Quaderno delle Culture - Provincia di Reggio Emilia

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Quaderno delle Culture - Provincia di Reggio Emilia
Indice
Presentazione, di Sonia Masini ..............................................................3
Introduzione, di Mara Tognetti Bordogna ...............................................5
1. Dati statistici sulla popolazione immigrata nella
Provincia di Reggio Emilia ..............................................................7
2. I Paesi del quaderno....................................................................11
Albania, di Edmond Vuka ..........................................................................11
Cina, di Daniele Cologna .............................................................................33
Egitto, di Chiara Lainati ............................................................................59
Repubblica del Ghana, di Cristina Fiammingo ...............................................85
India, di Barbara Bertolani........................................................................107
Marocco, di Chiara Lainati.......................................................................131
Pakistan, di Daniele Cologna ....................................................................153
Romania, di Pietro Cingolani.....................................................................175
Tunisia, di Chiara Lainati.........................................................................197
Ucraina, di Simona Olivadoti, Annalisa Ornaghi ...............................................219
3. Le danze e i disegni sono di Sara Calzetti............................237
4. Gli Autori ....................................................................................238
1
2
Presentazione
di Sonia Masini
Presidente della Provincia di Reggio Emilia
Nell’attuale paesaggio reggiano, caratterizzato dalla coesistenza di popoli e culture diverse, è
assolutamente necessario sviluppare strategie finalizzate a obiettivi di consapevole confronto
interculturale verso una prospettiva di educazione all’alterità e di valorizzazione delle differenze.
A quest’ultima deve corrispondere un impegno civile di quanti operano nella società per la
costruzione di una realtà, che si faccia garante dell’uguaglianza dei diritti e delle pari opportunità di
tutti i cittadini.
E’ all’interno di tale contesto che, utilmente, si inserisce il progetto “Bambini dell’altro mondo”, una
delle esperienze più innovative, promosse dalla Provincia di Reggio Emilia, nell’ambito delle
problematiche legate ai temi della migrazione.
Un progetto che assume, come prioritario campo d’intervento, il sostegno ai soggetti più fragili della
migrazione: le donne e i bambini, le madri e i loro figli siano essi neonati, in età scolare o adolescenti.
Poiché sono le famiglie venute da altri mondi a vivere, spesso in modo lacerante, il problema
dell’identità, dell’integrazione sociale e della cittadinanza, ad esprimere con sempre maggior forza il
bisogno di sentirsi riconosciute da parte delle comunità locali. Quest’ultime, invece, appaiono sovente
indifferenti, quando non sospettose od ostili. Anche nel mondo della scuola o da parte degli operatori
del sociale si avverte, non di rado, la fatica di comprendere questo bisogno forte di riconoscimento.
Da qui l’esigenza di intraprendere azioni mirate, che mettano in rilievo le differenze culturali quali
positivi fattori di arricchimento. Proprio da qui trae le premesse questo “Quaderno delle Culture”,
parte integrante delle iniziative messe in campo nell’ambito dello stesso progetto, che nella sua
complessiva articolazione rappresenta un ulteriore banco di prova di come e quanto le idee sulle quali
si fondano i modelli di welfare locali possano contribuire ad orientare ed attivare specifici interventi
ed azioni di politica sociale.
Le pagine di questo “Quaderno” ci raccontano gli stili di vita familiare e di cura dei figli, i modelli
ducativi e formativi, i sistemi scolastici e sanitari, le modalità di rapporto tra i sessi e le generazioni
che riguardano le dieci nazionalità più presenti sul nostro territorio, con un’attenzione particolare a
ciò che attiene ai modelli culturali, entro i quali vivono le donne e i bambini nei loro paesi d’origine.
Non si tratta, quindi, di una generica guida alle culture di altri paesi, ma si configura come un valido
strumento di conoscenza rivolto a insegnanti, educatori, medici, infermieri, psichiatri, psicologi e a
tutti gli operatori sociali e socio-sanitari, affinché sappiano meglio riconoscere le sofferenze delle
famiglie migranti e gli ostacoli che i loro figli incontrano nel quotidiano; uno strumento che nasce
dall’esigenza tangibile di creare consapevolezza negli operatori chiamati a farsi carico di un’utenza
con caratteristiche e comportamenti specifici. Occorre che i servizi, oltre a rispondere a bisogni ben
definiti, siano sempre di più luoghi di ascolto e della parola.
Queste pagine rappresentano, inoltre, un formidabile strumento di comunicazione che, facilitando le
possibilità di interazione tra soggetti con retroterra culturali e linguistici differenti, accorcia le
distanze verso un modello interculturale come prospettiva educativa globale, che attraversi tutte le
discipline rivisitandole e allargandone gli orizzonti.
Se la realtà dell’altro va riconosciuta in tutta la sua complessità per coglierne le differenze e
rispettarle, anche questo piccolo strumento può aiutarci a comprendere meglio le culture di popoli
diversi, senza eludere le realtà concrete delle donne e dei bambini e a renderci più consapevoli delle
peculiarità culturali e dei linguaggi che hanno formato e formano ogni generazione.
3
4
Introduzione
di Mara Tognetti Bordogna
Il quaderno raccoglie informazioni selezionate ed utili, relative ad alcuni contesti geoculturali interessati da forti processi migratori.
Questo quaderno costituisce uno dei prodotti del percorso di progettazione
sperimentale “Bambini dell’altro mondo”, coordinato da Ebe Quintavalla, che ha
originato diversi prodotti.
Le schede che compongono il quaderno sono state pensate, innanzitutto, come
materiali di lavoro utili per gli operatori, per le scuole e per i cittadini, al fine di poter
conoscere elementi specifici di alcuni paesi ad alta incidenza migratoria verso l’Italia e,
più in particolare, verso la provincia di Reggio Emilia quali: storia, vita quotidiana,
tradizioni, regole, norme.
In secondo luogo, sono state pensate come chiave di accesso a nuovi contesti e nuove
realtà culturali. Strumenti che si prestano per piste di lavoro e per approfondimenti
ulteriori.
Con la scrittura delle schede non si è voluto costruire una cornice rigida “delle diverse
culture” ma piuttosto orientare in modo dinamico chi si avvicina e chi incontra queste
nuove realtà, parte integrante delle dinamiche migratorie mondiali.
Le note contenute nelle schede sono più semplicemente tracce per aiutare a
comprendere nuovi orizzonti, nuovi punti di vista, ma anche piste di avvicinamento ad
abitudini, pratiche, stili di vita, tradizioni che sempre più frequentemente si incontrano
con la nostra quotidianità.
Non vogliono essere un catalogo delle culture, ma piuttosto strumento di
avvicinamento, di svelamento di abitudini, stili di vita, tradizioni che trovano
continuità nel nostro e in altri paesi.
La scelta della traccia di sviluppo degli argomenti, pensata come un sistema a finestre,
è stata determinata dal tipo di popolazione e di frame culturale (provenienza geoculturale e insediamento nella Provincia di Reggio Emilia), dei loro rispettivi e specifici
modelli di vita quotidiana e di regole codificate, che entrano in comunicazione.
In altre parole abbiamo cercato, oltre a descrivere le peculiarità, di delineare alcuni
sistemi di funzionamento (scuola, sanità, tipo di governo) dei singoli Paesi, di
evidenziare, raccontandoli, aspetti quali: il cibo, le ricette, i piatti della tradizione, le
danze 1, i riti di passaggio, le favole, che costituiscono parte importante per le persone,
per il loro ancoraggio identitario, specialmente in immigrazione, ma sono anche
elementi identitari forti per altri contesti locali come la provincia di Reggio Emilia.
La scelta delle informazioni e dei temi selezionati ha tenuto conto sia del territorio di
provenienza degli immigrati sia del contesto in cui si sono insediati. Delle tradizioni e
della storia di questi ambiti.
Le variabili considerate rappresentano repertori culturali significativi anche per gli
autoctoni e, quindi, costituiscono un buon strumento di dialogo fra gli immigrati e i
nativi. Uno strumento di comunicazione semplice ma di alto impatto emotivo e
1
Tutte le danze relative ai diversi Paesi analizzati vanno attribuite a Sara Calzetti.
5
relazionale, utile in quanto fornisce informazioni, conoscenze documentate spesso non
considerate come parte integrante della valigia dell’immigrato. Il retroterra
fondamentale di chi intraprende un nuovo percorso di vita. L’immigrato non nasce alla
frontiera del nostro Paese, ma ha una sua storia, una sua biografia che parte nel e dal
Paese di origine, si articola, si modifica nel paese di migrazione proprio grazie e
attraverso il percorso migratorio, le scelte che questo determina, ma anche attraverso la
selezione e le perdite prodotte dall’esperienza della migrazione.
Il quaderno delle culture assume carattere strumentale, non solo e non tanto perché
sappiamo che i riferimenti e i modelli culturali che abbiamo cercato di descrivere sono
in continua trasformazione e di conseguenza vanno considerati sempre nella loro
dinamicità; ma, in particolare, perché sappiamo che ogni repertorio culturale viene
usato, valorizzato, dimenticato, superato o ritrovato dai singoli seguendo scelte,
selezioni, rimozioni, riproposizioni del tutto peculiari e dinamiche.
Ogni individuo utilizza le diverse risorse e potenzialità culturali in modo specifico
declinandole in funzione delle proprie aspettative, dei propri obiettivi, del momento e
della fase di vita che sta trascorrendo. L’individuo utilizza e coniuga repertori culturali
anche apparentemente distanti tra di loro, come può succedere in immigrazione.
Il singolo può dimenticare o riscoprire riti, abitudini, miti, può anche crearne altri
“sedendosi” su quelli passati o semplicemente abbracciandone di nuovi o partecipare
alla costruzione di nuovi che sono il risultato di un carsico processo transculturale.
Processo difficile da immaginare se non si parte dal presupposto che ogni persona,
indipendentemente, dal contesto in cui è nata e vissuta, si muove secondo propri
orizzonti, propri punti di vista suscettibili di cambiamento.
Il quaderno delle culture, che contiene informazioni derivanti da un quadro giuridico e
politico definito, di un dato ambito geografico, ma anche dalle continue
contaminazioni della nostra società, va dunque letto in questo senso.
Uno strumento dinamico da cui attingere informazioni note, per poi andare oltre i meri
stereotipi e i pre-giudizi.
Il quaderno è stato, dunque, pensato come un repertorio che aiuti, che ci renda
“disponibili ad entrare nelle ragioni dell’altro, senza irrigidimenti e rimettendo in
discussione i propri inevitabili pre-giudizi… (perché ciò) è condizione essenziale della
fecondità del dialogo”2.
La scelta degli argomenti da inserire nel quaderno è stata fatta anche in funzione della
necessità, ormai indilazionabile, del riconoscimento dell’immigrato per quello che è,
per la sua storia, i suoi sedimenti culturali, le sue scelte e non per quello che pensiamo
che sia.
Conoscere e riconoscere specifiche regole, storie, tradizioni, abitudini, stili di vita,
mettendole sullo stesso piano di quelle di tutti i paesi, compreso quello dei nativi, è già
un buon metodo per un dialogo equilibrato ma, più in particolare, per ri-conoscere chi
fa parte del nostro orizzonte presente e futuro.
2
Crespi F., “I rapporti tra generazioni nella comunità sociologica italiana”, in AIS, Giovani sociologi
2003, Franco Angeli, Milano, 2004, pag. 24.
6
1. Dati statistici sulla popolazione immigrata nella
Provincia di Reggio Emilia
a cura dell'Osservatorio sulla popolazione straniera
della Provincia di Reggio Emilia
Alla fine del 2006 i minori stranieri non comunitari, residenti nella provincia di
Reggio Emilia sono 11.979, pari al 26,8% dell'intera popolazione straniera.
Rispetto allo scorso anno la presenza numerica di bambini e ragazzi di 0-17 anni
è aumentata del 10,2%, risultando otto volte superiore a quella rilevata alla fine
del 1993. Nel corso degli anni i minori immigrati hanno consolidato la loro
presenza sia nei confronti della popolazione residente della stessa età, passando
da un'incidenza del 2,2% del 1993 al 14,0% del 2006, sia rispetto alla comunità
immigrata complessiva. In rapporto a quest'ultima componente la percentuale
dei minori è cresciuta in maniera costante incrociando due sole battute d'arresto
nel periodo appena successivo alle sanatorie del 1995 e del 2002. In quegli anni,
si osserva una ripresa in termini percentuali della popolazione adulta come
conseguenza della consistente regolarizzazione di lavoratori stranieri (Vedi Fig.
1 ).
Fig. 1
Incidenza dei minori non comunitari sul totale delle presenze non
comunitarie e sulla popolazione complessiva della stessa età
30
25
20
21,7
23,3
24,4
24,0
26,9
25,5 26,0 26,2
28,2
21,3
15
10
5
2,2
26,3 26,2 26,5 26,8
2,6
3,1
3,3
4,4
5,3
6,1
7,1
8,3
9,5
10,7
11,9
13,1
14,0
0
1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
% minori su pop non comunitaria
% minori su pop. residente 0-17 anni
La distribuzione territoriale dei minori immigrati segue ovviamente quella della
popolazione straniera complessiva: la maggior parte vive nel distretto di Reggio
Emilia (46,3%), seguono per numerosità le comunità immigrate di Guastalla
(18,1%), Correggio (12,1%), Scandiano (10,1%), Montecchio Emilia (8,5%), infine
Castelnovo ne' Monti (4,9%).
7
La popolazione immigrata si caratterizza per una forte presenza di bambini fino
a 10 anni (17,9%) e di giovani adulti, ovvero di persone di età compresa tra i 20
e 44 anni (56,0%), mentre sono ancora molto pochi gli anziani di 65 anni e oltre
(1,3%) (Fig. 2 ).
Fig. 2
Piramide dell'età della popolazione non comunitaria (valori assoluti)
oltre 90
4
1
Donne
10 2
Uomini
24 16
44
27
94
74
190
267
575
884
1.250
80-84
70-74
102
174
60-64
399
823
50-54
1.582
1.768
2.784
2.389
40-44
3.264
2.840
3.514 30-34
2.565
2.794
1.574
1.150
1.183
1.562
2.248
1.552
20-24
1.435
1.341
10-14
1.778
2.424
0-4
Nell'articolazione per fasce d'età scolari, i bambini dai 6 ai 10 anni sono i più
numerosi (24,8% sul totale della popolazione minorile immigrata), seguono i
piccolissimi di 0-2 anni (23,8%), i bambini dai 3 ai 5 anni (19,5%), i ragazzini di
età compresa tra i 14 e i 18 anni (19,5%) e per finire quelli tra gli 11 e i 13 anni
(12,3%).
In rapporto alla popolazione complessivamente residente, i minori non
comunitari rappresentano il 13,1% di tutti i minori presenti in provincia, ma
l'incidenza varia notevolmente a seconda dell'età: raggiunge il 18,5% nei
bambini tra 0 e 2 anni, si abbassa al 16,0% dai 3 ai 5 anni, mentre diventa
inferiore alla media, della componente minorile, nella popolazione di età
superiore ai 6 anni.
La numerosa presenza di bambini è strettamente correlata allo strutturarsi del
nucleo familiare di coloro che arrivati in passato hanno deciso di costruirsi una
famiglia in Italia. Questa propensione è testimoniata dal fatto che il 96,6% dei
bambini non comunitari di età inferiore ai 3 anni è nato nel nostro paese. Il dato
ci rinvia al tema delle "seconde generazioni" (cioè dei figli di immigrati nati nel
paese di accoglienza dei genitori) che pone questioni e spazi di azione
8
particolarmente interessanti ai fini dell'individuazione di percorsi
d'integrazione. Come abbiamo già visto, i ragazzi di età compresa tra gli 11 e i
18 anni sono invece meno numerosi, probabilmente perché troppo giovani per
intraprendere in autonomia un percorso migratorio e nello stesso tempo troppo
grandi per essere nati in Italia (in questa fascia di età solo il 19,9% è nato nel
nostro paese).
Il dato sulla popolazione under 18, fornisce dunque, importanti elementi
conoscitivi relativi alla struttura e all'evoluzione della presenza immigrata.
Nei territori caratterizzati da sistemi migratori consolidati, come Guastalla e
Correggio (dal 1993 ad oggi sono i primi distretti in provincia per incidenza dei
cittadini non comunitari sul totale della popolazione), la percentuale dei nati in
Italia sul totale dei minori stranieri iscritti alle anagrafi è la più bassa tra le sei
zone reggiane - assieme a quella registrata nel territorio montano di Castelnovo
ne' Monti. Il fatto che in territori come questi vi siano alte percentuali di minori
nati all'estero, ci fa supporre che molti percorsi migratori trovino stabilità sul
nostro territorio anche attraverso i ricongiungimenti familiari.
Fig. 3
Incidenza dei bambini e ragazzi nati in Italia sul totale degli stranieri non
comunitari 0-17 anni residenti nella provincia di Reggio Emilia
66
64
62
60
58
56
54
52
63,8
62,4
61,8
59,8
55,0
54,7
Montecchio
Emilia
Reggio Emilia
Scandiano
Correggio
Guastalla
Castelnovo ne'
Monti
50
Mentre nelle zone di Montecchio e Scandiano, interessate da un'immigrazione
più recente ma con ritmi di crescita anche più significativi (negli ultimi anni in
questi due distretti si sono registrati importanti aumenti percentuali),
l'incidenza dei nati in Italia è la più alta, assieme a Reggio Emilia, territorio che
però si differenzia notevolmente dai primi due essendo sede del Comune
capoluogo.
Uno sguardo alle provenienze: i minori non comunitari residenti nella
provincia provengono da 79 paesi differenti. Al primo posto nell'elenco dei
Paesi per presenze di cittadinanze troviamo il Marocco, che raccoglie il 21,5%
del totale, seguono l'Albania (12,8%), l'India (10,1%), la Cina (9,6%) e il Pakistan
(8,2%), volendo citare soltanto i primi 5.
Per ulteriori approfondimenti sul fenomeno migratorio, rimandiamo
all'Osservatorio sulla popolazione straniera della Provincia di Reggio Emilia.
9
10
2. I Paesi del quaderno
Albania
di Edmond Vuka 3
DATI GENERALI
L’Albania si trova nel Sud-Est europeo e fa parte della penisola Balcanica.
Confina con la Grecia a Sud, Serbia-Montenegro a Nord, Macedonia ad Est ed è
bagnata dal mar Adriatico e Ionio ad Ovest.
•
Ha una superficie pari a 28.748 km2. È lunga da Nord a Sud 335 km e larga
da Est ad Ovest 150 km. Il clima è mediterraneo con l’estate calda e umida in
pianura, che coincide con la costa, secca e più fresca all’interno. L’inverno è
freddo, piovoso nella parte montagnosa, con grandi nevicate nella parte NordEst e Sud-Est del Paese.
•
Nel Nord del Paese lungo il confine con il Montenegro sono presenti una
serie di montagne mediamente alte, che formano le Alpi albanesi. Il punto più
alto è il monte di Korab 2.753 m che confina con l’ex Repubblica Jugoslava della
Macedonia.
•
Abitanti: 3.544.841 (censimento giugno 2002).
Estensione geografica: 28.748 kmq.
Continente: Europa.
Densità di popolazione: 112,10 ab./kmq.
Incremento demografico: 1,06%
3
Il testo è stato inoltre revisionato da A. Myzyri e E. Kalaj.
11
PIL: 5.600 milioni $; PIL pro capite: 1.595,22 $.
Vita media: 72.1 anni (f. 75.14; m. 69.27).
Alfabetizzazione: 95%.
Mortalità infantile: 39.64/1.000.
Lingua ufficiale: albanese.
Altre lingue: greco, serbo croato, rom, bulgaro.
Religioni: musulmani 70%, ortodossi 20%, cattolici 10%.
Gruppi etnici: albanese 95%, greci 3%, altri (rom, vllah, serbi, bulgari) 2%.
Regime politico: Repubblica parlamentare. Il parlamento è costituito da 140 seggi, 100
dei quali vengono eletti direttamente con sistema maggioritario, i restanti 40 vengono
assegnati tramite il sistema proporzionale.
LE FESTE PRINCIPALI
•
Durante il periodo buio della dittatura comunista di tipo
stalinista le feste e i simboli religiosi erano stati vietati.
Dall’anno 1991 sono state riconosciute ufficialmente, dopo 30
anni di negazione e proibizione, i giorni di festività religiosa
come Natale, Bajram, Pasqua cattolica e ortodossa. È tradizione,
in Albania, che durante le festività principali ci siano frequenti scambi di visite
tra parenti e amici, momenti dove le famiglie si riuniscono e la tavola si
trasforma spesso in una grande tavolata dove si consumano cibi locali e si beve
vino e rakia, l’acquavite tanto preferita dagli albanesi.
BAJRAM è la festa che segna la fine del Ramadan, il periodo in cui ogni
musulmano deve seguire un rigido digiuno che dura un mese intero. È
tradizione macellare un agnello e festeggiare fino a notte fonda, un
momento in cui le persone gioiscono facendo, inoltre, un lavoro d’autoriflessione.
NATALE: si mangia pesce, noci e si beve vino. La maggior parte delle famiglie,
specie in campagna macella un animale che, solitamente, è un maiale o
un agnello.
CAPODANNO: è la festa più sentita dagli albanesi. Le famiglie iniziano le
preparazioni anche una settimana prima della vigilia, preparando dolci e
acquistando cibi e bevande, che serviranno per la notte a cavallo tra
l’ultimo dell’anno in corso e il primo di quello nuovo. Il capodanno
recentemente è diventato più che mai una festa che riunisce le famiglie, le
quali durante l’anno devono fare i conti con la necessità dei propri
membri di migrare per motivi economici. Il tacchino e la bakllava (dolce
d’origine turca) sono i due alimenti che accompagnano le tavolate
imbandite.
KURBAN BAJRAMI è il giorno in cui bisogna versare il sangue di un animale in
segno di sacrificio e amore nei confronti di Allah.
12
PASQUA: in questo giorno si va in chiesa e si fa benedire con l’acqua santa il
pane fatto in casa e l’aglio fresco. Si colorano le uova sode e i bambini
fanno a gara nel romperle. Vince chi riesce a spaccarne di più. A fine
giornata si fa il bilancio.
FESTA
DELL’INSEGNANTE
(7 MARZO): è un giorno festivo per le scuole. Si
organizzano attività d’aggregazione, escursioni in montagna e visite nelle
case degli insegnanti, alle quali è tipico regalare delle violette.
FESTA DELLA DONNA: si celebra in tutto il Paese. Un giorno in cui si ricordano e
onorano le madri, le nonne, le sorelle e tutte le altre donne per i sacrifici e
le fatiche che fanno per crescere i figli e contribuire nel mandare avanti le
famiglie.
1°
MAGGiO:
una volta festa solenne, con parate militari e discorsi dei leader
comunisti, attualmente viene poco celebrata, probabilmente perché è
considerata ancora un ricordo del regime passato. Le scuole organizzano
gite e escursioni.
DITA
FLAMURIT DHE E ÇLIRIMIT: i giorni della bandiera che segnano sia
l’indipendenza dall’impero ottomano (1912) sia quella della liberazione
dall’occupazione nazi-fascista (1944). Sono le giornate della patria. Le
scuole, i veterani e i lavoratori organizzano visite nei musei e si porgono
omaggi ai caduti della seconda guerra mondiale.
E
IL SALUTO: pershendetje.
COSA SI OFFRE ALL’OSPITE
•
Un vecchio detto locale dice: “all’ospite pane, sale e buon cuore”.
Nei secoli la popolazione ha attraversato periodi di crisi e
carestie dove le famiglie spesso pativano la fame. Da qui il
detto che vuole esprimere il senso dell’ospitalità nonostante le
situazioni molto difficili.
•
Oggi ciò che viene offerto agli ospiti è l’immancabile caffè
turco, preparato con i chicchi di caffè tostati e macinati, questo viene poi fatto
bollire nella gjesme, il pentolino ad hoc. C’è poi la rakia, l’acquavite, che si beve
ad ogni ora della giornata. Se l’ospite si ferma a pranzo o a cena gli si offrono
piatti come meze, un misto tra ortaggi, carne e formaggi, da accompagnare con
il vino o la rakia, le zuppe e i secondi piatti a base di carne e di verdure ripiene
oppure di sfoglia ripiena di formaggio, di verdure e altro a seconda della
stagione e della situazione economica della famiglia. L’ospitalità è una
tradizione che si tramanda da una generazione all’altra. Qerasje è il termine in
albanese che esprime questo momento.
•
13
IMMIGRAZIONE IN ITALIA
•
Nel marzo del 1991, prima ancora della caduta del regime
comunista, ha avuto luogo una massiccia migrazione verso le
coste italiane. Per la prima volta, dopo un lungo auto-isolamento,
la gente comune esce dai confini del proprio Paese in cerca di una
vita migliore. Oggi in Italia, secondo fonti ufficiali, vivono
almeno 250.000 albanesi, dato che non tiene conto di chi non è riuscito a
legalizzare la sua presenza in Italia, con la legge sull’immigrazione del 2002. La
difficile transizione albanese ha prodotto una forte disoccupazione e malessere
sociale. È per questo che tanta gente si è rivolta ai paesi “vicini di casa”, come
Italia e Grecia, quest’ultima ospita circa 450.000 cittadini albanesi, che cercano
di assicurarsi un lavoro e una vita più decente.
Possiamo affermare che l’Albania è il Paese dei contrasti: tra Nord e Sud, tra
realtà urbane e rurali, tra persone molto legate ai valori trasmessi dalle vecchie
generazioni (come la generosità, la lealtà, il rispetto per le donne) e persone
senza scrupolo che lucrano sulle difficoltà attuali.
•
•
Il fenomeno migratorio albanese è accompagnato da anni dal traffico sia dei
clandestini e della prostituzione, sia da quello degli stupefacenti, che hanno
reso difficile la posizione e la reputazione dell’immigrato albanese.
L’albanese spesso e volentieri viene etichettato come malvivente e gli
vengono attribuiti pregiudizi e stereotipi.
•
È questo, forse, uno dei motivo per cui in Italia, a differenza delle altre
comunità straniere (ricordiamoci che quella albanese è tra le più numerose)
quella “shqipetar” non si sente di doversi consolidare, creando dei legami forti
tra famiglie, lavoratori e studenti che da anni vivono qui. Esperienze di
discriminazione e d’esclusione rendono infatti difficile l’integrazione; spesso
per i cittadini albanesi diventa un’impresa affittare una casa o trovare un
lavoro.
•
Esiste una tendenza che favorisce il “confondersi” nella vita e nella società
italiana, al punto di voler “nascondere” la propria identità a beneficio
dell’integrazione.
•
Tante famiglie hanno deciso di stabilirsi in Italia definitivamente, molti
albanesi che sono nel nostro Paese da tanti anni ormai, hanno ottenuto la
cittadinanza italiana e tornano in patria solo in occasione di feste o ferie per
trovare amici e parenti, specie durante l’estate.
•
Sul territorio sono presenti associazioni che promuovono iniziative e hanno
per obiettivo l’integrazione e lo scambio interculturale. Questo avviene
principalmente nelle occasioni di feste ed incontri organizzati, per dare voce e
sensibilizzare la convivenza e il dialogo interculturale, in manifestazioni che
promuovono i diritti.
•
Negli ultimi anni tanti giovani vengono in Italia per potersi formare presso
le nostre università. In città come Roma, Milano, Bologna, Firenze e Torino
•
14
spesso detengono il primato per quantità di studenti stranieri iscritti presso le
diverse università.
MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI
•
Durante il regime comunista alle donne, subito dopo il parto,
era consigliato tornare al lavoro, quindi, i neonati venivano lasciati
a casa accuditi dai figli più grandi. Per garantire la sicurezza del
neonato veniva utilizzato un particolare tipo di culla, costruita
artigianalmente in legno e abbellita con disegni folkloristici, la cui struttura
evitava il ribaltamento.
Questa tradizionale culla è utilizzata tutt’oggi in alcuni villaggi di
montagna, in particolar modo nel Nord del Paese, per consentire alle donne di
dedicarsi al lavoro nei campi.
•
Attualmente, si sta perdendo ciò che era un pilastro della crescita del
neonato, vale a dire l’allattamento da parte della madre. Prima solo chi non
poteva allattare dava al bambino il latte in polvere o quello che si ricava
dall’allevamento degli animali, ora, invece, è una pratica molto diffusa.
•
Nei primi mesi di vita il bambino dorme sempre vicino alla madre, che è
pronta ad assisterlo in qualsiasi momento, l’uomo, invece, partecipa poco alla
crescita del neonato.
•
Quest’ultimo è da sempre considerato un compito e un’abilità della donna,
che l’uomo non deve e non sa fare.
•
Dopo i primi sei / sette mesi si inizia ad abituare il bambino ad
un’alimentazione più comune come yogurt, riso, zuppe di vari tipi. L’intento è
quello di abituarlo, al più presto, al modo di alimentarsi degli altri membri della
famiglia.
•
La madre del neonato viene spesso affiancata, ove è presente, dalla sorella
più grande, che dal bambino è chiamata dada.
•
Nelle campagne e nelle città piccole, dove la gente e l’ambiente si conosce
meglio, il bambino compiuti 4-5 anni viene lasciato giocare con i coetanei senza
necessariamente la presenza di un adulto. Questo, ovviamente, espone a piccoli
rischi, ma spesso aiuta il bambino ad affrontare i diversi problemi e a cercare la
soluzione. L’accompagnamento del bambino, da parte di entrambi i genitori, è
indirizzato a creare l’autonomia dello stesso.
•
MODELLI DI CURA
Tuttora si applica la medicina popolare per malattie conosciute e che
anticamente erano curate con erbe e metodi tradizionali. Per il
raffreddore, ad esempio, si usa bere tè caldissimo, mettere i piedi in
un secchio d’acqua bollente e coprirsi molto bene tanto da sudare.
15
Quest’operazione si deve ripetere più volte. Per i reumatismi si deve bere la
grappa di more, si frequentano le terme, oppure in spiaggia si copre tutto il
corpo di sabbia. Per alcune fratture alle ossa si usa spalmare il punto fratturato
con il tuorlo delle uova e si usano impacchi con la cipolla nel caso di traumi
leggeri. Per molti religiosi di fede cattolica, tra i quali tanti malati, è
consuetudine fare pellegrinaggi nei santuari, come quello di Laç, nella speranza
di guarire e prevenire varie malattie.
La medicina popolare viene applicata principalmente, per patologie semplici
e per guarire i bambini dalle malattie non gravi, che non richiedono l’intervento
medico.
•
•
Per quanto riguarda le piante, si usano erbe sia fresche, sia secche (es
melagrano, tè di montagna) che hanno lo stesso risultato.
•
In Albania crescono oltre 3.500 specie di piante, che rappresentano una
buona parte della flora; di cui 350 sono piante medicinali ed aromatiche.
Le prime farmacie sono apparse nel secolo XIX, fino allora era la medicina
tradizionale a garantire la cura delle malattie, utilizzando le molte piante
medicinali. La medicina tradizionale permetteva alle singole persone di essere
protagonisti nella cura della propria salute e ogni famiglia si procurava le
piante medicinali che gli servivano durante l’anno per scopi curativi. La
tradizione diffusa, sia nelle campagne che nelle città, è ancora oggi mantenuta
viva ed è facile trovare, nelle case di tante famiglie, la camomilla, il tiglio, l’aglio
e la cipolla, l’olio essenziale e molte altre piante, che vengono usate per curare
le malattie del tratto respiratorio, digestivo e molte ferite.
•
MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE
DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE
•
I Rrugicat, ovvero le viuzze tra le case dei piccoli quartieri e i
cortili dei condomini, sono i luoghi dove i bambini passano gran
parte del tempo libero. I giochi sono quelli ereditati dalle generazioni
precedenti. Essi si possono organizzare senza tanti mezzi, sono
costruiti dai genitori o dal fratello maggiore e, spesso, dai bambini stessi. Si
continua a giocare e costruire i giochi tradizionali nonostante i videogiochi
dell’ultima generazione. Negli ultimi anni tante organizzazioni non governative
e missionarie, presenti nel paese, coinvolgono giovani italiani, francesi,
tedeschi, ecc. nel contribuire a portare un altro modo di stare con i più piccoli,
un modo più ravvicinato e meno autoritario, che offre la possibilità inoltre ai
giovani volontari di conoscere il Paese.
16
MODELLI E STILI FAMILIARI
RUOLO DEI GENITORI: la maggior parte delle famiglie oggi non
manda i propri figli in istituzioni della prima infanzia, perché ad
occuparsi dei bambini/e sono, sempre, le figure femminili.
Questo è dovuto anche all’alto tasso di disoccupazione, che
colpisce molto le donne e che le costringe di conseguenza a stare a
casa. Le nonne, spesso e volentieri, partecipano alla crescita del nipote, specie se
abitano vicino.
•
Attualmente le famiglie albanesi hanno rinunciato a fare tanti figli, come era
uso e quasi obbligo una volta, per seguire l’antica tradizione e il volere del
regime, che perseguiva la crescita demografica.
•
La disoccupazione, la difficile situazione economica e la pianificazione
familiare applicata da pochi anni a questa parte ha fatto si che ci siano sempre
più famiglie con due figli o al massimo tre.
•
Nonostante ciò si hanno cambiamenti nei modi di educare i bambini, che
mirano al miglioramento, anche se restano ancora comportamenti e
atteggiamenti autoritari nei confronti del minore. È il padre ad assumere la
responsabilità di accompagnare il bambino nel percorso che mira alla
conoscenza dell’ambiente circostante, dove il minore crescerà e diventerà
adulto.
•
VITA SOCIALE DELLA FAMIGLIA: dopo essersi sposati i coniugi almeno per i
primi mesi, spesso, vivono presso la casa dei genitori del marito. Questa è
un’usanza nella maggioranza della popolazione, in particolar modo nelle
campagne in modo tale da garantire una produttività maggiore e minor
dispersione di risorse. Vivere sotto lo stesso tetto con la famiglia d’origine limita
notevolmente l’autonomia e la facoltà di presa di decisione da parte della
coppia ma tale rinuncia è finalizzata al raggiungimento di un tenore di vita
adeguato sia per la giovane coppia che per la famiglia di origine. Recentemente
si assiste ad una tendenza diffusa all’emancipazione della coppia, rafforzata dal
fenomeno della migrazione e dell’apertura verso la mentalità occidentale.
•
ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: alla nascita la famiglia pensa al
nome del bambino. Talvolta il nome che il bambino porterà lo scelgono i
genitori, ma spesso può essere suggerito da parenti o amici di famiglia. La
scelta viene ufficializzata all’ufficio dell’anagrafe del comune dove la famiglia
risiede, alla presenza di uno dei due genitori. Il neonato solitamente porta il
cognome del padre. Se la coppia divorzia il bambino mantiene lo stesso
cognome.
•
ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: un individuo può ottenere la
cittadinanza albanese per nascita o per acquisizione. È legale la doppia
cittadinanza ma dipende dagli accordi bilaterali, in Italia chi ottiene la
cittadinanza per residenza non può mantenere quella albanese (DPR 362/94).
•
FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: il padre riconosce il
proprio figlio attenendosi alla legislazione in vigore. In caso di divorzio il padre
•
17
è obbligato a contribuire alla crescita del bambino fino all’età di 18 anni. In caso
contrario viene penalizzato giuridicamente e moralmente.
REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: il bambino viene registrato presso
gli uffici dello Stato Civile dell’anagrafe nel momento in cui la famiglia gli
attribuisce il nome. Questo può AVVENIRE ANCHE TRE O QUATTRO GIORNI DOPO LA
NASCITA.
•
CONTRATTO DI MATRIMONIO: il riconoscimento legale della coppia avviene
dopo che la stessa si è presentata presso l’ufficio dello Stato Civile insieme a
due testimoni, e dopo aver sottoscritto il certificato del matrimonio. La coppia
può decidere di compiere questo passo prima o anche dopo la festa del
matrimonio. Pochissime coppie si sposano presso le strutture religiose ad
eccezione delle coppie di religione cattolica.
•
DIRITTI DEI MINORI: l’Albania è tra i paesi che hanno firmato la convenzione
delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo. Si è lavorato in questi anni per
abolire, o perlomeno diminuire, la violenza nei confronti dei bambini in
famiglia e a scuola. Nel passato l’uso della violenza era tollerata dallo Stato. Era
dunque sottointeso che l’adulto, che fosse genitore o educatore potesse usare la
violenza verbale a fini pedagogici.
•
Oggi il bambino è tutelato dalla legge e gode della protezione delle autorità
e delle numerose organizzazioni che lavorano per far rispettare la convenzione,
che il paese ha fortemente voluto riconoscere. Problemi come lo sfruttamento
minorile per traffici illegali, lo spaccio di stupefacenti, quelli degli organi vitali,
la compra-vendita di minori per la prostituzione rimangono delle ferite aperte
per la società albanese, una vera e propria sfida per la giovane democrazia.
•
DIRITTI DELLE DONNE: in Albania sono presenti tanti organismi nazionali ed
internazionali che in continuazione monitorano la situazione e i diritti della
donna sia rispetto alla legislazione, che in caso di abusi e mancanza di
applicazione delle convenzioni internazionali che il paese riconosce e che ha
ratificato. C’è un contrasto forte per quanto riguarda la situazione e il ruolo che
la società riserva alle donne, da una parte queste hanno avuto un ruolo
importante durante la resistenza contro i fascisti e la ricostruzione del paese
come il diritto del voto, il diritto di accesso allo studio e al lavoro, ma in certe
realtà le donne continuano ad essere emarginate nella società. Esistono ancora
dei preconcetti e pregiudizi nei confronti delle donne che rende difficile la loro
partecipazione nella vita pubblica. Le organizzazioni che promuovono i diritti
umani, i media e le istituzioni stesse sostengono e incoraggiano le donne a non
sottomettersi all’autorità maschile e a battersi per far riconoscere il loro ruolo
nella società e far emergere la loro dignità femminile.
•
DIVORZIO, SEPARAZIONE: il divorzio si ottiene dopo che la coppia si è
presentata in tribunale e ha dichiarato di consentire tale atto, oppure ci sono
motivi dimostrabili che l’unione non può andare avanti.
•
•
Il tribunale prende atto e dichiara in poco tempo il divorzio della coppia. I
figli, solitamente, vengono affidati alla madre che per motivi prettamente
18
economici preferisce rientrare nella famiglia di origine e il padre ha il dovere di
contribuire alla loro crescita ed educazione con un assegno mensile fino al
raggiungimento della maggiore età o fino al termine degli studi.
SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI
Al termine della seconda guerra mondiale, l’Albania figurava
come uno dei Paesi europei maggiormente in ritardo nel sistema
educativo. Circa il 90% della popolazione era analfabeta. Fra il 1945
e il 1990 è stato registrato un aumento massiccio delle iscrizioni a
tutti i livelli scolastici, non accompagnato però da un
miglioramento della qualità del sistema educativo. L’eccessiva politicizzazione
della scuola, il suo carattere totalitario, l’inadeguatezza dei metodi di
insegnamento, il formalismo e la burocrazia erano alcune delle caratteristiche
del sistema educativo socialista albanese. Attualmente l’istruzione pubblica è
gratuita. Tuttavia, la spesa finanziaria stabilita per l’educazione non è mai
adeguata e il materiale di base è insufficiente.
•
Le scuole private, laiche o confessionali, sono dette “alternative” e si
differenziano da quelle pubbliche per il loro carattere specialistico. Alcune di
queste sono integrate nel sistema pubblico. Negli ultimi due anni ci sono stati
tentativi di riformare la scuola pubblica comparandola al sistema europeo.
•
Insegnamento generale: corso di studi
Durata
Età prevista
Superiori
4 anni
dai 14 ai 18 anni
Medie*
4 anni
dai 10 ai 14 anni
Elementari*
4 anni
dai 6 ai 10 anni
Materna
3 anni
dai 3 ai 6 anni
* Obbligo scolastico
Fonte: Unesco, Rapport mondial sur l’éducation
SCUOLA DELL’OBBLIGO: la scuola dell’obbligo è costituita da un ciclo di otto
classi, unificato da un punto di vista amministrativo e suddiviso in due livelli:
elementari (classi I-IV) e medie (classi V-VIII). Alla fine dell’ottavo anno è
previsto un esame per il conseguimento della licenza dell’obbligo. La riforma
del 1990 ha esteso l’educazione generale obbligatoria da otto a dieci anni, ma
tale disposizione non è mai stata concretamente realizzata.
•
– Materna.
– Elementari.
– Medie/superiori.
SCUOLA ELEMENTARE: Età prevista dai 6 ai 10 anni. Durata 4 anni. Numero
di allievi per insegnante: 17. Insegnanti donne: 60%.
•
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CALENDARIO: l’anno scolastico è diviso in due semestri. Il primo ha inizio
entro i primi 15 giorni di settembre e termina il 28 dicembre; il secondo
comincia il 12 gennaio e si conclude il 31 maggio per le elementari, il 7 e il 14
giugno per le medie e le superiori.
•
Nel secondo semestre si inseriscono due periodi di vacanza: dal 29 dicembre
all’11 gennaio e dal 30 marzo al 5 aprile. Vengono rispettate le feste musulmane,
ortodosse e cattoliche.
•
Dalla prima alla quinta classe della scuola dell’obbligo le settimane di
insegnamento sono 35, dalla sesta all’ottava 34. Le ore di scuola alla settimana
sono 23 per la prima e la seconda classe, 25 per la terza, 27 per la quarta, 29 per
la quinta, 30 per la sesta e 32 per la settima e l’ottava. I giorni di frequenza
settimanale sono 6, dal lunedì al sabato dalle 8.00 alle 12.00.
•
•
Sono previsti attività pomeridiane di tipo curriculare e tempo libero per il
gioco a scuola. Vengono assegnati compiti a casa. I piani di insegnamento
inglobano un totale di 16 discipline.
Alle elementari tutte le materie sono insegnate da un unico maestro, a
partire dalla quinta le lezioni sono impartite da più insegnanti.
•
La lingua d’insegnamento è l’albanese; in base alla costituzione, le
minoranze nazionali hanno il diritto di studiare nella loro lingua madre.
•
OBBLIGHI E DIVIETI: nel corso della scuola elementare (classi I-IV), le lingue
straniere non sono materia di studio, anche se nelle città è stato avviato un
programma sperimentale che prevede l’introduzione dell’inglese dalla seconda
elementare. L’inglese e il francese vengono introdotti in prima media. La
riforma dell’educazione del 1990 ha prodotto radicali cambiamenti nel
programma della scuola generale e obbligatoria.
•
Il tema dell’educazione sociale è stato introdotto al posto dell’educazione
morale e politica. L’allenamento militare e il lavoro fisico, così come lo studio
del marxismo-leninismo, sono stati abbandonati e sostituiti da altre discipline
sociali, come ad esempio educazione civica.
•
VALUTAZIONE: la valutazione degli studenti è effettuata trimestralmente e
individualmente. Nel primo anno delle elementari viene dato un voto in decimi
complessivo, in quelli seguenti un giudizio per ogni materia. La promozione da
un anno all’altro si realizza in modo automatico, in base ai progressi annuali
degli studenti ed è prevista la bocciatura.
•
•
È necessario superare un esame alla fine della quarta elementare per
accedere alla prima media. Alla fine delle medie, è previsto un esame – scritto e
orale – di lingua e letteratura albanese e matematica. Ai ragazzi che lo superano
è rilasciato un certificato, detto degli “otto anni”, che consente l’accesso al
pubblico impiego. La scuola è laica e al momento non è previsto l’insegnamento
della religione nella scuola dell’obbligo. Le scuole superiori sono d’indirizzo
generale o professionale. Alla fine di 4 anni di studio è previsto l’esame di
maturità. Dopo la maturità si può accedere all’università. Le prime Università
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in Albania iniziano negli anni Cinquanta. Le Università si trovano a Tirana e
nelle principali città albanesi (Valona, Elbasan, Scutari).
VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE
Nonostante le difficoltà, la solidarietà tra le famiglie è
sopravissuta. ci si aiuta in caso di bisogni economici, in
occasioni di eventi particolari come matrimoni, funerali, ecc. è
mantenuta viva la tradizione di curare il territorio comune
come le pulizie che le donne fanno di domenica ai vicoli o alle
scale dei condomini, gli stessi che i bambini con fantasia trasformano in terreni
di gioco. se capita di passare vicino a parchi o giardini pubblici non si può non
accorgersi di gruppi di anziani e di uomini di mezza età, che con i loro
seggiolini e tavolini passano ore giocando a carte, domino o a tavull (gioco
popolare di origine turca). i bar sono sempre pieni di clienti, dove il caffè si
prende senza fretta, e dove nel frattempo si applica l’hobby degli albanesi, il
gossip, o thashetheme come si usa dire in lingua. c’è un ritorno all’applicazione
del kanun, che originariamente era un pacchetto di “leggi”, una specie di editto
medievale, una forma di gestione e autonomia, localizzata alle zone montuose
del nord, a dispetto dell’autorità ottomana. tanti conflitti tra le famiglie di
questa zona finiscono in tragedie e in vendette di sangue. intere famiglie vivono
recluse all’interno delle proprie case per paura che i membri possano uccisi
inclusi i bambini. possono uscire invece le donne, che secondo la tradizione non
possono diventare un bersaglio. il governo ha costituito dei veri e propri
commissariati per la riconciliazione di queste famiglie, ogni comune dove il
problema è presente ne ha uno. Inoltre, per i bambini che non possono
frequentare le scuole si organizzano lezioni domiciliari. Il paese si trova a fare i
conti con la modernità.
•
Altra questione che si affronta negli ultimi anni è la condizione della donna
e le differenze di genere. L’uomo spesso ha preso le decisioni e condizionato il
modello di vita della donna. La donna si è adeguata nel passato anche in
occasioni molto importanti, come la scelta del marito. Il poeta e romanziere
albanese Anton Zako Cajupi nella sua opera Quattordicenne genero dà un
immagine più che veritiero delle differenze di genere all’inizio dell’ottocento,
che in parte è ancora valido nei giorni nostri. La sua opera è una denuncia
satirica e sarcastica, ma al tempo stesso reale e triste. Famosa in Albania la sua
poesia che mira a dare una scossa alla pesante situazione e al faticoso ruolo
della donna nella famiglia, è un tentativo di invitare gli uomini a riflettere sul
loro ruolo e sugli impegni famigliari. Burrat nen hije / lozin kuvendojne / pika qe su
bie / se nga grate rrojne: gli uomini sotto l’ombra / giocano e parlano / un accidente li
possa prendere / perché grazie alle donne campano.
•
Oggi, grazie anche al lavoro fatto dallo stato socialista la donna è più
emancipata e partecipa di più alla vita sociale e produttiva del paese. Se prima
della seconda guerra mondiale, la donna non poteva lavorare in luoghi come la
fabbrica, in uffici amministrativi, non poteva partecipare ed essere membro di
•
21
un partito politico, adesso è libera di farlo. In famiglia, sempre di più, marito e
moglie condividono gli impegni. I centri urbani più grandi offrono questa
possibilità, mentre nei centri più piccoli e in campagna la questione è diversa. Si
fa fatica a sradicare certi concetti e pregiudizi del passato. L’apertura ideologica
e la condivisione della mentalità occidentale facilita molto il processo.
L’emigrazione in paesi della comunità europea e non solo diventa un
catalizzatore. Oggi è contrastante lo status della donna, tante contraddizioni
sono presenti nella relazione tra i generi. Da un lato esiste l’apertura, la
conquista di alcuni diritti e la tendenza alla parità tra i sessi. Un esempio è
l’introduzione e l’applicazione della pianificazione familiare, fortemente voluto
dalle donne, che fino a pochi anni fa erano escluse o quasi da questa decisione.
L’aborto è legale da molti anni. Ma al tempo stesso permangono lati oscuri,
come l’esercitazione di violenza in famiglia nei confronti delle donne, e lo
sfruttamento di giovani donne come le prostitute da parte di organizzazioni
criminali in Italia, Francia, Olanda, Inghilterra e altri paesi occidentali.
STILI ALIMENTARI
La cucina albanese è un incrocio di sapori tra l’oriente e
l’occidente, in certe regioni simile a quella degli altri paesi
balcanici, con radice nella tradizione turca e greca. Per il
pasto quotidiano spesso si prepara un piatto unico,
accompagnato da bevande alcoliche come rakia o vino, o da
quelle analcoliche come succhi di frutta o limonate, invece
diventa ricca nell’occasione di feste o di ospiti.
•
La colazione è spesso sostanziosa fatta di tè, latte, succhi di frutta, pane e
marmellata, zuppe, pane e uova strapazzata fatto in padella. Si consumano tanti
ortaggi con i quali d’inverno si preparano zuppe calde, e d’estate si usano per
fare insalate oppure cucinate in padella o al forno. Possono essere pomodori,
peperoni, cipolle, melanzane, zucchine, ecc. Si fa ampio uso delle spezie per
condire zuppe e cibi cotti al forno. La carne cucinata in tanti modi costituisce
uno dei cibi più importanti della cucina locale.
•
I piatti tradizionali sono le minestre a base di brodo di carne o di pollo, i
secondi a base di verdure ripiene con la cipolla e la carne macinata o riso, il
byrek, una sfoglia fatta a mano, ripiena di formaggi oppure di verdure di
stagione. Per quanto riguarda i dolci si usa molto la frutta secca, soprattutto
noci e mandorle, il burro, lo sciroppo di zucchero. Era una tradizione molto
diffusa la preparazione a casa delle verdure sott’olio e marmellate di frutta, che
le donne preparavano in estate per usare durante i mesi invernali. Il pane in
tavola non deve mai mancare.
•
22
RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DELLA VITA
Ogni rito è accompagnato da visite di parenti, amici, vicini
di casa e alle volte dell’intera comunità, questo per dimostrare
la vicinanza con la persona e la famiglia, e per voler condividere
la gioia o il dolore con chi festeggia o si dispera. In queste visite
si beve il caffè e si lascia sulla tazzina una somma di denaro, in
segno di sostegno anche materiale, per facilitare le difficoltà che la famiglia può
incontrare.
•
NASCITA: di un figlio è una gioia per l’intera famiglia allargata. È segno di
continuazione della famiglia, del cognome. Il padre spera che nasca un figlio
maschio, che diventerà “braccio” di lavoro e erede di nome e tradizioni; la
madre vuole una figlia che possa aiutarla nei lavori di casa e condividere con lei
tante cose. Le donne fanno visite e portano alla madre frittelle e regali per il
neonato diversamente chiamati peshqeshe.
•
•
MATRIMONIO: è il passo successivo al fidanzamento ufficiale. Il
fidanzamento è inteso come momento in cui la coppia ha già preso la decisione
di sposarsi, il futuro sposo regala l’anello alla futura sposa e da quel momento i
due sono destinati a sposarsi. I festeggiamenti per il matrimonio durano di
solito due giorni. Sabato festeggiano entrambe le famiglie, ognuno a casa
propria, ma è considerata la festa della sposa. Domenica invece tocca allo sposo
che con una delegazione di familiari, parenti e amici, chiamati krushqi, va a casa
della sposa. Il momento più importante è quando la sposa saluta i suoi
familiari, e arriva a casa dello sposo, che diverrà la sua casa.
FUNERALE: quando una persona viene a mancare, la notizia si diffonde dalla
famiglia tramite i “lajmetar”, ovvero gli annunciatori, che vanno nelle case di
parenti e amici. Di notte si veglia la salma. Le donne esprimono il loro dolore
piangendo attorno al corpo senza vita nella camera ardente. Gli uomini di casa
ricevono le persone arrivate a portare le loro condoglianze. Si prende il caffè
amaro.
•
SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI
La sanità è pubblica e i servizi sanitari sono gratuiti. C’è molta
carenza d’attrezzature e ambienti adatti per offrire alla
popolazione buoni servizi. Gli ospedali sono sotto diretta
dipendenza del Ministero della Sanità. Nei piccoli centri urbani
esistono gli ambulatori dotati di un reparto per la maternità, un
ambulatorio dentistico, un medico generico più tre o quattro infermiere. Le
famiglie non hanno un proprio medico, nelle grandi città presso gli ambulatori
c’è un medico di riferimento. Per le emergenze è necessario trasportare il malato
all’ospedale del capoluogo del distretto, e molto spesso nella capitale, dove le
strutture e il personale è più specializzato. Di questo fase difficile se ne
avvantaggia il settore privato, costruendo cliniche ben attrezzate, dove sempre
più i malati vanno a curarsi.
•
23
Ci sono vaccinazioni obbligatorie contro malattie come il tetano, il morbillo,
l’epatite e la poliomielite. Malattie come l’Aids fino a pochi anni fa sconosciute,
si sono diffuse in particolare nei grandi centri urbani. Le strutture non sono
preparate e attrezzate per far fronte alla crescita del numero dei malati. Esiste il
potenziale rischio della diffusione di malattie come la dissenteria e la
poliomielite, come è già successo in passato a causa di vaccini conservati male.
Nonostante ciò la sanità negli ultimi anni nel paese è migliorata con nuove
conoscenze e tecnologie.
•
FIABE TRADIZIONALI
La trasmissione orale di storie, miti e leggende è uno dei
pilastri della cultura albanese. Ci sono fiabe tradizionali con dei
personaggi come “Qeros” il più piccolo dei fratelli che sembra
quello più riservato e timido, ma che riesce a superare le
difficoltà. Sono un classico nell’immaginario collettivo le sere
davanti al camino, a lume di candela, dove il genitore o il nonno racconta le
fiabe ai bambini. La fiaba di Esodo della volpe e l’uva si racconta in rima. Tante
sono le fiabe di Mille e una notte adottate e raccontate ai bambini.
•
Insieme alle fiabe ci sono tante leggende raccontate o cantate, che
trasmettono dei valori come il coraggio, “besa” – mantenere le promesse fatte e
molti altri.
•
Questa è la leggenda di Rozafat, il castello della città di Scutari.
… La nebbia cadde sulla Boiana e la ricopri tutta. Per tre giorni e tre notti.
Dopo tre giorni e tre notti un vento leggero disperse la nebbia, spingendola fino
alla collina di Valdanuz. Qui, in cima alla collina tre fratelli lavoravano ad
innalzare una fortezza. Ma il muro che innalzavano di giorno rovinava di notte, e
così i lavori non procedevano.
Passa di lì un vecchietto. “Buon lavoro, ragazzi”. “Grazie, nonnino. Ma dove lo
vedi il nostro buon lavoro? Di giorno lavoriamo e di notte tutto va in rovina.
Puoi darci un consiglio? Come possiamo fare perché il muro resti in piedi?”. “Io
lo so ‘dice il vecchio’ ma farei un peccato a dirvelo”. Quel peccato ricada pure su di
noi, perché noi vogliamo che questa fortezza resti in piedi”. Il vecchio pensa un po’
e infine chiede: “Siete sposati, giovanotti? Avete tutti e tre moglie?”.
“Siamo sposati” rispondono. “Tutti e tre abbiamo moglie. Dicci, dunque: che cosa
dobbiamo fare perché questa fortezza resti in piedi?”. “Se volete che resti in piedi,
legatevi l’un l’altro con un giuramento: non dite nulla alle vostre mogli, a casa non
fate parola di quello che vi dico. Quella delle tre cognate, che domani verrà a
portarvi da mangiare, prendetela e muratela viva nel muro della fortezza. Allora
24
vedrete che il muro si rafforzerà e resterà eretto per anni è anni”. Così disse il
vecchio, e se ne andò. Nessuno lo vide più. Ahimé! Il fratello più grande tradì la
parola data. Ne parlò in casa, disse così e così a sua moglie, raccomandandole di
non andare da loro il giorno dopo. Anche il secondo tradì la parola data: raccontò
tutto a sua moglie. Soltanto il più piccolo mantenne la parola: non ne parlò in
casa, non disse nulla a sua moglie.
La mattina seguente i tre fratelli si alzano di, buon mattino e vanno al lavoro.
Battono i martelli, si spezzano le pietre, battono i cuori, si innalzano i muri…
A casa, la madre dei tre fratelli non sa nulla. Dice alla nuora maggiore: “Figliola,
i mastri aspettano il pane è l’acqua; aspettano anche la borraccia del vino”.
“Parola mia, mamma, oggi non posso andare, perché non sto bene. “La madre
allora si rivolge alla seconda: “Figliola, i mastri aspettano il pane e l’acqua;
aspettano anche la borraccia del vino”. “Parola mia, mamma, oggi non posso
andare, perché voglio andare a stare un po’ dai miei”.
La madre dei tre fratelli allora si rivolge alla nuora più giovane: “Figliola…”.
La nuora scatta in piedi: “Dimmi pure, mamma!”.
“I mastri aspettavo il pane e l’acqua; aspettano anche la borraccia del vino”.
“Parola mia, mamma, io ci vado; ma ho il bambino piccolo. Temo che voglia
allattare e si metta a piangere”. Le dicono le cognate: “Vai pure, ché al bambino
penseremo noi, non lo faremo piangere. Stai tranquilla”.
La nuora più giovane, la nuora buona, si alza, prende pane e acqua, prende la
borraccia del.vino, bacia il bambino sulle guance, si mette in cammino. Arriva a
Kaze, incomincia a salire sulla collina di Valdanuz, si avvicina al luogo dove
lavorano i tre mastri, i due cognati e il marito: “Buon lavoro, o mastri!”. Ma che
succede? I martelli si fermano e non battono più. Sono i cuori che ora battono più
forte. Sbiancano i volti. Quando il più giovane vede la moglie, si lascia cadere di
mano il martello, maledice la pietra e il muro. La moglie gli dice: “Che cos’hai,
marito mio? Perché maledici la pietra e il muro?”. Interviene il cognato più
grande: “Tu sei proprio nata sfortunata, o cognata. Noi abbiamo deciso di
murarti viva nelle mura della fortezza”.
“Buona fortuna a voi, cognati! Vi raccomando solo una cosa: quando mi murerete,
lasciatemi scoperto l’occhio destro, lasciatemi scoperta la mano destra, lasciatemi
scoperto il piede destro, lasciatemi scoperta la mammella destra. Perché mio figlio è
ancora piccolo e quando si metterà a piangere, con un occhio lo vedrò, con una
mano lo accarezzerò, con un piede muoverò la sua culla, e da una mammella lo
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allatterò. Che il mio petto sia murato, che la fortezza sia costruita, che mio figlio
diventi un prode, diventi un re e possa regnare!”. I tre fratelli prendono la giovane
e la murano nelle fondamenta della fortezza. E le mura si alzano, crescono sempre
più, non rovinano come prima…
Ma ai piedi delle mura le pietre ancora oggi sono umide e ricoperte di muschio,
perché continuano a scorrere le lacrime della madre per suo figlio… E il figlio
crebbe, andò in guerra, divenne un prode.
La vecchia che ingannò la Morte
C’era una volta una donna così vecchia che si diceva fosse la nonna del primo uomo
apparso sulla Terra. Eppure era così vispa che spolverava e lavava e cuciva,
proprio come una sposina.
A morire non ci pensava affatto, e diceva: “La Morte si è dimenticata di me,
oppure ha deciso di lasci armi in pace”.
Un bel giorno, invece, la Morte pensò che era arrivata l’ora di andarla a prendere,
e bussò alla sua porta. La vecchia andò ad aprire con le mani insaponate e, senza
scomporsi, disse che stava facendo il bucato e che prima di morire doveva
assolutamente sciacquare, asciugare e stirare le sue lenzuola. “Va bene, tornerò
domani mattina” disse la Morte, che in fondo era gentile, e sulla porta scrisse
“Domani” con un pezzo di gesso.
Il giorno dopo, puntuale, bussò di nuovo. La vecchia aprì, tutta sorridente, e disse:
“Devi esserti sbagliata, signora Morte: sei stata tu a scrivere ‘Domani’ sulla mia
porta, sì o no? E allora verrò con te domani, e non oggi”.
La morte si grattò la testa, guardò e riguardò la scritta sulla porta e alla fine
disse: “Credo che tu abbia ragione. Va bene, ci vediamo domani”.
Ma quando tornò la vecchia le fece lo stesso discorso, e il giochetto andò avanti
per un pezzo, finché la morte si spazientì, cancellò la parola dalla porta e disse:
“Questa è l’ultima volta! Domani tornerò e ti porterò via, qualunque cosa tu dica
o faccia”.
La vecchia passò tutta la notte sveglia, a pensare come avrebbe potuto scamparla
ancora, ma l’unica cosa che le venne in mente fu di nascondersi nel barilotto del
miele.
26
Così, quando la Morte bussò, si tuffò nel barile, lasciando fuori soltanto il naso.
Ma poi pensò che la Morte poteva sollevare il coperchio per assaggiare il miele, e
si nascose in un cesto di piume.
“No, mi troverà anche qui”. Si infilò nel sacco della farina e subito ne uscì, in
cerca di un nascondiglio migliore.
La Morte, intanto, era entrata in casa e già allungava la mano per afferrare la
vecchia e cacciarla nel suo sacco. Ma invece della donna che era venuta a prendere
vide una orribile creatura piumata e bianca, gocciolante e viscida, che non era né
bestia né uomo.
Con un grido di terrore, infilò la porta e non tornò mai più a cercare la vecchia, che
deve essere viva ancora oggi4.
RICETTE
Agnello al forno con yogurt (Tave kosi)
Ingredienti: tave kosi1 1/2 kg di gambe o spalla d’agnello, sale,
pepe, 3/4 tazza di burro, 2 cucchiai di riso, 1 kg di yogurt, 5 uova
sbattute, 1 cucchiaio di farina.
Preparazione: tagliate la carne in 4 porzioni. Condite con sale e pepe a piacere.
Spruzzateci sopra 1/4 tazza di burro e infornate a 170°C inumidendola ogni
tanto con il sugo che si forma sul fondo della casseruola, per circa 40 minuti o
fino a che sia ben arrostita.
Incorporate il riso nella casseruola. Rimuovete la teglia dal forno e mettetela da
parte mentre preparate la salsa di yogurt.
Miscelate lo yogurt col sale e il pepe a piacere. Incorporate le uova fino ad
ottenere un composto omogeneo e mettete da parte.
Fate sciogliere 1/2 tazza del burro rimanente e aggiungetevi la farina. Saltate il
composto fino a che diventi omogeneo e morbido. Aggiungete il composto di
yogurt e mescolate fino a che sia ben incorporato. Versate la salsa di yogurt
nella teglia mescolandola ai pezzi di carne e infornate a 190°C per 45 minuti.
Servite caldo.
Pasticcio di coniglio con cipolle e aceto (Comlek)
Ingredienti: 1 coniglio in pezzi, 4 pomodori di media grandezza tritati o 2
cucchiai di concentrato di pomodoro, 2 foglie d’alloro, 4 cucchiai di aceto di
vino rosso, 150 ml di olio d’oliva, 1/4 di cucchiaino di zucchero, 4 spicchi
4
Lazzarato F., Ongini V., La vecchia che ingannò la Morte, Libri per ragazzi Mondadori, Mondadori,
Milano, 1992, pp. 52-54.
27
d’aglio interi, 300 ml di acqua calda, piccolo pezzi di cannella, sale e pepe nero,
4 bacche di pepe di Giamaica, 700 g di cipolline sbucciate e lasciate intere, 1
rametto di rosmarino, 1 bicchierino di vino rosso secco.
Preparazione: marinate il coniglio nell’aceto con le foglie di alloro per una notte
nel frigorifero o per un paio d’ore prima di cucinarlo. Rimuovete i pezzi di
coniglio dalla marinatura, asciugateli e friggeteli nell’olio d’oliva fino a
doratura su entrambi i lati. Conclusa la frittura del coniglio, mettete i pezzi di
carne nuovamente nella casseruola. Aggiungetevi gli spicchi d’aglio, le foglie
d’alloro, le spezie, il rosmarino e il vino. Quindi aggiungete la passata di
pomodoro, lo zucchero e l’acqua calda.
Condite e coprite la casseruola e cuocete per circa 1 ora. Nel frattempo, scaldate
l’olio d’oliva rimanente in una casseruola da frittura e soffriggetevi le cipolle.
Mescolatele occasionalmente per essere sicuri che diventino completamente dorate
(per 15 minuti circa). Aggiungete il contenuto della padella da frittura nella casseruola
e mescolate bene così che le cipolle si distribuiscano omogeneamente. Quindi coprite
nuovamente la casseruola e lasciate bollire per altri 15 minuti. Servite con patatine
fritte o riso bianco e insalata verde.
POESIA
Padre Gjergj Fishta, sacerdote francescano ha scritto Canti spirituali
(1906), Il meriggio delle Muse (1913), L’asino di Babatasi (1923), il
poema epico Il liuto della montagna (1937).
Millosh Gjergj Nikolla conosciuto meglio come Migjeni nacque a
Scutari il 13 ottobre 1911.
Appartiene al realismo critico. Studiò a Torino. Scrisse il libro Vargjet e lira. È un
personaggio importante, portò innovazione nella poesia albanese. A lui è
dedicato il Teatro Nazionale di Scutari.
Recita del montanaro
Oh, perché non ho un pugno forte/ Per colpire al cuore la montagna silenziosa,
/perché si renda conto anche lei cosa vuol dire cadere /debole, nell’agonia, come
colosso ammazzato. /Io, affamato, come ombra inquieta, /erede della sofferenza e
della pazienza, /penetrando nel ventre della montagna con l’acqua del risveglio/e
con le urla insoddisfatte dell’istinto. /La montagna tace. /Anche se ogni giorno /
sulla sua pelle, col gioco della sepoltura, /cerca di trovare un boccone migliore.
/Ma m’inganna la svergognata, la speranza m’inganna. /La montagna tace e
nel silenzio ride. /Ed io soffro e nella sofferenza io muoio. /Ma io, quando,
quando, quando riderò? /Oppure, devo prima morire? /Oh perché non ho un forte
pugno /per colpire al cuore la montagna silenziosa? /Per vedere come trema, per
il pugno fuorilegge. /Ed io divertirmi, ridendo.
28
LETTERATURA
Prima che nel 1909 si provvedesse alla standardizzazione
dell’albanese scritto la letteratura albanese era praticamente
inesistente. Fan Noli, morto nel 1965, è il principale scrittore
albanese del XX secolo. La maggior parte delle sue opere
vertono su tematiche religiose; egli però scrisse anche alcune
prefazioni a traduzioni di opere di Cervantes, Shakespeare, Ibsen e Omar
Khayyám, che ne fecero il critico letterario più famoso del paese. Lo scrittore
albanese contemporaneo più conosciuto è Ismail Kadaré, che nel 1990 aveva
abbandonato la polizia di stato. Le sue opere sono state tradotte in 40 lingue.
•
Ismail Kadaré: è nato nel 1936 ad Argirocastro, in Albania. Si è laureato in
lettere all’università di Tirana ed all’università Gor’kij di Mosca. Nel 1990 si è
trasferito in Francia, il paese dove tuttora vive. È considerato il più grande
portavoce della cultura albanese nel mondo.
•
•
Ha scritto: I tamburi della pioggia, La Piramide, Il palazzo dei sogni.
INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
PER EVENTUALI APPROFONDIMENTI
Biagini A., Storia dell’Albania, Bompiani, Milano, 1998. Le difficili e
tragiche vicende del popolo albanese dalle origini fino ai giorni
nostri.
Facchi L.,Albania questa sconosciuta, Editori Riuniti, Milano, 2002.
Descrive e documenta il viaggio compiuto da una delegazione del
Premio Grinzane Cavour a Tirana, durante il quale scrittori e intellettuali italiani e
albanesi si sono conosciuti e confrontati.
Il megafono di Dio, Baldini & Castoldi, Milano, 2003. Due donne raccontano la loro
realtà e il loro desiderio di emancipazione nella società albanese rurale, ancora
segnata da tradizioni arcaiche.
Kadaré I. I tamburi della pioggia, Tea, Milano, 1997. Narra dell’invasione dei Turchi
ottomani, che combatterono nel XV secolo in Albania una delle più lunghe e
sanguinose guerre che la storia ricordi.
Il generale dell’armata morta, Tea, Milano, 1997. Un generale e un cappellano
dell’esercito italiano tornano in Albania vent’anni dopo la fine dell’ultima guerra,
alla ricerca dei soldati morti o dispersi.
Il palazzo dei sogni, Tea, Milano, 1998. Scritto e pubblicato in Albania, prima dell’esilio
volontario dell’autore in Francia, narra di un immaginario potere burocratico a capo
del paese, fin nelle più remote province. Alla luce delle vicende più attuali questo
romanzo si rivela profetico.
Aprile spezzato, Guanda, Milano, 2001. Un avvincente romanzo ambientato sugli
altopiani all’interno dell’Albania, racconta la storia d’amore tra un assassino in fuga
e la bella moglie di un brillante scrittore.
Il ponte a tre archi, Longanesi, Milano, 2002. Una storia ambientata nell’Albania del
1377 in cui si intrecciano destini e enigmatici personaggi.
29
Morozzo della Rocca R., Albania. Le radici della crisi, Guerini e associati, Milano, 1997.
Offre il quadro della crisi albanese causata dalla dittatura, dalla caduta del
comunismo, dalla difficile integrazione europea e dalla criminalità organizzata.
Nazione e religione in Albania, Besa, Lecce, 2002. Cerca di spiegare la realtà
dell’Albania in cui, a differenza di molti altri paesi balcanici, musulmani, ortodossi e
cattolici convivono in un clima di tolleranza.
Percorsi del sacro. Icone dai musei albanesi, Elemond – Electa, Milano, 2002. Il catalogo
della mostra tenutasi a Vicenza, alle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari nel 2002.
Sono raffigurate e descritte 70 icone, dal tardo medioevo al tutto l’ottocento.
Polovina Y., Rai & Albania, Rai – Eri, Roma, 2002. Il volume analizza il ruolo giocato
dalla televisione italiana in Albania durante il mezzo secolo di dittatura, e aiuta a
conoscere anche l’élite culturale, intellettuale albanese.
Zarrilli L., Albania. Geografia della transizione, Franco Angeli, Milano 1999. Fornisce un
contributo alla conoscenza della società albanese, che partecipa al tormentato
processo del riassetto della penisola balcanica
SITOGRAFIA
www.albania.com: informazioni generali sull’Albania (in inglese e
albanese).
www.osservattoriobalcani.org: aggiornamenti e approfondimenti (in
italiano).
www.notizieest.it: notizie sul paese (in italiano).
www.mapzones.com: informazioni di carattere geo-politico (in inglese).
www.theodora.com: sito dell’associazione “Theodora” che informa e promuove
iniziative sul paese (in inglese).
www.ata-al.net: il sito dell’agenzia telegrafica albanese (in inglese e albanese).
www.balkanweb.com: sito informativo sulla situazione socio-politica della regione (in
inglese e albanese).
www.ansa.it: all’interno del sito lo speciale balcani che informa il pubblico su varie
notizie e iniziative nella regione.
www.ahc.org.al: il sito del Comitato Albanese per i Diritti e le Libertà della Persona (in
inglese).
www.crca.org: il sito dell’Organizzazione Nazionale per i Diritti dei Bambini (in
inglese).
30
DANZE
Il ballo nazionale albanese è il Valle, ballato a semicerchio o in circolo su un
ritmo sempre più veloce.
Ma è famosa anche la danza del vaso che si balla tenendo un recipiente pieno
d’acqua in equilibrio sulla testa. Le danze guerriere, che si eseguono tenendo in
mano spade e pugnali e rappresentano duelli e combattimenti, sono riservate
algi uomini. Oggi naturalmente queste danze le conoscono in pochi ma non
sono ancora del tutto scomparse. L’occasione migliore per vederle è il festival
folkloristico che si tiene ogni cinque anni a gjiroaster una città dell’Albania
meridionale.
31
32
Cina
di Daniele Cologna
DATI GENERALI
La Repubblica Popolare Cinese (Zhonghua Renmin Gongheguo) è il più
vasto stato asiatico e una delle culle della civiltà in Asia. A Nord la RPC confina
con Mongolia e Russia, a Nord-Est con la Corea del Nord, a Sud con il Vietnam,
il Laos, il Myanmar (Birmania) e l’India, Sud-Ovest con Bhutan Nepal e India, a
Ovest con il Pakistan, l’Afghanistan e il Tagikistan, a Nord-Ovest con il
Kirghizistan e il Kazakistan. A Est si affaccia sul Mar Giallo e sul Mar Cinese
Orientale, a Sud-Est sul Mar Cinese Meridionale, le cui acque sono rivendicate
dalla RPC come proprie acque territoriali fino alle isole Natuna, grosso modo in
corrispondenza del 5° parallelo. L’ampiezza delle sue frontiere e la complessità
dei rapporti diplomatici che ne deriva sono una componente importante delle
sfide che la Cina deve affrontare come potenza regionale asiatica, con
ripercussioni rilevanti anche per le sue ambizioni di nuova superpotenza. Ma
forse le sfide cruciali per il paese stanno nella grande eterogeneità della sua
geografia fisica, economica e umana interna: ben due terzi del suo territorio
sono deserti, steppe o inospitali altopiani ghiacciati, mentre solo un decimo di
esso è attualmente disponibile per la coltivazione di derrate alimentari.
L’orografia del paese, con il suo immenso altopiano tibetano (i cui contrafforti
sono costituiti dalle più elevate catene montuose del paese: Himalaya e
Kunluni), i deserti del Taklamakan e del Gobi, le grandi steppe della Mongolia
interna, il dedalo di catene montuose che si intersecano nella parte più popolosa
del paese, dalle pianure irrigue del Wei e del Fiume Giallo verso le coste
orientali e meridionali, ha da sempre posto grandi problemi allo sviluppo e al
mantenimento di vie di comunicazione.
Abitanti: 1.265.830.000 (cens. 2000)
Estensione geografica: 9.572.900 kmq
Continente: Asia
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Incremento demografico: 6,7% (2001)
Vita media: m. 70; f. 74 (2001)
PIL: 1.240.621 milioni di U.S. $ (2002)
Mortalità infantile: 31% (2001)
Alfabetizzazione: 90,9% (2002)
Densità di popolazione: 139 ab./ Km2
Lingua ufficiale: cinese hanyu putonghua, lett. “lingua cinese comune”.
Religione/i: non religiosi/atei 63,9%; religioni popolari cinesi 20,1%; buddisti 8,5%;
cristiani 6%; musulmani 1,4%.
Gruppi etnici: Han 91,6%; Zhuang 1,4%; Mancia 0,9%; Hui 0,8%; Miao 0,6%; Uiguri
0,6%; Yi 0,6%; Tujia 0,5%; Mongoli 0,4%; Tibetani 0,4%; altri 2,2%. A 55 gruppi etnici è
riconosciuto lo status di “minoranza nazionale”.
Regime politico: Repubblica popolare a partito unico marxista leninista (repubblica
socialista unitaria e multinazionale).
LE FESTE PRINCIPALI
Le feste tradizionali più importanti per la popolazione
cinese (al contrario delle feste “moderne” come la festa
nazionale il primo di ottobre, o internazionali come la festa del
lavoro il primo di maggio e la festa delle donne l’otto di marzo,
che sono scandite dal calendario solare) fanno riferimento al
calendario lunare i cui mesi durano quanto le rivoluzioni lunari
attorno alla terra, ovvero 29 giorni e mezzo. Nel calendario lunare si alternano
mesi di 29 e 30 giorni, mentre l’anno è composto da 12 mesi, più un mese
aggiuntivo che permette periodicamente di mantenere la corrispondenza del
calendario con le fasi lunari. I nomi dei mesi vanno da primo a dodicesimo,
mentre nel caso di un anno composto da 13 mesi, un mese viene nominato come
bis (il cosiddetto “mese intercalare”) di un mese dal secondo all’undicesimo.
Ogni mese ha inizio all’apparizione della nuova luna e il suo quindicesimo
giorno corrisponde alla luna piena.
CHUNJIE O CAPODANNO LUNARE (LETT. “FESTA DELLA PRIMAVERA”): dura dal
ventisettesimo giorno dell’ultimo mese al quindicesimo giorno del nuovo
anno lunare. La festa è celebrata in modo spettacolare, con fuochi
d’artificio, danze (come la celebre danza del leone, tipica soprattutto
nelle province meridionali), scambio di doni e di dolci. Le case vengono
pulite scrupolosamente, si rinnovano i distici votivi (duilian) in rima che
adornano gli stipiti delle porte, scritti in caratteri neri o dorati su carta
rossa (una tradizione tuttora molto viva in campagna e nei centri urbani
minori). Il rosso è molto usato come simbolo di fortuna mentre l’oro è il
colore dominante per simboleggiare il desiderio di prosperità. Sulle porte
e finestre si appendono rombi di cartoncino rosso sui quali viene
tracciato il carattere fu, “felicità”. Tali cartoncini vengono appesi
34
capovolti, in modo da suggerire un arguto gioco di parole:
“capovolgere” in cinese si dice dao, parola che è omofona (ovvero ha lo
stesso suono) del verbo cinese dao, “arrivare”: quindi capovolgere il
carattere fu equivale a dire “la fortuna è arrivata!”.
Il capodanno cinese può cadere tra il 21 gennaio e il 21 febbraio dell’anno
solare, ed è chiamato festa di primavera poiché segna la fine
dell’inverno. In corrispondenza del capodanno tutto il paese si agita e si
muove, mentre milioni di persone affollano stazioni e aeroporti per
tornare alla casa natale per festeggiare con parenti e vecchi amici. Si
consumano in quest’occasione cibi particolari: al Nord soprattutto ravioli
(jiaozi), confezionati in modo da ricordare la forma “a barchetta” (o, come
dicono i cinesi, “a scarpetta”) dei lingotti d’oro e d’argento in uso in
epoca imperiale, spesso aggiungendo nel ripieno di un solo raviolo una
caramella (chi la trova sarà la persona più fortunata della famiglia nel
corso del nuova anno); al Sud si preferisce invece preparare i niangao
(specie di gnocchi che si ottengono tagliando a dischi sottili un cilindro
di pasta di riso glutinoso), la cui forma ricorda le monete. Come le
lenticchie in Italia, anche per ravioli e gnocchi in Cina vale la tradizione
che più se ne mangia, più prospero sarà il nuovo anno. L’augurio
tradizionale più comune è gongxin facai “fortuna e prosperità”.
