Il contratto e i rimedi

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Il contratto e i rimedi
JUS CIVILE
ENRICO GABRIELLI
Ordinario di Diritto civile
nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “Tor Vergata”
IL CONTRATTO E I RIMEDI: LA SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE *
SOMMARIO: 1. Il diritto di sospendere l’esecuzione del contratto. – 2. Fondamento e limiti di esercizio del
diritto: eccezione di inadempimento e buona fede. – 3. L’eccezione di “sospensione” per il mutamento delle
condizioni patrimoniali. – 4. La sospensione del contratto nel fallimento. La regola generale: fondamento e
limiti. – 5. Gli effetti della regola generale. – 6. Gli effetti sul contratto e sul rapporto nel fallimento. – 7. La
sospensione del contratto quale regola generale di tutela del sinallagma nel diritto dei contratti.
1. – L’inadempimento di una parte all’obbligazione assunta al momento di costituzione del
vincolo contrattuale produce numerosi effetti e conseguenze che vanno al di là del mero
inadempimento, poiché si manifestano sui molteplici piani attraverso i quali il rapporto
obbligatorio può essere valutato.
L’inadempimento, infatti, può trovare la propria fonte in una pluralità fatti, che il sistema del
diritto delle obbligazioni codifica dal punto di vista delle ragioni che possono avervi dato luogo e
del rispettivo fondamento: inadempimento grave, impossibilità sopravvenuta, eccessiva onerosità.
L’inadempimento, ovvero il rifiuto di adempiere o la sospensione del proprio adempimento,
può essere però l’effetto di una reazione del contraente all’altrui inadempimento, totale o parziale, ovvero all’altrui ritardo nell’adempimento, come nel caso dell’eccezione di inadempimento 1.
Si parla allora di fattispecie di autotutela privata, di eccezioni dilatorie, ovvero di rimedi
negoziali.
L’art. 1460 cod. civ. infatti consente, nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive 2, a
*
Il testo riproduce, con i dovuti adattamenti, la relazione svolta presso l’Università di Macao, in occasione
del Convegno “Il sistema giuridico romanistico: un ponte tra diritti propri e diritto comune dell’Europa
continentale, della Cina e dell’America Latina”, tenutosi a Macao il 6 e 7 novembre 2013 e organizzato dalle
Università di Macao e dello Hunan. L’occasione spiega e giustifica il tono espositivo del lavoro.
Lo scritto è destinato agli Studi in onore di Giovanni Tatarano.
1
Cfr. ADDIS, Il «mutamento» nelle condizioni patrimoniali dei contraenti, Milano, 2013, 14 ss.; A.
BENEDETTI, L’eccezione di inadempimento, in Commentario del codice civile dir. da E. GABRIELLI, in Dei contratti in generale, a cura di NAVARRETTA e ORESTANO, Torino, 2011, t. IV, p. 480 ss.; CARNEVALI, in CARNEVALI,
GABRIELLI, TAMPONI, Il contratto in generale. L’inadempimento, in Tratt. di dir. priv. dir. da BESSONE, Torino,
2011, 244 ss.; GALLO, Trattato del contratto, Torino, 2010, vol. 3, 2173; TAMPONI, La risoluzione per
inadempimento, in E. GABRIELLI, I contratti in generale, in Trattato dei contratti, dir. da RESCIGNO e GABRIELLI,
Torino, 2006, 2a ed., t. II, 1777; ADDIS, Le eccezioni dilatorie, nel Trattato del contratto, dir. da ROPPO, Milano,
2006, V, 413 ss; BIGLIAZZI GERI, Eccezione di inadempimento, in Digesto civ., VII, Torino, 1991, 331; 222;
DALMARTELLO, Eccezione di inadempimento, in Noviss. Dig. it., VI, Torino, 1960, 354; C.M. BIANCA, Eccezione
d’inadempimento e buona fede, in AA.VV., Il contratto. Silloge in onore di G. Oppo, Padova, 1992, 528.
2
Per l’esame di alcuni significativi problemi connessi con il problema del rapporto di corrispettività sul
quale si innesta il meccanismo dell’autotutela privata, cfr. CARNEVALI, op. cit., 247-248.
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ciascun contraente di rifiutare l’adempimento della sua obbligazione, se l’altro non adempie o
non offre contemporaneamente di adempiere la propria, salvo che siano stabiliti termini diversi
per l’adempimento o che questi risultino dalla natura del contratto.
Gli effetti dell’eccezione di inadempimento, però, non si limitano alla paralizzazione dell’altrui pretesa nel caso in cui l’altra parte risulti inadempiente 3, o in ritardo nell’adempimento, ma
possono produrre effetti ulteriori nel futuro eventuale giudizio di inadempimento, poiché uno
dei caratteri fondamentali su cui si incentra la figura dell’eccezione di inadempimento, è rappresentato dal fatto che il rifiuto da parte del contraente di adempiere la propria obbligazione,
quale esercizio di autotutela privata, per essere qualificato legittimo, e quindi non arbitrario e
non abusivo, non deve essere contrario a buona fede.
La regola codificata nell’eccezione di inadempimento è antica 4.
Seppur non contemplata nel precedente codice civile del 1865, se non per il caso del
contratto di vendita (art. 1469 cod. civ.), era ciononostante applicata ed ammessa anche dalla
dottrina e dalla giurisprudenza dell’epoca 5.
La funzione alla quale assolve il principio – che trova una corrispondente espressione
nell’art. 1822 c.c., dettato in tema di mutuo – viene in dottrina variamente rinvenuta.
