Feto Persona - Neonato Molisano
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Feto Persona - Neonato Molisano
26 JOURNAL OF MEDICINE & THE PERSON. GENNAIO 2004, NUMERO 1 R EVIEW Fetus has “personal” features: a clinical evidence Il feto è una persona? Un’evidenza clinica Carlo Valerio Bellieni* UO Terapia Intensiva neonatale, Policlinico Universitario “Le Scotte”, Siena. Membro del direttivo nazionale del gruppo di studio sul dolore, della SIN Membro del direttivo internzionale delle Journées Francophones de Recherche en Néonatologie Membro del Centro di Bioetica dell’Università di Siena Docente di terapia Neonatale alla Scuola di Specializzazione in Pediatria dell’Università di Siena Docente dell’Associazione Nazionale Educazione Prenatale Abstract: The following review gives current data on fetus’ “personal” features as they emerge from scientific literature. Attention is paid to the development of fetal sensoriality, memory, pain, and capacity of dreaming. Also the fetus’ capacity of keeping the mother company, his/her right to privacy and the violence due to “reproductive rage” will be examined. Keywords: fetus, memory, pain, sensoriality, privacy Journal of Medicine and the Person 2004; 8(1): 26-33 Received June 10th 2003; Revised August 25th 2003, Accepted September 12th 2003 Introduzione Il neonatologo è quel medico che cura i feti. Da questo punto di vista è un privilegiato, perché può vedere un livello della vita umana che gli altri solo immaginano. Di solito si parla di “feto” interrogandosi se senta il dolore, se abbia diritti, se sia una persona. Chi lavora in Terapia Intensiva Neonatale, questi problemi non li ha: si può e si deve curare. È un paziente. Noi lo chiamiamo “prematuro”. In realtà esistono dei feti che sono molto più grandi dei nostri prematuri. Questi ultimi, essendo dei feti usciti precocissimamente dall’utero, sono bambini di peso bassissimo: ce ne sono alcuni che pesano poco più di una lattina di coca-cola. Ci si può domandare come sono fatti. Sono dei bambini in miniatura, fragilissimi, belli. Un neonatologo non è un bravo medico se non è anche un “fetologo”. Questo è chiaro anche perché tutte le riviste internazionali di neonatologia sono chiaramente dedicate allo studio e alla cura sia del feto che del neonato. Perché il confine tra il primo e il secondo è solo nella parola che lo descrive. Ma quello che differenzia il feto dal neonato è solo l’ingresso dell’aria nei polmoni, il rimaneggiamento (talvolta lento) di alcune caratteristiche della circolazione sanguigna, quali la cessazione dell’arrivo del sangue dalla placenta o la chiusura del dotto di Botallo. Fino ad alcuni anni fa si supponeva che il feto fosse completamente isolato dall’ambiente esterno. L’utero materno era una barriera invalicabile per l’esplorazione e a tutti risultava comodo pensare che dentro quel misterioso mondo che man mano si ingrandiva non avvenisse niente degno di nota e soprattutto di rispetto. Og- gi conosciamo sempre più la vita prenatale e siamo presi dallo stupore per la sua vivacità, per la sua attività1. Iniziamo allora a vedere insieme alcune delle cose più interessanti, alcune delle caratteristiche di quello stadio che, sarà bene non dimenticarlo, è stata la nostra alba della vita. I SENSI DEL FETO I sei sensi si formano e iniziano a funzionare ben prima della nascita2,3. Come in tutte le specie animali, per primo si formerà la sensibilità chimica (gusto e olfatto), poi quella tattile, poi la vestibolare e uditiva e infine la vista4, tab 1. L’utero è un mondo, un micro-cosmo pieno di stimoli: rumori (voci, battito cardiaco della mamma, respiro materno, suoni esterni)5, sapori e odori (tutto quello che la mamma mangi avviene filtrato e in certa misura passa nel liquido amniotico e lo impregna di odori e sapori)6, movimento (la mamma ballerina darà stimoli ben diversi dalla mamma confinata a letto per motivi di salute)7. Questi stimoli arrivano dentro fino al feto e hanno una loro utilità: infatti serviranno a rimodellare il sistema Tab. 1 – Le capacità sensoriali del feto appaiono in un ordine ben stabilito