Quaderno delle Culture - Provincia di Reggio Emilia
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Quaderno delle Culture - Provincia di Reggio Emilia
Indice Presentazione, di Sonia Masini ..............................................................3 Introduzione, di Mara Tognetti Bordogna ...............................................5 1. Dati statistici sulla popolazione immigrata nella Provincia di Reggio Emilia ..............................................................7 2. I Paesi del quaderno....................................................................11 Albania, di Edmond Vuka ..........................................................................11 Cina, di Daniele Cologna .............................................................................33 Egitto, di Chiara Lainati ............................................................................59 Repubblica del Ghana, di Cristina Fiammingo ...............................................85 India, di Barbara Bertolani........................................................................107 Marocco, di Chiara Lainati.......................................................................131 Pakistan, di Daniele Cologna ....................................................................153 Romania, di Pietro Cingolani.....................................................................175 Tunisia, di Chiara Lainati.........................................................................197 Ucraina, di Simona Olivadoti, Annalisa Ornaghi ...............................................219 3. Le danze e i disegni sono di Sara Calzetti............................237 4. Gli Autori ....................................................................................238 1 2 Presentazione di Sonia Masini Presidente della Provincia di Reggio Emilia Nell’attuale paesaggio reggiano, caratterizzato dalla coesistenza di popoli e culture diverse, è assolutamente necessario sviluppare strategie finalizzate a obiettivi di consapevole confronto interculturale verso una prospettiva di educazione all’alterità e di valorizzazione delle differenze. A quest’ultima deve corrispondere un impegno civile di quanti operano nella società per la costruzione di una realtà, che si faccia garante dell’uguaglianza dei diritti e delle pari opportunità di tutti i cittadini. E’ all’interno di tale contesto che, utilmente, si inserisce il progetto “Bambini dell’altro mondo”, una delle esperienze più innovative, promosse dalla Provincia di Reggio Emilia, nell’ambito delle problematiche legate ai temi della migrazione. Un progetto che assume, come prioritario campo d’intervento, il sostegno ai soggetti più fragili della migrazione: le donne e i bambini, le madri e i loro figli siano essi neonati, in età scolare o adolescenti. Poiché sono le famiglie venute da altri mondi a vivere, spesso in modo lacerante, il problema dell’identità, dell’integrazione sociale e della cittadinanza, ad esprimere con sempre maggior forza il bisogno di sentirsi riconosciute da parte delle comunità locali. Quest’ultime, invece, appaiono sovente indifferenti, quando non sospettose od ostili. Anche nel mondo della scuola o da parte degli operatori del sociale si avverte, non di rado, la fatica di comprendere questo bisogno forte di riconoscimento. Da qui l’esigenza di intraprendere azioni mirate, che mettano in rilievo le differenze culturali quali positivi fattori di arricchimento. Proprio da qui trae le premesse questo “Quaderno delle Culture”, parte integrante delle iniziative messe in campo nell’ambito dello stesso progetto, che nella sua complessiva articolazione rappresenta un ulteriore banco di prova di come e quanto le idee sulle quali si fondano i modelli di welfare locali possano contribuire ad orientare ed attivare specifici interventi ed azioni di politica sociale. Le pagine di questo “Quaderno” ci raccontano gli stili di vita familiare e di cura dei figli, i modelli ducativi e formativi, i sistemi scolastici e sanitari, le modalità di rapporto tra i sessi e le generazioni che riguardano le dieci nazionalità più presenti sul nostro territorio, con un’attenzione particolare a ciò che attiene ai modelli culturali, entro i quali vivono le donne e i bambini nei loro paesi d’origine. Non si tratta, quindi, di una generica guida alle culture di altri paesi, ma si configura come un valido strumento di conoscenza rivolto a insegnanti, educatori, medici, infermieri, psichiatri, psicologi e a tutti gli operatori sociali e socio-sanitari, affinché sappiano meglio riconoscere le sofferenze delle famiglie migranti e gli ostacoli che i loro figli incontrano nel quotidiano; uno strumento che nasce dall’esigenza tangibile di creare consapevolezza negli operatori chiamati a farsi carico di un’utenza con caratteristiche e comportamenti specifici. Occorre che i servizi, oltre a rispondere a bisogni ben definiti, siano sempre di più luoghi di ascolto e della parola. Queste pagine rappresentano, inoltre, un formidabile strumento di comunicazione che, facilitando le possibilità di interazione tra soggetti con retroterra culturali e linguistici differenti, accorcia le distanze verso un modello interculturale come prospettiva educativa globale, che attraversi tutte le discipline rivisitandole e allargandone gli orizzonti. Se la realtà dell’altro va riconosciuta in tutta la sua complessità per coglierne le differenze e rispettarle, anche questo piccolo strumento può aiutarci a comprendere meglio le culture di popoli diversi, senza eludere le realtà concrete delle donne e dei bambini e a renderci più consapevoli delle peculiarità culturali e dei linguaggi che hanno formato e formano ogni generazione. 3 4 Introduzione di Mara Tognetti Bordogna Il quaderno raccoglie informazioni selezionate ed utili, relative ad alcuni contesti geoculturali interessati da forti processi migratori. Questo quaderno costituisce uno dei prodotti del percorso di progettazione sperimentale “Bambini dell’altro mondo”, coordinato da Ebe Quintavalla, che ha originato diversi prodotti. Le schede che compongono il quaderno sono state pensate, innanzitutto, come materiali di lavoro utili per gli operatori, per le scuole e per i cittadini, al fine di poter conoscere elementi specifici di alcuni paesi ad alta incidenza migratoria verso l’Italia e, più in particolare, verso la provincia di Reggio Emilia quali: storia, vita quotidiana, tradizioni, regole, norme. In secondo luogo, sono state pensate come chiave di accesso a nuovi contesti e nuove realtà culturali. Strumenti che si prestano per piste di lavoro e per approfondimenti ulteriori. Con la scrittura delle schede non si è voluto costruire una cornice rigida “delle diverse culture” ma piuttosto orientare in modo dinamico chi si avvicina e chi incontra queste nuove realtà, parte integrante delle dinamiche migratorie mondiali. Le note contenute nelle schede sono più semplicemente tracce per aiutare a comprendere nuovi orizzonti, nuovi punti di vista, ma anche piste di avvicinamento ad abitudini, pratiche, stili di vita, tradizioni che sempre più frequentemente si incontrano con la nostra quotidianità. Non vogliono essere un catalogo delle culture, ma piuttosto strumento di avvicinamento, di svelamento di abitudini, stili di vita, tradizioni che trovano continuità nel nostro e in altri paesi. La scelta della traccia di sviluppo degli argomenti, pensata come un sistema a finestre, è stata determinata dal tipo di popolazione e di frame culturale (provenienza geoculturale e insediamento nella Provincia di Reggio Emilia), dei loro rispettivi e specifici modelli di vita quotidiana e di regole codificate, che entrano in comunicazione. In altre parole abbiamo cercato, oltre a descrivere le peculiarità, di delineare alcuni sistemi di funzionamento (scuola, sanità, tipo di governo) dei singoli Paesi, di evidenziare, raccontandoli, aspetti quali: il cibo, le ricette, i piatti della tradizione, le danze 1, i riti di passaggio, le favole, che costituiscono parte importante per le persone, per il loro ancoraggio identitario, specialmente in immigrazione, ma sono anche elementi identitari forti per altri contesti locali come la provincia di Reggio Emilia. La scelta delle informazioni e dei temi selezionati ha tenuto conto sia del territorio di provenienza degli immigrati sia del contesto in cui si sono insediati. Delle tradizioni e della storia di questi ambiti. Le variabili considerate rappresentano repertori culturali significativi anche per gli autoctoni e, quindi, costituiscono un buon strumento di dialogo fra gli immigrati e i nativi. Uno strumento di comunicazione semplice ma di alto impatto emotivo e 1 Tutte le danze relative ai diversi Paesi analizzati vanno attribuite a Sara Calzetti. 5 relazionale, utile in quanto fornisce informazioni, conoscenze documentate spesso non considerate come parte integrante della valigia dell’immigrato. Il retroterra fondamentale di chi intraprende un nuovo percorso di vita. L’immigrato non nasce alla frontiera del nostro Paese, ma ha una sua storia, una sua biografia che parte nel e dal Paese di origine, si articola, si modifica nel paese di migrazione proprio grazie e attraverso il percorso migratorio, le scelte che questo determina, ma anche attraverso la selezione e le perdite prodotte dall’esperienza della migrazione. Il quaderno delle culture assume carattere strumentale, non solo e non tanto perché sappiamo che i riferimenti e i modelli culturali che abbiamo cercato di descrivere sono in continua trasformazione e di conseguenza vanno considerati sempre nella loro dinamicità; ma, in particolare, perché sappiamo che ogni repertorio culturale viene usato, valorizzato, dimenticato, superato o ritrovato dai singoli seguendo scelte, selezioni, rimozioni, riproposizioni del tutto peculiari e dinamiche. Ogni individuo utilizza le diverse risorse e potenzialità culturali in modo specifico declinandole in funzione delle proprie aspettative, dei propri obiettivi, del momento e della fase di vita che sta trascorrendo. L’individuo utilizza e coniuga repertori culturali anche apparentemente distanti tra di loro, come può succedere in immigrazione. Il singolo può dimenticare o riscoprire riti, abitudini, miti, può anche crearne altri “sedendosi” su quelli passati o semplicemente abbracciandone di nuovi o partecipare alla costruzione di nuovi che sono il risultato di un carsico processo transculturale. Processo difficile da immaginare se non si parte dal presupposto che ogni persona, indipendentemente, dal contesto in cui è nata e vissuta, si muove secondo propri orizzonti, propri punti di vista suscettibili di cambiamento. Il quaderno delle culture, che contiene informazioni derivanti da un quadro giuridico e politico definito, di un dato ambito geografico, ma anche dalle continue contaminazioni della nostra società, va dunque letto in questo senso. Uno strumento dinamico da cui attingere informazioni note, per poi andare oltre i meri stereotipi e i pre-giudizi. Il quaderno è stato, dunque, pensato come un repertorio che aiuti, che ci renda “disponibili ad entrare nelle ragioni dell’altro, senza irrigidimenti e rimettendo in discussione i propri inevitabili pre-giudizi… (perché ciò) è condizione essenziale della fecondità del dialogo”2. La scelta degli argomenti da inserire nel quaderno è stata fatta anche in funzione della necessità, ormai indilazionabile, del riconoscimento dell’immigrato per quello che è, per la sua storia, i suoi sedimenti culturali, le sue scelte e non per quello che pensiamo che sia. Conoscere e riconoscere specifiche regole, storie, tradizioni, abitudini, stili di vita, mettendole sullo stesso piano di quelle di tutti i paesi, compreso quello dei nativi, è già un buon metodo per un dialogo equilibrato ma, più in particolare, per ri-conoscere chi fa parte del nostro orizzonte presente e futuro. 2 Crespi F., “I rapporti tra generazioni nella comunità sociologica italiana”, in AIS, Giovani sociologi 2003, Franco Angeli, Milano, 2004, pag. 24. 6 1. Dati statistici sulla popolazione immigrata nella Provincia di Reggio Emilia a cura dell'Osservatorio sulla popolazione straniera della Provincia di Reggio Emilia Alla fine del 2006 i minori stranieri non comunitari, residenti nella provincia di Reggio Emilia sono 11.979, pari al 26,8% dell'intera popolazione straniera. Rispetto allo scorso anno la presenza numerica di bambini e ragazzi di 0-17 anni è aumentata del 10,2%, risultando otto volte superiore a quella rilevata alla fine del 1993. Nel corso degli anni i minori immigrati hanno consolidato la loro presenza sia nei confronti della popolazione residente della stessa età, passando da un'incidenza del 2,2% del 1993 al 14,0% del 2006, sia rispetto alla comunità immigrata complessiva. In rapporto a quest'ultima componente la percentuale dei minori è cresciuta in maniera costante incrociando due sole battute d'arresto nel periodo appena successivo alle sanatorie del 1995 e del 2002. In quegli anni, si osserva una ripresa in termini percentuali della popolazione adulta come conseguenza della consistente regolarizzazione di lavoratori stranieri (Vedi Fig. 1 ). Fig. 1 Incidenza dei minori non comunitari sul totale delle presenze non comunitarie e sulla popolazione complessiva della stessa età 30 25 20 21,7 23,3 24,4 24,0 26,9 25,5 26,0 26,2 28,2 21,3 15 10 5 2,2 26,3 26,2 26,5 26,8 2,6 3,1 3,3 4,4 5,3 6,1 7,1 8,3 9,5 10,7 11,9 13,1 14,0 0 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 % minori su pop non comunitaria % minori su pop. residente 0-17 anni La distribuzione territoriale dei minori immigrati segue ovviamente quella della popolazione straniera complessiva: la maggior parte vive nel distretto di Reggio Emilia (46,3%), seguono per numerosità le comunità immigrate di Guastalla (18,1%), Correggio (12,1%), Scandiano (10,1%), Montecchio Emilia (8,5%), infine Castelnovo ne' Monti (4,9%). 7 La popolazione immigrata si caratterizza per una forte presenza di bambini fino a 10 anni (17,9%) e di giovani adulti, ovvero di persone di età compresa tra i 20 e 44 anni (56,0%), mentre sono ancora molto pochi gli anziani di 65 anni e oltre (1,3%) (Fig. 2 ). Fig. 2 Piramide dell'età della popolazione non comunitaria (valori assoluti) oltre 90 4 1 Donne 10 2 Uomini 24 16 44 27 94 74 190 267 575 884 1.250 80-84 70-74 102 174 60-64 399 823 50-54 1.582 1.768 2.784 2.389 40-44 3.264 2.840 3.514 30-34 2.565 2.794 1.574 1.150 1.183 1.562 2.248 1.552 20-24 1.435 1.341 10-14 1.778 2.424 0-4 Nell'articolazione per fasce d'età scolari, i bambini dai 6 ai 10 anni sono i più numerosi (24,8% sul totale della popolazione minorile immigrata), seguono i piccolissimi di 0-2 anni (23,8%), i bambini dai 3 ai 5 anni (19,5%), i ragazzini di età compresa tra i 14 e i 18 anni (19,5%) e per finire quelli tra gli 11 e i 13 anni (12,3%). In rapporto alla popolazione complessivamente residente, i minori non comunitari rappresentano il 13,1% di tutti i minori presenti in provincia, ma l'incidenza varia notevolmente a seconda dell'età: raggiunge il 18,5% nei bambini tra 0 e 2 anni, si abbassa al 16,0% dai 3 ai 5 anni, mentre diventa inferiore alla media, della componente minorile, nella popolazione di età superiore ai 6 anni. La numerosa presenza di bambini è strettamente correlata allo strutturarsi del nucleo familiare di coloro che arrivati in passato hanno deciso di costruirsi una famiglia in Italia. Questa propensione è testimoniata dal fatto che il 96,6% dei bambini non comunitari di età inferiore ai 3 anni è nato nel nostro paese. Il dato ci rinvia al tema delle "seconde generazioni" (cioè dei figli di immigrati nati nel paese di accoglienza dei genitori) che pone questioni e spazi di azione 8 particolarmente interessanti ai fini dell'individuazione di percorsi d'integrazione. Come abbiamo già visto, i ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 18 anni sono invece meno numerosi, probabilmente perché troppo giovani per intraprendere in autonomia un percorso migratorio e nello stesso tempo troppo grandi per essere nati in Italia (in questa fascia di età solo il 19,9% è nato nel nostro paese). Il dato sulla popolazione under 18, fornisce dunque, importanti elementi conoscitivi relativi alla struttura e all'evoluzione della presenza immigrata. Nei territori caratterizzati da sistemi migratori consolidati, come Guastalla e Correggio (dal 1993 ad oggi sono i primi distretti in provincia per incidenza dei cittadini non comunitari sul totale della popolazione), la percentuale dei nati in Italia sul totale dei minori stranieri iscritti alle anagrafi è la più bassa tra le sei zone reggiane - assieme a quella registrata nel territorio montano di Castelnovo ne' Monti. Il fatto che in territori come questi vi siano alte percentuali di minori nati all'estero, ci fa supporre che molti percorsi migratori trovino stabilità sul nostro territorio anche attraverso i ricongiungimenti familiari. Fig. 3 Incidenza dei bambini e ragazzi nati in Italia sul totale degli stranieri non comunitari 0-17 anni residenti nella provincia di Reggio Emilia 66 64 62 60 58 56 54 52 63,8 62,4 61,8 59,8 55,0 54,7 Montecchio Emilia Reggio Emilia Scandiano Correggio Guastalla Castelnovo ne' Monti 50 Mentre nelle zone di Montecchio e Scandiano, interessate da un'immigrazione più recente ma con ritmi di crescita anche più significativi (negli ultimi anni in questi due distretti si sono registrati importanti aumenti percentuali), l'incidenza dei nati in Italia è la più alta, assieme a Reggio Emilia, territorio che però si differenzia notevolmente dai primi due essendo sede del Comune capoluogo. Uno sguardo alle provenienze: i minori non comunitari residenti nella provincia provengono da 79 paesi differenti. Al primo posto nell'elenco dei Paesi per presenze di cittadinanze troviamo il Marocco, che raccoglie il 21,5% del totale, seguono l'Albania (12,8%), l'India (10,1%), la Cina (9,6%) e il Pakistan (8,2%), volendo citare soltanto i primi 5. Per ulteriori approfondimenti sul fenomeno migratorio, rimandiamo all'Osservatorio sulla popolazione straniera della Provincia di Reggio Emilia. 9 10 2. I Paesi del quaderno Albania di Edmond Vuka 3 DATI GENERALI L’Albania si trova nel Sud-Est europeo e fa parte della penisola Balcanica. Confina con la Grecia a Sud, Serbia-Montenegro a Nord, Macedonia ad Est ed è bagnata dal mar Adriatico e Ionio ad Ovest. • Ha una superficie pari a 28.748 km2. È lunga da Nord a Sud 335 km e larga da Est ad Ovest 150 km. Il clima è mediterraneo con l’estate calda e umida in pianura, che coincide con la costa, secca e più fresca all’interno. L’inverno è freddo, piovoso nella parte montagnosa, con grandi nevicate nella parte NordEst e Sud-Est del Paese. • Nel Nord del Paese lungo il confine con il Montenegro sono presenti una serie di montagne mediamente alte, che formano le Alpi albanesi. Il punto più alto è il monte di Korab 2.753 m che confina con l’ex Repubblica Jugoslava della Macedonia. • Abitanti: 3.544.841 (censimento giugno 2002). Estensione geografica: 28.748 kmq. Continente: Europa. Densità di popolazione: 112,10 ab./kmq. Incremento demografico: 1,06% 3 Il testo è stato inoltre revisionato da A. Myzyri e E. Kalaj. 11 PIL: 5.600 milioni $; PIL pro capite: 1.595,22 $. Vita media: 72.1 anni (f. 75.14; m. 69.27). Alfabetizzazione: 95%. Mortalità infantile: 39.64/1.000. Lingua ufficiale: albanese. Altre lingue: greco, serbo croato, rom, bulgaro. Religioni: musulmani 70%, ortodossi 20%, cattolici 10%. Gruppi etnici: albanese 95%, greci 3%, altri (rom, vllah, serbi, bulgari) 2%. Regime politico: Repubblica parlamentare. Il parlamento è costituito da 140 seggi, 100 dei quali vengono eletti direttamente con sistema maggioritario, i restanti 40 vengono assegnati tramite il sistema proporzionale. LE FESTE PRINCIPALI • Durante il periodo buio della dittatura comunista di tipo stalinista le feste e i simboli religiosi erano stati vietati. Dall’anno 1991 sono state riconosciute ufficialmente, dopo 30 anni di negazione e proibizione, i giorni di festività religiosa come Natale, Bajram, Pasqua cattolica e ortodossa. È tradizione, in Albania, che durante le festività principali ci siano frequenti scambi di visite tra parenti e amici, momenti dove le famiglie si riuniscono e la tavola si trasforma spesso in una grande tavolata dove si consumano cibi locali e si beve vino e rakia, l’acquavite tanto preferita dagli albanesi. BAJRAM è la festa che segna la fine del Ramadan, il periodo in cui ogni musulmano deve seguire un rigido digiuno che dura un mese intero. È tradizione macellare un agnello e festeggiare fino a notte fonda, un momento in cui le persone gioiscono facendo, inoltre, un lavoro d’autoriflessione. NATALE: si mangia pesce, noci e si beve vino. La maggior parte delle famiglie, specie in campagna macella un animale che, solitamente, è un maiale o un agnello. CAPODANNO: è la festa più sentita dagli albanesi. Le famiglie iniziano le preparazioni anche una settimana prima della vigilia, preparando dolci e acquistando cibi e bevande, che serviranno per la notte a cavallo tra l’ultimo dell’anno in corso e il primo di quello nuovo. Il capodanno recentemente è diventato più che mai una festa che riunisce le famiglie, le quali durante l’anno devono fare i conti con la necessità dei propri membri di migrare per motivi economici. Il tacchino e la bakllava (dolce d’origine turca) sono i due alimenti che accompagnano le tavolate imbandite. KURBAN BAJRAMI è il giorno in cui bisogna versare il sangue di un animale in segno di sacrificio e amore nei confronti di Allah. 12 PASQUA: in questo giorno si va in chiesa e si fa benedire con l’acqua santa il pane fatto in casa e l’aglio fresco. Si colorano le uova sode e i bambini fanno a gara nel romperle. Vince chi riesce a spaccarne di più. A fine giornata si fa il bilancio. FESTA DELL’INSEGNANTE (7 MARZO): è un giorno festivo per le scuole. Si organizzano attività d’aggregazione, escursioni in montagna e visite nelle case degli insegnanti, alle quali è tipico regalare delle violette. FESTA DELLA DONNA: si celebra in tutto il Paese. Un giorno in cui si ricordano e onorano le madri, le nonne, le sorelle e tutte le altre donne per i sacrifici e le fatiche che fanno per crescere i figli e contribuire nel mandare avanti le famiglie. 1° MAGGiO: una volta festa solenne, con parate militari e discorsi dei leader comunisti, attualmente viene poco celebrata, probabilmente perché è considerata ancora un ricordo del regime passato. Le scuole organizzano gite e escursioni. DITA FLAMURIT DHE E ÇLIRIMIT: i giorni della bandiera che segnano sia l’indipendenza dall’impero ottomano (1912) sia quella della liberazione dall’occupazione nazi-fascista (1944). Sono le giornate della patria. Le scuole, i veterani e i lavoratori organizzano visite nei musei e si porgono omaggi ai caduti della seconda guerra mondiale. E IL SALUTO: pershendetje. COSA SI OFFRE ALL’OSPITE • Un vecchio detto locale dice: “all’ospite pane, sale e buon cuore”. Nei secoli la popolazione ha attraversato periodi di crisi e carestie dove le famiglie spesso pativano la fame. Da qui il detto che vuole esprimere il senso dell’ospitalità nonostante le situazioni molto difficili. • Oggi ciò che viene offerto agli ospiti è l’immancabile caffè turco, preparato con i chicchi di caffè tostati e macinati, questo viene poi fatto bollire nella gjesme, il pentolino ad hoc. C’è poi la rakia, l’acquavite, che si beve ad ogni ora della giornata. Se l’ospite si ferma a pranzo o a cena gli si offrono piatti come meze, un misto tra ortaggi, carne e formaggi, da accompagnare con il vino o la rakia, le zuppe e i secondi piatti a base di carne e di verdure ripiene oppure di sfoglia ripiena di formaggio, di verdure e altro a seconda della stagione e della situazione economica della famiglia. L’ospitalità è una tradizione che si tramanda da una generazione all’altra. Qerasje è il termine in albanese che esprime questo momento. • 13 IMMIGRAZIONE IN ITALIA • Nel marzo del 1991, prima ancora della caduta del regime comunista, ha avuto luogo una massiccia migrazione verso le coste italiane. Per la prima volta, dopo un lungo auto-isolamento, la gente comune esce dai confini del proprio Paese in cerca di una vita migliore. Oggi in Italia, secondo fonti ufficiali, vivono almeno 250.000 albanesi, dato che non tiene conto di chi non è riuscito a legalizzare la sua presenza in Italia, con la legge sull’immigrazione del 2002. La difficile transizione albanese ha prodotto una forte disoccupazione e malessere sociale. È per questo che tanta gente si è rivolta ai paesi “vicini di casa”, come Italia e Grecia, quest’ultima ospita circa 450.000 cittadini albanesi, che cercano di assicurarsi un lavoro e una vita più decente. Possiamo affermare che l’Albania è il Paese dei contrasti: tra Nord e Sud, tra realtà urbane e rurali, tra persone molto legate ai valori trasmessi dalle vecchie generazioni (come la generosità, la lealtà, il rispetto per le donne) e persone senza scrupolo che lucrano sulle difficoltà attuali. • • Il fenomeno migratorio albanese è accompagnato da anni dal traffico sia dei clandestini e della prostituzione, sia da quello degli stupefacenti, che hanno reso difficile la posizione e la reputazione dell’immigrato albanese. L’albanese spesso e volentieri viene etichettato come malvivente e gli vengono attribuiti pregiudizi e stereotipi. • È questo, forse, uno dei motivo per cui in Italia, a differenza delle altre comunità straniere (ricordiamoci che quella albanese è tra le più numerose) quella “shqipetar” non si sente di doversi consolidare, creando dei legami forti tra famiglie, lavoratori e studenti che da anni vivono qui. Esperienze di discriminazione e d’esclusione rendono infatti difficile l’integrazione; spesso per i cittadini albanesi diventa un’impresa affittare una casa o trovare un lavoro. • Esiste una tendenza che favorisce il “confondersi” nella vita e nella società italiana, al punto di voler “nascondere” la propria identità a beneficio dell’integrazione. • Tante famiglie hanno deciso di stabilirsi in Italia definitivamente, molti albanesi che sono nel nostro Paese da tanti anni ormai, hanno ottenuto la cittadinanza italiana e tornano in patria solo in occasione di feste o ferie per trovare amici e parenti, specie durante l’estate. • Sul territorio sono presenti associazioni che promuovono iniziative e hanno per obiettivo l’integrazione e lo scambio interculturale. Questo avviene principalmente nelle occasioni di feste ed incontri organizzati, per dare voce e sensibilizzare la convivenza e il dialogo interculturale, in manifestazioni che promuovono i diritti. • Negli ultimi anni tanti giovani vengono in Italia per potersi formare presso le nostre università. In città come Roma, Milano, Bologna, Firenze e Torino • 14 spesso detengono il primato per quantità di studenti stranieri iscritti presso le diverse università. MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI • Durante il regime comunista alle donne, subito dopo il parto, era consigliato tornare al lavoro, quindi, i neonati venivano lasciati a casa accuditi dai figli più grandi. Per garantire la sicurezza del neonato veniva utilizzato un particolare tipo di culla, costruita artigianalmente in legno e abbellita con disegni folkloristici, la cui struttura evitava il ribaltamento. Questa tradizionale culla è utilizzata tutt’oggi in alcuni villaggi di montagna, in particolar modo nel Nord del Paese, per consentire alle donne di dedicarsi al lavoro nei campi. • Attualmente, si sta perdendo ciò che era un pilastro della crescita del neonato, vale a dire l’allattamento da parte della madre. Prima solo chi non poteva allattare dava al bambino il latte in polvere o quello che si ricava dall’allevamento degli animali, ora, invece, è una pratica molto diffusa. • Nei primi mesi di vita il bambino dorme sempre vicino alla madre, che è pronta ad assisterlo in qualsiasi momento, l’uomo, invece, partecipa poco alla crescita del neonato. • Quest’ultimo è da sempre considerato un compito e un’abilità della donna, che l’uomo non deve e non sa fare. • Dopo i primi sei / sette mesi si inizia ad abituare il bambino ad un’alimentazione più comune come yogurt, riso, zuppe di vari tipi. L’intento è quello di abituarlo, al più presto, al modo di alimentarsi degli altri membri della famiglia. • La madre del neonato viene spesso affiancata, ove è presente, dalla sorella più grande, che dal bambino è chiamata dada. • Nelle campagne e nelle città piccole, dove la gente e l’ambiente si conosce meglio, il bambino compiuti 4-5 anni viene lasciato giocare con i coetanei senza necessariamente la presenza di un adulto. Questo, ovviamente, espone a piccoli rischi, ma spesso aiuta il bambino ad affrontare i diversi problemi e a cercare la soluzione. L’accompagnamento del bambino, da parte di entrambi i genitori, è indirizzato a creare l’autonomia dello stesso. • MODELLI DI CURA Tuttora si applica la medicina popolare per malattie conosciute e che anticamente erano curate con erbe e metodi tradizionali. Per il raffreddore, ad esempio, si usa bere tè caldissimo, mettere i piedi in un secchio d’acqua bollente e coprirsi molto bene tanto da sudare. 15 Quest’operazione si deve ripetere più volte. Per i reumatismi si deve bere la grappa di more, si frequentano le terme, oppure in spiaggia si copre tutto il corpo di sabbia. Per alcune fratture alle ossa si usa spalmare il punto fratturato con il tuorlo delle uova e si usano impacchi con la cipolla nel caso di traumi leggeri. Per molti religiosi di fede cattolica, tra i quali tanti malati, è consuetudine fare pellegrinaggi nei santuari, come quello di Laç, nella speranza di guarire e prevenire varie malattie. La medicina popolare viene applicata principalmente, per patologie semplici e per guarire i bambini dalle malattie non gravi, che non richiedono l’intervento medico. • • Per quanto riguarda le piante, si usano erbe sia fresche, sia secche (es melagrano, tè di montagna) che hanno lo stesso risultato. • In Albania crescono oltre 3.500 specie di piante, che rappresentano una buona parte della flora; di cui 350 sono piante medicinali ed aromatiche. Le prime farmacie sono apparse nel secolo XIX, fino allora era la medicina tradizionale a garantire la cura delle malattie, utilizzando le molte piante medicinali. La medicina tradizionale permetteva alle singole persone di essere protagonisti nella cura della propria salute e ogni famiglia si procurava le piante medicinali che gli servivano durante l’anno per scopi curativi. La tradizione diffusa, sia nelle campagne che nelle città, è ancora oggi mantenuta viva ed è facile trovare, nelle case di tante famiglie, la camomilla, il tiglio, l’aglio e la cipolla, l’olio essenziale e molte altre piante, che vengono usate per curare le malattie del tratto respiratorio, digestivo e molte ferite. • MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE • I Rrugicat, ovvero le viuzze tra le case dei piccoli quartieri e i cortili dei condomini, sono i luoghi dove i bambini passano gran parte del tempo libero. I giochi sono quelli ereditati dalle generazioni precedenti. Essi si possono organizzare senza tanti mezzi, sono costruiti dai genitori o dal fratello maggiore e, spesso, dai bambini stessi. Si continua a giocare e costruire i giochi tradizionali nonostante i videogiochi dell’ultima generazione. Negli ultimi anni tante organizzazioni non governative e missionarie, presenti nel paese, coinvolgono giovani italiani, francesi, tedeschi, ecc. nel contribuire a portare un altro modo di stare con i più piccoli, un modo più ravvicinato e meno autoritario, che offre la possibilità inoltre ai giovani volontari di conoscere il Paese. 16 MODELLI E STILI FAMILIARI RUOLO DEI GENITORI: la maggior parte delle famiglie oggi non manda i propri figli in istituzioni della prima infanzia, perché ad occuparsi dei bambini/e sono, sempre, le figure femminili. Questo è dovuto anche all’alto tasso di disoccupazione, che colpisce molto le donne e che le costringe di conseguenza a stare a casa. Le nonne, spesso e volentieri, partecipano alla crescita del nipote, specie se abitano vicino. • Attualmente le famiglie albanesi hanno rinunciato a fare tanti figli, come era uso e quasi obbligo una volta, per seguire l’antica tradizione e il volere del regime, che perseguiva la crescita demografica. • La disoccupazione, la difficile situazione economica e la pianificazione familiare applicata da pochi anni a questa parte ha fatto si che ci siano sempre più famiglie con due figli o al massimo tre. • Nonostante ciò si hanno cambiamenti nei modi di educare i bambini, che mirano al miglioramento, anche se restano ancora comportamenti e atteggiamenti autoritari nei confronti del minore. È il padre ad assumere la responsabilità di accompagnare il bambino nel percorso che mira alla conoscenza dell’ambiente circostante, dove il minore crescerà e diventerà adulto. • VITA SOCIALE DELLA FAMIGLIA: dopo essersi sposati i coniugi almeno per i primi mesi, spesso, vivono presso la casa dei genitori del marito. Questa è un’usanza nella maggioranza della popolazione, in particolar modo nelle campagne in modo tale da garantire una produttività maggiore e minor dispersione di risorse. Vivere sotto lo stesso tetto con la famiglia d’origine limita notevolmente l’autonomia e la facoltà di presa di decisione da parte della coppia ma tale rinuncia è finalizzata al raggiungimento di un tenore di vita adeguato sia per la giovane coppia che per la famiglia di origine. Recentemente si assiste ad una tendenza diffusa all’emancipazione della coppia, rafforzata dal fenomeno della migrazione e dell’apertura verso la mentalità occidentale. • ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: alla nascita la famiglia pensa al nome del bambino. Talvolta il nome che il bambino porterà lo scelgono i genitori, ma spesso può essere suggerito da parenti o amici di famiglia. La scelta viene ufficializzata all’ufficio dell’anagrafe del comune dove la famiglia risiede, alla presenza di uno dei due genitori. Il neonato solitamente porta il cognome del padre. Se la coppia divorzia il bambino mantiene lo stesso cognome. • ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: un individuo può ottenere la cittadinanza albanese per nascita o per acquisizione. È legale la doppia cittadinanza ma dipende dagli accordi bilaterali, in Italia chi ottiene la cittadinanza per residenza non può mantenere quella albanese (DPR 362/94). • FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: il padre riconosce il proprio figlio attenendosi alla legislazione in vigore. In caso di divorzio il padre • 17 è obbligato a contribuire alla crescita del bambino fino all’età di 18 anni. In caso contrario viene penalizzato giuridicamente e moralmente. REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: il bambino viene registrato presso gli uffici dello Stato Civile dell’anagrafe nel momento in cui la famiglia gli attribuisce il nome. Questo può AVVENIRE ANCHE TRE O QUATTRO GIORNI DOPO LA NASCITA. • CONTRATTO DI MATRIMONIO: il riconoscimento legale della coppia avviene dopo che la stessa si è presentata presso l’ufficio dello Stato Civile insieme a due testimoni, e dopo aver sottoscritto il certificato del matrimonio. La coppia può decidere di compiere questo passo prima o anche dopo la festa del matrimonio. Pochissime coppie si sposano presso le strutture religiose ad eccezione delle coppie di religione cattolica. • DIRITTI DEI MINORI: l’Albania è tra i paesi che hanno firmato la convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo. Si è lavorato in questi anni per abolire, o perlomeno diminuire, la violenza nei confronti dei bambini in famiglia e a scuola. Nel passato l’uso della violenza era tollerata dallo Stato. Era dunque sottointeso che l’adulto, che fosse genitore o educatore potesse usare la violenza verbale a fini pedagogici. • Oggi il bambino è tutelato dalla legge e gode della protezione delle autorità e delle numerose organizzazioni che lavorano per far rispettare la convenzione, che il paese ha fortemente voluto riconoscere. Problemi come lo sfruttamento minorile per traffici illegali, lo spaccio di stupefacenti, quelli degli organi vitali, la compra-vendita di minori per la prostituzione rimangono delle ferite aperte per la società albanese, una vera e propria sfida per la giovane democrazia. • DIRITTI DELLE DONNE: in Albania sono presenti tanti organismi nazionali ed internazionali che in continuazione monitorano la situazione e i diritti della donna sia rispetto alla legislazione, che in caso di abusi e mancanza di applicazione delle convenzioni internazionali che il paese riconosce e che ha ratificato. C’è un contrasto forte per quanto riguarda la situazione e il ruolo che la società riserva alle donne, da una parte queste hanno avuto un ruolo importante durante la resistenza contro i fascisti e la ricostruzione del paese come il diritto del voto, il diritto di accesso allo studio e al lavoro, ma in certe realtà le donne continuano ad essere emarginate nella società. Esistono ancora dei preconcetti e pregiudizi nei confronti delle donne che rende difficile la loro partecipazione nella vita pubblica. Le organizzazioni che promuovono i diritti umani, i media e le istituzioni stesse sostengono e incoraggiano le donne a non sottomettersi all’autorità maschile e a battersi per far riconoscere il loro ruolo nella società e far emergere la loro dignità femminile. • DIVORZIO, SEPARAZIONE: il divorzio si ottiene dopo che la coppia si è presentata in tribunale e ha dichiarato di consentire tale atto, oppure ci sono motivi dimostrabili che l’unione non può andare avanti. • • Il tribunale prende atto e dichiara in poco tempo il divorzio della coppia. I figli, solitamente, vengono affidati alla madre che per motivi prettamente 18 economici preferisce rientrare nella famiglia di origine e il padre ha il dovere di contribuire alla loro crescita ed educazione con un assegno mensile fino al raggiungimento della maggiore età o fino al termine degli studi. SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI Al termine della seconda guerra mondiale, l’Albania figurava come uno dei Paesi europei maggiormente in ritardo nel sistema educativo. Circa il 90% della popolazione era analfabeta. Fra il 1945 e il 1990 è stato registrato un aumento massiccio delle iscrizioni a tutti i livelli scolastici, non accompagnato però da un miglioramento della qualità del sistema educativo. L’eccessiva politicizzazione della scuola, il suo carattere totalitario, l’inadeguatezza dei metodi di insegnamento, il formalismo e la burocrazia erano alcune delle caratteristiche del sistema educativo socialista albanese. Attualmente l’istruzione pubblica è gratuita. Tuttavia, la spesa finanziaria stabilita per l’educazione non è mai adeguata e il materiale di base è insufficiente. • Le scuole private, laiche o confessionali, sono dette “alternative” e si differenziano da quelle pubbliche per il loro carattere specialistico. Alcune di queste sono integrate nel sistema pubblico. Negli ultimi due anni ci sono stati tentativi di riformare la scuola pubblica comparandola al sistema europeo. • Insegnamento generale: corso di studi Durata Età prevista Superiori 4 anni dai 14 ai 18 anni Medie* 4 anni dai 10 ai 14 anni Elementari* 4 anni dai 6 ai 10 anni Materna 3 anni dai 3 ai 6 anni * Obbligo scolastico Fonte: Unesco, Rapport mondial sur l’éducation SCUOLA DELL’OBBLIGO: la scuola dell’obbligo è costituita da un ciclo di otto classi, unificato da un punto di vista amministrativo e suddiviso in due livelli: elementari (classi I-IV) e medie (classi V-VIII). Alla fine dell’ottavo anno è previsto un esame per il conseguimento della licenza dell’obbligo. La riforma del 1990 ha esteso l’educazione generale obbligatoria da otto a dieci anni, ma tale disposizione non è mai stata concretamente realizzata. • – Materna. – Elementari. – Medie/superiori. SCUOLA ELEMENTARE: Età prevista dai 6 ai 10 anni. Durata 4 anni. Numero di allievi per insegnante: 17. Insegnanti donne: 60%. • 19 CALENDARIO: l’anno scolastico è diviso in due semestri. Il primo ha inizio entro i primi 15 giorni di settembre e termina il 28 dicembre; il secondo comincia il 12 gennaio e si conclude il 31 maggio per le elementari, il 7 e il 14 giugno per le medie e le superiori. • Nel secondo semestre si inseriscono due periodi di vacanza: dal 29 dicembre all’11 gennaio e dal 30 marzo al 5 aprile. Vengono rispettate le feste musulmane, ortodosse e cattoliche. • Dalla prima alla quinta classe della scuola dell’obbligo le settimane di insegnamento sono 35, dalla sesta all’ottava 34. Le ore di scuola alla settimana sono 23 per la prima e la seconda classe, 25 per la terza, 27 per la quarta, 29 per la quinta, 30 per la sesta e 32 per la settima e l’ottava. I giorni di frequenza settimanale sono 6, dal lunedì al sabato dalle 8.00 alle 12.00. • • Sono previsti attività pomeridiane di tipo curriculare e tempo libero per il gioco a scuola. Vengono assegnati compiti a casa. I piani di insegnamento inglobano un totale di 16 discipline. Alle elementari tutte le materie sono insegnate da un unico maestro, a partire dalla quinta le lezioni sono impartite da più insegnanti. • La lingua d’insegnamento è l’albanese; in base alla costituzione, le minoranze nazionali hanno il diritto di studiare nella loro lingua madre. • OBBLIGHI E DIVIETI: nel corso della scuola elementare (classi I-IV), le lingue straniere non sono materia di studio, anche se nelle città è stato avviato un programma sperimentale che prevede l’introduzione dell’inglese dalla seconda elementare. L’inglese e il francese vengono introdotti in prima media. La riforma dell’educazione del 1990 ha prodotto radicali cambiamenti nel programma della scuola generale e obbligatoria. • Il tema dell’educazione sociale è stato introdotto al posto dell’educazione morale e politica. L’allenamento militare e il lavoro fisico, così come lo studio del marxismo-leninismo, sono stati abbandonati e sostituiti da altre discipline sociali, come ad esempio educazione civica. • VALUTAZIONE: la valutazione degli studenti è effettuata trimestralmente e individualmente. Nel primo anno delle elementari viene dato un voto in decimi complessivo, in quelli seguenti un giudizio per ogni materia. La promozione da un anno all’altro si realizza in modo automatico, in base ai progressi annuali degli studenti ed è prevista la bocciatura. • • È necessario superare un esame alla fine della quarta elementare per accedere alla prima media. Alla fine delle medie, è previsto un esame – scritto e orale – di lingua e letteratura albanese e matematica. Ai ragazzi che lo superano è rilasciato un certificato, detto degli “otto anni”, che consente l’accesso al pubblico impiego. La scuola è laica e al momento non è previsto l’insegnamento della religione nella scuola dell’obbligo. Le scuole superiori sono d’indirizzo generale o professionale. Alla fine di 4 anni di studio è previsto l’esame di maturità. Dopo la maturità si può accedere all’università. Le prime Università 20 in Albania iniziano negli anni Cinquanta. Le Università si trovano a Tirana e nelle principali città albanesi (Valona, Elbasan, Scutari). VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE Nonostante le difficoltà, la solidarietà tra le famiglie è sopravissuta. ci si aiuta in caso di bisogni economici, in occasioni di eventi particolari come matrimoni, funerali, ecc. è mantenuta viva la tradizione di curare il territorio comune come le pulizie che le donne fanno di domenica ai vicoli o alle scale dei condomini, gli stessi che i bambini con fantasia trasformano in terreni di gioco. se capita di passare vicino a parchi o giardini pubblici non si può non accorgersi di gruppi di anziani e di uomini di mezza età, che con i loro seggiolini e tavolini passano ore giocando a carte, domino o a tavull (gioco popolare di origine turca). i bar sono sempre pieni di clienti, dove il caffè si prende senza fretta, e dove nel frattempo si applica l’hobby degli albanesi, il gossip, o thashetheme come si usa dire in lingua. c’è un ritorno all’applicazione del kanun, che originariamente era un pacchetto di “leggi”, una specie di editto medievale, una forma di gestione e autonomia, localizzata alle zone montuose del nord, a dispetto dell’autorità ottomana. tanti conflitti tra le famiglie di questa zona finiscono in tragedie e in vendette di sangue. intere famiglie vivono recluse all’interno delle proprie case per paura che i membri possano uccisi inclusi i bambini. possono uscire invece le donne, che secondo la tradizione non possono diventare un bersaglio. il governo ha costituito dei veri e propri commissariati per la riconciliazione di queste famiglie, ogni comune dove il problema è presente ne ha uno. Inoltre, per i bambini che non possono frequentare le scuole si organizzano lezioni domiciliari. Il paese si trova a fare i conti con la modernità. • Altra questione che si affronta negli ultimi anni è la condizione della donna e le differenze di genere. L’uomo spesso ha preso le decisioni e condizionato il modello di vita della donna. La donna si è adeguata nel passato anche in occasioni molto importanti, come la scelta del marito. Il poeta e romanziere albanese Anton Zako Cajupi nella sua opera Quattordicenne genero dà un immagine più che veritiero delle differenze di genere all’inizio dell’ottocento, che in parte è ancora valido nei giorni nostri. La sua opera è una denuncia satirica e sarcastica, ma al tempo stesso reale e triste. Famosa in Albania la sua poesia che mira a dare una scossa alla pesante situazione e al faticoso ruolo della donna nella famiglia, è un tentativo di invitare gli uomini a riflettere sul loro ruolo e sugli impegni famigliari. Burrat nen hije / lozin kuvendojne / pika qe su bie / se nga grate rrojne: gli uomini sotto l’ombra / giocano e parlano / un accidente li possa prendere / perché grazie alle donne campano. • Oggi, grazie anche al lavoro fatto dallo stato socialista la donna è più emancipata e partecipa di più alla vita sociale e produttiva del paese. Se prima della seconda guerra mondiale, la donna non poteva lavorare in luoghi come la fabbrica, in uffici amministrativi, non poteva partecipare ed essere membro di • 21 un partito politico, adesso è libera di farlo. In famiglia, sempre di più, marito e moglie condividono gli impegni. I centri urbani più grandi offrono questa possibilità, mentre nei centri più piccoli e in campagna la questione è diversa. Si fa fatica a sradicare certi concetti e pregiudizi del passato. L’apertura ideologica e la condivisione della mentalità occidentale facilita molto il processo. L’emigrazione in paesi della comunità europea e non solo diventa un catalizzatore. Oggi è contrastante lo status della donna, tante contraddizioni sono presenti nella relazione tra i generi. Da un lato esiste l’apertura, la conquista di alcuni diritti e la tendenza alla parità tra i sessi. Un esempio è l’introduzione e l’applicazione della pianificazione familiare, fortemente voluto dalle donne, che fino a pochi anni fa erano escluse o quasi da questa decisione. L’aborto è legale da molti anni. Ma al tempo stesso permangono lati oscuri, come l’esercitazione di violenza in famiglia nei confronti delle donne, e lo sfruttamento di giovani donne come le prostitute da parte di organizzazioni criminali in Italia, Francia, Olanda, Inghilterra e altri paesi occidentali. STILI ALIMENTARI La cucina albanese è un incrocio di sapori tra l’oriente e l’occidente, in certe regioni simile a quella degli altri paesi balcanici, con radice nella tradizione turca e greca. Per il pasto quotidiano spesso si prepara un piatto unico, accompagnato da bevande alcoliche come rakia o vino, o da quelle analcoliche come succhi di frutta o limonate, invece diventa ricca nell’occasione di feste o di ospiti. • La colazione è spesso sostanziosa fatta di tè, latte, succhi di frutta, pane e marmellata, zuppe, pane e uova strapazzata fatto in padella. Si consumano tanti ortaggi con i quali d’inverno si preparano zuppe calde, e d’estate si usano per fare insalate oppure cucinate in padella o al forno. Possono essere pomodori, peperoni, cipolle, melanzane, zucchine, ecc. Si fa ampio uso delle spezie per condire zuppe e cibi cotti al forno. La carne cucinata in tanti modi costituisce uno dei cibi più importanti della cucina locale. • I piatti tradizionali sono le minestre a base di brodo di carne o di pollo, i secondi a base di verdure ripiene con la cipolla e la carne macinata o riso, il byrek, una sfoglia fatta a mano, ripiena di formaggi oppure di verdure di stagione. Per quanto riguarda i dolci si usa molto la frutta secca, soprattutto noci e mandorle, il burro, lo sciroppo di zucchero. Era una tradizione molto diffusa la preparazione a casa delle verdure sott’olio e marmellate di frutta, che le donne preparavano in estate per usare durante i mesi invernali. Il pane in tavola non deve mai mancare. • 22 RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DELLA VITA Ogni rito è accompagnato da visite di parenti, amici, vicini di casa e alle volte dell’intera comunità, questo per dimostrare la vicinanza con la persona e la famiglia, e per voler condividere la gioia o il dolore con chi festeggia o si dispera. In queste visite si beve il caffè e si lascia sulla tazzina una somma di denaro, in segno di sostegno anche materiale, per facilitare le difficoltà che la famiglia può incontrare. • NASCITA: di un figlio è una gioia per l’intera famiglia allargata. È segno di continuazione della famiglia, del cognome. Il padre spera che nasca un figlio maschio, che diventerà “braccio” di lavoro e erede di nome e tradizioni; la madre vuole una figlia che possa aiutarla nei lavori di casa e condividere con lei tante cose. Le donne fanno visite e portano alla madre frittelle e regali per il neonato diversamente chiamati peshqeshe. • • MATRIMONIO: è il passo successivo al fidanzamento ufficiale. Il fidanzamento è inteso come momento in cui la coppia ha già preso la decisione di sposarsi, il futuro sposo regala l’anello alla futura sposa e da quel momento i due sono destinati a sposarsi. I festeggiamenti per il matrimonio durano di solito due giorni. Sabato festeggiano entrambe le famiglie, ognuno a casa propria, ma è considerata la festa della sposa. Domenica invece tocca allo sposo che con una delegazione di familiari, parenti e amici, chiamati krushqi, va a casa della sposa. Il momento più importante è quando la sposa saluta i suoi familiari, e arriva a casa dello sposo, che diverrà la sua casa. FUNERALE: quando una persona viene a mancare, la notizia si diffonde dalla famiglia tramite i “lajmetar”, ovvero gli annunciatori, che vanno nelle case di parenti e amici. Di notte si veglia la salma. Le donne esprimono il loro dolore piangendo attorno al corpo senza vita nella camera ardente. Gli uomini di casa ricevono le persone arrivate a portare le loro condoglianze. Si prende il caffè amaro. • SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI La sanità è pubblica e i servizi sanitari sono gratuiti. C’è molta carenza d’attrezzature e ambienti adatti per offrire alla popolazione buoni servizi. Gli ospedali sono sotto diretta dipendenza del Ministero della Sanità. Nei piccoli centri urbani esistono gli ambulatori dotati di un reparto per la maternità, un ambulatorio dentistico, un medico generico più tre o quattro infermiere. Le famiglie non hanno un proprio medico, nelle grandi città presso gli ambulatori c’è un medico di riferimento. Per le emergenze è necessario trasportare il malato all’ospedale del capoluogo del distretto, e molto spesso nella capitale, dove le strutture e il personale è più specializzato. Di questo fase difficile se ne avvantaggia il settore privato, costruendo cliniche ben attrezzate, dove sempre più i malati vanno a curarsi. • 23 Ci sono vaccinazioni obbligatorie contro malattie come il tetano, il morbillo, l’epatite e la poliomielite. Malattie come l’Aids fino a pochi anni fa sconosciute, si sono diffuse in particolare nei grandi centri urbani. Le strutture non sono preparate e attrezzate per far fronte alla crescita del numero dei malati. Esiste il potenziale rischio della diffusione di malattie come la dissenteria e la poliomielite, come è già successo in passato a causa di vaccini conservati male. Nonostante ciò la sanità negli ultimi anni nel paese è migliorata con nuove conoscenze e tecnologie. • FIABE TRADIZIONALI La trasmissione orale di storie, miti e leggende è uno dei pilastri della cultura albanese. Ci sono fiabe tradizionali con dei personaggi come “Qeros” il più piccolo dei fratelli che sembra quello più riservato e timido, ma che riesce a superare le difficoltà. Sono un classico nell’immaginario collettivo le sere davanti al camino, a lume di candela, dove il genitore o il nonno racconta le fiabe ai bambini. La fiaba di Esodo della volpe e l’uva si racconta in rima. Tante sono le fiabe di Mille e una notte adottate e raccontate ai bambini. • Insieme alle fiabe ci sono tante leggende raccontate o cantate, che trasmettono dei valori come il coraggio, “besa” – mantenere le promesse fatte e molti altri. • Questa è la leggenda di Rozafat, il castello della città di Scutari. … La nebbia cadde sulla Boiana e la ricopri tutta. Per tre giorni e tre notti. Dopo tre giorni e tre notti un vento leggero disperse la nebbia, spingendola fino alla collina di Valdanuz. Qui, in cima alla collina tre fratelli lavoravano ad innalzare una fortezza. Ma il muro che innalzavano di giorno rovinava di notte, e così i lavori non procedevano. Passa di lì un vecchietto. “Buon lavoro, ragazzi”. “Grazie, nonnino. Ma dove lo vedi il nostro buon lavoro? Di giorno lavoriamo e di notte tutto va in rovina. Puoi darci un consiglio? Come possiamo fare perché il muro resti in piedi?”. “Io lo so ‘dice il vecchio’ ma farei un peccato a dirvelo”. Quel peccato ricada pure su di noi, perché noi vogliamo che questa fortezza resti in piedi”. Il vecchio pensa un po’ e infine chiede: “Siete sposati, giovanotti? Avete tutti e tre moglie?”. “Siamo sposati” rispondono. “Tutti e tre abbiamo moglie. Dicci, dunque: che cosa dobbiamo fare perché questa fortezza resti in piedi?”. “Se volete che resti in piedi, legatevi l’un l’altro con un giuramento: non dite nulla alle vostre mogli, a casa non fate parola di quello che vi dico. Quella delle tre cognate, che domani verrà a portarvi da mangiare, prendetela e muratela viva nel muro della fortezza. Allora 24 vedrete che il muro si rafforzerà e resterà eretto per anni è anni”. Così disse il vecchio, e se ne andò. Nessuno lo vide più. Ahimé! Il fratello più grande tradì la parola data. Ne parlò in casa, disse così e così a sua moglie, raccomandandole di non andare da loro il giorno dopo. Anche il secondo tradì la parola data: raccontò tutto a sua moglie. Soltanto il più piccolo mantenne la parola: non ne parlò in casa, non disse nulla a sua moglie. La mattina seguente i tre fratelli si alzano di, buon mattino e vanno al lavoro. Battono i martelli, si spezzano le pietre, battono i cuori, si innalzano i muri… A casa, la madre dei tre fratelli non sa nulla. Dice alla nuora maggiore: “Figliola, i mastri aspettano il pane è l’acqua; aspettano anche la borraccia del vino”. “Parola mia, mamma, oggi non posso andare, perché non sto bene. “La madre allora si rivolge alla seconda: “Figliola, i mastri aspettano il pane e l’acqua; aspettano anche la borraccia del vino”. “Parola mia, mamma, oggi non posso andare, perché voglio andare a stare un po’ dai miei”. La madre dei tre fratelli allora si rivolge alla nuora più giovane: “Figliola…”. La nuora scatta in piedi: “Dimmi pure, mamma!”. “I mastri aspettavo il pane e l’acqua; aspettano anche la borraccia del vino”. “Parola mia, mamma, io ci vado; ma ho il bambino piccolo. Temo che voglia allattare e si metta a piangere”. Le dicono le cognate: “Vai pure, ché al bambino penseremo noi, non lo faremo piangere. Stai tranquilla”. La nuora più giovane, la nuora buona, si alza, prende pane e acqua, prende la borraccia del.vino, bacia il bambino sulle guance, si mette in cammino. Arriva a Kaze, incomincia a salire sulla collina di Valdanuz, si avvicina al luogo dove lavorano i tre mastri, i due cognati e il marito: “Buon lavoro, o mastri!”. Ma che succede? I martelli si fermano e non battono più. Sono i cuori che ora battono più forte. Sbiancano i volti. Quando il più giovane vede la moglie, si lascia cadere di mano il martello, maledice la pietra e il muro. La moglie gli dice: “Che cos’hai, marito mio? Perché maledici la pietra e il muro?”. Interviene il cognato più grande: “Tu sei proprio nata sfortunata, o cognata. Noi abbiamo deciso di murarti viva nelle mura della fortezza”. “Buona fortuna a voi, cognati! Vi raccomando solo una cosa: quando mi murerete, lasciatemi scoperto l’occhio destro, lasciatemi scoperta la mano destra, lasciatemi scoperto il piede destro, lasciatemi scoperta la mammella destra. Perché mio figlio è ancora piccolo e quando si metterà a piangere, con un occhio lo vedrò, con una mano lo accarezzerò, con un piede muoverò la sua culla, e da una mammella lo 25 allatterò. Che il mio petto sia murato, che la fortezza sia costruita, che mio figlio diventi un prode, diventi un re e possa regnare!”. I tre fratelli prendono la giovane e la murano nelle fondamenta della fortezza. E le mura si alzano, crescono sempre più, non rovinano come prima… Ma ai piedi delle mura le pietre ancora oggi sono umide e ricoperte di muschio, perché continuano a scorrere le lacrime della madre per suo figlio… E il figlio crebbe, andò in guerra, divenne un prode. La vecchia che ingannò la Morte C’era una volta una donna così vecchia che si diceva fosse la nonna del primo uomo apparso sulla Terra. Eppure era così vispa che spolverava e lavava e cuciva, proprio come una sposina. A morire non ci pensava affatto, e diceva: “La Morte si è dimenticata di me, oppure ha deciso di lasci armi in pace”. Un bel giorno, invece, la Morte pensò che era arrivata l’ora di andarla a prendere, e bussò alla sua porta. La vecchia andò ad aprire con le mani insaponate e, senza scomporsi, disse che stava facendo il bucato e che prima di morire doveva assolutamente sciacquare, asciugare e stirare le sue lenzuola. “Va bene, tornerò domani mattina” disse la Morte, che in fondo era gentile, e sulla porta scrisse “Domani” con un pezzo di gesso. Il giorno dopo, puntuale, bussò di nuovo. La vecchia aprì, tutta sorridente, e disse: “Devi esserti sbagliata, signora Morte: sei stata tu a scrivere ‘Domani’ sulla mia porta, sì o no? E allora verrò con te domani, e non oggi”. La morte si grattò la testa, guardò e riguardò la scritta sulla porta e alla fine disse: “Credo che tu abbia ragione. Va bene, ci vediamo domani”. Ma quando tornò la vecchia le fece lo stesso discorso, e il giochetto andò avanti per un pezzo, finché la morte si spazientì, cancellò la parola dalla porta e disse: “Questa è l’ultima volta! Domani tornerò e ti porterò via, qualunque cosa tu dica o faccia”. La vecchia passò tutta la notte sveglia, a pensare come avrebbe potuto scamparla ancora, ma l’unica cosa che le venne in mente fu di nascondersi nel barilotto del miele. 26 Così, quando la Morte bussò, si tuffò nel barile, lasciando fuori soltanto il naso. Ma poi pensò che la Morte poteva sollevare il coperchio per assaggiare il miele, e si nascose in un cesto di piume. “No, mi troverà anche qui”. Si infilò nel sacco della farina e subito ne uscì, in cerca di un nascondiglio migliore. La Morte, intanto, era entrata in casa e già allungava la mano per afferrare la vecchia e cacciarla nel suo sacco. Ma invece della donna che era venuta a prendere vide una orribile creatura piumata e bianca, gocciolante e viscida, che non era né bestia né uomo. Con un grido di terrore, infilò la porta e non tornò mai più a cercare la vecchia, che deve essere viva ancora oggi4. RICETTE Agnello al forno con yogurt (Tave kosi) Ingredienti: tave kosi1 1/2 kg di gambe o spalla d’agnello, sale, pepe, 3/4 tazza di burro, 2 cucchiai di riso, 1 kg di yogurt, 5 uova sbattute, 1 cucchiaio di farina. Preparazione: tagliate la carne in 4 porzioni. Condite con sale e pepe a piacere. Spruzzateci sopra 1/4 tazza di burro e infornate a 170°C inumidendola ogni tanto con il sugo che si forma sul fondo della casseruola, per circa 40 minuti o fino a che sia ben arrostita. Incorporate il riso nella casseruola. Rimuovete la teglia dal forno e mettetela da parte mentre preparate la salsa di yogurt. Miscelate lo yogurt col sale e il pepe a piacere. Incorporate le uova fino ad ottenere un composto omogeneo e mettete da parte. Fate sciogliere 1/2 tazza del burro rimanente e aggiungetevi la farina. Saltate il composto fino a che diventi omogeneo e morbido. Aggiungete il composto di yogurt e mescolate fino a che sia ben incorporato. Versate la salsa di yogurt nella teglia mescolandola ai pezzi di carne e infornate a 190°C per 45 minuti. Servite caldo. Pasticcio di coniglio con cipolle e aceto (Comlek) Ingredienti: 1 coniglio in pezzi, 4 pomodori di media grandezza tritati o 2 cucchiai di concentrato di pomodoro, 2 foglie d’alloro, 4 cucchiai di aceto di vino rosso, 150 ml di olio d’oliva, 1/4 di cucchiaino di zucchero, 4 spicchi 4 Lazzarato F., Ongini V., La vecchia che ingannò la Morte, Libri per ragazzi Mondadori, Mondadori, Milano, 1992, pp. 52-54. 27 d’aglio interi, 300 ml di acqua calda, piccolo pezzi di cannella, sale e pepe nero, 4 bacche di pepe di Giamaica, 700 g di cipolline sbucciate e lasciate intere, 1 rametto di rosmarino, 1 bicchierino di vino rosso secco. Preparazione: marinate il coniglio nell’aceto con le foglie di alloro per una notte nel frigorifero o per un paio d’ore prima di cucinarlo. Rimuovete i pezzi di coniglio dalla marinatura, asciugateli e friggeteli nell’olio d’oliva fino a doratura su entrambi i lati. Conclusa la frittura del coniglio, mettete i pezzi di carne nuovamente nella casseruola. Aggiungetevi gli spicchi d’aglio, le foglie d’alloro, le spezie, il rosmarino e il vino. Quindi aggiungete la passata di pomodoro, lo zucchero e l’acqua calda. Condite e coprite la casseruola e cuocete per circa 1 ora. Nel frattempo, scaldate l’olio d’oliva rimanente in una casseruola da frittura e soffriggetevi le cipolle. Mescolatele occasionalmente per essere sicuri che diventino completamente dorate (per 15 minuti circa). Aggiungete il contenuto della padella da frittura nella casseruola e mescolate bene così che le cipolle si distribuiscano omogeneamente. Quindi coprite nuovamente la casseruola e lasciate bollire per altri 15 minuti. Servite con patatine fritte o riso bianco e insalata verde. POESIA Padre Gjergj Fishta, sacerdote francescano ha scritto Canti spirituali (1906), Il meriggio delle Muse (1913), L’asino di Babatasi (1923), il poema epico Il liuto della montagna (1937). Millosh Gjergj Nikolla conosciuto meglio come Migjeni nacque a Scutari il 13 ottobre 1911. Appartiene al realismo critico. Studiò a Torino. Scrisse il libro Vargjet e lira. È un personaggio importante, portò innovazione nella poesia albanese. A lui è dedicato il Teatro Nazionale di Scutari. Recita del montanaro Oh, perché non ho un pugno forte/ Per colpire al cuore la montagna silenziosa, /perché si renda conto anche lei cosa vuol dire cadere /debole, nell’agonia, come colosso ammazzato. /Io, affamato, come ombra inquieta, /erede della sofferenza e della pazienza, /penetrando nel ventre della montagna con l’acqua del risveglio/e con le urla insoddisfatte dell’istinto. /La montagna tace. /Anche se ogni giorno / sulla sua pelle, col gioco della sepoltura, /cerca di trovare un boccone migliore. /Ma m’inganna la svergognata, la speranza m’inganna. /La montagna tace e nel silenzio ride. /Ed io soffro e nella sofferenza io muoio. /Ma io, quando, quando, quando riderò? /Oppure, devo prima morire? /Oh perché non ho un forte pugno /per colpire al cuore la montagna silenziosa? /Per vedere come trema, per il pugno fuorilegge. /Ed io divertirmi, ridendo. 28 LETTERATURA Prima che nel 1909 si provvedesse alla standardizzazione dell’albanese scritto la letteratura albanese era praticamente inesistente. Fan Noli, morto nel 1965, è il principale scrittore albanese del XX secolo. La maggior parte delle sue opere vertono su tematiche religiose; egli però scrisse anche alcune prefazioni a traduzioni di opere di Cervantes, Shakespeare, Ibsen e Omar Khayyám, che ne fecero il critico letterario più famoso del paese. Lo scrittore albanese contemporaneo più conosciuto è Ismail Kadaré, che nel 1990 aveva abbandonato la polizia di stato. Le sue opere sono state tradotte in 40 lingue. • Ismail Kadaré: è nato nel 1936 ad Argirocastro, in Albania. Si è laureato in lettere all’università di Tirana ed all’università Gor’kij di Mosca. Nel 1990 si è trasferito in Francia, il paese dove tuttora vive. È considerato il più grande portavoce della cultura albanese nel mondo. • • Ha scritto: I tamburi della pioggia, La Piramide, Il palazzo dei sogni. INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE PER EVENTUALI APPROFONDIMENTI Biagini A., Storia dell’Albania, Bompiani, Milano, 1998. Le difficili e tragiche vicende del popolo albanese dalle origini fino ai giorni nostri. Facchi L.,Albania questa sconosciuta, Editori Riuniti, Milano, 2002. Descrive e documenta il viaggio compiuto da una delegazione del Premio Grinzane Cavour a Tirana, durante il quale scrittori e intellettuali italiani e albanesi si sono conosciuti e confrontati. Il megafono di Dio, Baldini & Castoldi, Milano, 2003. Due donne raccontano la loro realtà e il loro desiderio di emancipazione nella società albanese rurale, ancora segnata da tradizioni arcaiche. Kadaré I. I tamburi della pioggia, Tea, Milano, 1997. Narra dell’invasione dei Turchi ottomani, che combatterono nel XV secolo in Albania una delle più lunghe e sanguinose guerre che la storia ricordi. Il generale dell’armata morta, Tea, Milano, 1997. Un generale e un cappellano dell’esercito italiano tornano in Albania vent’anni dopo la fine dell’ultima guerra, alla ricerca dei soldati morti o dispersi. Il palazzo dei sogni, Tea, Milano, 1998. Scritto e pubblicato in Albania, prima dell’esilio volontario dell’autore in Francia, narra di un immaginario potere burocratico a capo del paese, fin nelle più remote province. Alla luce delle vicende più attuali questo romanzo si rivela profetico. Aprile spezzato, Guanda, Milano, 2001. Un avvincente romanzo ambientato sugli altopiani all’interno dell’Albania, racconta la storia d’amore tra un assassino in fuga e la bella moglie di un brillante scrittore. Il ponte a tre archi, Longanesi, Milano, 2002. Una storia ambientata nell’Albania del 1377 in cui si intrecciano destini e enigmatici personaggi. 29 Morozzo della Rocca R., Albania. Le radici della crisi, Guerini e associati, Milano, 1997. Offre il quadro della crisi albanese causata dalla dittatura, dalla caduta del comunismo, dalla difficile integrazione europea e dalla criminalità organizzata. Nazione e religione in Albania, Besa, Lecce, 2002. Cerca di spiegare la realtà dell’Albania in cui, a differenza di molti altri paesi balcanici, musulmani, ortodossi e cattolici convivono in un clima di tolleranza. Percorsi del sacro. Icone dai musei albanesi, Elemond – Electa, Milano, 2002. Il catalogo della mostra tenutasi a Vicenza, alle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari nel 2002. Sono raffigurate e descritte 70 icone, dal tardo medioevo al tutto l’ottocento. Polovina Y., Rai & Albania, Rai – Eri, Roma, 2002. Il volume analizza il ruolo giocato dalla televisione italiana in Albania durante il mezzo secolo di dittatura, e aiuta a conoscere anche l’élite culturale, intellettuale albanese. Zarrilli L., Albania. Geografia della transizione, Franco Angeli, Milano 1999. Fornisce un contributo alla conoscenza della società albanese, che partecipa al tormentato processo del riassetto della penisola balcanica SITOGRAFIA www.albania.com: informazioni generali sull’Albania (in inglese e albanese). www.osservattoriobalcani.org: aggiornamenti e approfondimenti (in italiano). www.notizieest.it: notizie sul paese (in italiano). www.mapzones.com: informazioni di carattere geo-politico (in inglese). www.theodora.com: sito dell’associazione “Theodora” che informa e promuove iniziative sul paese (in inglese). www.ata-al.net: il sito dell’agenzia telegrafica albanese (in inglese e albanese). www.balkanweb.com: sito informativo sulla situazione socio-politica della regione (in inglese e albanese). www.ansa.it: all’interno del sito lo speciale balcani che informa il pubblico su varie notizie e iniziative nella regione. www.ahc.org.al: il sito del Comitato Albanese per i Diritti e le Libertà della Persona (in inglese). www.crca.org: il sito dell’Organizzazione Nazionale per i Diritti dei Bambini (in inglese). 30 DANZE Il ballo nazionale albanese è il Valle, ballato a semicerchio o in circolo su un ritmo sempre più veloce. Ma è famosa anche la danza del vaso che si balla tenendo un recipiente pieno d’acqua in equilibrio sulla testa. Le danze guerriere, che si eseguono tenendo in mano spade e pugnali e rappresentano duelli e combattimenti, sono riservate algi uomini. Oggi naturalmente queste danze le conoscono in pochi ma non sono ancora del tutto scomparse. L’occasione migliore per vederle è il festival folkloristico che si tiene ogni cinque anni a gjiroaster una città dell’Albania meridionale. 31 32 Cina di Daniele Cologna DATI GENERALI La Repubblica Popolare Cinese (Zhonghua Renmin Gongheguo) è il più vasto stato asiatico e una delle culle della civiltà in Asia. A Nord la RPC confina con Mongolia e Russia, a Nord-Est con la Corea del Nord, a Sud con il Vietnam, il Laos, il Myanmar (Birmania) e l’India, Sud-Ovest con Bhutan Nepal e India, a Ovest con il Pakistan, l’Afghanistan e il Tagikistan, a Nord-Ovest con il Kirghizistan e il Kazakistan. A Est si affaccia sul Mar Giallo e sul Mar Cinese Orientale, a Sud-Est sul Mar Cinese Meridionale, le cui acque sono rivendicate dalla RPC come proprie acque territoriali fino alle isole Natuna, grosso modo in corrispondenza del 5° parallelo. L’ampiezza delle sue frontiere e la complessità dei rapporti diplomatici che ne deriva sono una componente importante delle sfide che la Cina deve affrontare come potenza regionale asiatica, con ripercussioni rilevanti anche per le sue ambizioni di nuova superpotenza. Ma forse le sfide cruciali per il paese stanno nella grande eterogeneità della sua geografia fisica, economica e umana interna: ben due terzi del suo territorio sono deserti, steppe o inospitali altopiani ghiacciati, mentre solo un decimo di esso è attualmente disponibile per la coltivazione di derrate alimentari. L’orografia del paese, con il suo immenso altopiano tibetano (i cui contrafforti sono costituiti dalle più elevate catene montuose del paese: Himalaya e Kunluni), i deserti del Taklamakan e del Gobi, le grandi steppe della Mongolia interna, il dedalo di catene montuose che si intersecano nella parte più popolosa del paese, dalle pianure irrigue del Wei e del Fiume Giallo verso le coste orientali e meridionali, ha da sempre posto grandi problemi allo sviluppo e al mantenimento di vie di comunicazione. Abitanti: 1.265.830.000 (cens. 2000) Estensione geografica: 9.572.900 kmq Continente: Asia 33 Incremento demografico: 6,7% (2001) Vita media: m. 70; f. 74 (2001) PIL: 1.240.621 milioni di U.S. $ (2002) Mortalità infantile: 31% (2001) Alfabetizzazione: 90,9% (2002) Densità di popolazione: 139 ab./ Km2 Lingua ufficiale: cinese hanyu putonghua, lett. “lingua cinese comune”. Religione/i: non religiosi/atei 63,9%; religioni popolari cinesi 20,1%; buddisti 8,5%; cristiani 6%; musulmani 1,4%. Gruppi etnici: Han 91,6%; Zhuang 1,4%; Mancia 0,9%; Hui 0,8%; Miao 0,6%; Uiguri 0,6%; Yi 0,6%; Tujia 0,5%; Mongoli 0,4%; Tibetani 0,4%; altri 2,2%. A 55 gruppi etnici è riconosciuto lo status di “minoranza nazionale”. Regime politico: Repubblica popolare a partito unico marxista leninista (repubblica socialista unitaria e multinazionale). LE FESTE PRINCIPALI Le feste tradizionali più importanti per la popolazione cinese (al contrario delle feste “moderne” come la festa nazionale il primo di ottobre, o internazionali come la festa del lavoro il primo di maggio e la festa delle donne l’otto di marzo, che sono scandite dal calendario solare) fanno riferimento al calendario lunare i cui mesi durano quanto le rivoluzioni lunari attorno alla terra, ovvero 29 giorni e mezzo. Nel calendario lunare si alternano mesi di 29 e 30 giorni, mentre l’anno è composto da 12 mesi, più un mese aggiuntivo che permette periodicamente di mantenere la corrispondenza del calendario con le fasi lunari. I nomi dei mesi vanno da primo a dodicesimo, mentre nel caso di un anno composto da 13 mesi, un mese viene nominato come bis (il cosiddetto “mese intercalare”) di un mese dal secondo all’undicesimo. Ogni mese ha inizio all’apparizione della nuova luna e il suo quindicesimo giorno corrisponde alla luna piena. CHUNJIE O CAPODANNO LUNARE (LETT. “FESTA DELLA PRIMAVERA”): dura dal ventisettesimo giorno dell’ultimo mese al quindicesimo giorno del nuovo anno lunare. La festa è celebrata in modo spettacolare, con fuochi d’artificio, danze (come la celebre danza del leone, tipica soprattutto nelle province meridionali), scambio di doni e di dolci. Le case vengono pulite scrupolosamente, si rinnovano i distici votivi (duilian) in rima che adornano gli stipiti delle porte, scritti in caratteri neri o dorati su carta rossa (una tradizione tuttora molto viva in campagna e nei centri urbani minori). Il rosso è molto usato come simbolo di fortuna mentre l’oro è il colore dominante per simboleggiare il desiderio di prosperità. Sulle porte e finestre si appendono rombi di cartoncino rosso sui quali viene tracciato il carattere fu, “felicità”. Tali cartoncini vengono appesi 34 capovolti, in modo da suggerire un arguto gioco di parole: “capovolgere” in cinese si dice dao, parola che è omofona (ovvero ha lo stesso suono) del verbo cinese dao, “arrivare”: quindi capovolgere il carattere fu equivale a dire “la fortuna è arrivata!”