il Vento del Male - Tracce d`Eternità
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il Vento del Male - Tracce d`Eternità
1 LIBRO ELETTRONICO L’autore ROBERTO BONCRISTIANO Professore di filosofia e storia nei licei, inizia le sue ricerche circa trent'anni fa nel campo dell'ufologia e dell'archeologia di frontiera. Dagli anni novanta del secolo scorso si interessa di archeoastronomia e di storia antica, in particolare quella mesopotamica. Nel 2005 collabora alla stesura del libro di Piccaluga 'Ossimoro Marte'. Conferenziere e studioso di sumerologia, dal 2007 al 2009 insieme a Pietro Albanese pubblica una serie di articoli su riviste nazionali specializzate sulla vicenda Sitchin, rinnovando in Italia l'interesse per le teorie dello studioso di origine ebrea. L'autore nel corso degli anni approfondisce i temi connessi alla paleogenetica. Alcuni articoli compariranno su alcuni importanti siti americani suscitando una notevole curiosità da parte degli addetti ai lavori. Dopo due anni di pausa, pubblica due articoli sulla rivista australiana 'Nexus' sulle vicende storiche della penisola del Sinai e della valle del Giordano. Attualmente sta lavorando sulla tecnologia militare della Mesopotamia e sulla paleoepigenetica. Idea, progetto grafico e adattamento dei testi (qualora ritenuto necessario) a cura della redazione di “Tracce d’eternità”. Testo a cura dell’autore. Già pubblicato sui numeri 91 e 92 della rivista mensile NEXUS. © 2011 di Roberto Boncristiano. Tutti i diritti riservati. Edizione elettronica in download gratuito dal portale simonebarcelli.org 2 PREFAZIONE Il vento del male di cui ci parla Roberto Boncristiano in questo saggio è un flagello che, a quanto sembra, possiede l’inopportuna caratteristica di tornare periodicamente a incombere sull’umanità. Si è sempre pensato che la follia delle armi nucleari fosse propria del nostro tempo, della cupidigia e della depravazione bellica tipica dei governanti del ventesimo secolo. Potrebbe non essere così. Anzi, per quanto mi riguarda non è così. Come leggerete in queste pagine, e come è possibile desumere da altri dati, sembra ormai molto probabile che una o più civiltà del nostro passato abbiano padroneggiato l’energia atomica, il cui utilizzo più evidente e inconfondibile è sempre quello bellico. Ora, uno dei problemi sta nel capire se questa antica civiltà, alla base del mito di Atlantide, sia di origine terrestre oppure no. Le grandi capacità tecnologiche che le vengono attribuite generalmente fanno propendere per l’ipotesi esogena. Quando però si approfondisce questo punto, quello cioè dell’utilizzo di armi atomiche, io credo non si possa non notare una spiccata umanità nelle contese, nei dissidi e nelle guerre che poi ne sarebbero sfociate. Il fatto stesso che, come leggerete, ci fosse un numero limitato di ordigni può indicare che fosse sostanzialmente tutto quello che si era riusciti a salvare da una qualche precedente catastrofe. Un’ipotesi relativamente nuova sta prendendo piede tra alcuni ricercatori: che non fossero extra-terrestri, ma ex-terrestri, 3 cioè umani che hanno lasciato il nostro pianeta per poi tornare e cercare di ricostruire la loro civiltà utilizzando quel poco che si è salvato. Comprese le armi. Tornando a questo lavoro minuzioso di Roberto, ciò che è maggiormente apprezzabile, a nostro parere, è l’approccio a questo argomento a dir poco spinoso. Sia in termini metodologici che di opportunità. In fin dei conti già Sitchin ha esplorato questa possibilità ma quasi sempre basandosi sulla propria interpretazione delle tavolette sumere. Qui invece si vanno a cercare, e direi a trovare, prove in campi del tutto diversi. Dalla paleoclimatologia alla fisica nucleare. Ciò che ne risulta è un corpo di informazioni, che grazie alla sua rigorosità, è di grande aiuto nello studio del nostro passato “alternativo”. Spero, sono convinto, che Roberto non si fermerà qui. Ci sono altre tradizioni e altre terre che in un lontano passato sono state flagellate da esplosioni atomiche, come la valle dell’indo e in particolare la città di Mojen Daro. Accertare questi fatti ci darà innanzitutto una visione più chiara e realistica dei miti del nostro passato, ma poi ci consentirà di riflettere sul nostro futuro, su quali siano le strade da percorrere verso l’evoluzione anziché quelle de evitare per non rischiare di estinguerci. È la prova più grande che l’umanità deve affrontare: sopravvivere alla capacità di usare l’energia atomica. In passato non ci sono riusciti. Gianluca Rampini 4 CAPITOLO 1 Una ipotesi revisionistica in chiave storiografica del repentino disfacimento dell’impero accadico, databile tra il 2260 e il 2255 a.C., prefigura la decisiva incidenza di fattori climatici sull’habitat fisico ed economico delle popolazioni residenti. La disgregazione del tessuto sociale e la disarticolazione dell’organizzazione politica del primo impero mediorientale conseguono dalla inabitabilità improvvisa del territorio, con relativo e consistente esodo degli abitanti, e dunque dall’interruzione delle attività produttive. Le cronologie convenzionali proposte posticipano l’implosione storica dell’impero accadico convergendo sul periodo compreso tra il 2175 e il 2025 a.C. Uno studio comparato di geologia chimica per la valutazione di variazioni paleoclimatiche nell’area mediorientale, compresa tra la penisola del Sinai e il Mediterraneo ad ovest, la penisola anatolica a nord, l’Iran a est e il golfo di Oman a sud-est, pubblicato dalla rivista scientifica “Geology” nell’aprile 2000, a cura di una prestigiosa equipe di scienziati, tra cui H.M. Cullen, P.B. deMenocal, F. Sirocko e altri, attesta una datazione similare. Gli elementi scientifici di natura probatoria esibiti sembrano accertare un rapido inaridimento della pianura mesopotamica nel 2025 a.C. circa, con uno scarto temporale di dieci anni, in più o in meno. I siti perlustrati e geochimicamente analizzati sono stati l’area di Tell Leilan, nel 5 nord-est della Siria, la distesa alluvionale in Iraq, i monti Zagros, che si snodano dal Kurdistan fino al golfo di Oman per circa 1500 chilometri e che dividono l’altopiano iranico dall’Iraq, il fiume Indo, i sedimenti del golfo di Oman. La comparazione delle polveri sedimentate nelle aree geografiche di riferimento ha evidenziato picchi quantitativamente anomali e un’alterazione della loro composizione chimica, nonché una affinità ascrivibile a un medesimo sito di origine. I dati sperimentali disponibili rivelano una sedimentazione massiccia di polveri mesopotamiche nel fondale marino del golfo di Oman, per l’azione congiunta di venti asciutti come lo shamal, in grado di sollevare polveri e sabbie nell’atmosfera. Le proprietà mineralogiche specifiche delle polveri mesopotamiche, in particolare elevate dosi standard di carbonato di calcio, dolomite e quarzo, hanno permesso la loro identificazione durante l’analisi stratigrafica dei sedimenti marini del golfo di Oman e, tramite sofisticate e affidabili tecniche di misurazione, di appurare le loro variazioni quantitative nei periodi precedenti, giungendo fino al Pleistocene Superiore. La presenza nel sedimento marino del golfo di Oman di un minerale costituito da carbonato di calcio e magnesio, la dolomite, del carbonato di calcio neutro e di un composto siliceo come il quarzo conferma la loro provenienza dall’area alluvionale mesopotamica. La sedimentazione massificata di tali minerali si concentra in un lasso temporale di circa 400 6 anni, collocato tra il 2025 e il 1625 a.C. I valori concernenti le variazioni quantitative dei minerali menzionati certificano un aumento esponenziale delle polveri di dolomite detritica fino a cinque volte il valore medio registrato per il periodo terminale dell’ultima glaciazione, intorno al 10.000 a.C., ma dimostrano soprattutto un flusso ascendente di polveri dolomitiche dai 0.39-0.43g/cm/k.y. ai 0.97g/cm/k.y. e un aumento significativo delle percentuali di calcite dal 19% fino al 39%. La crescita quantitativa delle polveri con un simile ordine di grandezza inerisce un repentino processo di inaridimento della piana alluvionale mesopotamica cronologicamente posto nel 2025 a.C. Una puntuale correlazione tra la direzione, l’intensità e la periodizzazione delle correnti aeree della regione e la composizione chimica delle polveri trasportate ha consentito l’individuazione dei siti originari delle componenti sedimentarie del golfo di Oman. In termini probabilistici si può escludere che si tratti di una fisiologica oscillazione climatica di esclusiva origine naturale; pur supponendo un brusco innalzamento dell’aridità della regione mesopotamica nel medio Olocene, ciò comporterebbe una comparsa del mutamento climatico in un arco temporale molto più esteso rispetto a quello riscontrato dall’indagine geochimica, che registra lo sbalzo quantitativo della dolomite nel 2025 a.C. Gli stessi ricercatori in precedenza menzionati, marcano la inusuale subitaneità della variazione climatica e del suo carattere “drammatico”, documentato dai picchi valoriali 7 misurati nelle stratificazioni sedimentarie del golfo di Oman e relativi agli isotopi radiogenetici di Stronzio e Neodimio. Le analisi isotopiche radiogenetiche di questi elementi sono state inoltre determinanti per definire con assoluta precisione le aree interessate al processo di inaridimento e per escludere la causa naturale. Anche se i dati sperimentali scaturenti dalla misurazione degli isotopi di Stronzio e Neodimio implicano un discostarsi di dieci anni dal 2025 a.C., come sequenza temporale entro cui porre l’inizio dell’inaridimento del territorio mesopotamico, si deve eccepire la sua eccessiva brevità per poter sostenere la improponibilità dell’origine naturale di un evento climatico istantaneo. L’accuratezza dei dati geochimici e la loro attendibilità scientifica hanno indotto i geologi a determinare il 2025 a.C. come perno cronologico della periodizzazione dei fenomeni paleoclimatici inesplicabili della Mesopotamia. Nell’ambito di un monitoraggio del processo evolutivo del paleoclima del pianeta si pone la ricerca di Peter B. deMenocal, la cui indagine sulle variazioni climatiche dell’area mesopotamica nel tardo Olocene focalizza il nesso causale tra l’inaridimento della zona settentrionale e il collasso economico e sociale dell’impero accadico. La datazione emergente dall’analisi geochimica di deMenocal ribadisce per l’ennesima volta il periodo soggetto al mutamento climatico, additando però la data correttiva del 2024 a.C. come la fase iniziale di violente tempeste di materiali detritici in 8 grado di infrangere l’organizzazione delle attività agricole e di provocare una destabilizzazione economica e sociale. La conseguenza devastante sarà la migrazione delle popolazioni dall’area settentrionale mesopotamica verso la zona sud del territorio mesopotamico: “..an abrupt increase in eolian dust from 4025 BP reveals that arid conditions persisted in the region for 300 years. A comparison of geochemical ash shards found at the archeological site and in the marine sediment record reveal that an abrupte climate shift to arid conditions occurred at the same time as the collapse of Akkadian empire, further implicating climate change as the cause...