YUANXIAOJIE O FESTA DELLE LANTERNE (LETT. “FESTA DEGLI GNOCCHI ROTONDI”):
ha luogo il quindicesimo giorno del primo mese, quando sorge la prima
luna piena dell’anno e la fine dei festeggiamenti per il nuovo anno.
Schiere di lanterne con vari disegni vengono appese all’esterno delle case
come decorazione, una tradizione che ha origini buddiste. I bambini si
fabbricano da sé piccole lanterne con le quali girano per le strade. Dalla
dinastia Song (960-1290 d.C.) in poi è d’uso decorare le lanterne appese
fuori casa con brevi indovinelli in rima: chi passando li indovina potrà
ricevere un piccolo dono dal padrone di casa. Si mangiamo i yuanxiao
(anche detti tangyuan), ovvero gnocchi di riso glutinoso con ripieno dolce
(in genere a base di pasta di fagioli rossi, sesamo tostato, pasta di jojoba,
noci, frutta secca, petali di rosa, zucchero e olio vegetale) o più raramente
salato. Sono piccoli e rotondi, possono essere bolliti in una zuppa
d’acqua e zucchero, oppure consumati cotti al vapore o fritti. Dato che la
parola tangyuan, “palline dolci”, ha una pronuncia simile a quella della
parola
tuanyuan,
“riunione,
ricongiungimento”,
gli
gnocchi
simboleggiano l’unità della famiglia e delle persone care. In alcune zone
alla sera si organizzano processioni con draghi di cartapesta/tessuto e
lanterne, magari accompagnati da spettacoli di fuochi d’artificio.
QINGMINGJIE O FESTA DEI MORTI (LETT. “FESTA DEL CHIARO SPLENDORE”): cade
tradizionalmente il centoseiesimo giorno dopo il solstizio d’inverno
(Dongzhi), dunque generalmente il 4 o il 5 aprile del calendario solare. È
l’ultimo giorno del quinto termine solare nel calendario cinese, e
corrisponde al 5 aprile. Profondamente radicata nell’antichissimo culto
degli antenati, questa festa è un’occasione per ricordare e onorare i
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propri cari estinti, ma anche i caduti delle guerre e i morti che hanno
dato lustro al paese. Si fa visita alle tombe di famiglia dopo averle
ripulite, si fanno offerte agli spiriti e molti mangiano all’aperto in
prossimità delle tombe in comunione spirituale con gli antenati nel
banchetto, offrendo loro simbolicamente il cibo. Si bruciano incenso,
candele e “soldi di carta” per sostenere economicamente il defunto
nell’aldilà, affinché non gli manchi nulla. Questa festa è anche l’occasione
per la manifestazione pubblica dei riti legati al lutto e per dimostrare la
propria pietà filiale. Dato che la festa si svolge all’inizio della primavera,
l’occasione viene spesso vissuta dalle famiglie come un’occasione lieta
per fare gite nel verde e magari far volare gli aquiloni.
DUANWUJIE O FESTA DEI BATTELLI-DRAGONE (LETT. “FESTA DEL DOPPIO CINQUE”):
si celebra il quinto giorno del quinto mese lunare, che generalmente cade
tra il 28 maggio e il 28 giugno, segnando così idealmente l’inizio
dell’estate. Secondo la tradizione popolare, la festa omaggia un famoso
poeta dell’antichità cinese, Qu Yuan (340-278 a.C.), ministro dello stato di
Chu all’epoca degli Stati Combattenti (476-206 a.C.). In memoria di Qu
Yuan, ancora oggi nel quinto giorno del quinto mese lunare si tengono
gare con battelli decorati a forma di drago sulle acque di fiumi e laghi, si
mangiano zongzi dal ripieno dolce (a base di pasta di fagioli rossi) o
salato (con carne e verdure) e si abbonda nelle libagioni. La corsa dei
battelli-drago è oggi divenuta uno sport molto popolare in Asia
orientale, ma anche in alcuni contesti occidentali (un campionato si tiene
anche in Italia). Un’altra tradizione legata a questa festa è quella di far
donare ai bambini piccoli fagottini di seta decorata con ricami di colori
vivaci colmi di erbe mediche e aromi profumati, che vengono appesi al
collo o fissati ai loro abiti come un talismano. Si dice che queste piccole
sacche profumate tengano lontano il malocchio e gli spiriti cattivi.
ZHONGQIUJIE O FESTA DI MEZZO AUTUNNO: ha luogo il quindicesimo giorno
dell’ottavo mese lunare, e cade generalmente tra il 15 settembre e il 15
ottobre del calendario solare. Dopo cena ci si reca all’aperto,
possibilmente in mezzo al verde e vicino all’acqua, per ammirare la luna
piena, che si dice sia la più grande e brillante di tutto l’anno (in virtù
della particolare limpidezza dell’aria in questa stagione). Si ascolta
musica antica (possibilmente dal vivo), si declamano poesie, si sta
insieme con amici e parenti, o con la persona amata, mangiando yuebing,
le “tortine della luna”, specie di grossi biscotti rotondi ripieni di frutta
secca, semi di loto macinati e tuorlo d’uovo. È una festa molto antica, che
richiama i riti sacrificali al sole in primavera e alla luna in autunno
compiuti dagli imperatori della dinastia Zhou (1066-221 a.C.). Il fatto che
la festività si svolga in coincidenza con il termine dei raccolti, e dunque
in un momento di abbondanza e serenità, contribuisce al senso di
pienezza e di comunione che caratterizza questa festa. Una leggenda
vuole che i banchetti al chiaro di luna, che in Cina si organizzano in tale
notte, si tengano in onore dell’ascensione al cielo della bella Chang E,
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moglie dell’eroe mitico Hou Yi, l’arciere che spense con le sue frecce i
nove soli superflui che minacciavano di ardere la terra. Da allora, il
popolo cinese fa lo stesso, pregando la graziosa signora del palazzo della
luna di donare loro fortuna, amore e pace.
DONGZHIJIE, O FESTA DEL SOLSTIZIO D’INVERNO: il fenomeno dei solstizi è noto
agli astronomi cinesi fin dal periodo detto Primavere e Autunni (770-476
a.C.). Il solstizio d’inverno è considerato il primo dei ventiquattro eventi
periodici che scandiscono i diversi momenti delle stagioni nel corso
dell’anno. Generalmente cade tra il 21 e il 23 di dicembre del calendario
solare. Dato che nell’emisfero settentrionale il solstizio d’inverno è il
momento in cui la notte è più lunga, è a partire da questa data che le ore
di luce aumentano, simboleggiando il rafforzamento progressivo
dell’energia poisitiva yang, che nella filosofia e nell’alchimia cinese si
alterna all’energia negativa yin. A Taiwan si preparano speciali torte
modellate a forma di animali di buon auspicio come galli, oche,
tartarughe, maiali, mucche e agnelli, che si offrono ai propri antenati
presso i templi di famiglia, facendo seguire alla cerimonia
commemorativa un grande banchetto.
CHONGYANGJIE, O FESTA DEL DOPPIO NOVE (LETT. “FESTA DEL DOPPIO YANG”): il
nono giorno del nono mese lunare è noto tradizionalmente come
Chongyangjie (“festa del doppio yang”), Chongjiujie (“festa del doppio
nove”) o popolarmente come Jiujiujie (“festa novenove”). Generalmente
cade in ottobre. Il numero nove nell’antico testo misterico-filosofico
Yijing, o Libro dei Mutamenti (noto in Occidente soprattutto per l’uso
divinitorio che tradizionalmente se ne fa) è considerato un simbolo
dell’energia maschile e positiva yang, l’opposto del numero sei, simbolo
dell’energia femminile e negativa yin. Tradizionalmente, si celebra la
giornata ascendendo luoghi elevati, torri, colline o montagne, attività che
si considera connessa a una buona salute fisica e che anticamente
permetteva di sottrarsi alle epidemie. Si mangiano le tipiche “torte del
doppio nove”, poiché la parola gao, “torta”, in cinese è un omofono del
termine gao, “altezza”. Queste torte hanno fino a nove strati e vengono
fatte a forma di torre. Si tratta di una festa particolarmente di buon
auspicio per intraprendere nuove attività, nella quale si pregano gli
antenati per ottenere fortuna nelle proprie imprese. Dato che in questo
periodo dell’anno fioriscono i crisantemi, questo fiore diviene un
simbolo di questa festa. In Cina è un fiore di buon auspicio, che le donne
usavano mettere nelle proprie acconciature per proteggersi dagli spiriti
maligni e dal malocchio. Dal 1989 il governo cinese ha dichiarato la festa
del doppio nove festa degli anziani: organizzazioni pubbliche e del
privato sociale organizzano gite in mezzo al verde per anziani e
pensionati, soprattutto in zone di montagna, mentre i giovani offrono
doni ai loro genitori e nonni.
QIXIIE, O FESTA DEL DOPPIO SETTE: detta anche Niu Nü Hehe (“Incontro tra il
Pastore e la Tessitrice”), questa festa è dedicata all’amore: si tiene in
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estate, il settimo giorno del settimo mese lunare, dunque in pieno agosto
secondo il calendario solare. Essendo una data particolarmente fausta
per celebrare matrimoni, non stupisce che moltissimi cinesi, anche
all’estero, scelgano di sposarsi in agosto.
IL SALUTO: incontrandosi, in Cina ci si saluta esclamando “Nihao!” (lett.
“bene a te!”), mentre quando ci si lascia, si dice “Zaijian!” (lett. “arrivederci”).
CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE
Generalmente si offre del tè (che a seconda dei luoghi e
delle stagioni può essere di diverse varietà e preparato in
differente maniera), spesso accompagnato da dolcetti (spesso
a base di sesamo tostato e caramellato, o croccanti d’arachidi o
di mandorle), frutta o dianxin (dimsum, in cantonese) salati,
piccole porzioni di “stuzzichini” la cui varietà di ricette è davvero infinita. Se
l’ospite è un uomo, gli viene offerta una bevanda alcolica (birra, vino di riso o
grappa, a seconda della stagione e della regione) e delle sigarette. Offrire una
sigaretta è considerato il modo cortese di avviare una relazione o un incontro,
anche quando chi la offre non fuma.
IMMIGRAZIONE IN ITALIA
L’immigrazione cinese in Italia vanta una lunga storia. La
maggior parte – il 60-70% circa – dei cittadini della Repubblica
Popolare Cinese oggi residenti a Milano proviene da piccoli
centri urbani (Daxue, Yuhu) e villaggi rurali nel distretto di
Wencheng, nella provincia dello Zhejiang, a circa 100 km in linea
d’aria dalla città di Wenzhou. In misura minore (25-30%) sono presenti anche
immigrati originari dei distretti limitrofi a quello di Wencheng, ovvero
Qingtian, Rui’an e Wenzhou-Ouhai. Qingtian e Wenzhou-Ouhai sono i distretti
d’origine del nucleo storico dell’immigrazione cinese in Italia. Prima della
riapertura della Repubblica Popolare Cinese alle relazioni con l’Occidente, con
l’avvio della politica di “riforma e apertura” (gaige kaifang) voluta da Deng
Xiaoping, la popolazione cinese in Italia era esigua, composta in buona parte da
persone esuli fin da prima della fondazione dello stato socialista cinese e in
misura crescente da loro parenti più giovani. Tra questi ultimi, alcuni avevano
raggiunto i loro parenti emigrando clandestinamente dalla Cina nel corso degli
anni Sessanta e Settanta, generalmente via Hong Kong, ma molti di più si erano
trasferiti in Italia da altri paesi europei, Olanda e Francia soprattutto, attirati da
migliori prospettive di sviluppo economico.
Nel corso degli anni Novanta acquistò slancio soprattutto l’immigrazione
dallo Zhejiang verso i paesi dell’Europa meridionale – Italia, Spagna, Portogallo
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– alimentata dagli specifici fattori di attrazione sviluppatisi a partire dal
decennio precedente. L’inserimento economico e la conseguente distribuzione
territoriale degli immigrati cinesi si sono sviluppati in questi anni secondo due
direttrici principali: l’espansione della ristorazione cinese e dei servizi “etnici”
nelle maggiori città del Nord e del Centro Italia ed il progressivo radicamento
delle imprese contoterziste cinesi nelle aree ad economia diffusa
(particolarmente significativo nei distretti industriali del tessile e della
maglieria, a Prato - Empoli, Carpi- Modena - Reggio Emilia, Napoli - San
Giuseppe Vesuviano).
Moltissimi genitori preferirono lasciare i figli con i nonni o riportarli in
patria ancora piccoli, fino al raggiungimento dell’età scolare, qualora fossero
nati in Italia, al fine di non coinvolgerli nella fase più dura del loro primo
inserimento, spesso caratterizzata da condizioni abitative e di vita scadenti. I
figli in età scolare vennero invece incoraggiati a studiare attivamente l’italiano
per contribuire all’impresa familiare fungendo da mediatori sia rispetto alla
sfera lavorativa (contatti con clienti e fornitori) che a quella sociale (contatti con
i servizi e gli uffici pubblici, disbrigo di pratiche amministrative). I genitori
tendono a immaginare per i loro figli (o le loro figlie) maggiori una formazione
limitata all’obbligo scolastico e poi un coinvolgimento nell’impresa familiare
(ma anche questo orientamento va modificandosi in ragione della sempre
maggiore incidenza del lavoro dipendente tra i genitori), contemplando
eventualmente per i figli minori un’istruzione di livello più elevato. I giovani,
specie se scolarizzati in Italia, rappresentano perciò uno degli snodi cardine del
processo d’integrazione della minoranza cinese nel corpo sociale italiano.
Quella giovanile è però una popolazione molto complessa, fortemente
stratificata da variabili come l’anno d’arrivo in Italia, l’età all’arrivo, il distretto
d’origine, l’estrazione socioeconomica familiare, le condizioni di vita e di lavoro
della famiglia in Italia, ecc. Recenti ricerche empiriche realizzate in alcuni
contesti italiani (Milano e Prato) mostrano che tra i giovani di arrivo recente – a
cavallo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila – si
riscontrano problemi di disadattamento, esclusione sociale, conflitto
intergenerazionale e perfino devianza che non si erano rilevati presso i ragazzi
cinesi ricongiuntisi ai genitori al principio degli anni Novanta e tra coloro che
sono nati o cresciuti in Italia. A fronte di questa criticità emergente per una
fascia particolare della popolazione giovanile cinese immigrata, che chiama
fortemente in causa i servizi educativi e socio assistenziali e richiede risposte
adeguate sul piano delle politiche d’integrazione, va comunque sottolineato che
la maggior parte dei minori cinesi che vivono nel nostro paese appaiono bene
inseriti e svolgono di fatto un’intensa, quand’anche inconsapevole, azione
“ponte” tra le loro famiglie e la società italiana.
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MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI
Vista la limitazione alla possibilità di procreare posta dalla
politica di controllo delle nascite, la tradizionale grande attenzione
che in Cina si è sempre dedicata alla cura e all’educazione dei figli (in
particolare ai maschi) si è ulteriormente intensificata, tanto che nelle
città – dove l’efficacia della politica del figlio unico è maggiore – si parla da
tempo di una giovane generazione egocentrica, costituita da figli unici viziati da
genitori e nonni e oggetto di attenzioni e di aspettative eccessive. Il dato
positivo è che tale politica – di nuovo, soprattutto nelle zone urbane – ha
mitigato la discriminazione nei confronti delle figlie femmine, considerate a
lungo soprattutto un onere per le famiglie che le allevano per poi cederne la
capacità di cura e di supporto alla famiglia del futuro marito. Nelle ampie zone
rurali, dove tuttora risiede circa il 60% della popolazione cinese, l’evoluzione è
più lenta. I neonati non vengono fasciati e generalmente non portano neppure il
pannolino, ma indossano pratici pantaloni con un ampio spacco nascosto, che
permettono ai genitori di far fare loro i bisognini... dovunque capiti! Nelle
campagne del meridione i bambini fino ai tre anni d’estate sono spesso nudi,
portati in braccio o in spalla dalle madri in apposite sacche, che consentono alla
donna di lavorare nei campi anche con il bimbo appresso. D’inverno e nelle
aree fredde i bambini sono vestiti a strati, spesso – ancora una volta, soprattutto
nelle aree urbane – in modo eccessivo, tanto che non è raro notare sui mezzi
pubblici avvisi che richiedono ai genitori di svestire i loro bimbi per lasciarli
respirare. In campagna i bambini sono abituati ad andare molto in giro per
conto proprio e in generale l’educazione dei figli tende a renderli molto presto
capaci di gestire se stessi, specie negli strati della popolazione meno abbienti.
Nelle campagne, fino allo svezzamento il bambino viene vestito con abiti
particolari e addobbato con berretti e ornamenti che hanno funzione
taumaturgica: al collo porta un medaglione d’oro e giada con immagini votive
(la dea della misericordia buddhista Guanyin, per esempio), alle caviglie piccoli
anelli d’argento con campanellini, che scacciano il malocchio. Assicurare ai figli
un’istruzione è visto da sempre come il più alto dovere dei genitori nei
confronti dei figli – e il modo più sicuro di garantirsi protezione e cura in
vecchiaia. Le punizioni corporali sono legittimate solo in casi eccezionali e
generalmente i cinesi, anche in campagna, vedono molto male coloro che
picchiano i figli: nei villaggi non è raro che un vicino intervenga per impedire
una punizione troppo severa.
Si cerca di insegnare ai bambini a stare insieme agli altri con un
atteggiamento di attenzione e rispetto molto forti. Tale compito è in ogni caso
demandato più alle istituzioni scolastiche che non ai genitori: è l’insegnante,
infatti, a essere istituito della principale responsabilità dell’educazione morale e
civica dei bambini.
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MODELLI DI CURA
Nella Cina contemporanea la tradizionale concezione olistica
della salute su cui si basa la medicina tradizionale, rivolta a
conservare l’equilibrio delle forze yin e yang che alimentano l’energia
vitale e dunque a curare la persona e non il sintomo, si coniuga da
tempo con un approccio molto pragmatico e “efficientista” alla medicina
occidentale. In linea generale, si pensa che la medicina tradizionale sia ottima
per la prevenzione e la cura di disturbi cronici, ma che per intervenire
rapidamente su patologie critiche occorra il fuoco di sbarramento della
medicina occidentale, generalmente accolto con riserve minori che in occidente:
i cinesi sono abituati a consumare le medicine che i medici e i dispensari
prescrivono loro senza curarsi di sapere cosa contengono e che
controindicazioni hanno: la fiducia nel medico è completa. L’uso degli
antibiotici è liberale, per non dire spropositato: perfino le sindromi influenzali si
curano iniettando massicce dosi di antibiotico direttamente in vena. Questa
apparente contraddizione tra il mantenimento di una viva e solida tradizione
medica olistica, basata sull’impiego di erbe, minerali e di sostanze curative
naturali estratte da animali di ogni genere, e l’accettazione acritica di cure anche
molto invasive e pesanti improntate alla diagnostica e alla cura del sintomo di
tipo occidentale si spiega con l’atteggiamento prevalentemente pragmatico è
improntato all’efficacia dei cinesi nei confronti della medicina, che è giudicata
“valida” nel momento in cui ti rimette in sesto, e prima lo fa, meglio è. A volte
tale atteggiamento subisce involuzioni di tipo “miracolistico”, che sono alla
fonte dell’enorme mercato che in Cina trovano le sostanze ricostituenti e
rinvigorenti di ogni genere, quasi una trasposizione moderna dell’antica ricerca
alchemica dell’elisir dell’immortalità, che tanto spazio ebbe nella tradizione del
taoismo magico e popolare. In ogni caso, l’Organizzazione Mondiale della
Sanità rileva come, malgrado le forti difficoltà che tuttora caratterizzano il
sistema della sanità pubblica cinese, la Cina abbia compiuto passi da gigante sul
versante sanitario negli ultimi cinquant’anni, con estese campagne di
vaccinazione e la diffusione capillare di prassi igieniche di base.
MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE
DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE
In Cina la scuola è mista, anche se in quella dell’obbligo vige un
codice informale di pudore e ritrosia tra maschi e femmine, mentre in
quella superiore e all’università l’alloggio in dormitori è separato per
sesso, come pure molte attività sportive ed extracurricolari. Tuttavia,
l’insegnamento scolastico tende a sostenere l’eguaglianza tra i sessi,
specie sul piano giuridico e su quello lavorativo, mentre dal punto di vista della
cosiddetta “educazione morale” alle donne si tende ad attribuire una maggiore
sensibilità e un maggior senso di responsabilità. Prevale una visione tutto
sommato conservatrice della donna come moglie, madre e nuora, lavoratrice,
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certo, ma anche consorte affettuosa e madre responsabile. La visione ufficiale
dei rapporti tra i sessi tende a promuovere il senso della famiglia e anche i
sentimenti sono narrati spesso in modo convenzionale... innamoramento, lungo
corteggiamento, matrimonio con il consenso familiare, un figlio e un’armoniosa
convivenza tra le generazioni.
MODELLI E STILI FAMILIARI
RUOLO DEI GENITORI: in Cina le coppie sono investite
tradizionalmente
della
responsabilità
primaria
della
prosecuzione del lignaggio familiare dello sposo e della cura
della prole, e dell’obbligo alla solidarietà intergenerazionale
rispetto ai propri genitori. Lo Stato invita i genitori a educare i
figli ad essere cittadini responsabili, patriottici e solidali, mentre promuove
periodicamente campagne volte a migliorare la salute e la “saldezza morale”
dei giovani. A farsi garanti di tale educazione civica sono però più le scuole che
le famiglie, all’interno delle quali prevale l’enfasi sulla protezione e
sull’affettività.
VITA SOCIALE DELLE COPPIE: all’interno della coppia, tradizionalmente al
marito viene riconosciuta maggiore autorità, ma nelle aree urbane più
sviluppate i processi decisionali familiari sono più equamente ripartiti tra
marito e moglie. I nonni giocano un ruolo importante, soprattutto quelli
paterni, e il rapporto suocera-nuora continua a essere carico di tensioni emotive:
anche in questo campo, tuttavia, il trend sembra essere decisamente quello di
una graduale nuclearizzazione delle famiglie secondo un modello neolocale. La
politica di controllo delle nascite ha drasticamente ridotto le dimensioni delle
famiglie, e un’intera generazione di giovani urbani è cresciuta senza fratelli e
sorelle, e di conseguenza produrrà una società con pochi zii, nipoti e cugini. La
centralità della famiglia è uno dei tratti culturali più stabili della società cinese,
ma l’organizzazione della vita lavorativa non lascia spazio a lunghi periodi di
vacanza insieme, con la sola significativa eccezione delle due settimane di ferie
in coincidenza del capodanno cinese.
ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: nelle aree rurali della Cina
meridionale, dov’è più forte la tradizione del lignaggio ed il culto degli
antenati, ai neonati si tende a dare il cognome del padre (in casi particolari,
quello della madre: per esempio, se la madre è l’ultima discendente del proprio
lignaggio, che rischierebbe così di estinguersi, mentre il padre ha magari fratelli
o altri figli maschi che possano continuare il proprio lignaggio), mentre il nome
è generalmente formato da due caratteri, la cui scelta può essere determinata da
vari fattori. Per il primo dei due caratteri i clan più tradizionalisti ricorrono al
“carattere generazionale” imposto ciclicamente dal registro genealogico
familiare, gelosamente conservato dai capifamiglia più anziani. Tale carattere
permette a tutti gli abitanti del villaggio di identificare immediatamente la
generazione cui il nuovo nato appartiene in seno al proprio lignaggio: si tratta
quindi di un carattere che il neonato avrà in comune con i suoi eventuali fratelli.
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Il secondo carattere è invece scelto in base alle preferenze dei genitori – che
sceglieranno un nome evocativo di gesta prestigiose per un maschio e di
leggiadria per una femmina – oppure, sempre nelle zone rurali più
tradizionaliste, affidandosi al consiglio di un indovino, che a partire dagli otto
caratteri che costituiscono la cifra astrologica del nascituro (indicano cioè
l’anno, il mese, il giorno e l’ora di nascita), indicherà il carattere considerato di
miglior auspicio per il futuro del bambino.
ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: nella Repubblica Popolare Cinese è in
vigore lo jus sanguinis, per cui sono di cittadinanza cinese i figli di cittadini
cinesi, anche se nati all’estero, mentre per uno straniero nato in Cina da genitori
regolarmente residenti, ma non cittadini, ottenere la cittadinanza cinese è molto
difficile.
CONTRATTO DI MATRIMONIO: esistono due forme, il matrimonio formale
(ovvero la sua registrazione presso l’autorità pubblica nel proprio Comune di
residenza in Cina) e il matrimonio sostanziale (sancito dalle famiglie degli sposi
in Cina o all’estero, prima o dopo la registrazione del matrimonio) tra gli
immigrati cinesi in Italia non sempre coincidono, e le cose possono complicarsi
ulteriormente se una coppia decide di sposarsi in Italia secondo la legge
italiana, perché ottenere i documenti necessari può risultare assai complesso.
Il diritto familiare cinese sancisce il dovere dei coniugi al reciproco
sostentamento e stabilisce in linea di principio la comunione dei beni per i
redditi percepiti dopo sposati (Legge matrimoniale del 1980, emendata nel 2001,
art. 17), ma ammette che i coniugi possano stipulare un contratto matrimoniale
in cui optano consensualmente per la divisione dei beni, oppure per forme
miste di comunione e divisione dei beni (ibidem, art. 18).
DIVORZI E SEPARAZIONI: il divorzio è ammesso sia su base consensuale sia in
caso di richiesta di una delle due parti, che può intentare una causa civile
presso il Tribunale del Popolo. La custodia dei figli in caso di divorzio è
assegnata a una delle due parti in base al giudizio del Tribunale del Popolo, e in
tal caso il coniuge cui non è affidata la custodia dei figli è tenuto a contribuire al
loro sostentamento.
SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI
LA SCUOLA PUBBLICA: prima del 1995, anno in cui è stata
promulgata la nuova legge dell’istruzione, quella pubblica era
ufficialmente gratuita a tutti i livelli e tale rimane nella scuola
dell’obbligo, mentre sono state introdotte tasse d’iscrizione per le
scuole secondarie e per l’università.
Nella scuola dell’obbligo sono tuttavia previsti contributi ai genitori alle
spese di gestione della scuola, i cui tetti sono fissati a livello provinciale, e per
l’acquisto dei libri, forniti dallo Stato a prezzo controllato. Tali contributi sono
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in costante aumento e scoraggiano l’accesso all’istruzione da parte degli alunni
più svantaggiati.
LE SCUOLE PRIVATE: liberalizzata al principio degli anni Novanta,
l’istruzione gestita da privati (enti, gruppi o individui) nel 1996 contava già
4.000 scuole (lo 0,5% di tutte le scuole cinesi) e il loro numero è in costante
crescita. Si tratta di scuole per privilegiati, poiché le rette scolastiche sono molto
più elevate di quelle degli istituti pubblici. Sono viste come un’alternativa alla
cattiva qualità della scuola superiore pubblica, e spesso sono maggiormente
orientate a garantire ai propri diplomandi un rapido accesso nel mercato del
lavoro, o buone prospettive di ingresso in università di buon livello. Tuttavia, i
diplomi rilasciati dalle scuole pubbliche godono ancora di un prestigio molto
superiore a quello delle scuole private.
SCUOLA MATERNA: dura tre anni e rispetto alla scuola italiana è molto più
direttiva e strutturata, tesa a instillare senso di responsabilità e attitudine alla
cooperazione e allo svolgimento disciplinato di compiti, piuttosto che
sviluppare la creatività individuale.
SCUOLA DELL’OBBLIGO: dal 1986 la scuola dell’obbligo prevede una durata di
nove anni e comprende due cicli, scuola elementare e media, ma l’articolazione
dei due cicli è tuttora a discrezione delle autorità regionali. Di fatto esistono
dunque un sistema elementare + media “6+3”, più diffuso nelle città, e “5+3”
diffuso nelle campagne. Nelle zone d’origine della maggior parte dei giovani
stranieri che risiedono in Italia, malgrado la loro estrazione prevalentemente
rurale, vige comunque il sistema “6+3”. L’inizio della scuola dell’obbligo è
fissato a sei anni, ma in molte zone del paese si inizia a sette anni e nelle zone di
emigrazione l’iscrizione viene di norma ritardata in attesa del ricongiungimento
familiare.
CALENDARIO E ORARI: l’anno scolastico è diviso in semestri, il primo va da
settembre a febbraio, il secondo da marzo a luglio. Si svolgono 39 settimane di
attività scolastica, di cui 34 di lezione, le altre riservate ad attività comunitarie,
tradizionali, ripasso ed esami. Oltre alle vacanze estive è previsto un mese
d’intervallo delle lezioni in coincidenza con il capodanno cinese. I giorni di
frequenza settimanale sono sei, dal lunedì al sabato mattina. Il programma
prevede da 23 a 26 ore settimanali, a seconda della classe e del sistema
scolastico in vigore, cui si aggiungono 5 ore di attività extracurriculari (non
sempre garantite). Ogni ora di lezione prevede 45 minuti di lezione e 15 minuti
di pausa. Nelle scuole a tempo pieno le lezioni iniziano alle otto del mattino e
riprendono alle due del pomeriggio, dopo la pausa per il pranzo.
PROGRAMMI E ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA: i programmi sono stabiliti a
livello nazionale. Le scuole a tempo pieno, di cui fanno parte le cosiddette
scuole modello, seguono i programmi fissati dal Ministero dell’istruzione, con
qualche variazione regionale. Per le scuole a tempo ridotto, tali programmi
sono modificati su base regionale. La lingua veicolare è il putonghua, o cinese
mandarino; in alcune zone abitate da etnie minoritarie è introdotta la lingua
locale come lingua veicolare o come seconda lingua. L’uso del dialetto è
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tollerato nelle zone rurali. L’insegnamento dell’inglese inizia generalmente alle
medie, ma in alcune scuole modello può partire dalle elementari. I programmi
governativi tendono ad essere fortemente prescrittivi e dettagliati, con un’enfasi
sulla acquisizione mnemonica delle nozioni di base. Un esempio di programma
della scuola elementare comprende le seguenti materie: educazione morale,
lingua cinese, matematica, educazione sociale, scienze, sport, musica, arte ed
educazione al lavoro; nella scuola media: etica e politica, lingua cinese,
matematica, lingua straniera 1, lingua straniera 2, storia, geografia, fisica,
chimica, biologia, sport, musica, arte, educazione al lavoro.
VALUTAZIONE: oltre a una verifica informale periodica (solitamente mensile)
è comune una valutazione più approfondita a metà anno, una sorta di esame
finale che, in caso di esito negativo, impegna gli insegnanti nella
programmazione di un adeguato piano di recupero. La votazione avviene in
centesimi. Il passaggio da una classe all’altra è subordinato al superamento
dell’esame di fine anno, in cui viene valutato il profitto in cinese e in
matematica, con obbligo della ripetenza in caso di fallimento.
DIVIETI E OBBLIGHI: nelle scuole cinesi, sia pubbliche che private, la
disciplina è severa e la vita della classe fortemente irregimentata, con capiclasse
e “capisquadra” eletti dagli insegnanti, responsabili dei propri compagni e in
competizione tra loro per garantire i migliori risultati scolastici e la maggiore
adesione al regolamento scolastico dei propri “sottoposti”. A scuola (dalla
materna all’università) sono vietate le risse, il chiasso, lo stare scomposti al
banco, ma anche le relazioni sentimentali e lo scambio di effusioni in pubblico
tra gli studenti. La scuola cinese è estremamente selettiva e organizzata secondo
un sistema rigidamente meritocratico: quasi ovunque esistono due ordini di
scuole, le scuole chiave o modello per gli allievi più dotati, il cui accesso spiana
la via per l’ingresso nelle migliori università, e le scuole normali. La selezione
inizia fin dalla scuola materna, con un’esame d’ammissione alla scuola
elementare che già identifica i bambini destinati a un corso di studi privilegiato.
L’esame d’ammissione all’università è l’incubo di tutti i diplomandi della
scuola superiore, poiché conseguirvi un buon punteggio da sommare a quello
ottenuto nel corso della propria carriera scolastica complessiva rappresenta
l’ultima chance per l’accesso a un’università di buon livello.
VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE
Malgrado la forte partecipazione femminile all’economia
nazionale, nella condizione sociale di uomini e donne
permangono forti disuguaglianze, che lo sviluppo economico
degli ultimi dieci anni non sembra aver ancora intaccato in
misura significativa, se non nelle aree urbane delle province
costiere. A determinare tali disuguaglianze sono però sempre meno costrizioni
di natura tradizionale, familiare o politica: il fattore chiave è oggi dato dalla
sempre maggiore vulnerabilità sociale delle donne in un contesto
socioeconomico in cui le garanzie sociali si fanno sempre più scarse e
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riguardano solo fasce selezionate delle élite burocratiche, militari o di lavoratori
pubblici in particolari comparti economici, e in ogni caso soprattutto nelle città.
La Cina degli affari è un mondo prevalentemente maschile e fortemente
maschilista, anche per i suoi rituali sociali. Il dilagare della prostituzione, anche
sotto forma di una sorta di neo-concubinaggio (amanti mantenute da uomini
d’affari di successo), ha introdotto scenari di mortificazione dell’immagine
sociale della donna pressoché sconosciuti al tempo del regime maoista.Alla vita
lavorativa moglie e marito partecipano su un piano di relativa parità, anche se, i
salari delle donne tendono a restare ancora di molto inferiori a quelli degli
uomini, a parità d’impiego. Malgrado ciò, a essere fortemente investite
dell’onere della cura dei figli e dei familiari sono soprattutto le donne, e i
sostegni pubblici all’accudimento dei figli sono comuni solo tra i lavoratori
statali delle città, mentre nelle aree rurali essi sono prevalentemente di natura
comunitaria e familiare. Permane una discriminazione sociale piuttosto acuta
delle donne divorziate, vedove o rimaste nubili dopo i trent’anni: queste donne
sono considerate delle “fallite” e raramente riescono a ricollocarsi sul mercato
matrimoniale, e per tali donne sole è in generale assai difficile accedere al
mercato del lavoro senza cadere in condizioni di forte sfruttamento.
STILI ALIMENTARI
Quella cinese è una delle grandi tradizioni culinarie del
pianeta e la varietà dei modi di preparare e cucinare il cibo
che contempla è sorpassata solo dalle innumerevoli
quantità di pietanze e ricette che offre. Per orientarsi in un
vero oceano di piatti tipici, famosi e non, i cinesi tendono
convenzionalmente a distinguere otto grandi scuole culinarie regionali
(Pechino-Shandong; Guangdong; Sichuan; Jiangsu; Zhejiang; Hunan; Anhui;
Fujian. Ma si tratta indubbiamente di una classificazione riduttiva, e inoltre
ciascuna scuola regionale conta varianti locali molto caratteristiche), a loro volta
riassumibili in quattro filoni principali: 1) la cucina settentrionale (Pechino,
Tianjin e area del basso fiume Giallo), caratterizzata da un ampio uso di aglio e
cipollotto, robusta e semplice, influenzata dalle tradizioni culinarie delle steppe
centro asiatiche e mongoliche (carne di montone e d’agnello). L’ingrediente
basilare della cucina quotidiana non è il riso ma il grano, consumato sotto forma
di tagliolini e ravioli. Le verdure si cuociono a lungo o si conservano in
salamoia; 2) la cucina orientale (Shanghai, Nanchino, Hangzhou e area del
basso fiume Yangzi), delicata, che enfatizza la fragranza e la freschezza degli
alimenti senza ottunderne il sapore con spezie troppo ricche. Vi abbondano le
pietanze cotte a vapore, gli stufati di carne e di pesce in salsa bruna (hongshao),
l’uso di zucchero, salsa di soia e aceto; 3) la cucina occidentale (Sichuan,
Yunnan, Hunan), piccantissima e speziata; 4) la cucina meridionale o cantonese:
la più celebrata, per l’infinita varietà degli ingredienti e la raffinatezza delle
preparazioni. Assai popolari sia in Cina che nei paesi d’oltremare in cui si sono
insediati gli emigranti cantonesi, sono i cosiddetti dimsum (dianxin, in
mandarino: “spuntini”): piccole prelibatezze (involtini primavera, raviolini
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dalla pasta quasi trasparente, leggerissimi piattini a base di carne, pesce,
molluschi, verdure, dolci, ecc.) che si servono su carrellini a metà mattina, a
metà pomeriggio o a tarda sera, idealmente per appagare languorini fuori
pasto, ma che in realtà possono degnamente sostituire un pranzo o una cena.
Data la grande varietà degli stili alimentari, è difficile dare un’idea delle
abitudini alimentari tipiche dei cinesi. Volendo generalizzare molto, in una
giornata feriale normale, la famiglia cinese media consumerà i seguenti pasti:
per colazione, mangerà una ciotola di latte di soia caldo (denso o liquido a
seconda delle zone), accompagnato da verdure in salamoia e da youtiao, specie
di lunghe frittelle calde; per pranzo, una ciotola di tagliolini in brodo, con carne
e verdure; per cena, vari piatti di verdura, carne, pesce, gamberetti o uova
accompagnati da riso cotto a vapore. I cinesi attribuiscono al cibo un grande
valore igienico e terapeutico per la salute: l’abbinamento tra i cibi non obbedisce
soltanto a considerazioni legate al gusto, ma anche al mantenimento
dell’armonia tra cibi e modalità di cottura di carattere yang, “riscaldanti”, e cibi
e preparazioni di carattere yin, “rinfrescanti”, per nutrire adeguatamente
l’energia vitale. Anche se queste considerazioni valgono per tutta la cucina
cinese, esiste una scuola di alimentazione “medica” che utilizza particolari
pietanze a scopi prettamente curativi: è a questo filone culinario che sono da
ascriversi molti piatti “esotici” oggetto a volte di vere e proprie leggende
metropolitane in Occidente, come quelli a base di animali rari o inconsueti.
RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA
NASCITA: l’importanza attribuita ai figli implica che a una
donna incinta siano riservate cure e attenzioni particolari da
parte di tutta la famiglia. Le verranno riservate le pietanze più
nutrienti e le medicine tradizionali considerate in grado di
meglio assicurare la salute del feto. In campagna si ritiene che
quanto vissuto dalla puerpera si ripercuota direttamente sul feto, per cui si
cerca di proteggere la donna da fatiche, dolori o eventi infausti. Tali attenzioni
particolari per la madre si protraggono anche dopo la nascita del figlio: per
almeno un mese, si tende a lasciare che la madre stia a riposo, preferibilmente a
letto (se la famiglia se lo può permettere), al riparo dalle intemperie e dalla
fatica, e che continui a seguire un regime alimentare ricco di sostanze nutrienti e
ricostituenti. Il primo mese del nascituro è considerato di importanza cruciale:
nelle zone rurali si arriva perfino ad adottare per il figlio nomignoli
dispregiativi, in modo da non ingelosire gli dei e attirare così la sfortuna sul
bambino. La più importante festa per il neonato è così il trentesimo giorno di
vita, quando si presenta ufficialmente il bambino agli antenati e ai parenti. In
quel giorno si ricorre a sacerdoti buddisti e taoisti per offrire sacrifici agli dei e
assicurare protezione e fortuna al nuovo nato. I genitori del bambino in tale
occasione offrono ad amici e parenti dolci e pietanze particolari che variano da
zona a zona, ma che comprendono sempre delle uova d’oca o di gallina tinte di
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rosso, offerte in numero pari: simboli di fertilità e di vita (le uova) associati al
colore che i cinesi considerano di miglior auspicio, il rosso.
MATRIMONIO: in Cina sono, specie nelle zone rurali, eventi sociali
fondamentali. Se nelle città si tratta sempre più di un evento voluto e deciso
dagli sposi, benché resti auspicabile il consenso familiare, fino all’inizio degli
anni Novanta nelle aree rurali erano ancora diffuse forme di matrimonio
combinato. Dato che il matrimonio sancisce legalmente la possibilità di avere
figli esso è concesso solo a partire dai 22 anni d’età per i maschi e i 20 anni per
le femmine, al fine di ritardare la procreazione. Nelle aree rurali del Zhejiang
meridionale le famiglie decidono spesso di avallare fidanzamenti precoci anche
prima dell’età legale del matrimonio, che a quel punto viene a sancire uno stato
di fatto. Molte coppie giovani emigrano proprio per aggirare le multe derivanti
dal fatto di aver procreato fuori dal matrimonio, o per aver avuto più figli di
quanto consentito, magari nella disperata ricerca di un figlio maschio. Le multe
per i figli in sovrannumero sono molto salate: in alcune zone possono
raggiungere anche l’intero salario annuale del marito. In ogni caso, l’evento che
suggella l’unione non è una cerimonia di tipo religioso, ma la celebrazione
collettiva di un grande banchetto di nozze.
FUNERALI: in Cina si preferisce la sepoltura alla cremazione, anche se
quest’ultima è spesso stata imposta per ragioni pratiche e igieniche in alcuni
contesti locali. In linea generale, i funerali sono una questione delicata e oggetto
di grandi cure da parte delle famiglie, soprattutto nelle zone rurali. Gestire un
funerale in modo inappropriato è infatti considerato estremamente infausto per
le prospettive future della famiglia coinvolta, soprattutto quando a morire è un
anziano. Se a morire è una persona giovane, la tradizione vuole che i suoi
familiari più anziani non siano tenuti a portare particolare rispetto al defunto:
in questo caso la salma non viene portata a casa per la veglia funebre, che ha
invece luogo presso un’agenzia di pompe funebri. I genitori non possono offrire
sacrifici e preghiere per i figli defunti, che, se sono morti in giovane età, non
hanno neppure figli che possano officiarli in loro onore: un ulteriore esempio
del valore indispensabile che i figli rivestono rispetto alla continuità anche in
chiave simbolica e religiosa del lignaggio. Durante la veglia, i familiari non
portano gioielli né abiti di colore rosso. Un tempo si chiedeva ai figli e ai nipoti
del defunto di non tagliare i capelli per quarantanove giorni, ma è un’usanza
caduta in disuso. I consanguinei del defunto e le sue nuore sono tenuti a
lamentarsi e a piangere il morto con clamore, specie se il morto ha lasciato loro
un’eredità consistente. Nel corso della veglia i parenti sono disposti attorno al
morto secondo il grado di parentela e con abiti di colori adatti al tipo di lutto
prescritto loro: abiti neri per i figli (per i quali il lutto è stretto), blu per i nipoti e
azzurro per i bisnipoti. Figli e nuore portano anche un cappuccio in tela di
sacco. Il figlio maggiore siede alla spalla sinistra del proprio genitore, il coniuge
del defunto alla sua spalla destra. La complessità e l’importanza delle cerimonie
funebri, nonché il desiderio di venire sepolti nelle tombe di famiglia, spinge
molti vecchi emigranti a passare i propri ultimi giorni in patria, ma se la sorte li
sorprendesse in emigrazione, le famiglie possono adattare le pompe funebri a
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quelle celebrate nel paese in cui si sono trasferiti, magari con qualche aggiunta
ad hoc, come i fiori di carta e gli addobbi di carta bianca e l’adozione dei
simboli del lutto locali (fascia o bottone nero). L’importante è che il funerale per
un anziano venga sempre svolto con tutti gli onori possibili, senza limite di
spesa.
SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI
Le intense trasformazioni nell’ambito della sempre più intensa e
capillare industrializzazione del paese, della fortissima spinta
all’urbanizzazione e il crescente raccordo con l’economia globale
stanno mettendo a dura prova il sistema sanitario nazionale cinese,
di per sé piuttosto debole. Fondato sul modello sovietico nei
decenni del maoismo, il sistema sanitario pubblico cinese è fortemente
sbilanciato sulla prevenzione, con campagne di vaccinazione, diffusione delle
pratiche igieniche di base e della contraccezione che hanno registrato grandi
successi negli ultimi cinquant’anni. Tuttavia, esso è sempre rimasto vulnerabile
sul piano della gestione delle emergenze sanitarie e su quello dell’equità e della
capillarità dei servizi offerti. Le imponenti migrazioni interne cinesi, che hanno
riempito le maggiori città di residenti irregolari – ossia sprovvisti del certificato
di residenza, o hukou, che consente loro l’accesso ai servizi di base cittadini –
hanno reso ancora più evidenti i limiti di un sistema che non è mai riuscito a
colmare il divario in termini di offerta di welfare tra città e campagna, tra
“aristocrazia operaia e burocratica” e contadini. La crescente congestione del
traffico e dell’alloggio nelle città è fonte di numerosi incidenti e di traumi gravi
per i quali il sistema ospedaliero e medico attuale è impreparato, con forti
carenze soprattutto sul piano delle infrastrutture, delle tecnologie e, in alcuni
campi, anche delle tecniche mediche. I danni subiti dall’ambiente a seguito del
crescente inquinamento e la forte diffusione di prassi sociali a rischio (consumo
di tabacco, alcol e – in misura molto minore, ma in rapido aumento – di
stupefacenti; forte promiscuità sessuale e diffusione di malattie sessualmente
trasmissibili in virtù della prostituzione dilagante) stanno provocando un forte
aumento di patologie e di incidenti. Il sistema dei servizi pubblici, sia sanitari
che socio-assistenziali, è del tutto carente e fortemente iniquo: pressoché assente
nelle aree rurali, assai ineguale nelle aree metropolitane, a seconda che queste si
trovino nelle sviluppate zone costiere o nelle impoverite province dell’interno,
del Nord-Est e dell’estremo Ovest. L’ottanta per cento delle risorse sanitarie del
paese si concentra nelle città, e due terzi di tali risorse vengono allocate agli
ospedali principali.
L’assistenza sanitaria gratuita è un miraggio: perfino quei pochi che ne
avrebbero diritto sono in realtà costretti a versare tangenti per ottenere anche
soltanto un appuntamento, per non parlare di test diagnostici, visite
specialistiche, ricoveri e operazioni. Nelle zone rurali l’erogazione dei servizi
sanitari fa capo a semplici dispensari gestiti da “medici” con un infarinatura di
nozioni elementari di medicina occidentale e una conoscenza un po’ più
49
approfondita dei rimedi tradizionali. Se in alcune grandi città – Pechino,
Tianjin, Shanghai, Hong Kong, Canton, ecc. – i servizi disponibili presso i
maggiori ospedali non hanno nulla da invidiare a quelli dei paesi sviluppati,
nella maggior parte del paese le strutture sono drasticamente carenti. Il vecchio
sistema maoista dell’igiene di base assicurata con modalità organizzative di tipo
collettivistico e cooperativo nelle unità di produzione rurali, in vigore dagli
anni Sessanta agli anni Ottanta, se si limitava solo ai servizi più elementari, ha
comunque rappresentato un’importante garanzie per milioni di contadini. A
partire dagli anni Ottanta, queste garanzie sono venute meno, il sistema è stato
largamente privatizzato ed esposto ai meccanismi del mercato: perfino piccole
cliniche rurali si sono trasformate in istituzioni private motivate da logiche di
profitto.
FIABE TRADIZIONALI
Sogni di farfalle (Zhuangzi)
Disse Zhuangzi: “Una volta, tanto tempo fa, sognai di essere una
farfalla; fluttuavo nell’aria come un petalo, felice di fare ciò che
volevo, non più consapevole di me stesso. Ma ben presto mi svegliai,
e allora mi palpai freneticamente: ero proprio Zhuangzi! Mi
domando: fu Zhuangzi a sognare di essere una farfalla, o fu la farfalla a sognare
di essere Zhuangzi? Naturalmente, se considerate Zhuangzi e la farfalla, c’è
differenza, fra di loro. Ma quella differenza non è dovuta ad altro che al loro
mutare di forma”.
La concubina che battè i ladri (Pu Songling)
C’era una volta in Cina una nobile famiglia immensamente ricca. Essa aveva
allevato una concubina molto gentile e bella, che era costantemente maltrattata
dalla moglie del padrone di casa, che la batteva di continuo. La concubina obbediva
alla moglie con rispetto. Il padrone aveva compassione per lei e spesso in segreto la
confortava e si prendeva cura di lei. Dalle labbra della concubina non usciva mai la
minima parola di risentimento verso la moglie. Una notte, parecchie decine di
uomini penetrarono nella casa, superando il muro di cinta e scassinando il portone
principale. Il padrone di casa e la moglie, impauriti, non sapevano a che santo
votarsi. La concubina si alzò dal letto senza far rumore e, di nascosto, cercò a
tentoni nella camera buia la pertica che serviva per trasportare a spalla le secchie
dell’acqua. Trovatala, aprì la porta e uscì nel cortile, dove la banda dei ladri era
50
sparsa a dividersi il bottino. La concubina allora li affrontò facendo sibilare
nell’aria la pertica dalle estremità munite di ganci metallici: quattro o cinque ladri
furono abbattuti in men che non si dica, e tanto abile era la scherma della ragazza
che gli altri furono sconfitti e fuggirono disordinatamente. Tanto erano sconvolti,
che non riuscirono neppure a superare il muro e caddero a terra disperati. La
concubina allora li apostrofò con dileggio: “canaglie come voi non son degne d’essere
toccate dalle mie dita! È così che sperate di diventar ladri? Non vi ammazzo solo
perché temo di insudiciarmi”, e li lasciò andare. Il padrone fu grandemente sorpreso
e chiese alla concubina come avesse fatto. Ora, bisogna sapere che il padre della
ragazza era maestro della scherma con il bastone e le aveva interamente trasmesso
la propria arte, tanto che la ragazza non temeva di tenere testa anche a un
centinaio di nemici. La moglie del padrone allora ebbe paura e si pentì di esser
stata tanto crudele: da allora trattò la concubina con affetto, tanto più che
quest’ultima non le mancava assolutamente mai di riguardo. Una donna del
vicinato un giorno disse alla concubina: “tu hai battuto i ladri come se fossero porci
e cani. Perché invece hai chinato la testa e sofferto le frustate della moglie del tuo
padrone?”. “Perché era mio dovere”, rispose la concubina, “non avevo il diritto di
parlar male di lei”. Coloro che sentirono queste parole ebbero allora stima ancora
maggiore della giovane concubina.
La volpe e la tigre
Una volta la Tigre affamata catturò una Volpe, e stava già per mangiarsela
quando la povrea bestia, che era debole quanto furba, disse: “Lasciami stare Tigre!
Non lo sai che sono un messaggero del Signore Celeste, mandato sulla Terra per
vedere se gli altri animali si comportano bene? Mangiami, e la collera del Cielo ti
fulminerà all’istante”. La Tigre non sapeva se crederci o no, e allora la Volpe
aggiunse: “Andiamo insieme dagli animali della foresta, così vedrai quanta paura
hanno di me!”.
“Va bene, andiamo” rispose la Tigre, che voleva proprio vdere come si sarebbero
comportati gli altri animali. Cominciarono a passeggiare una accanto all’altra, e
tutti, appena le vedevano, correvano a nascondersi nel fitto del bosco, oppure
cercavano rifugio nelle tane o sugli alberi più alti.
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“Dev’essere proprio un messaggero celeste, non c’è animale che non ne abbia
paura” pensò la Tigre, e lasciò andare la Volpe.
Solo che non si era accorta di una cosa: gli animali della selva non avevano affatto
paura della Volpe, ma della Tigre che la accompagnava!
Per questo il proverbio dice: “La Volpe prende in prestito il terrore della Tigre”5.
RICETTE
Anatra alla pechinese (Beijing kaoya)
Celebre piatto di Pechino, famoso in tutta la Cina e consumato
ovunque, anche come dianxin (o dimsum, in cantonese:
“spuntino”).
Ingredienti: 1 anatra da 1,5-1,75 kg, 1 cetriolo di media grandezza,
tagliato a listarelle, 1/2 pugno di cipolle, tagliato in strisce sottili. Per la salsa: 2
cucchiai di olio di sesamo, 100 g di pasta di fagioli rossi in scatola, 3 cucchiai di
zucchero. Per le crêpe: 300 g di farina, acqua, sale.
Preparazione: Lavare l’anatra, asciugarla su di un foglio di carta da cucina, e
appenderla in un luogo fresco e areato per far essiccare la pelle per 3 ore o più
(meglio se una notte intera). Mettere l’anatra su di un vassoio metallico e
metterlo sulla griglia del forno riscaldato a media altezza. Arrostire per 1 ora e
1/4 senza aprire il forno. Controllare se fuoriesce del liquido, l’anatra è pronta.
Usando un coltello piccolo e affilato, tagliare la pelle in piccoli pezzi sottili e
disporla su di un piatto da portata scaldato. Tagliare la carne allo stesso modo,
e disporla a parte. Scaldare l’olio di sesamo in una piccola casseruola fino a
quando inizia a fumare. Aggiungere la pasta di fagioli rossi e miscelare sul
fuoco per 2 minuti. Aggiungere lo zucchero e continuare a miscelare sul fuoco
per altri 2 minuti. Questa salsa può essere servita calda o fredda. Preparare le
crêpes versando la pastella preparata con farina, acqua e sale, badando che non
siano né troppo spesse, né troppo sottili.
Servire la pelle e la carne d’anatra con la salsa, le crêpes e il cetriolo
sminuzzato con le cipolle novelle, tagliate anch’esse in striscioline sottili.
Ciascun commensale mette qualche pezzetto di pelle e carne su di una frittella,
aggiunge della salsa, delle cipolle novelle e del cetriolo sminuzzato, avvolge con
cura la frittella e la morde tenendola con le mani o, più educatamente, con le
bacchette.
Ravioli al vapore (jiaozi)
I ravioli al vapore sono un piatto tipico della Cina settentrionale, ma sono
popolari in tutto il paese e rappresentano uno dei modi più rapidi e meno
5
Lazzarato F., Ongini V., L’uomo che amava i draghi, Mondadori, Milano, 1992, p. 12.
52
costosi di sfamarsi, tanto che le raviolerie di strada costituiscono da sempre una
sorta di fast food ante litteram.
Ingredienti: 1/2 kg di farina, 400 g di carne di maiale tritata, 3 cipolline verdi o
cipollotti, un pezzo di zenzero fresco (ca. 30 grammi), polvere d’aglio, 3 cucchiai
di vino di riso (Shaoxingjiu oppure Huangjiu), oppure di un buon sherry secco,
1/2 cucchiaino di sale, 1/2 cucchiaino di glutammato monosodico, foglie di
verza. Condimento: una ciotolina di salsa di peperoncino piccante (lajiang); una
ciotolina in cui si mescolano in parti uguali salsa di soia scura e aceto bianco
cinese, con un pizzico di coriandolo fresco tritato.
Preparazione: Fare la pasta con l’acqua soltanto, senza uova. Impastare bene,
anche con l’aiuto della macchinetta da pasta. Formare dei lunghi cilindri di
pasta di circa due centimetri di spessore e tagliarli a intervalli regolari di due
centimetri. Spargere farina su un ripiano e poi, con l’aiuto di un piccolo
mattarello, premere ciascun piccolo disco di pasta fino a ridurlo a un disco
rotondo di circa sei centimetri di diametro, avendo cura di mantenere la pasta
un po’ più spessa al centro. Mescolare bene la carne trita con il vino di riso,
l’aglio, lo zenzero e le cipolline tritate fini. I ravioli si fanno ponendo un disco di
pasta nell’incavo formato dall’indice e il pollice della mano sinistra chiusi come
per fare il gesto “okay” e mettendo un cucchiaino di ripieno al centro. Con la
mano sinistra si pizzica e si piega il bordo esterno di pasta più sottile fino ad
ottenere un raviolo a forma di mezzaluna, avendo cura di non far fuoriuscire il
ripieno tra le pieghe della pasta: ogni raviolo dev’essere perfettamente chiuso.
Si stendono una o più foglie di verza nel cestello di bambù per la cottura a
vapore (o in altra pentola predisposta a tale scopo), e si cuociono per circa 10
minuti. Si servono immediatamente. I ravioli possono essere consumati con un
pizzico di salsa piccante oppure si possono intingere nella ciotolina con il misto
di salsa di soia e aceto, che ne facilita la digestione.
POESIA
Dalle prime raccolte di odi antiche attribuite alla scuola
confuciana (Shijing, o libro delle odi), tra l’800 e il 600 a.C. fino ai
giorni nostri, la produzione poetica cinese è ricchissima e
fittamente intrecciata con lo sviluppo della prosa, del teatro e delle
arti visive (pittura, calligrafia). Sfruttando a un tempo il valore
icastico del segno scritto, che nel sistema di scrittura cinese è
incomparabilmente maggiore di quello oggi riscontrabile in qualunque altra
lingua scritta, e la particolare musicalità della lingua cinese, lingua sillabica e
tonale la cui fonetica ha subito forti metamorfosi nel corso dei millenni, la
poesia cinese è in grado di offrire sinestesie inusitate, cui è impossibile rendere
pienamente giustizia in traduzione. Idealmente, le poesie cinesi non andrebbero
soltanto declamate a voce alta per apprezzarne la metrica, la melodia (alcuni
generi poetici, come il ci, sono costruiti su arie musicali specifiche), il suono, ma
andrebbero viste e provate, seguendo con gli occhi e la mente il metatesto
costituito dai caratteri impiegati per scriverle, un’esperienza che può essere
53
ulteriormente amplificata ammirando la poesia in una versione calligrafica
particolarmente riuscita o, meglio ancora, scrivendola in bello stile mentre la si
recita: segno, suono, gesto e significato costituiscono così una sola cosa, un
palpito del pensiero intimo quanto il battito del cuore.
Nelle diverse dinastie si sono sviluppati generi e stili diversi, dalla poesia
“selvaggia”, di origine rituale e sciamanica come quella del poeta Qu Yuan (Chu
ci, canzoni nello stile dello stato di Chu), all’epoca degli Stati Combattenti, a
quella dotta e virtuosistica di epoca Han (quando si afferma il fu, un recitativo
ritmato basato sul Chu ci), in cui eccelle il poeta Sima Xiangru. Nel cosiddetto
medioevo cinese, seguito al crollo della dinastia Han nel 220 d.C. e protrattosi
fino alla riunificazione dell’impero sotto i Sui e i Tang nel VII sec. d.C., si
affermano stili poetici più liberi quanto ai temi e spesso esasperatamente
sofisticati sul piano formale: è il momento in cui la poesia si definisce
pienamente come genere e come attività creativa individuale. Il poeta maggiore
di questo periodo è Tao Qian (o Tao Yuanming, 365-427). La poesia popolare
del Sud tratta soprattutto temi d’amore, mentre quella del Nord è influenzata
dalla vita nomade e guerriera dei popoli della steppa (come nella celebre Ballata
di Mulan). Le dinastie Tang e Song (618-906; 960-1279) sono considerate l’età
dell’oro della poesia cinese: ampie raccolte (Le trecento poesie Tang, Le trecento
pesie Song) compendiano una produzione poetica davvero sterminata
(un’antologia Tang ne raccoglie quasi cinquantamila, ad opera di duemila
autori!), e nomi come quelli di Li Bai (o Li Po), Meng Haoran, Wang Wei, Dufu,
Bai Juyi, Li Shangyin e Yuan Zhen, tra i poeti Tang, e Su Dongpo, Ouyang Xiu,
Wang Anshi, Lu Yu e Li Qingzhao, tra i poeti Song, hanno raggiunto una solida
notorietà anche in Occidente. La Cina contemporanea, attraversata da nuove
inquietudini e aperta a influenze globali, sembra offrire spunti per una
riscoperta della poesia cinese e dei suoi nuovi giovani alfieri (come quelli della
corrente poetica menglong, “oscura”), tra cui si ricordano Bei Dao, Mang Ke e
Yang Lian, ma le loro opere in traduzione italiana sono tuttora piuttosto rare.
LETTERATURA
Le origini della letteratura cinese coincidono con
l’elaborazione di un sistema di scrittura unico al mondo e
preservatosi intatto fino ai giorni nostri, che raggiunge forma
compiuta in testi letterari verso i secoli XI-X secolo a.C.,
durante la dinastia Zhou. Le opere letterarie sono scritte su
seta e bambù fino al II secolo d.C., quando si afferma l’uso della carta. Fino al
primo decennio del novecento nei testi ufficiali, nella saggistica e nella poesia si
impiega solo la lingua letteraria (il cinese classico), mentre la lingua parlata
comincia a venire adottata nei testi teatrali e nella novellistica a partire dalla
dinastia Yuan (XIII sec.).
Orientarsi nel mare magnum della sterminata produzione letteraria cinese
non è cosa semplice: in lingua italiana esistono testi scritti da sinologi nostrani
che possono offrire un utile guida alla lettura sono reperibili anche valide
54
versioni delle opere essenziali. Nella breve bibliografia specifica elencata qui
sotto si annoverano, oltre a tali testi introduttivi, anche le migliori traduzioni
(spesso tratte da versioni in altre lingue europee, più raramente redatte in base
al testo cinese vero e proprio) dei principali testi che compongono il Si Shu Wu
Jing (lett. “i quattro libri e i cinque classici”, il canone dell’ortodossia
confuciana, che ogni letterato-funzionario cinese conosceva a memoria) e le
versioni parziali di tre dei quattro più famosi romanzi cinesi. I quattro libri
sono: L’Immutabile Centro (Zhongyong), Il Grande Studio (Daxue), i Dialoghi
(Lunyu), ovvero i tre testi che la tradizione attribuisce a Confucio e il Mencio
(Mengzi), opera del suo discepolo più celebre. I cinque classici sono: il Libro dei
Mutamenti (Yijing), il Libro delle Odi (Shijing), il Libro dei documenti (Shujing), le
Memorie dei riti (Liji) e gli Annali delle primavere e degli autunni (Chunqiu). Le
quattro maggiori opere di narrativa sono: Il Sogno della Camera Rossa
(Hongloumeng), I Briganti (Shuihuzhuan), Il Viaggio in Occidente (Xiyouji, meglio
noto come Lo scimmiotto), il Romanzo dei Tre Regni (Sanguo zhi yanyi). A questi se
ne potrebbe aggiungere un quinto, a lungo “libro proibito”, ma pienamente
degno della qualifica di capolavoro: il romanzo erotico Chin P’ing Mei
(Jinpingmei, o “fior di prugno in un vaso d’oro”), di attribuzione incerta. Nella
nostra lingua sono inoltre reperibili piccoli capolavori della letteratura cinese
delle varie dinastie, come le novelle di Pu Songling e di Feng Menglung, testi
filosofici, alchemici e sapienziali (soprattutto di scuola taoista), chicche erudite
come il raffinato canone di estetica di Liu Xie (il Wen Xin Diao Long, “gli
ornamenti dello spirito letterario”) e anche molta letteratura moderna e
contemporanea. Per esigenze di brevità si citerà qui soltanto una piccola scelta
di autori moderni e contemporanei: capiscuola come Lu Xun (forse il primo
autore cinese davvero moderno per inquietudini e sensibilità); essenziali e
sangugini come Mo Yan e Zhong Acheng, protagonisti degli ultimi anni
Ottanta; provocatori e disincantati come Wang Shuo, Yu Hua e Mian Mian (tutti
autori degli anni Novanta, protagonisti di una nuova scrittura disinibita, cruda
e iconoclasta); figure a cavallo tra oriente e occidente come Gao Xingjian
(Premio Nobel per la Letteratura) e Dai Sijie, entrambi esuli in Francia e forse
più noti in Europa che in patria. Per un’introduzione più esauriente alla
letteratura cinese si rimanda il lettore alle antologie e ai testi critici citati. Infine,
molto vasta è anche la letteratura degli emigranti cinesi, soprattutto quelli
stabilitisi negli Stati Uniti, dove a partire dagli anni Ottanta la fioritura di
romanzi e racconti ispirati dall’esperienza della propria esperienza personale e
familiare di emigranti è divenuta un vero fenomeno letterario: in italiano sono
state tradotte soprattutto le opere di Amy Tan.
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Zhong A. (Acheng), Trilogia dei re, Theoria, Roma-Napoli, 1994.
SITOGRAFIA
www.china.org.cn: portale ufficiale della rete internet cinese, ricco di
informazioni e notizie sul paese e la sua cultura (in lingua inglese).
www.chinabroadcast.cn: sito in lingua italiana di Radio China
International.
www.italiacina.org: sito dell’Associazione Italia-Cina.
www.italiacinami.org: sito del Circolo di Milano dell’Associazione Italia-Cina.
chineseculture.about.com: pagine web di About.com dedicate alla cultura cinese (in
lingua inglese), ricchissime di informazioni, approfondimenti e forum su argomenti
controversi legati alla cultura cinese.
www.tuttocina.it: il portale sulla Cina dell’Istituto Italo-Cinese.
www.cinaoggi.it: un portale sull’attualità cinese, con un’utile scelta di link.
www.who.int: sito dell’organizzazione mondiale della sanità, dove sono reperibili
informazioni aggiornate sulle condizioni del sistema sanitario cinese.
57
DANZE
Oltre alla principale etnia cinese Han (94% della popolazione) vivono nel Paese
altri cinquantacinque gruppi etnici. Ogni minoranza ha una propria lingua
tradizionale, una propria cultura e quindi proprie specifiche danze. Nella
regione dello Yunnan, al confine con Birmania, Laos e Vietnam, le danze
sottolineano momenti di festa tradizionale come quella delle Torce in cui si
danza intorno al fuoco e la festa della Grande Montagna durante la quale tutti
gli abitanti dei villaggi si recano presso i piedi della più alta montagna
suonando gli strumenti tradizionali. Attraverso il canto e la danza, tutti gli
abitanti della vasta Cina esprimono gioia, collera, tristezza e piacere.
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Egitto
di Chiara Lainati
DATI GENERALI 6
Confini L’Egitto confina a Nord con il Mar Mediterraneo, ad Est con Israele e il Mar
Rosso (e quindi l’Arabia Saudita), a Sud con il Sudan e a Ovest con la Libia.
Abitanti: 67.960.000.
Estensione geografica: kmq 1.001.449.
Continente: Africa.
Densità di popolazione: 68 ab./kmq.
Incremento demografico: 2,2% (1975-2002).
PIL pro-capite (US $): 3.810
Vita media. 68,6 anni (f. 70,8; m. 66,6).
Mortalità infantile 0-5 anni: 41/1000.
Tasso di alfabetizzazione della popolazione adulta (15+ anni): 55,6% (f. 43,6%; m.
67,2%).
Tasso di alfabetizzazione della popolazione giovane (15-24 anni): 73,2%.
Lingua ufficiale: arabo.
Altre lingue: dialetto arabo-egiziano, inglese e francese.
Religione/i: musulmani (soprattutto sunniti) (89%), ortodossi (copti) (10%), protestanti
(1%).
6
Fonte: UNDP (United Nations Development and Population), Human Development Report 2004: I dati
si riferiscono al 2002 se non indicato diversamente.
59
Gruppi etnici: arabi e berberi (99%), greci, nubiani, armeni ed europei (italiani e
francesi soprattutto) (1%).
Regime politico: Repubblica Presidenziale (Presidente: Hosni Mubarak, eletto nel
1981, il suo mandato è stato confermato nelle successive tre elezioni).
LE FESTE PRINCIPALI
Feste civili:
FESTA DELL’UNIONE (22 febbraio) GIORNO
SINAI (25 aprile).
DI LIBERAZIONE DEL
FESTA
(Sham En-Nassim): si tratta di un’antica festa di origine
pagana, già conosciuta nell’Egitto dei Faraoni che per il suo sincretismo
religioso avvicina nei festeggiamenti sia i copti che i musulmani, per
celebrare la terra e la natura. Si festeggia nel lunedì di Pasqua copta. La
tradizione vuole che si regali un fiore di loto alla donna amata.
FESTA
REPUBBLICA (18 giugno): si commemora il ritiro delle truppe
straniere e la proclamazione della Repubblica nel 1952.
DI PRIMAVERA
DELLA
GIORNATA DELLA RIVOLUZIONE (23 luglio): si commemora l’anniversario della
fine del Governo monarchico egiziano e la fondazione della Repubblica
nel 1952. Giornata osservata anche in Libia.
GIORNO DELLA VITTORIA DI SUEZ (24 ottobre): Nel 1973 il cessate il fuoco degli
Israeliani d’Egitto nel Canale di Suez restituì il controllo dello stesso
all’Egitto.
GIORNO DELLA VITTORIA (23 dicembre).
Feste religiose: in Egitto il calendario delle feste religiose viene scandito
soprattutto dal calendario islamico (Hijiri) i cui mesi seguono il ciclo
lunare. Ciò comporta che le date varino di anno in anno.
RAS AS-SANA: la festa musulmana del nuovo anno.
MOULID AN-NABI: compleanno del profeta Maometto.
RAMADHAn: si festeggia nel nono mese del calendario islamico e per i
musulmani è uno degli avvenimenti più importanti dell’anno. Infatti la
festività ricorda che in questo mese avvenne la rivelazione del Corano al
profeta Maometto. Per i fedeli adulti in pieno possesso delle facoltà
mentali (ad eccezione delle donne in fase di ciclo mestruale o puerperio)
è obbligatorio la pratica del digiuno e dell’astensione dal bere, dal fumo
e dai rapporti sessuali dall’alba al tramonto.
(FESTA DELLA ROTTURA DEL DIGIUNO): primo giorno del mese
successivo a quello di Ramadhan che sancisce la fine definitiva del
digiuno.
EID
AL-FITR
EID
AL-KEBIR
60
(GRANDE FESTA); ‘EID AL-ADHAH (FESTA DEL SACRIFICIO): si
commemora il miracolo compiuto da Allah quando sostituì il figlio che
Abramo stava sacrificando in nome della fede ad Allah, con un agnello.
Designa anche il periodo dell’anno in cui si svolge il pellegrinaggio alla
Mecca, che ogni musulmano è tenuto a compiere almeno una volta nella
vita.
FESTA
MOULID: in ogni villaggio vengono celebrate feste popolari nel
giorno del Moulid, in onore dell’antenato del villaggio stesso.
DEL
In Egitto esiste però anche un’importante minoranza (10-15%) copta (la
parola “copto” deriva dall’arabo “qibt”, forma abbreviata della parola greca
“aigyptios”, egiziano) che ha un’altro calendario di feste molto simile a quello
cattolico, essendo una religione di radici cristiane.
A Capodanno le famiglie celebrano le festività secondo antichi riti che
ricordano quelli già praticati al tempo dei Faraoni. Il Natale copto cade il 7
gennaio (nel 2003 è stato proclamato giorno di festa nazionale) e l’Epifania
viene celebrata il 18 o il 19 febbraio. La Pasqua (Aid El-fish) segue invece il
calendario lunare (periodo marzo-aprile). Il Cairo Vecchio celebra ogni anno
con grande devozione San Giorgio: i cristiani escono in processione con le torce
per le strade del quartiere, accompagnati dai canti e dai ritmi delle percussioni.
IL SALUTO: Assalam Aleikoum! (la pace sia con voi!) Kwais? (Stai bene?).
CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE: nelle case spesso si offre il tè.
IMMIGRAZIONE IN ITALIA
L’Egitto ha raggiunto l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel
1922 e si costituì come monarchia. Nel 1952 Gamal Abdel Nasser
rovesciò la monarchia di re Farouk prendendo il potere con un
colpo di stato. Si inaugurò così la Repubblica fondata su una
politica di stampo socialista che ha apportato profonde
trasformazioni nel paese. Nel corso di questo periodo l’Egitto è stato sottoposto
a grandi cambiamenti sociali e dopo una serie di avvicendamenti politici in cui
il paese si è aperto anche all’Occidente con la politica dell’Infitah (“porte
aperte”), dal 1981 il presidente è Hosni Moubarak.
La maggior parte della popolazione vive lungo le rive del Nilo e nel suo
Delta, il cosiddetto Basso Egitto, il resto (ben il 96% del territorio) è costituito da
zone desertiche. La tripartizione dell’Egitto tra i governatorati urbani (Cairo,
Alessandria e centri urbani del Delta del Nilo), il Basso Egitto e l’Alto Egitto (il
Sud) ha un’importanza intrinseca nella definizione delle differenze socioculturali interne al paese. I governatorati urbani sono fortemente cosmopoliti e
tutti concentrati a Nord; la prossimità del Basso Egitto alle zone urbane ne ha
fatto una regione che ha conosciuto uno sviluppo economico notevole; l’Alto
Egitto è invece un’area prevalentemente agricola e rurale e nella storia ha svolto
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un ruolo di periferia, soprattutto per la forte centralizzazione dello sviluppo
avvenuto a Nord dove si trova la capitale. A questa ripartizione sociogeografica si sovrappongono poi le vicende storiche, tra le quali è importante
ricordarne in particolare una. Prima dell’invasione islamica iniziata nel VII
secolo gli abitanti del paese erano in netta maggioranza cristiani e parlavano la
lingua copta. Attualmente invece è l’Islam che costituisce la religione di stato e
il codice civile cui tutti possono appellarsi è modellato sulla sha’ria (legge
islamica). La popolazione copta dunque costituisce una minoranza, sebbene
rilevante perché arriva a costituire il 15%, che spesso rivendica maggiori spazi
di espressione e di tolleranza in un contesto in cui è forte il processo di
islamizzazione, soprattutto negli ultimi anni. Questa situazione conduce la
minoranza copta a trasmettere un forte senso di appartenenza ai suoi fedeli,
anche perché in Egitto chi non dichiara la propria appartenenza religiosa ricade
sotto la legislazione di radice islamica; essendo i matrimoni misti regolati da
questa legislazione, si incoraggiano matrimoni all’interno della comunità.
Sebbene le prime presenze in Italia di cittadini egiziani risalgano agli anni
Sessanta (in particolare ebrei e cristiani copti che dopo la crisi di Suez del 1956
erano invisi al governo nasseriano), i primi importanti flussi migratori
cominciano negli anni Settanta quando la politica del presidente Sadat apre ai
paesi europei (politica dell’Infitah inaugurata nel 1974) con il conseguente
abbattimento dei vincoli che fino a quel momento avevano limitato
l’emigrazione di massa, facendola diventare un fattore strutturale di impiego.
L’obiettivo era quello di favorire l’ingresso di capitale estero. In quello stesso
periodo l’Egitto firma un accordo con l’Italia che consente ai cittadini egiziani di
ottenere facilmente un visto turistico valido da tre a sei mesi. Con l’attuazione
delle politiche di chiusura dei paesi europei che fino ad allora erano state le
mete privilegiate, l’Italia diventa una destinazione alternativa attraente. Milano
costituisce una delle realtà più significative della presenza egiziana in Italia.
Agli inizi degli anni Ottanta poco meno della metà degli egiziani residenti in
Italia (3.751) si trovavano in Lombardia (1.602) ma l’incremento più vistoso in
Italia lo si ha tra il 1989 e il 1990 con la legge Martelli che ha rappresentato
l’occasione non solo per fare emergere i lavoratori egiziani già presenti in Italia
ma anche per richiamare un gran numero di nuovi arrivi: nel giro di un anno i
permessi di soggiorno raddoppiano passando da 10.209 unità a 19.814. Da quel
momento in poi il flusso sembra stabilizzarsi con alcuni picchi riconducibili ai
ricongiungimenti familiari che negli anni Novanta costituiscono una delle
componenti migratorie più importanti.
Alla fine del 2003 gli egiziani in Italia sono 44.798 e parte di questo
importante incremento è dovuto all’emersione di circa 15.000 cittadini con la
regolarizzazione del 2002. La maggior parte degli immigrati egiziani che
risiedono in Italia provengono dalle grandi città come il Cairo ed Alessandria,
dopo aver già sperimentato in molti casi una migrazione interna al paese dalla
campagna alla città. Altre zone di provenienza importanti sono gli agglomerati
minori intorno al Delta del Nilo (Tanta, El Mansura, Port Said, Ismailia, Suez) e
alcune località dell’Alto Egitto (Aswan, ecc.).
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Le migrazioni dall’Egitto all’Italia si sono sempre caratterizzate per la forte
componente maschile che però a partire dagli inizi degli anni Novanta è stata
stemperata con il fenomeno dei ricongiungimenti familiari e delle nascite.
All’inizio del 2003 le donne egiziane presenti sul territorio italiano costituiscono
il 23% della popolazione egiziana. Agli inizi si trattava di persone con un livello
di istruzione piuttosto elevato che poi nel tempo ha avuto la tendenza ad
abbassarsi. La maggior parte della presenza femminile è costituita da donne
coniugate (87% all’inizio del 2003) che si sono ricongiunte subito dopo essersi
sposate al paese con il marito che aveva iniziato già da tempo l’esperienza in
Italia; oppure si tratta di donne già sposate che dopo aver vissuto a lungo una
separazione in attesa di una stabilizzazione economica del marito in Italia, lo
hanno raggiunto. Ciò non toglie che, comunque, esistano esperienze di donne
giovani e adulte immigrate al seguito di fratelli o di genitori o anche sole e che
qui abbiano trovato una loro collocazione lavorativa e professionale. Inoltre
molto ricorrenti sono i matrimoni misti tra uomini egiziani e donne italiane. La
collocazione lavorativa dei cittadini egiziani è eterogenea e non presenta
fenomeni di particolare etnicizzazione settoriale (se non forse nel settore della
ristorazione): oltre ad una presenza diffusa nel settore edile e metalmeccanico,
sono presenti sia come lavoratori subordinati che come imprenditori nella
ristorazione e nei servizi di pulizia e di manutenzione.
MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI
La famiglia in tutte le sue accezioni costituisce l’universo di
riferimento fondamentale per quel che riguarda l’educazione dei
figli. È il luogo dove si svolgono anche i principali conflitti perché
costituisce il gruppo da cui ci si aspetta sostegno e solidarietà ma è
anche il gruppo che esercita un’istanza di controllo sociale e di
rispetto delle norme. I giovani si trovano a vivere esperienze spesso nettamente
differenti da quelle vissute dai loro genitori. La forte politica di alfabetizzazione
avvenuta negli ultimi anni ha comportato divari culturali importanti tra la
generazione dei figli e quella dei genitori. I ragazzi si trovano in una posizione
di mediatori rispetto ai cambiamenti, cosa che spesso fa entrare in crisi i modelli
di crescita ed educativi proposti dai genitori. Tale tensione è particolarmente
evidente nelle zone dell’Alto Egitto dove i luoghi di socializzazione esterni alla
famiglia, soprattutto per le ragazze, sono fortemente limitati e le promiscuità
sono più sanzionabili dalla comunità. In emigrazione questo aspetto si accentua
ancora di più perché oltre allo spiazzamento dovuto al cambiamento di
contesto socio-culturale della propria quotidianità, entrano in gioco le difficoltà
comunicative legate alla lingua che costituiscono un ostacolo soprattutto per i
genitori. L’educazione dei figli si impronta sul fondamentale rispetto dei
genitori, in particolare del padre che costituisce l’autorità familiare in assoluto. I
modelli educativi sono piuttosto differenziati tra maschi e femmine, c’è in altre
parole la tendenza a impostare una specifica divisione dei ruoli fin da piccoli: si
promuove la socializzazione dei maschi fuori di casa e si tende a trattenere le
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femmine in casa o comunque ad esercitare su di loro un maggior controllo e
protezione, soprattutto con l’ingresso nella pubertà. Questo anche perché le
ragazze sono depositarie dell’onore e quindi dell’unità familiare ed è
importante salvaguardare questo valore. I ragazzi rimangono in casa finché non
si sposano, è difficile che vivano da soli, se non per motivi di studio che li
portano a spostarsi in altre città. Il matrimonio è una tappa fondamentale della
crescita dei figli ed è quella dove maggiormente si manifestano le tensioni e le
contraddizioni. Nonostante ci siano delle regole ascritte intorno al matrimonio
che prevedono una rigida divisione dei ruoli di genere e delle famiglie dei
partner, la realtà dell’istituzione è molto più complessa e manipolabile. Sebbene
le modalità di scelta del partner si differenzino a seconda dei ceti sociali e delle
regioni di provenienza, è ancora forte la pratica del matrimonio combinato. Con
questa pratica viene affermata la concezione del matrimonio come un’alleanza e
cooperazione tra due parti, due famiglie che vogliono garantirsi una maggior
sicurezza economica e integrità morale, piuttosto che l’unione tra due vite.
Questo è un elemento culturale che spesso si discosta dal modello occidentale
che invece si basa maggiormente sull’individuo. È inoltre una pratica che a
volte può diventare un’imposizione soprattutto sulla donna ma anche
sull’uomo, in altri casi invece viene considerata come una scelta che fa parte del
ciclo di vita. Una volta sposati laddove è possibile si privilegia la patrilocalità,
cioè si vive nei pressi della famiglia dello sposo, dal momento che spesso è lui
quello che deve procurare l’alloggio e quanto serve per il mantenimento
materiale della famiglia.
MODELLI DI CURA
Le abitudini e le pratiche curative afferiscono alla sfera popolare e
religiosa ma sempre più spesso anche alla medicina moderna. La
donna è spesso la maggiore depositaria di questi saperi ed è lei che si
prende maggiormente cura della salute dei figli. I saperi si
differenziano profondamente tra una generazione e l’altra: si possono
trovare donne depositarie di conoscenze approfondite sull’uso delle erbe
medicinali e che si assumono l’incarico di curarsi e di curare, e donne che
invece delegano completamente la cura del corpo a medici e tecnici. Nella
regione dell’Alto Egitto queste pratiche sono ancora molto forti, soprattutto in
ambito riproduttivo. Le dayah, le ostetriche tradizionali, sono quelle che si
prendono cura di tutto il ciclo fino al parto e alla prima fase post-parto. Nella
tradizione islamica il periodo che segue il parto è un periodo di riposo che
corrisponde a una fase di impurità della puerpera che dura quaranta giorni. Nel
caso sia periodo di Ramadhan la donna è sollevata dalla pratica del digiuno. In
questo momento la madre e la rete di donne della famiglia e le vicine la
sostengono nell’accudimento del neonato. L’uomo rimane molto spesso ai
margini. Un’abitudine che si riscontra trasversalmente in tutti i paesi del Nord
Africa è quella legata alle pratiche di protezione dal malocchio. L’amuleto più
diffuso è la mano di Fatima che protegge dagli sguardi considerati pericolosi. Il
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potere rituale di questo simbolo sta nel numero cinque (cinque dita della mano):
i dogmi della religione islamica sono cinque come pure le preghiere che un
credente deve fare durante la giornata. La mano di Fatima è spesso
accompagnata anche da altri simboli popolari come il cornetto rosso ma anche
dal sacro Corano in miniatura. Questa usanza è piuttosto diffusa non solo nelle
campagne ma anche nelle città ed è ricorrente in ogni ambito sociale.
MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE
DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE
La famiglia e la scuola sono i principali contesti di socializzazione dei
bambini e delle bambine. Nelle città più grandi e tra le classi sociali
più abbienti è ricorrente la pratica di attività sportive tra i giovani
adolescenti. Il gioco del calcio tra ragazzini per le strade è un fenomeno
esteso. Come già si è accennato, vigono regole, che talvolta si possono
considerare anche di pura convenienza sociale, che tendono a promuovere la
socializzazione dei maschi fuori di casa e a trattenere le femmine in casa o
comunque ad esercitare sulle ultime un maggior controllo e protezione,
soprattutto con l’ingresso nella pubertà.
MODELLI E STILI FAMILIARI
LA VITA SOCIALE DELLE FAMIGLIE E IL RUOLO DEI GENITORI: è
ricorrente rappresentarsi la famiglia araba in modo univoco e a
partire dall’ideale di famiglia nucleare occidentale si estende la
concezione al modello arabo che si considera nella sua struttura
allargata e corporativa in cui la diade madre-figlio rappresenta
l’elemento universale. In realtà in Egitto, anche se in misura minore rispetto ad
altri paesi arabi della regione Nordafricana, la struttura familiare è molto più
complessa e non è solo definita dai legami biologici. Sebbene il riferimento
possa essere quello della famiglia allargata, le relazioni che intercorrono
possono essere manipolabili e estendibili oltre i vincoli biologici (amicizia,
vicinato, ecc.). È di più la qualità delle relazioni a definire il vincolo familiare
piuttosto che la categoria familiare di appartenenza della persona. A questa
caratteristica si aggiunge il fatto che ci sono altre variabili che contribuiscono a
determinare l’estensione del nucleo, in primis l’appartenenza sociale e il
contesto abitativo. In Egitto la disparità tra gruppi sociali è molto elevata, sia
per il fatto che esiste ancora una forte polarizzazione tra campagna e città, sia
per il fatto che anche nelle città convivono culture e subculture particolarmente
differenti, dovute anche agli ingenti flussi migratori che dalle campagne si
concentrano nelle periferie e nelle bidonville delle città. I genitori svolgono un
ruolo di guida importante e vige una particolare forma di rispetto nei loro
confronti: il padre rappresenta l’autorità della famiglia, colui che si occupa della
crescita dei figli e del loro ingresso nella società; la madre è quella che si prende
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maggior cura dell’educazione e della crescita quotidiana dei figli. Nel diritto di
famiglia egiziano musulmano c’è ancora una forte disparità rispetto al ruolo
della madre e del padre nelle decisioni da prendere in merito al proprio nucleo
familiare e così avviene spesso nella prassi quotidiana. Ciò non toglie che
comunque in molti casi la donna possa avere una sua autonomia nella gestione
dei rapporti familiari e nei processi decisionali rispetto ad alcuni ambiti quali ad
esempio l’amministrazione domestica. Come già spiegato, il matrimonio è un
momento fondamentale nella vita di una famiglia. L’età di contrazione del
matrimonio si sta innalzando, soprattutto per quel che riguarda le donne che,
accedendo maggiormente all’istruzione, preferiscono ultimare il percorso di
studi prima di sposarsi. È ricorrente che vi sia un importante scarto di età tra
uomo e donna: spesso l’uomo è più anziano della donna di almeno 5-10 anni se
non di più e possiede un livello di istruzione superiore.
ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: il diritto egiziano non prevede il
cognome così come avviene nella giurisdizione italiana. Bensì l’appartenenza
ad una famiglia viene definita da un doppio patronimico: nome del figlio –
nome del padre – nome del nonno paterno. In Egitto tale triade è obbligatoria.
Siccome la normativa italiana prevede un nome e un cognome, per conciliare le
due normative, in genere è ricorrente un accordo con il Consolato locale in base
al quale l’ultimo nome che compare sul passaporto del cittadino egiziano viene
considerato il cognome richiesto in Italia.
ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: in Egitto prevale lo jus sanguinis per
via paterna. Ne consegue che una madre egiziana non può trasmettere la sua
cittadinanza al figlio, anche se questo nasce su territorio egiziano; il padre
invece trasmette automaticamente la sua cittadinanza sia sul territorio egiziano
che in un altro paese. È importante però che sia stato contratto un matrimonio,
anche dopo la nascita del figlio.
FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO: il riconoscimento paterno dei figli
può avvenire solo se alla base esiste un matrimonio legalmente valido. Nel caso
questo non si verifichi è possibile contrarre il matrimonio subito dopo la nascita
al fine del riconoscimento. Non può quindi esserci riconoscimento paterno e
quindi tutela del bambino senza matrimonio. Nel caso in cui la coppia non sia
sposata la donna, cui si riconosce invece la maternità anche solo per
generazione biologica, può ottenere un provvedimento di riconoscimento per il
padre ma si tratta di una procedura complessa. Altrimenti il bambino è
dichiarato figlio di ignoti (esistono Istituti che si occupano della tutela dei
bambini). L’adozione non è riconosciuta.
REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: il bambino può essere iscritto nei
registri di Stato Civile egiziani solo se in precedenza è stato registrato il
matrimonio nell’ambito del quale è stato concepito. Nel caso di famiglie
immigrate, l’iscrizione avviene sia nel Comune di residenza che al Consolato,
solo previa richiesta del padre, del fratello del padre o del padre del padre.
CONTRATTO DI MATRIMONIO: il matrimonio è un contratto civile che deve
venire registrato presso le competenti Autorità Egiziane. A seconda della
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religione di appartenenza vengono applicati diversi codici giuridici. Il
matrimonio copto è di impronta cristiana, quindi molto simile a quello
occidentale, cioè dà vita ad una nuova entità indissolubile in cui il divorzio non
è contemplato. Il matrimonio musulmano invece prevede una precisa codifica
del ruolo dell’uomo e della donna che permangono entità separate fino alla
nascita dei figli (ad esempio vige la separazione dei beni); la separazione non è
quindi una minaccia all’unità familiare. La divisione dei compiti, così come
stabilita dal codice, prevede una subordinazione della donna all’uomo: essa
deve obbedienza al marito che è il responsabile della famiglia, non è cioè
contemplata una corresponsabilità così come invece è stata prevista nella
recente riforma del Marocco e nel Codice dello Statuto Personale della Tunisia.
Un altro elemento importante del matrimonio musulmano consiste nella dote
(mahr) che l’uomo deve dare alla donna e costituisce l’oggetto del contratto di
matrimonio stesso. In molte zone dell’Egitto la dote ricopre ancora un ruolo
molto importante perché è l’elemento che fornisce una certa garanzia materiale
alla donna. Persiste inoltre la pratica della poligamia. Questa apparente
dicotomizzazione tra copti e musulmani assume poi però sfumature diverse che
soprattutto in emigrazione possono variare fortemente a seconda dei progetti
migratori in atto.
DIRITTI DEI MINORI: in Egitto il lavoro minorile costituisce un’importante
componente dell’economia informale privata, soprattutto per quel che riguarda
il settore agricolo, la piccola impresa manifatturiera e artigianale. Per lungo
tempo questo argomento è stato tabù e non esistono statistiche governative che
analizzano questo fenomeno. Secondo alcune recenti rilevazioni internazionali
ci sono più di due milioni di bambini impiegati a tempo pieno sul mercato
egiziano che contempla circa diciotto milioni di lavoratori. Nel 1990 il governo
ha ratificato la Convenzione sui Diritti sul Bambino. Da allora sono stati
sostenuti diversi programmi per scoraggiare tale fenomeno, tra i quali si
segnala quello lanciato dal Consiglio Nazionale per l’Infanzia e la Maternità che
fornisce sussidi alle famiglie meno abbienti ma anche servizi educativi e sanitari
per i bambini lavoratori.
DIRITTI DELLE DONNE: nel 1981 l’Egitto ha ratificato la Convenzione
sull’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione Contro le Donne
(CEDAW) ma mantiene ancora riserve dovute alla conflittualità con la legge
islamica. A livello governativo sono stati istituiti degli enti preposti alla
promozione della parità dei generi (nel 2000 ad esempio è stato fondato il
Consiglio Nazionale delle Donne sotto la direzione della moglie del presidente,
e così anche altre istituzioni) ma sono misure che difficilmente riescono a
penetrare nel tessuto sociale del paese. In materia di codice civile e di diritto di
famiglia ad esempio, un’interpretazione conservatrice della sha’ria (legge
islamica) vede ancora una forte subordinazione della donna all’uomo, con una
limitazione forte dei diritti della donna.
DIVORZIO E SEPARAZIONE: le leggi che riguardano il matrimonio e lo statuto
personale corrispondono generalmente alla religione dell’individuo. Nella
legislazione musulmana, che costituisce la base del diritto di famiglia egiziano,
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le procedure di divorzio sono diverse nel caso si tratti di un uomo o di una
donna e generano discriminazioni soprattutto nei confronti della seconda. A
differenza di altri paesi come la Tunisia (uno dei primi paesi arabi ad aver
adottato un’interpretazione moderna della sha’ria applicata al codice di
famiglia) e il Marocco (che nel 2004 ha modificato lo statuto personale della
donna con una esegesi più moderna della sha’ria), l’Egitto ha mantenuto una
posizione conservatrice. L’uomo può esercitare il ripudio senza nessuna
restrizione, mentre la donna invece può chiedere il divorzio solo se può
dimostrare i maltrattamenti subiti. Solo nel 2000 la donna può accedere
liberamente ad un’altra forma di divorzio (khul) dove però si deve sottoporre a
complesse procedure giuridiche e deve rinunciare totalmente alla dote (mahr) e
a qualsiasi altra rivendicazione finanziaria nei confronti del marito. Sebbene sia
stato istituito un fondo per gli alimenti per la donna e i figli, ancora molto si
deve fare in termini giuridici e burocratici. Le procedure infatti sono molto lente
e le donne in fase di separazione sono ancora legalmente sotto la tutela del
marito e non possono quindi accedere al sistema di assistenza sociale del paese.
A ottobre 2004 sono stati istituiti dei Tribunali familiari incaricati di seguire
esclusivamente i casi di divorzio per ovviare alla lentezza dei procedimenti ma
questo non apporta nessun cambiamento rispetto alla discriminazione giuridica
che persiste nelle modalità di accesso al divorzio per le donne.
SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI
Il sistema scolastico egiziano ha assunto importanti elementi
occidentali. Negli anni della colonizzazione britannica (1882-1922)
vi fu un importante sviluppo della politica educativa sul modello di
quella occidentale. La scuola comprendeva due sistemi paralleli:
quello delle scuole coraniche (kuttab) a cui era più facile che ci
accedessero anche gli strati più poveri della popolazione ma che non prevedeva
una prosecuzione degli studi; quello invece costituito dalle scuole pubbliche e a
pagamento (in lingua francese e poi in lingua inglese) a cui accedevano i ceti
più abbienti e che permetteva poi l’accesso agli studi superiori. Con la
proclamazione dell’indipendenza, nella Costituzione (1923) si sancì
l’obbligatorietà dell’insegnamento primario per tutti, maschi e femmine e
successivamente il sistema scolastico fu gradualmente integrato. Il sistema
scolastico attuale però ha le sue radici nella rivoluzione compiuta da Nasser che
garantì definitivamente il diritto all’istruzione di base e alla gratuità della
scuola. Nel 1984 l’obbligo scolastico è stato esteso alla scuola media e nel 1999
l’obbligo è stato esteso ad un periodo di nove anni, per tutti i ragazzi fino ai 15
anni di età. Tuttavia ci sono ancora molti progressi da fare. Esistono infatti forti
disparità nell’accesso scolastico soprattutto tra zone urbane e zone rurali e
anche tra maschi e femmine. L’insufficienza di infrastrutture e la scarsa qualità
dell’insegnamento pubblico ha incrementato l’offerta privata, promossa anche
dal governo, generando così forti divari tra gli strati della popolazione. I gravi
problemi economici di molte famiglie spingono a ritirare presto i figli dalla
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scuola, soprattutto le femmine. Il governo sta comunque attuando da anni
programmi volti a favorire la scolarizzazione femminile e a debellare
l’abbandono scolastico.
Accanto alla scuola laica esiste un sistema di scuole religiose che può essere
identificato in due filoni: il primo che fa capo al Al-Azhar, l’autorità religiosa
nazionale, le cui scuole coraniche riformate affiancano al programma nazionale
uno studio più approfondito della religione ma sono scarsamente diffuse. Più
ricorrenti sono invece le scuole coraniche tradizionali che accolgono bambini in
età prescolare o che insegnano dottrina ai bambini che frequentano il sistema
scolastico formale. L’insegnamento primario è di competenza del Ministero
dell’Educazione, l’insegnamento superiore e universitario invece è di
competenza di un altro ministero, quello dell’Educazione Superiore.
SCUOLA MATERNA: l’Egitto non ha una tradizione di scuola materna
pubblica, si può scegliere tra le scuole private e quelle coraniche. La scuola
coranica può iniziare a 3-4 anni e i bambini si avvicinano all’arabo classico
tramite gli esercizi di ripetizione orale proposti dal maestro7 in un clima di
rigida disciplina. La riforma però prevede l’estensione della scuola materna a
tutto il paese, rendendo obbligatoria la frequenza per i bambini dai 3 ai 6 anni.
SCUOLA DELL’OBBLIGO: in seguito alla riforma avvenuta nel 1999 e tuttora in
fase di attuazione, la scuola dell’obbligo (educazione primaria) comprende nove
anni (prima erano otto) ed è strutturata in due cicli:
–
scuola primaria (cinque anni + uno introdotto con la riforma);
–
scuola preparatoria (tre anni).
L’età di accesso è fissata a 6 anni ma si può anticipare a cinque se c’è
disponibilità di posti.
Prima della riforma la scuola preparatoria prevedeva due indirizzi: uno
generale e l’altro professionale. Solo gli alunni che superavano con maggiore
profitto la scuola elementare potevano accedere all’indirizzo generale per poi
continuare con gli studi superiori. Con la riforma invece il percorso è cambiato
e la scuola preparatoria possiede vari indirizzi con piani di studio diversificati.
Alla fine del terzo anno vi è un esame in seguito al quale è rilasciato un
diploma che permette l’iscrizione agli anni successivi.
CALENDARIO E ORARI: l’anno scolastico comincia a metà settembre e termina
a fine maggio. Comprende 34 settimane di scuola. Oltre alle vacanze estive sono
previste due settimane circa di vacanza per le festività religiose. Gli studenti di
religione cristiana (copti e ortodossi) sono autorizzati ad assentarsi da scuola
per le loro festività ma le lezioni proseguono regolarmente. I giorni di
frequenza settimanale sono sei, il giorno festivo è il venerdì. L’orario giornaliero
inizia generalmente alle 7,30 e termina alle 14 e prevede il tempo continuato,
con due pause, a colazione e a pranzo. La lezione dura 45 minuti.
7
L’arabo fusah è la lingua dotta scritta e insegnata a scuola, che è altro dalla forma dialettale che viene
parlata nella vita quotidiana per strada e in famiglia (amia).
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PROGRAMMI E ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA: il programma è stabilito a
livello nazionale ed è esteso anche alle scuole private. La lingua di
insegnamento è l’arabo standard8. Con la riforma è stato anticipato lo studio di
una seconda lingua (generalmente l’inglese) a partire dalla quarta classe della
scuola primaria ma in poche scuole questo viene applicato, nella maggior parte
dei casi lo studio della seconda lingua viene introdotto in modo sistematico a
partire dal primo anno di scuola preparatoria. I programmi del primo livello
della scuola primaria hanno l’obiettivo di far acquisire le competenze di base
relative a lettura, scrittura, matematica e religione; quelli dei restanti due anni
invece prevedono il consolidamento delle competenze acquisite. Per quel che
riguarda invece la scuola preparatoria l’obiettivo è quello di preparare gli
studenti alle alternative curriculari offerte dalla scuola superiore. Il percorso
prevede insegnamenti scientifici e linguistici, religiosi, tecnologici (computer e
informatica) e storici. Nel curriculum è molto importante il rafforzamento
dell’identità nazionale nonché religiosa. Per quest’ultima sono previsti corsi
differenziati per musulmani e copti.
L’insegnamento si basa in modo preponderante su una metodologia di tipo
mnemonico che trascura lo sviluppo di abilità critiche e interpretative. Tuttavia,
come si sta verificando anche in altri paesi musulmani, la recente riforma ha
l’obiettivo di incoraggiare l’adozione di nuove metodologie di insegnamento
che coinvolgano in modo più partecipativo lo studente nella definizione del suo
processo di apprendimento. Con la riforma si prevede anche la partecipazione
dei genitori nel processo educativo, istituendo così dei consigli di classe. Quindi
sebbene alla scuola venga data molta importanza da parte della famiglia, è
invece un’acquisizione recente la sua più attiva partecipazione nel percorso
istituzionale di apprendimento dei figli.
VALUTAZIONE: nel corso dell’anno si effettuano prove scritte e orali valutate
su scala decimale. Alla fine di ogni ciclo scolastico vengono fatti degli esami
sotto la supervisione dell’amministrazione scolastica locale. È prevista la
ripetenza.
VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE
Con la rivoluzione nasseriana del 1952, il governo ha fatto
importanti sforzi per promuovere la partecipazione delle
donne sul piano sociale, economico e politico. La Costituzione
è stata modificata per assicurare l’uguaglianza tra i sessi e per
accordare il diritto di voto e anche il diritto alle donne di farsi
eleggere. L’art. 8 e 11 della Costituzione obbliga lo stato ad assicurare l’equità
dei diritti a tutti i suoi cittadini sia uomini che donne. Ciononostante ci sono
molti elementi discriminatori nella legislazione giuridica. La legge sullo Statuto
Personale che si basa su un’interpretazione restrittiva della legge islamica, non
garantisce una parità di accesso tra l’uomo e la donna al diritto di matrimonio,
8
Ibidem.
70
di divorzio e di successione. Nonostante un tentativo di riforma avvenuto nel
2000, questo poi è fallito per una concessione fatta ad esponenti della corrente
conservatrice musulmana e tuttora le donne sposate devono ad esempio avere il
permesso del marito o del suo tutore legale per ottenere il passaporto e
viaggiare. Se si guarda al GEM (Gender Empowerment Measurement) come
indicato nel rapporto UNDP 2004 sullo sviluppo umano, l’Egitto si colloca al
settantacinquesimo posto su 78 nazioni, in linea con altri paesi arabomusulmani (l’Italia invece si colloca al trentaduesimo). Tale misura si basa
soprattutto su criteri che riflettono la partecipazione delle donne alla vita
politica e professionale. Importanti miglioramenti sono stati comunque
registrati in questi ambiti. Il rapporto tra donne e uomini nel processo di
alfabetizzazione è in crescita e passa dal 57% del 1992 al 67% nel 2002. Le donne
rappresentano il 21% delle forze di lavoro con una crescita di 15 punti rispetto a
dieci anni fa. Il divario tra i salari delle donne e degli uomini è grande: le stime
dell’UNDP parlano di $ 1.963 per le donne e di $5.216 per gli uomini. Tale
tendenza è riscontrabile in molti paesi, anche quelli occidentali, nei paesi a
basso reddito lo scarto si ingigantisce. Tale scarto non è da interpretare sempre
in modo univoco. La storia dell’emancipazione delle donne nei paesi arabi e
musulmani è diversa e non sempre vuole essere come quella occidentale ma
troppo spesso le agenzie internazionali fanno uso di sistemi di misurazione che
adottano modelli occidentali di valutazione. Molte donne attiviste di questi
paesi accusano questi meccanismi che inducono i politici dei paesi in questione
ad adottare programmi ed interventi che rispondono maggiormente agli
interessi della comunità internazionale (e quindi alla perpetuazione
dell’esercizio del proprio potere) che agli effettivi bisogni della popolazione.
STILI ALIMENTARI
La cucina egiziana, come tutta la cucina del mondo arabo
è fortemente influenzata dalla cultura e dalla religione
musulmana. Le regole alimentari stabilite dal Corano
prevedono il divieto della carne di maiale e del consumo di
carne non halal (“lecito”), cioè non macellata secondo i
dettami del Corano, che vogliono che in nome di Dio (bismillah) l’animale venga
sgozzato, affinché il sangue, ritenuto impuro, esca completamente dal corpo
dell’animale. È vietato anche il consumo di bevande alcoliche, per questo in
tutto il mondo arabo si bevono molti succhi di frutta freschi (asir), tè (shy), caffè
(‘ahwa) e bevande gazzose.
È una cucina che si differenzia dalla cucina del Maghreb, fortemente
influenzata dai berberi e si avvicina a quella del Medio Oriente. Questo
comunque non significa che piatti cucinati in Egitto non esistano in altre parti
del mondo arabo-musulmano, sebbene con qualche variazione. Il pane (aish),
tondo e soffice (quello che da noi viene comunemente chiamato pane arabo),
che viene spesso venduto nei quartieri delle città anche da ambulanti, si
accompagna a tutte le pietanze ed è spesso usato dagli egiziani in sostituzione
71
delle posate, attingendo il cibo da un unico piatto, come negli altri paesi di
cultura arabo-musulmana. Per questo è molto importante lavarsi le mani prima
e dopo il pasto. In tutti i negozi che vendono piatti caldi, c’è sempre un
lavandino dove i clienti possono lavarsi le mani.
I due piatti più diffusi sono il ful (una zuppa di fave cotta a fuoco lento e
condita con spezie e succo di limone) che si trova ovunque e che costituisce
anche la prima colazione in tempo di Ramadhan (prima dell’alba, momento che
segna l’inizio del giorno di digiuno), e la kunafa, un dolce molto elaborato che in
famiglia viene preparato soprattutto durante il Ramadhan, periodo di festa in
cui si consumano molti dolci. Molto diffuso accanto all’uso del cumino e del
coriandolo è anche l’uso del sesamo, soprattutto in forma di crema (tahina),
ottenuta dai suoi semi tostati e spremuti. Fra le carni usate per cucinare gli
spezzatini con lenticchie o fave, l’agnello è la più usata. Di agnello macinato
sono le khofta che si servono infilate su spiedini cucinati a carbonella. Di agnello
(ma anche manzo e pollo) tagliato a pezzi e cucinato allo stesso modo sono
invece gli shawarma. Alla fine del pasto viene servito il caffé turco ‘ahwua o del
thè molto scuro e molto zuccherato shy.
Consumare i pasti in famiglia è molto importante ma le strade del Cairo e di
tutte le cittadine sono piene di negozi e piccoli ristoranti che vendono pasti
caldi come lo shawarma (ormai diffuso in tutto il mondo arabo è uno spiedo di
carne di agnello o manzo tagliata in verticale che viene servita nel pane insieme
a diversi tipi di verdure), le tameya (polpette di fave e ceci), il koshari, un piatto
economico e popolare (riso, lenticchie e vermicelli di pasta) che viene preparato
specialmente in tempo di Quaresima nelle case delle famiglie copte. Per le
strade e nei negozi sono diffuse anche molte bibite: succhi di frutta preparati al
momento (asir, particolare è quello alla canna da zucchero) e bevande servite
ghiacciate al gusto di liquirizia (bastoncini di liquirizia macinati e macerati),
tamarindo (tamar, “dattero”: datteri sciolti nell’acqua calda e zuccherati) o
karkadé. In particolare molte di queste bevande vengono usate per rompere il
digiuno nelle sere di Ramadhan, insieme al kushaf, una macedonia di frutta
secca.
RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA
La cultura egiziana è caratterizzata da riti e tradizioni
legati al ciclo della vita che fanno riferimento soprattutto alla
religione, anche se poi i sincretismi con forme più legate a
tradizioni pagane e popolari non mancano. È importante
ricordare che in Egitto non esiste solo la religione islamica ma
anche un’importante minoranza copta (circa il 15%) che costituisce una
rilevante componente dei flussi migratori in Italia. Addirittura in alcune città
questi costituiscono la maggioranza. I riti illustrati di seguito sono quelli
islamici, essendo quelli copti di impronta prettamente cristiana e quindi più
simili ai nostri.
72
NASCITA: nelle famiglie più religiose, quando un bimbo nasce, si usa
pronunciare al suo orecchio l’adan, il richiamo alla preghiera, che comprende
anche la shahada, la dichiarazione di fede in Allah; una settimana più tardi ha
luogo una festa in cui vengono invitati parenti e amici che portano soldi e regali
per il nuovo nato. In questa occasione viene sancita dal padre l’appartenenza
del nuovo nato alla famiglia. Ancora nei mesi successivi ci sono le visite di
parenti e amici che portano doni al nuovo nato. Tra i 7 e i 10 anni a tutti i
bambini di sesso maschile viene fatta la circoncisione, un rito che segna il
passaggio alla pubertà e che viene sancito con grandi festeggiamenti.
MATRIMONIO: il rito del matrimonio ha una lunga tradizione che tuttora
viene strettamente osservata, non solo nei ceti più popolari ma anche in quelli
più borghesi e intellettuali. Ogni regione ha le sue tradizioni e i suoi riti ma c’è
comunque una sequenza di riti che è ricorrente in tutto l’Egitto. Nell’ultimo
periodo si è riscontrato un forte ritorno alle cosiddette tradizioni, dopo una fase
in cui la scelta del coniuge e la cerimonia del matrimonio, si avvicinava a
modalità più simili a quelle occidentali. La tradizione di matrimoni combinati
spesso all’interno della famiglia allargata convive con altre forme invece più
elettive. Il rito del matrimonio si svolge nell’arco di sette giorni e ha tempi di
preparazione molto lunghi. Dopo una prima fase in cui si firma il contratto di
matrimonio (spesso anche un anno prima della vera e propria festa), ha inizio
una seconda fase articolata in diversi momenti che segnano per la donna il
graduale abbandono del tetto di famiglia e per l’uomo l’accoglienza della sposa
nella casa della propria famiglia di appartenenza e quindi nella loro casa futura.
Come è riscontrabile ad esempio negli altri paesi del Nord Africa, le principali
tappe del rito del matrimonio sono le seguenti: la firma del contratto di
matrimonio; la purificazione del proprio corpo in seguito alla quale le mani e i
piedi (e spesso anche le gambe) della donna vengono decorati con disegni fatti
con la henna, una polvere vegetale rossastra; la festa di addio nella propria casa
e infine la cerimonia finale nella casa dello sposo o in locali affittati per
l’occasione.
FUNERALI: prima di essere seppellito il corpo del defunto deve essere lavato
e avvolto in lenzuola bianche. Sono sempre e solo gli uomini ad accompagnare
la salma al cimitero, sia che si tratti di un uomo, sia che si tratti di una donna. Il
funerale è una cerimonia semplice che si svolge presso la moschea e al cimitero
con l’imam che intona le preghiere per il defunto. Il corpo viene seppellito nel
cimitero con il viso in direzione verso La Mecca. In seguito viene osservato un
lutto di quaranta giorni che implica una serie di astensioni, al termine del quale
la famiglia ritorna ai suoi ritmi di via normali.
73
SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI 9
L’Egitto ha conosciuto una grossa crisi del sistema pubblico
sanitario nazionale, soprattutto in seguito alla Rivoluzione (1952)
quando uno degli obiettivi principali è diventato la copertura
nazionale del fabbisogno sanitario di tutta la popolazione, cosa
fino ad allora impensabile date le distanze e la forte
contrapposizione che esisteva tra campagna e città. A fronte di una classe
medica dirigente che esercitava privatamente in città ed era poco disposta a
spostarsi nei centri più lontani, si è implementata un’importante azione di
sviluppo dell’insegnamento della medicina nelle università con l’obiettivo di
alimentare una classe medica del settore pubblico. La mancanza di risorse
finanziarie e il forte gap culturale ed economico tra zone rurali e urbane, Alto e
Basso Egitto e i governatorati urbani, ha creato e crea non poche difficoltà alla
diffusione dei servizi sanitari primari in tutto il territorio nazionale. Negli anni
Ottanta il sistema sanitario appare fortemente polarizzato: accanto ad un settore
privato ad elevato sviluppo tecnologico che serve soprattutto le classi più agiate
nei centri urbani, sopravvive a stento un settore pubblico molto debole con
salari molto bassi e un’insufficienza di strutture. Nel tentativo di riequilibrare la
situazione, nel 1985 viene autorizzata la possibilità di praticare sia nel pubblico
che nel privato. Nel 2000 il governo vara un decreto in cui stabilisce che l’1% del
salario dei cittadini destinato alla Previdenza Sociale, sia allocato alle cure
mediche o all’indennità di malattia. A partire dagli anni Novanta l’azione di
governo si rinnova ancora con il sostegno di molte agenzie internazionali, in un
periodo in cui molti altri paesi si ritrovano ad avviare profonde riforme del
settore sanitario. L’obiettivo è quello di riorganizzare radicalmente le risorse
materiali ed umane cercando di decentralizzare il sistema. L’impatto sulla
popolazione è comunque minimo dal momento che solo 153 US$ pro capite
sono destinati alle spese sanitarie. Il numero medio di medici per 10.000
persone è pari a 8.8, variando da un minimo di 4-5 nei governatorati dell’Alto
Egitto ad un massimo di 24-25 a Port Said e nelle zone di frontiera. Tutta la
popolazione ha accesso ai servizi di cura primaria e il 99% della popolazione
rurale non deve percorrere più di cinque chilometri per raggiungere una
struttura pubblica sanitaria. Ciononostante l’utilizzo è molto scarso: solo il
22,7% contro il 57% del servizio privato. Il risultato non cambia sia che si tratti
delle classi più povere o più agiate, sembra quindi che la storia di disservizio
del settore abbia generato un clima di generalizzata sfiducia nel pubblico. La
salute dei bambini e quella riproduttiva sono i principali ambiti di intervento. Il
Rotary e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno promosso
programmi di vaccinazioni a favore dei bambini collaborando con il governo
nella prevenzione delle malattie infantili come la poliomelite, la difterite e la
rosolia. Nel 2003 quasi tutti i bambini di un anno d’età (98%) sono stati
vaccinati contro la tubercolosi, la difterite, il tetano, la pertosse, la poliomelite, il
morbillo e l’epatite B. Il tasso di mortalità resta però elevato, cioè 23.2 ogni 1000
9
Fonti dei dati esposti nel paragrafo: UNDP Egypt Human Development Report 2004 e OMS (dati
disponibili nei rispettivi siti).
74
nati (dati OMS). Tra le donne, la mortalità da parto resta elevata, sebbene si sia
dimezzata dal 1992 scendendo da 174 a 84 morti ogni 100.000 nascite. In parte
questo è dovuto ad alcuni modelli di comportamento che vedono solo il 68,9%
delle donne che accedono a cure prenatali e al fatto che nel 5% dei casi le nascite
non vengono assistite da personale sanitario. Quest’ultima percentuale si
innalza soprattutto nelle zone rurali dove è molto estesa la pratica delle
ostetriche tradizionali (dayah) e dove la mancanza di trasporti ostacola l’utilizzo
degli ambulatori o delle strutture ospedaliere.
Infine è importante segnalare che l’Egitto è uno di quei paesi africani dove è
rilevante la pratica delle cosiddette mutilazioni genitali femminili (MGF).
Secondo la classificazione operata dall’OMS in Egitto è particolarmente diffusa
la prima tipologia (sunna) che consiste nella recisione del prepuzio o nella
asportazione parziale del clitoride. L’origine di questa pratica è difficile da
ricostruire. L’unica cosa certa è che non è stato l’Islam a introdurre in Africa la
pratica delle mutilazioni dei genitali femminili che erano già presenti in loco
assai prima della sua diffusione. Secondo una ricerca condotta nel 1995
(Demografic and health survey, DHS), ben il 97% delle donne egiziane ha subito
mutilazioni genitali, siano esse musulmane o copte. Spesso si ritiene che il
ricorso a queste pratiche sia confinato all’interno di particolari gruppi sociali o
delle famiglie meno istruite, soprattutto nelle zone rurali. Al contrario, i dati
DHS suggeriscono che, nei paesi dove queste pratiche sono diffuse su larga
scala, il grado di istruzione di una ragazza o il fatto che la famiglia risieda in
un’area urbana piuttosto che rurale, abbiano un’influenza relativa sulla
possibilità che essa subisca mutilazioni genitali. In Egitto, il 100% delle donne
non istruite e il 91% delle donne con un’istruzione secondaria hanno subito
MGF. A livello legislativo la Suprema Corte Amministrativa nel 1997 ha
approvato un Decreto nel quale vieta qualsiasi pratica di MSF. Quanto però
viene recepito a livello legislativo ci mette molto ad arrivare alla popolazione.
Per questo sono stati avviati diversi programmi nazionali di sensibilizzazione.
FIABE TRADIZIONALI
Nella tradizione fiabesca araba ed egiziana sono di
fondamentale importanza i racconti delle Mille e una notte.
Nell’immaginario del mondo occidentale le Mille e una notte sono
arabe, in realtà le origini sono molto più articolate e sono da
rintracciare anche in molti paesi asiatici. La storia-cornice ad
esempio è di indubbia origine indiana così come le novelle più antiche e su
queste si sono innestate storie e racconti relativi poi alla civiltà di Baghdad e
dell’Egitto. È in quest’ultimo paese infatti che – secondo gli storici – a partire
dal XII secolo i racconti hanno conosciuto un ulteriore sviluppo e sono diventati
parte integrante della narrativa popolare locale. Questi costituiscono il cuore
principale della raccolta giunta fino a noi (le cosiddette novelle egiziane). Dopo
una loro redazione definitiva che si ritiene sia stata fatta nel secolo XVI, la
diffusione in Occidente avviene gradualmente a partire dal XVII-XVIII secolo.
75
La storia-cornice, da cui partono e si svolgono gli altri racconti, spesso
inserendosi come scatole cinesi gli uni negli altri, ci presenta il re di Persia
Shahriar, che dopo aver scoperto i tradimenti della moglie, della cognata e di
altre presunte fedeli spose, si convince dell’inevitabile malafede delle donne e
decide di sposare ogni giorno una ragazza per metterla a morte il mattino
seguente. Finché Shehrazad, una delle figlie del vizir, mette in gioco la sua vita
per far cessare il massacro di ragazze. Con la sua dote di narratrice riesce a
rinviare ogni volta l’esecuzione interrompendo la continuazione del racconto
sul far del giorno, alimentando la curiosità del sovrano. Shahrazad riesce a
continuare così per mille e una notte e alla fine il sovrano si convincerà della
sua fedeltà, riconoscendo anche il suo talento e il suo coraggio. Fra i racconti di
Shahrazad si possono individuare quelli appartenenti al fondo indo-iranico,
quali il Mercante e il Genio, Il pescatore e il genio, Il re Yunàn e il savio Ruyàn (o
Dubàn), elementi del ciclo Il facchino e le ragazze e Il gobbo. Al gruppo iracheno, il
ciclo di Baghdad, appartengono le storie del califfo Harun ar-Rashid con il suo
vizir Giàafar il Barmecide, la guardia e giustiziere Masrur ed il poeta di corte Abu
Nuwàs, tutti personaggi storici. Infine il gruppo più numeroso è rappresentato
dalle novelle cosiddette egiziane, cui appartengono le realistiche avventure di
Shams ed-Din e Nur ed-Din, di Abu Qir e Abu Sir, dei due Abdallah di terra e di
mare, di Ali Zaybaq e Dalila, Giamasp e Gianshàh, ecc. Infine ci sono racconti e
romanzi di origine indipendente che furono accorpati in seguito come ad
esempio il ciclo dei due omonimi Sindibàd.
La scodella
C’era (o non c’era, ma se non c’era fa lo stesso) un uomo povero ma contento, che il
giorno si guadagnava il pane lavorando duramente, e la sera si sedeva davanti alla
porta di casa con i suoi, a raccontare storie meravigliose.
La sua era una casa felice, piena di risate e di canzoni, e gli ospiti erano sempre
bene accolti.
Nella casa di fronte, invece, si sentivano solo rimproveri e grida adirate.
Là viveva un riccone che trattava moglie e figli come servi, costringendoli a fare a
meno perfino del necessario pur di risparmiare una moneta. E quando le voci allegre
del povero e della sua famiglia arrivavano fino a lui, il ricco si rodeva per l’invidia,
perché nonostante l’oro che aveva accumulato, la sua vita era triste e desolata.
“Senti come se la spassano! Eppure vanno in giro coperti di stracci e mangiano
solo fave” diceva. “Ma prima o poi la smetteranno di ridere! E se non ci penserà
il destino a rovinarli, lo farò io”.
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Aveva in corpo tanta rabbia che un giorno riuscì a far perdere il lavoro al
pover’uomo e, siccome era potente e tutti lo riverivano, impedì in tutti i modi che ne
trovasse un altro.
Così la famiglia del povero cominciò a soffrire la fame, finché arrivo il giorno in
cui, consumati i pochi risparmi, marito e moglie si ritrovarono giusto con il denaro
necessario a comperare un po’ di fave cotte.
“Ce le faremo durare il più possibile” disse la moglie del povero “e sono sicura che
quando saranno finite Allah penserà a noi”.
L’uomo si mise in tasca la moneta, prese una grande scodella di legno e andò a
comperare le fave, ma mentre tornava a casa inciampò, rovesciando il recipiente per
terra. Addio pranzo, addio cena! E adesso che cosa avrebbero mangiato i suoi
poveri figli?
L’uomo non aveva il coraggio di tornare a casa a mani vuote, e così raccolse la
scodella, la ripulì e, dato che non aveva una bisaccia dove metterla, se la sistemò in
testa come un cappello: se non altro l’avrebbe riparato dal sole.
Poi andò al fiume, nella speranza che qualcuno gli desse lavoro, e per fortuna trovò
una grande barca pronta a salpare, che aveva giusto bisogno di rematori.
In pochi giorni risalirono il fiume, sempre più avanti, fin dove vivono uomini con la
pelle nera come la notte. E fu là che una tempesta li sorprese, costringendoli a
fermarsi e a gettare l’ancora accanto ala riva, vicino a un villaggio dove gli
stranieri capitavano raramente.
Gli abitanti, incuriositi da quella strana gente con la pelle chiara, portarono i
marinai dal loro capo, che si riparava dal sole ardente sotto una tettoia di foglie di
palma.
E il Capo li osservò e li fece camminare avanti e indietro, volle sentire le loro voci e
fu particolarmente colpito dalla scodella che l’uomo povero portava ancora in testa.
Così gli fece segno di avvicinarsi e chiese: “Cosa ti ha portato al mio villaggio?”.
“Il destino!” rispose l’uomo. “Nulla accade senza che Allah lo voglia”.
“E cos’e quella cosa che hai in testa?”.
“Una scodella di legno” disse l’uomo. “Serve a proteggermi dal sole”.
Il Capo la prese, se la mise in testa e trovò che sì, la scodella riparava dal sole
meglio di qualunque foglia di palma.
“La voglio” disse all’uomo. “Che cosa chiedi in cambio?”.
77
“Io? Chiedo soltanto di tornare da mia moglie e dai miei bambini” rispose lui, che
da quando era sceso a terra aveva paura perfino a respirare.
“Va bene” disse il Capo. “E dato che sei così generoso da cedermi la tua scodella
senza pretendere niente in cambio, ti darò anche delle pietruzze luccicanti per far
giocare i tuoi figli”.
Poi affondò la mano in un cesto e ne tirò fuori una manciata di gemme, così grosse
e preziose che una sola sarebbe bastata ad arricchire tutti gli abitanti del Cairo.
L’uomo si affrettò a riempirsene le tasche e, quando la barca lo riportò in città,
corse a casa per dire alla moglie che i giorni duri erano finiti per sempre. La
scodella di legno aveva fatto la loro fortuna!
Da quella sera il riccone ricominciò a sentire canzoni e risate, vide ospiti andare e
venire, spiò gli operai che tiravano su nuove mura per aggiungere altre stanza alla
casa di fronte, e si accorse che il povero era diventato più ricco di lui.
“Come ha fatto quel pezzente a sistemarsi così bene? Devo saperne di più” si
disse, e mandò sua moglie a far visita alla vicina, ordinandole di scoprire che cose
era successo.
La donna tornò a casa dopo un pomeriggio di chiacchere e raccontò della barca, del
villaggio, del Capo che aveva scambiato le gemme con una misera scodella di
legno… insomma, la vicina le aveva spiegato per filo e per segno da dove veniva la
ricchezza del marito, senza nascondere nulla.
Il riccone non ci pensò due volte e, riempita una barca di doni preziosi, risalì il
fiume e raggiunse il villaggio insieme a una lunga fila di portatori.
“Cosa ti conduce nel mio villaggio?” gli chiese il Capo.
“Il desiderio di conoscerti” rispose l’uomo. “Si parla di te ovunque, e io ho voluto
vederti con i miei occhi”.
Molto compiaciuto, il Capo domando: “E cosa c’è nelle ceste che i tuoi uomini
hanno portato fin qui?”.
“I miei doni per te” rispose l’uomo, inchinandosi. “Spero che vorrai accettarli,
anche se sono troppo modesti per un uomo della tua importanza”.
E mostrò i tappeti, le stoffe, i vassoi d’ottone che gli aveva portato.
Il Capo ne fu così contento che disse: “Che regali meravigliosi! Non ne ho mai
visti di così belli, e per ringraziarti ti darò l’oggetto più prezioso che possiedo”.
78
Poi si tolse la scodella di legno che aveva in testa e gliela consegnò con un
inchino10.
RICETTE
Zuppa di fave (Ful mudammas)
Ingredienti: 500 g fave secche, 1 cipolla tritata, 3-4 spicchi aglio
tritato, 2 limoni spremuti, 3-4 uova sode, un pugno di
prezzemolo, peperoncino macinato, cumino macinato, paprica
dolce, olio extra vergine d’oliva, sale.
Preparazione: in una pentola con abbondante acqua e un pizzico di sale far
bollire per 2 ore circa le fave messe a bagno la notte prima. Girare spesso il
preparato. Una volta cotto, scolare le fave in una zuppiera e condirle con sale,
limone, aglio pestato, prezzemolo, cipolle e olio. Girare e lasciar insaporire per
alcuni minuti. Servire la zuppa, ancora calda con a parte il peperoncino, la
paprica e le uova a spicchi per il condimento a piacere di ciascun commensale.
Falafel (Tameya)
Ingredienti: 350 g fave secche (messe in ammollo il giorno prima), 150 g ceci
(messi in ammollo il giorno prima), 1 cipolla tritata, 1 mazzo prezzemolo, 3
spicchi d’aglio, 1 cucchiaino cumino, 1 cucchiaino di coriandolo macinato, sale,
pepe, olio eper friggere.
Preparazione: far scolare le fave e i ceci dopo averli messi in ammollo una notte e
togliere le bucce. Frullare le fave e i ceci uniti agli altri ingredienti in modo da
ottenere una pasta fine e ben amalgamata. Lasciare in frigo per circa 1-2 ore.
Fare delle palline oppure delle polpette piatte e farle dorare nell’olio in padella
per circa 4 minuti. Servire calde con crema di sesamo (tehina) o su un letto di
insalata e pomodori.
POESIA
L’Egitto (e tutta la regione siro-libanese) è uno dei paesi dove
nasce e si sviluppa uno dei più fervidi filoni letterari della
letteratura araba moderna, dietro impulso della rinascita culturale, la
Nahda, che nel XIX secolo pose fine al periodo della decadenza che
gli storici identificano in una stasi e in un “ritardo” in campo
culturale e civile rispetto al mondo occdentale.
La poesia ha conosciuto un’importante sviluppo fin dagli
periodo. È molto difficile trovare traduzioni di poeti egiziani in
nelle rare antologie che sono state fatte sulla letteratura
segnaliamo: Gabrieli F., Vacca V., Antologia della letteratura
10
inizi di questo
italiano, se non
araba, di cui
araba, Edizioni
Lazzarato F., Il sultano di Luxor, Mondadori, Milano, 1998, pp. 12-17.
79
Accademia, 1976. Tra le correnti poetiche che si susseguirono nel tempo è
interessante segnalare quella dei “conservatori” dei primi anni del Novecento
che si sono rivelati anche scopritori di talenti musicali ai quali hanno prestato la
loro opera di compositori in versi, avvicinando così la letteratura alla musica:
Ahmad Shawqi (1868-1932), noto come il “principe dei poeti” per le sue origini
aristocratiche, compose i versi di molte canzoni di ‘Abd al-Wahab, un grande
cantante egiziano; Ahmad Rami (1892-1978) invece scrisse principalmente per
Umm Kultum, la cantante più famosa e rinomata non solo in Egitto ma in tutto
il mondo arabo che tuttora viene ascoltata e adorata, assurta ormai a leggenda.
Per una storia romanzata dell’artista si consiglia Nassim S. Ti ho amato per la tua
voce (Edizioni e/o, 1996).
In seguito emersero altri poeti, esponenti della corrente innovatrice che si
ispirarono alla poesia romantica inglese (Shelley, Keats e Byron) e i contenuti
sono di natura sentimentale ed intimista, alla ricerca della verità della vita. Il
più significativo rappresentante della corrente è considerato ‘Abd al-Rahm?n
Shukri (1886-1958).
LETTERATURA
Come per la poesia, anche per la narrativa ci fu un
importante impulso a seguito del movimento della Nahda ma
il romanzo come genere letterario si sviluppa soprattutto a
partire dal primo Novecento. Qui di seguito si ricordano alcuni
dei principali autori più recenti che sono stati tradotti in
italiano.
Naguib Mahfouz: nato nel 1912 al Cairo, rappresenta uno degli scrittori più
famosi del paese, è stato tradotto molto anche all’estero, soprattutto in seguito
all’assegnazione del premio Nobel nel 1988. Ha scritto opere di narrativa molto
spesso ambientate nei quartieri della sua città natale, Il Cairo. Tra questi si
ricorda la trilogia: Tra i due palazzi (Pironti, 1989; ed. or. 1956); Il palazzo del
desiderio (Pironti, 1992; ed. or. 1957); La via dello zucchero (Pironti, 1992; ed.
or. 1957).
Edwar al-Kharrat: nato ad Alessandria nel 1926, è il capofila della nuova
generazione di scrittori egiziani che si affacciano nel mondo letterario alla fine
degli anni Sessanta, dopo la sconfitta della guerra dei Sei Giorni. È direttore
infatti della rivista Galerie ’68 che diventa il trampolino di lancio per molti
nuovi autori e la sua scrittura è considerata all’avanguardia in tutto il mondo
arabo. Alcune delle sue opere sono state tradotte in Europa e anche in italiano:
Alessandria, città di zafferano (Jouvence, 1994; ed. or. 1986), Le ragazze di
Alessandria (Jouvenance, 1994; ed. or. 1990).
Nawal Al Sa’dawi: una delle più importanti scrittrici arabe, femminista,
nasce nel 1932 in un villaggio sul Nilo nei pressi del Cairo. Psichiatra, scrittrice
e saggista ha pubblicato numerosi racconti ma anche saggi sulla condizione
della donna e sulla sessualità femminile in Egitto. Questo suo impegno civile e
80
politico è stato spesso ostacolato dal governo egiziano e dal fanatismo islamico:
è stata licenziata dal Ministero della Sanità, è stata in carcere all’epoca di Sadat e
più volte minacciata da fanatici. Ciononostante il suo impegno militante
continua e il suo lavoro è stato tradotto in molte lingue. In Italia si conoscono
soprattutto i seguenti volumi: Firdaus: storia di una donna egiziana (Giunti,
1986; ed. or. 1978), Dio muore sulle rive del Nilo (Eurostudio 1989; ed. or. 1985),
Una figlia di Iside (Nutrimenti; ed. or. 1999).
Per quel che riguarda altre autrici contemporanee si consiglia la seguente
raccolta di racconti curata da Elisabetta Bartuli, dove la società egiziana viene
rappresentata in tutta la sua complessità: Rose del Cairo, Racconti di scrittrici
egiziane (Casa Editrice e/o, 2001).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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del Nord Africa, Fondazione Agnelli, Torino, 1997.
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Egitto, Albania all’Emilia Romagna: strutture, relazioni e bisogni educativi delle famiglie
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Venturini A., La scuola nei paesi d’origine dei bambini e dei ragazzi immigrati in Italia,
Cespi, Mursia, Milano, 2003.
SITOGRAFIA
www.arabroma.com: nasce all’inizio del 1998 come sito della cultura
araba in Italia, attualmente raccoglie una delle documentazioni più
interessanti sull’attualità del mondo arabo, soprattutto laico:
informazione,cultura, letteratura, politica, ecc.
www.arab.it: un altro sito di informazione sulla cultura araba che oltre
a fornire informazioni aggiornate sul mondo arabo, approfondisce alcune tematiche
per far conoscere la cultura arabo-musulmana in Italia (cos’è l’Islam, cucina araba,
letteratura araba, ecc.).
www.sis.gov.eg: sito ufficiale in lingua inglese del Servizio Informativo del governo
egiziano.
www.sas.upenn.edu/African_Studies/Country_Specific/Egypt.html: sito in lingua
inglese dell’African Studies Center, University of Pensylvania per approfondimenti
specifici sul paese.
www.coptic.net/EncyclopediaCoptica/: sito in inglese per approfondimenti sulla
religione copta.
82
DANZE
Nell’antico Egitto la danza era parte integrante della vita del popolo. Essa
coinvolgeva gli appartenenti a tutte le classi sociali. Si lavorava seguendo il
ritmo delle percussioni, i danzatori di strada intrattenevano i passanti. Si
danzava durante le feste, i banchetti e le cerimonie religiose. Col tempo il
danzare in pubblico cominciò ad essere considerato inopportuno dai ben
pensanti e per lungo tempo restò appannaggio delle classi più povere. La
gamma dei movimenti e dei passi della danza popolare antica era più ampia
rispetto a quella riguardante le danze giunte ai giorni nostri. Oggi si possono
osservare gesti e passi più sofisticati e influenzati da altre culture: quella siriana,
palestinese, beduina, etiopica, della Nubia e del Sudan.
83
84
Repubblica del Ghana
di Cristina Fiamingo
DATI GENERALI
La Repubblica del Ghana ha assunto questo nome con la proclamazione
dell’indipendenza della Colonia della Costa d’Oro dalla Gran Bretagna (1957):
rievocando l’antico Impero pre-moderno del Ghana si rivendicava il diritto alla
storia a lungo negato dal sistema ideologico colonialista. Ampio stato costiero
del Golfo di Guinea, in Africa occidentale, il Ghana confina con la Costa
d’Avorio, il Burkina Faso e il Togo, lungo linee imposte nel corso del periodo
coloniale, che non demarcano i limiti di territorializzazione delle numerose
comunità culturali confluite nella regione dal Volta e da Ovest, formando stati,
assimilandone altri o alleandosi in confederazioni (fante, ashanti, ecc.) o – come
avveniva al Nord – organizzandosi in società acefale, prive di una gerarchia di
potere, i cui limiti erano fluidi e travalicavano le frontiere attuali. Le cinque
regioni geografiche del Ghana si articolano in una secca zona costiera SudOrientale, dove tratti sabbiosi si alternano a laghi salati; dal caldo e umido
altipiano centrale Kwahu – interessato da due stagioni delle piogge (aprileluglio e settembre-ottobre) –, dalle colline boschive Akwapim-Togo, ad Est – vi
spicca il monte Afadjoto (mt. 885), dall’ampio e fertile bacino del fiume Volta ed
il lago omonimo, di cui è immissario: il più grande lago artificiale al mondo.
Infine, il Nord è coperto dalla savana dove s’alternano intense piogge (marzonovembre) e lunghi periodi di siccità a causa del vento d’harmattan che soffia
da Nord-Est per tutto il resto dell’anno. Tra ricorrenti stati di siccità a Nord,
85
sfruttamento eccessivo dei pascoli, deforestazione intensiva e incontrollata e
inquinamento acquifero, l’ecosistema, ricchissimo di varietà vegetali ed animali
è sempre più instabile.
Abitanti: 21.400.000 (UN, 2004).
Estensione geografica 238.537 kmq.
Continente: Africa.
Densità di popolazione: 83 ab./kmq.
Incremento demografico: 2,6%.
PIL: $ 59,9 miliardi (pro capite: $ 2.200).
Vita media: 57,8.
Alfabetizzazione: 73,8% (2002).
Mortalità infantile: 63‰.
Lingua ufficiale: inglese.
Altre lingue: tra le 80 lingue riconosciute nel paese, le più parlate sono: akan, moshidagomba, ewé, ga, twi e hausa.
Religione: 63% cristiana, 16% musulmana, 21% culti tradizionali.
Gruppi etnici: 49,1% akan, 16,5% moshi-dagomba, 12,7% ewe, 8% ga-adangbes, 3%
gurma, 1% yoruba, 4,4% guan, gonja, dagomba, europei.
Regime politico: repubblica costituzionale e democratica, fondata sul principio della
condivisione del potere tra Ufficio della Presidenza, Parlamento unicamerale e
Consiglio di Stato.
LE FESTE PRINCIPALI
In una terra di tolleranza religiosa, qual’è il Ghana, le
celebrazioni cristiane principali sono riconosciute come feste
nazionali e il ramadan, il mese di digiuno osservato dai
musulmani, è rispettato in tutto il paese, come il corso di 70
giorni dell’Eid ul Adha dallo Eid ul Fitr (festa del Sacrificio), il
giorno della liberazione nazionale si festeggia il 6 marzo e l’1 luglio il giorno
della Repubblica, il primo venerdì di dicembre il Farmer’s Day e l’11 novembre il
Myehoung Day (giorno della memoria). Anche in Ghana, come nella maggior
parte degli stati africani, la mobilità è stata un fattore condizionante di tale
estensione nazionale delle festività, concentrando periodi di vacanza per tutti,
anche considerando che spesso i giovani devono percorrere giornate di viaggio
per raggiungere le loro famiglie dalle scuole. Si favoriscono così occasioni di
riunione familiare e sociale, di emigrati che rientrano da ogni parte del paese
nei propri villaggi, per conoscere i nuovi membri dei rispettivi lignaggi e per
ricordare i morti. Accanto a queste feste nazionali si continuano a celebrare
occasioni tradizionali importanti, in diversi periodi dell’anno e nelle singole
86
realtà regionali ed etniche, la cui memoria è custodita e rinnovata dalle autorità
tradizionali.
IL SALUTO (IN LINGUA AKAN): etise; come stai? uhu tise; bene: eyeh;
grazie: me daase; prego: mi pacho; non c’è di che: asedanyo; arrivederci: asumdw.
CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE
Nonostante la produzione di cacao, dolci e dessert non sono amati
dai ghaniani e nonostante gli 82 anni di colonizzazione
britannica, tè e biscotti sono entrati nella dieta di pochi. Gli
stuzzichini principali sono degli impasti fritti come il kelewele
(banana da legume o platano, mescolata a zenzero,
peperoncino e aglio), come il tatale (platano mischiato a cipolla,
farina,
olio di palma e pepe) o lo tsintsinga o kebab del Ghana (spiedini di carne di
montone su un letto di verdure miste con uova sode). Le bevande più
apprezzate sono il tradizionale vino di palma (al 7% di gradazione alcolica), il
pito (vino di miglio al 5%), l’akpeteshie (gin al 40%), l’asaana (vino di mais, privo
d’alcol) ed il lamujii (tradizionale vino di zenzero, senz’alcol).
IMMIGRAZIONE IN ITALIA
Il Ghana post-coloniale è uscito a fatica dall’economia
d’esportazione che lo caratterizzava. Corruttela politica e
congiunture economiche negative hanno portato una massiccia
emigrazione
della
popolazione,
dapprima
all’interno,
abbandonando le campagne per cercare impiego nelle città (il
tasso di urbanizzazione più alto si registra nella città di Accra e a Kumasi),
quindi, nei paesi limitrofi con conseguenze nei rapporti interregionali, guastati
da battaglie a colpi di espulsioni di lavoratori immigrati fra Nigeria e Ghana. La
politica economica iniziata da Jerry Rawlings, tra privatizzazione, sottoscrizione
di programmi di aggiustamento strutturale (1995/97), incentivazione
dell’industria agro-alimentare e la maggiore attenzione al benessere sociale
degli ultimi anni, non hanno diminuito l’emigrazione, che si è piuttosto
diversificata nel corso del tempo, dal punto di vista della provenienza
regionale, delle percentuali di genere e del livello di formazione di partenza.
Grave è il fenomeno di brain drain (emigrazione di professionisti formati/in via
di formazione): si calcola che in Ghana su un totale del 26% di tali defezioni, il
60% sia costituito da medici formati, con le immaginabili conseguenze.
L’emigrazione dal Ghana verso l’Italia è importante: a seguito della
regolarizzazione recente, il Ghana è passato dal 27° al 22° posto per numero di
immigrati in Italia, con le sue 23.046 unità. Si individuano tre aree preferenziali
di distribuzione degli immigrati ghaniani, tra regioni meridionali (Campania e
Sicilia), dove la componente maschile è impiegata in lavori agricoli stagionali di
bracciantato e nell’edilizia, mentre quella femminile svolge lavori domestici
87
presso privati; centrali: (province di Modena e Reggio Emilia), occupata in
lavori di manovalanza non specializzata e, infine, nordiche (province industriali
di Brescia, Verona e Vicenza). A Vicenza risiede la comunità più numerosa,
arrivata a partire dagli anni successivi alla sanatoria del ’90 che vincolava la
concessione del permesso di soggiorno alla certificazione di un lavoro. Italia e
Ghana sono legati sin dagli anni Settanta con l’Accordo di Cooperazione
Culturale, Scientifica e Tecnica, che prevede l’impegno italiano a fornire beni e
tecnologia e a garantire scambi di manodopera specializzata e l’Accordo per la
Promozione e la Protezione degli Investimenti tra Italia e Ghana, vincolato alla
“clausola della nazione più favorita”. L’attuale orientamento neo-liberista che
accomuna i due governi ha aumentato gli scambi e l’esportazione di imprese
italiane in Ghana.
MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI
La famiglia numerosa è ancora percepita come una forma di
sicurezza sociale ed economica, ma un maggiore benessere
comporta, anche in Ghana, un calo nelle nascite. Regole etiche
tradizionali hanno una funzione contraccettiva (l’astinenza dal
sesso dopo il parto viene giustificata con l’incompatibilità tra seme
maschile e latte materno, a danno del bimbo) cui si affianca oggi un uso sempre
più diffuso del preservativo (grazie alle campagne di prevenzione dell’Aids),
per distribuire meglio le nascite nel tempo. Oltre ad un sistema sanitario
nettamente migliorato negli ultimi vent’anni, il calo del tasso di mortalità
infantile entro il primo anno di età e sotto ai cinque anni, con un crollo dei
rispettivi indici del 50% dagli anni Sessanta ad oggi, è anche dovuto al successo
di campagne nazionali per diffondere anche nelle scuole una cultura d’igiene e
nutrizione valida e d’un corretto allattamento al seno: abolendo pratiche
tradizionali quali l’eliminazione del colustrum (che garantisce una prima
immunizzazione del bambino), l’integrazione del latte materno con acqua non
bollita, o l’allattamento oltre il ventitreesimo mese (prolungato per cause
economiche) e con l’aggiunta di alimenti ricchi di vitamine, proteine e agenti
nutritivi.
A diverse strutture sociali e politiche delle società in quest’area del Golfo di
Guinea corrisponde un distinto sistema di apprendimento tradizionale, secondo
scansioni diverse delle età della vita e compiti relativi in funzione dei sistemi di
produzione, nonché delle professioni di culto. É una diversificazione che si
riproduce in Ghana tra centro e Sud, in cui la maggioranza ha preservato i culti
tradizionali, strutturalmente simili, ma mitologicamente dotati di un’infinita
gamma di variazioni (dal dio supremo, Nyame – risplendente – dipendono
molti Obosom, spiriti minori che vivono nell’acqua e nelle piante, associati alle
località che proteggono e altri dei minori, antenati e spiriti, sincretizzati
con/oppure sostituiti dall’adozione della confessione cristiana nei diversi culti,
soprattutto protestanti (metodisti, presbiteriani e anglicani) o aggregandosi in
chiese indipendenti (specie pentecostali). A Nord è inoltre forte la
88
concentrazione di musulmani (15-16% della popolazione totale), a maggioranza
sunnita. Tutto ciò influenza l’apprendimento dei giovane. L’apprendimento da
parte dei bambini delle regole del lignaggio, ancor oggi è assicurato
dall’osservazione del comportamento degli adulti, da proverbi, racconti,
rappresentazioni e danze e momenti di socializzazione collettiva, ma anche e
soprattutto durante i periodi precedenti i riti di passaggio all’età della pubertà:
un’educazione di tipo “informale”, senza confini tra quotidianità e vita religiosa
e spirituale, funzionale ai bisogni delle comunità basiche, che l’incontro con
altre scansioni date dai riti musulmani, cristiani o dal passaggio tra i diversi
standard scolastici, hanno fortemente sminuito.
MODELLI DI CURA
I sistemi di cura tradizionale si espletano in atti e rituali utili a
cercare le cause ed a capire il decorso della malattia prima di
intraprendere i trattamenti medici moderni, attraverso condizionamenti
spirituali potenti, cui rispondono meccanismi di legittimazione
profondamente interiorizzati nel paziente nei confronti del guaritore;
sia per la competenza nella scelta degli agenti (vegetali, animali o minerali)
rivelatori e catalizzatori del male, che per il riconoscimento accordato dalla
comunità sul piano sociale, culturale e religioso, strettamente interrelati e la cui
conoscenza è imprescindibile nella cura dei pazienti. I periodi di apprendistato
variano da cultura a cultura: presso gli akan è di tre anni ed implica tanto un
tirocinio in ambito spirituale che di pratica fisiatrica, affrontando al secondo
anno i fondamenti delle cure con le piante. Si può accedere all’apprendistato
per vocazione o per discendenza rispetto ai guaritori ed i Maestri sono diversi
per uomini e donne. Guaritori custodi di feticci sono legati ad un luogo
specifico e agiscono quali medium della divinità cui sono consacrati, durante
riti di possessione e pratiche divinatorie. I guaritori sono molti (negli anni
Ottanta se ne contavano circa 40.000 in Ghana): alcuni sono specialisti nella cura
di certe malattie o specifiche parti del corpo o limitatamente a certi tipi di ferite
e d’incidenti. Non mancano levatrici, donne che praticano aborti o infibulazione
(pratiche, queste, non certo legittimate a livello ministeriale o incoraggiate dalla
WHO) e vi sono poi esperti erboristi che operano con o senza l’intermediazione
spirituale e possono rientrare in programmi di ricerca e sperimentazione di
farmacognostica sulle piante medicinali, regolamentati dal Centro della ricerca
scientifica che incoraggia gli studi di etno -botanica per la ricerca farmacologica
e la produzione di medicine alternative rispetto ai prodotti di sintesi chimica.
MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE / SOCIALIZZAZIONE
DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE
Nelle realtà dei villaggi, i luoghi di aggregazione dei più piccoli non
avviati alla scolarizzazione, ma in grado di giocare fuori dal controllo
delle madri o degli affidatari (si veda oltre), sono le strade; i bambini in
89
età scolare non si trovano più sotto il diretto controllo della famiglia e giocano
nei cortili delle scuole e nei dormitori che si trovano generalmente distanti dai
villaggi d’origine. Per le realtà urbanizzate il controllo è ancora minore, dato
l’impegno lavorativo che investe entrambi i genitori: i rapporti di
socializzazione avvengono per lo più al di fuori del lignaggio o della famiglia
nucleare e il fenomeno dei bambini di strada nei centri più grossi è crescente.
MODELLI E STILI FAMILIARI
RUOLO DEI GENITORI: la funzione dei genitori in rapporto ai
figli dipende dalla struttura del lignaggio, che assicura loro
determinate funzioni e bilancia i rapporti di decision making a
seconda che il “baricentro” sia patrilineare o matrilineare. Nella
quotidianità la donna gestisce l’educazione dei bambini, ma i
ruoli educativi sono distribuiti a livello di (matri/patri-)lignaggio e non
limitatamente alla famiglia nucleare a seconda della funzione legittima
riconosciuta a ciascuno dei genitori. Ad esempio la costruzione dell’identità dei
figli è attribuita al padre di matrilignaggio nzema; l’esercizio dell’autorità e la
distribuzione delle risorse sono appannaggio del padre akan, senza che ciò
implichi una forma di possesso nei confronti dei figli, bensì una forma di
rispetto nei confronti del genitore.
VITA SOCIALE DELLE FAMIGLIE: la famiglia allargata, ovvero quel sistema
sociale che travalica la famiglia nucleare (padre, madre, figlio) è ancora l’ambito
principale d’interazione sociale, incardinato sulle regole dei lignaggi, e non solo
in ambito rurale, certo, più legato alle tradizioni. Di fatto, la famiglia allargata
funziona come una società di mutuo soccorso e sostiene le famiglie nelle
difficoltà e, quindi, anche nella migrazione, con meccanismi (quale
l’affidamento circolare dei figli) che – comunque, tramite cambiamenti
adattativi – aiutano le famiglie nell’impresa di trasferirsi altrove. Certo, le
dinamiche migratorie rendono più difficile la partecipazione agli importanti
eventi di aggregazione comunitaria (matrimoni, nascite, funerali, cerimonie
iniziatiche, feste tradizionali, ecc.) che legittima e rinnova i rapporti in seno alla
famiglia allargata, indebolendola.
ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: è diversa per ciascun gruppo
culturale. È generalmente facile in ambito tradizionale risalire dal nome di un
individuo al nome della sua famiglia; nelle famiglie urbanizzate, invece,
l’attribuzione del cognome non segue regole precise. A seconda dei lignaggi,
patrilineari o matrilineari di appartenenza dei neonati, l’attribuzione del
cognome non è la stessa per tutti i membri della famiglia, così può darsi che
venga dato un cognome diverso a ciascun figlio, pertinente ai genitori o ai
nonni. In certe città è facile trovare una maggior concentrazione di cognomi
uguali senza comunanza di parentela o, presso i fante della fascia costiera,
presso i quali sono ricorrenti cognomi inglesi, per i prevalenti contatti in epoca
coloniale. All’iscrizione a scuola, al bambino viene dato un nome cristiano,
accanto al nome dato alla nascita, tratto per lo più dal giorno di nascita
90
preceduto, a seconda del parente che si voglia onorare, dall’indicazione
Papa/Paa (padre), Mama (madre) o Nana (nonno/a): nome, quest’ultimo, che
viene peraltro aggiunto a quello di chi diviene capo o anziano del villaggio.
Così al bimbo fante nato di lunedì viene dato il nome Kojo o Kodwo e se è
anche il nome del padre, sarà Paakojo; se è una bimba il nome sarà Adjoa o
Adwoa. Solitamente è al padre biologico che spetta l’attribuzione del nome al
figlio, cui trasmette così lo “spirito familiare” – sunsum/ntoro –.
ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: regolamentata dalla Costituzione, è
stata corretta ai sensi dello Citizenship Act del 2000, che, oltre a precisare cosa si
intenda per diritto di cittadinanza per nascita, tiene conto della realtà
dell’emigrazione e prevede la doppia cittadinanza.
FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: con l’aumento
dell’opzione della convivenza e con la promiscuità che caratterizza il fenomeno
del forte inurbamento che caratterizza il Ghana e tutte le patologie sociali ad
esso legate, sono frequenti le filiazioni al di fuori del matrimonio e altrettanto
infrequente il riconoscimento dei figli nati in tali circostanze, fenomeno legato,
oltre che ad una tradizione fortemente maschilista, ad una inadeguata
campagna di sensibilizzazione circa i vantaggi futuri per l’individuo che
derivano dalla registrazione delle nascite. Da più parti, viene denunciato il
decadimento morale in Ghana e nelle aree rurali, ancor oggi si sa di condanne
all’isolamento delle donne che concepiscono in assenza/al di fuori del vincolo
coniugale.
REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: non è una pratica ancora molto
diffusa, specie nelle zone rurali. Al 2004, solo il 28% della popolazione è stata
registrata alla nascita, con massima concentrazione nelle aree urbane: la
popolazione non è sufficientemente informata della serie di benefici che
possono derivare da tale pratica, in termini individuali in vista del rilascio di
documenti, o a partire dall’implicito riconoscimento di paternità/maternità, o
del diritto di voto, dei diritti assicurativi, d’accesso al programma scolastico
nazionale gratuito o d’accesso al sistema di sicurezza nazionale o ai diritti
d’eredità, fino al benessere nazionale, favorendo l’acquisizione di statistiche
demografiche attendibili per la pianificazione nei più diversi settori.
DIRITTI DEI MINORI: la Commissione nazionale del Ghana per i bambini e
l’emanazione del Children decree del 1977 che li tutela in cause di divorzio, o la
citata legge sulla successione intestata, che assicura anche ai minori l’accesso
alle proprietà del genitore morto contro quanto stabilito dal diritto
consuetudinario che non ammetteva tale possibilità, assieme agli articoli a
tutela dei minori nel codice penale del ’98 attestano una maggiore attenzione
nei confronti dei minori, sebbene sembri difficile arginare fenomeni di violenza
domestica contro di loro o le citate forme di schiavitù tradizionale e moderna,
come si potrebbe ben definire l’inurbamento infantile (specie femminile) a
scopo d’impiego informale per svolgere le funzioni domestiche presso i privati.
Il fenomeno dei bambini di strada è piuttosto diffuso, specie nelle città di Accra
(20.000 bambini) e Kumasi ed il lavoro minorile – naturalmente nel settore
informale, dato che per legge i 15 anni sono l’età minima d’impiego – è molto
91
sfruttato, tanto in città che nelle campagne e questo nonostante la Convention on
the rights of the child (CRC) sia stata sottoscritta e ratificata nel 1990, senza
riserve.
DIRITTI DELLE DONNE: la Commissione di riforma legale che assicura uno
status giuridico personale a tutela dell’individuo ghaniano (1968); la
Convenzione per l’eliminazione d’ogni forma di discriminazione contro le
donne (CEDAW), ratificata nell’86; la Costituzione che dal ’92 che non ammette
la discriminazione di genere e il perfezionamento di un codice di diritto penale
nel 1998 a tutela delle categorie meno protette, sono tutte misure che non
sopperiscono alla mancanza di un corpus unico del diritto di famiglia: persiste
così la subalternità delle donne nonostante ovunque si sia ammesso il loro
contributo essenziale alla crescita economica del paese – sia pure a livello
informale ed in modo diversificato fra Nord e Sud, in cui da sempre le donne
hanno garantito la produzione del cibo – e a dispetto di ruoli professionali di
medio-alto livello (specie nell’insegnamento). In teoria, la donna che abbia
subito il ripudio (talaq) secondo la shari’a (il diritto islamico), potrebbe
appellarsi ad un tribunale e venire reintegrata nei suoi diritti di donna
divorziata, ma il sistema educativo che penalizza ancora le bambine, si tramuta
nell’ignoranza dei propri diritti e in un’inerte obbedienza alla consuetudine nel
timore di venire isolate dal gruppo d’appartenenza. Tuttavia, oggi, la
modernizzazione della società ghaniana tende a reprimere i fenomeni
considerati più retrivi, anche se, accanto alle classiche patologie sociali di
famiglie repressive e patriarcali, in cui si consumano violenze fisiche (il 95%
delle vittime sono donne) o al fenomeno tradizionale delle mutilazioni genitali
femminili (il fenomeno colpirebbe dal 15 al 30% della popolazione femminile),
non sono ancora scomparse pratiche quali il levirato (il fratello del marito morto
ne sposa la vedova, ampliando così le probabilità di diffusione del contagio da
Aids); il confino delle donne nei villaggi del Nord (che segrega le donne
sospette di stregoneria o quelle gravide al di fuori del matrimonio, in veri e
propri villaggi penali); o la trokosi: una forma di schiavitù tradizionale che
impone alle famiglie che abbiano mancato verso i membri della comunità, di
cedere una figlia (anche al di sotto dei 10 anni), ad un sacerdote consacrato al
feticcio del villaggio. La bimba (rari sono i casi di trokosi maschile) ne diviene
schiava, impiegata per i bisogni domestici e sessuali del sacerdote.
DIVORZI E SEPARAZIONI: diverse sono le conseguenze in termini di
successione a seconda che la registrazione sia avvenuta sotto la marriage of
mohammedans ordinance (1907) o con l’ordinanza marriage ordinance (1951),
sebbene l’art. 22 della costituzione preveda l’ingerenza dello stato al fine di
assicurare alla vedova o alla divorziata i beni acquisiti durante il matrimonio.
In tempi recenti, sono stati istituiti con il Maintenance of children decree i
tribunali di famiglia per regolamentare il mantenimento dei figli in caso di
matrimonio, divorzio e separazioni. Anche il talaq, il ripudio secondo la shari’a
musulmana (considerata legge consuetudinaria), può essere inficiato
appellandosi al Matrimonial causes act, applicabile a richiesta d’una delle parti. Il
tribunale concede il divorzio solo in caso si constati un disaccordo incolmabile.