ORDINE DI COMPARSA 1. SENSORIALITÀ CHIMICA (OLFATTIVA E GUSTATIVA) 2. SENSIBILITÀ CUTANEA 3. SENSORIALITÀ VESTIBOLARE 4. UDITO 5. VISTA Review Carlo Valerio Bellieni nervoso del feto e a fornirgli una forma di “apprendimento” prenatale. Lo sviluppo del sistema nervoso infatti dipende oltre che da quanto scritto nel DNA, anche da come e quanto è stimolato dall’esterno8. E l’ambiente esterno in una certa misura si fa conoscere al feto tramite il filtro della pancia materna e del liquido in essa contenuto. Dunque in utero il feto ascolta, gusta i sapori, sente i movimenti, sente gli odori. Alla base del cranio fetale c’è un organo, detto organo vomeronasale che serve appunto per sentire gli odori proprio nel mezzo acquatico, e che si atrofizzerà dopo la nascita. Il modo più diffuso per dimostrare che il feto percepisce gli stimoli è osservare con l’ecografia o con la cardiotocografia le sue reazioni agli stimoli stessi. Vedremo che dalla 7a-8a settimana dopo il concepimento il feto ha una “avoiding reaction” (allontana la testa) se si stimola la sua regione periorale (quella dove appaiono i primi recettori tattili)9 (tab 2). Dalla 22a settimana il feto ha una reazione di soprassalto quando gli viene proposta una musica ad alto volume attraverso la parete uterina e se il feto ascolterà più volte quella musica attraverso la parete uterina, dopo alcune volte non sussulterà più, anzi i battiti cardiaci inizieranno a diminuire, come fa un adulto quando ascolta una cosa che lo interessa: il feto sa abituarsi agli stimoli10,11. L’abituazione è il diminuire di una risposta al ripetersi dello stesso stimolo. Questo è segno di buon funzionamento del Sistema Nervoso Centrale (SNC) ed è stato proposto il suo uso per stabilire l’integrità del SNC del feto. Dunque uno stimolo di 250 Hertz provocherà nel feto prima un soprassalto, poi una reazione di intensità minore, fino a non potersi registrare più nulla dopo alcune volte che si ripropone al nostro soggetto ad intervalli regolari. Solo un successivo stimolo a 500 Hertz lo farà scuotere di nuovo12. Questo, inoltre, ci dimostra che il feto ha memoria. LA MEMORIA DEL FETO La dimostrazione più chiara della memoria e delle percezioni prenatali del feto si trova negli studi fatti su neonati cui, prima della nascita, erano stati forniti degli stimoli che vengono loro forniti di nuovo una volta nati13. PenTab. 2 – Ordine di comparsa dei recettori tattili nelle varie superfici corporee Sensibilità cutanea Settimana Struttura 7a Regione peribuccale 11a Viso, mani, piedi 15a Tronco, arti prossimali 20a Tutta cute e mucose © Punto Effe, 2004 siamo ad esempio ai classici lavori in cui al feto in utero veniva fatta ascoltare una certa aria suonata con il fagotto (strumento dai toni bassi che passano meglio nel mezzo liquido in cui il feto è immerso): facendo sentire allo stesso feto, una volta nato, la musica in questione, questi si calmava improvvisamente anche nel bel mezzo di un pianto sconsolato14. Allo stesso modo, facendo ascoltare in prima giornata dopo la nascita, delle voci al neonato, otterremo dei risultati interessanti: bisogna premettere che un indice per distinguere il livello di tranquillità del neonato è la suzione non efficace, cioè il ritmo e l’intensità con cui succhia un ciuccio. Ebbene è stato visto che il neonato che riascolta appena nato la voce della sua mamma ha un tipo di suzione molto differente, meno agitata, piuttosto che se invece della mamma gli facciamo ascoltare la voce di un estraneo15. Dove ha imparato che “quella” è la voce della “sua” mamma? Altrettanto sorprendente è notare che sarà differente il modo di succhiare, se facciamo ascoltare una voce di un estraneo nella lingua della madre e di un altro estraneo in un’altra lingua: il tipo di suzione dimostra un’ansia maggiore quando ascolta la voce nella lingua materna. Sono state fatte delle registrazioni in utero che hanno dimostrato che all’orecchio del feto un testo letto ad alta voce dalla madre arriva incomprensibile, ma vi si possono distinguere alcune vocali e soprattutto la cadenza tipica dell’idioma materno16. Altro