[...] ..archeological evidence shows the populace abandoned northern Mesopotamian agricultural plains and moved to the south, where population numbers expanded..” (…un brusco incremento di tempeste di polveri detritiche dal 4025 prima del tempo presente rivela che condizioni di aridità sono persistite nella regione per 300 anni. Una comparazione a livello geochimico delle componenti delle ceneri trovate nel sito archeologico e nei sedimenti marini mostra che un repentino avvicendamento climatico verso condizioni di aridità è sopraggiunto contemporaneamente al collasso dell’impero accadico, ulteriore conferma del cambiamento climatico come la causa di fondo…[…]…evidenze archeologiche indicano che la popolazione ha abbandonato le aree agricole del nord della Mesopotamia ed è emigrata verso il sud, dove il numero degli abitanti si accresce significativamente…). 9 Il periodico alternarsi di climi umidi e asciutti risponde ai cicli climatici preventivabili in relazione a impatti sull’atmosfera dei flussi dell’energia solare, soggetti a sistematiche variazioni quantitative. La scansione temporale delle fluttuazioni dell’energia eliaca non coincide con il periodo storico considerato, se inquadriamo i fattori relativi al minimo di Maunder, alla termoregolazione indotta da componenti esterne come la energia radiante solare e le oscillazioni orbitali, o da componenti interne come la composizione atmosferica, il campo magnetico terrestre e le correnti marine. I dati disponibili sono insufficienti per acclarare nel paleoclima mesopotamico una imprevista irruzione di fattori naturali tali da imprimere un mutamento climatico rilevante e da innescare un processo d’inaridimento nella regione. D’altro canto, anche nell’ipotesi di conferme sul piano scientifico di una genesi naturale del processo d’inaridimento del 2024 a.C., permane l’anomalia di un mutamento climatico in un’area geograficamente troppo ristretta e per un periodo molto limitato. In termini di oscillazioni dei microclimi, l’ordine di grandezza dei fattori esaminati è minimale e dunque sproporzionato per difetto. Se le risultanze poste in essere dalla ricerca scientifica sollevano serie perplessità su un ruolo delle cause naturali, esse possono essere recuperate se si ritiene plausibile ipotizzare l’adeguatezza degli effetti climatici rispetto alle potenzialità constatate degli agenti climatici esogeni ed endogeni. Esorbita dal potere esplicativo di questa 10 ipotesi la innaturale rapidità con cui si è innescato il processo d’inaridimento. Avallando quest’ultima obiezione all’origine naturale del mutamento climatico per la sua fondatezza scientifica, essa deve essere integrata da una spiegazione di natura storica, in grado di armonizzare gli elementi di conoscenza apparentemente incompatibili delle scienze specialistiche. Una ricostruzione del passato della civiltà mesopotamica ci conduce intorno al 2370 a.C., quando sorge l’impero di Akkad e Sumer, guidato dal sovrano Sharru.kin, conosciuto come Sargon. Viene creata una realtà geopolitica fortemente innovativa, con un’organizzazione politica ed economica che sopravanza la civiltà delle città-stato sumere. Dalla capitale imperiale Agade, Accad nella lingua semitica, si pianificano spedizioni militari tendenti alla sottomissione dei territori occidentali, da cui provengono le minacce più serie alla stabilità dell’impero accadico, tra cui gli amorriti, popolo di lingua semitica. L’abilità di Sargon il Grande consente l’ampliamento dell’impero, che include l’intera Mesopotamia e si estende dal Mediterraneo al golfo Persico, dalla Siria a parte della penisola anatolica, per giungere alle propaggini dei monti Zagros. Sargon governa secondo la cronologia ortodossa dal 2334 al 2279 a.C., ma non vi è unanime concordanza, perché alcuni studiosi come Sitchin anticipano il dominio di Sargon collocandolo tra il 2370 e il 2316 a.C. 11 Sulla destra, Sargon di Accad 12 La questione cronologica è cruciale per una corretta linea temporale degli eventi storici dell’antica Mesopotamia. Le fonti documentali di riferimento sono costituite dal testo autobiografico “La leggenda di Sargon”, da un documento conosciuto come “La cronaca di Sargon”, integrato dal testo “La maledizione di Agade”. I testi citati testimoniano la successione al trono imperiale dei figli di Sargon Rimush, dal 2316 al 2309 a.C., e Manishtushu dal 2309 al 2294 a.C. Il figlio di Manishtushu, Naram-Sin, regna dal 2294 al 2257 a.C. Non è casuale il suffisso Sin, un termine accadico denotante il dio sumero Nannar, a riprova di una mutuazione del pantheon divino accadico da quello sumero. Naram-Sin è figura di rilievo, in quanto la sua vicenda è emblematica di un insanabile contrasto di apparente natura mitologica tra due presunte fazioni degli dei, desumibile dal resoconto di tavole sumere, in una nuova e controversa traduzione proposta da Sitchin, studioso indipendente. Il nostro intento si limita a reperire elementi conoscitivi condivisi dalla comunità scientifica per legittimare la fondatezza di una innovativa versione esplicativa di eventi traumatici della storia mesopotamica. 13 14 CAPITOLO 2 Gli schieramenti divini sono connessi al tentativo egemonico messo in atto dai due capostipiti delle divinità sumere, Enlil ed Enki. Questa lotta millenaria per la supremazia sulle regioni del mondo antico, comprendente la Mezzaluna fertile, coinvolge anche i loro discendenti divini e si estende anche agli umani, pedine fondamentali di una strategia politica e militare estremamente complessa. I territori contesi sono dislocati nell’area mesopotamica, contraddistinta dalla presenza di città-stato, entità geopolitiche controllate dagli dei enliliti ed enkiti. Protagonisti di spicco Enlil, i figli Ninurta e Nannar-Sin, e la nipote Inanna-Ishtar, figlia di Nannar-Sin; il ceppo familiare avversario annovera Enki, i figli Ningishzidda-Toth, Nergal-Erra e Marduk-Ra. Rinviando i lettori alla bibliografia per gli approfondimenti, la tensione tra i due clan divini diviene spasmodica per le ambizioni politiche della dea Inanna-Ishtar, spalleggiata dal nonno Enlil e inizialmente da tutto il suo clan familiare, che aspira ad esercitare un dominio territoriale e a contrastare le mire egemoniche di Marduk-Ra, determinato nel voler imporre la sua leadership a tutti gli dei, compresi i componenti del clan enlilita. Con il beneplacito del nonno Enlil, si permette a Inanna, in accadico Ishtar, di fondare l’impero di Sumeria e Accadia mediante il supporto delle campagne militari di Sargon il Grande. La nascita dell’impero accadico collima con 15 il proposito degli dei enliliti di contenere l’espansionismo territoriale e il consenso crescente delle popolazioni nei riguardi di Marduk, che si avvale della preziosa opera di proselitismo del figlio Nabu. In questo contesto un ruolo strumentale viene attribuito inizialmente a Sargon il Grande, che unifica il territorio mesopotamico creando una realtà geopolitica comprendente la Sumeria e l’Accadia, situata a nord. L’arroganza di Sargon, che osa sfidare i suoi dei tentando di emularli nelle loro gesta, lo condurrà a morte violenta, decretata dagli dei enliliti. L’impero accadico sarà tenuto in vita da suo nipote Naram-Sin, abile condottiero e politico di notevole finezza, che saprà garantire un’ulteriore espansione dell’impero e contrastare efficacemente la politica di reclutamento dei popoli occidentali messa in atto da Marduk e Nabu. La divinità indiziata di manovrare Naram-Sin per assecondare il proprio delirante spirito di onnipotenza è Ishtar, che lo incita persino a invadere la vitale regione del Sinai, il sito del porto spaziale degli dei. Questa profanazione del territorio riservato alle sole divinità viene recepita come un atto sacrilego e durante l’assemblea degli Anunnaki viene deliberata all’unanimità la distruzione totale di Accad, la capitale dell’impero. Dal testo “La maledizione di Agade” si evince come strumento di morte l’incursione dei Gutei, verosimilmente provenienti dall’area dei monti Zagros e fedeli alle divinità enlilite. Siamo nell’anno 2257 a.C. La scomparsa di Agade non implica lo smantellamento contemporaneo 16 dell’impalcatura organizzativa dell’impero accadico, che sopravvive tramite il trasferimento della sovranità a Lagash, città dove risiede Ninurta, in grado di attutire provvisoriamente i contraccolpi negativi derivanti dal prestigio di cui gode Marduk presso le popolazioni terrestri. Per circa un secolo Ninurta limita il processo di decadenza politica dell’Accadia e della Sumeria, ma nulla può di fronte alla irresistibile ascesa politica di Marduk e Nabu. Marduk 17 L’urgenza di ripristinare nella regione l’autorità degli enliliti comporta la loro scelta di affidare a Nannar-Sin il compito di gestire la delicata situazione e d’individuare la città di Ur come centro nevralgico di una strategia tesa a riaffermare il controllo enlilita sulla Sumeria. Inizia il terzo periodo di Ur come centro politico della Sumeria, coincidente con la sequenza temporale 2113-2024 a.C. Il primo sovrano di Ur è Ur-Nammu, il cui significato è “la gioia di Ur” e regna dal 2113 al 2096 a.C. UrNammu si fregia anche del titolo di sovrano di Sumer e Akkad e intraprende nel 2096 una campagna militare contro i regni di Occidente, affiliati al clan degli enkiti, ma gli esiti sono disastrosi e la morte di Ur-Nammu ne conclude la vicenda terrena. La terza dinastia di Ur prosegue con le figure di Shulgi (2095-2048 