Luglio 2005 - Associazione Michael
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Luglio 2005 - Associazione Michael
M icHaeL IV, N. 1 Luglio 2005 Anno Bollettino dell’Associazione M i cH a eL per la Pedagogia terapeutica O.N.L.U.S VIA G. A PRATO, 11 - 38100 TRENTO - TEL./FAX 0461.921864 [email protected] - www.associazione-michael.org. Direttore responsabile: Cinzia De Salvia - Progetto grafico: MOOD di Federica Buoncristiani Autorizzazione del Tribunale di Trento n. 1131 del 19 aprile 2002 w w w.associazione-michael.org Evviva! Da fine maggio l’Associazione ha il suo SITO ! Dopo un primo tentativo, l’anno scorso, non risoltosi positivamente, ora siamo arrivati in porto, anzi… siamo in rete. Le informazioni sul lavoro di pedagogia terapeutica svolto all’interno della Michael possono essere reperite su www.associazione-michael.org un nuovo spazio per far conoscere l’attività e i percorsi individualizzati per bambini e ragazzi in difficoltà e le loro famiglie, per un rapido scambio di posta ed informazioni ecc. Tale iniziativa è stata proposta e seguita con determinazione e competenza da un genitore, (Grazie, Marco!! Grazie) che ha vinto tutte le nostre perplessità, titubanze e che ci ha aiutate, con enorme pazienza, a superare ritrosie e difficoltà con la tecnologia, ci ha sostenute e sponsorizzate… Grazie a Roberto per la creatività, il buon gusto e la professionalità con le quali ha immesso l’immagine dell’attività dell’Associazione in questo mondo, per noi così vasto ed enigmatico. Ora non ci resta che… navigare! Andreina, Elena, Pia 1 Sottovoce “ “Sai, mamma, per essere professori, ci vuole amore!” “Ah, sì? Rispondo sorpresa a mio figlio, che coglie spesso i momenti per me più assurdi per fare le sue considerazioni. Forse è la mia saggezza di adulto che vorrebbe tutto organizzato in una bella tavola rotonda familiare? “Ci siamo” mi sono detta. “Adesso cosa vuole dirmi ed io cosa devo rispondere? Calma! Non voler essere sempre all’altezza, ascolta il cuore”. Lungo momento di silenzio. “E tu l’hai sentito nei tuoi professori?” chiedo. Diciannove anni, alle spalle un percorso scolastico non certo brillante, che ha lasciato il segno nonostante le tipiche spavalderie giovanili. Mi guarda serio; traspare dal volto ancora adolescenziale una tristezza, che addolcisce i suoi grandi occhi azzurri. “Nella prof. di latino, nel biennio e … in quello d’inglese…..” Lungo momento di silenzio. “Non saprei dirti quando ho iniziato a scendere la china…forse ho sempre avuto poca voglia di studiare….. “E alle elementari?” chiedo. “Alle elementari, i tuoi insegnanti avevano amore?” Sorride sornione. “Ero piccolo, allora. Ma, mi ricordo il maestro di musica…Lui insegnava con amore!” Silenzio. Da parte sua e da parte mia. Che strano - penso – persone così diverse…. Alcuni giorni dopo mi torna alla mente ciò che lessi in un articolo: “Di che cosa ha urgentemente bisogno la gioventù”. “L’umanità fa sempre più fatica ad “essere” in quello che fa, ad amare quello che fa e tale fenomeno si allargherà sempre più. I giovani, la futura umanità, hanno urgente bisogno di uomini liberi, ricolmi di spirito, che siano loro d’esempio attraverso un agire morale. Uomini dipendenti, non in grado di essere se stessi oppure individui che vivono di luoghi comuni, sono, come esempio per i giovani, dannosi.” Questo vale per tutti, mi sono detta, forse soprattutto per i genitori nel loro compito di educatori. Un grazie a mio figlio per avermelo ricordato! ” P.W. 2 ? che si fa piccoli tagli con un temperino. Li ascolto tutti, una parola e magari un sorriso per tutti, una battuta se è il caso. Un segno d’affetto, dato e ricevuto. Fuori orario parlo individualmente con loro, ricevo genitori, alcuni presenti e lucidi, altri disperati. Poi bisogna tamponare le falle del gruppo docente: la mia non è una statistica, ma qua ogni due colleghi sufficientemente a posto con la testa ce n’è almeno un altro, se non due, che ha vari problemi, dalla depressione alle difficoltà di relazione. Per non parlare del senso di impotenza dilagante, assoluto, incolmabile. Piccoli lavori di cucitura sottile, per stringere un’alba di relazione con ragazzi già nauseati dagli adulti, per aiutarli a fidarsi, almeno un po’, ricominciare, decidere di crescere. E dopo tutto questo sforzo per tenere a scuola i più difficili, arriva immancabile la collega o il preside con la fatidica frase “questa non è la scuola dell’obbligo, se non avete voglia andatevene!”. Riprendi la vittima in corridoio, scoraggiato, già pensa di non metterci più piede qui. Ci riprovi, ancora una volta. Poi guardo meglio queste colleghe: stanche, deluse, sfibrate; quei ragazzi scavano senza pietà nelle loro (nostre) adolescenze mancate, nelle menopause precoci, nei vuoti esistenziali lasciandoli (lasciandoci) senza vita. Eppure quando arrivo a sera dopo riunioni senza fine, quando vedo gli occhi dei genitori cercarmi e dirmi “parlo con lei perché è l’unico umano qui dentro”, sento che tutta questa fatica forse serve a qualcosa. Ma non so fino a che punto. Questi ragazzi e ragazze che cerco di seguire sono preziosi e così delicati… scuola-scuola o scuola di VITA 1 RISPONDE UMBERTO GALIMBERTI Che ci faccio in cattedra? Bisogna conoscere e soffrire la distanza tra le domande segrete che gli studenti comprimono nel loro cuore e la risposta che la scuola dà ai percorsi a rischio di troppi studenti. Sono un docente di un istituto professionale, un docente “speciale” poiché ho la funzione di tutor, niente a che fare con la triste invenzione morattiana. Il mio compito è di occuparmi degli studenti, di comunicare con loro, di ricevere e contenere i loro sconforti e le loro lamentele, e di stabilire comunicazioni autentiche con le loro famiglie, di aiutarli a crescere entro una struttura che rende loro particolarmente difficile farlo. Facile a dirsi. Lo faccio con la sensibilità che ho e qualche competenza psicologica acquisita a mie spese, perché i corsi di aggiornamento che ci propongono sono (ovvio, no?) tutti centrati sulle discipline, ovvero su quel che qui meno serve. Ci misuriamo con famiglie assenti, ragazzi persi nel mondo o in se stessi. Con crescite bloccate. Un rifiuto della scuola che già è al limite prima ancora di entrare in questo nostro Istituto, si figuri cosa succede poi qui. Vite che sembrano già finite prima ancora di cominciare. La mia giornata è lunga. Entro in classe per la normale lezione, e già sono assalito da richieste e problemi. Fuori ci sono teppisti di un’altra scuola che minacciano botte. Dentro la classe ci sono litigi e scontri continui. La ragazza che si brucia con i mozziconi di sigaretta, quella che vomita, quella LETTERA FIRMATA Capiamo da questa lettera, così potente nella sua delicatezza, che non c’è riforma della scuola che possa cambiare davvero qualcosa se i professori non si lasciano sedurre, corrompere e commuovere da quei ragazzi, più o meno 3 dissestati, che incontrano ogni mattina quan- questi requisiti, per quante riforme si facciano non si sarà inciso minimamente in quei prodo entrano in classe. I professori sono soliti interrogare gli studenti cessi di crescita che sono il vero scopo per cui per verificare la loro preparazione, ma già una la scuola esiste e trova la sua giustificazione. grande rivoluzione sarebbe se, segretamente, i Tutto il resto viene dopo, ma molto dopo. professori si facessero interrogare dagli studenti, a partire da quella semplice domanda che Tratto da “D -Repubblica” dd 4.6.2005 Bruce Chatwin ogni tanto si faceva nel suo peregrinare: “Che ci faccio io qui?”