esempio: alcuni ricercatori di Marsiglia hanno studiato la reazione di un gruppo di neonati quando sul capezzolo della mamma veniva applicata qualche goccia di una salsa locale (chiamata aïoli) che la madre aveva mangiato in gravidanza: il neonato si applicava voracemente al capezzolo. Ma ripetendo lo stesso esperimento con neonati parigini, questi si allontanavano subito dal seno che promanava quell’aroma che non avevano conosciuto durante la gravidanza17. Infine, cos’è mai il cullare il bambino se non riproporgli quella stimolazione vestibolare che aveva provato per nove mesi nell’utero materno?18 “In varie culture e tradizioni il neonato e il bambino prima della nascita sono reputati dotati di una sensibilità ricchissima. La donna incinta e il bambino che porta sono circondati di un rispetto vigile: ci sono cose da non dire e cose che bisogna dire, ci sono musiche da suonare vicino al ventre della mamma, ci sono le canzoni dell’attesa.” “La nostra attenzione è stata attirata dall’impressionante plasticità prenatale le cui conseguenze si vedranno più tardi, permettendo di adattarsi facilmente al mondo contemporaneo. Abbiamo visto per esempio che il modo migliore per non risentire più tardi [dopo la nascita] del rumore spaventoso che fanno gli aerei che passano sopra casa vostra è di trasferirvisi quattro mesi prima del parto. 27 28 JOURNAL OF MEDICINE & THE PERSON. GENNAIO 2004, NUMERO 1 È così che la vita prenatale è forse un periodo in cui si prepara l’adattamento al mondo così com’è, al mondo in cui si vivrà”19 IL PIACERE DEL FETO Dagli studi sul prematuro (che, come abbiamo visto è solo un feto uscito troppo presto dall’utero), impariamo delle cose interessanti: in primo luogo che se gli si avvicina la mamma, il suo stato di ossigenazione migliora: infatti è stata recentemente messa a punto (non senza resistenze) una tecnica chiamata “del canguro” (kangaroo-care), che consiste nel tenere per periodi più o meno lunghi il prematuro a contatto pelle-a-pelle con la mamma, tra le sue mammelle20,21. Questo produce un indiscusso miglioramento delle sue condizioni cliniche, segno che è esattamente di quel contatto e di quel calore che il neonato ha bisogno. Ma non basta: abbiamo di recente osservato che il prematuro è capace di portare la sua attenzione su un soggetto che con dolcezza gli parla e lo coccola: questo provoca un’interazione così forte che in quel momento si può eseguire un prelievo di sangue e avere la certezza che il bambino non sentirà male22,23. Cosa ci suggeriscono queste osservazioni? Che il prematuro (il feto) è caratterizzato da una cosa che caratterizza anche l’uomo più grande; qualcosa che è la più peculiare caratteristica umana: il desiderio. Il feto è tutto desiderio perché è tutto potenza, cioè ha un mondo interno in espansione e un mondo esterno che gli si spalanca davanti24. Non dimentichiamoci che parlando di “piacere”, non si può non parlare dei sogni, e viene spontanea la domanda: il feto sogna? Ovviamente non lo sappiamo: non può dircelo, ma ve ne sono tutti i presupposti. È possibile fare un elettroencefalogramma al piccolissimo prematuro per verificare la sua attività cerebrale e gli stati di sonno che attraversa. Vediamo allora che dalle 30 settimane dopo il concepimento il feto inizia a presentare una chiara differenziazione tra Sonno Quieto (l’analogo del sonno Non-REM) e Sonno Attivo (l’analogo del sonno REM)25. Dunque vi sono le fasi del sonno deputate allo sviluppo del sogno: infatti il sonno REM è proprio quello in cui noi adulti abbiamo la maggior parte dell’attività onirica, cioè i sogni. Ma cosa sognerebbe? Evidentemente non delle immagini: non ha nulla da vedere nell’utero. Ma può sognare e rielaborare le varie sensazioni che prova in utero: tattili, vestibolari, gustative e acustiche26. IL DOLORE DEL FETO Gran parte dei discorsi fatti per il feto, possono essere applicati al bambino nato prematuramente, siccome il prematuro è un essere che ha tutte le strutture fetali, solo che si è trovato suo malgrado a vivere fuori dall’utero. Al prematuro infatti vengono sottratti mesi di vita intrauterina