OMELIA Veglia Pasquale - Arcidiocesi di Catanzaro

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OMELIA Veglia Pasquale - Arcidiocesi di Catanzaro
Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro - Squillace
via Arcivescovado, 13
88100 – Catanzaro
tel. 0961.721333 - fax 0961.701044
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OMELIA
Veglia Pasquale
7 aprile 2012
1. «Perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie» (Col 4,2) al
Padre il quale disse, e così furono portati a compimento cielo, terra e tutta la
loro schiera; rendendo grazie al Figlio, Parola del Padre, per mezzo del quale ciò
che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova e tutto ritorna alla
sua integrità; rendendo grazie allo Spirito nuovo, il quale toglie da noi il cuore di
pietra e ci dà un cuore di carne!
2. Sorelle e fratelli carissimi, la Liturgia del lucernario ha acceso per noi il fuoco
nuovo ed il cero pasquale, perché illuminino le tenebre di questa notte, di ogni notte
astronomica e di qualunque notte morale e sociale. Questo fuoco acceso e questa
luce viva trasformino il nostro cuore di pietra e ci tengano per sempre svegli,
cioè pronti, sobri e vigilanti! Stiamo celebrando la Pasqua del Signore, il passaggio
alla vita gloriosa di Colui che respinge le tenebre del passato e le trasforma per
sempre in luce e gioia! Basta un poco di luce calda, basta la fiammella di una
candela, per vincere il buio della notte, illuminarla a giorno e scaldarci gli occhi ed il
cuore. Basta un poco di fuoco vivo per bruciare le ferite del male, purificare lo spirito
e la lingua, trasformando radicalmente i rapporti sociali e le relazioni tra noi. Eppure
ci vuole molto, molto di più di un fuoco incandescente e di una luce splendente, per
illuminare le terribili tenebre morali e civili che avvolgono questo nostro mondo,
piagato dalla crisi economica e finanziaria; dalle infedeltà personali e familiari; dai
tradimenti inferti alla propria vocazione; dalle ferite dell’illegalità diffusa e del
sopruso assurto a sistema per la soluzione delle controversie; dalla delinquenza
organizzata; dal male strutturale edificato dai tanti nostri peccati personali e sociali.
3. Nonostante tutto il buio e tutto il male, questo “di più” esiste, come ci proclama la
Pasqua nelle varie fasi della nostra celebrazione liturgica. Anzi, questo “di più” non è
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passato; piuttosto, è l’eternamente Vivente tra noi e per noi. Nulla di tenebroso e di
terribile, nulla di diabolico e di maligno, sarà più in grado di resistere al vero
Agnello, che toglie i peccati del mondo! Egli, morendo, ha distrutto perfino la morte,
emblema di ogni tenebra e dell’oscurità totale che, agli occhi di chi non crede, non
sembra voler dire l’ultima parola sulla vita terrena e su ogni cosa. La Pasqua del
Signore è sì una meditazione sulla sua passione e sulla sua morte, ma il santo Triduo
ci fa meditare su tutto ciò alla luce del futuro certo e luminoso, il futuro che proviene
dalla potenza della Risurrezione di Lui, nel quale ricominciamo a vivere la nuova
creazione, quella posta in essere da Colui che fa nuove tutte le cose (Ap 21,5), il
primo giorno dopo il sabato.
4. Mentre la nostra società “post-mortale” cerca di mettere a tacere la morte,
rimuovendo perfino il termine dal linguaggio corrente; mentre la morte viene
sistematicamente rimossa dall’orizzonte della vita quotidiana anche dal punto di vista
percettivo; mentre proliferano alcune spettacolarizzazioni mediatizzate del morire,
che trasformano in fiction anche la violenza reale e la tragicità delle morti in diretta,
la Liturgia pasquale indugia, insiste, approfondisce e, in tal modo, ci pone di fronte al
vero carattere, al carattere di mistero della morte. Un mistero che si chiarisce, seppur
nell’enigma e come in uno specchio (1Cor 13,12), già nell’attimo del fulgore della
Veglia pasquale. Un mistero che si chiarirà pienamente nell’attimo della Pasqua
eterna, quando tutti sentiremo «la sua voce e suonerà la tromba». Allora, infatti, «si
compirà il mistero di Dio, come egli aveva annunciato ai suoi servi, i profeti» (Ap
10,7). E tuttavia, sorelle e fratelli carissimi, noi già ora sappiamo che il vero mistero
di Dio non è la morte e non è neppure la risurrezione: esse sono fasi e momenti del
profondo mistero di Dio, che è Gesù Cristo (Col 2,2): il mistero di Dio è il
Crocifisso-Risorto-Asceso al cielo-Che ci manda lo Spirito santo; Colui che,
morto una volte per tutte, non muore più e conferisce vitalità, ardore,
dinamismo, energia, ad ogni realtà finita e mortale.