. Il capodanno cinese può cadere tra il 21 gennaio e il 21 febbraio dell’anno solare, ed è chiamato festa di primavera poiché segna la fine dell’inverno. In corrispondenza del capodanno tutto il paese si agita e si muove, mentre milioni di persone affollano stazioni e aeroporti per tornare alla casa natale per festeggiare con parenti e vecchi amici. Si consumano in quest’occasione cibi particolari: al Nord soprattutto ravioli (jiaozi), confezionati in modo da ricordare la forma “a barchetta” (o, come dicono i cinesi, “a scarpetta”) dei lingotti d’oro e d’argento in uso in epoca imperiale, spesso aggiungendo nel ripieno di un solo raviolo una caramella (chi la trova sarà la persona più fortunata della famiglia nel corso del nuova anno); al Sud si preferisce invece preparare i niangao (specie di gnocchi che si ottengono tagliando a dischi sottili un cilindro di pasta di riso glutinoso), la cui forma ricorda le monete. Come le lenticchie in Italia, anche per ravioli e gnocchi in Cina vale la tradizione che più se ne mangia, più prospero sarà il nuovo anno. L’augurio tradizionale più comune è gongxin facai “fortuna e prosperità”. YUANXIAOJIE O FESTA DELLE LANTERNE (LETT. “FESTA DEGLI GNOCCHI ROTONDI”): ha luogo il quindicesimo giorno del primo mese, quando sorge la prima luna piena dell’anno e la fine dei festeggiamenti per il nuovo anno. Schiere di lanterne con vari disegni vengono appese all’esterno delle case come decorazione, una tradizione che ha origini buddiste. I bambini si fabbricano da sé piccole lanterne con le quali girano per le strade. Dalla dinastia Song (960-1290 d.C.) in poi è d’uso decorare le lanterne appese fuori casa con brevi indovinelli in rima: chi passando li indovina potrà ricevere un piccolo dono dal padrone di casa. Si mangiamo i yuanxiao (anche detti tangyuan), ovvero gnocchi di riso glutinoso con ripieno dolce (in genere a base di pasta di fagioli rossi, sesamo tostato, pasta di jojoba, noci, frutta secca, petali di rosa, zucchero e olio vegetale) o più raramente salato. Sono piccoli e rotondi, possono essere bolliti in una zuppa d’acqua e zucchero, oppure consumati cotti al vapore o fritti. Dato che la parola tangyuan, “palline dolci”, ha una pronuncia simile a quella della parola tuanyuan, “riunione, ricongiungimento”, gli gnocchi simboleggiano l’unità della famiglia e delle persone care. In alcune zone alla sera si organizzano processioni con draghi di cartapesta/tessuto e lanterne, magari accompagnati da spettacoli di fuochi d’artificio. QINGMINGJIE O FESTA DEI MORTI (LETT. “FESTA DEL CHIARO SPLENDORE”): cade tradizionalmente il centoseiesimo giorno dopo il solstizio d’inverno (Dongzhi), dunque generalmente il 4 o il 5 aprile del calendario solare. È l’ultimo giorno del quinto termine solare nel calendario cinese, e corrisponde al 5 aprile. Profondamente radicata nell’antichissimo culto degli antenati, questa festa è un’occasione per ricordare e onorare i 35 propri cari estinti, ma anche i caduti delle guerre e i morti che hanno dato lustro al paese. Si fa visita alle tombe di famiglia dopo averle ripulite, si fanno offerte agli spiriti e molti mangiano all’aperto in prossimità delle tombe in comunione spirituale con gli antenati nel banchetto, offrendo loro simbolicamente il cibo. Si bruciano incenso, candele e “soldi di carta” per sostenere economicamente il defunto nell’aldilà, affinché non gli manchi nulla. Questa festa è anche l’occasione per la manifestazione pubblica dei riti legati al lutto e per dimostrare la propria pietà filiale. Dato che la festa si svolge all’inizio della primavera, l’occasione viene spesso vissuta dalle famiglie come un’occasione lieta per fare gite nel verde e magari far volare gli aquiloni. DUANWUJIE O FESTA DEI BATTELLI-DRAGONE (LETT. “FESTA DEL DOPPIO CINQUE”): si celebra il quinto giorno del quinto mese lunare, che generalmente cade tra il 28 maggio e il 28 giugno, segnando così idealmente l’inizio dell’estate. Secondo la tradizione popolare, la festa omaggia un famoso poeta dell’antichità cinese, Qu Yuan (340-278 a.C.), ministro dello stato di Chu all’epoca degli Stati Combattenti (476-206 a.C.). In memoria di Qu Yuan, ancora oggi nel quinto giorno del quinto mese lunare si tengono gare con battelli decorati a forma di drago sulle acque di fiumi e laghi, si mangiano zongzi dal ripieno dolce (a base di pasta di fagioli rossi) o salato (con carne e verdure) e si abbonda nelle libagioni. La corsa dei battelli-drago è oggi divenuta uno sport molto popolare in Asia orientale, ma anche in alcuni contesti occidentali (un campionato si tiene anche in Italia). Un’altra tradizione legata a questa festa è quella di far donare ai bambini piccoli fagottini di seta decorata con ricami di colori vivaci colmi di erbe mediche e aromi profumati, che vengono appesi al collo o fissati ai loro abiti come un talismano. Si dice che queste piccole sacche profumate tengano lontano il malocchio e gli spiriti cattivi. ZHONGQIUJIE O FESTA DI MEZZO AUTUNNO: ha luogo il quindicesimo giorno dell’ottavo mese lunare, e cade generalmente tra il 15 settembre e il 15 ottobre del calendario solare. Dopo cena ci si reca all’aperto, possibilmente in mezzo al verde e vicino all’acqua, per ammirare la luna piena, che si dice sia la più grande e brillante di tutto l’anno (in virtù della particolare limpidezza dell’aria in questa stagione). Si ascolta musica antica (possibilmente dal vivo), si declamano poesie, si sta insieme con amici e parenti, o con la persona amata, mangiando yuebing, le “tortine della luna”, specie di grossi biscotti rotondi ripieni di frutta secca, semi di loto macinati e tuorlo d’uovo. È una festa molto antica, che richiama i riti sacrificali al sole in primavera e alla luna in autunno compiuti dagli imperatori della dinastia Zhou (1066-221 a.C.). Il fatto che la festività si svolga in coincidenza con il termine dei raccolti, e dunque in un momento di abbondanza e serenità, contribuisce al senso di pienezza e di comunione che caratterizza questa festa. Una leggenda vuole che i banchetti al chiaro di luna, che in Cina si organizzano in tale notte, si tengano in onore dell’ascensione al cielo della bella Chang E, 36 moglie dell’eroe mitico Hou Yi, l’arciere che spense con le sue frecce i nove soli superflui che minacciavano di ardere la terra. Da allora, il popolo cinese fa lo stesso, pregando la graziosa signora del palazzo della luna di donare loro fortuna, amore e pace. DONGZHIJIE, O FESTA DEL SOLSTIZIO D’INVERNO: il fenomeno dei solstizi è noto agli astronomi cinesi fin dal periodo detto Primavere e Autunni (770-476 a.C.). Il solstizio d’inverno è considerato il primo dei ventiquattro eventi periodici che scandiscono i diversi momenti delle stagioni nel corso dell’anno. Generalmente cade tra il 21 e il 23 di dicembre del calendario solare. Dato che nell’emisfero settentrionale il solstizio d’inverno è il momento in cui la notte è più lunga, è a partire da questa data che le ore di luce aumentano, simboleggiando il rafforzamento progressivo dell’energia poisitiva yang, che nella filosofia e nell’alchimia cinese si alterna all’energia negativa yin. A Taiwan si preparano speciali torte modellate a forma di animali di buon auspicio come galli, oche, tartarughe, maiali, mucche e agnelli, che si offrono ai propri antenati presso i templi di famiglia, facendo seguire alla cerimonia commemorativa un grande banchetto. CHONGYANGJIE, O FESTA DEL DOPPIO NOVE (LETT. “FESTA DEL DOPPIO YANG”): il nono giorno del nono mese lunare è noto tradizionalmente come Chongyangjie (“festa del doppio yang”), Chongjiujie (“festa del doppio nove”) o popolarmente come Jiujiujie (“festa novenove”). Generalmente cade in ottobre. Il numero nove nell’antico testo misterico-filosofico Yijing, o Libro dei Mutamenti (noto in Occidente soprattutto per l’uso divinitorio che tradizionalmente se ne fa) è considerato un simbolo dell’energia maschile e positiva yang, l’opposto del numero sei, simbolo dell’energia femminile e negativa yin. Tradizionalmente, si celebra la giornata ascendendo luoghi elevati, torri, colline o montagne, attività che si considera connessa a una buona salute fisica e che anticamente permetteva di sottrarsi alle epidemie. Si mangiano le tipiche “torte del doppio nove”, poiché la parola gao, “torta”, in cinese è un omofono del termine gao, “altezza”. Queste torte hanno fino a nove strati e vengono fatte a forma di torre. Si tratta di una festa particolarmente di buon auspicio per intraprendere nuove attività, nella quale si pregano gli antenati per ottenere fortuna nelle proprie imprese. Dato che in questo periodo dell’anno fioriscono i crisantemi, questo fiore diviene un simbolo di questa festa. In Cina è un fiore di buon auspicio, che le donne usavano mettere nelle proprie acconciature per proteggersi dagli spiriti maligni e dal malocchio. Dal 1989 il governo cinese ha dichiarato la festa del doppio nove festa degli anziani: organizzazioni pubbliche e del privato sociale organizzano gite in mezzo al verde per anziani e pensionati, soprattutto in zone di montagna, mentre i giovani offrono doni ai loro genitori e nonni. QIXIIE, O FESTA DEL DOPPIO SETTE: detta anche Niu Nü Hehe (“Incontro tra il Pastore e la Tessitrice”), questa festa è dedicata all’amore: si tiene in 37 estate, il settimo giorno del settimo mese lunare, dunque in pieno agosto secondo il calendario solare. Essendo una data particolarmente fausta per celebrare matrimoni, non stupisce che moltissimi cinesi, anche all’estero, scelgano di sposarsi in agosto. IL SALUTO: incontrandosi, in Cina ci si saluta esclamando “Nihao!” (lett. “bene a te!”), mentre quando ci si lascia, si dice “Zaijian!” (lett. “arrivederci”). CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE Generalmente si offre del tè (che a seconda dei luoghi e delle stagioni può essere di diverse varietà e preparato in differente maniera), spesso accompagnato da dolcetti (spesso a base di sesamo tostato e caramellato, o croccanti d’arachidi o di mandorle), frutta o dianxin (dimsum, in cantonese) salati, piccole porzioni di “stuzzichini” la cui varietà di ricette è davvero infinita. Se l’ospite è un uomo, gli viene offerta una bevanda alcolica (birra, vino di riso o grappa, a seconda della stagione e della regione) e delle sigarette. Offrire una sigaretta è considerato il modo cortese di avviare una relazione o un incontro, anche quando chi la offre non fuma. IMMIGRAZIONE IN ITALIA L’immigrazione cinese in Italia vanta una lunga storia. La maggior parte – il 60-70% circa – dei cittadini della Repubblica Popolare Cinese oggi residenti a Milano proviene da piccoli centri urbani (Daxue, Yuhu) e villaggi rurali nel distretto di Wencheng, nella provincia dello Zhejiang, a circa 100 km in linea d’aria dalla città di Wenzhou. In misura minore (25-30%) sono presenti anche immigrati originari dei distretti limitrofi a quello di Wencheng, ovvero Qingtian, Rui’an e Wenzhou-Ouhai. Qingtian e Wenzhou-Ouhai sono i distretti d’origine del nucleo storico dell’immigrazione cinese in Italia. Prima della riapertura della Repubblica Popolare Cinese alle relazioni con l’Occidente, con l’avvio della politica di “riforma e apertura” (gaige kaifang) voluta da Deng Xiaoping, la popolazione cinese in Italia era esigua, composta in buona parte da persone esuli fin da prima della fondazione dello stato socialista cinese e in misura crescente da loro parenti più giovani. Tra questi ultimi, alcuni avevano raggiunto i loro parenti emigrando clandestinamente dalla Cina nel corso degli anni Sessanta e Settanta, generalmente via Hong Kong, ma molti di più si erano trasferiti in Italia da altri paesi europei, Olanda e Francia soprattutto, attirati da migliori prospettive di sviluppo economico. Nel corso degli anni Novanta acquistò slancio soprattutto l’immigrazione dallo Zhejiang verso i paesi dell’Europa meridionale – Italia, Spagna, Portogallo 38 – alimentata dagli specifici fattori di attrazione sviluppatisi a partire dal decennio precedente. L’inserimento economico e la conseguente distribuzione territoriale degli immigrati cinesi si sono sviluppati in questi anni secondo due direttrici principali: l’espansione della ristorazione cinese e dei servizi “etnici” nelle maggiori città del Nord e del Centro Italia ed il progressivo radicamento delle imprese contoterziste cinesi nelle aree ad economia diffusa (particolarmente significativo nei distretti industriali del tessile e della maglieria, a Prato - Empoli, Carpi- Modena - Reggio Emilia, Napoli - San Giuseppe Vesuviano). Moltissimi genitori preferirono lasciare i figli con i nonni o riportarli in patria ancora piccoli, fino al raggiungimento dell’età scolare, qualora fossero nati in Italia, al fine di non coinvolgerli nella fase più dura del loro primo inserimento, spesso caratterizzata da condizioni abitative e di vita scadenti. I figli in età scolare vennero invece incoraggiati a studiare attivamente l’italiano per contribuire all’impresa familiare fungendo da mediatori sia rispetto alla sfera lavorativa (contatti con clienti e fornitori) che a quella sociale (contatti con i servizi e gli uffici pubblici, disbrigo di pratiche amministrative). I genitori tendono a immaginare per i loro figli (o le loro figlie) maggiori una formazione limitata all’obbligo scolastico e poi un coinvolgimento nell’impresa familiare (ma anche questo orientamento va modificandosi in ragione della sempre maggiore incidenza del lavoro dipendente tra i genitori), contemplando eventualmente per i figli minori un’istruzione di livello più elevato. I giovani, specie se scolarizzati in Italia, rappresentano perciò uno degli snodi cardine del processo d’integrazione della minoranza cinese nel corpo sociale italiano. Quella giovanile è però una popolazione molto complessa, fortemente stratificata da variabili come l’anno d’arrivo in Italia, l’età all’arrivo, il distretto d’origine, l’estrazione socioeconomica familiare, le condizioni di vita e di lavoro della famiglia in Italia, ecc. Recenti ricerche empiriche realizzate in alcuni contesti italiani (Milano e Prato) mostrano che tra i giovani di arrivo recente – a cavallo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila – si riscontrano problemi di disadattamento, esclusione sociale, conflitto intergenerazionale e perfino devianza che non si erano rilevati presso i ragazzi cinesi ricongiuntisi ai genitori al principio degli anni Novanta e tra coloro che sono nati o cresciuti in Italia. A fronte di questa criticità emergente per una fascia particolare della popolazione giovanile cinese immigrata, che chiama fortemente in causa i servizi educativi e socio assistenziali e richiede risposte adeguate sul piano delle politiche d’integrazione, va comunque sottolineato che la maggior parte dei minori cinesi che vivono nel nostro paese appaiono bene inseriti e svolgono di fatto un’intensa, quand’anche inconsapevole, azione “ponte” tra le loro famiglie e la società italiana. 39 MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI Vista la limitazione alla possibilità di procreare posta dalla politica di controllo delle nascite, la tradizionale grande attenzione che in Cina si è sempre dedicata alla cura e all’educazione dei figli (in particolare ai maschi) si è ulteriormente intensificata, tanto che nelle città – dove l’efficacia della politica del figlio unico è maggiore – si parla da tempo di una giovane generazione egocentrica, costituita da figli unici viziati da genitori e nonni e oggetto di attenzioni e di aspettative eccessive. Il dato positivo è che tale politica – di nuovo, soprattutto nelle zone urbane – ha mitigato la discriminazione nei confronti delle figlie femmine, considerate a lungo soprattutto un onere per le famiglie che le allevano per poi cederne la capacità di cura e di supporto alla famiglia del futuro marito. Nelle ampie zone rurali, dove tuttora risiede circa il 60% della popolazione cinese, l’evoluzione è più lenta. I neonati non vengono fasciati e generalmente non portano neppure il pannolino, ma indossano pratici pantaloni con un ampio spacco nascosto, che permettono ai genitori di far fare loro i bisognini... dovunque capiti! Nelle campagne del meridione i bambini fino ai tre anni d’estate sono spesso nudi, portati in braccio o in spalla dalle madri in apposite sacche, che consentono alla donna di lavorare nei campi anche con il bimbo appresso. D’inverno e nelle aree fredde i bambini sono vestiti a strati, spesso – ancora una volta, soprattutto nelle aree urbane – in modo eccessivo, tanto che non è raro notare sui mezzi pubblici avvisi che richiedono ai genitori di svestire i loro bimbi per lasciarli respirare. In campagna i bambini sono abituati ad andare molto in giro per conto proprio e in generale l’educazione dei figli tende a renderli molto presto capaci di gestire se stessi, specie negli strati della popolazione meno abbienti. Nelle campagne, fino allo svezzamento il bambino viene vestito con abiti particolari e addobbato con berretti e ornamenti che hanno funzione taumaturgica: al collo porta un medaglione d’oro e giada con immagini votive (la dea della misericordia buddhista Guanyin, per esempio), alle caviglie piccoli anelli d’argento con campanellini, che scacciano il malocchio. Assicurare ai figli un’istruzione è visto da sempre come il più alto dovere dei genitori nei confronti dei figli – e il modo più sicuro di garantirsi protezione e cura in vecchiaia. Le punizioni corporali sono legittimate solo in casi eccezionali e generalmente i cinesi, anche in campagna, vedono molto male coloro che picchiano i figli: nei villaggi non è raro che un vicino intervenga per impedire una punizione troppo severa. Si cerca di insegnare ai bambini a stare insieme agli altri con un atteggiamento di attenzione e rispetto molto forti. Tale compito è in ogni caso demandato più alle istituzioni scolastiche che non ai genitori: è l’insegnante, infatti, a essere istituito della principale responsabilità dell’educazione morale e civica dei bambini. 40 MODELLI DI CURA Nella Cina contemporanea la tradizionale concezione olistica della salute su cui si basa la medicina tradizionale, rivolta a conservare l’equilibrio delle forze yin e yang che alimentano l’energia vitale e dunque a curare la persona e non il sintomo, si coniuga da tempo con un approccio molto pragmatico e “efficientista” alla medicina occidentale. In linea generale, si pensa che la medicina tradizionale sia ottima per la prevenzione e la cura di disturbi cronici, ma che per intervenire rapidamente su patologie critiche occorra il fuoco di sbarramento della medicina occidentale, generalmente accolto con riserve minori che in occidente: i cinesi sono abituati a consumare le medicine che i medici e i dispensari prescrivono loro senza curarsi di sapere cosa contengono e che controindicazioni hanno: la fiducia nel medico è completa. L’uso degli antibiotici è liberale, per non dire spropositato: perfino le sindromi influenzali si curano iniettando massicce dosi di antibiotico direttamente in vena. Questa apparente contraddizione tra il mantenimento di una viva e solida tradizione medica olistica, basata sull’impiego di erbe, minerali e di sostanze curative naturali estratte da animali di ogni genere, e l’accettazione acritica di cure anche molto invasive e pesanti improntate alla diagnostica e alla cura del sintomo di tipo occidentale si spiega con l’atteggiamento prevalentemente pragmatico è improntato all’efficacia dei cinesi nei confronti della medicina, che è giudicata “valida” nel momento in cui ti rimette in sesto, e prima lo fa, meglio è. A volte tale atteggiamento subisce involuzioni di tipo “miracolistico”, che sono alla fonte dell’enorme mercato che in Cina trovano le sostanze ricostituenti e rinvigorenti di ogni genere, quasi una trasposizione moderna dell’antica ricerca alchemica dell’elisir dell’immortalità, che tanto spazio ebbe nella tradizione del taoismo magico e popolare. In ogni caso, l’Organizzazione Mondiale della Sanità rileva come, malgrado le forti difficoltà che tuttora caratterizzano il sistema della sanità pubblica cinese, la Cina abbia compiuto passi da gigante sul versante sanitario negli ultimi cinquant’anni, con estese campagne di vaccinazione e la diffusione capillare di prassi igieniche di base. MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE In Cina la scuola è mista, anche se in quella dell’obbligo vige un codice informale di pudore e ritrosia tra maschi e femmine, mentre in quella superiore e all’università l’alloggio in dormitori è separato per sesso, come pure molte attività sportive ed extracurricolari. Tuttavia, l’insegnamento scolastico tende a sostenere l’eguaglianza tra i sessi, specie sul piano giuridico e su quello lavorativo, mentre dal punto di vista della cosiddetta “educazione morale” alle donne si tende ad attribuire una maggiore sensibilità e un maggior senso di responsabilità. Prevale una visione tutto sommato conservatrice della donna come moglie, madre e nuora, lavoratrice, 41 certo, ma anche consorte affettuosa e madre responsabile. La visione ufficiale dei rapporti tra i sessi tende a promuovere il senso della famiglia e anche i sentimenti sono narrati spesso in modo convenzionale... innamoramento, lungo corteggiamento, matrimonio con il consenso familiare, un figlio e un’armoniosa convivenza tra le generazioni. MODELLI E STILI FAMILIARI RUOLO DEI GENITORI: in Cina le coppie sono investite tradizionalmente della responsabilità primaria della prosecuzione del lignaggio familiare dello sposo e della cura della prole, e dell’obbligo alla solidarietà intergenerazionale rispetto ai propri genitori. Lo Stato invita i genitori a educare i figli ad essere cittadini responsabili, patriottici e solidali, mentre promuove periodicamente campagne volte a migliorare la salute e la “saldezza morale” dei giovani. A farsi garanti di tale educazione civica sono però più le scuole che le famiglie, all’interno delle quali prevale l’enfasi sulla protezione e sull’affettività. VITA SOCIALE DELLE COPPIE: all’interno della coppia, tradizionalmente al marito viene riconosciuta maggiore autorità, ma nelle aree urbane più sviluppate i processi decisionali familiari sono più equamente ripartiti tra marito e moglie. I nonni giocano un ruolo importante, soprattutto quelli paterni, e il rapporto suocera-nuora continua a essere carico di tensioni emotive: anche in questo campo, tuttavia, il trend sembra essere decisamente quello di una graduale nuclearizzazione delle famiglie secondo un modello neolocale. La politica di controllo delle nascite ha drasticamente ridotto le dimensioni delle famiglie, e un’intera generazione di giovani urbani è cresciuta senza fratelli e sorelle, e di conseguenza produrrà una società con pochi zii, nipoti e cugini. La centralità della famiglia è uno dei tratti culturali più stabili della società cinese, ma l’organizzazione della vita lavorativa non lascia spazio a lunghi periodi di vacanza insieme, con la sola significativa eccezione delle due settimane di ferie in coincidenza del capodanno cinese. ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: nelle aree rurali della Cina meridionale, dov’è più forte la tradizione del lignaggio ed il culto degli antenati, ai neonati si tende a dare il cognome del padre (in casi particolari, quello della madre: per esempio, se la madre è l’ultima discendente del proprio lignaggio, che rischierebbe così di estinguersi, mentre il padre ha magari fratelli o altri figli maschi che possano continuare il proprio lignaggio), mentre il nome è generalmente formato da due caratteri, la cui scelta può essere determinata da vari fattori. Per il primo dei due caratteri i clan più tradizionalisti ricorrono al “carattere generazionale” imposto ciclicamente dal registro genealogico familiare, gelosamente conservato dai capifamiglia più anziani. Tale carattere permette a tutti gli abitanti del villaggio di identificare immediatamente la generazione cui il nuovo nato appartiene in seno al proprio lignaggio: si tratta quindi di un carattere che il neonato avrà in comune con i suoi eventuali fratelli. 42 Il secondo carattere è invece scelto in base alle preferenze dei genitori – che sceglieranno un nome evocativo di gesta prestigiose per un maschio e di leggiadria per una femmina – oppure, sempre nelle zone rurali più tradizionaliste, affidandosi al consiglio di un indovino, che a partire dagli otto caratteri che costituiscono la cifra astrologica del nascituro (indicano cioè l’anno, il mese, il giorno e l’ora di nascita), indicherà il carattere considerato di miglior auspicio per il futuro del bambino. ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: nella Repubblica Popolare Cinese è in vigore lo jus sanguinis, per cui sono di cittadinanza cinese i figli di cittadini cinesi, anche se nati all’estero, mentre per uno straniero nato in Cina da genitori regolarmente residenti, ma non cittadini, ottenere la cittadinanza cinese è molto difficile. CONTRATTO DI MATRIMONIO: esistono due forme, il matrimonio formale (ovvero la sua registrazione presso l’autorità pubblica nel proprio Comune di residenza in Cina) e il matrimonio sostanziale (sancito dalle famiglie degli sposi in Cina o all’estero, prima o dopo la registrazione del matrimonio) tra gli immigrati cinesi in Italia non sempre coincidono, e le cose possono complicarsi ulteriormente se una coppia decide di sposarsi in Italia secondo la legge italiana, perché ottenere i documenti necessari può risultare assai complesso. Il diritto familiare cinese sancisce il dovere dei coniugi al reciproco sostentamento e stabilisce in linea di principio la comunione dei beni per i redditi percepiti dopo sposati (Legge matrimoniale del 1980, emendata nel 2001, art. 17), ma ammette che i coniugi possano stipulare un contratto matrimoniale in cui optano consensualmente per la divisione dei beni, oppure per forme miste di comunione e divisione dei beni (ibidem, art. 18). DIVORZI E SEPARAZIONI: il divorzio è ammesso sia su base consensuale sia in caso di richiesta di una delle due parti, che può intentare una causa civile presso il Tribunale del Popolo. La custodia dei figli in caso di divorzio è assegnata a una delle due parti in base al giudizio del Tribunale del Popolo, e in tal caso il coniuge cui non è affidata la custodia dei figli è tenuto a contribuire al loro sostentamento. SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI LA SCUOLA PUBBLICA: prima del 1995, anno in cui è stata promulgata la nuova legge dell’istruzione, quella pubblica era ufficialmente gratuita a tutti i livelli e tale rimane nella scuola dell’obbligo, mentre sono state introdotte tasse d’iscrizione per le scuole secondarie e per l’università. Nella scuola dell’obbligo sono tuttavia previsti contributi ai genitori alle spese di gestione della scuola, i cui tetti sono fissati a livello provinciale, e per l’acquisto dei libri, forniti dallo Stato a prezzo controllato. Tali contributi sono 43 in costante aumento e scoraggiano l’accesso all’istruzione da parte degli alunni più svantaggiati. LE SCUOLE PRIVATE: liberalizzata al principio degli anni Novanta, l’istruzione gestita da privati (enti, gruppi o individui) nel 1996 contava già 4.000 scuole (lo 0,5% di tutte le scuole cinesi) e il loro numero è in costante crescita. Si tratta di scuole per privilegiati, poiché le rette scolastiche sono molto più elevate di quelle degli istituti pubblici. Sono viste come un’alternativa alla cattiva qualità della scuola superiore pubblica, e spesso sono maggiormente orientate a garantire ai propri diplomandi un rapido accesso nel mercato del lavoro, o buone prospettive di ingresso in università di buon livello. Tuttavia, i diplomi rilasciati dalle scuole pubbliche godono ancora di un prestigio molto superiore a quello delle scuole private. SCUOLA MATERNA: dura tre anni e rispetto alla scuola italiana è molto più direttiva e strutturata, tesa a instillare senso di responsabilità e attitudine alla cooperazione e allo svolgimento disciplinato di compiti, piuttosto che sviluppare la creatività individuale. SCUOLA DELL’OBBLIGO: dal 1986 la scuola dell’obbligo prevede una durata di nove anni e comprende due cicli, scuola elementare e media, ma l’articolazione dei due cicli è tuttora a discrezione delle autorità regionali. Di fatto esistono dunque un sistema elementare + media “6+3”, più diffuso nelle città, e “5+3” diffuso nelle campagne. Nelle zone d’origine della maggior parte dei giovani stranieri che risiedono in Italia, malgrado la loro estrazione prevalentemente rurale, vige comunque il sistema “6+3”. L’inizio della scuola dell’obbligo è fissato a sei anni, ma in molte zone del paese si inizia a sette anni e nelle zone di emigrazione l’iscrizione viene di norma ritardata in attesa del ricongiungimento familiare. CALENDARIO E ORARI: l’anno scolastico è diviso in semestri, il primo va da settembre a febbraio, il secondo da marzo a luglio. Si svolgono 39 settimane di attività scolastica, di cui 34 di lezione, le altre riservate ad attività comunitarie, tradizionali, ripasso ed esami. Oltre alle vacanze estive è previsto un mese d’intervallo delle lezioni in coincidenza con il capodanno cinese. I giorni di frequenza settimanale sono sei, dal lunedì al sabato mattina. Il programma prevede da 23 a 26 ore settimanali, a seconda della classe e del sistema scolastico in vigore, cui si aggiungono 5 ore di attività extracurriculari (non sempre garantite). Ogni ora di lezione prevede 45 minuti di lezione e 15 minuti di pausa. Nelle scuole a tempo pieno le lezioni iniziano alle otto del mattino e riprendono alle due del pomeriggio, dopo la pausa per il pranzo. PROGRAMMI E ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA: i programmi sono stabiliti a livello nazionale. Le scuole a tempo pieno, di cui fanno parte le cosiddette scuole modello, seguono i programmi fissati dal Ministero dell’istruzione, con qualche variazione regionale. Per le scuole a tempo ridotto, tali programmi sono modificati su base regionale. La lingua veicolare è il putonghua, o cinese mandarino; in alcune zone abitate da etnie minoritarie è introdotta la lingua locale come lingua veicolare o come seconda lingua. L’uso del dialetto è 44 tollerato nelle zone rurali. L’insegnamento dell’inglese inizia generalmente alle medie, ma in alcune scuole modello può partire dalle elementari. I programmi governativi tendono ad essere fortemente prescrittivi e dettagliati, con un’enfasi sulla acquisizione mnemonica delle nozioni di base. Un esempio di programma della scuola elementare comprende le seguenti materie: educazione morale, lingua cinese, matematica, educazione sociale, scienze, sport, musica, arte ed educazione al lavoro; nella scuola media: etica e politica, lingua cinese, matematica, lingua straniera 1, lingua straniera 2, storia, geografia, fisica, chimica, biologia, sport, musica, arte, educazione al lavoro. VALUTAZIONE: oltre a una verifica informale periodica (solitamente mensile) è comune una valutazione più approfondita a metà anno, una sorta di esame finale che, in caso di esito negativo, impegna gli insegnanti nella programmazione di un adeguato piano di recupero. La votazione avviene in centesimi. Il passaggio da una classe all’altra è subordinato al superamento dell’esame di fine anno, in cui viene valutato il profitto in cinese e in matematica, con obbligo della ripetenza in caso di fallimento. DIVIETI E OBBLIGHI: nelle scuole cinesi, sia pubbliche che private, la disciplina è severa e la vita della classe fortemente irregimentata, con capiclasse e “capisquadra” eletti dagli insegnanti, responsabili dei propri compagni e in competizione tra loro per garantire i migliori risultati scolastici e la maggiore adesione al regolamento scolastico dei propri “sottoposti”. A scuola (dalla materna all’università) sono vietate le risse, il chiasso, lo stare scomposti al banco, ma anche le relazioni sentimentali e lo scambio di effusioni in pubblico tra gli studenti. La scuola cinese è estremamente selettiva e organizzata secondo un sistema rigidamente meritocratico: quasi ovunque esistono due ordini di scuole, le scuole chiave o modello per gli allievi più dotati, il cui accesso spiana la via per l’ingresso nelle migliori università, e le scuole normali. La selezione inizia fin dalla scuola materna, con un’esame d’ammissione alla scuola elementare che già identifica i bambini destinati a un corso di studi privilegiato. L’esame d’ammissione all’università è l’incubo di tutti i diplomandi della scuola superiore, poiché conseguirvi un buon punteggio da sommare a quello ottenuto nel corso della propria carriera scolastica complessiva rappresenta l’ultima chance per l’accesso a un’università di buon livello. VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE Malgrado la forte partecipazione femminile all’economia nazionale, nella condizione sociale di uomini e donne permangono forti disuguaglianze, che lo sviluppo economico degli ultimi dieci anni non sembra aver ancora intaccato in misura significativa, se non nelle aree urbane delle province costiere. A determinare tali disuguaglianze sono però sempre meno costrizioni di natura tradizionale, familiare o politica: il fattore chiave è oggi dato dalla sempre maggiore vulnerabilità sociale delle donne in un contesto socioeconomico in cui le garanzie sociali si fanno sempre più scarse e 45 riguardano solo fasce selezionate delle élite burocratiche, militari o di lavoratori pubblici in particolari comparti economici, e in ogni caso soprattutto nelle città. La Cina degli affari è un mondo prevalentemente maschile e fortemente maschilista, anche per i suoi rituali sociali. Il dilagare della prostituzione, anche sotto forma di una sorta di neo-concubinaggio (amanti mantenute da uomini d’affari di successo), ha introdotto scenari di mortificazione dell’immagine sociale della donna pressoché sconosciuti al tempo del regime maoista.Alla vita lavorativa moglie e marito partecipano su un piano di relativa parità, anche se, i salari delle donne tendono a restare ancora di molto inferiori a quelli degli uomini, a parità d’impiego. Malgrado ciò, a essere fortemente investite dell’onere della cura dei figli e dei familiari sono soprattutto le donne, e i sostegni pubblici all’accudimento dei figli sono comuni solo tra i lavoratori statali delle città, mentre nelle aree rurali essi sono prevalentemente di natura comunitaria e familiare. Permane una discriminazione sociale piuttosto acuta delle donne divorziate, vedove o rimaste nubili dopo i trent’anni: queste donne sono considerate delle “fallite” e raramente riescono a ricollocarsi sul mercato matrimoniale, e per tali donne sole è in generale assai difficile accedere al mercato del lavoro senza cadere in condizioni di forte sfruttamento. STILI ALIMENTARI Quella cinese è una delle grandi tradizioni culinarie del pianeta e la varietà dei modi di preparare e cucinare il cibo che contempla è sorpassata solo dalle innumerevoli quantità di pietanze e ricette che offre. Per orientarsi in un vero oceano di piatti tipici, famosi e non, i cinesi tendono convenzionalmente a distinguere otto grandi scuole culinarie regionali (Pechino-Shandong; Guangdong; Sichuan; Jiangsu; Zhejiang; Hunan; Anhui; Fujian. Ma si tratta indubbiamente di una classificazione riduttiva, e inoltre ciascuna scuola regionale conta varianti locali molto caratteristiche), a loro volta riassumibili in quattro filoni principali: 1) la cucina settentrionale (Pechino, Tianjin e area del basso fiume Giallo), caratterizzata da un ampio uso di aglio e cipollotto, robusta e semplice, influenzata dalle tradizioni culinarie delle steppe centro asiatiche e mongoliche (carne di montone e d’agnello). L’ingrediente basilare della cucina quotidiana non è il riso ma il grano, consumato sotto forma di tagliolini e ravioli. Le verdure si cuociono a lungo o si conservano in salamoia; 2) la cucina orientale (Shanghai, Nanchino, Hangzhou e area del basso fiume Yangzi), delicata, che enfatizza la fragranza e la freschezza degli alimenti senza ottunderne il sapore con spezie troppo ricche. Vi abbondano le pietanze cotte a vapore, gli stufati di carne e di pesce in salsa bruna (hongshao), l’uso di zucchero, salsa di soia e aceto; 3) la cucina occidentale (Sichuan, Yunnan, Hunan), piccantissima e speziata; 4) la cucina meridionale o cantonese: la più celebrata, per l’infinita varietà degli ingredienti e la raffinatezza delle preparazioni. Assai popolari sia in Cina che nei paesi d’oltremare in cui si sono insediati gli emigranti cantonesi, sono i cosiddetti dimsum (dianxin, in mandarino: “spuntini”): piccole prelibatezze (involtini primavera, raviolini 46 dalla pasta quasi trasparente, leggerissimi piattini a base di carne, pesce, molluschi, verdure, dolci, ecc.) che si servono su carrellini a metà mattina, a metà pomeriggio o a tarda sera, idealmente per appagare languorini fuori pasto, ma che in realtà possono degnamente sostituire un pranzo o una cena. Data la grande varietà degli stili alimentari, è difficile dare un’idea delle abitudini alimentari tipiche dei cinesi. Volendo generalizzare molto, in una giornata feriale normale, la famiglia cinese media consumerà i seguenti pasti: per colazione, mangerà una ciotola di latte di soia caldo (denso o liquido a seconda delle zone), accompagnato da verdure in salamoia e da youtiao, specie di lunghe frittelle calde; per pranzo, una ciotola di tagliolini in brodo, con carne e verdure; per cena, vari piatti di verdura, carne, pesce, gamberetti o uova accompagnati da riso cotto a vapore. I cinesi attribuiscono al cibo un grande valore igienico e terapeutico per la salute: l’abbinamento tra i cibi non obbedisce soltanto a considerazioni legate al gusto, ma anche al mantenimento dell’armonia tra cibi e modalità di cottura di carattere yang, “riscaldanti”, e cibi e preparazioni di carattere yin, “rinfrescanti”, per nutrire adeguatamente l’energia vitale. Anche se queste considerazioni valgono per tutta la cucina cinese, esiste una scuola di alimentazione “medica” che utilizza particolari pietanze a scopi prettamente curativi: è a questo filone culinario che sono da ascriversi molti piatti “esotici” oggetto a volte di vere e proprie leggende metropolitane in Occidente, come quelli a base di animali rari o inconsueti. RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA NASCITA: l’importanza attribuita ai figli implica che a una donna incinta siano riservate cure e attenzioni particolari da parte di tutta la famiglia. Le verranno riservate le pietanze più nutrienti e le medicine tradizionali considerate in grado di meglio assicurare la salute del feto. In campagna si ritiene che quanto vissuto dalla puerpera si ripercuota direttamente sul feto, per cui si cerca di proteggere la donna da fatiche, dolori o eventi infausti. Tali attenzioni particolari per la madre si protraggono anche dopo la nascita del figlio: per almeno un mese, si tende a lasciare che la madre stia a riposo, preferibilmente a letto (se la famiglia se lo può permettere), al riparo dalle intemperie e dalla fatica, e che continui a seguire un regime alimentare ricco di sostanze nutrienti e ricostituenti. Il primo mese del nascituro è considerato di importanza cruciale: nelle zone rurali si arriva perfino ad adottare per il figlio nomignoli dispregiativi, in modo da non ingelosire gli dei e attirare così la sfortuna sul bambino. La più importante festa per il neonato è così il trentesimo giorno di vita, quando si presenta ufficialmente il bambino agli antenati e ai parenti. In quel giorno si ricorre a sacerdoti buddisti e taoisti per offrire sacrifici agli dei e assicurare protezione e fortuna al nuovo nato. I genitori del bambino in tale occasione offrono ad amici e parenti dolci e pietanze particolari che variano da zona a zona, ma che comprendono sempre delle uova d’oca o di gallina tinte di 47 rosso, offerte in numero pari: simboli di fertilità e di vita (le uova) associati al colore che i cinesi considerano di miglior auspicio, il rosso. MATRIMONIO: in Cina sono, specie nelle zone rurali, eventi sociali fondamentali. Se nelle città si tratta sempre più di un evento voluto e deciso dagli sposi, benché resti auspicabile il consenso familiare, fino all’inizio degli anni Novanta nelle aree rurali erano ancora diffuse forme di matrimonio combinato. Dato che il matrimonio sancisce legalmente la possibilità di avere figli esso è concesso solo a partire dai 22 anni d’età per i maschi e i 20 anni per le femmine, al fine di ritardare la procreazione. Nelle aree rurali del Zhejiang meridionale le famiglie decidono spesso di avallare fidanzamenti precoci anche prima dell’età legale del matrimonio, che a quel punto viene a sancire uno stato di fatto. Molte coppie giovani emigrano proprio per aggirare le multe derivanti dal fatto di aver procreato fuori dal matrimonio, o per aver avuto più figli di quanto consentito, magari nella disperata ricerca di un figlio maschio. Le multe per i figli in sovrannumero sono molto salate: in alcune zone possono raggiungere anche l’intero salario annuale del marito. In ogni caso, l’evento che suggella l’unione non è una cerimonia di tipo religioso, ma la celebrazione collettiva di un grande banchetto di nozze. FUNERALI: in Cina si preferisce la sepoltura alla cremazione, anche se quest’ultima è spesso stata imposta per ragioni pratiche e igieniche in alcuni contesti locali. In linea generale, i funerali sono una questione delicata e oggetto di grandi cure da parte delle famiglie, soprattutto nelle zone rurali. Gestire un funerale in modo inappropriato è infatti considerato estremamente infausto per le prospettive future della famiglia coinvolta, soprattutto quando a morire è un anziano. Se a morire è una persona giovane, la tradizione vuole che i suoi familiari più anziani non siano tenuti a portare particolare rispetto al defunto: in questo caso la salma non viene portata a casa per la veglia funebre, che ha invece luogo presso un’agenzia di pompe funebri. I genitori non possono offrire sacrifici e preghiere per i figli defunti, che, se sono morti in giovane età, non hanno neppure figli che possano officiarli in loro onore: un ulteriore esempio del valore indispensabile che i figli rivestono rispetto alla continuità anche in chiave simbolica e religiosa del lignaggio. Durante la veglia, i familiari non portano gioielli né abiti di colore rosso. Un tempo si chiedeva ai figli e ai nipoti del defunto di non tagliare i capelli per quarantanove giorni, ma è un’usanza caduta in disuso. I consanguinei del defunto e le sue nuore sono tenuti a lamentarsi e a piangere il morto con clamore, specie se il morto ha lasciato loro un’eredità consistente. Nel corso della veglia i parenti sono disposti attorno al morto secondo il grado di parentela e con abiti di colori adatti al tipo di lutto prescritto loro: abiti neri per i figli (per i quali il lutto è stretto), blu per i nipoti e azzurro per i bisnipoti. Figli e nuore portano anche un cappuccio in tela di sacco. Il figlio maggiore siede alla spalla sinistra del proprio genitore, il coniuge del defunto alla sua spalla destra. La complessità e l’importanza delle cerimonie funebri, nonché il desiderio di venire sepolti nelle tombe di famiglia, spinge molti vecchi emigranti a passare i propri ultimi giorni in patria, ma se la sorte li sorprendesse in emigrazione, le famiglie possono adattare le pompe funebri a 48 quelle celebrate nel paese in cui si sono trasferiti, magari con qualche aggiunta ad hoc, come i fiori di carta e gli addobbi di carta bianca e l’adozione dei simboli del lutto locali (fascia o bottone nero). L’importante è che il funerale per un anziano venga sempre svolto con tutti gli onori possibili, senza limite di spesa. SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI Le intense trasformazioni nell’ambito della sempre più intensa e capillare industrializzazione del paese, della fortissima spinta all’urbanizzazione e il crescente raccordo con l’economia globale stanno mettendo a dura prova il sistema sanitario nazionale cinese, di per sé piuttosto debole. Fondato sul modello sovietico nei decenni del maoismo, il sistema sanitario pubblico cinese è fortemente sbilanciato sulla prevenzione, con campagne di vaccinazione, diffusione delle pratiche igieniche di base e della contraccezione che hanno registrato grandi successi negli ultimi cinquant’anni. Tuttavia, esso è sempre rimasto vulnerabile sul piano della gestione delle emergenze sanitarie e su quello dell’equità e della capillarità dei servizi offerti. Le imponenti migrazioni interne cinesi, che hanno riempito le maggiori città di residenti irregolari – ossia sprovvisti del certificato di residenza, o hukou, che consente loro l’accesso ai servizi di base cittadini – hanno reso ancora più evidenti i limiti di un sistema che non è mai riuscito a colmare il divario in termini di offerta di welfare tra città e campagna, tra “aristocrazia operaia e burocratica” e contadini. La crescente congestione del traffico e dell’alloggio nelle città è fonte di numerosi incidenti e di traumi gravi per i quali il sistema ospedaliero e medico attuale è impreparato, con forti carenze soprattutto sul piano delle infrastrutture, delle tecnologie e, in alcuni campi, anche delle tecniche mediche. I danni subiti dall’ambiente a seguito del crescente inquinamento e la forte diffusione di prassi sociali a rischio (consumo di tabacco, alcol e – in misura molto minore, ma in rapido aumento – di stupefacenti; forte promiscuità sessuale e diffusione di malattie sessualmente trasmissibili in virtù della prostituzione dilagante) stanno provocando un forte aumento di patologie e di incidenti. Il sistema dei servizi pubblici, sia sanitari che socio-assistenziali, è del tutto carente e fortemente iniquo: pressoché assente nelle aree rurali, assai ineguale nelle aree metropolitane, a seconda che queste si trovino nelle sviluppate zone costiere o nelle impoverite province dell’interno, del Nord-Est e dell’estremo Ovest. L’ottanta per cento delle risorse sanitarie del paese si concentra nelle città, e due terzi di tali risorse vengono allocate agli ospedali principali. L’assistenza sanitaria gratuita è un miraggio: perfino quei pochi che ne avrebbero diritto sono in realtà costretti a versare tangenti per ottenere anche soltanto un appuntamento, per non parlare di test diagnostici, visite specialistiche, ricoveri e operazioni. Nelle zone rurali l’erogazione dei servizi sanitari fa capo a semplici dispensari gestiti da “medici” con un infarinatura di nozioni elementari di medicina occidentale e una conoscenza un po’ più 49 approfondita dei rimedi tradizionali. Se in alcune grandi città – Pechino, Tianjin, Shanghai, Hong Kong, Canton, ecc. – i servizi disponibili presso i maggiori ospedali non hanno nulla da invidiare a quelli dei paesi sviluppati, nella maggior parte del paese le strutture sono drasticamente carenti. Il vecchio sistema maoista dell’igiene di base assicurata con modalità organizzative di tipo collettivistico e cooperativo nelle unità di produzione rurali, in vigore dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, se si limitava solo ai servizi più elementari, ha comunque rappresentato un’importante garanzie per milioni di contadini. A partire dagli anni Ottanta, queste garanzie sono venute meno, il sistema è stato largamente privatizzato ed esposto ai meccanismi del mercato: perfino piccole cliniche rurali si sono trasformate in istituzioni private motivate da logiche di profitto. FIABE TRADIZIONALI Sogni di farfalle (Zhuangzi) Disse Zhuangzi: “Una volta, tanto tempo fa, sognai di essere una farfalla; fluttuavo nell’aria come un petalo, felice di fare ciò che volevo, non più consapevole di me stesso. Ma ben presto mi svegliai, e allora mi palpai freneticamente: ero proprio Zhuangzi! Mi domando: fu Zhuangzi a sognare di essere una farfalla, o fu la farfalla a sognare di essere Zhuangzi? Naturalmente, se considerate Zhuangzi e la farfalla, c’è differenza, fra di loro. Ma quella differenza non è dovuta ad altro che al loro mutare di forma”. La concubina che battè i ladri (Pu Songling) C’era una volta in Cina una nobile famiglia immensamente ricca. Essa aveva allevato una concubina molto gentile e bella, che era costantemente maltrattata dalla moglie del padrone di casa, che la batteva di continuo. La concubina obbediva alla moglie con rispetto. Il padrone aveva compassione per lei e spesso in segreto la confortava e si prendeva cura di lei. Dalle labbra della concubina non usciva mai la minima parola di risentimento verso la moglie. Una notte, parecchie decine di uomini penetrarono nella casa, superando il muro di cinta e scassinando il portone principale. Il padrone di casa e la moglie, impauriti, non sapevano a che santo votarsi. La concubina si alzò dal letto senza far rumore e, di nascosto, cercò a tentoni nella camera buia la pertica che serviva per trasportare a spalla le secchie dell’acqua. Trovatala, aprì la porta e uscì nel cortile, dove la banda dei ladri era 50 sparsa a dividersi il bottino. La concubina allora li affrontò facendo sibilare nell’aria la pertica dalle estremità munite di ganci metallici: quattro o cinque ladri furono abbattuti in men che non si dica, e tanto abile era la scherma della ragazza che gli altri furono sconfitti e fuggirono disordinatamente. Tanto erano sconvolti, che non riuscirono neppure a superare il muro e caddero a terra disperati. La concubina allora li apostrofò con dileggio: “canaglie come voi non son degne d’essere toccate dalle mie dita! È così che sperate di diventar ladri? Non vi ammazzo solo perché temo di insudiciarmi”, e li lasciò andare. Il padrone fu grandemente sorpreso e chiese alla concubina come avesse fatto. Ora, bisogna sapere che il padre della ragazza era maestro della scherma con il bastone e le aveva interamente trasmesso la propria arte, tanto che la ragazza non temeva di tenere testa anche a un centinaio di nemici. La moglie del padrone allora ebbe paura e si pentì di esser stata tanto crudele: da allora trattò la concubina con affetto, tanto più che quest’ultima non le mancava assolutamente mai di riguardo. Una donna del vicinato un giorno disse alla concubina: “tu hai battuto i ladri come se fossero porci e cani. Perché invece hai chinato la testa e sofferto le frustate della moglie del tuo padrone?”. “Perché era mio dovere”, rispose la concubina, “non avevo il diritto di parlar male di lei”. Coloro che sentirono queste parole ebbero allora stima ancora maggiore della giovane concubina. La volpe e la tigre Una volta la Tigre affamata catturò una Volpe, e stava già per mangiarsela quando la povrea bestia, che era debole quanto furba, disse: “Lasciami stare Tigre! Non lo sai che sono un messaggero del Signore Celeste, mandato sulla Terra per vedere se gli altri animali si comportano bene? Mangiami, e la collera del Cielo ti fulminerà all’istante”. La Tigre non sapeva se crederci o no, e allora la Volpe aggiunse: “Andiamo insieme dagli animali della foresta, così vedrai quanta paura hanno di me!”. “Va bene, andiamo” rispose la Tigre, che voleva proprio vdere come si sarebbero comportati gli altri animali. Cominciarono a passeggiare una accanto all’altra, e tutti, appena le vedevano, correvano a nascondersi nel fitto del bosco, oppure cercavano rifugio nelle tane o sugli alberi più alti. 51 “Dev’essere proprio un messaggero celeste, non c’è animale che non ne abbia paura” pensò la Tigre, e lasciò andare la Volpe. Solo che non si era accorta di una cosa: gli animali della selva non avevano affatto paura della Volpe, ma della Tigre che la accompagnava! Per questo il proverbio dice: “La Volpe prende in prestito il terrore della Tigre”5. RICETTE Anatra alla pechinese (Beijing kaoya) Celebre piatto di Pechino, famoso in tutta la Cina e consumato ovunque, anche come dianxin (o dimsum, in cantonese: “spuntino”). Ingredienti: 1 anatra da 1,5-1,75 kg, 1 cetriolo di media grandezza, tagliato a listarelle, 1/2 pugno di cipolle, tagliato in strisce sottili. Per la salsa: 2 cucchiai di olio di sesamo, 100 g di pasta di fagioli rossi in scatola, 3 cucchiai di zucchero. Per le crêpe: 300 g di farina, acqua, sale. Preparazione: Lavare l’anatra, asciugarla su di un foglio di carta da cucina, e appenderla in un luogo fresco e areato per far essiccare la pelle per 3 ore o più (meglio se una notte intera). Mettere l’anatra su di un vassoio metallico e metterlo sulla griglia del forno riscaldato a media altezza. Arrostire per 1 ora e 1/4 senza aprire il forno. Controllare se fuoriesce del liquido, l’anatra è pronta. Usando un coltello piccolo e affilato, tagliare la pelle in piccoli pezzi sottili e disporla su di un piatto da portata scaldato. Tagliare la carne allo stesso modo, e disporla a parte. Scaldare l’olio di sesamo in una piccola casseruola fino a quando inizia a fumare. Aggiungere la pasta di fagioli rossi e miscelare sul fuoco per 2 minuti. Aggiungere lo zucchero e continuare a miscelare sul fuoco per altri 2 minuti. Questa salsa può essere servita calda o fredda. Preparare le crêpes versando la pastella preparata con farina, acqua e sale, badando che non siano né troppo spesse, né troppo sottili. Servire la pelle e la carne d’anatra con la salsa, le crêpes e il cetriolo sminuzzato con le cipolle novelle, tagliate anch’esse in striscioline sottili. Ciascun commensale mette qualche pezzetto di pelle e carne su di una frittella, aggiunge della salsa, delle cipolle novelle e del cetriolo sminuzzato, avvolge con cura la frittella e la morde tenendola con le mani o, più educatamente, con le bacchette. Ravioli al vapore (jiaozi) I ravioli al vapore sono un piatto tipico della Cina settentrionale, ma sono popolari in tutto il paese e rappresentano uno dei modi più rapidi e meno 5 Lazzarato F., Ongini V., L’uomo che amava i draghi, Mondadori, Milano, 1992, p. 12. 52 costosi di sfamarsi, tanto che le raviolerie di strada costituiscono da sempre una sorta di fast food ante litteram. Ingredienti: 1/2 kg di farina, 400 g di carne di maiale tritata, 3 cipolline verdi o cipollotti, un pezzo di zenzero fresco (ca. 30 grammi), polvere d’aglio, 3 cucchiai di vino di riso (Shaoxingjiu oppure Huangjiu), oppure di un buon sherry secco, 1/2 cucchiaino di sale, 1/2 cucchiaino di glutammato monosodico, foglie di verza. Condimento: una ciotolina di salsa di peperoncino piccante (lajiang); una ciotolina in cui si mescolano in parti uguali salsa di soia scura e aceto bianco cinese, con un pizzico di coriandolo fresco tritato. Preparazione: Fare la pasta con l’acqua soltanto, senza uova. Impastare bene, anche con l’aiuto della macchinetta da pasta. Formare dei lunghi cilindri di pasta di circa due centimetri di spessore e tagliarli a intervalli regolari di due centimetri. Spargere farina su un ripiano e poi, con l’aiuto di un piccolo mattarello, premere ciascun piccolo disco di pasta fino a ridurlo a un disco rotondo di circa sei centimetri di diametro, avendo cura di mantenere la pasta un po’ più spessa al centro. Mescolare bene la carne trita con il vino di riso, l’aglio, lo zenzero e le cipolline tritate fini. I ravioli si fanno ponendo un disco di pasta nell’incavo formato dall’indice e il pollice della mano sinistra chiusi come per fare il gesto “okay” e mettendo un cucchiaino di ripieno al centro. Con la mano sinistra si pizzica e si piega il bordo esterno di pasta più sottile fino ad ottenere un raviolo a forma di mezzaluna, avendo cura di non far fuoriuscire il ripieno tra le pieghe della pasta: ogni raviolo dev’essere perfettamente chiuso. Si stendono una o più foglie di verza nel cestello di bambù per la cottura a vapore (o in altra pentola predisposta a tale scopo), e si cuociono per circa 10 minuti. Si servono immediatamente. I ravioli possono essere consumati con un pizzico di salsa piccante oppure si possono intingere nella ciotolina con il misto di salsa di soia e aceto, che ne facilita la digestione. POESIA Dalle prime raccolte di odi antiche attribuite alla scuola confuciana (Shijing, o libro delle odi), tra l’800 e il 600 a.C. fino ai giorni nostri, la produzione poetica cinese è ricchissima e fittamente intrecciata con lo sviluppo della prosa, del teatro e delle arti visive (pittura, calligrafia). Sfruttando a un tempo il valore icastico del segno scritto, che nel sistema di scrittura cinese è incomparabilmente maggiore di quello oggi riscontrabile in qualunque altra lingua scritta, e la particolare musicalità della lingua cinese, lingua sillabica e tonale la cui fonetica ha subito forti metamorfosi nel corso dei millenni, la poesia cinese è in grado di offrire sinestesie inusitate, cui è impossibile rendere pienamente giustizia in traduzione. Idealmente, le poesie cinesi non andrebbero soltanto declamate a voce alta per apprezzarne la metrica, la melodia (alcuni generi poetici, come il ci, sono costruiti su arie musicali specifiche), il suono, ma andrebbero viste e provate, seguendo con gli occhi e la mente il metatesto costituito dai caratteri impiegati per scriverle, un’esperienza che può essere 53 ulteriormente amplificata ammirando la poesia in una versione calligrafica particolarmente riuscita o, meglio ancora, scrivendola in bello stile mentre la si recita: segno, suono, gesto e significato costituiscono così una sola cosa, un palpito del pensiero intimo quanto il battito del cuore. Nelle diverse dinastie si sono sviluppati generi e stili diversi, dalla poesia “selvaggia”, di origine rituale e sciamanica come quella del poeta Qu Yuan (Chu ci, canzoni nello stile dello stato di Chu), all’epoca degli Stati Combattenti, a quella dotta e virtuosistica di epoca Han (quando si afferma il fu, un recitativo ritmato basato sul Chu ci), in cui eccelle il poeta Sima Xiangru. Nel cosiddetto medioevo cinese, seguito al crollo della dinastia Han nel 220 d.C. e protrattosi fino alla riunificazione dell’impero sotto i Sui e i Tang nel VII sec. d.C., si affermano stili poetici più liberi quanto ai temi e spesso esasperatamente sofisticati sul piano formale: è il momento in cui la poesia si definisce pienamente come genere e come attività creativa individuale. Il poeta maggiore di questo periodo è Tao Qian (o Tao Yuanming, 365-427). La poesia popolare del Sud tratta soprattutto temi d’amore, mentre quella del Nord è influenzata dalla vita nomade e guerriera dei popoli della steppa (come nella celebre Ballata di Mulan). Le dinastie Tang e Song (618-906; 960-1279) sono considerate l’età dell’oro della poesia cinese: ampie raccolte (Le trecento poesie Tang, Le trecento pesie Song) compendiano una produzione poetica davvero sterminata (un’antologia Tang ne raccoglie quasi cinquantamila, ad opera di duemila autori!), e nomi come quelli di Li Bai (o Li Po), Meng Haoran, Wang Wei, Dufu, Bai Juyi, Li Shangyin e Yuan Zhen, tra i poeti Tang, e Su Dongpo, Ouyang Xiu, Wang Anshi, Lu Yu e Li Qingzhao, tra i poeti Song, hanno raggiunto una solida notorietà anche in Occidente. La Cina contemporanea, attraversata da nuove inquietudini e aperta a influenze globali, sembra offrire spunti per una riscoperta della poesia cinese e dei suoi nuovi giovani alfieri (come quelli della corrente poetica menglong, “oscura”), tra cui si ricordano Bei Dao, Mang Ke e Yang Lian, ma le loro opere in traduzione italiana sono tuttora piuttosto rare. LETTERATURA Le origini della letteratura cinese coincidono con l’elaborazione di un sistema di scrittura unico al mondo e preservatosi intatto fino ai giorni nostri, che raggiunge forma compiuta in testi letterari verso i secoli XI-X secolo a.C., durante la dinastia Zhou. Le opere letterarie sono scritte su seta e bambù fino al II secolo d.C., quando si afferma l’uso della carta. Fino al primo decennio del novecento nei testi ufficiali, nella saggistica e nella poesia si impiega solo la lingua letteraria (il cinese classico), mentre la lingua parlata comincia a venire adottata nei testi teatrali e nella novellistica a partire dalla dinastia Yuan (XIII sec.). Orientarsi nel mare magnum della sterminata produzione letteraria cinese non è cosa semplice: in lingua italiana esistono testi scritti da sinologi nostrani che possono offrire un utile guida alla lettura sono reperibili anche valide 54 versioni delle opere essenziali. Nella breve bibliografia specifica elencata qui sotto si annoverano, oltre a tali testi introduttivi, anche le migliori traduzioni (spesso tratte da versioni in altre lingue europee, più raramente redatte in base al testo cinese vero e proprio) dei principali testi che compongono il Si Shu Wu Jing (lett. “i quattro libri e i cinque classici”, il canone dell’ortodossia confuciana, che ogni letterato-funzionario cinese conosceva a memoria) e le versioni parziali di tre dei quattro più famosi romanzi cinesi. I quattro libri sono: L’Immutabile Centro (Zhongyong), Il Grande Studio (Daxue), i Dialoghi (Lunyu), ovvero i tre testi che la tradizione attribuisce a Confucio e il Mencio (Mengzi), opera del suo discepolo più celebre. I cinque classici sono: il Libro dei Mutamenti (Yijing), il Libro delle Odi (Shijing), il Libro dei documenti (Shujing), le Memorie dei riti (Liji) e gli Annali delle primavere e degli autunni (Chunqiu). Le quattro maggiori opere di narrativa sono: Il Sogno della Camera Rossa (Hongloumeng), I Briganti (Shuihuzhuan), Il Viaggio in Occidente (Xiyouji, meglio noto come Lo scimmiotto), il Romanzo dei Tre Regni (Sanguo zhi yanyi). A questi se ne potrebbe aggiungere un quinto, a lungo “libro proibito”, ma pienamente degno della qualifica di capolavoro: il romanzo erotico Chin P’ing Mei (Jinpingmei, o “fior di prugno in un vaso d’oro”), di attribuzione incerta. Nella nostra lingua sono inoltre reperibili piccoli capolavori della letteratura cinese delle varie dinastie, come le novelle di Pu Songling e di Feng Menglung, testi filosofici, alchemici e sapienziali (soprattutto di scuola taoista), chicche erudite come il raffinato canone di estetica di Liu Xie (il Wen Xin Diao Long, “gli ornamenti dello spirito letterario”) e anche molta letteratura moderna e contemporanea. Per esigenze di brevità si citerà qui soltanto una piccola scelta di autori moderni e contemporanei: capiscuola come Lu Xun (forse il primo autore cinese davvero moderno per inquietudini e sensibilità); essenziali e sangugini come Mo Yan e Zhong Acheng, protagonisti degli ultimi anni Ottanta; provocatori e disincantati come Wang Shuo, Yu Hua e Mian Mian (tutti autori degli anni Novanta, protagonisti di una nuova scrittura disinibita, cruda e iconoclasta); figure a cavallo tra oriente e occidente come Gao Xingjian (Premio Nobel per la Letteratura) e Dai Sijie, entrambi esuli in Francia e forse più noti in Europa che in patria. Per un’introduzione più esauriente alla letteratura cinese si rimanda il lettore alle antologie e ai testi critici citati. Infine, molto vasta è anche la letteratura degli emigranti cinesi, soprattutto quelli stabilitisi negli Stati Uniti, dove a partire dagli anni Ottanta la fioritura di romanzi e racconti ispirati dall’esperienza della propria esperienza personale e familiare di emigranti è divenuta un vero fenomeno letterario: in italiano sono state tradotte soprattutto le opere di Amy Tan. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Anonimo, (a cura di), Jaher P., Rissler Stoneman M.-L., Cescatti O. (a cura di), Chin P’ing Mei. Romanzo erotico cinese del secolo XVI, Feltrinelli, Milano, 1988. Anonimo (a cura di) Kuhn F., I briganti. Antico romanzo cinese, 55 Einaudi, Torino, 1995. Benton G., Pieke F.N. (a cura di), The Chinese in Europe, Macmillan, BasingstokeLondon, 1998. Bertuccioli G., La letteratura cinese, Sansoni, Firenze-Milano, 1968. Boccali G., “La letteratura cinese”, in Enciclopedia Garzanti della Letteratura, Garzanti, Milano, 1997, pp. 1283-1286. Bozza E. 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SITOGRAFIA www.china.org.cn: portale ufficiale della rete internet cinese, ricco di informazioni e notizie sul paese e la sua cultura (in lingua inglese). www.chinabroadcast.cn: sito in lingua italiana di Radio China International. www.italiacina.org: sito dell’Associazione Italia-Cina. www.italiacinami.org: sito del Circolo di Milano dell’Associazione Italia-Cina. chineseculture.about.com: pagine web di About.com dedicate alla cultura cinese (in lingua inglese), ricchissime di informazioni, approfondimenti e forum su argomenti controversi legati alla cultura cinese. www.tuttocina.it: il portale sulla Cina dell’Istituto Italo-Cinese. www.cinaoggi.it: un portale sull’attualità cinese, con un’utile scelta di link. www.who.int: sito dell’organizzazione mondiale della sanità, dove sono reperibili informazioni aggiornate sulle condizioni del sistema sanitario cinese. 57 DANZE Oltre alla principale etnia cinese Han (94% della popolazione) vivono nel Paese altri cinquantacinque gruppi etnici. Ogni minoranza ha una propria lingua tradizionale, una propria cultura e quindi proprie specifiche danze. Nella regione dello Yunnan, al confine con Birmania, Laos e Vietnam, le danze sottolineano momenti di festa tradizionale come quella delle Torce in cui si danza intorno al fuoco e la festa della Grande Montagna durante la quale tutti gli abitanti dei villaggi si recano presso i piedi della più alta montagna suonando gli strumenti tradizionali. Attraverso il canto e la danza, tutti gli abitanti della vasta Cina esprimono gioia, collera, tristezza e piacere. 58 Egitto di Chiara Lainati DATI GENERALI 6 Confini L’Egitto confina a Nord con il Mar Mediterraneo, ad Est con Israele e il Mar Rosso (e quindi l’Arabia Saudita), a Sud con il Sudan e a Ovest con la Libia. Abitanti: 67.960.000. Estensione geografica: kmq 1.001.449. Continente: Africa. Densità di popolazione: 68 ab./kmq. Incremento demografico: 2,2% (1975-2002). PIL pro-capite (US $): 3.810 Vita media. 68,6 anni (f. 70,8; m. 66,6). Mortalità infantile 0-5 anni: 41/1000. Tasso di alfabetizzazione della popolazione adulta (15+ anni): 55,6% (f. 43,6%; m. 67,2%). Tasso di alfabetizzazione della popolazione giovane (15-24 anni): 73,2%. Lingua ufficiale: arabo. Altre lingue: dialetto arabo-egiziano, inglese e francese. Religione/i: musulmani (soprattutto sunniti) (89%), ortodossi (copti) (10%), protestanti (1%). 6 Fonte: UNDP (United Nations Development and Population), Human Development Report 2004: I dati si riferiscono al 2002 se non indicato diversamente. 59 Gruppi etnici: arabi e berberi (99%), greci, nubiani, armeni ed europei (italiani e francesi soprattutto) (1%). Regime politico: Repubblica Presidenziale (Presidente: Hosni Mubarak, eletto nel 1981, il suo mandato è stato confermato nelle successive tre elezioni). LE FESTE PRINCIPALI Feste civili: FESTA DELL’UNIONE (22 febbraio) GIORNO SINAI (25 aprile). DI LIBERAZIONE DEL FESTA (Sham En-Nassim): si tratta di un’antica festa di origine pagana, già conosciuta nell’Egitto dei Faraoni che per il suo sincretismo religioso avvicina nei festeggiamenti sia i copti che i musulmani, per celebrare la terra e la natura. Si festeggia nel lunedì di Pasqua copta. La tradizione vuole che si regali un fiore di loto alla donna amata. FESTA REPUBBLICA (18 giugno): si commemora il ritiro delle truppe straniere e la proclamazione della Repubblica nel 1952. DI PRIMAVERA DELLA GIORNATA DELLA RIVOLUZIONE (23 luglio): si commemora l’anniversario della fine del Governo monarchico egiziano e la fondazione della Repubblica nel 1952. Giornata osservata anche in Libia. GIORNO DELLA VITTORIA DI SUEZ (24 ottobre): Nel 1973 il cessate il fuoco degli Israeliani d’Egitto nel Canale di Suez restituì il controllo dello stesso all’Egitto. GIORNO DELLA VITTORIA (23 dicembre). Feste religiose: in Egitto il calendario delle feste religiose viene scandito soprattutto dal calendario islamico (Hijiri) i cui mesi seguono il ciclo lunare. Ciò comporta che le date varino di anno in anno. RAS AS-SANA: la festa musulmana del nuovo anno. MOULID AN-NABI: compleanno del profeta Maometto. RAMADHAn: si festeggia nel nono mese del calendario islamico e per i musulmani è uno degli avvenimenti più importanti dell’anno. Infatti la festività ricorda che in questo mese avvenne la rivelazione del Corano al profeta Maometto. Per i fedeli adulti in pieno possesso delle facoltà mentali (ad eccezione delle donne in fase di ciclo mestruale o puerperio) è obbligatorio la pratica del digiuno e dell’astensione dal bere, dal fumo e dai rapporti sessuali dall’alba al tramonto. (FESTA DELLA ROTTURA DEL DIGIUNO): primo giorno del mese successivo a quello di Ramadhan che sancisce la fine definitiva del digiuno. EID AL-FITR EID AL-KEBIR 60 (GRANDE FESTA); ‘EID AL-ADHAH (FESTA DEL SACRIFICIO): si commemora il miracolo compiuto da Allah quando sostituì il figlio che Abramo stava sacrificando in nome della fede ad Allah, con un agnello. Designa anche il periodo dell’anno in cui si svolge il pellegrinaggio alla Mecca, che ogni musulmano è tenuto a compiere almeno una volta nella vita. FESTA MOULID: in ogni villaggio vengono celebrate feste popolari nel giorno del Moulid, in onore dell’antenato del villaggio stesso. DEL In Egitto esiste però anche un’importante minoranza (10-15%) copta (la parola “copto” deriva dall’arabo “qibt”, forma abbreviata della parola greca “aigyptios”, egiziano) che ha un’altro calendario di feste molto simile a quello cattolico, essendo una religione di radici cristiane. A Capodanno le famiglie celebrano le festività secondo antichi riti che ricordano quelli già praticati al tempo dei Faraoni. Il Natale copto cade il 7 gennaio (nel 2003 è stato proclamato giorno di festa nazionale) e l’Epifania viene celebrata il 18 o il 19 febbraio. La Pasqua (Aid El-fish) segue invece il calendario lunare (periodo marzo-aprile). Il Cairo Vecchio celebra ogni anno con grande devozione San Giorgio: i cristiani escono in processione con le torce per le strade del quartiere, accompagnati dai canti e dai ritmi delle percussioni. IL SALUTO: Assalam Aleikoum! (la pace sia con voi!) Kwais? (Stai bene?). CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE: nelle case spesso si offre il tè. IMMIGRAZIONE IN ITALIA L’Egitto ha raggiunto l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1922 e si costituì come monarchia. Nel 1952 Gamal Abdel Nasser rovesciò la monarchia di re Farouk prendendo il potere con un colpo di stato. Si inaugurò così la Repubblica fondata su una politica di stampo socialista che ha apportato profonde trasformazioni nel paese. Nel corso di questo periodo l’Egitto è stato sottoposto a grandi cambiamenti sociali e dopo una serie di avvicendamenti politici in cui il paese si è aperto anche all’Occidente con la politica dell’Infitah (“porte aperte”), dal 1981 il presidente è Hosni Moubarak. La maggior parte della popolazione vive lungo le rive del Nilo e nel suo Delta, il cosiddetto Basso Egitto, il resto (ben il 96% del territorio) è costituito da zone desertiche. La tripartizione dell’Egitto tra i governatorati urbani (Cairo, Alessandria e centri urbani del Delta del Nilo), il Basso Egitto e l’Alto Egitto (il Sud) ha un’importanza intrinseca nella definizione delle differenze socioculturali interne al paese. I governatorati urbani sono fortemente cosmopoliti e tutti concentrati a Nord; la prossimità del Basso Egitto alle zone urbane ne ha fatto una regione che ha conosciuto uno sviluppo economico notevole; l’Alto Egitto è invece un’area prevalentemente agricola e rurale e nella storia ha svolto 61 un ruolo di periferia, soprattutto per la forte centralizzazione dello sviluppo avvenuto a Nord dove si trova la capitale. A questa ripartizione sociogeografica si sovrappongono poi le vicende storiche, tra le quali è importante ricordarne in particolare una. Prima dell’invasione islamica iniziata nel VII secolo gli abitanti del paese erano in netta maggioranza cristiani e parlavano la lingua copta. Attualmente invece è l’Islam che costituisce la religione di stato e il codice civile cui tutti possono appellarsi è modellato sulla sha’ria (legge islamica). La popolazione copta dunque costituisce una minoranza, sebbene rilevante perché arriva a costituire il 15%, che spesso rivendica maggiori spazi di espressione e di tolleranza in un contesto in cui è forte il processo di islamizzazione, soprattutto negli ultimi anni. Questa situazione conduce la minoranza copta a trasmettere un forte senso di appartenenza ai suoi fedeli, anche perché in Egitto chi non dichiara la propria appartenenza religiosa ricade sotto la legislazione di radice islamica; essendo i matrimoni misti regolati da questa legislazione, si incoraggiano matrimoni all’interno della comunità. Sebbene le prime presenze in Italia di cittadini egiziani risalgano agli anni Sessanta (in particolare ebrei e cristiani copti che dopo la crisi di Suez del 1956 erano invisi al governo nasseriano), i primi importanti flussi migratori cominciano negli anni Settanta quando la politica del presidente Sadat apre ai paesi europei (politica dell’Infitah inaugurata nel 1974) con il conseguente abbattimento dei vincoli che fino a quel momento avevano limitato l’emigrazione di massa, facendola diventare un fattore strutturale di impiego. L’obiettivo era quello di favorire l’ingresso di capitale estero. In quello stesso periodo l’Egitto firma un accordo con l’Italia che consente ai cittadini egiziani di ottenere facilmente un visto turistico valido da tre a sei mesi. Con l’attuazione delle politiche di chiusura dei paesi europei che fino ad allora erano state le mete privilegiate, l’Italia diventa una destinazione alternativa attraente. Milano costituisce una delle realtà più significative della presenza egiziana in Italia. Agli inizi degli anni Ottanta poco meno della metà degli egiziani residenti in Italia (3.751) si trovavano in Lombardia (1.602) ma l’incremento più vistoso in Italia lo si ha tra il 1989 e il 1990 con la legge Martelli che ha rappresentato l’occasione non solo per fare emergere i lavoratori egiziani già presenti in Italia ma anche per richiamare un gran numero di nuovi arrivi: nel giro di un anno i permessi di soggiorno raddoppiano passando da 10.209 unità a 19.814. Da quel momento in poi il flusso sembra stabilizzarsi con alcuni picchi riconducibili ai ricongiungimenti familiari che negli anni Novanta costituiscono una delle componenti migratorie più importanti. Alla fine del 2003 gli egiziani in Italia sono 44.798 e parte di questo importante incremento è dovuto all’emersione di circa 15.000 cittadini con la regolarizzazione del 2002. La maggior parte degli immigrati egiziani che risiedono in Italia provengono dalle grandi città come il Cairo ed Alessandria, dopo aver già sperimentato in molti casi una migrazione interna al paese dalla campagna alla città. Altre zone di provenienza importanti sono gli agglomerati minori intorno al Delta del Nilo (Tanta, El Mansura, Port Said, Ismailia, Suez) e alcune località dell’Alto Egitto (Aswan, ecc.). 