e tutte le sensazioni connesse. Anzi, queste vengono sostituite da un’assenza di stimoli fisiologici e talora l’unico contatto che il prematuro ha col mondo esterno è il dolore che prova per una molteplice serie di ragioni. Questo provoca delle ripercussioni psicologiche ed organiche. Sembra impossibile, ma il dolore del neonato è stato riconosciuto solo alla fine degli anni ’80. I lavori fondamentali di Anand sono del 198527. Fino allora questo veniva negato. Si facevano normalmente interventi chirurgici sul neonato senza anestesia28,29, un po’ per paura degli effetti collaterali degli analgesici, un po’ per pregiudizio: si parlava di scarsa mielinizzazione delle fibre che impediva la trasmissione del dolore, di scarsa organizzazione della corteccia cerebrale che impedirebbe di elaborare la sensazione dolorosa e renderla cosciente. Oggi sappiamo che questa immaturità non è in grado di impedire la sensazione del dolore. Sappiamo addirittura che il neonato sente il dolore più dell’adulto, per una maggiore concentrazione cutanea di recettori e per una buona produzione di sostanza P (uno dei principali mediatori biochimici del segnale di dolore). Inoltre il neonato, proprio per essere immaturo, ha minor capacità di autobloccare la sensazione di dolore come farebbe un adulto che può contare sulla produzione di endorfina (ormoni antidolorifici che sono scarsi nel prematuro) e sulla sua capacità di distrarsi o di sopportare coscientemente30. Il dolore del prematuro non ha solo effetti psicologici, ma anche organici: provoca tachicardia, desaturazione, aumento della pressione intracranica e arteriosa, tutti fattori ad alto rischio per provocare emorragia cerebrale. Infatti si è visto che nei neonati sottoposti a procedure estremamente dolorose senza analgesia, il numero di danni cerebrali è estremamente maggiore che in neonati trattati con analgesia31. Tuttavia ancor oggi c’è qualcuno che sostiene che il feto non sente dolore, ma per sostenere questo deve anche dire che il neonato non lo sente, e per dire questo deve anche dire che il bambino più grande non lo sente!32 Insomma, per motivi ideologici si va contro l’evidenza: c’è chi scrive ancor oggi che il bambino nel primo anno di vita non è una persona, e non essendo tale non sente il dolore, almeno come noi lo concepiamo33-35. I lavori più dimostrativi sul dolore del feto sono quelli di Fisk che ha dimostrato un aumento di cortisolo e betaendorfine (ormoni che testimoniano la presenza di stress e dolore) in feti di circa 20 settimane di gestazione se viene loro punta una vena interna del corpo, la vena intraepatica, per far loro una trasfusione di sangue quando sono ancora nell’utero36. Review Carlo Valerio Bellieni Ma poi, perché mai un feto di 40 settimane non dovrebbe sentire dolore, quando è appurato che un prematuro di 25 lo sente? Abbiamo di recente sperimentato un metodo di analgesia nel prematuro che abbiamo chiamato Saturazione Sensoriale22,23. Consiste nel fornire vari stimoli sensoriali al bambino durante il prelievo di sangue doloroso (voce, sguardo, profumo, gusto, massaggio). Fornendo più stimoli, si compete sia a livello centrale che periferico con l’arrivo alla corteccia del dolore. Il risultato è che con la saturazione sensoriale il punteggio di dolore è bassissimo anche rispetto a tecniche sperimentate quali l’uso di istillare sulla lingua una soluzione zuccherina3739 . Questo metodo nasce dal riconoscimento che non possiamo trattare il bambino neonato se non rassicurandolo, calmandolo, distraendolo, come faremmo con un bambino più grande. Ci siamo resi conto che il prematuro ha bisogno nel momento dell’affronto del dolore di una presenza che lo aiuti, proprio come si fa col bambino più grande, ma a maggior ragione, perché ci troviamo in presenza di un soggetto particolarmente stressato, confinato in un microcosmo buono al nostro fine di tenerlo lontano da infezioni ma pessimo riguardo il suo sviluppo e vissuto psichico. “I prematuri sentono dolore e hanno esigenza che questo cessi: dunque soffrono. Ecco perché sosteniamo che l’intervento medico non può essere limitato