Alcuni lo intendono come un mezzo di coazione psicologica verso il debitore che, volendo
ottenere la controprestazione, sa di dover adempiere alla propria per conseguire quella dovuta da
controparte 6; da altri in ragione dell’esistenza, nel quadro degli strumenti di autotutela negoziale
assegnati alle parti dall’autonomia privata 7, di un diritto potestativo “di provocare la temporanea inesigibilità della prestazione da lui dovuta” 8; da altri ancora come strumento avente
3
Si osserva in dottrina (A. BENEDETTI, L’eccezione di inadempimento, cit., 510) che le parti, nella
fissazione dell’assetto contrattuale, possono variamente disciplinare introducendo limiti, restrizioni, ampliamenti o varianti, il meccanismo dell’exceptio, salvo che la legge garantisca una piena utilizzabilità dell’eccezione a garanzia degli interessi di una parte contrattualmente debole, come ad esempio accade per la
limitazione o l’esclusione dell’eccezione d’inadempimento da parte del consumatore, inclusa nell’elenco delle
clausole presunte vessatorie dall’art. 33, lett. r), del codice del consumo.
4
Cfr. SCADUTO, L’‘exceptio non adimpleti contractus’ nel diritto civile italiano, in Annali Palermo,
1921, 74.
5
Cfr., sull’art. 1469 c.c. del 1865, F. ADDIS, Il «mutamento» nelle condizioni patrimoniali dei contraenti,
cit., 35 ss.
6
REALMONTE, Eccezione di inadempimento, in Enc. Dir., XIV, Milano, 1965, 239; V. ROPPO, Il
contratto, in Tratt. dir. priv. Iudica-Zatti, Milano, 2001, 989; DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano,
1993, 272.
7
Cfr. tra coloro che lo collocano nel quadro degli strumenti di autotutela, VECCHI, L’eccezione di inadempimento, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo a cura di MAZZAMUTO, Torino, 2002, 378 ss.;
C.M. BIANCA, Diritto civile, V. La responsabilità, Milano 1994, 329 ss.; BIGLIAZZI GERI, Eccezione d’inadempimento, in D. disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, 331.
CARNEVALI, op. cit., 244, osserva però che tale inquadramento, in realtà, non sembra che conduca a
conseguenze pratiche di rilievo.
8
BIGLIAZZI GERI, Profili sistematici dell’autotutela privata, II, Milano, 1974, 193 ss.
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funzione di garanzia contro l’altrui inadempimento, ed in quanto tale funzionale ad assicurare la
fruttuosità della futura azione esecutiva, conseguente alla risoluzione del contratto 9; ovvero
come strumento di conservazione del rapporto di corrispettività tra le prestazioni 10.
Sempre nella prospettiva rimediale, parte della dottrina lo inquadra come uno «strumento
offerto a difesa del debitore» il cui effetto consisterebbe nel giustificare un inadempimento
astrattamente in violazione di legge (contra ius) 11; fino a giungere a chi collocando lo strumento
nella più ampia categoria delle eccezioni dilatorie ritiene che lo stesso possa trovare in ragioni
di economia processuale il suo fondamento 12.
Pur nella diversità delle opinioni 13, tuttavia, è riscontrabile un dato costante nell’interpretazione della fattispecie, vale a dire che si tratti di un effetto naturale della tutela del sinallagma
contrattuale, in attuazione della regola in base alla quale, nei contratti corrispettivi, ciascuna
prestazione trova la sua giustificazione nell’altra, così che la mancata (o inesatta) esecuzione
dell’una legittima la mancata (anche se non l’inesatta, né la definitiva) esecuzione dell’altra,
dando così attuazione ad un principio generale di tutela del contraente adempiente o comunque
pronto ad adempiere, che trova analoghe manifestazioni anche in altri ordinamenti 14.
Se dunque non v’è dubbio che la norma predispone uno strumento di tutela e di reazione
9
Cfr. G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, 300 ss.; in senso critico cfr. C.M.
BIANCA, Diritto civile, V, La responsabilità, cit., 345.
10
Cfr., fra gli altri, MESSINEO, Dottrina generale del contratto, rist. 3a ed., Milano, 1952, 534; BETTI, voce
Autotutela (dir. priv.), in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 531, che la considera una clausola funzionale a quella
reciprocità su cui i rapporti sinallagmatico sono imperniati; DALMARTELLO, voce Eccezione di inadempimento,
in Noviss. Dig. It., VI, Torino, 1960, 355; MIRABELLI, Dei contratti in generale, 3a ed., in Comm. cod. civ.,
UTET, Torino, 1980, 637; C.M. BIANCA, op. ult. cit., 344-345, segnatamente nella prospettiva della tutela della
parte a non privarsi della prestazione senza avere il vantaggio della controprestazione; ADDIS, Le eccezioni
dilatorie, cit., p. 425, che la inquadra come strumento predisposto dall’ordinamento e diretto a preservare la
corrispondenza tra sinallagma genetico e sinallagma funzionale.
Cfr. anche, in giurisprudenza, Cass. 17 marzo 2006, n. 5938; Cass. 28 maggio 2003, n. 8467; Cass. 16 novembre
1999, n. 12669; Cass. 5 gennaio 1998, n. 41, che collocano l’exceptio nell’ambito della fase funzionale del rapporto.
11
GRASSO, Eccezione d’inadempimento e risoluzione del contratto (Profili generali), Napoli, 1973, 90.
12
ADDIS, Le eccezioni dilatorie, cit., 417; ID., Il «mutamento» nelle condizioni patrimoniali dei contraenti,
cit., 30, il quale osserva che il vero profilo problematico della tutela in esame «è rappresentato essenzialmente
dalla valutazione – operata al momento della stipulazione del contratto – del rischio d’inadempimento da parte
del soggetto che pretenda di valersene».
13
Per un analitico esame critico e ricostruttivo delle tesi prospettate in dottrina cfr. ADDIS, Il «mutamento»
nelle condizioni patrimoniali dei contraenti, cit., 16 ss.
CARNEVALI, op. cit., 244, rileva che in realtà tutte le tesi formulate per dare spiegazione alla fattispecie,
sono sostenibili “se si ha riguardo ai motivi che, secondo i casi, spingono l’excipiens a rifiutare di adempiere:
può darsi che egli tema di non poter recuperare la prestazione eseguita se l’altro contraente rimane
inadempiente, oppure che sia convinto di esercitare una forte pressione psicologica sull’altro contraente, oppure
che voglia semplicemente attendere per vedere se la situazione si chiarisca. per poi determinarsi di
conseguenza”.