62 Le migrazioni dall’Egitto all’Italia si sono sempre caratterizzate per la forte componente maschile che però a partire dagli inizi degli anni Novanta è stata stemperata con il fenomeno dei ricongiungimenti familiari e delle nascite. All’inizio del 2003 le donne egiziane presenti sul territorio italiano costituiscono il 23% della popolazione egiziana. Agli inizi si trattava di persone con un livello di istruzione piuttosto elevato che poi nel tempo ha avuto la tendenza ad abbassarsi. La maggior parte della presenza femminile è costituita da donne coniugate (87% all’inizio del 2003) che si sono ricongiunte subito dopo essersi sposate al paese con il marito che aveva iniziato già da tempo l’esperienza in Italia; oppure si tratta di donne già sposate che dopo aver vissuto a lungo una separazione in attesa di una stabilizzazione economica del marito in Italia, lo hanno raggiunto. Ciò non toglie che, comunque, esistano esperienze di donne giovani e adulte immigrate al seguito di fratelli o di genitori o anche sole e che qui abbiano trovato una loro collocazione lavorativa e professionale. Inoltre molto ricorrenti sono i matrimoni misti tra uomini egiziani e donne italiane. La collocazione lavorativa dei cittadini egiziani è eterogenea e non presenta fenomeni di particolare etnicizzazione settoriale (se non forse nel settore della ristorazione): oltre ad una presenza diffusa nel settore edile e metalmeccanico, sono presenti sia come lavoratori subordinati che come imprenditori nella ristorazione e nei servizi di pulizia e di manutenzione. MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI La famiglia in tutte le sue accezioni costituisce l’universo di riferimento fondamentale per quel che riguarda l’educazione dei figli. È il luogo dove si svolgono anche i principali conflitti perché costituisce il gruppo da cui ci si aspetta sostegno e solidarietà ma è anche il gruppo che esercita un’istanza di controllo sociale e di rispetto delle norme. I giovani si trovano a vivere esperienze spesso nettamente differenti da quelle vissute dai loro genitori. La forte politica di alfabetizzazione avvenuta negli ultimi anni ha comportato divari culturali importanti tra la generazione dei figli e quella dei genitori. I ragazzi si trovano in una posizione di mediatori rispetto ai cambiamenti, cosa che spesso fa entrare in crisi i modelli di crescita ed educativi proposti dai genitori. Tale tensione è particolarmente evidente nelle zone dell’Alto Egitto dove i luoghi di socializzazione esterni alla famiglia, soprattutto per le ragazze, sono fortemente limitati e le promiscuità sono più sanzionabili dalla comunità. In emigrazione questo aspetto si accentua ancora di più perché oltre allo spiazzamento dovuto al cambiamento di contesto socio-culturale della propria quotidianità, entrano in gioco le difficoltà comunicative legate alla lingua che costituiscono un ostacolo soprattutto per i genitori. L’educazione dei figli si impronta sul fondamentale rispetto dei genitori, in particolare del padre che costituisce l’autorità familiare in assoluto. I modelli educativi sono piuttosto differenziati tra maschi e femmine, c’è in altre parole la tendenza a impostare una specifica divisione dei ruoli fin da piccoli: si promuove la socializzazione dei maschi fuori di casa e si tende a trattenere le 63 femmine in casa o comunque ad esercitare su di loro un maggior controllo e protezione, soprattutto con l’ingresso nella pubertà. Questo anche perché le ragazze sono depositarie dell’onore e quindi dell’unità familiare ed è importante salvaguardare questo valore. I ragazzi rimangono in casa finché non si sposano, è difficile che vivano da soli, se non per motivi di studio che li portano a spostarsi in altre città. Il matrimonio è una tappa fondamentale della crescita dei figli ed è quella dove maggiormente si manifestano le tensioni e le contraddizioni. Nonostante ci siano delle regole ascritte intorno al matrimonio che prevedono una rigida divisione dei ruoli di genere e delle famiglie dei partner, la realtà dell’istituzione è molto più complessa e manipolabile. Sebbene le modalità di scelta del partner si differenzino a seconda dei ceti sociali e delle regioni di provenienza, è ancora forte la pratica del matrimonio combinato. Con questa pratica viene affermata la concezione del matrimonio come un’alleanza e cooperazione tra due parti, due famiglie che vogliono garantirsi una maggior sicurezza economica e integrità morale, piuttosto che l’unione tra due vite. Questo è un elemento culturale che spesso si discosta dal modello occidentale che invece si basa maggiormente sull’individuo. È inoltre una pratica che a volte può diventare un’imposizione soprattutto sulla donna ma anche sull’uomo, in altri casi invece viene considerata come una scelta che fa parte del ciclo di vita. Una volta sposati laddove è possibile si privilegia la patrilocalità, cioè si vive nei pressi della famiglia dello sposo, dal momento che spesso è lui quello che deve procurare l’alloggio e quanto serve per il mantenimento materiale della famiglia. MODELLI DI CURA Le abitudini e le pratiche curative afferiscono alla sfera popolare e religiosa ma sempre più spesso anche alla medicina moderna. La donna è spesso la maggiore depositaria di questi saperi ed è lei che si prende maggiormente cura della salute dei figli. I saperi si differenziano profondamente tra una generazione e l’altra: si possono trovare donne depositarie di conoscenze approfondite sull’uso delle erbe medicinali e che si assumono l’incarico di curarsi e di curare, e donne che invece delegano completamente la cura del corpo a medici e tecnici. Nella regione dell’Alto Egitto queste pratiche sono ancora molto forti, soprattutto in ambito riproduttivo. Le dayah, le ostetriche tradizionali, sono quelle che si prendono cura di tutto il ciclo fino al parto e alla prima fase post-parto. Nella tradizione islamica il periodo che segue il parto è un periodo di riposo che corrisponde a una fase di impurità della puerpera che dura quaranta giorni. Nel caso sia periodo di Ramadhan la donna è sollevata dalla pratica del digiuno. In questo momento la madre e la rete di donne della famiglia e le vicine la sostengono nell’accudimento del neonato. L’uomo rimane molto spesso ai margini. Un’abitudine che si riscontra trasversalmente in tutti i paesi del Nord Africa è quella legata alle pratiche di protezione dal malocchio. L’amuleto più diffuso è la mano di Fatima che protegge dagli sguardi considerati pericolosi. Il 64 potere rituale di questo simbolo sta nel numero cinque (cinque dita della mano): i dogmi della religione islamica sono cinque come pure le preghiere che un credente deve fare durante la giornata. La mano di Fatima è spesso accompagnata anche da altri simboli popolari come il cornetto rosso ma anche dal sacro Corano in miniatura. Questa usanza è piuttosto diffusa non solo nelle campagne ma anche nelle città ed è ricorrente in ogni ambito sociale. MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE La famiglia e la scuola sono i principali contesti di socializzazione dei bambini e delle bambine. Nelle città più grandi e tra le classi sociali più abbienti è ricorrente la pratica di attività sportive tra i giovani adolescenti. Il gioco del calcio tra ragazzini per le strade è un fenomeno esteso. Come già si è accennato, vigono regole, che talvolta si possono considerare anche di pura convenienza sociale, che tendono a promuovere la socializzazione dei maschi fuori di casa e a trattenere le femmine in casa o comunque ad esercitare sulle ultime un maggior controllo e protezione, soprattutto con l’ingresso nella pubertà. MODELLI E STILI FAMILIARI LA VITA SOCIALE DELLE FAMIGLIE E IL RUOLO DEI GENITORI: è ricorrente rappresentarsi la famiglia araba in modo univoco e a partire dall’ideale di famiglia nucleare occidentale si estende la concezione al modello arabo che si considera nella sua struttura allargata e corporativa in cui la diade madre-figlio rappresenta l’elemento universale. In realtà in Egitto, anche se in misura minore rispetto ad altri paesi arabi della regione Nordafricana, la struttura familiare è molto più complessa e non è solo definita dai legami biologici. Sebbene il riferimento possa essere quello della famiglia allargata, le relazioni che intercorrono possono essere manipolabili e estendibili oltre i vincoli biologici (amicizia, vicinato, ecc.). È di più la qualità delle relazioni a definire il vincolo familiare piuttosto che la categoria familiare di appartenenza della persona. A questa caratteristica si aggiunge il fatto che ci sono altre variabili che contribuiscono a determinare l’estensione del nucleo, in primis l’appartenenza sociale e il contesto abitativo. In Egitto la disparità tra gruppi sociali è molto elevata, sia per il fatto che esiste ancora una forte polarizzazione tra campagna e città, sia per il fatto che anche nelle città convivono culture e subculture particolarmente differenti, dovute anche agli ingenti flussi migratori che dalle campagne si concentrano nelle periferie e nelle bidonville delle città. I genitori svolgono un ruolo di guida importante e vige una particolare forma di rispetto nei loro confronti: il padre rappresenta l’autorità della famiglia, colui che si occupa della crescita dei figli e del loro ingresso nella società; la madre è quella che si prende 65 maggior cura dell’educazione e della crescita quotidiana dei figli. Nel diritto di famiglia egiziano musulmano c’è ancora una forte disparità rispetto al ruolo della madre e del padre nelle decisioni da prendere in merito al proprio nucleo familiare e così avviene spesso nella prassi quotidiana. Ciò non toglie che comunque in molti casi la donna possa avere una sua autonomia nella gestione dei rapporti familiari e nei processi decisionali rispetto ad alcuni ambiti quali ad esempio l’amministrazione domestica. Come già spiegato, il matrimonio è un momento fondamentale nella vita di una famiglia. L’età di contrazione del matrimonio si sta innalzando, soprattutto per quel che riguarda le donne che, accedendo maggiormente all’istruzione, preferiscono ultimare il percorso di studi prima di sposarsi. È ricorrente che vi sia un importante scarto di età tra uomo e donna: spesso l’uomo è più anziano della donna di almeno 5-10 anni se non di più e possiede un livello di istruzione superiore. ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: il diritto egiziano non prevede il cognome così come avviene nella giurisdizione italiana. Bensì l’appartenenza ad una famiglia viene definita da un doppio patronimico: nome del figlio – nome del padre – nome del nonno paterno. In Egitto tale triade è obbligatoria. Siccome la normativa italiana prevede un nome e un cognome, per conciliare le due normative, in genere è ricorrente un accordo con il Consolato locale in base al quale l’ultimo nome che compare sul passaporto del cittadino egiziano viene considerato il cognome richiesto in Italia. ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: in Egitto prevale lo jus sanguinis per via paterna. Ne consegue che una madre egiziana non può trasmettere la sua cittadinanza al figlio, anche se questo nasce su territorio egiziano; il padre invece trasmette automaticamente la sua cittadinanza sia sul territorio egiziano che in un altro paese. È importante però che sia stato contratto un matrimonio, anche dopo la nascita del figlio. FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO: il riconoscimento paterno dei figli può avvenire solo se alla base esiste un matrimonio legalmente valido. Nel caso questo non si verifichi è possibile contrarre il matrimonio subito dopo la nascita al fine del riconoscimento. Non può quindi esserci riconoscimento paterno e quindi tutela del bambino senza matrimonio. Nel caso in cui la coppia non sia sposata la donna, cui si riconosce invece la maternità anche solo per generazione biologica, può ottenere un provvedimento di riconoscimento per il padre ma si tratta di una procedura complessa. Altrimenti il bambino è dichiarato figlio di ignoti (esistono Istituti che si occupano della tutela dei bambini). L’adozione non è riconosciuta. REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: il bambino può essere iscritto nei registri di Stato Civile egiziani solo se in precedenza è stato registrato il matrimonio nell’ambito del quale è stato concepito. Nel caso di famiglie immigrate, l’iscrizione avviene sia nel Comune di residenza che al Consolato, solo previa richiesta del padre, del fratello del padre o del padre del padre. CONTRATTO DI MATRIMONIO: il matrimonio è un contratto civile che deve venire registrato presso le competenti Autorità Egiziane. A seconda della 66 religione di appartenenza vengono applicati diversi codici giuridici. Il matrimonio copto è di impronta cristiana, quindi molto simile a quello occidentale, cioè dà vita ad una nuova entità indissolubile in cui il divorzio non è contemplato. Il matrimonio musulmano invece prevede una precisa codifica del ruolo dell’uomo e della donna che permangono entità separate fino alla nascita dei figli (ad esempio vige la separazione dei beni); la separazione non è quindi una minaccia all’unità familiare. La divisione dei compiti, così come stabilita dal codice, prevede una subordinazione della donna all’uomo: essa deve obbedienza al marito che è il responsabile della famiglia, non è cioè contemplata una corresponsabilità così come invece è stata prevista nella recente riforma del Marocco e nel Codice dello Statuto Personale della Tunisia. Un altro elemento importante del matrimonio musulmano consiste nella dote (mahr) che l’uomo deve dare alla donna e costituisce l’oggetto del contratto di matrimonio stesso. In molte zone dell’Egitto la dote ricopre ancora un ruolo molto importante perché è l’elemento che fornisce una certa garanzia materiale alla donna. Persiste inoltre la pratica della poligamia. Questa apparente dicotomizzazione tra copti e musulmani assume poi però sfumature diverse che soprattutto in emigrazione possono variare fortemente a seconda dei progetti migratori in atto. DIRITTI DEI MINORI: in Egitto il lavoro minorile costituisce un’importante componente dell’economia informale privata, soprattutto per quel che riguarda il settore agricolo, la piccola impresa manifatturiera e artigianale. Per lungo tempo questo argomento è stato tabù e non esistono statistiche governative che analizzano questo fenomeno. Secondo alcune recenti rilevazioni internazionali ci sono più di due milioni di bambini impiegati a tempo pieno sul mercato egiziano che contempla circa diciotto milioni di lavoratori. Nel 1990 il governo ha ratificato la Convenzione sui Diritti sul Bambino. Da allora sono stati sostenuti diversi programmi per scoraggiare tale fenomeno, tra i quali si segnala quello lanciato dal Consiglio Nazionale per l’Infanzia e la Maternità che fornisce sussidi alle famiglie meno abbienti ma anche servizi educativi e sanitari per i bambini lavoratori. DIRITTI DELLE DONNE: nel 1981 l’Egitto ha ratificato la Convenzione sull’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione Contro le Donne (CEDAW) ma mantiene ancora riserve dovute alla conflittualità con la legge islamica. A livello governativo sono stati istituiti degli enti preposti alla promozione della parità dei generi (nel 2000 ad esempio è stato fondato il Consiglio Nazionale delle Donne sotto la direzione della moglie del presidente, e così anche altre istituzioni) ma sono misure che difficilmente riescono a penetrare nel tessuto sociale del paese. In materia di codice civile e di diritto di famiglia ad esempio, un’interpretazione conservatrice della sha’ria (legge islamica) vede ancora una forte subordinazione della donna all’uomo, con una limitazione forte dei diritti della donna. DIVORZIO E SEPARAZIONE: le leggi che riguardano il matrimonio e lo statuto personale corrispondono generalmente alla religione dell’individuo. Nella legislazione musulmana, che costituisce la base del diritto di famiglia egiziano, 67 le procedure di divorzio sono diverse nel caso si tratti di un uomo o di una donna e generano discriminazioni soprattutto nei confronti della seconda. A differenza di altri paesi come la Tunisia (uno dei primi paesi arabi ad aver adottato un’interpretazione moderna della sha’ria applicata al codice di famiglia) e il Marocco (che nel 2004 ha modificato lo statuto personale della donna con una esegesi più moderna della sha’ria), l’Egitto ha mantenuto una posizione conservatrice. L’uomo può esercitare il ripudio senza nessuna restrizione, mentre la donna invece può chiedere il divorzio solo se può dimostrare i maltrattamenti subiti. Solo nel 2000 la donna può accedere liberamente ad un’altra forma di divorzio (khul) dove però si deve sottoporre a complesse procedure giuridiche e deve rinunciare totalmente alla dote (mahr) e a qualsiasi altra rivendicazione finanziaria nei confronti del marito. Sebbene sia stato istituito un fondo per gli alimenti per la donna e i figli, ancora molto si deve fare in termini giuridici e burocratici. Le procedure infatti sono molto lente e le donne in fase di separazione sono ancora legalmente sotto la tutela del marito e non possono quindi accedere al sistema di assistenza sociale del paese. A ottobre 2004 sono stati istituiti dei Tribunali familiari incaricati di seguire esclusivamente i casi di divorzio per ovviare alla lentezza dei procedimenti ma questo non apporta nessun cambiamento rispetto alla discriminazione giuridica che persiste nelle modalità di accesso al divorzio per le donne. SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI Il sistema scolastico egiziano ha assunto importanti elementi occidentali. Negli anni della colonizzazione britannica (1882-1922) vi fu un importante sviluppo della politica educativa sul modello di quella occidentale. La scuola comprendeva due sistemi paralleli: quello delle scuole coraniche (kuttab) a cui era più facile che ci accedessero anche gli strati più poveri della popolazione ma che non prevedeva una prosecuzione degli studi; quello invece costituito dalle scuole pubbliche e a pagamento (in lingua francese e poi in lingua inglese) a cui accedevano i ceti più abbienti e che permetteva poi l’accesso agli studi superiori. Con la proclamazione dell’indipendenza, nella Costituzione (1923) si sancì l’obbligatorietà dell’insegnamento primario per tutti, maschi e femmine e successivamente il sistema scolastico fu gradualmente integrato. Il sistema scolastico attuale però ha le sue radici nella rivoluzione compiuta da Nasser che garantì definitivamente il diritto all’istruzione di base e alla gratuità della scuola. Nel 1984 l’obbligo scolastico è stato esteso alla scuola media e nel 1999 l’obbligo è stato esteso ad un periodo di nove anni, per tutti i ragazzi fino ai 15 anni di età. Tuttavia ci sono ancora molti progressi da fare. Esistono infatti forti disparità nell’accesso scolastico soprattutto tra zone urbane e zone rurali e anche tra maschi e femmine. L’insufficienza di infrastrutture e la scarsa qualità dell’insegnamento pubblico ha incrementato l’offerta privata, promossa anche dal governo, generando così forti divari tra gli strati della popolazione. I gravi problemi economici di molte famiglie spingono a ritirare presto i figli dalla 68 scuola, soprattutto le femmine. Il governo sta comunque attuando da anni programmi volti a favorire la scolarizzazione femminile e a debellare l’abbandono scolastico. Accanto alla scuola laica esiste un sistema di scuole religiose che può essere identificato in due filoni: il primo che fa capo al Al-Azhar, l’autorità religiosa nazionale, le cui scuole coraniche riformate affiancano al programma nazionale uno studio più approfondito della religione ma sono scarsamente diffuse. Più ricorrenti sono invece le scuole coraniche tradizionali che accolgono bambini in età prescolare o che insegnano dottrina ai bambini che frequentano il sistema scolastico formale. L’insegnamento primario è di competenza del Ministero dell’Educazione, l’insegnamento superiore e universitario invece è di competenza di un altro ministero, quello dell’Educazione Superiore. SCUOLA MATERNA: l’Egitto non ha una tradizione di scuola materna pubblica, si può scegliere tra le scuole private e quelle coraniche. La scuola coranica può iniziare a 3-4 anni e i bambini si avvicinano all’arabo classico tramite gli esercizi di ripetizione orale proposti dal maestro7 in un clima di rigida disciplina. La riforma però prevede l’estensione della scuola materna a tutto il paese, rendendo obbligatoria la frequenza per i bambini dai 3 ai 6 anni. SCUOLA DELL’OBBLIGO: in seguito alla riforma avvenuta nel 1999 e tuttora in fase di attuazione, la scuola dell’obbligo (educazione primaria) comprende nove anni (prima erano otto) ed è strutturata in due cicli: – scuola primaria (cinque anni + uno introdotto con la riforma); – scuola preparatoria (tre anni). L’età di accesso è fissata a 6 anni ma si può anticipare a cinque se c’è disponibilità di posti. Prima della riforma la scuola preparatoria prevedeva due indirizzi: uno generale e l’altro professionale. Solo gli alunni che superavano con maggiore profitto la scuola elementare potevano accedere all’indirizzo generale per poi continuare con gli studi superiori. Con la riforma invece il percorso è cambiato e la scuola preparatoria possiede vari indirizzi con piani di studio diversificati. Alla fine del terzo anno vi è un esame in seguito al quale è rilasciato un diploma che permette l’iscrizione agli anni successivi. CALENDARIO E ORARI: l’anno scolastico comincia a metà settembre e termina a fine maggio. Comprende 34 settimane di scuola. Oltre alle vacanze estive sono previste due settimane circa di vacanza per le festività religiose. Gli studenti di religione cristiana (copti e ortodossi) sono autorizzati ad assentarsi da scuola per le loro festività ma le lezioni proseguono regolarmente. I giorni di frequenza settimanale sono sei, il giorno festivo è il venerdì. L’orario giornaliero inizia generalmente alle 7,30 e termina alle 14 e prevede il tempo continuato, con due pause, a colazione e a pranzo. La lezione dura 45 minuti. 7 L’arabo fusah è la lingua dotta scritta e insegnata a scuola, che è altro dalla forma dialettale che viene parlata nella vita quotidiana per strada e in famiglia (amia). 69 PROGRAMMI E ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA: il programma è stabilito a livello nazionale ed è esteso anche alle scuole private. La lingua di insegnamento è l’arabo standard8. Con la riforma è stato anticipato lo studio di una seconda lingua (generalmente l’inglese) a partire dalla quarta classe della scuola primaria ma in poche scuole questo viene applicato, nella maggior parte dei casi lo studio della seconda lingua viene introdotto in modo sistematico a partire dal primo anno di scuola preparatoria. I programmi del primo livello della scuola primaria hanno l’obiettivo di far acquisire le competenze di base relative a lettura, scrittura, matematica e religione; quelli dei restanti due anni invece prevedono il consolidamento delle competenze acquisite. Per quel che riguarda invece la scuola preparatoria l’obiettivo è quello di preparare gli studenti alle alternative curriculari offerte dalla scuola superiore. Il percorso prevede insegnamenti scientifici e linguistici, religiosi, tecnologici (computer e informatica) e storici. Nel curriculum è molto importante il rafforzamento dell’identità nazionale nonché religiosa. Per quest’ultima sono previsti corsi differenziati per musulmani e copti. L’insegnamento si basa in modo preponderante su una metodologia di tipo mnemonico che trascura lo sviluppo di abilità critiche e interpretative. Tuttavia, come si sta verificando anche in altri paesi musulmani, la recente riforma ha l’obiettivo di incoraggiare l’adozione di nuove metodologie di insegnamento che coinvolgano in modo più partecipativo lo studente nella definizione del suo processo di apprendimento. Con la riforma si prevede anche la partecipazione dei genitori nel processo educativo, istituendo così dei consigli di classe. Quindi sebbene alla scuola venga data molta importanza da parte della famiglia, è invece un’acquisizione recente la sua più attiva partecipazione nel percorso istituzionale di apprendimento dei figli. VALUTAZIONE: nel corso dell’anno si effettuano prove scritte e orali valutate su scala decimale. Alla fine di ogni ciclo scolastico vengono fatti degli esami sotto la supervisione dell’amministrazione scolastica locale. È prevista la ripetenza. VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE Con la rivoluzione nasseriana del 1952, il governo ha fatto importanti sforzi per promuovere la partecipazione delle donne sul piano sociale, economico e politico. La Costituzione è stata modificata per assicurare l’uguaglianza tra i sessi e per accordare il diritto di voto e anche il diritto alle donne di farsi eleggere. L’art. 8 e 11 della Costituzione obbliga lo stato ad assicurare l’equità dei diritti a tutti i suoi cittadini sia uomini che donne. Ciononostante ci sono molti elementi discriminatori nella legislazione giuridica. La legge sullo Statuto Personale che si basa su un’interpretazione restrittiva della legge islamica, non garantisce una parità di accesso tra l’uomo e la donna al diritto di matrimonio, 8 Ibidem. 70 di divorzio e di successione. Nonostante un tentativo di riforma avvenuto nel 2000, questo poi è fallito per una concessione fatta ad esponenti della corrente conservatrice musulmana e tuttora le donne sposate devono ad esempio avere il permesso del marito o del suo tutore legale per ottenere il passaporto e viaggiare. Se si guarda al GEM (Gender Empowerment Measurement) come indicato nel rapporto UNDP 2004 sullo sviluppo umano, l’Egitto si colloca al settantacinquesimo posto su 78 nazioni, in linea con altri paesi arabomusulmani (l’Italia invece si colloca al trentaduesimo). Tale misura si basa soprattutto su criteri che riflettono la partecipazione delle donne alla vita politica e professionale. Importanti miglioramenti sono stati comunque registrati in questi ambiti. Il rapporto tra donne e uomini nel processo di alfabetizzazione è in crescita e passa dal 57% del 1992 al 67% nel 2002. Le donne rappresentano il 21% delle forze di lavoro con una crescita di 15 punti rispetto a dieci anni fa. Il divario tra i salari delle donne e degli uomini è grande: le stime dell’UNDP parlano di $ 1.963 per le donne e di $5.216 per gli uomini. Tale tendenza è riscontrabile in molti paesi, anche quelli occidentali, nei paesi a basso reddito lo scarto si ingigantisce. Tale scarto non è da interpretare sempre in modo univoco. La storia dell’emancipazione delle donne nei paesi arabi e musulmani è diversa e non sempre vuole essere come quella occidentale ma troppo spesso le agenzie internazionali fanno uso di sistemi di misurazione che adottano modelli occidentali di valutazione. Molte donne attiviste di questi paesi accusano questi meccanismi che inducono i politici dei paesi in questione ad adottare programmi ed interventi che rispondono maggiormente agli interessi della comunità internazionale (e quindi alla perpetuazione dell’esercizio del proprio potere) che agli effettivi bisogni della popolazione. STILI ALIMENTARI La cucina egiziana, come tutta la cucina del mondo arabo è fortemente influenzata dalla cultura e dalla religione musulmana. Le regole alimentari stabilite dal Corano prevedono il divieto della carne di maiale e del consumo di carne non halal (“lecito”), cioè non macellata secondo i dettami del Corano, che vogliono che in nome di Dio (bismillah) l’animale venga sgozzato, affinché il sangue, ritenuto impuro, esca completamente dal corpo dell’animale. È vietato anche il consumo di bevande alcoliche, per questo in tutto il mondo arabo si bevono molti succhi di frutta freschi (asir), tè (shy), caffè (‘ahwa) e bevande gazzose. È una cucina che si differenzia dalla cucina del Maghreb, fortemente influenzata dai berberi e si avvicina a quella del Medio Oriente. Questo comunque non significa che piatti cucinati in Egitto non esistano in altre parti del mondo arabo-musulmano, sebbene con qualche variazione. Il pane (aish), tondo e soffice (quello che da noi viene comunemente chiamato pane arabo), che viene spesso venduto nei quartieri delle città anche da ambulanti, si accompagna a tutte le pietanze ed è spesso usato dagli egiziani in sostituzione 71 delle posate, attingendo il cibo da un unico piatto, come negli altri paesi di cultura arabo-musulmana. Per questo è molto importante lavarsi le mani prima e dopo il pasto. In tutti i negozi che vendono piatti caldi, c’è sempre un lavandino dove i clienti possono lavarsi le mani. I due piatti più diffusi sono il ful (una zuppa di fave cotta a fuoco lento e condita con spezie e succo di limone) che si trova ovunque e che costituisce anche la prima colazione in tempo di Ramadhan (prima dell’alba, momento che segna l’inizio del giorno di digiuno), e la kunafa, un dolce molto elaborato che in famiglia viene preparato soprattutto durante il Ramadhan, periodo di festa in cui si consumano molti dolci. Molto diffuso accanto all’uso del cumino e del coriandolo è anche l’uso del sesamo, soprattutto in forma di crema (tahina), ottenuta dai suoi semi tostati e spremuti. Fra le carni usate per cucinare gli spezzatini con lenticchie o fave, l’agnello è la più usata. Di agnello macinato sono le khofta che si servono infilate su spiedini cucinati a carbonella. Di agnello (ma anche manzo e pollo) tagliato a pezzi e cucinato allo stesso modo sono invece gli shawarma. Alla fine del pasto viene servito il caffé turco ‘ahwua o del thè molto scuro e molto zuccherato shy. Consumare i pasti in famiglia è molto importante ma le strade del Cairo e di tutte le cittadine sono piene di negozi e piccoli ristoranti che vendono pasti caldi come lo shawarma (ormai diffuso in tutto il mondo arabo è uno spiedo di carne di agnello o manzo tagliata in verticale che viene servita nel pane insieme a diversi tipi di verdure), le tameya (polpette di fave e ceci), il koshari, un piatto economico e popolare (riso, lenticchie e vermicelli di pasta) che viene preparato specialmente in tempo di Quaresima nelle case delle famiglie copte. Per le strade e nei negozi sono diffuse anche molte bibite: succhi di frutta preparati al momento (asir, particolare è quello alla canna da zucchero) e bevande servite ghiacciate al gusto di liquirizia (bastoncini di liquirizia macinati e macerati), tamarindo (tamar, “dattero”: datteri sciolti nell’acqua calda e zuccherati) o karkadé. In particolare molte di queste bevande vengono usate per rompere il digiuno nelle sere di Ramadhan, insieme al kushaf, una macedonia di frutta secca. RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA La cultura egiziana è caratterizzata da riti e tradizioni legati al ciclo della vita che fanno riferimento soprattutto alla religione, anche se poi i sincretismi con forme più legate a tradizioni pagane e popolari non mancano. È importante ricordare che in Egitto non esiste solo la religione islamica ma anche un’importante minoranza copta (circa il 15%) che costituisce una rilevante componente dei flussi migratori in Italia. Addirittura in alcune città questi costituiscono la maggioranza. I riti illustrati di seguito sono quelli islamici, essendo quelli copti di impronta prettamente cristiana e quindi più simili ai nostri. 72 NASCITA: nelle famiglie più religiose, quando un bimbo nasce, si usa pronunciare al suo orecchio l’adan, il richiamo alla preghiera, che comprende anche la shahada, la dichiarazione di fede in Allah; una settimana più tardi ha luogo una festa in cui vengono invitati parenti e amici che portano soldi e regali per il nuovo nato. In questa occasione viene sancita dal padre l’appartenenza del nuovo nato alla famiglia. Ancora nei mesi successivi ci sono le visite di parenti e amici che portano doni al nuovo nato. Tra i 7 e i 10 anni a tutti i bambini di sesso maschile viene fatta la circoncisione, un rito che segna il passaggio alla pubertà e che viene sancito con grandi festeggiamenti. MATRIMONIO: il rito del matrimonio ha una lunga tradizione che tuttora viene strettamente osservata, non solo nei ceti più popolari ma anche in quelli più borghesi e intellettuali. Ogni regione ha le sue tradizioni e i suoi riti ma c’è comunque una sequenza di riti che è ricorrente in tutto l’Egitto. Nell’ultimo periodo si è riscontrato un forte ritorno alle cosiddette tradizioni, dopo una fase in cui la scelta del coniuge e la cerimonia del matrimonio, si avvicinava a modalità più simili a quelle occidentali. La tradizione di matrimoni combinati spesso all’interno della famiglia allargata convive con altre forme invece più elettive. Il rito del matrimonio si svolge nell’arco di sette giorni e ha tempi di preparazione molto lunghi. Dopo una prima fase in cui si firma il contratto di matrimonio (spesso anche un anno prima della vera e propria festa), ha inizio una seconda fase articolata in diversi momenti che segnano per la donna il graduale abbandono del tetto di famiglia e per l’uomo l’accoglienza della sposa nella casa della propria famiglia di appartenenza e quindi nella loro casa futura. Come è riscontrabile ad esempio negli altri paesi del Nord Africa, le principali tappe del rito del matrimonio sono le seguenti: la firma del contratto di matrimonio; la purificazione del proprio corpo in seguito alla quale le mani e i piedi (e spesso anche le gambe) della donna vengono decorati con disegni fatti con la henna, una polvere vegetale rossastra; la festa di addio nella propria casa e infine la cerimonia finale nella casa dello sposo o in locali affittati per l’occasione. FUNERALI: prima di essere seppellito il corpo del defunto deve essere lavato e avvolto in lenzuola bianche. Sono sempre e solo gli uomini ad accompagnare la salma al cimitero, sia che si tratti di un uomo, sia che si tratti di una donna. Il funerale è una cerimonia semplice che si svolge presso la moschea e al cimitero con l’imam che intona le preghiere per il defunto. Il corpo viene seppellito nel cimitero con il viso in direzione verso La Mecca. In seguito viene osservato un lutto di quaranta giorni che implica una serie di astensioni, al termine del quale la famiglia ritorna ai suoi ritmi di via normali. 73 SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI 9 L’Egitto ha conosciuto una grossa crisi del sistema pubblico sanitario nazionale, soprattutto in seguito alla Rivoluzione (1952) quando uno degli obiettivi principali è diventato la copertura nazionale del fabbisogno sanitario di tutta la popolazione, cosa fino ad allora impensabile date le distanze e la forte contrapposizione che esisteva tra campagna e città. A fronte di una classe medica dirigente che esercitava privatamente in città ed era poco disposta a spostarsi nei centri più lontani, si è implementata un’importante azione di sviluppo dell’insegnamento della medicina nelle università con l’obiettivo di alimentare una classe medica del settore pubblico. La mancanza di risorse finanziarie e il forte gap culturale ed economico tra zone rurali e urbane, Alto e Basso Egitto e i governatorati urbani, ha creato e crea non poche difficoltà alla diffusione dei servizi sanitari primari in tutto il territorio nazionale. Negli anni Ottanta il sistema sanitario appare fortemente polarizzato: accanto ad un settore privato ad elevato sviluppo tecnologico che serve soprattutto le classi più agiate nei centri urbani, sopravvive a stento un settore pubblico molto debole con salari molto bassi e un’insufficienza di strutture. Nel tentativo di riequilibrare la situazione, nel 1985 viene autorizzata la possibilità di praticare sia nel pubblico che nel privato. Nel 2000 il governo vara un decreto in cui stabilisce che l’1% del salario dei cittadini destinato alla Previdenza Sociale, sia allocato alle cure mediche o all’indennità di malattia. A partire dagli anni Novanta l’azione di governo si rinnova ancora con il sostegno di molte agenzie internazionali, in un periodo in cui molti altri paesi si ritrovano ad avviare profonde riforme del settore sanitario. L’obiettivo è quello di riorganizzare radicalmente le risorse materiali ed umane cercando di decentralizzare il sistema. L’impatto sulla popolazione è comunque minimo dal momento che solo 153 US$ pro capite sono destinati alle spese sanitarie. Il numero medio di medici per 10.000 persone è pari a 8.8, variando da un minimo di 4-5 nei governatorati dell’Alto Egitto ad un massimo di 24-25 a Port Said e nelle zone di frontiera. Tutta la popolazione ha accesso ai servizi di cura primaria e il 99% della popolazione rurale non deve percorrere più di cinque chilometri per raggiungere una struttura pubblica sanitaria. Ciononostante l’utilizzo è molto scarso: solo il 22,7% contro il 57% del servizio privato. Il risultato non cambia sia che si tratti delle classi più povere o più agiate, sembra quindi che la storia di disservizio del settore abbia generato un clima di generalizzata sfiducia nel pubblico. La salute dei bambini e quella riproduttiva sono i principali ambiti di intervento. Il Rotary e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno promosso programmi di vaccinazioni a favore dei bambini collaborando con il governo nella prevenzione delle malattie infantili come la poliomelite, la difterite e la rosolia. Nel 2003 quasi tutti i bambini di un anno d’età (98%) sono stati vaccinati contro la tubercolosi, la difterite, il tetano, la pertosse, la poliomelite, il morbillo e l’epatite B. Il tasso di mortalità resta però elevato, cioè 23.2 ogni 1000 9 Fonti dei dati esposti nel paragrafo: UNDP Egypt Human Development Report 2004 e OMS (dati disponibili nei rispettivi siti). 74 nati (dati OMS). Tra le donne, la mortalità da parto resta elevata, sebbene si sia dimezzata dal 1992 scendendo da 174 a 84 morti ogni 100.000 nascite. In parte questo è dovuto ad alcuni modelli di comportamento che vedono solo il 68,9% delle donne che accedono a cure prenatali e al fatto che nel 5% dei casi le nascite non vengono assistite da personale sanitario. Quest’ultima percentuale si innalza soprattutto nelle zone rurali dove è molto estesa la pratica delle ostetriche tradizionali (dayah) e dove la mancanza di trasporti ostacola l’utilizzo degli ambulatori o delle strutture ospedaliere. Infine è importante segnalare che l’Egitto è uno di quei paesi africani dove è rilevante la pratica delle cosiddette mutilazioni genitali femminili (MGF). Secondo la classificazione operata dall’OMS in Egitto è particolarmente diffusa la prima tipologia (sunna) che consiste nella recisione del prepuzio o nella asportazione parziale del clitoride. L’origine di questa pratica è difficile da ricostruire. L’unica cosa certa è che non è stato l’Islam a introdurre in Africa la pratica delle mutilazioni dei genitali femminili che erano già presenti in loco assai prima della sua diffusione. Secondo una ricerca condotta nel 1995 (Demografic and health survey, DHS), ben il 97% delle donne egiziane ha subito mutilazioni genitali, siano esse musulmane o copte. Spesso si ritiene che il ricorso a queste pratiche sia confinato all’interno di particolari gruppi sociali o delle famiglie meno istruite, soprattutto nelle zone rurali. Al contrario, i dati DHS suggeriscono che, nei paesi dove queste pratiche sono diffuse su larga scala, il grado di istruzione di una ragazza o il fatto che la famiglia risieda in un’area urbana piuttosto che rurale, abbiano un’influenza relativa sulla possibilità che essa subisca mutilazioni genitali. In Egitto, il 100% delle donne non istruite e il 91% delle donne con un’istruzione secondaria hanno subito MGF. A livello legislativo la Suprema Corte Amministrativa nel 1997 ha approvato un Decreto nel quale vieta qualsiasi pratica di MSF. Quanto però viene recepito a livello legislativo ci mette molto ad arrivare alla popolazione. Per questo sono stati avviati diversi programmi nazionali di sensibilizzazione. FIABE TRADIZIONALI Nella tradizione fiabesca araba ed egiziana sono di fondamentale importanza i racconti delle Mille e una notte. Nell’immaginario del mondo occidentale le Mille e una notte sono arabe, in realtà le origini sono molto più articolate e sono da rintracciare anche in molti paesi asiatici. La storia-cornice ad esempio è di indubbia origine indiana così come le novelle più antiche e su queste si sono innestate storie e racconti relativi poi alla civiltà di Baghdad e dell’Egitto. È in quest’ultimo paese infatti che – secondo gli storici – a partire dal XII secolo i racconti hanno conosciuto un ulteriore sviluppo e sono diventati parte integrante della narrativa popolare locale. Questi costituiscono il cuore principale della raccolta giunta fino a noi (le cosiddette novelle egiziane). Dopo una loro redazione definitiva che si ritiene sia stata fatta nel secolo XVI, la diffusione in Occidente avviene gradualmente a partire dal XVII-XVIII secolo. 75 La storia-cornice, da cui partono e si svolgono gli altri racconti, spesso inserendosi come scatole cinesi gli uni negli altri, ci presenta il re di Persia Shahriar, che dopo aver scoperto i tradimenti della moglie, della cognata e di altre presunte fedeli spose, si convince dell’inevitabile malafede delle donne e decide di sposare ogni giorno una ragazza per metterla a morte il mattino seguente. Finché Shehrazad, una delle figlie del vizir, mette in gioco la sua vita per far cessare il massacro di ragazze. Con la sua dote di narratrice riesce a rinviare ogni volta l’esecuzione interrompendo la continuazione del racconto sul far del giorno, alimentando la curiosità del sovrano. Shahrazad riesce a continuare così per mille e una notte e alla fine il sovrano si convincerà della sua fedeltà, riconoscendo anche il suo talento e il suo coraggio. Fra i racconti di Shahrazad si possono individuare quelli appartenenti al fondo indo-iranico, quali il Mercante e il Genio, Il pescatore e il genio, Il re Yunàn e il savio Ruyàn (o Dubàn), elementi del ciclo Il facchino e le ragazze e Il gobbo. Al gruppo iracheno, il ciclo di Baghdad, appartengono le storie del califfo Harun ar-Rashid con il suo vizir Giàafar il Barmecide, la guardia e giustiziere Masrur ed il poeta di corte Abu Nuwàs, tutti personaggi storici. Infine il gruppo più numeroso è rappresentato dalle novelle cosiddette egiziane, cui appartengono le realistiche avventure di Shams ed-Din e Nur ed-Din, di Abu Qir e Abu Sir, dei due Abdallah di terra e di mare, di Ali Zaybaq e Dalila, Giamasp e Gianshàh, ecc. Infine ci sono racconti e romanzi di origine indipendente che furono accorpati in seguito come ad esempio il ciclo dei due omonimi Sindibàd. La scodella C’era (o non c’era, ma se non c’era fa lo stesso) un uomo povero ma contento, che il giorno si guadagnava il pane lavorando duramente, e la sera si sedeva davanti alla porta di casa con i suoi, a raccontare storie meravigliose. La sua era una casa felice, piena di risate e di canzoni, e gli ospiti erano sempre bene accolti. Nella casa di fronte, invece, si sentivano solo rimproveri e grida adirate. Là viveva un riccone che trattava moglie e figli come servi, costringendoli a fare a meno perfino del necessario pur di risparmiare una moneta. E quando le voci allegre del povero e della sua famiglia arrivavano fino a lui, il ricco si rodeva per l’invidia, perché nonostante l’oro che aveva accumulato, la sua vita era triste e desolata. “Senti come se la spassano! Eppure vanno in giro coperti di stracci e mangiano solo fave” diceva. “Ma prima o poi la smetteranno di ridere! E se non ci penserà il destino a rovinarli, lo farò io”. 76 Aveva in corpo tanta rabbia che un giorno riuscì a far perdere il lavoro al pover’uomo e, siccome era potente e tutti lo riverivano, impedì in tutti i modi che ne trovasse un altro. Così la famiglia del povero cominciò a soffrire la fame, finché arrivo il giorno in cui, consumati i pochi risparmi, marito e moglie si ritrovarono giusto con il denaro necessario a comperare un po’ di fave cotte. “Ce le faremo durare il più possibile” disse la moglie del povero “e sono sicura che quando saranno finite Allah penserà a noi”. L’uomo si mise in tasca la moneta, prese una grande scodella di legno e andò a comperare le fave, ma mentre tornava a casa inciampò, rovesciando il recipiente per terra. Addio pranzo, addio cena! E adesso che cosa avrebbero mangiato i suoi poveri figli? L’uomo non aveva il coraggio di tornare a casa a mani vuote, e così raccolse la scodella, la ripulì e, dato che non aveva una bisaccia dove metterla, se la sistemò in testa come un cappello: se non altro l’avrebbe riparato dal sole. Poi andò al fiume, nella speranza che qualcuno gli desse lavoro, e per fortuna trovò una grande barca pronta a salpare, che aveva giusto bisogno di rematori. In pochi giorni risalirono il fiume, sempre più avanti, fin dove vivono uomini con la pelle nera come la notte. E fu là che una tempesta li sorprese, costringendoli a fermarsi e a gettare l’ancora accanto ala riva, vicino a un villaggio dove gli stranieri capitavano raramente. Gli abitanti, incuriositi da quella strana gente con la pelle chiara, portarono i marinai dal loro capo, che si riparava dal sole ardente sotto una tettoia di foglie di palma. E il Capo li osservò e li fece camminare avanti e indietro, volle sentire le loro voci e fu particolarmente colpito dalla scodella che l’uomo povero portava ancora in testa. Così gli fece segno di avvicinarsi e chiese: “Cosa ti ha portato al mio villaggio?”. “Il destino!” rispose l’uomo. “Nulla accade senza che Allah lo voglia”. “E cos’e quella cosa che hai in testa?”. “Una scodella di legno” disse l’uomo. “Serve a proteggermi dal sole”. Il Capo la prese, se la mise in testa e trovò che sì, la scodella riparava dal sole meglio di qualunque foglia di palma. “La voglio” disse all’uomo. “Che cosa chiedi in cambio?”. 77 “Io? Chiedo soltanto di tornare da mia moglie e dai miei bambini” rispose lui, che da quando era sceso a terra aveva paura perfino a respirare. “Va bene” disse il Capo. “E dato che sei così generoso da cedermi la tua scodella senza pretendere niente in cambio, ti darò anche delle pietruzze luccicanti per far giocare i tuoi figli”. Poi affondò la mano in un cesto e ne tirò fuori una manciata di gemme, così grosse e preziose che una sola sarebbe bastata ad arricchire tutti gli abitanti del Cairo. L’uomo si affrettò a riempirsene le tasche e, quando la barca lo riportò in città, corse a casa per dire alla moglie che i giorni duri erano finiti per sempre. La scodella di legno aveva fatto la loro fortuna! Da quella sera il riccone ricominciò a sentire canzoni e risate, vide ospiti andare e venire, spiò gli operai che tiravano su nuove mura per aggiungere altre stanza alla casa di fronte, e si accorse che il povero era diventato più ricco di lui. “Come ha fatto quel pezzente a sistemarsi così bene? Devo saperne di più” si disse, e mandò sua moglie a far visita alla vicina, ordinandole di scoprire che cose era successo. La donna tornò a casa dopo un pomeriggio di chiacchere e raccontò della barca, del villaggio, del Capo che aveva scambiato le gemme con una misera scodella di legno… insomma, la vicina le aveva spiegato per filo e per segno da dove veniva la ricchezza del marito, senza nascondere nulla. Il riccone non ci pensò due volte e, riempita una barca di doni preziosi, risalì il fiume e raggiunse il villaggio insieme a una lunga fila di portatori. “Cosa ti conduce nel mio villaggio?” gli chiese il Capo. “Il desiderio di conoscerti” rispose l’uomo. “Si parla di te ovunque, e io ho voluto vederti con i miei occhi”. Molto compiaciuto, il Capo domando: “E cosa c’è nelle ceste che i tuoi uomini hanno portato fin qui?”. “I miei doni per te” rispose l’uomo, inchinandosi. “Spero che vorrai accettarli, anche se sono troppo modesti per un uomo della tua importanza”. E mostrò i tappeti, le stoffe, i vassoi d’ottone che gli aveva portato. Il Capo ne fu così contento che disse: “Che regali meravigliosi! Non ne ho mai visti di così belli, e per ringraziarti ti darò l’oggetto più prezioso che possiedo”. 78 Poi si tolse la scodella di legno che aveva in testa e gliela consegnò con un inchino10. RICETTE Zuppa di fave (Ful mudammas) Ingredienti: 500 g fave secche, 1 cipolla tritata, 3-4 spicchi aglio tritato, 2 limoni spremuti, 3-4 uova sode, un pugno di prezzemolo, peperoncino macinato, cumino macinato, paprica dolce, olio extra vergine d’oliva, sale. Preparazione: in una pentola con abbondante acqua e un pizzico di sale far bollire per 2 ore circa le fave messe a bagno la notte prima. Girare spesso il preparato. Una volta cotto, scolare le fave in una zuppiera e condirle con sale, limone, aglio pestato, prezzemolo, cipolle e olio. Girare e lasciar insaporire per alcuni minuti. Servire la zuppa, ancora calda con a parte il peperoncino, la paprica e le uova a spicchi per il condimento a piacere di ciascun commensale. Falafel (Tameya) Ingredienti: 350 g fave secche (messe in ammollo il giorno prima), 150 g ceci (messi in ammollo il giorno prima), 1 cipolla tritata, 1 mazzo prezzemolo, 3 spicchi d’aglio, 1 cucchiaino cumino, 1 cucchiaino di coriandolo macinato, sale, pepe, olio eper friggere. Preparazione: far scolare le fave e i ceci dopo averli messi in ammollo una notte e togliere le bucce. Frullare le fave e i ceci uniti agli altri ingredienti in modo da ottenere una pasta fine e ben amalgamata. Lasciare in frigo per circa 1-2 ore. Fare delle palline oppure delle polpette piatte e farle dorare nell’olio in padella per circa 4 minuti. Servire calde con crema di sesamo (tehina) o su un letto di insalata e pomodori. POESIA L’Egitto (e tutta la regione siro-libanese) è uno dei paesi dove nasce e si sviluppa uno dei più fervidi filoni letterari della letteratura araba moderna, dietro impulso della rinascita culturale, la Nahda, che nel XIX secolo pose fine al periodo della decadenza che gli storici identificano in una stasi e in un “ritardo” in campo culturale e civile rispetto al mondo occdentale. La poesia ha conosciuto un’importante sviluppo fin dagli periodo. È molto difficile trovare traduzioni di poeti egiziani in nelle rare antologie che sono state fatte sulla letteratura segnaliamo: Gabrieli F., Vacca V., Antologia della letteratura 10 inizi di questo italiano, se non araba, di cui araba, Edizioni Lazzarato F., Il sultano di Luxor, Mondadori, Milano, 1998, pp. 12-17. 79 Accademia, 1976. Tra le correnti poetiche che si susseguirono nel tempo è interessante segnalare quella dei “conservatori” dei primi anni del Novecento che si sono rivelati anche scopritori di talenti musicali ai quali hanno prestato la loro opera di compositori in versi, avvicinando così la letteratura alla musica: Ahmad Shawqi (1868-1932), noto come il “principe dei poeti” per le sue origini aristocratiche, compose i versi di molte canzoni di ‘Abd al-Wahab, un grande cantante egiziano; Ahmad Rami (1892-1978) invece scrisse principalmente per Umm Kultum, la cantante più famosa e rinomata non solo in Egitto ma in tutto il mondo arabo che tuttora viene ascoltata e adorata, assurta ormai a leggenda. Per una storia romanzata dell’artista si consiglia Nassim S. Ti ho amato per la tua voce (Edizioni e/o, 1996). In seguito emersero altri poeti, esponenti della corrente innovatrice che si ispirarono alla poesia romantica inglese (Shelley, Keats e Byron) e i contenuti sono di natura sentimentale ed intimista, alla ricerca della verità della vita. Il più significativo rappresentante della corrente è considerato ‘Abd al-Rahm?n Shukri (1886-1958). LETTERATURA Come per la poesia, anche per la narrativa ci fu un importante impulso a seguito del movimento della Nahda ma il romanzo come genere letterario si sviluppa soprattutto a partire dal primo Novecento. Qui di seguito si ricordano alcuni dei principali autori più recenti che sono stati tradotti in italiano. Naguib Mahfouz: nato nel 1912 al Cairo, rappresenta uno degli scrittori più famosi del paese, è stato tradotto molto anche all’estero, soprattutto in seguito all’assegnazione del premio Nobel nel 1988. Ha scritto opere di narrativa molto spesso ambientate nei quartieri della sua città natale, Il Cairo. Tra questi si ricorda la trilogia: Tra i due palazzi (Pironti, 1989; ed. or. 1956); Il palazzo del desiderio (Pironti, 1992; ed. or. 1957); La via dello zucchero (Pironti, 1992; ed. or. 1957). Edwar al-Kharrat: nato ad Alessandria nel 1926, è il capofila della nuova generazione di scrittori egiziani che si affacciano nel mondo letterario alla fine degli anni Sessanta, dopo la sconfitta della guerra dei Sei Giorni. È direttore infatti della rivista Galerie ’68 che diventa il trampolino di lancio per molti nuovi autori e la sua scrittura è considerata all’avanguardia in tutto il mondo arabo. Alcune delle sue opere sono state tradotte in Europa e anche in italiano: Alessandria, città di zafferano (Jouvence, 1994; ed. or. 1986), Le ragazze di Alessandria (Jouvenance, 1994; ed. or. 1990). Nawal Al Sa’dawi: una delle più importanti scrittrici arabe, femminista, nasce nel 1932 in un villaggio sul Nilo nei pressi del Cairo. Psichiatra, scrittrice e saggista ha pubblicato numerosi racconti ma anche saggi sulla condizione della donna e sulla sessualità femminile in Egitto. Questo suo impegno civile e 80 politico è stato spesso ostacolato dal governo egiziano e dal fanatismo islamico: è stata licenziata dal Ministero della Sanità, è stata in carcere all’epoca di Sadat e più volte minacciata da fanatici. Ciononostante il suo impegno militante continua e il suo lavoro è stato tradotto in molte lingue. In Italia si conoscono soprattutto i seguenti volumi: Firdaus: storia di una donna egiziana (Giunti, 1986; ed. or. 1978), Dio muore sulle rive del Nilo (Eurostudio 1989; ed. or. 1985), Una figlia di Iside (Nutrimenti; ed. or. 1999). Per quel che riguarda altre autrici contemporanee si consiglia la seguente raccolta di racconti curata da Elisabetta Bartuli, dove la società egiziana viene rappresentata in tutta la sua complessità: Rose del Cairo, Racconti di scrittrici egiziane (Casa Editrice e/o, 2001). RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Aluffi Beck-Peccoz R., Le leggi del diritto di famiglia negli stati arabi del Nord Africa, Fondazione Agnelli, Torino, 1997. Ambrosini M., Schellembaum P. (a cura di), La comunità sommersa. Un’indagine sull’immigrazione egiziana a Milano, Quaderni ISMU 3/1994. Balsamo E., Favaro G., Giacalone F., Mille modi di crescere. Bambini immigrati e modi di cura, FrancoAngeli, Milano, 2002. Bushnaq I., Favole dal mondo arabo, Arcana Editrice, Milano, 1987. Camera d’Afflitto I., Letteratura araba contemporanea, Carocci, Roma, 1998. Cologna D., Breveglieri L., Granata E., Novak C., Africa a Milano, AIM, Abitare Segesta, Milano, 1999. Comune di Milano - Servizi socio-sanitari, Nascere tra due diritti. Italia e EgittoMarocco-Tunisia, vol. I, Milano, 1999. Crespi F., “Il matrimonio e il diritto di famiglia in Maghreb. Guida sociale e giuridica”, Quaderno Ismu 8/1997, Fondazione Cariplo - ISMU, Milano, 1997. Gabrieli F. (a cura di), Le mille e una notte, Einaudi, Torino, 1997 Giovannini G., Morgagni E. (a cura di), A partire dai figli...Da Senegal, Marocco, Ghana, Egitto, Albania all’Emilia Romagna: strutture, relazioni e bisogni educativi delle famiglie immigrate, Regione Emilia Romagna, Assessorato alle politiche sociali - Centri per le famiglie di Ravenna, Lugo e Reggio Emilia (CD ROM), Bologna, 2000. Hoodfar H., Between marriage and the market. Intimate politics and survival in Cairo, The American University in Cairo Press, Cairo, 1997. Mazzetti M. (a cura di), Senza le ali. Le mutilazioni genitali femminili, FrancoAngeli, Milano, 2000. Pasquinelli C. (a cura di), Antropologia delle mutilazioni genitali femminili. Una ricerca in Italia, AIDOS Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo, Roma, 2000. Rugh A., Family in contemporary Egypt, Syracuse University Press, Syracuse, 1988. Rundo J., La cucina araba, Sonda, Torino, 1997. 81 Singerman D., Avenue of participation. 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SITOGRAFIA www.arabroma.com: nasce all’inizio del 1998 come sito della cultura araba in Italia, attualmente raccoglie una delle documentazioni più interessanti sull’attualità del mondo arabo, soprattutto laico: informazione,cultura, letteratura, politica, ecc. www.arab.it: un altro sito di informazione sulla cultura araba che oltre a fornire informazioni aggiornate sul mondo arabo, approfondisce alcune tematiche per far conoscere la cultura arabo-musulmana in Italia (cos’è l’Islam, cucina araba, letteratura araba, ecc.). www.sis.gov.eg: sito ufficiale in lingua inglese del Servizio Informativo del governo egiziano. www.sas.upenn.edu/African_Studies/Country_Specific/Egypt.html: sito in lingua inglese dell’African Studies Center, University of Pensylvania per approfondimenti specifici sul paese. www.coptic.net/EncyclopediaCoptica/: sito in inglese per approfondimenti sulla religione copta. 82 DANZE Nell’antico Egitto la danza era parte integrante della vita del popolo. Essa coinvolgeva gli appartenenti a tutte le classi sociali. Si lavorava seguendo il ritmo delle percussioni, i danzatori di strada intrattenevano i passanti. Si danzava durante le feste, i banchetti e le cerimonie religiose. Col tempo il danzare in pubblico cominciò ad essere considerato inopportuno dai ben pensanti e per lungo tempo restò appannaggio delle classi più povere. La gamma dei movimenti e dei passi della danza popolare antica era più ampia rispetto a quella riguardante le danze giunte ai giorni nostri. Oggi si possono osservare gesti e passi più sofisticati e influenzati da altre culture: quella siriana, palestinese, beduina, etiopica, della Nubia e del Sudan. 83 84 Repubblica del Ghana di Cristina Fiamingo DATI GENERALI La Repubblica del Ghana ha assunto questo nome con la proclamazione dell’indipendenza della Colonia della Costa d’Oro dalla Gran Bretagna (1957): rievocando l’antico Impero pre-moderno del Ghana si rivendicava il diritto alla storia a lungo negato dal sistema ideologico colonialista. Ampio stato costiero del Golfo di Guinea, in Africa occidentale, il Ghana confina con la Costa d’Avorio, il Burkina Faso e il Togo, lungo linee imposte nel corso del periodo coloniale, che non demarcano i limiti di territorializzazione delle numerose comunità culturali confluite nella regione dal Volta e da Ovest, formando stati, assimilandone altri o alleandosi in confederazioni (fante, ashanti, ecc.) o – come avveniva al Nord – organizzandosi in società acefale, prive di una gerarchia di potere, i cui limiti erano fluidi e travalicavano le frontiere attuali. Le cinque regioni geografiche del Ghana si articolano in una secca zona costiera SudOrientale, dove tratti sabbiosi si alternano a laghi salati; dal caldo e umido altipiano centrale Kwahu – interessato da due stagioni delle piogge (aprileluglio e settembre-ottobre) –, dalle colline boschive Akwapim-Togo, ad Est – vi spicca il monte Afadjoto (mt. 885), dall’ampio e fertile bacino del fiume Volta ed il lago omonimo, di cui è immissario: il più grande lago artificiale al mondo. Infine, il Nord è coperto dalla savana dove s’alternano intense piogge (marzonovembre) e lunghi periodi di siccità a causa del vento d’harmattan che soffia da Nord-Est per tutto il resto dell’anno. Tra ricorrenti stati di siccità a Nord, 85 sfruttamento eccessivo dei pascoli, deforestazione intensiva e incontrollata e inquinamento acquifero, l’ecosistema, ricchissimo di varietà vegetali ed animali è sempre più instabile. Abitanti: 21.400.000 (UN, 2004). Estensione geografica 238.537 kmq. Continente: Africa. Densità di popolazione: 83 ab./kmq. Incremento demografico: 2,6%. PIL: $ 59,9 miliardi (pro capite: $ 2.200). Vita media: 57,8. Alfabetizzazione: 73,8% (2002). Mortalità infantile: 63‰. Lingua ufficiale: inglese. Altre lingue: tra le 80 lingue riconosciute nel paese, le più parlate sono: akan, moshidagomba, ewé, ga, twi e hausa. Religione: 63% cristiana, 16% musulmana, 21% culti tradizionali. Gruppi etnici: 49,1% akan, 16,5% moshi-dagomba, 12,7% ewe, 8% ga-adangbes, 3% gurma, 1% yoruba, 4,4% guan, gonja, dagomba, europei. Regime politico: repubblica costituzionale e democratica, fondata sul principio della condivisione del potere tra Ufficio della Presidenza, Parlamento unicamerale e Consiglio di Stato. LE FESTE PRINCIPALI In una terra di tolleranza religiosa, qual’è il Ghana, le celebrazioni cristiane principali sono riconosciute come feste nazionali e il ramadan, il mese di digiuno osservato dai musulmani, è rispettato in tutto il paese, come il corso di 70 giorni dell’Eid ul Adha dallo Eid ul Fitr (festa del Sacrificio), il giorno della liberazione nazionale si festeggia il 6 marzo e l’1 luglio il giorno della Repubblica, il primo venerdì di dicembre il Farmer’s Day e l’11 novembre il Myehoung Day (giorno della memoria). Anche in Ghana, come nella maggior parte degli stati africani, la mobilità è stata un fattore condizionante di tale estensione nazionale delle festività, concentrando periodi di vacanza per tutti, anche considerando che spesso i giovani devono percorrere giornate di viaggio per raggiungere le loro famiglie dalle scuole. Si favoriscono così occasioni di riunione familiare e sociale, di emigrati che rientrano da ogni parte del paese nei propri villaggi, per conoscere i nuovi membri dei rispettivi lignaggi e per ricordare i morti. Accanto a queste feste nazionali si continuano a celebrare occasioni tradizionali importanti, in diversi periodi dell’anno e nelle singole 86 realtà regionali ed etniche, la cui memoria è custodita e rinnovata dalle autorità tradizionali. IL SALUTO (IN LINGUA AKAN): etise; come stai? uhu tise; bene: eyeh; grazie: me daase; prego: mi pacho; non c’è di che: asedanyo; arrivederci: asumdw. CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE Nonostante la produzione di cacao, dolci e dessert non sono amati dai ghaniani e nonostante gli 82 anni di colonizzazione britannica, tè e biscotti sono entrati nella dieta di pochi. Gli stuzzichini principali sono degli impasti fritti come il kelewele (banana da legume o platano, mescolata a zenzero, peperoncino e aglio), come il tatale (platano mischiato a cipolla, farina, olio di palma e pepe) o lo tsintsinga o kebab del Ghana (spiedini di carne di montone su un letto di verdure miste con uova sode). Le bevande più apprezzate sono il tradizionale vino di palma (al 7% di gradazione alcolica), il pito (vino di miglio al 5%), l’akpeteshie (gin al 40%), l’asaana (vino di mais, privo d’alcol) ed il lamujii (tradizionale vino di zenzero, senz’alcol). IMMIGRAZIONE IN ITALIA Il Ghana post-coloniale è uscito a fatica dall’economia d’esportazione che lo caratterizzava. Corruttela politica e congiunture economiche negative hanno portato una massiccia emigrazione della popolazione, dapprima all’interno, abbandonando le campagne per cercare impiego nelle città (il tasso di urbanizzazione più alto si registra nella città di Accra e a Kumasi), quindi, nei paesi limitrofi con conseguenze nei rapporti interregionali, guastati da battaglie a colpi di espulsioni di lavoratori immigrati fra Nigeria e Ghana. La politica economica iniziata da Jerry Rawlings, tra privatizzazione, sottoscrizione di programmi di aggiustamento strutturale (1995/97), incentivazione dell’industria agro-alimentare e la maggiore attenzione al benessere sociale degli ultimi anni, non hanno diminuito l’emigrazione, che si è piuttosto diversificata nel corso del tempo, dal punto di vista della provenienza regionale, delle percentuali di genere e del livello di formazione di partenza. Grave è il fenomeno di brain drain (emigrazione di professionisti formati/in via di formazione): si calcola che in Ghana su un totale del 26% di tali defezioni, il 60% sia costituito da medici formati, con le immaginabili conseguenze. L’emigrazione dal Ghana verso l’Italia è importante: a seguito della regolarizzazione recente, il Ghana è passato dal 27° al 22° posto per numero di immigrati in Italia, con le sue 23.046 unità. Si individuano tre aree preferenziali di distribuzione degli immigrati ghaniani, tra regioni meridionali (Campania e Sicilia), dove la componente maschile è impiegata in lavori agricoli stagionali di bracciantato e nell’edilizia, mentre quella femminile svolge lavori domestici 87 presso privati; centrali: (province di Modena e Reggio Emilia), occupata in lavori di manovalanza non specializzata e, infine, nordiche (province industriali di Brescia, Verona e Vicenza). A Vicenza risiede la comunità più numerosa, arrivata a partire dagli anni successivi alla sanatoria del ’90 che vincolava la concessione del permesso di soggiorno alla certificazione di un lavoro. Italia e Ghana sono legati sin dagli anni Settanta con l’Accordo di Cooperazione Culturale, Scientifica e Tecnica, che prevede l’impegno italiano a fornire beni e tecnologia e a garantire scambi di manodopera specializzata e l’Accordo per la Promozione e la Protezione degli Investimenti tra Italia e Ghana, vincolato alla “clausola della nazione più favorita”. L’attuale orientamento neo-liberista che accomuna i due governi ha aumentato gli scambi e l’esportazione di imprese italiane in Ghana. MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI La famiglia numerosa è ancora percepita come una forma di sicurezza sociale ed economica, ma un maggiore benessere comporta, anche in Ghana, un calo nelle nascite. Regole etiche tradizionali hanno una funzione contraccettiva (l’astinenza dal sesso dopo il parto viene giustificata con l’incompatibilità tra seme maschile e latte materno, a danno del bimbo) cui si affianca oggi un uso sempre più diffuso del preservativo (grazie alle campagne di prevenzione dell’Aids), per distribuire meglio le nascite nel tempo. Oltre ad un sistema sanitario nettamente migliorato negli ultimi vent’anni, il calo del tasso di mortalità infantile entro il primo anno di età e sotto ai cinque anni, con un crollo dei rispettivi indici del 50% dagli anni Sessanta ad oggi, è anche dovuto al successo di campagne nazionali per diffondere anche nelle scuole una cultura d’igiene e nutrizione valida e d’un corretto allattamento al seno: abolendo pratiche tradizionali quali l’eliminazione del colustrum (che garantisce una prima immunizzazione del bambino), l’integrazione del latte materno con acqua non bollita, o l’allattamento oltre il ventitreesimo mese (prolungato per cause economiche) e con l’aggiunta di alimenti ricchi di vitamine, proteine e agenti nutritivi. A diverse strutture sociali e politiche delle società in quest’area del Golfo di Guinea corrisponde un distinto sistema di apprendimento tradizionale, secondo scansioni diverse delle età della vita e compiti relativi in funzione dei sistemi di produzione, nonché delle professioni di culto. É una diversificazione che si riproduce in Ghana tra centro e Sud, in cui la maggioranza ha preservato i culti tradizionali, strutturalmente simili, ma mitologicamente dotati di un’infinita gamma di variazioni (dal dio supremo, Nyame – risplendente – dipendono molti Obosom, spiriti minori che vivono nell’acqua e nelle piante, associati alle località che proteggono e altri dei minori, antenati e spiriti, sincretizzati con/oppure sostituiti dall’adozione della confessione cristiana nei diversi culti, soprattutto protestanti (metodisti, presbiteriani e anglicani) o aggregandosi in chiese indipendenti (specie pentecostali). A Nord è inoltre forte la 88 concentrazione di musulmani (15-16% della popolazione totale), a maggioranza sunnita. Tutto ciò influenza l’apprendimento dei giovane. L’apprendimento da parte dei bambini delle regole del lignaggio, ancor oggi è assicurato dall’osservazione del comportamento degli adulti, da proverbi, racconti, rappresentazioni e danze e momenti di socializzazione collettiva, ma anche e soprattutto durante i periodi precedenti i riti di passaggio all’età della pubertà: un’educazione di tipo “informale”, senza confini tra quotidianità e vita religiosa e spirituale, funzionale ai bisogni delle comunità basiche, che l’incontro con altre scansioni date dai riti musulmani, cristiani o dal passaggio tra i diversi standard scolastici, hanno fortemente sminuito. MODELLI DI CURA I sistemi di cura tradizionale si espletano in atti e rituali utili a cercare le cause ed a capire il decorso della malattia prima di intraprendere i trattamenti medici moderni, attraverso condizionamenti spirituali potenti, cui rispondono meccanismi di legittimazione profondamente interiorizzati nel paziente nei confronti del guaritore; sia per la competenza nella scelta degli agenti (vegetali, animali o minerali) rivelatori e catalizzatori del male, che per il riconoscimento accordato dalla comunità sul piano sociale, culturale e religioso, strettamente interrelati e la cui conoscenza è imprescindibile nella cura dei pazienti. I periodi di apprendistato variano da cultura a cultura: presso gli akan è di tre anni ed implica tanto un tirocinio in ambito spirituale che di pratica fisiatrica, affrontando al secondo anno i fondamenti delle cure con le piante. Si può accedere all’apprendistato per vocazione o per discendenza rispetto ai guaritori ed i Maestri sono diversi per uomini e donne. Guaritori custodi di feticci sono legati ad un luogo specifico e agiscono quali medium della divinità cui sono consacrati, durante riti di possessione e pratiche divinatorie. I guaritori sono molti (negli anni Ottanta se ne contavano circa 40.000 in Ghana): alcuni sono specialisti nella cura di certe malattie o specifiche parti del corpo o limitatamente a certi tipi di ferite e d’incidenti. Non mancano levatrici, donne che praticano aborti o infibulazione (pratiche, queste, non certo legittimate a livello ministeriale o incoraggiate dalla WHO) e vi sono poi esperti erboristi che operano con o senza l’intermediazione spirituale e possono rientrare in programmi di ricerca e sperimentazione di farmacognostica sulle piante medicinali, regolamentati dal Centro della ricerca scientifica che incoraggia gli studi di etno -botanica per la ricerca farmacologica e la produzione di medicine alternative rispetto ai prodotti di sintesi chimica. MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE / SOCIALIZZAZIONE DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE Nelle realtà dei villaggi, i luoghi di aggregazione dei più piccoli non avviati alla scolarizzazione, ma in grado di giocare fuori dal controllo delle madri o degli affidatari (si veda oltre), sono le strade; i bambini in 89 età scolare non si trovano più sotto il diretto controllo della famiglia e giocano nei cortili delle scuole e nei dormitori che si trovano generalmente distanti dai villaggi d’origine. Per le realtà urbanizzate il controllo è ancora minore, dato l’impegno lavorativo che investe entrambi i genitori: i rapporti di socializzazione avvengono per lo più al di fuori del lignaggio o della famiglia nucleare e il fenomeno dei bambini di strada nei centri più grossi è crescente. MODELLI E STILI FAMILIARI RUOLO DEI GENITORI: la funzione dei genitori in rapporto ai figli dipende dalla struttura del lignaggio, che assicura loro determinate funzioni e bilancia i rapporti di decision making a seconda che il “baricentro” sia patrilineare o matrilineare. Nella quotidianità la donna gestisce l’educazione dei bambini, ma i ruoli educativi sono distribuiti a livello di (matri/patri-)lignaggio e non limitatamente alla famiglia nucleare a seconda della funzione legittima riconosciuta a ciascuno dei genitori. Ad esempio la costruzione dell’identità dei figli è attribuita al padre di matrilignaggio nzema; l’esercizio dell’autorità e la distribuzione delle risorse sono appannaggio del padre akan, senza che ciò implichi una forma di possesso nei confronti dei figli, bensì una forma di rispetto nei confronti del genitore. VITA SOCIALE DELLE FAMIGLIE: la famiglia allargata, ovvero quel sistema sociale che travalica la famiglia nucleare (padre, madre, figlio) è ancora l’ambito principale d’interazione sociale, incardinato sulle regole dei lignaggi, e non solo in ambito rurale, certo, più legato alle tradizioni. Di fatto, la famiglia allargata funziona come una società di mutuo soccorso e sostiene le famiglie nelle difficoltà e, quindi, anche nella migrazione, con meccanismi (quale l’affidamento circolare dei figli) che – comunque, tramite cambiamenti adattativi – aiutano le famiglie nell’impresa di trasferirsi altrove. Certo, le dinamiche migratorie rendono più difficile la partecipazione agli importanti eventi di aggregazione comunitaria (matrimoni, nascite, funerali, cerimonie iniziatiche, feste tradizionali, ecc.) che legittima e rinnova i rapporti in seno alla famiglia allargata, indebolendola. ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: è diversa per ciascun gruppo culturale. È generalmente facile in ambito tradizionale risalire dal nome di un individuo al nome della sua famiglia; nelle famiglie urbanizzate, invece, l’attribuzione del cognome non segue regole precise. A seconda dei lignaggi, patrilineari o matrilineari di appartenenza dei neonati, l’attribuzione del cognome non è la stessa per tutti i membri della famiglia, così può darsi che venga dato un cognome diverso a ciascun figlio, pertinente ai genitori o ai nonni. In certe città è facile trovare una maggior concentrazione di cognomi uguali senza comunanza di parentela o, presso i fante della fascia costiera, presso i quali sono ricorrenti cognomi inglesi, per i prevalenti contatti in epoca coloniale. All’iscrizione a scuola, al bambino viene dato un nome cristiano, accanto al nome dato alla nascita, tratto per lo più dal giorno di nascita 90 preceduto, a seconda del parente che si voglia onorare, dall’indicazione Papa/Paa (padre), Mama (madre) o Nana (nonno/a): nome, quest’ultimo, che viene peraltro aggiunto a quello di chi diviene capo o anziano del villaggio. Così al bimbo fante nato di lunedì viene dato il nome Kojo o Kodwo e se è anche il nome del padre, sarà Paakojo; se è una bimba il nome sarà Adjoa o Adwoa. Solitamente è al padre biologico che spetta l’attribuzione del nome al figlio, cui trasmette così lo “spirito familiare” – sunsum/ntoro –. ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: regolamentata dalla Costituzione, è stata corretta ai sensi dello Citizenship Act del 2000, che, oltre a precisare cosa si intenda per diritto di cittadinanza per nascita, tiene conto della realtà dell’emigrazione e prevede la doppia cittadinanza. FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: con l’aumento dell’opzione della convivenza e con la promiscuità che caratterizza il fenomeno del forte inurbamento che caratterizza il Ghana e tutte le patologie sociali ad esso legate, sono frequenti le filiazioni al di fuori del matrimonio e altrettanto infrequente il riconoscimento dei figli nati in tali circostanze, fenomeno legato, oltre che ad una tradizione fortemente maschilista, ad una inadeguata campagna di sensibilizzazione circa i vantaggi futuri per l’individuo che derivano dalla registrazione delle nascite. Da più parti, viene denunciato il decadimento morale in Ghana e nelle aree rurali, ancor oggi si sa di condanne all’isolamento delle donne che concepiscono in assenza/al di fuori del vincolo coniugale. REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: non è una pratica ancora molto diffusa, specie nelle zone rurali. Al 2004, solo il 28% della popolazione è stata registrata alla nascita, con massima concentrazione nelle aree urbane: la popolazione non è sufficientemente informata della serie di benefici che possono derivare da tale pratica, in termini individuali in vista del rilascio di documenti, o a partire dall’implicito riconoscimento di paternità/maternità, o del diritto di voto, dei diritti assicurativi, d’accesso al programma scolastico nazionale gratuito o d’accesso al sistema di sicurezza nazionale o ai diritti d’eredità, fino al benessere nazionale, favorendo l’acquisizione di statistiche demografiche attendibili per la pianificazione nei più diversi settori. DIRITTI DEI MINORI: la Commissione nazionale del Ghana per i bambini e l’emanazione del Children decree del 1977 che li tutela in cause di divorzio, o la citata legge sulla successione intestata, che assicura anche ai minori l’accesso alle proprietà del genitore morto contro quanto stabilito dal diritto consuetudinario che non ammetteva tale possibilità, assieme agli articoli a tutela dei minori nel codice penale del ’98 attestano una maggiore attenzione nei confronti dei minori, sebbene sembri difficile arginare fenomeni di violenza domestica contro di loro o le citate forme di schiavitù tradizionale e moderna, come si potrebbe ben definire l’inurbamento infantile (specie femminile) a scopo d’impiego informale per svolgere le funzioni domestiche presso i privati. Il fenomeno dei bambini di strada è piuttosto diffuso, specie nelle città di Accra (20.000 bambini) e Kumasi ed il lavoro minorile – naturalmente nel settore informale, dato che per legge i 15 anni sono l’età minima d’impiego – è molto 91 sfruttato, tanto in città che nelle campagne e questo nonostante la Convention on the rights of the child (CRC) sia stata sottoscritta e ratificata nel 1990, senza riserve. DIRITTI DELLE DONNE: la Commissione di riforma legale che assicura uno status giuridico personale a tutela dell’individuo ghaniano (1968); la Convenzione per l’eliminazione d’ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW), ratificata nell’86; la Costituzione che dal ’92 che non ammette la discriminazione di genere e il perfezionamento di un codice di diritto penale nel 1998 a tutela delle categorie meno protette, sono tutte misure che non sopperiscono alla mancanza di un corpus unico del diritto di famiglia: persiste così la subalternità delle donne nonostante ovunque si sia ammesso il loro contributo essenziale alla crescita economica del paese – sia pure a livello informale ed in modo diversificato fra Nord e Sud, in cui da sempre le donne hanno garantito la produzione del cibo – e a dispetto di ruoli professionali di medio-alto livello (specie nell’insegnamento). In teoria, la donna che abbia subito il ripudio (talaq) secondo la shari’a (il diritto islamico), potrebbe appellarsi ad un tribunale e venire reintegrata nei suoi diritti di donna divorziata, ma il sistema educativo che penalizza ancora le bambine, si tramuta nell’ignoranza dei propri diritti e in un’inerte obbedienza alla consuetudine nel timore di venire isolate dal gruppo d’appartenenza. Tuttavia, oggi, la modernizzazione della società ghaniana tende a reprimere i fenomeni considerati più retrivi, anche se, accanto alle classiche patologie sociali di famiglie repressive e patriarcali, in cui si consumano violenze fisiche (il 95% delle vittime sono donne) o al fenomeno tradizionale delle mutilazioni genitali femminili (il fenomeno colpirebbe dal 15 al 30% della popolazione femminile), non sono ancora scomparse pratiche quali il levirato (il fratello del marito morto ne sposa la vedova, ampliando così le probabilità di diffusione del contagio da Aids); il confino delle donne nei villaggi del Nord (che segrega le donne sospette di stregoneria o quelle gravide al di fuori del matrimonio, in veri e propri villaggi penali); o la trokosi: una forma di schiavitù tradizionale che impone alle famiglie che abbiano mancato verso i membri della comunità, di cedere una figlia (anche al di sotto dei 10 anni), ad un sacerdote consacrato al feticcio del villaggio. La bimba (rari sono i casi di trokosi maschile) ne diviene schiava, impiegata per i bisogni domestici e sessuali del sacerdote. DIVORZI E SEPARAZIONI: diverse sono le conseguenze in termini di successione a seconda che la registrazione sia avvenuta sotto la marriage of mohammedans ordinance (1907) o con l’ordinanza marriage ordinance (1951), sebbene l’art. 22 della costituzione preveda l’ingerenza dello stato al fine di assicurare alla vedova o alla divorziata i beni acquisiti durante il matrimonio. In tempi recenti, sono stati istituiti con il Maintenance of children decree i tribunali di famiglia per regolamentare il mantenimento dei figli in caso di matrimonio, divorzio e separazioni. Anche il talaq, il ripudio secondo la shari’a musulmana (considerata legge consuetudinaria), può essere inficiato appellandosi al Matrimonial causes act, applicabile a richiesta d’una delle parti. Il tribunale concede il divorzio solo in caso si constati un disaccordo incolmabile. 