. Una domanda inquietante che interroga la propria idoneità a occupare la cattedra, la propria dis- Esperienze d’insegnamento. ponibilità a prendersi cura degli altri, la pro- Come si educa lo spirito pria capacità a seguire, oltre ai percorsi intellettuali dei propri studenti, anche quelli più “L’educazione spirituale dei ragazzi era molto tortuosi e nascosti delle loro emozioni, fino a più difficile di quella fisica ed intellettuale. A toccare la loro passione, primo motore dell’inte- mano a mano che li conobbi meglio, mi resse e della voglia di vivere e crescere. convinsi che l’educazione spirituale non la si Conosco l’obiezione dei professori: “Non può imparare sui libri: così come l’educaziosiamo psicologi, e per quello che ci pagano non ne fisica viene impartita con l’epossiamo farci carico di trenta o sercizio fisico e all’educazione sessanta biografie”. Rispondo che scuola-scuola della mente si arriva per mezzo o non si chiede questo. Si chiede dell’esercizio intellettuale, l’edusolo di offrire agli studenti un scuola di VITA cazione spirituale è possibile solo esempio di personalità matura esercitando lo spirito, esercizio che possa fare da modello orientativo per del tutto subordinato al tipo di vita e al come si diventa adulti. carattere dell’insegnante. A mio giudizio l’inSe non riconosciamo in noi questo tipo di perso- segnante deve sempre controllare il suo nalità, se la stanchezza, la delusione, la demoti- modo di esprimersi ed il suo comportamenvazione, oppure il nervosismo, la reattività e to e non solo quando è con i suoi allievi. l’irritabilità sono i tratti che ci connotano quan- Un insegnante può influenzare con il suo do entriamo in classe, dobbiamo chiudere subi- modo di vivere l’animo dei suoi allievi to la porta alle nostre spalle e non tornarci più, anche a miglia di distanza. Sarebbe impenperché non possiamo consegnare all’inedia o alla sabile che io, se fossi un bugiardo, insedepressione quella stagione così esuberante e gnassi ai ragazzi a dire la verità: un inseinquieta della vita che si chiama adolescenza, gnante vigliacco non riuscirà mai ad insedove si definiscono una volta per sempre i linea- gnare il coraggio ai suoi allievi, così come menti della futura personalità. uno che non conosce l’auto-controllo non La responsabilità di un insegnante è enorme e potrà mai insegnarne il valore. Mi resi il basso profilo non mette al riparo dal falli- conto dunque che dovevo in ogni momenmento, che non riguarda solo il processo educa- to essere di esempio ai ragazzi che vivevano tivo, ma per intero la personalità dell’inse- con me. Così essi diventarono i miei maegnante, il quale ai propri occhi non può stri ed io imparai ad essere buono e a vivenascondere quella disistima di sé che consegue re rettamente, se non altro per amor loro.” all’aver intrapreso una professione per la quale non si avevano i minimi requisiti di idoneità. Da Gandhi – La mia vita per la libertà – Finché la nostra scuola si esonera dal valutare Newton 2 4 È possibile ricercare, nutrire, trovare, all’interno della propria interiorità, un centro? Un centro che ci permetta di non essere travolti dal flusso degli eventi, di rimanere saldi, di sviluppare creatività nell’arte della vita e di attingere forze alle sorgenti inestinguibili dello spirito? scuola-scuola o scuola di VITA Ci sembra la sintesi di domande portateci da tanti genitori. Per fare un cammino interiore, le strade possono essere tante. Proponiamo da: Dietro il velo di JAAP VAN DE WEG Urachhaus - liberamente tradotto. 3 scenti pieni d’ideali e irruenti, da adulti forse facilmente irritabili o particolarmente timidi. Tratti che siamo riusciti a riequilibrare oppure no. In tutto questo percorso, siamo sempre noi stessi - lo stesso “Io”. L’Io è in tutte le trasformazioni del corpo e dell’anima ciò che rimane costante; è l’elemento che può contemplare tutto e guidare, è quella parte dell’uomo che determina il suo essere e che porta l’impulso di continuo sviluppo. In quanto tale, la sua natura non può essere che d’ordine superiore; solo lui può prendere la guida per trasformare quanto è ad un livello inferiore. L’Io è il nocciolo divino dell’essere umano; vive nell’anima e ne è il punto centrale. Da dove proviene questo Io? Si può pensare, che accanto alle prime due sfere, ne esista una terza. Nell’ambito di questo libro chiamiamo questa terza sfera “mondo spirituale”. Dobbiamo rappresentarci questo mondo come intessuto di forze creatrici che creano dietro gli altri due mondi e che agiscono in essi. Viviamo in tre mondi diversi. Siamo indubbiamente più coscienti del primo: la nostra cultura è principalmente indirizzata verso il mondo materiale, rispetto al quale abbiamo già acquisito molte conoscenze. Dalla prima infanzia rivolgiamo la nostra attenzione verso di esso, a scapito della nostra attenzione per la realtà del mondo dell’anima e del mondo spirituale. I nostri organi di senso rivolti al Il velo della realtà esteriore. La via di sviluppo interiore Nella realtà quotidiana di ognuno di noi s’intrecciano e si determinano reciprocamente sfere diverse. Percepiamo la prima con i comuni organi di senso. Il senso della vista, dell’udito, del gusto, del tatto sono le porte attraverso le quali ci raggiunge il mondo dei sensi. L’altra sfera è un mondo di forze. Forze come opinioni, attese, emozioni, impulsi. Questa realtà non è percepibile con i normali organi di senso, eppure si sente fortemente. Sono forze che si trovano nascoste dietro il velo visibile del mondo che provocano ciò che avviene visibilmente nel mondo esteriore. Voler percepire questo mondo richiede un’altra forma di coscienza. Colui che sta alla guida, tra queste due sfere, è l’Io. L’Io possiede la facoltà di osservarle, di prenderne le distanze e così facendo d’avere coscienza di sé. Si può percepire il proprio corpo poiché si può toccare concretamente; esso è dunque parte della realtà fisica. Questo corpo si trasforma