc,9006a:264
Quotiescumque enim manducabitis panem hunc… mortem Domini annuntiabitis, donec veniat (1
Cor. 11, 26).
Asc,9006a:265
Formam servi accipiens (Philip. 2, 7).
Asc,9006a:266
Servire Deo regnare est (In Pontif. Rom. in ordin. Diac.).
Asc,9006a:267
Attendite a falsis Prophetis, qui veniunt ad vos in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi
rapaces (Matth. 7, 15).
Asc,9006a:268
Ponit vestimenta sua, et cum accepisset linteum, præcinxit se. Deinde mittit aquam in pelvim, et
cœpit lavare pedes Discipulorum et extergere (Joan. 13, 4-5).
Asc,9006a:269
Cum ipso sum in tribulatione: eripiam eum (Ps. 90, 15).
Asc,9006a:270
Sponsabo te mihi in fide (Osee 2, 20).
Asc,9006a:271
Non dico tibi usque septies: sed usque septuagies septies (Matth. 18, 22).
Asc,9006a:272
[…] Ut per Sacerdotum sententiam non semel, sed quoties ab admissis peccatis ad ipsum pænitentes
confugerint possent liberari (Conc. Trid., sess. 14, c. 1, 3). – Impietas impii non nocebit ei, in
quacumque die conversus fuerit ab impietate sua (Ezech. 33, 12). – Convertimini… et quare
moriemini… revertimini, et vivite (Ezech. 18, v. 30, 31, 32).
Asc,9006a:273
Caput autem mulieris, vir (1 Cor. 11, 3).
Asc,9006a:274
Vos cogitastis de me malum, sed Deus vertit illud in bonum (Gen. 50, 20).
Asc,9006a:275
Tu autem fornicata es cum amatoribus multis: tamen revertere ad me, dicit Dominus, et ego
suscipiam te (Jer. 3, 1).
Asc,9006a:276
Asperges me hyssopo et mundabor: lavabis me, et super nivem dealbabor (Ps. 50, 9).
Asc,9006a:277
Qui manet in me, et ego in eo (Joan. 15, 5).
Asc,9006a:278
Manete in me et ego in vobis… si Vos in me manseritis (Joan. 16, 4. 7).
Asc,9006a:279
Surge amica mea, speciosa mea et veni… veni de Libano sponsa mea, veni de Libano, veni (Cant.
2, 13; 4, 8). – Usquequo deliciis dissolveris, filia vaga (Jer. 31, 22).
Asc,9006a:280
Vivo ego, jam non ego, vivit vero in me Christus (Gal. 2, 29).
Asc,9006a:281
De profundis clamavi ad te Domine (Ps. 129, 1).
Asc,9006a:282
Ad Dominum cum tribularer clamavi: et exaudivit me (Ps. 119, 1).
Asc,9006a:283
Apud Dominum misericordia (Ps. 129, 7). – Et factus est Dominus refugium pauperi: adjutor in
opportunitatibus, in tribulatione (Ps. 9, 9).
Asc,9006a:284
Altissimum posuisti refugium tuum (Ps. 90, 9).
Asc,9006a:285
Quicumque invocaverit nomen Domini, salvus erit (Act. 2, 21).
Asc,9006a:286
Potens est Deus de lapidibus… suscitare filios Abrahæ (Matth. 3, 9). – Et auferam cor lapideum de
carne eorum, et dabo eis cor carneum (Ezech. 2, 19).
Asc,9006a:287
Ad te nostras etiam rebelles compelle propitius voluntates (In Secr. Dom. IV post Pentec.).
Asc,9006a:288
Domine, si vis, potes me mundare (Matth. 8, 2).
Asc,9006a:289
Volo: mundare (Matth. 8, 3).
Asc,9006a:290
Deus qui omnipotentiam tuam parcendo maxime, et miserando manifestas (Orat. Dom. X post
Pentec.).
Asc,9006a:291
Quid est facilius dicere: dimittuntur tibi peccata tua, an dicere: surge et ambula? (Matth. 9, 5).
Asc,9006a:292
Ante hominem vita et mors, bonum et malum: quod placuerit ei dabitur illi (Eccli. 15, 18).
Asc,9006a:293
Durum est tibi contra stimulum calcitrare (Act. 9, 5).
Asc,9006a:294
Non sunt fraudati a desiderio suo (Ps. 77, 30).
Asc,9006a:295
Ab ira et odio, et omni mala voluntate libera nos, Domine (Litan. Sanct.).
Asc,9006a:296
Pater vester de Cælo dabit spiritum bonum petentibus se (Luc. 11, 13).
Asc,9006a:297
Præparationem cordis eorum audivit auris tua (Ps. 10, 17).
Asc,9006a:298
Justus Dominus et justitiam dilexit (Ps. 10, 8).
Asc,9006a:299
Deus cui proprium est misereri, semper et parcere (Orat. I post Litan. Sanct.).
Asc,9006a:300
Superexaltat autem misericordia judicium (Jac. 2, v. 13).
Asc,9006a:301
Justitia tua sicut montes Dei (Ps. 35, 7).
Asc,9006a:302
Doce me facere voluntatem tuam, quia Deus meus es tu (Ps. 142, 10).
Asc,9006a:303
Quoniam loquetur pacem in plebem suam, et super sanctos suos et in eos, qui convertuntur ad cor
(Ps. 84, 9).
Asc,9006a:304
Quid habes quod non accepisti? (1 Cor. 4, 7).
Asc,9006a:305
Quia… non pepercisti filio tuo unigenito propter me… multiplicabo semen tuum sicut stellas Cæli,
et velut arenam… maris… et benedicentur in semine tuo omnes gentes terræ, quia obœdisti voci
meæ (Gen. 22, v. 16, 17, 18).
Asc,9006a:306
Jugum enim meum suave est, et onus leve (Matth. 11, 30).
Asc,9006a:307
Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet et facere quod possis et petere quod non possis, et
adjuvat ut possis (Trid., sess. 6, De Justificatione, c. 11).
Asc,9006a:308
Ego feci et ego feram: ego portabo et ego salvabo (Is. 46, 4).
Asc,9006a:309
Custodite præcepta mea (Lev. 20, 8).
Asc,9006a:310
Estote perfecti (Matth. 5, 48). – Diligite inimicos vestros, etc. (Matth. 5, 44).
Asc,9006a:311
Durus est hic sermo (Joan. 6, 61).
Asc,9006a:312
Joan. 4, v. 9, 10.
Asc,9006a:313
Ad ubera portabimini, et super genua blandientur vobis (Is. 66, 12).
Asc,9006a:314
Dilata os tuum et implebo illud (Ps. 80, 11).
Asc,9006a:315
Domine da mihi hanc aquam, ut non sitiam (Joan. 4, 15).
Asc,9006a:316
Da quod jubes, jube quod vis (S. Aug.).
Asc,9006a:317
Non est Discipulus supra Magistrum (Matth. 10, 24).
Asc,9006a:318
Dicunt enim et non faciunt (Matth. 23, 3).
Asc,9006a:319
Cœpit Jesus facere, et docere (Act. 1, 1).
Asc,9006a:320
Noli vinci a malo, sed vince in bono malum (Rom. 12, 21).
Asc,9006a:321
Date, et dabitur vobis (Luc. 6, 38).
Asc,9006a:322
Qui vult tunicam tuam tollere, dimitte ei et palium… bene facite his qui oderunt vos: et orate pro
persequentibus, et calumniantibus vos (Matth. 5, v. 40, 41, 44).
Asc,9006a:323
Domine ad adjuvandum me festina (Ps. 89).
Asc,9006a:324
Cœpit Jesus facere, et docere (Act. 1, 1).
Asc,9006a:325
Exemplum enim dedi vobis, ut quemadmodum ego feci vobis, ita et vos faciatis (Joan. 13, 15).
Asc,9006a:326
Bonum mihi lex oris tui super milia auri et argenti (Ps. 118, 72).
Asc,9006a:327
In via testimoniorum tuorum delectatus sum, sicut in omnibus divitiis (Ps. 118, 14).
Asc,9006a:328
Negotiamini dum venio… et quare non dedisti pecuniam meam ad mensam, ut ego veniens cum
usuris utique exegissem illam? (Luc. 19, 13. 23).
Asc,9006a:329
Non veni solvere (legem), sed adimplere (Matth. 5, 17).
Asc,9006a:330
Amen, amen dico vobis: si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Joan. 16, 23).
Asc,9006a:331
In quo sunt omnes thesauri sapientiæ, et scientiæ absconditi. Quia in ipso inhabitat omnis plenitudo
divinitatis (Col. 2, 3. 9).
Asc,9006a:332
Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom. 8, 32).
Asc,9006a:333
Quæcumque solveritis super terram, erunt soluta et in Cælo (Matth. 18, 18).
Asc,9006a:334
Rursus crucifigentes sibimetipsis Filium Dei (Hebr. 6, 6).
Asc,9006a:335
Ubi autem abundavit delictum, superabundavit gratia (Rom. 5, 20).
Asc,9006a:336
Abscondisti hæc a sapientibus… et revelasti ea parvulis (Matth. 11, 25).
Asc,9006a:337
Vobis datum est nosse mysteria Regni Cælorum (Matth. 13, 11).
Asc,9006a:338
Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est Regnum Cælorum (Matth. 5, 3).
Asc,9006a:339
Non credas inimico tuo in æternum (Eccli. 12, 10).
Asc,9006a:340
Meliora sunt vulnera diligentis, quam fraudulentia oscula odientis (Prov. 27, 6).
Asc,9006a:341
Etiamsi occiderit me, in ipso sperabo (Job 13, 15).
Asc,9006a:342
S. Agostino.
Asc,9006a:343
Si bona suscepimus de manu Dei, mala quare non suscipiamus? (Job 2, 10).
Asc,9006a:344
Sperent in te qui noverunt nomen tuum (Ps. 9, 10).
Asc,9006a:345
Protegam eum: quoniam cognovit nomen meum (Ps. 90, 14).
Asc,9006a:346
Quis novit potestatem iræ tuæ (Ps. 89, 11).
Asc,9006a:347
Numquid… continebit in ira sua misericordias suas? (Ps. 82, 8. 10).
Asc,9006a:348
Deus volens ostendere iram suam… sustinuit in multa patienta… ut ostenderet divitias misericordiæ
suæ (Rom. 9, 22-23).
Asc,9006a:349
Cum iratus fueris, misericordiæ recordaberis (Abacuc 3, 2).
Asc,9006a:350
Cum exarserit in brevi ira ejus: beati omnes qui confidunt in eo (Ps. 2, 13).
Asc,9006a:351
Venit ira Dei in filios diffidentiæ (Eph. 5, 6).
Asc,9006a:352
Ad punctum in modico dereliqui te, et in miserationibus magnis congregabo te. In momento
indignationis abscondi faciem meam parumper a te: et in misericordia sempiterna misertus sum tui,
dixit Redemptor tuus Dominus (Is. 54, 7-8).
Asc,9006a:353
Omnia tempus habent (Eccle. 3, 1).
Asc,9006a:354
Quis mihi hoc tribuat, ut in inferno protegas me, et abscondas me, donec pertranseat furor tuus (Job
14, 13).
Asc,9006a:355
Cum iratus fueris, misericordiæ recordaberis (Abacuc 3, 2).
Asc,9006a:356
Multus est ad ignoscendum. Non enim cogitationes meæ, cogitationes vestræ (Is. 55, 7-8).
Asc,9006a:357
Deus cui proprium est misereri semper et parcere (Orat. post Litan. Sanct.).
Asc,9006a:358
Quoniam ira in indignatione ejus, et vita in voluntate ejus (Ps. 29, 5).
Asc,9006a:359
Ne declines in ira a servo tuo (Ps. 26, 9).
Asc,9006a:360
Confige timore tuo carnes meas (Ps. 118, 120).
Asc,9006a:361
Si esurierit inimicus tuus, ciba illum: si sitierit, da ei aquam bibere (Prov. 25, 21).
Asc,9006a:362
Quis enim filius, quem non corripit pater? (Hebr. 12, 7).
Asc,9006a:363
Omnis disciplina in præsenti quidem videtur non esse gaudii, sed mæroris. Postea autem fructum
pacatissimum exercitatis per eam reddet justitiæ (Hebr. 12, 11).
Asc,9006a:364
Ipse se finxit longius ire (Luc. 24, 28).
Asc,9006a:365
Visitas eum diluculo, et subito probas illum (Job 7, 18).
Asc,9006a:366
Vado, et venio ad vos (Joan. 14, 28).