14
20
Cfr, ad esempio, la legge cinese sui Contratti, artt. 66, 67 e 68.
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all’altrui inadempimento 15, in forza di una sostanziale «legittima difesa» contrattuale che si
fonda sulla circostanza che esso costituisce una reazione (dilatoria e provvisoria) all’altrui
inadempimento – al punto tale che essa giustifica perfino un rifiuto di adempiere (che in sé
considerato, e quindi al di fuori del caso della reazione all’altrui inadempimento, darebbe luogo
ad un inadempimento rispetto ad un contratto vincolante) – appare allora evidente che il
creditore non inadempiente può, a fronte dell’inadempimento del suo debitore, e pur senza
attuare la clausola risolutiva espressa e quindi dichiarare la risoluzione del contratto, porre in
atto quello che autorevole dottrina chiama un «autoesonero temporaneo dall’obbligo di
adempiere» 16.
Lo strumento, proprio perché costituisce una forma di autotutela privata avente una portata
generale ed applicabile a tutti i contratti, si configura come un’eccezione sostanziale 17 di
carattere essenzialmente “sospensivo”, la cui funzione è quella di produrre un effetto “immediatamente paralizzante” sul nesso di corrispettività tra le prestazioni con la conseguenza che
il diritto dell’altro contraente di chiedere l’adempimento (o, in alternativa, la risoluzione) e il
risarcimento del danno, viene temporaneamente fermato, poiché si contrappongono due diversi
ed opposti diritti potestativi, dato che con l’eccezione di inadempimento il contraente fa valere
un proprio controdiritto che, in quanto contrapposto al fatto costitutivo affermato dall’attore, lo
paralizza.
In quanto “eccezione sostanziale” può essere fatta valere anche mediante una dichiarazione
stragiudiziale, oppure può essere opposta in giudizio all’altro contraente 18, ed in tal senso si
15
Si segnala (CARNEVALI, op. cit., 243) che l’exceptio non va confusa con il diritto di ritenzione, per quanto
all’apparenza le due fattispecie possano presentare dei punti di contatto, dato che così come il debitore della
prestazione di riconsegnare un bene lo trattiene presso di sé, in attuazione del diritto di ritenzione, così,
potrebbe sembrare, che il contraente eccipiente trattiene presso di sé la prestazione dovuta all’altro contraente;
laddove, invece, “la distinzione tra i due istituti è tutt’altro che netta, perché vi sono alcuni casi in cui il diritto
di ritenzione appare assumere la configurazione di un’eccezione d’inadempimento”.
16
SACCO, in SACCO, DE NOVA, Il contratto, Torino, 1993, II, 644.
17
Cfr. per tutti REALMONTE, op. cit., 234; BIGLIAZZI GERI, Della risoluzione per inadempimento, II, cit., 1 ss.
18
CARNEVALI, op. cit., 246, il quale rileva che In questo secondo caso, sempre che l’eccezione sia
legittimamente opposta, essa ha lo scopo di paralizzare una domanda giudiziale di adempimento proposta
dall’altro contraente, ma serve anche a paralizzare una domanda giudiziale di risoluzione del contratto per
inadempimento dell’eccipiente, una diffida ad adempiere o una dichiarazione di volersi avvalere della clausola
risolutiva espressa (in tal senso in giurisprudenza, cfr. Cass. 28 marzo 2001, n. 4529; Cass. 4 novembre 2009,
n. 23345; Cass. 13 luglio 2005, n. 14737; Cass. 12 febbraio 2002, n. 2706; Cass. 5 agosto 2002, n. 11728; Cass.
4 luglio 2002, n. 9517; Cass. 13 aprile 2000, n. 4122; Cass. 11 agosto 1997, n. 7480; e altre. Con riferimento
alla clausola risolutiva espressa cfr. Cass. 13 luglio 1982, n. 4122; Cass. 21 gennaio 1982, n. 400).
Nel caso in cui sia stabilito un termine essenziale (art. 1457 c.c.) a favore dell’altro contraente, l’eccezione
impedisce la risoluzione di diritto del contratto alla scadenza del termine stesso perché l’excipiens non può
essere considerato inadempiente (BIGLIAZZI GERI, Della risoluzione per inadempimento, II, cit., 47 ss.).
L’eccezione fatta valere stragiudizialmente non impedisce all’excipiens né di domandare in un secondo
momento la risoluzione del contratto in via giudiziale (eventualmente mediante domanda riconvenzionale di
fronte ad una domanda di adempimento o di risoluzione dell’altro contraente), né di inviare una diffida ad
adempiere o di dichiarare di volersi avvalere di una clausola risolutiva espressa. Trattandosi di comportamenti
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configura come una eccezione di portata più ampia di una mera eccezione di natura processuale 19.
Sul piano della dialettica delle contrapposte posizioni dei contraenti, va segnalato che
l’eccezione fatta valere stragiudizialmente non impedisce all’excipiens di domandare successivamente in giudizio la risoluzione del contratto (eventualmente in via riconvenzionale di fronte ad una domanda di adempimento o di risoluzione dell’altro contraente), ovvero di inviare una
diffida ad adempiere, oppure di dichiarare di volersi avvalere di una clausola risolutiva espressa,
poiché come si osserva da autorevole dottrina, ciò “è coerente con l’efficacia della clausola, che
serve a “congelare” il rapporto contrattuale (e per questo viene tradizionalmente definita come
eccezione “dilatoria”) in attesa di vedere se l’altro contraente si decida ad adempiere: l’excipiens può, ad un certo momento, perdere interesse ad un sia pur tardivo adempimento dell’altro
contraente e optare per la risoluzione del contratto sia in via diretta, sia in via riconvenzionale” 20.
2. – Il fondamento, ed al medesimo tempo, il limite di esercizio del diritto potestativo
dell’eccipiente è dunque segnato dal principio di buona fede.