nel corso della vita. Ogni sette anni sono rinnovate materialmente tutte le sostanze ed anche la struttura e la forma si trasformano considerevolmente. Anche il contenuto dell’anima si trasforma nel corso della vita. Da piccoli eravamo creativi e immersi nel mondo di fantasia, da adole5 mondo fisico sono molto stimolati; gli organi di senso per la percezione dei processi animici e del mondo spirituale sono poco accuditi e nutriti. Questi organi di percezione possono essere sviluppati. Allora si crea un’apertura per sfere di coscienza diverse. La via per svegliare gli organi di percezione per il mondo dell’anima e dello spirito è una via che consiste nell’acquisire conoscenze e sviluppare facoltà rispetto a realtà di un mondo nascosto, occulto perché non può essere percepito con i normali organi di senso e che si trova dietro il velo del mondo sensoriale, esteriore. Se sviluppiamo gli organi di senso necessari, questo velo diventa a poco a poco trasparente e i segreti diventano visibili. A questo scopo è necessario che ci trasformiamo progressivamente come esseri umani, che ci liberiamo dal legame troppo stretto con la realtà materiale, per iniziare a percepire il mondo dell’anima e dello spirito e poter interagire con essi. L’Io deve imparare a sciogliere il suo legame troppo forte con la “piccola anima” e i condizionamenti che ne derivano, senza rinnegare impulsi e desideri, ma senza rendersi dipendente da essi. I presupposti per percorrere una tale via sono: l’essere disposti ad accogliere nel proprio pensiero la possibile esistenza di un mondo spirituale e, come per ogni percorso di studio, sono richiesti esercizio e perseveranza, un saldo collegamento con il quotidiano e sicurezza nello svolgere i normali doveri nella giornata. della quotidianità, fra famiglia e lavoro, amici e altri doveri, non rimane tempo per se stessi, nonostante se ne senta una grande necessità. Tutta una serie di fattori rende difficile la realizzazione di questo proposito; uno di questi è il dato di fatto che ci si deve realmente strappare dal flusso del quotidiano. Si tratta di un flusso in cui io penetro fin dal risveglio e che io abbandono solo con la quiete della notte. Sedersi e liberarsi da tutti i compiti e doveri che mi attendono, è già molto difficile, senza parlare di fare qualcosa che richiede un altro tipo d’energia. E’ un fenomeno che ben conosciamo: appena vogliamo sederci in quiete per concentrarci, proviamo il bisogno di fare ancora un paio di lavori pratici. Così, pensiamo, questi non possono più distrarci. Allora facciamo velocemente ancora ordine, oppure laviamo i piatti e facendo ciò dimentichiamo il nostro proposito. La seconda difficoltà consiste nel fatto di fare qualcosa che necessita un tipo di concentrazione molto diverso da quello richiesto nel quotidiano. Non ci si rivolge più al mondo esteriore e agli intrecci con l’ambiente circostante: questo tipo di concentrazione, invero, è ancora compatibile con certi fattori di distrazione. La concentrazione ora deve rivolgersi verso l’interno, devo voler creare uno stato di quiete. Questo capovolgimento di direzione della concentrazione è un fatto interiore molto difficile; ma più ci si sforza coscientemente in questo senso e più tale sforzo diventa un elemento costante durante la giornata, più ci sarà facile. Spesso è d’aiuto fare patti chiari in proposito con l’ambiente circostante. Capita a volte che nel corso della giornata non troviamo alcun momento per concentrarci. Si decida allora coscientemente di non compiere in quel giorno l’esercizio. Questo è più chiaro, che lasciar semplicemente cadere quello che c’eravamo prefissato. In momenti particolarmente difficili il fatto di non aver tempo può essere solo una Prima del velo La prima domanda che si presenta è: come posso procurarmi del tempo in cui io faccio regolarmente qualcosa per me, qualcosa che nessuno mi richiede e che non porta immediatamente un’utilità e frutti visibili? Questa domanda precede tutti gli altri esercizi; io la chiamo l’esercizio “zero”. Parlo di questo in particolare, perché spesso è qui che molti propositi falliscono. Nel ritmo 6 scusa, perché l’uscire dal tram tram quotidiano richiede maggior forza interiore. Ma proprio allora è particolarmente importante creare la quiete interiore. cercare di percepire quali pensieri vi sono passati per la testa e in che stato d’animo eravate: cosa sentivo, quali emozioni ed impulsi vivevo? Che influsso ha avuto questo sperimentare interiore su quello che io ho detto e ho fatto? Più il quadro diventa dettagliato, meglio è. Potete fare quest’esercizio in qualsiasi momento vi pare del giorno, ogni volta ne avete il tempo e la concentrazione. Prendere le distanze Il primo passo sul sentiero di sviluppo interiore consiste nel rafforzare la facoltà di prendere le distanze da se stessi. Prima di intraprendere questa via, l’io vive nell’anima più o meno inconsciamente ed è trascinato dalle onde tempestose del mare delle emozioni, dei pensieri e impulsi che la muovono. Essi hanno origine spontaneamente, dall’interno, come reazioni a quanto ci travolge da fuori. Per raggiungere il gradino successivo è necessario che l’Io sia svegliato e che si chiarisca maggiormente tutto quello che avviene nel mondo interiore. Bisogna imparare a distinguere quali forze agiscono lì e che relazioni reciproche esse hanno fra di loro, per poi, in una fase successiva, esercitare il nostro influsso, guidandole – prendendole in mano. La presenza autonoma dell’Io nell’anima è, detto in altri termini, presenza di spirito. Lo scopo dell’esercizio che segue è il risveglio e il rafforzamento di questa presenza di spirito. E’ importante che, nel riguardare all’indietro, ci si limiti solo alla percezione; giudizi sulla percezione - ho fatto bene, male, avrei potuto fare ecc.