Asc,9006a:367
Expedit vobis, ut ego vadam: si enim non abiero, Paraclitus non veniet ad vos (Joan. 16, 7).
Asc,9006a:368
Clamo ad te, et non exaudis: sto, et non respicis me. Mutatus est mihi in crudelem, et in duritia
manus tuæ adversaris mihi (Job 30, 20-21).
Asc,9006a:369
Numquid Job frustra timet Deum? Nonne tu vallasti eum, ac domum ejus… operibus manum ejus
tu benedixisti… sed extende paululum manum tuam… nisi in faciem benedixerit tibi (Job 1, 9. 10.
11).
Asc,9006a:370
Tamquam aurum in fornace probavit illos (Sap. 3, 6).
Asc,9006a:371
Commendat autem caritatem suam Deus in nobis: quoniam cum adhuc peccatores essemus,
Christus pro nobis mortuus est (Rom. 5, 8-9).
Asc,9006a:372
Adversarius vester Diabolus tamquam leo rugiens circuit quærens quem devoret (Petr. 5, 8).
Asc,9006a:373
Sedet in insidiis… in occultis, ut interficiat (Ps. 9, 28).
Asc,9006a:374
Non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem; sed adversus Principes et potestates
tenebrarum (Eph. 6, 12).
Asc,9006a:375
Non est super terram potestas, quæ comparetur ei, qui factus est ut nullum timeret (Job 41, 24).
Asc,9006a:376
Ut sine timore de manu inimicorum nostrorum liberati serviamus illi, in sanctitate et justitia…
omnibus diebus nostris (Luc. 1, 74).
Asc,9006a:377
Salutem ex inimicis nostris, et de manu omnium qui oderunt nos (Luc. 1, 71).
Asc,9006a:378
Illic trepidaverunt timore, ubi non erat timor (Ps. 13, 5).
Asc,9006a:379
Emmanuel… nobiscum Deus (Matth. 1, 23).
Asc,9006a:380
Dominus fortis, et potens… (Ps. 23, 8).
Asc,9006a:381
O altitudo divitiarum sapientiæ, et scientiæ Dei, quam incomprehensibilia sunt judicia ejus, et
investigabiles viæ ejus! (Rom. 11, 33).
Asc,9006a:382
Infirma mundi elegit Deus, ut confundat fortia (1 Cor. 1, 27).
Asc,9006a:383
Inimicitias ponam inter te et mulierem, et semen tuum et semen illius, ipsa conteret caput tuum, et
tu insidiaberis calcaneo ejus (Gen. 3, 15).
Asc,9006a:384
Scapulis suis obumbrabit tibi: et sub pennis ejus sperabis (Ps. 90, 4).
Asc,9006a:385
Angelis suis Deus mandavit de te, ut custodiant te… in manibus portabunt te; super aspidem et
basiliscum ambulabis, conculcabis leonem, et draconem (Ps. 90, 11-12-13).
Asc,9006a:386
Accinxisti me fortitudine ad prœlium: incurvasti resistentes mihi subtus me (2 Reg. 22, 40).
Asc,9006a:387
Deus ubique spectator est, adjutor est, remunerator est (S. Aug.). – Cum ipso sum in tribulatione:
eripiam eum, et glorificabo eum (Ps. 90, 15).
Asc,9006a:388
Dominus protector vitæ meæ, a quo trepidabo… si consistant adversum me castra non timebit cor
meum. Si exurgat adversum me prœlium, in hoc ego sperabo (Ps. 26, 1. 3).
Asc,9006a:389
Fidelis autem Deus est, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis (1 Cor. 10, 13).
Asc,9006a:390
Dæmones autem rogabant eum dicentes: Si ejicis nos hinc, mitte nos in gregem porcorum; et ait
illis: Ite (Matth. 8, 31-32).
Asc,9006a:391
Ecce, universa, quæ habet, in manu tua sunt; tantum in eum ne extendas manum tuam… verum
tamen animam illius serva (Job 1, 12 et 2, 6).
Asc,9006a:392
Sed faciet etiam cum tentatione proventum, ut possitis sustinere (1 Cor. 10, 13).
Asc,9006a:393
Et ne magnitudo revelationum extollat me, datus est mihi… Angelus Satanæ qui me colaphizet (2
Cor. 12, 7).
Asc,9006a:394
In verticem ipsius iniquitas ejus descendet (Ps. 7, 16).
Asc,9006a:395
Incidit in foveam quam fecit. Convertetur dolor ejus in caput ejus (Ps. 7, 10).
Asc,9006a:396
Qui faciunt peccatum… hostes sunt animæ suæ (Tob. 12, 10).
Asc,9006a:397
De vitiis nostris scalam nobis facimus, si vitia ipsa calcamus: elevabunt nos, si fuerint infra nos.
Asc,9006a:398
Aruit tamquam testa virtus mea (Ps. 21, 15).
Asc,9006a:399
Humiliatus sum, et silui a bonis (Ps. 38, 3).
Asc,9006a:400
Non discedimus a te, vivificabis nos: et nomen tuum invocabimus (Ps. 79, 19).
Asc,9006a:401
Adjutor in opportunitatibus in tribulatione (Ps. 9, 10). – Eruis sustinentes te Domine (Eccli. 51, 12).
– Abundantia pietatis tuæ et merita supplicum excedis et vota (Orat. Dom. XI post Pentec.).
Asc,9006a:402
Expecta Dominum, viriliter age; et confortetur cor tuum, et sustine Dominum (Ps. 26, 14).
Asc,9006a:403
Expectans expectavi Dominum, et intendit mihi et exaudivit præces meas: et eduxit me de lacu
miseriæ, et de luto fæcis (Ps. 39, 2-3).
Asc,9006a:404
Saulus autem devastabat Ecclesiam… spirans minarum et cædis in discipulos Domini (Act. 8, 3 et
9, 1).
Asc,9006a:405
Vas electionis est mihi iste, ut portet nomen meum coram gentibus, et Regibus, et filiis Israel (Act.
9, 15).
Asc,9006a:406
Potens est autem Deus omnem gratia abundare facere in vobis; ut in omnibus semper… abundetis in
omne opus bonum (2 Cor. 9, 8).
Asc,9006a:407
[…] Effunde super nos etc. (Orat. Dom. XI post Pentec.).
Asc,9006a:408
Semetipsum exinanivit (Philip. 2, 7). – Sicut aqua effusus sum, et dispersa sunt omnia ossa mea (Ps.
31, 15).
Asc,9006a:409
Judith 8, 10.
Asc,9006a:410
Non dimittam te, nisi benedixeris mihi (Gen. 32, 26).
Asc,9006a:411
Qui contra spem in spem credidit (Rom. 4, 18).
Asc,9006a:412
Ego autem semper sperabo: et adjiciam super omnem laudem tuam (Ps. 70, 14).
Asc,9006a:413
Etiamsi occiderit me, in ipso sperabo (Job 13, 15).
Asc,9006a:414
Ut glorificetur Filius Dei (Joan. 11, 4).
Asc,9006a:415
O mulier magna est fides tua: fiat tibi sicut vis (Matth. 15, 28).
Asc,9006a:416
Et quare non dedisti pecuniam meam ad mensam, ut ego veniens cum usuris utique exegissem
illam? (Luc. 19, 23).
Asc,9006a:417
Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum (Rom. 8, 28).
Asc,9006a:418
Bonorum omnium largitor Deus (Orat. in fest. S. Rosæ Limanæ, 30 Augusti).
Asc,9006a:419
Regnum Cælorum vim patitur et violenti rapiunt illud (Matth. 11, 12).
Asc,9006a:420
Cum gratiarum actione petitiones vestræ innotescant apud Deum (Philip. 4, 6).
Asc,9006a:421
Sine me nihil potestis facere (Joan. 15, 5).
Asc,9006a:422
Qui habet dabitur illi: et quicumque non habet, etiam quod putat se habere auferetur ab illo (Luc. 8,
18).
Asc,9006a:423
Usquemodo non petistis quidquam in nomine meo: petite et accipietis (Joan. 16, 24).
Asc,9006a:424
Videns civitatem flevit super illam dicens, quia si cognovisses… quæ ad pacem tibi (Luc. 19, 4142).
Asc,9006a:425
Quærebant… quomodo eum dolo tenerent, et occiderent (Marc. 14, 1).
Asc,9006a:426
Pater dimitte illis: non enim sciunt quid faciunt (Luc. 23, 34).
Asc,9006a:427
Expedit vobis ut unus moriatur homo pro populo, et non tota gens pereat (Joan. 11, 50).
Asc,9006a:428
Videbis gloriam Dei (Joan. 11, 40).
Asc,9006a:429
Ut manifestentur opera Dei in illo (Joan. 9, 3).
Asc,9006a:430
Omnes peccaverunt et egent gloria Dei (Rom. 3, 23).
Asc,9006a:431
Vocabis nomen ejus Jesum: ipse enim salvum faciet populum suum a peccatis eorum (Matth. 1, 21).
Asc,9006a:432
Deo autem gratias, qui dedit nobis victoriam per Dominum nostrum Jesum Christum (1 Cor. 15,
57).
Asc,9006a:433
Adjuva nos Deus salutaris noster: et propter gloriam nominis tui… libera nos, et propitius esto
peccatis nostris (Ps. 78, 9).
Asc,9006a:434
Gloria in altissimis Deo et in terra pax hominibus bonæ voluntatis (Luc. 2, 14).
Asc,9006a:435
Gratia agimus tibi propter magnam gloriam tuam (in Miss.).
Asc,9006a:436
Gloriam meam alteri non dabo (Is. 40, 10).
Asc,9006a:437
Nomini tuo da gloriam (Ps. 113, 9).
Asc,9006a:438
Neque aliud nomen datum est hominibus, in quo oporteat nos salvos fieri (Act. 4, 12).
Asc,9006a:439
Invoca me in die tribulationis: eruam te et honorificabis me (Ps. 49, 15).
Asc,9006a:440
Dominus pugnabit pro vobis, et vos tacebitis (Exod. 14, 14).
Asc,9006a:441
Non mortui laudabunt te, Domine; neque omnes qui descendunt in infernum. Sed nos qui vivimus,
benedicimus Domino (Ps. 113, 26-27).
Asc,9006a:442
Fratres confortamini in Domino (Eph. 6, 10).
Asc,9006a:443
Folium, quod vento rapitur (Job 13, 25).
Asc,9006a:444
Induite vos armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias diaboli (Eph. 6, 10). – Si Deus pro
nobis quis contra nos? (Rom. 8, 31).
Asc,9006a:445
Libenter gloriabor in infirmitatibus meis, ut inhabitet in me virtus Christi (2 Cor. 12, 9).
Asc,9006a:446
Qui gloriatur, in Domino glorietur (1 Cor. 1, 31).
Asc,9006a:447
Sperate in eo omnis congregatio populi… Deus adjutor noster in æternum (Ps. 61, 9).
Asc,9006a:448
Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom. 8, 32).
Asc,9006a:449
Non veni ministrari, sed ministrare (Matth. 20, 28).
Asc,9006a:450
Propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de Cælis, etc. (Symb. Constant.).
Asc,9006a:451
Inde venturus est cum gloria judicare vivos et mortuos (Symb. Constant.).
Asc,9006a:452
Et non intres in judicium cum servo tuo: quia non justificabitur in conspectu tuo omnis vivens (Ps.
142, 2).
Asc,9006a:453
In te Domine speravi, non confundar in æternum: in justitia tua libera me (Ps. 30, 2).
Asc,9006a:454
Neque enim Pater judicat quemquam: sed omne judicium dedit Filio (Joan. 5, 22). – Qui factus est
nobis… a Deo et justitia et sanctificatio et redemptio (1 Cor. 1, 30).
Asc,9006a:455
Judica judicium meum: et redime me; propter eloquium tuum vivifica me (Ps. 118, 154).
Asc,9006a:456
Superexaltat autem misericordia judicium (Jac. 2, 13).
Asc,9006a:457
Judex vivorum et mortuorum (Act. 10, 42).
Asc,9006a:458
Dum judicamur autem, a Domino corripimur, ut non cum hoc mundo damnemur (1 Cor. 11, 32).
Asc,9006a:459
Si Deus pro nobis, quis contra nos? Deus qui justificat, quis est qui condemnet? (Rom. 8, 31. 33).
Asc,9006a:460
Liber scriptum proferetur, in quo totum continetur (Seq. in Miss. pro def.).
Asc,9006a:461
Judica me Deus, et discerne causam meam (Ps. 42, 1).
Asc,9006a:462
De vulto tuo judicium meum prodeat (Ps. 16, 2).