92
SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI
La vita culturale e politica di buona parte della popolazione
africana in Costa d’Oro, grazie alla diffusione di istituzioni
scolastiche (missionarie) e stampa, era d’un livello non facilmente
riscontrabile altrove in ambito coloniale. Dall’introduzione
dell’istruzione elementare obbligatoria e gratuita (1961) le scuole,
per lo più, sono gestite dallo Stato e sottoposte al controllo del Ministero
dell’Educazione. Le esigenze produttive del paese, hanno indotto una riforma
scolastica che riduce a 6 gli 11 anni del percorso post-elementare verso
l’università. Aggiungendo 3 anni di corso obbligatorio e gratuito nelle junior
secondary school e 3 anni di senior secondary school che offrono una
specializzazione tecnica nel settore agro-industriale per chi voglia intraprendere
un lavoro o proseguire gli studi al politecnico o all’università, cui si accede
tramite esame. Il National accreditation board dal 1990 controlla i programmi delle
diverse scuole di ogni ordine e grado eccetto quelli universitari, mentre le 5
Università del paese sono responsabili degli istituti politecnici. Oltre a queste, il
Ghana ha 12.130 scuole elementari (tra pubbliche e private, dove solo le
pubbliche godono dei fondi statali), 5.450 scuole medie, 503 istituti superiori, 21
scuole professionali, 18 istituti tecnici, 2 istituti superiori che danno accesso ai
diplomi. Per combattere la forte disparità di frequenza delle scuole, sin dal
livello elementare, tra bambini e bambine, a sfavore di queste negli alti tassi di
abbandono e ripetenza o il rapporto non ottimale fra numero di insegnanti e
allievi per classe e una distribuzione logistica inefficiente: dalle strutture
scolastiche ai materiali di cancelleria e dei testi, dopo la manovra del
“Programma di educazione di base gratuita, obbligatoria e universale” (1995) è
stato adottato un piano di collaborazione tra governo del Ghana e UNICEF
(1998).
Il piano è articolato su quattro obiettivi:
1. rafforzamento delle politiche e della programmazione educativa, per
migliorare qualità e metodologie d’insegnamento (studio mnemonico
basato sulla copiatura alla lavagna e punizioni corporali), allargando
l’accesso al sistema, specie alle bambine;
2. Child-school-community (per rispondere alle esigenze dell’ambito rurale);
3. programmi di educazione informale rivolti alle donne che vivono nelle
zone rurali, per aumentarne i guadagni e migliorare i comportamenti di
sicurezza alimentare, nutrizione e salute;
4. Child care e Early chilhood development (per migliorare le competenze
professionali degli operatori per l’infanzia).
L’anno scolastico in Ghana dura dal 3 ottobre al 2 luglio, è diviso in trimestri
e dura 5 giorni la settimana. Le materie impartite alla scuola dell’obbligo in
rapporto alle ore settimanali sono distribuite come segue:
93
Programma scolastico - materie insegnate e ore di lezione settimanali
Elementari
Materie
Medie
Tutte le classi
Materie
Tutte le classi
Lingua
7/2,30
Inglese
8
Letteratura
7/2,30
Storia
2
Scrittura
2,30/1
Geografia
2
Lessico
1,30/1
Matematica
6
Grammatica/Verbi
2,15/2
Fisica
3
Componimenti
scritti
2,15/2
Chimica
2
1
Biologia
2
Educazione civica
1
Francese/Arabo
2
Educazione fisica
2
Recitazione
Canto
0,30
Calcolo
5
Morale
0,45/0,30
Educazione civica
0,30
Scienze
1,30/1
Disegno
0,30
Attività guidate
2/1,30
Storia
1,30/1
Geografia
1,30/1
Educazione fisica
1,30
Ricreazione
1,15
Totale
30
Totale
30
Fonte: Cespi, 2003, p. 29
Specie nelle prime classi elementari viene usata la lingua locale principale
dell’area quale lingua veicolare di istruzione, cui progressivamente subentra
l’inglese.
VITA COMUNITARIA E RELAZIONE DI GENERE
La complessa organizzazione sociale africana si intesse
sulla parentela e la famiglia allargata ne è l’unità centrale.
Lignaggi sono invece segmenti di clan, più numerosi della
famiglia, che custodiscono i diritti che regolano la vita della
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comunità. L’enucleazione delle diverse famiglie da quella d’origine determina
la frammentazione in sotto-lignaggi. I clan sono raggruppamenti sociali che
accolgono più lignaggi, legati da una comune ascendenza mitica: per lo più
esogami, possono essere patrilineari o matrilineari e un individuo può
appartenere a diversi clan. La migrazione verso le città, paesi limitrofi ed altri
continenti sono fattori di destabilizzazione della vita tradizionale: non rompono
necessariamente i meccanismi di identità, ma pur se tendenzialmente legami,
tradizioni e valori solidaristici vengono riprodotti nei contesti d’accoglienza, di
fronte ai pressanti cambiamenti adattativi, si sospendono, per essere ripristinati
nelle occasioni di rientro nei contesti d’origine. In taluni casi nei nuovi contesti
si potenziano le funzioni della famiglia allargata, come per il citato fenomeno
della circolazione dei figli (i figli vengono affidati ai nonni, o ad altre figure
diverse dai genitori in rispondenza a meccanismi interni al lignaggio, quando la
madre raggiunge il marito); in altri casi, alla famiglia allargata si sta sostituendo
la famiglia nucleare, cambiando radicalmente le regole di residenza che
discendevano dalla prevalenza del legame patrilineare o matrilineare in seno al
lignaggio.
L’estrema mobilità interna delle genti del Ghana rendono solo
approssimativamente delineabili le aree di massima concentrazione linguistica
(si contano circa 80 lingue) e sottoraggruppamenti culturali, dai sistemi di
organizzazione sociale simili, ma non sempre omogenei tra clan e lignaggi. É
utile sapere che la maggior parte degli immigrati dal Ghana in Italia appartiene
ai raggruppamenti etno-linguistici akan e ga della famiglia linguistica NigerCongo. Il primo è parte del sottogruppo kwa e include popoli ashanti e
akuapim – che parlano dialetti twi – e genti bono, kwahu, akyem, fante e
nzema, insediati nell’area centro-orientale del Ghana: il sistema di discendenza
è matrilineare, ovvero i lignaggi si incardinano attorno al sistema di parentela
della madre (nella gestione famigliare prevale la figura dello zio materno
rispetto al padre biologico); i ga – attestati tra Accra e Togo costiero – (a sistema
di discendenza cognatica, in cui prevalgono i legami con i quattro nonni), si
incardinano sull’affiliazione patrilineare che prevede ad un certo punto la
separazione della residenza dei figli maschi dalla casa materna per raggiungere
quella paterna. Tra gli ewe dell’area Sud-Orientale, prevale il sistema
patrilineare. Al gruppo gur appartengono le culture di lingua dagbane, parlate
soprattutto nelle province a Nord, abitate da una miriade di piccole comunità
basate su sistemi di discendenza unilineare, patrilineare o doppia (p.es.
mamprussi), o su sistemi bilaterali (moshi-dagomba). Una piccola enclave
mande si trova ad Ovest della regione centrale di Brong-Ahafo.
STILI ALIMENTARI
La dieta del Ghana è ricca di proteine, vitamine,
carboidrati e fibre: si compone di piatti a base di carne, pesce,
farinacei, legumi e verdure. A mais, radici di igname e cassava
vengono aggiunti carne e pesce, verdure arricchite di spezie molto piccanti,
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come la salsa nazionale, lo shito. Questi piatti, generalmente, vanno
accompagnati col vino di palma. Attualmente il riso è entrato in modo
dirompente nella dieta del Ghana: è diventato l’alimento più popolare in ogni
ristorante, ma anche nelle case, perfino rimpiazzando piatti tradizionali come
Fufu, Banku, Kenkey, Apkele e Zafi. Di conseguenza, in Ghana, la produzione di
riso è diventata da qualche anno a questa parte un’attività economica strategica,
anche per gli apporti nutritivi di quest’alimento.
Piatti condivisi con la gran parte dell’Africa occidentale sono le minestre a
base di carne e burro di arachidi o lo Jollof, piatto d’origine nigeriana, composto
di riso, pomodori e spezie. Waatse è a base di fagioli, mentre Kenkey è un
composto di farina di grano fermentata che si accompagna al pesce e Banku è
una sorta di pane a base di grano e cassava fermentata, cucinato in acqua calda
che va servito con pesce o carne. Gli spinaci sono molto utilizzati nella cucina
del Ghana: Efan forowee è il piatto speziato a base di spinaci che va servito con
carne, pesce, uova, cipolla e pomodoro. Tra le ricette riproducibili in Italia, si è
scelto il Kontomire o Palaver sauce. Questo piatto può accompagnarsi a riso,
Banku, Kenkey o Fufu ed è una ricetta dal sapore “storico” anche se non si
conosce esattamente il perché dell’attribuzione di un nome che si richiama alle
trattative fra mercanti bianchi e capi africani – “palaver” appunto – parola
d’etimologia portoghese che per estensione definisce quella sorta di lingua
franca adottata nelle trattative lungo le coste, senza distinzione fra interlocutori
africani e, dall’altra parte, mercanti o schiavisti portoghesi, danesi, olandesi,
inglesi, francesi, ecc.
RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA
Nominazione dei neonati, riti iniziatici, organizzazione dei
matrimoni e dei funerali sono gli importanti momenti di
aggregazione comunitaria. Il capo-famiglia e gli anziani, che
custodiscono le tradizioni, costituiscono una rete di
protezione che si rinnova nei momenti di socializzazione: tali
obblighi, assicurano ai membri l’accesso ai diritti ereditati, il
sostegno materiale del gruppo e la garanzia di un buon funerale.
La trasformazione del giovane in persona avviene attraverso riti che
scandiscono la progressiva interiorizzazione di principi e regole della società. I
riti della pubertà femminili sono ritenuti i più importanti, specie nella cultura
akan, per il ruolo stesso della donna nell’educazione dei figli e, quindi, per i
valori che trasmette alla comunità ed indispensabili per accedere al matrimonio.
Il bragoro, presso gli ashanti, ed il dipo dei krobo hanno preservato le loro
caratteristiche salienti: la giovane, a seguito della prima mestruazione, viene
segregata lontana dalla comunità, per un periodo di 2/3 settimane e, sotto la
guida della regina-madre o delle donne più importanti della comunità, le
vengono insegnati i segreti dell’essere donna, tanto in funzione della comunità
che della famiglia che sarà chiamata a gestire: insegnamenti che comprendono
anche educazione sessuale e pianificazione famigliare. Terminato il periodo, a
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maggio viene celebrata una festa di presentazione delle giovani donne alla
comunità e soprattutto ai potenziali mariti, durante la quale si danza al suono
di musiche propiziatorie che evocano gli spiriti dei morti delle famiglie delle
ragazze e Oynankopong Kwame e Asase Yaa per assicurare loro una prolifica e
sana discendenza. Per gli uomini, dato l’impatto incisivo dei fenomeni delle
migrazioni e dell’urbanizzazione, questi riti sono meno seguiti e le cerimonie,
laddove sono sopravvissute – specie nelle regioni del Nord, non sono rese
pubbliche, ma tenute per lo più segrete.
NASCITA: al di là delle situazioni di povertà o del pericolo che ancora molte
madri corrono nel dare alla luce i loro figli, specie nella aree rurali, le cui
condizioni non garantiscono quelle norme igieniche necessarie alla loro tutela,
la nascita di un bambino è sempre motivo di gioia. Qualche settimana prima
della nascita iniziano le celebrazioni di presentazione del nascituro: queste sono
legate alla convinzione che la nascita dei figli favorisca la possibilità degli
antenati di rinascere ed alla coscienza che un nuovo elemento garantirà la
sopravvivenza economica del lignaggio.
MATRIMONI: sono a tutt’oggi complessi sistemi che mettono in stretto
rapporto due lignaggi, con conseguenze culturali, sociali ed economiche
vincolanti, grazie ad una dote che, un tempo, poteva comportare un
cambiamento di status sociale della famiglia della sposa. Questo – specie in
passato – spingeva a combinare le unioni matrimoniali quando i contraenti
erano ancora in tenera età. Ancor oggi la famiglia dello sposo deve portare alla
futura suocera una somma di denaro (aseda per gli akan, o “denaro del
ringraziamento”), quale risarcimento del bene sottratto (ovvero la potenzialità
generatrice della donna): a fronte di questo, un ulteriore cambiamento
adattativo, l’“unione d’amore” soccorre nell’evitare il pagamento dell’aseda. Se
la pratica di non registrare i matrimoni consuetudinari dopo l’introduzione
della Marriage Ordinance (1951) era finalizzata ad escludere dai diritti di
successione le donne, ora la diffusa pratica della convivenza protrae questo
stato. Anche i matrimoni musulmani, regolamentati un tempo dalla Marriage of
Mohammedans Ordinance (1907), non vengono registrati, rinunciando agli effetti
civili. Oggi, la poligamia perde vigore, ma, accanto alla famiglia “ufficiale” nelle
campagne, gli uomini urbanizzati tendono a costruire un nucleo famigliare
parallelo.
FUNERALI: i ghaniani intendono la morte come un “andare altrove”. Nella
maggior parte delle culture del Ghana, infatti, si ritiene che i morti continuino a
fare parte del clan: intermediari tra il mondo degli spiriti e quello dei viventi,
vegliando sui parenti, aiutandoli o punendoli a seconda del loro
comportamento verso il resto della comunità. Pertanto, un buon funerale è
garanzia per il defunto di un buon viatico nell’“andare altrove”, mentre, per la
comunità è garanzia di una buona protezione. Un funerale può durare anche
alcuni giorni e rappresenta forse il capitolo di bilancio più consistente per una
famiglia che deve mantenere quanti giungono da ogni parte del paese per
partecipare alla cerimonia. I politici tentano oggi di dissuadere dal protrarre
queste pratiche eccessivamente onerose, ma i funerali sono un momento sociale
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e culturale molto importante in tutta l’Africa subsahariana, ed anche
particolarmente creativo in Ghana: è entrato nella tradizione recente, l’uso di far
forgiare ad artisti-artigiani le bare dalle più diverse forme (d’automobile,
d’aquila, ecc.) realizzate per ricordare un elemento che caratterizzava il defunto,
o un suo sogno, o l’augurio di chi resta.
SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI
La distribuzione delle strutture sanitarie in Ghana risente della
profonda discrepanza, tipica di tutta l’Africa, fra aree rurali e aree
urbane. La distanza tra villaggi rurali e ospedali, la massima
concentrazione di medici nelle città, per non dire della loro
sistematica defezione dal paese – sono problematiche prioritarie
del Ministero, assieme al tentativo di introdurre un’assicurazione
sanitaria, abolendo il sistema “cash and carry” che costringe i pazienti a pagare le
terapie farmacologiche, agevolando i sistemi di cura “fai da te”. Sono trent’anni
che è operativo l’Expanded programme on immunization (EPI) destinato ai paesi in
via di sviluppo, che anche in Ghana ha introdotto la vaccinazione obbligatoria
per 6 malattie che colpiscono i bambini, quali morbillo, difterite, pertosse,
poliomielite, tubercolosi e tetano: se ne stanno ancora testando gli effetti.
Nonostante malaria e morbillo siano le principali cause di morte nel paese, la
potenzialità mortifera dell’Aids è la più temuta, poiché colpisce in particolare la
fascia riproduttiva della popolazione, portando con sé una serie di
drammatiche conseguenze sociali, economiche e di pianificazione nazionale.
Pur se stiamo parlando di un paese in cui l’aspettativa di vita è fra le più alte
del continente, dati della World Health Organization (WHO) del 2003 stimano da
210.000 a 560.000 gli individui d’età compresa tra 0 e 49 anni affetti da Aids,
mentre dati relativi ai casi dichiarati e riconosciuti presso le strutture sanitarie,
al 2001, riportano la cifra di 47.444 malati (per il 61% donne e per il 38%
uomini). Quanto al tasso di prevalenza dell’HIV nella fascia d’età generalmente
più colpita (15-49 anni), l’ultimo rapporto WHO sul Ghana (luglio 2004) lo
indica tra l’1,9 e il 5%. Si registra un’incidenza allarmante nelle città del Sud,
con Accra al 3,1%, Kumasi al 3,8%; minore è l’incidenza al Nord, con Tamale,
che registrava l’1,3% nel 2000, mentre in 18 siti al di fuori dell’ambito cittadino
il range varia dall’1 al 7,8%. La malattia risulta più diffusa nell’ambito della
prostituzione e della relativa clientela, tra camionisti e operai urbanizzati.
Risulta positivo il coinvolgimento di leader tradizionali nelle campagne di
sensibilizzazione circa i comportamenti da assumere per la prevenzione
dell’Aids e per evitare atteggiamenti discriminatori nei confronti dei malati, che
portano a nascondere la malattia e ad evitare importanti opportunità di cura
con somministrazione di farmaci antiretrovirali, per cui dal 2001 s’è attivata la
Ghana Aids Commission.
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FIABE TRADIZIONALI
Esistono diversi generi di fiabe, non necessariamente destinate
all’infanzia, votate a trasmettere valori e a preservarne la
memoria. Alcune attengono alla creazione del mondo, altre
spiegano i meccanismi di comportamento umano, altre, pur
facendolo, si servono di animali per spiegarli: animali fortemente
umanizzati. Talvolta questi animali hanno una corrispondenza stretta con un
apparato simbolico tradizionale che lega ciascun animale a figure di potere o a
una funzione sociale, non sempre intuibili dal lettore occidentale; altre, più
semplicemente possono essere funzionali ai momenti di socializzazione e
formazione dei più giovani. Alcuni tra i racconti più belli e interessanti della
tradizione ashanti sono parte di una vecchia raccolta: “Fiabe Africane”, curata
da Paul Radin nel 1955 (Einaudi, 1994). Pieni di ironia, in particolare i racconti
di Ananse-ragno: quel personaggio ricorrente nella tradizione culturale
ghaniana, non solo nella letteratura orale, ma addirittura nell’arte della tessitura
del kente, pezze di stoffa variopinta a trama fitta, i cui motivi sarebbero stati
ispirati dalla ragnatela di Ananse: ragno mitico, tessitore della natura. I suoi
racconti, sono tanto destinati a spiegare i rapporti di sfida con Nyankonpon, il
dio-del-cielo, che a spiegare l’origine dei comportamenti umani.
La scelta del racconto che segue, invece, privilegia i valori della storia e della
tradizione:
Racconto intorno al perché i capi ashanti non attraversano il fiume Pra
Nel tempo andato Ashanti era un potente regno del Ghana. I suoi re conosciuti
come Asantehene esercitarono molto potere e conquistarono molti regni. Inoltre
erano sempre in guerra con l’autorità coloniale britannica. Il loro potere fu
sostenuto dalla potenza di un parente prete chiamato Okomto Anokye, che,
racconta la storia, mise a disposizione degli Asantehene un trono d’oro disceso dal
cielo.
Il Pra è un grande fiume, che fa da confine tra gli ashanti e gli akim. Nella loro
ricerca di più potere, gli ashanti decisero di attaccare gli akim. Per farlo dovevano
atttraversare il fiume Pra. Gli akim (…) decisero di tendere loro imboscate sulle
sponde del fiume, dove il re ashanti sarebbe stato più vulnerabile e facilmente
attaccabile. Capita la strategia, il decimo re ashanti, Osei Tutu, che era uno dei
più potenti comandanti delle truppe, trasferì sulla sponda del fiume soltanto piccoli
manipoli, piuttosto che rischiare il grosso dell’esercito. Appena gli Akim si resero
conto di questa mossa attaccarono velocemente il capo e lo uccisero, seminando
disordine tra le truppe. Con ciò fu revocato l’ordine di battaglia e gli akim
tornarono a casa vittoriosi. Gli ashanti giurarono che mai più l loro capi avrebbero
attraversato il fiume Pra e questo tabù è rimasto fino ai nostri giorni.
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Liberamente tratto da Manoccio, L’Africa racconta, Datanews, 1999, p. 37.
Il seguente racconto ewe ci porta a riflettere sulla realtà dell’emigrazione in cui le
comunità sembrano perdere la capacità solidaristica che hanno invece in patria.
Il lavoro che si fece da sé
La iena aveva un piccolo e il piccolo morì; anche il gatto aveva un piccolo e questi
pure morì. Il gatto selvatico sentì disgusto per il suo paese, e anche la iena si sentì
disgustata. Perciò ognuno dei due partì per cercare un posto migliore. La iena,
quando arrivò in un luogo che le parve adatto, disse: “Questo va bene. Domani
all’alba verrò qui e strapperò tutta l’erba”. Il gatto selvatico capitò per caso nello
stesso posto, che gli piacque. Strappò l’erba e andò a dormire. La mattina dopo,
la iena tornò: “Oh” – esclamò – “che buon posto! Io stavo per strappar l’erba e
l’erba si è già strappata da sé” (…). I vari lavori per adattare il territorio ai
nuovi venuti viene così svolto dall’uno e dall’altro dei nostri protagonisti in
alternanza, fino al completamento della casa, senza che si incontrassero mai e senza
che nessuno dei due sospettasse dell’altro. La iena divise la casa in due parti, una
per sè e una per suo marito. Quando il gatto selvatico tornò disse: “Ma bene! La
casa è divisa in due. Questa parte la terrò per me e quell’altra la darò a mia
moglie. Fra cinque giorni porterò qui le mie cose e vivrò qui”. Anche la iena
combinò di entrare nella casa nuova dopo cinque giorni. Quando arrivò il quinto
giorno, il gatto selvatico prese tutte le cose e venne con sua moglie. La iena fece lo
stesso. La iena entrò in una stanza e il gatto selvatico nell’altra. Ognuno credeva
che in casa non ci fosse nessun altro. Poi, ad un tratto, ognuno dei due ruppe
qualcosa nello stesso momento, e ognuno dei due disse: “Chi rompe qualcosa nella
stanza accanto?”. Ed entrambi fuggirono via. Corsero un lungo tratto, come da
Keta ad Amutino, e infine si incontrarono. “Che stai facendo, iena?” chiese il
gatto selvatico. “Io avevo costruito una casa” disse la iena “e qualcosa mi ha
cacciato via, non so cosa”. “La stessa cosa è accaduta a me” rispose il gatto “Io
tagliavo degli alberi, e i pali si piantavano in terra da soli” (…). “Io avevo
trovato un posto che mi piaceva, mi accingevo a strappare l’erba e quando andai per
farlo, l’erba si era già strappata da sola” replicava la iena. E qui il gatto selvatico
e la iena ricominciarono a fuggire. Da allora non possono più guardarsi in faccia.
Liberamente tratto da Abrahams Leggende della Madre Africa, Arcana, 1987, p. 203.
100
La saggezza del ragno
C’era una volta un ragno che voleva diventare ricco.
Ogni giorno pensava a cosa poteva fare per realizzare il suo sogno, fino a quando
gli venne l’idea di raccogliere tutti i pensieri più saggi e più intelligenti del mondo.
“Sicuramente” – pensò ad alta voce – “se i pensieri più intelligenti del mondo
saranno nelle mie mani, tutti, poveri e ricchi, imperatori e re verranno da me a
chiedermi consigli e io diventerò famoso e potente!”.
Per un lungo periodo di tempo si mise al lavoro, ricercò per giorni e giorni,
settimane, mesi. Poi, a un certo punto, ritenne di aver terminato la sua raccolta e
decise di chiudere tutti quei pensieri in una grossa pentola di porcellana, ma il
problema era: dove sistemarla? Chiunque avrebbe potuto rubare la sua ricchezza.
Riflettè un po’, poi i suoi occhi s’illuminarono: “La metterò sull’albero più alto
della foresta! Lassù nessuno potrà rubarla!”.
Si legò al collo la pentola ben chiusa col coperchio e iniziò a salire lungo il tronco.
Un cacciatore che passava di lì lo vide lento e affaticato, così gli suggerì: “Perché
non metti la pentola sulla schiena?! Ti sarà più facile salire, arriverai prima e
sarai meno stanco!”.
Il ragno rispose: “Ti ringrazio molto per la splendida idea! Hai proprio ragione,
ora scenderò a sistemarmela per bene sulla schiena e poi risalirò”.
Tentò di scendere, ma improvvisamente la pentola si sganciò e finì a terra in mille
pezzi. Tutta la saggezza che il ragno aveva raccolto si sparse di nuovo per tutta la
terra!
Ecco perché si dice che se si vuol trovare un pensiero intelligente basta guardare
bene e cercarlo sulla nostra strada! Provaci, vedrai che lo troverai!
Daniela Benevelli, Il tesoro invisibile. Favole, fiabe e racconti di 15 paesi, EMI, Bologna, 2003, pp. 8485.
RICETTE
Kontomire, Kentumere, o Nkontommire (Palaver “Sauce”)
Ingredienti: 1/2 tazza di olio di palma o di semi; 1 kg di stufato di
pollo o manzo tagliato a cubetti; brodo di carne; da 2 a 4 tazze di
foglie fresche o essiccate di spinaci e foglie amare (potremmo usare la cicoria); 1
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kg di pesce essiccato, affumicato o sotto sale (merluzzo o aringhe) o in
combinazione con pesce fresco; 1 o 2 cipolle tagliate finemente; da 2 a 6
pomodori possibilmente senza pelle e tagliati a cubetti; 1 peperoncino; sale,
pepe nero, pepe di cayenna; 1 tazza di egusi arrostiti o semi di zucca o semi di
sesamo, schiacciati; 1 cucchiaio di radice di ginger fresca; okra (non
indispensabile); 1 tazza di gamberetti freschi; 1/2 tazza di prosciutto cotto a
cubetti.
Preparazione: tenere a lungo in ammollo la verdura se disidratata e tagliarla
finemente. Nel caso si usino foglie di spinaci freschi, tagliarli appena prima
della cottura. Ogni altra verdura scelta dovrebbe essere pre-cotta. Ammorbidire
e trattare il pesce o privarlo del sale delle scaglie e delle spine. Scaldare l’olio in
una pentola dotata di coperchio e rosolare la carne ed aggiungere il brodo per
completarne a fuoco lento la cottura. A questo punto aggiungere le verdure e
portare ad ebollizione per alcuni minuti ancora. Aggiungere il pesce con la
cipolla, i pomodori e sale, pepe e peperoncino, continuando a lasciar bollire
nella pentola opportunamente coperta. Quando la verdura sembra essere tenera
aggiungere egusi, i semi di zucca o il sesamo pestati. Cucinare a fuoco basso
mescolando di continuo e non aggiungendo altra acqua o brodo fino a che non
abbia assunto una consistenza cremosa.
POESIA
La poesia più conosciuta del Ghana è quella a sfondo politico
in cui s’annovera anche la traduzione in inglese di poemi della
tradizione orale (per esempio, ad opera di Kofi Awoonor e AdaliMortty sulla rivista Okyeame). Poche poesie sono state tradotte da
Sbicego in italiano e raccolte sono reperibili soltanto in lingua
inglese (Ojaide e Sallah, 1999) e la semplice poetica di Koben Eyi Acquah, la
forza espressiva di Kofi Anyidoho (vincitore di prestigiosi premi
internazionali), da cui trapela la ricca letteratura tradizionale ewe o i canti
dell’esilio di Abena Busia restano ignoti al pubblico italiano.
LETTERATURA
Cinque sono le forme d’espressione letteraria individuabili
nel panorama della letteratura del Ghana: la letteratura orale
(espressa in lingue locali), la letteratura popolare, espressa
tanto in lingue locali che in inglese (lingua ufficiale del Ghana);
la letteratura per l’infanzia, scritta sia in lingue locali che in
inglese; narrativa, teatro e poesia in lingue ghaniane o in inglese. La versatilità
fra i generi sembra essere diffusa in Ghana: autrici come Efua Sutherland o
Ama Ata Aidoo, autori come Ben Abdallah, Kofi Awoonor (prima noto come
George Awoonor Williams) [il suo Teatro Africano, è stato tradotto in italiano da
Jaca Book, 1976], Kofi Anyidoho, Atukwei Okai o Ayi Kwei Armah si sono
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cimentati tutti in generi diversi. William Boyd autore di novelle e romanzi (in
italiano: Un pomeriggio blu, 1996; Come neve al sole, 1987; Brazzaville Beach, 1996) e
Manu Herbstein, nato in Sudafrica, ma dal ’70 residente in Ghana autore del “ebook” Ama, A Story of the Atlantic Slave Trade (e-reads, Usa, 2002) sono autori
bianchi, più noti sul mercato internazionale.
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104
DANZE
In Ghana tutte le comunità, i clan o le tribù arricchiscono la loro vita comune
con musica e danze tradizionali. È un modo per celebrare insieme gli eventi più
rilevanti. I generi musicali diffusi nel Paese sono numerosi; nel Nord la musica
è prodotta soprattutto con strumenti a corde, mentre nel Sud sono i tamburi che
prevalgono nella musica tradizionale. Il genere musicale più popolare, frutto
della fusione di diversi stili locali, americani e caraibici è denominato “highlife”.
Le danze che accompagnano l’“highlife” sono briose, energiche, coinvolgono
tutte le parti del corpo del danzatore; le ginocchia sono sempre leggermente
piegate, i piedi bel saldi alla terra ma non mancano gesti indirizzati al cielo che
sottolineano l’indissolubile rapporto tra gli elementi della natura.
105
106
India
di Barbara Bertolani
DATI GENERALI
L’India è un paese dalle dimensioni subcontinentali, sesto al mondo per
estensione e secondo per popolazione solo alla Cina; situata in Asia, è separata
a Nord-Ovest dal Pakistan da una frontiera priva di una chiara configurazione
morfologica, indefinita nella regione del Kashmir e oggetto di gravi tensioni sia
con la Cina che con lo stesso Pakistan. Il confine settentrionale, che corre in
parte lungo la dorsale himalayana, separa l’India dalla Cina, dal Nepal e dal
Buthan. A Nord-Est l’India confina con la Birmania ed è separata dal resto del
paese dal Bangladesh, che si incunea profondamente nel territorio indiano. La
zona peninsulare è bagnata dall’Oceano Indiano, che ad Ovest prende il nome
di Mare Arabico e ad Est di Golfo del Bengala. La sovranità dell’India si estende
anche sulle isole Andamane, Nicobare e Laccadive. Nel territorio indiano si
individuano tre regioni, diverse per struttura e origini geologiche: l’Himalaya,
la Pianura del Gange e il Deccan. Sebbene il territorio indiano inglobi solo il
versante meridionale dell’imponente barriera montuosa formata dalle catene
del Karakoram e dell’Himalaya, esso comprende alcune vette oltre i 7000 metri
di altitudine, quasi tutte collocate nella sezione occidentale, mentre quella
orientale è mediamente meno elevata ma si erge ripida sull’immensa pianura
indo-gangetica (1500 km di lunghezza, 400 km di larghezza). Tale pianura è
formata dagli apporti alluvionali di tre fiumi: l’Indo, il Gange e il Brahmaputra.
Ad Ovest della valle del Gange si estende la pianura del Punjab (solcata da
alcuni affluenti dell’Indo, tra cui il Sutlej). La pianura alluvionale connette l’arco
montuoso alla grande penisola triangolare del Deccan, attraverso alcuni
altopiani centrali. Il Deccan è un grande triangolo che si protende verso
107
l’oceano Indiano, ricoperto a Ovest da formazioni vulcaniche e dalla catena
montuosa dei Ghati Occidentali, a Est da una serie di rilievi che degradano
verso una fascia costiera pianeggiante ed estesa, caratterizzata da foci a delta.
Il Gange (che ha un corso di 2700 km) nasce sull’Himalaya e sfocia nel golfo
del Bengala dopo essersi unito al Brahmaputra in un amplissimo delta (56.000
kmq) che rappresenta la maggior parte del territorio del Bangladesh. Anche il
Brahmaputra (che ha un corso di 2900 km) nasce dal versante settentrionale
dell’Himalaya (Tibet) e scorre nell’India orientale solo nella parte mediana del
suo corso. Le sue piene disastrose hanno limitato l’insediamento umano nella
sua valle, peraltro molto fertile. Invece, il bacino del terzo grande fiume
himalayano del subcontinente, l’Indo, interessa l’Unione Indiana solo con un
parte del corso del Sutlej, suo affluente.
Abitanti: 1.027.000.000 (al censimento del 2001), 1.041.144.000 (in una stima del 2004).
Estensione geografica: 3.287.263 kmq.
Continente: Asia.
Densità di popolazione: 317 ab./kmq (2004).
Incremento demografico 1,7% (1996-2001).
PIL pro capite: 481 $ (2002).
Vita media: m. 62; f. 64 (2001).
Alfabetizzazione: il tasso di alfabetizzazione dell’India è cresciuto dal 18% del 1951 al
65,38% del 2001. I dati dell’ultimo censimento nazionale evidenziano che quello
maschile è maggiore (75,85%) di quello femminile (54,16%) e che, in generale, è
inferiore nelle zone rurali. Lo stato del Kerala possiede il tasso più alto di alfabetizzati
di tutta l’India (91%), mentre nel Punjab vi è la più bassa disuguaglianza fra i sessi (le
donne alfabetizzate sono il 50%, gli uomini il 64%).
Mortalità infantile: 63,1‰ nel 2001 (69‰ nel 1998; lo stesso anno la mortalità sotto i
cinque anni era pari al 105‰).
Lingue ufficiali: hindi, inglese.
Altre lingue: esistono 18 lingue riconosciute, specifiche di ciascuno stato dell’Unione
Indiana (ad esempio: tamil, urdu, punjabi, bengali, gujarati, kashmiri, assamese,
bengali, ecc.) e più di mille dialetti.
Religioni: induisti (81,5%), musulmani (12%), cristiani (2,2%), sikh (1,8%), buddisti
(0,8%) e altre minoranze come giainisti e zoroastriani.
Gruppi etnici: la popolazione dell’India non è affatto omogenea e le differenze sono
percepibili anche a colpo d’occhio. Nel Sud, gran parte della popolazione è di origine
dravidica, sebbene nel corso dei millenni le invasioni, i commerci e gli insediamenti
l’abbiano resa varia e meticcia, come nel resto del paese. Gli ebrei si sono storicamente
insediati nell’odierno Kerala, circa 2000 anni fa. Gli Ariani, (invasori e mercanti
provenienti da Nord-Ovest, dall’odierno Afghanistan e dall’Asia centrale a partire dal
1500 a.C.) hanno introdotto nella cultura e nella società indiana il sistema delle caste.
Popolazioni mediorientali, originarie dell’odierno Afghanistan, sono giunte nel paese
anche a partire dal XI secolo e hanno diffuso la religione musulmana (che si è
ulteriormente radicata, soprattutto al Nord, durante i regni dei sovrani Moghul).
108
Infine, oltre alla presenza di europei, esistono innumerevoli minoranze etniche che
conservano identità linguistiche e culturali nei diversi stati dell’Unione (ad esempio i
tamil, i kashmiri, i sikh, i bodo, i nepalesi, i ladakhi, ecc.).
Regime politico: l’India è una repubblica democratica parlamentare federale,
composta da 29 stati e 6 Territori dell’Unione. È formalmente retta da un presidente,
sebbene il potere reale sia in mano al primo ministro. Il parlamento è composto da una
camera bassa (Lok Sabha o “Camera del Popolo”) e una camera alta (Rajya Sabha o
“Consiglio degli Stati”). La prima è formata da 545 membri, eletti tutti (tranne due,
scelti dal presidente) a suffragio universale con sistema uninominale secco, ogni cinque
anni. Hanno diritto di voto tutti i cittadini che abbiano compiuto diciotto anni. Dei 545
seggi, 125 sono riservati ai rappresentanti delle Scheduled Castes (caste protette) e delle
Scheduled Tribes (comunità tribali), così chiamate perché le caste e le minoranze tribali
ritenute ufficialmente in condizioni sfavorevoli sono elencate in una distinta allegata
alla costituzione indiana. La camera alta ha 245 membri; il presidente ne designa 12, gli
altri sono eletti dalle assemblee legislative degli stati con un sistema di quote
proporzionali. Il presidente può sciogliere la camera bassa ma non quella alta, ha
potere solo rappresentativo (esegue cioè le direttive del Consiglio dei Ministri) ed è
eletto da entrambe le camere e dalle assemblee legislative degli stati ogni cinque anni.
Il governo federale ha poi la facoltà di assumere il potere in qualsiasi stato dell’Unione
(President’s Rule) se la situazione interna a quello stato è divenuta ingovernabile (è ciò
che è avvenuto nel Punjab dal 1985 al 1992, nel Kashmir nel 1990 e nell’Assam nel
1991).
LE FESTE PRINCIPALI
A causa del gran numero di religioni e tradizioni, l’India ha
svariate feste, molte delle quali si tengono durante il Purnima
(luna piena), considerato di buon auspicio. Molto spesso le feste
seguono il calendario lunare o quello islamico, ragione per cui le
date possono variare di anno in anno rispetto al calendario gregoriano. Fra le
principali vi sono nel mese di Chaitra (marzo/aprile):
RAMANAVAMI: si celebra la nascita di Rama; nella settimana che precede questa
festa si leggono e recitano brani del Ramayana, poema epico che narra la
vita di questo dio indù.
PASQUA: festa cristiana che ricorda la crocifissione e la resurrezione di Cristo.
Nel mese di Vaisakha (aprile/maggio):
BUDDHA JAYANTI: si celebra la nascita, l’illuminazione e il raggiungimento del
nirvana da parte del Buddha. Le vie di alcune città (soprattutto nel
Sikkim) sono percorse da monaci che sfilano in processione portando le
sacre scritture.
Nel mese di Jyaistha (maggio/giugno):
MILAD-UN-NABI: festa musulmana che celebra la nascita di Maometto.
Nel mese di Asadha (giugno/luglio):
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MARTIRIO DEL GURU ARJAN DEV: festa sikh che commemora il quinto guru,
bruciato vivo sul rogo. Ai pellegrini viene offerto un bicchiere di lassi,
una bevanda a base di yogurt.
Nel mese di Sravana (luglio/agosto):
RAKSHA BANDHAN (DETTA ANCHE NARIAL PURNIMA): il giorno di luna piena le
ragazze mettono al polso dei loro fratelli (non necessariamente di sangue)
degli amuleti chiamati “rakhi”, in cambio della loro protezione e di piccoli
doni.
Nel mese di Bhadra (agosto/settembre):
INDIPENDENCE DAY: festa che cade il 15 agosto e celebra l’anniversario
dell’Indipendenza dell’India, ottenuta nel 1947.
JANMASHTHAMI: anniversario della nascita di Krishna. A Matura, secondo la
tradizione città natale di questa divinità indù, le celebrazioni durano un
mese intero e i templi (sia la struttura, sia tutti gli oggetti che contengono)
vengono ricoperti di un unico colore.
Nel mese di Asvina (settembre/ottobre):
DUSSEHRA: festa popolare che celebra la vittoria di Durga, divinità indù, su
Mahishasura, demone con la testa di bufalo. In molte località alla fine
della festa si dà fuoco a enormi immagini o pupazzi rappresentanti
Ravana, re dei demoni, per simboleggiare la vittoria del bene sul male.
GANDHI JAYANTI: celebrazione solenne dell’anniversario della nascita di Gandhi
(2 ottobre), con incontri di preghiera al Raj Ghat di Delhi, dove il
Mahatma venne cremato.
Nel mese di Kartika (ottobre/novembre):
DIWALI: festa molto popolare di origine indù ma ricordata in tutta l’India, anche
da appartenenti ad altre confessioni religiose. Di notte in ogni casa
vengono accese lampade ad olio per mostrare al dio Rama la via verso
casa dopo il periodo trascorso in esilio (come è narrato nel poema epico
Ramayana). Oggi questa festa è dedicata anche a Lakshmi, dea indù
dell’abbondanza e della fortuna, che ogni famiglia cerca di attirare dentro
la propria casa con la luce. Le celebrazioni durano cinque giorni, durante
i quali la casa è accuratamente pulita, talvolta imbiancata e sulla soglia
sono disegnate col gesso intricate decorazioni (rangoli). Diwali è anche
per tradizione la festa dei dolci che vengono donati e consumati in grandi
quantità.
Nel mese di Aghan (novembre/dicembre):
NANAK JAYANTI: si celebra la nascita di guru Nanak, fondatore della religione
sikh.
ID-UL-FITR: festa musulmana che celebra la fine del Ramadan.
Nel mese di Pausa (dicembre/gennaio):
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NATALE: i cristiani celebrano l’anniversario della nascita di Cristo il 25
dicembre.
LOHRI: festa molto popolare di origine indù ma ricordata anche da appartenenti
ad altre confessioni religiose. Ricorre in gennaio, è considerata la festa dei
bambini ed è particolarmente importante quella che si festeggia nel corso
del primo anno di vita. In quell’occasione, soprattutto nell’India rurale e
nei villaggi, la famiglia del neonato offre dolci a tutti i parenti e
conoscenti. Dei travestiti (si tratta degli hijra, persone che nella società
indiana costituiscono un gruppo intercasta a parte, riconosciuto nella sua
specificità; essi si guadagnano da vivere intervenendo alle feste con la
loro musica e le loro danze) si recano per tradizione dalla famiglia per
cantare e festeggiare, prestazione ricambiata con cibo e denaro.
Nel mese di Magha (gennaio/febbraio):
REPUBLIC DAY: ha luogo il 26 febbraio e celebra l’anniversario della nascita della
repubblica nel 1950. Vengono organizzate manifestazioni e parate militari
in tutte le capitali dei diversi stati, anche se la più spettacolare è quella di
Delhi.
Nel mese di Phalguna (febbraio/marzo):
HOLI: è una festa molto popolare, paragonabile al “carnevale” dei paesi
occidentali e segna la fine dell’inverno. La gente festeggia facendosi
scherzi e gettandosi addosso reciprocamente acqua e polvere colorata
(gulal).
IL SALUTO: Namaste (pronuncia namastè, fra gli indù); Sat Shri Akal
(pronuncia sasrikal, fra i sikh), Salam Alekum (pronuncia salamalècum fra i
musulmani).
CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE
A seconda dell’ora del giorno e della stagione, entrando in
una casa di indiani vi potranno essere offerti tè, caffé, succhi di
frutta e ogni altro genere di bevande analcoliche, insieme a
mandorle, anacardi, ceci ed arachidi tostati, lenticchie fritte e
speziate e innumerevoli tipi di dolci. La bevanda più tipica e diffusa resta
comunque il tè (chai, pronunciato “cià”), che gli indiani preparano usando più
latte che acqua, con molto zucchero e spezie (di solito cardamomo o zenzero).
Anche quando ci si reca in un luogo sacro, come ad esempio il gurudwara, cioè
il tempio sikh, il tè viene servito bollente in bicchieri di metallo e accompagnato
a spuntini salati (ad esempio i matri, salatini fritti e speziati a base di farina di
frumento e una particolare spezia, l’ajwain) o a dolci. Esistono vari tipi di dolci,
di solito troppo zuccherati per le abitudini occidentali: ladoo (pronuncia:
“laddu”), palline gialle di farina di ceci e semolino, rasgulla, palline di
formaggio morbido non fermentato immerse in uno sciroppo dolce, barfi,
111
rettangoli di latte condensato cosparsi di cardamomo e mandorle o pistacchi in
polvere, gulab jamun (pronuncia: gulab giamun), palline morbide di farina di
ceci e latte addensato, fritte e immerse in uno sciroppo dolce o besan, rettangoli
dolci friabili di farina di ceci e spezie. Se invece si è ospiti a pranzo o a cena, la
cucina è quasi sempre vegetariana, speziata e piccante. Il pasto più tipico e più
semplice (servito gratuitamente anche nei gurudwara ai pellegrini e ai
visitatori) è costituito da roti (pane) e dhal (legumi, di solito lenticchie verdi o
fagioli neri, stufati e speziati. Si pronuncia: “daal”), cui talvolta si accompagna il
sabzi (verdure al curry accompagnate talvolta da formaggio. Si pronuncia:
“sabgi”). Il roti è una specie di piadina di farina integrale non lievitata, cotta
sulla piastra; il dhal si può invece preparare con una varietà enorme di legumi
(circa una sessantina): lenticchie gialle, bianche, rosse, fagioli rossi o neri,
spezzati, sbucciati o interi, ceci bianchi o neri, ecc. e ha la consistenza di una
zuppa piuttosto densa. Il sabzi è un contorno che può essere fatto con numerose
verdure o con legumi (piselli, ceci) e che può essere accompagnato da paneer
(formaggio non fermentato a cubetti. Si pronuncia “paniir”). Questi cibi
possono essere serviti su piatti di acciaio suddivisi al proprio interno in diverse
vaschette oppure in coppette a sé stanti; sia il dhal che il sabzi sono mangiati col
cucchiaio o direttamente con le mani, servendosi di pezzi di roti arrotolati. Dhal,
roti e sabzi sono alimenti di base e possono essere arricchiti o sostituiti da altre
pietanze più ricche quando si riceve un ospite.
IMMIGRAZIONE IN ITALIA
La migrazione dall’India verso l’Italia è questione abbastanza
recente. I primi indiani arrivano nel nostro paese a partire dalla
metà degli anni Settanta, spesso senza una meta fissa e con la
speranza di riuscire prima o poi ad entrare, nonostante la
chiusura delle frontiere, in stati come la Gran Bretagna, il Canada
e gli Stati Uniti, inizialmente. L’Italia è quindi una “seconda scelta” o una terra
di passaggio; solo a partire dai primi anni Ottanta i flussi si intensificano, anche
a seguito delle rivendicazioni separatiste di attivisti punjabi e della tensione
politica che si crea a livello regionale col governo indiano. Tensioni che sfociano
nel 1984 in un attacco dell’esercito federale contro il “Tempio d’Oro” di
Amritsar (luogo di culto sacro per eccellenza dei sikh), nell’uccisione del primo
ministro Indira Gandhi da parte delle sue guardie del corpo sikh e in numerosi
massacri compiuti soprattutto a danno della popolazione civile punjabi di
religione sikh. La guerra civile, che solo dal 1992 sembra essersi conclusa, ha
ulteriormente spinto le famiglie a “far uscire” dal Punjab e dall’India i propri
giovani figli maschi. Ciò contribuisce a spiegare perché la grande maggioranza
degli indiani in diaspora proviene dal Punjab, ma storicamente non è l’unica
causa. Fin dalla dominazione inglese, infatti, l’esercito ha costituito una buona
opportunità di impiego per la popolazione maschile punjabi, ha offerto la
possibilità di trasferimenti verso altri territori dell’impero britannico o verso la
“madrepatria” e ha contribuito al lento consolidarsi di una tradizione di catene
112
migratorie. A ciò va aggiunto che, come è noto, di solito chi emigra non fa parte
dello strato più povero della popolazione e il Punjab è lo stato più ricco
dell’Unione Indiana; ad economia prevalentemente agricola, si dice che sia il
granaio dell’India. Qui più che altrove, quindi, è possibile per le famiglie
contadine benestanti vendere la terra o impegnare i guadagni dei raccolti per
ricavare i soldi necessari all’emigrazione dei propri figli (spesso la migrazione
serve ad evitare il frazionamento della proprietà fondiaria tra fratelli maschi):
non è un caso se la maggioranza dei migranti proviene ancora oggi dalla classe
media locale e ha lasciato altre opportunità d’impiego nel proprio paese.
Al 31 dicembre 1996 gli indiani che soggiornavano regolarmente in Italia
erano 19.417, alla fine del 2000 erano 30.338. Nel 2002, invece, si calcola che i
residenti indiani siano stati 34.080 (fonti: Caritas su dati Istat e del Ministero
dell’Interno). Inoltre, nel corso del 2002 il 48% dei permessi di soggiorno è stato
rilasciato per motivi di lavoro (il 44,5 di questa percentuale si riferisce ad
un’occupazione di tipo subordinato), mentre il 32% per motivi familiari. Si
tratta quindi di una presenza che è aumentata costantemente negli ultimi anni,
sebbene in modo meno netto rispetto ad altri flussi. A partire dalla metà degli
anni Ottanta l’immigrazione punjabi si è concentrata soprattutto in alcune zone
della penisola: nel Mezzogiorno, sulla costa ionica calabrese e nel barese; al
centro, soprattutto in Lazio fra Roma e la provincia di Latina; al Nord, in
Pianura Padana, fra Reggio Emilia, Mantova, Cremona e anche nel bresciano e
nel vicentino. Al Sud la presenza punjabi è più spesso irregolare ed è inserita
nel settore agricolo ortofrutticolo (ad esempio nella coltivazione in serre, nella
raccolta della frutta e della verdura, ecc.), talvolta negli allevamenti bovini
oppure nel terziario, in mansioni poco qualificate (ad esempio nel settore
alberghiero o della ristorazione, come lavapiatti). Al Nord, prevalgono invece le
presenze regolari, inserite nel terziario come autotrasportatori, nel tessuto della
piccola impresa artigianale metalmeccanica e soprattutto nel comparto agricolo
(zootecnia bovina da latte). Grande importanza giocano le reti di parentela nei
processi di migrazione e di inserimento economico e sociale dei punjabi: di
solito è attraverso il proprio network che si ha accesso alle risorse del territorio.
I primi anni della migrazione di coloro che giungono in modo autonomo sono
spesso caratterizzati da una certa mobilità: ci si sposta anche più volte
all’interno della penisola per raggiungere i propri ‘parenti’, da cui ci si aspetta
qualche forma di aiuto, fino a quando non si è trovato un lavoro, un
trattamento economico ed una sistemazione abitativa considerati soddisfacenti
e tali da permettere il ricongiungimento famigliare. Una volta che questo è
avvenuto, la migrazione punjabi, è orientata alla stabilizzazione di medio o
lungo termine e alla ricreazione di un network parentale allargato nel contesto
territoriale di arrivo. Le donne giungono in Italia quasi sempre solo grazie al
ricongiungimento famigliare; spesso lavorano a domicilio (etichettatura o
stiratura di capi d’abbigliamento), come operaie o come mungitrici accanto al
marito. Ciò comporta uno scarso contatto con la popolazione autoctona, un
certo isolamento cui consegue anche una scarsa padronanza della lingua
italiana, e si coniuga con la tendenza a frequentare in prevalenza persone del
proprio gruppo nazionale.
113
MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI
Concepire un figlio (possibilmente maschio) subito dopo il
matrimonio è un desiderio diffuso e implicitamente costituisce
l’aspettativa che le famiglie nutrono nei confronti delle giovani
coppie. Purtroppo accade ancora oggi (solo fra i ceti più diseredati
della popolazione e molto di rado fra i punjabi) che il desiderio di
avere figli maschi sia fortissimo, a tal punto che il governo indiano ha
approvato una legge per proibire l’aborto di feti sani di sesso femminile e ha
dichiarato fuori legge le cliniche specializzate nella “determinazione del sesso”.
Nelle famiglie più povere le femmine possono essere considerate un fardello (si
dice che avere una figlia sia come seminare nel campo del vicino) e ciò è dovuto
al fatto che esse lasciano i genitori una volta sposate, andando ad abitare coi
suoceri e cominciando a lavorare per la famiglia allargata del marito, e anche
perché vige ancora la tradizione di provvedere alla dote, che per molti
rappresenta un salasso finanziario. La donna gravida può trovarsi costretta a
lavorare fino all’ultimo giorno e a dover riprendere l’attività dopo poco più di
un mese dal parto; la gravidanza non è considerata una condizione tale da
richiedere particolari riguardi o attenzioni e, soprattutto nelle zone rurali e fra
la popolazione più povera, ci si aspetta che la donna continui ad ottemperare a
tutti i suoi compiti. Molto spesso, soprattutto quando la donna lavora fuori casa
o nei campi, i bambini vengono lasciati ai nonni paterni presso cui la famiglia
vive, sebbene in alcuni villaggi e nelle realtà urbane esistano anche scuole
materne pubbliche dove i bimbi sono accuditi gratuitamente. I figli dormono
nel letto coi genitori fino ad alcuni anni di vita. L’educazione tende ad essere
differente a seconda del sesso: fin da piccoli si insegnano i ruoli ed i compiti che
si dovranno svolgere da adulti. Ad esempio ci si aspetta che le figlie più grandi
si prendano cura insieme ai nonni dei fratellini o delle sorelline minori, o che
aiutino nelle piccole incombenze domestiche.
MODELLI DI CURA
Se nelle città di medie e grandi dimensioni e fra gli strati più
abbienti e colti della popolazione il parto avviene in ospedale, la
maggioranza della donne partorisce in casa assistita da ostetriche che
hanno preso il posto delle vecchie nutrici. Dopo il parto il neonato
viene lasciato nudo e messo a contatto con il corpo della madre da cui
attinge calore e nutrimento. La tradizione vuole che per i quaranta giorni dopo
il parto la puerpera si alzi dal letto il meno possibile e resti quasi
ininterrottamente col neonato, ricevendo cure ed assistenza dalle donne della
cerchia famigliare (di solito la suocera e le cognate). Terminato questo periodo
la donna può riprendere a lavorare; nelle zone rurali, per tutto il periodo
dell’allattamento la donna porta con sé il figlio nei campi. I neonati vengono
appoggiati sulla schiena della madre e legati a lei con una pezza di stoffa lunga
e larga a sufficienza per poterli sorreggere. Ciò permette alla donna di avere le
mani libere per potere lavorare e al bambino di restare sempre a contatto col
114
suo corpo. Durante i primi mesi di vita il rapporto madre/neonato è quindi
molto stretto; le cose cambiano nelle zone urbane dove l’attività professionale
fuori casa impone l’affidamento a terze persone. Non a caso fra le donne che
vivono in città e lavorano fuori casa, negli ultimi anni si è diffuso l’allattamento
artificiale, erroneamente propagandato come migliore e “più moderno”. La
larga maggioranza dei bambini, però, viene ancora allattata al seno il più a
lungo possibile, generalmente fino ad un anno e nelle zone rurali anche fino a
due o tre anni. In generale, grande attenzione è posta alla cura e alla pulizia
quotidiana del neonato (soprattutto se maschio): pelle e cuoio capelluto sono
mantenuti idratati e morbidi grazie all’uso di olio di cocco e di mandorle; l’uso
di kajal intorno agli occhi svolge una funzione antisettica.
Nel corso del primo anno di vita i bambini devono essere sottoposti ad
alcune vaccinazioni obbligatorie (sebbene in certi strati più poveri della
popolazione non sempre questo avvenga), tra cui quelle contro tubercolosi,
poliomielite, morbillo, tetano, rosolia.
MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE
DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE
La maggior parte dei bambini di entrambi i sessi che vivono nelle
zone rurali trascorrono i primi anni della loro infanzia insieme a loro
coetanei (fratelli o sorelle, cugini, ecc.) sotto il controllo della madre,
delle zie o della nonna, di solito presso le abitazioni dell’una o
dell’altra. In Punjab, i figli maschi sono spesso incentivati a praticare sport,
ad esempio calcio, hockey su prato e cricket. In ambito migratorio i templi
costituiscono un importante centro di aggregazione; alcuni gurdwara, ad
esempio, organizzano attività per tutto il giorno durante le vacanze estive: lo
studio del punjabi, il catechismo, ecc.
MODELLI E STILI FAMILIARI
RUOLO DEI GENITORI: sebbene negli ultimi anni in molte
famiglie sikh anche il padre cominci a giocare un ruolo più attivo
soprattutto nella cura dei figli, di solito è alla donna che è
delegato questo compito, così come quello della pulizia e
dell’organizzazione domestica. Ciò vale anche quando essa
svolge un lavoro fuori casa. In contesto migratorio, la separazione tra i ruoli
tende ad accentuarsi ancora di più, almeno negli anni immediatamente
successivi al ricongiungimento; la mancata o scarsa conoscenza dell’italiano,
l’isolamento residenziale e le difficoltà di spostamento, l’eventuale presenza di
figli piccoli, la lontananza dalle reti femminili e parentali più strette sono tutti
fattori che rendono la donna dipendente dal marito per ogni necessità che la
ponga in rapporto con la società di arrivo. È per questo motivo, più che per
ragioni legate al controllo, che essa è sempre accompagnata dal coniuge (ma
talvolta che da parenti o da amiche che parlano l’italiano meglio di lei) qualora
115
debba recarsi negli uffici pubblici o rivolgersi ai servizi sanitari. All’uomo per
tradizione spetta il ruolo di capo famiglia, ma nell’ambito delle mura
domestiche può accadere che l’atteggiamento della donna nei confronti del
marito non sia affatto passivo o remissivo; esistono comunque anche non pochi
casi di violenza famigliare che spesso si accompagnano all’abuso di alcol da
parte degli uomini.
VITA SOCIALE DELLE FAMIGLIE: fatta eccezione per i centri urbani in cui
prevale il modello mononucleare, le famiglie indiane sono di solito allargate,
policentriche e patrilocali: per tradizione dopo il matrimonio la coppia si
stabilisce a vivere con i genitori del marito. La donna si deve “adattare” e deve
spesso sottostare all’autorità della suocera che, all’interno della casa, resta un
punto di riferimento della famiglia estesa.
ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: La scelta del nome del proprio
figlio comporta sia per gli indù che per i sikh un rito specifico: fra i primi è il
bramino, che calcola anche l’oroscopo del neonato, a dare indicazioni circa il
nome. Fra i secondi, invece, ci si reca al tempio ove si apre a caso il Guru Granth
Sahib: la prima lettera che compare sulla pagina di sinistra del testo sacro deve
essere la lettera con cui comincia il nome del bambino. Tali usanze vengono
spesso rispettate anche in contesto migratorio: è questo uno dei motivi per cui
talvolta sembra che i genitori tardino nel comunicare all’ospedale il nome del
neonato, quando in realtà stanno aspettando che i propri parenti in India
ottemperino alle tradizioni. Ciò non toglie che, sempre più spesso, le coppie
decidano di imporre nomi italiani o internazionali ai propri figli, confidando nel
fatto che ciò possa aiutarli nel rapportarsi con la società italiana. Nella società
indiana non esiste il concetto di “cognome” così com’è concepito in Occidente;
un suo equivalente può essere il lignaggio che designa gruppi di famiglie
all’interno di una stessa casta. Fra i punjabi di religione indù si affianca al
proprio nome il termine “Kumar” o “Kumari” (che vuol dire “signore” o
“signora”), oppure il lignaggio del padre. Fra i sikh, invece, si è visto come la
tradizione religiosa imponga che tutti gli uomini si chiamino “Singh” e le donne
“Kaur” a prescindere dall’origine della famiglia. Questo causa numerosi casi di
omonimia fra i sikh che vivono in diaspora, con conseguenti problemi legati al
rilascio dei documenti. Ciò sta progressivamente portando ad un ripristino
dell’uso del lignaggio accanto al nome proprio.
ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: alla nascita si ottiene la cittadinanza
dei genitori. I figli di coppie miste italo-indiane devono scegliere a favore di una
delle due.
FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: la filiazione naturale,
cioè al di fuori del matrimonio, è un fenomeno sociale molto poco diffuso, nei
confronti del quale vi è una fortissima riprovazione sociale (si verifica
soprattutto fra gli strati più poveri della popolazione). All’atto della
registrazione del nuovo nato, di solito avviene il riconoscimento da parte di
entrambi i genitori. Il concepimento prematrimoniale è assai raro e di solito
prelude alle nozze. I figli nati nel matrimonio sono automaticamente
riconosciuti dai genitori.
116
REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: in Punjab, ogni villaggio ha un
chowkidar (“guardiano”), impiegato del municipio e dello stato, che provvede
alla registrazione del nuovo nato (per legge, il giorno stesso della nascita).
CONTRATTO DI MATRIMONIO: è possibile, ma assai raro, sposarsi con il rito
civile: la quasi totalità dei matrimoni avviene secondo rito religioso che è
riconosciuto dalla legge.
DIRITTI DEI MINORI: i minori in India sono fra le categorie di fatto meno
tutelate, sebbene esistano leggi che, ad esempio, proibiscono il lavoro e lo
sfruttamento infantile. Il diritto all’istruzione, tutelato dalla legge, nella pratica
è garantito solo a pochi: si calcola che circa un terzo dei bambini non venga
neppure iscritto alla scuola dell’obbligo. Inoltre, nelle zone rurali la presenza
degli alunni a scuola è fortemente influenzata dai cicli delle colture e dei lavori
nei campi. Esistono enormi differenze a seconda della regione considerata, del
sesso dei bambini, dello strato sociale e del luogo (città o campagna) in cui essi
risiedono; in generale, il grosso problema è costituito dalla grande diffusione
del lavoro infantile: fra gli strati meno abbienti della popolazione i bambini non
solo lavorano, ma sono sottopagati e costretti a compiti massacranti o pericolosi
per poche rupie al giorno, senza nessuna copertura assicurativa o assistenziale.
DIRITTI DELLE DONNE: se è vero che la maggior parte delle professioni
continua ad essere svolta dagli uomini, è anche vero che le donne hanno
cominciato ad essere presenti in ogni ambito lavorativo; ad esempio, nel 1993
l’esercito indiano ha reclutato per la prima volta delle donne e attualmente il
10% dei parlamentari è di sesso femminile. Tuttavia, esistono grandissime
differenze nella condizione femminile a seconda che si consideri la realtà delle
grandi città o quella dei villaggi, degli strati di popolazione più colti e abbienti
o dei più poveri e poco istruiti. In generale, la condizione della donna in India è
difficile ed è subordinata al potere dell’uomo, sia in ambito famigliare che
lavorativo. Soprattutto nei villaggi i progressi sono molto lenti, sebbene esistano
gruppi come la “SEWA” (Self Employed Women’s Association, Associazione delle
donne lavoratrici indipendenti) che dimostrano come almeno l’emancipazione
economica sia possibile. Si tratta di un sindacato, che conta iscritti soprattutto al
Nord e nello stato del Gujarat, cui aderiscono donne in condizioni di povertà e
di casta bassa, che possono così avere un maggiore potere contrattuale,
combattere pratiche di sfruttamento e ottenere microcrediti.
DIVORZIO: la legge indiana prevede il divorzio, tuttavia si tratta di una
pratica riprovata socialmente. Una donna sposata che voglia divorziare si trova
ad affrontare numerose difficoltà. Benché la legge preveda che una vedova o
una divorziata si possa risposare, in realtà sono molto rari i casi in cui questo
accade. Una donna divorziata è di solito emarginata dalla società: non può
contare né sull’appoggio dei propri famigliari (che le possono voltare le spalle
se è lei a chiedere il divorzio) né su una protezione dello stato in forma di
previdenza sociale. La coppia è responsabile del buon funzionamento del
matrimonio e ha quindi il dovere di tentare di superare ogni ostacolo. Un
matrimonio fallito macchia la reputazione di entrambi, ma le conseguenze che
incombono sulla moglie sono peggiori di quelle che attendono il marito. Non
117
sorprende quindi che i casi di divorzio siano pochi e si verifichino soprattutto
nelle città più grandi, dove in genere è maggiormente accettata l’idea che una
donna possa anche fare carriera ed avere una vita indipendente. Per quanto
riguarda la migrazione, non sempre il ricongiungimento dopo anni di
separazioni o, comunque, in un contesto sociale alieno, ha successo. In questi
casi può accadere che, dopo qualche anno di tentativi e di difficoltà, la moglie
preferisca tornare in India coi figli piuttosto che divorziare.
SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI
Secondo quanto previsto dalla costituzione, l’istruzione è
obbligatoria e gratuita per tutti fino all’età di quattordici anni. La
scuola pubblica è laica, ragione per cui non vi si insegna la
religione, ed è mista. Oltre alle scuole statali vi sono molti istituti
privati (di solito in lingua inglese), esclusivi ed ambiti fra le
famiglie che possono permetterseli. Il percorso formativo si divide in scuola
materna, scuola dell’obbligo (chiamata anche “elementare”), scuola secondaria
e università. Due terzi dei bambini (tra cui quasi tutti quelli compresi nella
fascia d’età della scuola elementare) sono iscritti a scuola, ma molti non
frequentano regolarmente e almeno 33 milioni di bambini non sono nemmeno
iscritti. La dispersione scolastica prima di terminare la scuola dell’obbligo è
altissima e, nelle zone rurali, riguarda almeno la metà degli alunni. Nel 1997-’98
la percentuale di dispersione nella scuola secondaria è stata del 69%. Inoltre, il
numero delle bambine frequentanti o iscritte è di gran lunga inferiore a quello
dei maschi, soprattutto ai livelli più alti dell’istruzione scolastica. La gestione
del settore scolastico è affidata congiuntamente al governo federale e alle
istituzioni dei singoli stati e sussistono numerose differenze a seconda delle
singole realtà regionali, soprattutto per quanto riguarda la promozione
dell’istruzione fra le ragazze e i gruppi più svantaggiati. In Punjab è
obbligatorio indossare un’uniforme; all’inizio delle lezioni ci si deve alzare in
piedi per ascoltare l’inno punjabi.
SCUOLA DELL’OBBLIGO: per Elementary school si intende l’istruzione
obbligatoria che comincia a sei anni e dura fino ai quattordici. Gli alunni sono
seguiti da un solo professore e il loro percorso formativo è suddiviso in due
cicli:
– Primary school, dura otto anni, dai sei agli undici anni d’età. Durante
questo primo ciclo gli alunni acquisiscono le conoscenze di base nelle
materie fondamentali (lingua statale, matematica, geografia, storia, ecc.);
in Punjab, dal primo anno di corso è obbligatorio lo studio delle lingue
punjabi e inglese, mentre dal terzo si comincia quello dell’idioma
nazionale, l’hindi.
– Medium school, dura tre anni, dagli undici ai quattordici anni d’età.
Durante questo secondo ciclo si consolidano e approfondiscono le
conoscenze e la preparazione.
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SCUOLA SECONDARIA: essa non è obbligatoria e dura quattro anni, dai
quattordici ai diciotto anni d’età. Accanto allo studio delle materie
fondamentali si affianca quello dell’arte, dell’economia, delle scienze naturali,
nonché di alcune materie tecnico-professionali. Il corpo docenti è costituito da
diversi insegnanti a seconda delle materie di studio.
VALUTAZIONI, PUNIZIONI, RAPPORTO FRA ALUNNI, FAMIGLIE E DOCENTI: il
sistema di valutazione in Punjab è basato sui voti, da zero a cento: la sufficienza
è pari a 33/100. Lo stile relazionale fra docenti e alunni è improntato al rispetto
dei secondi nei confronti dei primi (è paragonabile ad un rapporto fra maestro e
discepolo); ad esempio, quando l’insegnante entra in classe, ci si deve alzare in
piedi. Inoltre certi docenti, soprattutto anziani, talvolta si avvalgono di metodi
autoritari e paternalistici. Le punizioni corporali sono state dichiarate fuorilegge
con una sentenza della Corte Suprema nel 2003, tuttavia possono essere
praticati altri metodi per punire gli alunni disobbedienti, come ad esempio
obbligare a stare a lungo con le braccia alzate.
La Parents’ and Teachers’ Association (PTA) riunisce gli insegnanti ed i
genitori in associazione. In ogni istituto un rappresentante delle famiglie è
delegato a confrontarsi e a discutere periodicamente col corpo docenti delle
questioni che riguardano la scuola.
VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE
Le caste rappresentano la struttura fondamentale della
società indù. Esse definiscono un’organizzazione sociale
gerarchica e ascrittiva, organizzata su più livelli, caratterizzata
da scarsissima mobilità. Vivere una vita onesta e portare a
compimento il proprio dharma (compito) aumenta le probabilità di rinascere in
una casta superiore. Le caste (varna) principali sono quattro e a ciascuna la
tradizione attribuisce delle precise funzioni sociali: i brahman, bramini o
sacerdoti, posti al vertice della gerarchia sociale, i kshatriya, guerrieri, i vaishya,
mercanti, e infine i shudra, contadini. Ogni casta è poi suddivisa in sottocaste
che, a loro volta, si scindono in diversi lignaggi. Al di sotto e al di fuori delle
quattro caste principali si trovano i cosiddetti fuoricasta o “intoccabili” (dalit),
cui spesso vengono ancora oggi riservati i lavori più sporchi ed umili. Non a
caso, per cercare di migliorare la condizione di chi nasce alla base della
piramide sociale, l’India ha varato una legislazione molto severa contro le
discriminazioni, ha proibito l’uso di appellativi come “intoccabile”, ha stilato
elenchi di gruppi (le cosiddette “scheduled castes”) che vengono protetti
attraverso politiche di discriminazione positiva, riservando a chi ne fa parte
delle quote negli impieghi pubblici, in parlamento e all’università. Al contrario,
per coloro che si collocano entro il sistema delle quattro varna principali, oggi
non vi è più una corrispondenza diretta fra casta e professione, e nemmeno fra
casta e classe sociale: può accadere di conoscere bramini molto poveri che si
dedicano ad attività manuali e contadini divenuti proprietari terrieri assai
benestanti, impegnati in politica. Nonostante questi mutamenti, le caste
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continuano ad avere un forte peso nella società indiana (la cui popolazione è in
maggioranza di religione indù) per quanto riguarda la sfera culturale,
relazionale e affettiva delle persone; ad esempio, la casta è un criterio
fondamentale nei matrimoni combinati e, in generale, vi è la tendenza a
frequentare persone della medesima origine e semmai a limitare i contatti con
chi sta alla base della gerarchia sociale.
In Punjab la realtà è più complessa, poiché la maggior parte della
popolazione è di religione sikh. Il sikhismo afferma l’eguaglianza fra tutti gli
esseri umani e, anche nelle prassi più semplici del culto domenicale, prescrive
promisquità di casta; ad esempio, ogni tempio è fornito di un refettorio (langar)
ove i fedeli, seduti per terra in file parallele e serviti da altri fedeli, consumano
insieme il cibo. Questa pratica, introdotta dal terzo guru, Amar Das, è solo uno
fra i tanti rituali fortemente simbolici di cui è permeato il sikhismo, miranti al
superamento dell’ordine sociale tradizionale gerarchico. Il fatto di sedere tutti
per terra è, infatti, un chiaro richiamo simbolico all’eguaglianza, in
contrapposizione all’usanza dei bramini indù di sedersi in posizione più elevata
degli altri; analogamente, la commensalità obbligatoria infrange le regole del
puro e dell’impuro secondo cui le caste ai vertici della gerarchia sociale possono
consumare cibo preparato e servito solo da persone della stessa casta o di caste
più elevate. Ciò non toglie che l’eredità culturale indù continui a permeare in
parte anche la società punjabi e che quindi l’appartenenza di casta e di
lignaggio giochi ancora un ruolo fondamentale soprattutto nella costruzione
delle parentele e dei legami sociali (ad esempio nell’organizzazione dei
matrimoni combinati); ciò vale sia nel contesto di origine, sia in immigrazione.
In generale, per i sikh in diaspora l’accento sull’ordine gerarchico
tradizionale fra le caste è più sfumato: da questo punto di vista la migrazione,
costringendo ad un confronto con la società di arrivo, pare operare un processo
di “livellamento” sociale fra i migranti. L’appartenenza di casta conserva invece
la sua importanza per quanto riguarda l’insieme dei legami orizzontali fra i
gruppi che ne fanno parte, cioè i lignaggi. Essa circoscrive cioè un ambito
relazionale, un insieme di legami sociali possibili dai confini molto ampi che si
può coniugare e sovrapporre ad altri criteri di appartenenza più restrittivi
(come i vincoli di parentela vera e propria, basati sulla consanguineità e
l’affinità). Non deve quindi sorprendere se i migranti punjabi sembrano tutti
parenti e si chiamano reciprocamente “cognati”, “zii”, “fratelli”: spesso si tratta
di legami ‘sociali’ creati con lo scopo di costruirsi una rete di protezione sociale
e garantirsi l’accesso a risorse scarse. Questi reticoli comportano un continuo e
reciproco scambio di risorse materiali e di socialità entro il gruppo. Tutto ciò
implica però anche un certo incapsulamento ed una scarsa abitudine allo
scambio culturale e all’interazione con il contesto sociale di arrivo, al di là della
sfera economica. Sebbene non si tratti di un atteggiamento rigido o difensivo
nei confronti della società italiana, per consuetudine la vita relazionale delle
famiglie tende a svolgersi in seno alla comunità, cosa che permette anche di
riproporre le proprie tradizioni alimentari, la propria lingua, il proprio
abbigliamento, i propri modelli di comportamento. I templi sikh (gurdwara)
120
costituiscono centri di aggregazione e di socialità importanti in diaspora. È
frequentando il tempio o prestandovi opera di volontariato (seva) che ci si
ritrova, ci si scambia informazioni o pettegolezzi e si costruiscono parentele. I
templi, finanziati con le offerte della comunità, offrono cibo gratuito e un
ricovero per la notte a chi ne abbia bisogno, svolgendo così anche un
importante ruolo di assistenza a favore di chi si trova in difficoltà.
STILI ALIMENTARI
Il giainismo comporta l’adozione di un’alimentazione
completamente vegetariana; la religione indù, invece,
proibisce solo il consumo di carne di mucca, mentre l’Islam
vieta quella di maiale. La dottrina sikh, infine, indica
soltanto di non mangiare carne macellata alla musulmana
(cioè per sgozzamento; mentre prescrive che gli animali siano uccisi con un
colpo secco per limitarne la sofferenza). Nonostante queste precise limitazioni,
molti indiani sono vegetariani, soprattutto se di religione indù e di casta alta,
oppure se sikh praticanti: si astengono cioè dal consumo di carne, pesce e,
talvolta, anche uova (mentre il latte e i suoi derivati sono ammessi).
L’alimentazione vegetariana è quindi in primo luogo un’abitudine culturale più
che una prescrizione che trova fondamento nei testi sacri delle varie religioni
(sebbene, interrogando un indiano, vi potrà venir detto il contrario). Per alcuni
sikh e indù la carne e il pesce sono tabù per tradizione e chi li mangia può
essere considerato malvagio poiché causa la morte degli animali (ciò non toglie
che il consumo di carni bianche come il pollo, lontano dagli occhi della propria
comunità, sia abbastanza diffuso e anche gradito, in particolare fra gli uomini).
Per quanto riguarda gli alcolici, il loro consumo è di solito espressamente
vietato dalle religioni e tuttavia abbastanza diffuso, soprattutto nello stato del
Punjab e fra gli uomini sikh non praticanti. Il whisky è stato introdotto in India
in epoca coloniale dagli inglesi; il suo abuso è in certe zone del paese una vera
piaga sociale: le famiglie talvolta incentivano i giovani a divenire sikh praticanti
anche per limitare il rischio di alcolismo.
La migrazione impone qualche cambiamento a quanto detto finora.
Soprattutto nei momenti iniziali del processo migratorio (cioè prima che
avvenga il ricongiungimento famigliare), la convivenza forzata fra uomini di
caste e provenienze diverse, non imparentati fra loro e che condividono una
stessa sistemazione abitativa da un lato, la mancanza delle donne cui di solito è
delegata la preparazione delle pietanze da un altro lato, fa sì che vi possa essere
minore attenzione e anche minor controllo sul consumo dei cibi e delle
bevande: carne e uova possono diventare alimenti graditi soprattutto in
occasione delle feste, sebbene poco consumati perché più cari della tradizionale
zuppa di lenticchie. Anche l’assunzione di alcol può aumentare, incentivata
dalle cattive condizioni abitative (case umide, spesso non riscaldate), dalla
lontananza e dalla solitudine. Non sono poi così pochi i casi di alcolismo fra i
migranti indiani, soprattutto punjabi, sebbene si tratti di un problema che resta
121
spesso celato. L’arrivo delle mogli e dei figli a seguito del ricongiungimento
famigliare favorisce un ritorno alla tradizione soprattutto per quanto riguarda il
cibo, mentre l’eventuale esistenza di problemi di alcolismo può essere alla base
di conflitti e tensioni famigliari. La cucina indiana è prevalentemente
vegetariana, speziata e piccante. Il dhal (zuppa di legumi, di solito lenticchie) e il
sabzi (verdure al curry) accompagnati da riso e pane (roti) sono le pietanze
principali in tutta l’India; di ciascuna di esse esistono numerose versioni. Vi è
poi una grandissima varietà di piatti tipici dei diversi stati dell’Unione. Al
Nord, specialmente in Punjab, le occasioni particolarmente importanti si
possono festeggiare iniziando da stuzzichini salati fritti come i golgappa
(dischetti di pasta fatta con frumento e ceci; fritti e croccanti si gonfiano al
centro e si mangiano rompendo con un dito la superficie al centro e
riempiendola di ceci lessati e di una salsa al tamarindo); i pakhora, verdure
(patate, cipolle, cavolfiore, ecc.) intinte in una pasta liquida di farina di ceci e
fritte; i samosa, triangolini fritti di pasta sottile, ripieni di verdure (di solito
patate, piselli, spezie e peperoncini) e talvolta anche carne. Un piatto tipico,
soprattutto della stagione fredda è il saag, un purè di spinaci, foglie di senape,
di ravanello e cime di rapa, speziato al cumino, mischiato con pezzi di paneer
(formaggio) e servito con roti di mais. La carne può essere cotta nel forno di
terracotta tandoor: ne è un esempio il pollo tandoori, prima marinato in yogurt
e spezie. Infine, i dolci sono i cibi più tipici delle feste: gli indiani ne cucinano,
ne offrono, ne comprano e ne consumano grandi quantità. Seguendo la
tradizione, i principali eventi del ciclo della vita vengono spesso festeggiati
anche distribuendo ad amici e parenti dei dolci: laddoo, barfi, gulab jamun, ecc. In
generale, gli indiani tendono ad essere particolarmente legati alle proprie
tradizioni e alle proprie abitudini alimentari e a rispettarle il più possibile anche
quando vivono all’estero. Abituati all’aroma delle spezie, qualsiasi pietanza
indigena può sembrare loro insipida, priva di sapore; la cucina, nel loro caso,
anziché essere un terreno di confronto, scambio e avvicinamento alle abitudini
locali può divenire una barriera che limita le occasioni di socializzazione con gli
autoctoni.