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5. «L’Agnello senza difetti e senza macchia» (1Pt 1,19) toglie definitivamente il velo
all’enigma della morte, all’evento terminale della finitezza delle cose, alla morte
umana. Anzi, l’Agnello ri-significa ai nostri occhi la morte: essa è un transito; è un
passaggio, una Pasqua, in analogia a quella di Gesù Cristo, dalla finitezza del tempo
alla vita perenne e senza fine. Anche la recente edizione del Rito delle esequie, che
diverrà obbligatorio dal prossimo novembre, tratta perciò la morte con particolare
solennità e rispetto, come stiamo facendo anche noi in questa celebrazione
pasquale. In essa – attraverso i simboli del fuoco, della luce, dell’acqua, della Parola,
del pane e del vino – comprendiamo meglio il profondo mistero di Cristo, mistero di
vita e di risurrezione, nonostante la morte e il sepolcro.
6. Facendo leva sull’enigma del buio, delle tenebre, della sporcizia da lavare, della
passione, della crocifissione, della morte, la santa Madre Chiesa, mentre ci consente
di celebrare il memoriale liturgico, c’illustra il mistero della morte, di ogni morte,
rileggendolo nella luce del mistero della vita che risorge. La stessa Liturgia della
Parola ci ha presentato, nelle letture proclamate in questa Veglia, l’enigma della
morte sotto vari aspetti e angolazioni: morte possibile, come nella mano di un padre
desolato, disposto a stendere la mano contro il suo unico ragazzo; morte potente,
come nello sterminio totale di carri e cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che era
entrato nel mare dietro a Israele, nessuno dei quali è tuttavia scampato; morte tragica,
come nell’immagine della sposa afflitta, percossa dal turbine, sconsolata; morte
orribile, come nell’immagine dello Israele che si è contaminato con i cadaveri ed è
conteggiato nel numero di quelli che scendono negli inferi; morte ineluttabile, come
la fine a cui, secondo il profeta Baruc, si votano tutti coloro che non si attengono alla
legge che sussiste in eterno e quindi l’abbandonano pur sapendo di poter morire.
7. I caratteri antropologici delle diverse dimensioni del morire sono tutti presenti
stanotte tra noi, grazie a queste letture. Lo stesso nostro Salvatore ci appare ancora
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nel suo lasciarsi seppellire, deporre in un sepolcro, lasciarsi chiudere dal grosso
masso che viene fatto rotolare a custodire la quiete e il silenzio del cadavere.
Ma questa morte nemica non è l’ultima parola, ci ripete, con la sua divina monotonia,
la Liturgia della Veglia. Anzi, pure quest’ultimo nemico sarà anch’esso radicalmente
annientato (1Cor 15,26). Nella Veglia pasquale il velo del mistero della morte viene
dunque definitivamente tolto. Lo toglie proprio Colui che si è lasciato seppellire nella
morte, affinché l’uomo vecchio che è in noi fosse definitivamente crocifisso con Lui.
Egli stesso c’invita a trattare con rispetto il mistero della sua morte, di cui porterà i
segni delle ferite anche da Risorto. Ma lo fa affinché possiamo finalmente vedere, in
quello che sembrava il momento finale dei nostri e dei suoi giorni, il primo giorno
della nuova settimana. La morte non ha più alcun potere su di Lui, quindi neppure su
di noi, che da Lui siamo salvati. Egli muore per il peccato una volta per tutte, ma ora
invece vive. E noi con Lui, vivremo, risorgeremo! 8. Sì, fratelli e sorelle, qui radunati
nella solare chiarezza di questa nuova luce, come ci ha detto il Preconio, invocate
con me la misericordia di Dio onnipotente, che ci porta per mano al genuino senso
del mistero della morte, la quale diviene ormai per noi la porta della vita perenne:
anche se «non tutta la gioia entrerà nei beati, tutti i beati, però, entreranno nella
gioia»; «a confronto di quella luce, cui giungeremo, anche il giorno più luminoso in
cui viviamo è quasi notte» (Tommaso d’Aquino, Opuscula theologica 2). Con
stupore e interesse, come gli antichi e nuovi catecumeni, abbiamo ascoltato,
attraverso le letture, i fatti salienti di questo mirabile passaggio dalla morte alla
vita: è questa la storia della salvezza, la storia dell’umanità, amata dall’Altissimo,
redenta dal Figlio, irrobustita dallo Spirito santo, strappata dalle tenebrosità del male
e trasferita nella luminosità del bene: nonostante le mie libere decisioni contro Dio e
il prossimo, nonostante il mistero dell’iniquità, non morirò, ma resterò in vita! La
tenebra si trasformerà in luce, la sporcizia sarà lavata via dalle sorgenti di acqua pura,
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la polvere accumulata sulla nostra veste battesimale sarà resa candida dall’acqua e
dallo Spirito di fuoco!