- possono farsi avanti rapidamente, ma qui è importante evitarli. Facilmente si è tentati di rivivere il vissuto. Oppure affluiscono molte associazioni. Tutto questo deve essere impedito coscientemente, poiché questo esercizio è un esercizio di percezione nel quale voi stessi siete l’oggetto della percezione. Esso rafforza la differenza fra il vero Io e l’ego quotidiano. Se si esegue questo esercizio regolarmente per un tempo prolungato, sorge per così dire un “secondo uomo in sé”. Questi è una specie di saggio che in tutto quello che si fa, ci guarda al di sopra delle spalle. Esso ci dà la possibilità di non farci travolgere dagli eventi e di non lasciarci trascinare dal flusso, ma di distinguere che cosa sta succedendo. In questo modo si acquisisce la libertà e la possibilità di prendere decisioni, che altrimenti ci sono strappate di mano dal flusso degli eventi. Sono due gli aspetti di questo esercizio: svegliare e rafforzare la presenza dello spirito. Questo avviene attraverso la concentrazione sulla percezione e attraverso il controllo dei propri giudizi e sentimenti. Dopo un certo tempo, vi accorgerete che questa forza diventa più viva negli eventi quotidiani. Possono così esserci momenti che vi coinvolgono, vi toccano molto e che di solito suscitano in voi spontaneamente una certa reazione. In quei momenti prenderete coscienza del “secondo uomo” e riconoscerete presto che è Esercizio: uno sguardo indietro Iniziate a concentrarvi per percepire voi stessi. Scegliete un’immagine di ricordo, presa dal passato. Può essere un evento dei giorni appena trascorsi oppure che risale più indietro. Poiché si tratta di un esercizio di percezione, non c’è bisogno che sia qualcosa di speciale. Può, per esempio, essere banale come il momento in cui stavate alla cassa del supermercato. Riguardate indietro per percepire l’ambiente circostante e per porre voi stessi in una relazione. Com’era la stanza, in che punto stavo, c’erano altre persone? Poi si osserva la propria interiorità: cosa ho fatto? Che cosa ho detto? Potete 7 meglio rinunciare ad una reazione immediata. Il secondo aspetto consiste nel fatto che le immagini del ricordo col tempo diventano più chiare, precise. La capacità di ricordo è sviluppata con intensità diversa in ogni individuo: una persona si ricorda in modo più variopinto e ricco di dettagli di un’altra. Questo è da un lato questione d’esercizio, dall’altro però anche questione di predisposizione personale. E’ difficile evocare dinnanzi agli occhi una precisa immagine di ricordo quando si è stanchi e dopo un po’ si rischia di tralasciare questo esercizio. Rimanete saldi: vi accorgerete presto, che proprio lo sforzo favorisce il potenziamento della forza di poter prendere le distanze da se stessi. Questo “secondo uomo” che voi create in voi stessi per mezzo di questo esercizio é qualcosa di totalmente diverso dal così detto “critico interiore”. Molti conoscono il “critico interiore”, che ci osserva da sopra le spalle e sussurra continuamente all’orecchio che non ne facciamo una giusta e che dovremmo fare tutto diversamente. Si tratta di una forza che agisce più opponendosi allo sviluppo che favorendolo; essa non si trova “al di sopra” dell’anima come invece è l’Io. Questo “critico interiore” è una parte dell’anima ed è il rappresentante inconscio di valori ed opinioni introiettati. Una piacevole azione collaterale del nostro esercizio è il fatto di imparare a relazionarsi in modo più cosciente con queste opinioni. Ora ci si può chiedere se il continuo consultarsi con questo secondo uomo non conduce a perdere ogni spontaneità. La risposta è un netto no. Spesso si sperimenta il contrario. Impulsi che affiorano all’improvviso non sono seguiti, perché le nostre norme spesso vi si oppongono. In altri casi è la paura che ci conduce a pensare che la spontaneità potrebbe portarci in situazioni pericolose ed insicure. Allora vi è troppo poca spontaneità e proprio in questi momenti la presenza di spirito può condurci a riconoscere l’elemento frenante e a farci decidere di non assecondarlo. C’è una scultura greca che porta ad espressione il risultato di questo esercizio: è il famoso auriga del tempio di Delfi. Il motto di questo tempio era “ Uomo, conosci te stesso.” Lo scopo della scuola esoterica di Delfi era lo sviluppo dell’auto-conoscenza. L’auriga tiene in una mano le redini, l’altro braccio della statua manca. E’ possibile che tenesse nell’altra mano la frusta. Dinnanzi al carro mi rappresento quattro grandi e forti cavalli che nella scultura mancano. L’auriga può con una mano tenere le redini, trattenendo o lasciando correre i cavalli; con l’altra mano, li può aizzare schioccando la frusta. Egli stesso sta in piedi, ritto nella verticale ed è simbolo dell’Io dell’uomo. I cavalli corrono veloci, ma è lui che li guida, cosicché essi, assieme, trainano il carro in modo equilibrato. L’auriga deve far sì che i quattro cavalli: il pensare, il sentire, l’agire e la costituzione fisica siano un buon traino. Perché sia così, egli deve sviluppare una coscienza per le loro forze e caratteristiche e prestare attenzione che essi si adeguino, al massimo, l’un l’altro. Per questo egli deve tener conto delle qualità d’ogni singolo cavallo. Nel film Ben Hur ho visto in scena ognuno di questi processi in modo 8 meraviglioso. All’auriga, eroe protagonista, è messa a disposizione un’intera squadra di cavalli. Egli la osserva, la soppesa, la riconosce e dà ad ognuno il giusto posto dinnanzi al carro: il cavallo più lento all’interno, quello più selvaggio spostato verso l’esterno, ma collocato in modo tale che possa essere tenuto a bada da un cavallo più calmo e con grande resistenza, che galoppa esternamente a lui. Così compone un traino che lavora assieme in modo ottimo. L’immagine dell’auriga serviva ai greci come stimolo per continuare a sviluppare l’io e diventare guida delle proprie forze dell’anima. Proprio questo è lo scopo del nostro esercizio. “Le costellazioni e la ginnastica dell’anima” nello sperimentare l’arte dei percorsi di vita Parlare del lavoro sulle Costellazioni non è facile. Tutti dicono “Non si può raccontare. E’ un’esperienza molto particolare. Bisogna provare...”. Sicuramente non è facile tradurre in parole un’esperienza spirituale, cionondimeno credo che si possa parlare del proprio vissuto in questi percorsi, di ciò che ci ha toccati nel profondo. Parlerò dunque di quello che ho sentito io, anche se poi, scambiando le impressioni con altri, ho notato che ognuno trae da queste esperienze benefici assolutamente diversi. Lo scorso ottobre ho partecipato al seminario di tre giorni sulle Costellazioni proposto dall’Associazione Michael di Trento guidato da Delf Alex Banz. Naturalmente, come sempre accade quando si va in terreni sconosciuti, si alternavano nel mio animo curiosità mista a paura. Nella sala eravamo una ventina. Gente di ogni età, uomini, donne, nulla che ci accomununasse, salvo l’imbarazzo di trovarsi lì a non sapere cosa si sarebbe fatto. Qualcuno era tranquillo, e al giro di presentazioni si scopriva che era un habituè, contento di tornare ogni volta. Chissà perchè, mi chiedevo. Il conduttore è tedesco, ha una voce piena e profonda, parla pacatamente, è molto concentrato, lavora in questo campo da dieci anni, presenta in breve la sua biografia: sposato, con figli, psicoterapeuta, abita a Stoccarda, antroposofo.... Elena Nardini traduce, potrebbe sembrare faticoso ascoltare, invece è bello avere il tempo di riflettere tra una traduzione e l’altra. Siamo seduti in cerchio. Si comincia con il primo volontario. Presenta il suo problema e da lì partirà il lavoro collettivo. Ha una questione particolare che vorrebbe vedere sotto altra luce, ma in quei tre giorni altri volontari avranno altri quesiti: chi un evento lavorativo, chi una situazione matrimoniale, altri 9 vorrebbero riorientarsi in un momento di silenzio interiore e così via. La cosa curiosa però è che praticamente nessuno formula la domanda in modo tradizionale “Mi è successo questo o quest’altro, voglio sapere cosa devo fare....”