a.C.) e di Amar-Sin (2048-2039 a.C.), che tutela gli interessi degli dei enliliti mediante una strategia militare tesa a respingere l’avanzata degli eserciti fedeli al clan di Marduk e del figlio Nabu. Il successore Shu-Sin (2038-2030) argina con difficoltà la pressione delle città e dei regni filomardukiti e si attesta su posizioni difensive nella parte centrale della Sumeria. Ibbi-Sin (2029-2024 a.C.), ultimo re della Terza dinastia di Ur, subirà le conseguenze di tragiche decisioni assunte dal clan degli dei enliliti per privare definitivamente Marduk e Nabu della superiorità militare e strategica scaturente da un loro imminente controllo del porto spaziale, situato nella penisola del Sinai. Le ragioni del sovrumano sforzo per disporre di un porto spaziale si 18 incentrano sulla superiorità militare conseguibile mediante il controllo dei cieli. Il dominio dell’aria era la premessa imprescindibile per un’egida planetaria e di ciò sono consapevoli i due clan divini. La conformazione orografica della penisola del Sinai e la sua posizione geografica la rendono idonea all’insediamento di un porto spaziale, con tutta plausibilità nella parte centrale, costituita da un altopiano, ma sulle indicazioni desumibili da alcune documentazioni della civiltà sumera non si può escludere la pianura settentrionale. La penisola veniva indicata dai Sumeri con il termine “Tilmun”, ossia “il luogo dei missili”, ma un altro possibile significato è la “Terra del Vivente”. Confronto tra la rappresentazione sumera del Tilmun e la penisola del Sinai 19 Un approccio interdisciplinare prefigura una mappatura del sito portuale che focalizza il monte Mashu come riferimento o preannuncio topografico del porto spaziale, a cui ben si addice un terreno solido di natura ghiaiosa come quello della Pianura Centrale. Il monte Mashu è dislocato nei pressi di KadeshBarnea ed è assimilabile all’area interna centrale della penisola. L’esigenza di garantire la sicurezza dei voli impone una pianificazione delle rotte con una nitida visualizzazione dei corridoi di atterraggio; all’uopo s’istituiscono riferimenti geografici espressi dalle vette gemelle dell’Ararat e dalle piramidi della piana di Giza. Da quanto contestualizzato il porto spaziale doveva essere ubicato sulla intersezione tra il 30° parallelo, che attraversa la piana di Giza, e la rotta di atterraggio convergente dal monte Ararat. Ci sembra molto plausibile l’accanimento con cui le due fazioni divine si fronteggiano per il controllo del porto spaziale, adducendo come ragione di fondo la volontà di subordinare a sé i destini del pianeta. Un serie di conflitti si susseguono nel tempo, giungendo al suo acme con la Guerra dei Re, che registra lo scontro tra gli invasori d’Oriente guidati tra gli altri dal re Kudur-Lagmar, identificabile con il biblico Khedorla’omer, e le città cananee, di orientamento enkita. Malgrado i suoi successi militari, Kudur-Lagmar non consegue l’obiettivo prioritario dell’offensiva, che è il possesso del porto spaziale della penisola del Sinai, per il tempestivo intervento di Abramo, incaricato dalle autorità enlilite di sbarrare la strada a 20 Kudur-Lagmar. Questo frangente è storicamente rilevante, essendo ipotizzabile circoscrivere questo potente re orientale come alleato del biblico “Amraphel, re di Shin’ar”, dunque con un re della regione mesopotamica. Sulla base dei testi cuneiformi conosciuti come i “Testi di Khedorla’omer”, siamo in grado di associare Amraphel, il capo degli invasori orientali, alla figura di Amar-Sin, terzo sovrano della Terza Dinastia di Ur. Il dato è indicativo di un protagonismo storico dell’impero di Sumer e Akkad nella sua fase terminale e del suo coinvolgimento negli eventi che precedono l’attacco nucleare alla penisola del Sinai del 2024 a.C. Siamo nel 2041 a.C., durante la Guerra dei Re, intrapresa con la spedizione militare di Amar-Sin. Gli eventi bellici successivi connotano un’invasiva espansione territoriale delle forze enkite, e il timore di un’imminente caduta dell’intera area mesopotamica nelle mani di Marduk e del figlio Nabu spinge gli enliliti a decisioni drastiche. L’unico obiettivo perseguibile dagli enliliti, in procinto di una disfatta inaspettata, era impedire agli enkiti di impadronirsi del porto spaziale della penisola del Sinai. Il susseguirsi convulso dei fatti è documentato da una serie di testi atavici, riconducibili ai capitoli della “Genesi”, a “La profezia di Marduk”, alla testimonianza prodotta dalle tavole cuniformi intitolate “I testi di Khedorla’omer”, al documento “L’Epopea di Erra”. Un contributo alla ricostruzione del dramma storico deriva da alcuni testi mesopotamici come “La Lamentazione per la 21 distruzione di Ur”, “La Lamentazione di Ur”, “La Lamentazione per la Desolazione di Ur e Sumer”, “La Lamentazione di Uruk”, “La Lamentazione di Nippur”, “Lamentazione di Eridu”. Si acuisce la contrapposizione tra i due schieramenti divini quando ascende al trono di Ur Shu-Sin nel 2038 a.C. Il sovrano s’impegna nell’erigere una fortificazione muraria a scopo difensivo e nell’ingraziarsi gli dei enliliti mediante una restaurazione dei templi religiosi presso la città di Nippur, in modo da rinverdire il culto in onore del dio Enlil. Il suo vano tentativo di preservare il cuore dell’impero di Sumer e Akkad dall’invasione degli eserciti enkiti termina bruscamente nel 2030 a.C. con la sua morte. Gli succede nel 2029 a.C. Ibbi-Sin, che non può arginare l’avanzata delle truppe devote a Marduk e al figli Nabu verso Ur e Nippur. Gli eserciti avversari si affrontano nei pressi di Nippur, e ivi si consuma l’evento catalizzatore che innescherà il processo decisionale per un attacco atomico nei confronti della fazione enkita. Il saccheggio e la devastazione della città di Nippur e del suo sito sacro, l’Ekur, ad opera di Nergal-Erra, figlio di Enki ma alleato di Ninurta e di Enlil è il prologo della guerra nucleare. Un passo dei Testi di Kedorla’omer sancisce le gravi responsabilità di Nergal: “…Portate via il bottino dell’Ekur, portate via ogni suo valore, distruggete le sue fondamenta, distruggete il recinto del suo tempio…”. Ninurta accusa deliberatamente Marduk e Nabu di aver concepito questo 22 disegno criminale e sacrilego, sollevando intenzionalmente Nergal-Erra da qualsiasi sospetto. Durante le burrascose riunioni degli dei, Enki e Nabu difendono le legittime aspirazioni di Marduk alla supremazia sugli dei e si scagliano con veemenza contro Nergal, accusato di essersi schierato con gli enliliti. L’odio prevale sulla moderazione e Nergal alimenta il rancore degli enliliti, dovuto all’umiliazione patita con il saccheggio della città sacra di Enlil. Per portare a termine il suo progetto di morte Nergal si persuade della necessità di adoperare le armi atomiche, accuratamente nascoste in territorio africano, per annientare Marduk e Nabu e per spazzare via le enclave enkite sui territori contesi da millenni. Nel corso di una drammatica riunione dell’assemblea degli dei Nergal sollecita un intervento risolutore per ridimensionare brutalmente le ambizioni di Marduk e, malgrado la fiera opposizione di Enki, gli dei dell’assemblea accolgono la sua richiesta, e incassano inaspettatamente il consenso del dio supremo An. L’approvazione riscossa da Nergal era però subordinata al vincolo dell’incolumità degli abitanti del territorio e degli stessi dei presenti nell’area prescelta per l’annientamento delle forze enkite. Inoltre, gli obiettivi dell’attacco nucleare dovevano essere preventivamente prefissati e circoscritti, in ossequio ad esclusive ragioni di strategia militare complessiva, proprio al fine di scongiurare i terribili effetti collaterali delle esplosioni nucleari. Nergal, mosso da irrefrenabile spirito vendicativo, è intenzionato ad 23 annichilire la sua famiglia e i loro seguaci umani con un’azione dirompente in tutta l’area mesopotamica, giungendo sino al mar Mediterraneo e alla regione mediorientale. Le astuzie diplomatiche di Ninurta, coadiuvate dal doveroso ossequio nei riguardi delle decisioni del massimo organo rappresentativo della volontà degli dei, inducono Nergal a rinunciare ai suoi spropositati fini e a pianificare una distruzione del porto spaziale del Sinai e delle città ribelli che avevano appoggiato Nabu. Si doveva garantire un attacco simultaneo al porto spaziale e alle città prospicienti le coste meridionali del mar Morto per non concedere a Nabu nessuna possibilità di fuga o di salvezza. Il testo assiro “L’epopea di Erra”, nella versione proposta da L. Cagni, descrive in modo particolareggiato l’olocausto nucleare che infierirà sulla penisola del Sinai. Vengono recuperati da Nergal e da Ninurta i sette missili a testata nucleare accuratamente occultati nel territorio africano controllato da Gibil, un fratello di Marduk e di Nergal. Le testimonianze antiche combaciano nella descrizione degli eventi infausti; nei “Testi di Kedorla’omer” si indugia sulla distruzione del porto spaziale: “…ciò che veniva innalzato e lanciato verso Anu essi lo distrussero; il suo volto fecero scomparire, e non restò che desolazione…”. Il testo “Epopea di Erra” ribadisce con ulteriori dettagli l’accadimento: “…Ishum (Ninurta) diresse i suoi passi al monte più alto, portando dietro di sé le sette spaventose armi 24 che non hanno eguali. L’eroe arrivò al monte più alto, alzò la sua mano ed ecco: il monte crollò; passò quindi alla pianura più vicina al monte più alto; in quel bosco non rimase in piedi neanche un albero…”. Un ennesimo testo cuneiforme riporta la distruzione del porto spaziale, identificato con la sigla K.5001 e pubblicato dalla Oxford edizioni: “…Signore, tu che hai portato colui che ha bruciato l’avversario; tu che hai annientato la terra disobbediente; ..