La formula della norma è infatti assai chiara in tal senso “non può rifiutrsi l’esecuzione se,
avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede”, che in questo caso si
caratterizza come legittimo esercizio delle proprie ragioni, e che si distingue dal rimedio della
coerenti con l’efficacia della clausola, di natura tipicamente dilatoria, il cui effetto è proprio quello di
“congelare” il rapporto contrattuale in attesa di vedere se l’altro contraente si decida ad adempiere: l’excipiens
può, ad un certo momento, perdere interesse ad un sia pur tardivo adempimento dell’altro contraente e optare
per la risoluzione del contratto sia in via diretta, sia in via riconvenzionale: così CARNEVALI, op. cit., 246, il
quale rileva che nel caso in cui sia stabilito un termine essenziale (art. 1457 c.c.) a favore di uno dei contraenti,
quest’ultimo non ha la possibilità di opporre l’exceptio, perché l’inadempimento dell’altro contraente causa
ipso iure la risoluzione del contratto stesso; tuttavia non pare precluso al contraente a favore del quale il
termine è apposto il dichiarare entro tre giorni (art. 1457, comma 2, c.c.) di volere ugualmente l’esecuzione del
contratto e di essere pronto ad adempiere contestualmente all’altro.
19
CARNEVALI, op. cit., 246, secondo il quale tale eccezione attribuisce al contraente eccipiente il diritto di
sospendere temporaneamente l’esecuzione del contratto, e – trattandosi di un diritto, tipicamente potestativo, al
quale l’altro contraente rimane soggetto, a condizione che l’eccezione sia stata legittimamente esercitata – può
essere neutralizzato solo con l’esecuzione della prestazione dovuta all’excipiens, e quindi l’eccipiente che
rifiuta di eseguire la consegna del bene venduto non cade in mora e non è perciò impedito il passaggio del
rischio del perimento del bene secondo le regole generali. Se la prestazione dell’eccipiente diventa impossibile
per caso fortuito pur dopo il rifiuto di adempiere, non si applica l’art. 1221 c.c. e l’eccipiente è liberato dalla
sua prestazione con le ulteriori conseguenze stabilite dall’art. 1463 c.c.
20
CARNEVALI, op. cit., 247, il quale segnala che nel caso in cui sia stabilito un termine essenziale (art. 1457
c.c.) a favore di uno dei contraenti, quest’ultimo non ha la possibilità di opporre l’exceptio, dato che
l’inadempimento dell’altro contraente produce ipso iure la risoluzione del contratto stesso: Va tuttavia rilevato
che non pare precluso al contraente a favore del quale il termine è apposto di dichiarare entro tre giorni (art.
1457, comma 2, c.c.) di volere ugualmente l’esecuzione del contratto e di essere pronto ad adempiere
contestualmente all’altro.
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risoluzione, perché si fonda sull’altrui inadempimento, ma non produce lo scioglimento del
contratto e non necessita, per il suo utilizzo, dei medesimi presupposti soggettivi ed oggettivi.
L’interpretazione della norma, e del principio di buona fede applicato alla stessa, ha trovato
un particolare risalto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale si è formata
prevalentemente con riguardo al tema dell’inadempimento inesatto, piuttosto che a quello
dell’inadempimento totale, ed è orientata nel senso che la facoltà del debitore di rifiutare la
propria prestazione sia subordinata alla gravità dell’inadempimento altrui, cioè che, secondo la
formula legislativa dettata dall’art. 1455 c.c., si tratti di un inadempimento di non “scarsa
importanza avuto riguardo all’interesse dell’altra parte” 21.
La nozione di buona fede sembrerebbe quindi servire per dare ingresso ad una valutazione di
proporzionalità tra l’inadempimento e l’eccezione, al fine di valutare la sostanziale comparabilità delle prestazioni ineseguite e di quelle rifiutate in via di eccezione, dando così luogo a
quello che la giurisprudenza chiama il “giudizio di proporzionalità dell’inadempimento”.
In questa prospettiva diventa rilevante l’intervento del giudice, poiché egli è chiamato a
svolgere un controllo ed una valutazione di tipo “comparativo” degli opposti inadempimenti,
nell’ambito della quale deve avere riguardo, non soltanto all’elemento cronologico dei rispettivi
inadempimenti, ma al fondamentale criterio di proporzionalità degli stessi rispetto alla causa in
concreto del contratto, e quindi agli interessi nello stesso dedotti, nonché alla rispettiva incidenza di tali inadempimenti sull’equilibrio tra le contrapposte prestazioni e sulle posizioni delle
parti contraenti.
Con la conseguenza che, all’esito di tale giudizio – in presenza di una valutazione del giudice che ritenga che l’inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l’eccezione non è
grave, ovvero ha scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’art.
1455 c.c. – deve ritenersi che il rifiuto, di colui che ha mosso l’eccezione di adempimento, non
sia conforme a buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell’art. 1460, comma 2, c.c.
“secondo cui l’eccezione di inadempimento deve trovare giustificazione nel legame di corrispettività tra le prestazioni e quindi nella non scarsa importanza dell’inadempimento imputato
alla controparte”, con la conseguenza che lo stesso risulterà soccombente nel giudizio di
risoluzione con le relative conseguenze 22.
21
Cfr., ad esempio, Cass. 3 luglio 2000, n. 8880, in Riv. not., 2001, 242; Cass. 5 marzo 1984, n. 1530; Cass.
8 luglio 1981, n. 4486.
Nel senso della necessaria gravità dell’inadempimento quale presupposto per la valida opposizione dell’eccezione prevista dall’art. 1460, comma 2, c.c., cfr. Cass. 7 maggio 1982, n. 2843; Cass. 24 febbraio 1982, n.
1182; Cass. 4 dicembre 1981, n. 6441; Cass. 21 febbraio 1979, n. 1123.