9. Sorelle e fratelli, tra poco rinnoveremo le nostre promesse battesimali, attraverso
le quali la Liturgia della Veglia diventerà più piena, perché ci riproporrà il
memoriale del nostro Battesimo e degli altri sacramenti dell’Iniziazione
cristiana, Confermazione ed Eucaristia. La nostra Pasqua personale passa
attraverso il potere lavante e purificatore dell’acqua, attraverso il fuoco dello Spirito
settiforme, attraverso il profumo aromatico delle virtù esercitate ad imitazione di
Cristo. Abbiamo così l’occasione per diventare ancora più illuminati, più splendenti
di luce, della vera luce di Cristo, che rende chiara la notte, di cui è segno la candida
veste battesimale che gli antichi cristiani indossavano per tutto l’ottavario pasquale,
vestendo appunto per otto giorni in albis.
10. Sì, vogliamo vegliare e rinnovare le promesse battesimali per celebrare il Risorto,
che vince la morte e ci reca la nuova luce che illumina noi e questo mondo. Se però
vegliando dichiariamo di attendere non soltanto la gloria del Risorto qui, ora, per
quest’anno liturgico, ma anche la venuta definitiva del Signore, non possiamo che
deciderci, al di là di questa solenne Veglia, per uno stile nuovo di vita che dovrà
caratterizzare tutti i giorni che verranno.
Perciò, siamo sobri e vigiliamo, trasformiamo in luce il nostro essere, non soltanto
adesso, ma come stile dell’intera vita personale, familiare e sociale, perché il nostro
nemico, «il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1Pt 5,8).
C’è chi persegue sistematicamente lo scopo di farci ripiombare nelle tenebre e
nell’ombra di morte. C’è chi tenta la nostra volontà, affinché scelga le oscurità delle
relazioni interrotte, delle amicizie tradite, della sopraffazione gratuita del proprio
simile, dell’ipocrisia, dell’assuefazione inerte alla malvagità, della sottomissione ai
falsi idoli del danaro, del soddisfacimento ad ogni costo dei bisogni terreni.
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11. Siamo sobri e vegliamo, fratelli e sorelle! Il duello tra morte e vita continua in
ogni momento delle nostre scelte consapevoli, delle nostre decisioni, dei nostri
orientamenti esistenziali, delle nostre omissioni. Vogliamo che vinca il Signore della
vita o vogliamo ripiombare nella terribile morte del peccato? Siamo sobri e
vegliamo, soprattutto noi pastori del popolo, custodi generosi del gregge che ci è
stato affidato in cura dal Pastore buono e bello! Non siamo pastori a tempo
determinato, non possiamo mai smettere di essere vigili pastori sulla nostra
esistenza e sull’esistenza altrui. Vegliamo amorevolmente come se fosse sempre
giorno, perciò, e non soltanto sulle persone che ci sono state date in cura
pastorale dal Vescovo a nome di Cristo. Vegliamo particolarmente su noi stessi,
sulla fedeltà alla nostra vocazione consacrata e, con pari generosità e intensità,
veglieremo meglio «su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo» (At
20,28) ci ha costituito pastori. Non uomini di potere e di privilegi, non despoti o
guide politiche, non organizzatori e gestori di sistemi sociali, bensì soltanto
pastori, ad imitazione del Pastore bello e buono, che è Gesù Cristo, Agnello della
Pasqua eterna!
12. Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua
morte. La morte, in tal modo, non ha più potere; è vinto l’ultimo nemico.
Celebriamo, dunque, la festa con purezza e verità! Ai sentimenti di angoscia, di
fronte al futuro incerto, facciamo sopraggiungere idee di speranza. Soprattutto
voi giovani, ragazze e ragazzi, a cui molti uccelli di sventura, nei vari campi,
dicono che non ci sarà futuro, non ci sarà lavoro, non ci sarà pensione, non
abbiate paura, non piombate nell’angoscia! Il Signore vince la morte, il buio, le
tenebre, ogni squallore e ogni timore. È troppo facile continuare a pensarlo
morto, sepolto, decrepito. Non abbiate paura!, grida alle donne ed a tutti il giovane
in albis. Alle signore, che erano andate a completare il pio ufficio della sepoltura nel
buio del sepolcro, egli contrappone il fulgore e il candore delle sue bianche vesti.