92 SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI La vita culturale e politica di buona parte della popolazione africana in Costa d’Oro, grazie alla diffusione di istituzioni scolastiche (missionarie) e stampa, era d’un livello non facilmente riscontrabile altrove in ambito coloniale. Dall’introduzione dell’istruzione elementare obbligatoria e gratuita (1961) le scuole, per lo più, sono gestite dallo Stato e sottoposte al controllo del Ministero dell’Educazione. Le esigenze produttive del paese, hanno indotto una riforma scolastica che riduce a 6 gli 11 anni del percorso post-elementare verso l’università. Aggiungendo 3 anni di corso obbligatorio e gratuito nelle junior secondary school e 3 anni di senior secondary school che offrono una specializzazione tecnica nel settore agro-industriale per chi voglia intraprendere un lavoro o proseguire gli studi al politecnico o all’università, cui si accede tramite esame. Il National accreditation board dal 1990 controlla i programmi delle diverse scuole di ogni ordine e grado eccetto quelli universitari, mentre le 5 Università del paese sono responsabili degli istituti politecnici. Oltre a queste, il Ghana ha 12.130 scuole elementari (tra pubbliche e private, dove solo le pubbliche godono dei fondi statali), 5.450 scuole medie, 503 istituti superiori, 21 scuole professionali, 18 istituti tecnici, 2 istituti superiori che danno accesso ai diplomi. Per combattere la forte disparità di frequenza delle scuole, sin dal livello elementare, tra bambini e bambine, a sfavore di queste negli alti tassi di abbandono e ripetenza o il rapporto non ottimale fra numero di insegnanti e allievi per classe e una distribuzione logistica inefficiente: dalle strutture scolastiche ai materiali di cancelleria e dei testi, dopo la manovra del “Programma di educazione di base gratuita, obbligatoria e universale” (1995) è stato adottato un piano di collaborazione tra governo del Ghana e UNICEF (1998). Il piano è articolato su quattro obiettivi: 1. rafforzamento delle politiche e della programmazione educativa, per migliorare qualità e metodologie d’insegnamento (studio mnemonico basato sulla copiatura alla lavagna e punizioni corporali), allargando l’accesso al sistema, specie alle bambine; 2. Child-school-community (per rispondere alle esigenze dell’ambito rurale); 3. programmi di educazione informale rivolti alle donne che vivono nelle zone rurali, per aumentarne i guadagni e migliorare i comportamenti di sicurezza alimentare, nutrizione e salute; 4. Child care e Early chilhood development (per migliorare le competenze professionali degli operatori per l’infanzia). L’anno scolastico in Ghana dura dal 3 ottobre al 2 luglio, è diviso in trimestri e dura 5 giorni la settimana. Le materie impartite alla scuola dell’obbligo in rapporto alle ore settimanali sono distribuite come segue: 93 Programma scolastico - materie insegnate e ore di lezione settimanali Elementari Materie Medie Tutte le classi Materie Tutte le classi Lingua 7/2,30 Inglese 8 Letteratura 7/2,30 Storia 2 Scrittura 2,30/1 Geografia 2 Lessico 1,30/1 Matematica 6 Grammatica/Verbi 2,15/2 Fisica 3 Componimenti scritti 2,15/2 Chimica 2 1 Biologia 2 Educazione civica 1 Francese/Arabo 2 Educazione fisica 2 Recitazione Canto 0,30 Calcolo 5 Morale 0,45/0,30 Educazione civica 0,30 Scienze 1,30/1 Disegno 0,30 Attività guidate 2/1,30 Storia 1,30/1 Geografia 1,30/1 Educazione fisica 1,30 Ricreazione 1,15 Totale 30 Totale 30 Fonte: Cespi, 2003, p. 29 Specie nelle prime classi elementari viene usata la lingua locale principale dell’area quale lingua veicolare di istruzione, cui progressivamente subentra l’inglese. VITA COMUNITARIA E RELAZIONE DI GENERE La complessa organizzazione sociale africana si intesse sulla parentela e la famiglia allargata ne è l’unità centrale. Lignaggi sono invece segmenti di clan, più numerosi della famiglia, che custodiscono i diritti che regolano la vita della 94 comunità. L’enucleazione delle diverse famiglie da quella d’origine determina la frammentazione in sotto-lignaggi. I clan sono raggruppamenti sociali che accolgono più lignaggi, legati da una comune ascendenza mitica: per lo più esogami, possono essere patrilineari o matrilineari e un individuo può appartenere a diversi clan. La migrazione verso le città, paesi limitrofi ed altri continenti sono fattori di destabilizzazione della vita tradizionale: non rompono necessariamente i meccanismi di identità, ma pur se tendenzialmente legami, tradizioni e valori solidaristici vengono riprodotti nei contesti d’accoglienza, di fronte ai pressanti cambiamenti adattativi, si sospendono, per essere ripristinati nelle occasioni di rientro nei contesti d’origine. In taluni casi nei nuovi contesti si potenziano le funzioni della famiglia allargata, come per il citato fenomeno della circolazione dei figli (i figli vengono affidati ai nonni, o ad altre figure diverse dai genitori in rispondenza a meccanismi interni al lignaggio, quando la madre raggiunge il marito); in altri casi, alla famiglia allargata si sta sostituendo la famiglia nucleare, cambiando radicalmente le regole di residenza che discendevano dalla prevalenza del legame patrilineare o matrilineare in seno al lignaggio. L’estrema mobilità interna delle genti del Ghana rendono solo approssimativamente delineabili le aree di massima concentrazione linguistica (si contano circa 80 lingue) e sottoraggruppamenti culturali, dai sistemi di organizzazione sociale simili, ma non sempre omogenei tra clan e lignaggi. É utile sapere che la maggior parte degli immigrati dal Ghana in Italia appartiene ai raggruppamenti etno-linguistici akan e ga della famiglia linguistica NigerCongo. Il primo è parte del sottogruppo kwa e include popoli ashanti e akuapim – che parlano dialetti twi – e genti bono, kwahu, akyem, fante e nzema, insediati nell’area centro-orientale del Ghana: il sistema di discendenza è matrilineare, ovvero i lignaggi si incardinano attorno al sistema di parentela della madre (nella gestione famigliare prevale la figura dello zio materno rispetto al padre biologico); i ga – attestati tra Accra e Togo costiero – (a sistema di discendenza cognatica, in cui prevalgono i legami con i quattro nonni), si incardinano sull’affiliazione patrilineare che prevede ad un certo punto la separazione della residenza dei figli maschi dalla casa materna per raggiungere quella paterna. Tra gli ewe dell’area Sud-Orientale, prevale il sistema patrilineare. Al gruppo gur appartengono le culture di lingua dagbane, parlate soprattutto nelle province a Nord, abitate da una miriade di piccole comunità basate su sistemi di discendenza unilineare, patrilineare o doppia (p.es. mamprussi), o su sistemi bilaterali (moshi-dagomba). Una piccola enclave mande si trova ad Ovest della regione centrale di Brong-Ahafo. STILI ALIMENTARI La dieta del Ghana è ricca di proteine, vitamine, carboidrati e fibre: si compone di piatti a base di carne, pesce, farinacei, legumi e verdure. A mais, radici di igname e cassava vengono aggiunti carne e pesce, verdure arricchite di spezie molto piccanti, 95 come la salsa nazionale, lo shito. Questi piatti, generalmente, vanno accompagnati col vino di palma. Attualmente il riso è entrato in modo dirompente nella dieta del Ghana: è diventato l’alimento più popolare in ogni ristorante, ma anche nelle case, perfino rimpiazzando piatti tradizionali come Fufu, Banku, Kenkey, Apkele e Zafi. Di conseguenza, in Ghana, la produzione di riso è diventata da qualche anno a questa parte un’attività economica strategica, anche per gli apporti nutritivi di quest’alimento. Piatti condivisi con la gran parte dell’Africa occidentale sono le minestre a base di carne e burro di arachidi o lo Jollof, piatto d’origine nigeriana, composto di riso, pomodori e spezie. Waatse è a base di fagioli, mentre Kenkey è un composto di farina di grano fermentata che si accompagna al pesce e Banku è una sorta di pane a base di grano e cassava fermentata, cucinato in acqua calda che va servito con pesce o carne. Gli spinaci sono molto utilizzati nella cucina del Ghana: Efan forowee è il piatto speziato a base di spinaci che va servito con carne, pesce, uova, cipolla e pomodoro. Tra le ricette riproducibili in Italia, si è scelto il Kontomire o Palaver sauce. Questo piatto può accompagnarsi a riso, Banku, Kenkey o Fufu ed è una ricetta dal sapore “storico” anche se non si conosce esattamente il perché dell’attribuzione di un nome che si richiama alle trattative fra mercanti bianchi e capi africani – “palaver” appunto – parola d’etimologia portoghese che per estensione definisce quella sorta di lingua franca adottata nelle trattative lungo le coste, senza distinzione fra interlocutori africani e, dall’altra parte, mercanti o schiavisti portoghesi, danesi, olandesi, inglesi, francesi, ecc. RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA Nominazione dei neonati, riti iniziatici, organizzazione dei matrimoni e dei funerali sono gli importanti momenti di aggregazione comunitaria. Il capo-famiglia e gli anziani, che custodiscono le tradizioni, costituiscono una rete di protezione che si rinnova nei momenti di socializzazione: tali obblighi, assicurano ai membri l’accesso ai diritti ereditati, il sostegno materiale del gruppo e la garanzia di un buon funerale. La trasformazione del giovane in persona avviene attraverso riti che scandiscono la progressiva interiorizzazione di principi e regole della società. I riti della pubertà femminili sono ritenuti i più importanti, specie nella cultura akan, per il ruolo stesso della donna nell’educazione dei figli e, quindi, per i valori che trasmette alla comunità ed indispensabili per accedere al matrimonio. Il bragoro, presso gli ashanti, ed il dipo dei krobo hanno preservato le loro caratteristiche salienti: la giovane, a seguito della prima mestruazione, viene segregata lontana dalla comunità, per un periodo di 2/3 settimane e, sotto la guida della regina-madre o delle donne più importanti della comunità, le vengono insegnati i segreti dell’essere donna, tanto in funzione della comunità che della famiglia che sarà chiamata a gestire: insegnamenti che comprendono anche educazione sessuale e pianificazione famigliare. Terminato il periodo, a 96 maggio viene celebrata una festa di presentazione delle giovani donne alla comunità e soprattutto ai potenziali mariti, durante la quale si danza al suono di musiche propiziatorie che evocano gli spiriti dei morti delle famiglie delle ragazze e Oynankopong Kwame e Asase Yaa per assicurare loro una prolifica e sana discendenza. Per gli uomini, dato l’impatto incisivo dei fenomeni delle migrazioni e dell’urbanizzazione, questi riti sono meno seguiti e le cerimonie, laddove sono sopravvissute – specie nelle regioni del Nord, non sono rese pubbliche, ma tenute per lo più segrete. NASCITA: al di là delle situazioni di povertà o del pericolo che ancora molte madri corrono nel dare alla luce i loro figli, specie nella aree rurali, le cui condizioni non garantiscono quelle norme igieniche necessarie alla loro tutela, la nascita di un bambino è sempre motivo di gioia. Qualche settimana prima della nascita iniziano le celebrazioni di presentazione del nascituro: queste sono legate alla convinzione che la nascita dei figli favorisca la possibilità degli antenati di rinascere ed alla coscienza che un nuovo elemento garantirà la sopravvivenza economica del lignaggio. MATRIMONI: sono a tutt’oggi complessi sistemi che mettono in stretto rapporto due lignaggi, con conseguenze culturali, sociali ed economiche vincolanti, grazie ad una dote che, un tempo, poteva comportare un cambiamento di status sociale della famiglia della sposa. Questo – specie in passato – spingeva a combinare le unioni matrimoniali quando i contraenti erano ancora in tenera età. Ancor oggi la famiglia dello sposo deve portare alla futura suocera una somma di denaro (aseda per gli akan, o “denaro del ringraziamento”), quale risarcimento del bene sottratto (ovvero la potenzialità generatrice della donna): a fronte di questo, un ulteriore cambiamento adattativo, l’“unione d’amore” soccorre nell’evitare il pagamento dell’aseda. Se la pratica di non registrare i matrimoni consuetudinari dopo l’introduzione della Marriage Ordinance (1951) era finalizzata ad escludere dai diritti di successione le donne, ora la diffusa pratica della convivenza protrae questo stato. Anche i matrimoni musulmani, regolamentati un tempo dalla Marriage of Mohammedans Ordinance (1907), non vengono registrati, rinunciando agli effetti civili. Oggi, la poligamia perde vigore, ma, accanto alla famiglia “ufficiale” nelle campagne, gli uomini urbanizzati tendono a costruire un nucleo famigliare parallelo. FUNERALI: i ghaniani intendono la morte come un “andare altrove”. Nella maggior parte delle culture del Ghana, infatti, si ritiene che i morti continuino a fare parte del clan: intermediari tra il mondo degli spiriti e quello dei viventi, vegliando sui parenti, aiutandoli o punendoli a seconda del loro comportamento verso il resto della comunità. Pertanto, un buon funerale è garanzia per il defunto di un buon viatico nell’“andare altrove”, mentre, per la comunità è garanzia di una buona protezione. Un funerale può durare anche alcuni giorni e rappresenta forse il capitolo di bilancio più consistente per una famiglia che deve mantenere quanti giungono da ogni parte del paese per partecipare alla cerimonia. I politici tentano oggi di dissuadere dal protrarre queste pratiche eccessivamente onerose, ma i funerali sono un momento sociale 97 e culturale molto importante in tutta l’Africa subsahariana, ed anche particolarmente creativo in Ghana: è entrato nella tradizione recente, l’uso di far forgiare ad artisti-artigiani le bare dalle più diverse forme (d’automobile, d’aquila, ecc.) realizzate per ricordare un elemento che caratterizzava il defunto, o un suo sogno, o l’augurio di chi resta. SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI La distribuzione delle strutture sanitarie in Ghana risente della profonda discrepanza, tipica di tutta l’Africa, fra aree rurali e aree urbane. La distanza tra villaggi rurali e ospedali, la massima concentrazione di medici nelle città, per non dire della loro sistematica defezione dal paese – sono problematiche prioritarie del Ministero, assieme al tentativo di introdurre un’assicurazione sanitaria, abolendo il sistema “cash and carry” che costringe i pazienti a pagare le terapie farmacologiche, agevolando i sistemi di cura “fai da te”. Sono trent’anni che è operativo l’Expanded programme on immunization (EPI) destinato ai paesi in via di sviluppo, che anche in Ghana ha introdotto la vaccinazione obbligatoria per 6 malattie che colpiscono i bambini, quali morbillo, difterite, pertosse, poliomielite, tubercolosi e tetano: se ne stanno ancora testando gli effetti. Nonostante malaria e morbillo siano le principali cause di morte nel paese, la potenzialità mortifera dell’Aids è la più temuta, poiché colpisce in particolare la fascia riproduttiva della popolazione, portando con sé una serie di drammatiche conseguenze sociali, economiche e di pianificazione nazionale. Pur se stiamo parlando di un paese in cui l’aspettativa di vita è fra le più alte del continente, dati della World Health Organization (WHO) del 2003 stimano da 210.000 a 560.000 gli individui d’età compresa tra 0 e 49 anni affetti da Aids, mentre dati relativi ai casi dichiarati e riconosciuti presso le strutture sanitarie, al 2001, riportano la cifra di 47.444 malati (per il 61% donne e per il 38% uomini). Quanto al tasso di prevalenza dell’HIV nella fascia d’età generalmente più colpita (15-49 anni), l’ultimo rapporto WHO sul Ghana (luglio 2004) lo indica tra l’1,9 e il 5%. Si registra un’incidenza allarmante nelle città del Sud, con Accra al 3,1%, Kumasi al 3,8%; minore è l’incidenza al Nord, con Tamale, che registrava l’1,3% nel 2000, mentre in 18 siti al di fuori dell’ambito cittadino il range varia dall’1 al 7,8%. La malattia risulta più diffusa nell’ambito della prostituzione e della relativa clientela, tra camionisti e operai urbanizzati. Risulta positivo il coinvolgimento di leader tradizionali nelle campagne di sensibilizzazione circa i comportamenti da assumere per la prevenzione dell’Aids e per evitare atteggiamenti discriminatori nei confronti dei malati, che portano a nascondere la malattia e ad evitare importanti opportunità di cura con somministrazione di farmaci antiretrovirali, per cui dal 2001 s’è attivata la Ghana Aids Commission. 98 FIABE TRADIZIONALI Esistono diversi generi di fiabe, non necessariamente destinate all’infanzia, votate a trasmettere valori e a preservarne la memoria. Alcune attengono alla creazione del mondo, altre spiegano i meccanismi di comportamento umano, altre, pur facendolo, si servono di animali per spiegarli: animali fortemente umanizzati. Talvolta questi animali hanno una corrispondenza stretta con un apparato simbolico tradizionale che lega ciascun animale a figure di potere o a una funzione sociale, non sempre intuibili dal lettore occidentale; altre, più semplicemente possono essere funzionali ai momenti di socializzazione e formazione dei più giovani. Alcuni tra i racconti più belli e interessanti della tradizione ashanti sono parte di una vecchia raccolta: “Fiabe Africane”, curata da Paul Radin nel 1955 (Einaudi, 1994). Pieni di ironia, in particolare i racconti di Ananse-ragno: quel personaggio ricorrente nella tradizione culturale ghaniana, non solo nella letteratura orale, ma addirittura nell’arte della tessitura del kente, pezze di stoffa variopinta a trama fitta, i cui motivi sarebbero stati ispirati dalla ragnatela di Ananse: ragno mitico, tessitore della natura. I suoi racconti, sono tanto destinati a spiegare i rapporti di sfida con Nyankonpon, il dio-del-cielo, che a spiegare l’origine dei comportamenti umani. La scelta del racconto che segue, invece, privilegia i valori della storia e della tradizione: Racconto intorno al perché i capi ashanti non attraversano il fiume Pra Nel tempo andato Ashanti era un potente regno del Ghana. I suoi re conosciuti come Asantehene esercitarono molto potere e conquistarono molti regni. Inoltre erano sempre in guerra con l’autorità coloniale britannica. Il loro potere fu sostenuto dalla potenza di un parente prete chiamato Okomto Anokye, che, racconta la storia, mise a disposizione degli Asantehene un trono d’oro disceso dal cielo. Il Pra è un grande fiume, che fa da confine tra gli ashanti e gli akim. Nella loro ricerca di più potere, gli ashanti decisero di attaccare gli akim. Per farlo dovevano atttraversare il fiume Pra. Gli akim (…) decisero di tendere loro imboscate sulle sponde del fiume, dove il re ashanti sarebbe stato più vulnerabile e facilmente attaccabile. Capita la strategia, il decimo re ashanti, Osei Tutu, che era uno dei più potenti comandanti delle truppe, trasferì sulla sponda del fiume soltanto piccoli manipoli, piuttosto che rischiare il grosso dell’esercito. Appena gli Akim si resero conto di questa mossa attaccarono velocemente il capo e lo uccisero, seminando disordine tra le truppe. Con ciò fu revocato l’ordine di battaglia e gli akim tornarono a casa vittoriosi. Gli ashanti giurarono che mai più l loro capi avrebbero attraversato il fiume Pra e questo tabù è rimasto fino ai nostri giorni. 99 Liberamente tratto da Manoccio, L’Africa racconta, Datanews, 1999, p. 37. Il seguente racconto ewe ci porta a riflettere sulla realtà dell’emigrazione in cui le comunità sembrano perdere la capacità solidaristica che hanno invece in patria. Il lavoro che si fece da sé La iena aveva un piccolo e il piccolo morì; anche il gatto aveva un piccolo e questi pure morì. Il gatto selvatico sentì disgusto per il suo paese, e anche la iena si sentì disgustata. Perciò ognuno dei due partì per cercare un posto migliore. La iena, quando arrivò in un luogo che le parve adatto, disse: “Questo va bene. Domani all’alba verrò qui e strapperò tutta l’erba”. Il gatto selvatico capitò per caso nello stesso posto, che gli piacque. Strappò l’erba e andò a dormire. La mattina dopo, la iena tornò: “Oh” – esclamò – “che buon posto! Io stavo per strappar l’erba e l’erba si è già strappata da sé” (…). I vari lavori per adattare il territorio ai nuovi venuti viene così svolto dall’uno e dall’altro dei nostri protagonisti in alternanza, fino al completamento della casa, senza che si incontrassero mai e senza che nessuno dei due sospettasse dell’altro. La iena divise la casa in due parti, una per sè e una per suo marito. Quando il gatto selvatico tornò disse: “Ma bene! La casa è divisa in due. Questa parte la terrò per me e quell’altra la darò a mia moglie. Fra cinque giorni porterò qui le mie cose e vivrò qui”. Anche la iena combinò di entrare nella casa nuova dopo cinque giorni. Quando arrivò il quinto giorno, il gatto selvatico prese tutte le cose e venne con sua moglie. La iena fece lo stesso. La iena entrò in una stanza e il gatto selvatico nell’altra. Ognuno credeva che in casa non ci fosse nessun altro. Poi, ad un tratto, ognuno dei due ruppe qualcosa nello stesso momento, e ognuno dei due disse: “Chi rompe qualcosa nella stanza accanto?”. Ed entrambi fuggirono via. Corsero un lungo tratto, come da Keta ad Amutino, e infine si incontrarono. “Che stai facendo, iena?” chiese il gatto selvatico. “Io avevo costruito una casa” disse la iena “e qualcosa mi ha cacciato via, non so cosa”. “La stessa cosa è accaduta a me” rispose il gatto “Io tagliavo degli alberi, e i pali si piantavano in terra da soli” (…). “Io avevo trovato un posto che mi piaceva, mi accingevo a strappare l’erba e quando andai per farlo, l’erba si era già strappata da sola” replicava la iena. E qui il gatto selvatico e la iena ricominciarono a fuggire. Da allora non possono più guardarsi in faccia. Liberamente tratto da Abrahams Leggende della Madre Africa, Arcana, 1987, p. 203. 100 La saggezza del ragno C’era una volta un ragno che voleva diventare ricco. Ogni giorno pensava a cosa poteva fare per realizzare il suo sogno, fino a quando gli venne l’idea di raccogliere tutti i pensieri più saggi e più intelligenti del mondo. “Sicuramente” – pensò ad alta voce – “se i pensieri più intelligenti del mondo saranno nelle mie mani, tutti, poveri e ricchi, imperatori e re verranno da me a chiedermi consigli e io diventerò famoso e potente!”. Per un lungo periodo di tempo si mise al lavoro, ricercò per giorni e giorni, settimane, mesi. Poi, a un certo punto, ritenne di aver terminato la sua raccolta e decise di chiudere tutti quei pensieri in una grossa pentola di porcellana, ma il problema era: dove sistemarla? Chiunque avrebbe potuto rubare la sua ricchezza. Riflettè un po’, poi i suoi occhi s’illuminarono: “La metterò sull’albero più alto della foresta! Lassù nessuno potrà rubarla!”. Si legò al collo la pentola ben chiusa col coperchio e iniziò a salire lungo il tronco. Un cacciatore che passava di lì lo vide lento e affaticato, così gli suggerì: “Perché non metti la pentola sulla schiena?! Ti sarà più facile salire, arriverai prima e sarai meno stanco!”. Il ragno rispose: “Ti ringrazio molto per la splendida idea! Hai proprio ragione, ora scenderò a sistemarmela per bene sulla schiena e poi risalirò”. Tentò di scendere, ma improvvisamente la pentola si sganciò e finì a terra in mille pezzi. Tutta la saggezza che il ragno aveva raccolto si sparse di nuovo per tutta la terra! Ecco perché si dice che se si vuol trovare un pensiero intelligente basta guardare bene e cercarlo sulla nostra strada! Provaci, vedrai che lo troverai! Daniela Benevelli, Il tesoro invisibile. Favole, fiabe e racconti di 15 paesi, EMI, Bologna, 2003, pp. 8485. RICETTE Kontomire, Kentumere, o Nkontommire (Palaver “Sauce”) Ingredienti: 1/2 tazza di olio di palma o di semi; 1 kg di stufato di pollo o manzo tagliato a cubetti; brodo di carne; da 2 a 4 tazze di foglie fresche o essiccate di spinaci e foglie amare (potremmo usare la cicoria); 1 101 kg di pesce essiccato, affumicato o sotto sale (merluzzo o aringhe) o in combinazione con pesce fresco; 1 o 2 cipolle tagliate finemente; da 2 a 6 pomodori possibilmente senza pelle e tagliati a cubetti; 1 peperoncino; sale, pepe nero, pepe di cayenna; 1 tazza di egusi arrostiti o semi di zucca o semi di sesamo, schiacciati; 1 cucchiaio di radice di ginger fresca; okra (non indispensabile); 1 tazza di gamberetti freschi; 1/2 tazza di prosciutto cotto a cubetti. Preparazione: tenere a lungo in ammollo la verdura se disidratata e tagliarla finemente. Nel caso si usino foglie di spinaci freschi, tagliarli appena prima della cottura. Ogni altra verdura scelta dovrebbe essere pre-cotta. Ammorbidire e trattare il pesce o privarlo del sale delle scaglie e delle spine. Scaldare l’olio in una pentola dotata di coperchio e rosolare la carne ed aggiungere il brodo per completarne a fuoco lento la cottura. A questo punto aggiungere le verdure e portare ad ebollizione per alcuni minuti ancora. Aggiungere il pesce con la cipolla, i pomodori e sale, pepe e peperoncino, continuando a lasciar bollire nella pentola opportunamente coperta. Quando la verdura sembra essere tenera aggiungere egusi, i semi di zucca o il sesamo pestati. Cucinare a fuoco basso mescolando di continuo e non aggiungendo altra acqua o brodo fino a che non abbia assunto una consistenza cremosa. POESIA La poesia più conosciuta del Ghana è quella a sfondo politico in cui s’annovera anche la traduzione in inglese di poemi della tradizione orale (per esempio, ad opera di Kofi Awoonor e AdaliMortty sulla rivista Okyeame). Poche poesie sono state tradotte da Sbicego in italiano e raccolte sono reperibili soltanto in lingua inglese (Ojaide e Sallah, 1999) e la semplice poetica di Koben Eyi Acquah, la forza espressiva di Kofi Anyidoho (vincitore di prestigiosi premi internazionali), da cui trapela la ricca letteratura tradizionale ewe o i canti dell’esilio di Abena Busia restano ignoti al pubblico italiano. LETTERATURA Cinque sono le forme d’espressione letteraria individuabili nel panorama della letteratura del Ghana: la letteratura orale (espressa in lingue locali), la letteratura popolare, espressa tanto in lingue locali che in inglese (lingua ufficiale del Ghana); la letteratura per l’infanzia, scritta sia in lingue locali che in inglese; narrativa, teatro e poesia in lingue ghaniane o in inglese. La versatilità fra i generi sembra essere diffusa in Ghana: autrici come Efua Sutherland o Ama Ata Aidoo, autori come Ben Abdallah, Kofi Awoonor (prima noto come George Awoonor Williams) [il suo Teatro Africano, è stato tradotto in italiano da Jaca Book, 1976], Kofi Anyidoho, Atukwei Okai o Ayi Kwei Armah si sono 102 cimentati tutti in generi diversi. William Boyd autore di novelle e romanzi (in italiano: Un pomeriggio blu, 1996; Come neve al sole, 1987; Brazzaville Beach, 1996) e Manu Herbstein, nato in Sudafrica, ma dal ’70 residente in Ghana autore del “ebook” Ama, A Story of the Atlantic Slave Trade (e-reads, Usa, 2002) sono autori bianchi, più noti sul mercato internazionale. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Abrahams R.D. (a cura di), Leggende della Madre Africa, Arcana, 1987. Anarfi J.K., “Sexuality, migration and Aids in Ghana - A sociobehavioural study”, in Health Transition Review, vol. 3 suppl. issue 1993, in www.htc.anu.edu.au/pdfs/Anarfi3_S.pdf. Anyidoho K., Gibbs J. (a cura di), “Fontomfrom: Contemporary Ghanaian Literature, Theatre and Film”, in Matatu 21-22, Editions Rodopi, 2000. Bowditch N.H., The Last Emerging Market: The Ghana File, Praeger, 1999. Brambilla C. (a cura di), Letterature dell’Africa, Jaca Book, 1994 Cespi - Centro Studi Problemi Internazionali, La scuola nei paesi d’origine dei bambini immigrati in Italia (a cura di), Venturini A., Mursia, 2003. Davidson B., Black Star: A View of the Life and Times of Kwame Nkrumah, Westview, 1989. EIU, Economist Intelligence Unit: GHANA, Country Report, March 2004. Geurts K.L., Well-Being and Birth in Rural Ghana: Local Realities and Global Mandates, University of Pennsylvania, 1998, in www.africa.upenn.edu/Workshop/geurts.html. Giovannini G., Morgagni E., A partire dai figli… Da Senegal, Marocco, Ghana, Egitto, Albania… all’Emilia-Romagna: strutture, relazioni e bisogni educativi delle famiglie immigrate (rapporto di ricerca per la Regione Emilia-Romagna), Bologna, 2000 su supporto CDRom. Herbst J.I., The Politics of Reform in Ghana, 1982-1991, University of California Press, 1993. Manoccio A.M., L’Africa racconta. Fiabe del Ghana, della Costa d’Avorio e della Nigeria, Datanews, 1999. Nyarko Ph., Pence B., Debpuur C., “Immunization Status and Child Survival in Rural Ghana”, Ghana Journal of Science, 147, 2001. Ojaide T., Sallah T.M. (a cura di), The New African Poetry. An anthology, Lynee Rienner Publishers, 1999. Ray D.I., Building HIV/Aids Competence in Ghana- Traditional Leadership and Shared Legitimacy: a Grassroots Community Intervention Best Practices Model- With Some Preliminary Comparisons to South Africa and Botswana, 2004 in www.cpsaacsp.ca/papers-2004/Ray-Brown.pdf. Sarpong P., Ghana in Retrospect: Aspects of Ghanaian Culture, Ghana Publishing Corporation, 1991. 103 Sbicego L. (a cura di), Voci d’Africa: poesia africana di lingua inglese, Edizioni Academia, 1970. Tsey K., “Traditional medicine in contemporary Ghana: a public policy analysis”, Soc. Sci. Med., 1997, 45, pp. 1065-74. World Bank, Ghana: Gender Analysis and Policymaking for Development, 1999. SITOGRAFIA www.ghana.com/republic; www.ghana.co.uk; www.mapzones.com/world/africa/ghana o le sue leggi: www.ghanaweb.com/law_cms e www.law.emory.edu/IFL/legal/ghana.htm#text; www.ghana.edu.gh, www.gsu.edu/~finjws/platform.html e www.unesco.org/education/environment/africa/ghana. ppo: hdr.undp.org/statistics/data/cty/cty_f_GHA.html o www.unicef.org/infobycountry/ghana_statistics.html. www.afrol.com/categories/women/profiles/ghana_women.htm, www.rnw.nl/humanrights/html/ghana.html. www.ethnologue.com. www.ajol.info www.unep-wcmc.org/species/plants/ghana/Ethnobot_Report.pdf www.who.int/3by5/en/Ghana.pdf. www.mondimpresa.org/infoflash/scheda.ASP?st=276. www.click.vi.it/sistemieculture/berlatoV.html; www.edscuola.it/archivio/stranieri/immigrazione.html www.caritasroma.it/immigrazione. 104 DANZE In Ghana tutte le comunità, i clan o le tribù arricchiscono la loro vita comune con musica e danze tradizionali. È un modo per celebrare insieme gli eventi più rilevanti. I generi musicali diffusi nel Paese sono numerosi; nel Nord la musica è prodotta soprattutto con strumenti a corde, mentre nel Sud sono i tamburi che prevalgono nella musica tradizionale. Il genere musicale più popolare, frutto della fusione di diversi stili locali, americani e caraibici è denominato “highlife”. Le danze che accompagnano l’“highlife” sono briose, energiche, coinvolgono tutte le parti del corpo del danzatore; le ginocchia sono sempre leggermente piegate, i piedi bel saldi alla terra ma non mancano gesti indirizzati al cielo che sottolineano l’indissolubile rapporto tra gli elementi della natura. 105 106 India di Barbara Bertolani DATI GENERALI L’India è un paese dalle dimensioni subcontinentali, sesto al mondo per estensione e secondo per popolazione solo alla Cina; situata in Asia, è separata a Nord-Ovest dal Pakistan da una frontiera priva di una chiara configurazione morfologica, indefinita nella regione del Kashmir e oggetto di gravi tensioni sia con la Cina che con lo stesso Pakistan. Il confine settentrionale, che corre in parte lungo la dorsale himalayana, separa l’India dalla Cina, dal Nepal e dal Buthan. A Nord-Est l’India confina con la Birmania ed è separata dal resto del paese dal Bangladesh, che si incunea profondamente nel territorio indiano. La zona peninsulare è bagnata dall’Oceano Indiano, che ad Ovest prende il nome di Mare Arabico e ad Est di Golfo del Bengala. La sovranità dell’India si estende anche sulle isole Andamane, Nicobare e Laccadive. Nel territorio indiano si individuano tre regioni, diverse per struttura e origini geologiche: l’Himalaya, la Pianura del Gange e il Deccan. Sebbene il territorio indiano inglobi solo il versante meridionale dell’imponente barriera montuosa formata dalle catene del Karakoram e dell’Himalaya, esso comprende alcune vette oltre i 7000 metri di altitudine, quasi tutte collocate nella sezione occidentale, mentre quella orientale è mediamente meno elevata ma si erge ripida sull’immensa pianura indo-gangetica (1500 km di lunghezza, 400 km di larghezza). Tale pianura è formata dagli apporti alluvionali di tre fiumi: l’Indo, il Gange e il Brahmaputra. Ad Ovest della valle del Gange si estende la pianura del Punjab (solcata da alcuni affluenti dell’Indo, tra cui il Sutlej). La pianura alluvionale connette l’arco montuoso alla grande penisola triangolare del Deccan, attraverso alcuni altopiani centrali. Il Deccan è un grande triangolo che si protende verso 107 l’oceano Indiano, ricoperto a Ovest da formazioni vulcaniche e dalla catena montuosa dei Ghati Occidentali, a Est da una serie di rilievi che degradano verso una fascia costiera pianeggiante ed estesa, caratterizzata da foci a delta. Il Gange (che ha un corso di 2700 km) nasce sull’Himalaya e sfocia nel golfo del Bengala dopo essersi unito al Brahmaputra in un amplissimo delta (56.000 kmq) che rappresenta la maggior parte del territorio del Bangladesh. Anche il Brahmaputra (che ha un corso di 2900 km) nasce dal versante settentrionale dell’Himalaya (Tibet) e scorre nell’India orientale solo nella parte mediana del suo corso. Le sue piene disastrose hanno limitato l’insediamento umano nella sua valle, peraltro molto fertile. Invece, il bacino del terzo grande fiume himalayano del subcontinente, l’Indo, interessa l’Unione Indiana solo con un parte del corso del Sutlej, suo affluente. Abitanti: 1.027.000.000 (al censimento del 2001), 1.041.144.000 (in una stima del 2004). Estensione geografica: 3.287.263 kmq. Continente: Asia. Densità di popolazione: 317 ab./kmq (2004). Incremento demografico 1,7% (1996-2001). PIL pro capite: 481 $ (2002). Vita media: m. 62; f. 64 (2001). Alfabetizzazione: il tasso di alfabetizzazione dell’India è cresciuto dal 18% del 1951 al 65,38% del 2001. I dati dell’ultimo censimento nazionale evidenziano che quello maschile è maggiore (75,85%) di quello femminile (54,16%) e che, in generale, è inferiore nelle zone rurali. Lo stato del Kerala possiede il tasso più alto di alfabetizzati di tutta l’India (91%), mentre nel Punjab vi è la più bassa disuguaglianza fra i sessi (le donne alfabetizzate sono il 50%, gli uomini il 64%). Mortalità infantile: 63,1‰ nel 2001 (69‰ nel 1998; lo stesso anno la mortalità sotto i cinque anni era pari al 105‰). Lingue ufficiali: hindi, inglese. Altre lingue: esistono 18 lingue riconosciute, specifiche di ciascuno stato dell’Unione Indiana (ad esempio: tamil, urdu, punjabi, bengali, gujarati, kashmiri, assamese, bengali, ecc.) e più di mille dialetti. Religioni: induisti (81,5%), musulmani (12%), cristiani (2,2%), sikh (1,8%), buddisti (0,8%) e altre minoranze come giainisti e zoroastriani. Gruppi etnici: la popolazione dell’India non è affatto omogenea e le differenze sono percepibili anche a colpo d’occhio. Nel Sud, gran parte della popolazione è di origine dravidica, sebbene nel corso dei millenni le invasioni, i commerci e gli insediamenti l’abbiano resa varia e meticcia, come nel resto del paese. Gli ebrei si sono storicamente insediati nell’odierno Kerala, circa 2000 anni fa. Gli Ariani, (invasori e mercanti provenienti da Nord-Ovest, dall’odierno Afghanistan e dall’Asia centrale a partire dal 1500 a.C.) hanno introdotto nella cultura e nella società indiana il sistema delle caste. Popolazioni mediorientali, originarie dell’odierno Afghanistan, sono giunte nel paese anche a partire dal XI secolo e hanno diffuso la religione musulmana (che si è ulteriormente radicata, soprattutto al Nord, durante i regni dei sovrani Moghul). 108 Infine, oltre alla presenza di europei, esistono innumerevoli minoranze etniche che conservano identità linguistiche e culturali nei diversi stati dell’Unione (ad esempio i tamil, i kashmiri, i sikh, i bodo, i nepalesi, i ladakhi, ecc.). Regime politico: l’India è una repubblica democratica parlamentare federale, composta da 29 stati e 6 Territori dell’Unione. È formalmente retta da un presidente, sebbene il potere reale sia in mano al primo ministro. Il parlamento è composto da una camera bassa (Lok Sabha o “Camera del Popolo”) e una camera alta (Rajya Sabha o “Consiglio degli Stati”). La prima è formata da 545 membri, eletti tutti (tranne due, scelti dal presidente) a suffragio universale con sistema uninominale secco, ogni cinque anni. Hanno diritto di voto tutti i cittadini che abbiano compiuto diciotto anni. Dei 545 seggi, 125 sono riservati ai rappresentanti delle Scheduled Castes (caste protette) e delle Scheduled Tribes (comunità tribali), così chiamate perché le caste e le minoranze tribali ritenute ufficialmente in condizioni sfavorevoli sono elencate in una distinta allegata alla costituzione indiana. La camera alta ha 245 membri; il presidente ne designa 12, gli altri sono eletti dalle assemblee legislative degli stati con un sistema di quote proporzionali. Il presidente può sciogliere la camera bassa ma non quella alta, ha potere solo rappresentativo (esegue cioè le direttive del Consiglio dei Ministri) ed è eletto da entrambe le camere e dalle assemblee legislative degli stati ogni cinque anni. Il governo federale ha poi la facoltà di assumere il potere in qualsiasi stato dell’Unione (President’s Rule) se la situazione interna a quello stato è divenuta ingovernabile (è ciò che è avvenuto nel Punjab dal 1985 al 1992, nel Kashmir nel 1990 e nell’Assam nel 1991). LE FESTE PRINCIPALI A causa del gran numero di religioni e tradizioni, l’India ha svariate feste, molte delle quali si tengono durante il Purnima (luna piena), considerato di buon auspicio. Molto spesso le feste seguono il calendario lunare o quello islamico, ragione per cui le date possono variare di anno in anno rispetto al calendario gregoriano. Fra le principali vi sono nel mese di Chaitra (marzo/aprile): RAMANAVAMI: si celebra la nascita di Rama; nella settimana che precede questa festa si leggono e recitano brani del Ramayana, poema epico che narra la vita di questo dio indù. PASQUA: festa cristiana che ricorda la crocifissione e la resurrezione di Cristo. Nel mese di Vaisakha (aprile/maggio): BUDDHA JAYANTI: si celebra la nascita, l’illuminazione e il raggiungimento del nirvana da parte del Buddha. Le vie di alcune città (soprattutto nel Sikkim) sono percorse da monaci che sfilano in processione portando le sacre scritture. Nel mese di Jyaistha (maggio/giugno): MILAD-UN-NABI: festa musulmana che celebra la nascita di Maometto. Nel mese di Asadha (giugno/luglio): 109 MARTIRIO DEL GURU ARJAN DEV: festa sikh che commemora il quinto guru, bruciato vivo sul rogo. Ai pellegrini viene offerto un bicchiere di lassi, una bevanda a base di yogurt. Nel mese di Sravana (luglio/agosto): RAKSHA BANDHAN (DETTA ANCHE NARIAL PURNIMA): il giorno di luna piena le ragazze mettono al polso dei loro fratelli (non necessariamente di sangue) degli amuleti chiamati “rakhi”, in cambio della loro protezione e di piccoli doni. Nel mese di Bhadra (agosto/settembre): INDIPENDENCE DAY: festa che cade il 15 agosto e celebra l’anniversario dell’Indipendenza dell’India, ottenuta nel 1947. JANMASHTHAMI: anniversario della nascita di Krishna. A Matura, secondo la tradizione città natale di questa divinità indù, le celebrazioni durano un mese intero e i templi (sia la struttura, sia tutti gli oggetti che contengono) vengono ricoperti di un unico colore. Nel mese di Asvina (settembre/ottobre): DUSSEHRA: festa popolare che celebra la vittoria di Durga, divinità indù, su Mahishasura, demone con la testa di bufalo. In molte località alla fine della festa si dà fuoco a enormi immagini o pupazzi rappresentanti Ravana, re dei demoni, per simboleggiare la vittoria del bene sul male. GANDHI JAYANTI: celebrazione solenne dell’anniversario della nascita di Gandhi (2 ottobre), con incontri di preghiera al Raj Ghat di Delhi, dove il Mahatma venne cremato. Nel mese di Kartika (ottobre/novembre): DIWALI: festa molto popolare di origine indù ma ricordata in tutta l’India, anche da appartenenti ad altre confessioni religiose. Di notte in ogni casa vengono accese lampade ad olio per mostrare al dio Rama la via verso casa dopo il periodo trascorso in esilio (come è narrato nel poema epico Ramayana). Oggi questa festa è dedicata anche a Lakshmi, dea indù dell’abbondanza e della fortuna, che ogni famiglia cerca di attirare dentro la propria casa con la luce. Le celebrazioni durano cinque giorni, durante i quali la casa è accuratamente pulita, talvolta imbiancata e sulla soglia sono disegnate col gesso intricate decorazioni (rangoli). Diwali è anche per tradizione la festa dei dolci che vengono donati e consumati in grandi quantità. Nel mese di Aghan (novembre/dicembre): NANAK JAYANTI: si celebra la nascita di guru Nanak, fondatore della religione sikh. ID-UL-FITR: festa musulmana che celebra la fine del Ramadan. Nel mese di Pausa (dicembre/gennaio): 110 NATALE: i cristiani celebrano l’anniversario della nascita di Cristo il 25 dicembre. LOHRI: festa molto popolare di origine indù ma ricordata anche da appartenenti ad altre confessioni religiose. Ricorre in gennaio, è considerata la festa dei bambini ed è particolarmente importante quella che si festeggia nel corso del primo anno di vita. In quell’occasione, soprattutto nell’India rurale e nei villaggi, la famiglia del neonato offre dolci a tutti i parenti e conoscenti. Dei travestiti (si tratta degli hijra, persone che nella società indiana costituiscono un gruppo intercasta a parte, riconosciuto nella sua specificità; essi si guadagnano da vivere intervenendo alle feste con la loro musica e le loro danze) si recano per tradizione dalla famiglia per cantare e festeggiare, prestazione ricambiata con cibo e denaro. Nel mese di Magha (gennaio/febbraio): REPUBLIC DAY: ha luogo il 26 febbraio e celebra l’anniversario della nascita della repubblica nel 1950. Vengono organizzate manifestazioni e parate militari in tutte le capitali dei diversi stati, anche se la più spettacolare è quella di Delhi. Nel mese di Phalguna (febbraio/marzo): HOLI: è una festa molto popolare, paragonabile al “carnevale” dei paesi occidentali e segna la fine dell’inverno. La gente festeggia facendosi scherzi e gettandosi addosso reciprocamente acqua e polvere colorata (gulal). IL SALUTO: Namaste (pronuncia namastè, fra gli indù); Sat Shri Akal (pronuncia sasrikal, fra i sikh), Salam Alekum (pronuncia salamalècum fra i musulmani). CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE A seconda dell’ora del giorno e della stagione, entrando in una casa di indiani vi potranno essere offerti tè, caffé, succhi di frutta e ogni altro genere di bevande analcoliche, insieme a mandorle, anacardi, ceci ed arachidi tostati, lenticchie fritte e speziate e innumerevoli tipi di dolci. La bevanda più tipica e diffusa resta comunque il tè (chai, pronunciato “cià”), che gli indiani preparano usando più latte che acqua, con molto zucchero e spezie (di solito cardamomo o zenzero). Anche quando ci si reca in un luogo sacro, come ad esempio il gurudwara, cioè il tempio sikh, il tè viene servito bollente in bicchieri di metallo e accompagnato a spuntini salati (ad esempio i matri, salatini fritti e speziati a base di farina di frumento e una particolare spezia, l’ajwain) o a dolci. Esistono vari tipi di dolci, di solito troppo zuccherati per le abitudini occidentali: ladoo (pronuncia: “laddu”), palline gialle di farina di ceci e semolino, rasgulla, palline di formaggio morbido non fermentato immerse in uno sciroppo dolce, barfi, 111 rettangoli di latte condensato cosparsi di cardamomo e mandorle o pistacchi in polvere, gulab jamun (pronuncia: gulab giamun), palline morbide di farina di ceci e latte addensato, fritte e immerse in uno sciroppo dolce o besan, rettangoli dolci friabili di farina di ceci e spezie. Se invece si è ospiti a pranzo o a cena, la cucina è quasi sempre vegetariana, speziata e piccante. Il pasto più tipico e più semplice (servito gratuitamente anche nei gurudwara ai pellegrini e ai visitatori) è costituito da roti (pane) e dhal (legumi, di solito lenticchie verdi o fagioli neri, stufati e speziati. Si pronuncia: “daal”), cui talvolta si accompagna il sabzi (verdure al curry accompagnate talvolta da formaggio. Si pronuncia: “sabgi”). Il roti è una specie di piadina di farina integrale non lievitata, cotta sulla piastra; il dhal si può invece preparare con una varietà enorme di legumi (circa una sessantina): lenticchie gialle, bianche, rosse, fagioli rossi o neri, spezzati, sbucciati o interi, ceci bianchi o neri, ecc. e ha la consistenza di una zuppa piuttosto densa. Il sabzi è un contorno che può essere fatto con numerose verdure o con legumi (piselli, ceci) e che può essere accompagnato da paneer (formaggio non fermentato a cubetti. Si pronuncia “paniir”). Questi cibi possono essere serviti su piatti di acciaio suddivisi al proprio interno in diverse vaschette oppure in coppette a sé stanti; sia il dhal che il sabzi sono mangiati col cucchiaio o direttamente con le mani, servendosi di pezzi di roti arrotolati. Dhal, roti e sabzi sono alimenti di base e possono essere arricchiti o sostituiti da altre pietanze più ricche quando si riceve un ospite. IMMIGRAZIONE IN ITALIA La migrazione dall’India verso l’Italia è questione abbastanza recente. I primi indiani arrivano nel nostro paese a partire dalla metà degli anni Settanta, spesso senza una meta fissa e con la speranza di riuscire prima o poi ad entrare, nonostante la chiusura delle frontiere, in stati come la Gran Bretagna, il Canada e gli Stati Uniti, inizialmente. L’Italia è quindi una “seconda scelta” o una terra di passaggio; solo a partire dai primi anni Ottanta i flussi si intensificano, anche a seguito delle rivendicazioni separatiste di attivisti punjabi e della tensione politica che si crea a livello regionale col governo indiano. Tensioni che sfociano nel 1984 in un attacco dell’esercito federale contro il “Tempio d’Oro” di Amritsar (luogo di culto sacro per eccellenza dei sikh), nell’uccisione del primo ministro Indira Gandhi da parte delle sue guardie del corpo sikh e in numerosi massacri compiuti soprattutto a danno della popolazione civile punjabi di religione sikh. La guerra civile, che solo dal 1992 sembra essersi conclusa, ha ulteriormente spinto le famiglie a “far uscire” dal Punjab e dall’India i propri giovani figli maschi. Ciò contribuisce a spiegare perché la grande maggioranza degli indiani in diaspora proviene dal Punjab, ma storicamente non è l’unica causa. Fin dalla dominazione inglese, infatti, l’esercito ha costituito una buona opportunità di impiego per la popolazione maschile punjabi, ha offerto la possibilità di trasferimenti verso altri territori dell’impero britannico o verso la “madrepatria” e ha contribuito al lento consolidarsi di una tradizione di catene 112 migratorie. A ciò va aggiunto che, come è noto, di solito chi emigra non fa parte dello strato più povero della popolazione e il Punjab è lo stato più ricco dell’Unione Indiana; ad economia prevalentemente agricola, si dice che sia il granaio dell’India. Qui più che altrove, quindi, è possibile per le famiglie contadine benestanti vendere la terra o impegnare i guadagni dei raccolti per ricavare i soldi necessari all’emigrazione dei propri figli (spesso la migrazione serve ad evitare il frazionamento della proprietà fondiaria tra fratelli maschi): non è un caso se la maggioranza dei migranti proviene ancora oggi dalla classe media locale e ha lasciato altre opportunità d’impiego nel proprio paese. Al 31 dicembre 1996 gli indiani che soggiornavano regolarmente in Italia erano 19.417, alla fine del 2000 erano 30.338. Nel 2002, invece, si calcola che i residenti indiani siano stati 34.080 (fonti: Caritas su dati Istat e del Ministero dell’Interno). Inoltre, nel corso del 2002 il 48% dei permessi di soggiorno è stato rilasciato per motivi di lavoro (il 44,5 di questa percentuale si riferisce ad un’occupazione di tipo subordinato), mentre il 32% per motivi familiari. Si tratta quindi di una presenza che è aumentata costantemente negli ultimi anni, sebbene in modo meno netto rispetto ad altri flussi. A partire dalla metà degli anni Ottanta l’immigrazione punjabi si è concentrata soprattutto in alcune zone della penisola: nel Mezzogiorno, sulla costa ionica calabrese e nel barese; al centro, soprattutto in Lazio fra Roma e la provincia di Latina; al Nord, in Pianura Padana, fra Reggio Emilia, Mantova, Cremona e anche nel bresciano e nel vicentino. Al Sud la presenza punjabi è più spesso irregolare ed è inserita nel settore agricolo ortofrutticolo (ad esempio nella coltivazione in serre, nella raccolta della frutta e della verdura, ecc.), talvolta negli allevamenti bovini oppure nel terziario, in mansioni poco qualificate (ad esempio nel settore alberghiero o della ristorazione, come lavapiatti). Al Nord, prevalgono invece le presenze regolari, inserite nel terziario come autotrasportatori, nel tessuto della piccola impresa artigianale metalmeccanica e soprattutto nel comparto agricolo (zootecnia bovina da latte). Grande importanza giocano le reti di parentela nei processi di migrazione e di inserimento economico e sociale dei punjabi: di solito è attraverso il proprio network che si ha accesso alle risorse del territorio. I primi anni della migrazione di coloro che giungono in modo autonomo sono spesso caratterizzati da una certa mobilità: ci si sposta anche più volte all’interno della penisola per raggiungere i propri ‘parenti’, da cui ci si aspetta qualche forma di aiuto, fino a quando non si è trovato un lavoro, un trattamento economico ed una sistemazione abitativa considerati soddisfacenti e tali da permettere il ricongiungimento famigliare. Una volta che questo è avvenuto, la migrazione punjabi, è orientata alla stabilizzazione di medio o lungo termine e alla ricreazione di un network parentale allargato nel contesto territoriale di arrivo. Le donne giungono in Italia quasi sempre solo grazie al ricongiungimento famigliare; spesso lavorano a domicilio (etichettatura o stiratura di capi d’abbigliamento), come operaie o come mungitrici accanto al marito. Ciò comporta uno scarso contatto con la popolazione autoctona, un certo isolamento cui consegue anche una scarsa padronanza della lingua italiana, e si coniuga con la tendenza a frequentare in prevalenza persone del proprio gruppo nazionale. 113 MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI Concepire un figlio (possibilmente maschio) subito dopo il matrimonio è un desiderio diffuso e implicitamente costituisce l’aspettativa che le famiglie nutrono nei confronti delle giovani coppie. Purtroppo accade ancora oggi (solo fra i ceti più diseredati della popolazione e molto di rado fra i punjabi) che il desiderio di avere figli maschi sia fortissimo, a tal punto che il governo indiano ha approvato una legge per proibire l’aborto di feti sani di sesso femminile e ha dichiarato fuori legge le cliniche specializzate nella “determinazione del sesso”. Nelle famiglie più povere le femmine possono essere considerate un fardello (si dice che avere una figlia sia come seminare nel campo del vicino) e ciò è dovuto al fatto che esse lasciano i genitori una volta sposate, andando ad abitare coi suoceri e cominciando a lavorare per la famiglia allargata del marito, e anche perché vige ancora la tradizione di provvedere alla dote, che per molti rappresenta un salasso finanziario. La donna gravida può trovarsi costretta a lavorare fino all’ultimo giorno e a dover riprendere l’attività dopo poco più di un mese dal parto; la gravidanza non è considerata una condizione tale da richiedere particolari riguardi o attenzioni e, soprattutto nelle zone rurali e fra la popolazione più povera, ci si aspetta che la donna continui ad ottemperare a tutti i suoi compiti. Molto spesso, soprattutto quando la donna lavora fuori casa o nei campi, i bambini vengono lasciati ai nonni paterni presso cui la famiglia vive, sebbene in alcuni villaggi e nelle realtà urbane esistano anche scuole materne pubbliche dove i bimbi sono accuditi gratuitamente. I figli dormono nel letto coi genitori fino ad alcuni anni di vita. L’educazione tende ad essere differente a seconda del sesso: fin da piccoli si insegnano i ruoli ed i compiti che si dovranno svolgere da adulti. Ad esempio ci si aspetta che le figlie più grandi si prendano cura insieme ai nonni dei fratellini o delle sorelline minori, o che aiutino nelle piccole incombenze domestiche. MODELLI DI CURA Se nelle città di medie e grandi dimensioni e fra gli strati più abbienti e colti della popolazione il parto avviene in ospedale, la maggioranza della donne partorisce in casa assistita da ostetriche che hanno preso il posto delle vecchie nutrici. Dopo il parto il neonato viene lasciato nudo e messo a contatto con il corpo della madre da cui attinge calore e nutrimento. La tradizione vuole che per i quaranta giorni dopo il parto la puerpera si alzi dal letto il meno possibile e resti quasi ininterrottamente col neonato, ricevendo cure ed assistenza dalle donne della cerchia famigliare (di solito la suocera e le cognate). Terminato questo periodo la donna può riprendere a lavorare; nelle zone rurali, per tutto il periodo dell’allattamento la donna porta con sé il figlio nei campi. I neonati vengono appoggiati sulla schiena della madre e legati a lei con una pezza di stoffa lunga e larga a sufficienza per poterli sorreggere. Ciò permette alla donna di avere le mani libere per potere lavorare e al bambino di restare sempre a contatto col 114 suo corpo. Durante i primi mesi di vita il rapporto madre/neonato è quindi molto stretto; le cose cambiano nelle zone urbane dove l’attività professionale fuori casa impone l’affidamento a terze persone. Non a caso fra le donne che vivono in città e lavorano fuori casa, negli ultimi anni si è diffuso l’allattamento artificiale, erroneamente propagandato come migliore e “più moderno”. La larga maggioranza dei bambini, però, viene ancora allattata al seno il più a lungo possibile, generalmente fino ad un anno e nelle zone rurali anche fino a due o tre anni. In generale, grande attenzione è posta alla cura e alla pulizia quotidiana del neonato (soprattutto se maschio): pelle e cuoio capelluto sono mantenuti idratati e morbidi grazie all’uso di olio di cocco e di mandorle; l’uso di kajal intorno agli occhi svolge una funzione antisettica. Nel corso del primo anno di vita i bambini devono essere sottoposti ad alcune vaccinazioni obbligatorie (sebbene in certi strati più poveri della popolazione non sempre questo avvenga), tra cui quelle contro tubercolosi, poliomielite, morbillo, tetano, rosolia. MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE La maggior parte dei bambini di entrambi i sessi che vivono nelle zone rurali trascorrono i primi anni della loro infanzia insieme a loro coetanei (fratelli o sorelle, cugini, ecc.) sotto il controllo della madre, delle zie o della nonna, di solito presso le abitazioni dell’una o dell’altra. In Punjab, i figli maschi sono spesso incentivati a praticare sport, ad esempio calcio, hockey su prato e cricket. In ambito migratorio i templi costituiscono un importante centro di aggregazione; alcuni gurdwara, ad esempio, organizzano attività per tutto il giorno durante le vacanze estive: lo studio del punjabi, il catechismo, ecc. MODELLI E STILI FAMILIARI RUOLO DEI GENITORI: sebbene negli ultimi anni in molte famiglie sikh anche il padre cominci a giocare un ruolo più attivo soprattutto nella cura dei figli, di solito è alla donna che è delegato questo compito, così come quello della pulizia e dell’organizzazione domestica. Ciò vale anche quando essa svolge un lavoro fuori casa. In contesto migratorio, la separazione tra i ruoli tende ad accentuarsi ancora di più, almeno negli anni immediatamente successivi al ricongiungimento; la mancata o scarsa conoscenza dell’italiano, l’isolamento residenziale e le difficoltà di spostamento, l’eventuale presenza di figli piccoli, la lontananza dalle reti femminili e parentali più strette sono tutti fattori che rendono la donna dipendente dal marito per ogni necessità che la ponga in rapporto con la società di arrivo. È per questo motivo, più che per ragioni legate al controllo, che essa è sempre accompagnata dal coniuge (ma talvolta che da parenti o da amiche che parlano l’italiano meglio di lei) qualora 115 debba recarsi negli uffici pubblici o rivolgersi ai servizi sanitari. All’uomo per tradizione spetta il ruolo di capo famiglia, ma nell’ambito delle mura domestiche può accadere che l’atteggiamento della donna nei confronti del marito non sia affatto passivo o remissivo; esistono comunque anche non pochi casi di violenza famigliare che spesso si accompagnano all’abuso di alcol da parte degli uomini. VITA SOCIALE DELLE FAMIGLIE: fatta eccezione per i centri urbani in cui prevale il modello mononucleare, le famiglie indiane sono di solito allargate, policentriche e patrilocali: per tradizione dopo il matrimonio la coppia si stabilisce a vivere con i genitori del marito. La donna si deve “adattare” e deve spesso sottostare all’autorità della suocera che, all’interno della casa, resta un punto di riferimento della famiglia estesa. ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: La scelta del nome del proprio figlio comporta sia per gli indù che per i sikh un rito specifico: fra i primi è il bramino, che calcola anche l’oroscopo del neonato, a dare indicazioni circa il nome. Fra i secondi, invece, ci si reca al tempio ove si apre a caso il Guru Granth Sahib: la prima lettera che compare sulla pagina di sinistra del testo sacro deve essere la lettera con cui comincia il nome del bambino. Tali usanze vengono spesso rispettate anche in contesto migratorio: è questo uno dei motivi per cui talvolta sembra che i genitori tardino nel comunicare all’ospedale il nome del neonato, quando in realtà stanno aspettando che i propri parenti in India ottemperino alle tradizioni. Ciò non toglie che, sempre più spesso, le coppie decidano di imporre nomi italiani o internazionali ai propri figli, confidando nel fatto che ciò possa aiutarli nel rapportarsi con la società italiana. Nella società indiana non esiste il concetto di “cognome” così com’è concepito in Occidente; un suo equivalente può essere il lignaggio che designa gruppi di famiglie all’interno di una stessa casta. Fra i punjabi di religione indù si affianca al proprio nome il termine “Kumar” o “Kumari” (che vuol dire “signore” o “signora”), oppure il lignaggio del padre. Fra i sikh, invece, si è visto come la tradizione religiosa imponga che tutti gli uomini si chiamino “Singh” e le donne “Kaur” a prescindere dall’origine della famiglia. Questo causa numerosi casi di omonimia fra i sikh che vivono in diaspora, con conseguenti problemi legati al rilascio dei documenti. Ciò sta progressivamente portando ad un ripristino dell’uso del lignaggio accanto al nome proprio. ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: alla nascita si ottiene la cittadinanza dei genitori. I figli di coppie miste italo-indiane devono scegliere a favore di una delle due. FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: la filiazione naturale, cioè al di fuori del matrimonio, è un fenomeno sociale molto poco diffuso, nei confronti del quale vi è una fortissima riprovazione sociale (si verifica soprattutto fra gli strati più poveri della popolazione). All’atto della registrazione del nuovo nato, di solito avviene il riconoscimento da parte di entrambi i genitori. Il concepimento prematrimoniale è assai raro e di solito prelude alle nozze. I figli nati nel matrimonio sono automaticamente riconosciuti dai genitori. 116 REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: in Punjab, ogni villaggio ha un chowkidar (“guardiano”), impiegato del municipio e dello stato, che provvede alla registrazione del nuovo nato (per legge, il giorno stesso della nascita). CONTRATTO DI MATRIMONIO: è possibile, ma assai raro, sposarsi con il rito civile: la quasi totalità dei matrimoni avviene secondo rito religioso che è riconosciuto dalla legge. DIRITTI DEI MINORI: i minori in India sono fra le categorie di fatto meno tutelate, sebbene esistano leggi che, ad esempio, proibiscono il lavoro e lo sfruttamento infantile. Il diritto all’istruzione, tutelato dalla legge, nella pratica è garantito solo a pochi: si calcola che circa un terzo dei bambini non venga neppure iscritto alla scuola dell’obbligo. Inoltre, nelle zone rurali la presenza degli alunni a scuola è fortemente influenzata dai cicli delle colture e dei lavori nei campi. Esistono enormi differenze a seconda della regione considerata, del sesso dei bambini, dello strato sociale e del luogo (città o campagna) in cui essi risiedono; in generale, il grosso problema è costituito dalla grande diffusione del lavoro infantile: fra gli strati meno abbienti della popolazione i bambini non solo lavorano, ma sono sottopagati e costretti a compiti massacranti o pericolosi per poche rupie al giorno, senza nessuna copertura assicurativa o assistenziale. DIRITTI DELLE DONNE: se è vero che la maggior parte delle professioni continua ad essere svolta dagli uomini, è anche vero che le donne hanno cominciato ad essere presenti in ogni ambito lavorativo; ad esempio, nel 1993 l’esercito indiano ha reclutato per la prima volta delle donne e attualmente il 10% dei parlamentari è di sesso femminile. Tuttavia, esistono grandissime differenze nella condizione femminile a seconda che si consideri la realtà delle grandi città o quella dei villaggi, degli strati di popolazione più colti e abbienti o dei più poveri e poco istruiti. In generale, la condizione della donna in India è difficile ed è subordinata al potere dell’uomo, sia in ambito famigliare che lavorativo. Soprattutto nei villaggi i progressi sono molto lenti, sebbene esistano gruppi come la “SEWA” (Self Employed Women’s Association, Associazione delle donne lavoratrici indipendenti) che dimostrano come almeno l’emancipazione economica sia possibile. Si tratta di un sindacato, che conta iscritti soprattutto al Nord e nello stato del Gujarat, cui aderiscono donne in condizioni di povertà e di casta bassa, che possono così avere un maggiore potere contrattuale, combattere pratiche di sfruttamento e ottenere microcrediti. DIVORZIO: la legge indiana prevede il divorzio, tuttavia si tratta di una pratica riprovata socialmente. Una donna sposata che voglia divorziare si trova ad affrontare numerose difficoltà. Benché la legge preveda che una vedova o una divorziata si possa risposare, in realtà sono molto rari i casi in cui questo accade. Una donna divorziata è di solito emarginata dalla società: non può contare né sull’appoggio dei propri famigliari (che le possono voltare le spalle se è lei a chiedere il divorzio) né su una protezione dello stato in forma di previdenza sociale. La coppia è responsabile del buon funzionamento del matrimonio e ha quindi il dovere di tentare di superare ogni ostacolo. Un matrimonio fallito macchia la reputazione di entrambi, ma le conseguenze che incombono sulla moglie sono peggiori di quelle che attendono il marito. Non 117 sorprende quindi che i casi di divorzio siano pochi e si verifichino soprattutto nelle città più grandi, dove in genere è maggiormente accettata l’idea che una donna possa anche fare carriera ed avere una vita indipendente. Per quanto riguarda la migrazione, non sempre il ricongiungimento dopo anni di separazioni o, comunque, in un contesto sociale alieno, ha successo. In questi casi può accadere che, dopo qualche anno di tentativi e di difficoltà, la moglie preferisca tornare in India coi figli piuttosto che divorziare. SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI Secondo quanto previsto dalla costituzione, l’istruzione è obbligatoria e gratuita per tutti fino all’età di quattordici anni. La scuola pubblica è laica, ragione per cui non vi si insegna la religione, ed è mista. Oltre alle scuole statali vi sono molti istituti privati (di solito in lingua inglese), esclusivi ed ambiti fra le famiglie che possono permetterseli. Il percorso formativo si divide in scuola materna, scuola dell’obbligo (chiamata anche “elementare”), scuola secondaria e università. Due terzi dei bambini (tra cui quasi tutti quelli compresi nella fascia d’età della scuola elementare) sono iscritti a scuola, ma molti non frequentano regolarmente e almeno 33 milioni di bambini non sono nemmeno iscritti. La dispersione scolastica prima di terminare la scuola dell’obbligo è altissima e, nelle zone rurali, riguarda almeno la metà degli alunni. Nel 1997-’98 la percentuale di dispersione nella scuola secondaria è stata del 69%. Inoltre, il numero delle bambine frequentanti o iscritte è di gran lunga inferiore a quello dei maschi, soprattutto ai livelli più alti dell’istruzione scolastica. La gestione del settore scolastico è affidata congiuntamente al governo federale e alle istituzioni dei singoli stati e sussistono numerose differenze a seconda delle singole realtà regionali, soprattutto per quanto riguarda la promozione dell’istruzione fra le ragazze e i gruppi più svantaggiati. In Punjab è obbligatorio indossare un’uniforme; all’inizio delle lezioni ci si deve alzare in piedi per ascoltare l’inno punjabi. SCUOLA DELL’OBBLIGO: per Elementary school si intende l’istruzione obbligatoria che comincia a sei anni e dura fino ai quattordici. Gli alunni sono seguiti da un solo professore e il loro percorso formativo è suddiviso in due cicli: – Primary school, dura otto anni, dai sei agli undici anni d’età. Durante questo primo ciclo gli alunni acquisiscono le conoscenze di base nelle materie fondamentali (lingua statale, matematica, geografia, storia, ecc.); in Punjab, dal primo anno di corso è obbligatorio lo studio delle lingue punjabi e inglese, mentre dal terzo si comincia quello dell’idioma nazionale, l’hindi. – Medium school, dura tre anni, dagli undici ai quattordici anni d’età. Durante questo secondo ciclo si consolidano e approfondiscono le conoscenze e la preparazione. 