Asc,9006a:463
Amen, amen dico vobis: si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Joan. 16, 28).
Asc,9006a:464
Quod uni prodest, et alteri non nocet, id omnino agatur.
Asc,9006a:465
Quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi fecistis (Matth. 25, 40).
Asc,9006a:466
Nulli malum pro malo reddentes. Noli vinci a malo, sed vince in bono malum (Rom. 12, 17. 21). –
Benefacite his qui oderunt vos: et orate pro persequentibus et calumniantibus vos (Matth. 5, 44).
Asc,9006a:467
Quoties… dimittam ei? Usque septies? Dicit illi Jesus… usque septuagies septies (Matth. 18, 2122).
Asc,9006a:468
Fiat tibi sicut vis (Matth. 15, 28).
Asc,9006a:469
Sustinuit anima mea in verbo ejus (Ps. 129, 5). – Bonum mihi lex oris tui (Ps. 118, 72).
Asc,9006a:470
Propter legem tuam sustinui te Domine (Ps. 129, 4).
Asc,9006a:471
Noli vinci a malo, sed vince in bono malum (Rom. 12, 21).
Asc,9006a:472
Christus dilexit nos, et tradidit semetipsum pro nobis oblationem, et hostiam Deo (Eph. 5, 2). – Et
ipse est propitiatio pro peccatis nostris… etiam pro totius mundi (1 Joan. 2, 2).
Asc,9006a:473
Ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus (Joan. 14, 23).
Asc,9006a:474
Signati estis Spiritu promissionis sancto, qui est pignus hæreditatis nostræ (Eph. 1, 13-14).
Asc,9006a:475
Altissimi donum Dei, fons vivus, etc. (Hymn. Sp. S.).
Asc,9006a:476
Flumina… fluent aquæ vivæ: hoc autem dixit de Spiritu quem accepturi erant credentes in eum
(Joan. 7, 38-39).
Asc,9006a:477
Aqua (viva)… fiet in eo fons aquæ salientis in vitam æternam (Joan. 4, 10. 14).
Asc,9006a:478
Anima mea sicut terra sine aqua (Ps. 142, 6).
Asc,9006a:479
Pluviam voluntariam segregabis, Deus, hæreditati tuæ (Ps. 67, 10).
Asc,9006a:480
Alii… per Spiritum datur sermo sapientiæ, alii scientiæ… alii fides, etc., dividens singulis prout
vult (1 Cor. 12, 4-11).
Asc,9006a:481
Quid oremus sicut oportet nescimus: sed ipse Spiritus postulat pro nobis gemitibus inenarrabilibus
(Rom. 8, 26).
Asc,9006a:482
Ter Dominum rogavi, ut discederet a me… sufficit tibi gratia mea: nam virtus in infirmitate
perficitur (2 Cor. 12, 8-9).
Asc,9006a:483
Fortis ut mors dilectio (Cant. 8, 6).
Asc,9006a:484
Sic Deus dilexit mundum, ut Filium suum unigenitum daret (Joan. 3, 16).
Asc,9006a:485
Quum dilexisset suos… in finem dilexit eos (Joan. 13, 1).
Asc,9006a:486
Deus pro nobis… quis accusabit adversus electos Dei? (Rom. 8, 31. 33).
Asc,9006a:487
Spiritus Patris vestri, qui loquitur in vobis (Matth. 10, 20).
Asc,9006a:488
Ipse suggeret vobis omnia (Joan. 14, 26).
Asc,9006a:489
Veni Pater pauperum… Consolator optime: dulcis hospes animæ; dulce refrigerium… reple cordis
intima tuorum fidelium (In Missa Festi Pentec.).
Asc,9006a:490
Os meum aperui et attraxi Spiritum (Ps. 118, 131).
Asc,9006a:491
Ignem veni mittere in terram, et quid volo, nisi ut accendatur? (Luc. 12, 49).
Asc,9006a:492
Si terram amas, terra es, si Deum amas, quid dicam tibi? Deus es.
Asc,9006a:493
Veni Creator Spiritus… infunde amorem cordibus (Hymn. Pentec.).
Asc,9006a:494
O felix culpa, quæ talem, ac tantum meruit habere redemptorem! O certe necessarium Adæ
peccatum, quod Christi morte deletum est! (In Sabb. Sanct. in Bened. Cer.).
Asc,9006a:495
Mulier si perdiderit drachmam unam, nonne accendit lucernam, et everrit domum, et quærit
diligenter, donec inveniat? Et cum invenerit, convocat amicas et vicinas, dicens: Congratulamini
mihi (Luc. 15, 8-9).
Asc,9006a:496
Non veni vocare justos, sed peccatores (Matth. 9, 13).
Asc,9006a:497
Quid prodest homini, si mundum universum lucretur, animæ vero suæ detrimentum patiatur? Aut
quam dabit homo commutationem pro anima sua? (Matth. 16, 26).
Asc,9006a:498
Latrones, qui despoliaverunt eum; et plagis impositis abierunt, semivivo relicto (Luc. 10, 30).
Asc,9006a:499
Vos cogitasti de me malum: sed Deus vertit illud in bonum (Gen. 50, 20).
Asc,9006a:500
Non est discipulus super magistrum (Matth. 10, 24).
Asc,9006a:501
Maledicimur et benedicimus: persecutionem patimur, et sustinemus (1 Cor. 4, 12).
Asc,9006a:502
Peccavi, et malum coram te feci (Ps. 50, 6).
Asc,9006a:503
Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam, et secundum multitudinem
miserationum tuarum dele iniquitatem meam (Ps. 50, 3).
Asc,9006a:504
Amplius lava me ab iniquitate mea, et a peccato meo munda me (Ps. 50, 4).
Asc,9006a:505
Quoniam iniquitatem meam ego cognosco, et peccatum meum contra me est semper (Ps. 50, 5).
Asc,9006a:506
Sana animam meam, quia peccavi tibi (Ps. 40, 5).
Asc,9006a:507
De Cælo a regalibus sedibus (Sap. 18, 15).
Asc,9006a:508
Non veni vocare justos, sed peccatores (Matth. 9, 13).
Asc,9006a:509
Inclinavit Cælos, et descendit (2 Reg. 22, 10).
Asc,9006a:510
Si perdiderit unam ex illis (centum ovibus) nonne dimittit nonaginta novem… et vadit ad illam, quæ
perierat, donec inveniat eam? Et cum invenerit, imponit in humeros suos, gaudens? (Luc. 15, 4-5).
Asc,9006a:511
Et misericordia motus est, et accurrens cecidit super collum ejus, et osculatus est eum…
manducemus, et epulemur (Luc. 15, 20. 23).
Asc,9006a:512
Accipite, et comedite, hoc est corpus meum… bibite… hic est sanguis meus (Matth. 26, v. 26, 27,
28).
Asc,9006a:513
Ego enim Dominus, et non mutor (Malachi 3, 6).
Asc,9006a:514
Jesus Christus heri et hodie: ipse et in sæcula (Hebr. 13, 8).
Asc,9006a:515
Vocabis nomen ejus Jesum: ipse enim salvum faciet populum suum a peccatis eorum (Matth. 1, 21).
Asc,9006a:516
Non est opus valentibus medicus, sed male habentibus (Matth. 9, 12).
Asc,9006a:517
Fugit impius nemine persequente (Prov. 28, 1).
Asc,9006a:518
Convertimini, agite pænitentiam… et non erit vobis in ruinam iniquitas… quare moriemini… quia
nolo mortem morientis… revertimini, et vivite (Ezech. 18, v. 30, 31, 32). – Amen, amen dico vobis:
si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis (Joan. 16, 23, et Matth. 18, 18).
Asc,9006a:519
Vox sanguinis fratris tui clamat ad me de terra (Gen. 4, 10).
Asc,9006a:520
Nonne si male (egeris) statim in foribus peccatum aderit? (Gen. 4, 7).
Asc,9006a:521
Confortamini, et nolite timere: Ecce Deus vester ultionem adducet retributionis. Deus ipse veniet, et
salvabit nos (Is. 35, 4).
Asc,9006a:522
Sinite utraque crescere ad messem (Matth. 13, 30).
Asc,9006a:523
Novissime locutus est nobis in Filio (Hebr. 1, 2).
Asc,9006a:524
Sic… orabitis: Pater noster (Matth. 6, 9).
Asc,9006a:525
Verbum breviatum faciet Dominus super terram (Rom. 9, 28).
Asc,9006a:526
Amen, amen dico vobis: si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vobis,… de omni re
quamcumque petierint, fiet illis a Patre meo (Joan. 16, 23 et Matth. 18, 19).
Asc,9006a:527
Omnia cum illo nobis donavit (Rom. 8, 32).
Asc,9006a:528
Omnia quæcumque orantes petitis, credite quia accipietis, et evenient vobis (Marc. 11, 24). –
Postulet autem in fide nihil hæsitans (Jac. 1, 6).
Asc,9006a:529
Sic ergo vos orabitis: Pater noster, etc. (Matth. 6, 9).
Asc,9006a:530
Sol contra Gabaon ne movearis, et luna contra vallem Ajalon. Steteruntque, sol et luna (Jos. 10, 1213).
Asc,9006a:531
Ipse dixit, et facta sunt (Ps. 32, 9).
Asc,9006a:532
O stulti et tardi corde ad credendum in omnibus (Luc. 24, 25).
Asc,9006a:533
Miserere mei Domine Fili David: Filia mea male a Dæmonio vexatur (Matth. 15, 22).
Asc,9006a:534
Desiderium pauperum exaudivit Dominus: præparationem cordis eorum audivit auris tua (Ps. 10,
17).
Asc,9006a:535
Clamabis et dicet: Ecce adsum (Is. 58, 9). – Invoca me in die tribulationis, eruam te (Ps. 49, 15).
Asc,9006a:536
Propter improbitatem ejus… surget, dabit illi quotquot habet necessarios (panes) (Luc. 11, 8).
Asc,9006a:537
Vidua veniebat ad eum (judicem), dicens: Vindica me… et nolebat per multum tempus… quia
molesta est mihi hæc vidua, vindicabo illam (Luc. 18, v. 3, 4, 5).
Asc,9006a:538
Non est bonum sumere panem filiorum, et mittere canibus… fiat tibi sicut vis (Marc. 7, 27).
Asc,9006a:539
Etiam quod putat se habere, auferetur ab illo (Luc. 8, 18).
Asc,9006a:540
Sed postquam filius tuus hic, qui devoravit substantiam suam cum meretricibus, venit, occidisti illi
vitulum saginatum (Luc. 15, 30).
Asc,9006a:541
Luc. 15, v. 20, 22, 23.
Asc,9006a:542
Qui vult tunicam tuam tollere, dimitte ei, et pallium qui petit a te da ei… diligite inimicos vestros;
benefacite his qui oderunt vos… ut sitis filii Patris vestri, qui in Cælis est (Matth. 5, 39 et seq.).
Asc,9006a:543
Omnis qui petit, accipit (Matth. 7, 8).
Asc,9006a:544
Polluisti terram in fornicationibus tuis, et in malitiis tuis… ergo saltem modo voca me: Pater
meus… et non avertam faciem meam a vobis… et non irascar in æternum (Jer. 3, v. 2, 4, 12).
Asc,9006a:545
Etiam, Domine: nam et catelli edunt de micis, quæ cadunt de mensa dominorum suorum (Matth. 15,
22).
Asc,9006a:546
Dabit illi quotquot habet necessarios (Luc. 11, 8).
Asc,9006a:547
Usquequo exaltabitur inimicus meus super me? (Ps. 12, 3).
Asc,9006a:548
Respice in faciem christi tui (Ps. 83, 10).
Asc,9006a:549
Non enim Deus omnipotens… cum summe bonus sit, ullo modo sineret mali esse aliquid in
operibus suis nisi usque adeo esset omnipotens et bonus, ut bene faceret etiam de malo (S. Aug., De
Enchirid., X et XI).
Asc,9006a:550
O felix culpa, quæ talem, ac tantum meruit habere Redemptorem! (In Bened. Cer. in Sabb. Sanct.).
Asc,9006a:551
Nous étions perdus, si nous n'eussions été perdus (Amour de Dieu, livre 2e, V).
Asc,9006a:552
Publicani et meretrices præcedent… in regno Dei (Matth. 21, 31).
Asc,9006a:553
Cui autem minus dimittitur, minus diligit (Luc. 7, 47). – Quia cautiores et ferventiores resurgunt
(Thom.).