a farmaci e procedure mediche. La parola chiave è “presenza”, perché è ciò che è richiesta e ciò di cui si ha bisogno. È difficile da somministrare, perché non è un farmaco e non può essere dato da un operatore distratto. Ma è l’unico modo di riconoscere la dignità di entrambi: paziente e operatore”40. LA PRIVACY DEL FETO Nel 1998 l’Organizzazione mondiale della sanità propose delle linee-guida etiche in medicina genetica in cui si legge: “La diagnosi prenatale è eseguita solo per dare ai genitori e ai medici informazioni sulla salute del feto. L’uso di diagnosi prenatale per test di paternità, eccetto in caso di violenza o incesto, o per arrivare ad aborto selettivo in base al sesso, tranne che per le malattie legate al sesso, non è accettabile”41. Queste parole sono un primo argine ad un abuso della medicina prenatale che lentamente sta prendendo piede. Purtroppo la diagnosi prenatale sta assumendo sempre più le caratteristiche di un accanimento alla ricerca dell’imperfezione. Conseguenza prima, è la perdita di serenità durante la gravidanza, che viene ridotta spesso alla ricerca spasmodica di un ipotetico figlio perfetto. Nella letteratura medica si descrivono scenari in cui vengono abortiti feti perché femmine, o perché si prevede che © Punto Effe, 2004 non arriveranno alla statura desiderata dai genitori42. A questo proposito resta storico l’articolo intitolato “J’accuse” scritto dal più grande studioso mondiale di basse stature, il prof. Maroteaux, intitolato “La bassa statura ha ancora diritto di cittadinanza?”, in cui lo studioso si scaglia contro la deriva che sta prendendo la ricerca accanita della minima imperfezione del feto43. C’è da domandarsi chi salvaguarda i diritti del nascituro, dal momento che sappiamo che certe tecniche di diagnosi prenatale invasive non sono prive di rischi per la vita del feto: “Alcune donne vogliono un test prenatale precoce indipendentemente dall’aumento del rischio legato alla procedura o dalla relazione di quel rischio con la possibilità di un’anomalia nel feto”44. Non dimentichiamo altri comportamenti che configurano vere e proprie interferenze in quanto di più personale esiste nella nuova vita che si può formare: – il ritardo scelto coscientemente nell’avere il primo figlio (l’età materna avanzata può portare almeno tre rischi: natimortalità, aborto spontaneo, gravidanza ectopica45,46; inoltre “i recenti aumenti in parti prematuri e basso peso alla nascita sono in parte legati al fenomeno dell’età avanzata materna”)47. – la banalizzazione dell’idea di clonazione che, mentre non comprende che la libertà umana e le vicende che la circondano non sono “clonabili”, d’altra parte aspetta solo di eliminare il rischio della nascita di “mostri” per poterla permettere. Dunque uno scenario nuovo si prospetta: si è superato il livello del dibattito sulla liceità dell’interruzione di gravidanza (della quale non si vedevano gli effetti nei termini di patologia organica sulla persona, essendo ovviamente il fine dell’interruzione di gravidanza l’eliminazione della persona stessa) e si è passati ad un panorama in cui le anomalie in certi casi vengono ricercate (come in casi in cui alcuni genitori portatori di una certa tara fisica hanno accettato solo un figlio portatore della stessa tara, per esempio la sordità)48, mentre in altri (fecondazione in vitro, amniocentesi…) se ne conosce la possibilità e la si accetta, con possibili conseguenze visibili e dolorose49. Si abusa allora delle possibilità tecniche, rasentando in alcuni casi l’eugenismo, cioè l’accettazione solo dei “perfetti”. Deve allora esistere una sfera di riservatezza, di vita privata fetale che non deve essere infranta. Deve esistere il diritto alla salute fetale. Deve esistere il diritto alla nonmanipolabilità, alla non-danneggiabilità prenatale. Esiste, d’altro canto, il diritto alla terapia fetale? O queste sono nelle mani di terzi e non tutelate da leggi anche se il non rispetto di esse avrà riflessi gravi sul figlio nato? 29 30 JOURNAL OF MEDICINE & THE PERSON. GENNAIO 2004, NUMERO 1 LA COMPAGNIA DEL FETO Racconta Jean Pierre Relier, in un suo libro, che una volta venne da lui una madre lamentandosi che il feto si era messo di traverso e pigiava sul fegato, impedendole di riposarsi. Era una donna molto semplice e lui non trovò di meglio da dirgli che: “Signora, insomma, gli parli. Glielo dica di spostarsi”. La donna lo guardò sospettosa e andò a casa. Relier racconta che questa mamma gli telefonò qualche giorno dopo con la voce rotta dall’emozione, dicendo: “Professore, ha reagito! Io gliel’ho detto e lui si è mosso!”