22
Cass. 27 marzo 2013, n. 7759, in Giust. civ., 2013, I, 968, secondo la quale la verifica sulla
configurabilità della buona fede ex art. 1460, comma 2, c.c. va effettuata sull’esistenza del grave
inadempimento della controparte e sulla, conseguente, necessaria comparazione tra gli opposti inadempimenti,
avuto riguardo per lo più alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto; nello
stesso senso cfr.: Cass. 6 luglio 2009, n. 15769; Cass. 16 maggio 2006, n. 11430; Cass. 3 luglio 2000, n. 8880;
Cass. 3 febbraio 2000, n. 1168; Cass. 27 settembre 1999, n. 10668; Cass. 22 gennaio 1985, n. 250; Cass. 5
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Questo orientamento, oramai costante e consolidato, viene però in parte criticato da chi
ritiene che debbano essere tenuti distinti il piano della gravita dell’inadempimento da quello
dell’eccezione di inadempimento, poiché, anche secondo l’opinione di una parte seppur
minoritaria della giurisprudenza 23, la gravità dell’inadempimento funge da limite alla domanda
di risoluzione del contratto, mentre il rifiuto di adempiere ex art. 1460 cod. civ. tende,
all’opposto, a salvaguardare l’interesse all’adempimento del contratto, con la conseguenza che
scarsa importanza dell’inadempimento e contrarietà a buona fede non sono concetti tra loro
identificabili in termini assoluti.
Nella prospettiva dei profili rimediali, verso i quali l’istituto può essere indirizzato per una
sua migliore e più proficua applicazione, occorre tuttavia segnalare che la protezione offerta
dall’eccezione non è illimitata, proprio perché si tratta di un rimedio “conservativo” del
contratto, ma viene a cessare quando controparte ha fatto venire meno il suo stato di inadempienza, facendo mancare il fondamentale presupposto giustificativo dell’eccezione stessa.
Tale situazione si registra, ad esempio, non solo quando il debitore sic et simpliciter
adempie, ma anche quando egli si offre di adempiere, mettendo a disposizione di controparte la
prestazione, con un’offerta che non deve possedere i medesimi requisiti formali di quella
marzo 1984, n. 1530; Cass. 7 maggio 1982, n. 2843; Cass. 8 luglio 1981, n. 4486.
La giurisprudenza precisa, inoltre, per quanto attiene all’oggetto della valutazione comparativa, che non
assumono rilievo le sole obbligazioni principali dedotte in contratto, ma anche le obbligazioni cd. secondarie,
cioè quelle obbligazioni che pur non riferendosi alle prestazioni principali assumono rilevanza essenziale per le
parti sul piano sinallagmatico, quali ad esempio quelle di collaborazione, informazione e protezione, il cui
apprezzamento, ai sensi dell’art. 1455 c.c. va privilegiato qualora il loro inadempimento abbia determinato
l’inadempimento della controparte (cfr. in questo senso, Cass. 16 gennaio 1997, n. 387).
23
Cass. 13 febbraio 2008, n. 3472;, secondo cui il “grave inadempimento” che giustifica la risoluzione si
distinguerebbe dalla buona fede, prevista in relazione all’eccezione di inadempimento, perché il primo e più
rigoroso requisito si lega alla natura radicale e definitiva della risoluzione, mentre la seconda, determinando
soltanto la sospensione temporanea dell’esecuzione del contratto e tendendo a salvaguardare l’interesse
positivo all’esatto adempimento, si riferirebbe esclusivamente al mero pretesto o all’abuso. Secondo la Corte
l’interesse all’esatto adempimento sarebbe tutelato, ex art. 1372 c.c., in maniera più intensa rispetto all’interesse alla risoluzione del contratto, e per tale ragione non sarebbe soggetto al limite rigoroso della non scarsa
importanza, quanto piuttosto al limite della buona fede in senso oggettivo, con la conseguenza che – fermo
restando il rilievo della non scarsa importanza dell’inadempimento al fine di valutare la rispondenza a buona
fede del rifiuto della prestazione – si deve in ogni caso ritenere che il concetto di buona fede e quello di non
scarsa importanza non sono coincidenti, né è possibile istituire tra essi un rapporto di implicazione, in ragione
del quale la buona fede implicherebbe la scarsa importanza dell’inadempimento; nello stesso senso Cass. 26
gennaio 2006, n. 1690.
In dottrina si osserva che la gravità dell’inadempimento non costituisce un presupposto necessario
dell’eccezione di inadempimento ma, esclusivamente, una delle possibili circostanze da valutarsi ai fini del
giudizio di conformità a buona fede (cfr. BIGLIAZZI GERI, op. cit., 342), e si sostiene che è contrario a buona
fede il rifiuto dell’adempimento quando ciò comporta per l’altro contraente conseguenze eccessivamente
gravose o può pregiudicare interessi inerenti alla persona dell’altro contraente e perciò di rango superiore
all’interesse economico (così BIANCA, Diritto civile, cit., 349), oppure quando l’inadempimento dell’altro
contraente sia imputabile a ragioni scusabili ovvero il creditore vi abbia in ogni caso prestato acquiescenza
(GALGANO, Diritto civile e commerciale, 4a ed., II, 1, Padova, 2000, 574).
24
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prevista per la messa in mora del creditore 24.
Sicché fino a quando il contraente adempiente non fa valere il proprio potere di caducazione
(mediante la risoluzione sia essa stragiudiziale, sia essa giudiziale) del contratto, manifestando
quindi interesse alla risoluzione, il contraente inadempiente potrebbe sempre adempiere, ovvero
offrire di adempiere.
In tal caso – a fronte della sostanziale acquiescenza, fino a quel momento, del creditore
adempiente all’altrui inadempimento – l’eventuale rifiuto di accettare l’adempimento tardivo (e
quindi nel caso ad esempio di un contratto di mutuo, nel quale una parte sia in ritardo, ovvero
inadempiente, il pagamento di alcune rate), potrebbe configurarsi come contrario al principio di
buona fede nell’esecuzione del contratto e quindi determinare in capo al creditore adempiente
un’ipotesi di inadempimento.