Asc,9006a:554
Nemo… quamdiu in hac mortalitate vivitur, de arcano divinæ prædestinationis mysterio adeo
presumere debet, ut certo statuat se omnino esse in numero prædestinatorum… Nam nisi ex speciali
revelatione sciri non potest quos Deus sibi elegerit (Conc. Trid., sess. 6, De Justificatione, XII).
Asc,9006a:555
Nemo sibi certi aliquid absoluta certitudine polliceatur. Tametsi in Dei auxilio firmissimam spem
collocare, et reponere omnes debent. Deus enim nisi ipsi illius gratiæ defuerint, sicut cœpit opus
bonum, ita perficiet, operans velle, et perficere (Conc. Trid., sess. 6, De Justificatione, I, 13).
Asc,9006a:556
Non ex operibus, ne quis glorietur (Eph. 2, 9). – Si autem gratia jam non ex operibus: alioquin
gratia jam non est gratia (Rom. 11, 6).
Asc,9006a:557
Conclusit enim Deus omnia in incrudelitate ut omnium misereatur (Rom. 5, 12).
Asc,9006a:558
O altitudo divitiarum sapientiæ et scientiæ Dei. – Quam incomprehensabilia sunt judicia ejus et
investigabiles viæ ejus! (Rom. 5, 33).
Asc,9006a:559
Judicia tua jucunda (Ps. 118, 39).
Asc,9006a:560
Non plus sapere quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietatem (Rom. 12, 3).
Asc,9006a:561
Noli altum sapere, sed time (Rom. 11, 20).
Asc,9006a:562
Miserator, et misericors Dominus, longanimis, et multum misericors (Ps. 102, 8).
Asc,9006a:563
Et factus est Dominus refugium pauperi (Ps. 9, 10).
Asc,9006a:564
Adjutor in opportunitatibus (Ps. 9, 10).
Asc,9006a:565
Servi autem facti Deo, habetis… vitam æternam (Rom. 6, 22). – Quicumque potum dederit…
calicem aquæ frigidæ (Matth. 10, 42). – Sive ergo manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis:
omnia in gloriam Dei facite (1 Cor. 10, 31).
Asc,9006a:566
Vos amici mei estis… jam non dicam vos servos.
Asc,9006a:567
Majorem hac dilectionem nemo habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis (Joan. 15, v. 13,
14, 15).
Asc,9006a:568
Commendat autem caritatem suam Deus in nobis, quoniam cum adhuc inimici essemus… Christus
pro nobis mortuus est (Rom. 5, 8-9).
Asc,9006a:569
Ego sum pastor bonus (Joan. 10, 11).
Asc,9006a:570
Christum induistis (Gal. 3, 22). – Accipite, et comedite: hoc est corpus meum… bibite ex hoc
omnes hic est enim sanguis meus (Matth. 26, v. 26, 27).
Asc,9006a:571
Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris (Is. 12, 3).
Asc,9006a:572
Animam meam pono pro ovibus meis (Joan. 10, 15).
Asc,9006a:573
Simon Joannis, amas me? Pasce agnos… pasce oves meas (Joan. 21, v. 15, 16, 17).
Asc,9006a:574
Frater qui adjuvatur a fratre, quasi civitas firma (Prov. 18, 19).
Asc,9006a:575
Nolite timere: ite, nuntiate fratribus meis (Matth. 28, 10). – Quamdiu fecistis uni ex his fratribus
meis minimis, mihi fecistis (Matth. 20, 40). – Unus est enim Pater vester qui in Cælis est (Matth.
23, 9).
Asc,9006a:576
Qui habuerit substantiam hujus mundi, et viderit fratrem suum necessitatem habere, et clauserit
viscera sua ab eo, quomodo caritas Dei manet in eo? (1 Joan. 3, 17).
Asc,9006a:577
Deus caritas est (1 Joan. 4, 8).
Asc,9006a:578
Ne quæso indigneris, Domine, si loquar (Gen. 18, 30).
Asc,9006a:579
Videte qualem caritatem dedit nobis Pater, ut filii Dei nominemur et simus (1 Joan. 3, 1).
Asc,9006a:580
Pater misericordiarum… qui consolatur nos in omni tribulatione nostra (2 Cor. 1, 3-4).
Asc,9006a:581
Scit enim Pater vester cælestis quid opus sit vobis (Matth. 6, 8).
Asc,9006a:582
Sic orabitis: Pater noster qui es in Cælis (Matth. 6, 9).
Asc,9006a:583
Sed libera nos a malo (Matth. 6, 13).
Asc,9006a:584
Estis… filii Excelsi omnes (Ps. 81, 6).
Asc,9006a:585
Patrem nolite vocare vobis super terram, unus est enim Pater vester qui in Cælis est (Matth. 23, 9).
Asc,9006a:586
Et si illa oblita fuerit, ego tamen non obliviscar tui (Is. 49, 15). – Pater et ita pater, ut tam pater
nemo.
Asc,9006a:587
Et accurrens cecidit super collum ejus, et osculatus est eum… cito proferte stolum primam, et
induite illum et date annulum in manu ejus… et manducemus, et epulemur (Luc. 15, v. 20, 22, 23).
Asc,9006a:588
Quia semel cœpi, loquar ad Dominum meum (Gen. 18, 31).
Asc,9006a:589
Quam dulcia faucibus meis eloquia tua, super mel ori meo (Ps. 118, 103).
Asc,9006a:590
Miserator, et multum misericors… Dominus universis (Ps. 144, 8).
Asc,9006a:591
Deus… cui cura est de omnibus, ut ostendas quoniam non injuste judicas judicium… et ob hoc
quod omnium Dominus es, omnibus parcere facis… (Sap. 12, 13. 16).
Asc,9006a:592
Caritas Christi urget nos; æstimantes hoc quoniam si unus pro omnibus mortuus est, ergo omnes
mortui sunt. Et pro omnibus mortuus est Christus (2 Cor. 5, 14-15).
Asc,9006a:593
Et sicut in Adam omnes moriuntur; ita et in Christo omnes vivificabuntur (1 Cor. 15, 22).
Asc,9006a:594
Et ipse est propitiatio pro peccatis nostris: non pro nostris autem tantum, sed etiam pro totius mundi
(1 Joan. 2, 2).
Asc,9006a:595
Et omnium fidelium nomina beatæ prædestinationis liber adscripta retineat (Orat., XXXV, ad
diversa in secr.). – Speramus in Deum vivum, qui est Salvator omnium hominum, maxime fidelium
(1 Tim. 4, 10).
Asc,9006a:596
Patienter agit propter vos, nolens aliquos perire, sed omnes ad pænitentiam reverti (2 Petr. 3, 9).
Asc,9006a:597
Venit Filius hominis quærere, et salvum facere quod perierat (Luc. 19, 10). – Oltre che tali testi così
chiari dovrebbero essere più che sufficienti a togliere ogni dubbiezza, che potesse nascere sopra
altri meno chiari circa la sincera volontà di Dio di salvare tutti, osserva Bergier (Dizionario
teologico, verb. salute), che in Isaia 53, v. 12, la parola ebraica rabbim è mal tradotta per molti;
poiché significa la moltitudine o le moltitudini. E così si deve spiegare in S. Matteo 20, 28, e 26, 28,
ed in S. Marco 14, 24. In questo senso sostiene pure S. Agostino il testo di S. Paolo, Rom. 5, 1, per
il peccato di un solo molti sono morti, ove dice, che la totalità è una moltitudine, e non un piccolo
numero (Lib. 6 contra Julianum, XXV, n. 80, lib. II, oper. imperf., CIX).
Asc,9006a:598
Omnipotens sempiterne Deus, qui salvas omnes, et neminem vis perire… qui etiam Judaicam
perfidiam a tua misericordia non repellis… qui non mortem peccatorum, sed vitam semper inquiris
(Orat. Sab. S. pro Hæret. Jud. et Pagan.).
Asc,9006a:599
Nec lætatur in perditione vivorum (Sap. 1, 13).
Asc,9006a:600
Tu ergo, fili hominis… dic ad eos: vivo ego, dicit Dominus Deus; nolo mortem impii, sed ut
convertatur impius a via sua, et vivat (Ezech. 33, 11).
Asc,9006a:601
S. Leo, serm. 11 De Passione, et serm. 1 De Nativitate.
Asc,9006a:602
Propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de Cælis… passus, mortuus, et sepultus
est (Symb. Constant.).
Asc,9006a:603
Id facit Deus, quod venatores solent facere, qui quando fugacissima, captuque difficilia insectantur
animalia, non una via, sed diversis, et per contraria aggrediuntur, ut si alterum effugerint, in alterum
incidant (S. Joannes Chrys., in Matth., Homil. 38).
Asc,9006a:604
Convertimini… quare moriemini Domus Israel? (Ezech. 33, 11). – Revertimini et vivite (Ezech. 18,
32). – Raucæ factæ sunt fauces meæ (Ps. 68, 4).
Asc,9006a:605
Ecce ego sepiam viam tuam spinis, et sequetur amatores suos, et non apprehendet eos et quæret eos,
et non inveniet, et dicet: vadam, et revertar ad virum meum priorem, quia bene erat mihi tunc magis
quam nunc… Propter hoc ecce ego lactabo eam, et sponsabo te mihi in sempiternum (Osee 2, v. 6,
7, 14, 19).
Asc,9006a:606
Obsecro, ne irascaris, Domine, si loquar adhuc semel (Gen. 18, 32).
Asc,9006a:607
De plenitudine ejus… accepimus (Joan. 1, 16).
Asc,9006a:608
Dat omnibus affluenter (Jac. 1, 5).
Asc,9006a:609
Idem Dominus omnium, dives in omnes qui invocant illum (Rom. 10). – Dat Deus generaliter quia
non uni, sed omnibus; abundanter non parce (S. Thom.).
Asc,9006a:610
S. Francesco di Sales, Dell'Amor di Dio, lib. 2, VIII.
Asc,9006a:611
Divitias bonitatis ejus, et patientiæ, et longanimitatis contemnis? (Rom. 2, 4).
Asc,9006a:612
Segneri, Prediche, XXXI, n. V.
Asc,9006a:613
Præsit piscibus maris, et volatilibus Cæli, et bestiis, universæque terræ (Gen. 1, 26).
Asc,9006a:614
Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet et facere quod possis, et petere quod non possis, et
adjuvat ut possis (Trid., sess. 6, XI, De Justificatione).
Asc,9006a:615
In his quæ necessaria sunt ad salutem, numquam Deus homini quærenti suam salutem deest vel
defuit, nisi ex culpa sua remaneat (S. Thom., In 3 sent., dist. 25, q. 2 ad 1, et art. 2 ad 2 q.).
Asc,9006a:616
Si quis dixerit justificatum… in accepta justitia perseverare… cum eo (speciali auxilio Dei), non
posse, anathema sit (Can. XXII, sess. 6, De Justificatione). – Impietas impii non nocebit ei in
quacumque die conversus fuerit ab impietate sua (Ezech. 33, 12).
Asc,9006a:617
Deus vult omnes homines salvos fieri et ideo gratia nulli deest, sed omnibus, quantum in se est, se
communicat (S. Thom., In Epistola ad Hebr., XII, lect. 3).
Asc,9006a:618
Erat lux vera, quæ illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum (Joan. 1, 9).
Asc,9006a:619
Ex æquali gratia aliquando magis fervens elicitur motus, aliquando minus secundum cooperationem
liberi arbitrii (Div. Bonav.). – Etiamsi æqualem gratiam percipiant, non æqualiter illa utuntur, sed
unus studiosius in ea proficit, alius per negligentiam gratiæ Dei deest (S. Thom., 3, q. 69, art. 9 ad
2, et q. 62 art. 2).
Asc,9006a:620
Numquid non potuit (Pharao) sicut flagellis cedens expulit populum, ita miraculis credens, Deum
tantæ virtutis agnoscere? (De Præd. et Grat., XIV). – Ambo homines, ambo Reges (Pharao et
Nabuchodonosor), ambo captivum populum Dei possidebant, ambo flagellis clementer admoniti:
cur ergo medicamentum alii ad interitum, alii valuit ad salutem? Quid ergo fines eorum fecit esse
diversos? Nisi quod unus manum Dei sentiens in recordatione propriæ iniquitatis ingemuit; alter
libero contra Dei misericordissimam veritatem pugnavit arbitrio? (De Præd. et Grat., XV).