. Commenta Relier che lui sapeva bene che il feto prima o poi si sarebbe mosso, ma quello che lo colpiva era la voce di quella mamma: per la prima volta era entrata in contatto col figlio!50 A Siena abbiamo da qualche anno iniziato dei corsi per aiutare le donne in questo senso. Sono dei corsi che si svolgono per donne all’inizio della gravidanza e sfruttano le nostre conoscenze sulla sensorialità dei feti. Insegniamo a parlare a voce alta in certe occasioni, a cantare, a danzare, a massaggiare il pancione in modo tale che il feto senta questi stimoli che la madre gli manda. Insegniamo che il feto percepisce in qualche modo il profumo della mamma, e ciò che mangia: insomma, è già uno della famiglia. Ora stiamo valutando dal punto di vista statistico l’effetto di queste lezioni sulle gestanti. Ma il primo effetto è una accresciuta serenità.51 Spesso nella gravidanza la donna si sente sola. Talvolta il partner è assente, non è coinvolto. Allora resta come possibilità di compagnia scoprire che nel suo profondo, dentro di sé, protetto da lei c’è “un altro” che sta cercando di mettersi in contatto, che aspetta di essere riconosciuto. In sala parto spesso ci chiedono appena nasce il bambino “È perfetto?” “Ha tutto?”, “È normale?” Cos’è questo domandare non curioso ma preoccupato, se non un indice dell’ansia con cui si vivono i nove mesi che invece dovrebbero essere un momento di scoperta e festa? L’aver reso “routine”, automatica la diagnosi prenatale (si ricordi che ben piccola parte delle indagini prenatali è fatta nell’interesse della salute del nascituro) acuisce tutto questo52. Noi abbiamo visto che scoprire che ancor prima della nascita esiste un “tu” piccolo e nascosto, uno speciale confidente per la mamma, è capace di togliere molta dell’ansia di cui invece sono conditi i nove mesi. Quando una donna incinta è così distesa, è possibile prendere in mano il suo utero, non con la punta delle dita, ma con tutta la mano, come un pallone, per prendere contatto con il bambino: una leggera pressione del dito fa da richiamo e subito il bambino reagisce e si mette in moto: la madre percepisce la leggera pressione del dito dello sperimentatore e sente la risposta del suo bambino. Subito il suo sguardo si illumina: “Risponde, è sensibile!” È auspicabile che il padre, per quanto è possibile, partecipi a questo “gioco” in cui si incontrano, a partire dai primi movimenti del feto, e a tempi regolari. Si accorgerà che, anche per lui, è relativamente facile comunicare con suo figlio nell’utero, come per la madre, giocando con lui, formando con la madre una trinità affettiva serena”.53 IL FETO IN PERICOLO Non dobbiamo inoltre dimenticare che l’accanimento diagnostico prenatale può svelare o provocare problemi di ordine psicologico: “Ogni esplorazione fetale, in particolare la realizzazione del cariotipo (mappa dei cromosomi), provoca soprattutto nella madre una vera “interruzione” della relazione con il bambino, che riprenderà solo dopo il risultato di normalità. Alla minima anomalia, il sospetto portato sulla qualità del bambino, induce nei genitori una reazione di rigetto totalmente sproporzionata alla gravità reale”52. Sappiamo che il feto risente di questo stato di ansia materna, perché è stato descritto che in caso di depressione o ansia materna, egli modifica i parametri fisiologici (movimenti, frequenza cardiaca)54. Ansia materna che spesso si manifesta in rifiuto, nel caso di esito della diagnosi prenatale non conforme a quanto desiderato: Middelton scrive: “una proporzione significativa della popolazione nei paesi sviluppati e in via di sviluppo è in favore di diagnosi prenatale e aborto selettivo in condizioni quali mancanza di due dita, bassa statura, obesità”55. Talvolta il figlio viene rifiutato paradossalmente nel caso che si preveda che nascerà indenne da un’anomalia (ad es. la sordità) presente nei genitori48. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, come abbiamo visto, invoca una privacy fetale per non rivelare, durante gli esami prenatali di routine, dati quali il sesso o la statura prevista, che potrebbero portare a interruzioni eugenetiche della gravidanza41. Non dimentichiamo poi i rischi di morte fetale, alterazioni alle estremità, rischio di ingresso in terapia intensiva alla nascita per i bambini sottoposti ad amniocentesi56-60. Fecondazione in vitro La fecondazione medico-assistita è già stata oggetto di segnalazioni riguardo la sua non innocuità61,65. Taluni legano questo non solo alla gemellarità spesso prodotta da questa tecnica, ma anche a un’alterazione intrinseca del normale sviluppo dello zigote, che al momento del concepimento non si trova a contatto delle proteine prodotte dalla mucosa tubarica con possibili effetti anche sulle gravidanze singole: “Molti bambini nati da fecondazione in vitro (FIV), riporta Stromberg sul Lancet del 2002, sono sani, ma hanno un alto rischio di disabilità neurologica”61. E aggiunge: “I bambini nati da FIV han- Review Carlo Valerio Bellieni no più bisogno dei servizi di riabilitazione rispetto ai controlli. La diagnosi neurologica più comune nel nostro studio era la paralisi cerebrale, per la quale i bambini nati da FIV avevano un aumento di rischio pari a 3.7 (2.0-6.6) e i nati singoli di 2.8 (1.3-5.8). Nel caso della tecnica ICSI sono riportati ulteriori rischi66,67. La fecondazione medico-assistita è anche causa di aumento di ingresso dei bambini nelle rianimazioni neonatali: in Francia questo tasso è in ascesa dal 1995 al 2001 del 20%68. COS’È ALLORA IL FETO? Abbiamo delineato alcune caratteristiche presenti nel feto: capacità di gusto, tatto, olfatto, udito, vista; capacità di interazione e desiderio; capacità di sognare; capacità di soffrire. Come chiameremo tutto questo? Se per un attimo ci riflettiamo, troviamo che queste sono le stesse caratteristiche che definiscono ciascuno di noi. Dunque il feto è già un protagonista nella vita della sua famiglia: è, in altri termini, uno di noi, una persona. È ovvio allora che si debba parlare di diritti del feto. Ma ancora di più, credo che sia importante parlare di dignità del feto. Ogni aggressione alla sfera personale del bambino prima della nascita deve essere proibita, se non è nell’interesse della sua salute. Cos’è invece questo correre alla caccia dell’imperfezione, col sottile corollario che l’imperfezione deve essere eliminata insieme all’imperfetto? Cos’è questo spendere milioni di dollari di finanze pubbliche per lo screening delle malattie prenatali (in particolare la Sindrome Down) e neanche uno spicciolo per la terapia o il sostegno delle persone con questa patologia? Cos’è questo instillare nella popolazione la paura e far credere che nella vita i problemi si possano solo fuggire o sopprimere? È istruttivo conoscere famiglie con bambini malati e vedere come affrontano il disagio, la fatica, il dolore69. E vedere che la cosa peggiore è lo stato di solitudine in cui sono lasciati in molti casi, anche dai vecchi amici che ora hanno “riguardo” ad avvicinarli per non metterli (mettersi!) in imbarazzo. È interessante allora capire che nella vita si ha paura della realtà se è una “realtà immaginata”, cioè l’idea di un dolore; ma non è lo stesso con la “realtà-reale”, cioè quella malattia, anzi quel bambino in carne ed ossa. È il “mio” bambino. Non è una sindrome, una fatalità; non è un rischio. Tanto che sarebbe bene che chi è deputato a dare notizie ai genitori durante una seduta di diagnosi prenatale smettesse di parlare di “rischio” di Down, ma parlasse di “possibilità” di Down. Il bambino non è mai un rischio. © Punto Effe, 2004 Capire questo è importante nell’interesse di chi deve nascere, ma lo è anche nell’interesse della famiglia. Chi cura la psicologia