118 SCUOLA SECONDARIA: essa non è obbligatoria e dura quattro anni, dai quattordici ai diciotto anni d’età. Accanto allo studio delle materie fondamentali si affianca quello dell’arte, dell’economia, delle scienze naturali, nonché di alcune materie tecnico-professionali. Il corpo docenti è costituito da diversi insegnanti a seconda delle materie di studio. VALUTAZIONI, PUNIZIONI, RAPPORTO FRA ALUNNI, FAMIGLIE E DOCENTI: il sistema di valutazione in Punjab è basato sui voti, da zero a cento: la sufficienza è pari a 33/100. Lo stile relazionale fra docenti e alunni è improntato al rispetto dei secondi nei confronti dei primi (è paragonabile ad un rapporto fra maestro e discepolo); ad esempio, quando l’insegnante entra in classe, ci si deve alzare in piedi. Inoltre certi docenti, soprattutto anziani, talvolta si avvalgono di metodi autoritari e paternalistici. Le punizioni corporali sono state dichiarate fuorilegge con una sentenza della Corte Suprema nel 2003, tuttavia possono essere praticati altri metodi per punire gli alunni disobbedienti, come ad esempio obbligare a stare a lungo con le braccia alzate. La Parents’ and Teachers’ Association (PTA) riunisce gli insegnanti ed i genitori in associazione. In ogni istituto un rappresentante delle famiglie è delegato a confrontarsi e a discutere periodicamente col corpo docenti delle questioni che riguardano la scuola. VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE Le caste rappresentano la struttura fondamentale della società indù. Esse definiscono un’organizzazione sociale gerarchica e ascrittiva, organizzata su più livelli, caratterizzata da scarsissima mobilità. Vivere una vita onesta e portare a compimento il proprio dharma (compito) aumenta le probabilità di rinascere in una casta superiore. Le caste (varna) principali sono quattro e a ciascuna la tradizione attribuisce delle precise funzioni sociali: i brahman, bramini o sacerdoti, posti al vertice della gerarchia sociale, i kshatriya, guerrieri, i vaishya, mercanti, e infine i shudra, contadini. Ogni casta è poi suddivisa in sottocaste che, a loro volta, si scindono in diversi lignaggi. Al di sotto e al di fuori delle quattro caste principali si trovano i cosiddetti fuoricasta o “intoccabili” (dalit), cui spesso vengono ancora oggi riservati i lavori più sporchi ed umili. Non a caso, per cercare di migliorare la condizione di chi nasce alla base della piramide sociale, l’India ha varato una legislazione molto severa contro le discriminazioni, ha proibito l’uso di appellativi come “intoccabile”, ha stilato elenchi di gruppi (le cosiddette “scheduled castes”) che vengono protetti attraverso politiche di discriminazione positiva, riservando a chi ne fa parte delle quote negli impieghi pubblici, in parlamento e all’università. Al contrario, per coloro che si collocano entro il sistema delle quattro varna principali, oggi non vi è più una corrispondenza diretta fra casta e professione, e nemmeno fra casta e classe sociale: può accadere di conoscere bramini molto poveri che si dedicano ad attività manuali e contadini divenuti proprietari terrieri assai benestanti, impegnati in politica. Nonostante questi mutamenti, le caste 119 continuano ad avere un forte peso nella società indiana (la cui popolazione è in maggioranza di religione indù) per quanto riguarda la sfera culturale, relazionale e affettiva delle persone; ad esempio, la casta è un criterio fondamentale nei matrimoni combinati e, in generale, vi è la tendenza a frequentare persone della medesima origine e semmai a limitare i contatti con chi sta alla base della gerarchia sociale. In Punjab la realtà è più complessa, poiché la maggior parte della popolazione è di religione sikh. Il sikhismo afferma l’eguaglianza fra tutti gli esseri umani e, anche nelle prassi più semplici del culto domenicale, prescrive promisquità di casta; ad esempio, ogni tempio è fornito di un refettorio (langar) ove i fedeli, seduti per terra in file parallele e serviti da altri fedeli, consumano insieme il cibo. Questa pratica, introdotta dal terzo guru, Amar Das, è solo uno fra i tanti rituali fortemente simbolici di cui è permeato il sikhismo, miranti al superamento dell’ordine sociale tradizionale gerarchico. Il fatto di sedere tutti per terra è, infatti, un chiaro richiamo simbolico all’eguaglianza, in contrapposizione all’usanza dei bramini indù di sedersi in posizione più elevata degli altri; analogamente, la commensalità obbligatoria infrange le regole del puro e dell’impuro secondo cui le caste ai vertici della gerarchia sociale possono consumare cibo preparato e servito solo da persone della stessa casta o di caste più elevate. Ciò non toglie che l’eredità culturale indù continui a permeare in parte anche la società punjabi e che quindi l’appartenenza di casta e di lignaggio giochi ancora un ruolo fondamentale soprattutto nella costruzione delle parentele e dei legami sociali (ad esempio nell’organizzazione dei matrimoni combinati); ciò vale sia nel contesto di origine, sia in immigrazione. In generale, per i sikh in diaspora l’accento sull’ordine gerarchico tradizionale fra le caste è più sfumato: da questo punto di vista la migrazione, costringendo ad un confronto con la società di arrivo, pare operare un processo di “livellamento” sociale fra i migranti. L’appartenenza di casta conserva invece la sua importanza per quanto riguarda l’insieme dei legami orizzontali fra i gruppi che ne fanno parte, cioè i lignaggi. Essa circoscrive cioè un ambito relazionale, un insieme di legami sociali possibili dai confini molto ampi che si può coniugare e sovrapporre ad altri criteri di appartenenza più restrittivi (come i vincoli di parentela vera e propria, basati sulla consanguineità e l’affinità). Non deve quindi sorprendere se i migranti punjabi sembrano tutti parenti e si chiamano reciprocamente “cognati”, “zii”, “fratelli”: spesso si tratta di legami ‘sociali’ creati con lo scopo di costruirsi una rete di protezione sociale e garantirsi l’accesso a risorse scarse. Questi reticoli comportano un continuo e reciproco scambio di risorse materiali e di socialità entro il gruppo. Tutto ciò implica però anche un certo incapsulamento ed una scarsa abitudine allo scambio culturale e all’interazione con il contesto sociale di arrivo, al di là della sfera economica. Sebbene non si tratti di un atteggiamento rigido o difensivo nei confronti della società italiana, per consuetudine la vita relazionale delle famiglie tende a svolgersi in seno alla comunità, cosa che permette anche di riproporre le proprie tradizioni alimentari, la propria lingua, il proprio abbigliamento, i propri modelli di comportamento. I templi sikh (gurdwara) 120 costituiscono centri di aggregazione e di socialità importanti in diaspora. È frequentando il tempio o prestandovi opera di volontariato (seva) che ci si ritrova, ci si scambia informazioni o pettegolezzi e si costruiscono parentele. I templi, finanziati con le offerte della comunità, offrono cibo gratuito e un ricovero per la notte a chi ne abbia bisogno, svolgendo così anche un importante ruolo di assistenza a favore di chi si trova in difficoltà. STILI ALIMENTARI Il giainismo comporta l’adozione di un’alimentazione completamente vegetariana; la religione indù, invece, proibisce solo il consumo di carne di mucca, mentre l’Islam vieta quella di maiale. La dottrina sikh, infine, indica soltanto di non mangiare carne macellata alla musulmana (cioè per sgozzamento; mentre prescrive che gli animali siano uccisi con un colpo secco per limitarne la sofferenza). Nonostante queste precise limitazioni, molti indiani sono vegetariani, soprattutto se di religione indù e di casta alta, oppure se sikh praticanti: si astengono cioè dal consumo di carne, pesce e, talvolta, anche uova (mentre il latte e i suoi derivati sono ammessi). L’alimentazione vegetariana è quindi in primo luogo un’abitudine culturale più che una prescrizione che trova fondamento nei testi sacri delle varie religioni (sebbene, interrogando un indiano, vi potrà venir detto il contrario). Per alcuni sikh e indù la carne e il pesce sono tabù per tradizione e chi li mangia può essere considerato malvagio poiché causa la morte degli animali (ciò non toglie che il consumo di carni bianche come il pollo, lontano dagli occhi della propria comunità, sia abbastanza diffuso e anche gradito, in particolare fra gli uomini). Per quanto riguarda gli alcolici, il loro consumo è di solito espressamente vietato dalle religioni e tuttavia abbastanza diffuso, soprattutto nello stato del Punjab e fra gli uomini sikh non praticanti. Il whisky è stato introdotto in India in epoca coloniale dagli inglesi; il suo abuso è in certe zone del paese una vera piaga sociale: le famiglie talvolta incentivano i giovani a divenire sikh praticanti anche per limitare il rischio di alcolismo. La migrazione impone qualche cambiamento a quanto detto finora. Soprattutto nei momenti iniziali del processo migratorio (cioè prima che avvenga il ricongiungimento famigliare), la convivenza forzata fra uomini di caste e provenienze diverse, non imparentati fra loro e che condividono una stessa sistemazione abitativa da un lato, la mancanza delle donne cui di solito è delegata la preparazione delle pietanze da un altro lato, fa sì che vi possa essere minore attenzione e anche minor controllo sul consumo dei cibi e delle bevande: carne e uova possono diventare alimenti graditi soprattutto in occasione delle feste, sebbene poco consumati perché più cari della tradizionale zuppa di lenticchie. Anche l’assunzione di alcol può aumentare, incentivata dalle cattive condizioni abitative (case umide, spesso non riscaldate), dalla lontananza e dalla solitudine. Non sono poi così pochi i casi di alcolismo fra i migranti indiani, soprattutto punjabi, sebbene si tratti di un problema che resta 121 spesso celato. L’arrivo delle mogli e dei figli a seguito del ricongiungimento famigliare favorisce un ritorno alla tradizione soprattutto per quanto riguarda il cibo, mentre l’eventuale esistenza di problemi di alcolismo può essere alla base di conflitti e tensioni famigliari. La cucina indiana è prevalentemente vegetariana, speziata e piccante. Il dhal (zuppa di legumi, di solito lenticchie) e il sabzi (verdure al curry) accompagnati da riso e pane (roti) sono le pietanze principali in tutta l’India; di ciascuna di esse esistono numerose versioni. Vi è poi una grandissima varietà di piatti tipici dei diversi stati dell’Unione. Al Nord, specialmente in Punjab, le occasioni particolarmente importanti si possono festeggiare iniziando da stuzzichini salati fritti come i golgappa (dischetti di pasta fatta con frumento e ceci; fritti e croccanti si gonfiano al centro e si mangiano rompendo con un dito la superficie al centro e riempiendola di ceci lessati e di una salsa al tamarindo); i pakhora, verdure (patate, cipolle, cavolfiore, ecc.) intinte in una pasta liquida di farina di ceci e fritte; i samosa, triangolini fritti di pasta sottile, ripieni di verdure (di solito patate, piselli, spezie e peperoncini) e talvolta anche carne. Un piatto tipico, soprattutto della stagione fredda è il saag, un purè di spinaci, foglie di senape, di ravanello e cime di rapa, speziato al cumino, mischiato con pezzi di paneer (formaggio) e servito con roti di mais. La carne può essere cotta nel forno di terracotta tandoor: ne è un esempio il pollo tandoori, prima marinato in yogurt e spezie. Infine, i dolci sono i cibi più tipici delle feste: gli indiani ne cucinano, ne offrono, ne comprano e ne consumano grandi quantità. Seguendo la tradizione, i principali eventi del ciclo della vita vengono spesso festeggiati anche distribuendo ad amici e parenti dei dolci: laddoo, barfi, gulab jamun, ecc. In generale, gli indiani tendono ad essere particolarmente legati alle proprie tradizioni e alle proprie abitudini alimentari e a rispettarle il più possibile anche quando vivono all’estero. Abituati all’aroma delle spezie, qualsiasi pietanza indigena può sembrare loro insipida, priva di sapore; la cucina, nel loro caso, anziché essere un terreno di confronto, scambio e avvicinamento alle abitudini locali può divenire una barriera che limita le occasioni di socializzazione con gli autoctoni. I cereali sono una componente essenziale della cucina indiana: il riso al Sud e il grano, sotto forma di pane (roti) al Nord. Il riso è presente quasi in ogni pasto, l’indiano medio ne consuma circa 2 kg alla settimana. Roti significa pane e, per estensione, pasto. Ve ne sono diversi tipi: il chapati (pronuncia “ciapati”) è fatto di farina integrale di frumento e acqua ed è cotto sulla tawa, una piastra concava; i puri sono dischi sottili di pasta fritti che si gonfiano durante la cottura; il naan (che può essere semplice o ripieno di formaggio o di verdure) è una pagnotta rotonda un po’ meno sottile e più soffice, cotta al forno tandoor (un forno tipico di terracotta, a forma di grande vaso rotondo, ove le braci sono poste sul fondo e il pane si cuoce attaccandolo alle pareti roventi). Il dhal è un piatto di legumi speziati e stufati e viene servito nella maggior parte dei pasti in tutta l’India. Le spezie sono un ingrediente altrettanto essenziale: pepe nero, curcuma, semi di coriandolo e di cumino, tamarindo (di cui vengono usati i baccelli secchi: l’acqua in cui vengono messi a bagno dà un sapore acidulo a certi piatti), fieno greco (che si mischia a salse a base di yogurt), ajwain o 122 “prezzemolo indiano”, radice di zenzero, zafferano, cardamomo (usato nei dolci e nel tè, ha proprietà digestive e rinfrescanti), oltre a peperoncino rosso e verde, aglio e cipolla. Molte di queste spezie hanno un sapore diverso da quello cui si è abituati in Occidente; inoltre, ciò che qui si vende come “curry indiano” (e che talvolta è scambiato per un’unica specifica spezia in polvere, mentre è una mistura di numerose spezie) è un prodotto che non esiste come tale in India. “Curry” era infatti un termine usato dai gentiluomini dell’impero britannico per indicare tutta la gamma delle spezie indiane. Il termine che indica una generica miscela di spezie è invece masala (pronuncia: “masàla”). Vi è uno specifico masala alla base di ogni piatto (spesso la preparazione del masala all’inizio della cottura costituisce la fase più impegnativa di certe pietanze) e nessun cuoco indiano si sognerebbe di usare la stessa combinazione per più piatti. La parola kari (che si pronuncia curry) indica invece una zuppa a base di farina di ceci, cipolle, yogurt, tamarindo e frittelle di verdure e ceci. Si possono trovare anche carne e pesce (particolarmente apprezzati dai musulmani e dai cristiani); la carne consumata è soprattutto di pollo, di agnello e di capra o capretto (nota come “montone”). Il latte e i suoi derivati danno un incredibile contributo alla cucina indiana. In primo luogo il ghee (burro chiarificato, pronuncia “ghii”) e la panna sono, insieme all’olio di semi di senape e di arachidi, fra i condimenti più usati. Inoltre gli indiani bevono e utilizzano per numerose preparazioni molto latte, consumano moltissimo dahi (cioè yogurt o latte cagliato) e mangiano spesso il paneer (pronuncia “paniir”) un formaggio non fermentato preparato in casa. Il latte è anche l’ingrediente fondamentale di certi dolci come, ad esempio, il kheer (pronuncia “chiir”), un budino di riso e latte con mandorle a scaglie, uvetta e cardamomo. Infine, ingredienti importantissimi della cucina indiana (soprattutto se si pensa che la maggioranza della popolazione indiana è vegetariana) sono le verdure e la frutta, di cui esistono innumerevoli qualità e tipi. RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA Le cerimonie che si tengono in occasioni importanti variano a seconda delle molte religioni del subcontinente; ci limiteremo a descrivere quelle più significative facendo riferimento all’induismo e al sikhismo. NASCITA: la nascita di un figlio è un avvenimento di grande importanza, accompagnato da specifiche cerimonie. In particolare, nell’induismo sono nove le “tappe” (samskara) legate alla nascita che preparano ad una buona vita: la prima riguarda i genitori, che con l’aiuto di un bramino devono scegliere i giorni più adatti, da un punto di vista astrologico, per concepire un bambino; la seconda tappa prevede che, una volta rimasta incinta, la madre reciti spesso ad alta voce i versi delle sacre scritture in modo che il feto possa udirli. Il terzo samskara prescrive alla donna di fare attenzione all’alimentazione privilegiando i cibi che “riscaldano” il bimbo ed evitando quelli troppo salati e piccanti. Il quarto samskara consiste nel lavaggio del 123 neonato: la madre purifica il bambino, possibilmente nelle acque di un fiume. Viene poi messo un po’ di miele sulla sua lingua e la sillaba “OM” (il suono che precede tutte le preghiere) viene disegnata sulle sue labbra. Gli indù segnano il momento esatto della nascita per permettere ai bramini di calcolare l’oroscopo del neonato; sempre i sacerdoti suggeriscono ai genitori qual è la lettera o la sillaba iniziale che dovranno scegliere per il suo nome. La quinta tappa consiste nella cerimonia del nome: chinandosi sull’orecchio sinistro del neonato, il padre pronuncerà il nome scelto. Durante la festa viene distribuito il prasadam (pronuncia “prasciadam”), una polentina dolce fatta di farina integrale di grano, burro concentrato, zucchero e, talvolta, frutta secca e miele. Le tappe successive riguardano la prima uscita alla luce del sole del bambino, la somministrazione del primo cibo solido, il foro nel lobo dell’orecchio e il primo taglio dei capelli ai bambini maschi (a circa due anni di vita) che simboleggia la purificazione dal karma portato dalle altre vite e la speranza di una vita presente buona e felice. I sikh, al contrario, rifiutano ogni pratica astrologica e ogni tipo di superstizione, sebbene anch’essi accompagnino la nascita e la scelta del nome a cerimonie religiose. Molti sikh, siano essi praticanti o meno, mantengono la tradizione di non tagliare i capelli ai propri figli. Le femmine raccolgono la chioma in lunghe trecce (anche in età adulta), mentre i capelli dei maschi vengono pettinati nella caratteristica acconciatura (jura), cioè legati in un una treccia poi arrotolata e annodata stretta sulla sommità della testa a formare un cucuzzolo coperto da un fazzoletto (dastar) che per i maschi più piccoli è rotondo e di pizzo bianco, mentre nei ragazzi è più grande, di solito di color arancione o azzurro, e copre tutto il capo. MATRIMONIO: fra gli indù e i sikh il matrimonio è di solito un evento molto costoso ed elaborato. Sebbene il numero dei matrimoni per amore sia cresciuto negli ultimi anni soprattutto nei centri urbani, la maggior parte è ancora combinata. In primo luogo, le famiglie svolgono indagini discrete fra i propri conoscenti per individuare i possibili candidati sulla base di rigidi criteri di casta e di lignaggio (infatti, sia fra gli indù che fra i sikh, la tradizione prescrive l’endogamia di casta e l’esogamia di lignaggio, dal momento che si pensa che sposare qualcuno che abbia, ad esempio, lo stesso proprio lignaggio sia come sposare un parente). Talvolta, nei grandi centri urbani dove le proprie reti parentali sono meno coese si ricorre ad annunci su quotidiani o su internet. Individuata una rosa di candidati referenziati, possono avere luogo scambi di foto; fra i sikh, accade spesso che il ragazzo si rechi a “vedere” direttamente le ragazze, di solito da lontano. Superata quest’ulteriore selezione, si esaminano gli oroscopi delle parti (ma ciò vale solo per gli indù) e se compatibili si organizza un incontro fra le famiglie, dove i candidati si vedono da vicino e si parlano, spesso per la prima volta, al cospetto dei famigliari. Avvenuto l’incontro, ai giovani di entrambi i sessi è comunque consentito rifiutare la proposta o scegliere fra più pretendenti. Fra gli indù molti potenziali matrimoni vengono mandati a monte a causa di presagi astrologici poco propizi, ed è sempre il bramino che, sulla base dei propri calcoli astrologici, decide la data 124 per le nozze. Un elemento importante per la buona riuscita della trattativa è la dote; benché sia illegale, essa è ancora ampiamente diffusa nei contesti rurali: più è alta, maggiori sono le possibilità di assicurare alla sposa un buon partito. Il sikhismo ha abolito le caste e la dote, tuttavia anche fra i sikh questi aspetti culturali talvolta continuano ad esercitare influenza. Nei giorni che precedono la cerimonia vengono poi compiuti alcuni riti propiziatori, ad esempio nel tempio (Gurdwara) o a casa delle famiglie degli sposi sikh si svolge l’Akand Path, la lettura ininterrotta della Sacra Scrittura dei sikh (il Guru Granth Sahib) che dura in tutto tre giorni e tre notti. Il giorno del matrimonio lo sposo viene scortato da amici e parenti a casa dei futuri suoceri; fra i sikh il matrimonio consiste nella lettura cantata di brani tratti dalle Sacre Scritture da parte di un officiante (granthi), mentre lo sposo porge alla sposa l’estremità della sua sciarpa (che essa camminando dietro di lui dovrà tenere stretta nella mano) e insieme girano quattro volte intorno al libro sacro. Fra gli indù, invece, la cerimonia è officiata da sacerdoti (bramini) e il matrimonio è formalizzato quando lo sposo prende la mano della sposa e insieme compiono sette volte il giro intorno ad un grande fuoco. FUNERALI: gli indù e i sikh cremano i propri morti e le cerimonie funebri hanno la funzione di purificare e consolare tanto i vivi quanto il defunto. Dopo la cremazione, gli indù raccolgono le ceneri e tredici giorni dopo la morte (quando cioè i consanguinei del defunto sono giudicati ritualmente puri) un membro della famiglia le sparge in un fiume sacro (ad esempio il Gange) o nell’oceano. Fra gli indù, un aspetto importante dei rituali legati alla morte è lo sharadda, cioè l’omaggio agli antenati tramite l’offerta di acqua e dolci di riso. Questo rito viene ripetuto ogni anno in occasione dell’anniversario del decesso. Fra i sikh la ricorrenza della morte del proprio congiunto è ricordata soprattutto per i primi cinque anni con tre giorni di preghiera (Akand Path) al termine dei quali si distribuiscono dolci e cibo a parenti e conoscenti. SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI Sin dall’Indipendenza, il miglioramento delle condizioni di vita dello popolazione è stata una delle priorità dei governi alla guida del paese. Vi sono stati risultati incoraggianti: a seguito dei programmi di lenimento della povertà nello stato dell’Uttar Pradesh, ad esempio, le famiglie che vivono al di sotto della soglia della povertà sono passate dal 56,3% del 1974 al 32% del 2000. Nonostante questo, la povertà è ancora diffusa; il Punjab è lo stato più ricco (il reddito medio pro capite è circa il doppio di quello medio nazionale), il Bihar è il più povero. La povertà è la causa della maggior parte delle malattie: nel periodo fra il 1990 e il 1998, ad esempio, si calcola che solo l’81% della popolazione abbia avuto accesso a fonti di acqua potabile. Inoltre, metà dei bambini indiani soffre ancora oggi di denutrizione; infermità per le quali esistono misure preventive, come la tubercolosi, la malaria, la cecità e la lebbra, costituiscono metà dei casi 125 di malattia registrati nel paese; gravi preoccupazioni desta anche il virus dell’Aids. La povertà si coniuga con un sistema sanitario spesso inadeguato: ad esempio, nel 1993 vi erano solo 48 medici ogni 100.000 abitanti. L’assistenza sanitaria è gratuita (salvo i farmaci per le terapie a seguito della dimissione) ed è a carico congiuntamente del governo federale e dei singoli stati. Ciò è all’origine di grandi differenze negli standard qualitativi delle prestazioni erogate. In Punjab, ad esempio, i civil hospitals (ospedali pubblici) offrono un’assistenza qualificata, ma sono insufficienti rispetto al numero delle richieste; chi vi si reca deve sopportare lunghe ore d’attesa. Inoltre, non tutte le strutture possiedono gli strumenti diagnostici tecnologicamente più complessi; questi si trovano solo nei centri di ricerca presenti nelle grandi città. In questi centri, però, gli esami e le terapie all’avanguardia sono a carico del malato. Esistono poi cliniche private completamente a pagamento, che solo una piccolissima parte della popolazione locale può permettersi. Accanto alla medicina tradizionale, in India sono diffuse anche quelle ayurvedica e omeopatica che, avvalendosi di sostanze naturali, si basano su una concezione olistica del corpo e ricercano l’armonia ed il benessere sia fisico che spirituale. Oltre che a questo tipo di cure, praticate privatamente, alcuni si affidano alle mani di un guaritore: in India sono abbastanza numerosi e considerati; può accadere che si dia maggior credito al loro parere, ai consigli e agli eventuali farmaci che prescrivono piuttosto che alle indicazioni di un medico qualificato. FIABE TRADIZIONALI Se si tralasciano i grandi poemi epici, le cui storie sono molto complesse e tipiche della tradizione indù, le fiabe raccontate ai bambini punjabi sono semplici e tendono ad avere come protagonisti degli animali che incarnano vizi e virtù umani. Storia del leone, re della foresta Si narra che un tempo, in una grande foresta, vivesse un grande leone. Egli era riuscito a sconfiggere tutti i suoi avversari e regnava incontrastato sugli altri animali. Ogni giorno esigeva carne fresca e, per ottenerla, seminava il terrore e la distruzione con le sue selvagge scorribande. Si accordò quindi con gli altri animali: se ogni giorno alla stessa ora qualcuno di loro si fosse presentato dinnanzi a lui e si fosse sacrificato per sfamarlo, in cambio egli avrebbe evitato di causare altra morte e paura nella foresta. Un giorno fu il turno di un coniglio che, però, si presentò al suo cospetto in forte ritardo. Il leone era furente ed affamato: “Tu, vile coniglio, come osi presentarti in ritardo innanzi al tuo sovrano?”. “Mio signore” rispose il coniglio, “sono stato trattenuto vicino allo stagno da un altro leone che, come voi, esigeva che io diventassi il suo pasto, affermando che lui era il vero re 126 della foresta!”. Il leone non poteva credere alla sue orecchie: “Cosa dici? Chi osa sfidarmi? Portami da lui!” Il coniglio lo condusse allo stagno e il leone vi si specchiò scoprendo la sua immagine riflessa. Ogni volta che ringhiava, la sua immagine faceva altrettanto, se mostrava le fauci, l’avversario lo imitava. Fu così che il leone, preso dalla sua rabbia e dalla sua superbia si scagliò contro se stesso affogando nello stagno, e che il coniglio riuscì a salvare tutti gli altri animali della foresta. Storia dei due gattini golosi Un bel giorno, mentre stavano giocando, due gattini trovarono un roti (piadina di farina integrale) per terra. Cominciarono a litigare fra loro, poiché ciascuno affermava di averlo trovato per primo. Le loro grida attirarono l’attenzione di una scimmietta molto furba che passava per caso lì vicino e che accorse curiosa. La scimmietta chiese: “Perché gridate tanto? Cosa avete da litigare?”. I due gattini le spiegarono il problema e la scimmia disse: “Non vi preoccupate, so io come fare per accontentare entrambi: dividerò in parti uguali il vostro roti”. Divise nel mezzo il pane, ma una delle due parti era risultata più grande dell’altra e i gattini se la litigavano. La scimmietta disse: “Calma, c’è una soluzione anche a questo” e diede un morso al pezzo più grande, constatando subito dopo che era diventato più piccolo dell’altra metà. Morse anche questa parte e, a forza di pareggiare le porzioni, si mangiò tutto il roti sotto il naso dei due gattini litigiosi che, invece, restarono a bocca asciutta. RICETTE PUNJABI Masala Il masala è il condimento base della cucina indiana; sebbene ogni piatto ne abbia uno proprio, quello che proponiamo è un masala molto semplice che, debitamente corretto con l’aggiunta di spezie specifiche, può essere utilizzato per la preparazione dei piatti come il saag, il sabzi di ceci, il curry. Le quantità degli ingredienti variano a seconda del gusto. Tagliare a fettine sottili della cipolla e dell’aglio, farli rosolare a fuoco lento con olio (si può usare l’olio d’oliva), aggiungere un cucchiaio di cumino, un po’ di sale, del pepe, del peperoncino, del coriandolo in polvere. Lasciare soffriggere finché gli ingredienti non si sono bene amalgamati. Kari (minestra di farina di ceci, patate e yogurt) Preparare un masala e aggiungervi un cucchiaio di curcuma in polvere. Sciogliere in un bicchiere di acqua fredda circa un cucchiaio di tamarindo (si 127 trova in pasta) e passare il sugo così ottenuto in un colino, scartando i baccelli o le parti più dure del tamarindo. Sciogliere circa 150 g di farina di ceci in circa mezzo litro di acqua e mischiarvi il sugo di tamarindo. Aggiungere al liquido così ottenuto circa 500 g di yogurt intero. Il composto va quindi unito al masala e fatto cuocere a lungo a fuoco lento e mescolando spesso, fino a quando non sarà diventato una zuppa cremosa e abbastanza densa. Nel frattempo, sbucciare qualche patata, tagliarla a dadini e scaldare dell’olio per friggere. Sciogliere della farina di ceci in poca acqua e un pizzico di sale, in modo da ottenere una pastella poco liquida, intingere col cucchiaio alcuni pezzi di patata per volta, poi prendere il composto e friggerlo a cucchiaiate. Queste frittelle vanno aggiunte al curry mentre bolle, poco prima che la cottura sia ultimata. POESIA Nel 1913 fu assegnato il premio nobel per la letteratura a Rabindranath Tagore, per Gitanjali (Demetra, Verona, 2000), una raccolta di liriche in prosa poetica da lui stesso tradotta in inglese. Di questo autore si ricordano anche La vera essenza della vita (Sadhana), Corbaccio, Milano, 2000; Poesie d’amore, Tea, Milano, 2000 e Poesie. Gitanjali - il giardiniere, Newton & Compton, Roma, 1999. Il Dio vicino (Milano, Guanda, 1998) mette insieme le frasi e i versi di Tagore che più direttamente riguardano il rapporto con il divino, nucleo più autentico della sua ispirazione. Fra i poeti indiani contemporanei si possono invece menzionare Nissam Ezekiel (la cui poesia esplora aspetti dell’identità ebraica in India), Kamala Das (una delle autrici più conosciute), A.K. Ramanujan (The Striders Relations) e Arun Koltkar che, nel 1977 ha vinto il Commonwealth Poetry Prize con Jejuri, una raccolta di 31 poesie in inglese. LETTERATURA I due massimi capisaldi della letteratura indiana in sanscrito sono il Mahabharata e il Ramayana, poemi epicoreligiosi ove fra i protagonisti vi sono anche due divinità dell’olimpo indù: Krishna e Rama. Il primo poema ha per fulcro la rivalità fra due rami di una famiglia reale e i loro tentativi di impossessarsi del potere, battaglia che assurge a simbolo della lotta fra il bene e il male; il secondo narra le vicende di Rama, figlio del re di Ayodhya che, dopo aver superato prove terribili riesce a salire al trono e a sposare l’amata Sita. Entrambe le opere sono disponibili nelle versioni più recenti a cura dello scrittore indiano R.K. Narayan, pubblicate dalla casa editrice Guanda di Milano rispettivamente nel 2000 e nel 1991. Di autori contemporanei segnaliamo: Khushwant Singh, Quel treno per il Pakistan, Marsilio, Venezia, 1996 (sui bagni di sangue che fecero seguito alla scissione fra Pakistan e India nel 1947); Salman 128 Rushdie, I versi satanici, Mondadori, Milano, 1994; Vikram Seth, Il ragazzo giusto, Tea, Milano, 2001 (romanzo ambientato nell’India postcoloniale degli anni Cinquanta, narra le vicende di una donna indù alla ricerca di un marito adatto per la figlia, toccando numerosi aspetti della cultura indiana); Arundhati Roy, Il dio delle piccole cose, Tea, Milano, 2001 (narra le vicende di due gemelli di sette anni, scritto con un linguaggio bellissimo e sensuale); La fine delle illusioni, Tea, Milano, 2001 (è un atto di accusa verso la classe dirigente inetta e corrotta); di Rabindranath Tagore ricordiamo Le pietre maledette, Tea, Milano, 2001 (volume di tredici racconti che conducono il lettore in un viaggio attraverso la multiforme realtà indiana, affrontando temi come il dramma sociale delle caste, il mondo dei bambini e la sua magia, l’amore coniugale come momento supremo dell’amore universale). RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Aa.Vv., India del Nord, EDT, Torino, 2002. Amartya S., Laicismo indiano, Feltrinelli, Milano, 1998. Basile E., Torri M. (a cura di), Il subcontinente indiano verso il terzo millennio, Franco Angeli, Milano, 2002. Bertolani B., Tarozzi A., “La recezione del migrante asiatico nel caso degli indiani a Reggio Emilia”, in Roberto De Vita, Fabio Berti (a cura di), Dialogo senza paure. Scuola e servizi sociali in una società multiculturale e multireligiosa, Atti dell’omonimo convegno (Vallombrosa-Firenze, 2001), Franco Angeli, Milano, 2002, pp. 335-366. Bertolani B., “I templi sikh e indù in provincia di Reggio Emilia come luoghi per l’autogestione di servizi sociali e assistenziali”, in De Vita R., Berti F. (a cura di), Pluralismo religioso e convivenza multiculturale, Atti dell’omonimo convegno (Vallombrosa-Firenze 2002), Franco Angeli, Milano, 2003, pp. 262-273. 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Tale semplicità non manca però della profondità e di quella intenzionalità dell’espressione corporea corale che conferiscono grande valore artistico anche a questo genere. Ciò che è importante non è la grazia o il virtuosismo del singolo danzatore ma è la visibilità di quella esuberanza travolgente e, allo stesso tempo, la rilassatezza, l’assenza di sforzo con cui la danza e espressa e vissuta. Le varie danze popolari consentono un forte legame con gli aspetti della vita quotidiana: dalla mietitura, al raccolto, dai riti e rituali alle credenze. 130 Marocco di Chiara Lainati DATI GENERALI11 Confini Il Marocco confina a Nord con il Mare Mediterraneo e solo 40 chilometri lo separano da Gibilterra, la città spagnola dove si approda partendo da Ceuta; a Sud e Sud-Est con l’Algeria, a Sud con il Sahara Occidentale e a Ovest con l’Oceano Atlantico. Abitanti: 30.100.000. Estensione geografica: kmq 458.730. Continente: Africa. Densità di popolazione: 64 ab./kmq. Incremento demografico: 2,0% (1975-2002). PIL pro-capite (US $): 3.810. Vita media: 68,5 anni (f. 70,3; m. 66,6). Mortalità infantile 0-5 anni: 39/1000. Tasso di alfabetizzazione della popolazione adulta (% persone sopra i 15 anni): 50,7% (f. 38,3; m. 63,3%). Tasso di alfabetizzazione dei giovani (15-24 anni): 69,5%. Lingua ufficiale: arabo standard. Altre lingue: dialetto arabo marocchino, dialetti berberi e francese. Religione/i: musulmani sunniti 99,8%, altri 0,2%. Gruppi etnici: arabi 65%, berberi 33%, altri 2% africani occidentali, europei, ecc. Regime politico: Monarchia Costituzionale. Il monarca attuale è Mohammed VI, figlio del precedente re Hassan II cui è succeduto nel 1999. Il re, oltre che essere capo dello 11 Fonti: Rapporto UNDP (United Nations Development and Population) 2004. I dati si riferiscono al 2002 se non indicato diversamente. 131 stato è anche supremo capo religioso, un titolo che si è attribuito Hassan II rivendicando l’origine della sua famiglia dalla famiglia di Maometto, il profeta di Allah. Una tra le più imponenti azioni di legittimazione di questo ruolo è stata la costruzione della Grande Moschea di Casablanca, finanziata da una grande sottoscrizione popolare voluta dal re. LE FESTE PRINCIPALI Feste civili (seguono tutte il calendario gregoriano): CAPODANNO DEL MANIFESTO PER (1° gennaio); PROCLAMAZIONE L’INDIPENDENZA (11 gennaio: la proclamazione è avvenuta nel 1944); FESTA DEI LAVORATORI (1 maggio). FESTA DEL TRONO (30 luglio): si festeggia la salita al potere di re Mohamed VI avvenuta alla morte del padre Hassan II nel 1999. Con Hassan II i festeggiamenti avvenivano in pompa magna, con il suo successore invece la commemorazione ha acquisito una connotazione più semplice. FESTA (20 agosto): ricorda la deportazione del sultano Mohammed V dopo la sua destituzione avvenuta per mano francese nel 1953; DELLA RIVOLUZIONE DEL RE E DEL POPOLO COMPLEANNO DEL RE MOHAMMED VI (21 agosto), FEDELTÀ DEL OUED EDDAHAB (14 agosto) giorno non festivo; ANNIVERSARIO DELLA MARCIA VERDE (6 novembre): anniversario dell’occupazione del Sahara Occidentale avvenuta nel 1975 per volontà di re Hassan II con la marcia di 350.000 “volontari” FESTA DELL’INDIPENDENZA (18 novembre): non commemora la fine del Protettorato francese sul Marocco nel 1956 ma il ritorno trionfale dall’esilio del sultano Mohammed V dopo la sua destituzione e il suo soggiorno forzato in Madagascar. Feste religiose: come in tutti i paesi arabo-musulmani, le feste religiose in Marocco seguono il calendario islamico (Hijiri) dove i mesi seguono il ciclo lunare, quindi le date variano ogni anno: Ras as- Sana, la festa musulmana del nuovo anno dell’Egira, coincide anche con il compleanno del profeta Maometto (Moulid an-Nabi); RAMADHAn: si festeggia nel nono mese del calendario islamico e per i musulmani è uno degli avvenimenti più importanti dell’anno. Infatti la festività ricorda che in questo mese avvenne la rivelazione del Corano al profeta Maometto. I fedeli adulti (ad eccezione delle donne in fase di ciclo mestruale o puerperio) praticano il digiuno e l’astensione dal bere, dal fumo e dai rapporti sessuali dall’alba al tramonto, poi si fa festa fino a notte fonda; 132 ‘AID ‘AID (FESTA DELLA ROTTURA DEL DIGIUNO): primo giorno del mese successivo a quello di Ramadhan che sancisce la fine del digiuno con diversi festeggiamenti, di solito si prevedono tre giorni festivi; AL-FITR (GRANDE FESTA)/‘AID AL-ADHAH (FESTA DEL SACRIFICIO): si commemora il miracolo compiuto da Allah quando sostituì il figlio che Abramo stava sacrificando in nome della fede ad Allah, con un agnello. Designa anche la fine del periodo dell’anno (un mese) in cui si svolge il pellegrinaggio alla Mecca (El Haj), uno dei cinque pilastri della fede musulmana cui ogni credente è tenuto a rispondere almeno una volta nella vita. AL-KEBIR CAPODANNO BERBERO: si festeggia il 12 gennaio ma non è festivo. Il calendario berbero comincia con l’avvento della XVII dinastia egiziana fondata da un capo militare berbero, Sheshonk, nel 950 a.C. IL SALUTO: Assalam Aleikoum (la pace sia con voi). CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE Si offre il tè verde con la menta (tè ahdhar bina’na), più leggero di quello servito in altri paesi come ad esempio la Tunisia. Con il tè vengono offerti anche dolci fatti in casa (halwa). IMMIGRAZIONE IN ITALIA Il Marocco è un paese caratterizzato da un profilo culturale e sociale piuttosto diversificato, lontano dall’immagine stereotipata che spesso emerge in Italia e più in generale in Europa. È il paese posto più a occidente della regione del Maghreb12 (letteralmente “il luogo dove tramonta il sole”, occidente), un nome che trae origine dal processo di islamizzazione della regione iniziato a partire dal VII d.C. Le popolazioni originarie della regione, note in Europa come berberi, un termine peggiorativo che sta ad indicare il “barbaro” cioè lo “straniero”, localmente prendono il nome di imazighen (“uomini liberi”) e in seguito al processo di islamizzazione si sono convertite e arabizzate. Ciò non toglie che la cultura e la lingua berbera (con il suo elevato numero di dialetti) continuino a rappresentare una parte importante della vita della popolazione di questi paesi, soprattutto in Marocco e in Algeria. In Marocco in particolare alla fine degli anni Ottanta si stimava che ben il 40% della popolazione fosse amazigh, cioè circa 12 milioni e altrettanti ne vantano le origini. Ciononostante la politica locale non ha incoraggiato il riconoscimento di questa particolare componente 12 La regione del Maghreb è costituita da tre paesi: Marocco, Algeria e Tunisia. Il cosiddetto Grande Maghreb accoglie anche Libia e Mauritania. Maghreb in arabo non designa solo la regione geografica (come la denominiamo noi occidentali) ma anche il nome stesso dello stato del Marocco. 133 della popolazione, se non negli ultimi anni13. Ha prevalso infatti una politica di arabizzazione e islamizzazione del paese non solo per rafforzare l’unità del paese (proclamatosi indipendente nel 1956 in seguito ai quasi quarant’anni di dominio del protettorato francese) ma anche per contrastare e scongiurare i movimenti integralisti islamici che stavano prendendo piede. Questa politica è sfociata anche nell’occupazione del territorio del Sahara Occidentale, voluta da Hassan II negli anni Settanta per ingrandire il suo regno (Marcia Verde 1975). Pur essendo stato riconosciuto da tempo (1991) il diritto di autodeterminazione della popolazione saharawi da parte dell’Onu, tuttora la Repubblica Saharawi sta lottando per la sua indipendenza con decine di migliaia di rifugiati sparsi per il mondo. La pluralità culturale marocchina si sovrappone a formazioni e istituzioni sociali diversificate che si confrontano con un sistema politico-amministrativo patrimonialistico e un’organizzazione religiosa fortemente improntati sulla cultura araba e soprattutto islamica. L’intreccio con questa cultura e le sue successive trasformazioni è stato pervasivo e ha sacralizzato regole e valori sociali contingenti, funzionali al mantenimento di un sistema di parentela fondato su gruppi di discendenza patrilineare. Solo nel 2004 è stata resa esecutiva una riforma radicale del diritto di famiglia fondata su un’interpretazione modernista del diritto islamico. La forte disoccupazione maschile e le trasformazioni sociali in atto aprono il mercato del lavoro anche alle donne, innestando cambiamenti nell’ambito dei ruoli familiari. Allo stesso tempo le prime migrazioni degli anni Sessanta e l’espansione dei media e delle reti di comunicazione cominciano ad accrescere le opportunità per usufruire di condizioni di vita migliori e ad alimentare il mito dell’occidente. I paesi di immigrazione privilegiati agli inizi furono la Francia e il Belgio, paesi con i quali il Marocco aveva specifici accordi che prevedevano la fornitura di manodopera per lo sviluppo industriale europeo. Poi, con la crisi degli anni Settanta e le politiche di chiusura attuate dai paesi di vecchia tradizione immigratoria, anche l’Italia comincia a diventare una meta interessante. Vengono distinti quattro principali flussi. Il primo, piuttosto esiguo, tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta costituito da commercianti che girano per il paese. Il secondo gruppo è quello degli emigranti “di mestiere” che arrivano in Italia da altri paesi europei e provengono dalle zone d’emigrazione rurali del Marocco disponendo di un certo livello di istruzione. Il terzo, quello più consistente, i cosiddetti Beni Mellal e Beni Meskhin, nomi di tribù (dalle quali deriva il nome delle due città) della regione del Tadla che si trova tra la costa e il Medio Atlante, composti soprattutto da contadini o disoccupati. Un quarto gruppo invece è costituito da giovani e giovanissimi delle periferie urbane. Il Marocco, insieme all’Albania e alla Romania, è noto per gli ingenti flussi di cosiddetti minori non 13 In Algeria il difficile processo di affermazione della cultura berbera ha culminato nel 2002 con il riconoscimento costituzionale della lingua berbera come lingua nazionale (non ufficiale), dando la possibilità di insegnarla nelle scuole accanto all’arabo. In Marocco invece solo recentemente (2001) è stato istituito con decreto regio l’Istituto Reale di cultura Amazigh con lo scopo di promuovere la conservazione, la diffusione e l’insegnamento della lingua tamazight (berbera). 134 accompagnati che approdano in Italia spesso nell’ambito di un vero e proprio progetto familiare che prevede che il figlio parta giovane per l’Italia per istruirsi o addirittura per lavorare e provvedere alla famiglia rimasta al paese. Fino alla prima sanatoria (1986) la presenza marocchina non è stata particolarmente visibile: è stata soprattutto una migrazione stagionale che veniva in Italia a fare le raccolte agricole o a vendere sulle spiagge. Tra il 1986 e il 1990 invece la popolazione marocchina aumenta di ben dieci volte, il mito del “vù cumprà” nasce e si alimenta e l’occupazione nei settori industriali contribuisce a cambiare e diversificare i progetti migratori, anche se continua ad aumentare il numero dei commercianti ambulanti soprattutto nei mercati all’aperto della frutta e dell’abbigliamento. Negli anni Novanta il flusso si stabilizza fino ad avere altri picchi in corrispondenza dei procedimenti di regolarizzazione del 1999 e del 2002 (Bossi-Fini) dove i marocchini sono ancora notevolmente aumentati. Sempre nel corso di questo periodo la composizione della popolazione si diversifica con l’aumento dei ricongiungimenti familiari che con la legge del 1998 (Turco-Napolitano) vengono riconosciuti come un diritto inalienabile. Le donne, che agli inizi erano pochissime, sono in aumento e oggi ammontano a circa il 20% della popolazione marocchina. A differenza degli altri paesi del Nord Africa, tra le donne marocchine sebbene prevalga il ricongiungimento, emergono anche altri modelli migratori. Molte partenze infatti sono decise anche in autonomia o in seguito a rotture matrimoniali avvenute al loro paese oppure semplicemente per rispondere ad un desiderio di emigrare, studiare e trovare lavoro altrove. MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI La famiglia con tutte le sue ramificazioni di parentela, costituisce il riferimento fondamentale per l’educazione dei figli. I cambiamenti in atto nella società locale e nel processo migratorio, stanno mettendo però in crisi i ruoli genitoriali che hanno basato la loro funzionalità sul rispetto dei dettami della legge islamica e della cultura locale. Questi fanno riferimento ad un modello familiare di tipo patriarcale in cui il padre è colui che si occupa materialmente della famiglia e la madre invece, si occupa della crescita dei figli nel senso dell’accudimento, soprattutto nei primi anni di vita. In particolare in questi anni la madre viene aiutata dalle donne di famiglia tra cui anche le figlie più grandi. Se questa è una consuetudine ricorrente nelle zone rurali dove spesso i componenti della famiglia vivono in prossimità (douar), in città le cose si complicano ma sono presenti reti comunque molto attive che possono essere anche le vicine di casa con cui si ha confidenza. A seconda delle abitudini il bambino dorme nella stessa camera dei genitori per i primi mesi e soprattutto durante i primi quaranta giorni si fa attenzione che non prenda correnti d’aria. L’allattamento al seno è la modalità di alimentazione dei neonati più ricorrente e avviene sempre su richiesta del bambino. Dura in genere fino ai due anni ed è una modalità contraccettiva piuttosto ricorrente. Tutto dipende anche dalle zone e 135 dalle classi sociali di appartenenza. Se nelle zone rurali prevale l’allattamento prolungato, nelle zone urbane e tra le classi più abbienti si tende a finire prima e si interviene anche con il latte in polvere. Le istituzioni pubbliche si prendono in carico con particolare attenzione dell’alimentazione della madre in fase di allattamento e di quella del bambino in fase di svezzamento, per prevenire situazioni di malnutrizione. La crescita dei figli è improntata sul rispetto dell’autorità paterna e dei genitori in generale. Si fonda su una marcata divisione di genere dei ruoli, quindi c’è la tendenza a promuovere la socializzazione dei maschi fuori di casa e a trattenere le femmine in casa o comunque ad esercitare sulle ultime un maggior controllo e protezione, soprattutto con l’ingresso nella pubertà. È importante inoltre la componente di responsabilizzazione con cui i bambini vengono educati fin da piccoli, non solo per quel che riguarda la cura dei fratelli più piccoli ma anche per quel che riguarda i rapporti con i parenti e con l’esterno. Evidentemente questi riferimenti dialogano e si scontrano con modelli che lasciano più spazio all’autonomia delle ragazze e ad un maggior comunicazione e scambio con i genitori. In emigrazione dove il controllo sociale rispetto a certe regole viene meno, la famiglia si ritrova a decostruire e ricostruire i propri riferimenti di tipo valoriale-educativo. MODELLI DI CURA La cura prenatale, quella della gravidanza e il parto rientrano nell’assistenza di base del paese. Solo il 40% delle nascite è assistito però da personale medico ospedaliero. In Marocco è ancora importante il ricorso alle levatrici, le qabla, che assistono le donne in tutto il periodo di gravidanza e del parto. Quando è necessario si preoccupano anche di fornire le pozioni per l’interruzione della gravidanza. Il radicamento di questa consuetudine ha spinto il governo circa vent’anni fa a promuovere attività di formazione delle levatrici all’interno delle strutture sanitarie e a concedere l’autorizzazione ad aprire case per il parto che tuttora esistono. Ciononostante permangono problemi nel caso sopravvengano complicazioni nel corso della gravidanza e del parto. Le levatrici infatti non sono in grado di affrontarli medicalmente e spesso con le loro tecniche rischiano di aggravarli. Per questo il tasso di mortalità delle donne incinte è elevato (220/100.000). Il periodo che segue il parto è un periodo di riposo e di particolari attenzioni che corrisponde a una fase di impurità della puerpera che dura quaranta giorni. In questo frangente la madre della puerpera e la rete di donne la sostengono nell’accudimento del neonato. Un’abitudine che si può ritrovare in tutti i paesi del Maghreb ma anche nei paesi di cultura musulmana prevede pratiche popolari di protezione della salute del figlio e contro il malocchio, che fanno ricorso a simboli e amuleti che in alcune zone hanno implicazioni anche magico-rituali. L’amuleto più diffuso è la mano di Fatima che protegge dagli sguardi considerati pericolosi. Il potere rituale di questo simbolo sta nel numero cinque (cinque dita della mano): cinque sono i dogmi della religione islamica e 136 cinque sono le preghiere giornaliere. Accanto a questo amuleto è possibile trovare anche un cornetto rosso e il sacro Corano in miniatura. Questa usanza è piuttosto diffusa non solo nelle campagne, contesto con cui si associa spesso più facilmente la tradizione ma anche nelle città e in ogni strato sociale. Nell’alimentazione e nella cura della madre e dei figli si fa molta attenzione al rapporto caldo-freddo: i cibi devono essere caldi perché solo così possono essere digeriti e trasformarsi in energia. Le abitudini e le pratiche curative si differenziano profondamente tra una generazione e l’altra: si possono trovare donne depositarie di conoscenze approfondite sull’uso delle erbe medicinali e che si assumono l’incarico di curarsi e di curare, e donne che invece delegano completamente la cura del corpo a medici e tecnici. Quello che accomuna la cultura della cura e della salute è che nella maggior parte dei casi sono le donne ad assumersene la responsabilità. MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE La famiglia e la scuola sono i principali contesti di socializzazione dei bambini e delle bambine. Nelle città o nei paesi dove il quartiere e il vicinato costituiscono un luogo di socializzazione importante, i bambini delle famiglie vicine si ritrovano a giocare fuori per strada o sui marciapiedi. Come già si è accennato in precedenza, vigono regole, che talvolta si possono considerare anche di pura convenienza sociale, che tendono a promuovere la socializzazione dei maschi fuori di casa e a trattenere le femmine in casa o comunque ad esercitare sulle ultime un maggior controllo e protezione, soprattutto con l’ingresso nella pubertà. Nelle città è ricorrente la pratica di attività sportive da parte dei bambini. MODELLI E STILI FAMILIARI La vita sociale delle famiglie e il ruolo dei genitori: il Corano e la cultura islamica hanno influenzato e tuttora influenzano in modo pervasivo i modelli e gli stili di vita familiari in Marocco, basandosi su una delle interpretazioni più tradizionaliste esistenti nel mondo musulmano. In questo paese non c’è stata quella riforma che invece è avvenuta in Tunisia nel 1956 dove il ripudio e la poligamia sono stati aboliti e dove alla donna e all’uomo vengono riconosciuti ruoli più paritari nell’ambito della famiglia. Solo il 6 febbraio 2004 è entrato in vigore il nuovo codice della famiglia che costituisce una riforma radicale del codice dello statuto personale (Moudawana) emanato nel 1957. La donna acquisisce un ruolo più importante all’interno della famiglia. Viene infatti affermata la responsabilità congiunta degli sposi e vi è una restrizione drastica della poligamia e del ripudio. La riforma è però ancora troppo recente per vederne l’impatto sui comportamenti sociali, tutto dipende dall’applicazione che la legge avrà anche nei tribunali. In principio i ruoli dei genitori rispondono ad un 137 modello autoritario dell’uomo sulla donna e sulla famiglia in generale, dove la patria potestà è prerogativa dell’uomo e viene esercitata nell’educazione, nella correzione, nella preparazione al lavoro e al matrimonio del figlio. Prima della recente riforma si prevedeva una differenziazione temporale dell’esercizio della patria potestà sui figli a seconda che fossero di sesso maschile o femminile. Ora invece si è stabilita la stessa età per entrambi i sessi (maggiore età). Alla madre invece spetta la custodia e la cura del bambino. Queste sono comunque prescrizioni normative che poi si intersecano con una realtà in continua trasformazione, in cui la donna assume altri ruoli oltre a quelli di madre, che contribuiscono a mettere in discussione le posizioni di potere e di autorità nell’ambito della famiglia nel rapporto di coppia e tra genitori e figli. La famiglia inoltre non è identificabile solo con quella che in Occidente costituisce la famiglia nucleare ma è un termine che sta ad indicare diversi tipi di relazione sociale, non necessariamente riconducibili solo ai legami biologici ma anche ad altri più basati su vincoli di “clientela” o di “amicizia” o di vicinato ma non per questo meno importanti. Questi possono assumere forme molto estese (in senso geografico e sociale) e vengono attivati a seconda degli eventi e delle necessità. In emigrazione questa modalità di rappresentarsi la parentela diventa una risorsa fondamentale, quanto anche un vincolo, dal momento che si riproduce un controllo sociale molto forte. ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: a seguito di un decreto regio del 1997 i nomi attribuiti a cittadini marocchini non devono essere stranieri, non devono rappresentare un nome di città, villaggio o tribù e non devono essere composto da più di due nomi. Il figlio prende il cognome del padre. ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: in Marocco vige il principio dello jus sanguinis e la trasmissione della cittadinanza ai figli avviene per discendenza esclusivamente paterna, e solo nel caso in cui i genitori siano uniti da vincolo matrimoniale (che con la riforma del codice della famiglia viene riconosciuto anche se contratto all’estero, purché alla presenza di due testimoni musulmani) e il figlio abbia un nome di tradizione marocchina. Questo avviene sia che il figlio nasca in Marocco che in un altro paese. Pertanto se la madre è marocchina e il padre straniero, la madre non può trasmettere la cittadinanza, eccezion fatta nel caso di padre sconosciuto. Alla fine del 2003 è stata però avanzata una proposta di riforma del Codice della nazionalità che prevede la possibilità di trasmettere la cittadinanza marocchina a figli di madre marocchina e padre straniero. FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: la legislazione marocchina riconosce solo i figli nati nell’ambito del matrimonio o del fidanzamento ufficiale (acquisizione recente della riforma della Moudawana). La legge vieta di ricollegare al padre il bambino nato fuori dal matrimonio e dal fidanzamento e quindi in questo caso è attribuito solo alla madre per il semplice fatto del parto. Non viene quindi riconosciuta l’adozione. REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: la registrazione e la trascrizione degli atti di nascita nei registri dello Stato Civile marocchini avviene solo nel 138 caso in cui il bambino abbia un nome tradizionale marocchino. Una volta avvenuta la trascrizione, il figlio viene iscritto sul passaporto del padre. CONTRATTO DI MATRIMONIO: per il diritto musulmano il matrimonio è un atto legale che si situa tra il diritto naturale e il diritto contrattuale. Prima della riforma della Moudawana (codice dello statuto personale, ora diventato codice di famiglia) diventata esecutiva a febbraio 2004, la donna anche maggiorenne poteva contrarre il matrimonio solo con l’approvazione di un tutore matrimoniale, maschio e parente stretto (wali). Ora invece la donna può decidere di sposarsi autonomamente e anche se continua a permanere la figura del tutore matrimoniale, questo può essere scelto dalla donna anche al di fuori del gruppo parentale. Una grande innovazione risiede nell’affermazione della corresponsabilità di marito e moglie nella gestione del nucleo familiare, mentre prima invece era responsabile solo il marito e la donna “doveva obbedienza”. Con la riforma inoltre la poligamia non è più un diritto ma è una concessione sottomessa all’autorità del giudice. La prima moglie ha inoltre il diritto di introdurre nel contratto di matrimonio la clausola che impedisce al marito di sposarsi un’altra volta. Il regime previsto è quello della separazione dei beni ma tutte le acquisizioni fatte durante il matrimonio rientrano nella comunità matrimoniale e diventano beni comuni ai coniugi. Nel contratto di matrimonio si possono stabilire le regole di gestione. Oggetto del contratto di matrimonio rimane la dote (sadaq) che però negli ultimi tempi assume sempre di più un valore simbolico. Il contratto di matrimonio deve aver l’autorizzazione del giudice prima di venire sottoposto agli adouls (notai) e a due testimoni di fede musulmana. Mentre prima veniva riconosciuto solo il matrimonio regolato dalla legge marocchina, ora invece vengono riconosciute anche le unioni che rispondono ad altre normative nazionali, purché ci sia la testimonianza di due musulmani. DIRITTI DEI MINORI: in Marocco e nel mondo musulmano in generale è un’acquisizione recente quella di mettere al centro il minore nella sua soggettività. In Marocco resta però ancora di grande rilevanza il problema dei figli nati al di fuori del legame matrimoniale. Possono infatti venire riconosciuti dalla madre in virtù del legame biologico ma non possono venire riconosciuti dal padre, l’unico che ha il diritto di trasmettere al bambino la discendenza e l’appartenenza ad un gruppo sociale e quindi la sua legittimità. Con la recente riforma della Moudawana (2004) il diritto al riconoscimento paterno è stato esteso anche ai figli nati fuori dal matrimonio ma nell’ambito di un fidanzamento ufficiale, la strada da fare dunque è ancora lunga. Un altro tema caro alla comunità internazionale è quello del lavoro minorile che in Marocco è un fenomeno piuttosto ricorrente, considerata anche la povertà in cui versano importanti fasce della popolazione. A partire dal 2002 è stato istituito un programma nazionale che si rivolge ai bambini più vulnerabili (età inferiore ai 12 anni) con l’obiettivo di prevenire l’occupazione in lavori pericolosi e offrire ai bambini e alle famiglie valide alternative. DIRITTI DELLE DONNE: come già si è delineato in precedenza, il Marocco sta conoscendo importanti trasformazioni nell’ambito del riconoscimento dei diritti 139 delle donne. È infatti molto recente (febbraio 2004) la riforma del codice dello statuto personale (Moudawana) ora codice di famiglia, che attribuisce alla donna un ruolo più paritario all’interno delle relazioni matrimoniali e familiari. Questo risultato fa parte di un percorso intrapreso in tutti i paesi arabomusulmani in cui il riconoscimento dei diritti delle donne è sempre stato subordinato alla ricerca di una autonomia e libertà del proprio paese dai paesi europei. Ciò ha comportato un primato del diritto islamico interpretato spesso in senso tradizionalista in quasi tutti gli ordinamenti giuridici nazionali, soprattutto per quel che riguarda il codice della famiglia. Rispetto agli altri paesi dell’area maghrebina il Marocco ha interpretato in senso alquanto restrittivo la sha’ria (legge islamica), relegando in una posizione subordinata il ruolo della donna e della madre. Questa scelta ha comportato molte riserve nella ratificazione delle convenzioni internazionali in materia di parità di diritti a uomini e donne in ambito lavorativo. Ad esempio la legislazione marocchina sul lavoro non ha ancora stabilito il principio di non-discriminazione in materia di diritto del lavoro anche se il paese ha ratificato la Convenzione sulla nondiscriminazione nel lavoro nel 1963. L’autorizzazione del marito come condizione fondamentale per consentire alla donna di esercitare la professione commerciale o dipendente è stata abrogata nei rispettivi codici solo nel 1995. A livello internazionale il Marocco ha ratificato la Convenzione per l’Eliminazione di ogni Forma di Discriminazione contro le Donne (CEDAW) nel 1993, fatta eccezione per alcuni punti che entravano in conflitto con la legge islamica. DIVORZIO E SEPARAZIONE: con la recente riforma della Moudawana il ripudio non è stato abolito ma non è più un diritto esclusivo dell’uomo (ripudio verbale), deve bensì essere autorizzato dal tribunale. Inoltre viene garantito il diritto di informazione alla sposa, mentre in precedenza poteva avvenire che una donna venisse ripudiata a sua insaputa con tutte le conseguenze che poteva comportare, soprattutto se incinta (il figlio non sarebbe stato legittimo). Gli sposi hanno il diritto di sciogliere il legame matrimoniale secondo modalità che apportano alla donna maggiori diritti di una volta, ma mantengono però ancora delle differenze rispetto all’uomo. Una delle innovazioni introdotte è il divorzio consensuale. La custodia dei figli va alla donna sia che sia divorziata che ripudiata. SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI Prima del protettorato francese, il sistema d’insegnamento marocchino si basava quasi esclusivamente sulle istituzioni religiose islamiche: le scuole coraniche (insegnamento elementare) e i collegi (insegnamento superiore). Attualmente alcune di queste istituzioni sono ancora attive ma prevale un’istruzione improntata sul sistema francese, così come era stato imposto durante il periodo del protettorato con le sue successive trasformazioni. Nel 1956 la Costituzione del Marocco indipendente proclamò il diritto allo studio di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso e di condizioni sociali e stabilì la gratuità della scuola 140 pubblica. Nel 1963 venne istituito l’obbligo di frequenza per la scuola elementare e successivamente per la scuola media. Venne promossa inoltre una politica di nazionalizzazione dei programmi con la graduale introduzione dell’arabo come lingua di insegnamento. A partire dal 1985 venne avviata una riforma radicale del sistema, orientata a promuovere l’istruzione che aveva cominciato a subire un certo declino dovuto ai tagli della spesa pubblica ma anche alla scarsa disponibilità di strutture nelle zone più lontane dai centri più popolati. Per rafforzare ulteriormente il processo di alfabetizzazione soprattutto femminile e nelle zone rurali, nel 1999 il governo vara una riforma complessa del il ciclo dell’obbligo e del sistema scolastico in generale. SCUOLA PUBBLICA E SCUOLA PRIVATA: la gratuità della scuola pubblica è estesa a tutti i livelli, dalle elementari all’università. È in crescita anche il settore privato dell’insegnamento, soprattutto per quel che riguarda l’insegnamento pre-scolare che non è coperto dalla scuola pubblica. Come negli altri paesi del Maghreb ci sono scuole francesi che sono indirizzate non solo ai cittadini francesi residenti ma spesso anche ai ceti sociali più elevati. I programmi di queste scuole vengono monitorati dal Ministero dell’Istruzione. Esiste inoltre il sistema parallelo delle scuole coraniche che coprono tutto il ciclo di insegnamento, dalle materne alle superiori e costituiscono il canale di studi privilegiato per accedere alle università islamiche. Sono finanziate da sostenitori della comunità o dagli studenti stessi. SCUOLA MATERNA: l’insegnamento prescolare viene assicurato da due tipi di scuole: le scuole coraniche che dispensano un tipo di insegnamento basato sull’apprendimento del Corano e delle prime lettere dell’alfabeto arabo e le scuole private che invece hanno fatto propri metodi di insegnamento laici, fondati in parte sui sistemi di istruzione occidentali. Per quel che riguarda le scuole coraniche, la frequenza è gratuita perché si tratta di scuole finanziate dalle collettività locali. Qui i bambini apprendono mnemonicamente il Corano da un vero e proprio maestro che ha la funzione di educatore sia rispetto ai contenuti del Corano sia alle regole della vita. Il rapporto insegnante e bambino è improntato sulla disciplina e il rispetto dell’autorità. Nelle scuole private invece gli obiettivi e le relazioni sono simili a quelli che si ritrovano nelle scuole materne italiane: si gioca e si socializza tra compagni e si comincia a scrivere nell’ultimo anno, sia in arabo che in francese. SCUOLA DELL’OBBLIGO: nel 1999 la scuola dell’obbligo ha subito una profonda riorganizzazione che prevede il completamento della revisione dei cicli scolastici entro il 2009. Allo stato attuale l’obbligo scolastico è stato elevato a nove anni articolati in sei di scuola elementare e tre di scuola media. A partire dal 2002 è stata abbassata a 6 l’età di ammissione al ciclo dell’obbligo (precedentemente era fissata a sette anni). CALENDARIO E ORARI: l’anno scolastico inizia a metà settembre e termina a fine giugno. È organizzato in trimestri e durante l’anno oltre alle feste nazionali e religiose, sono programmate vacanze a dicembre e a primavera, al termine cioè del primo e del secondo trimestre. Le classi sono divise per anni e per età. A seconda del ciclo scolastico le ore settimanali variano. Nella scuola 141 elementare l’orario è generalmente dalle 8.30 alle 11.30 e poi si riprende con altre tre ore nel pomeriggio, dal lunedì al sabato tranne il venerdì che è festivo. Nelle scuole medie e secondarie invece il venerdì è compreso. PROGRAMMI E ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA: i programmi sono tutti stabiliti a livello ministeriale, sia a livello di scuola pubblica che privata. La metodologia di insegnamento è fortemente permeata dalla contaminazione di diversi modelli: quelli francesi imposti durante il periodo del protettorato, quelli delle scuole coraniche improntati sull’apprendimento mnemonico e quelli che stanno cercando di affermarsi attualmente che riprendono in gran parte i modelli pedagogici della scuola francese. A partire dal 1985 è stata avviata l’arabizzazione dei programmi scolastici che ha interessato soprattutto il ciclo delle elementari, ad esclusione delle materie scientifiche. La lingua di insegnamento è quindi il cosiddetto arabo standard, la lingua dotta (parlata ai telegiornali e scritta nei libri e sui giornali) che deriva da quella arcaica del Corano. È importante sottolineare che questa lingua è profondamente diversa dalla lingua materna marocchina, una forma dialettale dell’arabo mista ad inflessioni berbere, francesi e spagnole. Inoltre un’importante fetta della popolazione parla berbero (tamazight) e sebbene la maggioranza sia ormai bilingue, molti si ritrovano a scuola a dover imparare per la prima volta l’arabo. Nel primo ciclo prevalgono gli insegnamenti del francese e dell’arabo. A partire dal ciclo secondario invece viene introdotto l’insegnamento di una terza lingua che soprattutto nel Nord (Tangeri, Tetouan, ecc.) è lo spagnolo. I ragazzi quindi sono in grado di scrivere sia l’alfabeto arabo che quello latino. VALUTAZIONE: la valutazione avviene a scadenza trimestrale e a seconda del ciclo scolastico ci sono diverse modalità. Nel ciclo delle elementari si usa la scala decimale (dove 5 è considerato sufficienza) e nei cicli successivi invece si usa la scala 1-20. Alla fine del ciclo elementare viene sostenuto un esame sulle materie fondamentali (francese, arabo e matematica) e si ottiene la promozione sulla base dei risultati dell’esame e delle valutazioni dell’anno. Alla fine del ciclo delle medie invece vengono fatti due esami a livello di istituto e a livello di distretto scolastico e la promozione avviene sulla base della valutazione avvenuta nel corso dell’anno e durante le prove finali. VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE La società marocchina può essere considerata come una rete di poli relazionali che fondano la loro legittimità su rapporti di parentela stretta e allargata a cui si aggiungono rapporti di clientela, amicizia e vicinato, tutti legami molto forti. Ognuna di queste relazioni viene attivata nella vita quotidiana di ogni giorno ed esige uno scambio simbolico e materiale incessante. Il fratello, il parente e l’amico sono persone che possono richiedere aiuto oppure darlo, sono persone che fanno doni oppure che li ricevono e questo crea un sistema di obblighi e di scambi talvolta molto rigido a cui non ci si può sottrarre. Il controllo esercitato dal gruppo è molto forte. In emigrazione 142 questo sistema si complica dal momento che le relazioni subiscono delle fratture ma allo stesso tempo vengono reinventate e adattate al contesto. La famiglia e le reti che la compongono, sia al paese d’origine che in quello di arrivo, rimangono però un punto di riferimento fisso che dà la misura del successo o del fallimento dell’esperienza migratoria di ognuno dei componenti. Anche i ruoli di genere fanno parte di questo meccanismo di scambio e di reciproche aspettative. Secondo alcuni studiosi la donna in questa società (come in altre società mediterranee) ha sempre ricoperto un ruolo subordinato nell’ambito della famiglia, perché funzionale a una divisione del lavoro tra sfera pubblica e sfera privata. Nel momento in cui la donna entra a far parte della sfera pubblica (esercitando un lavoro, rappresentando una carica politica, ecc.) questa divisione netta dei ruoli viene a decadere generando spiazzamenti che a volte sfociano in conflittualità irriducibili accompagnate da fragilità sociali crescenti. Il rapporto uomo-donna è messo profondamente in crisi, la relazione di coppia non è più funzionale alla crescita della famiglia ma anche al benessere degli individui che la compongono. STILI ALIMENTARI La cucina marocchina, come tutta la cucina del Nord Africa è fortemente influenzata dalla cultura e dalla religione musulmana, soprattutto per quel che riguarda le regole alimentari. Il Corano infatti vieta il consumo della carne di maiale e in generale della carne non halal (“lecito”), cioè non macellata secondo i dettami religiosi, che vogliono che l’animale venga abbattuto in nome di Dio (bismillah) con un taglio alla gola, affinché il sangue, ritenuto impuro, esca completamente dal corpo dell’animale. Si vieta anche il consumo di bevande alcoliche, per questo in tutto il mondo arabo si bevono molti succhi di frutta freschi (asir), tè (tè), caffè (qahwa) e bevande gazzose. Tuttavia non è raro incontrare marocchini credenti che bevono alcol, soprattutto birra e questo avviene in parte anche di nascosto, per convenienza sociale. Ad eccezione di queste regole alimentari la cucina marocchina si presenta come un sincretismo di culture che vanno da quella andalusa a quella berbera e araba. Il couscous (palline di semola di grano duro) è il piatto più diffuso trattandosi di una ricetta che si fa risalire ai berberi, e può essere accompagnato da diverse varietà di carne o di verdura in umido. Di solito è servito come piatto unico ma durante le feste e il Ramadhan viene preceduto da altri piatti. Accanto al couscous, un altro piatto rinomato nella cucina marocchina è la tajine che prende il nome dal recipiente in terracotta smaltata dotato di un coperchio conico forato in alto che impedisce l’evaporazione troppo rapida durante la cottura del cibo. La preparazione del piatto avviene a fuoco lento con la carne di agnello o di manzo cucinata a pezzetti insieme a diversi tipi di verdure e spezie oppure insieme alla frutta (prugne secche, mele cotogne) e al miele. Infine la bstilla, un piatto probabilmente originario dell’Andalusia, costituisce una portata spesso servita in occasione delle feste, che associa il dolce al salato. Si 143 tratta infatti di carne di piccione, condita con cipolle, mandorle, zenzero e zafferano, cotta al forno in un involucro di pasta sfoglia che poi viene servito cosparso di zucchero a velo e cannella. Durante i 30 giorni di Ramadhan è d’obbligo mangiare l’harira, la zuppa che viene servita ogni sera al momento della rottura del digiuno (f’tour). Ci sono diverse ricette ma il piatto di base è fatto di brodo di carne di agnello, con lenticchie, ceci e spezie varie. Alla fine di ogni pasto viene degustato il thé alla menta (tè bina’na), servito con le foglie fresche di menta,quando è stagione, il cui gusto è molto leggero e zuccherato. RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA NASCITA: quando il neonato fa l’ingresso nella famiglia, la donna consolida il suo status sociale, provando la sua capacità di fertilità e l’onore del marito. La nascita quindi viene accolta con grande gioia da amici e parenti e non esistono differenze che si tratti di un maschio o di una femmina, soprattutto nel caso del primo nato. Il periodo che segue il parto è un periodo di riposo e di particolari attenzioni che corrisponde ad un periodo di impurità che dura quaranta giorni. Questo periodo è caratterizzato da una serie di piccoli rituali. Nelle famiglie più religiose, quando un bimbo nasce, si usa pronunciare al suo orecchio i primi due versetti del Corano o la professione di fede da parte di un adulto. Il rito che sancisce la nascita e l’ingresso del bambino nella comunità è rappresentato dalla cosiddetta festa del settimo giorno, che spesso viene fatta anche dopo alcuni mesi. In questa occasione, nel caso l’abitazione sia piccola, si affittano dei locali dove viene organizzata una grande festa a cui sono invitati a partecipare parenti e amici e dove oltre a mangiare si balla e si danza. Nella tradizione è in questo giorno che viene attribuito il nome al bambino, sancendo così la sua affiliazione alla famiglia paterna. MATRIMONIO: in Marocco, come in tutti i paesi del Maghreb il rito del matrimonio, nella sua forma cosiddetta tradizionale, si svolge in un arco di tempo di circa una settimana e assume forme diverse a seconda che si svolga in campagna o in città, in una regione piuttosto che in un’altra. Esiste però una successione di tappe che accomuna in qualche modo le tradizioni del Nord con quelle del Sud. KHOUTBA Fidanzamento: la famiglia dello sposo domanda la mano della sposa una volta che lei dà il suo accordo. CONTRATTO DI MATRIMONIO: Davanti a due notai (adouls) si firma l’atto di matrimonio e seguono quindi le celebrazioni che festeggiano l’unione. HAMMAM: la sposa si reca all’hammam, il bagno turco, per compiere gli atti di purificazione, accompagnata dalle donne della famiglia e da quelle che le sono più vicine. HENNA: il giorno seguente all’hammam, la sposa, aiutata dalla hannaya o nekachate, si decora con il colore rosso della henna (una polvere rossa vegetale) mani e piedi con disegni e motivi geometrici e floreali. La henna ha doti 144 purificatrici e di buon augurio. Canti e danze inaugurano, accompagnano e chiudono questo lungo lavoro che si protrae lungo tutto l’arco di una giornata. H’DIA: la famiglia dello sposo si presenta alla sposa con una processione musicale portando i doni offerti dallo sposo. I regali offerti in questa occasione sono in funzione della situazione sociale e variano da regione a regione. Generalmente sono simbolici come ad esempio lo zucchero, simbolo di una vita felice, il latte, simbolo della purezza, datteri, henna, candele, fiori, ecc. BERZA: è il giorno della grande cerimonia in cui la sposa viene presentata a tutti gli invitati nella casa dello sposo (o in un locale affittato per l’occasione). Vestita in modo tradizionale, la sposa è seduta in modo che possa essere vista e ammirata per tutta la durata della festa, in mezzo a canti, musica e danze. FUNERALI: secondo la tradizione musulmana, la salma viene lavata integralmente e avvolta in un lenzuolo bianco. Il rito viene eseguito da una donna o da un uomo della famiglia, a seconda del sesso del defunto. Durante il rito del lavaggio vengono recitati alcuni versi del Corano. Sono sempre e solo gli uomini ad accompagnare la salma al cimitero. Il funerale è una cerimonia semplice che si svolge presso la moschea e al cimitero con l’imam che intona le preghiere per il defunto. Il corpo viene seppellito nel cimitero con la testa verso La Mecca. In seguito viene osservato un lutto di quaranta giorni durante il quale la tradizione vuole che l’anima del defunto si stia preparando a lasciare la casa e i familiari attendono il momento praticando l’astensione dal fumo, dalla cura e dal lavaggio del proprio corpo e da tutte quelle attività che distolgono troppo l’attenzione. Allo scadere dei quaranta giorni l’anima lascia definitivamente la casa e la famiglia può ritornare ai suoi ritmi normali. SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI14 Nonostante in Marocco il diritto alla salute non sia espressamente dichiarato nella costituzione o in un testo di legge, è stato riconosciuto nel 1959 in occasione di una conferenza nazionale sulla salute che ha messo l’accento sulla responsabilità dello Stato in materia e, sull’obbligo dello stesso di assicurare la programmazione di una politica della salute con adeguati mezzi finanziari. Nel 2001 il Marocco ha speso circa il 5% del PIL per la salute (il 2,0% del PIL nel pubblico e il 3,1% nel privato), una spesa che si colloca a parità di PIL a livelli inferiori rispetto ad altri paesi della regione, come ad esempio la Tunisia. Questo comporta diversi risultati nell’ambito delle prestazioni e dei miglioramenti apportati alle condizioni di salute dell’intera popolazione. Tale situazione si ripercuote ad esempio sulla medicalizzazione degli interventi. Senza nulla togliere al ruolo della medicina tradizionale e in particolare delle levatrici, in Marocco nel periodo 1995-2002 la percentuale dei parti assistiti da personale medico è una tra le più basse dei paesi della regione (40% contro il 14 Fonti dei dati esposti nel paragrafo: UNDP Human Development Report 2004, OMS (dati disponibili nei rispettivi siti) e materiali statistici del ministero della Sanità marocchino. 145 92% dell’Algeria, il 61 dell’Egitto e il 90% della Tunisia). Nel caso si verifichino complicazioni, è difficile riuscire a intervenire tempestivamente con l’assistenza medica, soprattutto nelle zone più isolate del paese. I medici disponibili ogni 100.000 abitanti sono 49 contro i 70 della Tunisia, gli 85 dell’Algeria e ben 218 dell’Egitto e si concentrano in massima parte nelle città o nelle immediate vicinanze. La capacità di acquisto delle medicine essenziali è rilevata dall’OMS come una tra le più basse dei paesi della regione. Secondo l’indagine nazionale sul livello di vita (ENNVM) condotta dalla Direzione della Statistica del Ministero di Piano (1998-99) più del 33% della popolazione si astiene dal ricorrere alle cure sanitarie. La proporzione di domande di cura non soddisfatte sono circa 2,5 volte più elevate nella popolazione più povera che in quella più ricca. A questo si aggiungono le ineguaglianze tra popolazione urbana e rurale. La proporzione della popolazione che non può ricorrere alle cure è del 44% in ambito rurale e del 29% in ambito urbano. Lo stesso tipo di iniquità si rileva nell’accesso alle cure gratuite presso le strutture del Ministero della Sanità. Meno del 5% della popolazione più povera non coperta dall’assicurazione per le malattie, beneficia gratuitamente delle cure negli ospedali pubblici, contro il 67% invece di quelli che si trovano nella fascia di popolazione più ricca. Questa situazione deriva anche dal fatto che in Marocco non è ancora vigente un’assicurazione medica obbligatoria nonostante da tempo sen ne parli e il Parlamento abbia ratificato la proposta nel corso del 2002. Tale progetto prevede l’attuazione di due regimi di assicurazione sanitaria a vantaggio di categorie distinte della popolazione. L’assicurazione malattia obbligatoria (AMO) si rivolgerà alle persone attive e ai titolari di pensione. Il regime di assistenza medica (RAMED) sarà invece indirizzato alle fasce di popolazione economicamente deboli. Ciononostante sono stati promossi programmi sanitari che hanno nettamente migliorato le condizioni di vita dell’età infantile e delle madri in gravidanza. Nel 2002 i bambini sottoposti a vaccino entro l’anno di età costituiscono il 90% per la tubercolosi e il 96% per il morbillo ma i casi di morte per morbillo alla fine del 1999 restano elevati, circa 365 ogni 100.000 abitanti. Questo è da ricondurre anche al fatto che, il vaccino viene fatto ad un’età (9 mesi) in cui il sistema immunitario del bambino non è ancora pienamente maturo, si sta cercando di ritardare quindi la somministrazione. Il tasso di mortalità infantile (0-5 anni) ogni 1000 bambini passa da 184 (1970) a 43 nel 2002, un risultato simile ad altri paesi della regione anche se ancora elevato ad esempio rispetto alla Libia (19/1000) e Tunisia (26/1000). Resta però ancora alto il tasso di mortalità materna. Rispetto agli altri paesi della regione il Marocco detiene il primato: ogni 100.000 nascite nel 2000 muoiono 220 donne, contro le 84 dell’Egitto, le 97 della Libia e le 120 della Tunisia. Il fenomeno è da collegare alla scarsa medicalizzazione del parto. Il programma di pianificazione familiare è uno dei più importanti del Ministero della Sanità. Il tasso di fertilità è passato da 6,9 nascite per donna nei primi anni Settanta a 2,7 nascite tra il 2000-2005. Tra le donne sposate la cultura della contraccezione permane però bassa nei paesi della regione arabo-musulmana, anche se non è tra le più basse del mondo. In Marocco fanno uso di metodi contraccettivi il 50% delle donne 146 sposate (fascia d’età 15-49 anni). Tutti questi risultati però mostrano importanti disparità tra aree rurali e aree urbane. FIABE TRADIZIONALI Nella tradizione marocchina ci sono molte fiabe che si rifanno a tradizioni e racconti orali noti in tutto il mondo arabo. Giuhà è uno dei personaggi più conosciuti. Il suo nome deriva da un verbo arabo che significa “deviare dalla retta via”. Giuha infatti si caratterizza come un personaggio dal comportamento scarsamente coerente, con una doppia personalità: è furbo e sciocco, povero e ricco; sfortunato e baciato dalla fortuna. Le sue storie, dapprima per via orale e in tempi recenti raccolte per iscritto, si sono diffuse in un’area molto vasta del Mediterraneo. A seconda del paese il personaggio assume nomi diversi: Giuhà nel Maghreb, Nasredin Hogia in Turchia, Giufà in Sicilia, Giuccà in Toscana, Giucà nelle comunità albanesi, Giochà per gli Ebrei. Le sue avventure si svolgono nella quotidianità del quartiere o dei luoghi pubblici più frequentati come il mercato, l’hammam (bagno turco), il tribunale, ecc. La capra e il lupo C’era una volta una capra che voleva andare a cercare da mangiare per i suoi figli. Quando la capra uscì, il lupo la vide e subito si recò alla porta di casa sua, dicendo ai piccoli: “Apriteli, miei amori, sono la mamma, vi ho portato r erba tra le coma e il mio seno è pieno di latte, forza aprite!”. I piccoli restarono fermi dietro alla porta, senza dire neanche una parola, poi scrutarono nella fessura sotto la porta e dissero: “No! Tu non sei la mamma, lei ha le zampe bianche, le tue sono nere e anche la voce non è la sua”. Il lupo, dopo aver udito le parole dei piccoli, andò a ritirarsi nella sua tana. Là si versò della farina sulle zampe e si esercitò a lungo per imitare perfettamente la voce della capra. Dopo qualche tempo il lupo bussò di nuovo alla porta e ripeté le stesse parole; la voce era uguale a quella della mamma e le zampe erano bianche. I piccoli non ebbero dubbi e aprirono. Il lupo li mangiò tutti, poi andò a dormire nel bosco, sotto un albero. Quando la madre tornò, non trovò più i suoi capretti. Povera capra! Era molto arrabbiata, ma capì subito di chi era la colpa, perciò andò dagli altri animali e raccontò loro ciò che era successo. Tutti insieme andarono a cercare il 147 lupo. Quando lo trovarono, gli aprirono la pancia con un coltello, fecero uscire i piccoli e la ricucirono dopo avervi introdotto tanti sassi pesanti. Dopo di che lo gettarono nel pozzo. Finalmente la capra fu molto felice e fece festa con i suoi piccoli accanto e con tutti gli animali che l’avevano aiutata. Daniela Benevell, Il tesoro invisibile. Favole, fiabe e racconti di 15 paesi, EMI, Bologna, 2003, pp. 5253. RICETTE Tajine con mele cotogne Ingredienti (per 4-5 persone): 1 kg 1/2 carne d’agnello, 1 kg 1/2 di mele cotogne, pepe, zafferano, 2 cipolle grandi fatte a pezzetti, 200 gr burro e sale. Preparazione: tagliare la carne in pezzi di circa 150 grammi e metterla a bollire in una pentola con il pepe, lo zafferano, una cipolla e il burro. Coprire il tutto con acqua e cuocere con la pentola coperta, mescolando di tanto in tanto. A parte tagliare le mele cotogne in quarti e togliere i semi senza sbucciarle. Quando la carne è cotta, levarla dalla pentola e lasciarla da parte. Aggiungere al sugo di cottura le mele cotogne, l’altra cipolla tagliata e il sale. Coprire a metà con acqua. Fare ridurre il sugo. Rimettere la carne nella pentola e riscaldare. Servire caldo. POESIA Abdellatif Laâbi è uno dei principali esponenti della letteratura francofona marocchina. I temi e gli argomenti trattati nelle sue poesie lo hanno messo in dura contrapposizione con il governo al punto che ha dovuto scontare 8 anni di prigione in un carcere riservato agli intellettuali dissidenti. È difficile trovare traduzioni in italiano, se non in qualche antologia. L’unica sua opera pubblicata è un romanzo: Ordalia (Selene, 1995). Qui di seguito si riportano i titoli delle sue raccolte in francese: Race (1967), L’Arbre de fer fleurit (1974), Le Règne de la barbarie suivi de Poèmes oraux (1976), Histoire des sept crucifiés de l’espoir (1977), Chroniques de la citadelle d’exil (1978), Anthologie de la poesie palestinienne (1990), Pour les droits de l’homme: histoire(s), image(s), et parole(s) (1989), Discours de la colline arabe (1985), Je t’aime au rés de la mort (1988), L’Écorché vif: prosoèmes (1986), L’Oeil et la nuit: roman itinéraire (1969), Le Baptême chacaliste (1987), Le Chemins des ordalies (1987), Les Rides du lion (1989), Narration du déluge (1986), Saida et les voleurs de soleil (1986), Sous le bâillon, le poéme: écrits de prison, 1972-1980 (1981), Tous les déchirements (1990). 