. No. Ogni volta si parla col cuore aperto, con le corde dell’emozione a nudo, con le incertezze, le difficoltà che subito ritrovo in ognuno dei miei compagni di strada. Strano, ogni storia che narrano me li fa sentire più vicini. Subito, fin da quel primo volontario, mi colpisce il modo in cui Delf mette a fuoco la domanda, facendo altre domande, in un colloquio fitto e aperto a tutti noi che ascoltiamo: pian piano si disvela un panorama sempre più ampio e profondo. Una rete di persone, di fatti, che stanno intorno a quella domanda. Questa indagine è preziosa per ognuno che voglia chiedere qualcosa: chiarisce, dipana. Noi intanto siamo come un coro silente, partecipante, pulsante. Nessuno si muove. l’ascolto è totale, con il cuore e con la testa. La com-passione, un sentire comune. All’improvviso Delf tace. Ha scritto fitto fitto su un taccuino. Pensa. Propone i soggetti che si rappresenteranno: in questo caso la madre, il padre, il fratello, le sorelle, i figli...Ma durante quei tre giorni di volta in volta, ad ogni proposta di storia, potranno essere anche messi in azione soggetti non propriamente fisici, come ad esempio la Sfortuna e la Fortuna, la Morte, la Depressione... E’ sempre il maestro che propone i personaggi ma il protagonista deve sempre dire se è d’accordo. Scelti i soggetti, occorre scegliere gli “attori” che li impersoneranno. E da questo punto preciso inizia un’esperienza spirituale unica. Stranamente “oltre” noi. Il protagonista, accompagnato da Delf, chiama uno ad uno gli attori della sua storia. Allora ecco che si può essere chiamati ad essere di volta in volta la madre, o la moglie, o l’amante del padre, o la sorella più grande e così via. Si viene posizionati nella sala in un modo liberamente scelto dal protagonista. Che alla fine si siede e guarda. Guarda la SUA COSTELLAZIONE. A quel punto Delf inizia ad avvicinarsi a qualcuno degli “attori”. Nulla è lasciato al caso o all’improvvisazione, nulla è recitato. Domanda in tono calmo e profondo, come in una rappresentazione sacra, come si senta questo o quel protagonista della costellazione. All’inizio, guardando dall’esterno, pensavo che gli “attori” stessero interpretando il ruolo affidato loro, fossero più o meno bravi o che, avendo ascoltato la storia raccontata dal protagonista, si fossero immedesimati. Invece tutto questo non c’entra niente. Succede qualcos’altro. Quando ho iniziato a costellare io stessa, chiamata come “attrice”, ho sentito quanto io fossi semplice strumento di qualcosa di incomprensibile. Ricordo che ero la primogenita di cinque figli. Un’esperienza che non potrei neppure comprendere con la testa perchè sono figlia unica. Ebbene ora so per esperienza, cosa si prova ad essere la più grande dei fratelli, quale rapporto si ha con i genitori... Ora posso capire altri in questa situazione. Ma so anche per esperienza cosa significa condividere il peso in una situazione famigliare difficile, cosa significa amarsi e rispettarsi perchè sono stata scelta in altre costellazioni come moglie, o come madre... Stranamente tutte quelle esperienze animiche avevano 10 da dire qualcosa anche a me, al mio presente. Ogni volta capivo con l’anima e non con la testa! Delf sempre concentrato, lento, attento, rispettoso, mi ha insegnato a vedere che ogni figura delle costellazioni è degna di essere ringraziata, qualsiasi cosa abbia fatto, qualsiasi azione, anche la più riprovevole, abbia compiuto. Ognuno ha la sua strada, ogni figura ha una posizione e via via viene ricollocata, in un mettere ordine che è quasi un pareggiare karmico. In questa accezione il lavoro di Delf è veramente antroposofico: tutto torna ad essere al suo vero posto, si liberano nodi aggrovigliati di cui s’era perso il bandolo, ogni evento ha la grandezza dell’evento spirituale che non si conclude mai solo sulla Terra. In quella stanza si sente che non si è soli ad agire. E i miei compagni mi sono molto cari, sento di doverli ringraziare tutti perchè mi hanno permesso di sperimentare sentimenti sconosciuti. Torno a casa con un’anima piena, allenata in una palestra speciale. E ho già voglia di tornare a costellare. Non chiederò niente, spero solo mi scelgano in tanti. Una palestra dell’anima non si trova facilmente. PAOLA LAZZAROTTO 11 Nutrire l’anima I bambini ci chiedono spesso: come si chiama questo fiore? Qual è il nome di quella stella? Che animale è? Il bambino non è in grado di esprimere altrimenti le sue domande. Ma chi cerca veramente di ascoltare la richiesta che vive dietro tali domande, direbbe che in realtà i bambini ci chiedono: puoi raccontarmi qualcosa di questa pietra, di quest’animale, di quella stella? Come vivono? In che relazione sono con il mondo? E con me? Qual è il senso del mio rapporto con il mondo e con tutti gli esseri che mi circondano? Sappiamo che il bambino, in risposta a tali domande, non cerca pensieri, ma racconti, che noi possiamo narrargli a tale proposito. Egli ha bisogno di racconti veritieri e pieni di fantasia; le immagini sono nutrimento per la sua anima. R. Steiner ha parlato in modo significativo dell’importanza di tali racconti: “Sarà importante offrire un’osservazione amorevole della vita degli animali, dei loro specifici modi di vivere, in modo ricco di immagini veritiere: cosa fa il leone, la volpe, la formica. L’importante di questi rac- conti è che essi siano significativi. … Sarà particolarmente importante osservare in tale modo anche la vita delle piante, saper raccontare la relazione tra la rosa e la violetta, il rapporto fra gli arbusti e le erbacce che crescono attorno a loro…” Tali racconti si rivolgono in primo luogo ai bambini fino agli otto nove anni. Il momento migliore per raccontarli è quando il bambino ha visto qualcosa e pone domande in proposito. Oppure guideremo noi il bambino alla gioiosa osservazione di quanto raccontato. Questo suscita nei bambini devozione e venerazione nell’osservare il mondo. Allora, per dare solo alcuni esempi, i bambini possono ammirare i bordi ben dentellati delle foglie delle piante, e nel fare questo, percepire l’azione dei “piccoli maestri sarti con le forbici dorate” di cui si parla nella storia della sorgente. La lucciola nelle serate di giugno incanta ogni bambino. Sarebbe importante riuscire a mostrare al bambino anche la figura 12 non appariscente di quell’insetto così come appare di giorno, dato che se ne parla nel racconto. Il bambino impara