[…]..che hai fatto piovere pietre e fuoco sugli avversari…”. La penisola del Sinai dallo spazio 25 26 CAPITOLO 3 Un altro documento, con linguaggio cuneiforme e rintracciato nella biblioteca di Nippur, concorda con le versioni dei fatti riportate dagli altri testi mesopotamici legittimandosi vicendevolmente: “…Ninurta partì alla volta del monte Mashu, Nergal lo seguiva dappresso. Ninurta controllava dai cieli il Monte e la pianura, posti al centro della quarta regione…[…] …dai cieli allora Ninurta liberò la prima arma del terrore. Recise con un lampo la cima del monte Mashu, in un solo istante fuse le viscere del monte. Liberò la seconda arma sopra il Luogo dei Carri Celesti. Con la brillantezza di sette soli, le rocce della pianura vennero tramutate in una ferita stillante. La Terra tremò e andò in frantumi, i cieli, dopo la brillantezza, si oscurarono. Di pietre bruciate e frantumate era ricoperta la pianura dei carri. Di tutte le foreste che avevano circondato la pianura, solo il fusto degli alberi erano rimasti in piedi …”. Il monte Mashu era stato prescelto per dislocare le strumentazioni atte alla gestione e al controllo dei voli spaziali, e tutte le operazioni relative al decollo e atterraggio delle navicelle spaziali; era dunque un obiettivo prioritario rendere inutilizzabile o cancellare il centro di controllo dei voli spaziali. L’esplosione del primo missile a testata nucleare, sganciato da un velivolo, determina un effetto termico tale da fondere istantaneamente la parte interna del monte Mashu, mentre l’energia sprigionata dallo scoppio tronca la cima del 27 monte. Con un secondo missile a testata nucleare Ninurta colpisce la pianura centrale, contigua al monte e adattata a pista di atterraggio e decollo di velivoli spaziali. Ninurta 28 Gli effetti immediati sono la fusione del manto della pianura e la frammentazione delle rocce, annerite dall’immenso calore. La ricerca di prove oggettive extratestuali ci conduce a esaminare alcune foto satellitari, che immortalano una fenditura profonda della pianura centrale, attorniata verso l’area nord-orientale da una superficie nerastra, colorazione anomala dovuta alla presenza sul terreno di innumerevoli frammenti rocciosi neri. Centinaia di milioni di pezzi di roccia nera. La moderna scienza geologica ci informa che le rocce caratteristiche della penisola del Sinai sono prevalentemente costituite da rocce calcaree bianche e da arenarie che sfumano in diversi colori, escluso il nero. Non essendo state rilevate zone vulcaniche, permane il mistero dell’origine di queste rocce scure. Le rocce nerastre o molto scure sono di origine vulcanica e sono costituite da materiale magmatico solidificatosi a contatto con l’aria o l’acqua: le rocce nere della pianura centrale del Sinai non sono quindi basaltiche. Solo una immensa fonte di calore può surriscaldare rocce calcaree e arenarie, le cui temperature di fusione si attestano tra i 650° e i 950° gradi. Un’ipotesi esplicativa plausibile è rappresentata da un impatto di un corpo meteoritico con la superficie della penisola del Sinai, ma non sono stati rilevati materiali detritici residuali da collisione, tanto meno la fenditura visibile al centro del Sinai presenta contorni o bordi circolari, tipici di un incavo di origine meteoritica. 29 Ci sovviene la testimonianza del testo di Nippur: “…recise con un lampo la cima del monte Mashu, in un solo istante fuse le viscere del monte…”. Esplicitando il riferimento come un processo di fusione della massa rocciosa del monte Mashu, esso può configurarsi come l’esito di un evento non naturale, assimilabile all‘esplosione di un ordigno nucleare. Analizzando gli effetti specifici di un’esplosione atomica di una bomba con un potenziale di un megatone, ad un’altezza stimata di alcune centinaia di metri, si svilupperebbe una temperatura nel punto d’impatto di alcuni milioni di gradi, con la conseguente fusione di materiale roccioso. La sfera di fuoco generata dall’esplosione nel suo movimento ascensionale solleverebbe con sé l’aria e tutti i materiali detritici derivati dalla disgregazione fisica del monte Mashu. La presenza di centinaia di milioni di frammenti rocciosi anneriti e disseminati nella piana circostante può essere esplicata, almeno in parte, con la ricaduta successiva del materiale detritico anche in un’area di centinaia di chilometri quadrati, in prossimità del monte Mashu. Non si dimentichi che temperature così elevate inducono lo scoppio di incendi anche a ragguardevoli distanze, coinvolgendo ambienti naturali circostanti. Dal testo sumero si evince che le foreste circostanti la pianura indiziata sono state letteralmente incenerite e solo una onda termica di notevole intensità, del tutto analoga a quella creata da un’esplosione di ordigno nucleare, può innescare incendi a distanze importanti. Non dobbiamo trascurare l’effetto 30 sinergico, imputabile allo scoppio di un secondo missile a testata nucleare e lanciato da Ninurta dall’alto direttamente contro la pianura contigua al monte Mashu e sede del porto spaziale. Infatti, i due missili sono stati scagliati in un arco temporale estremamente ridotto, quasi contemporaneamente, e certamente gli effetti devastanti di natura calorica delle due bombe atomiche si sono reciprocamente potenziati. Aggiungiamo che incendi di questa origine e portata hanno un potere calorifico stimabile fino a 1000° gradi di temperatura e per diverso tempo arroventerebbero tutto ciò che è compreso nella zona coinvolta. Un dato probatorio indiretto di un evento nucleare indigeno è il rilevamento di una concentrazione innaturale nella pianura centrale del Sinai di isotopi di uranio 235, impiegato per la fabbricazione di bombe nucleari e termonucleari. Quantità così elevate di uranio 235 cozzano con una distribuzione abbastanza omogenea dei minerali di estrazione nella crosta terrestre. Non sovvenendoci spiegazioni di ordine naturalistico per una simile concentrazione, si deve concludere che concentrazioni di isotopi di uranio 235 di questa entità sono addebitabili ad esplosioni di missili a testata nucleare. Percentuali esorbitanti di uranio 235 nella piana centrale del Sinai possono essere addotte per alcuni test nucleari attuati da Israele negli anni sessanta, giungendo alle soglie degli anni settanta. Questo dato destituisce di ogni fondamento la testimonianza storica dei testi mesopotamici afferenti l’impiego di armi nucleari nella penisola del Sinai nel 31 2024 a.C., deducendo come causa di quantità apprezzabili di uranio 235 l’irradiazione connessa allo scoppio di bombe nucleari sperimentali da parte di Israele. In realtà, la documentazione storica tramandataci dalle culture mesopotamiche viene avvalorata nella sua attendibilità da un ritrovamento insolito effettuato nel 1986 da una equipe di ricerca francese, tra cui Gilles Dormion e Jean-Patrice Goidin. Mediante strumentazioni di alta tecnologia individuano una cavità esterna posta sul lato occidentale del Passaggio orizzontale, che conduce dal corridoio ascendente della Grande Piramide della piana di Giza alla camera della Regina. Dopo aver praticato tre fori nel muro occidentale del Passaggio orizzontale, avvistano uno strato sabbioso e ne prelevano dei campioni per l’analisi geochimica. Pur non essendo stati divulgati pubblicamente dai francesi i risultati delle indagini di laboratorio, alcuni dati sono stati desunti da ricerche di laboratorio condotte dagli egiziani e sono disponibili presso la biblioteca dell’ARCE del Cairo. Le caratteristiche di questa enigmatica sabbia consistono nell’essere sottile e fine come il talco, nell’essere amalgamata con minerali pesanti, nel provenire dalla pianura del Sinai e non dalla piana di Giza. È alquanto inspiegabile utilizzare sabbia proveniente da diverse centinaia di chilometri piuttosto che quella della piana di Giza, ma l’elemento significativo è la radioattività di questa sabbia depositata nella grande Piramide. È stato appurato che sono presenti isotopi di uranio 235 in questo reperto archeologico e 32 ciò consente l’ammissione di un evento di natura nucleare nella penisola del Sinai non attribuibile ai test nucleari israeliani degli anni sessanta. Non sarebbe persuasivo l’intento degli israeliani di depositare (deporre o riporre) sabbia del Sinai, resa radioattiva negli anni sessanta da test nucleari del XX secolo d.C., all’interno di una cavità nascosta e localizzata dietro la parete occidentale del Passaggio orizzontale della Grande Piramide. Nell’ipotesi più ottimistica, la Piramide di Cheope va datata intorno alla seconda metà del terzo millennio; dunque, una sabbia contenente isotopi di uranio 235 è stata stratificata in una cavità sbarrata da un muro di due metri e mezzo di spessore almeno nel venticinquesimo secolo a.C. Pur non essendoci una collimazione cronologica tra l’attacco nucleare alla penisola del Sinai (2024 a.C.) e la costruzione della Grande Piramide (2470 a.C. circa), si evince dal rilevamento di isotopi di uranio 235 nella sabbia del Sinai scoperta all’interno della Grande Piramide l’esistenza incontestabile di una tecnologia militare nucleare antecedente il blitz atomico degli enliliti di almeno 446 anni circa. Altri riscontri testuali di un attacco nucleare sferrato contemporaneamente al crollo definitivo dell’impero accadico ineriscono al ruolo di Nergal-Erra, l’altra divinità responsabile dell’olocausto nucleare. Il testo assiro “Epopea di Erra” contempla alcuni passaggi sulle modalità di distruzione di cinque città dislocate lungo le coste meridionali del mar Morto 33 e sulla tipologia di armi adoperate, non necessariamente legate ad un’unica tecnologia nucleare. Secondo queste testimonianze “…Nergal desiderò emulare Ninurta…seguendo la Strada dei Re, volò fino alla valle verdeggiante delle cinque città. Nella valle verdeggiante, dove Nabu stava convertendo la gente, Nergal progettava di schiacciarlo come un uccello in gabbia. Sulle cinque città, l’una dopo l’altra, Erra inviò dai cieli un’arma del terrore. Distrusse le cinque città della valle, le città si tramutarono in desolazione. Furono sconvolte dal fuoco e dallo zolfo, tutto ciò che in esse aveva vita si trasformò in vapore…”. Le informazioni da trarre sono senz’altro coerenti con le acquisizioni attuali delle indagini scientifiche specialistiche; la Strada dei Re s’inoltra lungo la costa mediterranea della Penisola del Sinai ed è la via che conduce alle sponde meridionali del mar Morto, dove sono disposte le cinque città annientate. Nergal sta palesemente dirigendosi nella zona prescelta tramite un velivolo militare equipaggiato con cinque missili dotati di bombe di distruzione di massa. Sulla base dei più recenti dispositivi tecnologici di natura bellica, si presume che Nergal abbia predisposto un attacco nucleare finalizzato al conseguimento di esiti distruttivi totalmente certi ed efficaci. Il lancio di missili a testata nucleare dall’alto è stato effettuato per garantire