Asc,9006a:621
S. Francesco di Sales, Dell'Amor di Dio, lib. 2, X.
Asc,9006a:622
Sicut itaque non sibi adversantur hæc duo: ut tu præscientia tua noveris quod alius sua voluntate
facturus est, ita Deus neminem ad peccatum cogens, prævidet tamen eos, qui propria voluntate
peccabunt… sicut enim tu memoria tua non cogis facta esse, quæ præterierunt; sic Deus præscientia
sua non cogit facienda, quæ futura sunt (S. Aug., De libero arbitrio, lib. 3, IV).
Asc,9006a:623
Non dixeris: per Deum abest (Eccli. 15, 11).
Asc,9006a:624
Ipsi fuerunt rebelles lumini (Job 24, 13).
Asc,9006a:625
Qui fecit te sine te, non salvabit te sine te (S. Aug., Serm. 15, De Verb. Apost.).
Asc,9006a:626
Nonne hæc oportuit pati Christum, et ita intrare in gloriam suam? (Luc. 24, 26).
Asc,9006a:627
Hoc ergo Dei donum suppliciter emereri potest (S. Aug., De dono perseverantiæ, VI).
Asc,9006a:628
Spiritus ubi vult spirat (Joan. 3, 8).
Asc,9006a:629
Desiderium pauperum exaudivit Dominus, præparationem cordis eorum audivit auris tua (Ps. 9, 38).
– Eritque antequam clament, ego exaudiam; adhuc illis loquentibus ego audiam (Is. 65, 24).
Asc,9006a:630
Pater misericordiarum, et Deus totius consolationis, qui consolatur, nos in omni tribulatione nostra
(2 Cor. 1, 3-4).
Asc,9006a:631
Gratia nulli deest, sed omnibus, quantum in se est, se communicat (S. Thom., In Epist. ad Hebr., lib.
3, XII).
Asc,9006a:632
Si vis ad vitam ingredi, serva mandata (Matth. 19, 17).
Asc,9006a:633
Non sunt condignæ passiones hujus temporis ad futuram gloriam, quæ revelabitur in nobis (Rom. 8,
18).
Asc,9006a:634
Momentaneum, et leve tribulationis nostræ… æternum gloriæ pondus operatur in nobis (2 Cor. 4,
17).
Asc,9006a:635
Qui desperantes, semetipsos tradiderunt impudicitiæ in operationem immunditiæ omnis (Eph. 4,
19).
Asc,9006a:636
Gaudete cum lætitia qui in tristitia fuistis, ut exultetis et satiemini ad uberibus consolationis vestræ
(Dom. IV Quadrag., Introit ad Miss.).
Asc,9006a:637
Cor stultorum ubi lætitia (Eccle. 7, 5).
Asc,9006a:638
Cum dixerint pax et securitas, tunc repentinus eis superveniet interitus (1 Thess. 5, 3).
Asc,9006a:639
Lætamini in Domino (Ps. 31, 11).
Asc,9006a:640
Cognovi quod non esset melius, nisi lætari, et facere bene in vita sua (Eccle. 3, 12). – Fecisti nos
Domine ad te, et irrequietum est cor nostrum, donec requiescat in te (S. Aug., Confessionum lib. 1,
1).
Asc,9006a:641
Paraverunt sagittas suas in pharetra: ut sagittent in obscuro rectos corde (Ps. 10, 2).
Asc,9006a:642
Viam mandatorum tuorum cucurri, cum dilatasti cor meum (Ps. 118, 32).
Asc,9006a:643
Redde mihi lætitiam salutaris tui (Ps. 50, 14).
Asc,9006a:644
Dormitavit anima mea præ tædio (Ps. 118, 28).
Asc,9006a:645
Delectare in Domino, et dabit tibi petitiones cordis tui (Ps. 36, 4).
Asc,9006a:646
Current, et non laborabunt, ambulabunt, et non deficient (Ps. 40, 31).
Asc,9006a:647
Sine unctione crucis asperitatem ferre qui posset? (S. Bern., Dedic., Serm. 1).
Asc,9006a:648
Jucunditas cordis… thesaurus sine defectione sanctitatis (Eccli. 30, 23).
Asc,9006a:649
In mærore animi dejicitur spiritus (Prov. 15, 13). – Spiritus tristis exsiccat ossa (Prov. 18, 22). – A
tristitia festinat mors (Eccli. 38, 19). – Jucunditas cordis hæc est vita hominis (Eccli. 30, 23). – Cor
gaudens exhilarat faciem (Prov. 15, 13). – Animus gaudens ætatem floridam facit (Prov. 17, 22).
Asc,9006a:650
Jubilate Deo omnis terra servite Domino in lætitia. Introite in conspectu ejus in exultatione (Ps. 94,
1-2). – Gaudete… quod nomina vestra scripta sunt in Cælis (Luc. 10, 20).
Asc,9006a:651
Beati qui lugent; quoniam ipsi consolabuntur (Matth. 5, 5).
Asc,9006a:652
Cor sapientium ubi tristitia est (Eccle. 7, 5).
Asc,9006a:653
Cum jejunatis nolite fieri sicuti hypocritæ tristes (Matth. 6, 16).
Asc,9006a:654
Et exultate ei cum tremore (Ps. 2, 11).
Asc,9006a:655
Omnium iniquitatum ejus… non recordabor. Impietas impii non nocebit ei in quacumque die
conversus fuerit ab impietate sua (Ezech. 17, 22 et 33, 12).
Asc,9006a:656
Publicani et meretrices præcedent… in regnum Dei (Matth. 21, 31). – Gaudete et exultate, quoniam
merces vestra copiosa est in Cælis (Matth. 5, 12). – Reposita est mihi corona justitiæ (2 Tim. 4, 8).
– Si filii et hæredes (Rom. 8, 17).
Asc,9006a:657
Lætatus sum in his, quæ dicta sunt mihi, in domum Domini ibimus (Ps. 121, 1).
Asc,9006a:658
Heu mihi quia incolatus meus prolongatus est (Ps. 119, 5).
Asc,9006a:659
Quomodo cantabimus canticum Domini in terra aliena? (Ps. 136, 4).
Asc,9006a:660
Fuerunt mihi lacrimæ meæ panes die ac nocte: dum dicitur mihi quotidie: ubi est Deus tuus? (Ps.
41, 4).
Asc,9006a:661
Qui est homo qui vult vitam? (Ps. 33, 13). – Si vis ad vitam ingredi, serva mandata (Matth. 19, 17).
Asc,9006a:662
Deus impossibilia non jubet (Trid., sess. 6, De Justificatione, XI).
Asc,9006a:663
Mandata ejus gravia non sunt (1 Joan. 5, 3).
Asc,9006a:664
Servi autem facti Deo, habetis… finem vitam æternam (Rom. 6, 22).
Asc,9006a:665
Apprehende vitam æternam (1 Tim. 6, 12).
Asc,9006a:666
Venite benedicti Patris mei, possidete paratum vobis regnum a constitutione mundi (Matth. 25, 34).
Asc,9006a:667
Sic orabitis: Pater noster (Matth. 6, 9).
Asc,9006a:668
Videte qualem caritatem dedit nobis Pater, ut filii Dei nominemur, et simus (1 Joan. 3, 1). – Si filii,
et hæredes (Rom. 8, 17).
Asc,9006a:669
Delens quod adversus nos erat chirographum decreti… affigens illud cruci (Col. 2, 14).
Asc,9006a:670
Deus cujus misericordiæ non est numerus, et bonitatis infinitus est thesaurus (Orat. pro grat. act.).
Asc,9006a:671
Tibi dabo claves regni Cælorum. Quodcumque solveris super terram, erit solutum et in Cælis
(Matth. 16, 19).
Asc,9006a:672
Ut per Sacerdotum sententiam non semel, sed quoties ab admissis peccatis ad ipsum pænitentes
confugerint, possent liberari (Conc. Trid., sess. 14, De Pænitentia, II).
Asc,9006a:673
Reddam vobis annos, quos comedit locusta, bruchus, et rubigo, et eruca (Joel 2, 25).
Asc,9006a:674
Ego merces tua magna nimis (Gen. 15, 1). – Unusquisque propriam mercedem accipiet (1 Cor. 3,
8). – Violenti rapiunt illud (Regnum Cælorum) (Matth. 11, 12). – Quicumque potum dederit…
calicem aquæ frigidæ (Matth. 10, 42). – Sive ergo manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis:
omnia in gloriam Dei facite (1 Cor. 10, 31).
Asc,9006a:675
Qui potuit transgredi, et non est transgressus; facere mala, et non fecit: ideo stabilita sunt bona illius
in Domino (Eccli. 31, 10-11).
Asc,9006a:676
Omnis qui petit, accipit. – Omnia quæcumque petieritis in oratione credentes, accipietis (Matth. 7, 8
et 21, 22).
Asc,9006a:677
Patientiam habe in me, et omnia reddam tibi. Misertus autem Dominus servi illius… debitum
dimisit ei (Matth. 18, 26-27). – Omne debitum dimisi tibi (Ibid., v. 32).
Asc,9006a:678
Surge, tolle lectum tuum, et vade in domum tuam. Confide, fili, remittuntur tibi peccata tua (Matth.
9, 2. 6).
Asc,9006a:679
Fac me sicut unum de mercenariis tuis… date annulum in manu ejus (Luc. 15, 19. 22).
Asc,9006a:680
Domine, memento mei… Hodie mecum eris in Paradiso (Luc. 23, 42. 43).
Asc,9006a:681
Vado parare vobis locum (Joan. 14, 2). – Præcursor pro nobis introivit Jesus (Hebr. 6, 20). – Hodie
Paradisi possessores firmati sumus (S. Leo, Serm. 1, De Ascens. Domini).
Asc,9006a:682
Estis cives Sanctorum, et domestici Dei (Eph. 2, 19).
Asc,9006a:683
Magnus illic charorum numerus expectat, parentum, fratrum, filiorum, frequens et copiosa turba
desiderat (S. Greg. pr., De mortalitate).
Asc,9006a:684
Deus autem… convivificavit nos… et consedere fecit in cælestibus (Eph. 2, 4-5-6).
Asc,9006a:685
Ego merces tua magna nimis (Gen. 15, 1).
Asc,9006a:686
Futuræ gloriæ nobis pignus datur (Eccl., In Sisto Corp. Chr.).
Asc,9006a:687
Qui manducat meam carnem… habet vitam æternam (Joan. 6, 55).
Asc,9006a:688
Nisi manducaveritis carnem filii hominis… non habebitis vitam in vobis (Joan. 6, 54).
Asc,9006b:T
Parte seconda
Scioglimento delle difficoltà contro la confidenza in Dio
Asc,9006b:T
Prefazione
Quantunque i motivi per eccitarci a piena confidenza in Dio, di cui ragionammo nella prima parte di
questo compendio, siano più che sufficienti per rimuovere dai peccatori ogni ostacolo alla
conversione, ed accendere in ognuno la brama di arricchirsi di meriti, ciò non di meno perché nelle
sacre Scritture s'incontrano alcune sentenze di cui abusano gli eretici e gli increduli, ed anche
perché non bene comprese, servono talora a scoraggiare gli stessi fedeli; così a confondere i primi, a
rianimare i secondi, parve utile cosa e necessaria spiegarle nel loro vero senso, e da ostacolo che
pure ci sembrano, cangiarle in armi di speranza e di fiducia.
Qui dunque si propongono e si sciolgono le difficoltà degli increduli, e quelle ancora delle anime
affannate per soverchio timore e diffidenza. Dietro la scorta dei migliori Apologisti ed Interpreti si
esamina il significato di quei sacri testi; e si dimostra che non solo non devono essere intesi quale
vorrebbero gli increduli, i novatori e gli eretici, ma lungi dall'ispirare scoraggiamento e paura, sono
invece stimolo ed aiuto ad operare la nostra salute.
Asc,9006b:T1
Capo I. Se la Religione Cristiana ispiri terrore e scoraggiamento
Asc,9006b:T1,1,1
Prima difficoltà
Come mai si potrà servire Dio in pace e tranquillità, se la religione stessa con le replicate minacce
di eterno fuoco e tormenti riempie gli infelici suoi seguaci di terrore e spavento?
Perché una religione sia degna di Dio, deve essere secondo il cuore dell'uomo che la professa,
epperciò ispirargli amore e confidenza verso il Creatore; la qual cosa non fa la religione cristiana;
dunque non è vera, e non degna di Dio.
Asc,9006b:T1,1,2
La religione cristiana fondata sulla carità del suo divino autore che è infinita bontà per essenza,
ispira terrore e spavento, non ai suoi fedeli seguaci, ma a chi non la vuole professare, per vivere a
seconda delle passioni; e con le minacce procura di fare, per il loro bene, rientrare in se medesimi i
traviati, allontanandoli per tale modo dagli eterni mali.