così ad osservare in modo simbolicamente vero. Lombrichi ce ne sono dappertutto. Non di rado sono maltrattati dai bambini, che, dopo aver sentito la storia, li tratteranno in modo amorevole. Le nocciole, con le loro gonnelline a frange verdi, si possono incontrare ovunque nel bosco. E’ così stimolata nel modo più bello, fin dall’età dell’infanzia, la capacità di osservare con amore. Almeno una volta, possiamo fermarci a guardare con i bambini anche la mercorella, di sapore salato e amaro, così poco appariscente o la camomilla, delle quali hanno sperimentato l’azione risanatrice in tempi di malattia, quando le piccole ferite sono state curate con la crema “mercurialis annua” oppure il mal di pancia è stato calmato con una tazza di camomilla. I bambini saranno affascinati, se noi li aiutiamo ad osservare correttamente il cestino verde del girasole con gli innumerevoli grandi e piccoli fiori allineati nel cesto composito e ben sistemati in forma di spirale. Anche le stelle cadenti hanno il loro fascino e si possono osserva- re nel silenzio della notte. I racconti sono correlati anche con le stagioni. Così osservare e sperimentare possono unirsi e suscitare nella coscienza sognante del bambino il delicato sentimento del legame dell’uo- Nutrire l’anima Il bambino Gesù amava le piante. Gli piaceva molto stare nel giardino, che era accanto alla falegnameria del padre e parlava con gli animali e con le piante. Un giorno la madre di Gesù gli chiese di portale fiori per adornare la casa e carote e ravanelli per il pranzo. Gesù ubbidì e corse subito fra i fiori; per ognuno di loro aveva una parola gentile. “Siete felici ora?” chiese alle rose. “Si” risposero le rose “perché non dovremmo essere felici?” “Voglio raccontarvi quello che voi avete dimenticato” rispose loro il bambino Gesù. “Un tempo non eravate felici. Voi, figlie del sole, stavate presso il Padre, tutte assieme. Poi siete state inviate sulla terra e ognuna di voi, improvvisamente, si trovò sola e legata alla terra.” “Che cosa avvenne allora?” chiese una rosa. “Il Padre nel cielo, che fa il mondo sempre più bello e buono, cercò degli aiutanti, affinché voi non foste sole. Fra i tanti esseri di luce alati, uno mo con il mondo e degli esseri viventi fra di loro. Tratto liberamente da: Von Pfanzen und Tieren Steinen und Sternen di ELISABETH KLEIN (Prefazione) Elisabeth Klein, IL LOMBRICO si offrì per diventare amico e aiutante dei fiori. Dovette allora rimpicciolire il suo corpo di luce; mantenne però il color dell’oro e le ali. Nacquero così le api, che volano come messaggere da un fiore all’altro.” “Ah, è così che avvenne” disse la rosa pensierosa. “Non è ancora tutto ” proseguì il bambino Gesù “il Creatore aveva fatto sì che alcune di voi rimanessero sul sole. Le fece volare poi sulla terra; esse non divennero fiori legati con le radici alla terra, ma fiori che volano tutt’intorno e che vanno a trovare altri fiori: furono farfalle. E tutti gli esseri del cielo e della terra si rallegrarono per le splendide farfalle. Proprio in quel momento, una farfalla si posò sul fiore che il bambino stava per cogliere. Poco dopo un’ape andò a far visita alla rosa che aveva parlato con il bambino Gesù. “Buon giorno” disse l’ape “ho qui per te un piccolo granello di sole, come dono e saluto da parte del fiore che 13 ti sta accanto. Rimarrei volentieri più a lungo nella tua casetta fiorita, ma devo proseguire. Voglio andare a trovare ancora molte rose.” “Prendi rugiada e nettare dal mio piccolo calice e portali con te nella tua casetta” disse la rosa all’ape “affinché possiate fare del buon miele. Prendi anche tutto il polline dorato che vuoi.” Con devozione il bambino Gesù aveva osservato l’ape volare nell’aria colma di sole e posarsi sulla rosa, radicata saldamente alla terra. “Ti ringraziamo per quello che ci hai raccontato. Ora comprendo perché le api e le farfalle ci rendono tanto felici” disse la rosa. Gesù poi andò nell’orto, dove crescevano carote e ravanelli. Voleva raccogliere, per il pranzo, anche la radice del prezzemolo. Estrasse le carote ed i ravanelli dalla terra, poi li sciacquò per pulirli ben bene. Allora la radice del prezzemolo disse: “Abbiamo ascoltato quello che hai detto ai fiori, che si sentono così felici fra api e farfalle. Noi non siamo altrettanto felici. Dobbiamo far molta fatica per crescere nel regno della terra. Lì è molto buio e la terra è dura”. “Scava tu stesso nella terra” gridò con aria furba il ravanello, “te ne accorgerai.” Il bambino provò, ma soltanto con il dito non ci riuscì. Prese allora un bastoncino per aiutarsi e fece molti piccoli forellini nella terra, per renderla più morbida. “Quello che fai, farà del bene alle radici” disse con riconoscenza la radice del prezzemolo “Giù da noi, nella terra arrivano poca luce, aria e calore; nessuno ci parla delle altre radici e, se Madre Terra non fosse così buona con noi, non potremmo proprio resistere.” Il bambino Gesù fu molto dispiaciuto. “Voglio partecipare al vostro dolore” disse “forse posso aiutarvi.” Pensò fra sé: “Non può essere una farfalla che vola di fiore in fiore; dovrebbe essere un messaggero che gira qua e là fra le radici e che rende il terreno più soffice.” Prima di lasciare il giardino e di portare a sua madre i fiori e le radici, il bambino Gesù disse, prendendo congedo: “Voglio domandare aiuto per voi a mio Padre, che è in cielo. Aspettate e guardate cosa accadrà.” Tutte le radici delle piante lo udirono. Il Padre in cielo, che tutto conosce, rispose alla sua preghiera: “Sii tranquillo. Io voglio inviare alle radici un messaggero che giri qua e là in mezzo a loro, così come le farfalle e le api volano fra i fiori. Infila un pezzettino di radice nei piccoli fori che, oggi, hai scavato nella terra con il tuo ditino.” Non era un compito difficile e fu presto fatto. Il giorno dopo, quando le radici del sedano ripresero a crescere nel terreno del giardino, videro uno strano compagno che vagava nella terra qua e là. Aveva un aspetto molto strano. Le radici si spaventarono quasi al vederlo e gli chiesero: “Chi sei? Non ti abbiamo mai visto. Che cosa fai qui?” “Io sono il vostro servitore, il verme delle radici” rispose. Devo scuotere sempre i vostri lettini, mantenerli ben morbidi e perfino dar aria alle tende, affinché luce e calore penetrino nelle vostre stanzette.” “Come puoi essere nostro servitore, non hai occhi?” chiesero le radici. “Per vivere qui non posso avere occhi. Ma posso sentire tutto ciò che avviene sotto terra e anche quello che avviene sopra la superficie della terra. “Dove sono le tue orecchie?” chiesero le piante, osservando il verme. “Non ho orecchie, ma sento tutto” rispose. “Posso addirittura sentire quello che dice e che pensa il contadino, al quale appartiene il campo che è accanto al giardino.” 