un’esplosione delle bombe atomiche a un’altezza ideale, in modo da ottimizzarne gli effetti mortali. Non sono state impiegate bombe ad altissimo potenziale, i cui effetti 34 annientatori sono inversamente proporzionali alla potenza dell’arma nucleare, per cui non risultano idonee rispetto agli obiettivi bellici prefissati da Ninurta. I riferimenti del testo assiro alle conseguenze scaturenti dal lancio dei missili a testata nucleare sono compatibili con i danni sortiti da bombe atomiche. Si suppone che ogni città situata nella vallata circostante le coste meridionali del mar Morto sia stata distrutta da un solo missile, avendo Ninurta a disposizione non più di cinque missili, dotati ognuno di una testata esplosiva. Inoltre, si arguisce che solo una testata di tipo nucleare sia in grado di sviluppare una onda d’urto e una pressione di sufficiente intensità tali da determinare un effetto compromissorio sul complesso urbanistico di una intera città. Il testo assiro allude in modo univoco a una distruzione globale delle città. L’onda termica sviluppata dall’esplosione della bomba innalza fino all’inverosimile la temperatura dell’ambiente circostante, con l’innesco di incendi dei materiali più sensibili al rialzo termico. Lo scoppio di incendi simultanei può degenerare in una tempesta di fuoco, alimentata dall’ossigeno atmosferico e coadiuvata da incendi relativamente secondari, imputabili a esplosioni di materiali altamente infiammabili, senza escludere la sollecitazione dell’onda di pressione: “…le città furono sconvolte dal fuoco e dallo zolfo…”. L’equivalenza terminologica con la testimonianza biblica della distruzione delle città di Sodoma e Gomorra si giustifica per 35 una condivisa memoria di eventi di natura epocale, che si sono impresse nell’immaginario collettivo dei popoli antichi: “…quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo…” (Genesi, 19: 24-25). Il testo biblico indirettamente corrobora il testo assiro per il suo riferimento alla distruzione della valle contigua alle coste meridionali del mar Morto e di altre città ubicate nella stessa area di Sodoma e Gomorra. In forma trasversale le Sacre Scritture annoverano la presenza di altre città accanto a Sodoma e Gomorra, e dal resoconto del testo mesopotamico sappiamo che ve n’erano almeno altre tre, se Nergal porta con sé ben cinque missili a testata nucleare. Sui nomi delle altre tre città colpite dalla devastazione nucleare ci avvaliamo del testo biblico della Genesi (14, 1-3), che cita le città di Adma, Zeboim e Bela o Zoar. Eminenti studiosi come M. Sanders e D. Laing hanno monitorato l’area di nostro interesse mediante l’analisi di foto satellitari, rese disponibili con una ricerca di D. Laing. Sono emerse immagini satellitari particolari che presagiscono una diversa valutazione della nomenclatura geofisica del mar Morto e l’area contigua. Una concentrazione anomala di linee simmetriche di tipo rettangolare è verificabile su almeno quattro siti archeologici sommersi nelle acque del mar Morto. Escludendo capricci naturali, una medesima conformazione 36 geometrica è ravvisabile lungo la fascia costiera meridionale e orientale negli strati inferiori sottostanti la superficie del terreno. La distruzione di sodoma Se la ricerca geologica supporta validamente un primo dato oggettivo, relativo all’esistenza di cinque città nell’area nell’età del bronzo, l’altro elemento da approfondire è il rilevamento di siti cimiteriali, che ospitano almeno un milione e mezzo di corpi, la maggior parte dei quali ha iniziato a decomporsi intorno al 2220 a.C. Solo un evento catastrofico può causare in tempi esigui centinaia di migliaia di morti. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato un’eruzione vulcanica come fattore esplicativo di uno sterminio naturale di massa, ma le 37 evidenze geologiche smentiscono la possibile plausibilità di questo approccio. Non si constatano presenze di vulcani dormienti o in attività. L’altra spiegazione naturalistica ricorre ad un evento sismico di forte intensità, ma anche in questo caso non sussistono fenomeni sismici rovinosi nell’area del mar Morto. L’infondatezza di un siffatto approccio viene palesata dai dati scientifici divulgati da Jackson e McKenzie, due sismologi che in uno studio del 1984 precisano le coordinate della faglia del mar Morto, che si estende congiungendosi a nord con la faglia Est Anatolica e snodandosi fino al mar Rosso. I due studiosi sezionano la faglia del mar Morto in due porzioni distinte, con alcune differenze di struttura, ma nel complesso non si registrano nel breve e medio periodo fenomeni sismici rilevanti. Altri due ricercatori, Ambraseys e Barazangi, nel 1989 pubblicano i risultati della loro indagine geosismica, dimostrando che l’attività sismica nell’area interessata dalla faglia del mar Morto è di intensità modesta, concentrandosi quasi esclusivamente nella zona meridionale della faglia e raggiungendo tutt’al più magnitudo 4; raramente supera magnitudo 5, concentrandosi nella zona del golfo di Aqaba. Non ci sembra concludente l’argomentazione, di presunto carattere probatorio, affidata all’aver assodato l’esistenza di un rift, le cui dimensioni e struttura non sono idonee per 38 testimoniare una sua origine esclusivamente naturale (Ambraseys e Barazangi, 1989). I dati statistici su apocalittiche intensità dei terremoti nella zona, riportati da Ambraseys e Barazangi, ci inducono a escludere definitivamente questa causa. Accantonando l’ipotesi di cause naturali, subentrano altri elementi di valutazione che convogliano la ricerca verso una ragionevole ammissione di eventi non naturali. Un primo elemento è il sito archeologico di Numeira, in quanto presenta i segni inequivocabili di una distruzione indotta da una intensa fonte di calore. Anche il sito archeologico di Safi, che è stato individuato come la città biblica di Zoar, secondo le conclusioni di indagini geologiche e degli strati sedimentari, è stato incenerito da un fuoco di inaudita potenza. Un secondo elemento è il mutamento climatico, subentrato repentinamente alla fine del terzo millennio a.C. La zona si contraddistingue per una accentuata aridità che rende inospitale il territorio e stronca le potenzialità agricole, ma nel passato la valle del Giordano era una terra fertile e ubertosa, come viene asserito dalla tradizione biblica (Genesi, 13:10). I dati climatologici reperibili nelle documentazioni storiche antiche convergono in modo singolare con i risultati dei team di scienziati che si sono dedicati con rigore allo studio delle variazioni climatiche verificatesi nel 2024 a.C. nell’area mesopotamica. Il processo di inaridimento interessa contemporaneamente il mar Morto e la pianura mesopotamica 39 e, avendo dimostrato che le sole cause naturali non spiegano adeguatamente gli effetti riscontrabili in termini climatici e di sconvolgimento del paesaggio urbano e naturalistico, l’ipotesi di un attacco nucleare nella penisola del Sinai e nella valle del Giordano acquista una rilevanza preminente. Un terzo elemento, non trascurabile, è un persistente livello di radioattività delle acque sorgive circostanti il mar Morto. Lo studio di I. M. Blake, pubblicato nel 1967, mediante misurazioni archeometriche di ossa provenienti dalla zona e delle fonti idriche, ha appurato un livello sufficientemente elevato di radioattività per il rilevamento di particelle beta, costituenti tipiche del fallout nucleare. Le quantità di particelle beta sono una prova scientifica di una irradiazione nucleare subita dalla regione del mar Morto, essendo del tutto improbabile un rialzo significativo del numero di particelle beta con il ricorso a cause naturali. Un quarto elemento è l’incidenza di patologie assimilabili a una sterilità indotta negli esseri umani residenti nella zona, affetti dopo un periodo di permanenza nell’area di almeno quindici-venti anni (I.M. Blake). Le ricerche condotte da equipe miste di scienziati americani e giapponesi sugli effetti delle radiazioni sugli esseri umani, tra gli anni ’40 e ’70 del secolo scorso, sono giunte alla conclusione che le radiazioni nel medio e lungo periodo inducono danni agli apparati riproduttivi e sterilità irreversibile. 40 Di notevole rilievo è l’esplicito richiamo all’estinzione di ogni entità biologica umana e vegetale. Effetti di questa portata appartengono alle peculiarità disintegratici e di letalità delle armi atomiche. Il testo mesopotamico “Epopea di Erra” riporta con precisione la modalità di estinzione delle forme viventi: “…tutto ciò che in esse aveva vita si trasformò in vapore…”. La vaporizzazione di corpi umani è un processo fisico che implica temperature di combustione intorno ai mille gradi, una temperatura prossima a quella emanata dall’irraggiamento termico di una bomba atomica standard. Per evitare fraintendimenti, quando si discorre di vaporizzazione non si intende il passaggio del corpo umano dallo stato solido a quello gassoso per sublimazione, ma la trasformazione di gran parte della massa della materia vivente in prodotti gassosi e vapore per effetto della combustione. La tecnologia nucleare contemporanea contempla la dotazione di bombe atomiche in grado di sviluppare simili onde termiche con letalità assoluta in un raggio piuttosto esteso, ma nulla vieta di ipotizzare che Erra l’annientatore abbia adoperato una bomba atomica tecnologicamente superiore, in grado di incrementare enormemente l’irraggiamento termico fino a temperature inimmaginabili, sufficienti per determinare un processo di sublimazione delle entità biologiche. Questa deduzione ci è sovvenuta leggendo la descrizione nell’”Erra epos” della tipologia dei sette missili a testata 41 nucleare, tra cui spicca “.. un’arma riempita di un veleno mostruoso, quella che vaporizza le cose viventi…”. La riprova di una versatilità tecnologica a disposizione di Ninurta e Nergal è la diversa denominazione delle armi nucleari dissotterrate dai due infernali individui. Nel testo assiro, già citato in precedenza, compaiono epiteti che descrivono evidentemente caratteristiche tecniche delle armi nucleari; una è definita “..quella che fonde le montagne…”, e con tutta probabilità è quella scagliata contro il monte Mashu. Un’altra arma viene ricordata come “..quella che sopra e sotto non risparmia nessuno…”, un’allusione alla capacità di permeare qualsiasi materiale e di uccidere anche coloro che dispongono di sistemi protettivi. Ripercorrendo i tragici eventi del mar Morto, non si sottovaluti una escalation delle conseguenze prodotte dall’impiego simultaneo o quasi di ben cinque armi nucleari nell’area menzionata, con una prevedibile intensificazione degli effetti termici; però, non è possibile calcolare di quanto si sia elevata la temperatura nel sito. La questione non è secondaria per una documentazione di processi di vaporizzazione registrati dai testi sumeri anche in territori dell’area mesopotamica. In un testo tramandato con il titolo “Lamentazione sulla distruzione di Ur”, in buona parte composto dalla dea Ningal, si narrano le terrificanti conseguenze di una nube assassina proveniente da occidente e generata dallo scoppio di sette armi nucleari, lanciate nella penisola del Sinai e nella valle del 42 Giordano. Ningal era la moglie di Nannar, uno dei figli di Enlil, capostipite di uno dei due clan divini. La protettrice della città sumera di Ur compie un resoconto impietoso degli effetti di una nube radioattiva spinta da venti occidentali verso la Sumeria: “…la gente, come un insieme di cocci rotti, riempiva le strade della città; ovunque, nei viali dove un tempo si passeggiava, nelle piazze dove si celebravano le feste, giacevano qua e là corpi inerti; non vi era strada dove non vi fossero mucchi di cadaveri..