I cereali sono una componente essenziale della cucina indiana: il riso al Sud
e il grano, sotto forma di pane (roti) al Nord. Il riso è presente quasi in ogni
pasto, l’indiano medio ne consuma circa 2 kg alla settimana. Roti significa pane
e, per estensione, pasto. Ve ne sono diversi tipi: il chapati (pronuncia “ciapati”)
è fatto di farina integrale di frumento e acqua ed è cotto sulla tawa, una piastra
concava; i puri sono dischi sottili di pasta fritti che si gonfiano durante la
cottura; il naan (che può essere semplice o ripieno di formaggio o di verdure) è
una pagnotta rotonda un po’ meno sottile e più soffice, cotta al forno tandoor
(un forno tipico di terracotta, a forma di grande vaso rotondo, ove le braci sono
poste sul fondo e il pane si cuoce attaccandolo alle pareti roventi). Il dhal è un
piatto di legumi speziati e stufati e viene servito nella maggior parte dei pasti in
tutta l’India. Le spezie sono un ingrediente altrettanto essenziale: pepe nero,
curcuma, semi di coriandolo e di cumino, tamarindo (di cui vengono usati i
baccelli secchi: l’acqua in cui vengono messi a bagno dà un sapore acidulo a
certi piatti), fieno greco (che si mischia a salse a base di yogurt), ajwain o
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“prezzemolo indiano”, radice di zenzero, zafferano, cardamomo (usato nei
dolci e nel tè, ha proprietà digestive e rinfrescanti), oltre a peperoncino rosso e
verde, aglio e cipolla. Molte di queste spezie hanno un sapore diverso da quello
cui si è abituati in Occidente; inoltre, ciò che qui si vende come “curry indiano”
(e che talvolta è scambiato per un’unica specifica spezia in polvere, mentre è
una mistura di numerose spezie) è un prodotto che non esiste come tale in
India. “Curry” era infatti un termine usato dai gentiluomini dell’impero
britannico per indicare tutta la gamma delle spezie indiane. Il termine che
indica una generica miscela di spezie è invece masala (pronuncia: “masàla”). Vi
è uno specifico masala alla base di ogni piatto (spesso la preparazione del masala
all’inizio della cottura costituisce la fase più impegnativa di certe pietanze) e
nessun cuoco indiano si sognerebbe di usare la stessa combinazione per più
piatti. La parola kari (che si pronuncia curry) indica invece una zuppa a base di
farina di ceci, cipolle, yogurt, tamarindo e frittelle di verdure e ceci. Si possono
trovare anche carne e pesce (particolarmente apprezzati dai musulmani e dai
cristiani); la carne consumata è soprattutto di pollo, di agnello e di capra o
capretto (nota come “montone”). Il latte e i suoi derivati danno un incredibile
contributo alla cucina indiana. In primo luogo il ghee (burro chiarificato,
pronuncia “ghii”) e la panna sono, insieme all’olio di semi di senape e di
arachidi, fra i condimenti più usati. Inoltre gli indiani bevono e utilizzano per
numerose preparazioni molto latte, consumano moltissimo dahi (cioè yogurt o
latte cagliato) e mangiano spesso il paneer (pronuncia “paniir”) un formaggio
non fermentato preparato in casa. Il latte è anche l’ingrediente fondamentale di
certi dolci come, ad esempio, il kheer (pronuncia “chiir”), un budino di riso e
latte con mandorle a scaglie, uvetta e cardamomo. Infine, ingredienti
importantissimi della cucina indiana (soprattutto se si pensa che la
maggioranza della popolazione indiana è vegetariana) sono le verdure e la
frutta, di cui esistono innumerevoli qualità e tipi.
RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA
Le cerimonie che si tengono in occasioni importanti
variano a seconda delle molte religioni del subcontinente; ci
limiteremo a descrivere quelle più significative facendo
riferimento all’induismo e al sikhismo.
NASCITA: la nascita di un figlio è un avvenimento di
grande importanza, accompagnato da specifiche cerimonie. In particolare,
nell’induismo sono nove le “tappe” (samskara) legate alla nascita che preparano
ad una buona vita: la prima riguarda i genitori, che con l’aiuto di un bramino
devono scegliere i giorni più adatti, da un punto di vista astrologico, per
concepire un bambino; la seconda tappa prevede che, una volta rimasta incinta,
la madre reciti spesso ad alta voce i versi delle sacre scritture in modo che il feto
possa udirli. Il terzo samskara prescrive alla donna di fare attenzione
all’alimentazione privilegiando i cibi che “riscaldano” il bimbo ed evitando
quelli troppo salati e piccanti. Il quarto samskara consiste nel lavaggio del
123
neonato: la madre purifica il bambino, possibilmente nelle acque di un fiume.
Viene poi messo un po’ di miele sulla sua lingua e la sillaba “OM” (il suono che
precede tutte le preghiere) viene disegnata sulle sue labbra. Gli indù segnano il
momento esatto della nascita per permettere ai bramini di calcolare l’oroscopo
del neonato; sempre i sacerdoti suggeriscono ai genitori qual è la lettera o la
sillaba iniziale che dovranno scegliere per il suo nome. La quinta tappa consiste
nella cerimonia del nome: chinandosi sull’orecchio sinistro del neonato, il padre
pronuncerà il nome scelto. Durante la festa viene distribuito il prasadam
(pronuncia “prasciadam”), una polentina dolce fatta di farina integrale di
grano, burro concentrato, zucchero e, talvolta, frutta secca e miele. Le tappe
successive riguardano la prima uscita alla luce del sole del bambino, la
somministrazione del primo cibo solido, il foro nel lobo dell’orecchio e il primo
taglio dei capelli ai bambini maschi (a circa due anni di vita) che simboleggia la
purificazione dal karma portato dalle altre vite e la speranza di una vita presente
buona e felice.
I sikh, al contrario, rifiutano ogni pratica astrologica e ogni tipo di
superstizione, sebbene anch’essi accompagnino la nascita e la scelta del nome a
cerimonie religiose. Molti sikh, siano essi praticanti o meno, mantengono la
tradizione di non tagliare i capelli ai propri figli. Le femmine raccolgono la
chioma in lunghe trecce (anche in età adulta), mentre i capelli dei maschi
vengono pettinati nella caratteristica acconciatura (jura), cioè legati in un una
treccia poi arrotolata e annodata stretta sulla sommità della testa a formare un
cucuzzolo coperto da un fazzoletto (dastar) che per i maschi più piccoli è
rotondo e di pizzo bianco, mentre nei ragazzi è più grande, di solito di color
arancione o azzurro, e copre tutto il capo.
MATRIMONIO: fra gli indù e i sikh il matrimonio è di solito un evento molto
costoso ed elaborato. Sebbene il numero dei matrimoni per amore sia cresciuto
negli ultimi anni soprattutto nei centri urbani, la maggior parte è ancora
combinata. In primo luogo, le famiglie svolgono indagini discrete fra i propri
conoscenti per individuare i possibili candidati sulla base di rigidi criteri di
casta e di lignaggio (infatti, sia fra gli indù che fra i sikh, la tradizione prescrive
l’endogamia di casta e l’esogamia di lignaggio, dal momento che si pensa che
sposare qualcuno che abbia, ad esempio, lo stesso proprio lignaggio sia come
sposare un parente). Talvolta, nei grandi centri urbani dove le proprie reti
parentali sono meno coese si ricorre ad annunci su quotidiani o su internet.
Individuata una rosa di candidati referenziati, possono avere luogo scambi di
foto; fra i sikh, accade spesso che il ragazzo si rechi a “vedere” direttamente le
ragazze, di solito da lontano. Superata quest’ulteriore selezione, si esaminano
gli oroscopi delle parti (ma ciò vale solo per gli indù) e se compatibili si
organizza un incontro fra le famiglie, dove i candidati si vedono da vicino e si
parlano, spesso per la prima volta, al cospetto dei famigliari. Avvenuto
l’incontro, ai giovani di entrambi i sessi è comunque consentito rifiutare la
proposta o scegliere fra più pretendenti. Fra gli indù molti potenziali matrimoni
vengono mandati a monte a causa di presagi astrologici poco propizi, ed è
sempre il bramino che, sulla base dei propri calcoli astrologici, decide la data
124
per le nozze. Un elemento importante per la buona riuscita della trattativa è la
dote; benché sia illegale, essa è ancora ampiamente diffusa nei contesti rurali:
più è alta, maggiori sono le possibilità di assicurare alla sposa un buon partito.
Il sikhismo ha abolito le caste e la dote, tuttavia anche fra i sikh questi aspetti
culturali talvolta continuano ad esercitare influenza.
Nei giorni che precedono la cerimonia vengono poi compiuti alcuni riti
propiziatori, ad esempio nel tempio (Gurdwara) o a casa delle famiglie degli
sposi sikh si svolge l’Akand Path, la lettura ininterrotta della Sacra Scrittura dei
sikh (il Guru Granth Sahib) che dura in tutto tre giorni e tre notti. Il giorno del
matrimonio lo sposo viene scortato da amici e parenti a casa dei futuri suoceri;
fra i sikh il matrimonio consiste nella lettura cantata di brani tratti dalle Sacre
Scritture da parte di un officiante (granthi), mentre lo sposo porge alla sposa
l’estremità della sua sciarpa (che essa camminando dietro di lui dovrà tenere
stretta nella mano) e insieme girano quattro volte intorno al libro sacro. Fra gli
indù, invece, la cerimonia è officiata da sacerdoti (bramini) e il matrimonio è
formalizzato quando lo sposo prende la mano della sposa e insieme compiono
sette volte il giro intorno ad un grande fuoco.
FUNERALI: gli indù e i sikh cremano i propri morti e le cerimonie funebri
hanno la funzione di purificare e consolare tanto i vivi quanto il defunto. Dopo
la cremazione, gli indù raccolgono le ceneri e tredici giorni dopo la morte
(quando cioè i consanguinei del defunto sono giudicati ritualmente puri) un
membro della famiglia le sparge in un fiume sacro (ad esempio il Gange) o
nell’oceano. Fra gli indù, un aspetto importante dei rituali legati alla morte è lo
sharadda, cioè l’omaggio agli antenati tramite l’offerta di acqua e dolci di riso.
Questo rito viene ripetuto ogni anno in occasione dell’anniversario del
decesso. Fra i sikh la ricorrenza della morte del proprio congiunto è ricordata
soprattutto per i primi cinque anni con tre giorni di preghiera (Akand Path) al
termine dei quali si distribuiscono dolci e cibo a parenti e conoscenti.
SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI
Sin dall’Indipendenza, il miglioramento delle condizioni di vita
dello popolazione è stata una delle priorità dei governi alla guida
del paese. Vi sono stati risultati incoraggianti: a seguito dei
programmi di lenimento della povertà nello stato dell’Uttar
Pradesh, ad esempio, le famiglie che vivono al di sotto della soglia
della povertà sono passate dal 56,3% del 1974 al 32% del 2000. Nonostante
questo, la povertà è ancora diffusa; il Punjab è lo stato più ricco (il reddito
medio pro capite è circa il doppio di quello medio nazionale), il Bihar è il più
povero. La povertà è la causa della maggior parte delle malattie: nel periodo fra
il 1990 e il 1998, ad esempio, si calcola che solo l’81% della popolazione abbia
avuto accesso a fonti di acqua potabile. Inoltre, metà dei bambini indiani soffre
ancora oggi di denutrizione; infermità per le quali esistono misure preventive,
come la tubercolosi, la malaria, la cecità e la lebbra, costituiscono metà dei casi
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di malattia registrati nel paese; gravi preoccupazioni desta anche il virus
dell’Aids.
La povertà si coniuga con un sistema sanitario spesso inadeguato: ad
esempio, nel 1993 vi erano solo 48 medici ogni 100.000 abitanti. L’assistenza
sanitaria è gratuita (salvo i farmaci per le terapie a seguito della dimissione) ed
è a carico congiuntamente del governo federale e dei singoli stati. Ciò è
all’origine di grandi differenze negli standard qualitativi delle prestazioni
erogate. In Punjab, ad esempio, i civil hospitals (ospedali pubblici) offrono
un’assistenza qualificata, ma sono insufficienti rispetto al numero delle
richieste; chi vi si reca deve sopportare lunghe ore d’attesa. Inoltre, non tutte le
strutture possiedono gli strumenti diagnostici tecnologicamente più complessi;
questi si trovano solo nei centri di ricerca presenti nelle grandi città. In questi
centri, però, gli esami e le terapie all’avanguardia sono a carico del malato.
Esistono poi cliniche private completamente a pagamento, che solo una
piccolissima parte della popolazione locale può permettersi. Accanto alla
medicina tradizionale, in India sono diffuse anche quelle ayurvedica e
omeopatica che, avvalendosi di sostanze naturali, si basano su una concezione
olistica del corpo e ricercano l’armonia ed il benessere sia fisico che spirituale.
Oltre che a questo tipo di cure, praticate privatamente, alcuni si affidano alle
mani di un guaritore: in India sono abbastanza numerosi e considerati; può
accadere che si dia maggior credito al loro parere, ai consigli e agli eventuali
farmaci che prescrivono piuttosto che alle indicazioni di un medico qualificato.
FIABE TRADIZIONALI
Se si tralasciano i grandi poemi epici, le cui storie sono molto
complesse e tipiche della tradizione indù, le fiabe raccontate ai
bambini punjabi sono semplici e tendono ad avere come
protagonisti degli animali che incarnano vizi e virtù umani.
Storia del leone, re della foresta
Si narra che un tempo, in una grande foresta, vivesse un grande leone. Egli era
riuscito a sconfiggere tutti i suoi avversari e regnava incontrastato sugli altri
animali. Ogni giorno esigeva carne fresca e, per ottenerla, seminava il terrore e la
distruzione con le sue selvagge scorribande. Si accordò quindi con gli altri animali:
se ogni giorno alla stessa ora qualcuno di loro si fosse presentato dinnanzi a lui e
si fosse sacrificato per sfamarlo, in cambio egli avrebbe evitato di causare altra
morte e paura nella foresta. Un giorno fu il turno di un coniglio che, però, si
presentò al suo cospetto in forte ritardo. Il leone era furente ed affamato: “Tu, vile
coniglio, come osi presentarti in ritardo innanzi al tuo sovrano?”. “Mio signore”
rispose il coniglio, “sono stato trattenuto vicino allo stagno da un altro leone che,
come voi, esigeva che io diventassi il suo pasto, affermando che lui era il vero re
126
della foresta!”. Il leone non poteva credere alla sue orecchie: “Cosa dici? Chi osa
sfidarmi? Portami da lui!” Il coniglio lo condusse allo stagno e il leone vi si
specchiò scoprendo la sua immagine riflessa. Ogni volta che ringhiava, la sua
immagine faceva altrettanto, se mostrava le fauci, l’avversario lo imitava. Fu così
che il leone, preso dalla sua rabbia e dalla sua superbia si scagliò contro se stesso
affogando nello stagno, e che il coniglio riuscì a salvare tutti gli altri animali della
foresta.
Storia dei due gattini golosi
Un bel giorno, mentre stavano giocando, due gattini trovarono un roti (piadina di
farina integrale) per terra. Cominciarono a litigare fra loro, poiché ciascuno
affermava di averlo trovato per primo. Le loro grida attirarono l’attenzione di una
scimmietta molto furba che passava per caso lì vicino e che accorse curiosa. La
scimmietta chiese: “Perché gridate tanto? Cosa avete da litigare?”. I due gattini
le spiegarono il problema e la scimmia disse: “Non vi preoccupate, so io come fare
per accontentare entrambi: dividerò in parti uguali il vostro roti”. Divise nel mezzo
il pane, ma una delle due parti era risultata più grande dell’altra e i gattini se la
litigavano. La scimmietta disse: “Calma, c’è una soluzione anche a questo” e diede
un morso al pezzo più grande, constatando subito dopo che era diventato più piccolo
dell’altra metà. Morse anche questa parte e, a forza di pareggiare le porzioni, si
mangiò tutto il roti sotto il naso dei due gattini litigiosi che, invece, restarono a
bocca asciutta.
RICETTE PUNJABI
Masala
Il masala è il condimento base della cucina indiana; sebbene ogni
piatto ne abbia uno proprio, quello che proponiamo è un masala
molto semplice che, debitamente corretto con l’aggiunta di spezie
specifiche, può essere utilizzato per la preparazione dei piatti come il saag, il
sabzi di ceci, il curry. Le quantità degli ingredienti variano a seconda del gusto.
Tagliare a fettine sottili della cipolla e dell’aglio, farli rosolare a fuoco lento con
olio (si può usare l’olio d’oliva), aggiungere un cucchiaio di cumino, un po’ di
sale, del pepe, del peperoncino, del coriandolo in polvere. Lasciare soffriggere
finché gli ingredienti non si sono bene amalgamati.
Kari (minestra di farina di ceci, patate e yogurt)
Preparare un masala e aggiungervi un cucchiaio di curcuma in polvere.
Sciogliere in un bicchiere di acqua fredda circa un cucchiaio di tamarindo (si
127
trova in pasta) e passare il sugo così ottenuto in un colino, scartando i baccelli o
le parti più dure del tamarindo. Sciogliere circa 150 g di farina di ceci in circa
mezzo litro di acqua e mischiarvi il sugo di tamarindo. Aggiungere al liquido
così ottenuto circa 500 g di yogurt intero. Il composto va quindi unito al masala e
fatto cuocere a lungo a fuoco lento e mescolando spesso, fino a quando non sarà
diventato una zuppa cremosa e abbastanza densa.
Nel frattempo, sbucciare qualche patata, tagliarla a dadini e scaldare dell’olio
per friggere. Sciogliere della farina di ceci in poca acqua e un pizzico di sale, in
modo da ottenere una pastella poco liquida, intingere col cucchiaio alcuni pezzi
di patata per volta, poi prendere il composto e friggerlo a cucchiaiate. Queste
frittelle vanno aggiunte al curry mentre bolle, poco prima che la cottura sia
ultimata.
POESIA
Nel 1913 fu assegnato il premio nobel per la letteratura a
Rabindranath Tagore, per Gitanjali (Demetra, Verona, 2000), una
raccolta di liriche in prosa poetica da lui stesso tradotta in inglese.
Di questo autore si ricordano anche La vera essenza della vita
(Sadhana), Corbaccio, Milano, 2000; Poesie d’amore, Tea, Milano,
2000 e Poesie. Gitanjali - il giardiniere, Newton & Compton, Roma, 1999. Il Dio
vicino (Milano, Guanda, 1998) mette insieme le frasi e i versi di Tagore che più
direttamente riguardano il rapporto con il divino, nucleo più autentico della sua
ispirazione. Fra i poeti indiani contemporanei si possono invece menzionare
Nissam Ezekiel (la cui poesia esplora aspetti dell’identità ebraica in India),
Kamala Das (una delle autrici più conosciute), A.K. Ramanujan (The Striders
Relations) e Arun Koltkar che, nel 1977 ha vinto il Commonwealth Poetry Prize
con Jejuri, una raccolta di 31 poesie in inglese.
LETTERATURA
I due massimi capisaldi della letteratura indiana in
sanscrito sono il Mahabharata e il Ramayana, poemi epicoreligiosi ove fra i protagonisti vi sono anche due divinità
dell’olimpo indù: Krishna e Rama. Il primo poema ha per
fulcro la rivalità fra due rami di una famiglia reale e i loro tentativi di
impossessarsi del potere, battaglia che assurge a simbolo della lotta fra il bene e
il male; il secondo narra le vicende di Rama, figlio del re di Ayodhya che, dopo
aver superato prove terribili riesce a salire al trono e a sposare l’amata Sita.
Entrambe le opere sono disponibili nelle versioni più recenti a cura dello
scrittore indiano R.K. Narayan, pubblicate dalla casa editrice Guanda di Milano
rispettivamente nel 2000 e nel 1991. Di autori contemporanei segnaliamo:
Khushwant Singh, Quel treno per il Pakistan, Marsilio, Venezia, 1996 (sui bagni di
sangue che fecero seguito alla scissione fra Pakistan e India nel 1947); Salman
128
Rushdie, I versi satanici, Mondadori, Milano, 1994; Vikram Seth, Il ragazzo giusto,
Tea, Milano, 2001 (romanzo ambientato nell’India postcoloniale degli anni
Cinquanta, narra le vicende di una donna indù alla ricerca di un marito adatto
per la figlia, toccando numerosi aspetti della cultura indiana); Arundhati Roy, Il
dio delle piccole cose, Tea, Milano, 2001 (narra le vicende di due gemelli di sette
anni, scritto con un linguaggio bellissimo e sensuale); La fine delle illusioni,
Tea, Milano, 2001 (è un atto di accusa verso la classe dirigente inetta e corrotta);
di Rabindranath Tagore ricordiamo Le pietre maledette, Tea, Milano, 2001
(volume di tredici racconti che conducono il lettore in un viaggio attraverso la
multiforme realtà indiana, affrontando temi come il dramma sociale delle caste,
il mondo dei bambini e la sua magia, l’amore coniugale come momento
supremo dell’amore universale).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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129
www.incredibleindia.com; www.tourindia.com.
www.mapsofindia.com.
www.indiaworld.com.
DANZE
La danza popolare indiana appare più semplice della danza classica. Tale
semplicità non manca però della profondità e di quella intenzionalità
dell’espressione corporea corale che conferiscono grande valore artistico anche
a questo genere.
Ciò che è importante non è la grazia o il virtuosismo del singolo danzatore ma è
la visibilità di quella esuberanza travolgente e, allo stesso tempo, la rilassatezza,
l’assenza di sforzo con cui la danza e espressa e vissuta. Le varie danze popolari
consentono un forte legame con gli aspetti della vita quotidiana: dalla mietitura,
al raccolto, dai riti e rituali alle credenze.
130
Marocco
di Chiara Lainati
DATI GENERALI11
Confini Il Marocco confina a Nord con il Mare Mediterraneo e solo 40 chilometri lo
separano da Gibilterra, la città spagnola dove si approda partendo da Ceuta; a Sud e
Sud-Est con l’Algeria, a Sud con il Sahara Occidentale e a Ovest con l’Oceano Atlantico.
Abitanti: 30.100.000.
Estensione geografica: kmq 458.730.
Continente: Africa.
Densità di popolazione: 64 ab./kmq.
Incremento demografico: 2,0% (1975-2002).
PIL pro-capite (US $): 3.810.
Vita media: 68,5 anni (f. 70,3; m. 66,6).
Mortalità infantile 0-5 anni: 39/1000.
Tasso di alfabetizzazione della popolazione adulta (% persone sopra i 15 anni):
50,7% (f. 38,3; m. 63,3%).
Tasso di alfabetizzazione dei giovani (15-24 anni): 69,5%.
Lingua ufficiale: arabo standard.
Altre lingue: dialetto arabo marocchino, dialetti berberi e francese.
Religione/i: musulmani sunniti 99,8%, altri 0,2%.
Gruppi etnici: arabi 65%, berberi 33%, altri 2% africani occidentali, europei, ecc.
Regime politico: Monarchia Costituzionale. Il monarca attuale è Mohammed VI, figlio
del precedente re Hassan II cui è succeduto nel 1999. Il re, oltre che essere capo dello
11
Fonti: Rapporto UNDP (United Nations Development and Population) 2004. I dati si riferiscono al
2002 se non indicato diversamente.
131
stato è anche supremo capo religioso, un titolo che si è attribuito Hassan II
rivendicando l’origine della sua famiglia dalla famiglia di Maometto, il profeta di
Allah. Una tra le più imponenti azioni di legittimazione di questo ruolo è stata la
costruzione della Grande Moschea di Casablanca, finanziata da una grande
sottoscrizione popolare voluta dal re.
LE FESTE PRINCIPALI
Feste civili (seguono tutte il calendario gregoriano): CAPODANNO
DEL
MANIFESTO
PER
(1°
gennaio);
PROCLAMAZIONE
L’INDIPENDENZA (11 gennaio: la proclamazione è avvenuta nel
1944); FESTA DEI LAVORATORI (1 maggio).
FESTA DEL TRONO (30 luglio): si festeggia la salita al potere di re
Mohamed VI avvenuta alla morte del padre Hassan II nel 1999. Con
Hassan II i festeggiamenti avvenivano in pompa magna, con il suo
successore invece la commemorazione ha acquisito una connotazione più
semplice.
FESTA
(20 agosto): ricorda la
deportazione del sultano Mohammed V dopo la sua destituzione
avvenuta per mano francese nel 1953;
DELLA RIVOLUZIONE DEL RE E DEL POPOLO
COMPLEANNO DEL RE MOHAMMED VI (21 agosto),
FEDELTÀ DEL OUED EDDAHAB (14 agosto) giorno non festivo;
ANNIVERSARIO DELLA MARCIA VERDE (6 novembre): anniversario
dell’occupazione del Sahara Occidentale avvenuta nel 1975 per volontà di
re Hassan II con la marcia di 350.000 “volontari” FESTA
DELL’INDIPENDENZA (18 novembre): non commemora la fine del
Protettorato francese sul Marocco nel 1956 ma il ritorno trionfale
dall’esilio del sultano Mohammed V dopo la sua destituzione e il suo
soggiorno forzato in Madagascar.
Feste religiose: come in tutti i paesi arabo-musulmani, le feste religiose in
Marocco seguono il calendario islamico (Hijiri) dove i mesi seguono il ciclo
lunare, quindi le date variano ogni anno: Ras as- Sana, la festa musulmana del
nuovo anno dell’Egira, coincide anche con il compleanno del profeta Maometto
(Moulid an-Nabi);
RAMADHAn: si festeggia nel nono mese del calendario islamico e per i
musulmani è uno degli avvenimenti più importanti dell’anno. Infatti la
festività ricorda che in questo mese avvenne la rivelazione del Corano al
profeta Maometto. I fedeli adulti (ad eccezione delle donne in fase di ciclo
mestruale o puerperio) praticano il digiuno e l’astensione dal bere, dal
fumo e dai rapporti sessuali dall’alba al tramonto, poi si fa festa fino a
notte fonda;
132
‘AID
‘AID
(FESTA DELLA ROTTURA DEL DIGIUNO): primo giorno del mese
successivo a quello di Ramadhan che sancisce la fine del digiuno con
diversi festeggiamenti, di solito si prevedono tre giorni festivi;
AL-FITR
(GRANDE FESTA)/‘AID AL-ADHAH (FESTA DEL SACRIFICIO): si
commemora il miracolo compiuto da Allah quando sostituì il figlio che
Abramo stava sacrificando in nome della fede ad Allah, con un agnello.
Designa anche la fine del periodo dell’anno (un mese) in cui si svolge il
pellegrinaggio alla Mecca (El Haj), uno dei cinque pilastri della fede
musulmana cui ogni credente è tenuto a rispondere almeno una volta
nella vita.
AL-KEBIR
CAPODANNO BERBERO: si festeggia il 12 gennaio ma non è festivo. Il calendario
berbero comincia con l’avvento della XVII dinastia egiziana fondata da
un capo militare berbero, Sheshonk, nel 950 a.C.
IL SALUTO: Assalam Aleikoum (la pace sia con voi).
CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE
Si offre il tè verde con la menta (tè ahdhar bina’na), più leggero
di quello servito in altri paesi come ad esempio la Tunisia.
Con il tè vengono offerti anche dolci fatti in casa (halwa).
IMMIGRAZIONE IN ITALIA
Il Marocco è un paese caratterizzato da un profilo culturale e
sociale piuttosto diversificato, lontano dall’immagine stereotipata
che spesso emerge in Italia e più in generale in Europa. È il paese
posto più a occidente della regione del Maghreb12 (letteralmente
“il luogo dove tramonta il sole”, occidente), un nome che trae
origine dal processo di islamizzazione della regione iniziato a partire dal VII
d.C. Le popolazioni originarie della regione, note in Europa come berberi, un
termine peggiorativo che sta ad indicare il “barbaro” cioè lo “straniero”,
localmente prendono il nome di imazighen (“uomini liberi”) e in seguito al
processo di islamizzazione si sono convertite e arabizzate. Ciò non toglie che la
cultura e la lingua berbera (con il suo elevato numero di dialetti) continuino a
rappresentare una parte importante della vita della popolazione di questi paesi,
soprattutto in Marocco e in Algeria. In Marocco in particolare alla fine degli
anni Ottanta si stimava che ben il 40% della popolazione fosse amazigh, cioè
circa 12 milioni e altrettanti ne vantano le origini. Ciononostante la politica
locale non ha incoraggiato il riconoscimento di questa particolare componente
12
La regione del Maghreb è costituita da tre paesi: Marocco, Algeria e Tunisia. Il cosiddetto Grande
Maghreb accoglie anche Libia e Mauritania. Maghreb in arabo non designa solo la regione geografica
(come la denominiamo noi occidentali) ma anche il nome stesso dello stato del Marocco.
133
della popolazione, se non negli ultimi anni13. Ha prevalso infatti una politica di
arabizzazione e islamizzazione del paese non solo per rafforzare l’unità del
paese (proclamatosi indipendente nel 1956 in seguito ai quasi quarant’anni di
dominio del protettorato francese) ma anche per contrastare e scongiurare i
movimenti integralisti islamici che stavano prendendo piede. Questa politica è
sfociata anche nell’occupazione del territorio del Sahara Occidentale, voluta da
Hassan II negli anni Settanta per ingrandire il suo regno (Marcia Verde 1975).
Pur essendo stato riconosciuto da tempo (1991) il diritto di autodeterminazione
della popolazione saharawi da parte dell’Onu, tuttora la Repubblica Saharawi
sta lottando per la sua indipendenza con decine di migliaia di rifugiati sparsi
per il mondo.
La pluralità culturale marocchina si sovrappone a formazioni e istituzioni
sociali diversificate che si confrontano con un sistema politico-amministrativo
patrimonialistico e un’organizzazione religiosa fortemente improntati sulla
cultura araba e soprattutto islamica. L’intreccio con questa cultura e le sue
successive trasformazioni è stato pervasivo e ha sacralizzato regole e valori
sociali contingenti, funzionali al mantenimento di un sistema di parentela
fondato su gruppi di discendenza patrilineare. Solo nel 2004 è stata resa
esecutiva una riforma radicale del diritto di famiglia fondata su
un’interpretazione modernista del diritto islamico.
La forte disoccupazione maschile e le trasformazioni sociali in atto aprono il
mercato del lavoro anche alle donne, innestando cambiamenti nell’ambito dei
ruoli familiari. Allo stesso tempo le prime migrazioni degli anni Sessanta e
l’espansione dei media e delle reti di comunicazione cominciano ad accrescere
le opportunità per usufruire di condizioni di vita migliori e ad alimentare il
mito dell’occidente. I paesi di immigrazione privilegiati agli inizi furono la
Francia e il Belgio, paesi con i quali il Marocco aveva specifici accordi che
prevedevano la fornitura di manodopera per lo sviluppo industriale europeo.
Poi, con la crisi degli anni Settanta e le politiche di chiusura attuate dai paesi di
vecchia tradizione immigratoria, anche l’Italia comincia a diventare una meta
interessante. Vengono distinti quattro principali flussi. Il primo, piuttosto
esiguo, tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta costituito da
commercianti che girano per il paese. Il secondo gruppo è quello degli
emigranti “di mestiere” che arrivano in Italia da altri paesi europei e
provengono dalle zone d’emigrazione rurali del Marocco disponendo di un
certo livello di istruzione. Il terzo, quello più consistente, i cosiddetti Beni
Mellal e Beni Meskhin, nomi di tribù (dalle quali deriva il nome delle due città)
della regione del Tadla che si trova tra la costa e il Medio Atlante, composti
soprattutto da contadini o disoccupati. Un quarto gruppo invece è costituito da
giovani e giovanissimi delle periferie urbane. Il Marocco, insieme all’Albania e
alla Romania, è noto per gli ingenti flussi di cosiddetti minori non
13
In Algeria il difficile processo di affermazione della cultura berbera ha culminato nel 2002 con il
riconoscimento costituzionale della lingua berbera come lingua nazionale (non ufficiale), dando la
possibilità di insegnarla nelle scuole accanto all’arabo. In Marocco invece solo recentemente (2001) è
stato istituito con decreto regio l’Istituto Reale di cultura Amazigh con lo scopo di promuovere la
conservazione, la diffusione e l’insegnamento della lingua tamazight (berbera).
134
accompagnati che approdano in Italia spesso nell’ambito di un vero e proprio
progetto familiare che prevede che il figlio parta giovane per l’Italia per istruirsi
o addirittura per lavorare e provvedere alla famiglia rimasta al paese.
Fino alla prima sanatoria (1986) la presenza marocchina non è stata
particolarmente visibile: è stata soprattutto una migrazione stagionale che
veniva in Italia a fare le raccolte agricole o a vendere sulle spiagge. Tra il 1986 e
il 1990 invece la popolazione marocchina aumenta di ben dieci volte, il mito del
“vù cumprà” nasce e si alimenta e l’occupazione nei settori industriali
contribuisce a cambiare e diversificare i progetti migratori, anche se continua ad
aumentare il numero dei commercianti ambulanti soprattutto nei mercati
all’aperto della frutta e dell’abbigliamento. Negli anni Novanta il flusso si
stabilizza fino ad avere altri picchi in corrispondenza dei procedimenti di
regolarizzazione del 1999 e del 2002 (Bossi-Fini) dove i marocchini sono ancora
notevolmente aumentati. Sempre nel corso di questo periodo la composizione
della popolazione si diversifica con l’aumento dei ricongiungimenti familiari
che con la legge del 1998 (Turco-Napolitano) vengono riconosciuti come un
diritto inalienabile. Le donne, che agli inizi erano pochissime, sono in aumento
e oggi ammontano a circa il 20% della popolazione marocchina. A differenza
degli altri paesi del Nord Africa, tra le donne marocchine sebbene prevalga il
ricongiungimento, emergono anche altri modelli migratori. Molte partenze
infatti sono decise anche in autonomia o in seguito a rotture matrimoniali
avvenute al loro paese oppure semplicemente per rispondere ad un desiderio di
emigrare, studiare e trovare lavoro altrove.
MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI
La famiglia con tutte le sue ramificazioni di parentela,
costituisce il riferimento fondamentale per l’educazione dei figli. I
cambiamenti in atto nella società locale e nel processo migratorio,
stanno mettendo però in crisi i ruoli genitoriali che hanno basato la
loro funzionalità sul rispetto dei dettami della legge islamica e della
cultura locale. Questi fanno riferimento ad un modello familiare di tipo
patriarcale in cui il padre è colui che si occupa materialmente della famiglia e la
madre invece, si occupa della crescita dei figli nel senso dell’accudimento,
soprattutto nei primi anni di vita. In particolare in questi anni la madre viene
aiutata dalle donne di famiglia tra cui anche le figlie più grandi. Se questa è una
consuetudine ricorrente nelle zone rurali dove spesso i componenti della
famiglia vivono in prossimità (douar), in città le cose si complicano ma sono
presenti reti comunque molto attive che possono essere anche le vicine di casa
con cui si ha confidenza. A seconda delle abitudini il bambino dorme nella
stessa camera dei genitori per i primi mesi e soprattutto durante i primi
quaranta giorni si fa attenzione che non prenda correnti d’aria. L’allattamento
al seno è la modalità di alimentazione dei neonati più ricorrente e avviene
sempre su richiesta del bambino. Dura in genere fino ai due anni ed è una
modalità contraccettiva piuttosto ricorrente. Tutto dipende anche dalle zone e
135
dalle classi sociali di appartenenza. Se nelle zone rurali prevale l’allattamento
prolungato, nelle zone urbane e tra le classi più abbienti si tende a finire prima e
si interviene anche con il latte in polvere. Le istituzioni pubbliche si prendono
in carico con particolare attenzione dell’alimentazione della madre in fase di
allattamento e di quella del bambino in fase di svezzamento, per prevenire
situazioni di malnutrizione. La crescita dei figli è improntata sul rispetto
dell’autorità paterna e dei genitori in generale. Si fonda su una marcata
divisione di genere dei ruoli, quindi c’è la tendenza a promuovere la
socializzazione dei maschi fuori di casa e a trattenere le femmine in casa o
comunque ad esercitare sulle ultime un maggior controllo e protezione,
soprattutto con l’ingresso nella pubertà. È importante inoltre la componente di
responsabilizzazione con cui i bambini vengono educati fin da piccoli, non solo
per quel che riguarda la cura dei fratelli più piccoli ma anche per quel che
riguarda i rapporti con i parenti e con l’esterno. Evidentemente questi
riferimenti dialogano e si scontrano con modelli che lasciano più spazio
all’autonomia delle ragazze e ad un maggior comunicazione e scambio con i
genitori. In emigrazione dove il controllo sociale rispetto a certe regole viene
meno, la famiglia si ritrova a decostruire e ricostruire i propri riferimenti di tipo
valoriale-educativo.
MODELLI DI CURA
La cura prenatale, quella della gravidanza e il parto rientrano
nell’assistenza di base del paese. Solo il 40% delle nascite è assistito
però da personale medico ospedaliero. In Marocco è ancora
importante il ricorso alle levatrici, le qabla, che assistono le donne in
tutto il periodo di gravidanza e del parto. Quando è necessario si preoccupano
anche di fornire le pozioni per l’interruzione della gravidanza. Il radicamento di
questa consuetudine ha spinto il governo circa vent’anni fa a promuovere
attività di formazione delle levatrici all’interno delle strutture sanitarie e a
concedere l’autorizzazione ad aprire case per il parto che tuttora esistono.
Ciononostante permangono problemi nel caso sopravvengano complicazioni
nel corso della gravidanza e del parto. Le levatrici infatti non sono in grado di
affrontarli medicalmente e spesso con le loro tecniche rischiano di aggravarli.
Per questo il tasso di mortalità delle donne incinte è elevato (220/100.000).
Il periodo che segue il parto è un periodo di riposo e di particolari attenzioni
che corrisponde a una fase di impurità della puerpera che dura quaranta giorni.
In questo frangente la madre della puerpera e la rete di donne la sostengono
nell’accudimento del neonato. Un’abitudine che si può ritrovare in tutti i paesi
del Maghreb ma anche nei paesi di cultura musulmana prevede pratiche
popolari di protezione della salute del figlio e contro il malocchio, che fanno
ricorso a simboli e amuleti che in alcune zone hanno implicazioni anche
magico-rituali. L’amuleto più diffuso è la mano di Fatima che protegge dagli
sguardi considerati pericolosi. Il potere rituale di questo simbolo sta nel numero
cinque (cinque dita della mano): cinque sono i dogmi della religione islamica e
136
cinque sono le preghiere giornaliere. Accanto a questo amuleto è possibile
trovare anche un cornetto rosso e il sacro Corano in miniatura. Questa usanza è
piuttosto diffusa non solo nelle campagne, contesto con cui si associa spesso più
facilmente la tradizione ma anche nelle città e in ogni strato sociale.
Nell’alimentazione e nella cura della madre e dei figli si fa molta attenzione
al rapporto caldo-freddo: i cibi devono essere caldi perché solo così possono
essere digeriti e trasformarsi in energia. Le abitudini e le pratiche curative si
differenziano profondamente tra una generazione e l’altra: si possono trovare
donne depositarie di conoscenze approfondite sull’uso delle erbe medicinali e
che si assumono l’incarico di curarsi e di curare, e donne che invece delegano
completamente la cura del corpo a medici e tecnici. Quello che accomuna la
cultura della cura e della salute è che nella maggior parte dei casi sono le donne
ad assumersene la responsabilità.
MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE
DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE
La famiglia e la scuola sono i principali contesti di socializzazione
dei bambini e delle bambine. Nelle città o nei paesi dove il quartiere
e il vicinato costituiscono un luogo di socializzazione importante, i
bambini delle famiglie vicine si ritrovano a giocare fuori per strada o
sui marciapiedi. Come già si è accennato in precedenza, vigono regole,
che talvolta si possono considerare anche di pura convenienza sociale, che
tendono a promuovere la socializzazione dei maschi fuori di casa e a trattenere
le femmine in casa o comunque ad esercitare sulle ultime un maggior controllo
e protezione, soprattutto con l’ingresso nella pubertà. Nelle città è ricorrente la
pratica di attività sportive da parte dei bambini.
MODELLI E STILI FAMILIARI
La vita sociale delle famiglie e il ruolo dei genitori: il Corano e
la cultura islamica hanno influenzato e tuttora influenzano in
modo pervasivo i modelli e gli stili di vita familiari in Marocco,
basandosi su una delle interpretazioni più tradizionaliste esistenti
nel mondo musulmano. In questo paese non c’è stata quella
riforma che invece è avvenuta in Tunisia nel 1956 dove il ripudio e la poligamia
sono stati aboliti e dove alla donna e all’uomo vengono riconosciuti ruoli più
paritari nell’ambito della famiglia. Solo il 6 febbraio 2004 è entrato in vigore il
nuovo codice della famiglia che costituisce una riforma radicale del codice dello
statuto personale (Moudawana) emanato nel 1957. La donna acquisisce un ruolo
più importante all’interno della famiglia. Viene infatti affermata la
responsabilità congiunta degli sposi e vi è una restrizione drastica della
poligamia e del ripudio. La riforma è però ancora troppo recente per vederne
l’impatto sui comportamenti sociali, tutto dipende dall’applicazione che la
legge avrà anche nei tribunali. In principio i ruoli dei genitori rispondono ad un
137
modello autoritario dell’uomo sulla donna e sulla famiglia in generale, dove la
patria potestà è prerogativa dell’uomo e viene esercitata nell’educazione, nella
correzione, nella preparazione al lavoro e al matrimonio del figlio. Prima della
recente riforma si prevedeva una differenziazione temporale dell’esercizio della
patria potestà sui figli a seconda che fossero di sesso maschile o femminile. Ora
invece si è stabilita la stessa età per entrambi i sessi (maggiore età). Alla madre
invece spetta la custodia e la cura del bambino. Queste sono comunque
prescrizioni normative che poi si intersecano con una realtà in continua
trasformazione, in cui la donna assume altri ruoli oltre a quelli di madre, che
contribuiscono a mettere in discussione le posizioni di potere e di autorità
nell’ambito della famiglia nel rapporto di coppia e tra genitori e figli. La
famiglia inoltre non è identificabile solo con quella che in Occidente costituisce
la famiglia nucleare ma è un termine che sta ad indicare diversi tipi di relazione
sociale, non necessariamente riconducibili solo ai legami biologici ma anche ad
altri più basati su vincoli di “clientela” o di “amicizia” o di vicinato ma non per
questo meno importanti. Questi possono assumere forme molto estese (in senso
geografico e sociale) e vengono attivati a seconda degli eventi e delle necessità.
In emigrazione questa modalità di rappresentarsi la parentela diventa una
risorsa fondamentale, quanto anche un vincolo, dal momento che si riproduce
un controllo sociale molto forte.
ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: a seguito di un decreto regio del
1997 i nomi attribuiti a cittadini marocchini non devono essere stranieri, non
devono rappresentare un nome di città, villaggio o tribù e non devono essere
composto da più di due nomi. Il figlio prende il cognome del padre.
ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: in Marocco vige il principio dello jus
sanguinis e la trasmissione della cittadinanza ai figli avviene per discendenza
esclusivamente paterna, e solo nel caso in cui i genitori siano uniti da vincolo
matrimoniale (che con la riforma del codice della famiglia viene riconosciuto
anche se contratto all’estero, purché alla presenza di due testimoni musulmani)
e il figlio abbia un nome di tradizione marocchina. Questo avviene sia che il
figlio nasca in Marocco che in un altro paese. Pertanto se la madre è marocchina
e il padre straniero, la madre non può trasmettere la cittadinanza, eccezion fatta
nel caso di padre sconosciuto. Alla fine del 2003 è stata però avanzata una
proposta di riforma del Codice della nazionalità che prevede la possibilità di
trasmettere la cittadinanza marocchina a figli di madre marocchina e padre
straniero.
FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: la legislazione
marocchina riconosce solo i figli nati nell’ambito del matrimonio o del
fidanzamento ufficiale (acquisizione recente della riforma della Moudawana). La
legge vieta di ricollegare al padre il bambino nato fuori dal matrimonio e dal
fidanzamento e quindi in questo caso è attribuito solo alla madre per il semplice
fatto del parto. Non viene quindi riconosciuta l’adozione.
REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: la registrazione e la trascrizione
degli atti di nascita nei registri dello Stato Civile marocchini avviene solo nel
138
caso in cui il bambino abbia un nome tradizionale marocchino. Una volta
avvenuta la trascrizione, il figlio viene iscritto sul passaporto del padre.
CONTRATTO DI MATRIMONIO: per il diritto musulmano il matrimonio è un
atto legale che si situa tra il diritto naturale e il diritto contrattuale. Prima della
riforma della Moudawana (codice dello statuto personale, ora diventato codice di
famiglia) diventata esecutiva a febbraio 2004, la donna anche maggiorenne
poteva contrarre il matrimonio solo con l’approvazione di un tutore
matrimoniale, maschio e parente stretto (wali). Ora invece la donna può
decidere di sposarsi autonomamente e anche se continua a permanere la figura
del tutore matrimoniale, questo può essere scelto dalla donna anche al di fuori
del gruppo parentale. Una grande innovazione risiede nell’affermazione della
corresponsabilità di marito e moglie nella gestione del nucleo familiare, mentre
prima invece era responsabile solo il marito e la donna “doveva obbedienza”.
Con la riforma inoltre la poligamia non è più un diritto ma è una concessione
sottomessa all’autorità del giudice. La prima moglie ha inoltre il diritto di
introdurre nel contratto di matrimonio la clausola che impedisce al marito di
sposarsi un’altra volta. Il regime previsto è quello della separazione dei beni ma
tutte le acquisizioni fatte durante il matrimonio rientrano nella comunità
matrimoniale e diventano beni comuni ai coniugi. Nel contratto di matrimonio
si possono stabilire le regole di gestione. Oggetto del contratto di matrimonio
rimane la dote (sadaq) che però negli ultimi tempi assume sempre di più un
valore simbolico. Il contratto di matrimonio deve aver l’autorizzazione del
giudice prima di venire sottoposto agli adouls (notai) e a due testimoni di fede
musulmana. Mentre prima veniva riconosciuto solo il matrimonio regolato
dalla legge marocchina, ora invece vengono riconosciute anche le unioni che
rispondono ad altre normative nazionali, purché ci sia la testimonianza di due
musulmani.
DIRITTI DEI MINORI: in Marocco e nel mondo musulmano in generale è
un’acquisizione recente quella di mettere al centro il minore nella sua
soggettività. In Marocco resta però ancora di grande rilevanza il problema dei
figli nati al di fuori del legame matrimoniale. Possono infatti venire riconosciuti
dalla madre in virtù del legame biologico ma non possono venire riconosciuti
dal padre, l’unico che ha il diritto di trasmettere al bambino la discendenza e
l’appartenenza ad un gruppo sociale e quindi la sua legittimità. Con la recente
riforma della Moudawana (2004) il diritto al riconoscimento paterno è stato
esteso anche ai figli nati fuori dal matrimonio ma nell’ambito di un
fidanzamento ufficiale, la strada da fare dunque è ancora lunga. Un altro tema
caro alla comunità internazionale è quello del lavoro minorile che in Marocco è
un fenomeno piuttosto ricorrente, considerata anche la povertà in cui versano
importanti fasce della popolazione. A partire dal 2002 è stato istituito un
programma nazionale che si rivolge ai bambini più vulnerabili (età inferiore ai
12 anni) con l’obiettivo di prevenire l’occupazione in lavori pericolosi e offrire
ai bambini e alle famiglie valide alternative.
DIRITTI DELLE DONNE: come già si è delineato in precedenza, il Marocco sta
conoscendo importanti trasformazioni nell’ambito del riconoscimento dei diritti
139
delle donne. È infatti molto recente (febbraio 2004) la riforma del codice dello
statuto personale (Moudawana) ora codice di famiglia, che attribuisce alla donna
un ruolo più paritario all’interno delle relazioni matrimoniali e familiari.
Questo risultato fa parte di un percorso intrapreso in tutti i paesi arabomusulmani in cui il riconoscimento dei diritti delle donne è sempre stato
subordinato alla ricerca di una autonomia e libertà del proprio paese dai paesi
europei. Ciò ha comportato un primato del diritto islamico interpretato spesso
in senso tradizionalista in quasi tutti gli ordinamenti giuridici nazionali,
soprattutto per quel che riguarda il codice della famiglia. Rispetto agli altri
paesi dell’area maghrebina il Marocco ha interpretato in senso alquanto
restrittivo la sha’ria (legge islamica), relegando in una posizione subordinata il
ruolo della donna e della madre. Questa scelta ha comportato molte riserve
nella ratificazione delle convenzioni internazionali in materia di parità di diritti
a uomini e donne in ambito lavorativo. Ad esempio la legislazione marocchina
sul lavoro non ha ancora stabilito il principio di non-discriminazione in materia
di diritto del lavoro anche se il paese ha ratificato la Convenzione sulla nondiscriminazione nel lavoro nel 1963. L’autorizzazione del marito come
condizione fondamentale per consentire alla donna di esercitare la professione
commerciale o dipendente è stata abrogata nei rispettivi codici solo nel 1995. A
livello internazionale il Marocco ha ratificato la Convenzione per l’Eliminazione
di ogni Forma di Discriminazione contro le Donne (CEDAW) nel 1993, fatta
eccezione per alcuni punti che entravano in conflitto con la legge islamica.
DIVORZIO E SEPARAZIONE: con la recente riforma della Moudawana il ripudio
non è stato abolito ma non è più un diritto esclusivo dell’uomo (ripudio
verbale), deve bensì essere autorizzato dal tribunale. Inoltre viene garantito il
diritto di informazione alla sposa, mentre in precedenza poteva avvenire che
una donna venisse ripudiata a sua insaputa con tutte le conseguenze che poteva
comportare, soprattutto se incinta (il figlio non sarebbe stato legittimo). Gli
sposi hanno il diritto di sciogliere il legame matrimoniale secondo modalità che
apportano alla donna maggiori diritti di una volta, ma mantengono però ancora
delle differenze rispetto all’uomo. Una delle innovazioni introdotte è il divorzio
consensuale. La custodia dei figli va alla donna sia che sia divorziata che
ripudiata.
SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI
Prima del protettorato francese, il sistema d’insegnamento
marocchino si basava quasi esclusivamente sulle istituzioni
religiose islamiche: le scuole coraniche (insegnamento elementare)
e i collegi (insegnamento superiore). Attualmente alcune di queste
istituzioni sono ancora attive ma prevale un’istruzione
improntata sul sistema francese, così come era stato imposto durante il periodo
del protettorato con le sue successive trasformazioni. Nel 1956 la Costituzione
del Marocco indipendente proclamò il diritto allo studio di tutti i cittadini,
senza distinzione di sesso e di condizioni sociali e stabilì la gratuità della scuola
140
pubblica. Nel 1963 venne istituito l’obbligo di frequenza per la scuola
elementare e successivamente per la scuola media. Venne promossa inoltre una
politica di nazionalizzazione dei programmi con la graduale introduzione
dell’arabo come lingua di insegnamento. A partire dal 1985 venne avviata una
riforma radicale del sistema, orientata a promuovere l’istruzione che aveva
cominciato a subire un certo declino dovuto ai tagli della spesa pubblica ma
anche alla scarsa disponibilità di strutture nelle zone più lontane dai centri più
popolati. Per rafforzare ulteriormente il processo di alfabetizzazione soprattutto
femminile e nelle zone rurali, nel 1999 il governo vara una riforma complessa
del il ciclo dell’obbligo e del sistema scolastico in generale.
SCUOLA PUBBLICA E SCUOLA PRIVATA: la gratuità della scuola pubblica è
estesa a tutti i livelli, dalle elementari all’università. È in crescita anche il settore
privato dell’insegnamento, soprattutto per quel che riguarda l’insegnamento
pre-scolare che non è coperto dalla scuola pubblica. Come negli altri paesi del
Maghreb ci sono scuole francesi che sono indirizzate non solo ai cittadini
francesi residenti ma spesso anche ai ceti sociali più elevati. I programmi di
queste scuole vengono monitorati dal Ministero dell’Istruzione. Esiste inoltre il
sistema parallelo delle scuole coraniche che coprono tutto il ciclo di
insegnamento, dalle materne alle superiori e costituiscono il canale di studi
privilegiato per accedere alle università islamiche. Sono finanziate da
sostenitori della comunità o dagli studenti stessi.
SCUOLA MATERNA: l’insegnamento prescolare viene assicurato da due tipi di
scuole: le scuole coraniche che dispensano un tipo di insegnamento basato
sull’apprendimento del Corano e delle prime lettere dell’alfabeto arabo e le
scuole private che invece hanno fatto propri metodi di insegnamento laici,
fondati in parte sui sistemi di istruzione occidentali. Per quel che riguarda le
scuole coraniche, la frequenza è gratuita perché si tratta di scuole finanziate
dalle collettività locali. Qui i bambini apprendono mnemonicamente il Corano
da un vero e proprio maestro che ha la funzione di educatore sia rispetto ai
contenuti del Corano sia alle regole della vita. Il rapporto insegnante e bambino
è improntato sulla disciplina e il rispetto dell’autorità. Nelle scuole private
invece gli obiettivi e le relazioni sono simili a quelli che si ritrovano nelle scuole
materne italiane: si gioca e si socializza tra compagni e si comincia a scrivere
nell’ultimo anno, sia in arabo che in francese.
SCUOLA DELL’OBBLIGO: nel 1999 la scuola dell’obbligo ha subito una
profonda riorganizzazione che prevede il completamento della revisione dei
cicli scolastici entro il 2009. Allo stato attuale l’obbligo scolastico è stato elevato
a nove anni articolati in sei di scuola elementare e tre di scuola media. A partire
dal 2002 è stata abbassata a 6 l’età di ammissione al ciclo dell’obbligo
(precedentemente era fissata a sette anni).
CALENDARIO E ORARI: l’anno scolastico inizia a metà settembre e termina a
fine giugno. È organizzato in trimestri e durante l’anno oltre alle feste nazionali
e religiose, sono programmate vacanze a dicembre e a primavera, al termine
cioè del primo e del secondo trimestre. Le classi sono divise per anni e per età.
A seconda del ciclo scolastico le ore settimanali variano. Nella scuola
141
elementare l’orario è generalmente dalle 8.30 alle 11.30 e poi si riprende con
altre tre ore nel pomeriggio, dal lunedì al sabato tranne il venerdì che è festivo.
Nelle scuole medie e secondarie invece il venerdì è compreso.
PROGRAMMI E ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA: i programmi sono tutti stabiliti
a livello ministeriale, sia a livello di scuola pubblica che privata. La metodologia
di insegnamento è fortemente permeata dalla contaminazione di diversi
modelli: quelli francesi imposti durante il periodo del protettorato, quelli delle
scuole coraniche improntati sull’apprendimento mnemonico e quelli che stanno
cercando di affermarsi attualmente che riprendono in gran parte i modelli
pedagogici della scuola francese. A partire dal 1985 è stata avviata
l’arabizzazione dei programmi scolastici che ha interessato soprattutto il ciclo
delle elementari, ad esclusione delle materie scientifiche. La lingua di
insegnamento è quindi il cosiddetto arabo standard, la lingua dotta (parlata ai
telegiornali e scritta nei libri e sui giornali) che deriva da quella arcaica del
Corano. È importante sottolineare che questa lingua è profondamente diversa
dalla lingua materna marocchina, una forma dialettale dell’arabo mista ad
inflessioni berbere, francesi e spagnole. Inoltre un’importante fetta della
popolazione parla berbero (tamazight) e sebbene la maggioranza sia ormai
bilingue, molti si ritrovano a scuola a dover imparare per la prima volta l’arabo.
Nel primo ciclo prevalgono gli insegnamenti del francese e dell’arabo. A partire
dal ciclo secondario invece viene introdotto l’insegnamento di una terza lingua
che soprattutto nel Nord (Tangeri, Tetouan, ecc.) è lo spagnolo. I ragazzi quindi
sono in grado di scrivere sia l’alfabeto arabo che quello latino.
VALUTAZIONE: la valutazione avviene a scadenza trimestrale e a seconda del
ciclo scolastico ci sono diverse modalità. Nel ciclo delle elementari si usa la
scala decimale (dove 5 è considerato sufficienza) e nei cicli successivi invece si
usa la scala 1-20. Alla fine del ciclo elementare viene sostenuto un esame sulle
materie fondamentali (francese, arabo e matematica) e si ottiene la promozione
sulla base dei risultati dell’esame e delle valutazioni dell’anno. Alla fine del
ciclo delle medie invece vengono fatti due esami a livello di istituto e a livello di
distretto scolastico e la promozione avviene sulla base della valutazione
avvenuta nel corso dell’anno e durante le prove finali.
VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE
La società marocchina può essere considerata come una
rete di poli relazionali che fondano la loro legittimità su
rapporti di parentela stretta e allargata a cui si aggiungono
rapporti di clientela, amicizia e vicinato, tutti legami molto
forti. Ognuna di queste relazioni viene attivata nella vita
quotidiana di ogni giorno ed esige uno scambio simbolico e materiale
incessante. Il fratello, il parente e l’amico sono persone che possono richiedere
aiuto oppure darlo, sono persone che fanno doni oppure che li ricevono e
questo crea un sistema di obblighi e di scambi talvolta molto rigido a cui non ci
si può sottrarre. Il controllo esercitato dal gruppo è molto forte. In emigrazione
142
questo sistema si complica dal momento che le relazioni subiscono delle
fratture ma allo stesso tempo vengono reinventate e adattate al contesto. La
famiglia e le reti che la compongono, sia al paese d’origine che in quello di
arrivo, rimangono però un punto di riferimento fisso che dà la misura del
successo o del fallimento dell’esperienza migratoria di ognuno dei componenti.
Anche i ruoli di genere fanno parte di questo meccanismo di scambio e di
reciproche aspettative. Secondo alcuni studiosi la donna in questa società (come
in altre società mediterranee) ha sempre ricoperto un ruolo subordinato
nell’ambito della famiglia, perché funzionale a una divisione del lavoro tra sfera
pubblica e sfera privata. Nel momento in cui la donna entra a far parte della
sfera pubblica (esercitando un lavoro, rappresentando una carica politica, ecc.)
questa divisione netta dei ruoli viene a decadere generando spiazzamenti che a
volte sfociano in conflittualità irriducibili accompagnate da fragilità sociali
crescenti. Il rapporto uomo-donna è messo profondamente in crisi, la relazione
di coppia non è più funzionale alla crescita della famiglia ma anche al benessere
degli individui che la compongono.
STILI ALIMENTARI
La cucina marocchina, come tutta la cucina del Nord
Africa è fortemente influenzata dalla cultura e dalla
religione musulmana, soprattutto per quel che riguarda le
regole alimentari. Il Corano infatti vieta il consumo della
carne di maiale e in generale della carne non halal
(“lecito”), cioè non macellata secondo i dettami religiosi, che vogliono che
l’animale venga abbattuto in nome di Dio (bismillah) con un taglio alla gola,
affinché il sangue, ritenuto impuro, esca completamente dal corpo dell’animale.
Si vieta anche il consumo di bevande alcoliche, per questo in tutto il mondo
arabo si bevono molti succhi di frutta freschi (asir), tè (tè), caffè (qahwa) e
bevande gazzose. Tuttavia non è raro incontrare marocchini credenti che
bevono alcol, soprattutto birra e questo avviene in parte anche di nascosto, per
convenienza sociale. Ad eccezione di queste regole alimentari la cucina
marocchina si presenta come un sincretismo di culture che vanno da quella
andalusa a quella berbera e araba.
Il couscous (palline di semola di grano duro) è il piatto più diffuso
trattandosi di una ricetta che si fa risalire ai berberi, e può essere accompagnato
da diverse varietà di carne o di verdura in umido. Di solito è servito come
piatto unico ma durante le feste e il Ramadhan viene preceduto da altri piatti.
Accanto al couscous, un altro piatto rinomato nella cucina marocchina è la tajine
che prende il nome dal recipiente in terracotta smaltata dotato di un coperchio
conico forato in alto che impedisce l’evaporazione troppo rapida durante la
cottura del cibo. La preparazione del piatto avviene a fuoco lento con la carne di
agnello o di manzo cucinata a pezzetti insieme a diversi tipi di verdure e spezie
oppure insieme alla frutta (prugne secche, mele cotogne) e al miele. Infine la
bstilla, un piatto probabilmente originario dell’Andalusia, costituisce una
portata spesso servita in occasione delle feste, che associa il dolce al salato. Si
143
tratta infatti di carne di piccione, condita con cipolle, mandorle, zenzero e
zafferano, cotta al forno in un involucro di pasta sfoglia che poi viene servito
cosparso di zucchero a velo e cannella. Durante i 30 giorni di Ramadhan è
d’obbligo mangiare l’harira, la zuppa che viene servita ogni sera al momento
della rottura del digiuno (f’tour). Ci sono diverse ricette ma il piatto di base è
fatto di brodo di carne di agnello, con lenticchie, ceci e spezie varie. Alla fine di
ogni pasto viene degustato il thé alla menta (tè bina’na), servito con le foglie
fresche di menta,quando è stagione, il cui gusto è molto leggero e zuccherato.
RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA
NASCITA: quando il neonato fa l’ingresso nella famiglia, la
donna consolida il suo status sociale, provando la sua capacità
di fertilità e l’onore del marito. La nascita quindi viene accolta
con grande gioia da amici e parenti e non esistono differenze
che si tratti di un maschio o di una femmina, soprattutto nel
caso del primo nato. Il periodo che segue il parto è un periodo di riposo e di
particolari attenzioni che corrisponde ad un periodo di impurità che dura
quaranta giorni. Questo periodo è caratterizzato da una serie di piccoli rituali.
Nelle famiglie più religiose, quando un bimbo nasce, si usa pronunciare al suo
orecchio i primi due versetti del Corano o la professione di fede da parte di un
adulto. Il rito che sancisce la nascita e l’ingresso del bambino nella comunità è
rappresentato dalla cosiddetta festa del settimo giorno, che spesso viene fatta
anche dopo alcuni mesi. In questa occasione, nel caso l’abitazione sia piccola, si
affittano dei locali dove viene organizzata una grande festa a cui sono invitati a
partecipare parenti e amici e dove oltre a mangiare si balla e si danza. Nella
tradizione è in questo giorno che viene attribuito il nome al bambino, sancendo
così la sua affiliazione alla famiglia paterna.
MATRIMONIO: in Marocco, come in tutti i paesi del Maghreb il rito del
matrimonio, nella sua forma cosiddetta tradizionale, si svolge in un arco di
tempo di circa una settimana e assume forme diverse a seconda che si svolga in
campagna o in città, in una regione piuttosto che in un’altra. Esiste però una
successione di tappe che accomuna in qualche modo le tradizioni del Nord con
quelle del Sud.
KHOUTBA Fidanzamento: la famiglia dello sposo domanda la mano della
sposa una volta che lei dà il suo accordo.
CONTRATTO DI MATRIMONIO: Davanti a due notai (adouls) si firma l’atto di
matrimonio e seguono quindi le celebrazioni che festeggiano l’unione.
HAMMAM: la sposa si reca all’hammam, il bagno turco, per compiere gli atti
di purificazione, accompagnata dalle donne della famiglia e da quelle che le
sono più vicine.
HENNA: il giorno seguente all’hammam, la sposa, aiutata dalla hannaya o
nekachate, si decora con il colore rosso della henna (una polvere rossa vegetale)
mani e piedi con disegni e motivi geometrici e floreali. La henna ha doti
144
purificatrici e di buon augurio. Canti e danze inaugurano, accompagnano e
chiudono questo lungo lavoro che si protrae lungo tutto l’arco di una giornata.
H’DIA: la famiglia dello sposo si presenta alla sposa con una processione
musicale portando i doni offerti dallo sposo. I regali offerti in questa occasione
sono in funzione della situazione sociale e variano da regione a regione.
Generalmente sono simbolici come ad esempio lo zucchero, simbolo di una vita
felice, il latte, simbolo della purezza, datteri, henna, candele, fiori, ecc.
BERZA: è il giorno della grande cerimonia in cui la sposa viene presentata a
tutti gli invitati nella casa dello sposo (o in un locale affittato per l’occasione).
Vestita in modo tradizionale, la sposa è seduta in modo che possa essere vista e
ammirata per tutta la durata della festa, in mezzo a canti, musica e danze.
FUNERALI: secondo la tradizione musulmana, la salma viene lavata
integralmente e avvolta in un lenzuolo bianco. Il rito viene eseguito da una
donna o da un uomo della famiglia, a seconda del sesso del defunto. Durante il
rito del lavaggio vengono recitati alcuni versi del Corano. Sono sempre e solo
gli uomini ad accompagnare la salma al cimitero. Il funerale è una cerimonia
semplice che si svolge presso la moschea e al cimitero con l’imam che intona le
preghiere per il defunto. Il corpo viene seppellito nel cimitero con la testa verso
La Mecca. In seguito viene osservato un lutto di quaranta giorni durante il
quale la tradizione vuole che l’anima del defunto si stia preparando a lasciare la
casa e i familiari attendono il momento praticando l’astensione dal fumo, dalla
cura e dal lavaggio del proprio corpo e da tutte quelle attività che distolgono
troppo l’attenzione. Allo scadere dei quaranta giorni l’anima lascia
definitivamente la casa e la famiglia può ritornare ai suoi ritmi normali.
SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI14
Nonostante in Marocco il diritto alla salute non sia
espressamente dichiarato nella costituzione o in un testo di legge,
è stato riconosciuto nel 1959 in occasione di una conferenza
nazionale sulla salute che ha messo l’accento sulla responsabilità
dello Stato in materia e, sull’obbligo dello stesso di assicurare la
programmazione di una politica della salute con adeguati mezzi
finanziari. Nel 2001 il Marocco ha speso circa il 5% del PIL per la salute (il 2,0%
del PIL nel pubblico e il 3,1% nel privato), una spesa che si colloca a parità di
PIL a livelli inferiori rispetto ad altri paesi della regione, come ad esempio la
Tunisia. Questo comporta diversi risultati nell’ambito delle prestazioni e dei
miglioramenti apportati alle condizioni di salute dell’intera popolazione. Tale
situazione si ripercuote ad esempio sulla medicalizzazione degli interventi.
Senza nulla togliere al ruolo della medicina tradizionale e in particolare delle
levatrici, in Marocco nel periodo 1995-2002 la percentuale dei parti assistiti da
personale medico è una tra le più basse dei paesi della regione (40% contro il
14
Fonti dei dati esposti nel paragrafo: UNDP Human Development Report 2004, OMS (dati disponibili
nei rispettivi siti) e materiali statistici del ministero della Sanità marocchino.
145
92% dell’Algeria, il 61 dell’Egitto e il 90% della Tunisia). Nel caso si verifichino
complicazioni, è difficile riuscire a intervenire tempestivamente con l’assistenza
medica, soprattutto nelle zone più isolate del paese. I medici disponibili ogni
100.000 abitanti sono 49 contro i 70 della Tunisia, gli 85 dell’Algeria e ben 218
dell’Egitto e si concentrano in massima parte nelle città o nelle immediate
vicinanze. La capacità di acquisto delle medicine essenziali è rilevata dall’OMS
come una tra le più basse dei paesi della regione. Secondo l’indagine nazionale
sul livello di vita (ENNVM) condotta dalla Direzione della Statistica del
Ministero di Piano (1998-99) più del 33% della popolazione si astiene dal
ricorrere alle cure sanitarie. La proporzione di domande di cura non soddisfatte
sono circa 2,5 volte più elevate nella popolazione più povera che in quella più
ricca. A questo si aggiungono le ineguaglianze tra popolazione urbana e rurale.
La proporzione della popolazione che non può ricorrere alle cure è del 44% in
ambito rurale e del 29% in ambito urbano. Lo stesso tipo di iniquità si rileva
nell’accesso alle cure gratuite presso le strutture del Ministero della Sanità.
Meno del 5% della popolazione più povera non coperta dall’assicurazione per
le malattie, beneficia gratuitamente delle cure negli ospedali pubblici, contro il
67% invece di quelli che si trovano nella fascia di popolazione più ricca. Questa
situazione deriva anche dal fatto che in Marocco non è ancora vigente
un’assicurazione medica obbligatoria nonostante da tempo sen ne parli e il
Parlamento abbia ratificato la proposta nel corso del 2002. Tale progetto
prevede l’attuazione di due regimi di assicurazione sanitaria a vantaggio di
categorie distinte della popolazione. L’assicurazione malattia obbligatoria
(AMO) si rivolgerà alle persone attive e ai titolari di pensione. Il regime di
assistenza medica (RAMED) sarà invece indirizzato alle fasce di popolazione
economicamente deboli.
Ciononostante sono stati promossi programmi sanitari che hanno
nettamente migliorato le condizioni di vita dell’età infantile e delle madri in
gravidanza. Nel 2002 i bambini sottoposti a vaccino entro l’anno di età
costituiscono il 90% per la tubercolosi e il 96% per il morbillo ma i casi di morte
per morbillo alla fine del 1999 restano elevati, circa 365 ogni 100.000 abitanti.
Questo è da ricondurre anche al fatto che, il vaccino viene fatto ad un’età (9
mesi) in cui il sistema immunitario del bambino non è ancora pienamente
maturo, si sta cercando di ritardare quindi la somministrazione. Il tasso di
mortalità infantile (0-5 anni) ogni 1000 bambini passa da 184 (1970) a 43 nel
2002, un risultato simile ad altri paesi della regione anche se ancora elevato ad
esempio rispetto alla Libia (19/1000) e Tunisia (26/1000). Resta però ancora alto
il tasso di mortalità materna. Rispetto agli altri paesi della regione il Marocco
detiene il primato: ogni 100.000 nascite nel 2000 muoiono 220 donne, contro le
84 dell’Egitto, le 97 della Libia e le 120 della Tunisia. Il fenomeno è da collegare
alla scarsa medicalizzazione del parto. Il programma di pianificazione familiare
è uno dei più importanti del Ministero della Sanità. Il tasso di fertilità è passato
da 6,9 nascite per donna nei primi anni Settanta a 2,7 nascite tra il 2000-2005.
Tra le donne sposate la cultura della contraccezione permane però bassa nei
paesi della regione arabo-musulmana, anche se non è tra le più basse del
mondo. In Marocco fanno uso di metodi contraccettivi il 50% delle donne
146
sposate (fascia d’età 15-49 anni). Tutti questi risultati però mostrano importanti
disparità tra aree rurali e aree urbane.
FIABE TRADIZIONALI
Nella tradizione marocchina ci sono molte fiabe che si rifanno
a tradizioni e racconti orali noti in tutto il mondo arabo. Giuhà è
uno dei personaggi più conosciuti. Il suo nome deriva da un
verbo arabo che significa “deviare dalla retta via”. Giuha infatti si
caratterizza come un personaggio dal comportamento
scarsamente coerente, con una doppia personalità: è furbo e sciocco, povero e
ricco; sfortunato e baciato dalla fortuna.
Le sue storie, dapprima per via orale e in tempi recenti raccolte per iscritto,
si sono diffuse in un’area molto vasta del Mediterraneo. A seconda del paese il
personaggio assume nomi diversi: Giuhà nel Maghreb, Nasredin Hogia in
Turchia, Giufà in Sicilia, Giuccà in Toscana, Giucà nelle comunità albanesi,
Giochà per gli Ebrei. Le sue avventure si svolgono nella quotidianità del
quartiere o dei luoghi pubblici più frequentati come il mercato, l’hammam
(bagno turco), il tribunale, ecc.
La capra e il lupo
C’era una volta una capra che voleva andare a cercare da mangiare per i suoi figli.
Quando la capra uscì, il lupo la vide e subito si recò alla porta di casa sua, dicendo
ai piccoli: “Apriteli, miei amori, sono la mamma, vi ho portato r erba tra le coma e
il mio seno è pieno di latte, forza aprite!”.
I piccoli restarono fermi dietro alla porta, senza dire neanche una parola, poi
scrutarono nella fessura sotto la porta e dissero: “No! Tu non sei la mamma, lei
ha le zampe bianche, le tue sono nere e anche la voce non è la sua”.
Il lupo, dopo aver udito le parole dei piccoli, andò a ritirarsi nella sua tana.
Là si versò della farina sulle zampe e si esercitò a lungo per imitare perfettamente
la voce della capra.
Dopo qualche tempo il lupo bussò di nuovo alla porta e ripeté le stesse parole; la
voce era uguale a quella della mamma e le zampe erano bianche. I piccoli non
ebbero dubbi e aprirono. Il lupo li mangiò tutti, poi andò a dormire nel bosco,
sotto un albero. Quando la madre tornò, non trovò più i suoi capretti. Povera
capra!
Era molto arrabbiata, ma capì subito di chi era la colpa, perciò andò dagli altri
animali e raccontò loro ciò che era successo. Tutti insieme andarono a cercare il
147
lupo. Quando lo trovarono, gli aprirono la pancia con un coltello, fecero uscire i
piccoli e la ricucirono dopo avervi introdotto tanti sassi pesanti.
Dopo di che lo gettarono nel pozzo.
Finalmente la capra fu molto felice e fece festa con i suoi piccoli accanto e con tutti
gli animali che l’avevano aiutata.
Daniela Benevell, Il tesoro invisibile. Favole, fiabe e racconti di 15 paesi, EMI, Bologna, 2003, pp. 5253.
RICETTE
Tajine con mele cotogne
Ingredienti (per 4-5 persone): 1 kg 1/2 carne d’agnello, 1 kg 1/2 di
mele cotogne, pepe, zafferano, 2 cipolle grandi fatte a pezzetti,
200 gr burro e sale.
Preparazione: tagliare la carne in pezzi di circa 150 grammi e metterla a bollire in
una pentola con il pepe, lo zafferano, una cipolla e il burro. Coprire il tutto con
acqua e cuocere con la pentola coperta, mescolando di tanto in tanto. A parte
tagliare le mele cotogne in quarti e togliere i semi senza sbucciarle. Quando la
carne è cotta, levarla dalla pentola e lasciarla da parte. Aggiungere al sugo di
cottura le mele cotogne, l’altra cipolla tagliata e il sale. Coprire a metà con
acqua. Fare ridurre il sugo. Rimettere la carne nella pentola e riscaldare. Servire
caldo.
POESIA
Abdellatif Laâbi è uno dei principali esponenti della letteratura
francofona marocchina. I temi e gli argomenti trattati nelle sue
poesie lo hanno messo in dura contrapposizione con il governo al
punto che ha dovuto scontare 8 anni di prigione in un carcere
riservato agli intellettuali dissidenti. È difficile trovare traduzioni
in italiano, se non in qualche antologia. L’unica sua opera pubblicata è un
romanzo: Ordalia (Selene, 1995). Qui di seguito si riportano i titoli delle sue
raccolte in francese: Race (1967), L’Arbre de fer fleurit (1974), Le Règne de la barbarie
suivi de Poèmes oraux (1976), Histoire des sept crucifiés de l’espoir (1977), Chroniques
de la citadelle d’exil (1978), Anthologie de la poesie palestinienne (1990), Pour les droits
de l’homme: histoire(s), image(s), et parole(s) (1989), Discours de la colline arabe
(1985), Je t’aime au rés de la mort (1988), L’Écorché vif: prosoèmes (1986), L’Oeil et la
nuit: roman itinéraire (1969), Le Baptême chacaliste (1987), Le Chemins des ordalies
(1987), Les Rides du lion (1989), Narration du déluge (1986), Saida et les voleurs de
soleil (1986), Sous le bâillon, le poéme: écrits de prison, 1972-1980 (1981), Tous les
déchirements (1990).
148
LETTERATURA
Prima del dominio del protettorato francese (1912-1956) le
lingue veicolari della letteratura in Marocco erano il tamazight
(berbero) e l’arabo nella sua forma dialettale parlata e in quella
scritta. Con l’inizio del protettorato, la lingua francese venne
adottata in modo radicale in tutto il sistema educativo e
contribuì alla nascita di diverse generazioni di intellettuali e scrittori (residenti
al paese o in seguito emigrati), che usarono esclusivamente la lingua francese
per esprimersi nelle loro opere. Questa tradizione letteraria francofona (come
anche quella nata in Algeria e in Tunisia) si è spesso fatta espressione
dell’opposizione al colonialismo e alla cultura coloniale e ha veicolato il
dramma identitario del paese colonizzato. Accanto a questo filone letterario
l’arabo e il tamazight restano importanti lingue veicolari della letteratura
marocchina. Uno dei temi che emergono maggiormente è quello del
bilinguismo e quindi delle implicazioni identitarie che questa condizione
comporta. Purtroppo si possono leggere pochi di questi libri tradotti in lingua
italiana.
Sul bilinguismo
Abd al-Kebîr Khatîbi (1938-), Amore bilingue (Edizioni Lavoro, 1992).
Sulla società marocchina post-coloniale e contemporanea
Driss Chraibi (Fèz 1926-) è uno degli iniziatori della letteratura moderna in
Marocco. Nel 1954 aveva pubblicato Le passé simple, un libro che causò grande
scandalo in Marocco e che segnò nel Maghreb una rottura pubblica del ruolo
dello scrittore moderno con l’ordine patriarcale e con il silenzio dei letterati
tradizionali sulla decadenza della propria società. Nell’ultimo periodo si sta
dedicando ad una letteratura di tipo satirico con la serie dell’ispettore Alì. Ecco
alcune sue opere tradotte in italiano: Nascita all’alba (Edizioni Lavoro, 1987),
L’uomo del libro (Zanzibar, 1995); L’ispettore Alì (Zanzibar, 1999), L’ispettore Alì e
il Corano (Marcos y Marcos, 2000).
Fatema Mernissi è nata a Fez in Marocco nel 1940 e vive tuttora in Marocco.