14 “Ecco il messaggero di cui ci ha parlato il bambino Gesù” gridò il ravanello. “Presto saremo felici anche noi” aggiunsero tutte le altre radici, piene di gioia. “Io sono il messaggero delle radici. E ora devo proseguire” soggiunse solerte il buon animaletto, “per rendere la terra soffice ovunque, anche per tutti i semi che presto cadranno nella terra e che devono avere un morbido lettino.” Così ha avuto origine il verme delle radici. Lombrico fu chiamato questo animaletto benefico. Si può vederlo solo quando piove. Solo allora, infatti, esce dal terreno che é troppo pieno d’acqua perché possa rimanervi! Le piante amano i lombrichi altrettanto come amano le api e le farfalle. I lombrichi, che vivono nel terreno fra le radici, non possono naturalmente preparare assieme alle piante il miele dal sapore dolce e dal colore dorato, come invece possono fare i fiori. Anche i lombrichi possono però preparare qualcosa di molto prezioso. Preparano la scura, profumata, fertile terra di campo, nella quale essi si sentono bene come si sentono i fiori nella luce del sole. Solo dove ci sono lombrichi vi è buona terra! Tratto liberamente da: Von Pfanzen und Tieren Steinen und Sternen Pensieri dal cuore “Io piango!” “Perché piangi?” “Sono solo nella vita” “Siamo tutti soli, diventare grandi vuol anche dire sentirsi soli…” Lo sguardo sconsolato sembra dirmi tristemente: “Nemmeno tu mi capisci, nemmeno tu mi prendi sul serio…”. E’ proprio così: la persona portatrice di handicap è profondamente sola. Incontrare la difficoltà mette in crisi. Pensiamo generosamente di fare loro spazio “integrandoli” in un mondo che è a nostra misura, in un continuo, esasperato e scientifico confronto con la “normalità”. E noi, “normodotati”, siamo in grado di dimenticare per un momento noi stessi e i nostri parametri per aprirci in modo vero alle qualità dell’altro, qualità che non corrispondono necessariamente a canoni preconfezionati? Un piccolo esempio di quotidiana “presunta integrazione”: spesso ci si rivolge al portatore di handicap in modo innaturale; si pensa di doversi abbassare ad un livello di banalità, di luoghi comuni, far uso di un linguaggio puerile …. e non ci accorgiamo di ridicolizzare noi stessi e il nostro interlocutore. Come può mantenere la sua dignità, manifestare la sua interiorità, il suo vero essere integro e profondo, se noi non lo facciamo a nostra volta? Ogni rapporto interpersonale avrebbe bisogno di qualità. Nei confronti del disagio, moralità e qualità sono elementi determinanti per creare lo spazio per un vero incontro e scambio. ELENA NARDINI Nel bosco Lina Schwarz Nel bosco ogni vecchio gigante, sia abete, sia quercia, sia pino, ha intorno, ai suoi piedi, un giardino di piccole piante. Son muschi, son felci, son fiori, e fragole rosse e lichene cui l’albero antico vuol bene, suoi teneri amori. Mentre le fronde superbe protende più su verso i cieli, ei pensa a quegli umili steli nell’ombra, tra l’erbe. 15 e Musicosophia: un metodo per l’ascolto cosci n t “La musica è difficile. Non è semplice ascoltare attentamente un brano, riconoscere e sentire che cosa accada realmente in esso. Per molte persone un’opera può essere leggera e piacevole da ascoltare; essa può richiamare immagini fantasiose o suscitare piacere, agitare, calmare o altro ancora. Ma nulla di tutto ciò può essere definito <ascoltare>”. LEONARD BERNSTEIN e d a ell nostro essere musicale è molto sfaccettato e le nostre possibilità di affrontare ed incontrare la musica sono inesauribili. Attraverso il metodo elaborato da Musicosophia, una disciplina per l’ascolto cosciente della musica, viene sviluppato il senso musicale che si nasconde in ciascuno di noi e che costituisce una parte importante del nostro essere. Ai bambini viene aperta una via per imparare ad ascoltare la musica in modo gioioso, sviluppare le loro forze di fantasia e rafforzare il loro equilibrio interiore. musica classica L’ascolto cosciente della musica è un’arte che può essere appresa da tutti coloro che sono disposti, attraverso esperienze guidate, ad allenare il proprio ascolto e la propria percezione. Musicosophia è l’unica scuola che si occupa specificamente dell’”ascoltatore” fornendogli, senza ricorrere a conoscenze tecniche (note, accordi ecc), gli strumenti adatti ad individuare le forze musicali (melodie, temi ecc.), il loro ordine, il cammino compiuto dalle idee musicali, le loro trasformazioni, le strutture ecc. Lo scopo dell’analisi dei diversi gradi di comprensione è l’“entrare” nella musica o meglio il farla vivere ed agire interiormente. A tal fine un aiuto prezioso sarà la “meloritmia”, una forma di movimento delle braccia basato sull’architettura e sulla melodia del pezzo musicale. Va in particolar modo sottolineato l’aspetto “formativo” di tale disciplina che potrà essere esercitata quotidianamente in campo educativo. . “I bambini ascoltano musica classica”: un’esperienza guidata all’ascolto e alla scoperta dei capolavori dei grandi maestri. Udire-ascoltare Oggi i bambini sono più che mai ininterrottamente bombardati da ogni sorta di impressioni che, ad un ritmo sempre più veloce, investono i loro organi di senso ancora in formazione. I bambini, non essendo in grado di difendersi da questa sproporzionata quantità di informazioni e di impressioni, reagiscono spesso “chiudendosi” manifestando così una grande difficoltà ad ascoltare e a riconoscere con esattezza ciò che odono. Le conseguenze possono essere disturbi psichici o anche comportamenti sociali problematici. Per conoscere le date e i temi dei seminari consultare il sito: www. musicosophia.it, e-mail: [email protected], oppure tel. 0332-282831. Nel 2006 a Trento si realizzerà un Corso intensivo di 5 Seminari nelle seguenti date: 27-29 gennaio; 24-26 marzo; 26-28 maggio; 15-17 settembre; 10-12 novembre 2006 Per ulteriori informazioni e per richiedere materiale informativo rivolgersi a Teresa Anzelini Tel 0461- 910471; e-mail; [email protected] Tutti i bambini sono musicali Ogni bambino è musicale anche se non suona alcuno strumento od è “stonato”nel cantare. Il LA QUOTA ASSOCIATIVA DI EURO 50,00 ASSOCIARSI È DA ACCREDITARE SUL CONTO CORRENTE BANCARIO N. 25941503 INTESTATO A Associazione Michael Grazie a tutti coloro che, attraverso il loro associarsi, contribuiscono a sostenere il nostro lavoro e si uniscono a genitori e bambini… in un grande girotondo di solidarietà. presso la Unicredit Banca - Caritro, ag. 2 di Trento (Abi 2008, Cab 1802). 