148 LETTERATURA Prima del dominio del protettorato francese (1912-1956) le lingue veicolari della letteratura in Marocco erano il tamazight (berbero) e l’arabo nella sua forma dialettale parlata e in quella scritta. Con l’inizio del protettorato, la lingua francese venne adottata in modo radicale in tutto il sistema educativo e contribuì alla nascita di diverse generazioni di intellettuali e scrittori (residenti al paese o in seguito emigrati), che usarono esclusivamente la lingua francese per esprimersi nelle loro opere. Questa tradizione letteraria francofona (come anche quella nata in Algeria e in Tunisia) si è spesso fatta espressione dell’opposizione al colonialismo e alla cultura coloniale e ha veicolato il dramma identitario del paese colonizzato. Accanto a questo filone letterario l’arabo e il tamazight restano importanti lingue veicolari della letteratura marocchina. Uno dei temi che emergono maggiormente è quello del bilinguismo e quindi delle implicazioni identitarie che questa condizione comporta. Purtroppo si possono leggere pochi di questi libri tradotti in lingua italiana. Sul bilinguismo Abd al-Kebîr Khatîbi (1938-), Amore bilingue (Edizioni Lavoro, 1992). Sulla società marocchina post-coloniale e contemporanea Driss Chraibi (Fèz 1926-) è uno degli iniziatori della letteratura moderna in Marocco. Nel 1954 aveva pubblicato Le passé simple, un libro che causò grande scandalo in Marocco e che segnò nel Maghreb una rottura pubblica del ruolo dello scrittore moderno con l’ordine patriarcale e con il silenzio dei letterati tradizionali sulla decadenza della propria società. Nell’ultimo periodo si sta dedicando ad una letteratura di tipo satirico con la serie dell’ispettore Alì. Ecco alcune sue opere tradotte in italiano: Nascita all’alba (Edizioni Lavoro, 1987), L’uomo del libro (Zanzibar, 1995); L’ispettore Alì (Zanzibar, 1999), L’ispettore Alì e il Corano (Marcos y Marcos, 2000). Fatema Mernissi è nata a Fez in Marocco nel 1940 e vive tuttora in Marocco. Docente di sociologia all’Università di Ravat Mohammed V, studiosa del Corano e scrittrice, svolge da anni attività di ricerca con una particolare attenzione al tema della donna e della cultura islamica. In Italia è una delle scrittrici maghrebine più conosciute. Nei suoi libri c’è sempre il tentativo di raccontare la sua cultura restituendola in tutta la sua complessità. Così facendo combatte contro gli stereotipi che soprattutto nel mondo occidentale impediscono di conoscere la società marocchina e araba in tutte le loro articolazioni. Tra i suoi libri si ricordano: Chahrazad non è marocchina (Sonda, 1993), La terrazza proibita (Giunti, 1996), L’harem e l’Occidente (Giunti, 2000), Islam e democrazia (Giunti, 2002), Karawan. Dal deserto al web (Giunti, 2004). Nel 2003 riceve a Oviedo l’importante premio spagnolo Principe delle Asturie. Tahar Ben Jelloun è uno degli scrittori più noti, che attualmente vive a Parigi. È anche uno dei più controversi perché alcuni lo accusano di 149 “esotizzare” la sua appartenenza agli occhi del lettore occidentale, il principale destinatario delle sue opere. Nel 1987 ha vinto il premio Goncourt e i suoi libri vengono tutti tradotti anche in lingua italiana. Si ricordano: Creatura di sabbia (Einaudi, 1987), Notte fatale (Einaudi, 1998) Giorno di silenzio a Tangeri (Einaudi, 1989), Il razzismo raccontato a mia figlia (Bompiani, 1999), L’Islam spiegato ai nostri figli (Bompiani, 2001). RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Balsamo F., Famiglie di migranti, Carocci Roma, 2003. Bosa D., “I berberi: un popolo di uomini liberi”, in Africa, n. 1/1999. Brugnatelli V. (a cura di), Fiabe dal Marocco, Mondadori, Milano, 1997. Camera d’Afflitto I., Letteratura araba contemporanea, Carocci, Roma, 1998. Caputo O.G.n, “I marocchini”, in Mottura G. (a cura di), L’arcipelago immigrazione. Caratteristiche e modelli migratori dei lavoratori stranieri immigrati in Italia, Ediesse, Roma, 1992. 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Venturini A., La scuola nei paesi d’origine dei bambini e dei ragazzi immigrati in Italia, Cespi, Mursia, Milano, 2003. 150 SITOGRAFIA www.mincom.gov.ma: sito ufficiale del (presentazione paese, dati popolazione, ecc.). Regno del Marocco www.maroc-hebdo.press.ma/: edizione elettronica gratuita della rivista (in francese) aggiornata ogni venerdì (la rivista è scaricabile in pdf). I suoi archivi sono consultabili a partire dal 1987. www.bibliomonde.net/pages/fiche-geo.php3?id_ent_geo=1: sito francese di documentazione su alcuni paesi del mondo tra i quali anche il Marocco. Per ogni paese vengono tematizzati e discussi i principali argomenti (geografia, società, lingua, diritti, popolazione, ecc.) con approfondimenti e link sempre aggiornati. Inoltre propone una bibliografia tematica sulle più recenti pubblicazioni francofone sul paese, con brevi recensioni. www.imednet.it: sito di un’organizzazione italiana che coordina un progetto sui diritti delle donne nel Maghreb cui è dedicata una parte del sito che raccoglie la relativa documentazione sociologica e giuridica, per lo più in lingua francese. www.mondeberbere.com/: sito dedicato alla lingua, alla cultura e alla società berbera www.yabiladi.com/: rivista online in francese della diaspora marocchina nel mondo www.webzinemaker.net/prana/index.php3: sito della rivista online emarrakesh.info, fondata a Marrakesh. www.saharawi.it/: sito italiano del coordinamento regionale toscano delle associazioni che sostengono la causa saharawi. Il sito contiene delle sezioni di approfondimento sulla storia e sul popolo saharawi. 151 DANZE In Marocco si danza anche per pregare: chi desidera partecipare ai riti durante le feste comandate, porta con sé gli strumenti e raggiunge i luoghi in cui si prega con il canto e la danza. Quando iniziano le danze evocative di guarigione si accendono le candele, si bruciano le essenze e si esibiscono veli di diversi colori. I ritmi e le melooie più varie sollecitano gli spiriti a danzare fino allo sfinimento affinché, esausti, abbandonino chi è malato. 152 Pakistan di Daniele Cologna DATI GENERALI Divenuto indipendente in seguito alla partizione dell’Impero britannico delle Indie nel 1947 per servire da patria per i musulmani dell’India (Pakistan significa “il Paese dei puri”, ossia dei veri credenti) e ridotto alle sue dimensioni attuali dopo l’indipendenza del Bangladesh (ex Pakistan Orientale) nel 1971, l’odierna Repubblica Islamica del Pakistan comprende buona parte delle regioni del Punjab e del Sindh (alcune zone di tali storiche regioni dell’India fanno oggi parte dell’Unione Indiana) a Est e a Sud, il Baluchistan a Sud-Ovest, le provincie autonome della frontiera Nordoccidentale con l’Afghanistan che si estendono lungo i contrafforti dell’Hindukush, le possenti catene montuose del Karakorum (dove si erge il K2, che con i suoi 8611 metri è la seconda vetta del pianeta) e parte del Kashmir a Nord e Nord-Est. Il fiume Indo attraversa tutto il paese, dallo spartiacque himalayano fino alla sua foce nel Mare Arabico, a Karachi, formando un’ampia e fertile pianura alluvionale. L’altopiano del Baluchistan è in buona parte arido e inospitale, mentre vaste porzioni del Sindh Sud-Orientale sono costituite da deserto (deserto di Thar) o da brughiere brulle d’erbe e arbusti (Rann di Kutch). Le zone montuose dell’Hindukush e del Karakorum sono anch’esse piuttosto brulle a causa dell’altitudine, delle caratteristiche del terreno, dilavato dagli impetuosi fiumi e torrenti himalayani, e in virtù dell’intensa deforestazione alle altitudini inferiori. La maggior parte della popolazione (150.694.740 persone nel 2003) vivono nella valle dell’Indo e lungo un arco di aree urbanizzate che comprende le grandi città di Faisalabad (2,2 milioni), Lahore (5,7 milioni), la capitale Islamabad-Rawalpindi (3,7 milioni) e infine la grande megalopoli di Karachi (10,5 milioni). Un milione circa di rifugiati afghani vive tuttora in campi profughi lungo la frontiera afghano-pakistana. 153 Abitanti: 150.694.740 (2003). Estensione geografica: 796.096 kmq. Continente: Asia. Densità di popolazione: 181 ab./kmq. Incremento demografico: 2,4% (stima 2002-2015). PIL: 64.340 milioni di $ Usa (2002). Vita media: 61,0%. PIL pro capite (PPA15)1: 1.940 dollari Usa. Mortalità infantile: 83‰ (2002). Lingua ufficiale: Urdu, inglese. Altre lingue: punjabi, sindhi, pathan/pashto. Alfabetizzazione: 46,6% (2004). Religione: la religione di stato è l’Islam. I musulmani pakistani sono per il 75% sunniti, per il 20% sciiti, un 5% di ismailiti seguaci dell’Agha Khan vive nella valle del fiume Hunza, nel Karakorum. Sono presenti minoranze religiose cristiane (2%), induiste (1,8%), sikh, parsi e buddhiste. Gruppi etnici: Punjabi 52,6%, Pashtun/Pathan (popolazione di lingua afghana che abitano la frontiera afghano-pakistana) 13,2%, Sindhi 11,7%, Saraiki (popolazione del Punjab meridionale) 9,8%, Urdu 7,5%, altri 5,2%. Regime politico: repubblica federale islamica retta attualmente da una giunta militare, guidata dal generale Pervez Musharraf, al potere grazie al colpo di stato militare del 1999. La dittatura militare è stata legittimata nel 2002 da un referendum popolare. In base a un emendamento alla Costituzione del 1998 la sharia (la legge coranica) e la sunna (la tradizione islamica) sono considerate le leggi supreme dello stato. LE FESTE PRINCIPALI Il calendario pakistano celebra soprattutto le principali feste islamiche, oppure commemora le date e le figure più importanti della storia nazionale. Le feste musulmane seguono il calendario lunare di 354 giorni, mentre quelle nazionali seguono il calendario solare. L’inizio del nuovo mese è stabilito quando in cielo appare la falce sottilissima della nuova luna: è in base alla testimonianza oculare da parte dei capi religiosi che si dichiara l’inizio ufficiale di ogni nuovo mese, procedura importante soprattutto per indicare l’inizio del mese di Ramadan. In alcuni casi l’inizio del mese di Ramadan può venire spostato di un giorno, a discrezione delle autorità religiose (per esempio a causa del cattivo tempo).Vengono celebrate anche molte sagre e feste popolari locali 15 Il parametro della “Parità di Potere d’Acquisto” (PPA) espressa in dollari permette di confrontare la capacità d’acquisto del prodotto interno lordo eliminando le distorsioni di cambio e di prezzo che si generano quando il reddito nazionale viene convertito ai cambi correnti. 154 nelle diverse zone del paese, in date fissate dalle amministrazioni locali. Le principali feste religiose pakistane sono: SHAB-E-BARAT O NOTTE DELL’EMANCIPAZIONE: festa religiosa che cade tra novembre e dicembre, ovvero nella notte del quindicesimo giorno del mese di Shaaban, l’ottavo mese del calendario dell’Egira. Shab-e-Barat è un termine di origine persiana (il corrispettivo arabo è Lailatul bara’at), che significa letteralmente “la notte dell’emancipazione” o “la notte dell’incarico”. Tra i musulmani del subcontinente è considerata una notte di buon auspicio e si crede che la corretta osservanza dei riti religiosi – in particolare della preghiera – in questa notte stabilisca il destino delle persone nell’arco dell’anno che verrà. Se si prega per ottenere il perdono divino nel corso di questa notte, esso verrà accordato. Si festeggia dunque con preghiere e meditazioni nelle moschee, ma anche illuminando le case e le strade con candele e lumini elettrici, mentre la gente si scambia pani e dolci, distribuendone ai poveri e cogliendo l’occasione per far visita agli amici. I più devoti durante il giorno digiunano. EID-UL-FITR (“FESTA DELLA FINE DEL DIGIUNO”) O CHHOTI EID (“PICCOLA FESTA”): importante festa religiosa che conclude il digiuno del mese di Ramadan. Consiste in due o tre giorni di celebrazioni che festeggiano la fine del digiuno con banchetti per parenti e amici. L’intero paese è in festa, le scuole sono chiuse, gli adulti non vanno al lavoro e ci si scambiano visite e regali. Di grande importanza è l’elemosina ai poveri, che in quest’occasione viene praticata su vasta scala. L’alba del primo giorno dell’Eid-ul-Fitr viene celebrato solennemente con speciali preghiere. Solitamente si celebra nella terza decade del mese di gennaio. EID-UL-AZHA O BARI EID (“FESTA DEL SACRIFICIO”): celebrazione che ricorda il sacrificio di Abramo ma che segna anche il periodo del pellegrinaggio alla Mecca (haj). Chi può comprare un animale (pecora, cammello o bue a seconda delle possibilità economiche) lo macella secondo il rito halal e ne divide la carni con i parenti e con i poveri. Si celebra con preghiere dopo il tramonto il decimo giorno di Zilhij, il dodicesimo mese del calendario islamico, e quindi con il sacrificio degli animali. Famiglie ricche e benestanti in quest’occasione fanno sfoggio di munificenza, macellando molti animali e nutrendo più famiglie possibile. ASHURA O COMMEMORAZIONE DEL MARTIRIO DI HUSSAIN: commemorazione da parte dei musulmani sciiti, seguaci di Ali (cugino e genero del Profeta) e di suo figlio Hussain, la cui morte è avvenuta nella piana di Karbala (nell’odierno Iraq) nel 680 d.C. A partire dal decimo giorno del mese di Muharram, undicesimo mese del calendario musulmano, gli sciiti osservano quaranta giorni di lutto, e inaugurano tale periodo con processioni – spesso aperte da un cavallo bianco sciolto – in cui uomini e ragazzi si battono il petto e cantano i nomi delle vittime di Karbala. Tra loro vi sono anche i flagellanti che praticano lo zuljinnah, ovvero si frustano la schiena in onore del martire Hussain brandendo catene alle 155 quali vengono attaccate delle lame. La festa, che i sunniti osservano ostentando riserbo, dura due giorni ed è spesso occasione di tensioni tra sciiti e sunniti. Di norma cade nel mese di febbraio del calendario solare. EID-MILAD-UN-NABI: festa che commemora la nascita del Profeta Mohammad, giorno dedicato soprattutto alla preghiera. Cade il dodicesimo giorno del mese di Rabi-ul-Awwal, il terzo mese del calendario islamico, generalmente in aprile secondo il calendario giuliano. Si ritiene che il Profeta sia nato e morto nello stesso giorno, per cui la celebrazione ha più un tono di raccogliemento spirituale che di festeggiamento vero e proprio. Le feste nazionali sono invece: il Pakistan Day, che ricorre il 23 marzo del calendario solare e celebra l’anniversario della Pakistan Resolution del 23 marzo 1940, documento che segna l’inizio dell’idea nazionale pakistana. Si tengono parate militari a Islamabad e nei capoluoghi di provincia; il primo maggio, festa internazionale dei lavoratori; Festa dell’Indipendenza (14 agosto) del Pakistan (Independence Day); festa della Difesa (6 settembre); commemorazione della morte di Mohammad Ali Jinnah, o Quaid-i-Azam, il fondatore della patria (11 settembre); nascita di Allama Mohammad Iqbal (9 novembre) il poeta nazionale pakistano; anniversario della morte di Jinnah (25 dicembre). IL SALUTO: quando ci si incontra, si saluta con il classico saluto musulmano: as-salâmu alaikum, “che la pace sia con te”. Quando si va via si dice: xudâ hâfiz, “che Dio ti benedica”. Gli uomini si salutano tra loro piegando lievemente il busto in avanti, porgendo la mano destra e portando la sinistra al petto, sul cuore. Le donne salutano generalmente solo con un cenno del capo, senza contatto fisico. CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE All’ospite si offre generalmente del chai, ossia tè nero di varietà broken orange pekoe, speziata con cardamomo verde, cannella, bollito insieme a latte e fortemente zuccherato. Nelle province di frontiera del Nord-Ovest, tra le popolazioni pashtun, si usa bere tè verde persiano speziato con un mix di cardamomo verde, erba limone (citronella, Cymbopogon citratus) e zucchero cristallizzato pestato in un piccolo mortaio. 156 IMMIGRAZIONE IN ITALIA L’emigrazione pakistana ha cominciato a includere l’Italia tra le sue mete solo a partire da quella concomitanza di fattori che ha strutturato anche l’immigrazione da altri paesi del subcontinente indiano: la crisi del sistema migratorio del Golfo, nei cui paesi i lavoratori pakistani erano in assoluto i più presenti fin dagli anni Settanta e dov’erano impiegati soprattutto nell’edilizia; l’irrigidimento della legislazione relativa all’immigrazione nei paesi occidentali in cui la diaspora pakistana è più forte (Regno Unito, Francia e, per i rifugiati politici: Svizzera e Germania) e la sanatoria del 1990 in Italia a seguito della cosiddetta “legge Martelli”. L’esportazione di manodopera in Pakistan interessa soprattutto punjabi musulmani originari della provincia di Gujrat, provenienti prevalentemente dalla città di Jhelum e dal piccolo centro di Puran. Gujrat è una provincia a prevalente vocazione agricola, molto fertile, dalla quale migrano principalmente persone appartenenti alla casta jat dei piccoli proprietari terrieri. L’immigrazione pakistana in Italia, sebbene numericamente ancora piuttosto contenuta, è un fenomeno migratorio in rapida crescita, grazie al progressivo radicamento degli immigrati maschi (tuttora la maggioranza netta degli oltre trentamila pakistani presenti in Italia alla fine del 2003). L’immigrazione pakistana in Italia, sebbene numericamente piuttosto contenuta è un fenomeno migratorio in rapida crescita, grazie al progressivo radicamento degli immigrati maschi (tuttora la maggioranza netta dei presenti), dell’afflusso costante di loro connazionali e dell’aumento dei ricongiungimenti familiari. La decisione di riunirsi al coniuge e ai figli è spesso posticipata a lungo, in virtù della diffusa convinzione che le donne non debbano lavorare (ne consegue la necessità di trovare occupazioni che offrano redditi stabili e piuttosto elevati), mentre la numerosità della prole spinge ad investire nell’acquisto (piuttosto che nell’affitto, troppo oneroso) di abitazioni di dimensioni adeguate. L’inserimento lavorativo avviene soprattutto nella ristorazione, nell’edilizia e nell’industria, con una limitata creazione di piccole imprese (telefonia mobile, pulizie, ristoranti, commercio all’ingrosso). Con i bengalesi e gli indiani, i pakistani sono tra più attivi promotori della cucina indiana in Italia. Coloro che possono permettersi di avviare un’impresa sono però ancora una ristretta minoranza. Per molti pakistani l’essenziale è infatti garantirsi un lavoro subordinato stabile e in regola al fine di rendere possibile, nel tempo, il ricongiungimento familiare. Gli immigrati pakistani sono in netta prevalenza musulmani (pur con una sporadica presenza di hindu e sikh) e frequentano le moschee e le sale di preghiera presenti nelle maggiori città italiane e in alcune aree decentrate dove la presenza pakistana (o di altri immigrati islamici) è particolarmente forte. Per via del lavoro, alla frequentazione dei luoghi di culto, come pura alla stretta osservanza della preghiera cinque volte al giorno gli immigrati pakistani, dedicano però generalmente poco tempo e vi si recano soprattutto in occasione delle feste islamiche. Nella sfera privata la religione gioca un ruolo molto importante, ed è una fonte primaria di orientamento etico-valoriale nella vita 157 quotidiana e familiare degli immigrati pakistani. Rispetto al rapporto tra i coniugi e quello tra genitori e figli hanno però un peso notevole anche le consuetudini e le tradizioni del contesto rurale d’origine, con una forte enfasi sui valori della famiglia e una visione piuttosto conservatrice del ruolo della donna. Le donne conducono pertanto una vita molto ritirata, escono raramente di casa e lamentano la mancanza della vita comunitaria femminile che ne strutturava la quotidianità in patria. In alcuni contesti italiani le mogli degli immigrati pakistani cercano di ricostruire abitudini di vita precedenti dedicando alcuni pomeriggi alla settimana al ritrovo con le amiche (a volte a sfondo religioso). Come per quasi tutte le popolazioni del subcontinente indiano, anche tra i pakistani si propende per il matrimonio combinato dei propri figli, e soprattutto delle proprie figlie. La speranza di assicurare alle figlie un buon matrimonio preoccupa coloro che si ricongiungono con figlie prepuberi, tanto da far loro considerare il rimpatrio al solo scopo di non esporle alle abitudini culturali e sociali italiane in ambito affettivo-relazionale. In virtù dell’elevata incidenza del lavoro subordinato alle dipendenze di italiani, tra i pakistani maschi la conoscenza della lingua italiana è piuttosto diffusa e il loro processo di acculturazione non subisce più i contraccolpi della barriera linguistica. I lavoratori pakistani si adeguano rapidamente alle condizioni di lavoro di cui sembrano aver sposato l’etica del lavoro senza grandi difficoltà. Il vero terreno di incontro/scontro per l’integrazione delle famiglie pakistane sembra dunque essere quello dell’educazione dei figli e soprattutto delle figlie, che è del resto un passaggio critico del processo d’integrazione per tutte le minoranze musulmane in Italia. Ancor più che per gli indiani hindu osservanti, la crescita dei propri figli in una società come quella italiana – giudicata eccessivamente permissiva – è vissuta come potenzialmente pregiudizievole per la loro buona educazione e caratterizzata da elevati rischi di “corruzione”. I genitori temono che i propri figli – e soprattutto le proprie figlie – possano essere “sviate”, dimenticando l’onore e gli affetti familiari per abbracciare l’individualismo e il materialismo volgare che vedono imperare nella società d’arrivo. Ricerche empiriche svolte in specifici contesti italiani testimoniano di una sostanziale armonia tra la visione del mondo dei genitori e quella dei figli: la famiglia era percepita come l’elemento di maggior definizione della realtà e della propria esperienza di vita, fulcro della sfera affettiva e punto d’arrivo dei propri progetti personali. L’idea di poter contravvenire al dettato normativo dei genitori o di tradire la loro fiducia era generalmente respinta, nella convinzione che fosse indispensabile mediare tra le proprie aspirazioni personali e quelle familiari. Si ha dunque l’impressione che i tempi non siano ancora maturi perché certe contraddizioni si manifestino, come è invece già accaduto in altri contesti, né sembra necessario prospettare un futuro di scontri e traumi familiari. Tuttavia, problematiche di questo genere portano le dinamiche familiari ad intrecciarsi con l’esigenza di tutelare i diritti dei minori e, in questo senso, si tratta di questioni che chiamano in causa l’intera società civile. 158 MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI L’impegno primario dei genitori pakistani è quello di fare dei propri figli, sia maschi che femmine, dei “buoni musulmani”: un’enfasi particolare è posta dunque sull’educazione religiosa, sia attraverso la frequentazione di scuole coraniche sia, soprattutto, attraverso l’opera di trasmissione dei valori fondamentali della tradizione religiosa – ma anche familiare e tribale – da parte dei genitori. Le madri sono investite di questo ruolo forse più ancora dei padri, e in particolare rispetto alle figli. Tra i punjabi di casta jat, che sono maggioritari tra gli emigranti, assume particolare importanza il concetto di hizzat, “onore”, che assume valenze diverse per maschi (in particolare per i maschi primogeniti, cui passa la titolarità dei terreni di proprietà del lignaggio) e per le femmine. Se per i primi l’imperativo è quello di contribuire al benessere economico della famiglia con il proprio lavoro o con una formazione migliore di quella ricevuta dai padri, per le femmine è importante emulare le virtù di moralità, pudore, riservatezza incarnate dalle madri. La corretta “gestione” delle figlie femmine, cui è necessario assicurare una dote adeguata per salvaguardare il prestigio familiare, è uno dei principali propulsori degli sforzi rivolti alla mobilità sociale da parte dei figli. Lo svezzamento e la cura dei figli piccoli è considerata una mansione prettamente femminile, che vede impegnate tutte le donne di un nucleo familiare, sia esso poligamico o monogamico. Alle figlie più grandi si chiede di affiancare la madre/le madri nelle faccende domestiche e nella cura dei bambini. I padri sono invece maggiormente chiamati in causa rispetto alla corretta introduzione in società dei figli maschi, che vanno resi edotti delle consuetudini tribali locali e cui si richiede una condotta che non rechi mai detrimento al buon nome del genitore. Cortesia, buone maniere e un atteggiamento di riserbo sono considerati attributi desiderabili sia per i maschi che per le femmine. Se per i primi è possibile tollerare qualche trasgressione giovanile (occasionale consumo di alcolici, fumo, frequentazione di case di tolleranza), ma sempre entro i limiti di ciò che è convenzionalmente accettato, per le seconde la retta condotta e la buona reputazione sono spesso le sole garanzie per un buon matrimonio. Dai figli maschi ci si aspetta anche un forte senso di dignità personale, un contegno marziale rispetto alle esigenze di difesa del paese (fortemente militarizzato) e un atteggiamento di deferenza nei confronti delle autorità religiose. Il ruolo delle madri e delle donne anziane della famiglia come custodi della tradizione è considerato cruciale per i figli di ambo i sessi fino alla pubertà, poi il padre tende ad occuparsi del matrimonio delle figlie e dell’educazione dei figli maschi alla vita adulta e lavorativa. Rispetto alla cura dei bambini, la società pakistana si presenta ancora molto arretrata, come testimonia l’alto livello di mortalità infantile. Campagne di controllo demografico, che invitano le madri a diradare le gravidanze e mantenere basso il numero dei figli, hanno finora avuto scarso successo. Per la maggior parte delle madri è difficile avere accesso a cure mediche e ginecologiche adeguate, mentre le cattive condizioni igieniche in cui versano la 159 maggior parte degli agglomerati urbani e la scarsità di acqua potabile rendono particolarmente delicati i primi anni di vita dei bambini. MODELLI DI CURA In Pakistan il sistema medico nazionale è assai carente e disorganizzato. Dispensari e ambulatori specialistici pubblici e privati offrono prestazioni di basso profilo, tranne che nelle maggiori città. Per questo motivo nei villaggi delle aree rurali alla difficoltà di accesso a strutture che offrono trattamenti medici moderni si tende tuttora a sopperire con forme indigene di trattamento medico, che peraltro tendono ad affiancare la prassi medica di derivazione occidentale anche nelle città. L’unanitibb (“medicina greca”, in arabo), detta anche islami-tibb (“medicina islamica”) è una rielaborazione della medicina galenica riveduta e arricchita dall’esperienza medica dei dottori musulmani. Questa prassi terapeutica ricorre a preparati d’erbe per bilanciare gli umori del corpo e i medici tradizionali, gli hakim, sono formati in scuole di medicina islamica o ne imparano i rudimenti da membri della famiglia che trasmettono tale sapere di generazione in generazione1. I preparati della medicina islamica sono spesso offerti parallelamente ai farmaci occidentali in molti dispensari. L’omeopatia, considerata “la medicina occidentale dei poveri” gode parimenti di un certo seguito nel paese. A ciò si aggiungono varie forme di terapia di matrice religiosa: le cure profetiche, per esempio, si basano sugli hadith (“detti”) del Profeta riguardanti l’igiene e la saluta fisica e morale. In questo caso si amministrano cure molto semplici, basate sull’assunzione di miele e dei suoi derivati, di alcune erbe e sulla preghiera. Alcuni religiosi conservatori suggeriscono addirittura che il fare affidamento su rimedi diversi della preghiera indichi una carenza di fede, mentre altri osservano che il Profeta stesso dichiarò le medicine un dono d’Allah per la salute degli uomini. Una forma popolare di terapia religiosa molto diffusa è l’adozione di formule ed amuleti per proteggere se stessi e i propri cari dal maligno. I taweez, amuleti che contengono versetti del Corano, o l’intervento di un pir, un uomo santo (che può essere ancora vivente o morto), sono generalmente considerati in grado di farsi tramite della benedizione di Allah per il sollievo delle pene di chi soffre. MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE In Pakistan la separazione dei sessi viene introdotta e rafforzata fin dalla prima infanzia, e bambini e bambine vivono modalità e contesti di aggregazione e socializzazione nettamente distinti fin dalla scuola elementare. La maggior parte delle bambine in età puberale vive perlopiù segregata in casa fino al matrimonio: deroghe a tale prassi sono possibili solo sotto la costante vigilanza dei fratelli, dei genitori o delle sorelle maggiori sposate. La socialità di bambini e bambine è dunque 160 prevalentemente monoetnica. Per le bambine, essa ha luogo normalmente in contesti protetti (casa propria o di parenti, qualche volta di amici di famiglia). I bambini godono di una socialità nettamente più libera e di livelli di autonomia maggiori, cui sono socializzati sin dalla più tenera età, contribuendo al reddito familiare con il proprio lavoro, sia alle dipendenze del padre che di altri adulti. MODELLI E STILI FAMILIARI RUOLO DEI GENITORI: il capo indiscusso della famiglia è il padre: a lui spettano il diritto delle decisioni e il dovere del sostentamento: le donne infatti non lavorano, salvo in rari casi e soltanto nei centri urbani o in villaggi fortemente impoveriti. Una volta raggiunta l’età adulta il maschio primogenito acquista notevoli poteri all’interno della gerarchia familiare, divenendo di fatto il vicario del padre. Dato che la proprietà paterna deve restare sempre unita, ai figli cadetti si richiede in genere di lavorare alle dipendenze del primogenito o di emigrare per contribuire al benessere e al prestigio familiare lavorando nelle città o all’estero. La gestione della casa e l’educazione della prole è invece compito delle madri, con l’aiuto delle altre donne della casa (nuore e figlie piccole). La poligamia è consentita ma è economicamente assai onerosa e non sono molti gli uomini che possono permettersi di mantenere un nucleo familiare che conti più di una moglie. Gli anziani della famiglia sono trattati con grande rispetto e alla coesione della famiglia si attribuisce un valore primario. VITA SOCIALE DELLE FAMIGLIE: la famiglia è, assieme alla religione musulmana, alla base della struttura sociale pakistana. All’interno della famiglia si svolgono tutte le più importanti fasi della vita dell’individuo, dalla nascita, al matrimonio, alla morte. L’organizzazione della famiglia è di tipo esteso, patriarcale e patrilocale. L’intero lignaggio patrilineare si trova raccolto in un’unica unità abitativa, dove convivono padre e madre, i figli, le nuore e i nipoti, con l’eccezione delle figlie che, una volta sposate, lasciano la casa del padre per andare a vivere nella casa del marito. Anche se nelle grandi città è in atto una progressiva nuclearizzazione delle famiglie, questo vale solo per meno di un quarto della popolazione. La maggior parte degli eventi sociali coinvolgono l’intero gruppo familiare, bambini compresi, per cui la famiglia tende sempre a muoversi come un’unità compatta, mentre la socialità aperta di tipo routinario (frequentazione delle moschee, vita pubblica e politica, ecc.) resta appannaggio dei maschi adulti. Le famiglie pakistane tendono a essere molto numerose perché l’uso di contraccettivi è tuttora sporadico e i figli sono visti come un dono di Allah. Le famiglie più abbienti vivono in grandi ville, bungalow o appartamenti con molte stanze, spesso dotati di servitù. Quelle più povere, per contro, vivono in abitazioni di due o tre stanze e in condizioni di grande sovraffollamento. Dato che tali abitazioni spesso non hanno acqua corrente né sono dotate di servizi igienici, mentre nelle cucine si impiegano piccoli fornelli a kerosene fortemente inquinanti, le condizioni alloggiative della 161 maggior parte delle famiglie sono insalubri e fonte di malesseri e malattie soprattutto per i bambini piccoli. Il bucato si fa ancora soprattutto lungo i banchi di fiumi e torrenti, oppure in mastelli in cui si trasporta a mano l’acqua dei pozzi. SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI La Costituzione del 1973 stabiliva il diritto all’istruzione primaria – che in Pakistan comprende solo le elementari e va dai 5 fino ai 10 anni – gratuita per tutti. Il governo di Zulfiqar Ali Bhutto (1972-1977), di orientamento socialista, nazionalizzò tutte le scuole tranne quelle missionarie cristiane e promosse l’istruzione di massa, ma tale politica si scontrò fin da subito con il carattere prevalentemente agrario, conservatore e tribale del paese. Con il colpo di stato militare del generale Zia (appoggiato dagli Stati Uniti) e l’avvento della legge marziale nel 1977 tale politica venne abbandonata, le scuole vennero nuovamente privatizzate, soprattutto nei maggiori centri urbani. Le scuole statali, in particolare nelle aree periferiche, subirono un forte degrado. La turbolenta politica interna pakistana, con il suo alternanrsi di governi autoritari e dittature militari ha impedito la formulazione di programmi scolastici coerenti e decurtato drasticamente la spesa per l’istruzione, ampliando il divario tra gli strati più agiati della popolazione e le grandi masse povere. Oggi il Pakistan è uno dei paesi in via di sviluppo con il più basso tasso di alfabetizzazione, soprattutto per le donne: inferiore al 30% secondo le stime dell’UNDP, esso sarebbe invece inferiore al 10% nelle aree rurali, dove in virtù di tradizioni familiari e religiose molto conservatrici si ritiene che le donne dovrebbero occuparsi unicamente di faccende domestiche e dunque non vengono mandate a scuola. La cura dei bambini in età inferiore ai 5 anni è demandata alle famiglie e non esiste scuola materna, tranne qualche istituto privato ad uso delle classi più abbienti. La frequenza della scuola elementare è rimasta gratuita e obbligatoria, ma solo il 77% dei maschi completa i cinque anni previsti, mentre il 60% delle ragazze non supera i due anni e mezzo. Il governo pakistano sta incrementando gli investimenti per lo sviluppo della scuola primaria e secondaria, soprattutto rispetto alle scuole urbane, sforzandosi di integrare le scuole islamiche nel sistema educativo nazionale. Inoltre, la politica attuale tende a incentivare la partecipazione di ONG internazionali nella gestione e nella valutazione di alcune scuole. Tuttavia, la spesa per l’istruzione in termini di quota del prodotto interno lordo è passata soltanto dallo 0,8% dell’inizio degli anni Novanta all’attuale 1% e questi provvedimenti incidono poco o nulla sulle condizioni del 70% della popolazione che vive nelle campagne, in villaggi in cui le lezioni spesso si tengono all’aperto, condotte da insegnanti mal pagati che fanno riferimento a programmi arretrati. L’alternativa sono le scuole islamiche (madrasse), dove però il curriculum si orienta soprattutto sullo studio del Corano e della letteratura religiosa, lasciando poco spazio allo studio della 162 matematica e delle scienze e poco o nessuno spazio all’insegnamento delle lingue straniere (a parte l’arabo classico e un po’ d’inglese). Dopo l’undici settembre gli Stati Uniti hanno imposto al Pakistan condizioni più severe per l’erogazione di aiuti allo sviluppo dell’istruzione, chiedendo che nelle scuole coraniche si vietassero gli appelli alla jihad e si esercitasse un controllo più stretto sul programma di studi. Nelle città le scuole pubbliche vivono problemi analoghi, ma possono almeno contare su un infrastruttura migliore (aule, laboratori, palestre). La classe media abbiente ricorre di norma a costose scuole private, avviate da uomini d’affari locali. Nella scuola pubblica, come in quella privata (ma non in quella islamica) la lingua d’insegnamento ufficiale è l’inglese: l’intento è quello di avvicinare la nuova generazione al resto del mondo, ma questa scelta penalizza inevitabilmente la piena padronanza dell’urdu. In generale, l’Unesco rileva come il sistema scolastico pakistano pubblico (ma quello privato non si trova in condizioni molto migliori) si affidi ancora a programmi d’insegnamento poveri e superati, avvalendosi di docenti poco qualificati, costringendo gli alunni in classi caratterizzate da forte sovraffollamento o totalmente carenti di infrastrutture, e tolleri ampiamente le punizioni corporali. La struttura del sistema scolastico per scuole pubbliche e private è identico: sono previsti cinque anni di elementari, di scuola media e due di scuola superiore. Terminati undici anni di studio si affronta un esame chiamato matriculation (anche detto matric, simile alla nostra maturità), interamente gestito dallo stato, superato il quale si accede al college (vi riesce meno del 2% degli studenti), che dura due anni. Una volta superato l’esame di diploma (batchular, ovvero bachelor’s degree, che può essere di orientamento umanistico o scientifico) che conclude il college, un punteggio alto può dischiudere le porte delle università (cui approda meno dell’1% degli iscritti alla scuola primaria), che sono dislocate sull’intero territorio (ogni provincia ne possiede almeno una) e sono organizzate secondo il modello anglosassone del campus in cui gli studenti risiedono tutti insieme in appositi alloggi collettivi. Il Ministero federale dell’Educazione coordina formalmente l’istruzione fino al livello intermedio (ossia fino al termine del college). VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE La società pakistana è fortemente influenzata dalla religione e dalle tradizioni familiari locali, e di questo risente moltissimo la vita comunitaria e il rapporto tra i sessi. La vita pubblica è appannaggio pressoché esclusivo degli uomini, mentre le donne sono soggette a un regime di vita rigorosamente distinto da quello maschile in virtù di una serie di costrizioni legate alla religione, al sistema sociale, alla classe sociale ed alla casta di appartenenza, nonché agli usi e costumi del contesto locale. A dominare le relazioni di genere in Pakistan è l’indiscusso assunto dell’inferiorità della donna rispetto all’uomo e all’importanza che le azioni delle donne all’interno di un gruppo familiare si 163 ritiene possa esprimere rispetto alla salvaguardia dell’onore degli uomini che lo dominano: la responsabilità primaria per il mantenimento dell’onore è dunque delle donne, sottoposte per questo motivo a una costante vigilanza da parte degli uomini della famiglia, ma anche della società locale. Per evitare il rischio del disonore, il sistema sociale pakistano imbriglia le relazioni di genere e la vita comunitaria nell’insieme di consuetudini e codici di comportamento e di vestiario conosciuto come purdah, “velo”. Il termine purdah indicava originariamente la tenda che nelle abitazioni separava lo spazio delle donne da quello degli uomini, sottraendole agli sguardi degli estranei della famiglia. Oggi indica sia il velo – che in Pakistan assume varie fogge, da quello che lascia scoperto il viso, in uso nello Hunza e nelle maggiori città, al burqa che copre l’interamente le fattezze somatiche della donna – sia l’insieme di prassi quotidiane che assicurano la separazione tra i sessi: spazi riservati in tutti gli edifici pubblici, sui mezzi di trasporto, nei locali in cui è ammessa la presenza femminile, ecc. Queste misure sono concepite come una forma di protezione della dignità femminile, ma si traducono in una forte invisibilità della donna nella sfera pubblica e ad una severa limitazione della sua autonomia personale. Gli unici uomini con cui le donne possono avere legittimamente contatto sono il padre, i fratelli, i suoceri, gli zii paterni e i cognati – ma non, per esempio, i cugini da parte di madre. Soprattutto nelle zone rurali le donne lasciano la casa paterna solo per sposarsi, per non muoversi quasi mai dalla casa del marito successivamente al matrimonio. Nelle aree più povere del Punjab e del Sindh, così come presso gli ismailiti dello Hunza, le donne godono di maggiore autonomia, poiché sono costrette a contribuire al sostentamento della famiglia piantando il riso, allevando i polli, vendendono le uova nei mercati, fabbricando piccoli oggetti d’artigianato, ecc. Nelle città, palazzi stretti di molti piani (haveli) sono concepiti in modo tale da poter ospitare famiglie estese che contano molte generazioni, in modo da poter salvaguardare la sfera privata familiare e offrendo alle donne spazi esclusivi. Nelle grandi metropoli pakistane la segregazione femminile è temperata dalla minore rilevanza dei rapporti di vicinato, ma resta nondimeno significativa. Ancora nei prima anni Novanta risulta attivo in ambito lavorativo solo il 10% delle donne. Uno sparuto ma agguerrito movimento femminista pakistano lotta fin dai primi anni Novanta per promuovere una maggiore partecipazione sociale da parte delle donne: ne sono le alfieri l’avvocatezza Asmà Jehanghir, responsabile della rete di advocacy Aghs, costituita soprattutto da professioniste di estrazione alto-borghese, e Fatima Kassim, direttrice del movimento Bedari (“Consapevolezza”), che nel 1992 ha avviato una rivoluzionaria campagna contro la pedofilia, grande tabù in tutte le società musulmane. STILI ALIMENTARI La cucina pakistana mescola influenze culinarie mediorientali, persiane, afghane e indiane. L’alta scuola culinaria è quella Mughlai, la cucina di corte degli imperatori moghul. L’alimentazione delle masse povere 164 della popolazione è però molto semplice: roti (pane), chawal (riso), sabzi (verdure) e gosht (carne) sono i quattro componenti del tipico pasto pakistano. Il pane nan (diffuso in tutto il Vicino e Medio Oriente, nonché in tutta l’Asia centrale), cotto applicando dischi piatti di pasta alle pareti interne di grossi forni a legna del tipo tandoor (forni di terracotta), è in assoluto il pane più comune e viene consumato praticamente ad ogni pasto. Molto diffusi sono anche chapati e paratha, sorta di piadine senza lievito, che si spezzettano per raccogliere verdure e carni con le mani. L’alimentazione di tutti i giorni risente soprattutto di influenze mediorientali e dell’India settentrionale: pollo, agnello e gamberi vengono cotti in piccantissime salse al curry e accompagnati sempre da un ampia scelta di verdura, riso e pane. Il riso si mangia spesso bollito senza alcuna aggiunta, ma può essere anche preparato come biryani, ossia cotto in una salsa di yogurt e carne speziata allo zafferano. A base di riso è anche il Kheer, una pappa semiliquida speziata con cardamomo, chiodi di garofano e cannella. Le carni sono consumato con salsa al curry o grigliate in un forno tandoor. Piatti a base di carne tipici dell’alimentazione quotidiana sono il kebab (spiedini di carne d’agnello), il tikka (bocconcini di carne grigliata, solitamente di pollo, molto piccanti), il korma (bocconcini di carne brasati al curry e conditi con un sugo ricco d’olio) e il pulao (riso cotto con carne). Gli spuntini piccanti più comuni sono le samosa, triangoli di pasta fritta ripieni di patate o di altre verdure, e le pakora, un composto di verdure, cipolla e prezzemolo spolverato con farina di ceci e fritto in olio di semi. L’ampio uso di spezie si deve alla necessità da parte delle genti tribali delle campagne di dare maggior corpo a pietanze povere e di stimolare la sudorazione per meglio sopportare il clima caldo. Il cibo dev’esser halal, e naturalmente non si consumano né pietanze a base di carne di maiale, né alcolici. A fine pasto si consumano i barfi, dolcetti a base di latte essiccato, prodotti in un infinità di gusti. Dopo aver terminato il dolce è uso concludere masticando il paan, una mistura di pasta di tabacco, spezie, noci di areca e calce avvolta in una foglia di betel, il cui effetto eccitante si ritiene agevoli la digestione. Nel corso della giornata ci si rinfresca con il lassi, una deliziosa bevanda speziata a base di latte e yogurt, bevuta freddissima, oppure con succo di canna da zucchero o di vari frutti. Ma la bevanda di maggior consumo quotidiano è certamente il chai, il tè nero al latte speziato e zuccherato lascito della dominazione anglosassone. RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA NASCITA: il rito più importante per il neonato di sesso maschile è la circoncisione, che viene eseguita in osservanza al dettato coranico. Dopo sette giorni dalla nascita, la famiglia celebra una cerimonia chiamata aqeeqa, una festa familiare di benvenuto per il nascituro. Matrimonio: in Pakistan il matrimonio è considerato l’evento cardine della vita sociale degli individui, in particolar modo per le donne: “sistemare” adeguatamente le proprie figlie è il principale assillo dei padri pakistani e ne 165 condiziona significativamente le scelte anche in emigrazione. L’età media delle spose è di vent’anni. L’unione è generalmente combinata dalle famiglie, la tradizione prescrive infatti che siano i genitori o, in loro assenza, i legittimi tutori (wali) dei giovani a dirigere i negoziati e porre termini e condizioni per il matrimonio. La scelta del coniuge viene generalmente operata all’interno della cerchia patrilineare (baradari) o matrilineare, preferibilmente tra cugini di primo grado, poiché la parentela si ritiene possa cementare un legame che dovrà comunque evolversi gradatamente nel tempo, offrendo maggiori garanzia per la composizione di eventuali controversie o incompatibilità. Tra le famiglie più progressiste, si ritiene comunque importante ottenere il consenso dei diretti interessati, ma le unioni basate su di un’autentica libera scelta del partner sono rarissime. Non sono ammessi contatti tra gli sposi prima del matrimonio, se non in situazioni condizionate dalla stretta vigilanza della famiglia. La ricerca fuori dal gruppo familiare è più complessa e si avvale in genere di intermediari, i cosiddetti bhuria (“sensali”), che faciliteranno l’incontro tra le famiglie. La nuova coppia suggella con la propria firma il neekah, o “contratto di matrimonio”, amministrato dal quazi, l’autorità religiosa preposta a tal compito. Il primo giorno di festa è chiamato mehndi e sancisce l’addio al celibato con danze e canti. Il termine mehndi è usato anche per indicare le decorazionni tracciate con l’henné sulle mani e i piedi delle spose, considerate di buon auspicio. La cerimonia principale è detta barat (“notte”) e segna il momento in cui lo sposo con la sua famiglia, i parenti e gli amici si reca nella casa della sposa e unisce i propri invitati a quelli della ragazza, per un numero minimo di seicento persone. I partecipanti alle nozze sono ospitati in apposite tende (dette shamiana) adibite per ospitarli (uomini e donne in tende separate), nelle quali verrà offerto loro un magnifico banchetto. Nel frattempo la sposa attende separatemente, lontana dai festeggiamenti, il momento del ravanghi (la partenza), che rappresenta il momento culminante della cerimonia nuziale: lo sposo entra nella casa della sposa, che indossa ricche vesti di colore rosso. Sotto gli occhi di centinaia di persone, testimoni del matrimonio, gli sposi diventano così ufficialmente marito e moglie. I parenti dello sposo li scorteranno quindi in una stanza appositamente addobbata (sag) in cui passeranno la loro prima notte di nozze (basarti). Il giorno successivo (valima) i festeggiamenti riprendono a casa dello sposo. Funerali: si praticano i riti funebri comuni ai popoli di fede islamica: la salma viene lavata secondo i precetti coranici, recitando le preghiere prescritte, e viene poi calato nella nuda terra avvolto in un sudario, senza bara, orientato con il capo verso la Mecca, e la sua dipartita viene pianta con alti lamenti sia da parte degli uomini che, soprattutto, delle donne. Il lutto può durare fino a quaranta giorni, ma solo in casi eccezionali. 166 SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI Il sistema socio-sanitario pakistano è condizionato dalla scarsità dei finanziamenti, anche se significativi progressi sono stati raggiunti nelle campagne immunitarie e nell’accesso all’acqua potabile nelle città. Nei centri urbani si sono anche potute implementare con un certo successo campagne di controllo delle nascite, ma ciò non vale assolutamente per le campagne. In tutto il paese le cure mediche per le puerpere e i neonati sono tuttora di basso livello, tanto che nei primi anni Novanta solo il 70% aveva potuto godere di cure prenatali ed essere assistita da personale medico durante il parto. La morte per parto è ancora un fattore di rischio rilevante per le donne di età compresa tra i quindici e i quarantacinque anni. L’inadeguatezza dei servizi sanitari e l’incidenza della malnutrizione si riflette nelle statistiche relative alla salute della popolazione e in particolare delle donne e dei bambini. Tali dati mostrano un netto miglioramento rispetto ai primi anni Novanta, quando solo il 36% della popolazione aveva accesso ai servizi sanitari e l’83% a fonti d’acqua potabile, mentre tali valori nel 2000 erano pari rispettivamente al 62% e al 90%. Tuttavia, ancora nel periodo 1995-2000 i bambini d’età inferiore ai 5 anni sotto peso erano ben il 38% del totale, nel 1999-2001 la percentuale di popolazione in condizioni di malnutrizione era del 19% e nel 2000 le donne morte di parto erano 500 su 100.000. Occorre considerare che il servizio sanitario nazionale è un’innovazione recente: in epoca coloniale il Raj britannico forniva assistenza sanitaria soltanto ai propri impiegati, ma non alla popolazione complessiva, mentre cliniche, ospedali e scuole di medicina erano rare. La gestione dei servizi sanitari è rimasta di competenza delle autorità locali provinciali fino al 1970. Il Pakistan adotta una pianificazione socio-economica per piani quinquennali, retaggio delle tendenze socialiste dei suoi primi governi dopo l’indipendenza e a lungo una delle caratteristiche prevalenti del programma sociale pakistano è stato il tentativo di migliorare le condizioni sociali e sanitarie prevalenti nelle aree rurali e depresse del paese, ma tali sforzi continuano a essere frustrati da problemi amministrativi, clientelismo e instabilità politica, tanto che in campo sanitario la scarsità di personale qualificato si è fatta cronica. Comunque, fin dai primi anni Settanta si è organizzato un sistema decentrato in grado di offrire un’agenzia sanitaria di base (spesso poco più di un dispensario) ogni 10.000 persone, e di mettere tali strutture in rete con cliniche e ospedali di dimensioni via via crescenti. Tuttavia, negli anni Novanta lo sviluppo del settore sanitario ha favorito soprattutto le élite, in virtù dell’ampio proliferare di ambulatori e cliniche gestite da privati, parallelamente all’aggravarsi del degrado della sanità pubblica. Le facoltà di medicina si sono attirate l’ira dei gruppi di pressione femminili, che hanno denunciato al loro interno pesanti discriminazioni nei confronti delle donne, e il problema sussiste tuttora malgrado la cruciale necessità di disporre di medici donna cui venga permesso di curare altre donne (il fatto che un medico uomo possa visitare una donna non è ammesso socialmente nella maggior parte del paese). Attualmente gli sforzi di risanamento del settore socio-sanitario e del 167 potenziamento del personale medico di sesso femminile vengono implementati con l’aiuto della Banca Mondiale. FIABE TRADIZIONALI Oltre ad attingere al patrimonio fiabesco tipico della cultura islamica (Le storie tratte da Le mille e una notte, le avventure di Nasruddin Hoja, ecc.), il Pakistan può contare su una ricca messe di leggende e fiabe locali, tra cui sono celebri soprattutto le storie punjabi di amori difficili e i drammi familiari, che ruotano attorno alle tragiche vicende di principesse e principi: Mirza Sahiban, Saiful Maluk, Yousuf Zulaikhan, Heer Ranjha, Sohni Mahinwal, Dulla Bhatti, Poran Bhughat, e Sassi Punnu sono tutte fiabe di questo tipo. Riportiamo qui proprio quest’ultima, che intreccia temi comuni a fiabe di molte parti del mondo, ma senza il classico lieto fine: Sassi e Punnu Sassi era la figlia del re Adamkhan di Bhambour. Alla sua nascita gli astrologi predissero che la bambina sarebbe stata una maledizione per il prestigio della famiglia reale. Perciò, il re ordinò che la bimba fosse posta in un baule di legno con un amuleto al collo e gettata nel fiume Chenab. Ma Atta, un lavandaio del villaggio di Bamboon, vide passare il baule e lo recuperò. Quando vide che conteneva una bimba, fu commosso dalla gioia: per lui, che non aveva figli, quella neonata era una vera benedizione. Passarono molti anni e il re non ebbe altri figli, così pensò di sposarsi nuovamente. Quando udì che la figlia di Atta, il lavandaio, era bella come un angelo, il re ordinò che gli venisse portata a palazzo. Sassi comparve davanti al re portando al collo l’amuleto che egli stesso e la regina madre le avevano donato, e il re, sconvolto e travolto dalla pena che per tanti anni aveva represso dentro di sé, la riconobbe come sua figlia. Il re e la regina allora vollero subito che Sassi tornasse a vivere con loro e a illuminare le loro grige vite a palazzo, ma Sassi non voleva abbandonare l’uomo che l’aveva adottata e rifiutò, preferendo continuare a vivere nella casa dov’era cresciuta. Allora il re decise di donare a Sassi ricchezze, terre e giardini in cui lei potesse crescere e fiorire come il più splendido dei fiori. Ma Sassi, quando si rese conto di poter avere ogni genere di cose rare, scelse tra tutte la conoscenza e chiese al re di inviarle i più savi maestri e gli studiosi più eccellenti. Si dedicò intensamente agli studi e alle arti, facendo rapidi progressi. Un giorno venne a sapere che un ricco mercante di Gazhni possedeva un meraviglioso giardino nei cui padiglioni conservava magnifiche miniature e 168 straordinari dipinti. Sassi volle visitare questa ricca collezione e portò al mercante doni e tributi per ottenerne il permesso. Fu allora, passeggiando per i padiglioni, che scorse un dipinto che le parve un vero capolavoro: era il ritratto del principe Punnu, figlio del re Ali Hoot, signore di Kicham. Sassi se ne innamorò perdutamente e volle assolutamente incontrarlo di persona. Ordinò pertanto che qualunque mercante proveniente da Kicham le fosse presentato. La novità si sparse tra i mercanti come fuoco in un campo di sterpi, e Punnu stesse venne a sapere dell’amore che Sassi nutriva per lui. Allora decise di indossare le vesti di un mercante di profumi e andò ad incontrare Sassi. Ma quando gli comparve davanti Sassi lo riconobbe subito, esclamando: “Allah sia lodato”! Le nozze vennero decise subito, attirando a Sassi la gelosia dei fratelli baluchi di Punnu. Quando i festeggiamenti erano in pieno svolgimento, essi fecero bere Punnu fino alla completa ubriachezza, poi lo misero in groppa a un cammello e lo riportarono a Kicham. Quando Sassi si accorse della scomparsa improvvisa del suo promesso sposo fu presa dalla disperazione e corse a piedi nudi verso la città di Kicham, percorrendo miglia e miglia di deserto aspro e pieno di insedie. Corse e corse, cantando il suo amore per Punnu finché la passione non la consumò come succede all’uccello Kaknoos, le cui piume si dice che prendano fuoco quando canta. Così l’amato nome di Punnu fu il lamento funebre per Sassi, che morì arsa dall’amore nelle desolate lande del Baluchistan. RICETTE La cucina pakistana è ricca di varianti regionali e distingue nettamente l’alta cucina da quella più popolare, offerta ampiamente nelle molte bancarelle e trattorie presenti nei bazar e lungo le principali vie delle città e dei villaggi. Il piatto dominante nelle abitudini alimentari quotidiane della gente comune è il seguente: Chapati e lenticchie (Chapati chana dal) Ingredienti: 200 g di farina integrale, 200 g di lenticchie rosse, 1 cucchiaino di peperoncino rosso in polvere, 1 grossa cipolla bionda, sale, olio di semi, 2-3 limoni, semi di cumino, un paio di peperoncini verdi piccanti, un mazzetto di coriandolo fresco, un mazzetto di foglie di menta. Preparazione: Lavare e ammorbidire le lenticchie lasciandole in acqua abbondante per due o tre ore. Sminuzzare la cipolla, porla in una pentola larga o in un’ampia padella dai bordi alti e soffriggerla nell’olio fino a farla indorare, poi aggiungere il cumino e soffriggere il tutto per un minuto. Aggiungere le lenticchie, sale a piacere, la polvere di peperoncino e mescolare bene. 169 Aggiungere acqua fino a ricoprire il tutto di circa due centimetri. Coprire la pentola e cuocere prima a fuoco medio, poi a fuoco lento fino a completa evaporazione dell’acqua. Mentre si ultima la cottura delle lenticchie preparare una pasta di acqua, sale e farina integrale, farne due o tre dischi piatti di spessore uniforme e cuocerli in una padella a fondo piatto con un filo d’olio per farne delle piadine (chapati). Quando la maggior parte dell’acqua aggiunta alle lenticchie è evaporata, aggiungere il succo di due limoni e poi servire su un piatto da portata guarnendo le lenticchie con un trito grossolano di peperoncini verdi, coriandolo, menta e qualche fettina del terzo limone avanzato. Consumare prendendo bocconi delle lenticchie con i chapati. POESIA La poesia in lingua urdu è la forma di espressione artistica più amata in Pakistan, e vi vanta una ricca tradizione e di un vastissimo seguito, anche tra la gente comune, che conosce e recita a memoria molti famosi componimenti anche quando è analfabeta. I primi poeti ad usare l’urdu erano in realtà persiani, cortigiani a palazzo dei sultani, ma nel XVI secolo, sotto l’egida dell’illuminato sovrano di Golconda, Mohammad Quli Qutb Shah (1581-1611), raggiunge il suo apogeo per grazia e potenza lirica. La forma poetica più celebre è il ghazal, una breve lirica di contenuto amoroso di origine persiana, caratterizzata dal fatto che ogni verso racchiude un’idea completa e indipendente dal verso successivo. Il nazm è invece una forma di componimento meno soggettivo e personale, che si utilizza per narrare e descrive, con finalità didattiche o satiriche. Tra i nazm vi sono forme di poesia classica note con termini specifici, come i masnavi (lunghi poemi narrativi in rima, il cui tema può spaziare dall’amore alla religione), i marsia (o elegie, spesso in commemorazione di martiri come l’Imam Hussain morto a Karbala) e i qasida (panegirici in lode di re e gentiluomini) La poesia in lingua urdu conosce un importante sviluppo nel corso del XVII-XVIII secolo “periodo dei poeti del Deccan”, con opere dedicate al tema dell’amore tra principi e principesse e i cui principali autori furono Mulla Vajhi, Ghavvasi e Mulla Nusrati. Nei secoli XVIII-XIX Delhi e Lucknow assurgono a nuovi centri di produzione poetica e l’influsso persiano si fa predominante. Mohammed Vali, Mirza Sauda, Mir Dard e Mir Taqi Mir sono i poeti principali di questo periodo. La scuola di Lucknow e la nuova scuola di Delhi si rafforzano sotto il Raj britannico e portano alla fioritura del ghazal amoroso, soprattutto ad opera di Momin Khan Momin. Nei primi decenni del novecento si apre l’epoca della poesia contemporanea, che vede il suo protagonista assoluto nel poeta nazionale pakistano Mohammed Iqbal: si abbandonano il linguaggio ricercato e i temi stucchevoli per privilegiare una singolare forma di poesia filosofica ricca di venature politiche, incentrata sulla liberazione dell’individuo e sullo spirito indipendentista musulmano che avrebbe reso possibile la nascita del Pakistan come stato-nazione religioso. 170 LETTERATURA La letteratura in lingua urdu è pochissimo tradotta in italiano ed è di fatto pressoché sconosciuta in Italia. Si tratta invece di una tradizione letteraria molto ricca. L’urdu è una variante dialettale occidentale dell’hindi parlato nell’area di Delhi e Meerut, strettamente legata all’antico pracrito. L’influenza persiana, portato della dominazione Moghul, è molto forte, ma la lingua in sé è di matrice prettamente indiana. Se l’hindi si è evoluto traendo linfa vitale soprattutto dalla letteratura sanscrita, il riferimento colto principale nelle aree a maggioranza musulmano comprese all’interno dell’antico sultanato di Delhi era rappresentato da opere in persiano, arabo e turco. L’apogeo della letteratura in lingua urdu risale alla fioritura delle corti musulmane di Bijapur e di Golconda nel XVI e XVII secolo. Nel corso del XVIII e XIX secolo l’urdu si raffinò ulteriormente come lingua letteraria, adottando l’intricata costruzione sintattica persiana e acquistando maggiore originalità. Al centro della produzione letteraria vi è sempre stata la poesia, lasciando spazi di rilievo assai minori al romanzo, la novella e il teatro. La prosa urdu si sviluppa soprattutto a partire dal XIX secolo sotto l’influsso dei programmi di traduzione promossi sotto la dominazione britannica. L’importante scrittore indiano Munshi Premchand scrisse le sue opere sia in hindi che in urdu. La letteratura urdu moderna si divide in due grandi periodi: quello del movimento Aligarh, promosso da Sir Sayyed Ahmed Khan, e quello successivo influenzato dal poeta Sir Mohammad Iqbal. Movimenti importanti del novecento letterario pakistano furono il movimento progressista, modernista e postmodernista. Il racconto breve trovo un suo primo interprete in Munshi Premchand, mentre protagonisti del movimento progressista furono Sajjad Zaheer, Ahmed Ali, Mahmood-uz-Zafar e Rasheed Jahan. Il romanzo si sviluppò grazie alle opere di Nazir Ahmed nella seconda metà del XIX secolo, ma fu sempre Munshi Premchand a introdurre maggiori elementi di realismo e di approfondimento del profilo psicologico dei personaggi. Premchand fu uno scrittore assai prolifico, ma nessuna delle sue opere risulta tradotta in italiano. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Abbas T., The Education of British South Asians: ethnicity, capital and class structure, Palgrave-Macmillan, Basingstoke, 2004. Bausani A., Storia delle letterature del Pakistan. Urdu, Pangiâbî, Sindhi, Pasc’tô, Bengali Pakistana, Nuova Accademia, Milano, 1958. Bausani A., L’Islam, Garzanti, Milano, 1987. Cologna D., Asia a Milano, Abitare Segesta, Milano, 2003. Contarini G, Aspetti del Pakistan, ISIAO, Roma, 1957. 171 Ejaz A., Pakistan, Edizioni Pendragon, Bologna, 1998. Husain F., O’Brien M. (a cura di), “The Muslim Family in Europe”, numero monografico della rivista, Current Sociology, 2000, vol. 48, n. 4. Lapidus I.M., Storia delle società islamiche (voll. 3), Einaudi, Torino, 1995. Salierno V., Antologia della poesia Urdu, Ceschina, Milano, 1963. Tognetti Bordogna M., Legami familiari in immigrazione: i matrimoni misti, L’Harmattan Italia, Torino, 2001. Tognetti Bordogna M., Ricongiungere la famiglia altrove. Strategie, modelli, forme dei ricongiungimenti familiari in Italia, FrancoAngeli, Milano, 2004. Torri M., Storia dell’India, Laterza, Bari, 2000. Wolpert S., Storia dell’India, Bompiani, Milano, 1998. SITOGRAFIA www.chowk.com: sito di attualità che offre la possibilità di accedere a forum di discussione degli articoli pubblicati da giornalisti e opinionisti pakistani in patria e all’estero. www.pak.org: portale ufficiale della Repubblica federale islamica del Pakistan. www.pak.gov.pk: sito ufficiale del governo pakistano, ricco di informazioni sulla storia, la cultura e la politica nazionale. www.urdupoetry.com: ricchissimo archivio di poesia ghazal e nazm. www.pakistanlink.com: aggiornatissimo sito di attualità pakistana. www.pakistanvision.com: portale del cinema e della musica pakistani (che è anche possibile scaricare dal sito). www.pakwatan.com: altro grande portale nazionale pakistano, ricchissimo di informazioni sul paese, la società e la cultura locale. DANZE Uno dei generi di danza più spettacolari è il Bhangra. Ha avuto origine nella regione del Punjab che si estende nella parte settentrionale dell’India e Nord orientale del Pakistan. Nel 1947, quando l’India ottenne l’indipendenza dal Regno Unito, il Punjab fu diviso in Provincia indiana e Provincia pakistana e molti dei suoi abitanti emigrarono verso la Gran Bretagna favorendo, in tal modo, la diffusione delle danze e delle musiche Bhangra in Europa. Si pensa che il genere Bhangra sia nato fta il quattordicesimo e il quindicesimo secolo quando i contadini del Punjab cantavano canti sulla vita del villaggio e danzavano per affiontare con maggiore forza le fatiche del duro e lungo lavoro nei campi. Il termine sembra avere origine dalla parola “Bang”: una varietà liquida di hashish consumata dai danza tori per essere in grado di danzare con energia e per vivere un’esperienza mistica. Nonostante queste danze traggano 172 origine dall’improvvisazione maschile, oggi vengono eseguite anche dalle donne (danze Giddha) soprattutto durante i matrimoni. 173 174 Romania di Pietro Cingolati DATI GENERALI La Romania si trova nell’Europa orientale e confina a Nord con l’Ucraina, ad Est con la Moldavia, a Sud-Est con il Mar Nero, a Sud con la Bulgaria, a SudOvest con la Repubblica federale di Yugoslavia e ad Ovest con l’Ungheria. Il paesaggio è vario: il bacino transilvano è un altopiano che occupa la regione centrale della Romania, è collinoso con ampie valli e vaste pendici coltivabili; è circondato a Nord e a Est dai Carpazi e a Sud dalle Alpi Transilvaniche. Queste proseguono a Sud verso la gola del Danubio come i Monti Banat dove si trova il Moldoveanu (2543 m), la cima più alta del Paese. Ad Ovest del bacino si eleva un gruppo minore, i monti Bihor. Il resto del territorio della Romania è costituito prevalentemente da bassipiani. Il fiume più importante della Romania è il Danubio che delimita il confine occidentale con la Serbia e gran parte del confine con la Bulgaria. Abitanti: 21.698.181 (al luglio 2002). Estensione geografica: 238.391 kmq. Continente: Europa. Densità di popolazione: 96 ab./kmq. Incremento demografico: – 0,21%. PIL: 995.716,3 miliardi Rol (2002). Vita media: 70,39 anni. Alfabetizzazione: 97%. Mortalità infantile: 18,88 mortalità/1000 nascite. 175 Lingua ufficiale: romeno 91%. Altre lingue: ungherese 6,7%; romanes (zingaro) 1,1%; tedesco 0,2%; ucraino 0,3%; turco 0,1%; russo 0,1%; armeno 0,1%; serbo 0,1%; slovacco 0,1%. Religione/i: ortodossi 86,7%; cattolici 4,7%; protestanti 3,2%; pentecostali 1,5%. Gruppi etnici: romeni 89,5%; ungheresi 6,6%; rom 2,5%; tedeschi 0,3%; ucraini 0,3%; russi 0,2%; turchi 0,2%; serbi 0,1%; tatari 0,1%; slovacchi 0,1% (censimento 2002). Regime politico: Repubblica semi-presidenziale con struttura del parlamento bicamerale composta da Camera (346 seggi) e Senato (143 seggi). LE FESTE PRINCIPALI Le feste della cultura tradizionale rumena sono molto ricche e si dividono in feste legate alle fasi del ciclo vitale, feste basate sul calendario agricolo e feste religiose (molte delle quali comuni alla fede ortodossa e a quella cattolica). NATALE: Natale in rumeno si dice Craˇciun, nella tradizione pagana indicava una divinità solare che sostituisce con la festa della luce lo spirito della vecchiaia e degli antenati (Mos). La festa è preceduta da un digiuno di sei settimane. Il digiuno ortodosso esclude dalla dieta ogni prodotto di origine animale. La celebrazione del Battesimo di Cristo avviene il 6 gennaio. Il 6 dicembre San Nicola porta piccoli regali ai bambini, lasciandoli in scarpe pulite messe sul davanzale della finestra. I bambini dal 6 dicembre fino alla vigilia girano per le case cantando filastrocche (colinta) e vengono ricompensati con biscotti, noci e vino dolce. Cibi speciali e alberi decorati fanno parte di una ricca tradizione tuttora viva. PLUGUSORUL: nei giorni tra Natale e Capodanno alcune figure mascherate accompagnate dal canto di litanie e dalla percussione di strumenti tradizionali passano nei giardini e per le strade con lo scopo di fare molto rumore e spaventare gli spiriti malvagi del vecchio anno. FESTA DEL NUOVO ANNO: è festeggiata per tutto il Paese con balli che durano l’intera notte e con la cena tradizionale con il tacchino. L’inizio del nuovo anno si celebra con danze e canzoni e i bambini portano nelle case una corona coperta di fiori di carta colorata (sorcova) accompagnandola con auguri di prosperità e canzoni. La più nota racconta che nella notte, per un istante il cielo si apre e Dio e il paradiso sono visibili in Terra. PASQUA: è la seconda festa per importanza dopo il Natale. Un digiuno di sei settimane precede la domenica e la cena prevede cibi particolari: agnello, torta di formaggio, feta e uova colorate. Le uova rappresentano il miracolo della creazione. Il primo uovo colorato deve essere rosso e deve essere donato a un bambino; il secondo è blu e rappresenta l’amore di coppia. Durante la notte una processione illuminata da candele attraversa tutti i centri abitati. Il giorno di Pasqua un uovo viene posto in una brocca 176 d’acqua insieme ad una moneta d’argento e a basilico fresco. Tutti i membri della casa si lavano la faccia in quest’acqua. MARTISOR (1 MARZO): festa per la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. Si fanno alle ragazze piccoli regali (conchiglie, fiori, cuccioli di animali) e in particolare il nastro rosso e bianco simbolo di vita e purezza. DRAGAICA (23 GIUGNO): festa del raccolto. In questa occasione la ragazza più bella viene decorata con frutti della terra e cammina per le strade del paese, seguita da altre ragazze che augurano fertilità e buona fortuna. SÎNZIENE (24 GIUGNO): festa per l’inizio dell’estate. I ragazzi passano la mattina raccogliendo la pianta medicinale dalla quale la festa prende nome mentre le ragazze invocano gli spiriti del grano e della ricchezza e raccolgono l’iperico. IL SALUTO: Salut. CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE Quando si entra in una casa rumena, specialmente nelle zone di campagna, per prima cosa l’ospite riceve un bicchiere di tuica, l’acquavite di prugne. Poi, se l’occasione è particolare, può essere servito un dolce. I più famosi sono: placinte cu brinza, carne sau nuci, focacce con ripieno di formaggio, carne e noci; placinte poale-n briu (tipico in Moldavia), pasta frolla con ripieno di vario genere, ma soprattutto a base di formaggio, burro, uova e uvetta; papanasi (in provincia di Brasov), specie di gnocchi, gustosissimi, a base di pasta frolla, burro, latte e uova; strudel (in Transilvania), pasta arrotolata e farcita con formaggio, mele grattuggiate, noci e ciliege, oppure ripiena di carne; scovergi (nella regione Oltenia), a base di pasta simile a quella del panettone, cotta nel grasso; e infine clatite (in Valacchia), frittelle ripiene di confettura di visciole, di fragole, di amarene oppure di formaggio. IMMIGRAZIONE IN ITALIA Con il crollo dei regimi comunisti e la fine dell’isolamento del governo Ceausescu, molti cittadini romeni hanno cominciato ad abbandonare il loro Paese, scegliendo come mete di destinazione diversi Paesi dell’Unione Europea, incoraggiati dalle facilitazioni alla circolazione per i cittadini dei Paesi candidati all’ingresso (il 2007 per la Romania). Per quanto riguarda l’Italia si è assistito ad un costante aumento della presenza rumena a partire dal 1995. Alla fine del 2002, il numero dei cittadini residenti era di 130.000 persone. L’anno scorso, con l’ultima sanatoria, hanno presentato istanza di regolarizzazione e di rinnovo dei permessi di soggiorno 177 141.674 persone e sono stati rilasciati 133.607 permessi. Attualmente i romeni rappresentano il primo gruppo straniero in Italia per numero di presenze, 239.000 nel 2003. (Fonte: Ministero dell’Interno italiano). Siamo di fronte ad una popolazione giovane (con un’età media di 28,5 anni), distribuita in maniera equilibrata tra uomini e donne, con un vivace dinamismo matrimoniale e riproduttivo che lascia intravedere forme di stanziamento di lunga durata. Questo gruppo è contraddistinto da un’elevata mobilità: grazie alla relativa vicinanza della terra d’origine e ad un controllo morbido dei flussi (dal gennaio del 2002 è stato rimosso il sistema dei visti), molti scelgono la migrazione stagionale grazie a permessi di soggiorno turistici della durata di tre mesi. Quando si riesce ad ottenere la regolarizzazione e il permesso di soggiorno, questa mobilità si riduce solo più ai periodi delle vacanze. Una delle caratteristiche fondamentali della migrazione romena in Italia è l’alta presenza di donne arrivate non solo con il ricongiungimento familiare ma come prime emigrate, alle quali poi si uniscono in una fase successiva i figli e i mariti. Il mercato informale dell’impiego domestico è il settore che più ha assorbito questa presenza femminile. L’attività svolta all’interno delle famiglie italiane come colf o assistenti degli anziani ha permesso a queste donne di imparare molto in fretta i modelli culturali italiani e consolidare rapporti di fiducia fondamentali nell’organizzazione della migrazione. Le regioni di maggior provenienza sono quelle della Romania orientale (in particolare la Moldavia e il Maramures orientale), la zona del Delta, la Valacchia occidentale, alcune località della Transilvania. La maggior parte sono zone poco sviluppate e prevalentemente agricole, mentre gli immigrarti provenienti da zone urbane (Bucarest e Sibiu le più rappresentate) sono relativamente pochi. MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI Nelle zone rurali il neonato romeno si avvolge stretto con un panno e viene liberato dalle fasce solo al momento del bagno. Anche le mani e i piedi vengono fasciati e, dal punto di vista simbolico, questo serviva a proteggere il neonato dall’influenza negativa degli spiriti. Il ciuccio viene dato solo fino ad un anno, nelle zone di campagna veniva utilizzato un sacchetto pieno di polenta e zucchero da succhiare. I bambini, soprattutto nelle famiglie rurali numerose, dormivano e dormono ancora nella stessa stanza dei genitori fino a cinque o sei anni. La vicinanza dell’adulto durante la notte si ritiene protegga e fortifichi i figli. La tradizione popolare prevede l’utilizzo di protezioni spirituali o di amuleti: un nastro rosso intorno al polso, nella culla o nel passeggino o una ciocca di saggina sotto il cuscino servono ad allontanare le influenze negative. Nelle famiglie numerose le bambine più grandi sono incaricate di seguire i fratellini e le sorelline piccole, sostituendo la madre in molte responsabilità. L’allattamento nelle zone rurali si protrae fino ad un anno e mezzo (fra gli zingari si arriva anche a tre anni). Nelle città, dove i ritmi di vita rendono tali pratiche poco sostenibili, si allatta fino a tre, quattro mesi: ultimamente il 178 Ministero della Sanità ha lanciato un programma l’allattamento al seno fino a sei mesi, ma con scarsi risultati. per promuovere La crescita dei figli è improntata alla promozione di una certa autonomia fin dai primi anni di vita: sebbene vi sia sempre un notevole affetto, la relazione fisica madre-figlio, a dire di molte immigrate, non è stretta come in Italia. I bambini nei paesi piccoli vengono affidati ai nonni. Nelle città medie e grandi vi è un sistema organizzato di asili. In queste strutture i bambini possono rimanere fino a mezzogiorno, poi vengono seguiti nel pomeriggio dai parenti. Il modello prevalente prevede che il figlio o la figlia rimanga a casa anche durante gli studi universitari, fino a quando si sposa. Mentre nel passato il modello era patrilocale (gli sposi andavano a vivere presso la famiglia del marito) ora si è passati alla neolocalità (una nuova casa per il nuovo nucleo famigliare). La difficile situazione economica attuale spinge però molte coppie giovani a scegliere soluzioni di convivenza presso le famiglie di origine. L’educazione dei figli è stata sempre improntata ad una certa eguaglianza fra i generi. MODELLI DI CURA Nella cultura tradizionale romena è presente un concetto di salute integrale nel quale l’aspetto spirituale di comunione con la natura e l’uso delle piante medicinali sono centrali. Si ritiene che l’acqua abbia gli stessi poteri benefici dell’alba, della luna e dell’oro. Per esempio si ritiene che un anello d’oro, acqua di montagna e radice di carota aiutino a combattere le malattie di fegato. La danza Caˇlus¸ului è un cerimoniale magico curativo praticato ancora oggi in alcune parti della Moldova e della Bucovina: un gruppo esclusivamente maschile di iniziati balla per tre volte in tre giorni intorno al malato toccandolo con piante curative, sotto la guida di un anziano, il vaˇtaf. Elemento centrale di questo rito, che si svolge solo nei dieci giorni tra Ascensione e Pentecoste (ottava domenica dopo Pasqua), è il ramo di nocciolo, steagul, sul quale i partecipanti prestano giuramento: i fiori di nocciolo hanno infatti poteri curativi e un valore altamente simbolico. Un’altra pianta di grande uso e diffusione è la belladonna (maˇtraˇguna) che la tradizione vuole sia raccolta secondo un complesso cerimoniale solo da donne, nel periodo tra la Pasqua e l’Ascensione: durante la raccolta si recitano formule rituali e si offrono alla pianta pane, sale e una moneta. Le foglie e le radici seccate e sminuzzate, sebbene potenzialmente tossiche, venivano utilizzate per la cura delle malattie alle articolazioni, ai reni o per la malaria (friguri). Il vischio (vîscul) si ritiene che porti salute, benessere e stabilità nei matrimoni: viene agganciato ad una lampada o alla porta nella notte di Capodanno poiché è un simbolo di vittoria. È utilizzato per curare la pressione alta, l’asma e l’epilessia. Queste modalità di cura tradizionale, conservate in montagna e negli ambienti rurali dagli anziani, non sono considerate esclusive, ma spesso convivono con le forme della medicina moderna, così come spesso si ricorre contemporaneamente alle ricette dei medici di base e all’assistenza spirituale dei preti o dei monaci ortodossi ai 179 quali si chiedono preghiere e benedizioni. Le donne immigrate riescono a conservare alcune di queste tradizioni, grazie alla facile reperibilità delle piante sia sul territorio italiano che nel commercio specializzato. Alcune malattie dei bambini vengono ancora curate secondo i metodi tradizionali: per esempio per abbassare la febbre alta si utilizza un impacco di patate, aceto, acqua e cavolo schiacciato o per decongestionare la gola infiammata si usa uno straccio imbevuto con l’urina del bambino. Per la protezione dalle malattie più gravi, i bambini vengono vaccinati nel primo anno di vita. I dati che seguono riguardano le vaccinazioni obbligatorie e il numero di minori che vi sono stati sottoposti: difterite (98%); tetano (98%); pertosse (98%); tubercolosi (100%); poliomielite (94%); morbillo (93%). MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE Fino a dodici anni sono previsti corsi di doposcuola in cui i bambini vengono seguiti in attività artistiche, teatrali, musicali. Lo sport è particolarmente promosso e sostenuto: il nuoto e la ginnastica sono le attività più diffuse. Queste attività sono gratuite e garantite a tutti. Mentre gli ortodossi non organizzano particolari attività aggregative per i bambini, i cattolici e i protestanti prevedono il catechismo e altre attività settimanali rivolte alla socializzazione e all’educazione dei minori. MODELLI E STILI FAMILIARI RUOLI DEI GENITORI: uomini e donne continuano a svolgere ruoli differenti all’interno del gruppo famigliare. La donna è considerata la prima responsabile per la conduzione della casa, la cura della famiglia e per la gestione del budget interno. Le donne provvedono all’educazione e alla crescita dei figli e si prendono cura dei parenti anziani o malati. Queste responsabilità vengono raramente condivise con gli uomini, anche quando la donna è attiva fuori casa. L’uomo continua ad essere visto come il capofamiglia anche se recentemente sta acquisendo maggiori responsabilità nei compiti familiari. La tendenza generale degli ultimi anni è quella di postporre il matrimonio e di ridurre il numero di figli. L’età media del matrimonio è aumentata in media di 1,4 anni per gli uomini (26,4) e di 1,2 anni per le donne (23,2), anche se nelle zone rurali il matrimonio continua ad avvenire prima rispetto alle zone urbane. Molti uomini oggi si sposano anche dopo i 30 anni. Negli ultimi anni si è registrato il più basso tasso di nascite nella storia della Romania (solo per fare un esempio nel 1998 si è registrato un quarto in meno delle nascite rispetto al 1990). Tra i fattori determinanti il calo della natalità si individuano la possibilità di pianificare le nascite dei figli, gli alti costi sociali ed 180 economici della transizione, la difficoltà nel reperire alloggi e la disoccupazione dilagante. VITA SOCIALE DELLE FAMIGLIE: uno dei fenomeni più rilevanti oggi è quello delle famiglie divise. Molte madri emigrano e lasciano i figli al padre o ai nonni materni. Questo distacco in alcuni casi può portare al divorzio, in altri, la maggioranza, al ricongiungimento del marito e del figlio. Gli unici momenti di condivisione sono le vacanze estive, che durano in media tre settimane. Il fenomeno più diffuso è quello delle donne che si risposano all’estero, dopo aver richiesto il divorzio in Romania, mentre tra gli uomini questa scelta si verifica meno. ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: il cognome attribuito è quello del padre. Il padrino e la madrina di battesimo spesso danno il nome al bambino. Questo avviene sei settimane dopo la nascita, durante il battesimo, anche se la registrazione ufficiale del nome avviene all’atto della nascita. Talvolta si dà al bambino il nome di un santo che viene festeggiato nel periodo in cui nasce. Nella tradizione popolare romena quando il bambino è gravemente malato o quando soffre di piccoli disturbi (ad esempio l’incontinenza delle urine dopo i due anni) si può cambiare il nome, per scacciare l’influenza del diavolo che così non riuscirà più a ritrovare la sua vittima. In questa cerimonia la madre cede simbolicamente il figlio ad un’altra donna passandoglielo attraverso la finestra, in cambio di una piccola somma. La donna attribuisce il nuovo nome e quindi restituisce il bambino alla madre. Alcune madri immigrate cambiano il nome dei figli con un nome italiano nella convinzione che questo ne faciliti l’integrazione. La donna quando si sposa nel 90% dei casi prende il cognome del marito, ma può anche scegliere di mantenere solo il cognome da ragazza. ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: alla nascita si ottiene la cittadinanza dei genitori. Si può ottenere la doppia cittadinanza senza dover rinunciare alla cittadinanza romena. FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: al fine della registrazione in comune, il padre deve riconoscere il figlio. In Romania il fenomeno dei figli non riconosciuti è stato molto diffuso, a causa soprattutto delle politiche demografiche del regime comunista. REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: la registrazione avviene all’ufficio dello Stato Civile il giorno stesso della nascita. CONTRATTO DI MATRIMONIO: il certificato di matrimonio viene rilasciato in Comune: alla presenza di due testimoni e di un funzionario, dopo le formule di rito, si firma il contratto. Solo in seguito si può celebrare il matrimonio religioso in chiesa e questo può avvenire anche dopo parecchi mesi. DIRITTI DEI MINORI: nel campo dei diritti dei minori la Romania, oltre ad aver ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’Infanzia, ha adottato particolari provvedimenti, tra i quali fondare un’Agenzia Nazionale 181 per la Protezione dei Bambini per la riforma del sistema di welfare dei minori e sottoscrivere il protocollo sulla tutela dei bambini coinvolti in conflitti armati. DIRITTI DELLE DONNE: il Comitato per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) sottolinea come mentre la Romania ha fatto progressi nel proteggere e migliorare i diritti delle donne (con una legislazione attenta alle pari opportunità, alla violenza domestica e al traffico della prostituzione), poche detengono reali posizioni di leadership nei propri campi di competenza. Inoltre la corruzione diffusa fra gli organi di polizia rende molto rara la denuncia degli abusi e spesso garantisce l’impunità per i trafficanti. DIVORZIO, SEPARAZIONE: in tribunale uno dei partner porta la domanda di divorzio: dopo le dovute verifiche alla presenza degli avvocati, i beni vengono divisi in forma egualitaria. I minori di solito vengono affidati alla madre. In questi ultimi anni il divorzio è diventato molto più diffuso e veloce da ottenere: dai due anni iniziali si è passati ad appena tre mesi. SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI Per quanto le difficoltà economiche ne limitino – almeno per il momento – i risultati, il governo romeno ha individuato nell’educazione una priorità nazionale. Un passo decisivo, dopo i primi disordinati tentativi avviati all’inizio degli anni Novanta, viene fatto con la riforma iniziata dal ministro Andrei Marga nel 1998. La riforma punta alla sostituzione o all’ammodernamento dei vecchi libri di testo, all’introduzione nei curriculum di nuove materie e al rilancio dell’educazione nelle zone rurali. Un aspetto fondamentale è quello linguistico. Le lezioni vengono svolte in lingua romena, ma è garantito dalla legge del 1995 il diritto, alle persone appartenenti a minoranze nazionali, di studiare e di ricevere l’insegnamento nella loro madre lingua. Ad ogni livello esistono, quindi, scuole che sono organizzate da minoranze etniche (ungheresi, tedeschi, serbi, ucraini, ecc.) che utilizzano nella didattica la loro lingua madre, mantenendo comunque l’insegnamento del romeno; come pure esistono scuole bilingui che accanto alla lingua nazionale ne affiancano un’altra come l’inglese, il francese, il tedesco, lo spagnolo, l’italiano. La prima lingua straniera è facoltativa in prima classe elementare e diventa obbligatoria in terza, mentre lo studio della seconda lingua straniera è obbligatoria in quinta classe (la prima dell’insegnamento medio). A tutt’oggi, però, sono ancora in discussione alcuni articoli riguardanti i diritti delle minoranze, contestati dai rappresentanti dell’Unione democratica ungherese di Romania, i quali sostengono che la Legge ’95 rappresenti una sorta di “genocidio culturale”, poiché tutela solo in modo formale i diritti delle minoranze. LA SCUOLA PUBBLICA: l’educazione nella scuola pubblica è gratuita, in quanto per la maggior parte finanziata dal bilancio dello Stato. Non sono esclusi finanziamenti provenienti da agenti economici privati. Inoltre sono previste borse di studio erogate da privati o da altre fonti legali. Lo Stato fornisce il 182 materiale di supporto per le attività scolastiche, specialmente agli studenti con ottimi risultati. L’educazione privata, autonoma, esiste ai vari livelli; i programmi di studio sono simili a quelli dell’educazione pubblica e sono approvati dal Ministero dell’educazione. SCUOLA MATERNA: la scuola materna è rivolta a bambini dai 3 ai 6 anni ed è facoltativa, anche se l’anno precedente all’inserimento nelle elementari, detto anno preparatorio, è obbligatorio. Tale anno serve a facilitare l’inserimento nella scuola dell’obbligo. L’orario è di cinque ore la mattina, che possono essere estese fino ad un totale di otto ore, per cinque giorni a settimana. SCUOLA DELL’OBBLIGO: l’educazione obbligatoria si struttura in otto anni, così suddivisi: quattro anni di scuola elementare (classi I-IV) e quattro di scuola media (classi V-VIII). Il Ministero dell’educazione può approvare la formazione di classi per quei bambini che, per diversi motivi, non abbiano terminato i primi quattro anni di educazione obbligatoria all’età di 14 anni. L’obbligo è esteso fino al sedicesimo anno di età. In casi eccezionali, l’insegnamento può essere svolto di sera o a distanza. La scuola dell’obbligo è divisa in tre cicli: 1. Il ciclo delle acquisizioni fondamentali: copre il periodo che va dall’anno finale della scuola materna alle classi I-II, ha come scopo fondamentale un’iniziale alfabetizzazione e fornisce al bambino i primi requisiti utili. 2. Il ciclo dello sviluppo: comprende le classi III-IV e le prime due classi (VVI) della scuola media, sviluppa le abilità e le capacità necessarie per conseguire una preparazione più completa. 3. Il ciclo dell’osservazione e dell’orientamento (classe VII-VIII): ha come maggiore obiettivo quello di orientare i ragazzi per effettuare la migliore scelta per il successivo corso di studi e per la seguente carriera professionale. Età Classe Ciclo 6 Anno Prep. 7 8 9 10 11 12 13 14 I II III IV V VI VII VIII Acquisizioni di base Sviluppo Osservazione e orientamento Calendario e orari: l’anno scolastico consta di 180-185 giorni (attualmente in Europa consta di 185/6-190/5 giorni) ed è diviso in due semestri. Il primo semestre inizia il 14 settembre e termina il 22 gennaio, con due interruzioni dal 31 ottobre all’8 novembre e dal 19 dicembre al 3 gennaio (vacanze natalizie). Il secondo semestre inizia il 1 febbraio e finisce il 25 giugno, con due settimane per le vacanze di Pasqua e un altro periodo di vacanza che va dal 29 maggio al 6 giugno. In più tra i due semestri c’è una settimana d’interruzione delle lezioni 183 dal 23 gennaio al 31 gennaio. L’ultima settimana di ogni semestre è destinata alla revisione ed alla compilazione delle schede di valutazione. PROGRAMMI E ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA: i programmi scolastici sono stabiliti a livello centrale e prevedono un equilibrio fra le materie obbligatorie, opzionali e facoltative. Negli otto anni di scuola obbligatoria gli alunni studiano lingua e letteratura romene, matematica, storia romena, geografia romena, fisica, chimica, biologia, anatomia, disegno, educazione fisica, educazione musicale, latino, lingua straniera e informatica. È previsto un programma speciale nelle scuole in cui l’insegnamento avviene nella lingua delle minoranze nazionali, anche se lingua e letteratura romena è una materia presente in tutti i livelli, forme e tipi di scuola esistenti in Romania. Della prima lingua straniera sono programmate due lezioni alla settimana alle elementari, a partire dalla seconda. La religione è una materia obbligatoria per il ciclo elementare, mentre è facoltativa nella scuola media. VALUTAZIONE: all’inizio dell’anno scolastico 1998, il sistema di valutazione tradizionale (caratterizzato da una scala da 1 a 10) viene sostituito da giudizi descrittivi (eccellente, molto buono, buono, sufficiente e insufficiente). La decisione sulla promozione all’anno successivo è fatta da ogni insegnante considerando il livello di preparazione raggiunto dall’allievo. Non c’è un esame finale alla fine della scuola elementare. Al termine della scuola media gli studenti sono sottoposti a un esame in lingua e letteratura romena, matematica, storia e geografia romena. Gli studenti appartenenti a minoranze nazionali che hanno frequentato la scuola nella loro madre lingua devono sostenere anche un esame nella rispettiva lingua e letteratura. Se lo studente non supera l’esame, può ridarlo in un’altra sessione. Gli studenti che superano l’esame ricevono un certificato di “capacità”. DIVIETI ED OBBLIGHI: la scuola sotto il regime comunista era caratterizzata da un grande numero di obblighi ed interdizioni, alcuni dei quali sono rimasti validi, come ad esempio il divieto di fumare all’interno della scuola e di bere alcolici. L’uniforme non è piu obbligatoria anche se alcuni la rimpiangono perché adesso è più evidente la differenza sociale delle famiglie di provenienza. L’inno nazionale che si cantava prima dell’inizio delle lezioni e le effigi degli uomini politici sono state sostituite in molti casi dal Padre Nostro e dalle immagini religiose. Rimane una certa etichetta che regola il rapporto insegnante-ragazzo, a partire dall’utilizzo del Lei o dall’abitudine di alzarsi in piedi all’entrata. Gli insegnanti romeni continuano a considerare la disciplina e il rispetto delle regole un punto educativo molto importante. I bambini immigrati che sperimentano un rapporto più paritario nelle scuole italiane, talvolta traducono il cambiamento in un’eccessiva libertà che spaventa gli insegnanti. VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE Per capire l’attuale società romena dal punto di vista della vita comunitaria e delle relazioni di genere bisogna 184 considerare l’eredità lasciata dagli anni del regime comunista. Il principio guida nelle politiche sociali portate avanti in quel periodo risiedeva nell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte allo stato. Tutte le persone in grado di lavorare dovevano partecipare attivamente nel mercato del lavoro, indipendentemente dal genere. Pertanto immagini e scritti discriminanti furono censurati, uguali opportunità di educazione furono garantite a uomini e donne, furono promossi servizi per l’assistenza dei figli e il sostegno del lavoro femminile. In tal modo le donne sono entrate nel mercato del lavoro retribiuito in numero molto maggiore ed ad un’età inferiore rispetto ai livelli dei Paesi occidentali. Tutto il sistema di assistenza alla persona era legata al luogo di lavoro: assistenza sanitaria, assistenza ai figli, vacanze, trasporti e cibo venivano assicurati dai datori. Per le donne erano assicurati due anni di maternità pagata, con la possibilità di mantenere il posto. Allo stesso tempo il regime idealizzava e promuoveva il concetto tadizionale di maternità, attraverso leggi fortemente penalizzanti per le donne, come quella del 1966 che impediva l’aborto. In un periodo in cui i contraccettivi erano praticamente inesistenti, le donne che abortivano erano soggette ad un periodo di carcere da uno a tre anni. Il mercato del lavoro rimase nei fatti segregante per le donne e i rapporti di potere rispecchiavano i meccanismi di una società patriarcale: la donna doveva lavorare ma era anche l’unica responsabile dell’unità famigliare. La transizione all’economia di mercato ha comportato un peggioramento ulteriore per la condizione femminile: molti datori si sono opposti ai due anni di maternità pagata, anche se una recente legge tenta di salvaguardare i diritti in tale direzione. Per le donne rimane un doppio vincolo: da una parte sono costrette a lavorare per sostenere l’economia familiare, dall’altra è aumentata la necessità di investimenti personali per la cura dei figli (gli asili pubblici non sempre sono di buona qualità e quelli privati sono troppo costosi per genitori con un salario medio – a Bucarest la retta mensile è circa di 200 euro quando un salario medio è di 130 euro). I ridotti aiuti sociali per le donne ostacolano una reale indipendenza: l’accesso alla casa, per esempio, è molto difficile per le donne sole, a causa del continuo aumento dei prezzi e del gap di genere nei salari. Una legge varata nel 2001 cerca di contrastare la discriminazione femminile ad esempio abolendo l’obbligo di presentare i risultati di test di gravidanza nei colloqui di lavoro. Recentemente il governo è intervenuto per alleggerire le madri dal peso dell’assisteza dei figli: dalll’autunno del 2002 si è stabilito che ogni alunno delle scuole elementari e dell’asilo riceva dallo stato una porzione di latte e una porzione di pane. Tra gli altri diritti riconosciuti ci sono l’assistenza sanitaria gratuita (per la maternità), protezione per i bambini con speciali necessità (disabili), aiuti alla famiglia fino all’età di diciotto anni: ma il problema è che tali aiuti economici sono irrisori se paragonati ai costi attuali della vita e all’inflazione. Nella vita quotidiana si assiste ad una diminuzione della partecipazione femminile nella vita sociale e ad un aumento delle pratiche patriarcali: determinati modelli iscritti nella cultura rurale sono sopravvissuti alle politiche 185 e alle retoriche egualitaristiche del comunismo e costituiscono il sistema di riferimento in buona parte della Romania contemporanea. Ad esempio le donne sole con figli continuano ad essere oggetto di discriminazione nelle zone rurali e il lavoro domestico continua ad essere considerato di pertinenza unicamente femminile. STILI ALIMENTARI Esiste in Romania una cucina nazionale caratterizzata da cibi appetitosi, riuniti in un menù variato, il quale comprende: antipasti, la ciorba (“minestrone”), pesce preparato in vari modi, pietanze a base di carne e legumi, dolci e frutta. Gli antipasti possono essere caldi o freddi; i primi consistono in salsicce arrosto, würstel bolliti, fegatini, polpettine di cacio cavallo, ecc.; i secondi in formaggi vari (caciocavallo, ricotta, telemea, tipico formaggio, ecc.), uova sode con salsa piccante, prodotti ricavati dalla carne di maiale, di pecora o di capra (prosciutto, salumi), varie gelatine, ecc. La ciorba che non è altro che una zuppa calda a base di carne di maiale, pollo o pesce, con varie verdure e a volte accompagnata da un uovo sbattuto o da un cucchiaio di panna. I pranzi più importanti sono quasi sempre conclusi con la ciorba di potroace, tipica minestra a base di rigaglie, con l’aggiunta di sugo di cavolo acido, che si usa servire bollente e mira ad eliminare la stanchezza e a favorire la digestione.Tutte le minestre sono accompagnate tradizionalmente da peperoncini rossi, freschi o sottaceto. In Transilvania le ciorbe sono per lo più dolci, tinte di rosso, grazie al sugo di pomodoro e di paprica. Numerosi sono i piatti tipici a base di pesce. La saramura è una carpa condita con olio e sugo di limone, con l’aggiunta di peperoncino rosso, cotta sulla graticola. Stiuca umplut è il luccio spinato, imbottito con un ripieno di carne tritata, pane e zucchero, bianco d’uovo, sale, pepe e molta verdura (comprese le cipolle) e cotto in acqua bollente: viene servito freddo, con salsa tartara oppure con aceto. Altra specialità sono gli arrosti fatti al tegame o ai ferri. Le carni romene sono quanto mai saporite; la cucina ai ferri è considerata una vera e propria arte e consiste nella scelta dei carboni, nell’arroventarli al giusto grado, nello spalmare la graticola di grasso. Esiste una competenza specifica nel tagliere la carne e nella sua preparazione, con l’aggiunta di diversi condimenti, prima, durante e dopo la cottura. I piatti tipici sono: militei, o i mici, piccoli pezzi di forma cilindrica di carne di vitello mescolata con carne di maiale, cotti alla graticola; il filetto di bue o vitello, di 4 o 5 cm. di spessore, ben cotto all’esterno, semicrudo all’interno, pietanza servita in tavola con aggiunta di burro e verdure; ghiveci, composto di verdure e pezzettini di carne di maiale; sarmale, carne di maiale tritata ed avvolta in foglie di vite o in cavolo acido, cotta a lungo in acqua bollente, con l’aggiunta di pezzettini di pomodoro e lardo. 186 RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA Le specifiche vicende geopolitiche che hanno tenuto isolata la Romania dal resto dell’Europa per più di cinquanta anni ed un modello di sviluppo e di urbanizzazione squilibrato che non si è realizzato come vera alternativa ai modelli della società rurale, hanno permesso il perpetuarsi nelle zone di campagna di ricche tradizioni, tradizioni che segnano i momenti fondamentali della vita individuale e sociale. Nelle loro caratteristiche rispecchiano una sintesi di elementi provenienti dalle due grandi regioni della civilizzazione europea, quella occidentale e quella Sud-orientale. Nelle feste che scandiscono il ciclo di vita, grande attenzione è posta al rapporto con gli elementi naturali e con gli spiriti degli antenati: la nascita rappresenta la socializzazione di una nuova vita biologica; il matrimonio è il passaggio dall’età giovanile all’età adulta; la morte rappresenta la transizione dalla vita materiale alla vita spirituale a fianco degli antenati NASCITA: durante la gravidanza la madre deve rispettare una serie di interdizioni per non mettere a richio la salute del nascituro a causa di spiriti malvagi. La nascita è rappresentata come un passaggio dall’oscurità al regno della luce. Il rituale del primo bagno è uno dei più importanti nella cultura romena. Prima di tale giorno il bebè deve essere tenuto lontano dallo sguardo di donne mestruate per salvaguardarne la salute. Il rituale, al quale partecipano solo donne, prevede che la parente di parte paterna più anziana immerga il bebè in acqua. Insieme al bambino si immerge una piccola quantità di denaro, riso e basilico, con i significati benaugurali di ricchezza, abbondanza di cibo e lunga vita. Alla luce di alcune candele il bebè viene massaggiato con olio santo sulle gambe, sotto le ascelle e nelle orecchie. Segue l’assegnazione del nome, una cerimonia religiosa presente sia nella fede ortodossa che in quella cattolica. Di solito il bambino riceve il nome del padrino o della madrina che presenziano alla cerimonia. Dopo sette mesi dalla cerimonia di battesimo si svolge un altro rito molto importante: davanti al bambino vengono posti un libro, una matita e un uovo affinché ne scelga uno. Si dice che se il bambino sceglie il libro diventerà un intellettuale, se sceglie la penna diventerà un artista, se l’uovo invece si dedicherà ad attività materiali. MATRIMONIO: il matrimonio tradizionale avveniva e talvolta ancora avviene in giovane età (intorno ai vent’anni). La “stagione” dei matrimoni è in autunno, quando si vendemmia il vino. Nessun matrimonio può essere celebrato nei quaranta giorni che precedono la Pasqua o il Natale. In alcune comunità rurali si ricorre ancora a mediatori per creare le coppie. Se non vi è un mediatore, la tradizione vuole che siano i genitori dello sposo a richiedere la mano della ragazza ai suoi genitori. I familiari poi visitano le case del villaggio offrendo grappa di prugne (tzuica) per invitare i vicini alla cerimonia. Tutti partecipano al brindisi, poiché il rifiuto equivale ad un non riconoscimento della validità del matrimonio. Il padrino e la madrina di battesimo vengono invitati a partecipare alla celebrazione insieme con le famiglie degli sposi: dopo la cerimonia una 187 lunga processione si snoda per le strade del paese fino al luogo dove si tiene il ricevimento che va avanti per tutta la notte. Nel passato i festeggiamenti proseguivano per tre giorni consecutivi. In Transilvania è vivo un rito tradizionale per le giovani che non hanno ancora trovato il partner. Ogni anno la terza domenica di luglio, le ragazza in età da marito si ritrovano nelle montagne della Gaina, alla ricerca di un buon partito. La sera precedente viene passata bevendo palinca (un distillato di prugne), mangiando momoliga (una varietà di polenta con latte, prosciutto affumicato e cipolla) e ballando. Poi un gruppo di ragazzi annuncia l’inizio della cerimonia suonando grandi corni. Questo rito affonda le sue origini ai tempi in cui i pastori di pecore, i minatori e i contadini si incontravano sulle sommità delle montagne per scambiare le loro merci protetti dall’influenza di spiriti malvagi. In tali occasioni le ragazze senza marito venivano accompagnate dai genitori per trovare lo sposo. Prima di partire era uso preparare una corona di fiori da porre sulla sommità del tetto della propria casa, per capire se fossero state fortunate nella scelta: se la corona rimaneva ferma i presagi erano buoni, altrimenti le avrebbe aspettate un destino difficile. FUNERALI: secondo la tradizione la vita di ogni persona è legata ad un albero e ad una stella. Il Fir, l’albero della vita, alla morte della persona viene tagliato da alcuni giovani e portato al villaggio. Qui incontrano un gruppo di donne che cantano il legame del defunto con l’albero: poi l’albero verrà posto sul sepolcro. Tra la morte e il funerale passano due giorni nei quali i parenti vegliano il corpo ed un gruppo di anziane donne canta il Bocetul, una litania in cui si descrive il viaggio del morto nel regno degli antenati. Il giorno del funerale il defunto viene portato in processione adagiato in una bara aperta disposta sul pianale di un carro, e questo avviene per le strade del villaggio in modo che tutta la comunità possa partecipare. La concezione della morte in Romania è quella di una transizione da un universo ad un altro, dove la continuità è concepita all’interno di uno spazio condiviso da vivi ed antenati. Il famoso poema “Miorita” è l’emblema di tale concezione: ha come protagonista un giovane pastore e la sua pecora nera, Miorita. Due compagni progettano di uccidere il pastore e prendere la pecora per averne la lana. Il pastore, anziché fuggire, accetta la morte, ridefinendola come un matrimonio sacro con la pecora, la sua principessa mortale. Il cimitero di Sapinta, nella regione del Maramures¸, rappresenta il più famoso esempio in Romania di arte apotropaica legata alla morte: tutte le lapidi sono di legno intarsiato con epitaffi ironici e rappresentazioni di scene della vita dei defunti. SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI La situazione sanitaria in Romania risente del difficile passaggio da un sistema statalista e fortemente accentratore ad un modello liberalizzato ma non ancora ben definito. Con una mortalità infantile di 18,88 bambini ogni 1000 nascite la Romania ha un tasso tre volte superiore a quello medio dei Paesi europei, così come la morte per 188 parto (40,5 ogni 100.000) è sei volte superiore alla media europea. Un altro dato che impressiona è la morte per tubercolosi: con 65 decessi ogni 100,000 la Romania si colloca al livello dell’Africa Sub-Sahariana. A Bucarest perfino le autorità hanno riconosciuto che il sistema sanitario sta attraversando la più grave crisi degli ultimi 60-80 anni. Ciò che si è lasciato alle spalle è un sistema sanitario totalmente pubblico, fortemente centralizzato e regolato dal Ministero della Salute: il passaggio al libero mercato ha però comportato una drastica riduzione della qualità e della quantità di spesa pubblica. Gli ospedali sono sempre più in difficoltà a reperire fondi per attrezzature mediche e farmaci e i pazienti spesso devono ricorrere a forme di corruzione del personale medico per ottenere servizi nominalmente gratuiti. In Romania attualmente ci sono solo 1,86 medici ogni 1000 abitanti: i loro salari e il loro status sociale è molto basso. Tale stato di sfiducia porta spesso a emigrare all’estero: il 20% dei laureati si sposta in Usa, Europa o Canada. La Romania è attualmente divisa in 42 distretti sanitari ognuno dei quali dispone di almeno tre ospedali, tre policlinici e di una rete di dispensari. I medici, come fornitori di assistenza sanitaria di base, sono retribuiti su base contrattuale in proporzione al numero di assistiti. La riforma sanitaria avviata nel 1998, ha introdotto un Fondo di Assicurazione Sanitaria al quale i cittadini contribuiscono con un 7% del loro salario: l’obiettivo di tale riforma è quello di decentralizzare il sistema e favorire la concorrenza tra i fornitori. Ma le prospettive sono nere, tenuto conto delle differenze regionali: a Bucarest si spende in sanità il 167% della media nazionale, paragonato al 52% che si spende nelle regioni periferiche come la Moldavia. A volte le farmacie si rifiutano di rifornire le medicine di base perché non ricevono i rimborsi dovuti e si stima che gli ospedali romeni abbiano superato i 250 milioni di euro di debiti verso i fornitori. I minori sono i più esposti: attualmente circa 100.000 bambini (uno ogni 1000 nella fascia d’età tra 0 e 18 anni) si trovano in istituti di assistenza pubblica, o perché abbandonati dai genitori, o perché vi sono stati affidati per l’estrema povertà e la mancanza di adeguati servizi sanitari per le famiglie. Questa scelta è spesso obbligata ed è sostenuta da un approccio ereditato dal passato regime, nel quale l’istituzione statale era considerata un ambiente più adeguato della famiglia per seguire il minore svantaggiato nel suo sviluppo. Uno dei dati più allarmanti riguarda la diffusione tra i minori dell’HIV. Negli anni passati, per fare fronte all’anemia o alla sottonutrizione dei bambini negli istituti, veniva infuso sangue non controllato. Tale pratica era frequente anche nei casi di vaccino. Circa 5000 bambini nati tra il 1987 e il 1990 sono stati infettati, in primo luogo dalle trasfusioni. Al marzo 2000, 8473 bambini sono stati individuati come sieropositivi. Con i 1200 euro pro capite disponibili per tutte le spese sanitarie ogni anno, il trattamento per la cura dell’HIV (ogni mese all’incirca 1200 euro) è irraggiungibile per la maggioranza. Si investe anche poco sulla prevenzione e nell’assistenza psicologica dei malati. Alcune eccezioni si possono però trovare: ad esempio la Romania assicura gratis l’insulina per tutti i diabetici e pratica uno dei più estesi programmi dell’Europa di terapia contro il cancro. 189 FIABE TRADIZIONALI Le fiabe romene appartengono alla tradizione orale e sono state trascritte tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento. Hanno intrecci molto lunghi e questo si spiega con un contesto di adulti disponibili all’ascolto nelle lunghe serate invernali. Per dare un’idea di queste storie, eccone due brani esemplari. Il primo è l’inizio di “Giovinezza senza vecchiaia e vita senza morte” dove compare il protagonista maschile più specifico della fiaba romena. È Faˇt Frumos, il “bel giovane”, l’eroe che possiede le qualità essenziali dell’umano, perché è bello, giovane, valoroso, buono, generoso. Qui si racconta la sua nascita, dopo che il re e la regina che non riuscivano ad avere figli hanno ottenuto un filtro magico da un “vecchietto ispirato da Dio”: Il re e la regina presero i filtri e tornarono felici al palazzo. Trascorsi pochi giorni la regina era in attesa di un bimbo. Tutto il regno, tutta la corte e tutti i servitori si rallegrarono di questo avvenimento. Il bambino, ancora prima di nascere, si mise a piangere così forte che nessun mago riusciva a calmarlo. Il re, per placare i suoi pianti non poté fare a meno, fin da allora, di promettergli tutte le meraviglie del mondo; ma nemmeno così riusciva a farlo tacere. “Smetti di piangere, tesoro di papà”, diceva il re, “e io ti darò questo o quel regno; smetti di piangere, figliolo, e io ti darò in sposa questa o quella principessa”. E aggiunse tante altre promesse. Alla fine, vedendo che proprio non si chetava, aggiunse: “Smetti di piangere, sangue del mio sangue, ed io ti darò giovinezza senza vecchiaia e vita senza morte”. Allora il bambino smise di piangere e nacque; i servi suonarono i tamburi e le trombe e in tutto il regno si fecero grandi feste per una settimana intera. Più il figlio del re cresceva, più coraggioso e scaltro diventava. Lo mandarono a scuola da maestri sapienti e tutte le scienze che gli altri bambini imparavano in un anno, lui le imparava in un mese, tanto che, ogni volta, il re moriva e risuscitava dalla gioia. Tutti nel regno ne andavano fieri, pensando che avrebbero trovato in lui un re saggio e fortunato come Salomone. Ma dopo un po’ di tempo, chissà perché, il ragazzo divenne malinconico, triste e pensieroso. Finché, proprio il giorno in cui compiva quindici anni e il re era a tavola con tutta la corte e i più alti dignitari del regno a festeggiare, Fàt-Frumos si alzò e disse: “Padre, è arrivato il momento che tu mi dia quello che mi avevi promesso prima che nascessi”16. Dopo questo inizio e dopo fantastiche e vittoriose vicende ci sarà alla fine l’inevitabile arrivo di Vecchiaia e di Morte anche per Faˇt Frumos, che rappresenta l’essenza dell’umano e quindi deve morire. Troviamo invece un finale di 16 Mincu M. (a cura di), Fiabe romene di magia, Bompiani, Bologna, 1989, pp. 1-2. 190 nozze nella fiaba romanzo Ileana Cosinzeana, nella treccia le canta un fiore, nove regni stanno a sentire. Ileana è la protagonista tipo della fiaba romena, archetipo del fascino e del potere femminile. In altre fiabe è solo una splendida fanciulla, qui è anche una fata. Questo è peculiare in un contesto narrativo in cui uomini, fate, orchi e santi continuamente si mescolano e in cui eroi ed eroine si trasferiscono con la massima naturalezza dalla terra al mondo sotterraneo o al cielo. La fiaba racconta di un principe, Faˇt Frumos, al quale il re padre, prima di morire aveva raccomandato di non avvicinarsi al lago delle fate. Ecco la trasgressione: Dopo che fu uscito e si fu rivestito, su quel prato verde pieno di fiori, all’improvviso si levò intorno a lui un vento soave che lo fece cadere in un sonno profondo. Ed ecco che uscì dal seno delle onde una donna con i capelli lunghi color dell’oro, con il viso vermiglio come una rosa e con le braccia bianche come mughetti: una fata alta di statura e così bella, che il sole lo si sarebbe potuto guardare, ma lei no. Salendo sulla sponda, si adagiò presso il giovane re e cominciò a baciarlo sul viso e sugli occhi con il più ardente amore. Lo baciò una volta, due volte, dieci volte, cento volte, ma il re non sentiva nulla, il sonno greve lo teneva come pietrificato; lo prese fra le braccia e lo accarezzò, sospirando con tutta l’anima, e il re non si poteva svegliare. Allora la fata, con gli occhi bagnati di pianto lo lasciò, scivolò dalla riva nell’acqua e scomparve, lasciando dietro di sé, sulla superficie del lago, soltanto dei cerchi d’acqua tremolante, che man mano si allargavano fino a scomparire in lontananza. Dopo un bel pezzo il re finalmente aprì gli occhi, si guardò intorno spaventato e senti il respiro pesante e affannoso. “Che sogni gravosi mi hanno preso” pensò fra sé. Immediatamente venne il cocchiere con i cavalli che avevano pascolato nel trifoglio verde, salirono a cavallo e ritornarono verso casa. Il giorno dopo, il re venne di nuovo a fare il bagno nel limpido lago delle fate. Dopo il bagno lo prese quel sonno profondo come la volta scorsa. La fata dai bei capelli d’oro si fece vedere di nuovo. Si avvicinò a lui, lo baciò, lo accarezzò con infinito amore, cercò di svegliarlo con tutti gli incantesimi e le seduzioni che conosceva, e tuttavia il re non si svegliò. Mincu M. (a cura di), Fiabe romene di magia, Bompiani, Bologna, 1989, pp. 50-51. RICETTE Insalata di melanzane (salate di vinete) Ingredienti: 2 melanzane medie di colore scuro, 150ml olio, sale, 1 cipolla, 2 cucchiaini di latte. Preparazione: le melanzane si cuociono a fuoco medio direttamente sulla fiamma fino a farle diventare morbide. Quando sono ancora calde si sbucciano. Si 191 mettono le melanzane in un vaso di legno perché il liquido amaro se ne vada. Con un pestello si frantumano le melanzane in un recipiente di plastica o di legno fino a farle diventare una pasta. Il pestello deve essere di legno, perché altrimenti le melanzane si ossidano e diventano amare. Si aggiunge il latte. Si mescola l’insalata con olio, si aggiunge sale e maionese, secondo le preferenze. L’insalata di melanzane si serve come antipasto, presentandola su fette di pane caldo. Minestra di tacchino (ciorba di potroace) Ingredienti: 2 litri d’acqua, penne e colli di tacchino, sale e pepe, il succo di due limoni, 2 carote, sedano, 1 cipolla, 3 cucchiai di riso. Preparazione: bollire le penne ed i colli di tacchino approssimativamente 1 ora. Dopo aggiungere la verdura tagliata in piccoli pezzetti ed il riso e cuocere fino a farli diventare morbidi. Aggiungere sale e pepe. Insaporire con succo di limone e aggiungere un po’ di prezzemolo. Si serve calda. • Involtini di cavolo alla romena (sarmale) Ingredienti: 1 cavolo grande, 750 g carne tritata (mista di maiale e manzo), 4 cipolle grandi, 2 Tbls. riso, 1 fetta di pane, 3 Tbls. grasso, 5-6 pomodori, succo di pomodori, sale, pepe, aneto, 1 litro salamoia, panna acida. Preparazione: la carne tritata si frigge con la fetta di pane abbrustolita e con la cipolla. In un recipiente si mescolano bene il riso con la carne, pepe, sale, aneto e la cipolla fritta. Le foglie di cavolo si separano e quelle grandi si tagliano in 2-3 pezzi. Si impasta la carne e il riso con i condimenti e si formano palle piccole che si avvolgono nelle foglie di cavolo. I più gustosi sono gli involtini piccoli. Gli involtini si mettono in una pentola e si coprono con una foglia di cavolo e sopra si mettono le fette dei pomodori o il succo di pomodori. Si cuociono a fuoco lento per circa 30 minuti. Si servono con panna acida. POESIA Mircea Caˇrtaˇrescu: poeta, prosatore e saggista, è lo scrittore più importante della cosiddetta “generazione 80” e della letteratura romena contemporanea. Delle varie raccolte poetiche, uscite dopo il 1983, in Italia si trova Quando hai bisogno d’amore, CD doppio (Pagine, 2003). LETTERATURA Norman Manea: è nato nel 1936 a Suceava, in Bucovina. Tra i cinque e i nove anni, per le sue origini ebraiche, è stato internato con la famiglia in un campo di concentramento del regime fascista rumeno, in Ucraina. Ha vissuto la sua giovinezza nella Romania stalinista del dopoguerra e, dalla metà degli anni 192 Sessanta, ha sperimentato come uomo e come scrittore la dittatura di Ceausescu. Nel 1986 ha lasciato il suo Paese e vive attualmente negli Stati Uniti, dove insegna al Bard College di New York. In italiano sono stati tradotti: Un paradiso forzato (Feltrinelli, 1994); Il clown, il dittatore e l’artista (Il Saggiatore, 1995); Ottobre, ore otto (Il Saggiatore, 1998); La busta nera (Baldini&Castoldi, 1999); Il ritorno dell’Huligano (Il Saggiatore, 2004). Mircea Eliade: è nato a Bucarest nel 1907 ed è morto a Chicago nel 1986; è stato storico delle religioni e saggista. Tra i massimi esperti di sciamanesimo, ha studiato in particolare il mito, cui attribuisce valore archetipico, intendendolo come creazione autonoma dello spirito, rivelatrice del sacro. In italiano si trova: Trattato di storia delle religioni (Einaudi, 1954); La nascita mistica. Riti e simboli d’iniziazione (Morcelliana, 1974); Il mito dell’eterno ritorno. Archetipi e ripetizione (Borla, 1968); Mito e realtà (Rusconi, 1974); Lo Yoga, immortalità e libertà, (Rizzoli, 1973); Il sacro e il profano (Boringhieri, 1967). Ha scritto anche opere di narrativa: Maitreyi. Incontro bengalese (Jaca Book, 1989), La foresta proibita (Jaca Book, 1986). Eugen Ionesco: è nato a Slatina nel 1912 ed è morto a Parigi nel 1994. Dal 1938 ha vissuto a Parigi dove dagli anni Cinquanta si è affermato come drammaturgo fino ad essere considerato come il più grande autore del “teatro dell’assurdo”. Tra le opere più famose tradotte in italiano: La ricerca di Dio (Casagrande, 2000); Teatro completo. Vol. 1 e Vol. II (Einaudi, 1993); Il mondo è invivibile (Spirali/Vel, 1989); La foto del colonnello (Spirali/Vel, 1987); La lezione Leie (Einaudi, 1982); Il Rinoceronte (Einaudi, 1981); La cantatrice calva (Einaudi, 1971); Il pedone dell’aria - Delirio a due (Einaudi, 1971); Il re muore (Einaudi, 1970). RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Biagini A., Guida F., Mezzo secolo di socialismo reale. L’Europa centroorientale dal secondo conflitto mondiale alla caduta dei regimi comunisti, Giappichelli Editore, Torino, 1994. Bianchini S., Dassù M. (a cura di), Guida ai paesi dell’Europa centrale orientale e balcanica. Annuario politico-economico, il Mulino, Bologna, 2003. Bulei I., Breve storia dei romeni, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 1999 (ed. or. Scurtaˇ istorie a românilor, Bucures¸ti, Editura Meronia, 1996). Burford T., Richardson D., Romania, Antonio Vallardi Editore, Milano, 2003 (ed. or. The Rough Guide to Romania, London, 2001). Diminescu D. (a cura di), Visibles mais peu nombreux… Les circulations migratoires roumaines, MSH, Paris, 2003. Marga A., Education in transition, Paideia, Bucarest, 2000. Mincu M. (a cura di), Fiabe romene di magia, Bompiani, Bologna, 1989. Papa C., Pizza G., Zerilli F. (a cura di), La ricerca antropologica in Romania. Prospettive storiche ed etnografiche, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2003. 193 Parente F., Contributi antropologici per una didattica interculturale. Un’esperienza in una scuola media romana, Tesi di laurea, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Facoltà di Lettere e Filosofia, 2002. Ricci A., “I flussi migratori tra Romania e Italia nel nuovo scenario europeo”, Studi Emigrazione/International Journal of Migration Studies, n. 147, 2002. Sacchetto D., Il Nord-Est e il suo Oriente. Migranti, capitali e azioni umanitarie, Derive e Approdi, Roma, 2004. 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Generalmente il repertorio di danza di ciascun villaggio è molto ricco, si passa da una media di 13 danze specifiche fino a 50 o 60 di alcuni villaggi dell’Oltenia; in quelli della Transilvania il numero delle danze è limitato, 4 o 5, ma il numero delle varianti è amplissimo. Le danze popolari rumene generalmente presentano un tempo vivace e il ritmo più diffuso è quello binario. Si possono osservare danze miste di uomini e donne, danze per soli uomini e in misura molto minore danze per sole donne. Esistono molte formazioni, 194 posizioni e passi. Nel sud e nell’est del Paese la formazione predominante è il cerchio chiuso o aperto, in Transilvania sono particolarmente diffuse le danze di coppia, con le coppie allineate in un cerchio, o in linee rette o libere nello spazio danzante. Nelle danze in cerchio le mani possono essere congiunte tenendo le braccia in basso, con i gomiti piegati, o possono essere appoggiate alle spalle dei vicini. In genere i passi sono piccoli ed è limitato il movimento della parte superiore del corpo. Si usa classificare le danze rumene in tre grandi gruppi secondo le figure, il ritmo, i passi e la struttura: delle Hora, delle Briul e delle Sirba. La Hora è molto antica, e si distingue dalle hore balcaniche. È eseguita a cerchio chiuso da un gran numero di partecipanti uniti per mano o grazie alla presa sulle spalle. Il tempo è binario e la struttura prevede sempre due sole parti. Di solito la HORA è danzata all’inizio e alla fine di un incontro di danza. Molte danze appartenenti a questo genere hanno dei nomi specifici che rivelano il carattere tipico della danza o nomi per i quali sono riconosciute solo localmente. Per esempio: Hora mare = grande mare, Hora batrineasca = hora dei vecchi, Hora lunga = hora in linea, Hora pebatai = hora con battute di piedi, Hora de mina = hora con le mani, Hora dreapta = hora dritta, Batuta, Batrinesca, Balta, Hangul, Jianul, Lautareasca, Hodoroaga, Trei pareste. La Briul è in genere danzata da soli uomini in cerchio aperto o chiuso con le braccia sulle spalle dei vicini. A volte la presa è alla cintura. La parola briul è usata anche per indicare il laccio fatto di pelle che gli uomini indossano attorno alla vita. Comunque non è sicuro che il nome della danza abbia qualche relazione con la cintura indossata. Le danze Briul hanno un tempo binario e un ritmo e un ritmo sincopato. La Sirba è danzata soprattutto nell’est e nel sud del paese. L’origine della parola Sirba rimane vaga. La parola rumena sirbesc significa Serbo ed è possibile quindi che il nome sirba indichi quelle danze che sono danzate in stile serbo. In vari casi la sirba è una danza veloce, vivace con un carattere gioioso. Il tempo è 6/8 ed è eseguita soprattutto da uomini in cerchio aperto con le braccia sulle spalle. Varianti di sirba possono essere: Ciuleandra, Rata, Floricica, Briuletul, Marioara, Craitele. 195 196 Tunisia di Chiara Lainati DATI GENERALI 17 Confini: la Tunisia confina a Nord e Nord-Est con il Mar Mediterraneo (e quindi con l’Italia, poco meno di 150 chilometri la separano dalla Sicilia), a Sud con la Libia e l’Algeria e a Ovest con l’Algeria). Abitanti: 9.700.000 (f. 49,7%). Estensione geografica: kmq 163.610. Continente: Africa. Densità di popolazione: 62,9 ab./kmq. Incremento demografico: 2% (1975-2002). PIL pro-capite (US $): 6.760. Vita media: 72,7 anni (74,8 f.; 70 m.). Mortalità infantile 0-5 anni: 26/1000. Tasso di alfabetizzazione della popolazione adulta (% persone sopra i 15 anni): 73,2% (63,1% f.; 83,1% m.). Tasso di alfabetizzazione dei giovani (15-24 anni): 94,3% (90,6% f.). Lingua: arabo (lingua ufficiale), dialetto arabo-tunisino (lingua parlata), francese, berbero. Religione/i: musulmani sunniti 99,5%, ebrei, cattolici e protestanti 0,5%. 17 Fonti: Rapporto UNDP (United Nations Development and Population) 2004. I dati si riferiscono al 2002 se non indicato diversamente. 197 Gruppi etnici: arabi 96,2%, berberi 1,4% e altri 2,4% europei, ecc. Regime politico: Repubblica presidenziale (Presidente: Zine El Abidine Ben Ali eletto nel 1987 e riconfermato nelle ultime elezioni del 2004). LE FESTE PRINCIPALI Feste civili: Capodanno (1 gennaio); Festa dell’indipendenza (20 marzo); Festa della gioventù (21 marzo); Festa dei martiri (9 aprile, festa dei caduti nella guerra d’indipendenza); Festa dei lavoratori (1 maggio); Festa della Repubblica (25 luglio); Festa Nazionale (3 agosto); Festa della donna (13 agosto, data della promulgazione del Codice Personale); Festa della Liberazione (15 ottobre); Festa del changement cioè della presa del potere da parte di Ben Ali, attuale presidente (7 novembre). Feste religiose: le feste religiose in Tunisia seguono esclusivamente il calendario islamico (Hijiri). I mesi di questo calendario seguono il ciclo lunare, quindi le date variano di anno in anno: RAS AS-SANA: la festa musulmana del nuovo anno. MOULID AN-NABI: compleanno del profeta Maometto. RAMADHAN: si festeggia nel nono mese del calendario islamico e per i musulmani è uno degli avvenimenti più importanti dell’anno. Infatti la festività ricorda che in questo mese avvenne la rivelazione del Corano al profeta Maometto. I fedeli adulti in pieno possesso delle facoltà mentali (ad eccezione delle donne in fase di ciclo mestruale o puerperio) praticano il digiuno e l’astensione dal bere, dal fumo e dai rapporti sessuali dall’alba al tramonto. La sera si festeggia a casa e per le strade; ‘Aid al-Fitr (Festa della rottura del digiuno): primo giorno del mese successivo a quello di Ramadhan che sancisce la fine del digiuno; ‘Aid al-Kebir (Grande Festa)/’Aid al-Adhah (Festa del sacrificio): si commemora il miracolo compiuto da Allah quando sostituì il figlio che Abramo stava sacrificando in nome della fede ad Allah, con un agnello. Designa anche il periodo dell’anno in cui si svolge il pellegrinaggio alla Mecca, che ogni musulmano è tenuto a compiere almeno una volta nella vita. IL SALUTO: Assalam Aleikoum (la pace sia con voi)/Le bés (Come stai)? CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE sia nelle città che nelle campagne si offre il tè verde con la menta (tè ahmar bina’na), che al Sud e nelle isole ha un sapore particolarmente forte perché viene fatto bollire più volte. Assieme al tè vengono offerti anche dolci fatti in casa (halwa). Capita però spesso che vengano offerte bevande gassose (gazzous) soprattutto durante la stagione estiva. Nelle campagne se l’ospite arriva vicino all’ora di 198 pranzo o di cena viene offerto il pane casereccio (kessra) con l’olio (zit) e le olive (zaitoun) coltivati dalla famiglia. IMMIGRAZIONE IN ITALIA La Tunisia è uno dei tre paesi della regione del Maghreb18 (letteralmente “il luogo dove tramonta il sole”, cioè a occidente del fiume Nilo, opposto a Mashreq, cioè “il luogo dove sorge il sole”, oriente, il Medio Oriente). Questo nome trae origine dal processo di islamizzazione della regione iniziato a partire dal VII d.C. dalla penisola arabica. Le popolazioni originarie del Nord Africa, i berberi, termine europeo, o imazighen (“uomini liberi”), nome con cui essi preferiscono chiamarsi, nel tempo si sono islamizzate e arabizzate. In Algeria esistono ancora importanti nuclei, in Tunisia invece ne sono rimasti pochi. La Tunisia, come tutti i paesi del Nord Africa, presenta forti disparità socio-economiche che si sviluppano tra le zone costiere fortemente industrializzate (e dove il turismo svolge un ruolo fondamentale, si pensi ad esempio ad Hammamet e a Jerba, rinomate destinazioni vacanziere) e le zone interne a vocazione agricola. Parte dell’esodo rurale che ha alimentato la crescita delle città costiere è confluito poi anche all’estero: prima verso la Francia e gli altri paesi europei, poi verso l’Italia. Le principali zone di provenienza degli immigrati insediati in Italia sono i governatorati di Tozeur (regione interna, semi-desertica), Sousse (costa occidentale) e Tunis (costa settentrionale). Questi ultimi costituiscono anche le principali destinazioni delle migrazioni interne. I primi flussi migratori verso l’Italia sono comparsi a partire da metà anni Sessanta ed erano orientati in massima parte verso la Sicilia, un territorio legato storicamente alla Tunisia in seguito ai flussi di pescatori e contadini che a partire dall’Ottocento hanno cercato migliore fortuna nel paese vicino. Nell’ambito dei flussi migratori verso l’Italia, la Sicilia ha sempre rappresentato per i tunisini una tappa di passaggio per proseguire verso mete più allettanti a Nord, ma anche un contesto di inserimento stanziale, grazie anche alla vicinanza con il paese. Inoltre tuttora, anche se meno che in passato, è un territorio che richiama flussi stagionali legati alle raccolte del ciclo agricolo. I primi flussi di immigrati tunisini hanno fatto il loro approdo in particolare a Mazara del Vallo attratti dallo sviluppo dell’industria peschiera e nella Valle del Belice come agricoltori nelle campagne abbandonate dai siciliani residenti. A partire dalla metà degli anni Settanta fino ai primi anni Ottanta si assiste ad un secondo flusso più intenso dovuto anche alle politiche di chiusura delle frontiere da parte dei paesi europei di tradizionale immigrazione come la Francia, la Germania e i Paesi Bassi. La Lombardia e in particolare Milano diventano un’altra meta importante non solo di tunisini che provengono dal loro paese ma anche di tunisini che dalla vicina Francia tentano un inserimento che dia maggiori probabilità di regolarizzazione. Questo periodo è 18 Gli altri due paesi sono Algeria e Marocco. Il cosiddetto Grande Maghreb accoglie anche Libia e Mauritania. 199 caratterizzato da molte presenze irregolari e stagionali costituite da artigiani, pescatori e manovalanza ma anche studenti. Un terzo flusso si forma a partire dal 1985/86 a seguito della grave crisi recessiva del paese e del richiamo indotto dalla prima legge di sanatoria (L. 943/1986) proclamata in Italia a cui fece poi subito seguito la seconda del 1990, che portò i tunisini ad essere la terza presenza straniera in Italia a seguito di marocchini e statunitensi. Da questo momento i flussi dalla Tunisia si stabilizzano e la composizione della popolazione comincia a diversificarsi. Se agli inizi come in tutti i flussi provenienti dal Nord Africa, i tunisini erano soprattutto maschi e giovani, poi a partire dalla metà degli anni Novanta sono cominciati a crescere i ricongiungimenti familiari, attivati da uomini che una volta stabilizzati hanno richiamato le loro mogli oppure si sono sposati e hanno portato in Italia le loro famiglie. Le donne cominciano quindi a far parte della popolazione immigrata tunisina in modo sempre più crescente proprio in questo periodo: se nel 1992 la loro presenza ammontava al 9%, nel 2000 arriva ad essere il 22% del totale. Sebbene la maggior parte della presenza delle donne sia legata alla famiglia, ci sono casi di immigrazioni femminili individuali, soprattutto per motivi di studio. Rispetto agli altri paesi del Maghreb (Marocco e Algeria) è un fenomeno però che costituisce per lo più un’eccezione. Attualmente le regioni che registrano le maggiori presenze di tunisini sono la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna. MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI La cultura islamica influenza gran parte dei modelli di crescita ed educazione dei figli. I figli piccoli sono quasi di esclusiva competenza delle madri. Il padre deve pensare soprattutto al sostentamento di entrambi. L’allattamento al seno è consigliato dal Corano e generalmente viene portato avanti fino ai due anni di età. Durante l’allattamento la madre è esonerata dal digiuno previsto nel mese di Ramadhan. Gli orari della poppata sono a richiesta del bambino. Generalmente nei primi mesi di vita il bambino dorme nella stessa camera dei genitori in modo da poterlo seguire meglio in tutte le sue esigenze. Lo svezzamento può partire al IV mese ma può anche iniziare molto più tardi, al X mese, tutto dipende dal tempo a disposizione della donna che sempre più spesso lavora anche fuori casa. Le donne della famiglia allargata costituiscono una risorsa importante per le madri primipare perché sono preziose consigliere nelle prime fasi della crescita e le aiutano nei momenti di maggiori difficoltà. Questo crea però anche una serie di conflitti tra vecchie e nuove generazioni in cui le relazioni gerarchiche di potere e di rispetto che ad esempio intercorrono tra nuora e suocera vengono messe a dura prova. Questi comportamenti non sono però generalizzabili a tutta la società tunisina. Il processo di alfabetizzazione e di modernizzazione dell’ordinamento giuridico iniziato negli anni Cinquanta ha comportato diverse trasformazioni. 200 In generale si può affermare che le differenze più marcate si riscontrano tra città e campagna dove i ritmi e i tempi di vita sono profondamente diversi. MODELLI DI CURA Attualmente il 90% delle nascite è medicalizzato, una percentuale molto elevata se si considera ad esempio un altro paese della regione, il Marocco, dove è ancora forte il ruolo delle levatrici: solo il 40% dei parti viene infatti assistito da personale sanitario. Anche in Tunisia comunque esistono le sages femmes che seguono tutta la fase della gravidanza, del parto e dell’allattamento. Nei 40 giorni dopo il parto il bambino non può essere portato fuori di casa. È una regola connessa alla tradizione piuttosto che a dettami coranici e serve a proteggere la salute del bambino, perché non prenda correnti d’aria. Negli ultimi anni il governo tunisino ha promosso una campagna diffusa sulla salute della madre e del bambino nel primo anno di vita. Ad ogni donna incinta viene fornito un carnet de santé mère-enfant (quaderno della salute per la madre e il bambino) in cui vengono registrati gli esiti delle visite pre-natali, del parto e delle visite post-natali della madre e del bambino fino al compimento del I anno d’età, ivi comprese le vaccinazioni somministrate. Inoltre sono indicate le istruzioni in materia di nutrizione pre-parto e post- parto per la madre e per il bambino nella fase di svezzamento, in modo da prevenire fenomeni di malnutrizione piuttosto ricorrenti. L’obiettivo è quello di promuovere un monitoraggio costante della salute della madre e del bambino anche in quegli strati di popolazione dove la medicina occidentale viene poco contemplata e dove le abitudini alimentari non prevedono una particolare varietà di cibo, per ragioni culturali ma anche per la mancanza di mezzi. In questo modo si cercano di prevenire malattie gravi o disagi difficili da risolvere quando sono colti in stato avanzato. Di fatto sebbene tutte le donne, comprese quelle analfabete, conoscano bene lo strumento e seguono il calendario delle visite, nella pratica, soprattutto per quel che riguarda la nutrizione del bambino, prevalgono ancora modelli di cura tradizionali. Ciò non toglie che comunque la medicalizzazione occidentale sia largamente penetrata in tutti gli strati di popolazione, al punto che soprattutto per i bambini viene spesso fatto ricorso alle medicine anche quando non è strettamente necessario. Gli stessi medici hanno la tendenza a prescrivere farmaci anche leggeri in ogni visita che viene fatta. Una pratica popolare piuttosto diffusa in tutta la popolazione del Maghreb per proteggere i bambini dal malocchio è quella di attaccare agli indumenti del bambino una spilla da balia dove vengono infilati alcuni amuleti: un Corano in miniatura (scrittura divina) e/o una mano di Fatma (ghamsa) (che simboleggia il cinque, un numero ricorrente nella religione islamica: cinque sono ad esempio i dogmi della religione e cinque sono le preghiere) e/o un peperoncino/cornetto di plastica e/o un pesce. Sono simboli ed amuleti che appartengono sia alla tradizione islamica che a quella berbera ed ebraica. 201 La donna e l’uomo che emigrano sono quindi già portatori di una complessità di modelli di crescita e di educazione che devono riformulare in relazione al nuovo contesto, operando ogni volta scelte diverse che spesso variano non tanto in nome di un’appartenenza culturale nazionale quanto in relazione alla propria appartenenza sociale, al proprio livello di scolarizzazione e ai rapporti che riescono a instaurare nel contesto di accoglienza. MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE La scuola (e le connesse garderies che hanno il ruolo di prendersi cura dei bambini negli intervalli di tempo tra un turno e l’altro) e la famiglia allargata sono i luoghi principali deputati alla socializzazione dei bambini e delle bambine. Nei centri urbani dove le opportunità per il tempo libero sono maggiori, i bambini vengono incoraggiati a frequentare corsi di vario genere (ginnastica e nuoto soprattutto). Ultimamente sono molto di moda i corsi di arti marziali, soprattutto per i maschi. Con l’incremento del lavoro femminile fuori casa, i luoghi di socializzazione dei figli in età pre-scolare sono in fase di forte trasformazione e si evidenzia una differenza marcata tra campagna e città. Secondo i dati di un’indagine promossa dall’UNICEF in collaborazione con il Ministero della Salute nel corso del 2000 risulta che quasi la metà dei bambini hanno frequentato per almeno un anno un’istituzione pre-scolare. In ambito urbano questa sale al 71,3% contro l’11,2% delle zone rurali. Questo vuol dire che come in altri ambiti, c’è una forte polarizzazione tra campagna e città per quel che riguarda la disponibilità delle strutture e le possibilità di accesso ai jardin d’enfant. Questi essendo nella maggior parte dei casi privati sono a pagamento. MODELLI E STILI FAMILIARI La vita sociale delle famiglie e il ruolo dei genitori: la famiglia tunisina è una realtà in fase di grandi trasformazioni da tempo. Non è possibile comprenderla contrapponendo la tradizione alla modernità. La famiglia allargata (genitori, figli, nonni, zii e cugini) di tipo patrilineare, propria delle società musulmane, e la famiglia nucleare non si escludono l’una con l’altra ma si alimentano a vicenda. La famiglia allargata che prima dell’indipendenza era la norma, ora è sempre valorizzata ma la norma è diventata la famiglia nucleare fondata sul matrimonio. Cambiano i rapporti che questi due tipi di famiglia intrattengono tra di loro. La famiglia allargata emerge ogni volta che un membro ha bisogno di aiuto oppure in occasione delle grandi ricorrenze del ciclo di vita familiare; la famiglia nucleare è il riferimento quotidiano e l’essenza dell’unità domestica, anche se spesso con i nuclei emigrati in città convivono altri parenti che vi risiedono per lunghi periodi. I ruoli e le relazioni familiari sono influenzati dalla cultura del diritto islamico, sebbene in qualche modo gli ordinamenti 202 giuridici tunisini si siano orientati verso approcci più laici. Il diritto islamico prevede che la madre si occupi delle esigenze materiali dei figli (hadana) mentre invece il padre deve provvedere a sostenere il figlio nel suo cammino di crescita sociale avendo il potere di rappresentarlo e di prendere le decisioni fondamentali della sua vita (patria potestà, wilaya): istruzione, educazione morale e religiosa, trattamenti sanitari, avviamento al lavoro, amministrazione dei beni, matrimonio. Oggi la divisione dei ruoli non è più così netta e questo crea insicurezze e tensioni: sebbene il valore di riferimento sia sempre la famiglia patriarcale, l’autorità del padre comincia ad entrare in crisi perché spesso non è più il solo a detenere le risorse economiche dal momento che anche la madre spesso lavora. Questo comporta una condivisione progressiva delle decisioni importanti della famiglia. Diversi studi hanno messo in evidenza come soprattutto l’esperienza migratoria contribuisca a diminuire l’autorità del padre emigrato di fronte ai figli maschi che per lungo tempo sono rimasti al paese e dunque distanti, magari a contatto con modelli autoritari più intransigenti come quelli dei nonni. Il ricongiungimento familiare costituisce un ambito in cui queste dinamiche esplodono in modo intenso. ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: sono vietate le assegnazioni di nomi non arabi per i bambini nati in Tunisia mentre lo stesso vincolo non esiste nel caso il bambino nasca all’estero. Il problema si pone nel momento in cui la famiglia deve rientrare o fare iscrivere il bambino nei registri di stato civile in Tunisia perché tramite decreto devono cambiare il nome in uno arabo. Il cognome attribuito è quello del padre. ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: in Tunisia prevale lo ius solis: se il bambino nasce in Tunisia, acquista comunque la cittadinanza tunisina, anche se è figlio di sconosciuti. Lo stesso si verifica nel caso entrambi i genitori siano tunisini (coniugati o meno), a prescindere dal luogo di nascita. Nel caso in cui solo uno dei due genitori sia di cittadinanza tunisina, è solo l’uomo che può trasmettere automaticamente la cittadinanza, la donna può farlo solo nel caso in cui il padre sia uno sconosciuto o il figlio sia nato in Tunisia. Negli altri casi invece dovrà essere fatta esplicita richiesta alle autorità tunisine da parte di entrambi i genitori prima dei 19 anni. La legge riconosce la doppia cittadinanza. FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: il diritto tunisino offre forme di tutela nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio: la madre non ha bisogno perché prevale il legame biologico; il padre può riconoscerlo anche successivamente alla nascita. È riconosciuta l’adozione. Se il riconoscimento avviene in Italia si seguono le modalità previste dal sistema giuridico italiano. REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: in Tunisia la registrazione avviene nel giro di poco tempo presso l’Ufficio di Stato Civile. Se il bambino nasce in Italia invece la trascrizione sui registri di Stato Civile tunisini può avvenire in qualsiasi momento presso il Consolato locale con la documentazione necessaria (estratto di nascita del figlio, libretto di famiglia). CONTRATTO DI MATRIMONIO: per il diritto musulmano il matrimonio è un atto legale che si situa tra il diritto naturale e il diritto contrattuale. L’atto di 203 matrimonio viene rilasciato dal Comune o da un notaio che si reca nelle case a sancire l’unione matrimoniale, davanti a due testimoni. Nel diritto islamico oggetto del contratto è la dote per la moglie (mahr) che il marito si deve impegnare a pagare. Questa deve essere menzionata nel contratto, non necessariamente deve essere riportato il suo valore in denaro. In Tunisia la dote è una pratica diffusa ovunque senza distinzione di ceto o di provenienza geografica ma l’abitudine, soprattutto in città, è quella di stipulare una dote simbolica. Il regime previsto è quello della separazione dei beni ma tutte le acquisizioni fatte durante il matrimonio rientrano nella comunità matrimoniale e diventano beni comuni ai coniugi. Insieme all’atto di matrimonio viene rilasciato il libretto di famiglia dove vengono registrati nascite e decessi di tutti i componenti futuri. DIRITTI DEI MINORI: il Codice del Lavoro del 1966 vieta il lavoro dei minori di 15 anni negli stabilimenti industriali e prevede la protezione della salute dei salariati minori di 18. Il Codice Penale protegge i minori dall’abbandono, dagli atti di violenza e abuso sessuale e dal rapimento. Durante la prima campagna di scolarizzazione avvenuta nel 1958 è stata promulgata una legge che parificava la sottrazione dalla scuola dei minori operata dai genitori ad un abuso passibile di sanzioni. A livello internazionale la Tunisia ha ratificato la Convenzione Internazionale sui Diritti del Bambino nel 1992 e da allora ha messo in pratica una serie di strumenti legislativi e amministrativi che tutelano e promuovono il diritto dell’infanzia. Nel 1995 in particolare il governo ha promulgato un Codice di Protezione del Bambino. DIRITTI DELLE DONNE: il riconoscimento dei diritti delle donne in Tunisia come in tutti i paesi arabo-musulmani è sempre stato subordinato al fatto che in seguito al processo di indipendenza dei paesi arabi dai paesi europei, la priorità era quella di restituire libertà e autonomia al mondo arabo-islamico prima ancora che mettere l’accento sulle contraddizioni uomo-donna e questo ha significato nella maggior parte dei casi un primato del diritto islamico in quasi tutti gli ordinamenti giuridici nazionali. La Tunisia al contrario ha conosciuto un processo di modernizzazione accelerato con la promulgazione del Codice dello Statuto Personale (CSP) nel 1956 (Majalla). Focalizzandosi sui diritti individuali e sui doveri tipici di un sistema basato sul singolo nucleo familiare (composto solo da genitori e figli), ha esteso i diritti della donna offrendole maggiore libertà di scelta per quanto concerne la sua vita privata. In questo modo il paese ha aderito ad un’interpretazione modernista della shari’a (legge islamica) assumendo molti principi di eguaglianza tra i sessi che sono anche propri agli Stati moderni europei. Nel 1993 sono stati fatti ulteriori emendamenti due dei quali mettono l’accento sulla distribuzione dei compiti all’interno della famiglia al fine di garantire l’uguaglianza tra i coniugi. Nonostante queste trasformazioni, ciò che è garantito dalla legge è ancora lontano da quelle che sono le pratiche sociali. Il governo tunisino si sta comunque impegnando in questa direzione, anche per sostenere in modo più efficace il suo ingresso nel partenariato Euromediterraneo prevista nel 20072010. Nel 1985 ha ratificato la Convenzione sull’Eliminazione di Tutte le Forme 204 di Discriminazione Contro le Donne (CEDAW) con alcune riserve dovute a conflittualità con i valori islamici. A partire dagli anni Novanta si sono moltiplicate le istituzioni egli enti filo-governativi per il monitoraggio e la promozione dei diritti delle donne, tra cui il Ministero degli Affari della Donna e della Famiglia, (MAFF). DIVORZIO E SEPARAZIONE: grazie al Codice dello Statuto Personale, in Tunisia è stato abolito il ripudio (istituzione islamica ancora vigente nella maggior parte dei paesi arabi) che prevedeva il diritto esclusivo dell’uomo di sciogliere il matrimonio, ed è stato introdotto il divorzio che può essere richiesto dall’uno o dall’altro dei due coniugi. In seguito all’udienza di conciliazione in cui si tenta di scongiurare il divorzio e alla successiva pronuncia della sentenza,, se nessuno ricorre in appello il divorzio diventa definitivo dopo 30 giorni. L’affidamento dei figli in generale viene fatto alla madre e il padre deve provvedere al pagamento degli alimenti. In caso di difficoltà di pagamento da parte del debitore è disponibile un fondo di garanzia per gli alimenti. Nonostante le leggi, la consuetudine sociale fa emergere molti problemi in cui il retaggio della società patriarcale emerge in tutto il suo estremismo, soprattutto se la coppia divorziata ha prole. Uno dei problemi principali è il mancato versamento degli assegni familiari da parte del marito. SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI Durante la colonizzazione francese, il sistema educativo tunisino comprendeva tre tipi di scuole: le scuole coraniche tradizionali, le scuole coloniali in francese e le scuole franco-arabe. In queste ultime, l’insegnamento della religione islamica e della lingua araba era affiancato dallo studio del francese e di materie tecniche e scientifiche. Le scuole franco-arabe divennero il modello della scuola tunisina dopo l’indipendenza. Durante la presidenza di Bourguiba (dal 1956 al 1987) il sistema scolastico fu unificato e tutte le scuole vennero poste sotto il controllo del Ministero dell’Istruzione. Nonostante le diffuse campagne di alfabetizzazione, lanciate dopo l’indipendenza, e l’aumento della scolarizzazione elementare, l’analfabetismo nel Paese restava però ancora elevato, soprattutto tra le donne e in ambito rurale. Malgrado le risorse finanziarie limitate, lo Stato tunisino considera l’educazione come uno dei presupposti fondamentali dello sviluppo economico e sociale del paese e a partire dall’indipendenza riserva circa il 7% del PIL (2001) al settore. L’educazione della scuola pubblica è gratuita. Sono previste borse di studio e finanziamenti statali per gli studenti delle classi disagiate della popolazione. Negli ultimi anni è osservabile una importante crescita degli istituti privati, concentrati soprattutto nelle grandi città. I programmi sono approvati dal Ministero dell’Istruzione. SCUOLA MATERNA: la scuola materna è facoltativa e copre la fascia d’età che va dai 3 ai 6 anni. A partire dal programma della Strategia Nazionale di 205 Alfabetizzazione inaugurato nel 1992, lo Stato si è impegnato a promuovere sul territorio l’educazione per l’infanzia, incoraggiando la formazione degli educatori, la nascita di infrastrutture e l’iniziativa privata. Allo stato attuale la maggior parte delle scuole materne (jardin d’enfance) sono gestite da soggetti privati singoli o riuniti in associazione. Rispetto all’Italia, i costi incidono in modo ridotto sul reddito medio di un lavoratore. SCUOLA DELL’OBBLIGO: nel 1991 è stata intrapresa una importante riforma globale dell’istruzione che estende la scolarizzazione obbligatoria a nove anni (dai 6 ai 16 anni) e si propone di ridurre la dispersione scolastica, migliorando la qualità del cosiddetto enseignement de base (insegnamento di base) che è suddiviso in due cicli: 1. premier cycle (I ciclo) che comprende 6 anni di scuola elementare (6-11 anni); 2. deuxième cycle - école preparatoire (II ciclo, scuola preparatoria) che comprende tre anni di scuola media (12-15 anni). Alla fine dei due cicli viene rilasciato il Diplôme de Fin d’Etudes de l’Enseignement de Base. Nonostante gli sforzi esiste ancora una differenza marcata tra zone urbane e rurali dove fenomeni di dispersione scolastica e irregolarità della frequenza sono forti. Uno dei fattori principali è costituito dalle lunghe distanze da percorrere per raggiungere i vari istituti. SCUOLE SECONDARIE SUPERIORI: il cosiddetto enseignement secondaire copre un periodo di quattro anni: dopo i primi due anni di materie comuni, gli studenti devono scegliere tra cinque diversi orientamenti: lettere, scienze sperimentali, matematica, tecnica o economia e gestione. Questo ciclo termina con l’ottenimento del baccalauréat, l’esame più importante del ciclo di studi, sostenuto a livello nazionale e per questo richiede una preparazione severa. In alternativa all’insegnamento secondario, ci sono le scuole tecniche che si occupano di formazione professionale il cui ciclo copre un periodo di tre anni. CALENDARIO E ORARI: l’anno scolastico inizia a settembre e termina a giugno ed è diviso in trimestri che sono intervallati da alcune festività: oltre a quelle estive, esistono anche le vacanze d’autunno (una settimana a novembre, in occasione della festa del 7 novembre, l’anniversario della presa del potere dell’attuale presidente Ben Ali), le vacanze d’inverno (due settimane a partire dal 20 dicembre) e le vacanze di primavera (due settimane dopo il 20 marzo). Accanto a queste ci sono le altre feste civili e religiose comuni a tutta la popolazione non solo scolastica. La frequenza alle lezioni avviene dal lunedì al sabato, in molti casi ci sono i doppi turni perché gli studenti sono troppi rispetto alle strutture disponibili: c’è chi va a scuola solo la mattina o solo il pomeriggio oppure 2 ore alla mattina e 2 ore al pomeriggio. Questo crea molte difficoltà per le famiglie che hanno i genitori che lavorano. Una delle possibili soluzioni è quella di affidare i figli a garderies private che li prendono in cura negli intervalli tra un ciclo di lezione e l’altro. 206 PROGRAMMI E ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA DELLA SCUOLA DELL’OBBLIGO: uno dei principali cambiamenti apportati nell’ambito dei programmi della scuola dell’obbligo è stata l’arabizzazione della lingua veicolare: se prima per quel che riguardava le materie scientifiche la lingua di insegnamento era il francese, ora tutte le materie sono insegnate (lettura e scrittura) in arabo standard19 (fusah), un cambiamento che ha comportato parecchie difficoltà di aggiustamento tra gli insegnanti. Gli insegnamenti sono suddivisi in cinque aree: linguistico-letteraria (lettura e comprensione del testo, espressione orale e scritta, dettatura, recitazione a memoria), sociale (educazione islamica, educazione civica), scientifica (matematica ed elementi di fisica e biologia), artistica e musicale (educazione musicale, artistica e teatro), ed educazione fisica. La lingua francese diventa in tutto e per tutto una lingua straniera, affiancata dall’inglese negli ultimi due anni (di cui vengono insegnate solo le basi). A seconda delle zone e dei quartieri, nelle scuole si può arrivare ad avere tra i 30 e i 40 alunni per classe. Il rapporto tra insegnante e studente è tradizionalmente autoritario e l’apprendimento è in gran parte mnemonico, un retaggio delle scuole coraniche. Con la riforma del 1991 sono state introdotte modalità di insegnamento diverse, mutuate dai programmi didattici dei paesi francofoni, tramite progetti di cooperazione internazionale. Il governo tunisino assicura in alcune città di Italia il primo ciclo dell’insegnamento dell’obbligo per i figli dei cittadini emigrati, fornendo strutture ed insegnanti o in alternativa offrendo insegnamenti integrati in lingua araba nei giorni festivi. VALUTAZIONE: la valutazione avviene a scadenza trimestrale tramite prove orali e scritte. Nel vecchio regime si attribuiva grande importanza agli esami annuali e alla fine del ciclo delle elementari veniva sostenuto un esame a livello nazionale; attualmente invece questo è stato abolito e per ridurre la dispersione scolastica si prendono in considerazione i progressi di ogni singolo allievo nel corso di tutto l’anno basandosi sulle prove sostenute alla fine di ogni trimestre. I voti sono attribuiti su scala ventesimale e vengono accompagnati da un giudizio. L’adattamento a questo nuovo sistema però è molto lento, sia per la mancanza di risorse adeguate sia per una certa resistenza culturale della classe più anziana degli insegnanti. DIVIETI E OBBLIGHI: alla mattina, prima dell’inizio delle lezioni, tutti gli studenti si riuniscono in cortile per l’alzabandiera e intonano l’inno nazionale. Nella scuola di base tutti i bambini indossano una divisa (blu o gialla per i bambini e rosa o beige per le bambine), gli insegnanti indossano un camice bianco. Nel ciclo superiore invece la divisa è obbligatoria solo per le ragazze. 