Docente di sociologia all’Università di Ravat Mohammed V, studiosa del
Corano e scrittrice, svolge da anni attività di ricerca con una particolare
attenzione al tema della donna e della cultura islamica. In Italia è una delle
scrittrici maghrebine più conosciute. Nei suoi libri c’è sempre il tentativo di
raccontare la sua cultura restituendola in tutta la sua complessità. Così facendo
combatte contro gli stereotipi che soprattutto nel mondo occidentale
impediscono di conoscere la società marocchina e araba in tutte le loro
articolazioni. Tra i suoi libri si ricordano: Chahrazad non è marocchina (Sonda,
1993), La terrazza proibita (Giunti, 1996), L’harem e l’Occidente (Giunti, 2000), Islam
e democrazia (Giunti, 2002), Karawan. Dal deserto al web (Giunti, 2004). Nel 2003
riceve a Oviedo l’importante premio spagnolo Principe delle Asturie.
Tahar Ben Jelloun è uno degli scrittori più noti, che attualmente vive a
Parigi. È anche uno dei più controversi perché alcuni lo accusano di
149
“esotizzare” la sua appartenenza agli occhi del lettore occidentale, il principale
destinatario delle sue opere. Nel 1987 ha vinto il premio Goncourt e i suoi libri
vengono tutti tradotti anche in lingua italiana. Si ricordano: Creatura di sabbia
(Einaudi, 1987), Notte fatale (Einaudi, 1998) Giorno di silenzio a Tangeri (Einaudi,
1989), Il razzismo raccontato a mia figlia (Bompiani, 1999), L’Islam spiegato ai nostri
figli (Bompiani, 2001).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Egitto, Albania all’Emilia Romagna: strutture, relazioni e bisogni educativi delle famiglie
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Fabietti U., Culture in bilico. L’antropologia del Medio Oriente, Bruno Mondadori, Milano,
2002.
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Venturini A., La scuola nei paesi d’origine dei bambini e dei ragazzi immigrati in Italia,
Cespi, Mursia, Milano, 2003.
150
SITOGRAFIA
www.mincom.gov.ma: sito ufficiale del
(presentazione paese, dati popolazione, ecc.).
Regno
del
Marocco
www.maroc-hebdo.press.ma/: edizione elettronica gratuita della rivista
(in francese) aggiornata ogni venerdì (la rivista è scaricabile in pdf). I
suoi archivi sono consultabili a partire dal 1987.
www.bibliomonde.net/pages/fiche-geo.php3?id_ent_geo=1:
sito
francese
di
documentazione su alcuni paesi del mondo tra i quali anche il Marocco. Per ogni paese
vengono tematizzati e discussi i principali argomenti (geografia, società, lingua, diritti,
popolazione, ecc.) con approfondimenti e link sempre aggiornati. Inoltre propone una
bibliografia tematica sulle più recenti pubblicazioni francofone sul paese, con brevi
recensioni.
www.imednet.it: sito di un’organizzazione italiana che coordina un progetto sui diritti
delle donne nel Maghreb cui è dedicata una parte del sito che raccoglie la relativa
documentazione sociologica e giuridica, per lo più in lingua francese.
www.mondeberbere.com/: sito dedicato alla lingua, alla cultura e alla società berbera
www.yabiladi.com/: rivista online in francese della diaspora marocchina nel mondo
www.webzinemaker.net/prana/index.php3: sito della rivista online emarrakesh.info,
fondata a Marrakesh.
www.saharawi.it/: sito italiano del coordinamento regionale toscano delle associazioni
che sostengono la causa saharawi. Il sito contiene delle sezioni di approfondimento
sulla storia e sul popolo saharawi.
151
DANZE
In Marocco si danza anche per pregare: chi desidera partecipare ai riti durante
le feste comandate, porta con sé gli strumenti e raggiunge i luoghi in cui si
prega con il canto e la danza. Quando iniziano le danze evocative di guarigione
si accendono le candele, si bruciano le essenze e si esibiscono veli di diversi
colori. I ritmi e le melooie più varie sollecitano gli spiriti a danzare fino allo
sfinimento affinché, esausti, abbandonino chi è malato.
152
Pakistan
di Daniele Cologna
DATI GENERALI
Divenuto indipendente in seguito alla partizione dell’Impero britannico
delle Indie nel 1947 per servire da patria per i musulmani dell’India (Pakistan
significa “il Paese dei puri”, ossia dei veri credenti) e ridotto alle sue dimensioni
attuali dopo l’indipendenza del Bangladesh (ex Pakistan Orientale) nel 1971,
l’odierna Repubblica Islamica del Pakistan comprende buona parte delle
regioni del Punjab e del Sindh (alcune zone di tali storiche regioni dell’India
fanno oggi parte dell’Unione Indiana) a Est e a Sud, il Baluchistan a Sud-Ovest,
le provincie autonome della frontiera Nordoccidentale con l’Afghanistan che si
estendono lungo i contrafforti dell’Hindukush, le possenti catene montuose del
Karakorum (dove si erge il K2, che con i suoi 8611 metri è la seconda vetta del
pianeta) e parte del Kashmir a Nord e Nord-Est. Il fiume Indo attraversa tutto il
paese, dallo spartiacque himalayano fino alla sua foce nel Mare Arabico, a
Karachi, formando un’ampia e fertile pianura alluvionale.
L’altopiano del Baluchistan è in buona parte arido e inospitale, mentre vaste
porzioni del Sindh Sud-Orientale sono costituite da deserto (deserto di Thar) o
da brughiere brulle d’erbe e arbusti (Rann di Kutch). Le zone montuose
dell’Hindukush e del Karakorum sono anch’esse piuttosto brulle a causa
dell’altitudine, delle caratteristiche del terreno, dilavato dagli impetuosi fiumi e
torrenti himalayani, e in virtù dell’intensa deforestazione alle altitudini
inferiori. La maggior parte della popolazione (150.694.740 persone nel 2003)
vivono nella valle dell’Indo e lungo un arco di aree urbanizzate che comprende
le grandi città di Faisalabad (2,2 milioni), Lahore (5,7 milioni), la capitale
Islamabad-Rawalpindi (3,7 milioni) e infine la grande megalopoli di Karachi
(10,5 milioni). Un milione circa di rifugiati afghani vive tuttora in campi
profughi lungo la frontiera afghano-pakistana.
153
Abitanti: 150.694.740 (2003).
Estensione geografica: 796.096 kmq.
Continente: Asia.
Densità di popolazione: 181 ab./kmq.
Incremento demografico: 2,4% (stima 2002-2015).
PIL: 64.340 milioni di $ Usa (2002).
Vita media: 61,0%.
PIL pro capite (PPA15)1: 1.940 dollari Usa.
Mortalità infantile: 83‰ (2002).
Lingua ufficiale: Urdu, inglese.
Altre lingue: punjabi, sindhi, pathan/pashto.
Alfabetizzazione: 46,6% (2004).
Religione: la religione di stato è l’Islam. I musulmani pakistani sono per il 75% sunniti,
per il 20% sciiti, un 5% di ismailiti seguaci dell’Agha Khan vive nella valle del fiume
Hunza, nel Karakorum. Sono presenti minoranze religiose cristiane (2%), induiste
(1,8%), sikh, parsi e buddhiste.
Gruppi etnici: Punjabi 52,6%, Pashtun/Pathan (popolazione di lingua afghana che
abitano la frontiera afghano-pakistana) 13,2%, Sindhi 11,7%, Saraiki (popolazione del
Punjab meridionale) 9,8%, Urdu 7,5%, altri 5,2%.
Regime politico: repubblica federale islamica retta attualmente da una giunta militare,
guidata dal generale Pervez Musharraf, al potere grazie al colpo di stato militare del
1999. La dittatura militare è stata legittimata nel 2002 da un referendum popolare. In
base a un emendamento alla Costituzione del 1998 la sharia (la legge coranica) e la
sunna (la tradizione islamica) sono considerate le leggi supreme dello stato.
LE FESTE PRINCIPALI
Il calendario pakistano celebra soprattutto le principali feste
islamiche, oppure commemora le date e le figure più
importanti della storia nazionale. Le feste musulmane seguono
il calendario lunare di 354 giorni, mentre quelle nazionali
seguono il calendario solare. L’inizio del nuovo mese è stabilito
quando in cielo appare la falce sottilissima della nuova luna: è in base alla
testimonianza oculare da parte dei capi religiosi che si dichiara l’inizio ufficiale
di ogni nuovo mese, procedura importante soprattutto per indicare l’inizio del
mese di Ramadan. In alcuni casi l’inizio del mese di Ramadan può venire
spostato di un giorno, a discrezione delle autorità religiose (per esempio a causa
del cattivo tempo).Vengono celebrate anche molte sagre e feste popolari locali
15
Il parametro della “Parità di Potere d’Acquisto” (PPA) espressa in dollari permette di confrontare la
capacità d’acquisto del prodotto interno lordo eliminando le distorsioni di cambio e di prezzo che si
generano quando il reddito nazionale viene convertito ai cambi correnti.
154
nelle diverse zone del paese, in date fissate dalle amministrazioni locali. Le
principali feste religiose pakistane sono:
SHAB-E-BARAT O NOTTE DELL’EMANCIPAZIONE: festa religiosa che cade tra
novembre e dicembre, ovvero nella notte del quindicesimo giorno del
mese di Shaaban, l’ottavo mese del calendario dell’Egira. Shab-e-Barat è
un termine di origine persiana (il corrispettivo arabo è Lailatul bara’at),
che significa letteralmente “la notte dell’emancipazione” o “la notte
dell’incarico”. Tra i musulmani del subcontinente è considerata una notte
di buon auspicio e si crede che la corretta osservanza dei riti religiosi – in
particolare della preghiera – in questa notte stabilisca il destino delle
persone nell’arco dell’anno che verrà. Se si prega per ottenere il perdono
divino nel corso di questa notte, esso verrà accordato. Si festeggia
dunque con preghiere e meditazioni nelle moschee, ma anche
illuminando le case e le strade con candele e lumini elettrici, mentre la
gente si scambia pani e dolci, distribuendone ai poveri e cogliendo
l’occasione per far visita agli amici. I più devoti durante il giorno
digiunano.
EID-UL-FITR (“FESTA DELLA FINE DEL DIGIUNO”) O CHHOTI EID (“PICCOLA FESTA”):
importante festa religiosa che conclude il digiuno del mese di Ramadan.
Consiste in due o tre giorni di celebrazioni che festeggiano la fine del
digiuno con banchetti per parenti e amici. L’intero paese è in festa, le
scuole sono chiuse, gli adulti non vanno al lavoro e ci si scambiano visite
e regali. Di grande importanza è l’elemosina ai poveri, che in
quest’occasione viene praticata su vasta scala. L’alba del primo giorno
dell’Eid-ul-Fitr viene celebrato solennemente con speciali preghiere.
Solitamente si celebra nella terza decade del mese di gennaio.
EID-UL-AZHA O BARI EID (“FESTA DEL SACRIFICIO”): celebrazione che ricorda il
sacrificio di Abramo ma che segna anche il periodo del pellegrinaggio
alla Mecca (haj). Chi può comprare un animale (pecora, cammello o bue a
seconda delle possibilità economiche) lo macella secondo il rito halal e ne
divide la carni con i parenti e con i poveri. Si celebra con preghiere dopo
il tramonto il decimo giorno di Zilhij, il dodicesimo mese del calendario
islamico, e quindi con il sacrificio degli animali. Famiglie ricche e
benestanti in quest’occasione fanno sfoggio di munificenza, macellando
molti animali e nutrendo più famiglie possibile.
ASHURA O COMMEMORAZIONE DEL MARTIRIO DI HUSSAIN: commemorazione da
parte dei musulmani sciiti, seguaci di Ali (cugino e genero del Profeta) e
di suo figlio Hussain, la cui morte è avvenuta nella piana di Karbala
(nell’odierno Iraq) nel 680 d.C. A partire dal decimo giorno del mese di
Muharram, undicesimo mese del calendario musulmano, gli sciiti
osservano quaranta giorni di lutto, e inaugurano tale periodo con
processioni – spesso aperte da un cavallo bianco sciolto – in cui uomini e
ragazzi si battono il petto e cantano i nomi delle vittime di Karbala. Tra
loro vi sono anche i flagellanti che praticano lo zuljinnah, ovvero si
frustano la schiena in onore del martire Hussain brandendo catene alle
155
quali vengono attaccate delle lame. La festa, che i sunniti osservano
ostentando riserbo, dura due giorni ed è spesso occasione di tensioni tra
sciiti e sunniti. Di norma cade nel mese di febbraio del calendario solare.
EID-MILAD-UN-NABI: festa che commemora la nascita del Profeta Mohammad,
giorno dedicato soprattutto alla preghiera. Cade il dodicesimo giorno del
mese di Rabi-ul-Awwal, il terzo mese del calendario islamico,
generalmente in aprile secondo il calendario giuliano. Si ritiene che il
Profeta sia nato e morto nello stesso giorno, per cui la celebrazione ha più
un tono di raccogliemento spirituale che di festeggiamento vero e
proprio.
Le feste nazionali sono invece: il Pakistan Day, che ricorre il 23 marzo del
calendario solare e celebra l’anniversario della Pakistan Resolution del 23 marzo
1940, documento che segna l’inizio dell’idea nazionale pakistana. Si tengono
parate militari a Islamabad e nei capoluoghi di provincia; il primo maggio, festa
internazionale dei lavoratori; Festa dell’Indipendenza (14 agosto) del Pakistan
(Independence Day); festa della Difesa (6 settembre); commemorazione della
morte di Mohammad Ali Jinnah, o Quaid-i-Azam, il fondatore della patria (11
settembre); nascita di Allama Mohammad Iqbal (9 novembre) il poeta
nazionale pakistano; anniversario della morte di Jinnah (25 dicembre).
IL SALUTO: quando ci si incontra, si saluta con il classico saluto musulmano:
as-salâmu alaikum, “che la pace sia con te”. Quando si va via si dice: xudâ hâfiz,
“che Dio ti benedica”. Gli uomini si salutano tra loro piegando lievemente il
busto in avanti, porgendo la mano destra e portando la sinistra al petto, sul
cuore. Le donne salutano generalmente solo con un cenno del capo, senza
contatto fisico.
CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE
All’ospite si offre generalmente del chai, ossia tè nero di
varietà broken orange pekoe, speziata con cardamomo verde,
cannella, bollito insieme a latte e fortemente zuccherato. Nelle
province di frontiera del Nord-Ovest, tra le popolazioni
pashtun, si usa bere tè verde persiano speziato con un mix di
cardamomo verde, erba limone (citronella, Cymbopogon citratus) e zucchero
cristallizzato pestato in un piccolo mortaio.
156
IMMIGRAZIONE IN ITALIA
L’emigrazione pakistana ha cominciato a includere l’Italia tra
le sue mete solo a partire da quella concomitanza di fattori che ha
strutturato anche l’immigrazione da altri paesi del subcontinente
indiano: la crisi del sistema migratorio del Golfo, nei cui paesi i
lavoratori pakistani erano in assoluto i più presenti fin dagli anni
Settanta e dov’erano impiegati soprattutto nell’edilizia; l’irrigidimento della
legislazione relativa all’immigrazione nei paesi occidentali in cui la diaspora
pakistana è più forte (Regno Unito, Francia e, per i rifugiati politici: Svizzera e
Germania) e la sanatoria del 1990 in Italia a seguito della cosiddetta “legge
Martelli”. L’esportazione di manodopera in Pakistan interessa soprattutto
punjabi musulmani originari della provincia di Gujrat, provenienti
prevalentemente dalla città di Jhelum e dal piccolo centro di Puran. Gujrat è
una provincia a prevalente vocazione agricola, molto fertile, dalla quale
migrano principalmente persone appartenenti alla casta jat dei piccoli
proprietari terrieri. L’immigrazione pakistana in Italia, sebbene numericamente
ancora piuttosto contenuta, è un fenomeno migratorio in rapida crescita, grazie
al progressivo radicamento degli immigrati maschi (tuttora la maggioranza
netta degli oltre trentamila pakistani presenti in Italia alla fine del 2003).
L’immigrazione pakistana in Italia, sebbene numericamente piuttosto
contenuta è un fenomeno migratorio in rapida crescita, grazie al progressivo
radicamento degli immigrati maschi (tuttora la maggioranza netta dei presenti),
dell’afflusso costante di loro connazionali e dell’aumento dei ricongiungimenti
familiari. La decisione di riunirsi al coniuge e ai figli è spesso posticipata a
lungo, in virtù della diffusa convinzione che le donne non debbano lavorare (ne
consegue la necessità di trovare occupazioni che offrano redditi stabili e
piuttosto elevati), mentre la numerosità della prole spinge ad investire
nell’acquisto (piuttosto che nell’affitto, troppo oneroso) di abitazioni di
dimensioni adeguate. L’inserimento lavorativo avviene soprattutto nella
ristorazione, nell’edilizia e nell’industria, con una limitata creazione di piccole
imprese (telefonia mobile, pulizie, ristoranti, commercio all’ingrosso). Con i
bengalesi e gli indiani, i pakistani sono tra più attivi promotori della cucina
indiana in Italia. Coloro che possono permettersi di avviare un’impresa sono
però ancora una ristretta minoranza. Per molti pakistani l’essenziale è infatti
garantirsi un lavoro subordinato stabile e in regola al fine di rendere possibile,
nel tempo, il ricongiungimento familiare.
Gli immigrati pakistani sono in netta prevalenza musulmani (pur con una
sporadica presenza di hindu e sikh) e frequentano le moschee e le sale di
preghiera presenti nelle maggiori città italiane e in alcune aree decentrate dove
la presenza pakistana (o di altri immigrati islamici) è particolarmente forte. Per
via del lavoro, alla frequentazione dei luoghi di culto, come pura alla stretta
osservanza della preghiera cinque volte al giorno gli immigrati pakistani,
dedicano però generalmente poco tempo e vi si recano soprattutto in occasione
delle feste islamiche. Nella sfera privata la religione gioca un ruolo molto
importante, ed è una fonte primaria di orientamento etico-valoriale nella vita
157
quotidiana e familiare degli immigrati pakistani. Rispetto al rapporto tra i
coniugi e quello tra genitori e figli hanno però un peso notevole anche le
consuetudini e le tradizioni del contesto rurale d’origine, con una forte enfasi
sui valori della famiglia e una visione piuttosto conservatrice del ruolo della
donna. Le donne conducono pertanto una vita molto ritirata, escono raramente
di casa e lamentano la mancanza della vita comunitaria femminile che ne
strutturava la quotidianità in patria. In alcuni contesti italiani le mogli degli
immigrati pakistani cercano di ricostruire abitudini di vita precedenti
dedicando alcuni pomeriggi alla settimana al ritrovo con le amiche (a volte a
sfondo religioso). Come per quasi tutte le popolazioni del subcontinente
indiano, anche tra i pakistani si propende per il matrimonio combinato dei
propri figli, e soprattutto delle proprie figlie. La speranza di assicurare alle
figlie un buon matrimonio preoccupa coloro che si ricongiungono con figlie
prepuberi, tanto da far loro considerare il rimpatrio al solo scopo di non esporle
alle abitudini culturali e sociali italiane in ambito affettivo-relazionale. In virtù
dell’elevata incidenza del lavoro subordinato alle dipendenze di italiani, tra i
pakistani maschi la conoscenza della lingua italiana è piuttosto diffusa e il loro
processo di acculturazione non subisce più i contraccolpi della barriera
linguistica. I lavoratori pakistani si adeguano rapidamente alle condizioni di
lavoro di cui sembrano aver sposato l’etica del lavoro senza grandi difficoltà.
Il vero terreno di incontro/scontro per l’integrazione delle famiglie
pakistane sembra dunque essere quello dell’educazione dei figli e soprattutto
delle figlie, che è del resto un passaggio critico del processo d’integrazione per
tutte le minoranze musulmane in Italia. Ancor più che per gli indiani hindu
osservanti, la crescita dei propri figli in una società come quella italiana –
giudicata eccessivamente permissiva – è vissuta come potenzialmente
pregiudizievole per la loro buona educazione e caratterizzata da elevati rischi di
“corruzione”. I genitori temono che i propri figli – e soprattutto le proprie figlie
– possano essere “sviate”, dimenticando l’onore e gli affetti familiari per
abbracciare l’individualismo e il materialismo volgare che vedono imperare
nella società d’arrivo. Ricerche empiriche svolte in specifici contesti italiani
testimoniano di una sostanziale armonia tra la visione del mondo dei genitori e
quella dei figli: la famiglia era percepita come l’elemento di maggior definizione
della realtà e della propria esperienza di vita, fulcro della sfera affettiva e punto
d’arrivo dei propri progetti personali. L’idea di poter contravvenire al dettato
normativo dei genitori o di tradire la loro fiducia era generalmente respinta,
nella convinzione che fosse indispensabile mediare tra le proprie aspirazioni
personali e quelle familiari. Si ha dunque l’impressione che i tempi non siano
ancora maturi perché certe contraddizioni si manifestino, come è invece già
accaduto in altri contesti, né sembra necessario prospettare un futuro di scontri
e traumi familiari. Tuttavia, problematiche di questo genere portano le
dinamiche familiari ad intrecciarsi con l’esigenza di tutelare i diritti dei minori
e, in questo senso, si tratta di questioni che chiamano in causa l’intera società
civile.
158
MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI
L’impegno primario dei genitori pakistani è quello di fare dei
propri figli, sia maschi che femmine, dei “buoni musulmani”:
un’enfasi particolare è posta dunque sull’educazione religiosa, sia
attraverso la frequentazione di scuole coraniche sia, soprattutto,
attraverso l’opera di trasmissione dei valori fondamentali della
tradizione religiosa – ma anche familiare e tribale – da parte dei genitori. Le
madri sono investite di questo ruolo forse più ancora dei padri, e in particolare
rispetto alle figli. Tra i punjabi di casta jat, che sono maggioritari tra gli
emigranti, assume particolare importanza il concetto di hizzat, “onore”, che
assume valenze diverse per maschi (in particolare per i maschi primogeniti, cui
passa la titolarità dei terreni di proprietà del lignaggio) e per le femmine. Se per
i primi l’imperativo è quello di contribuire al benessere economico della
famiglia con il proprio lavoro o con una formazione migliore di quella ricevuta
dai padri, per le femmine è importante emulare le virtù di moralità, pudore,
riservatezza incarnate dalle madri. La corretta “gestione” delle figlie femmine,
cui è necessario assicurare una dote adeguata per salvaguardare il prestigio
familiare, è uno dei principali propulsori degli sforzi rivolti alla mobilità sociale
da parte dei figli. Lo svezzamento e la cura dei figli piccoli è considerata una
mansione prettamente femminile, che vede impegnate tutte le donne di un
nucleo familiare, sia esso poligamico o monogamico. Alle figlie più grandi si
chiede di affiancare la madre/le madri nelle faccende domestiche e nella cura
dei bambini. I padri sono invece maggiormente chiamati in causa rispetto alla
corretta introduzione in società dei figli maschi, che vanno resi edotti delle
consuetudini tribali locali e cui si richiede una condotta che non rechi mai
detrimento al buon nome del genitore. Cortesia, buone maniere e un
atteggiamento di riserbo sono considerati attributi desiderabili sia per i maschi
che per le femmine. Se per i primi è possibile tollerare qualche trasgressione
giovanile (occasionale consumo di alcolici, fumo, frequentazione di case di
tolleranza), ma sempre entro i limiti di ciò che è convenzionalmente accettato,
per le seconde la retta condotta e la buona reputazione sono spesso le sole
garanzie per un buon matrimonio. Dai figli maschi ci si aspetta anche un forte
senso di dignità personale, un contegno marziale rispetto alle esigenze di difesa
del paese (fortemente militarizzato) e un atteggiamento di deferenza nei
confronti delle autorità religiose. Il ruolo delle madri e delle donne anziane
della famiglia come custodi della tradizione è considerato cruciale per i figli di
ambo i sessi fino alla pubertà, poi il padre tende ad occuparsi del matrimonio
delle figlie e dell’educazione dei figli maschi alla vita adulta e lavorativa.
Rispetto alla cura dei bambini, la società pakistana si presenta ancora molto
arretrata, come testimonia l’alto livello di mortalità infantile. Campagne di
controllo demografico, che invitano le madri a diradare le gravidanze e
mantenere basso il numero dei figli, hanno finora avuto scarso successo. Per la
maggior parte delle madri è difficile avere accesso a cure mediche e
ginecologiche adeguate, mentre le cattive condizioni igieniche in cui versano la
159
maggior parte degli agglomerati urbani e la scarsità di acqua potabile rendono
particolarmente delicati i primi anni di vita dei bambini.
MODELLI DI CURA
In Pakistan il sistema medico nazionale è assai carente e
disorganizzato. Dispensari e ambulatori specialistici pubblici e privati
offrono prestazioni di basso profilo, tranne che nelle maggiori città.
Per questo motivo nei villaggi delle aree rurali alla difficoltà di accesso
a strutture che offrono trattamenti medici moderni si tende tuttora a
sopperire con forme indigene di trattamento medico, che peraltro tendono ad
affiancare la prassi medica di derivazione occidentale anche nelle città. L’unanitibb (“medicina greca”, in arabo), detta anche islami-tibb (“medicina islamica”) è
una rielaborazione della medicina galenica riveduta e arricchita dall’esperienza
medica dei dottori musulmani. Questa prassi terapeutica ricorre a preparati
d’erbe per bilanciare gli umori del corpo e i medici tradizionali, gli hakim, sono
formati in scuole di medicina islamica o ne imparano i rudimenti da membri
della famiglia che trasmettono tale sapere di generazione in generazione1. I
preparati della medicina islamica sono spesso offerti parallelamente ai farmaci
occidentali in molti dispensari. L’omeopatia, considerata “la medicina
occidentale dei poveri” gode parimenti di un certo seguito nel paese. A ciò si
aggiungono varie forme di terapia di matrice religiosa: le cure profetiche, per
esempio, si basano sugli hadith (“detti”) del Profeta riguardanti l’igiene e la
saluta fisica e morale. In questo caso si amministrano cure molto semplici,
basate sull’assunzione di miele e dei suoi derivati, di alcune erbe e sulla
preghiera. Alcuni religiosi conservatori suggeriscono addirittura che il fare
affidamento su rimedi diversi della preghiera indichi una carenza di fede,
mentre altri osservano che il Profeta stesso dichiarò le medicine un dono
d’Allah per la salute degli uomini. Una forma popolare di terapia religiosa
molto diffusa è l’adozione di formule ed amuleti per proteggere se stessi e i
propri cari dal maligno. I taweez, amuleti che contengono versetti del Corano, o
l’intervento di un pir, un uomo santo (che può essere ancora vivente o morto),
sono generalmente considerati in grado di farsi tramite della benedizione di
Allah per il sollievo delle pene di chi soffre.
MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE
DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE
In Pakistan la separazione dei sessi viene introdotta e rafforzata
fin dalla prima infanzia, e bambini e bambine vivono modalità e
contesti di aggregazione e socializzazione nettamente distinti fin
dalla scuola elementare. La maggior parte delle bambine in età
puberale vive perlopiù segregata in casa fino al matrimonio: deroghe a
tale prassi sono possibili solo sotto la costante vigilanza dei fratelli, dei genitori
o delle sorelle maggiori sposate. La socialità di bambini e bambine è dunque
160
prevalentemente monoetnica. Per le bambine, essa ha luogo normalmente in
contesti protetti (casa propria o di parenti, qualche volta di amici di famiglia). I
bambini godono di una socialità nettamente più libera e di livelli di autonomia
maggiori, cui sono socializzati sin dalla più tenera età, contribuendo al reddito
familiare con il proprio lavoro, sia alle dipendenze del padre che di altri adulti.
MODELLI E STILI FAMILIARI
RUOLO DEI GENITORI: il capo indiscusso della famiglia è il
padre: a lui spettano il diritto delle decisioni e il dovere del
sostentamento: le donne infatti non lavorano, salvo in rari casi e
soltanto nei centri urbani o in villaggi fortemente impoveriti. Una
volta raggiunta l’età adulta il maschio primogenito acquista
notevoli poteri all’interno della gerarchia familiare, divenendo di fatto il vicario
del padre. Dato che la proprietà paterna deve restare sempre unita, ai figli
cadetti si richiede in genere di lavorare alle dipendenze del primogenito o di
emigrare per contribuire al benessere e al prestigio familiare lavorando nelle
città o all’estero. La gestione della casa e l’educazione della prole è invece
compito delle madri, con l’aiuto delle altre donne della casa (nuore e figlie
piccole). La poligamia è consentita ma è economicamente assai onerosa e non
sono molti gli uomini che possono permettersi di mantenere un nucleo
familiare che conti più di una moglie. Gli anziani della famiglia sono trattati con
grande rispetto e alla coesione della famiglia si attribuisce un valore primario.
VITA SOCIALE DELLE FAMIGLIE: la famiglia è, assieme alla religione
musulmana, alla base della struttura sociale pakistana. All’interno della
famiglia si svolgono tutte le più importanti fasi della vita dell’individuo, dalla
nascita, al matrimonio, alla morte. L’organizzazione della famiglia è di tipo
esteso, patriarcale e patrilocale. L’intero lignaggio patrilineare si trova raccolto
in un’unica unità abitativa, dove convivono padre e madre, i figli, le nuore e i
nipoti, con l’eccezione delle figlie che, una volta sposate, lasciano la casa del
padre per andare a vivere nella casa del marito. Anche se nelle grandi città è in
atto una progressiva nuclearizzazione delle famiglie, questo vale solo per meno
di un quarto della popolazione. La maggior parte degli eventi sociali
coinvolgono l’intero gruppo familiare, bambini compresi, per cui la famiglia
tende sempre a muoversi come un’unità compatta, mentre la socialità aperta di
tipo routinario (frequentazione delle moschee, vita pubblica e politica, ecc.)
resta appannaggio dei maschi adulti. Le famiglie pakistane tendono a essere
molto numerose perché l’uso di contraccettivi è tuttora sporadico e i figli sono
visti come un dono di Allah. Le famiglie più abbienti vivono in grandi ville,
bungalow o appartamenti con molte stanze, spesso dotati di servitù. Quelle più
povere, per contro, vivono in abitazioni di due o tre stanze e in condizioni di
grande sovraffollamento. Dato che tali abitazioni spesso non hanno acqua
corrente né sono dotate di servizi igienici, mentre nelle cucine si impiegano
piccoli fornelli a kerosene fortemente inquinanti, le condizioni alloggiative della
161
maggior parte delle famiglie sono insalubri e fonte di malesseri e malattie
soprattutto per i bambini piccoli. Il bucato si fa ancora soprattutto lungo i
banchi di fiumi e torrenti, oppure in mastelli in cui si trasporta a mano l’acqua
dei pozzi.
SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI
La Costituzione del 1973 stabiliva il diritto all’istruzione
primaria – che in Pakistan comprende solo le elementari e va dai 5
fino ai 10 anni – gratuita per tutti. Il governo di Zulfiqar Ali Bhutto
(1972-1977), di orientamento socialista, nazionalizzò tutte le scuole
tranne quelle missionarie cristiane e promosse l’istruzione di
massa, ma tale politica si scontrò fin da subito con il carattere prevalentemente
agrario, conservatore e tribale del paese. Con il colpo di stato militare del
generale Zia (appoggiato dagli Stati Uniti) e l’avvento della legge marziale nel
1977 tale politica venne abbandonata, le scuole vennero nuovamente
privatizzate, soprattutto nei maggiori centri urbani. Le scuole statali, in
particolare nelle aree periferiche, subirono un forte degrado. La turbolenta
politica interna pakistana, con il suo alternanrsi di governi autoritari e dittature
militari ha impedito la formulazione di programmi scolastici coerenti e
decurtato drasticamente la spesa per l’istruzione, ampliando il divario tra gli
strati più agiati della popolazione e le grandi masse povere. Oggi il Pakistan è
uno dei paesi in via di sviluppo con il più basso tasso di alfabetizzazione,
soprattutto per le donne: inferiore al 30% secondo le stime dell’UNDP, esso
sarebbe invece inferiore al 10% nelle aree rurali, dove in virtù di tradizioni
familiari e religiose molto conservatrici si ritiene che le donne dovrebbero
occuparsi unicamente di faccende domestiche e dunque non vengono mandate
a scuola. La cura dei bambini in età inferiore ai 5 anni è demandata alle famiglie
e non esiste scuola materna, tranne qualche istituto privato ad uso delle classi
più abbienti.
La frequenza della scuola elementare è rimasta gratuita e obbligatoria, ma
solo il 77% dei maschi completa i cinque anni previsti, mentre il 60% delle
ragazze non supera i due anni e mezzo. Il governo pakistano sta incrementando
gli investimenti per lo sviluppo della scuola primaria e secondaria, soprattutto
rispetto alle scuole urbane, sforzandosi di integrare le scuole islamiche nel
sistema educativo nazionale. Inoltre, la politica attuale tende a incentivare la
partecipazione di ONG internazionali nella gestione e nella valutazione di
alcune scuole. Tuttavia, la spesa per l’istruzione in termini di quota del
prodotto interno lordo è passata soltanto dallo 0,8% dell’inizio degli anni
Novanta all’attuale 1% e questi provvedimenti incidono poco o nulla sulle
condizioni del 70% della popolazione che vive nelle campagne, in villaggi in cui
le lezioni spesso si tengono all’aperto, condotte da insegnanti mal pagati che
fanno riferimento a programmi arretrati. L’alternativa sono le scuole islamiche
(madrasse), dove però il curriculum si orienta soprattutto sullo studio del
Corano e della letteratura religiosa, lasciando poco spazio allo studio della
162
matematica e delle scienze e poco o nessuno spazio all’insegnamento delle
lingue straniere (a parte l’arabo classico e un po’ d’inglese). Dopo l’undici
settembre gli Stati Uniti hanno imposto al Pakistan condizioni più severe per
l’erogazione di aiuti allo sviluppo dell’istruzione, chiedendo che nelle scuole
coraniche si vietassero gli appelli alla jihad e si esercitasse un controllo più
stretto sul programma di studi. Nelle città le scuole pubbliche vivono problemi
analoghi, ma possono almeno contare su un infrastruttura migliore (aule,
laboratori, palestre). La classe media abbiente ricorre di norma a costose scuole
private, avviate da uomini d’affari locali. Nella scuola pubblica, come in quella
privata (ma non in quella islamica) la lingua d’insegnamento ufficiale è
l’inglese: l’intento è quello di avvicinare la nuova generazione al resto del
mondo, ma questa scelta penalizza inevitabilmente la piena padronanza
dell’urdu. In generale, l’Unesco rileva come il sistema scolastico pakistano
pubblico (ma quello privato non si trova in condizioni molto migliori) si affidi
ancora a programmi d’insegnamento poveri e superati, avvalendosi di docenti
poco qualificati, costringendo gli alunni in classi caratterizzate da forte
sovraffollamento o totalmente carenti di infrastrutture, e tolleri ampiamente le
punizioni corporali.
La struttura del sistema scolastico per scuole pubbliche e private è identico:
sono previsti cinque anni di elementari, di scuola media e due di scuola
superiore. Terminati undici anni di studio si affronta un esame chiamato
matriculation (anche detto matric, simile alla nostra maturità), interamente
gestito dallo stato, superato il quale si accede al college (vi riesce meno del 2%
degli studenti), che dura due anni. Una volta superato l’esame di diploma
(batchular, ovvero bachelor’s degree, che può essere di orientamento umanistico o
scientifico) che conclude il college, un punteggio alto può dischiudere le porte
delle università (cui approda meno dell’1% degli iscritti alla scuola primaria),
che sono dislocate sull’intero territorio (ogni provincia ne possiede almeno una)
e sono organizzate secondo il modello anglosassone del campus in cui gli
studenti risiedono tutti insieme in appositi alloggi collettivi. Il Ministero
federale dell’Educazione coordina formalmente l’istruzione fino al livello
intermedio (ossia fino al termine del college).
VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE
La società pakistana è fortemente influenzata dalla religione e
dalle tradizioni familiari locali, e di questo risente moltissimo
la vita comunitaria e il rapporto tra i sessi. La vita pubblica è
appannaggio pressoché esclusivo degli uomini, mentre le
donne sono soggette a un regime di vita rigorosamente
distinto da quello maschile in virtù di una serie di costrizioni legate alla
religione, al sistema sociale, alla classe sociale ed alla casta di appartenenza,
nonché agli usi e costumi del contesto locale. A dominare le relazioni di genere
in Pakistan è l’indiscusso assunto dell’inferiorità della donna rispetto all’uomo e
all’importanza che le azioni delle donne all’interno di un gruppo familiare si
163
ritiene possa esprimere rispetto alla salvaguardia dell’onore degli uomini che lo
dominano: la responsabilità primaria per il mantenimento dell’onore è dunque
delle donne, sottoposte per questo motivo a una costante vigilanza da parte
degli uomini della famiglia, ma anche della società locale. Per evitare il rischio
del disonore, il sistema sociale pakistano imbriglia le relazioni di genere e la
vita comunitaria nell’insieme di consuetudini e codici di comportamento e di
vestiario conosciuto come purdah, “velo”. Il termine purdah indicava
originariamente la tenda che nelle abitazioni separava lo spazio delle donne da
quello degli uomini, sottraendole agli sguardi degli estranei della famiglia. Oggi
indica sia il velo – che in Pakistan assume varie fogge, da quello che lascia
scoperto il viso, in uso nello Hunza e nelle maggiori città, al burqa che copre
l’interamente le fattezze somatiche della donna – sia l’insieme di prassi
quotidiane che assicurano la separazione tra i sessi: spazi riservati in tutti gli
edifici pubblici, sui mezzi di trasporto, nei locali in cui è ammessa la presenza
femminile, ecc. Queste misure sono concepite come una forma di protezione
della dignità femminile, ma si traducono in una forte invisibilità della donna
nella sfera pubblica e ad una severa limitazione della sua autonomia personale.
Gli unici uomini con cui le donne possono avere legittimamente contatto sono il
padre, i fratelli, i suoceri, gli zii paterni e i cognati – ma non, per esempio, i
cugini da parte di madre. Soprattutto nelle zone rurali le donne lasciano la casa
paterna solo per sposarsi, per non muoversi quasi mai dalla casa del marito
successivamente al matrimonio. Nelle aree più povere del Punjab e del Sindh,
così come presso gli ismailiti dello Hunza, le donne godono di maggiore
autonomia, poiché sono costrette a contribuire al sostentamento della famiglia
piantando il riso, allevando i polli, vendendono le uova nei mercati,
fabbricando piccoli oggetti d’artigianato, ecc. Nelle città, palazzi stretti di molti
piani (haveli) sono concepiti in modo tale da poter ospitare famiglie estese che
contano molte generazioni, in modo da poter salvaguardare la sfera privata
familiare e offrendo alle donne spazi esclusivi. Nelle grandi metropoli pakistane
la segregazione femminile è temperata dalla minore rilevanza dei rapporti di
vicinato, ma resta nondimeno significativa. Ancora nei prima anni Novanta
risulta attivo in ambito lavorativo solo il 10% delle donne. Uno sparuto ma
agguerrito movimento femminista pakistano lotta fin dai primi anni Novanta
per promuovere una maggiore partecipazione sociale da parte delle donne: ne
sono le alfieri l’avvocatezza Asmà Jehanghir, responsabile della rete di advocacy
Aghs, costituita soprattutto da professioniste di estrazione alto-borghese, e
Fatima Kassim, direttrice del movimento Bedari (“Consapevolezza”), che nel
1992 ha avviato una rivoluzionaria campagna contro la pedofilia, grande tabù
in tutte le società musulmane.
STILI ALIMENTARI
La cucina pakistana mescola influenze culinarie
mediorientali, persiane, afghane e indiane. L’alta scuola
culinaria è quella Mughlai, la cucina di corte degli
imperatori moghul. L’alimentazione delle masse povere
164
della popolazione è però molto semplice: roti (pane), chawal (riso), sabzi
(verdure) e gosht (carne) sono i quattro componenti del tipico pasto pakistano. Il
pane nan (diffuso in tutto il Vicino e Medio Oriente, nonché in tutta l’Asia
centrale), cotto applicando dischi piatti di pasta alle pareti interne di grossi
forni a legna del tipo tandoor (forni di terracotta), è in assoluto il pane più
comune e viene consumato praticamente ad ogni pasto. Molto diffusi sono
anche chapati e paratha, sorta di piadine senza lievito, che si spezzettano per
raccogliere verdure e carni con le mani. L’alimentazione di tutti i giorni risente
soprattutto di influenze mediorientali e dell’India settentrionale: pollo, agnello
e gamberi vengono cotti in piccantissime salse al curry e accompagnati sempre
da un ampia scelta di verdura, riso e pane. Il riso si mangia spesso bollito senza
alcuna aggiunta, ma può essere anche preparato come biryani, ossia cotto in una
salsa di yogurt e carne speziata allo zafferano. A base di riso è anche il Kheer,
una pappa semiliquida speziata con cardamomo, chiodi di garofano e cannella.
Le carni sono consumato con salsa al curry o grigliate in un forno tandoor. Piatti
a base di carne tipici dell’alimentazione quotidiana sono il kebab (spiedini di
carne d’agnello), il tikka (bocconcini di carne grigliata, solitamente di pollo,
molto piccanti), il korma (bocconcini di carne brasati al curry e conditi con un
sugo ricco d’olio) e il pulao (riso cotto con carne). Gli spuntini piccanti più
comuni sono le samosa, triangoli di pasta fritta ripieni di patate o di altre
verdure, e le pakora, un composto di verdure, cipolla e prezzemolo spolverato
con farina di ceci e fritto in olio di semi. L’ampio uso di spezie si deve alla
necessità da parte delle genti tribali delle campagne di dare maggior corpo a
pietanze povere e di stimolare la sudorazione per meglio sopportare il clima
caldo. Il cibo dev’esser halal, e naturalmente non si consumano né pietanze a
base di carne di maiale, né alcolici. A fine pasto si consumano i barfi, dolcetti a
base di latte essiccato, prodotti in un infinità di gusti. Dopo aver terminato il
dolce è uso concludere masticando il paan, una mistura di pasta di tabacco,
spezie, noci di areca e calce avvolta in una foglia di betel, il cui effetto eccitante
si ritiene agevoli la digestione. Nel corso della giornata ci si rinfresca con il lassi,
una deliziosa bevanda speziata a base di latte e yogurt, bevuta freddissima,
oppure con succo di canna da zucchero o di vari frutti. Ma la bevanda di
maggior consumo quotidiano è certamente il chai, il tè nero al latte speziato e
zuccherato lascito della dominazione anglosassone.
RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA
NASCITA: il rito più importante per il neonato di sesso
maschile è la circoncisione, che viene eseguita in osservanza al
dettato coranico. Dopo sette giorni dalla nascita, la famiglia
celebra una cerimonia chiamata aqeeqa, una festa familiare di
benvenuto per il nascituro.
Matrimonio: in Pakistan il matrimonio è considerato l’evento cardine della vita
sociale degli individui, in particolar modo per le donne: “sistemare”
adeguatamente le proprie figlie è il principale assillo dei padri pakistani e ne
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condiziona significativamente le scelte anche in emigrazione. L’età media delle
spose è di vent’anni. L’unione è generalmente combinata dalle famiglie, la
tradizione prescrive infatti che siano i genitori o, in loro assenza, i legittimi
tutori (wali) dei giovani a dirigere i negoziati e porre termini e condizioni per il
matrimonio. La scelta del coniuge viene generalmente operata all’interno della
cerchia patrilineare (baradari) o matrilineare, preferibilmente tra cugini di primo
grado, poiché la parentela si ritiene possa cementare un legame che dovrà
comunque evolversi gradatamente nel tempo, offrendo maggiori garanzia per
la composizione di eventuali controversie o incompatibilità. Tra le famiglie più
progressiste, si ritiene comunque importante ottenere il consenso dei diretti
interessati, ma le unioni basate su di un’autentica libera scelta del partner sono
rarissime. Non sono ammessi contatti tra gli sposi prima del matrimonio, se non
in situazioni condizionate dalla stretta vigilanza della famiglia. La ricerca fuori
dal gruppo familiare è più complessa e si avvale in genere di intermediari, i
cosiddetti bhuria (“sensali”), che faciliteranno l’incontro tra le famiglie. La
nuova coppia suggella con la propria firma il neekah, o “contratto di
matrimonio”, amministrato dal quazi, l’autorità religiosa preposta a tal compito.
Il primo giorno di festa è chiamato mehndi e sancisce l’addio al celibato con
danze e canti. Il termine mehndi è usato anche per indicare le decorazionni
tracciate con l’henné sulle mani e i piedi delle spose, considerate di buon
auspicio. La cerimonia principale è detta barat (“notte”) e segna il momento in
cui lo sposo con la sua famiglia, i parenti e gli amici si reca nella casa della
sposa e unisce i propri invitati a quelli della ragazza, per un numero minimo di
seicento persone. I partecipanti alle nozze sono ospitati in apposite tende (dette
shamiana) adibite per ospitarli (uomini e donne in tende separate), nelle quali
verrà offerto loro un magnifico banchetto. Nel frattempo la sposa attende
separatemente, lontana dai festeggiamenti, il momento del ravanghi (la
partenza), che rappresenta il momento culminante della cerimonia nuziale: lo
sposo entra nella casa della sposa, che indossa ricche vesti di colore rosso. Sotto
gli occhi di centinaia di persone, testimoni del matrimonio, gli sposi diventano
così ufficialmente marito e moglie. I parenti dello sposo li scorteranno quindi in
una stanza appositamente addobbata (sag) in cui passeranno la loro prima notte
di nozze (basarti). Il giorno successivo (valima) i festeggiamenti riprendono a
casa dello sposo.
Funerali: si praticano i riti funebri comuni ai popoli di fede islamica: la salma
viene lavata secondo i precetti coranici, recitando le preghiere prescritte, e viene
poi calato nella nuda terra avvolto in un sudario, senza bara, orientato con il
capo verso la Mecca, e la sua dipartita viene pianta con alti lamenti sia da parte
degli uomini che, soprattutto, delle donne. Il lutto può durare fino a quaranta
giorni, ma solo in casi eccezionali.
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SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI
Il sistema socio-sanitario pakistano è condizionato dalla
scarsità dei finanziamenti, anche se significativi progressi sono
stati raggiunti nelle campagne immunitarie e nell’accesso
all’acqua potabile nelle città. Nei centri urbani si sono anche
potute implementare con un certo successo campagne di controllo
delle nascite, ma ciò non vale assolutamente per le campagne. In tutto il paese
le cure mediche per le puerpere e i neonati sono tuttora di basso livello, tanto
che nei primi anni Novanta solo il 70% aveva potuto godere di cure prenatali ed
essere assistita da personale medico durante il parto. La morte per parto è
ancora un fattore di rischio rilevante per le donne di età compresa tra i quindici
e i quarantacinque anni. L’inadeguatezza dei servizi sanitari e l’incidenza della
malnutrizione si riflette nelle statistiche relative alla salute della popolazione e
in particolare delle donne e dei bambini. Tali dati mostrano un netto
miglioramento rispetto ai primi anni Novanta, quando solo il 36% della
popolazione aveva accesso ai servizi sanitari e l’83% a fonti d’acqua potabile,
mentre tali valori nel 2000 erano pari rispettivamente al 62% e al 90%. Tuttavia,
ancora nel periodo 1995-2000 i bambini d’età inferiore ai 5 anni sotto peso erano
ben il 38% del totale, nel 1999-2001 la percentuale di popolazione in condizioni
di malnutrizione era del 19% e nel 2000 le donne morte di parto erano 500 su
100.000. Occorre considerare che il servizio sanitario nazionale è
un’innovazione recente: in epoca coloniale il Raj britannico forniva assistenza
sanitaria soltanto ai propri impiegati, ma non alla popolazione complessiva,
mentre cliniche, ospedali e scuole di medicina erano rare. La gestione dei
servizi sanitari è rimasta di competenza delle autorità locali provinciali fino al
1970. Il Pakistan adotta una pianificazione socio-economica per piani
quinquennali, retaggio delle tendenze socialiste dei suoi primi governi dopo
l’indipendenza e a lungo una delle caratteristiche prevalenti del programma
sociale pakistano è stato il tentativo di migliorare le condizioni sociali e
sanitarie prevalenti nelle aree rurali e depresse del paese, ma tali sforzi
continuano a essere frustrati da problemi amministrativi, clientelismo e
instabilità politica, tanto che in campo sanitario la scarsità di personale
qualificato si è fatta cronica. Comunque, fin dai primi anni Settanta si è
organizzato un sistema decentrato in grado di offrire un’agenzia sanitaria di
base (spesso poco più di un dispensario) ogni 10.000 persone, e di mettere tali
strutture in rete con cliniche e ospedali di dimensioni via via crescenti. Tuttavia,
negli anni Novanta lo sviluppo del settore sanitario ha favorito soprattutto le
élite, in virtù dell’ampio proliferare di ambulatori e cliniche gestite da privati,
parallelamente all’aggravarsi del degrado della sanità pubblica. Le facoltà di
medicina si sono attirate l’ira dei gruppi di pressione femminili, che hanno
denunciato al loro interno pesanti discriminazioni nei confronti delle donne, e il
problema sussiste tuttora malgrado la cruciale necessità di disporre di medici
donna cui venga permesso di curare altre donne (il fatto che un medico uomo
possa visitare una donna non è ammesso socialmente nella maggior parte del
paese). Attualmente gli sforzi di risanamento del settore socio-sanitario e del
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potenziamento del personale medico di sesso femminile vengono implementati
con l’aiuto della Banca Mondiale.
FIABE TRADIZIONALI
Oltre ad attingere al patrimonio fiabesco tipico della cultura
islamica (Le storie tratte da Le mille e una notte, le avventure di
Nasruddin Hoja, ecc.), il Pakistan può contare su una ricca messe
di leggende e fiabe locali, tra cui sono celebri soprattutto le storie
punjabi di amori difficili e i drammi familiari, che ruotano attorno
alle tragiche vicende di principesse e principi: Mirza Sahiban, Saiful Maluk,
Yousuf Zulaikhan, Heer Ranjha, Sohni Mahinwal, Dulla Bhatti, Poran Bhughat, e
Sassi Punnu sono tutte fiabe di questo tipo. Riportiamo qui proprio
quest’ultima, che intreccia temi comuni a fiabe di molte parti del mondo, ma
senza il classico lieto fine:
Sassi e Punnu
Sassi era la figlia del re Adamkhan di Bhambour. Alla sua nascita gli astrologi
predissero che la bambina sarebbe stata una maledizione per il prestigio della
famiglia reale. Perciò, il re ordinò che la bimba fosse posta in un baule di legno
con un amuleto al collo e gettata nel fiume Chenab. Ma Atta, un lavandaio del
villaggio di Bamboon, vide passare il baule e lo recuperò.
Quando vide che conteneva una bimba, fu commosso dalla gioia: per lui, che non
aveva figli, quella neonata era una vera benedizione. Passarono molti anni e il re
non ebbe altri figli, così pensò di sposarsi nuovamente. Quando udì che la figlia di
Atta, il lavandaio, era bella come un angelo, il re ordinò che gli venisse portata a
palazzo. Sassi comparve davanti al re portando al collo l’amuleto che egli stesso e
la regina madre le avevano donato, e il re, sconvolto e travolto dalla pena che per
tanti anni aveva represso dentro di sé, la riconobbe come sua figlia. Il re e la
regina allora vollero subito che Sassi tornasse a vivere con loro e a illuminare le
loro grige vite a palazzo, ma Sassi non voleva abbandonare l’uomo che l’aveva
adottata e rifiutò, preferendo continuare a vivere nella casa dov’era cresciuta.
Allora il re decise di donare a Sassi ricchezze, terre e giardini in cui lei potesse
crescere e fiorire come il più splendido dei fiori. Ma Sassi, quando si rese conto di
poter avere ogni genere di cose rare, scelse tra tutte la conoscenza e chiese al re di
inviarle i più savi maestri e gli studiosi più eccellenti. Si dedicò intensamente agli
studi e alle arti, facendo rapidi progressi.
Un giorno venne a sapere che un ricco mercante di Gazhni possedeva un
meraviglioso giardino nei cui padiglioni conservava magnifiche miniature e
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straordinari dipinti. Sassi volle visitare questa ricca collezione e portò al mercante
doni e tributi per ottenerne il permesso. Fu allora, passeggiando per i padiglioni,
che scorse un dipinto che le parve un vero capolavoro: era il ritratto del principe
Punnu, figlio del re Ali Hoot, signore di Kicham. Sassi se ne innamorò
perdutamente e volle assolutamente incontrarlo di persona. Ordinò pertanto che
qualunque mercante proveniente da Kicham le fosse presentato.
La novità si sparse tra i mercanti come fuoco in un campo di sterpi, e Punnu stesse
venne a sapere dell’amore che Sassi nutriva per lui. Allora decise di indossare le
vesti di un mercante di profumi e andò ad incontrare Sassi. Ma quando gli
comparve davanti Sassi lo riconobbe subito, esclamando: “Allah sia lodato”! Le
nozze vennero decise subito, attirando a Sassi la gelosia dei fratelli baluchi di
Punnu. Quando i festeggiamenti erano in pieno svolgimento, essi fecero bere Punnu
fino alla completa ubriachezza, poi lo misero in groppa a un cammello e lo
riportarono a Kicham. Quando Sassi si accorse della scomparsa improvvisa del
suo promesso sposo fu presa dalla disperazione e corse a piedi nudi verso la città di
Kicham, percorrendo miglia e miglia di deserto aspro e pieno di insedie. Corse e
corse, cantando il suo amore per Punnu finché la passione non la consumò come
succede all’uccello Kaknoos, le cui piume si dice che prendano fuoco quando canta.
Così l’amato nome di Punnu fu il lamento funebre per Sassi, che morì arsa
dall’amore nelle desolate lande del Baluchistan.
RICETTE
La cucina pakistana è ricca di varianti regionali e distingue
nettamente l’alta cucina da quella più popolare, offerta
ampiamente nelle molte bancarelle e trattorie presenti nei bazar e
lungo le principali vie delle città e dei villaggi.
Il piatto dominante nelle abitudini alimentari quotidiane della gente comune è
il seguente:
Chapati e lenticchie (Chapati chana dal)
Ingredienti: 200 g di farina integrale, 200 g di lenticchie rosse, 1 cucchiaino di
peperoncino rosso in polvere, 1 grossa cipolla bionda, sale, olio di semi, 2-3
limoni, semi di cumino, un paio di peperoncini verdi piccanti, un mazzetto di
coriandolo fresco, un mazzetto di foglie di menta.
Preparazione: Lavare e ammorbidire le lenticchie lasciandole in acqua
abbondante per due o tre ore. Sminuzzare la cipolla, porla in una pentola larga
o in un’ampia padella dai bordi alti e soffriggerla nell’olio fino a farla indorare,
poi aggiungere il cumino e soffriggere il tutto per un minuto. Aggiungere le
lenticchie, sale a piacere, la polvere di peperoncino e mescolare bene.
169
Aggiungere acqua fino a ricoprire il tutto di circa due centimetri. Coprire la
pentola e cuocere prima a fuoco medio, poi a fuoco lento fino a completa
evaporazione dell’acqua. Mentre si ultima la cottura delle lenticchie preparare
una pasta di acqua, sale e farina integrale, farne due o tre dischi piatti di
spessore uniforme e cuocerli in una padella a fondo piatto con un filo d’olio per
farne delle piadine (chapati). Quando la maggior parte dell’acqua aggiunta alle
lenticchie è evaporata, aggiungere il succo di due limoni e poi servire su un
piatto da portata guarnendo le lenticchie con un trito grossolano di peperoncini
verdi, coriandolo, menta e qualche fettina del terzo limone avanzato.
Consumare prendendo bocconi delle lenticchie con i chapati.
POESIA
La poesia in lingua urdu è la forma di espressione artistica più
amata in Pakistan, e vi vanta una ricca tradizione e di un vastissimo
seguito, anche tra la gente comune, che conosce e recita a memoria
molti famosi componimenti anche quando è analfabeta. I primi
poeti ad usare l’urdu erano in realtà persiani, cortigiani a palazzo
dei sultani, ma nel XVI secolo, sotto l’egida dell’illuminato sovrano di
Golconda, Mohammad Quli Qutb Shah (1581-1611), raggiunge il suo apogeo
per grazia e potenza lirica. La forma poetica più celebre è il ghazal, una breve
lirica di contenuto amoroso di origine persiana, caratterizzata dal fatto che ogni
verso racchiude un’idea completa e indipendente dal verso successivo. Il nazm è
invece una forma di componimento meno soggettivo e personale, che si utilizza
per narrare e descrive, con finalità didattiche o satiriche. Tra i nazm vi sono
forme di poesia classica note con termini specifici, come i masnavi (lunghi poemi
narrativi in rima, il cui tema può spaziare dall’amore alla religione), i marsia (o
elegie, spesso in commemorazione di martiri come l’Imam Hussain morto a
Karbala) e i qasida (panegirici in lode di re e gentiluomini) La poesia in lingua
urdu conosce un importante sviluppo nel corso del XVII-XVIII secolo “periodo
dei poeti del Deccan”, con opere dedicate al tema dell’amore tra principi e
principesse e i cui principali autori furono Mulla Vajhi, Ghavvasi e Mulla
Nusrati. Nei secoli XVIII-XIX Delhi e Lucknow assurgono a nuovi centri di
produzione poetica e l’influsso persiano si fa predominante. Mohammed Vali,
Mirza Sauda, Mir Dard e Mir Taqi Mir sono i poeti principali di questo periodo.
La scuola di Lucknow e la nuova scuola di Delhi si rafforzano sotto il Raj
britannico e portano alla fioritura del ghazal amoroso, soprattutto ad opera di
Momin Khan Momin. Nei primi decenni del novecento si apre l’epoca della
poesia contemporanea, che vede il suo protagonista assoluto nel poeta
nazionale pakistano Mohammed Iqbal: si abbandonano il linguaggio ricercato e
i temi stucchevoli per privilegiare una singolare forma di poesia filosofica ricca
di venature politiche, incentrata sulla liberazione dell’individuo e sullo spirito
indipendentista musulmano che avrebbe reso possibile la nascita del Pakistan
come stato-nazione religioso.
170
LETTERATURA
La letteratura in lingua urdu è pochissimo tradotta in
italiano ed è di fatto pressoché sconosciuta in Italia. Si tratta
invece di una tradizione letteraria molto ricca. L’urdu è una
variante dialettale occidentale dell’hindi parlato nell’area di
Delhi e Meerut, strettamente legata all’antico pracrito.
L’influenza persiana, portato della dominazione Moghul, è molto forte, ma la
lingua in sé è di matrice prettamente indiana. Se l’hindi si è evoluto traendo
linfa vitale soprattutto dalla letteratura sanscrita, il riferimento colto principale
nelle aree a maggioranza musulmano comprese all’interno dell’antico sultanato
di Delhi era rappresentato da opere in persiano, arabo e turco. L’apogeo della
letteratura in lingua urdu risale alla fioritura delle corti musulmane di Bijapur e
di Golconda nel XVI e XVII secolo. Nel corso del XVIII e XIX secolo l’urdu si
raffinò ulteriormente come lingua letteraria, adottando l’intricata costruzione
sintattica persiana e acquistando maggiore originalità. Al centro della
produzione letteraria vi è sempre stata la poesia, lasciando spazi di rilievo assai
minori al romanzo, la novella e il teatro.
La prosa urdu si sviluppa soprattutto a partire dal XIX secolo sotto l’influsso
dei programmi di traduzione promossi sotto la dominazione britannica.
L’importante scrittore indiano Munshi Premchand scrisse le sue opere sia in
hindi che in urdu.
La letteratura urdu moderna si divide in due grandi periodi: quello del
movimento Aligarh, promosso da Sir Sayyed Ahmed Khan, e quello successivo
influenzato dal poeta Sir Mohammad Iqbal. Movimenti importanti del
novecento letterario pakistano furono il movimento progressista, modernista e
postmodernista. Il racconto breve trovo un suo primo interprete in Munshi
Premchand, mentre protagonisti del movimento progressista furono Sajjad
Zaheer, Ahmed Ali, Mahmood-uz-Zafar e Rasheed Jahan.
Il romanzo si sviluppò grazie alle opere di Nazir Ahmed nella seconda metà
del XIX secolo, ma fu sempre Munshi Premchand a introdurre maggiori
elementi di realismo e di approfondimento del profilo psicologico dei
personaggi. Premchand fu uno scrittore assai prolifico, ma nessuna delle sue
opere risulta tradotta in italiano.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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class structure, Palgrave-Macmillan, Basingstoke, 2004.
Bausani A., Storia delle letterature del Pakistan. Urdu, Pangiâbî, Sindhi,
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Bausani A., L’Islam, Garzanti, Milano, 1987.
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Ejaz A., Pakistan, Edizioni Pendragon, Bologna, 1998.
Husain F., O’Brien M. (a cura di), “The Muslim Family in Europe”, numero
monografico della rivista, Current Sociology, 2000, vol. 48, n. 4.
Lapidus I.M., Storia delle società islamiche (voll. 3), Einaudi, Torino, 1995.
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Tognetti Bordogna M., Legami familiari in immigrazione: i matrimoni misti, L’Harmattan
Italia, Torino, 2001.
Tognetti Bordogna M., Ricongiungere la famiglia altrove. Strategie, modelli, forme dei
ricongiungimenti familiari in Italia, FrancoAngeli, Milano, 2004.
Torri M., Storia dell’India, Laterza, Bari, 2000.
Wolpert S., Storia dell’India, Bompiani, Milano, 1998.
SITOGRAFIA
www.chowk.com: sito di attualità che offre la possibilità di accedere a
forum di discussione degli articoli pubblicati da giornalisti e opinionisti
pakistani in patria e all’estero.
www.pak.org: portale ufficiale della Repubblica federale islamica del
Pakistan.
www.pak.gov.pk: sito ufficiale del governo pakistano, ricco di informazioni sulla
storia, la cultura e la politica nazionale.
www.urdupoetry.com: ricchissimo archivio di poesia ghazal e nazm.
www.pakistanlink.com: aggiornatissimo sito di attualità pakistana.
www.pakistanvision.com: portale del cinema e della musica pakistani (che è anche
possibile scaricare dal sito).
www.pakwatan.com: altro grande portale nazionale pakistano, ricchissimo di
informazioni sul paese, la società e la cultura locale.
DANZE
Uno dei generi di danza più spettacolari è il Bhangra. Ha avuto origine nella
regione del Punjab che si estende nella parte settentrionale dell’India e Nord
orientale del Pakistan. Nel 1947, quando l’India ottenne l’indipendenza dal
Regno Unito, il Punjab fu diviso in Provincia indiana e Provincia pakistana e
molti dei suoi abitanti emigrarono verso la Gran Bretagna favorendo, in tal
modo, la diffusione delle danze e delle musiche Bhangra in Europa. Si pensa
che il genere Bhangra sia nato fta il quattordicesimo e il quindicesimo secolo
quando i contadini del Punjab cantavano canti sulla vita del villaggio e
danzavano per affiontare con maggiore forza le fatiche del duro e lungo lavoro
nei campi. Il termine sembra avere origine dalla parola “Bang”: una varietà
liquida di hashish consumata dai danza tori per essere in grado di danzare con
energia e per vivere un’esperienza mistica. Nonostante queste danze traggano
172
origine dall’improvvisazione maschile, oggi vengono eseguite anche dalle
donne (danze Giddha) soprattutto durante i matrimoni.
173
174
Romania
di Pietro Cingolati
DATI GENERALI
La Romania si trova nell’Europa orientale e confina a Nord con l’Ucraina, ad
Est con la Moldavia, a Sud-Est con il Mar Nero, a Sud con la Bulgaria, a SudOvest con la Repubblica federale di Yugoslavia e ad Ovest con l’Ungheria. Il
paesaggio è vario: il bacino transilvano è un altopiano che occupa la regione
centrale della Romania, è collinoso con ampie valli e vaste pendici coltivabili; è
circondato a Nord e a Est dai Carpazi e a Sud dalle Alpi Transilvaniche. Queste
proseguono a Sud verso la gola del Danubio come i Monti Banat dove si trova il
Moldoveanu (2543 m), la cima più alta del Paese. Ad Ovest del bacino si eleva
un gruppo minore, i monti Bihor. Il resto del territorio della Romania è
costituito prevalentemente da bassipiani. Il fiume più importante della Romania
è il Danubio che delimita il confine occidentale con la Serbia e gran parte del
confine con la Bulgaria.
Abitanti: 21.698.181 (al luglio 2002).
Estensione geografica: 238.391 kmq.
Continente: Europa.
Densità di popolazione: 96 ab./kmq.
Incremento demografico: – 0,21%.
PIL: 995.716,3 miliardi Rol (2002).
Vita media: 70,39 anni.
Alfabetizzazione: 97%.
Mortalità infantile: 18,88 mortalità/1000 nascite.
175
Lingua ufficiale: romeno 91%.
Altre lingue: ungherese 6,7%; romanes (zingaro) 1,1%; tedesco 0,2%; ucraino 0,3%;
turco 0,1%; russo 0,1%; armeno 0,1%; serbo 0,1%; slovacco 0,1%.
Religione/i: ortodossi 86,7%; cattolici 4,7%; protestanti 3,2%; pentecostali 1,5%.
Gruppi etnici: romeni 89,5%; ungheresi 6,6%; rom 2,5%; tedeschi 0,3%; ucraini 0,3%;
russi 0,2%; turchi 0,2%; serbi 0,1%; tatari 0,1%; slovacchi 0,1% (censimento 2002).
Regime politico: Repubblica semi-presidenziale con struttura del parlamento
bicamerale composta da Camera (346 seggi) e Senato (143 seggi).
LE FESTE PRINCIPALI
Le feste della cultura tradizionale rumena sono molto ricche e si
dividono in feste legate alle fasi del ciclo vitale, feste basate sul
calendario agricolo e feste religiose (molte delle quali comuni
alla fede ortodossa e a quella cattolica).
NATALE: Natale in rumeno si dice Craˇciun, nella tradizione pagana indicava
una divinità solare che sostituisce con la festa della luce lo spirito della
vecchiaia e degli antenati (Mos). La festa è preceduta da un digiuno di sei
settimane. Il digiuno ortodosso esclude dalla dieta ogni prodotto di
origine animale. La celebrazione del Battesimo di Cristo avviene il 6
gennaio. Il 6 dicembre San Nicola porta piccoli regali ai bambini,
lasciandoli in scarpe pulite messe sul davanzale della finestra. I bambini
dal 6 dicembre fino alla vigilia girano per le case cantando filastrocche
(colinta) e vengono ricompensati con biscotti, noci e vino dolce. Cibi
speciali e alberi decorati fanno parte di una ricca tradizione tuttora viva.
PLUGUSORUL: nei giorni tra Natale e Capodanno alcune figure mascherate
accompagnate dal canto di litanie e dalla percussione di strumenti
tradizionali passano nei giardini e per le strade con lo scopo di fare molto
rumore e spaventare gli spiriti malvagi del vecchio anno.
FESTA
DEL NUOVO ANNO:
è festeggiata per tutto il Paese con balli che durano
l’intera notte e con la cena tradizionale con il tacchino. L’inizio del nuovo
anno si celebra con danze e canzoni e i bambini portano nelle case una
corona coperta di fiori di carta colorata (sorcova) accompagnandola con
auguri di prosperità e canzoni. La più nota racconta che nella notte, per
un istante il cielo si apre e Dio e il paradiso sono visibili in Terra.
PASQUA: è la seconda festa per importanza dopo il Natale. Un digiuno di sei
settimane precede la domenica e la cena prevede cibi particolari: agnello,
torta di formaggio, feta e uova colorate. Le uova rappresentano il
miracolo della creazione. Il primo uovo colorato deve essere rosso e deve
essere donato a un bambino; il secondo è blu e rappresenta l’amore di
coppia. Durante la notte una processione illuminata da candele attraversa
tutti i centri abitati. Il giorno di Pasqua un uovo viene posto in una brocca
176
d’acqua insieme ad una moneta d’argento e a basilico fresco. Tutti i
membri della casa si lavano la faccia in quest’acqua.
MARTISOR (1 MARZO): festa per la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. Si
fanno alle ragazze piccoli regali (conchiglie, fiori, cuccioli di animali) e in
particolare il nastro rosso e bianco simbolo di vita e purezza.
DRAGAICA (23 GIUGNO): festa del raccolto. In questa occasione la ragazza più
bella viene decorata con frutti della terra e cammina per le strade del
paese, seguita da altre ragazze che augurano fertilità e buona fortuna.
SÎNZIENE (24 GIUGNO): festa per l’inizio dell’estate. I ragazzi passano la mattina
raccogliendo la pianta medicinale dalla quale la festa prende nome
mentre le ragazze invocano gli spiriti del grano e della ricchezza e
raccolgono l’iperico.
IL SALUTO: Salut.
CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE
Quando si entra in una casa rumena, specialmente nelle zone di
campagna, per prima cosa l’ospite riceve un bicchiere di tuica,
l’acquavite di prugne. Poi, se l’occasione è particolare, può
essere servito un dolce. I più famosi sono: placinte cu brinza,
carne sau nuci, focacce con ripieno di formaggio, carne e noci;
placinte poale-n briu (tipico in Moldavia), pasta frolla con ripieno di vario genere,
ma soprattutto a base di formaggio, burro, uova e uvetta; papanasi (in provincia
di Brasov), specie di gnocchi, gustosissimi, a base di pasta frolla, burro, latte e
uova; strudel (in Transilvania), pasta arrotolata e farcita con formaggio, mele
grattuggiate, noci e ciliege, oppure ripiena di carne; scovergi (nella regione
Oltenia), a base di pasta simile a quella del panettone, cotta nel grasso; e infine
clatite (in Valacchia), frittelle ripiene di confettura di visciole, di fragole, di
amarene oppure di formaggio.
IMMIGRAZIONE IN ITALIA
Con il crollo dei regimi comunisti e la fine dell’isolamento del
governo Ceausescu, molti cittadini romeni hanno cominciato ad
abbandonare il loro Paese, scegliendo come mete di destinazione
diversi Paesi dell’Unione Europea, incoraggiati dalle facilitazioni
alla circolazione per i cittadini dei Paesi candidati all’ingresso (il 2007 per la
Romania).
Per quanto riguarda l’Italia si è assistito ad un costante aumento della
presenza rumena a partire dal 1995. Alla fine del 2002, il numero dei cittadini
residenti era di 130.000 persone. L’anno scorso, con l’ultima sanatoria, hanno
presentato istanza di regolarizzazione e di rinnovo dei permessi di soggiorno
177
141.674 persone e sono stati rilasciati 133.607 permessi. Attualmente i romeni
rappresentano il primo gruppo straniero in Italia per numero di presenze,
239.000 nel 2003. (Fonte: Ministero dell’Interno italiano). Siamo di fronte ad una
popolazione giovane (con un’età media di 28,5 anni), distribuita in maniera
equilibrata tra uomini e donne, con un vivace dinamismo matrimoniale e
riproduttivo che lascia intravedere forme di stanziamento di lunga durata.
Questo gruppo è contraddistinto da un’elevata mobilità: grazie alla relativa
vicinanza della terra d’origine e ad un controllo morbido dei flussi (dal gennaio
del 2002 è stato rimosso il sistema dei visti), molti scelgono la migrazione
stagionale grazie a permessi di soggiorno turistici della durata di tre mesi.
Quando si riesce ad ottenere la regolarizzazione e il permesso di soggiorno,
questa mobilità si riduce solo più ai periodi delle vacanze.
Una delle caratteristiche fondamentali della migrazione romena in Italia è
l’alta presenza di donne arrivate non solo con il ricongiungimento familiare ma
come prime emigrate, alle quali poi si uniscono in una fase successiva i figli e i
mariti. Il mercato informale dell’impiego domestico è il settore che più ha
assorbito questa presenza femminile. L’attività svolta all’interno delle famiglie
italiane come colf o assistenti degli anziani ha permesso a queste donne di
imparare molto in fretta i modelli culturali italiani e consolidare rapporti di
fiducia fondamentali nell’organizzazione della migrazione. Le regioni di
maggior provenienza sono quelle della Romania orientale (in particolare la
Moldavia e il Maramures orientale), la zona del Delta, la Valacchia occidentale,
alcune località della Transilvania. La maggior parte sono zone poco sviluppate
e prevalentemente agricole, mentre gli immigrarti provenienti da zone urbane
(Bucarest e Sibiu le più rappresentate) sono relativamente pochi.
MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI
Nelle zone rurali il neonato romeno si avvolge stretto con un
panno e viene liberato dalle fasce solo al momento del bagno. Anche
le mani e i piedi vengono fasciati e, dal punto di vista simbolico,
questo serviva a proteggere il neonato dall’influenza negativa degli
spiriti. Il ciuccio viene dato solo fino ad un anno, nelle zone di
campagna veniva utilizzato un sacchetto pieno di polenta e zucchero da
succhiare. I bambini, soprattutto nelle famiglie rurali numerose, dormivano e
dormono ancora nella stessa stanza dei genitori fino a cinque o sei anni. La
vicinanza dell’adulto durante la notte si ritiene protegga e fortifichi i figli. La
tradizione popolare prevede l’utilizzo di protezioni spirituali o di amuleti: un
nastro rosso intorno al polso, nella culla o nel passeggino o una ciocca di
saggina sotto il cuscino servono ad allontanare le influenze negative. Nelle
famiglie numerose le bambine più grandi sono incaricate di seguire i fratellini e
le sorelline piccole, sostituendo la madre in molte responsabilità.
L’allattamento nelle zone rurali si protrae fino ad un anno e mezzo (fra gli
zingari si arriva anche a tre anni). Nelle città, dove i ritmi di vita rendono tali
pratiche poco sostenibili, si allatta fino a tre, quattro mesi: ultimamente il
178
Ministero della Sanità ha lanciato un programma
l’allattamento al seno fino a sei mesi, ma con scarsi risultati.
per
promuovere
La crescita dei figli è improntata alla promozione di una certa autonomia fin
dai primi anni di vita: sebbene vi sia sempre un notevole affetto, la relazione
fisica madre-figlio, a dire di molte immigrate, non è stretta come in Italia. I
bambini nei paesi piccoli vengono affidati ai nonni. Nelle città medie e grandi vi
è un sistema organizzato di asili. In queste strutture i bambini possono
rimanere fino a mezzogiorno, poi vengono seguiti nel pomeriggio dai parenti.
Il modello prevalente prevede che il figlio o la figlia rimanga a casa anche
durante gli studi universitari, fino a quando si sposa. Mentre nel passato il
modello era patrilocale (gli sposi andavano a vivere presso la famiglia del
marito) ora si è passati alla neolocalità (una nuova casa per il nuovo nucleo
famigliare). La difficile situazione economica attuale spinge però molte coppie
giovani a scegliere soluzioni di convivenza presso le famiglie di origine.
L’educazione dei figli è stata sempre improntata ad una certa eguaglianza
fra i generi.
MODELLI DI CURA
Nella cultura tradizionale romena è presente un concetto di salute
integrale nel quale l’aspetto spirituale di comunione con la natura e
l’uso delle piante medicinali sono centrali. Si ritiene che l’acqua abbia
gli stessi poteri benefici dell’alba, della luna e dell’oro. Per esempio si
ritiene che un anello d’oro, acqua di montagna e radice di carota
aiutino a combattere le malattie di fegato. La danza Caˇlus¸ului è un cerimoniale
magico curativo praticato ancora oggi in alcune parti della Moldova e della
Bucovina: un gruppo esclusivamente maschile di iniziati balla per tre volte in
tre giorni intorno al malato toccandolo con piante curative, sotto la guida di un
anziano, il vaˇtaf. Elemento centrale di questo rito, che si svolge solo nei dieci
giorni tra Ascensione e Pentecoste (ottava domenica dopo Pasqua), è il ramo di
nocciolo, steagul, sul quale i partecipanti prestano giuramento: i fiori di nocciolo
hanno infatti poteri curativi e un valore altamente simbolico. Un’altra pianta di
grande uso e diffusione è la belladonna (maˇtraˇguna) che la tradizione vuole sia
raccolta secondo un complesso cerimoniale solo da donne, nel periodo tra la
Pasqua e l’Ascensione: durante la raccolta si recitano formule rituali e si offrono
alla pianta pane, sale e una moneta. Le foglie e le radici seccate e sminuzzate,
sebbene potenzialmente tossiche, venivano utilizzate per la cura delle malattie
alle articolazioni, ai reni o per la malaria (friguri). Il vischio (vîscul) si ritiene che
porti salute, benessere e stabilità nei matrimoni: viene agganciato ad una
lampada o alla porta nella notte di Capodanno poiché è un simbolo di vittoria.
È utilizzato per curare la pressione alta, l’asma e l’epilessia. Queste modalità di
cura tradizionale, conservate in montagna e negli ambienti rurali dagli anziani,
non sono considerate esclusive, ma spesso convivono con le forme della
medicina moderna, così come spesso si ricorre contemporaneamente alle ricette
dei medici di base e all’assistenza spirituale dei preti o dei monaci ortodossi ai
179
quali si chiedono preghiere e benedizioni. Le donne immigrate riescono a
conservare alcune di queste tradizioni, grazie alla facile reperibilità delle piante
sia sul territorio italiano che nel commercio specializzato. Alcune malattie dei
bambini vengono ancora curate secondo i metodi tradizionali: per esempio per
abbassare la febbre alta si utilizza un impacco di patate, aceto, acqua e cavolo
schiacciato o per decongestionare la gola infiammata si usa uno straccio
imbevuto con l’urina del bambino. Per la protezione dalle malattie più gravi, i
bambini vengono vaccinati nel primo anno di vita. I dati che seguono
riguardano le vaccinazioni obbligatorie e il numero di minori che vi sono stati
sottoposti: difterite (98%); tetano (98%); pertosse (98%); tubercolosi (100%);
poliomielite (94%); morbillo (93%).
MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE
DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE
Fino a dodici anni sono previsti corsi di doposcuola in cui i
bambini vengono seguiti in attività artistiche, teatrali, musicali. Lo
sport è particolarmente promosso e sostenuto: il nuoto e la ginnastica
sono le attività più diffuse. Queste attività sono gratuite e garantite a
tutti.
Mentre gli ortodossi non organizzano particolari attività aggregative per i
bambini, i cattolici e i protestanti prevedono il catechismo e altre attività
settimanali rivolte alla socializzazione e all’educazione dei minori.
MODELLI E STILI FAMILIARI
RUOLI DEI GENITORI: uomini e donne continuano a svolgere
ruoli differenti all’interno del gruppo famigliare. La donna è
considerata la prima responsabile per la conduzione della casa, la
cura della famiglia e per la gestione del budget interno. Le donne
provvedono all’educazione e alla crescita dei figli e si prendono
cura dei parenti anziani o malati. Queste responsabilità vengono raramente
condivise con gli uomini, anche quando la donna è attiva fuori casa. L’uomo
continua ad essere visto come il capofamiglia anche se recentemente sta
acquisendo maggiori responsabilità nei compiti familiari. La tendenza generale
degli ultimi anni è quella di postporre il matrimonio e di ridurre il numero di
figli. L’età media del matrimonio è aumentata in media di 1,4 anni per gli
uomini (26,4) e di 1,2 anni per le donne (23,2), anche se nelle zone rurali il
matrimonio continua ad avvenire prima rispetto alle zone urbane. Molti uomini
oggi si sposano anche dopo i 30 anni.
Negli ultimi anni si è registrato il più basso tasso di nascite nella storia della
Romania (solo per fare un esempio nel 1998 si è registrato un quarto in meno
delle nascite rispetto al 1990). Tra i fattori determinanti il calo della natalità si
individuano la possibilità di pianificare le nascite dei figli, gli alti costi sociali ed
180
economici della transizione, la difficoltà nel reperire alloggi e la disoccupazione
dilagante.
VITA SOCIALE DELLE FAMIGLIE: uno dei fenomeni più rilevanti oggi è quello
delle famiglie divise. Molte madri emigrano e lasciano i figli al padre o ai nonni
materni. Questo distacco in alcuni casi può portare al divorzio, in altri, la
maggioranza, al ricongiungimento del marito e del figlio. Gli unici momenti di
condivisione sono le vacanze estive, che durano in media tre settimane. Il
fenomeno più diffuso è quello delle donne che si risposano all’estero, dopo aver
richiesto il divorzio in Romania, mentre tra gli uomini questa scelta si verifica
meno.
ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: il cognome attribuito è quello del
padre. Il padrino e la madrina di battesimo spesso danno il nome al bambino.
Questo avviene sei settimane dopo la nascita, durante il battesimo, anche se la
registrazione ufficiale del nome avviene all’atto della nascita. Talvolta si dà al
bambino il nome di un santo che viene festeggiato nel periodo in cui nasce.
Nella tradizione popolare romena quando il bambino è gravemente malato o
quando soffre di piccoli disturbi (ad esempio l’incontinenza delle urine dopo i
due anni) si può cambiare il nome, per scacciare l’influenza del diavolo che così
non riuscirà più a ritrovare la sua vittima. In questa cerimonia la madre cede
simbolicamente il figlio ad un’altra donna passandoglielo attraverso la finestra,
in cambio di una piccola somma. La donna attribuisce il nuovo nome e quindi
restituisce il bambino alla madre. Alcune madri immigrate cambiano il nome
dei figli con un nome italiano nella convinzione che questo ne faciliti
l’integrazione.
La donna quando si sposa nel 90% dei casi prende il cognome del marito,
ma può anche scegliere di mantenere solo il cognome da ragazza.
ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: alla nascita si ottiene la cittadinanza
dei genitori. Si può ottenere la doppia cittadinanza senza dover rinunciare alla
cittadinanza romena.
FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: al fine della
registrazione in comune, il padre deve riconoscere il figlio. In Romania il
fenomeno dei figli non riconosciuti è stato molto diffuso, a causa soprattutto
delle politiche demografiche del regime comunista.
REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: la registrazione avviene all’ufficio
dello Stato Civile il giorno stesso della nascita.
CONTRATTO DI MATRIMONIO: il certificato di matrimonio viene rilasciato in
Comune: alla presenza di due testimoni e di un funzionario, dopo le formule di
rito, si firma il contratto. Solo in seguito si può celebrare il matrimonio religioso
in chiesa e questo può avvenire anche dopo parecchi mesi.
DIRITTI DEI MINORI: nel campo dei diritti dei minori la Romania, oltre ad
aver ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’Infanzia, ha
adottato particolari provvedimenti, tra i quali fondare un’Agenzia Nazionale
181
per la Protezione dei Bambini per la riforma del sistema di welfare dei minori e
sottoscrivere il protocollo sulla tutela dei bambini coinvolti in conflitti armati.
DIRITTI DELLE DONNE: il Comitato per l’eliminazione di tutte le forme di
discriminazione contro le donne (CEDAW) sottolinea come mentre la Romania
ha fatto progressi nel proteggere e migliorare i diritti delle donne (con una
legislazione attenta alle pari opportunità, alla violenza domestica e al traffico
della prostituzione), poche detengono reali posizioni di leadership nei propri
campi di competenza. Inoltre la corruzione diffusa fra gli organi di polizia
rende molto rara la denuncia degli abusi e spesso garantisce l’impunità per i
trafficanti.
DIVORZIO, SEPARAZIONE: in tribunale uno dei partner porta la domanda di
divorzio: dopo le dovute verifiche alla presenza degli avvocati, i beni vengono
divisi in forma egualitaria. I minori di solito vengono affidati alla madre. In
questi ultimi anni il divorzio è diventato molto più diffuso e veloce da ottenere:
dai due anni iniziali si è passati ad appena tre mesi.
SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI
Per quanto le difficoltà economiche ne limitino – almeno per il
momento – i risultati, il governo romeno ha individuato
nell’educazione una priorità nazionale. Un passo decisivo, dopo i
primi disordinati tentativi avviati all’inizio degli anni Novanta,
viene fatto con la riforma iniziata dal ministro Andrei Marga nel
1998. La riforma punta alla sostituzione o all’ammodernamento dei vecchi libri
di testo, all’introduzione nei curriculum di nuove materie e al rilancio
dell’educazione nelle zone rurali. Un aspetto fondamentale è quello linguistico.
Le lezioni vengono svolte in lingua romena, ma è garantito dalla legge del 1995
il diritto, alle persone appartenenti a minoranze nazionali, di studiare e di
ricevere l’insegnamento nella loro madre lingua. Ad ogni livello esistono,
quindi, scuole che sono organizzate da minoranze etniche (ungheresi, tedeschi,
serbi, ucraini, ecc.) che utilizzano nella didattica la loro lingua madre,
mantenendo comunque l’insegnamento del romeno; come pure esistono scuole
bilingui che accanto alla lingua nazionale ne affiancano un’altra come l’inglese,
il francese, il tedesco, lo spagnolo, l’italiano. La prima lingua straniera è
facoltativa in prima classe elementare e diventa obbligatoria in terza, mentre lo
studio della seconda lingua straniera è obbligatoria in quinta classe (la prima
dell’insegnamento medio). A tutt’oggi, però, sono ancora in discussione alcuni
articoli riguardanti i diritti delle minoranze, contestati dai rappresentanti
dell’Unione democratica ungherese di Romania, i quali sostengono che la Legge
’95 rappresenti una sorta di “genocidio culturale”, poiché tutela solo in modo
formale i diritti delle minoranze.
LA SCUOLA PUBBLICA: l’educazione nella scuola pubblica è gratuita, in
quanto per la maggior parte finanziata dal bilancio dello Stato. Non sono esclusi
finanziamenti provenienti da agenti economici privati. Inoltre sono previste
borse di studio erogate da privati o da altre fonti legali. Lo Stato fornisce il
182
materiale di supporto per le attività scolastiche, specialmente agli studenti con
ottimi risultati. L’educazione privata, autonoma, esiste ai vari livelli; i
programmi di studio sono simili a quelli dell’educazione pubblica e sono
approvati dal Ministero dell’educazione.
SCUOLA MATERNA: la scuola materna è rivolta a bambini dai 3 ai 6 anni ed è
facoltativa, anche se l’anno precedente all’inserimento nelle elementari, detto
anno preparatorio, è obbligatorio. Tale anno serve a facilitare l’inserimento
nella scuola dell’obbligo. L’orario è di cinque ore la mattina, che possono essere
estese fino ad un totale di otto ore, per cinque giorni a settimana.
SCUOLA DELL’OBBLIGO: l’educazione obbligatoria si struttura in otto anni,
così suddivisi: quattro anni di scuola elementare (classi I-IV) e quattro di scuola
media (classi V-VIII). Il Ministero dell’educazione può approvare la formazione
di classi per quei bambini che, per diversi motivi, non abbiano terminato i primi
quattro anni di educazione obbligatoria all’età di 14 anni. L’obbligo è esteso fino
al sedicesimo anno di età. In casi eccezionali, l’insegnamento può essere svolto
di sera o a distanza.
La scuola dell’obbligo è divisa in tre cicli:
1. Il ciclo delle acquisizioni fondamentali: copre il periodo che va dall’anno
finale della scuola materna alle classi I-II, ha come scopo fondamentale
un’iniziale alfabetizzazione e fornisce al bambino i primi requisiti utili.
2. Il ciclo dello sviluppo: comprende le classi III-IV e le prime due classi (VVI) della scuola media, sviluppa le abilità e le capacità necessarie per
conseguire una preparazione più completa.
3. Il ciclo dell’osservazione e dell’orientamento (classe VII-VIII): ha come
maggiore obiettivo quello di orientare i ragazzi per effettuare la migliore
scelta per il successivo corso di studi e per la seguente carriera professionale.
Età
Classe
Ciclo
6
Anno
Prep.
7
8
9
10
11
12
13
14
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
Acquisizioni di base
Sviluppo
Osservazione e
orientamento
Calendario e orari: l’anno scolastico consta di 180-185 giorni (attualmente in
Europa consta di 185/6-190/5 giorni) ed è diviso in due semestri. Il primo
semestre inizia il 14 settembre e termina il 22 gennaio, con due interruzioni dal
31 ottobre all’8 novembre e dal 19 dicembre al 3 gennaio (vacanze natalizie). Il
secondo semestre inizia il 1 febbraio e finisce il 25 giugno, con due settimane
per le vacanze di Pasqua e un altro periodo di vacanza che va dal 29 maggio al
6 giugno. In più tra i due semestri c’è una settimana d’interruzione delle lezioni
183
dal 23 gennaio al 31 gennaio. L’ultima settimana di ogni semestre è destinata
alla revisione ed alla compilazione delle schede di valutazione.
PROGRAMMI E ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA: i programmi scolastici sono
stabiliti a livello centrale e prevedono un equilibrio fra le materie obbligatorie,
opzionali e facoltative. Negli otto anni di scuola obbligatoria gli alunni studiano
lingua e letteratura romene, matematica, storia romena, geografia romena,
fisica, chimica, biologia, anatomia, disegno, educazione fisica, educazione
musicale, latino, lingua straniera e informatica. È previsto un programma
speciale nelle scuole in cui l’insegnamento avviene nella lingua delle minoranze
nazionali, anche se lingua e letteratura romena è una materia presente in tutti i
livelli, forme e tipi di scuola esistenti in Romania. Della prima lingua straniera
sono programmate due lezioni alla settimana alle elementari, a partire dalla
seconda. La religione è una materia obbligatoria per il ciclo elementare, mentre
è facoltativa nella scuola media.
VALUTAZIONE: all’inizio dell’anno scolastico 1998, il sistema di valutazione
tradizionale (caratterizzato da una scala da 1 a 10) viene sostituito da giudizi
descrittivi (eccellente, molto buono, buono, sufficiente e insufficiente). La
decisione sulla promozione all’anno successivo è fatta da ogni insegnante
considerando il livello di preparazione raggiunto dall’allievo. Non c’è un esame
finale alla fine della scuola elementare. Al termine della scuola media gli
studenti sono sottoposti a un esame in lingua e letteratura romena, matematica,
storia e geografia romena. Gli studenti appartenenti a minoranze nazionali che
hanno frequentato la scuola nella loro madre lingua devono sostenere anche un
esame nella rispettiva lingua e letteratura. Se lo studente non supera l’esame,
può ridarlo in un’altra sessione. Gli studenti che superano l’esame ricevono un
certificato di “capacità”.
DIVIETI ED OBBLIGHI: la scuola sotto il regime comunista era caratterizzata
da un grande numero di obblighi ed interdizioni, alcuni dei quali sono rimasti
validi, come ad esempio il divieto di fumare all’interno della scuola e di bere
alcolici. L’uniforme non è piu obbligatoria anche se alcuni la rimpiangono
perché adesso è più evidente la differenza sociale delle famiglie di provenienza.
L’inno nazionale che si cantava prima dell’inizio delle lezioni e le effigi degli
uomini politici sono state sostituite in molti casi dal Padre Nostro e dalle
immagini religiose. Rimane una certa etichetta che regola il rapporto
insegnante-ragazzo, a partire dall’utilizzo del Lei o dall’abitudine di alzarsi in
piedi all’entrata. Gli insegnanti romeni continuano a considerare la disciplina e
il rispetto delle regole un punto educativo molto importante. I bambini
immigrati che sperimentano un rapporto più paritario nelle scuole italiane,
talvolta traducono il cambiamento in un’eccessiva libertà che spaventa gli
insegnanti.
VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE
Per capire l’attuale società romena dal punto di vista della
vita comunitaria e delle relazioni di genere bisogna
184
considerare l’eredità lasciata dagli anni del regime comunista. Il principio guida
nelle politiche sociali portate avanti in quel periodo risiedeva nell’uguaglianza
di tutti i cittadini di fronte allo stato. Tutte le persone in grado di lavorare
dovevano partecipare attivamente nel mercato del lavoro, indipendentemente
dal genere. Pertanto immagini e scritti discriminanti furono censurati, uguali
opportunità di educazione furono garantite a uomini e donne, furono promossi
servizi per l’assistenza dei figli e il sostegno del lavoro femminile. In tal modo le
donne sono entrate nel mercato del lavoro retribiuito in numero molto
maggiore ed ad un’età inferiore rispetto ai livelli dei Paesi occidentali. Tutto il
sistema di assistenza alla persona era legata al luogo di lavoro: assistenza
sanitaria, assistenza ai figli, vacanze, trasporti e cibo venivano assicurati dai
datori. Per le donne erano assicurati due anni di maternità pagata, con la
possibilità di mantenere il posto. Allo stesso tempo il regime idealizzava e
promuoveva il concetto tadizionale di maternità, attraverso leggi fortemente
penalizzanti per le donne, come quella del 1966 che impediva l’aborto. In un
periodo in cui i contraccettivi erano praticamente inesistenti, le donne che
abortivano erano soggette ad un periodo di carcere da uno a tre anni. Il mercato
del lavoro rimase nei fatti segregante per le donne e i rapporti di potere
rispecchiavano i meccanismi di una società patriarcale: la donna doveva
lavorare ma era anche l’unica responsabile dell’unità famigliare.
La transizione all’economia di mercato ha comportato un peggioramento
ulteriore per la condizione femminile: molti datori si sono opposti ai due anni
di maternità pagata, anche se una recente legge tenta di salvaguardare i diritti
in tale direzione. Per le donne rimane un doppio vincolo: da una parte sono
costrette a lavorare per sostenere l’economia familiare, dall’altra è aumentata la
necessità di investimenti personali per la cura dei figli (gli asili pubblici non
sempre sono di buona qualità e quelli privati sono troppo costosi per genitori
con un salario medio – a Bucarest la retta mensile è circa di 200 euro quando un
salario medio è di 130 euro). I ridotti aiuti sociali per le donne ostacolano una
reale indipendenza: l’accesso alla casa, per esempio, è molto difficile per le
donne sole, a causa del continuo aumento dei prezzi e del gap di genere nei
salari. Una legge varata nel 2001 cerca di contrastare la discriminazione
femminile ad esempio abolendo l’obbligo di presentare i risultati di test di
gravidanza nei colloqui di lavoro.
Recentemente il governo è intervenuto per alleggerire le madri dal peso
dell’assisteza dei figli: dalll’autunno del 2002 si è stabilito che ogni alunno delle
scuole elementari e dell’asilo riceva dallo stato una porzione di latte e una
porzione di pane. Tra gli altri diritti riconosciuti ci sono l’assistenza sanitaria
gratuita (per la maternità), protezione per i bambini con speciali necessità
(disabili), aiuti alla famiglia fino all’età di diciotto anni: ma il problema è che tali
aiuti economici sono irrisori se paragonati ai costi attuali della vita e
all’inflazione.
Nella vita quotidiana si assiste ad una diminuzione della partecipazione
femminile nella vita sociale e ad un aumento delle pratiche patriarcali:
determinati modelli iscritti nella cultura rurale sono sopravvissuti alle politiche
185
e alle retoriche egualitaristiche del comunismo e costituiscono il sistema di
riferimento in buona parte della Romania contemporanea. Ad esempio le donne
sole con figli continuano ad essere oggetto di discriminazione nelle zone rurali e
il lavoro domestico continua ad essere considerato di pertinenza unicamente
femminile.
STILI ALIMENTARI
Esiste in Romania una cucina nazionale caratterizzata
da cibi appetitosi, riuniti in un menù variato, il quale
comprende: antipasti, la ciorba (“minestrone”), pesce
preparato in vari modi, pietanze a base di carne e legumi,
dolci e frutta. Gli antipasti possono essere caldi o freddi; i
primi consistono in salsicce arrosto, würstel bolliti, fegatini, polpettine di cacio
cavallo, ecc.; i secondi in formaggi vari (caciocavallo, ricotta, telemea, tipico
formaggio, ecc.), uova sode con salsa piccante, prodotti ricavati dalla carne di
maiale, di pecora o di capra (prosciutto, salumi), varie gelatine, ecc.
La ciorba che non è altro che una zuppa calda a base di carne di maiale, pollo
o pesce, con varie verdure e a volte accompagnata da un uovo sbattuto o da un
cucchiaio di panna. I pranzi più importanti sono quasi sempre conclusi con la
ciorba di potroace, tipica minestra a base di rigaglie, con l’aggiunta di sugo di
cavolo acido, che si usa servire bollente e mira ad eliminare la stanchezza e a
favorire la digestione.Tutte le minestre sono accompagnate tradizionalmente da
peperoncini rossi, freschi o sottaceto. In Transilvania le ciorbe sono per lo più
dolci, tinte di rosso, grazie al sugo di pomodoro e di paprica.
Numerosi sono i piatti tipici a base di pesce. La saramura è una carpa condita
con olio e sugo di limone, con l’aggiunta di peperoncino rosso, cotta sulla
graticola. Stiuca umplut è il luccio spinato, imbottito con un ripieno di carne
tritata, pane e zucchero, bianco d’uovo, sale, pepe e molta verdura (comprese le
cipolle) e cotto in acqua bollente: viene servito freddo, con salsa tartara oppure
con aceto. Altra specialità sono gli arrosti fatti al tegame o ai ferri. Le carni
romene sono quanto mai saporite; la cucina ai ferri è considerata una vera e
propria arte e consiste nella scelta dei carboni, nell’arroventarli al giusto grado,
nello spalmare la graticola di grasso. Esiste una competenza specifica nel
tagliere la carne e nella sua preparazione, con l’aggiunta di diversi condimenti,
prima, durante e dopo la cottura. I piatti tipici sono: militei, o i mici, piccoli pezzi
di forma cilindrica di carne di vitello mescolata con carne di maiale, cotti alla
graticola; il filetto di bue o vitello, di 4 o 5 cm. di spessore, ben cotto all’esterno,
semicrudo all’interno, pietanza servita in tavola con aggiunta di burro e
verdure; ghiveci, composto di verdure e pezzettini di carne di maiale; sarmale,
carne di maiale tritata ed avvolta in foglie di vite o in cavolo acido, cotta a lungo
in acqua bollente, con l’aggiunta di pezzettini di pomodoro e lardo.
186
RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA
Le specifiche vicende geopolitiche che hanno tenuto isolata
la Romania dal resto dell’Europa per più di cinquanta anni ed
un modello di sviluppo e di urbanizzazione squilibrato che
non si è realizzato come vera alternativa ai modelli della
società rurale, hanno permesso il perpetuarsi nelle zone di
campagna di ricche tradizioni, tradizioni che segnano i momenti fondamentali
della vita individuale e sociale. Nelle loro caratteristiche rispecchiano una
sintesi di elementi provenienti dalle due grandi regioni della civilizzazione
europea, quella occidentale e quella Sud-orientale.
Nelle feste che scandiscono il ciclo di vita, grande attenzione è posta al
rapporto con gli elementi naturali e con gli spiriti degli antenati: la nascita
rappresenta la socializzazione di una nuova vita biologica; il matrimonio è il
passaggio dall’età giovanile all’età adulta; la morte rappresenta la transizione
dalla vita materiale alla vita spirituale a fianco degli antenati
NASCITA: durante la gravidanza la madre deve rispettare una serie di
interdizioni per non mettere a richio la salute del nascituro a causa di spiriti
malvagi. La nascita è rappresentata come un passaggio dall’oscurità al regno
della luce. Il rituale del primo bagno è uno dei più importanti nella cultura
romena. Prima di tale giorno il bebè deve essere tenuto lontano dallo sguardo
di donne mestruate per salvaguardarne la salute. Il rituale, al quale partecipano
solo donne, prevede che la parente di parte paterna più anziana immerga il
bebè in acqua. Insieme al bambino si immerge una piccola quantità di denaro,
riso e basilico, con i significati benaugurali di ricchezza, abbondanza di cibo e
lunga vita. Alla luce di alcune candele il bebè viene massaggiato con olio santo
sulle gambe, sotto le ascelle e nelle orecchie. Segue l’assegnazione del nome,
una cerimonia religiosa presente sia nella fede ortodossa che in quella cattolica.
Di solito il bambino riceve il nome del padrino o della madrina che presenziano
alla cerimonia. Dopo sette mesi dalla cerimonia di battesimo si svolge un altro
rito molto importante: davanti al bambino vengono posti un libro, una matita e
un uovo affinché ne scelga uno. Si dice che se il bambino sceglie il libro
diventerà un intellettuale, se sceglie la penna diventerà un artista, se l’uovo
invece si dedicherà ad attività materiali.
MATRIMONIO: il matrimonio tradizionale avveniva e talvolta ancora avviene
in giovane età (intorno ai vent’anni). La “stagione” dei matrimoni è in autunno,
quando si vendemmia il vino. Nessun matrimonio può essere celebrato nei
quaranta giorni che precedono la Pasqua o il Natale. In alcune comunità rurali
si ricorre ancora a mediatori per creare le coppie. Se non vi è un mediatore, la
tradizione vuole che siano i genitori dello sposo a richiedere la mano della
ragazza ai suoi genitori. I familiari poi visitano le case del villaggio offrendo
grappa di prugne (tzuica) per invitare i vicini alla cerimonia. Tutti partecipano
al brindisi, poiché il rifiuto equivale ad un non riconoscimento della validità del
matrimonio. Il padrino e la madrina di battesimo vengono invitati a partecipare
alla celebrazione insieme con le famiglie degli sposi: dopo la cerimonia una
187
lunga processione si snoda per le strade del paese fino al luogo dove si tiene il
ricevimento che va avanti per tutta la notte. Nel passato i festeggiamenti
proseguivano per tre giorni consecutivi.
In Transilvania è vivo un rito tradizionale per le giovani che non hanno
ancora trovato il partner. Ogni anno la terza domenica di luglio, le ragazza in
età da marito si ritrovano nelle montagne della Gaina, alla ricerca di un buon
partito. La sera precedente viene passata bevendo palinca (un distillato di
prugne), mangiando momoliga (una varietà di polenta con latte, prosciutto
affumicato e cipolla) e ballando. Poi un gruppo di ragazzi annuncia l’inizio
della cerimonia suonando grandi corni. Questo rito affonda le sue origini ai
tempi in cui i pastori di pecore, i minatori e i contadini si incontravano sulle
sommità delle montagne per scambiare le loro merci protetti dall’influenza di
spiriti malvagi. In tali occasioni le ragazze senza marito venivano
accompagnate dai genitori per trovare lo sposo. Prima di partire era uso
preparare una corona di fiori da porre sulla sommità del tetto della propria
casa, per capire se fossero state fortunate nella scelta: se la corona rimaneva
ferma i presagi erano buoni, altrimenti le avrebbe aspettate un destino difficile.
FUNERALI: secondo la tradizione la vita di ogni persona è legata ad un albero
e ad una stella. Il Fir, l’albero della vita, alla morte della persona viene tagliato
da alcuni giovani e portato al villaggio. Qui incontrano un gruppo di donne che
cantano il legame del defunto con l’albero: poi l’albero verrà posto sul sepolcro.
Tra la morte e il funerale passano due giorni nei quali i parenti vegliano il corpo
ed un gruppo di anziane donne canta il Bocetul, una litania in cui si descrive il
viaggio del morto nel regno degli antenati. Il giorno del funerale il defunto
viene portato in processione adagiato in una bara aperta disposta sul pianale di
un carro, e questo avviene per le strade del villaggio in modo che tutta la
comunità possa partecipare. La concezione della morte in Romania è quella di
una transizione da un universo ad un altro, dove la continuità è concepita
all’interno di uno spazio condiviso da vivi ed antenati. Il famoso poema
“Miorita” è l’emblema di tale concezione: ha come protagonista un giovane
pastore e la sua pecora nera, Miorita. Due compagni progettano di uccidere il
pastore e prendere la pecora per averne la lana. Il pastore, anziché fuggire,
accetta la morte, ridefinendola come un matrimonio sacro con la pecora, la sua
principessa mortale. Il cimitero di Sapinta, nella regione del Maramures¸,
rappresenta il più famoso esempio in Romania di arte apotropaica legata alla
morte: tutte le lapidi sono di legno intarsiato con epitaffi ironici e
rappresentazioni di scene della vita dei defunti.
SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI
La situazione sanitaria in Romania risente del difficile passaggio
da un sistema statalista e fortemente accentratore ad un modello
liberalizzato ma non ancora ben definito. Con una mortalità
infantile di 18,88 bambini ogni 1000 nascite la Romania ha un tasso
tre volte superiore a quello medio dei Paesi europei, così come la morte per
188
parto (40,5 ogni 100.000) è sei volte superiore alla media europea. Un altro dato
che impressiona è la morte per tubercolosi: con 65 decessi ogni 100,000 la
Romania si colloca al livello dell’Africa Sub-Sahariana. A Bucarest perfino le
autorità hanno riconosciuto che il sistema sanitario sta attraversando la più
grave crisi degli ultimi 60-80 anni. Ciò che si è lasciato alle spalle è un sistema
sanitario totalmente pubblico, fortemente centralizzato e regolato dal Ministero
della Salute: il passaggio al libero mercato ha però comportato una drastica
riduzione della qualità e della quantità di spesa pubblica. Gli ospedali sono
sempre più in difficoltà a reperire fondi per attrezzature mediche e farmaci e i
pazienti spesso devono ricorrere a forme di corruzione del personale medico
per ottenere servizi nominalmente gratuiti. In Romania attualmente ci sono solo
1,86 medici ogni 1000 abitanti: i loro salari e il loro status sociale è molto basso.
Tale stato di sfiducia porta spesso a emigrare all’estero: il 20% dei laureati si
sposta in Usa, Europa o Canada. La Romania è attualmente divisa in 42 distretti
sanitari ognuno dei quali dispone di almeno tre ospedali, tre policlinici e di una
rete di dispensari. I medici, come fornitori di assistenza sanitaria di base, sono
retribuiti su base contrattuale in proporzione al numero di assistiti. La riforma
sanitaria avviata nel 1998, ha introdotto un Fondo di Assicurazione Sanitaria al
quale i cittadini contribuiscono con un 7% del loro salario: l’obiettivo di tale
riforma è quello di decentralizzare il sistema e favorire la concorrenza tra i
fornitori. Ma le prospettive sono nere, tenuto conto delle differenze regionali: a
Bucarest si spende in sanità il 167% della media nazionale, paragonato al 52%
che si spende nelle regioni periferiche come la Moldavia. A volte le farmacie si
rifiutano di rifornire le medicine di base perché non ricevono i rimborsi dovuti
e si stima che gli ospedali romeni abbiano superato i 250 milioni di euro di
debiti verso i fornitori.
I minori sono i più esposti: attualmente circa 100.000 bambini (uno ogni 1000
nella fascia d’età tra 0 e 18 anni) si trovano in istituti di assistenza pubblica, o
perché abbandonati dai genitori, o perché vi sono stati affidati per l’estrema
povertà e la mancanza di adeguati servizi sanitari per le famiglie. Questa scelta
è spesso obbligata ed è sostenuta da un approccio ereditato dal passato regime,
nel quale l’istituzione statale era considerata un ambiente più adeguato della
famiglia per seguire il minore svantaggiato nel suo sviluppo. Uno dei dati più
allarmanti riguarda la diffusione tra i minori dell’HIV. Negli anni passati, per
fare fronte all’anemia o alla sottonutrizione dei bambini negli istituti, veniva
infuso sangue non controllato. Tale pratica era frequente anche nei casi di
vaccino. Circa 5000 bambini nati tra il 1987 e il 1990 sono stati infettati, in primo
luogo dalle trasfusioni. Al marzo 2000, 8473 bambini sono stati individuati
come sieropositivi. Con i 1200 euro pro capite disponibili per tutte le spese
sanitarie ogni anno, il trattamento per la cura dell’HIV (ogni mese all’incirca
1200 euro) è irraggiungibile per la maggioranza. Si investe anche poco sulla
prevenzione e nell’assistenza psicologica dei malati. Alcune eccezioni si
possono però trovare: ad esempio la Romania assicura gratis l’insulina per tutti
i diabetici e pratica uno dei più estesi programmi dell’Europa di terapia contro
il cancro.
189
FIABE TRADIZIONALI
Le fiabe romene appartengono alla tradizione orale e sono
state trascritte tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del
Novecento. Hanno intrecci molto lunghi e questo si spiega con un
contesto di adulti disponibili all’ascolto nelle lunghe serate
invernali. Per dare un’idea di queste storie, eccone due brani
esemplari. Il primo è l’inizio di “Giovinezza senza vecchiaia e vita senza morte”
dove compare il protagonista maschile più specifico della fiaba romena. È Faˇt
Frumos, il “bel giovane”, l’eroe che possiede le qualità essenziali dell’umano,
perché è bello, giovane, valoroso, buono, generoso. Qui si racconta la sua
nascita, dopo che il re e la regina che non riuscivano ad avere figli hanno
ottenuto un filtro magico da un “vecchietto ispirato da Dio”:
Il re e la regina presero i filtri e tornarono felici al palazzo. Trascorsi pochi giorni
la regina era in attesa di un bimbo. Tutto il regno, tutta la corte e tutti i servitori
si rallegrarono di questo avvenimento. Il bambino, ancora prima di nascere, si mise
a piangere così forte che nessun mago riusciva a calmarlo. Il re, per placare i suoi
pianti non poté fare a meno, fin da allora, di promettergli tutte le meraviglie del
mondo; ma nemmeno così riusciva a farlo tacere.
“Smetti di piangere, tesoro di papà”, diceva il re, “e io ti darò questo o quel regno;
smetti di piangere, figliolo, e io ti darò in sposa questa o quella principessa”. E
aggiunse tante altre promesse. Alla fine, vedendo che proprio non si chetava,
aggiunse: “Smetti di piangere, sangue del mio sangue, ed io ti darò giovinezza
senza vecchiaia e vita senza morte”. Allora il bambino smise di piangere e nacque; i
servi suonarono i tamburi e le trombe e in tutto il regno si fecero grandi feste per
una settimana intera. Più il figlio del re cresceva, più coraggioso e scaltro
diventava. Lo mandarono a scuola da maestri sapienti e tutte le scienze che gli altri
bambini imparavano in un anno, lui le imparava in un mese, tanto che, ogni volta,
il re moriva e risuscitava dalla gioia. Tutti nel regno ne andavano fieri, pensando
che avrebbero trovato in lui un re saggio e fortunato come Salomone. Ma dopo un
po’ di tempo, chissà perché, il ragazzo divenne malinconico, triste e pensieroso.
Finché, proprio il giorno in cui compiva quindici anni e il re era a tavola con tutta
la corte e i più alti dignitari del regno a festeggiare, Fàt-Frumos si alzò e disse:
“Padre, è arrivato il momento che tu mi dia quello che mi avevi promesso prima che
nascessi”16.
Dopo questo inizio e dopo fantastiche e vittoriose vicende ci sarà alla fine
l’inevitabile arrivo di Vecchiaia e di Morte anche per Faˇt Frumos, che
rappresenta l’essenza dell’umano e quindi deve morire. Troviamo invece un finale di
16
Mincu M. (a cura di), Fiabe romene di magia, Bompiani, Bologna, 1989, pp. 1-2.
190
nozze nella fiaba romanzo Ileana Cosinzeana, nella treccia le canta un fiore, nove
regni stanno a sentire. Ileana è la protagonista tipo della fiaba romena, archetipo
del fascino e del potere femminile. In altre fiabe è solo una splendida fanciulla, qui
è anche una fata. Questo è peculiare in un contesto narrativo in cui uomini, fate,
orchi e santi continuamente si mescolano e in cui eroi ed eroine si trasferiscono con
la massima naturalezza dalla terra al mondo sotterraneo o al cielo. La fiaba
racconta di un principe, Faˇt Frumos, al quale il re padre, prima di morire aveva
raccomandato di non avvicinarsi al lago delle fate. Ecco la trasgressione:
Dopo che fu uscito e si fu rivestito, su quel prato verde pieno di fiori, all’improvviso
si levò intorno a lui un vento soave che lo fece cadere in un sonno profondo. Ed ecco
che uscì dal seno delle onde una donna con i capelli lunghi color dell’oro, con il viso
vermiglio come una rosa e con le braccia bianche come mughetti: una fata alta di
statura e così bella, che il sole lo si sarebbe potuto guardare, ma lei no. Salendo
sulla sponda, si adagiò presso il giovane re e cominciò a baciarlo sul viso e sugli
occhi con il più ardente amore. Lo baciò una volta, due volte, dieci volte, cento
volte, ma il re non sentiva nulla, il sonno greve lo teneva come pietrificato; lo prese
fra le braccia e lo accarezzò, sospirando con tutta l’anima, e il re non si poteva
svegliare. Allora la fata, con gli occhi bagnati di pianto lo lasciò, scivolò dalla riva
nell’acqua e scomparve, lasciando dietro di sé, sulla superficie del lago, soltanto dei
cerchi d’acqua tremolante, che man mano si allargavano fino a scomparire in
lontananza. Dopo un bel pezzo il re finalmente aprì gli occhi, si guardò intorno
spaventato e senti il respiro pesante e affannoso. “Che sogni gravosi mi hanno
preso” pensò fra sé. Immediatamente venne il cocchiere con i cavalli che avevano
pascolato nel trifoglio verde, salirono a cavallo e ritornarono verso casa. Il giorno
dopo, il re venne di nuovo a fare il bagno nel limpido lago delle fate. Dopo il
bagno lo prese quel sonno profondo come la volta scorsa. La fata dai bei capelli
d’oro si fece vedere di nuovo. Si avvicinò a lui, lo baciò, lo accarezzò con infinito
amore, cercò di svegliarlo con tutti gli incantesimi e le seduzioni che conosceva, e
tuttavia il re non si svegliò.
Mincu M. (a cura di), Fiabe romene di magia, Bompiani, Bologna, 1989, pp. 50-51.
RICETTE
Insalata di melanzane (salate di vinete)
Ingredienti: 2 melanzane medie di colore scuro, 150ml olio, sale, 1
cipolla, 2 cucchiaini di latte.
Preparazione: le melanzane si cuociono a fuoco medio direttamente sulla fiamma
fino a farle diventare morbide. Quando sono ancora calde si sbucciano. Si
191
mettono le melanzane in un vaso di legno perché il liquido amaro se ne vada.
Con un pestello si frantumano le melanzane in un recipiente di plastica o di
legno fino a farle diventare una pasta. Il pestello deve essere di legno, perché
altrimenti le melanzane si ossidano e diventano amare. Si aggiunge il latte. Si
mescola l’insalata con olio, si aggiunge sale e maionese, secondo le preferenze.
L’insalata di melanzane si serve come antipasto, presentandola su fette di pane
caldo.
Minestra di tacchino (ciorba di potroace)
Ingredienti: 2 litri d’acqua, penne e colli di tacchino, sale e pepe, il succo di due
limoni, 2 carote, sedano, 1 cipolla, 3 cucchiai di riso.
Preparazione: bollire le penne ed i colli di tacchino approssimativamente 1 ora.
Dopo aggiungere la verdura tagliata in piccoli pezzetti ed il riso e cuocere fino a
farli diventare morbidi. Aggiungere sale e pepe. Insaporire con succo di limone
e aggiungere un po’ di prezzemolo. Si serve calda.
•
Involtini di cavolo alla romena (sarmale)
Ingredienti: 1 cavolo grande, 750 g carne tritata (mista di maiale e manzo), 4
cipolle grandi, 2 Tbls. riso, 1 fetta di pane, 3 Tbls. grasso, 5-6 pomodori, succo di
pomodori, sale, pepe, aneto, 1 litro salamoia, panna acida.
Preparazione: la carne tritata si frigge con la fetta di pane abbrustolita e con la
cipolla. In un recipiente si mescolano bene il riso con la carne, pepe, sale, aneto
e la cipolla fritta. Le foglie di cavolo si separano e quelle grandi si tagliano in 2-3
pezzi. Si impasta la carne e il riso con i condimenti e si formano palle piccole
che si avvolgono nelle foglie di cavolo. I più gustosi sono gli involtini piccoli.
Gli involtini si mettono in una pentola e si coprono con una foglia di cavolo e
sopra si mettono le fette dei pomodori o il succo di pomodori. Si cuociono a
fuoco lento per circa 30 minuti. Si servono con panna acida.
POESIA
Mircea Caˇrtaˇrescu: poeta, prosatore e saggista, è lo scrittore
più importante della cosiddetta “generazione 80” e della
letteratura romena contemporanea. Delle varie raccolte poetiche,
uscite dopo il 1983, in Italia si trova Quando hai bisogno d’amore, CD
doppio (Pagine, 2003).
LETTERATURA
Norman Manea: è nato nel 1936 a Suceava, in Bucovina. Tra
i cinque e i nove anni, per le sue origini ebraiche, è stato
internato con la famiglia in un campo di concentramento del
regime fascista rumeno, in Ucraina. Ha vissuto la sua
giovinezza nella Romania stalinista del dopoguerra e, dalla metà degli anni
192
Sessanta, ha sperimentato come uomo e come scrittore la dittatura di
Ceausescu. Nel 1986 ha lasciato il suo Paese e vive attualmente negli Stati Uniti,
dove insegna al Bard College di New York. In italiano sono stati tradotti: Un
paradiso forzato (Feltrinelli, 1994); Il clown, il dittatore e l’artista (Il Saggiatore,
1995); Ottobre, ore otto (Il Saggiatore, 1998); La busta nera (Baldini&Castoldi,
1999); Il ritorno dell’Huligano (Il Saggiatore, 2004).
Mircea Eliade: è nato a Bucarest nel 1907 ed è morto a Chicago nel 1986; è
stato storico delle religioni e saggista. Tra i massimi esperti di sciamanesimo, ha
studiato in particolare il mito, cui attribuisce valore archetipico, intendendolo
come creazione autonoma dello spirito, rivelatrice del sacro. In italiano si trova:
Trattato di storia delle religioni (Einaudi, 1954); La nascita mistica. Riti e simboli
d’iniziazione (Morcelliana, 1974); Il mito dell’eterno ritorno. Archetipi e ripetizione
(Borla, 1968); Mito e realtà (Rusconi, 1974); Lo Yoga, immortalità e libertà, (Rizzoli,
1973); Il sacro e il profano (Boringhieri, 1967). Ha scritto anche opere di narrativa:
Maitreyi. Incontro bengalese (Jaca Book, 1989), La foresta proibita (Jaca Book, 1986).
Eugen Ionesco: è nato a Slatina nel 1912 ed è morto a Parigi nel 1994. Dal
1938 ha vissuto a Parigi dove dagli anni Cinquanta si è affermato come
drammaturgo fino ad essere considerato come il più grande autore del “teatro
dell’assurdo”. Tra le opere più famose tradotte in italiano: La ricerca di Dio
(Casagrande, 2000); Teatro completo. Vol. 1 e Vol. II (Einaudi, 1993); Il mondo è
invivibile (Spirali/Vel, 1989); La foto del colonnello (Spirali/Vel, 1987); La lezione Leie (Einaudi, 1982); Il Rinoceronte (Einaudi, 1981); La cantatrice calva (Einaudi,
1971); Il pedone dell’aria - Delirio a due (Einaudi, 1971); Il re muore (Einaudi, 1970).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Giappichelli Editore, Torino, 1994.
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orientale e balcanica. Annuario politico-economico, il Mulino, Bologna,
2003.
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istorie a românilor, Bucures¸ti, Editura Meronia, 1996).
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193
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scuola media romana, Tesi di laurea, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Facoltà
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DANZE
È possibile mettere in relazione tre ampie regioni geografiche con le danze più
diffuse nelle rispettive zone:
• quella del Danubio (Oltenia, Muntenia e Dobrugiacon) con le danze Hora,
Sirba , Briu, Alunelul;
• quella della Transilvania (Valle Crisu e pianure del Banat) con le danze
Jocuri de Purtat (jocuri dei invirtit, jocuri fecioresti);
• quella dei Carpazi (parte meridionale del Banat, regione pre-carpatiche
dell’Oltenia, Muntenia e Moldavia e una parte della Transilvania) con danze
caratterizzate da passi energici e battute di piedi.
Generalmente il repertorio di danza di ciascun villaggio è molto ricco, si passa
da una media di 13 danze specifiche fino a 50 o 60 di alcuni villaggi
dell’Oltenia; in quelli della Transilvania il numero delle danze è limitato, 4 o 5,
ma il numero delle varianti è amplissimo.
Le danze popolari rumene generalmente presentano un tempo vivace e il ritmo
più diffuso è quello binario.
Si possono osservare danze miste di uomini e donne, danze per soli uomini e in
misura molto minore danze per sole donne. Esistono molte formazioni,
194
posizioni e passi. Nel sud e nell’est del Paese la formazione predominante è il
cerchio chiuso o aperto, in Transilvania sono particolarmente diffuse le danze di
coppia, con le coppie allineate in un cerchio, o in linee rette o libere nello spazio
danzante. Nelle danze in cerchio le mani possono essere congiunte tenendo le
braccia in basso, con i gomiti piegati, o possono essere appoggiate alle spalle dei
vicini.
In genere i passi sono piccoli ed è limitato il movimento della parte superiore
del corpo.
Si usa classificare le danze rumene in tre grandi gruppi secondo le figure, il
ritmo, i passi e la struttura: delle Hora, delle Briul e delle Sirba.
La Hora è molto antica, e si distingue dalle hore balcaniche. È eseguita a cerchio
chiuso da un gran numero di partecipanti uniti per mano o grazie alla presa
sulle spalle. Il tempo è binario e la struttura prevede sempre due sole parti.
Di solito la HORA è danzata all’inizio e alla fine di un incontro di danza. Molte
danze appartenenti a questo genere hanno dei nomi specifici che rivelano il
carattere tipico della danza o nomi per i quali sono riconosciute solo localmente.
Per esempio: Hora mare = grande mare, Hora batrineasca = hora dei vecchi,
Hora lunga = hora in linea, Hora pebatai = hora con battute di piedi, Hora de
mina = hora con le mani, Hora dreapta = hora dritta, Batuta, Batrinesca, Balta,
Hangul, Jianul, Lautareasca, Hodoroaga, Trei pareste.
La Briul è in genere danzata da soli uomini in cerchio aperto o chiuso con le
braccia sulle spalle dei vicini. A volte la presa è alla cintura. La parola briul è
usata anche per indicare il laccio fatto di pelle che gli uomini indossano attorno
alla vita. Comunque non è sicuro che il nome della danza abbia qualche
relazione con la cintura indossata. Le danze Briul hanno un tempo binario e un
ritmo e un ritmo sincopato.
La Sirba è danzata soprattutto nell’est e nel sud del paese. L’origine della parola
Sirba rimane vaga. La parola rumena sirbesc significa Serbo ed è possibile
quindi che il nome sirba indichi quelle danze che sono danzate in stile serbo. In
vari casi la sirba è una danza veloce, vivace con un carattere gioioso. Il tempo è
6/8 ed è eseguita soprattutto da uomini in cerchio aperto con le braccia sulle
spalle. Varianti di sirba possono essere: Ciuleandra, Rata, Floricica, Briuletul,
Marioara, Craitele.
195
196
Tunisia
di Chiara Lainati
DATI GENERALI 17
Confini: la Tunisia confina a Nord e Nord-Est con il Mar Mediterraneo (e quindi con
l’Italia, poco meno di 150 chilometri la separano dalla Sicilia), a Sud con la Libia e
l’Algeria e a Ovest con l’Algeria).
Abitanti: 9.700.000 (f. 49,7%).
Estensione geografica: kmq 163.610.
Continente: Africa.
Densità di popolazione: 62,9 ab./kmq.
Incremento demografico: 2% (1975-2002).
PIL pro-capite (US $): 6.760.
Vita media: 72,7 anni (74,8 f.; 70 m.).
Mortalità infantile 0-5 anni: 26/1000.
Tasso di alfabetizzazione della popolazione adulta (% persone sopra i 15 anni):
73,2% (63,1% f.; 83,1% m.).
Tasso di alfabetizzazione dei giovani (15-24 anni): 94,3% (90,6% f.).
Lingua: arabo (lingua ufficiale), dialetto arabo-tunisino (lingua parlata), francese,
berbero.
Religione/i: musulmani sunniti 99,5%, ebrei, cattolici e protestanti 0,5%.
17
Fonti: Rapporto UNDP (United Nations Development and Population) 2004. I dati si riferiscono al
2002 se non indicato diversamente.
197
Gruppi etnici: arabi 96,2%, berberi 1,4% e altri 2,4% europei, ecc.
Regime politico: Repubblica presidenziale (Presidente: Zine El Abidine Ben Ali eletto
nel 1987 e riconfermato nelle ultime elezioni del 2004).
LE FESTE PRINCIPALI
Feste civili: Capodanno (1 gennaio); Festa dell’indipendenza (20
marzo); Festa della gioventù (21 marzo); Festa dei martiri (9
aprile, festa dei caduti nella guerra d’indipendenza); Festa dei
lavoratori (1 maggio); Festa della Repubblica (25 luglio); Festa
Nazionale (3 agosto); Festa della donna (13 agosto, data della
promulgazione del Codice Personale); Festa della Liberazione (15 ottobre); Festa
del changement cioè della presa del potere da parte di Ben Ali, attuale
presidente (7 novembre).
Feste religiose: le feste religiose in Tunisia seguono esclusivamente il calendario
islamico (Hijiri). I mesi di questo calendario seguono il ciclo lunare, quindi le
date variano di anno in anno:
RAS AS-SANA: la festa musulmana del nuovo anno.
MOULID AN-NABI: compleanno del profeta Maometto.
RAMADHAN: si festeggia nel nono mese del calendario islamico e per i
musulmani è uno degli avvenimenti più importanti dell’anno. Infatti la festività
ricorda che in questo mese avvenne la rivelazione del Corano al profeta
Maometto. I fedeli adulti in pieno possesso delle facoltà mentali (ad eccezione
delle donne in fase di ciclo mestruale o puerperio) praticano il digiuno e
l’astensione dal bere, dal fumo e dai rapporti sessuali dall’alba al tramonto. La
sera si festeggia a casa e per le strade; ‘Aid al-Fitr (Festa della rottura del
digiuno): primo giorno del mese successivo a quello di Ramadhan che sancisce
la fine del digiuno; ‘Aid al-Kebir (Grande Festa)/’Aid al-Adhah (Festa del
sacrificio): si commemora il miracolo compiuto da Allah quando sostituì il
figlio che Abramo stava sacrificando in nome della fede ad Allah, con un
agnello. Designa anche il periodo dell’anno in cui si svolge il pellegrinaggio alla
Mecca, che ogni musulmano è tenuto a compiere almeno una volta nella vita.
IL SALUTO: Assalam Aleikoum (la pace sia con voi)/Le bés (Come stai)?
CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE
sia nelle città che nelle campagne si offre il tè verde con la
menta (tè ahmar bina’na), che al Sud e nelle isole ha un sapore
particolarmente forte perché viene fatto bollire più volte.
Assieme al tè vengono offerti anche dolci fatti in casa (halwa).
Capita però spesso che vengano offerte bevande gassose (gazzous) soprattutto
durante la stagione estiva. Nelle campagne se l’ospite arriva vicino all’ora di
198
pranzo o di cena viene offerto il pane casereccio (kessra) con l’olio (zit) e le olive
(zaitoun) coltivati dalla famiglia.
IMMIGRAZIONE IN ITALIA
La Tunisia è uno dei tre paesi della regione del Maghreb18
(letteralmente “il luogo dove tramonta il sole”, cioè a occidente
del fiume Nilo, opposto a Mashreq, cioè “il luogo dove sorge il
sole”, oriente, il Medio Oriente). Questo nome trae origine dal
processo di islamizzazione della regione iniziato a partire dal VII
d.C. dalla penisola arabica. Le popolazioni originarie del Nord Africa, i berberi,
termine europeo, o imazighen (“uomini liberi”), nome con cui essi preferiscono
chiamarsi, nel tempo si sono islamizzate e arabizzate. In Algeria esistono ancora
importanti nuclei, in Tunisia invece ne sono rimasti pochi. La Tunisia, come
tutti i paesi del Nord Africa, presenta forti disparità socio-economiche che si
sviluppano tra le zone costiere fortemente industrializzate (e dove il turismo
svolge un ruolo fondamentale, si pensi ad esempio ad Hammamet e a Jerba,
rinomate destinazioni vacanziere) e le zone interne a vocazione agricola. Parte
dell’esodo rurale che ha alimentato la crescita delle città costiere è confluito poi
anche all’estero: prima verso la Francia e gli altri paesi europei, poi verso
l’Italia. Le principali zone di provenienza degli immigrati insediati in Italia sono
i governatorati di Tozeur (regione interna, semi-desertica), Sousse (costa
occidentale) e Tunis (costa settentrionale). Questi ultimi costituiscono anche le
principali destinazioni delle migrazioni interne. I primi flussi migratori verso
l’Italia sono comparsi a partire da metà anni Sessanta ed erano orientati in
massima parte verso la Sicilia, un territorio legato storicamente alla Tunisia in
seguito ai flussi di pescatori e contadini che a partire dall’Ottocento hanno
cercato migliore fortuna nel paese vicino. Nell’ambito dei flussi migratori verso
l’Italia, la Sicilia ha sempre rappresentato per i tunisini una tappa di passaggio
per proseguire verso mete più allettanti a Nord, ma anche un contesto di
inserimento stanziale, grazie anche alla vicinanza con il paese. Inoltre tuttora,
anche se meno che in passato, è un territorio che richiama flussi stagionali legati
alle raccolte del ciclo agricolo.
I primi flussi di immigrati tunisini hanno fatto il loro approdo in particolare
a Mazara del Vallo attratti dallo sviluppo dell’industria peschiera e nella Valle
del Belice come agricoltori nelle campagne abbandonate dai siciliani residenti.
A partire dalla metà degli anni Settanta fino ai primi anni Ottanta si assiste ad
un secondo flusso più intenso dovuto anche alle politiche di chiusura delle
frontiere da parte dei paesi europei di tradizionale immigrazione come la
Francia, la Germania e i Paesi Bassi. La Lombardia e in particolare Milano
diventano un’altra meta importante non solo di tunisini che provengono dal
loro paese ma anche di tunisini che dalla vicina Francia tentano un inserimento
che dia maggiori probabilità di regolarizzazione. Questo periodo è
18
Gli altri due paesi sono Algeria e Marocco. Il cosiddetto Grande Maghreb accoglie anche Libia e
Mauritania.
199
caratterizzato da molte presenze irregolari e stagionali costituite da artigiani,
pescatori e manovalanza ma anche studenti.
Un terzo flusso si forma a partire dal 1985/86 a seguito della grave crisi
recessiva del paese e del richiamo indotto dalla prima legge di sanatoria (L.
943/1986) proclamata in Italia a cui fece poi subito seguito la seconda del 1990,
che portò i tunisini ad essere la terza presenza straniera in Italia a seguito di
marocchini e statunitensi. Da questo momento i flussi dalla Tunisia si
stabilizzano e la composizione della popolazione comincia a diversificarsi. Se
agli inizi come in tutti i flussi provenienti dal Nord Africa, i tunisini erano
soprattutto maschi e giovani, poi a partire dalla metà degli anni Novanta sono
cominciati a crescere i ricongiungimenti familiari, attivati da uomini che una
volta stabilizzati hanno richiamato le loro mogli oppure si sono sposati e hanno
portato in Italia le loro famiglie. Le donne cominciano quindi a far parte della
popolazione immigrata tunisina in modo sempre più crescente proprio in
questo periodo: se nel 1992 la loro presenza ammontava al 9%, nel 2000 arriva
ad essere il 22% del totale. Sebbene la maggior parte della presenza delle donne
sia legata alla famiglia, ci sono casi di immigrazioni femminili individuali,
soprattutto per motivi di studio. Rispetto agli altri paesi del Maghreb (Marocco
e Algeria) è un fenomeno però che costituisce per lo più un’eccezione.
Attualmente le regioni che registrano le maggiori presenze di tunisini sono la
Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna.
MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI
La cultura islamica influenza gran parte dei modelli di crescita
ed educazione dei figli. I figli piccoli sono quasi di esclusiva
competenza delle madri. Il padre deve pensare soprattutto al
sostentamento di entrambi. L’allattamento al seno è consigliato dal
Corano e generalmente viene portato avanti fino ai due anni di età.
Durante l’allattamento la madre è esonerata dal digiuno previsto nel mese di
Ramadhan. Gli orari della poppata sono a richiesta del bambino. Generalmente
nei primi mesi di vita il bambino dorme nella stessa camera dei genitori in
modo da poterlo seguire meglio in tutte le sue esigenze. Lo svezzamento può
partire al IV mese ma può anche iniziare molto più tardi, al X mese, tutto
dipende dal tempo a disposizione della donna che sempre più spesso lavora
anche fuori casa. Le donne della famiglia allargata costituiscono una risorsa
importante per le madri primipare perché sono preziose consigliere nelle prime
fasi della crescita e le aiutano nei momenti di maggiori difficoltà. Questo crea
però anche una serie di conflitti tra vecchie e nuove generazioni in cui le
relazioni gerarchiche di potere e di rispetto che ad esempio intercorrono tra
nuora e suocera vengono messe a dura prova.
Questi comportamenti non sono però generalizzabili a tutta la società
tunisina. Il processo di alfabetizzazione e di modernizzazione dell’ordinamento
giuridico iniziato negli anni Cinquanta ha comportato diverse trasformazioni.
200
In generale si può affermare che le differenze più marcate si riscontrano tra città
e campagna dove i ritmi e i tempi di vita sono profondamente diversi.
MODELLI DI CURA
Attualmente il 90% delle nascite è medicalizzato, una percentuale
molto elevata se si considera ad esempio un altro paese della regione,
il Marocco, dove è ancora forte il ruolo delle levatrici: solo il 40% dei
parti viene infatti assistito da personale sanitario. Anche in Tunisia
comunque esistono le sages femmes che seguono tutta la fase della gravidanza,
del parto e dell’allattamento.
Nei 40 giorni dopo il parto il bambino non può essere portato fuori di casa.
È una regola connessa alla tradizione piuttosto che a dettami coranici e serve a
proteggere la salute del bambino, perché non prenda correnti d’aria. Negli
ultimi anni il governo tunisino ha promosso una campagna diffusa sulla salute
della madre e del bambino nel primo anno di vita. Ad ogni donna incinta viene
fornito un carnet de santé mère-enfant (quaderno della salute per la madre e il
bambino) in cui vengono registrati gli esiti delle visite pre-natali, del parto e
delle visite post-natali della madre e del bambino fino al compimento del I anno
d’età, ivi comprese le vaccinazioni somministrate. Inoltre sono indicate le
istruzioni in materia di nutrizione pre-parto e post- parto per la madre e per il
bambino nella fase di svezzamento, in modo da prevenire fenomeni di
malnutrizione piuttosto ricorrenti. L’obiettivo è quello di promuovere un
monitoraggio costante della salute della madre e del bambino anche in quegli
strati di popolazione dove la medicina occidentale viene poco contemplata e
dove le abitudini alimentari non prevedono una particolare varietà di cibo, per
ragioni culturali ma anche per la mancanza di mezzi. In questo modo si cercano
di prevenire malattie gravi o disagi difficili da risolvere quando sono colti in
stato avanzato. Di fatto sebbene tutte le donne, comprese quelle analfabete,
conoscano bene lo strumento e seguono il calendario delle visite, nella pratica,
soprattutto per quel che riguarda la nutrizione del bambino, prevalgono ancora
modelli di cura tradizionali. Ciò non toglie che comunque la medicalizzazione
occidentale sia largamente penetrata in tutti gli strati di popolazione, al punto
che soprattutto per i bambini viene spesso fatto ricorso alle medicine anche
quando non è strettamente necessario. Gli stessi medici hanno la tendenza a
prescrivere farmaci anche leggeri in ogni visita che viene fatta. Una pratica
popolare piuttosto diffusa in tutta la popolazione del Maghreb per proteggere i
bambini dal malocchio è quella di attaccare agli indumenti del bambino una
spilla da balia dove vengono infilati alcuni amuleti: un Corano in miniatura
(scrittura divina) e/o una mano di Fatma (ghamsa) (che simboleggia il cinque,
un numero ricorrente nella religione islamica: cinque sono ad esempio i dogmi
della religione e cinque sono le preghiere) e/o un peperoncino/cornetto di
plastica e/o un pesce. Sono simboli ed amuleti che appartengono sia alla
tradizione islamica che a quella berbera ed ebraica.
201
La donna e l’uomo che emigrano sono quindi già portatori di una
complessità di modelli di crescita e di educazione che devono riformulare in
relazione al nuovo contesto, operando ogni volta scelte diverse che spesso
variano non tanto in nome di un’appartenenza culturale nazionale quanto in
relazione alla propria appartenenza sociale, al proprio livello di scolarizzazione
e ai rapporti che riescono a instaurare nel contesto di accoglienza.
MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE
DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE
La scuola (e le connesse garderies che hanno il ruolo di prendersi
cura dei bambini negli intervalli di tempo tra un turno e l’altro) e la
famiglia allargata sono i luoghi principali deputati alla
socializzazione dei bambini e delle bambine. Nei centri urbani dove le
opportunità per il tempo libero sono maggiori, i bambini vengono
incoraggiati a frequentare corsi di vario genere (ginnastica e nuoto soprattutto).
Ultimamente sono molto di moda i corsi di arti marziali, soprattutto per i
maschi. Con l’incremento del lavoro femminile fuori casa, i luoghi di
socializzazione dei figli in età pre-scolare sono in fase di forte trasformazione e
si evidenzia una differenza marcata tra campagna e città. Secondo i dati di
un’indagine promossa dall’UNICEF in collaborazione con il Ministero della
Salute nel corso del 2000 risulta che quasi la metà dei bambini hanno
frequentato per almeno un anno un’istituzione pre-scolare. In ambito urbano
questa sale al 71,3% contro l’11,2% delle zone rurali. Questo vuol dire che come
in altri ambiti, c’è una forte polarizzazione tra campagna e città per quel che
riguarda la disponibilità delle strutture e le possibilità di accesso ai jardin
d’enfant. Questi essendo nella maggior parte dei casi privati sono a pagamento.
MODELLI E STILI FAMILIARI
La vita sociale delle famiglie e il ruolo dei genitori: la famiglia
tunisina è una realtà in fase di grandi trasformazioni da tempo.
Non è possibile comprenderla contrapponendo la tradizione alla
modernità. La famiglia allargata (genitori, figli, nonni, zii e
cugini) di tipo patrilineare, propria delle società musulmane, e la
famiglia nucleare non si escludono l’una con l’altra ma si alimentano a vicenda.
La famiglia allargata che prima dell’indipendenza era la norma, ora è sempre
valorizzata ma la norma è diventata la famiglia nucleare fondata sul
matrimonio. Cambiano i rapporti che questi due tipi di famiglia intrattengono
tra di loro. La famiglia allargata emerge ogni volta che un membro ha bisogno
di aiuto oppure in occasione delle grandi ricorrenze del ciclo di vita familiare; la
famiglia nucleare è il riferimento quotidiano e l’essenza dell’unità domestica,
anche se spesso con i nuclei emigrati in città convivono altri parenti che vi
risiedono per lunghi periodi. I ruoli e le relazioni familiari sono influenzati
dalla cultura del diritto islamico, sebbene in qualche modo gli ordinamenti
202
giuridici tunisini si siano orientati verso approcci più laici. Il diritto islamico
prevede che la madre si occupi delle esigenze materiali dei figli (hadana) mentre
invece il padre deve provvedere a sostenere il figlio nel suo cammino di crescita
sociale avendo il potere di rappresentarlo e di prendere le decisioni
fondamentali della sua vita (patria potestà, wilaya): istruzione, educazione
morale e religiosa, trattamenti sanitari, avviamento al lavoro, amministrazione
dei beni, matrimonio. Oggi la divisione dei ruoli non è più così netta e questo
crea insicurezze e tensioni: sebbene il valore di riferimento sia sempre la
famiglia patriarcale, l’autorità del padre comincia ad entrare in crisi perché
spesso non è più il solo a detenere le risorse economiche dal momento che
anche la madre spesso lavora. Questo comporta una condivisione progressiva
delle decisioni importanti della famiglia. Diversi studi hanno messo in evidenza
come soprattutto l’esperienza migratoria contribuisca a diminuire l’autorità del
padre emigrato di fronte ai figli maschi che per lungo tempo sono rimasti al
paese e dunque distanti, magari a contatto con modelli autoritari più
intransigenti come quelli dei nonni. Il ricongiungimento familiare costituisce un
ambito in cui queste dinamiche esplodono in modo intenso.
ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: sono vietate le assegnazioni di
nomi non arabi per i bambini nati in Tunisia mentre lo stesso vincolo non esiste
nel caso il bambino nasca all’estero. Il problema si pone nel momento in cui la
famiglia deve rientrare o fare iscrivere il bambino nei registri di stato civile in
Tunisia perché tramite decreto devono cambiare il nome in uno arabo. Il
cognome attribuito è quello del padre.
ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: in Tunisia prevale lo ius solis: se il
bambino nasce in Tunisia, acquista comunque la cittadinanza tunisina, anche se
è figlio di sconosciuti. Lo stesso si verifica nel caso entrambi i genitori siano
tunisini (coniugati o meno), a prescindere dal luogo di nascita. Nel caso in cui
solo uno dei due genitori sia di cittadinanza tunisina, è solo l’uomo che può
trasmettere automaticamente la cittadinanza, la donna può farlo solo nel caso in
cui il padre sia uno sconosciuto o il figlio sia nato in Tunisia. Negli altri casi
invece dovrà essere fatta esplicita richiesta alle autorità tunisine da parte di
entrambi i genitori prima dei 19 anni. La legge riconosce la doppia cittadinanza.
FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: il diritto tunisino offre
forme di tutela nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio: la madre non ha
bisogno perché prevale il legame biologico; il padre può riconoscerlo anche
successivamente alla nascita. È riconosciuta l’adozione. Se il riconoscimento
avviene in Italia si seguono le modalità previste dal sistema giuridico italiano.
REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: in Tunisia la registrazione avviene
nel giro di poco tempo presso l’Ufficio di Stato Civile. Se il bambino nasce in
Italia invece la trascrizione sui registri di Stato Civile tunisini può avvenire in
qualsiasi momento presso il Consolato locale con la documentazione necessaria
(estratto di nascita del figlio, libretto di famiglia).
CONTRATTO DI MATRIMONIO: per il diritto musulmano il matrimonio è un
atto legale che si situa tra il diritto naturale e il diritto contrattuale. L’atto di
203
matrimonio viene rilasciato dal Comune o da un notaio che si reca nelle case a
sancire l’unione matrimoniale, davanti a due testimoni. Nel diritto islamico
oggetto del contratto è la dote per la moglie (mahr) che il marito si deve
impegnare a pagare. Questa deve essere menzionata nel contratto, non
necessariamente deve essere riportato il suo valore in denaro. In Tunisia la dote
è una pratica diffusa ovunque senza distinzione di ceto o di provenienza
geografica ma l’abitudine, soprattutto in città, è quella di stipulare una dote
simbolica. Il regime previsto è quello della separazione dei beni ma tutte le
acquisizioni fatte durante il matrimonio rientrano nella comunità matrimoniale
e diventano beni comuni ai coniugi. Insieme all’atto di matrimonio viene
rilasciato il libretto di famiglia dove vengono registrati nascite e decessi di tutti i
componenti futuri.
DIRITTI DEI MINORI: il Codice del Lavoro del 1966 vieta il lavoro dei minori
di 15 anni negli stabilimenti industriali e prevede la protezione della salute dei
salariati minori di 18. Il Codice Penale protegge i minori dall’abbandono, dagli
atti di violenza e abuso sessuale e dal rapimento. Durante la prima campagna di
scolarizzazione avvenuta nel 1958 è stata promulgata una legge che parificava
la sottrazione dalla scuola dei minori operata dai genitori ad un abuso passibile
di sanzioni. A livello internazionale la Tunisia ha ratificato la Convenzione
Internazionale sui Diritti del Bambino nel 1992 e da allora ha messo in pratica
una serie di strumenti legislativi e amministrativi che tutelano e promuovono il
diritto dell’infanzia. Nel 1995 in particolare il governo ha promulgato un Codice
di Protezione del Bambino.
DIRITTI DELLE DONNE: il riconoscimento dei diritti delle donne in Tunisia
come in tutti i paesi arabo-musulmani è sempre stato subordinato al fatto che in
seguito al processo di indipendenza dei paesi arabi dai paesi europei, la priorità
era quella di restituire libertà e autonomia al mondo arabo-islamico prima
ancora che mettere l’accento sulle contraddizioni uomo-donna e questo ha
significato nella maggior parte dei casi un primato del diritto islamico in quasi
tutti gli ordinamenti giuridici nazionali. La Tunisia al contrario ha conosciuto
un processo di modernizzazione accelerato con la promulgazione del Codice
dello Statuto Personale (CSP) nel 1956 (Majalla). Focalizzandosi sui diritti
individuali e sui doveri tipici di un sistema basato sul singolo nucleo familiare
(composto solo da genitori e figli), ha esteso i diritti della donna offrendole
maggiore libertà di scelta per quanto concerne la sua vita privata. In questo
modo il paese ha aderito ad un’interpretazione modernista della shari’a (legge
islamica) assumendo molti principi di eguaglianza tra i sessi che sono anche
propri agli Stati moderni europei. Nel 1993 sono stati fatti ulteriori
emendamenti due dei quali mettono l’accento sulla distribuzione dei compiti
all’interno della famiglia al fine di garantire l’uguaglianza tra i coniugi.
Nonostante queste trasformazioni, ciò che è garantito dalla legge è ancora
lontano da quelle che sono le pratiche sociali. Il governo tunisino si sta
comunque impegnando in questa direzione, anche per sostenere in modo più
efficace il suo ingresso nel partenariato Euromediterraneo prevista nel 20072010. Nel 1985 ha ratificato la Convenzione sull’Eliminazione di Tutte le Forme
204
di Discriminazione Contro le Donne (CEDAW) con alcune riserve dovute a
conflittualità con i valori islamici. A partire dagli anni Novanta si sono
moltiplicate le istituzioni egli enti filo-governativi per il monitoraggio e la
promozione dei diritti delle donne, tra cui il Ministero degli Affari della Donna
e della Famiglia, (MAFF).
DIVORZIO E SEPARAZIONE: grazie al Codice dello Statuto Personale, in
Tunisia è stato abolito il ripudio (istituzione islamica ancora vigente nella
maggior parte dei paesi arabi) che prevedeva il diritto esclusivo dell’uomo di
sciogliere il matrimonio, ed è stato introdotto il divorzio che può essere
richiesto dall’uno o dall’altro dei due coniugi. In seguito all’udienza di
conciliazione in cui si tenta di scongiurare il divorzio e alla successiva
pronuncia della sentenza,, se nessuno ricorre in appello il divorzio diventa
definitivo dopo 30 giorni. L’affidamento dei figli in generale viene fatto alla
madre e il padre deve provvedere al pagamento degli alimenti.
In caso di difficoltà di pagamento da parte del debitore è disponibile un
fondo di garanzia per gli alimenti. Nonostante le leggi, la consuetudine sociale
fa emergere molti problemi in cui il retaggio della società patriarcale emerge in
tutto il suo estremismo, soprattutto se la coppia divorziata ha prole. Uno dei
problemi principali è il mancato versamento degli assegni familiari da parte del
marito.
SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI
Durante la colonizzazione francese, il sistema educativo
tunisino comprendeva tre tipi di scuole: le scuole coraniche
tradizionali, le scuole coloniali in francese e le scuole franco-arabe.
In queste ultime, l’insegnamento della religione islamica e della
lingua araba era affiancato dallo studio del francese e di materie
tecniche e scientifiche. Le scuole franco-arabe divennero il modello della scuola
tunisina dopo l’indipendenza. Durante la presidenza di Bourguiba (dal 1956 al
1987) il sistema scolastico fu unificato e tutte le scuole vennero poste sotto il
controllo del Ministero dell’Istruzione. Nonostante le diffuse campagne di
alfabetizzazione, lanciate dopo l’indipendenza, e l’aumento della
scolarizzazione elementare, l’analfabetismo nel Paese restava però ancora
elevato, soprattutto tra le donne e in ambito rurale.
Malgrado le risorse finanziarie limitate, lo Stato tunisino considera
l’educazione come uno dei presupposti fondamentali dello sviluppo economico
e sociale del paese e a partire dall’indipendenza riserva circa il 7% del PIL
(2001) al settore. L’educazione della scuola pubblica è gratuita. Sono previste
borse di studio e finanziamenti statali per gli studenti delle classi disagiate della
popolazione. Negli ultimi anni è osservabile una importante crescita degli
istituti privati, concentrati soprattutto nelle grandi città. I programmi sono
approvati dal Ministero dell’Istruzione.
SCUOLA MATERNA: la scuola materna è facoltativa e copre la fascia d’età che
va dai 3 ai 6 anni. A partire dal programma della Strategia Nazionale di
205
Alfabetizzazione inaugurato nel 1992, lo Stato si è impegnato a promuovere sul
territorio l’educazione per l’infanzia, incoraggiando la formazione degli
educatori, la nascita di infrastrutture e l’iniziativa privata. Allo stato attuale la
maggior parte delle scuole materne (jardin d’enfance) sono gestite da soggetti
privati singoli o riuniti in associazione. Rispetto all’Italia, i costi incidono in
modo ridotto sul reddito medio di un lavoratore.
SCUOLA DELL’OBBLIGO: nel 1991 è stata intrapresa una importante riforma
globale dell’istruzione che estende la scolarizzazione obbligatoria a nove anni
(dai 6 ai 16 anni) e si propone di ridurre la dispersione scolastica, migliorando
la qualità del cosiddetto enseignement de base (insegnamento di base) che è
suddiviso in due cicli:
1. premier cycle (I ciclo) che comprende 6 anni di scuola elementare (6-11 anni);
2. deuxième cycle - école preparatoire (II ciclo, scuola preparatoria) che comprende
tre anni di scuola media (12-15 anni).
Alla fine dei due cicli viene rilasciato il Diplôme de Fin d’Etudes de
l’Enseignement de Base.
Nonostante gli sforzi esiste ancora una differenza marcata tra zone urbane e
rurali dove fenomeni di dispersione scolastica e irregolarità della frequenza
sono forti. Uno dei fattori principali è costituito dalle lunghe distanze da
percorrere per raggiungere i vari istituti.
SCUOLE SECONDARIE SUPERIORI: il cosiddetto enseignement secondaire copre
un periodo di quattro anni: dopo i primi due anni di materie comuni, gli
studenti devono scegliere tra cinque diversi orientamenti: lettere, scienze
sperimentali, matematica, tecnica o economia e gestione. Questo ciclo termina
con l’ottenimento del baccalauréat, l’esame più importante del ciclo di studi,
sostenuto a livello nazionale e per questo richiede una preparazione severa. In
alternativa all’insegnamento secondario, ci sono le scuole tecniche che si
occupano di formazione professionale il cui ciclo copre un periodo di tre anni.
CALENDARIO E ORARI: l’anno scolastico inizia a settembre e termina a giugno
ed è diviso in trimestri che sono intervallati da alcune festività: oltre a quelle
estive, esistono anche le vacanze d’autunno (una settimana a novembre, in
occasione della festa del 7 novembre, l’anniversario della presa del potere
dell’attuale presidente Ben Ali), le vacanze d’inverno (due settimane a partire
dal 20 dicembre) e le vacanze di primavera (due settimane dopo il 20 marzo).
Accanto a queste ci sono le altre feste civili e religiose comuni a tutta la
popolazione non solo scolastica. La frequenza alle lezioni avviene dal lunedì al
sabato, in molti casi ci sono i doppi turni perché gli studenti sono troppi
rispetto alle strutture disponibili: c’è chi va a scuola solo la mattina o solo il
pomeriggio oppure 2 ore alla mattina e 2 ore al pomeriggio. Questo crea molte
difficoltà per le famiglie che hanno i genitori che lavorano. Una delle possibili
soluzioni è quella di affidare i figli a garderies private che li prendono in cura
negli intervalli tra un ciclo di lezione e l’altro.
206
PROGRAMMI E ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA DELLA SCUOLA DELL’OBBLIGO:
uno dei principali cambiamenti apportati nell’ambito dei programmi della
scuola dell’obbligo è stata l’arabizzazione della lingua veicolare: se prima per
quel che riguardava le materie scientifiche la lingua di insegnamento era il
francese, ora tutte le materie sono insegnate (lettura e scrittura) in arabo
standard19 (fusah), un cambiamento che ha comportato parecchie difficoltà di
aggiustamento tra gli insegnanti. Gli insegnamenti sono suddivisi in cinque
aree: linguistico-letteraria (lettura e comprensione del testo, espressione orale e
scritta, dettatura, recitazione a memoria), sociale (educazione islamica,
educazione civica), scientifica (matematica ed elementi di fisica e biologia),
artistica e musicale (educazione musicale, artistica e teatro), ed educazione
fisica. La lingua francese diventa in tutto e per tutto una lingua straniera,
affiancata dall’inglese negli ultimi due anni (di cui vengono insegnate solo le
basi). A seconda delle zone e dei quartieri, nelle scuole si può arrivare ad avere
tra i 30 e i 40 alunni per classe. Il rapporto tra insegnante e studente è
tradizionalmente autoritario e l’apprendimento è in gran parte mnemonico, un
retaggio delle scuole coraniche. Con la riforma del 1991 sono state introdotte
modalità di insegnamento diverse, mutuate dai programmi didattici dei paesi
francofoni, tramite progetti di cooperazione internazionale. Il governo tunisino
assicura in alcune città di Italia il primo ciclo dell’insegnamento dell’obbligo per
i figli dei cittadini emigrati, fornendo strutture ed insegnanti o in alternativa
offrendo insegnamenti integrati in lingua araba nei giorni festivi.
VALUTAZIONE: la valutazione avviene a scadenza trimestrale tramite prove
orali e scritte. Nel vecchio regime si attribuiva grande importanza agli esami
annuali e alla fine del ciclo delle elementari veniva sostenuto un esame a livello
nazionale; attualmente invece questo è stato abolito e per ridurre la dispersione
scolastica si prendono in considerazione i progressi di ogni singolo allievo nel
corso di tutto l’anno basandosi sulle prove sostenute alla fine di ogni trimestre.
I voti sono attribuiti su scala ventesimale e vengono accompagnati da un
giudizio. L’adattamento a questo nuovo sistema però è molto lento, sia per la
mancanza di risorse adeguate sia per una certa resistenza culturale della classe
più anziana degli insegnanti.
DIVIETI E OBBLIGHI: alla mattina, prima dell’inizio delle lezioni, tutti gli
studenti si riuniscono in cortile per l’alzabandiera e intonano l’inno nazionale.
Nella scuola di base tutti i bambini indossano una divisa (blu o gialla per i
bambini e rosa o beige per le bambine), gli insegnanti indossano un camice
bianco. Nel ciclo superiore invece la divisa è obbligatoria solo per le ragazze.
19
L’arabo fusāh è la lingua dotta scritta che è altro dalla forma dialettale che viene parlata nella vita
quotidiana per strada e in famiglia (derija).
207
VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE
La Tunisia è tra i paesi arabi che maggiormente ha rivoluzionato
i modelli relazionali tra uomo e donna, presentando però non
poche contraddizioni, dal momento che sono stati interventi di tipo
politico che hanno faticato a trovare un riscontro nella popolazione.