Ora siccome nella civile società i malvagi minacciati dalle leggi hanno ragione di temere e tremare,
così devono paventare quegli ostinati, i quali portanto il nome di cristiano, lo disonorano con
professare massime irreligiose, o menano vita affatto contraria ai precetti ed insegnamenti della
cattolica religione; all'opposto come gli onesti cittadini non s'inquietano punto delle leggi penali,
anzi avrebbero da dolersene qualora non fossero applicate, poiché formano una delle principali basi
della tranquillità e sicurezza pubblica, così hanno tanto minore motivo di vivere oppressi da timore
quelli che vivono da buoni cristiani, sapendo al certissimo che il dannarsi non è giuoco di sorte, né
l'inferno è minacciato se non a chi lo vuole, trasgredendo gravemente la legge santa di Dio.
Dissi tanto minore motivo, perché se non si inquieta l'onesto cittadino di tali castighi, benché possa
accadere che anche un innocente calunniato sia punito quasi colpevole, così non deve inquietarsene
il cristiano, essendo impossibile che Iddio punisca l'innocente.
Anzi le minacce stesse degli eterni castighi devono rallegrare e non rattristire i buoni, mentre
servono a contenere i malvagi dalle ingiuste oppressioni e persecuzioni contro di loro; dirò di più,
hanno ogni ragione di vivere tranquilli affidati alla bontà di Dio, ai meriti di Gesù Cristo, ai soccorsi
della sua grazia ed alle infallibili consolanti promesse dell'eterno premio: di modo che i veri
cristiani che credono l'inferno, tremano assai meno degli increduli che affettano di non crederlo.
Perciò appunto tanto più è degna di Dio la cristiana religione, in quanto minaccia castighi per
contenere i malvagi dal mal vivere, e promette grandissimi premi per incoraggiare i buoni a ben
fare.
Asc,9006b:T1,2,1
Seconda difficoltà
Seconda difficoltà
Ma come potranno vivere tranquilli e contenti i cristiani se a tutti, senza eccezione, la religione
comanda di operare con timore e tremore la loro salute1? Anzi tanto meno è degna di un Dio
d'infinita sapienza e giustizia questa religione che comanda cose contrarie nello stesso tempo,
epperciò impossibili ad eseguirsi. Infatti vuole che lo servano nel timore e nell'allegrezza nello
stesso tempo2, come è chiaro dai testi della Scrittura.
Asc,9006b:T1,2,2
In primo luogo non esige Iddio cose contraddittorie, epperciò impossibili ad eseguirsi, perché il
timore che maggiormente desidera dai suoi fedeli è timore filiale, non contrario o nemico della
santa allegrezza.
Infatti venite, dice il reale Profeta, venite, o figli, ascoltateli; vi insegnerò a temere il Signore3.
Si osservi pertanto che li chiama figli, non servi: vuole dunque insegnare un timore che convenga ai
figli; timore che ci concilia benissimo con l'allegrezza, poiché li previene che con questo timore non
lasceranno di vivere giorni buoni e felici4.
Quindi insegna in che consista questo timore, cioè nel fuggire il male ed operare il bene5; in questa
maniera, continua Iddio per mezzo del suo Profeta, cercate la pace e andatele appresso, cioè
procurate di conservarla ad ogni costo e non ve la lasciate giammai turbare da alcuna diffidenza;
poiché io avrò sempre gli occhi sopra di voi attenti per custodirvi e le orecchie tese per ascoltare le
vostre suppliche, per liberarvi da tutte le vostre tribolazioni6, e vi starò sempre dappresso per
salvarvi, se con umiltà a me ricorrerete7: insomma io avrò cura di tutti i vostri ossi8, e riscatterò le
anime vostre, e non sarete mai delusi nella speranza che avrete riposta in me9.
Asc,9006b:T1,2,3
Le seguenti parole poi dell'apostolo Paolo a quelli di Filippi non ci devono recare pena di sorta,
quando siano intese in giusto senso. Laonde, dice egli, dilettissimi miei (siccome sempre siete stati
ubbidienti) non solo come quando io ero presente, ma molto più adesso nella mia assenza, con
timore e tremore operate la vostra salute. Imperocché Dio è che opera in voi il volere e il fare
secondo la buona volontà10.
Da queste parole, dice Bergier, ne risulta che l'Apostolo ben lungi dall'ispirare timore, pensa
piuttosto a consolare i suoi figli ed ispirare loro coraggio.
Infatti, attorniati da nemici accaniti nel perseguitarli, esposti a soffrire e combattere, privi della
presenza di Paolo che li avrebbe incoraggiati, erano compresi da timore e tremore; e perciò in così
difficili circostanze li esorta ad operare con umiltà e diffidenza di se medesimi la loro salute, perché
Iddio è quegli che opera in loro il volere ed il fare secondo la buona volontà, cioè per mezzo della
sua grazia.
Essendo così la cosa, non sarebbe secondo il buon senso l'interpretare che l'Apostolo esorti i
Filippesi a temere e tremare, perché Iddio dà loro la volontà e l'azione pro bona voluntate, cioè per
l'affezione che loro porta: egli pensa piuttosto a consolarli e animarli ad operare la loro salute con
umiltà e diffidenza di se stessi, affinché prendano le cautele necessarie per non cadere nei peccati,
rassicurandoli nello stesso tempo che Iddio dal canto suo, attesa la buona sua volontà, darà loro
forza e grazia per ben operare. E così pure, con i migliori apologisti, intende questo Monsignor
Antonio Martini.
Asc,9006b:T1,2,4
Lo stesso Concilio di Trento…
Lo stesso Concilio di Trento (sess. VI, c. 13) conferma questo senso, poiché accoppia insieme il
testo della prima lettera ai Corinti (capo 10, v. 12) – qui se existimat stare videat ne cadat – con
l'altro sopracitato – cum metu et tremore vestram salutem operamini – cioè, affinché essendo umili
e diffidando di noi medesimi, ci appigliamo con sollecitudine ai mezzi per non cadere, confidando
che, facendo quel poco che possiamo dal canto nostro, Iddio ci aiuterà sempre a perseverare nel
bene.
Cornelio a Lapide spiega pure questo timore per l'umiltà e diffidenza di noi medesimi, con la quale
dobbiamo operare perché il Signore ci continui le sue grazie, ed osserva che questo duodecimo
versetto è congiunto con gli antecedenti per mezzo dell'avverbio itaque, come se dicesse: vi ho
esortati (v. 2 e 3) alla fuga di ogni discordia e contesa con la pratica dell'umiltà, ubbidienza e buona
unione con l'esempio di Gesù Cristo, che si umiliò ed ubbidì sino a morire in croce (v. 5): ed ora
concludo esortandovi ad umiliarvi, acciocché siate pure esaltati con Lui, e ad ubbidire e operare la
vostra salute non con la superbia e con le contese, ma con umiltà e tremore.
Apporta quindi l'autorità di S. Agostino, il quale dice che “operando Dio in noi, dobbiamo dal canto
nostro essere umili per disporci a ricevere le sue grazie: né meravigliarci se resiste ai superbi e dà le
sue grazie agli umili, perché la grazia è come la pioggia, la quale riempie le valli e lascia arida la
sommità dei monti11”.
Non differente è la spiegazione che ne dà il dott. S. Anselmo12, ed il Padre Paolo Segneri dice che
“il timore e tremore ha da consistere nel tenerci umili, perché abbiamo bisogno della grazia di Dio
per operare: perché questo è al fine ciò che soprattutto vuole cavare dal nostro timore e tremore che
noi gli stiamo sempre intorno… questo ha da fare che lo invochiamo, che lo supplichiamo, e così
questo ha da fare al fine che ci salviamo fra le tempeste13”.
E questo senso concorda anche con quello della prima lettera ai Corinti (capo 2, v. 3), nella quale
per timore e tremore intende la diffidenza di noi stessi, e non la diffidenza del soccorso di Dio.
Asc,9006b:T1,2,5
S. Giovanni Crisostomo spiegando queste parole – cum timore et tremore – dice “non operate in
qualsivoglia modo, ma con diligenza e grande attenzione14”, anzi modera ancora questa grande
attenzione con la confidenza che inspira la ragione addotta dall'Apostolo nel seguente v. 13. “Non ti
atterrire per ciò che dissi con timore e tremore, imperciocché non l'ho già detto a fine che tu lasci di
sperare… ma bensì perché ti applichi e non ti rallenti, e quasi ti lasci venir meno. Se metterai questa
diligenza Dio farà tutto il restante, tu confida in Lui. Imperciocché Iddio è quegli che opera in noi”.
Si osservi inoltre che questo si trova nella stessa lettera in cui S. Paolo esorta i Filippesi
all'allegrezza spirituale, e loro dice: “State allegri sempre nel Signore: lo dico per la seconda volta,
state allegri15”. Come dunque potrebbe stare il timore e tremore sull'esito della loro eterna salute con
l'allegrezza, che nello stesso tempo raccomanda con tanto calore? Infatti subito soggiunge: “Non vi
affannate per niente: ma in ogni caso siano manifestate a Dio le vostre richieste per mezzo
dell'orazione e delle suppliche unite al rendimento di grazie: e la pace di Dio, la quale ogni
intendimento sormonta, sia guardia dei vostri cuori e delle vostre menti in Cristo Gesù16”.
Insomma vuole l'Apostolo che “operiamo la nostra salute con timore e tremore, cioè con una santa
ed umile sollecitudine di spirito, temendo sempre di noi stessi e diffidando delle proprie forze per
confidare in Dio”. Cioè con un santo timore filiale che ci ecciti bensì ad usare ogni cautela per non
digustare Iddio con il peccato, ma nello stesso tempo ci porti a mettere in Lui ogni nostra
confidenza, poiché lo chiama l'Apostolo non già il Dio del timore, sì il Dio della speranza, e
desidera che ci riempia non di timore, ma di ogni gaudio e di pace nel credere, ed abbondiamo di
speranza, perché gettando in Lui ogni nostra sollecitudine, Egli avrà cura di noi17.
Asc,9006b:T1,2,6
18
Circa poi quell'altro testo che dice servite a Dio nel timore , è da sapersi che il discorso è ivi
indirizzato in particolare ai re e giudici della terra19; e S. Gerolamo osserva che, sebbene loro abbia
voluto Iddio mettere timore, affinché non si insuperbissero per averli nominati re, non lasciò
tuttavia di confortarli subito, invitandoli a rallegrarsi nello stesso timore che loro inculca20.
Dicono pure Menochio nei suoi commentari, ed il dottor della Chiesa S. Alfonso de Liguori nella
sua traduzione dei Salmi, che secondo il Testo ebraico questo timore significa pietà, ossia il timore
filiale, con cui i re ed i giudici devono servire Dio; onde il Beato così traduce questi due versetti:
“Voi dunque re che giudicate sulla terra, intendete il vostro dovere ed instruitevi a bene esercitarlo.
Servite al Signore con timore di figli e con allegrezza”.
Ora se già desiderava che gli ebrei, i quali avevano ricevuto la legge del timore, avessero idee di lui
come di un Dio tutto bontà, e lo temessero bensì, ma con timore filiale, che non esclude la vera
allegrezza dello spirito come loro lo fece intendere in mille luoghi, raccomandando di servirlo in
santa allegrezza21, quanto più bramerà che lo temiamo da figli, noi ai quali, come dice l'Apostolo,
non ha dato lo spirito di timidezza, ma di fortezza e dilezione22; noi che, secondo S. Anselmo, non
abbiamo ricevuto come i giudei lo spirito di servitù per temerlo quali servi, sì lo spirito di amore e
di grazia come figliuoli di adozione, mercè cui con il più grande affetto chiamiamo Iddio con il
dolce nome di Padre23.
Asc,9006b:T2
Capo II. Se si possa avere morale sicurezza di essere in grazia di Dio e
perdonati dei peccati
Asc,9006b:T2,1,1
Prima difficoltà
Una religione che sia divina deve ispirare la pace nel cuore; la cristiana all'opposto la toglie con il
proporre che fa l'eternità delle pene per chi muore in disgrazia di Dio, e nello stesso tempo fa vivere
i suoi seguaci in continua incertezza del loro stato attuale di coscienza, poiché insegna che per
quanto ognuno si adoperi a ben osservare la legge di Dio, mai non sa se sia degno di amore o di
odio24. Potendosi pertanto morire ad ogni istante, per poco che si apprenda l'eternità di quelle pene,
non è possibile vivere senza grande spavento di morire in peccato mortale e dannarci.