delle persone conosce i rischi per la salute mentale legati ad un’interruzione volontaria di gravidanza70,71. È un autolesionismo pernicioso che nasce nell’apparente tranquillità e finisce spesso nell’auto-tortura. E questo non è legato a presunti sensi di colpa dovuti ad influssi religiosi, di cui sono spesso accusati i cattolici, perché si sa che paradossalmente le donne cattoliche che abortiscono hanno meno problemi psicologici dopo rispetto alle non-cattoliche perché nelle prime l’esperienza del perdono prevale sulla colpa. Infine, capire che il feto è una persona, è importante per chiunque. È l’importanza della cosiddetta “etica dello stupore”72. Di fronte al riconoscimento del valore della persona in un essere così mancante di tante caratteristiche mature, qual è il feto, è palese allora che la mia persona, la mia dignità, la mia vita non dipendono da quanto produco o faccio, da quanto sono piacevolmente conformato o da quanto posseggo. La mia vita, la mia natura per valere non dipendono dal riconoscimento che altri danno loro. Valgono in quanto hanno una dignità che viene dal far parte di un livello particolare della natura. L’appartenenza a quel livello della natura che ha capacità di coscienza e di ricerca del significato vuol dire essere persone. Noi siamo persone per questo: perché il desiderio che ci costituisce ci getta sulla realtà in modo tale da conoscerla e da conoscere noi stessi. Questo può avvenire in maniera imperfetta, in particolare in certe occasioni: se siamo troppo giovani o troppo vecchi, se abbiamo malattie neurologiche o quando dormiamo. Ma qualunque situazione contingente non ci toglie la potenzialità di farlo: ciò che ci descrive non sono i cosiddetti “accidenti”, le capacità, gli attributi, ma la sostanza, la nostra natura, fatta per far emergere la nostra coscienza. Succede che qualcuno confonda sostanza e attributi della persona e dica che uno può essere chiamato persona solo se ha certe capacità. Razza, colore della pelle, censo, sesso sono stati nei secoli dei motivi per escludere qualcuno dal novero delle “persone” a tutti gli effetti. Bastava essere sconfitti in guerra per diventare schiavi e perdere lo status di persona. Oggi esistono altri parametri per negare a qualcuno questa considerazione: per esempio la mancanza di una certa cittadinanza, oppure la povertà o il ritardo neurologico. Anche l’essere ancora dentro l’utero materno priva del diritto ad essere appellati persone. Eppure abbiamo visto che solo una fede cieca in qualche arte magica può far credere che il momento della nascita segni qualcosa di importante nella vita fisiologica di un individuo. 31 32 JOURNAL OF MEDICINE & THE PERSON. GENNAIO 2004, NUMERO 1 Dal momento del concepimento non esiste nessun momento magico: lo sviluppo neurologico continuerà per anni. Da quando due cellule si sono unite per formarne una nuova, con un DNA diverso da quello di padre e madre, siamo di fronte ad un individuo. La coscienza apparirà: per ora è solo potenziale; ma altrettanto si può dire di ognuno di noi quando dorme. Si dirà: ma chi dorme poi si sveglierà, basta aspettare. Giusto: per l’embrione vale lo stesso criterio: basta aspettare e la coscienza appare73. Diceva Anna Arendt: “l’uomo non è fatto per morire, ma per iniziare”74. Lo stupore verso l’alba della vita apre enormi porte alla ricerca scientifica. Negarlo è un triste oscurantismo. Indirizzo per la corrispondenza: Dr. Carlo Valerio Bellieni U.O. Terapia Intensiva e Neonatologia Policlinico Le Scotte Viale Mario Bracci 53100 Siena e-mail: [email protected] BIBLIOGRAFIA 1. Bellieni CV: Lo sviluppo psichico prenatale. Medico e Bambino 2003; 6:404-8 2. Bouchart-Godard A: Una pelle sensibile. In L’alba dei Sensi. Ed E Herbinet e MC Busnel Cantagalli ed Siena. 2002: 265-77 3. Auroux M: Dévelopment anatomique et fonctionnel du cerveau sensoriel. In L’aube des Sens, Eds Stock, Paris 1990: 23-43 4. Relier JP: Importance de la sensorialité foetale dans l’établissement d’un échange mère-enfant pendant la grossesse. Arch Pediatr 1996; 3:274-82 5. 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