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13. Non dobbiamo, non possiamo più aver paura! Incutono paura i segni strani del
cielo e del cosmo, non sempre interpretabili con le teorie scientifiche più avanzate.
Fanno spavento le potenze occulte, anche demoniache, che negli stessi testi sacri si
manifestano incutendo terrore nella gente che vi assiste. Generano angoscia le
forze dei potenti e dei violenti della terra, che possono uccidere il corpo, mai però
l’anima. Incutono panico i tormenti che l’essere umano a volte c’infligge o può
infliggerci, con la tortura, con la calunnia, la persecuzione, la minaccia, la
demolizione psicologica. Ma i sentimenti di paura e di angoscia, anche se
naturalissimi, non sono ragionevoli se vissuti alla luce di una ragione illuminata dalla
fede e dalla speranza nella Risurrezione. Come ci ricorda il libro della Sapienza, «la
paura infatti altro non è che l’abbandono degli aiuti della ragione» (Sap 17,11). E la
ragione da sola non può nulla, se non si lascia docilmente illuminare dalla fede e
liberare dalla speranza, spezzando le antiche catene che ci tenevano legati.
14. Desideriamo conservare uno spirito da schiavi o, mediante lo Spirito della
risurrezione, spezzare le catene che ci affliggevano? Sì, soltanto uno spirito da
schiavi ci potrebbe far ancora ricadere nella paura. Chi, invece, nel Battesimo e
nella Cresima ha «ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi» (Rm 8,15), non può
non superare l’ora della paura, di qualunque paura, anche quella che a volte ci
assale di fronte alle manifestazioni inaudite dell’Altissimo. Con le parole del
giovane in bianche vesti, Dio ci sta parlando per contrariam speciem, addirittura
contro ogni evidenza e aspettativa. Non c’è più un morto in questo sepolcro, non
c’è più un cadavere nel buio della terra, non ci sono più massi così grandi da non
poter essere spostati. Se cercavate un morto, convincetevi di avere, piuttosto, un
Vivente, che corre avanti. C’è un Vivente sulle strade della Galilea delle genti, oltre i
confini delle religioni e delle fedi, delle abitudini consolidate e delle tradizioni, delle
ragioni di parte e degli steccati costruiti dal “così si è sempre fatto”.
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15. Il primo Vangelo del Risorto è soprattutto per le donne. È per Maria di Màgdala,
Maria madre di Giacomo e Salòme, le quali avevano comprato oli aromatici per
andare a ungere il corpo di Gesù. Le donne cercavano ancora il crocifisso. Ma Gesù
non è più tale, non è più qui; non sta in questo luogo, come un crocifisso ed un
cadavere. Egli non si rende più visibile sotto i segni della finitezza e della sofferenza,
della passione e della morte. Già i segni della pietra molto grande, che ostruiva il
sepolcro e fatta rotolare da una mano non terrena, avrebbero dovuto dirlo al loro
cuore. Ma anche il loro tenero ed innamorato cuore di donne - donne che avrebbero
voluto, per prime, ancora abbracciare ed accarezzare quel corpo piagato - non riesce a
vedere un po’ più in là. Quelle donne fanno prevalere gli occhi sul cuore: ma gli
occhi sanno tutt’al più vedere soltanto sepolcri, buio, morte. Eppure, le ragioni
del cuore dovrebbero vedere e sentire ben altro. Però, le donne sono anche le più
idonee per rendersi conto del nuovo, per andare più in là dell’usuale, per aprire
cammini di speranza perfino quando il buio sovrasta l’orizzonte. Per vedere il
Vivente, suggerisce alle donne il giovane dalla veste bianca, occorre portarsi altrove,
là dove il Vivente stesso ci precede. Donne, ragazze, figlie, madri, mogli, nonne,
amiche. La prima notizia della Risurrezione è per voi. Il vostro “genio femminile”
deve aiutare tutti noi a guardare un poco più in là, ad andare oltre, a costruire
speranza, nonostante il buio ed il male.
16. Allora, sorelle e fratelli tutti, «perseverate nella preghiera e vegliate in essa,
rendendo grazie» (Col 4,2) al Padre che portò a compimento cielo, terra e tutta la loro
schiera; rendendo grazie al Figlio, Parola del Padre, per mezzo del quale ciò che è
distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova e tutto ritorna alla sua
integrità; rendendo grazie allo Spirito nuovo, il quale toglie da noi il cuore di pietra e
ci dà un cuore di carne! Buona Pasqua a tutti!
 Vincenzo Bertolone
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