3. – La seconda eccezione tipicamente dilatoria prevista nel codice civile italiano è quella
disciplinata dall’art. 1461 c.c., cioè il potere del contraente di “sospendere l’esecuzione della
prestazione da lui dovuta, se le condizioni patrimoniali dell’altro sono diventate tali da porre in
evidente pericolo il conseguimento della controprestazione, salvo che sia presentata idonea
garanzia”.
Questa eccezione, a differenza dall’eccezione di inadempimento, che come detto costituisce
una legittima reazione all’altrui inadempimento, seppure rientra nel novero degli strumenti di
autotutela negoziale, se ne differenzia tuttavia per i presupposti e le condizioni di operatività.
L’eccezione di “sospensione”, infatti, presuppone non già l’inadempimento, ma l’insicurezza
di ricevere l’adempimento (id est: il mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore), cioè
a dire il mero e futuro pericolo dell’inadempimento 25 e può essere attivata anche dal contraente
24
La giurisprudenza sottolinea che non è sufficiente un’offerta di idonee garanzie, perché l’eccezione è
stata in questo caso sollevata di fronte ad un inadempimento, e non di fronte ad un mero pericolo di
inadempimento (Cass., 22 marzo 1968, n. 908, in Rep. Foro it., 1968, voce “Obbligazioni e contratti”, n. 360).
25
Forma oggetto di discussione il dubbio se il mutamento delle condizioni patrimoniali deve essere
sopravvenuto alla stipulazione del contratto, ovvero se può essere anche anteriore ad essa, poiché non potrebbe
legittimamente esercitare l’exceptio colui che ab origine fosse stato a conoscenza della grave situazione di
difficoltà economica, di controparte, anteriore alla stipulazione del contratto, e la consapevolezza in capo a
questi di aver negoziato a proprio rischio, se poi egli al contrario si servisse dell’eccezione dilatoria, darebbe
luogo ad un comportamento contrario a buona fede.
Discorso diverso sarebbe quello in cui, seppur conosciuta dall’altro contraente, l’originaria situazione di
difficoltà economica avesse avuto un peggioramento successivamente alla stipulazione del contratto, raggiungendo poi un livello tale da creare l’evidente pericolo di non ricevere la controprestazione.
Il tema, di fronte a queste due ipotesi, si restringe sostanzialmente a valutare il caso in cui la grave
situazione economica di un contraente, tale da legittimare il ricorso all’eccezione dilatoria, risultasse anteriore
alla stipulazione del contratto, ma l’altro contraente ne fosse venuto a conoscenza solo dopo la stipulazione,
poiché in questo caso, nonostante la formula restrittiva della norma (che con il termine “mutamento” parrebbe
fare riferimento unicamente al caso in cui la situazione di difficoltà economica fosse venuta ad esistenza dopo
la conclusione del contratto), l’orientamento prevalente è nel senso che il contraente adempiente potrebbe
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JUS CIVILE
il cui credito non sia ancora esigibile, ma che abbia fondate ragioni di temere per il conseguimento futuro della controprestazione una volta che sarà divenuta esigibile (id est: l’evidente
pericolo di non conseguire la controprestazione) 26.
Con la conseguenza che, una volta esercitata legittimamente da un contraente la facoltà di
sospendere l’esecuzione, alla scadenza del termine stabilito per l’esecuzione della prestazione a
carico del contraente in situazione patrimoniale difficile, la situazione di sospensione del rapporto contrattuale troverà la propria soluzione.
In quel momento infatti si scioglierà l’alternativa tra: l’adempimento del contraente in
difficoltà, con la conseguenza che, superata la propria situazione di “pericolo nella capacità ad
adempiere”, l’esecuzione del rapporto tornerà in una situazione di normalità, e l’eccipiente potrà
far cessare la sospensione del rapporto e pretendere la prestazione a cui aveva diritto – oppure il
contraente in difficoltà non adempie e il contraente non inadempiente potrà ricorrere alla
risoluzione giudiziale o stragiudiziale del contratto per inadempimento.
Al medesimo tempo, una volta che l’eccipiente abbia esercitato il diritto alla sospensione
della propria prestazione, l’altro non potrà far valere nei suoi confronti l’eccezione di inadempimento.
Il “mutamento delle condizioni patrimoniali” di cui all’art. 1461 c.c. è però qualcosa di
diverso dal concetto di “insolvenza” (di cui fa invece menzione sul piano del diritto civile l’art.
1186 cod. civ., e sul piano del diritto fallimentare l’art. 5 della legge fallimentare: r.d. 16 marzo
1942, n. 267), a conferma della circostanza che l’ordinamento ha predisposto due differenti
rimedi a fronte di due differenti situazioni da disciplinare, dato che l’insolvenza di cui all’art.
1186 cod. civ. produce la immediata esigibilità della controprestazione (e quindi il contraente
creditore può immediatamente servirsi, in caso di mancata esecuzione, dei rimedi sinallagmatici); laddove il peggioramento della condizione economica dell’altro contraente (art. 1461 c.c.)
– che ovviamente deve avere come immediata conseguenza il pericolo oggettivo (secondo la
formula legislativa “evidente”), concreto, immediato ed attuale di perdere la controprestazione –
determina solo una sospensione dell’esecuzione del contratto, con la conseguente paralisi del
rapporto obbligatorio sottostante.
legittimamente avvalersi dell’eccezione dilatoria, se egli dimostri di avere ignorato senza colpa la preesistente
inaffidabile situazione economica dell’altro contraente (CARNEVALI, op. cit., 257, ed ivi riferimenti).
Sul punto, anche per un raffronto comparatistico, cfr. ADDIS, Ricerche sull’eccezione di insicurezza,
Milano, 2006, 11 ss.; ID., Il «mutamento» nelle condizioni patrimoniali dei contraenti, cit., 121 ss., il quale fa
riferimento alla locuzione “insorgenza del mutamento” per designare “il momento dal quale il divenire della
situazione patrimoniale di un contraente acquista rilievo al fine di stabilire la legittimità della sospensione
dell’esecuzione della prestazione ad opera della controparte” (op. ult. cit., 199 ss.).