16 Diego Valeri o n i l l e n a Il camp Ci fu nel tempo antico un pastorello che aveva dieci pecore e un agnello. Era povero molto, e inverno e estate andava per montagne e per vallate. Andava solo, senza pur un cane, mangiando qualche frutto e un po’ di pane; andava e andava tutto il dì; la notte, dormiva negli stazzi o per le grotte. Ecco che un giorno- un sabato d’agosto, che s’era soffermato presso un bosco, a pascer quelle sue pecore d’oro e l’agnellino bianco come l’uovo, gli arriva a orecchi un suono, un suono strano, non sapea se vicino o se lontano. Canto d’uccelli non era, né fronde mosse dal vento, né ridere d’onde; non era il bosco, né il ruscello in piena… Era come una voce di Sirena! Ascolta attento; e proprio gli sembrava una donna che a nome lo chiamava; ma lo chiamava così dolcemente come sopra la terra non si sente. Allora dice al suo piccolo armento: Statevi quete, e torno in un momento. Si reca in spalla l’agnellino bianco, e va e cammina, e va verso quel canto. Traversa tutto il bosco, e va e cammina, in fin che arriva ad una porticina. Entra, e si guarda intorno… e cosa vede! Tutto oro, tutto argento, e fiori e stelle 1 Il campanellino e perle, a cento, a mille… uno splendore! Nel mezzo, una fanciulla occhio di sole tesseva a un suo telaio che sonava come un organo e il canto accompagnava: Pastorello poveretto, lascia il gregge e vieni a me; se restar vorrai con meco sarai ricco più di un re.Il pastore mirava sbigottito quella gran festa, e non moveva dito; e la bella, al telaio, sorrideva, e il suo canto soave riprendeva: Pastorello poverino, tutto il bello che qui c’è, gemme, perle ed oro fino, se lo vuoi, tutto è per te. Ora il pastore stava già per dire: - Resto, son tanto stanco di patire quando sentì sul collo il buon tepore dell’agnellino e il battito del cuore; pensò la greggia, le vallate e i monti, l’ombra dei boschi e il chioccolio dei fonti… Si guardò intorno… Nulla più di bello! nulla… oppure, ecco, ecco, solo il campanello: un campanello piccolo di rame entro un mucchio di gioie e di collane… Si prese quello, ringraziò la fata e tornò fuori, all’aria profumata… Traversa tutto il bosco, e va e cammina, e finalmente alla sua greggia arriva. C’erano tutte… Un breve salutare; e i dodici ripresero ad andare. 2 E innanzi a tutti andava l’agnellino, scotendo al collo il suo campanellino. Elisabeth Klein e l o Il giras Molti alberi sono così alti, che possono quasi toccare, con le loro chiome, le nuvole. E, con le loro radici,alcuni si allungano quasi altrettanto, giù nella terra. Vi sono anche fiori ed erbe, che si radicano profondamente nel terreno. E quasi tutti i fiori hanno l’anelito di crescere il più possibile verso l’alto, incontro al cielo. Un giorno un fiore divenne un po’ sfacciato. Disse: “Non voglio più rimanere così piccolo. Voglio diventare grande come un albero. Voglio crescere, troverò ben qualcuno che mi aiuti in questo mio intento”. Questo fiore non era soddisfatto dell’aspetto, che gli era stato assegnato. Iniziò con chiedere alla bella stella del mattino se voleva aiutarlo. Ma la stella gli rispose: “ Tu vuoi disobbedire! Io non posso aiutarti in questo.” Anche le altre stelle gli negarono il loro aiuto. Alla fine, poiché il fiore non le lasciava pace, la luna si dichiarò disposta ad aiutarlo. Prese alcune grosse nuvole e…. avreste dovuto vedere come la luna, la pianta e l’acqua lavorarono rapidamente insieme. Ogni notte - poiché le piante crescono soprattutto di notte - il gambo cresceva, assieme alle foglie, un bel pezzetto verso l’alto. Le foglie divennero grandi e larghe e i gambi grossi e forti, come un tronchetto di una betulla. La piccola scala, sulla quale le foglie si innalzavano verso l’alto era già diventata molto lunga e schiere di piccoli bimbi-fiore aleggiavano attorno alla pianta che cresceva. Ogni fiore deve infatti scegliersi una foglia e sedervisi sopra, come su di una seggiolina, ed ognuno di loro aveva già scelto la propria foglia. In pochi giorni la pianta avrebbe raggiunto l’altezza di un albero. Tutto era avvenuto così rapidamente, che il sole, al quale il Creatore ha affidato la tutela dell’ordine e la responsabilità dell’armonia di ogni pianta, non se n’era neppure accorto. Ma quando il sole scoprì come il fiore era cresciuto e che era già diventato alto come mezzo albero, trasalì nel veder infranto l’ ordinamento. E trovò un rimedio. Prese un largo cestino verde, lo affidò agli esseri che sono al servizio della creazione e comandò loro di sistemarvi tutti i bimbifiore. Gli esseri di luce presero il cestino e lo posarono sulla cima dello stelo, e premettero dall’alto verso il basso; e così la pianta fu costretta a fermare la sua crescita. Raccolsero poi tutti i bimbi-fiore che sciamavano alti nell’aria, perché ognuno di loro voleva posarsi il più in alto possibile. Uno dopo l’altro, dovettero sedersi, ubbidienti, nel cestino. E quanti erano! E quanto sarebbe ancora cresciuto quel fiore, lo potete vedere se contate i piccoli fiori, e più tardi i semi, che si trovano nel cestino. Come hanno fatto bene il loro lavoro 3 Il girasole gli esseri del sole! Hanno posato un fiore dopo l’altro, in modo molto ordinato, formando una spirale, che da fuori si arrotola verso l’interno, come una chiocciola. Ma quando i fiori si schiusero, avevano proprio poco posto! Non come quando un solo fiore sta su una foglia. Solo quelli più esterni, che erano al bordo, poterono diventare petali grandi e belli; gli altri sono rimasti piccoli piccoli. Però il cestino era così piacevole e i fiori si sentivano così bene l’uno vicino all’altro, che anche altri fiori desiderarono avere cestini simili: composti da tanti fiori; molti furono accontentati. Queste piante vengono chiamate “composite”. Quando gli esseri del sole ebbero finito il loro lavoro e tutti i fiorellini sbocciarono, oh! miracolo, quel grande fiore sembrava essere l’immagine del sole. Ed è per questo che, da allora, viene chiamato girasole. Spesso lassù, in quel grande cesto, fa molto caldo e allora diventa marrone. E’ così che il girasole ha ottenuto di diventare il fiore più grande. Ma ognuno può accorgersi che c’è qualcosa che non è in completa armonia: nell’ anelito di crescere sempre più in alto, questo fiore ha esaurito tutta la sua forza, dimenticandosi delle radici, che sono rimaste piccole. Quando soffia un forte vento, il girasole non può sostenersi: viene sradicato; anche il gambo è fragile e si spezza facilmente. Il girasole non è diventato un albero; gli alberi hanno la forza di resistere al vento. Quando i girasole si accorsero del pericolo che correvano nelle tempeste, dissero fra loro: “ E’ proprio un bene che non siamo diventati alberi! Ogni soffio di vento ci farebbe dondolare paurosamente! Per fortuna il sole ci ha aiutati.” E il sole disse loro: “D’ora in poi rivolgetevi sempre verso di me, e guardate e ascoltare tutto quello che io dico.” Da allora, ogni girasole fa proprio così: guarda sempre verso il sole. VON PFLANZEN UND TIEREN STEINEN UND STERNEN ERZÄLUNGEN 4