Asc,9006b:T2,1,2
Risponde Bergier25, appoggiato all'Ecclesiaste medesimo, che questa incertezza si intende del tempo
delle afflizioni, cioè che allorquando il Signore ci affligge, noi non sappiamo se sia per castigo dei
peccati o per purificarci; così pure quando ci prospera, ignoriamo se sia una ricompensa oppure un
mezzo datoci da Dio per allettarci e tirarci al bene; infatti non sappiamo, dice l'Ecclesiaste, se siamo
degni di amore o di odio, tutto rimane nell'incertezza sino al tempo avvenire; e per quale motivo?
Eccolo: perocché (in quanto agli avvenimenti temporali) tutto succede del pari al giusto ed
all'empio26.
Ma quand'anche non si voglia intendere tale testo nel senso sovra esposto, non ne segue tuttavia che
il Signore ci lasci in una incertezza tale da toglierci la pace del cuore, e farci vivere in continuo
spavento e terrore, poiché la Chiesa interprete fedele del vero senso della S. Scrittura, condannando
nel Concilio di Trento e riprovando gli eretici (i quali perché non volevano ammettere il
Sacramento della penitenza, asserivano che per essere giustificati basta il crederlo di fede divina),
spiegò questo testo, e definì bensì che non possiamo sapere con certezza di fede divina se siamo in
grazia o disgrazia di Dio27; ma nello stesso tempo non condanna, né esclude quella morale certezza
che deve bastare per assicurarci e toglierci ogni ragionevole ansietà riguardo all'essere o non essere
nella sua grazia.
Anzi non solo non condanna, né esclude questa morale sicurezza, ma la riconosce e l'approva,
mentre ci propone nell'Ufficio divino la lezione di S. Gregorio Papa sull'Omelia 13a del Vangelo di
S. Luca Sint lumbi vestri præcincti, ove dice che colui il quale è assicurato dalla sua speranza in
Dio, unita al testimonio della propria coscienza circa le sue buone azioni, muore volentieri, e si
presenta con allegrezza innanzi al Giudice per riceverne la ricompensa28.
Di più questa morale certezza è così necessaria che senza di essa nessuno si potrebbe accostare alla
sacra mensa, perché conviene avere motivo fondato di essere in grazia di Dio per poterci accostare,
come dice l'apostolo S. Paolo29.
Asc,9006b:T2,2,1
Seconda difficoltà
Seconda difficoltà
Ma appunto, diranno altri, per questa incertezza, quante volte lasciamo la S. Comunione; poiché chi
potrà mai essere sicuro di non avere commesso alcun peccato mortale, o avendolo commesso, che ci
potrà assicurare del perdono?
Asc,9006b:T2,2,2
Nel primo caso si risponde che la pratica della Chiesa, dei direttori delle coscienze e dei fedeli,
ammette chiaramente questa sicurezza morale. Ed infatti qualora non si potesse avere fondato
motivo di non essere rei di peccato grave, epperciò di essere in grazia di Dio, come potrebbe la
Chiesa imporre ai fedeli la Comunione pasquale? Come potrebbero i direttori delle coscienze
esortare, e tavolta, a certe anime timide e scrupolose comandare di accostarsi alla Comunione?
Insomma i fedeli stessi non potrebbero essere obbligati ad obbedire, se facendo con l'aiuto del
Signore dal canto loro quanto devono, tuttavia non potessero mai essere moralmente sicuri di essere
in grazia di Dio.
La Chiesa pertanto che proibisce a chiunque si conosce reo di peccato grave l'accostarsi alla sacra
mensa30, e nello stesso tempo comanda di accostarsi alla Pasqua, si rapporta alla morale certezza
della coscienza di ciascuno, perché come dice S. Giovanni, se la coscienza non ci rimorde di grave
peccato, possiamo essere tranquilli e confidare in Dio di essere in grazia sua31.
Così pure spiega il testo di S. Giovanni Monsignor A. Martini “Se la coscienza non ci condanna,
abbiamo fiducia innanzi a Dio”; ed il Padre Segneri spiegando il versetto 9 del Salmo: Auditui meo
dabis gaudium et lætitiam, dice pure che “questo gaudio procede dal giudizio prudente che noi
formiamo di stare in grazia di Dio, quando la coscienza non ci rimorde di nulla”, e porta in prova il
sopraccitato testo di S. Giovanni.
Asc,9006b:T2,2,3
Nel caso poi che la coscienza ci rimorda di peccato mortale, o ce ne siamo ben confessati oppure
no; se ce ne siamo ben confessati e ne abbiamo ricevuto l'assoluzione, siamo moralmente certi di
averne ottenuto il perdono in virtù della facoltà data ai suoi Ministri da Gesù Cristo che disse loro:
Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete32. Se poi la coscienza ci rimorde di colpa grave, e non
ce ne siamo ancora ben confessati, non abbiamo noi nella confessione un mezzo pronto ed efficace
per riconciliarci con Dio? Preghiamone il Signore, anzi con il suo aiuto eccitiamoci ad un vero
dolore di contrizione perfetta, risolviamo di confessarcene quanto prima, e già possiamo essere
moralmente sicuri del perdono anche prima di confessarcene, giusto l'insegnamento universale della
Chiesa espresso nei Catechismi in seguito alla decisione del Concilio di Trento, cioè che la
contrizione perfetta giustifica immantinente il peccatore anche prima della confessione
sacramentale33.
Asc,9006b:T2,3,1
Terza difficoltà
Terza difficoltà
E chi avanti tutto ci assicura di esserci ben confessati, e che invece di avere ottenuto il perdono, non
abbiamo anzi commesso un orribile sacrilegio?
Asc,9006b:T2,3,2
Noi possiamo essere tanto sicuri di esserci confessati bene, quanto di avere peccato. Infatti chi ci
accusa e convince di avere peccato? La nostra coscienza certamente, la quale ci dice che abbiamo
trasgredito con perfetta avvertenza e pieno consenso quel tale precetto di Dio o della Chiesa in
materia grave: ora la medesima coscienza parimenti ci può assicurare di essercene ben confessati. E
che ne sia il vero, S. Paolo dice che la sua coscienza lo assicura di essersi diportato specialmente
presso quelli di Corinto con ogni semplicità e sincerità di cuore innanzi a Dio34; ed agli ebrei dice
che preghino per lui, non reputandosene indegno, poiché la sua buona coscienza lo assicura35 che
non è, come alcuni lo volevano far credere, un apostata dalla legge, né un ipocrita, ma che ha
predicato con sincerità la parola di Dio.
E questo medesimo testimonio della coscienza è quello che unicamente suggerisce S. Paolo ai fedeli
di esaminare prima di accostarsi alla Santa Comunione, come già osservammo. Questa prova che
esige l'Apostolo, non è altro che l'interrogare sinceramente la nostra coscienza se ci rimorde o no di
peccato grave commesso e non ben confessato36.
Asc,9006b:T2,3,3
Tra i Padri poi S. Basilio ne assicura che “se in noi sentiamo odio al peccato, possiamo essere
persuasi di averne ottenuto da Dio il perdono37”.
S. Agostino dice: “Pensa pure (o Secondino) di me come ti piace, nulla mi importa, purché non mi
accusi la propria coscienza innanzi a Dio”; ed altrove “vi è un certo modo, o mezzo di conoscere
per via della coscienza, se la nostra fede sia sincera, ferma la nostra speranza, senza finzione la
nostra carità38”.
S. Isidoro dice che “La coscienza è monda, quando non ci accusa giustamente dei peccati passati, e
non si compiace iniquamente degli attuali39”.
E si osservi, che dice juste accusatur, acciocché non facciamo caso degli scrupoli, perché il rimorso
deve essere fondato per farci reputare di essere in peccato mortale.
E quantunque il Sacro Concilio di Trento asserisca che, siccome nessun fedele deve dubitare della
divina misericordia, dei meriti di Gesù Cristo, dell'efficacia e valore dei Sacramenti, così ciascuno
esaminando se stesso e la propria debolezza, può temere circa l'essere in grazia di Dio, perché non
ne ha certezza di fede divina. E qui è da osservarsi che il Concilio dice bensì, che non si deve
dubitare della misericordia di Dio; ma in quanto all'essere in grazia sua, non dice si deve, ma solo si
può temere; e ciò per la ragione che ne adduce, cioè perché non se ne ha certezza di fede divina40.
Onde l'esimio Suarez arriva ad affermare che si può avere tanta certezza che regolarmente e
moralmente escluda l'attuale timore; anzi, poter un giusto giungere ad essere altrettanto certo della
remissione dei peccati attuali nella confessione, quanto della remissione del peccato originale nel
battesimo41.
Asc,9006b:T2,3,4
E sebbene alcuna volta siamo angustiati per la incertezza in cui ci troviamo, di avere avvertito o no,
acconsentito o no a quel cattivo pensiero, tuttavia non ne consegue che possiamo anche essere
incerti sulle disposizioni necessarie per la buona confessione; perché riguardo a queste disposizioni
la coscienza non ne dubita fondatamente, mentre ciascuno di noi sa di aver compiuto gli atti
necessari a questo fine con piena deliberazione, sollecitudine e premura di farli bene, cioè a bella
posta, e talora anche replicati per timore di non averli fatti con tutto quel fervore che si sarebbe
desiderato, oltre la previa orazione a Dio per ottenere grazia di farli a dovere, di modo che non vi
può essere incertezza sull'avvertenza e consenso di questi atti esercitati per confessarsi bene.
La coscienza all'opposto ci accusa chiaramente di sacrilegio, quando ci fossimo accostati soltanto
per rispetto umano, e con volontà di continuare in quelle occasioni volontarie di peccato, o in quegli
abiti cattivi, o con volontà di non restituire, potendolo, la roba altrui, o di non perdonare ai nemici e
simili cattive disposizioni, le quali essendo avvertite e volontarie, non si possono ignorare dalla
coscienza, la quale ci accusa ed avverte, se le si faccia attenzione, quando vi è stata o no una
notabile negligenza avvertita nell'esame o nel dolore, onde la confessione sia sacrilega, o per
mancanza di dolore senza avvertenza sia nulla.
Asc,9006b:T2,4,1
Quarta difficoltà
Quarta difficoltà
Se la coscienza ci potesse assicurare di essere in grazia di Dio, come avrebbe potuto dire S. Paolo
che sebbene la coscienza non lo rimproverasse di alcun peccato, tuttavia non si credeva per questo
giustificato42?
Asc,9006b:T2,4,2
Non negava già S. Paolo di essere giustificato, ma soltanto diceva di non appoggiare la sua giustizia
su questo solo motivo che non si sentiva rimproverare dalla coscienza, perché non il testimonio
della coscienza, ma la grazia forma la nostra giustificazione; onde non disse semplicemente sed non
justificatus sum, ma in hoc: e perciò non esclude S. Paolo con questo la morale certezza, come non
la esclude l'altro dell'Ecclesiaste, ma soltanto la certezza di fede divina cum nullus scire valeat
certitudine fidei, cui non potest subesse falsum, come abbiamo osservato, e lo prova diffusamente il
Padre Suarez chiamato dottore esimio da Benedetto XIV43.
Concorda pure con esso Monsignor Martini: “Imperciocché” così spiega egli le parole dell'Apostolo
nella nota al v. 3 e 4 “quantunque di alcuna cosa non mi riprenda la mia coscienza, non per questo
io ho una infallibile certezza di essere giusto”.
Finalmente il testo di S. Paolo preso in quel senso contraddirebbe quello di S. Giovanni, in cui ci
dice di confidare in Dio di averne ottenuto il perdono44.
Asc,9006b:T2,5,1
Quinta difficoltà
Quinta difficoltà
Si legge in tanti libri ascetici che cade il giusto sette volte il giorno45. Il santo re Davide tutto
tremante esclamava (come interpreta S. Agostino citato da Monsignor Martini nelle sue
annotazioni): Chi è che conosca gli errori? Ah mondami, o Signore, dai peccati che io non conosco,
e perdonami quelli dei quali avrò agli altri data occasione di commettere46! Ora se sì sovente cade
il giusto, e cotanto temeva per i peccati occulti un sì santo re e profeta, quanto più abbiamo ragione
di temere di essere in disgrazia di Dio noi che ne commettiamo tanti, e perciò tanto più facilmente
possiamo avere qualche grave peccato occulto, o di scandalo non conosciuto o non abbastanza
riparato?