19 L’arabo fusāh è la lingua dotta scritta che è altro dalla forma dialettale che viene parlata nella vita quotidiana per strada e in famiglia (derija). 207 VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE La Tunisia è tra i paesi arabi che maggiormente ha rivoluzionato i modelli relazionali tra uomo e donna, presentando però non poche contraddizioni, dal momento che sono stati interventi di tipo politico che hanno faticato a trovare un riscontro nella popolazione. Si ricorda che i movimenti femministi islamici e laici sono sorti a partire dagli anni Sessanta e Settanta e hanno interessato una parte élitaria della popolazione. La promulgazione del Codice dello Statuto Personale (CSP) è avvenuta invece molto prima (1956). Il rafforzamento della politica per le Pari Opportunità negli anni Novanta è avvenuto anche sotto la pressione delle Agenzie Internazionali che in quegli anni hanno attivato importanti programmi in questo senso. Ciononostante è innegabile che ci sono state importanti trasformazioni che distinguono la Tunisia rispetto ad altri paesi come il Marocco o l’Egitto. I profondi mutamenti introdotti dal CSP hanno portato a una generale rimessa in discussione delle identità collettive che storicamente si sono basate sui vincoli parentali estesi in linea maschile e hanno funzionato come punti di riferimento per la solidarietà e il controllo sociale. Attualmente assume sempre più importanza il ruolo sociale e lavorativo dell’individuo anche se è un ruolo che deve sempre rispondere prevalentemente ai bisogni della famiglia e della riproduzione della società e non della propria libertà individuale. Cioè il ruolo dell’individuo non è più solo descritto dalla posizione occupata nelle relazioni familiari e di genere. L’uomo in qualche modo deve guadagnarsi la sua autorità in famiglia che non è più solo ascritta e spesso questo avviene assumendo esclusivamente su di sé la responsabilità di portare a casa i soldi. In molti casi se la donna lavora non è per una sua autonomia quanto piuttosto per una necessità del nucleo famigliare che gli uomini di famiglia non sono in grado di soddisfare. Allo stesso tempo però è anche vero che si è notevolmente incrementato il numero di donne che entrano nel mercato del lavoro grazie alla scolarizzazione: nel 2002 la percentuale di donne lavoratrici è stimata al 37,5% e la proporzione di donne in cerca di prima occupazione è raddoppiata tra il 1984 e il 1999 passando dal 20,7% al 42%. Il lavoro femminile è concentrato nel settore tessile e agricolo ma per le donne maggiormente istruite diventa rilevante il settore pubblico e privato (delle imprese). All’ingresso nel mercato del lavoro delle donne non è però corrisposta una politica adeguata di servizi di supporto per l’infanzia. Alla fine degli anni Novanta si riusciva a coprire solo il 13% del fabbisogno della fascia d’età 3-6 anni. Le strutture erano maggiormente concentrate nelle grandi città con una accentuata disparità tra i governatorati costieri e quelli interni. La famiglia allargata e il supporto delle donne rimane una risorsa importante. Queste trasformazioni hanno scardinato la definizione dei ruoli di genere così come la cultura islamica interpretata in senso restrittivo e quella locale radicata in specifiche divisioni dei ruoli, avevano finora contribuito a creare. La separazione degli spazi tra i generi (pubblico-uomo, privato-donna) comincia a disgregarsi creando non poche conflittualità e difficoltà soprattutto da parte delle donne che scelgono di lavorare fuori e devono lottare per essere 208 riconosciute nelle loro capacità intellettuali e produttive al di fuori dell’ambito domestico. Tuttora la donna nella richiesta ad esempio di crediti o in altre operazioni finanziarie o amministrative, deve dare garanzie prodotte dal marito o da un uomo di famiglia, nonostante abbia tutti i requisiti per poterlo fare. È importante però non cadere nello stereotipo che spesso i paesi occidentali si sono costruiti sulle società islamiche in cui l’attribuzione dello spazio domestico alla donna abbia significato solo inferiorità e segregazione. Questa concezione è un retaggio delle trasformazioni della società occidentale nell’epoca postindustriale in cui era forte la disaffezione per la casa. Inoltre non è solo nelle società islamiche che si verifica questo, anche nelle società mediterranee occidentali si riscontra uno stesso modello “spaziale”. All’origine di questo modello culturale c’è una spiegazione antropologico-simbolica: la donna viene considerata vulnerabile ed essendo portatrice dell’“onore” della famiglia patriarcale con il suo compito riproduttivo, l’“esposizione” negli spazi pubblici rende vulnerabile tutto il gruppo di appartenenza. Questa concezione, se da una parte ha limitato l’esposizione femminile negli spazi pubblici, arrivando in alcuni casi a vere e proprie segregazioni, dall’altra ha però portato a sviluppare un’importante attività femminile nel fare da filtro tra la famiglia e la comunità. Le feste del ciclo della vita, i rapporti di vicinato di cui le donne sono sempre promotrici, alimentano una produzione di scambi che va ben oltre gli affari privati. Nella società attuale convivono quindi diverse concezioni che ogni giorno vengono continuamente rinegoziate. Girando per le strade di Tunisi si può notare la coesistenza di diversi spazi: i caffè, luoghi tradizionalmente maschili dove gli uomini si ritrovano a bere caffè, tè o gazzose, giocando a carte o fumando la shisha (pipa particolare di tutti i paesi arabi). Le uniche donne che si vedono sono turiste. Le donne e le famiglie e i giovani si ritrovano invece nei self service, nei macdonalds, nei caffè alla francese oppure in caffè che assomigliano in tutto e per tutto a quelli tradizionali ma sono aperti a tutto il pubblico. STILI ALIMENTARI La cucina tunisina, come tutta la cucina del mondo arabo è fortemente influenzata dalla cultura e dalla religione musulmana. Le regole alimentari stabilite dal Corano vietano il consumo della carne di maiale e in generale della carne non halal (“lecito”), cioè non macellata secondo i dettami del Corano, che vogliono che in nome di Dio (bismillah) l’animale venga sgozzato, affinché il sangue, ritenuto impuro, esca completamente dal corpo dell’animale. È vietato anche il consumo di bevande alcoliche, per questo in tutto il mondo arabo si bevono molti succhi di frutta freschi (asir), tè (tè), caffè (qahwa) e bevande gazzose. Tuttavia non è raro incontrare tunisini che bevono alcol, soprattutto birra e spesso questo avviene anche di nascosto. 209 È una cucina che si differenzia da quella del Medio Oriente perché è influenzata dalla cultura berbera. Il tipo di pane (khubz) più diffuso è la baguette, eredità della dominazione francese; quello tradizionale, spesso fatto in casa (tabbouna o kessra) ha invece una forma tonda. Si accompagna a tutti i piatti e viene usato spesso in sostituzione delle posate, attingendo il cibo da un unico piatto, come negli altri paesi di cultura arabo-musulmana. Per questo è molto importante il rito del lavaggio delle mani prima e dopo il pasto: in tutti i posti che vendono piatti caldi, c’è sempre un piccolo lavandino dove i clienti possono lavarsi le mani. Il cuscus costituisce il piatto base di tutti i paesi del Nord Africa, soprattutto in Tunisia. È anche il piatto delle principali ricorrenze come nascita, matrimonio e Ramadhan. È prodotto a base di semola lavorata con acqua, ridotta in granelli finissimi fatti seccare al sole. Nelle famiglie sono le donne che si dedicano alla lunga preparazione, che provvedono d’estate alle scorte per tutta la stagione invernale. Capita spesso di vedere gli immigrati che alla fine delle vacanze rientrano in Italia con bidoni colmi di cuscus. Il cuscus viene cucinato al vapore e accompagnato da verdure cotte, carne di agnello, pollo o manzo oppure pesce, spesso stufati in un sugo di pomodoro (concentrato). La cucina tunisina utilizza molto le spezie ed è piccante. L’harissa, pasta di peperoncino piccante mescolata a spezie, è infatti alla base di tutti i sughi e condimenti. Altre specialità tunisine sono il brik, triangolo sottile di pasta croccante (malsouka), fritto o fatto al forno, farcito di tonno, uova e formaggio; la tajine, diversa dalla specialità che ha lo stesso nome in Marocco (uno stufato di carne e verdure), è una sorta di torta salata cucinata al forno a base di uova con diverse varianti; l’insalata meshouia, fatta di peperoni, cipolle, aglio cucinati alla griglia e passati. Spesso, nelle località del centro e Sud del paese, viene offerta nei baracchini che si trovano lungo le strade e offrono esclusivamente carne di montone alla griglia (meshoui) venduta a peso. Altro cibo diffuso che spesso la gente mangia anche fuori casa è il lablabi, una zuppa di ceci. Alla fine di ogni pasto si usa bere il tè verde o nero. Viene servito con la menta ma anche con la frutta secca, soprattutto pinoli. In tempo di Ramadhan si rompe il digiuno con il ghaieb, una sorta di latte cagliato accompagnato dai datteri (tamr), come fece Maometto. Durante la stagione calda vengono consumate molte bibite, soprattutto gasate (gazzeuz) e una tipica bevanda fatta in casa e che si può trovare anche nei bar e lungo le strade, la limonade. I dolci sono particolarmente zuccherati, preparati a base di datteri, miele e frutta secca. Durante il Ramadhan le famiglie ne consumano in grande quantità. Un tipico dolce di questo periodo è il makroudh, fatto a base di datteri. 210 RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA La cultura tunisina è caratterizzata da riti e tradizioni legati al ciclo della vita che non fanno riferimento solo alla cultura islamica ma costituiscono l’incontro tra diverse tradizioni e culture. In emigrazione non sempre è facile mantenere il ritmo dei festeggiamenti e soprattutto non sono presenti tutti i famigliari e gli amici che sono fondamentali per sancire i vari passaggi del ciclo della vita. Essendo la Tunisia un paese vicino, spesso il periodo estivo diventa il momento in cui molti approfittano per rientrare al paese e compiere i festeggiamenti. NASCITA: nelle famiglie più religiose, quando un bimbo nasce, si usa pronunciare al suo orecchio l’adan, il richiamo alla preghiera, che comprende anche la shahada, la dichiarazione di fede in Allah; una settimana più tardi ha luogo una festa in cui vengono invitati parenti e amici che portano soldi e regali per il nuovo nato. In questa occasione viene sancita dal padre l’appartenenza del nuovo nato alla famiglia e si festeggia mangiando cuscus e l’agnello ucciso per l’occasione. Ancora nei mesi successivi ci sono le visite di parenti e amici che portano doni al nuovo nato. Tra i 7 e i 10 anni a tutti i bambini di sesso maschile viene fatta la circoncisione (thur), un rito che segna il passaggio alla pubertà e che viene sancito con grandi festeggiamenti. In Italia questa pratica è vietata se non per ragioni strettamente sanitarie e quindi le famiglie riportano i figli appositamente in Tunisia per svolgere il rito. MATRIMONIO: il rito del matrimonio ha una lunga tradizione che tuttora viene strettamente osservata, non solo nei ceti più popolari ma anche in quelli più borghesi e intellettuali. Nell’ultimo periodo si è riscontrato anzi un forte ritorno alle cosiddette tradizioni, dopo una fase in cui la scelta del coniuge e la cerimonia del matrimonio, si avvicinava a modalità più simili a quelle occidentali. Ogni regione ha le sue tradizioni e i suoi riti ma c’è comunque una sequenza di riti che è ricorrente in tutta la Tunisia. Il rito del matrimonio si svolge nell’arco di sette giorni e ha tempi di preparazione e di attesa molto lunghi. Dopo una prima fase in cui si espletano le procedure legali e burocratiche dell’unione (spesso anche un anno prima della vera e propria festa), ha inizio una seconda fase articolata in diversi momenti che segnano per la donna il graduale abbandono del tetto di famiglia e per l’uomo l’accoglienza della sposa nella sua famiglia: GHUTUB FIDANZAMENTO: i futuri sposi si scambiano gli anelli di fidanzamento dopo che i rispettivi genitori hanno dato il loro consenso. SDEK contratto di matrimonio, legalizzato dal sindaco (rais al-baladeia) oppure da un notaio (?del) in casa. Fa seguito una festa. UTIA la futura sposa viene preparata dalle donne di casa e dalle sue migliori amiche il giorno di venerdì: dapprima viene condotta all’hammam (bagno turco) tra i festosi zagharid (gridi tipici che le donne fanno nelle occasioni di festa) delle donne, dove viene lavata e purificata; poi le sue mani e i suoi piedi vengono 211 colorati e ornati con la henna (polvere rossa vegetale). Infine viene festeggiata da tutte le donne della famiglia, del vicinato e in generale da tutte le amiche, in una serata di musica in cui vengono offerti dolci e tè. La stessa cosa avviene il sabato per lo sposo, al quale viene decorato con la henna solo il dito mignolo. In entrambe le occasioni vengono fatte offerte in denaro agli sposi al ritmo di alcuni strumenti di percussione (darbouka e bendir). Nel caso dello sposo le offerte vengono tutte annotate in una lista con il nome dell’offerente in modo poi da rendere in altre occasioni di festa (circoncisioni e matrimoni) l’ammontare ricevuto. È un’offerta che vuole contribuire ad un buon avvio della nuova unità domestica, dal momento che le spese per la festa di matrimonio sono ingenti. EL-ARS la festa di matrimonio finale che viene fatta nei pressi della casa dello sposo, soprattutto nelle zone rurali oppure in locali appositi. Mentre lo sposo si trova già sul posto, la sposa viene accompagnata in macchina da un corteo festoso. I festeggiamenti durano tutta la notte. Nelle zone periurbane e rurali è diffusa la tradizione di mostrare alle famiglie la macchia di sangue sul lenzuolo dopo la prima sera di matrimonio, a testimonianza della verginità della donna. FUNERALI: quando una persona muore si fa sgozzare un animale e si invitano parenti e amici a casa a cenare. Sono sempre e solo gli uomini ad accompagnare la salma al cimitero, sia che si tratti di un uomo, sia che si tratti di una donna. L’ufficio del funerale è una cerimonia semplice che si svolge presso la moschea e al cimitero con l’imam che intona le preghiere per il defunto. Il corpo viene seppellito nel cimitero con il viso in direzione de La Mecca. In seguito viene osservato un lutto di quaranta giorni durante il quale secondo la tradizione l’anima del defunto sta preparandosi a lasciare la casa e i familiari attendono il momento praticando l’astensione dal fumo, dalla cura e dal lavaggio del proprio corpo e da tutte quelle attività che distolgono troppo l’attenzione. Allo scadere dei quaranta giorni l’anima lascia definitivamente la casa e la famiglia può ritornare ai suoi ritmi normali. SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI 20 La salute materna e dell’infanzia sono state le priorità intorno alle quali si è strutturato il sistema sanitario in Tunisia a partire dall’indipendenza. In questo periodo infatti il paese deve misurarsi con alcuni problemi immediati: elevato tasso di natalità, mortalità materna e infantile in generale e penuria di strutture sanitarie. Le campagne sulla pianificazione familiare sono iniziate negli anni Sessanta: la vendita di prodotti anticoncezionali è libera dal 1961 (contro i dettami della religione islamica). Nel 1965 una legge ha autorizzato l’interruzione volontaria della gravidanza. Oggi il tasso di crescita è del 2%, uno dei più bassi dei cosiddetti paesi in via di sviluppo. 20 I dati cui si fa riferimento in questo paragrafo sono desunti da UNDP Rapporto sullo sviluppo umano 2004 e si riferiscono agli anni 2001-2002. 212 Grazie ad un’efficace azione di programmazione e intervento, tra il 1956 e il 1991 le strutture sanitarie di base sul territorio si sono moltiplicate raggiungendo anche le zone più remote del paese: i centri per la salute di base si moltiplicano di ben sei volte a fronte di una popolazione nel frattempo raddoppiata. È ancora spiccato il problema della copertura territoriale delle prestazioni di base in quanto la classe medica e paramedica è fortemente concentrata nelle città e negli ospedali universitari (dove le prestazioni sono altamente specializzate e orientate alla ricerca) dal momento che la libera professione e il lavoro in università sono quelli che offrono maggiori incentivi alla mobilità sociale ed economica. A partire dal 1991 la Tunisia ha avviato un importante processo di riforma del sistema. Il regime di assicurazione per la malattia presenta ancora forti disparità. Attualmente si prevede la copertura assicurativa tramite lo stato o il sistema previdenziale della maggior parte della popolazione attiva secondo diverse modalità che prevedono rimborsi totali o parziali a seconda della fascia sociale. Oltre ai dipendenti pubblici e privati si prevede la copertura assicurativa di altre due categorie di popolazione, quella a basso reddito e quella della popolazione indigente. Molti restano però scarsamente tutelati: alla fine degli anni Novanta si rileva che ben il 10% della popolazione non è coperto e la maggior parte di questa è costituita da anziani, donne vedove o divorziate disoccupate con figli a carico e operai stagionali. Ciononostante la Tunisia presenta un quadro sanitario che è tra i migliori di quelli che si possono riscontrare nella media dei paesi arabi. Nel 2002 il 4,9% del PIL è riservato alla spesa pubblica della sanità e l’1,6% al privato. Questo incide con una spesa di 463$ annui pro capite. È una situazione che si differenzia notevolmente da altri paesi arabi come ad esempio il Marocco e l’Egitto, dove la spesa sanitaria per il settore privato è pari se non superiore al pubblico. Ciononostante i risultati nei suddetti paesi non si differenziano di molto, fatta eccezione per l’elevata percentuale di donne che in Tunisia partoriscono assistite da personale sanitario (90%), più del doppio di quello che si registra in Marocco e di un terzo di quel che accade in Egitto. I bambini che al primo anno di vita risultano completamente immunizzati contro la tubercolosi e il morbillo sono rispettivamente il 97% e il 94% dei casi. Il numero medio di medici ogni 100.000 abitanti è di 70 unità, superiore al Marocco ma inferiore di un terzo di quelli disponibili in Egitto. FIABE TRADIZIONALI Nella tradizione tunisina ci sono molte fiabe che si rifanno a tradizioni e racconti orali noti in tutto il mondo arabo come le Mille e una notte o Giuhà. In particolare quest’ultimo è uno dei personaggi più conosciuti. Nelle sue storie – organizzate in un ciclo narrativo –, viene sempre presentato con due facce: quella di un personaggio astuto e cinico ma anche quella di uno stupido e sciocco. È una figura che si è diffusa oltre i confini del mondo arabo e a seconda del paese assume nomi leggermente diversi. Le sue avventure si svolgono nella 213 quotidianità del quartiere o dei luoghi pubblici più frequentati come il mercato, l’hammam (bagno turco), il tribunale, ecc. Un tema molto importante nelle favole tunisine ma in generale in tutte quelle arabe è quello della magia del mondo degli orchi (ghoul) e degli spiriti (Djiin e Afreet). Questi ultimi possono essere sia protettori da invocare che pericolosi nemici da sconfiggere e hanno uno spazio molto importante nei racconti orali, quanto gli eroi e i cavalieri. Questo genere di tradizioni orali erano narrate in casa dalle donne, spesso le nonne o le bonnes (le “nostre” colf). Le favole arabe hanno diverse formule di apertura che sottendono una certa suggestione al vago: kan ma kan fi qadim azzaman (c’era, non c’era, nell’antichità dei tempi); kan ma kan la han wa la han (c’era, non c’era, non qui e non altrove). La gallina magica C’era una volta un uomo povero che fu toccato dalla fortuna. Aveva comprato una gallina che gli faceva delle uova d’oro e durante il giorno le vendeva. La sua vita era migliorata molto ed era diventato ricco. Aveva tanti soldi, ma non sapeva come spenderli. Cominciò a sprecarli per cose futili.Purtroppo l’uomo non era soddisfatto di quello che gli produceva la gallina e voleva sempre di più. Diventò molto avido di denaro. Un giorno chiamò sua moglie e le disse: “Naima, secondo me c’è un tesoro dentro la pancia della gallina, perché non la uccidiamo e prendiamo tutto il tesoro in una sola volta?”. La moglie gli rispose: “È proprio una bella idea!”. Così la uccisero e cominciarono a cercare il tesoro, ma non trovarono niente e alla fine avevano perso anche la gallina. In poco tempo ritornarono di nuovo poveri; si pentirono, ma… chi troppo vuole nulla stringe! Un proverbio arabo dice: “La persona avida dorme con la fame!”. Daniela Benevelli, Il tesoro invisibile. Favole, fiabe e racconti di 15 paesi, EMI, Bologna, 2003, p. 62. RICETTE Meshouia Ingredienti: 300 g pomodori maturi, 300 g peperoni verdi dolci, 1 cipolla, 1-2 spicchi d’aglio, 1 cucchiaino di coriandolo, cucchiaino di carvi, 100 g tonno, qualche oliva nera o verde, 1 uovo sodo, olio d’oliva e succo di 1 limone. Preparazione: grigliare o abbrustolire al forno pomodori, peperoni e la cipolla. Sbucciarli e togliere i semi. Passare tutte le verdure con il passaverdure e condirle con aglio sminuzzato, spezie, olio d’oliva e sale quanto basta. Servire il 214 tutto su un piatto, insieme a tonno sbriciolato, uovo a spicchi e olive sparse. Condire con olio e succo di limone. Brik Ingredienti: 6 sfoglie di brik (malsouka, si trovano nelle macellerie islamiche), 250 g tonno sott’olio, 3 cucchiai di prezzemolo tritato fine, 2 patate lesse, 6 uova, sale e pepe, 2 limoni. Preparazione: sminuzzare il tonno e aggiungere prezzemolo e patate lesse schiacciate. Mescolare, salare e pepare bene. Mettere un pugnetto di questo impasto su un foglio di malsouka, fare un buco al centro e romperci l’uovo. Piegare il foglio in due e immergerlo nell’olio bollente. A cottura ultimata, servire con spicchi di limone da spremere sopra. POESIA Uno dei poeti tunisini più noti anche nella storia della letteratura araba del Nord Africa è Abu Al Qasim Al Chabbi (1909-1934). Poeta molto giovane, ha contribuito al rinnovamento del linguaggio poetico arabo, attirando non poche critiche. Morto molto giovane ha lasciato un’unica raccolta di liriche di cui si possono trovare alcune poesie tradotte in raccolte antologiche italiane (cfr. bibliografia). Un poeta francofono che sta emergendo e accessibile nelle traduzioni italiane è invece Majid Al Houssi: nato in Tunisia, vive dal 1962 a Padova e ha una cattedra di linguistica francese all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Tra le sue raccolte si segnalano quelle tradotte in italiano: Imagivresse (Francisci, 1973); Le regard du coeur/Lo sguardo del cuore (L’Harmattan Italia, 2002) (testo a fronte francese-italiano). LETTERATURA La letteratura tunisina fa parte della storia della letteratura maghrebina che durante l’epoca del colonialismo e successivamente durante le migrazioni verso l’Europa ha sviluppato un importante filone letterario francofono. Tuttora la scrittura degli autori maghrebini è infatti caratterizzata non solo dall’uso delle lingue madri (l’arabo standard, la lingua dotta che discende dal Corano; l’arabo dialettale, quello parlato nella vita quotidiana e il berbero) ma anche dall’utilizzo della lingua francese, la lingua dei colonizzatori che è diventata parte integrante del patrimonio culturale locale, essendo stata imposta come lingua veicolare dell’insegnamento al posto dell’arabo standard. Dunque il francese per un lungo periodo è stata l’unica lingua conosciuta dai tunisini accanto all’arabo dialettale. È stata cioè la lingua con cui molti scrittori tunisini, non solo emigrati in Europa (soprattutto in Francia) ma anche rimasti al paese, hanno raccontato le memorie sul paese d’origine, le sofferenze per la lotta all’indipendenza e le difficoltà incontrate nel paese d’adozione. Rispetto 215 agli autori nati o originari dal Marocco e dall’Algeria, gli scrittori tunisini non hanno conosciuto una particolare popolarità all’estero. Ciò non toglie che si possono comunque trovare opere tradotte in italiano. Sul paese: colonialismo e identità Albert Memmi: Nato a Tunisi il 15 dicembre 1920 nel quartiere ebraico, “la hara”, frequenta il liceo francese di Tunisi e studia filosofia all’università di Algeri. Nel 1943 conosce i campi di lavoro forzati in Tunisia. Dopo l’indipendenza si stabilisce a Parigi ed è professore di psichiatria sociale all’Ecole Pratique des Hautes Etudes. Dirige presso la casa editrice Maspero la collana “Domain Maghrebin”. Nel 1973 prende la cittadinanza francese. Nella sua opera è ricorrente il tema dell’identità nei suoi risvolti anche più drammatici. Tra i suoi libri pubblicati in italiano si segnalano: La statua di sale (Costa & Nolan, 1991, ed. or. 1966), di cui si riporta sotto un brano, Il razzismo. Paura dell’altro e diritti della differenza (Costa & Nolan,1999); Ritratto del colonizzato e del colonizzatore (Liguori, 1979), Il faraone, (Textus, 2000); Il ritratto di un ebreo (IPL, 1968). Sull’esperienza dell’emigrazione Meddeb, Abdelwahab, Fantasia (Edizioni Lavoro, Roma, 1992, ed.or.1986) trad. dal francese. Methnani, Salah, Immigrato, con Mario Fortunato (Theoria, 1990), in lingua italiana. Mellah, Fawzi, Clandestino nel Mediterraneo (Asterios, 2001), trad. dal francese. Altri autori Al Du’agi ‘Ali (1909-1949), In giro per i caffè del Mediterraneo (Abramo, 1995, ed. or. 1933) trad. dall’arabo. Haddâd, Malek, Una gazzella per te (Mondadori, 1960), L’ultima espressione (Mondadori, 1960). Shams Nadir, L’astrolabio del mare (Semar, 1991), I portici del mare (Sellerio, 1992). Bekri Tahar (poeta), Il rosario degli affetti (Bulzoni, 1997). Bouraoui Hédi, Ritorno a Thyna (doraMarkus, 1998). RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Atallah Soula E., I diritti della donna in Tunisia e le religioni, in Rivista Internazionale dei diritti dell’uomo, Università Cattolica, Milano Anno XII, gennaio-aprile 1999. Camera d’Afflitto I., Letteratura araba moderna e contemporanea, Carocci, Roma, 1998. Carchedi F., “I tunisini”, in Mottura G. L’arcipelago immigrazione - Caratteristiche e modelli migratori dei lavoratori stranieri in Italia, Ediesse, Roma, 1992. 216 Carchedi F., Il processo di insediamento della colonia tunisina in Italia. Aree di esodo, direzionalità dei flussi e collocazione locale, Parsec, Roma, giugno 1994. Chinosi L., Sguardi di mamme. Modalità di crescita dell’infanzia straniera, FrancoAngeli, Milano, 2003. Comune di Milano - Servizi socio-sanitari, Nascere tra due diritti. Italia e EgittoMarocco-Tunisia, vol. I, Milano, 1999. Crespi G., Il matrimonio e il diritto di famiglia nel Maghreb, ISMU, Milano, 1997. Fabietti U., Culture in bilico. L’antropologia del Medio Oriente, Bruno Mondadori, Milano, 2002. Finzi S., Memorie italiane di Tunisia, Finzi Edizioni, Tunisi, 2000. Giacomarra M., Immigrati e minoranze. Percorsi di integrazione in Sicilia, Edizione La Zisa, Palermo, 1994. Lainati C., “Tunisini a Palermo: spazi, relazioni e identità in gioco”, in Il progetto migratorio tra aspettative collettive e libertà individuali, L’Harmattan, Torino, 1999. Melotti U., Macioti M.I., Mediterraneo. Di qua, di là dal Mare, Tunisia Italia, Ediesse, Roma, 2002. Pasotti N., Italiani e Italia in Tunisia, Edizioni Finzi, Roma, 1964. Perrone L., Porte chiuse. Culture e tradizioni africane attraverso le storie di vita degli immigrati, Liguori, Napoli, 1995. Rundo J., Cucina araba, Sonda, Torino, 1997. Schellembaum P., “Modelli formativi nel mondo arabo-musulmano”, Quaderni ISMU n. 8, FrancoAngeli, Milano, 1995. Stumme H. (a cura di), Favole della Tunisia, Xenia, Milano, 1994. UNDP, Rapporto 2004 sullo sviluppo umano, Rosenberg&Sellier, Torino, 2004. Venturini A., La scuola nei paesi d’origine dei bambini e dei ragazzi immigrati in Italia, Cespi, Mursia, Milano, 2003. SITOGRAFIA www.tunisie.com sito ufficiale del governo tunisino (presentazione paese, dati popolazione, ecc.). www.kalimatunisie.org rivista tunisina online d’opposizione sull’attualità sociale e politica nel paese, non riconosciuta nel paese. www.cnlt98.org sito del Conseil National des Libertés en Tunisie, organizzazione che si batte per la difesa dei diritti e delle libertà nel paese. www.unesco.org/education/efa/index.shtml sito dell’Unesco del programma mondiale “Educazione per tutti”. È possibile accedere ai rapporti di valutazione sui sistemi educativi nazionali di molti paesi. 217 DANZE Le danze collettive sono soprattutto diffuse nel centro e nel Sud del paese. A Jerba si può assistere alla danza Gougou eseguita da una ventina di danzatori disposti in cerchio al centro del quale si pongono tre musicisti. I danzatori girano su se stessi, tengono un bastone nella mano destra e, movendo anche le mani, eseguono spostamenti sulla circonferenza. Ricordano il movimento dei pianeti intorno al sole. 218 Ucraina di Simona Olivadoti, Annalisa Ornaghi DATI GENERALI L’Ucraina si trova nell’Europa orientale e confina a Sud col Mare di Azov, il Mar Nero, la Moldavia e la Romania; a Ovest con l’Ungheria, la Slovacchia e la Polonia; a Nord con la Bielorussia; a Est con la Russia. Per avere un’idea concreta della sua grandezza, essa equivale esattamente a due volte l’Italia ed è il paese più grande d’Europa dopo la Russia. Il territorio è prevalentemente pianeggiante, coperto da steppe e pianure (60% del territorio), si innalza a Ovest nell’altopiano Volino-Podalico e nei Carpazi, a Est nei rilievi del Donec, a Sud si estende la catena montuosa dei Monti di Crimea. Le coste sono caratterizzate dalla formazione di lagune dove sfociano i principali fiumi della regione: Dnestr, Bug Meridionale, Dnepr e Donec. Il clima è continentale, con inverni particolarmente rigidi, tranne che sulle coste del Mar Nero, che godono di un clima temperato. Abitanti: 51.706.742 (stime 2003). Estensione geografica: 603.700 kmq. Continente: Europa. Densità di popolazione: 81 ab./kmq. Incremento demografico: –0,72%. PIL: 205 miliardi di dollari. Vita media: 70.1 (65.5 m.; 74.8 f.). Alfabetizzazione: 98%. Mortalità infantile: 10,5/1000. 219 Lingua ufficiale: ucraino. Altre lingue: russo; rumeno; polacco; ungherese. Religione/i: cristiano-ortodossa (60%); ortodossa-ucraina (patriarcato di Mosca, patriarcato di Kiev); protestante; mennonita; ebraica; cattolica di rito greco. Gruppi etnici: ucraini 72.2%; russi 22.1%; ebrei 1.5%; bielorussi 1%; moldavi 0.6% altri 2.6%. Regime politico: Repubblica presidenziale con struttura unicamerale “Verkhovna Rada” (Parlamento) costituita da 450 deputati. Il Presidente, eletto dai cittadini per cinque anni, a suffragio universale, diretto e a scrutinio segreto, è il capo dello Stato. Egli nomina su proposta del Primo ministro i membri del Gabinetto dei Ministri (Uriad), i dirigenti degli altri organi centrali del potere esecutivo, nonché i capi delle amministrazioni statali. Il Presidente ha il comando supremo delle Forze Armate. LE FESTE PRINCIPALI Le feste della cultura ucraina si dividono in feste laiche, che coincidono con le feste italiane anche nel giorno, e feste religiose che seguono il calendario Giuliano. NATALE: il Natale si festeggia nella notte tra il 6 e il 7 gennaio, nella tradizione pagana è usanza abbellire l’abete; soltanto negli ultimi anni, dopo la caduta del comunismo, il Natale come festa religiosa, sta riprendendo la sua importanza. Precedentemente era consuetudine scambiarsi i doni a Capodanno. Per la cena della vigilia di Natale, si usa offrire il tipico piatto natalizio kutià, che si prepara con grano di frumento, miele e semi di papavero. Si usa anche portare la cena a casa dei parenti come dono natalizio. PASHKA: la Pasqua è la festa religiosa più importante del calendario ortodosso, si festeggia due settimane dopo quella cattolica. Si preparano i dolci pasca, che assomigliano ai panettoni, decorati con zucchero colorato e frutta secca, inoltre, si colorano le uova. La tradizione vuole che tutti questi prodotti vengano portati in chiesa nella notte di Pasqua per benedirli, e al mattino seguente, vengano riportati a casa per il pranzo. Come per la festività natalizia solo negli ultimi anni, la Pasqua si è potuta festeggiare liberamente. MASLENIZA (ULTIMA DOMENICA l’inizio della primavera. DI FEBBRAIO): festa per la fine dell’inverno e In questa festa di origine pagana si cucinano le bliny (frittelle) accompagnate da carne tritata e caviale, si beve tè caldo e vodka ascoltando musica folkloristica. Alla fine della giornata, dopo una processione, si dà fuoco ad una “strega” realizzata in legno che rappresenta l’inverno. 220 IVANA KUPALA (7 APRILE): festa di origine pagana, rappresenta il ringraziamento e il sacrificio al dio dei frutti verdi. In questo giorno vengono raccolte tutte le erbe medicinali, con i rami degli alberi e con la paglia si costruisce un bambolotto con abiti femminili abbellito con collane e ghirlande di fiori, che rappresenta il dio Kupala. Nella notte i pupazzi vengono gettati in acqua insieme alla ghirlande intrecciate dalle ragazze. La credenza popolare vuole che il ragazzo che troverà sulla riva del fiume la corona di fiori, sposerà la ragazza che l’ha costruita. VIRTUOSO NAZIONALE (9 MAGGIO): festa nazionale della vittoria nella “Grande Guerra Patriottica” (II G.M.) celebrata con spettacoli teatrali e musicali ispirati a tematiche nazionali. GIORNATA DELL’INDIPENDENZA (24 AGOSTO): in tutte le città viene ricordata questa ricorrenza con spettacoli ed eventi speciali. FESTA DELL’ASSUNZIONE (28 AGOSTO): in questa occasione numerosi fedeli si recano in pellegrinaggio presso il monastero di Pochayiv. IL SALUTO: Proshchatysia (salutarsi). CHE COSA SI OFFRE ALL’OSPITE Quando si viene invitati in una casa ucraina l’accoglienza è squisita. I convivi prevedono diversi brindisi a base di vodka, un distillato chiaro di frumento, segale e qualche volta patate. Il suo nome deriva da voda (acqua) e può essere tradotto con “ un goccino”. I brindisi sono preceduti da lunghi discorsi che si ascoltano in silenzio e la persona che pronuncia il discorso parla stando in piedi. I riti più comuni per l’ospite sono: l’accoglienza con pane e sale quale simbolo di ospitalità e un minuto di silenzio prima del congedo, dove ognuno dei presenti formula, auguri di buon viaggio per l’ospite. IMMIGRAZIONE IN ITALIA Cuore e culla della civiltà slava orientale, prima Rus’ di Kyiv da cui tutto quel mondo ha preso il nome con cui lo identificavamo, l’Ucraina è la terra che ha dato inizio al processo di identificazione nazionale e di organizzazione statale degli Slavi orientali, stringendo rapporti politici ma soprattutto culturali con Bisanzio e con Roma. Assorbita poi dall’impero zarista, ha manifestato l’amore del suo popolo per la libertà, prima nella “Repubblica dei Cosacchi”, una forma di “stato 221 democratico” prima del tempo, poi nei successivi tentativi di riacquistare l’indipendenza; e infine, nella lotta, sempre vivissima nella memoria, contro gli occupanti nazi-fascisti durante l’ultimo conflitto mondiale, quello che gli ucraini chiamano la loro “Grande Guerra Patriottica” (Virtuoso Nazionale). Un tempo detta addirittura “granaio d’Europa” per la fertilità della sua fascia di “terra nera”; ricca di minerali, anche rari e di industrie soprattutto nel settore pesante, l’Ucraina è certo un Paese potenzialmente ricco. Ma, dopo lo stallo e la recessione economica già in atto da tempo quando faceva parte dell’URSS, si è trovata ad affrontare nei primi anni della sua indipendenza una grave crisi economica dovuta alla secessione dell’URSS ed al venir meno dei precedenti legami economici dell’epoca sovietica, che prevedevano l’interdipendenza dei vari Stati. Il mutamento del sistema economico nella fase di transizione ha richiesto e richiede purtroppo, anche sacrifici, che spesso, come accade ovunque, ricadono soprattutto sulla parte più debole della popolazione, obbligandola a volte a percorsi migratori di breve o medio termine. L’immigrazione ucraina in Italia è relativamente giovane, risale a sette – otto anni fa. Le motivazioni di tale fenomeno possono essere fatte risalire principalmente ai seguenti aspetti: – il crollo del regime sovietico con il conseguente passaggio da un’economia pianificata ad una di mercato, sta creando molta disoccupazione, specialmente nei settori del lavoro intellettuale come scuole, sanità pubblica, università. Un altro settore in crisi è l’agricoltura a causa della desertificazione delle campagne; – il crollo del sistema di protezione sociale, ha portato, nell’ultimo decennio, un aumento significativo dei costi per i servizi sanitari, servizi generali e studi universitari che sono diventati a totale carico dei cittadini. Da queste principali motivazioni nasce la decisione di migrare; la maggior parte degli immigrati proviene dall’Ucraina Occidentale, visti i tradizionali e storici contatti che la legano all’Europa. Molti immigrati sono intellettuali e professionisti che, non trovando lavoro in patria, accettano qualsiasi lavoro nel paese d’arrivo. Sono in prevalenza donne di età compresa tra i 30 e i 45 anni, che trovano lavoro più facilmente degli uomini, soprattutto come badanti o colf. Il mercato informale dell’impiego domestico, ha permesso a queste donne, di apprendere i modelli culturali italiani. I flussi migratori di ucraini verso l’Italia, negli ultimi anni, sono notevolmente aumentati; nella graduatoria dei paesi di provenienza dei soggiornanti stranieri in Italia, l’Ucraina è passata dal 27° al 4° posto (112.802 soggiornanti nel 2003). L’Ucraina inoltre risulta al 2° posto dopo la Romania, nella graduatoria dei paesi con maggior numero di cittadini che hanno presentato istanza di 222 regolarizzazione (istanze presentate 105.669 – permessi rilasciati 100.727 – fonte: Polizia di Stato aprile 2004). I collettivi di ucraini sono dislocati prevalentemente nell’Italia Centro Settentrionale, il Lazio in assoluto è la regione con il maggior numero di immigrati ucraini, seguito da Lombardia, Emilia - Romagna, Veneto e Toscana. Nell’Italia Meridionale abbiamo una presenza consistente nella sola regione Campania. MODELLI DI CRESCITA ED EDUCATIVI Nelle zone rurali del paese, le giovani coppie una volta sposate restano a vivere con la famiglia di origine, che li sostiene anche nell’accudimento ed educazione dei figli. La donna nel suo ruolo di educatrice è spesso coadiuvata dalle parenti anziane che, negli ultimi anni, a causa della forte emigrazione delle madri, sono subentrate totalmente ad esse. I bambini in tenera età, dormono nella stessa stanza dei genitori che, secondo la tradizione popolare, trasmettono fiducia e forza nei piccoli. L’allattamento, soprattutto nelle zone rurali, si protrae fino agli otto mesi di vita. Altro ruolo importante nell’educazione è svolto quotidianamente dai figli maggiori che contribuiscono a sviluppare il senso di autonomia dei più piccoli. MODELLI DI CURA In Ucraina nelle zone rurali e montane è ancora molto diffuso l’utilizzo di piante ed erbe a scopo curativo, soprattutto dagli anziani, che ricorrono ugualmente alla medicina moderna per alcune patologie. Per esempio, nella zona dei Carpazi, per curare la pressione alta e l’asma viene utilizzato il vischio, pianta che nella tradizione si ritiene sia benaugurale per la famiglia e la salute. Nella tradizione ucraina è uso comune per gli anziani sorseggiare ogni giorno dopo il caffè l’élisir di lunga vita. Questo si ottiene spremendo ventiquattro limoni in un recipiente di vetro, si aggiunge poi una libbra di aglio tritato, il tutto va coperto con una garza e lasciato riposare per ventiquattro giorni. Molte donne ucraine immigrate, conservano l’utilizzo delle cure tradizionali apprese dalle loro madri, grazie alla presenza di alcune piante curative commercializzate anche in Italia. MODI E LUOGHI DI AGGREGAZIONE/SOCIALIZZAZIONE DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE 223 In Ucraina le attività sportive extra scolastiche per i bambini sono sostenute ed incoraggiate anche dal governo; gli sport più comunemente praticati sono il nuoto, il calcio e la ginnastica artistica. I bambini si ritrovano tra loro per giocare in gran numero nei cortili o nei parchi, avendo così la possibilità di divertirsi, imparare i valori del collettivo, del gruppo, dell’unità e dell’amicizia. I giochi variano in base alla stagione. In inverno giocano intere giornata a hockey, o costruiscono castelli e fortezze di neve e poi organizzano le guerre con gli assalti. In estate, i giochi preferiti dai maschi sono il calcio e il gioco della guerra. Quelle delle femmine sono “figli e madri”: le ragazzine imitano una famiglia accudendo le bambole come fossero i loro figli. MODELLI E STILI FAMILIARI Ruolo dei genitori: uomini e donne hanno ruoli ben differenziati all’interno della famiglia. La donna si occupa prevalentemente della cura della casa, dei figli preoccupandosi della loro educazione, e degli anziani della famiglia. L’uomo svolge il ruolo di capo famiglia occupandosi prevalentemente del mantenimento economico. VITA SOCIALE DELLE FAMIGLIE: negli ultimi anni a seguito della forte emigrazione, soprattutto femminile, le donne sono costrette a lasciare i figli e i mariti in Ucraina, per un tempo abbastanza lungo, qualche anno almeno; così i figli sono lasciati con i parenti e le famiglie tendono a disgregarsi, creando una rottura nel tessuto connettivo della società ucraina. ATTRIBUZIONE DEL NOME E DEL COGNOME: il controverso problema dell’identificazione dell’origine del bambino, particolarmente difficile soprattutto quando i genitori non erano sposati, viene regolato con una nuova normativa entrata in vigore il 1° gennaio 2003. I nomi ucraini sono composti di tre componenti: il nome proprio, il patronimico cioè il nome del padre in genitivo, ed infine il cognome, con la terminazione differente tra uomo e donna. ATTRIBUZIONE DELLA CITTADINANZA: con la nascita il bambino ottiene la cittadinanza dei genitori. Se il bambino nasce in Italia ottiene la doppia cittadinanza, al compimento della maggiore età, dovrà optare per una. FILIAZIONE NATURALE E RICONOSCIMENTO DEI FIGLI: per ottenere lo status di figlio naturale il padre e la madre devono registrare in comune il riconoscimento del figlio. REGISTRAZIONE DEGLI ATTI DI NASCITA: il giorno stesso della nascita del bambino bisogna recarsi all’Ufficio di Stato Civile per la registrazione. CONTRATTO DI MATRIMONIO: per contrarre matrimonio, bisogna presentare all’Ufficio di Stato Civile i seguenti documenti: certificato di nascita, certificato di stato libero, certificato di residenza. Successivamente vengono esposte le pubblicazioni matrimoniali, ovvero il “nulla osta” per la celebrazione del 224 matrimonio. Le pubblicazioni vanno sottoscritte personalmente dai nubendi dinanzi all’Ufficiale di Stato Civile. DIRITTI DEI MINORI: nel nuovo codice della famiglia, adottato il 1° gennaio 2003, viene per la prima volta stabilito che i genitori hanno diritti e doveri verso il figlio. Sono inoltre previste norme che riguardano il diritto all’istruzione e la repressione dei maltrattamenti. Anche nella Costituzione ucraina (entrata in vigore il 28 giugno 1996) all’art. 43, si tutela il minore con il divieto al lavoro minorile pericoloso alla loro salute, l’art. 52 è interamente dedicato ai diritti dei minori. DIRITTO DELLE DONNE: la violenza domestica continua ad essere comune in Ucraina, sebbene non siano disponibili statistiche ufficiali. Verso la fine del 2002 l’Ucraina ha informato il Comitato diritti umani delle Nazioni Unite circa le diverse misure in fase di elaborazione per combattere la violenza domestica. Tra queste: l’approvazione della Legge per la prevenzione della violenza domestica, che indica gli enti pubblici preposti all’adozione delle misure di prevenzione, nuove procedure d’indagine sugli atti di violenza domestica, la realizzazione di una rete di istituzioni specializzate per il sostegno alle vittime, come unità di crisi, case rifugio e centri di riabilitazione. Nonostante queste misure positive, permangono notevoli ostacoli per le donne in cerca di giustizia. DIVORZI E SEPARAZIONI: per ottenere la separazione ed il successivo divorzio è sufficiente che uno dei due coniugi presenti istanza in tribunale. Dopo le opportune verifiche in merito il giudice autorizza la separazione, se si è in presenza di un caso con figli minori, questi normalmente vengono affidati alla madre. SISTEMI SCOLASTICI E MODELLI FORMATIVI L’Ucraina ha deciso di investire molto nella formazione delle nuove generazioni del dopo 1991, per risollevarsi dalle pesanti eredità lasciate dal passato. Un passo decisivo viene fatto con la riforma del sistema scolastico. Quest’ultima è messa a punto dal Ministero dell’Istruzione e dall’Accademia di Scienze Pedagogiche, dovrebbe rinvigorire le sorti del sistema scolastico con un piano su venticinque anni. L’obiettivo consiste nel miglioramento delle condizioni di lavoro degli insegnanti (attualmente guadagnano circa € 75 al mese) e nel diritto all’istruzione gratuita per tutti, dalla scuola materna a quella secondaria. Accade spesso che gli insegnanti diano lezioni private a pagamento ai loro alunni come condizione per il superamento degli esami. Si calcola che le famiglie ucraine spendano circa un milione di euro all’anno in ripetizioni. Il sistema scolastico ucraino prevede dieci anni di studi obbligatori divisi in tre cicli: Scuola elementare: è rivolta ai bambini dai 6 ai 9 anni, le lezioni si tengono sempre nella stessa aula scolastica e con un’unica maestra. L’anno scolastico 225 inizia il primo settembre e termina il 25 maggio. In concomitanza con l’inizio delle lezioni si festeggia “La festa degli studi”. Le lezioni si interrompono per tre brevi pause di vacanze. La prima, inizia alla fine di ottobre per la durata di una settimana; la seconda, inizia alla fine di dicembre e termina dopo due settimane; la terza ed ultima, molto breve, alla fine di aprile e dura soltanto cinque o sei giorni. Scuola secondaria di I grado: dopo il terzo anno della scuola elementare, si comincia ad affrontare il programma della scuola secondaria. Ogni materia viene insegnata nell’apposita aula, con un insegnante specifico, ciò permette di effettuare lavori di laboratorio. Scuola secondaria di II grado: quest’ultimo ciclo, della durata di due anni, permette il conseguimento dell’attestato di maturità. Dopo averlo ottenuto gli studenti possono decidere se iscriversi all’università o iniziare l’attività lavorativa. Lo studente che, terminato il ciclo obbligatorio, decide di continuare gli studi si trova di fronte a due problematiche: quale istituto o università scegliere, ma anche, come trovare i soldi per pagarsi i corsi di studi. Durante il periodo sovietico, ciascun studente aveva diritto ad un contributo mensile di circa otto dollari, la retta dell’università era a spese dello stato, che provvedeva anche all’alloggio gratuito presso i pensionati per studenti. Lo studente attuale, invece, deve cercare di lavorare duro ogni giorno, senza influire negativamente sugli studi. Anche gli studenti le cui spese di studio sono coperte dallo Stato sono in cerca di lavoro, questi costituiscono circa il 50% della popolazione studentesca. Il resto dei quasi due milioni di studenti appartengono a famiglie che non sono considerate tra le più bisognose e quindi, non hanno diritto ad avere i propri figli educati a spese dello Stato. I ragazzi provenienti da quest’ultime creano una grande competizione per l’iscrizione alle strutture educative meno care, dove la retta per un anno è di circa 500 dollari. VITA COMUNITARIA E RELAZIONI DI GENERE L’Ucraina, come del resto tutti gli stati governati da un regime comunista, fonda le sue origini di politica sociale sul principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini verso lo Stato. Tutta la popolazione abile, senza distinzione di genere, deve essere introdotta in maniera attiva nel mercato del lavoro, il sistema di protezione sociale, sanitario, previdenziale ed infortunistico è legato ad esso. Nella quotidianità il lavoro domestico è svolto principalmente dalla donna, in quanto è ancora molto forte, soprattutto nelle zone rurali, il modello patriarcale di suddivisione dei ruoli. Allo scopo di agevolare le madri che lavorano, nello svolgimento della loro doppia funzione (lavoro domestico e di cura e lavoro produttivo sociale), lo Stato interviene con una serie d’iniziative 226 nel campo dell’assistenza sociale e familiare. Nonostante la tendenza ormai indiscussa a valorizzare il ruolo della donna soprattutto come moglie e madre, il tasso di presenza della forza lavoro femminile sul mercato del lavoro è alta: 56% delle donne. Il programma del governo a favore dell’emancipazione della donna e della famiglia prende avvio in un paese che è molto arretrato rispetto ad altri paesi europei, dove i principi basilari di liberazione femminile devono ancora essere pienamente realizzati e dove prevalgono ancora il diritto contadino sotto forma di consuetudine. Tuttavia, il piano di emancipazione della donna e di sostituzione della forma di famiglia patriarcale con una struttura familiare che non sia in contraddizione con la più ampia rivoluzione in atto nei rapporti economici e sociali si rivelerà come uno dei compiti più difficili e ambiziosi del governo. STILI ALIMENTARI Fin dai tempi antichi, la cucina ucraina era famosa per la varietà delle pietanze e per la loro qualità gustative. Essa ha avuto diffusione anche fuori dall’Ucraina e alcuni piatti, come per esempio borsc e vareniki, sono entrati nella cucina internazionale. La maggioranza delle pietanze ucraine è il risultato della difficile composizione di prodotti che subiscono diversi tipi di cottura: frittura o cottura al forno. La cucina ucraina si base su piatti di origine contadina che utilizzano in particolare cereali e verdure di base quali patate, cavoli, barbabietole e funghi. La carne in genere viene bollita, fritta o stufata. Normalmente i dolci sono ricoperti di miele e frutta, in particolare ciliegie e prugne; i dolci più diffusi sono i panini dolci. Lo snack ucraino più mangiato è costituito dai vareniki, mentre il piatto tipico principale è il salo, il grasso di maiale. Il consumo di salo risale a molti secoli fa, l’attenzione riservatagli dagli ucraini è la stessa che i francesi riservano al vino. Il borsc affonda le sue origini in Ucraina ed è ancora oggi la zuppa tipica del paese. Nell’alimentazione, ruolo importante è attribuito alle verdure e agli ortaggi, dei quali è così ricca la terra ucraina. Il primo posto appartiene alla rapa rossa o barbabietola, che può essere definita l’ortaggio nazionale. Molto diffuse anche le pietanze realizzate con patate, carote, pomodori, verza e fagioli. La cucina nazionale contemporanea ha conservato e anche arricchito antiche tradizioni; aggiungendo ad essa le pietanze a base di melanzane, cavolfiori e i piatti a base di pesce. 227 RITI CHE SEGNANO I GRANDI EVENTI DEL CICLO DI VITA Nell’ordine della realtà biologica, vita e morte sono momenti che si avvicendano in un ciclo continuo; nella esperienza esistenziale umana, invece, rappresentano i termini di una lacerante opposizione. L’intervento del simbolico ha la funzione di riunificare questi due estremi, stabilendo un contatto tra queste sfere altrimenti inconciliabili: in tal modo si neutralizza il trauma della morte, che diviene momento di uno scambio reversibile. Questa esperienza ineluttabile e sfuggente all’umano controllo, trova così una sistemazione nella rappresentazione. Tracciando i connotati di ciò che altrimenti rimarrebbe ignoto, si rende la morte un evento strutturabile secondo categorie di esperienza umanamente conoscibili. E poiché essa non può avere altro aspetto se non quello che noi stessi le assegniamo, sarà al medesimo tempo lo specchio delle nostre aspettative ultraterrene e delle nostre angosce e timori mortali. In ogni caso, essa avrà fattezze analoghe – anche se contrarie – a quelle della sua controparte “positiva”, la vita appunto. Va detto infatti che, nonostante si cerchi di mantenere una continuità tra questi due poli esistenziali, la morte è vista comunque come un estremo negativo, se si prescinde dalle interpretazioni proprie dell’escatologia cristiana. NASCITA: il parto segna un evento importante per tutta la famiglia, nei centri rurali è tradizione far partorire la donna in casa. Il bambino, una volta nato, viene mostrato ai soli familiari stretti (padre, nonni ed eventuali fratelli/sorelle), fino al giorno del battesimo per evitare influenze negative o malvagie da parte di terzi. Circa una settimana dopo la nascita il bambino viene battezzato; il rito prevede il bagno battesimale alla presenza del padre, del padrino e della madrina. La madre non può parteciparvi in quanto deve attendere la benedizione del prete per l’ingresso in chiesa post- partum. Dopo il battesimo il bambino può essere visto e salutato da tutti è per questo che i genitori organizzano un grande ricevimento al quale è invitato tutto il paese. MATRIMONIO: il matrimonio – tsyhanshchyna – soprattutto nei piccoli centri rurali è un avvenimento che coinvolge tutta la popolazione, questo è visto come l’origine di una nuova unità che contribuirà al perpetuare dell’intero villaggio. Anche nelle coppie giovani c’è molto interesse nel far rivivere le antiche tradizioni, compreso l’uso del tradizionale vestito ucraino (wyshyvka) anziché il tradizionale abito bianco di stile occidentale. Prima delle nozze il futuro sposo si reca insieme a due parenti anziani e rispettati dai genitori della sposa per chiederne la mano. Questa visita chiamata dohliadyny include uno scambio di doni: lo sposo regala una bottiglia di horilka, mentre la sposa ricopre i visitatori con dei tovaglioli rituali rushnyky. Entrambi regalano una pagnotta di pane all’altro, se la sposa non accetta la richiesta di matrimonio porge al futuro sposo una zucca (harbuz). 228 I riti del matrimonio iniziano il venerdì sera con una festa offerta agli amici dello sposo e della sposa; il sabato è il giorno della celebrazione del contratto civile di unione, la domenica si celebra il rituale in chiesa. Dopo il matrimonio gli sposi offrono un rinfresco, solitamente nella casa della sposa, e viene consumata la torta nuziale (korovai del), mentre gli ospiti offrono regali in cambio. FUNERALI: dalla morte alla celebrazione del funerale in Ucraina passano circa due o tre giorni nei quali la famiglia veglia il defunto. Il giorno del funerale questo viene portato in chiesa con un carro funebre seguito dalla processione di parenti e amici. Negli ultimi anni, in Ucraina è molto diffusa la cremazione, se invece i parenti decidono di tumulare il defunto secondo le vecchie tradizioni, quest’ultimo non verrà più riesumato. SITUAZIONE SANITARIA E SISTEMA DEI SERVIZI La situazione sanitaria in Ucraina risente molto del crollo del regime sovietico, lasciando il paese in uno stato di precarietà causando un sistema irregolare di accessi. I dati di mortalità sono i più completi e paragonabili, quindi costituiscono la componente principale dei confronti internazionali. Tuttavia, persino in questo caso, esiste il dubbio circa la totalità delle registrazioni delle morti, soprattutto nelle fasce d’età molto giovani e vecchie, e nell’esattezza di codificazione delle cause di morte. In Ucraina, come negli altri Stati Indipendenti dell’Unione Sovietica (NIS), abbiamo, dal 1991, una forte diminuzione del tasso naturale di aumento della popolazione, dovuta ad una diminuzione del tasso di natalità dagli anni Ottanta e ad un aumento consistente della mortalità. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 1999 l’Ucraina era uno dei peggiori paesi in termini di mortalità generale e di tendenza negativa nello sviluppo naturale della popolazione. In generale, la tendenza nella speranza di vita in Ucraina è simile a quella della maggior parte dei paesi del NIS, con una netta diminuzione fino al 1995, una lieve ripresa fra il 1996 e il 1998 e una successiva drastica ricaduta dal 1999. La mortalità infantile è aumentata fra il 1991 e il 1993, mentre è diminuita al 13 per 1000 feti nati vivi dal 1999, portando così l’Ucraina tra i paesi con tassi di mortalità infantile e materna più bassi della media dei paesi del NIS. In questo paese come in Bielorussia, il numero di casi di cancro alla tiroide nei bambini è aumentato nettamente dopo il disastro nucleare di Chernobyl. Il tasso di mortalità dovuto a neoplasie e a malattie dell’apparato circolatorio è in Ucraina, tra i più alti d’Europa. 229 L’incidenza della tubercolosi è aumentata costantemente durante gli anni Novanta, ma resta tra i più bassi tra i paesi del NIS; l’incidenza della sifilide invece ha assunto proporzioni epidemiche nel periodo 1993-1996, dal 1997 sta diminuendo anche se risulta essere ancora tra i più alti del NIS. Dal 1995 ad oggi i casi di Aids clinicamente diagnosticati sono notevolmente aumentati, raggiungendo così il tasso più alto di tutto il NIS. La spesa in sanità è rimasta quasi immutata negli anni Novanta, aggirandosi intorno al 3,5% del PIL di cui il 67,9% è destinata alle cure ospedaliere. Questo dato è superiore alla media dei paesi del NIS, ma più bassa di quella dei paesi dell’Unione Europea. Secondo i dati del 1998 il rapporto medico/popolazione in Ucraina è tra i più bassi dei paesi del NIS, con una media di 299 medici per 100.000 abitanti, bisogna però specificare che, i dati sul numero dei medici includono soltanto quelli che praticano la professione, non contando quelli che operano negli istituti di ricerca e nell’amministrazione civile. Nel 2000 è stata varata, con un decreto presidenziale, la riforma del sistema sanitario, conseguenza effettiva delle riforme in campo economico, sociale e politico, questa però, risulta frammentaria e contraddittoria. Il ministero della sanità attualmente, sta tentando di coordinare la ristrutturazione del settore salute, tuttavia, il processo è stato ostacolato dalla mancanza di strategie nazionali. FIABE TRADIZIONALI Le fiabe ucraine rispecchiano tutto il colorito del folklore locale, così ricco di credenze pagane e di elementi narrativi originali. In esse il mondo fantastico si manifesta non solo nell’elemento “meraviglioso”, ma anche in una continua e deliberata commistione del piano umano e di quello “soprannaturale”, diabolico o divino, che ci ricorda per alcuni aspetti il mondo del mito pagano nel quale la presenza delle divinità pagane era molto più vicina all’uomo. Riportiamo di seguito due esempi di fiabe popolari: Pane e Oro Nel periodo del re Danilo in Galycina (una regione dell’Ucraina), viveva un mastro che fabbricava i soldi per il re. Questo mastro poteva fare il bagno nell’oro, ma non aveva alcun potere. Il re Danilo personalmente apriva e chiudeva la cassa e lo studio dove lavorava il mastro e lo faceva uscire ed entrare sia per il lavoro sia per le altre necessità. Soltanto il mastro era al corrente di tutte le ricchezze del re Danilo. Il mastro era diventato molto benestante con questo lavoro e non ricordava più che cosa significava essere affamato e star male. Un giorno disse al re: “L’oro è il re nella vita”. 230 Danilo lo corresse: “No, buon uomo, è il pane che è in testa a tutto”. “No, non sono d’accordo”, gli ribatté il mastro, “ è l’oro e l’argento”. Discussero a lungo, fino a che il re se ne andò via dallo studio. Il giorno dopo, nello studio, re Danilo vide una bella e grande scritta sul muro: “Il pane nulla, l’argento e l’oro comandano”. Il re Danilo non disse nulla, chiuse il mastro nello studio dove era la cassa con l’oro e se ne andò. Improvvisamente arrivarono i messaggeri e comunicarono che il confine del regno era stato attraversato dall’esercito nemico. Danilo dovette immediatamente partire con i suoi combattenti per difendere il regno, dimenticando che aveva lasciato chiuso il mastro nello studio. Precedentemente, Danilo aveva redatto una legge, che proibiva di avvicinarsi alla cassa con la minaccia della morte, quindi nessuno poteva vedere e sentire il mastro. Passarono alcuni mesi. Danilo tornò a casa vittorioso attendendo un dono – la medaglia per la vittoria – dal mastro; ma questi non si vide. Scese dal cavallo, corse nello studio, aprì e vide sulla montagna delle monete d’oro lo scheletro del mastro, e al muro un’altra scritta realizzata in oro: “Argento e oro nulla, il pane comanda”. Ecco come la vita ha insegnato… Il padre adottivo C’erano una volta tre fratelli, che erano rimasti orfani, senza padre e madre, senza casa e alcun bene. Pensavano di trovare fortuna altrove o di trovare lavoro da qualche ricco signore. Quando iniziarono il loro viaggio, incontrarono un uomo vecchio, con la barba bianca. “Dove state andando figlioli?”. E loro gli risposero: “Stiamo andando a cercare un lavoro”. “Ma non possedete la casa di vostra proprietà?”. “Non l’abbiamo”, dissero. “Se per fortuna riusciamo a trovare un buon datore di lavoro, lavoreremo onestamente per lui e gli obbediremo come fosse un padre”. Il vecchio disse: “va bene, se è così, vi farò io da padre. Obbeditemi e io vi farò diventare degli uomini, vi insegnerò come si vive nella vita senza allontanarsi dall’onestà”. Decisero così e andarono con il vecchio. Camminarono, camminarono, tra i boschi oscuri, tra le pianure immense. Ad un tratto videro una bellissima casetta in mezzo 231 ad un frutteto con il giardino pieno di fiori. Uscì dalla casa una ragazza, molto carina come un fiorellino. La vide il fratello maggiore e disse: “Se potessi sposare questa ragazza ed avere muli e mucche, sarei la persona più felice al mondo”. Il vecchio gli rispose: “Va bene, andiamo a chiedere la mano di questa ragazza. Vivrai felice, ma non dimenticare l’onestà e la verità che ti ho insegnato”. Andarono a casa della ragazza e tutto andò bene, festeggiarono il loro matrimonio. A proseguire il viaggio rimasero in tre. Videro di nuovo una bella villetta con il mulino e il laghetto ed una bella fanciulla. La vide il fratello medio che disse: “Se potessi sposare questa ragazza, vivrei con lei felice e lavorerei al mulino fino alla fine dei miei giorni”. Il vecchio disse: “Va bene figliolo sarà così. Non dimenticarti tutto ciò che ti ho insegnato dell’onestà e della verità”. I tre fratelli vivevano ognuno la propria vita. Il fratello maggiore era diventato davvero ricco, ma di aiutare qualche poveraccio non se ne parlava proprio, era diventato troppo tirchio. Anche il fratello medio ero diventato ricco, non lavorava più e si limitava a mangiare, bere e ordinare. Il fratello minore non aveva tante ricchezze, ma quando gli si offriva la possibilità, aiutava sempre il prossimo. Il vecchio decise di andare a trovare i figli adottivi. Arrivò dal primo travestito da vagabondo, povero e malandato chiedendogli l’elemosina ma il figlio, nonostante avesse la casa piena di tutto non diede nulla al vecchio. Il vecchio se ne andò e appena allontanato, la casa prese fuoco con tutti gli averi. Il padre andò dal secondo chiedendogli da mangiare ma non ottenne nulla. Il vecchio andandosene ripete ciò che aveva fatto al primo figlio. Arrivò alla fine dal fratello minore. Vide che viveva in una casetta piccola e modesta, ma molto pulita e accogliente, il figlio fece entrare il vecchio in casa gli diede del cibo e dei vestiti puliti. Il vecchio si cambiò, ma mentre lo fece la moglie vide una terribile ferita sul petto e gli chiese come se la fosse procurata. Il vecchio rispose: “Oh, questa ferita è un po’ particolare, è mortale, e mi è rimasto da vivere soltanto un giorno”. “Che disgrazia!”, disse la moglie. “E non esiste alcuna cura o qualche medicina?”. Il vecchio allora disse: “Esiste una medicina, ma nessuno è disposto a dare questo toccasana, sostanzialmente il padrone di casa dovrebbe bruciare la sua casa e tutti i suoi beni, e la cenere che rimane bisognerebbe metterla sulla ferita che immediatamente comincierebbe a guarirsi”. Il fratello minore, consultata la moglie, appiccò fuoco alla casa che bruciò immediatamente, in un attimo non rimase nulla. Al posto della vecchia casetta apparve una bella villa di pietra, molto carina. Il vecchietto allora disse: “Vedo, che soltanto tu figliolo di tutti voi altri, non hai mai dimenticato il mio insegnamento dell’onestà e della verità. Ora vivi felice!”. 232 Dopo queste parole il figlio riconobbe il suo padre adottivo, si buttò per abbracciarlo, ma egli era svanito nel nulla. RICETTE Borsc (dalla parola slava rapa) Ingredienti: 250 g di carne di manzo, 300 g di barbabietola, 400 g di verza fresca, 500 g di patate, 100 g di carote, 50 g di radice di prezzemolo, 100 g di cipolle, 2 spicchi d’aglio, 100 g di concentrato di pomodoro, 250 g di pomodori fresci, 100 g di peperoni, 50 g di burro, 50 g di lardo di maiale, 50 g di panna acida, 20 g di zucchero, 20 g di aceto, 20 g di prezzemolo, 10 foglie di alloro, 1 peperoncino intero rosso, sale q.b. Preparazione: il borsc si cucina in una base di brodo di carne rossa. Mettere in una pentola la carne, riempire con acqua e portare ad ebollizione. Una volta cotta la carne, toglierla dal brodo, disossarla e rimetterla in un altro recipiente; salare, mettere un po’ di brodo e continuare la cottura a fuoco lento. Nel frattempo preparare gli ortaggi e le verdure, soffriggendoli in una padella con il burro e il concentrato di pomodoro. Filtrare e portare di nuovo in ebollizione il brodo di carne, aggiungendo le patate la verza e il peperoncino rosso e continuare a cuocere per 15-20 minuti. Dopodiché, aggiungere il peperone, le foglie di alloro e continuare a cuocere ancora per 5-7 minuti. Si può condire il Borsc con farina leggermente soffritta oppure con il lardo di maiale pestato aglio. Dopo averlo condito portare tutto ad ebollizione, spegnere il fuoco e far riposare per 30-40 minuti. Servire aggiungendo uno o due cucchiai di panna acida. Ravioli (vareniki) Ingredienti: 500 g di carne, 30 g di burro, 1 cipolla, 100 g di lardo di maiale, sale, pepe, peperoncino q.b. Preparazione: tagliare la carne a pezzettini e cuocere bene in una pentola con acqua. Passare la carne cotta con il tritacarne. Aggiungere la cipolla tritata, sale pepe e peperoncino e mescolare per bene. Dopo aver preparato la pasta con farina, uova, acqua e sale, tagliare l’ottenuto in forme circolari e aggiungere al centro il ripieno precedentemente preparato. Chiudere e cuocere in una pentola d’acqua bollente e salata. Prima di servire in tavola i vareniki, cospargerli con un po’ di burro sciolto o con i pezzettini di lardo di maiale soffritto con il grasso proprio. 233 POESIA Arsenij Aleksandrovic: nasce nel 1907 a Elizavetgrad, oggi Kirovograd, in Ucraina. È all’ambiente familiare che Arsenij deve l’amore per la letteratura e le lingue. Nella seconda metà degli anni Venti frequenta i Corsi Superiori Statali di Letteratura e scrive corsi su Il fischio, rivista dei ferrovieri, a cui collaborano anche Bulgakov, Olesa, Kataev, Il’f e Petrov. Tra il ’29 e il ’30 inizia a scrivere poesie e drammi in versi per la radio sovietica, ma nel ’32, accusato di misticismo, è costretto ad interrompere la sua collaborazione. Inizia a tradurre poesia dal trkmeno, ebraico, arabo, georgiano, armeno. Solo nel ’62 esce il primo volume di poesie: Nece imminente, cui seguiranno nel ’66 Alla terra ciò che è terreno, nel ’69 Il messaggero, nel ’74 Poesie, nel ’78 Le montagne incantate, nel 1980 Giornata d’inverno, nel 1982 Opere scelte Poesia. Poemi. Traduzioni. (19291979), nel 1983 Poesie di vari anni. Nel 1987 esce Dalla giovinezza alla vecchiaia, titolo deciso dalla casa editrice contro il volere dell’autore, e Essere se stesso. Muore a Mosca nel 1989. LETTERATURA Le origini della letteratura nazionale ucraina risalgono alle cronache slave medioevali, come per esempio lo Slovo o polku Ihrevim (The Tale of Ihor’s Armament), del XII secolo. Gli inizi della letteratura ucraina moderna si devono al filosofo errante della metà del XVIII secolo, Hryhorii Skovoroda, il “Socrate ucraino” che scrisse poemi e trattati filosofici in ucraino, destinati alla gente comune piuttosto che all’élite. In Ucraina le pubblicazioni in lingua nazionale furono vietate dal regime zarista nel 1863. Alcuni scrittori ucraini si spostarono in Galizia, allora sotto il dominio austro-ungarico, dove si sviluppò una ricca letteratura d’emigrazione. L’Unione degli Scrittori Ucraini di Kiev ebbe un ruolo molto importante per quanto riguarda l’indipendenza dall’URSS ottenuta nel 1991. Shevchenko Taras: fervente nazionalista nato come schiavo nel 1814 e poi diventato un eroe nazionale, fu il primo scrittore di lingua ucraina di una certa importanza. Le sue opere contribuirono alla nascita di un periodo d’oro per la letteratura ucraina. Franko Ivan: il migliore e più produttivo scrittore dell’inizio del XX secolo, le cui opere comprendono racconti di fantasia, poesie, opere teatrali, trattati filosofici e racconti per bambini. Ritrae l’esistenza dura degli operai e dei contadini ucraini. Franko era un radicale politico ardente che ha cercato di ispirare il nazionalismo ucraino negli impianti quale Zakhar Berkut (1883), che si occupa di storia ucraina. Ha trattato i problemi sociali e psicologici Nella base della società (1895) e nell’autobiografico Nel sudore della fronte (1890). 234 Stus Vasyl: nasce nel 1938, le sue opere diedero inizio all’agonia dei poeti dissidenti, trattarono principalmente l’argomento dell’occupazione sovietica. Venne ucciso in un campo di concentramento sovietico nel 1985. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Bianchini S., Dassù M. (a cura di), Guida ai paesi dell’Europa centrale orientale e balcanica. Annuario politico- economico, il Mulino, Bologna, 2003. CIS, Ucraina. Guida pratica al cuore dell’Europa, FrancoAngeli, Milano, 1998. Insight Guides, Russia, Bielorussia e Ucraina, Il Sole 24 Ore, Milano, 2004. SITOGRAFIA www.ukraine.it: sito di informazioni turistiche per viaggiatori. www.gkumilano.it: sito del consolato ucraino a Milano. www.moz.gov.ua: sito ufficiale del Ministero della Sanità ucraino (in inglese). www.mon.gov.ua: sito ufficiale del Ministero dell’Educazione (in inglese). www.kmu.gov.ua: sito ufficiale del Governo ucraino (in inglese). www.caritas.it: sito dell’organismo pastorale della Cei (Conferenza Episcopale Italiana) per la promozione della carità. www.who.org: sito dell’organizzazione mondiale della sanità, dove sono reperibili informazioni aggiornate sulle condizioni del sistema sanitario ucraino. www.unicef.it: sito ufficiale del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia. www.amnesty.it: sito per la difesa dei diritti umani. www.osservatoriobalcani.org: Istituto per l’Europa Centro-Orientale e Balcanica (in italiano). DANZE In Ucraina sono molto diffuse le danze chiamate Kolomykas che nascono dalla semplice esuberanza e sono permeate di allegria e humor. Poichè l’ambiente agricolo era dominante, numerose danze tradizionali sono legate ai lavori quotidiani nella fattoria, nei frutteti e le greggi. Degne di nota sono le danze maschili nelle quali vengono mostrati i movimenti e le prodezze di coloro che cavalcano. Queste danze sono simili a quelle osservate fra le tribù dei Cosacchi nel Caucaso, in Crimea e nel lontano Est. La danza Gopak è una delle più brillanti, in essa il danzatore, sempre un uomo, esibisce ogni genere di passo che metta in mostra il suo virtuosismo (il più conosciuto è il passo del ciabattino) sforbiciando, ondeggiando, girando, saltando su un piede solo ed eseguendo balzi atletici. 235 Alle ragazze non si richiede mai di mostrare tali passi. Esse semplicemente formano uno sfondo di ammirazione battendo i piedi o le mani, o eseguendo semplici passi. Questa ancora frequente esibizione ricorda il tempo in cui l’uomo mostrava davanti alla donna da lui desiderata in sposa la sua bravura e la sua forza attraverso la danza. 236 3. Le danze di Sara Calzetti I momenti di insegnamento e di danza sono un’occasione per contestualizzare la danza stessa, introdurre informazioni riguardo ai costumi (in senso stretto), alle tradizioni dei Paesi di origine e per comunicare tutto ciò che riteniamo possa interessare e stimolare a nuove personali ricerche. Le danze etniche sono espressione delle specificità culturali dei popoli del mondo; nascono dalla storia e la costruiscono, si nutrono della musica, esibiscono i costumi, incarnano gli stili tradizionali e moderni delle varie culture, si sviluppano tra il sacro e il profano. Ad un osservatore parlano di identità, di gerarchie sociali, di valori, di rapporti fra i sessi e di relazioni fra gruppi. Esse originano dall’esigenza di dare risalto ai momenti comunitari significativi e nascono dal popolo per il popolo. Connettono il passato al presente, il tradizionale al nuovo, sono oggetto di contaminazioni temporali e culturali. Sottolineano le specificità ma sono anche in grado di diffondersi svincolandosi dai luoghi di origine e dalle comunità nazionali. Secondo Judith Lynne Hanna, la danza può essere definita come un comportamento umano composto, dal punto di vista del danzatore, di sequenze volontarie che sono intenzionalmente ritmiche e culturalmente strutturate; tali sequenze si compongono di movimenti corporei non verbali, distinti dalle attività motorie ordinarie e portatori di valori intrinseci ed estetici 21. 21 Cfr. Judith Lynne Hanna, (1979), To dance is human, University of Texas Press, Austin e Londra. 237 4. Gli Autori Bertolani Barbara: Dottore di ricerca in Sociologia, ha ricoperto incarichi di docenza a contratto presso l’Università degli Studi di Ferrara. È autrice di pubblicazioni sulle famiglie miste e sulla migrazione indiana dal Punjab verso l’Italia. Calzetti Sara: Esperta in formazione interculturale. Cingolati Pietro: Dottorando in Antropologia, Dipartimento S.A.A.S.T. (Scienze Archeologiche Antropologiche Storiche e Territoriali), Università di Torino. Membro di FIERI (Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione). Cologna Daniele: Sociologo e sinologo, è tra i soci fondatori dell’Agenzia di ricerca sociale Codici di Milano. Da oltre dieci anni realizza ricerche sullo sviluppo dei fenomeni migratori in Italia. Ha studiato la lingua cinese presso l’Istituto di Lingue della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano e presso l’Università di Hangzhou in Cina. Fiamingo Cristiana: Ricercatore in Storia e Istituzioni dell’Africa, Docente di Storia dell’Africa, Università degli Studi di Milano. Membro del Comitato di Redazione della Rivista “Afriche e orienti”. Lainati Chiara: Ha lavorato per anni in Tunisia e in Marocco in progetti di cooperazione internazionale. Ricercatrice presso l’Istituto di ricerca Sinergia di Milano. È docente di antropologia nel Master in Formazione Interculturale all’Università Cattolica di Milano. Masini Sonia: Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Reggio Emilia. Olivadoti Simona: Dottore magistrale in Programmazione e Gestione delle Politiche e dei Servizi Sociale, ha collaborato a diverse ricerche in ambito sociale. Ornaghi Annalisa: Dottore magistrale in Programmazione e Gestione delle Politiche e dei Servizi Sociale, ha collaborato a diverse ricerche in ambito sociale. Tognetti Bordogna Mara: Responsabile scientifico del Progetto “Bambini dell’altro mondo”. Docente di Politiche dell’Immigrazione e di Politica Sociale, Università degli Studi di Milano – Bicocca. Vuka Edmond: Laureato in Scienze dell’educazione, educatore presso una comunità per minori. Dal 1999 è assistente in progetti di cooperazione allo sviluppo in Kosovo. 238 Note ............................................................................................................................................. ............................................................................................................................................. ............................................................................................................................................. ............................................................................................................................................. ............................................................................................................................................. ............................................................................................................................................. 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