26
Così Cass., 22 gennaio 1999, n. 602, e Cass., 24 febbraio 1999, n. 1572, in Giur. it., 2000, 736, secondo
cui l’eccezione può essere sollevata anche quando l’adempimento di entrambe le parti deve essere contestuale;
cfr. anche A. BENEDETTI, Mutamento delle condizioni patrimoniali dell’altro contraente, in Commentario del
codice civile dir. da E. GABRIELLI, in Dei contratti in generale, a cura di NAVARRETTA e ORESTANO, Torino,
2011, t. IV, 511.
26
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La ricostruzione dei contenuti del criterio di riferimento impiegato dalla norma, che si
presenta incerto e sfumato, è stato tentato dalla giurisprudenza, che tuttavia non è riuscita ad
individuare delle linee interpretative certe ed affidanti, così che l’orientamento della stessa
appare più affidato alla casistica che a criteri di giudizio generali ed astratti.
Le Corti pertanto si sono limitate a stabilire, ad esempio, che per la sussistenza della situazione di pericolo non è sufficiente né un mero timore soggettivo che la controparte non possa
eseguire la sua prestazione 27, né che la controparte abbia debiti verso terzi non soddisfatti alla
scadenza 28; laddove il pericolo di non ricevere la controprestazione sarebbe rinvenibile, oltre
che nella esistenza di protesti cambiari e di procedure esecutive in capo alla controparte 29, anche nella possibilità che la controparte possa fallire 30, ovvero che il bene promesso in vendita
possa essere rivendicato da parte di terzi 31, oppure nella dichiarazione anticipata di non volere
adempiere 32, oppure nel subentro in un contratto per persona da nominare di una persona che
risulta poco affidabile dal punto di vista patrimoniale 33 .
Con la conseguenza che, come ha rilevato autorevole dottrina, “se proprio si vuole proporre
un criterio di carattere generale e astratto, da valere in linea di massima, pare condivisibile
quella tesi – accolta anche da due sentenze di legittimità – che richiama il sopravvenire di circostanze incidenti sulla consistenza sia quantitativa, sia qualitativa del patrimonio dell’altro contraente, tali da creare una situazione di pericolo avente punti di contatto con quell’eventus damni
che consente il ricorso alle azioni conservative della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740
c.c. È superfluo precisare che tale mutamento delle condizioni patrimoniali rileva nella sua
oggettività, senza necessità che sia dovuto ad una colpa del contraente che lo subisce” 34.
La funzione del rimedio consiste dunque nel prevenire possibili adempimenti dannosi per la
parte non inadempiente, in presenza del rischio di inadempimento della propria controparte.
Il rimedio è diretto a preservare la parte eccipiente da un’esecuzione che potrebbe rivelarsi
rischiosa, alla luce delle condizioni patrimoniali in cui versa la controparte al momento in cui
l’eccipiente dovrebbe eseguire la propria prestazione, per il pericolo di non ricevere la
controprestazione.
L’eccezione, al pari di quella di inadempimento, rappresenta un rimedio disponibile ad opera
della parte, esperibile sia in via giudiziale, sia stragiudiziale, ma non rilevabile d’ufficio, e quin-
27
Cass. 3 dicembre 1993, n. 12011.
28
Cass. 4 agosto 1988, n. 4835,
29
Cass. 15 maggio 2002, n. 7060, in Arch. civ., 2003, 349, in caso di pubblicazione nel bollettino dei
protesti del nome del contraente in difficoltà economica.
30
Cass. 22 giugno 1994, n. 5979, Cass. 18 maggio 1982, n. 3072, in Dir. fall., 1982, II, 905.
31
Cass. 26 gennaio 1985, n. 402; Cass. 18 maggio 1982, cit.
32
Cass. 19 aprile 1996, n. 3713, in Foro it., 1996, I, 2389.
33
Cass. 24 febbraio 1999, n. 1574, in Giur. it., 2000, 736.
34
CARNEVALI, op. cit., 257.
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di la parte che se ne avvale deve provare tutti gli elementi di fatto che ne costituiscono il fondamento, poiché diversamente dal rimedio della decadenza del debitore dal beneficio del termine
(disciplinato dall’art. 1186 c.c.) che presuppone l’insolvenza della controparte, l’eccezione
dilatoria può essere fatta valere qualora sussista “l’evidente pericolo” del conseguimento della
controprestazione.
Tant’è che diverso è l’effetto dell’uno e dell’altro strumento: nell’art. 1186 c.c. il fine
perseguito dalla norma è quello di ottenere l’immediata esigibilità della controprestazione 35;
nell’eccezione dilatoria è quello di produrre una “sospensione dell’adempimento da parte del
creditore”, in attesa che venga meno il pericolo causato dal deterioramento delle condizioni
economiche del debitore 36.
L’eccezione di inadempimento è dunque classificabile come rimedio successivo all’inadempimento.
L’eccezione di insicurezza, invece, come rimedio preventivo dell’eccipiente che tema, una
volta adempiuto, di non ricevere in seguito la controprestazione dalla controparte.
L’eccezione di insicurezza giustifica, una volta fatta valere, la sospensione dell’adempimento, e l’eccipiente non è tenuto ad eseguire la propria prestazione, eliminando, così, il rischio
di vedersi considerare inadempiente, anche ai fini di eventuali richieste di controparte, e,
secondo l’opinione della più recente giurisprudenza, fortemente osteggiata dalla dottrina 37, il
creditore che intenda avvalersi del rimedio «non ha l’onere di avvisare la controparte» 38.
Il contratto però non può essere risolto fino a quando l’inadempimento di controparte, al
momento di attivazione dell’eccezione solo possibile seppure molto probabile, non sia divenuto
definitivo, importante e imputabile alla controparte.