[…]…i cadaveri si fondevano come grasso sciolto al sole…”. Questa drammatica testimonianza impone una duplice riflessione. La prima concerne l’esigenza di un’adeguata spiegazione della fusione dei corpi; dovremmo supporre che anche l’area mesopotamica sia stata investita da una mostruosa irradiazione termica estesa ad un’area vastissima, comprensiva della piana mesopotamica e della valle del Giordano. Il quesito è squisitamente tecnico: per avere un’irradiazione termica così ampia, che copre una superficie di migliaia di chilometri quadrati, quale potenza esplosiva era insita nella armi nucleari adoperate da Nergal? Sono valutabili gli effetti letali di una bomba nucleare da 20 megaton in termini di onda pressoria e di irradiazione termica per un raggio di 60 chilometri. Il fronte del fuoco, con temperature intorno agli 800°-1000° gradi, avanzerebbe surriscaldando le correnti d’aria e originando venti infuocati di inaudita violenza, con relativa distruzione 43 estensibile fino a un raggio di 300 chilometri. Un’indagine accurata dovrebbe contemplare la reale distanza tra la valle del Giordano e la disposizione delle antiche città sumere, attraversate evidentemente da un’ardente onda termica. Senz’altro esistono ordigni nucleari in grado di sviluppare un fronte termico che si espande dalla valle del Giordano fino alle città mesopotamiche. Da quanto ricordato si deve supporre con cognizione di causa che è l’unica spiegazione plausibile per comprendere la testimonianza di Ningal, quando la divinità osserva che “…i cadaveri si fondevano come grasso sciolto al sole…”. Presumiamo che Nergal disponesse di armi nucleari particolarmente devastanti e si sia avvalso di uno strumento atomico tecnologicamente sconosciuto a noi, definito nel testo ‘Erra Epos’ “…quella che vaporizza le Cose Viventi…”. Questo ordigno singolare doveva essere un’arma selettiva, in grado di colpire esclusivamente qualsiasi forma di vita con un raggio d’azione molto esteso. Una seconda riflessione sulla testimonianza di Ningal verte sulla descrizione di piazze e strade della città di Ur disseminate di cadaveri. Di primo acchito siamo propensi a formulare l’ipotesi di un fatale attraversamento nel territorio mesopotamico di una nube radioattiva, trasportata da un vento impetuoso. Le esplosioni nucleari formano correnti aeree ascensionali di irresistibile intensità, che si avviluppano in un moto vorticoso dando luogo a una nube radioattiva. Risulta arduo prevedere il 44 moto direzionale della nube, ma nel nostro caso le correnti d’aria spirano, provenienti dal mar Mediterraneo, da Occidente verso Oriente. Non escludiamo che, sulla base di documenti mesopotamici, vi sia stata una confluenza in un unico ammasso radioattivo di diverse nubi nucleari, se ci limitiamo a osservare che sono state lanciate quasi contemporaneamente sette armi nucleari in siti concentrati in un’area non eccessivamente ampia. Sitchin sostiene che nell’antico testo “Lamentazione su Nippur” viene addebitata all’esplosione nucleare del Sinai la responsabilità della nube radioattiva e di una tempesta di vento talmente impetuosa da trascinare a velocità impressionante la nube assassina verso la pianura meridionale della Mesopotamia, verso Sumer. Un altro passo del testo sumero ricorda che “…quando il cielo precipitò e colpì la Terra, cancellandone la superficie con il suo maestrale […] quando i cieli si oscurarono e la coprirono come un’ombra […] Quel giorno era nato il Vento del Male…”. In questo passaggio si possono ravvisare i due elementi fondamentali della nostra analisi: una nube scura che rabbuia il giorno, evidente richiamo alla nube nucleare, e il maestrale, chiara allusione al soffiare di un vento rabbioso, “il Vento del Male”. Un altro testo sumero, “Distruzione di Sumer”, indugia sul luogo d’origine del “Vento del Male”, che ‘brucia furiosamente i cieli’: “…dalle montagne esso è disceso sulla terra, è venuto dalla Pianura senza pietà…”. La descrizione del luogo sembra alludere alla penisola del Sinai, ma un altro testo sumero riferisce di un’altra 45 provenienza: “…dalla Valle senza Pietà, generata dalla brillantezza, la morte venne trasportata verso Sumer...”. Uruk e Ur dal satellite Gli antichi documenti prefigurano un contesto ben diverso da quello prospettato da Sitchin, dovendo armonizzare le fonti storiche. Riteniamo che il termine valle alluda univocamente alla valle del Giordano, additata come un indubitabile sito d’origine del ‘Vento del Male’, anche se non unico. I testi ci consentono di formulare un quadro unitario degli eventi, per cui masse aeree radioattive provenienti dalla penisola del Sinai e dalla valle del Giordano si siano coagulate 46 formando un fronte unico dall’energia smisuratamente distruttiva. Un altro elemento di riflessione è offerto da una peculiarità del ‘Vento del Male’, in grado di “…bruciare furiosamente i cieli…”. Un’analisi condotta nel dopoguerra dal centro di ricerca di Los Alamos nel Nuovo Messico è stata resa pubblica solo nel maggio del 1996 e riguarda l’eventualità di poter incendiare tutta l’atmosfera terrestre mediante la detonazione di una bomba nucleare ad alto potenziale. Gli scienziati coinvolti in questa indagine scartarono quasi totalmente una simile evenienza, relegandola statisticamente nell’ambito di una improbabilità quasi assoluta. Questa conclusione ci appare piuttosto discutibile, in quanto maturata all’interno di un complesso di conoscenze datato negli anni cinquanta e sessanta. Questa ricerca del centro di Los Alamos risente di carenze a livello tecnologico e di inadeguatezza teorica, e ciò permette di accogliere la tesi di una superba capacità tecnologica di Ninurta e di Nergal, in possesso di testate nucleari catalizzatrici di reazioni nucleari tra gli atomi di azoto. Solo ipotizzando un’arma in grado di innescare una reazione nucleare a catena nell’atmosfera diviene accessibile alla ragione un ‘Vento del Male’ che “…brucia furiosamente i cieli…”. ‘Il Vento del Male’ tramandato dalla memoria storica sumera è un evento del tutto compatibile con i mutamenti climatici e ambientali scientificamente dimostrati dal team di ricercatori menzionati all’inizio, i cui risultati sono stati 47 pubblicizzati nel 2000 e nel 2001. Le temperature infernali e gli sconvolgimenti geochimici derivabili da esplosioni nucleari collimano con il mutamento climatico repentino dimostrato dagli scienziati, ovverosia un processo d’inaridimento dell’area interessata. Senza addentrarsi nello specifico, si rammenta che si verificherebbero alterazioni importanti degli agenti atmosferici, con calo delle temperature per l’assorbimento delle radiazioni solari ad opera di grandi quantità di carbonio elementare amorfo, presente nell’atmosfera per la combustione di materiali infiammabili di diversa natura, con l’immissione nell’atmosfera di monossido di carbonio, di ossido di zolfo e di azoto, sostanze velenose. L’impatto sull’agricoltura è persino nefasto proprio per il calo della temperatura, impedendo la normale maturazione e crescita delle piante, con conseguente impossibilità di avere raccolti. Ci fermiamo qui. Altri dettagli inquietanti sulla coincidenza puntuale tra la memoria storica di eventi luttuosi e i tratti distintivi delle esplosioni nucleari concernono i tempi di percorrenza del ‘Vento del Male’. I testi delle Lamentazioni asseriscono di una fluttuazione inarrestabile della nube radioattiva, risucchiata da un vento impetuoso in direzione di Sumer, che sovrasta i cieli dell’intera piana mesopotamica nell’arco di circa ventiquattr’ore: “…quel giorno, quell’unico giorno; quella notte, quell’unica notte…la tempesta, creata da un lampo di luce, lasciò prostata la gente di Nippur…”. La distanza percorsa da una nube radioattiva è in 48 funzione della quantità di radionuclidi presenti e di energia termica emessa da una bomba nucleare. Un ordigno atomico che esplode ad una quota di almeno 1000 metri d’altezza può contaminare un territorio ampio, per un raggio di almeno 1000 km. I parametri ambientali incidono in misura significativa sull’estensione della contaminazione, in primis l’intensità e la direzione dei venti, nonché la temperatura. Pur in presenza di fattori ambientali sfavorevoli, la nube che investe l’area mesopotamica è talmente densa di componenti radioattivi da coprire la distanza intercorrente tra la penisola del Sinai e la valle del Giordano da un lato, e il sito mesopotamico dall’altro. L’energia termica a cui è associata l’emissione nell’ambiente di massicce dosi di radionuclidi provoca la diramazione della nube assassina in tempi così brevi che anche gli dei ne restano sorpresi. Nel testo “Lamento di Uruk” viene descritta la loro reazione: “…i grandi dei impallidirono di fronte alla sua immensità...”. È legittimo supporre che i possessori di tecnologie militari di questo tipo siano a conoscenza degli effetti deleteri di esplosioni nucleari, ma il loro stupore comprova l’indisponibilità di metodologie idonee per analisi previsionali degli impatti ambientali dell’esplosione nucleare: “…che il Vento del Male sarebbe seguito ai bagliori, non lo sapevamo!