Asc,9006b:T2,5,2
In primo luogo si risponde con Cornelio a Lapide che sebbene in Cassiano, ed in alcuni
manoscritti47 si legga come sopra septies in die cadit justus, tuttavia la parola in die non si trova nel
testo ebraico, né in quello dei Settanta, come neppure nella Vulgata, alla quale dobbiamo attenerci,
ed il testo è: “Sette volte cadrà il giusto e risorgerà: ma gli empi precipitano nel male48”.
In secondo luogo si risponde che questa caduta del giusto da alcuni viene interpretata per il cadere
in molte tribolazioni, dalle quali il Signore lo libera49, ed altri lo spiegano per il cadere in peccato
veniale, cioè Menochio, Tirino, Monsignor Martini, come pure il citato Cornelio a Lapide: questi
apporta fra molti altri l'autorità di S. Agostino, il quale dice che “Il numero di sette sovente volte
viene posto per significare un numero indeterminato; come sta scritto, sette volte cadrà il giusto e
risorgerà; ogni qualvolta cadrà non perirà; il che si deve intendere non dei peccati gravi, ma delle
tribolazioni che ci portano all'umiltà50”, nelle quali possono comprendersi anche le colpe veniali, le
quali procurandoci l'umiltà, ci possono essere occasione di bene; all'incontro gli empi corruent in
malum, perché vanno di precipizio in precipizio.
Anzi facciamoci cuore, ed usiamo tutta la diligenza per parte nostra per schivare qualunque peccato
veniale pienamente deliberato, e ci sarà possibile con la grazia di Dio, come dice S. Giovanni
Crisostomo, il vivere quaggiù in terra quasi già fossimo in Cielo, cioè con perfezione51.
Asc,9006b:T2,5,3
In quanto poi ai peccati occulti, si intende dei mortali (poiché i veniali non ci privano della grazia di
Dio), ed a chi mena una vita da buon cristiano con frequenza dei Sacramenti, non è così facile il
commetterli con pieno consenso (e conseguentemente con perfetta avvertenza, perché se, giusto il
principio della filosofia nil volitum quin præcognitum, tutti i teologi ammettono che per essere
peccato mortale, oltre la materia grave, è necessario che l'atto peccaminoso sia pienamente
volontario, ne viene per necessaria conseguenza anche la perfetta avvertenza), non è così facile il
commetterli e dimenticarli, perché il peccato gli sta sempre davanti, e lo punge continuamente,
come confessa di se stesso Davide52.
A chi poi avesse anche menata una vita dissoluta, e quindi convertitosi al Signore ed usata la debita
diligenza nell'esame, ne avesse dimenticati alcuni nella confessione, è certo che tutti gli sono
perdonati, anche quelli dimenticati ed occulti, sebbene sia obbligato a confessarli, qualora venga a
ricordarsene.
Riguardo finalmente agli scandali dati, quando vi abbiamo riparato, o siamo di cuore risoluti di
ripararvi per quanto è possibile, con l'eseguire ciò che a questo fine ci fu dal Confessore imposto, e
di più con il dare buon esempio con una condotta da buoni cristiani, possiamo essere tranquilli di
esserne perdonati, e non ci rimane altro che pregare il Signore di supplire Lui a quanto non è dato a
noi di riparare, con l'illuminare e convertire quelli, ai quali avessimo dato qualche occasione di
peccato. Così insegnano tutti i teologi.
Si osservi di più che il testo ebraico secondo Monsignor Martini significa tienimi lontano dalle
superbie, e la Vulgata si potrebbe spiegare: tienimi lontano dagli uomini infedeli, stranieri o di altra
religione.
Asc,9006b:T2,6,1
Sesta difficoltà
Sesta difficoltà
Come mai potrà essere certo di essere ritornato in grazia di Dio chi ebbe la disgrazia di peccare
mortalmente, se quand'anche abbia preso i mezzi che la cristiana religione suggerisce e prescrive,
ed abbia fatto tutto il possibile per ottenerne il perdono, questa stessa religione insegna che ciò
nonostante nessuno potrà mai essere certo di averlo ottenuto? Infatti l'Ecclesiastico ci avverte di
non essere senza timore del peccato rimesso53: e sarà possibile trovare quiete in una tale religione, e
potrà ella perciò essere divina?
Asc,9006b:T2,6,2
È bene premettere, che quantunque in alcuni manoscritti si legga de propitiatu peccati, tuttavia
secondo la Vulgata, la quale ha de propitiato peccato, si intende secondo alcuni nel testo riferito il
timore riguardo alla incertezza del perdono del passato, o secondo altri riguardo all'incertezza del
perdono in avvenire.
In quanto al primo senso è vero che non possiamo avere certezza di fede che ci siano stati rimessi i
peccati, perché non abbiamo alcuna rivelazione divina di aver fatto quanto dovevamo per otternerne
il perdono, tuttavia come l'abbiamo già osservato, possiamo averne tutta la certezza morale, quando
la coscienza non ci riprende di avere omessa alcuna delle condizioni necessarie per fare una buona
confessione, o di non aver avuto un vero dolore di contrizione con il desiderio della confessione.
Giova però osservare, che sarebbe contraddittorio il senso del timore sull'incertezza del perdono
riguardo al passato; poiché dicendoci di non essere senza timore del peccato perdonato, de
propitiato peccato, si suppone dunque che sia già perdonato, ed allora sarebbe lo stesso dire: ho
perdonato il tuo peccato, ma temi che non te l'abbia perdonato; espressione quale ognuno vede,
contraddittoria: al più dunque se si vuole intendere del passato, questo timore potrebbe riguardare
l'incertezza non della remissione della colpa, ma dell'intera remissione della pena temporale alla
colpa dovuta, come se volesse animarci a farne qui la condegna penitenza, acciocché non abbiamo
poi da scontarla nel purgatorio, come fra gli altri spiegano Cornelio a Lapide e Monsignor Martini.
Può ancora intendersi che voglia Iddio inculcarci il timore di ricadere nei peccati di prima, attesa la
debolezza ed inclinazione maggiore al peccato contratta con le cadute antecedenti, come è più facile
il ricadere nella malattia a chi è di fresco guarito; epperciò dica il Signore come direbbe un medico
al suo convalescente: non fidatevi, come quando eravate sano, di nutrirvi con quei tali cibi,
guardatevi dall'aria umida, dalle troppo serie occupazioni e simili, poiché attesa la debolezza
lasciatavi dalla malattia, potreste facilmente ricadere.
Asc,9006b:T2,6,3
Il senso letterale però, come si raccoglie da tutto il contesto, pare quello che riferisce questo timore
ai peccati a venire, quasi dica54: o peccatore, quantunque Iddio per sua bontà non ti abbia altre volte
castigato, temi tuttavia, e guardati dall'abusarne aggiungendo peccati a peccati; né affidato alla
grandezza della sua misericordia, falle villania dicendo: la bontà di Dio è grande, Egli avrà
misericordia dei molti peccati miei; poiché quanto è stato facile a perdonarti il passato, altrettanto
può essere che nuovamente peccando ti venga improvviso il castigo da Dio, giustamente offeso per
l'abuso che fai della sua misericordia55.
Onde chi è risolto a piangere, detestare e lasciare il peccato, ha tutto il fondamento di sperare di
ottenere il perdono delle sue colpe; ma chi ostinato volesse abusare della misericordia di Dio per
maggiormente offenderlo in avvenire sulla fiducia della misericordia usatagli per il passato, costui
ha tutto il motivo di temere i più gravi castighi; e deve riflettere che sebbene Iddio abbia promesso
il perdono, sempre che pentito il peccatore glielo chiede, non ha poi promesso di sempre accordare
il tempo al peccatore per pentirsi, di modo che può essere colto dalla morte in peccato ed andarsene
perduto per la sua temeraria fidanza.
Asc,9006b:T2,7,1
Settima difficoltà
Settima difficoltà
Ma se la religione mentre obbliga tutti quelli che la professano a sperare sino all'ultimo respiro il
perdono dei loro peccati, ed usare ogni mezzo necessario per convertirsi, dice pure che oltrepassato
quel numero di peccati che è fissato a ciascuno, resta vano ogni sforzo per ritornare a Dio, chi potrà
assicurarsi di non averlo oltrepassato? Non viene forse in tale modo distrutto ogni fondamento di
quella ferma speranza che ci viene per altro comandata sotto pena di dannazione eterna? Come
dunque potrà essere divina una religione così contraddittoria e desolante nei suoi insegnamenti?
Eppure tale è la protesta fatta da Dio ai damasceni, cioè che dopo le tre scellerataggini di Damasco,
e dopo le quattro non l'avrebbe richiamata a ravvedimento56.
Asc,9006b:T2,7,2
La Chiesa cattolica non ha mai insegnato che Iddio abbandoni in vita sua il peccatore, di modo che
lo privi degli aiuti necessari per la sua conversione, né voglia più perdonargli: poiché certamente
non contraddice alle promesse da sé tante volte ripetute di non solo perdonare, ma accordare un
perdono perfetto, dice S. Agostino57, anzi volere di più porre in dimenticanza tutte le iniquità di lui,
qualora pentito gliene chieda il perdono58. Né Iddio è di tale carattere che si burli della sua creatura,
come farebbe in tale caso, se le comandasse l'impossibile, protestandoci che non vuole la morte del
peccatore, ma che si converta e viva59, ed intanto lo abbandonasse a se stesso che è incapace del
minimo bene per la vita eterna60.
Siccome pertanto sarebbe grave calunnia contro la Chiesa il dire che ella ci possa dare nel suo
insegnamento una idea così falsa ed ingiuriosa di Dio, perciò osserviamo come viene spiegato dai
Sacri Espositori e dai Ss. Padri il testo soprannunciato.
Asc,9006b:T2,7,3
Tirino così lo spiega: a cagione della moltitudine delle iniquità, e massimamente a cagione del
quarto peccato più enorme di tutti, non lo perdonerò più; cioè non revocherò il decreto da me fatto
contro di lui del castigo, del supplizio, dell'eccidio e della morte61. E cita ancora il Caldeo, S.
Gerolamo, Alberto Magno, Ugone, Pagnino, Sanchez e Cornelio a Lapide, i quali dicono quasi lo
stesso, cui si aggiunge Monsignor Martini.
Il Testo arabico Antiocheno citato da Cornelio a Lapide, dice: “non lo ricondurrò più nella propria
terra62” e Sanchez da lui citato dice: “non lo libererò dalla morte, con la quale ho stabilito di
punirlo63”. Insomma quasi tutti concordano nello spiegare questo testo per una protesta che fa Iddio
di non voler revocare la pena temporale, con la quale aveva decretato di punire il popolo di
Damasco per le innumerabili sue iniquità antecedenti (come dice Teodoreto citato dal suddetto
Cornelio a Lapide, e così dicono pure il Menochio e Monsig. Martini), e massime per l'iniquità
enormissima commessa contro gli Israeliti da essi con tanta crudeltà uccisi64.
Asc,9006b:T2,7,4
Anzi S. Gerolamo citato da Cornelio a Lapide dice: ho aspettato lungo tempo i Damasceni perché
facessero penitenza, ed appunto non li volli punire mentre mi offendevano, acciocché
convertendosi, finalmente riacquistassero la mia grazia; ma poiché invece di convertirsi, tornano la
terza e la quarta volta alle stesse loro iniquità, sono costretto a regolarmi diversamente, e correggerli
con le tribolazioni e castighi65.
Iddio ha pazienza lungamente, dice S. Gregorio, ma quando vede che il peccatore invece di
approfittarsi del tempo e delle grazie che gli accorda, se ne abusa e sempre più si ostina nel peccato,
allora lo toglie improvvisamente dal mondo con la morte66. S. Agostino è pure di sentimento che
quando è compiuto il numero dei peccati, Iddio manda la morte: è cosa ragionevole il credere, dice
egli, che ciascun peccatore viene tollerato dalla pazienza divina sino a tanto che non ha compìto il
numero prefisso dei suoi peccati; quando è compìto, subito Iddio lo castiga con la morte67, e così
esalata l'anima68 non ha più perdono.
Il dottore S. Alfonso de Liguori (Serm. 15, per la prima Domenica di Quaresima sul numero dei
peccati) portando l'esempio di Baldassarre finisce con esclamare: “Oh a quanti miseri avviene lo
stesso, che seguitando essi ad offendere Dio, quando i loro peccati giungono ad un certo numero,
sono colti dalla morte e mandati all'inferno69!”
Asc,9006b:T2,7,5
E sebbene sia terribile il castigo di essere colto dalla morte in peccato, tuttavia dice S. Ambrogio,
sarebbe più terribile castigo per lui l'essere lasciato in vita; perché è cosa più dannosa al peccatore il
vivere in peccato, cioè continuando a peccare, che il morire