Si ricorda che i movimenti femministi islamici e laici sono sorti a
partire dagli anni Sessanta e Settanta e hanno interessato una parte élitaria della
popolazione. La promulgazione del Codice dello Statuto Personale (CSP) è
avvenuta invece molto prima (1956). Il rafforzamento della politica per le Pari
Opportunità negli anni Novanta è avvenuto anche sotto la pressione delle
Agenzie Internazionali che in quegli anni hanno attivato importanti programmi
in questo senso. Ciononostante è innegabile che ci sono state importanti
trasformazioni che distinguono la Tunisia rispetto ad altri paesi come il
Marocco o l’Egitto. I profondi mutamenti introdotti dal CSP hanno portato a
una generale rimessa in discussione delle identità collettive che storicamente si
sono basate sui vincoli parentali estesi in linea maschile e hanno funzionato
come punti di riferimento per la solidarietà e il controllo sociale. Attualmente
assume sempre più importanza il ruolo sociale e lavorativo dell’individuo
anche se è un ruolo che deve sempre rispondere prevalentemente ai bisogni
della famiglia e della riproduzione della società e non della propria libertà
individuale. Cioè il ruolo dell’individuo non è più solo descritto dalla posizione
occupata nelle relazioni familiari e di genere. L’uomo in qualche modo deve
guadagnarsi la sua autorità in famiglia che non è più solo ascritta e spesso
questo avviene assumendo esclusivamente su di sé la responsabilità di portare
a casa i soldi. In molti casi se la donna lavora non è per una sua autonomia
quanto piuttosto per una necessità del nucleo famigliare che gli uomini di
famiglia non sono in grado di soddisfare. Allo stesso tempo però è anche vero
che si è notevolmente incrementato il numero di donne che entrano nel mercato
del lavoro grazie alla scolarizzazione: nel 2002 la percentuale di donne
lavoratrici è stimata al 37,5% e la proporzione di donne in cerca di prima
occupazione è raddoppiata tra il 1984 e il 1999 passando dal 20,7% al 42%. Il
lavoro femminile è concentrato nel settore tessile e agricolo ma per le donne
maggiormente istruite diventa rilevante il settore pubblico e privato (delle
imprese). All’ingresso nel mercato del lavoro delle donne non è però corrisposta
una politica adeguata di servizi di supporto per l’infanzia. Alla fine degli anni
Novanta si riusciva a coprire solo il 13% del fabbisogno della fascia d’età 3-6
anni. Le strutture erano maggiormente concentrate nelle grandi città con una
accentuata disparità tra i governatorati costieri e quelli interni. La famiglia
allargata e il supporto delle donne rimane una risorsa importante.
Queste trasformazioni hanno scardinato la definizione dei ruoli di genere
così come la cultura islamica interpretata in senso restrittivo e quella locale
radicata in specifiche divisioni dei ruoli, avevano finora contribuito a creare. La
separazione degli spazi tra i generi (pubblico-uomo, privato-donna) comincia a
disgregarsi creando non poche conflittualità e difficoltà soprattutto da parte
delle donne che scelgono di lavorare fuori e devono lottare per essere
208
riconosciute nelle loro capacità intellettuali e produttive al di fuori dell’ambito
domestico. Tuttora la donna nella richiesta ad esempio di crediti o in altre
operazioni finanziarie o amministrative, deve dare garanzie prodotte dal marito
o da un uomo di famiglia, nonostante abbia tutti i requisiti per poterlo fare. È
importante però non cadere nello stereotipo che spesso i paesi occidentali si
sono costruiti sulle società islamiche in cui l’attribuzione dello spazio domestico
alla donna abbia significato solo inferiorità e segregazione. Questa concezione è
un retaggio delle trasformazioni della società occidentale nell’epoca postindustriale in cui era forte la disaffezione per la casa. Inoltre non è solo nelle
società islamiche che si verifica questo, anche nelle società mediterranee
occidentali si riscontra uno stesso modello “spaziale”. All’origine di questo
modello culturale c’è una spiegazione antropologico-simbolica: la donna viene
considerata vulnerabile ed essendo portatrice dell’“onore” della famiglia
patriarcale con il suo compito riproduttivo, l’“esposizione” negli spazi pubblici
rende vulnerabile tutto il gruppo di appartenenza. Questa concezione, se da
una parte ha limitato l’esposizione femminile negli spazi pubblici, arrivando in
alcuni casi a vere e proprie segregazioni, dall’altra ha però portato a sviluppare
un’importante attività femminile nel fare da filtro tra la famiglia e la comunità.
Le feste del ciclo della vita, i rapporti di vicinato di cui le donne sono sempre
promotrici, alimentano una produzione di scambi che va ben oltre gli affari
privati. Nella società attuale convivono quindi diverse concezioni che ogni
giorno vengono continuamente rinegoziate.
Girando per le strade di Tunisi si può notare la coesistenza di diversi spazi: i
caffè, luoghi tradizionalmente maschili dove gli uomini si ritrovano a bere caffè,
tè o gazzose, giocando a carte o fumando la shisha (pipa particolare di tutti i
paesi arabi). Le uniche donne che si vedono sono turiste. Le donne e le famiglie
e i giovani si ritrovano invece nei self service, nei macdonalds, nei caffè alla
francese oppure in caffè che assomigliano in tutto e per tutto a quelli
tradizionali ma sono aperti a tutto il pubblico.
STILI ALIMENTARI
La cucina tunisina, come tutta la cucina del mondo
arabo è fortemente influenzata dalla cultura e dalla
religione musulmana. Le regole alimentari stabilite dal
Corano vietano il consumo della carne di maiale e in
generale della carne non halal (“lecito”), cioè non macellata
secondo i dettami del Corano, che vogliono che in nome di Dio (bismillah)
l’animale venga sgozzato, affinché il sangue, ritenuto impuro, esca
completamente dal corpo dell’animale. È vietato anche il consumo di bevande
alcoliche, per questo in tutto il mondo arabo si bevono molti succhi di frutta
freschi (asir), tè (tè), caffè (qahwa) e bevande gazzose. Tuttavia non è raro
incontrare tunisini che bevono alcol, soprattutto birra e spesso questo avviene
anche di nascosto.
209
È una cucina che si differenzia da quella del Medio Oriente perché è
influenzata dalla cultura berbera. Il tipo di pane (khubz) più diffuso è la baguette,
eredità della dominazione francese; quello tradizionale, spesso fatto in casa
(tabbouna o kessra) ha invece una forma tonda. Si accompagna a tutti i piatti e
viene usato spesso in sostituzione delle posate, attingendo il cibo da un unico
piatto, come negli altri paesi di cultura arabo-musulmana. Per questo è molto
importante il rito del lavaggio delle mani prima e dopo il pasto: in tutti i posti
che vendono piatti caldi, c’è sempre un piccolo lavandino dove i clienti possono
lavarsi le mani. Il cuscus costituisce il piatto base di tutti i paesi del Nord Africa,
soprattutto in Tunisia. È anche il piatto delle principali ricorrenze come nascita,
matrimonio e Ramadhan. È prodotto a base di semola lavorata con acqua,
ridotta in granelli finissimi fatti seccare al sole. Nelle famiglie sono le donne che
si dedicano alla lunga preparazione, che provvedono d’estate alle scorte per
tutta la stagione invernale. Capita spesso di vedere gli immigrati che alla fine
delle vacanze rientrano in Italia con bidoni colmi di cuscus. Il cuscus viene
cucinato al vapore e accompagnato da verdure cotte, carne di agnello, pollo o
manzo oppure pesce, spesso stufati in un sugo di pomodoro (concentrato). La
cucina tunisina utilizza molto le spezie ed è piccante. L’harissa, pasta di
peperoncino piccante mescolata a spezie, è infatti alla base di tutti i sughi e
condimenti.
Altre specialità tunisine sono il brik, triangolo sottile di pasta croccante
(malsouka), fritto o fatto al forno, farcito di tonno, uova e formaggio; la tajine,
diversa dalla specialità che ha lo stesso nome in Marocco (uno stufato di carne e
verdure), è una sorta di torta salata cucinata al forno a base di uova con diverse
varianti; l’insalata meshouia, fatta di peperoni, cipolle, aglio cucinati alla griglia e
passati. Spesso, nelle località del centro e Sud del paese, viene offerta nei
baracchini che si trovano lungo le strade e offrono esclusivamente carne di
montone alla griglia (meshoui) venduta a peso. Altro cibo diffuso che spesso la
gente mangia anche fuori casa è il lablabi, una zuppa di ceci. Alla fine di ogni
pasto si usa bere il tè verde o nero. Viene servito con la menta ma anche con la
frutta secca, soprattutto pinoli. In tempo di Ramadhan si rompe il digiuno con il
ghaieb, una sorta di latte cagliato accompagnato dai datteri (tamr), come fece
Maometto. Durante la stagione calda vengono consumate molte bibite,
soprattutto gasate (gazzeuz) e una tipica bevanda fatta in casa e che si può
trovare anche nei bar e lungo le strade, la limonade. I dolci sono particolarmente
zuccherati, preparati a base di datteri, miele e frutta secca. Durante il
Ramadhan le famiglie ne consumano in grande quantità. Un tipico dolce di
questo periodo è il makroudh, fatto a base di datteri.
210
RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA
La cultura tunisina è caratterizzata da riti e tradizioni
legati al ciclo della vita che non fanno riferimento solo alla
cultura islamica ma costituiscono l’incontro tra diverse
tradizioni e culture. In emigrazione non sempre è facile
mantenere il ritmo dei festeggiamenti e soprattutto non sono
presenti tutti i famigliari e gli amici che sono fondamentali per sancire i vari
passaggi del ciclo della vita. Essendo la Tunisia un paese vicino, spesso il
periodo estivo diventa il momento in cui molti approfittano per rientrare al
paese e compiere i festeggiamenti.
NASCITA: nelle famiglie più religiose, quando un bimbo nasce, si usa
pronunciare al suo orecchio l’adan, il richiamo alla preghiera, che comprende
anche la shahada, la dichiarazione di fede in Allah; una settimana più tardi ha
luogo una festa in cui vengono invitati parenti e amici che portano soldi e regali
per il nuovo nato. In questa occasione viene sancita dal padre l’appartenenza
del nuovo nato alla famiglia e si festeggia mangiando cuscus e l’agnello ucciso
per l’occasione. Ancora nei mesi successivi ci sono le visite di parenti e amici
che portano doni al nuovo nato. Tra i 7 e i 10 anni a tutti i bambini di sesso
maschile viene fatta la circoncisione (thur), un rito che segna il passaggio alla
pubertà e che viene sancito con grandi festeggiamenti. In Italia questa pratica è
vietata se non per ragioni strettamente sanitarie e quindi le famiglie riportano i
figli appositamente in Tunisia per svolgere il rito.
MATRIMONIO: il rito del matrimonio ha una lunga tradizione che tuttora
viene strettamente osservata, non solo nei ceti più popolari ma anche in quelli
più borghesi e intellettuali. Nell’ultimo periodo si è riscontrato anzi un forte
ritorno alle cosiddette tradizioni, dopo una fase in cui la scelta del coniuge e la
cerimonia del matrimonio, si avvicinava a modalità più simili a quelle
occidentali. Ogni regione ha le sue tradizioni e i suoi riti ma c’è comunque una
sequenza di riti che è ricorrente in tutta la Tunisia. Il rito del matrimonio si
svolge nell’arco di sette giorni e ha tempi di preparazione e di attesa molto
lunghi. Dopo una prima fase in cui si espletano le procedure legali e
burocratiche dell’unione (spesso anche un anno prima della vera e propria
festa), ha inizio una seconda fase articolata in diversi momenti che segnano per
la donna il graduale abbandono del tetto di famiglia e per l’uomo l’accoglienza
della sposa nella sua famiglia:
GHUTUB FIDANZAMENTO: i futuri sposi si scambiano gli anelli di
fidanzamento dopo che i rispettivi genitori hanno dato il loro consenso.
SDEK contratto di matrimonio, legalizzato dal sindaco (rais al-baladeia)
oppure da un notaio (?del) in casa. Fa seguito una festa.
UTIA la futura sposa viene preparata dalle donne di casa e dalle sue migliori
amiche il giorno di venerdì: dapprima viene condotta all’hammam (bagno turco)
tra i festosi zagharid (gridi tipici che le donne fanno nelle occasioni di festa) delle
donne, dove viene lavata e purificata; poi le sue mani e i suoi piedi vengono
211
colorati e ornati con la henna (polvere rossa vegetale). Infine viene festeggiata da
tutte le donne della famiglia, del vicinato e in generale da tutte le amiche, in una
serata di musica in cui vengono offerti dolci e tè. La stessa cosa avviene il sabato
per lo sposo, al quale viene decorato con la henna solo il dito mignolo. In
entrambe le occasioni vengono fatte offerte in denaro agli sposi al ritmo di
alcuni strumenti di percussione (darbouka e bendir). Nel caso dello sposo le
offerte vengono tutte annotate in una lista con il nome dell’offerente in modo
poi da rendere in altre occasioni di festa (circoncisioni e matrimoni)
l’ammontare ricevuto. È un’offerta che vuole contribuire ad un buon avvio della
nuova unità domestica, dal momento che le spese per la festa di matrimonio
sono ingenti.
EL-ARS la festa di matrimonio finale che viene fatta nei pressi della casa dello
sposo, soprattutto nelle zone rurali oppure in locali appositi. Mentre lo sposo si
trova già sul posto, la sposa viene accompagnata in macchina da un corteo
festoso. I festeggiamenti durano tutta la notte. Nelle zone periurbane e rurali è
diffusa la tradizione di mostrare alle famiglie la macchia di sangue sul lenzuolo
dopo la prima sera di matrimonio, a testimonianza della verginità della donna.
FUNERALI: quando una persona muore si fa sgozzare un animale e si
invitano parenti e amici a casa a cenare. Sono sempre e solo gli uomini ad
accompagnare la salma al cimitero, sia che si tratti di un uomo, sia che si tratti
di una donna. L’ufficio del funerale è una cerimonia semplice che si svolge
presso la moschea e al cimitero con l’imam che intona le preghiere per il
defunto. Il corpo viene seppellito nel cimitero con il viso in direzione de La
Mecca. In seguito viene osservato un lutto di quaranta giorni durante il quale
secondo la tradizione l’anima del defunto sta preparandosi a lasciare la casa e i
familiari attendono il momento praticando l’astensione dal fumo, dalla cura e
dal lavaggio del proprio corpo e da tutte quelle attività che distolgono troppo
l’attenzione. Allo scadere dei quaranta giorni l’anima lascia definitivamente la
casa e la famiglia può ritornare ai suoi ritmi normali.
SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI 20
La salute materna e dell’infanzia sono state le priorità intorno
alle quali si è strutturato il sistema sanitario in Tunisia a partire
dall’indipendenza. In questo periodo infatti il paese deve
misurarsi con alcuni problemi immediati: elevato tasso di natalità,
mortalità materna e infantile in generale e penuria di strutture
sanitarie. Le campagne sulla pianificazione familiare sono iniziate negli anni
Sessanta: la vendita di prodotti anticoncezionali è libera dal 1961 (contro i
dettami della religione islamica). Nel 1965 una legge ha autorizzato
l’interruzione volontaria della gravidanza. Oggi il tasso di crescita è del 2%, uno
dei più bassi dei cosiddetti paesi in via di sviluppo.
20
I dati cui si fa riferimento in questo paragrafo sono desunti da UNDP Rapporto sullo sviluppo umano
2004 e si riferiscono agli anni 2001-2002.
212
Grazie ad un’efficace azione di programmazione e intervento, tra il 1956 e il
1991 le strutture sanitarie di base sul territorio si sono moltiplicate
raggiungendo anche le zone più remote del paese: i centri per la salute di base
si moltiplicano di ben sei volte a fronte di una popolazione nel frattempo
raddoppiata. È ancora spiccato il problema della copertura territoriale delle
prestazioni di base in quanto la classe medica e paramedica è fortemente
concentrata nelle città e negli ospedali universitari (dove le prestazioni sono
altamente specializzate e orientate alla ricerca) dal momento che la libera
professione e il lavoro in università sono quelli che offrono maggiori incentivi
alla mobilità sociale ed economica. A partire dal 1991 la Tunisia ha avviato un
importante processo di riforma del sistema. Il regime di assicurazione per la
malattia presenta ancora forti disparità. Attualmente si prevede la copertura
assicurativa tramite lo stato o il sistema previdenziale della maggior parte della
popolazione attiva secondo diverse modalità che prevedono rimborsi totali o
parziali a seconda della fascia sociale. Oltre ai dipendenti pubblici e privati si
prevede la copertura assicurativa di altre due categorie di popolazione, quella a
basso reddito e quella della popolazione indigente. Molti restano però
scarsamente tutelati: alla fine degli anni Novanta si rileva che ben il 10% della
popolazione non è coperto e la maggior parte di questa è costituita da anziani,
donne vedove o divorziate disoccupate con figli a carico e operai stagionali.
Ciononostante la Tunisia presenta un quadro sanitario che è tra i migliori di
quelli che si possono riscontrare nella media dei paesi arabi. Nel 2002 il 4,9% del
PIL è riservato alla spesa pubblica della sanità e l’1,6% al privato. Questo incide
con una spesa di 463$ annui pro capite. È una situazione che si differenzia
notevolmente da altri paesi arabi come ad esempio il Marocco e l’Egitto, dove la
spesa sanitaria per il settore privato è pari se non superiore al pubblico.
Ciononostante i risultati nei suddetti paesi non si differenziano di molto, fatta
eccezione per l’elevata percentuale di donne che in Tunisia partoriscono
assistite da personale sanitario (90%), più del doppio di quello che si registra in
Marocco e di un terzo di quel che accade in Egitto. I bambini che al primo anno
di vita risultano completamente immunizzati contro la tubercolosi e il morbillo
sono rispettivamente il 97% e il 94% dei casi. Il numero medio di medici ogni
100.000 abitanti è di 70 unità, superiore al Marocco ma inferiore di un terzo di
quelli disponibili in Egitto.
FIABE TRADIZIONALI
Nella tradizione tunisina ci sono molte fiabe che si rifanno a
tradizioni e racconti orali noti in tutto il mondo arabo come le
Mille e una notte o Giuhà. In particolare quest’ultimo è uno dei
personaggi più conosciuti. Nelle sue storie – organizzate in un
ciclo narrativo –, viene sempre presentato con due facce: quella di
un personaggio astuto e cinico ma anche quella di uno stupido e sciocco. È una
figura che si è diffusa oltre i confini del mondo arabo e a seconda del paese
assume nomi leggermente diversi. Le sue avventure si svolgono nella
213
quotidianità del quartiere o dei luoghi pubblici più frequentati come il mercato,
l’hammam (bagno turco), il tribunale, ecc.
Un tema molto importante nelle favole tunisine ma in generale in tutte
quelle arabe è quello della magia del mondo degli orchi (ghoul) e degli spiriti
(Djiin e Afreet). Questi ultimi possono essere sia protettori da invocare che
pericolosi nemici da sconfiggere e hanno uno spazio molto importante nei
racconti orali, quanto gli eroi e i cavalieri. Questo genere di tradizioni orali
erano narrate in casa dalle donne, spesso le nonne o le bonnes (le “nostre” colf).
Le favole arabe hanno diverse formule di apertura che sottendono una certa
suggestione al vago: kan ma kan fi qadim azzaman (c’era, non c’era, nell’antichità
dei tempi); kan ma kan la han wa la han (c’era, non c’era, non qui e non altrove).
La gallina magica
C’era una volta un uomo povero che fu toccato dalla fortuna. Aveva comprato una
gallina che gli faceva delle uova d’oro e durante il giorno le vendeva. La sua vita
era migliorata molto ed era diventato ricco. Aveva tanti soldi, ma non sapeva come
spenderli. Cominciò a sprecarli per cose futili.Purtroppo l’uomo non era soddisfatto
di quello che gli produceva la gallina e voleva sempre di più. Diventò molto avido di
denaro. Un giorno chiamò sua moglie e le disse: “Naima, secondo me c’è un tesoro
dentro la pancia della gallina, perché non la uccidiamo e prendiamo tutto il tesoro
in una sola volta?”.
La moglie gli rispose: “È proprio una bella idea!”.
Così la uccisero e cominciarono a cercare il tesoro, ma non trovarono niente e alla
fine avevano perso anche la gallina.
In poco tempo ritornarono di nuovo poveri; si pentirono, ma… chi troppo vuole
nulla stringe! Un proverbio arabo dice: “La persona avida dorme con la fame!”.
Daniela Benevelli, Il tesoro invisibile. Favole, fiabe e racconti di 15 paesi, EMI, Bologna, 2003, p. 62.
RICETTE
Meshouia
Ingredienti: 300 g pomodori maturi, 300 g peperoni verdi dolci, 1
cipolla, 1-2 spicchi d’aglio, 1 cucchiaino di coriandolo, cucchiaino
di carvi, 100 g tonno, qualche oliva nera o verde, 1 uovo sodo,
olio d’oliva e succo di 1 limone.
Preparazione: grigliare o abbrustolire al forno pomodori, peperoni e la cipolla.
Sbucciarli e togliere i semi. Passare tutte le verdure con il passaverdure e
condirle con aglio sminuzzato, spezie, olio d’oliva e sale quanto basta. Servire il
214
tutto su un piatto, insieme a tonno sbriciolato, uovo a spicchi e olive sparse.
Condire con olio e succo di limone.
Brik
Ingredienti: 6 sfoglie di brik (malsouka, si trovano nelle macellerie islamiche), 250
g tonno sott’olio, 3 cucchiai di prezzemolo tritato fine, 2 patate lesse, 6 uova,
sale e pepe, 2 limoni.
Preparazione: sminuzzare il tonno e aggiungere prezzemolo e patate lesse
schiacciate. Mescolare, salare e pepare bene. Mettere un pugnetto di questo
impasto su un foglio di malsouka, fare un buco al centro e romperci l’uovo.
Piegare il foglio in due e immergerlo nell’olio bollente. A cottura ultimata,
servire con spicchi di limone da spremere sopra.
POESIA
Uno dei poeti tunisini più noti anche nella storia della
letteratura araba del Nord Africa è Abu Al Qasim Al Chabbi
(1909-1934). Poeta molto giovane, ha contribuito al rinnovamento
del linguaggio poetico arabo, attirando non poche critiche. Morto
molto giovane ha lasciato un’unica raccolta di liriche di cui si
possono trovare alcune poesie tradotte in raccolte antologiche
italiane (cfr. bibliografia). Un poeta francofono che sta emergendo e accessibile
nelle traduzioni italiane è invece Majid Al Houssi: nato in Tunisia, vive dal 1962
a Padova e ha una cattedra di linguistica francese all’Università Ca’ Foscari di
Venezia. Tra le sue raccolte si segnalano quelle tradotte in italiano: Imagivresse
(Francisci, 1973); Le regard du coeur/Lo sguardo del cuore (L’Harmattan Italia, 2002)
(testo a fronte francese-italiano).
LETTERATURA
La letteratura tunisina fa parte della storia della letteratura
maghrebina che durante l’epoca del colonialismo e
successivamente durante le migrazioni verso l’Europa ha
sviluppato un importante filone letterario francofono. Tuttora
la scrittura degli autori maghrebini è infatti caratterizzata non
solo dall’uso delle lingue madri (l’arabo standard, la lingua dotta che discende
dal Corano; l’arabo dialettale, quello parlato nella vita quotidiana e il berbero)
ma anche dall’utilizzo della lingua francese, la lingua dei colonizzatori che è
diventata parte integrante del patrimonio culturale locale, essendo stata
imposta come lingua veicolare dell’insegnamento al posto dell’arabo standard.
Dunque il francese per un lungo periodo è stata l’unica lingua conosciuta dai
tunisini accanto all’arabo dialettale. È stata cioè la lingua con cui molti scrittori
tunisini, non solo emigrati in Europa (soprattutto in Francia) ma anche rimasti
al paese, hanno raccontato le memorie sul paese d’origine, le sofferenze per la
lotta all’indipendenza e le difficoltà incontrate nel paese d’adozione. Rispetto
215
agli autori nati o originari dal Marocco e dall’Algeria, gli scrittori tunisini non
hanno conosciuto una particolare popolarità all’estero. Ciò non toglie che si
possono comunque trovare opere tradotte in italiano.
Sul paese: colonialismo e identità
Albert Memmi: Nato a Tunisi il 15 dicembre 1920 nel quartiere ebraico, “la
hara”, frequenta il liceo francese di Tunisi e studia filosofia all’università di
Algeri. Nel 1943 conosce i campi di lavoro forzati in Tunisia. Dopo
l’indipendenza si stabilisce a Parigi ed è professore di psichiatria sociale
all’Ecole Pratique des Hautes Etudes. Dirige presso la casa editrice Maspero la
collana “Domain Maghrebin”. Nel 1973 prende la cittadinanza francese. Nella
sua opera è ricorrente il tema dell’identità nei suoi risvolti anche più
drammatici. Tra i suoi libri pubblicati in italiano si segnalano: La statua di sale
(Costa & Nolan, 1991, ed. or. 1966), di cui si riporta sotto un brano, Il razzismo.
Paura dell’altro e diritti della differenza (Costa & Nolan,1999); Ritratto del
colonizzato e del colonizzatore (Liguori, 1979), Il faraone, (Textus, 2000); Il ritratto di
un ebreo (IPL, 1968).
Sull’esperienza dell’emigrazione
Meddeb, Abdelwahab, Fantasia (Edizioni Lavoro, Roma, 1992, ed.or.1986) trad.
dal francese.
Methnani, Salah, Immigrato, con Mario Fortunato (Theoria, 1990), in lingua
italiana.
Mellah, Fawzi, Clandestino nel Mediterraneo (Asterios, 2001), trad. dal francese.
Altri autori
Al Du’agi ‘Ali (1909-1949), In giro per i caffè del Mediterraneo (Abramo, 1995, ed.
or. 1933) trad. dall’arabo.
Haddâd, Malek, Una gazzella per te (Mondadori, 1960), L’ultima espressione
(Mondadori, 1960).
Shams Nadir, L’astrolabio del mare (Semar, 1991), I portici del mare (Sellerio, 1992).
Bekri Tahar (poeta), Il rosario degli affetti (Bulzoni, 1997).
Bouraoui Hédi, Ritorno a Thyna (doraMarkus, 1998).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Internazionale dei diritti dell’uomo, Università Cattolica, Milano Anno
XII, gennaio-aprile 1999.
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Carocci, Roma, 1998.
Carchedi F., “I tunisini”, in Mottura G. L’arcipelago immigrazione - Caratteristiche e
modelli migratori dei lavoratori stranieri in Italia, Ediesse, Roma, 1992.
216
Carchedi F., Il processo di insediamento della colonia tunisina in Italia. Aree di esodo,
direzionalità dei flussi e collocazione locale, Parsec, Roma, giugno 1994.
Chinosi L., Sguardi di mamme. Modalità di crescita dell’infanzia straniera, FrancoAngeli,
Milano, 2003.
Comune di Milano - Servizi socio-sanitari, Nascere tra due diritti. Italia e EgittoMarocco-Tunisia, vol. I, Milano, 1999.
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Fabietti U., Culture in bilico. L’antropologia del Medio Oriente, Bruno Mondadori, Milano,
2002.
Finzi S., Memorie italiane di Tunisia, Finzi Edizioni, Tunisi, 2000.
Giacomarra M., Immigrati e minoranze. Percorsi di integrazione in Sicilia, Edizione La
Zisa, Palermo, 1994.
Lainati C., “Tunisini a Palermo: spazi, relazioni e identità in gioco”, in Il progetto
migratorio tra aspettative collettive e libertà individuali, L’Harmattan, Torino, 1999.
Melotti U., Macioti M.I., Mediterraneo. Di qua, di là dal Mare, Tunisia Italia, Ediesse,
Roma, 2002.
Pasotti N., Italiani e Italia in Tunisia, Edizioni Finzi, Roma, 1964.
Perrone L., Porte chiuse. Culture e tradizioni africane attraverso le storie di vita degli
immigrati, Liguori, Napoli, 1995.
Rundo J., Cucina araba, Sonda, Torino, 1997.
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n. 8, FrancoAngeli, Milano, 1995.
Stumme H. (a cura di), Favole della Tunisia, Xenia, Milano, 1994.
UNDP, Rapporto 2004 sullo sviluppo umano, Rosenberg&Sellier, Torino, 2004.
Venturini A., La scuola nei paesi d’origine dei bambini e dei ragazzi immigrati in Italia,
Cespi, Mursia, Milano, 2003.
SITOGRAFIA
www.tunisie.com sito ufficiale del governo tunisino (presentazione
paese, dati popolazione, ecc.).
www.kalimatunisie.org rivista
tunisina online d’opposizione
sull’attualità sociale e politica nel paese, non riconosciuta nel paese.
www.cnlt98.org sito del Conseil National des Libertés en Tunisie, organizzazione che
si batte per la difesa dei diritti e delle libertà nel paese.
www.unesco.org/education/efa/index.shtml sito dell’Unesco del programma
mondiale “Educazione per tutti”. È possibile accedere ai rapporti di valutazione sui
sistemi educativi nazionali di molti paesi.
217
DANZE
Le danze collettive sono soprattutto diffuse nel centro e nel Sud del paese. A
Jerba si può assistere alla danza Gougou eseguita da una ventina di danzatori
disposti in cerchio al centro del quale si pongono tre musicisti. I danzatori
girano su se stessi, tengono un bastone nella mano destra e, movendo anche le
mani, eseguono spostamenti sulla circonferenza. Ricordano il movimento dei
pianeti intorno al sole.
218
Ucraina
di Simona Olivadoti, Annalisa Ornaghi
DATI GENERALI
L’Ucraina si trova nell’Europa orientale e confina a Sud col Mare di Azov, il
Mar Nero, la Moldavia e la Romania; a Ovest con l’Ungheria, la Slovacchia e la
Polonia; a Nord con la Bielorussia; a Est con la Russia. Per avere un’idea
concreta della sua grandezza, essa equivale esattamente a due volte l’Italia ed è
il paese più grande d’Europa dopo la Russia.
Il territorio è prevalentemente pianeggiante, coperto da steppe e pianure
(60% del territorio), si innalza a Ovest nell’altopiano Volino-Podalico e nei
Carpazi, a Est nei rilievi del Donec, a Sud si estende la catena montuosa dei
Monti di Crimea. Le coste sono caratterizzate dalla formazione di lagune dove
sfociano i principali fiumi della regione: Dnestr, Bug Meridionale, Dnepr e
Donec.
Il clima è continentale, con inverni particolarmente rigidi, tranne che sulle
coste del Mar Nero, che godono di un clima temperato.
Abitanti: 51.706.742 (stime 2003).
Estensione geografica: 603.700 kmq.
Continente: Europa.
Densità di popolazione: 81 ab./kmq.
Incremento demografico: –0,72%.
PIL: 205 miliardi di dollari.
Vita media: 70.1 (65.5 m.; 74.8 f.).
Alfabetizzazione: 98%.
Mortalità infantile: 10,5/1000.
219
Lingua ufficiale: ucraino.
Altre lingue: russo; rumeno; polacco; ungherese.
Religione/i: cristiano-ortodossa (60%); ortodossa-ucraina (patriarcato di Mosca,
patriarcato di Kiev); protestante; mennonita; ebraica; cattolica di rito greco.
Gruppi etnici: ucraini 72.2%; russi 22.1%; ebrei 1.5%; bielorussi 1%; moldavi 0.6% altri
2.6%.
Regime politico: Repubblica presidenziale con struttura unicamerale “Verkhovna
Rada” (Parlamento) costituita da 450 deputati. Il Presidente, eletto dai cittadini per
cinque anni, a suffragio universale, diretto e a scrutinio segreto, è il capo dello Stato.
Egli nomina su proposta del Primo ministro i membri del Gabinetto dei Ministri
(Uriad), i dirigenti degli altri organi centrali del potere esecutivo, nonché i capi delle
amministrazioni statali. Il Presidente ha il comando supremo delle Forze Armate.
LE FESTE PRINCIPALI
Le feste della cultura ucraina si dividono in feste laiche, che
coincidono con le feste italiane anche nel giorno, e feste
religiose che seguono il calendario Giuliano.
NATALE: il Natale si festeggia nella notte tra il 6 e il 7 gennaio, nella tradizione
pagana è usanza abbellire l’abete; soltanto negli ultimi anni, dopo la
caduta del comunismo, il Natale come festa religiosa, sta riprendendo la
sua importanza. Precedentemente era consuetudine scambiarsi i doni a
Capodanno.
Per la cena della vigilia di Natale, si usa offrire il tipico piatto natalizio
kutià, che si prepara con grano di frumento, miele e semi di papavero. Si
usa anche portare la cena a casa dei parenti come dono natalizio.
PASHKA: la Pasqua è la festa religiosa più importante del calendario ortodosso,
si festeggia due settimane dopo quella cattolica. Si preparano i dolci
pasca, che assomigliano ai panettoni, decorati con zucchero colorato e
frutta secca, inoltre, si colorano le uova. La tradizione vuole che tutti
questi prodotti vengano portati in chiesa nella notte di Pasqua per
benedirli, e al mattino seguente, vengano riportati a casa per il pranzo.
Come per la festività natalizia solo negli ultimi anni, la Pasqua si è potuta
festeggiare liberamente.
MASLENIZA (ULTIMA DOMENICA
l’inizio della primavera.
DI FEBBRAIO):
festa per la fine dell’inverno e
In questa festa di origine pagana si cucinano le bliny (frittelle)
accompagnate da carne tritata e caviale, si beve tè caldo e vodka
ascoltando musica folkloristica. Alla fine della giornata, dopo una
processione, si dà fuoco ad una “strega” realizzata in legno che
rappresenta l’inverno.
220
IVANA KUPALA (7 APRILE): festa di origine pagana, rappresenta il
ringraziamento e il sacrificio al dio dei frutti verdi. In questo giorno
vengono raccolte tutte le erbe medicinali, con i rami degli alberi e con la
paglia si costruisce un bambolotto con abiti femminili abbellito con
collane e ghirlande di fiori, che rappresenta il dio Kupala.
Nella notte i pupazzi vengono gettati in acqua insieme alla ghirlande
intrecciate dalle ragazze. La credenza popolare vuole che il ragazzo che
troverà sulla riva del fiume la corona di fiori, sposerà la ragazza che l’ha
costruita.
VIRTUOSO NAZIONALE (9 MAGGIO): festa nazionale della vittoria nella “Grande
Guerra Patriottica” (II G.M.) celebrata con spettacoli teatrali e musicali
ispirati a tematiche nazionali.
GIORNATA DELL’INDIPENDENZA (24 AGOSTO): in tutte le città viene ricordata
questa ricorrenza con spettacoli ed eventi speciali.
FESTA
DELL’ASSUNZIONE
(28 AGOSTO): in questa occasione numerosi fedeli si
recano in pellegrinaggio presso il monastero di Pochayiv.
IL SALUTO: Proshchatysia (salutarsi).
CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE
Quando si viene invitati in una casa ucraina l’accoglienza è
squisita. I convivi prevedono diversi brindisi a base di vodka,
un distillato chiaro di frumento, segale e qualche volta patate.
Il suo nome deriva da voda (acqua) e può essere tradotto con “
un goccino”.
I brindisi sono preceduti da lunghi discorsi che si ascoltano in silenzio e la
persona che pronuncia il discorso parla stando in piedi. I riti più comuni per
l’ospite sono: l’accoglienza con pane e sale quale simbolo di ospitalità e un
minuto di silenzio prima del congedo, dove ognuno dei presenti formula,
auguri di buon viaggio per l’ospite.
IMMIGRAZIONE IN ITALIA
Cuore e culla della civiltà slava orientale, prima Rus’ di Kyiv
da cui tutto quel mondo ha preso il nome con cui lo
identificavamo, l’Ucraina è la terra che ha dato inizio al processo
di identificazione nazionale e di organizzazione statale degli Slavi
orientali, stringendo rapporti politici ma soprattutto culturali con
Bisanzio e con Roma.
Assorbita poi dall’impero zarista, ha manifestato l’amore del suo popolo per
la libertà, prima nella “Repubblica dei Cosacchi”, una forma di “stato
221
democratico” prima del tempo, poi nei successivi tentativi di riacquistare
l’indipendenza; e infine, nella lotta, sempre vivissima nella memoria, contro gli
occupanti nazi-fascisti durante l’ultimo conflitto mondiale, quello che gli
ucraini chiamano la loro “Grande Guerra Patriottica” (Virtuoso Nazionale).
Un tempo detta addirittura “granaio d’Europa” per la fertilità della sua
fascia di “terra nera”; ricca di minerali, anche rari e di industrie soprattutto nel
settore pesante, l’Ucraina è certo un Paese potenzialmente ricco. Ma, dopo lo
stallo e la recessione economica già in atto da tempo quando faceva parte
dell’URSS, si è trovata ad affrontare nei primi anni della sua indipendenza una
grave crisi economica dovuta alla secessione dell’URSS ed al venir meno dei
precedenti legami economici dell’epoca sovietica, che prevedevano
l’interdipendenza dei vari Stati.
Il mutamento del sistema economico nella fase di transizione ha richiesto e
richiede purtroppo, anche sacrifici, che spesso, come accade ovunque, ricadono
soprattutto sulla parte più debole della popolazione, obbligandola a volte a
percorsi migratori di breve o medio termine.
L’immigrazione ucraina in Italia è relativamente giovane, risale a sette – otto
anni fa. Le motivazioni di tale fenomeno possono essere fatte risalire
principalmente ai seguenti aspetti:
– il crollo del regime sovietico con il conseguente passaggio da un’economia
pianificata ad una di mercato, sta creando molta disoccupazione, specialmente
nei settori del lavoro intellettuale come scuole, sanità pubblica, università. Un
altro settore in crisi è l’agricoltura a causa della desertificazione delle
campagne;
– il crollo del sistema di protezione sociale, ha portato, nell’ultimo decennio,
un aumento significativo dei costi per i servizi sanitari, servizi generali e studi
universitari che sono diventati a totale carico dei cittadini.
Da queste principali motivazioni nasce la decisione di migrare; la maggior
parte degli immigrati proviene dall’Ucraina Occidentale, visti i tradizionali e
storici contatti che la legano all’Europa.
Molti immigrati sono intellettuali e professionisti che, non trovando lavoro
in patria, accettano qualsiasi lavoro nel paese d’arrivo. Sono in prevalenza
donne di età compresa tra i 30 e i 45 anni, che trovano lavoro più facilmente
degli uomini, soprattutto come badanti o colf. Il mercato informale dell’impiego
domestico, ha permesso a queste donne, di apprendere i modelli culturali
italiani.
I flussi migratori di ucraini verso l’Italia, negli ultimi anni, sono
notevolmente aumentati; nella graduatoria dei paesi di provenienza dei
soggiornanti stranieri in Italia, l’Ucraina è passata dal 27° al 4° posto (112.802
soggiornanti nel 2003).
L’Ucraina inoltre risulta al 2° posto dopo la Romania, nella graduatoria dei
paesi con maggior numero di cittadini che hanno presentato istanza di
222
regolarizzazione (istanze presentate 105.669 – permessi rilasciati 100.727 – fonte:
Polizia di Stato aprile 2004).
I collettivi di ucraini sono dislocati prevalentemente nell’Italia Centro
Settentrionale, il Lazio in assoluto è la regione con il maggior numero di
immigrati ucraini, seguito da Lombardia, Emilia - Romagna, Veneto e Toscana.
Nell’Italia Meridionale abbiamo una presenza consistente nella sola regione
Campania.
MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI
Nelle zone rurali del paese, le giovani coppie una volta sposate
restano a vivere con la famiglia di origine, che li sostiene anche
nell’accudimento ed educazione dei figli. La donna nel suo ruolo di
educatrice è spesso coadiuvata dalle parenti anziane che, negli
ultimi anni, a causa della forte emigrazione delle madri, sono subentrate
totalmente ad esse.
I bambini in tenera età, dormono nella stessa stanza dei genitori che, secondo la
tradizione popolare, trasmettono fiducia e forza nei piccoli. L’allattamento,
soprattutto nelle zone rurali, si protrae fino agli otto mesi di vita.
Altro ruolo importante nell’educazione è svolto quotidianamente dai figli
maggiori che contribuiscono a sviluppare il senso di autonomia dei più piccoli.
MODELLI DI CURA
In Ucraina nelle zone rurali e montane è ancora molto diffuso
l’utilizzo di piante ed erbe a scopo curativo, soprattutto dagli anziani,
che ricorrono ugualmente alla medicina moderna per alcune
patologie.
Per esempio, nella zona dei Carpazi, per curare la pressione alta e l’asma
viene utilizzato il vischio, pianta che nella tradizione si ritiene sia benaugurale
per la famiglia e la salute. Nella tradizione ucraina è uso comune per gli anziani
sorseggiare ogni giorno dopo il caffè l’élisir di lunga vita. Questo si ottiene
spremendo ventiquattro limoni in un recipiente di vetro, si aggiunge poi una
libbra di aglio tritato, il tutto va coperto con una garza e lasciato riposare per
ventiquattro giorni.
Molte donne ucraine immigrate, conservano l’utilizzo delle cure tradizionali
apprese dalle loro madri, grazie alla presenza di alcune piante curative
commercializzate anche in Italia.
MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE
DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE
223
In Ucraina le attività sportive extra scolastiche per i bambini sono sostenute
ed incoraggiate anche dal governo; gli sport più comunemente praticati sono il
nuoto, il calcio e la ginnastica artistica.
I bambini si ritrovano tra loro per giocare in gran numero nei cortili o nei
parchi, avendo così la possibilità di divertirsi, imparare i valori del collettivo,
del gruppo, dell’unità e dell’amicizia. I giochi variano in base alla stagione. In
inverno giocano intere giornata a hockey, o costruiscono castelli e fortezze di
neve e poi organizzano le guerre con gli assalti. In estate, i giochi preferiti dai
maschi sono il calcio e il gioco della guerra. Quelle delle femmine sono “figli e
madri”: le ragazzine imitano una famiglia accudendo le bambole come fossero i
loro figli.
MODELLI E STILI FAMILIARI
Ruolo dei genitori: uomini e donne hanno ruoli ben
differenziati all’interno della famiglia. La donna si occupa
prevalentemente della cura della casa, dei figli preoccupandosi
della loro educazione, e degli anziani della famiglia. L’uomo
svolge il ruolo di capo famiglia occupandosi prevalentemente del
mantenimento economico.
VITA SOCIALE DELLE FAMIGLIE: negli ultimi anni a seguito della forte
emigrazione, soprattutto femminile, le donne sono costrette a lasciare i figli e i
mariti in Ucraina, per un tempo abbastanza lungo, qualche anno almeno; così i
figli sono lasciati con i parenti e le famiglie tendono a disgregarsi, creando una
rottura nel tessuto connettivo della società ucraina.
ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: il controverso problema
dell’identificazione dell’origine del bambino, particolarmente difficile
soprattutto quando i genitori non erano sposati, viene regolato con una nuova
normativa entrata in vigore il 1° gennaio 2003. I nomi ucraini sono composti di
tre componenti: il nome proprio, il patronimico cioè il nome del padre in
genitivo, ed infine il cognome, con la terminazione differente tra uomo e donna.
ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: con la nascita il bambino ottiene la
cittadinanza dei genitori. Se il bambino nasce in Italia ottiene la doppia
cittadinanza, al compimento della maggiore età, dovrà optare per una.
FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: per ottenere lo status di
figlio naturale il padre e la madre devono registrare in comune il
riconoscimento del figlio.
REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: il giorno stesso della nascita del
bambino bisogna recarsi all’Ufficio di Stato Civile per la registrazione.
CONTRATTO DI MATRIMONIO: per contrarre matrimonio, bisogna presentare
all’Ufficio di Stato Civile i seguenti documenti: certificato di nascita, certificato
di stato libero, certificato di residenza. Successivamente vengono esposte le
pubblicazioni matrimoniali, ovvero il “nulla osta” per la celebrazione del
224
matrimonio. Le pubblicazioni vanno sottoscritte personalmente dai nubendi
dinanzi all’Ufficiale di Stato Civile.
DIRITTI DEI MINORI: nel nuovo codice della famiglia, adottato il 1° gennaio
2003, viene per la prima volta stabilito che i genitori hanno diritti e doveri verso
il figlio. Sono inoltre previste norme che riguardano il diritto all’istruzione e la
repressione dei maltrattamenti. Anche nella Costituzione ucraina (entrata in
vigore il 28 giugno 1996) all’art. 43, si tutela il minore con il divieto al lavoro
minorile pericoloso alla loro salute, l’art. 52 è interamente dedicato ai diritti dei
minori.
DIRITTO DELLE DONNE: la violenza domestica continua ad essere comune in
Ucraina, sebbene non siano disponibili statistiche ufficiali. Verso la fine del 2002
l’Ucraina ha informato il Comitato diritti umani delle Nazioni Unite circa le
diverse misure in fase di elaborazione per combattere la violenza domestica.
Tra queste: l’approvazione della Legge per la prevenzione della violenza
domestica, che indica gli enti pubblici preposti all’adozione delle misure di
prevenzione, nuove procedure d’indagine sugli atti di violenza domestica, la
realizzazione di una rete di istituzioni specializzate per il sostegno alle vittime,
come unità di crisi, case rifugio e centri di riabilitazione. Nonostante queste
misure positive, permangono notevoli ostacoli per le donne in cerca di giustizia.
DIVORZI E SEPARAZIONI: per ottenere la separazione ed il successivo divorzio
è sufficiente che uno dei due coniugi presenti istanza in tribunale. Dopo le
opportune verifiche in merito il giudice autorizza la separazione, se si è in
presenza di un caso con figli minori, questi normalmente vengono affidati alla
madre.
SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI
L’Ucraina ha deciso di investire molto nella formazione delle
nuove generazioni del dopo 1991, per risollevarsi dalle pesanti
eredità lasciate dal passato. Un passo decisivo viene fatto con la
riforma del sistema scolastico. Quest’ultima è messa a punto dal
Ministero dell’Istruzione e dall’Accademia di Scienze Pedagogiche,
dovrebbe rinvigorire le sorti del sistema scolastico con un piano su venticinque
anni. L’obiettivo consiste nel miglioramento delle condizioni di lavoro degli
insegnanti (attualmente guadagnano circa € 75 al mese) e nel diritto
all’istruzione gratuita per tutti, dalla scuola materna a quella secondaria.
Accade spesso che gli insegnanti diano lezioni private a pagamento ai loro
alunni come condizione per il superamento degli esami. Si calcola che le
famiglie ucraine spendano circa un milione di euro all’anno in ripetizioni.
Il sistema scolastico ucraino prevede dieci anni di studi obbligatori divisi in
tre cicli:
Scuola elementare: è rivolta ai bambini dai 6 ai 9 anni, le lezioni si tengono
sempre nella stessa aula scolastica e con un’unica maestra. L’anno scolastico
225
inizia il primo settembre e termina il 25 maggio. In concomitanza con l’inizio
delle lezioni si festeggia “La festa degli studi”.
Le lezioni si interrompono per tre brevi pause di vacanze. La prima, inizia
alla fine di ottobre per la durata di una settimana; la seconda, inizia alla fine di
dicembre e termina dopo due settimane; la terza ed ultima, molto breve, alla
fine di aprile e dura soltanto cinque o sei giorni.
Scuola secondaria di I grado: dopo il terzo anno della scuola elementare, si
comincia ad affrontare il programma della scuola secondaria. Ogni materia
viene insegnata nell’apposita aula, con un insegnante specifico, ciò permette di
effettuare lavori di laboratorio.
Scuola secondaria di II grado: quest’ultimo ciclo, della durata di due anni,
permette il conseguimento dell’attestato di maturità. Dopo averlo ottenuto gli
studenti possono decidere se iscriversi all’università o iniziare l’attività
lavorativa.
Lo studente che, terminato il ciclo obbligatorio, decide di continuare gli
studi si trova di fronte a due problematiche: quale istituto o università scegliere,
ma anche, come trovare i soldi per pagarsi i corsi di studi.
Durante il periodo sovietico, ciascun studente aveva diritto ad un contributo
mensile di circa otto dollari, la retta dell’università era a spese dello stato, che
provvedeva anche all’alloggio gratuito presso i pensionati per studenti.
Lo studente attuale, invece, deve cercare di lavorare duro ogni giorno, senza
influire negativamente sugli studi. Anche gli studenti le cui spese di studio
sono coperte dallo Stato sono in cerca di lavoro, questi costituiscono circa il 50%
della popolazione studentesca. Il resto dei quasi due milioni di studenti
appartengono a famiglie che non sono considerate tra le più bisognose e quindi,
non hanno diritto ad avere i propri figli educati a spese dello Stato. I ragazzi
provenienti da quest’ultime creano una grande competizione per l’iscrizione
alle strutture educative meno care, dove la retta per un anno è di circa 500
dollari.
VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE
L’Ucraina, come del resto tutti gli stati governati da un
regime comunista, fonda le sue origini di politica sociale sul
principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini verso lo Stato.
Tutta la popolazione abile, senza distinzione di genere,
deve essere introdotta in maniera attiva nel mercato del lavoro, il sistema di
protezione sociale, sanitario, previdenziale ed infortunistico è legato ad esso.
Nella quotidianità il lavoro domestico è svolto principalmente dalla donna,
in quanto è ancora molto forte, soprattutto nelle zone rurali, il modello
patriarcale di suddivisione dei ruoli. Allo scopo di agevolare le madri che
lavorano, nello svolgimento della loro doppia funzione (lavoro domestico e di
cura e lavoro produttivo sociale), lo Stato interviene con una serie d’iniziative
226
nel campo dell’assistenza sociale e familiare. Nonostante la tendenza ormai
indiscussa a valorizzare il ruolo della donna soprattutto come moglie e madre,
il tasso di presenza della forza lavoro femminile sul mercato del lavoro è alta:
56% delle donne.
Il programma del governo a favore dell’emancipazione della donna e della
famiglia prende avvio in un paese che è molto arretrato rispetto ad altri paesi
europei, dove i principi basilari di liberazione femminile devono ancora essere
pienamente realizzati e dove prevalgono ancora il diritto contadino sotto forma
di consuetudine. Tuttavia, il piano di emancipazione della donna e di
sostituzione della forma di famiglia patriarcale con una struttura familiare che
non sia in contraddizione con la più ampia rivoluzione in atto nei rapporti
economici e sociali si rivelerà come uno dei compiti più difficili e ambiziosi del
governo.
STILI ALIMENTARI
Fin dai tempi antichi, la cucina ucraina era famosa per la
varietà delle pietanze e per la loro qualità gustative. Essa ha
avuto diffusione anche fuori dall’Ucraina e alcuni piatti,
come per esempio borsc e vareniki, sono entrati nella cucina
internazionale.
La maggioranza delle pietanze ucraine è il risultato della difficile
composizione di prodotti che subiscono diversi tipi di cottura: frittura o cottura
al forno.
La cucina ucraina si base su piatti di origine contadina che utilizzano in
particolare cereali e verdure di base quali patate, cavoli, barbabietole e funghi.
La carne in genere viene bollita, fritta o stufata.
Normalmente i dolci sono ricoperti di miele e frutta, in particolare ciliegie e
prugne; i dolci più diffusi sono i panini dolci. Lo snack ucraino più mangiato è
costituito dai vareniki, mentre il piatto tipico principale è il salo, il grasso di
maiale. Il consumo di salo risale a molti secoli fa, l’attenzione riservatagli dagli
ucraini è la stessa che i francesi riservano al vino. Il borsc affonda le sue origini
in Ucraina ed è ancora oggi la zuppa tipica del paese.
Nell’alimentazione, ruolo importante è attribuito alle verdure e agli ortaggi,
dei quali è così ricca la terra ucraina. Il primo posto appartiene alla rapa rossa o
barbabietola, che può essere definita l’ortaggio nazionale. Molto diffuse anche
le pietanze realizzate con patate, carote, pomodori, verza e fagioli.
La cucina nazionale contemporanea ha conservato e anche arricchito antiche
tradizioni; aggiungendo ad essa le pietanze a base di melanzane, cavolfiori e i
piatti a base di pesce.
227
RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA
Nell’ordine della realtà biologica, vita e morte sono
momenti che si avvicendano in un ciclo continuo; nella
esperienza esistenziale umana, invece, rappresentano i termini
di una lacerante opposizione. L’intervento del simbolico ha la
funzione di riunificare questi due estremi, stabilendo un
contatto tra queste sfere altrimenti inconciliabili: in tal modo si neutralizza il
trauma della morte, che diviene momento di uno scambio reversibile.
Questa esperienza ineluttabile e sfuggente all’umano controllo, trova così
una sistemazione nella rappresentazione. Tracciando i connotati di ciò che
altrimenti rimarrebbe ignoto, si rende la morte un evento strutturabile secondo
categorie di esperienza umanamente conoscibili. E poiché essa non può avere
altro aspetto se non quello che noi stessi le assegniamo, sarà al medesimo
tempo lo specchio delle nostre aspettative ultraterrene e delle nostre angosce e
timori mortali. In ogni caso, essa avrà fattezze analoghe – anche se contrarie – a
quelle della sua controparte “positiva”, la vita appunto. Va detto infatti che,
nonostante si cerchi di mantenere una continuità tra questi due poli esistenziali,
la morte è vista comunque come un estremo negativo, se si prescinde dalle
interpretazioni proprie dell’escatologia cristiana.
NASCITA: il parto segna un evento importante per tutta la famiglia, nei centri
rurali è tradizione far partorire la donna in casa. Il bambino, una volta nato,
viene mostrato ai soli familiari stretti (padre, nonni ed eventuali
fratelli/sorelle), fino al giorno del battesimo per evitare influenze negative o
malvagie da parte di terzi. Circa una settimana dopo la nascita il bambino viene
battezzato; il rito prevede il bagno battesimale alla presenza del padre, del
padrino e della madrina. La madre non può parteciparvi in quanto deve
attendere la benedizione del prete per l’ingresso in chiesa post- partum. Dopo il
battesimo il bambino può essere visto e salutato da tutti è per questo che i
genitori organizzano un grande ricevimento al quale è invitato tutto il paese.
MATRIMONIO: il matrimonio – tsyhanshchyna – soprattutto nei piccoli centri
rurali è un avvenimento che coinvolge tutta la popolazione, questo è visto come
l’origine di una nuova unità che contribuirà al perpetuare dell’intero villaggio.
Anche nelle coppie giovani c’è molto interesse nel far rivivere le antiche
tradizioni, compreso l’uso del tradizionale vestito ucraino (wyshyvka) anziché il
tradizionale abito bianco di stile occidentale.
Prima delle nozze il futuro sposo si reca insieme a due parenti anziani e
rispettati dai genitori della sposa per chiederne la mano. Questa visita chiamata
dohliadyny include uno scambio di doni: lo sposo regala una bottiglia di horilka,
mentre la sposa ricopre i visitatori con dei tovaglioli rituali rushnyky. Entrambi
regalano una pagnotta di pane all’altro, se la sposa non accetta la richiesta di
matrimonio porge al futuro sposo una zucca (harbuz).
228
I riti del matrimonio iniziano il venerdì sera con una festa offerta agli amici
dello sposo e della sposa; il sabato è il giorno della celebrazione del contratto
civile di unione, la domenica si celebra il rituale in chiesa.
Dopo il matrimonio gli sposi offrono un rinfresco, solitamente nella casa
della sposa, e viene consumata la torta nuziale (korovai del), mentre gli ospiti
offrono regali in cambio.
FUNERALI: dalla morte alla celebrazione del funerale in Ucraina passano
circa due o tre giorni nei quali la famiglia veglia il defunto. Il giorno del
funerale questo viene portato in chiesa con un carro funebre seguito dalla
processione di parenti e amici.
Negli ultimi anni, in Ucraina è molto diffusa la cremazione, se invece i
parenti decidono di tumulare il defunto secondo le vecchie tradizioni,
quest’ultimo non verrà più riesumato.
SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI
La situazione sanitaria in Ucraina risente molto del crollo del
regime sovietico, lasciando il paese in uno stato di precarietà
causando un sistema irregolare di accessi.
I dati di mortalità sono i più completi e paragonabili, quindi
costituiscono la componente principale dei confronti internazionali. Tuttavia,
persino in questo caso, esiste il dubbio circa la totalità delle registrazioni delle
morti, soprattutto nelle fasce d’età molto giovani e vecchie, e nell’esattezza di
codificazione delle cause di morte. In Ucraina, come negli altri Stati
Indipendenti dell’Unione Sovietica (NIS), abbiamo, dal 1991, una forte
diminuzione del tasso naturale di aumento della popolazione, dovuta ad una
diminuzione del tasso di natalità dagli anni Ottanta e ad un aumento
consistente della mortalità.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 1999 l’Ucraina era uno
dei peggiori paesi in termini di mortalità generale e di tendenza negativa nello
sviluppo naturale della popolazione.
In generale, la tendenza nella speranza di vita in Ucraina è simile a quella
della maggior parte dei paesi del NIS, con una netta diminuzione fino al 1995,
una lieve ripresa fra il 1996 e il 1998 e una successiva drastica ricaduta dal 1999.
La mortalità infantile è aumentata fra il 1991 e il 1993, mentre è diminuita al
13 per 1000 feti nati vivi dal 1999, portando così l’Ucraina tra i paesi con tassi di
mortalità infantile e materna più bassi della media dei paesi del NIS. In questo
paese come in Bielorussia, il numero di casi di cancro alla tiroide nei bambini è
aumentato nettamente dopo il disastro nucleare di Chernobyl.
Il tasso di mortalità dovuto a neoplasie e a malattie dell’apparato
circolatorio è in Ucraina, tra i più alti d’Europa.
229
L’incidenza della tubercolosi è aumentata costantemente durante gli anni
Novanta, ma resta tra i più bassi tra i paesi del NIS; l’incidenza della sifilide
invece ha assunto proporzioni epidemiche nel periodo 1993-1996, dal 1997 sta
diminuendo anche se risulta essere ancora tra i più alti del NIS.
Dal 1995 ad oggi i casi di Aids clinicamente diagnosticati sono notevolmente
aumentati, raggiungendo così il tasso più alto di tutto il NIS.
La spesa in sanità è rimasta quasi immutata negli anni Novanta, aggirandosi
intorno al 3,5% del PIL di cui il 67,9% è destinata alle cure ospedaliere. Questo
dato è superiore alla media dei paesi del NIS, ma più bassa di quella dei paesi
dell’Unione Europea.
Secondo i dati del 1998 il rapporto medico/popolazione in Ucraina è tra i
più bassi dei paesi del NIS, con una media di 299 medici per 100.000 abitanti,
bisogna però specificare che, i dati sul numero dei medici includono soltanto
quelli che praticano la professione, non contando quelli che operano negli
istituti di ricerca e nell’amministrazione civile.
Nel 2000 è stata varata, con un decreto presidenziale, la riforma del sistema
sanitario, conseguenza effettiva delle riforme in campo economico, sociale e
politico, questa però, risulta frammentaria e contraddittoria. Il ministero della
sanità attualmente, sta tentando di coordinare la ristrutturazione del settore
salute, tuttavia, il processo è stato ostacolato dalla mancanza di strategie
nazionali.
FIABE TRADIZIONALI
Le fiabe ucraine rispecchiano tutto il colorito del folklore
locale, così ricco di credenze pagane e di elementi narrativi
originali. In esse il mondo fantastico si manifesta non solo
nell’elemento “meraviglioso”, ma anche in una continua e
deliberata commistione del piano umano e di quello
“soprannaturale”, diabolico o divino, che ci ricorda per alcuni aspetti il mondo
del mito pagano nel quale la presenza delle divinità pagane era molto più
vicina all’uomo. Riportiamo di seguito due esempi di fiabe popolari:
Pane e Oro
Nel periodo del re Danilo in Galycina (una regione dell’Ucraina), viveva un
mastro che fabbricava i soldi per il re. Questo mastro poteva fare il bagno nell’oro,
ma non aveva alcun potere. Il re Danilo personalmente apriva e chiudeva la cassa
e lo studio dove lavorava il mastro e lo faceva uscire ed entrare sia per il lavoro sia
per le altre necessità. Soltanto il mastro era al corrente di tutte le ricchezze del re
Danilo. Il mastro era diventato molto benestante con questo lavoro e non ricordava
più che cosa significava essere affamato e star male. Un giorno disse al re:
“L’oro è il re nella vita”.
230
Danilo lo corresse: “No, buon uomo, è il pane che è in testa a tutto”.
“No, non sono d’accordo”, gli ribatté il mastro, “ è l’oro e l’argento”.
Discussero a lungo, fino a che il re se ne andò via dallo studio. Il giorno dopo,
nello studio, re Danilo vide una bella e grande scritta sul muro: “Il pane nulla,
l’argento e l’oro comandano”.
Il re Danilo non disse nulla, chiuse il mastro nello studio dove era la cassa con
l’oro e se ne andò. Improvvisamente arrivarono i messaggeri e comunicarono che il
confine del regno era stato attraversato dall’esercito nemico. Danilo dovette
immediatamente partire con i suoi combattenti per difendere il regno, dimenticando
che aveva lasciato chiuso il mastro nello studio. Precedentemente, Danilo aveva
redatto una legge, che proibiva di avvicinarsi alla cassa con la minaccia della morte,
quindi nessuno poteva vedere e sentire il mastro.
Passarono alcuni mesi. Danilo tornò a casa vittorioso attendendo un dono – la
medaglia per la vittoria – dal mastro; ma questi non si vide. Scese dal cavallo,
corse nello studio, aprì e vide sulla montagna delle monete d’oro lo scheletro del
mastro, e al muro un’altra scritta realizzata in oro: “Argento e oro nulla, il pane
comanda”. Ecco come la vita ha insegnato…
Il padre adottivo
C’erano una volta tre fratelli, che erano rimasti orfani, senza padre e madre, senza
casa e alcun bene. Pensavano di trovare fortuna altrove o di trovare lavoro da
qualche ricco signore.
Quando iniziarono il loro viaggio, incontrarono un uomo vecchio, con la barba
bianca.
“Dove state andando figlioli?”.
E loro gli risposero: “Stiamo andando a cercare un lavoro”.
“Ma non possedete la casa di vostra proprietà?”.
“Non l’abbiamo”, dissero. “Se per fortuna riusciamo a trovare un buon datore di
lavoro, lavoreremo onestamente per lui e gli obbediremo come fosse un padre”. Il
vecchio disse: “va bene, se è così, vi farò io da padre. Obbeditemi e io vi farò
diventare degli uomini, vi insegnerò come si vive nella vita senza allontanarsi
dall’onestà”.
Decisero così e andarono con il vecchio. Camminarono, camminarono, tra i boschi
oscuri, tra le pianure immense. Ad un tratto videro una bellissima casetta in mezzo
231
ad un frutteto con il giardino pieno di fiori. Uscì dalla casa una ragazza, molto
carina come un fiorellino. La vide il fratello maggiore e disse: “Se potessi sposare
questa ragazza ed avere muli e mucche, sarei la persona più felice al mondo”.
Il vecchio gli rispose: “Va bene, andiamo a chiedere la mano di questa ragazza.
Vivrai felice, ma non dimenticare l’onestà e la verità che ti ho insegnato”.
Andarono a casa della ragazza e tutto andò bene, festeggiarono il loro matrimonio.
A proseguire il viaggio rimasero in tre. Videro di nuovo una bella villetta con il
mulino e il laghetto ed una bella fanciulla. La vide il fratello medio che disse: “Se
potessi sposare questa ragazza, vivrei con lei felice e lavorerei al mulino fino alla
fine dei miei giorni”. Il vecchio disse: “Va bene figliolo sarà così. Non
dimenticarti tutto ciò che ti ho insegnato dell’onestà e della verità”. I tre fratelli
vivevano ognuno la propria vita. Il fratello maggiore era diventato davvero ricco,
ma di aiutare qualche poveraccio non se ne parlava proprio, era diventato troppo
tirchio. Anche il fratello medio ero diventato ricco, non lavorava più e si limitava a
mangiare, bere e ordinare. Il fratello minore non aveva tante ricchezze, ma quando
gli si offriva la possibilità, aiutava sempre il prossimo. Il vecchio decise di andare a
trovare i figli adottivi. Arrivò dal primo travestito da vagabondo, povero e
malandato chiedendogli l’elemosina ma il figlio, nonostante avesse la casa piena di
tutto non diede nulla al vecchio. Il vecchio se ne andò e appena allontanato, la
casa prese fuoco con tutti gli averi. Il padre andò dal secondo chiedendogli da
mangiare ma non ottenne nulla. Il vecchio andandosene ripete ciò che aveva fatto al
primo figlio. Arrivò alla fine dal fratello minore. Vide che viveva in una casetta
piccola e modesta, ma molto pulita e accogliente, il figlio fece entrare il vecchio in
casa gli diede del cibo e dei vestiti puliti. Il vecchio si cambiò, ma mentre lo fece la
moglie vide una terribile ferita sul petto e gli chiese come se la fosse procurata. Il
vecchio rispose: “Oh, questa ferita è un po’ particolare, è mortale, e mi è rimasto
da vivere soltanto un giorno”. “Che disgrazia!”, disse la moglie. “E non esiste
alcuna cura o qualche medicina?”. Il vecchio allora disse: “Esiste una medicina,
ma nessuno è disposto a dare questo toccasana, sostanzialmente il padrone di casa
dovrebbe bruciare la sua casa e tutti i suoi beni, e la cenere che rimane bisognerebbe
metterla sulla ferita che immediatamente comincierebbe a guarirsi”.
Il fratello minore, consultata la moglie, appiccò fuoco alla casa che bruciò
immediatamente, in un attimo non rimase nulla. Al posto della vecchia casetta
apparve una bella villa di pietra, molto carina. Il vecchietto allora disse: “Vedo,
che soltanto tu figliolo di tutti voi altri, non hai mai dimenticato il mio
insegnamento dell’onestà e della verità. Ora vivi felice!”.
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Dopo queste parole il figlio riconobbe il suo padre adottivo, si buttò per
abbracciarlo, ma egli era svanito nel nulla.
RICETTE
Borsc (dalla parola slava rapa)
Ingredienti: 250 g di carne di manzo, 300 g di barbabietola, 400 g di
verza fresca, 500 g di patate, 100 g di carote, 50 g di radice di
prezzemolo, 100 g di cipolle, 2 spicchi d’aglio, 100 g di
concentrato di pomodoro, 250 g di pomodori fresci, 100 g di peperoni, 50 g di
burro, 50 g di lardo di maiale, 50 g di panna acida, 20 g di zucchero, 20 g di
aceto, 20 g di prezzemolo, 10 foglie di alloro, 1 peperoncino intero rosso, sale
q.b.
Preparazione: il borsc si cucina in una base di brodo di carne rossa. Mettere in una
pentola la carne, riempire con acqua e portare ad ebollizione. Una volta cotta la
carne, toglierla dal brodo, disossarla e rimetterla in un altro recipiente; salare,
mettere un po’ di brodo e continuare la cottura a fuoco lento. Nel frattempo
preparare gli ortaggi e le verdure, soffriggendoli in una padella con il burro e il
concentrato di pomodoro. Filtrare e portare di nuovo in ebollizione il brodo di
carne, aggiungendo le patate la verza e il peperoncino rosso e continuare a
cuocere per 15-20 minuti. Dopodiché, aggiungere il peperone, le foglie di alloro
e continuare a cuocere ancora per 5-7 minuti.
Si può condire il Borsc con farina leggermente soffritta oppure con il lardo di
maiale pestato aglio.
Dopo averlo condito portare tutto ad ebollizione, spegnere il fuoco e far
riposare per 30-40 minuti.
Servire aggiungendo uno o due cucchiai di panna acida.
Ravioli (vareniki)
Ingredienti: 500 g di carne, 30 g di burro, 1 cipolla, 100 g di lardo di maiale, sale,
pepe, peperoncino q.b.
Preparazione: tagliare la carne a pezzettini e cuocere bene in una pentola con
acqua. Passare la carne cotta con il tritacarne. Aggiungere la cipolla tritata, sale
pepe e peperoncino e mescolare per bene. Dopo aver preparato la pasta con
farina, uova, acqua e sale, tagliare l’ottenuto in forme circolari e aggiungere al
centro il ripieno precedentemente preparato. Chiudere e cuocere in una pentola
d’acqua bollente e salata.
Prima di servire in tavola i vareniki, cospargerli con un po’ di burro sciolto o con
i pezzettini di lardo di maiale soffritto con il grasso proprio.
233
POESIA
Arsenij Aleksandrovic: nasce nel 1907 a Elizavetgrad, oggi
Kirovograd, in Ucraina. È all’ambiente familiare che Arsenij deve
l’amore per la letteratura e le lingue. Nella seconda metà degli
anni Venti frequenta i Corsi Superiori Statali di Letteratura e
scrive corsi su Il fischio, rivista dei ferrovieri, a cui collaborano
anche Bulgakov, Olesa, Kataev, Il’f e Petrov. Tra il ’29 e il ’30 inizia a scrivere
poesie e drammi in versi per la radio sovietica, ma nel ’32, accusato di
misticismo, è costretto ad interrompere la sua collaborazione. Inizia a tradurre
poesia dal trkmeno, ebraico, arabo, georgiano, armeno. Solo nel ’62 esce il
primo volume di poesie: Nece imminente, cui seguiranno nel ’66 Alla terra ciò che
è terreno, nel ’69 Il messaggero, nel ’74 Poesie, nel ’78 Le montagne incantate, nel
1980 Giornata d’inverno, nel 1982 Opere scelte Poesia. Poemi. Traduzioni. (19291979), nel 1983 Poesie di vari anni. Nel 1987 esce Dalla giovinezza alla vecchiaia,
titolo deciso dalla casa editrice contro il volere dell’autore, e Essere se stesso.
Muore a Mosca nel 1989.
LETTERATURA
Le origini della letteratura nazionale ucraina risalgono alle
cronache slave medioevali, come per esempio lo Slovo o polku
Ihrevim (The Tale of Ihor’s Armament), del XII secolo. Gli inizi
della letteratura ucraina moderna si devono al filosofo errante
della metà del XVIII secolo, Hryhorii Skovoroda, il “Socrate
ucraino” che scrisse poemi e trattati filosofici in ucraino, destinati alla gente
comune piuttosto che all’élite. In Ucraina le pubblicazioni in lingua nazionale
furono vietate dal regime zarista nel 1863.
Alcuni scrittori ucraini si spostarono in Galizia, allora sotto il dominio
austro-ungarico, dove si sviluppò una ricca letteratura d’emigrazione.
L’Unione degli Scrittori Ucraini di Kiev ebbe un ruolo molto importante per
quanto riguarda l’indipendenza dall’URSS ottenuta nel 1991.
Shevchenko Taras: fervente nazionalista nato come schiavo nel 1814 e poi
diventato un eroe nazionale, fu il primo scrittore di lingua ucraina di una certa
importanza. Le sue opere contribuirono alla nascita di un periodo d’oro per la
letteratura ucraina.
Franko Ivan: il migliore e più produttivo scrittore dell’inizio del XX secolo,
le cui opere comprendono racconti di fantasia, poesie, opere teatrali, trattati
filosofici e racconti per bambini. Ritrae l’esistenza dura degli operai e dei
contadini ucraini. Franko era un radicale politico ardente che ha cercato di
ispirare il nazionalismo ucraino negli impianti quale Zakhar Berkut (1883), che si
occupa di storia ucraina. Ha trattato i problemi sociali e psicologici Nella base
della società (1895) e nell’autobiografico Nel sudore della fronte (1890).
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Stus Vasyl: nasce nel 1938, le sue opere diedero inizio all’agonia dei poeti
dissidenti, trattarono principalmente l’argomento dell’occupazione sovietica.
Venne ucciso in un campo di concentramento sovietico nel 1985.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Bianchini S., Dassù M. (a cura di), Guida ai paesi dell’Europa centrale
orientale e balcanica. Annuario politico- economico, il Mulino, Bologna,
2003.
CIS, Ucraina. Guida pratica al cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, 1998.
Insight Guides, Russia, Bielorussia e Ucraina, Il Sole 24 Ore, Milano, 2004.
SITOGRAFIA
www.ukraine.it: sito di informazioni turistiche per viaggiatori.
www.gkumilano.it: sito del consolato ucraino a Milano.
www.moz.gov.ua: sito ufficiale del Ministero della Sanità ucraino (in
inglese).
www.mon.gov.ua: sito ufficiale del Ministero dell’Educazione (in inglese).
www.kmu.gov.ua: sito ufficiale del Governo ucraino (in inglese).
www.caritas.it: sito dell’organismo pastorale della Cei (Conferenza Episcopale Italiana)
per la promozione della carità.
www.who.org: sito dell’organizzazione mondiale della sanità, dove sono reperibili
informazioni aggiornate sulle condizioni del sistema sanitario ucraino.
www.unicef.it: sito ufficiale del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia.
www.amnesty.it: sito per la difesa dei diritti umani.
www.osservatoriobalcani.org: Istituto per l’Europa Centro-Orientale e Balcanica (in
italiano).
DANZE
In Ucraina sono molto diffuse le danze chiamate Kolomykas che nascono dalla
semplice esuberanza e sono permeate di allegria e humor. Poichè l’ambiente
agricolo era dominante, numerose danze tradizionali sono legate ai lavori
quotidiani nella fattoria, nei frutteti e le greggi.
Degne di nota sono le danze maschili nelle quali vengono mostrati i movimenti
e le prodezze di coloro che cavalcano. Queste danze sono simili a quelle
osservate fra le tribù dei Cosacchi nel Caucaso, in Crimea e nel lontano Est. La
danza Gopak è una delle più brillanti, in essa il danzatore, sempre un uomo,
esibisce ogni genere di passo che metta in mostra il suo virtuosismo (il più
conosciuto è il passo del ciabattino) sforbiciando, ondeggiando, girando,
saltando su un piede solo ed eseguendo balzi atletici.
235
Alle ragazze non si richiede mai di mostrare tali passi. Esse semplicemente
formano uno sfondo di ammirazione battendo i piedi o le mani, o eseguendo
semplici passi. Questa ancora frequente esibizione ricorda il tempo in cui
l’uomo mostrava davanti alla donna da lui desiderata in sposa la sua bravura e
la sua forza attraverso la danza.
236
3. Le danze
di Sara Calzetti
I momenti di insegnamento e di danza sono un’occasione per contestualizzare
la danza stessa, introdurre informazioni riguardo ai costumi (in senso stretto),
alle tradizioni dei Paesi di origine e per comunicare tutto ciò che riteniamo
possa interessare e stimolare a nuove personali ricerche.
Le danze etniche sono espressione delle specificità culturali dei popoli del
mondo; nascono dalla storia e la costruiscono, si nutrono della musica,
esibiscono i costumi, incarnano gli stili tradizionali e moderni delle varie
culture, si sviluppano tra il sacro e il profano.
Ad un osservatore parlano di identità, di gerarchie sociali, di valori, di rapporti
fra i sessi e di relazioni fra gruppi.
Esse originano dall’esigenza di dare risalto ai momenti comunitari significativi
e nascono dal popolo per il popolo. Connettono il passato al presente, il
tradizionale al nuovo, sono oggetto di contaminazioni temporali e culturali.
Sottolineano le specificità ma sono anche in grado di diffondersi svincolandosi
dai luoghi di origine e dalle comunità nazionali.
Secondo Judith Lynne Hanna, la danza può essere definita come un
comportamento umano composto, dal punto di vista del danzatore, di sequenze
volontarie che sono intenzionalmente ritmiche e culturalmente strutturate; tali
sequenze si compongono di movimenti corporei non verbali, distinti dalle
attività motorie ordinarie e portatori di valori intrinseci ed estetici 21.
21
Cfr. Judith Lynne Hanna, (1979), To dance is human, University of Texas Press, Austin e Londra.
237
4. Gli Autori
Bertolani Barbara: Dottore di ricerca in Sociologia, ha ricoperto incarichi di
docenza a contratto presso l’Università degli Studi di Ferrara. È autrice di
pubblicazioni sulle famiglie miste e sulla migrazione indiana dal Punjab verso
l’Italia.
Calzetti Sara: Esperta in formazione interculturale.
Cingolati Pietro: Dottorando in Antropologia, Dipartimento S.A.A.S.T. (Scienze
Archeologiche Antropologiche Storiche e Territoriali), Università di Torino.
Membro di FIERI (Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche
sull’Immigrazione).
Cologna Daniele: Sociologo e sinologo, è tra i soci fondatori dell’Agenzia di
ricerca sociale Codici di Milano. Da oltre dieci anni realizza ricerche sullo
sviluppo dei fenomeni migratori in Italia. Ha studiato la lingua cinese presso
l’Istituto di Lingue della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano e
presso l’Università di Hangzhou in Cina.
Fiamingo Cristiana: Ricercatore in Storia e Istituzioni dell’Africa, Docente di
Storia dell’Africa, Università degli Studi di Milano. Membro del Comitato di
Redazione della Rivista “Afriche e orienti”.
Lainati Chiara: Ha lavorato per anni in Tunisia e in Marocco in progetti di
cooperazione internazionale. Ricercatrice presso l’Istituto di ricerca Sinergia di
Milano. È docente di antropologia nel Master in Formazione Interculturale
all’Università Cattolica di Milano.
Masini Sonia: Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Reggio Emilia.
Olivadoti Simona: Dottore magistrale in Programmazione e Gestione delle
Politiche e dei Servizi Sociale, ha collaborato a diverse ricerche in ambito
sociale.
Ornaghi Annalisa: Dottore magistrale in Programmazione e Gestione delle
Politiche e dei Servizi Sociale, ha collaborato a diverse ricerche in ambito
sociale.
Tognetti Bordogna Mara: Responsabile scientifico del Progetto “Bambini
dell’altro mondo”. Docente di Politiche dell’Immigrazione e di Politica Sociale,
Università degli Studi di Milano – Bicocca.
Vuka Edmond: Laureato in Scienze dell’educazione, educatore presso una
comunità per minori. Dal 1999 è assistente in progetti di cooperazione allo
sviluppo in Kosovo.
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Note
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