…Che la tempesta portatrice di morte, nata in occidente, si sarebbe diretta verso oriente, chi avrebbe potuto predirlo!…”. Questa scarsa dimestichezza con i nessi tra 49 l’ecosistema e l’uso sconsiderato di armamenti atomici evidenzia il possesso di una tecnologia militare ereditata in tempi remoti, ma non del complesso di conoscenze necessarie per una gestione consapevole ed efficiente delle conseguenze sull’ecosistema delle armi di distruzione di massa. Un’analisi terminale dei testi delle Lamentazioni pone l’accento su due circostanze. La prima s’impernia sull’area di diffusione della nube radioattiva sovrastante Sumer. Diverse città sumere vengono abbandonate dai superstiti, divenendo città fantasma. Dagli elenchi riscontrati presso gli antichi testi le città bersagliate da radionuclidi sono Eridu, Lagash, Erech, Kish, Uruk, Ur; viene colpita persino Nippur, la città di Enlil, il responsabile di questa tragica decisione di impiegare armi nucleari. Il testo “Lamentazione della distruzione di Sumer e Ur” riporta in dettaglio i nomi delle città vittime dell’olocausto per effetto del fallout nucleare. Un così alto numero di città investite da radiazioni implica la notevole estensione dell’area interessata, ma risulta decifrabile anche per le distanze ravvicinate tra le più importanti città sumere. La base portante di questa pianificazione urbanistica è riferibile al posizionamento di coordinate geografiche atte a delimitare un corridoio di atterraggio per i velivoli spaziali. La distanza uniforme intercorrente tra una città e l’altra è di sei beru, circa sessanta chilometri. Eridu è la città più a sud della regione attraversata dalla nube radiante, mentre Kish è situata al limitare della parte settentrionale dell’area disastrata. Nippur 50 dista circa 120 km da Bad-Tibira e almeno 165 km da Eridu. Più a nord di Nippur si incontra Sippar, posta all’incirca a 120 km da Nippur. Non sono calcoli oziosi, ma ci permettono di appurare le dimensioni dell’area urbanizzata coinvolta e di dedurre l’ordine di grandezza dei gruppi umani sinistrati. Babilonia, collocata a nord di Nippur, sfuggirà al destino di morte delle altre città mesopotamiche. Descrizioni drammatiche di scene raccapriccianti di cadaveri disseminati in strade e piazze, sparsi anche nelle case e insepolti, sono reperibili nei testi delle Lamentazioni e caratterizzano la seconda circostanza. Opportunamente è stata posta l’attenzione sulla natura malefica delle correnti aeree radioattive sotto il profilo della contaminazione ambientale, e non sul suo potenziale distruttivo, affidato all’irradiazione termica. L’estinzione massificata delle forme di vita è ben documentata: “…nei boschi tutte le creature viventi perirono…sulle sponde del Tigri e dell’Eufrate crescevano solo piante malate ..[…] nelle paludi nascevano canne con la punta malata, che puzzavano di putridume…orti e giardini non facevano più frutti…” (testo della Lamentazione di Ur). Sono ampiamente divulgate le conseguenze sulle piante di un’irradiazione massiccia di radioisotopi; la contaminazione radioattiva scombina i processi di sintesi proteica operati dalle piante, modificando pesantemente le molecole adibite alla trasmissione delle informazioni biochimiche necessarie per la crescita delle medesime. Gli effetti più appariscenti sono 51 l’interruzione della fotosintesi clorofilliana, ritardi o arresto della crescita, avvizzimento graduale fino alla morte delle piante stesse. In questo contesto di alterazione dell’ecosistema le ripercussioni delle radiazioni sugli abitanti delle città tempestate dal ‘Vento del Male’ sono state vividamente elencate nei diversi testi delle Lamentazioni sumere. Il testo “Lamentazione della distruzione di Sumer” tramanda ricordi drammatici circa gli effetti delle radiazioni sugli esseri umani: “…Come sono desolate le città, gli abitanti ammucchiati come cadaveri, annientati dal Vento del Male…[…] del suo popolo dalla testa nera Sumer è ormai svuotata, è svanita ogni forma di vita …nelle sue città maestose solo il vento ulula; vi è solo odore di morte. I templi, le cui volte svettavano nell’alto dei cieli, dagli dei sono stati abbandonati…Gli dei, nei loro regni, si sono rivelati impotenti, alla stregua degli uomini!…[…] Che la tempesta portatrice di morte, nata in occidente, si sarebbe diretta verso oriente, chi avrebbe potuto predirlo! Ora gli dei si disperano. Nelle loro città sacre, gli dei rimasero attoniti, mentre il Vento del Male verso Sumer soffiava. Uno dopo l’altro gli dei abbandonarono le loro città, i loro templi lasciarono in balia della furia del vento…”. Da questa narrazione di eventi reali si possono trarre alcune inferenze. Il primo elemento di valutazione è la conservazione delle strutture urbane, che non sono state demolite da nessun agente di natura pressoria. Lo svuotamento delle città è dipeso 52 da un contagio radioattivo, che si diffonde simultaneamente nei centri abitati provocando una morte immediata e generalizzata: “…la morte venne trasportata verso Sumer…[…] ..nessuna porta poteva arrestarla, niente poteva deviarla! Coloro che nelle loro case si erano nascosti dietro porte chiuse, come mosche furono abbattuti. Di coloro che riuscirono a scappare in strada, i corpi si ammucchiarono…la morte raggiunge le persone, ma nessuno riesce a vederla”. Si pone una questione circa la concentrazione di isotopi radioattivi nella nube radioattiva e l’intensità del fallout nucleare nel medio e lungo periodo. Le ragioni che ci inducono a ipotizzare una confluenza di più nubi radioattive sono state rese note precedentemente, ma il ricorso di Sitchin a prove documentali di natura storica, asserenti un’origine del Vento del Male dalla sola pianura del Sinai, non ci persuade. Per quanto possano essere stati utilizzati due ordigni nucleari ad alto potenziale, abbiamo dimostrato che lo scopo dell’azione bellica era la distruzione del porto spaziale, e per ottenere questo obiettivo le due bombe atomiche sono state fatte esplodere a bassa quota. L’energia preponderante sviluppatesi con deflagrazioni nucleari a bassa quota si traduce in onda d’urto e in irradiazione termica, più efficaci sul piano della distruzione materiale. Nel caso dell’attacco nucleare nella valle del Giordano Ninurta e Nergal si prefiggono di eliminare Nabu, il figlio di Marduk, rifugiatosi presso città amiche come Sodoma e Gomorra. A nostro parere le due divinità sono più 53 interessate a eliminare ogni forma di vita per garantirsi alte probabilità di successo allo scopo della loro missione, che era quello di uccidere Nabu. Un passo di una tavola assira riesumata presso la biblioteca di Ninive scandisce rigorosamente i ruoli delle due divinità incaricate della missione di morte: “…che Ninurta sia colui che Brucia, che Nergal sia colui che Stermina!…”. Sulla base di tutte le evidenze di natura scientifica esibite, riteniamo che siano state impiegate nella valle del Giordano alcune bombe nucleari all’idrogeno e fatte deflagrare ad alta quota in modo da convertire la maggior parte dell’energia sprigionata dalle bombe in energia radiante, con un massiccio rilascio nell’atmosfera di una quantità incredibile di radionuclidi, intensificando in tal modo il grado di letalità ed estendendo l’area della contaminazione. Non escludiamo, comunque, l’eventualità di un impiego di una bomba neutronica, particolarmente efficace nell’estinzione delle forme di vita in una determinata area. Il secondo elemento di valutazione è l’impotenza delle divinità e la loro paura di morire in maniera decisamente ingloriosa. Questa testimonianza indirettamente ribadisce la natura mortale degli dei e la loro appartenenza al mondo fisico. A ulteriore conferma della loro dimensione corporea ci sovviene la testimonianza biblica, che ci rivela la consapevolezza dell’antico sapere sulla caducità delle divinità primordiali: “…Voi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo. 54 Eppure morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti…” [Salmi, 82(81)]. Anche per loro si pone il problema di schermare le radiazioni, unica soluzione per salvarsi la vita, ma evidentemente non erano attrezzati per una simile procedura. In alcune circostanze è stato testimoniato nel testo “Lamentazione sulla distruzione di Ur” come gli dei, disinteressandosi completamente degli umani, fossero fuggiti dalle loro città predilette. Assistiamo a fughe precipitose di Inanna da Uruk, di Enlil da Nippur, di Enki e Ninki da Eridu: “…il padre Enki stava fuori della città…per il destino della sua città pianse lacrime amare..[…] ..Enki vide una città avvolta dal silenzio…con tutti gli abitanti ammucchiati a gruppi di cadaveri…” (Lamento di Eridu). Abbiamo già ricordato la fuga di Ningal e Nannar da Ur, ma non tutte le divinità scampano alla morte. Bau, la consorte di Ninurta, non riesce ad allontanarsi in tempo dalla città di Lagash e ci rimette la vita: “...Quel giorno, la signora se la portò via la tempesta, Bau, come se fosse mortale, se la portò via la tempesta…” (Lamentazione per la distruzione di Ur e Sumer). Questa impotenza operativa delle divinità preannuncia l’ecatombe subita dagli esseri umani, soggetti a una morte atroce e inumana. Limitandoci solo ad alcune sequenze delle memorie tramandate dal popolo sumero e dai suoi eredi culturali, veniamo a sapere dal testo ‘Lamentazione per la distruzione di Ur’ che “…la morte raggiunge le persone, ma nessuno riesce a vederla…[…] ..Tosse e muco riempiono il 55 petto, le bocche rigurgitano di saliva e schiuma… li assaliva un senso di muto stordimento, un intorpidimento generale…una maledizione maligna, un tremendo mal di testa…poi lo spirito abbandonava il corpo…[…] ...la gente, terrorizzata, non riusciva quasi più a respirare; il Vento del Male li soffocava, segnava la fine dei loro giorni…la bocca si allagava di sangue, la testa sguazzava nel sangue…mentre il Vento del Male rendeva pallido il volto…”. La grave sintomatologia rinvenibile in questa descrizione del testo sumero è singolarmente analoga agli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti prodotte da processi di fissione e fusione nucleari. Le ricerche effettuate dalla AIEA e divulgate nel 2001 sui danni genetici e fisici sull’organismo umano ad opera delle radiazioni ionizzanti sono il sostrato scientifico che legittima la tesi di un bombardamento massiccio con armi nucleari nel 2024 a.C. nel Sinai e nella valle del Giordano, con relativi effetti collaterali nella piana mesopotamica. 56 CAPITOLO 4 Si rammenta al lettore che le radiazioni ionizzanti sono classificabili in radiazioni altamente ionizzanti come le particelle alfa, emesse anche da isotopi radioattivi di uranio e con un basso potere di penetrazione nella materia. Non sono eccessivamente pericolose per la propensione delle particelle alfa a collidere rapidamente con la materia ionizzandola, 57 limitandosi ad interagire con gli strati superficiali della pelle umana, ma lo sono se la sorgente emittente di radiazioni alfa si introduce nel corpo umano. Rientrano nella categoria di radiazioni ionizzanti le particelle beta, dovute a emissione di elettroni o positroni, con capacità ionizzante inferiore ma con maggiore penetrazione rispetto alle particelle alfa. Le radiazioni gamma sono una tipologia di onda elettromagnetica ad alta energia, che attraversano la materia anche a lunga distanza e con un relativamente basso coefficiente di ionizzazione della materia. Infine, annoveriamo le radiazioni neutroniche, costituita da fasci di neutroni prodotti dalla reazione di fissione e fusione nucleare, caratterizzanti il funzionamento delle armi nucleari. Il tratto peculiare di fondo dei neutroni liberi è la loro esclusiva origine artificiale, ossia i processi di fusione e fissione nucleari. Il tratto peculiare delle radiazioni neutroniche è la capacità di rendere radioattiva la materia con cui impatta; dunque, i neutroni liberi sono tra i principali promotori del fallout nucleare, con dispersione nell’atmosfera di polveri radioattive e di decantazione di componenti altrettanto radioattive su una superficie vasta. Questa classificazione delle radiazioni ionizzanti è alquanto accademica se non includiamo i parametri relativi alla intensità delle radiazioni emesse in determinati contesti climatici e ai tempi di esposizione degli esseri umani. 58 La mortalità indotta da assorbimento eccessivo di radiazioni ionizzanti è stata catalogata nelle sue diverse modalità in rapporto alla quantità di radiazioni involontariamente assunta e al tempo di permanenza nell’area irraggiata. Quando i sumeri riferiscono che “tosse e muco riempiono il petto”, ci siamo imbattuti con una grave crisi respiratoria, causata da un assorbimento nell’arco delle ventiquattro ore di almeno 3000 REM. Danni irreversibili e immediati dell’apparato respiratorio insorgono con una dose dodici volte superiore alla dose letale minima nel 50% dei casi, posta intorno ai 230-250 REM, il cui assorbimento avviene in un giorno. Cosa succede con una dose acuta letale di 230-250 REM o con una dose mortale equivalente ai 450 REM in una settimana o ai 650 REM in un mese? In primis si ha una interruzione della produzione emopoietica da parte del midollo osseo, associata a febbre e infezioni polmonari; la morte sopraggiunge entro due mesi dalla contaminazione per il 50% dei soggetti. Un dosaggio da 350 a 550 REM comporta una mortalità nel 99% dei casi entro i due mesi, con danni al midollo osseo e all’apparato gastro-intestinale. Con dosi da 550 a 750 REM i sintomi sono vomito, ipotensione e vertigini: “…li assaliva un senso di muto stordimento, un intorpidimento generale…”; insorge successivamente diarrea emorragica e disidratazione con complicanze, fino a determinare la morte del 100% dei contaminati entro un mese. Le dosi da 750 a 1000 REM danno la morte entro due settimane con i sintomi 59 precedenti. Assorbimenti di radiazioni emesse durante il fallout da 1000 a 2000 REM si caratterizzano per sintomi egemoni a livello gastro-intestinale, con collasso cardio-circolatorio e setticemia. La comparsa di cefalea perforante e di spossatezza con dosi da 2000 a 3000 REM corrisponde con i ‘disturbi’ descritti dai sumeri nelle loro testimonianze: “…li assaliva un senso di muto stordimento, un intorpidimento generale…una maledizione maligna, un tremendo mal di testa…”. Non intendiamo asserire che la nube nucleare nella Mesopotamia del 2024 a.C. sia sovraccarica di radionuclidi e di isotopi radioattivi, però siamo certi che la contaminazione radioattiva sia stata elevatissima, se ci riferiamo ad una cefalea che faceva impazzire. È notorio che danni cerebrali sovvengono con radiazioni i cui valori oscillano tra 1500 e 1600 REM, ma questo dato rafforza la tesi di un fallout di inaudito potere contaminante. Secondo alcune scale dosimetriche l’emorragia dalla bocca e le petecchie si sviluppano con un dosaggio dai 300 ai 400 REM: “…la bocca si allagava di sangue…”. Con radiazioni fino a 600 REM subentra la morte per emorragia interna a livello intestinale. Irradiazioni uguali o superiori ai 1000 REM conducono alla morte nel 100% dei casi, in tempi variabili progressivamente da 14 a 7 giorni. Al di là di ogni ragionevole dubbio, il dato trasversale sintomatologico più grave è rappresentato dalla spossatezza e dall’intorpidimento, segni inequivocabili di un’azione diretta 60 delle radiazioni sulle cellule cerebrali, che vengono scompaginate da un dosaggio di almeno 1500-1600 REM. Siamo persuasi che sia un dato mostruosamente rivelatore, perché dimostra il grado di letalità del fallout nucleare che ha sterminato buona parte delle popolazioni mesopotamiche nel 2024 a.C. Indirettamente desumiamo che un simile fallout nucleare sia decodificabile paventando un potenziale distruttivo degli ordigni nucleari impiegati da Ninurta e Nergal a noi sconosciuto. Le radiazioni emanate durante il fallout investono un’area vastissima e determinano il crollo dell’impero accadico nel 2024 a.C. Tutte le evidenze storiche, archeologiche e scientifiche indirizzano la ricerca a sostegno della tesi di un veridico attacco nucleare ad opera di esseri tecnologicamente attrezzati nel 2024 a.C. nelle aree del Sinai e della valle del Giordano. Le conseguenze di questa guerra ricadranno sulla Mesopotamia, con la scomparsa della civiltà accadica e sumera, e lo spostamento dei superstiti verso zone più sicure. Sulla scorta di alcuni testi celebrativi della rifondazione di Nippur, città tragicamente colpita dal fallout nucleare, sappiamo che viene autorizzato il rientro delle popolazioni nei territori contaminati solo nel 1953 a.C., ossia 71 anni dopo l’attacco atomico di Ninurta e Nergal. Alcune ricostruzioni storiche ortodosse possono essere soggette a profonde revisioni, per cui si impone il dovere intellettuale di 61 riesaminare i dati disponibili, rettificandoli alla luce dei risultati della ricerca scientifica contemporanea di natura interdisciplinare. Pur essendoci ispirati alla opera di Sitchin e alla sua innovativa proposta culturale, tendente a una profonda revisione degli eventi storici nell’antica Mesopotamia, non sempre le traduzioni dello studioso risultano del tutto fedeli e coerenti con le fonti documentali. Ciò non toglie che l’impianto generale e la ricostruzione storica di Sitchin siano rigorosi e scientificamente fondati, ma vanno integrati e verificati con serietà e onestà intellettuali. L’amore per la verità prima di tutto: poi le convinzioni personali e lo spirito partigiano nei confronti delle proprie idee. Il quadro complessivo emergente prefigura la comparsa sulla scena della Storia di una tecnologia nucleare per usi militari e un decorso significativamente diverso della civiltà umana. Spetta alle generazioni del terzo millennio scongiurare il ripetersi di un destino infernale per la specie umana. Si spera che riescano, altrimenti ci attende una certezza per il futuro: l’estinzione della vita sul pianeta Terra. 62 INDICE pag. 3 5 15 27 57 63 64 Prefazione Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Ringraziamenti Bibliografia RINGRAZIAMENTI Esprimo la mia riconoscenza nei confronti di coloro che hanno permesso con il loro supporto la stesura di questo articolo. Ringrazio Antonio Boncristiano per la insostituibile consulenza sui dati scientifici da me inseriti, Pietro Albanese per la pronta sollecitudine con cui ha espresso i suoi suggerimenti e le sue motivate obiezioni, Roberto Malatesta per la consulenza storica fornita. Un ringraziamento particolare va alla professoressa Carmen Dell’Oglio per la preziosa e decisiva opera di traduzione di alcune fonti da me utilizzate in questo articolo. Ringrazio il direttore editoriale Tom Bosco e lo staff di Nexus per la fiducia riposta nel mio lavoro di ricerca. 63 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ESSENZIALI • Z. Sitchin, “Guerre atomiche al tempo degli dei”, Piemme edizioni, Casale Monferrato, 1999 • Z. Sitchin, “Le astronavi del Sinai”, Piemme edizioni, Casale Monferrato, 1998 • Z. Sitchin, “ Il libro perduto del dio Enki”, Piemme edizioni, Casale Monferrato, 2004 • Z. Sitchin, “Il giorno degli dei”, Piemme edizioni, Casale Monferrato, 2009 • Z. Sitchin, “Quando i Giganti abitavano la Terra”, Macroedizioni, Cesena, 2010 • D. H. Childress, “Le scoperte scientifiche delle antiche civiltà”, Newton e Compton editori, Roma, 2000 • L. Bat Adam, “Esodo”, Robin edizioni, Roma, 2010 • Mario Liverani, “Antico Oriente”, Laterza edizioni, Bari, 1984 • Giovanni Pettinato, “Sumeri”, Rusconi editore, Milano, 1994 • A. Mallon, “Voyage d’Exploration au sud-est de la Mer Morte”, Biblica 5 :413-455, 1924 • I.M. Blake, “Joshua Curse and Elisha’s Miracle”, in The Palestine Exploration Quarterly, 1967 • L. Cagni, “Epopea di Erra”, in “Studi semitici 5”, Istituto di studi del Vicino Oriente, Roma 1969 • H.M. Cullen - P.B. deMenocal – S. Hemming – G. Hemming – F.H.Brown – T.Guilderson – F.Sirocko, “Climate change and the collapse of the Akkadian empire: evidence from the deep sea”, Geology, aprile 2000 • Peter.B.deMenocal, “Responses cultural to climate change during the late Holocene”, in “Science”, vol.292, 27 aprile 2001 • www.areeweb.polito.it • M.Sanders-D.Laing, “Sodoma e Gomorra ritrovate nel Mar Morto”, trad. di Enrico Baccarini, in www.edicolaweb.net • “Effetti delle esplosioni nucleari”, in www.it.wikipedia.org •Ambraseys-Barazangi, “Medioriente”, in www.legacy.ingv.it/roma/attivita • G.Nacci, “La minaccia della centrale atomica di Krsko”, in www.medicinenaturali.net/guerra/nacci 64
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