La sospensione della prestazione è di regola totale, ed è destinata a rientrare quando viene
35
Chiedendo l’immediata esecuzione della prestazione, il creditore può cancellare immediatamente il
rischio di insolvenza, fermo restando che se il debitore non esegue subito il creditore potrà eccepire l’inadempimento ex 1460 c.c. o agire in risoluzione: sull’art. 1186 si veda per tutti BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1953,144-145 (che colloca tale rimedio tra i mezzi di difesa preventivi del pericolo di insolvenza) e DI MAJO, Dell’adempimento in generale, nel Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1994, 224 ss.
36
Cfr. CARNEVALI, op. cit., p. 256; la natura tipicamente sospensiva del rimedio è sottolineata anche da
ADDIS, Il «mutamento» nelle condizioni patrimoniali dei contraenti, cit., 33.
37
SACCO, Obbligazioni e contratti, vol. 10, in Tratt. di dir. priv., dir. da Rescigno, Torino, 1995, 2a ed.,
620; CARNEVALI, op. cit., 260, per il quale le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) impongono di tenere conto
anche degli interessi del contraente nei cui confronti viene fatta valere l’eccezione dilatoria, e poiché non vi è
nessun obbligo per il contraente adempiente di fare ricorso a questa eccezione, sarebbe giusto che l’altro
contraente sia messo in grado di conoscere quali sono le determinazioni del primo, e ciò sia allo scopo di
dimostrare l’inesistenza di una presunta situazione di difficoltà finanziaria o il superamento di essa, sia per predisporre le opportune garanzie a favore dell’eccipiente, sia per sapersi regolare nell’assumere con i terzi
eventuali impegni connessi all’esecuzione del contratto sospeso. Ne segue, secondo questa ricostruzione, che
l’omissione di qualsiasi preventiva notizia non renderà illegittima l’eccezione del contraente adempiente, ma
potrà avere conseguenze di carattere risarcitorio.
38
28
Cass. 10 agosto 2007, n. 17632.
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meno il pericolo dell’inadempimento di controparte; può essere compatibile, tuttavia, con l’esecuzione di quelle prestazioni accessorie o secondarie che non sono poste in rapporto di reciprocità rispetto alla “controprestazione” di controparte, o che, comunque, possono rivelarsi funzionali a far sì che il contratto – dopo la parentesi sospensiva – possa proseguire normalmente nella
sua esecuzione.
La fattispecie, come risulta dal sintetico quadro delineato, ha funzione cautelare e sospensiva
del proprio adempimento, e quindi dell’esecuzione, da parte di colui che eccepisce il mutamento
delle condizioni patrimoniali dell’altro contraente e pertanto vuole che l’esecuzione del
contratto, da parte sua, venga sospesa.
Contratto che pertanto rimane in vita fino a quando dall’interessato non venga fatto valere il
diritto alla sua risoluzione.
Va infatti ancora segnalato che, come osserva autorevole dottrina, “se, dopo un periodo di
eclisse, le condizioni del debitore ritornano buone, la sospensione della controprestazione non
ha più ragion d’essere, e deve cessare” 39.
La differenza tra le due figure è dunque netta: l’eccezione di inadempimento spetta al
contraente che non sia chiamato ad adempiere per primo (per contrastare con la mancanza del
proprio adempimento l’altrui inadempimento); la sospensione dilatoria è accordata al contraente
che debba adempiere per primo (al fine di evitare di non ricevere l’altrui controprestazione).
Sicché i due rimedi “non possono competere contemporaneamente allo stesso contraente” 40.
In buona sostanza, nel caso, ad esempio, in cui una banca, dopo aver erogato un finanziamento, veda il proprio debitore inadempiente al pagamento di alcune rate e quindi non voglia
continuare ad erogare i fondi residui, ma, al medesimo tempo, voglia solo sospendere l’esecuzione del contratto, senza tuttavia far valere la risoluzione del contratto medesimo, si pone il
problema se la banca possa utilizzare lo strumento dell’eccezione di inadempimento, ovvero
quello della sospensione del contratto ex art. 1461 c.c. per l’avvenuto “mutamento delle condizioni patrimoniali dell’altro contraente”.
L’eccezione di inadempimento, come visto, è diretta solo a provocare l’esonero dal proprio
adempimento, ma non consente di sospendere l’esecuzione del contratto. La funzione paralizzante del rimedio consente alla Banca solo di non erogare ulteriori fondi al mutuatario che sia
inadempiente, in attesa di far valere la risoluzione del contratto, ovvero in attesa che il proprio
debitore regolarizzi i propri pagamenti.
L’eccezione dilatoria, invece, consente alla Banca di sospendere l’erogazione delle rate
ulteriori, così che questo rimedio può essere impiegato dalla Banca per rifiutare al contraente,
che pure si ravvede dal suo inadempimento mediante un pagamento successivo e “sanante”,
l’erogazione delle successive rate di mutuo, qualora, sulla base di circostanze ed elementi di
39
SACCO, in SACCO, DE NOVA, Il contratto, Torino, 2004, 2a ed., II, 683.
40
SACCO, Obbligazioni e contratti, vol. 10, cit., 617.
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fatto, risulti oggettivamente sia la sua attuale difficoltà di adempiere, sia la sua incapacità
prospettica di continuare ad adempiere con regolarità.
L’esercizio dell’eccezione, come più volte sopra ricordato, tuttavia non determina la
risoluzione del contratto, ma solo una sospensione dello stesso a tutela della controprestazione
della Banca.
Con la conseguenza che, senza l’esercizio del diritto alla risoluzione del contratto per
inadempimento, e quindi permanendo in vita il contratto, gli effetti delle eccezioni a favore della
Banca saranno unicamente quello della paralizzazione delle ulteriori richieste del mutuatario, e
quello della sospensione dall’obbligo di dover eseguire la propria controprestazione o
prestazione.
Nel caso dell’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.), il rimedio attuato dalla Banca si
giustifica sulla base dell’inadempimento alle pregresse obbligazioni restitutorie che gravano sul
mutuatario.
Nel caso dell’eccezione dilatoria (art. 1461 c.c.), perché, pur “sanando” l’inadempimento
pregresso, il mutuatario in ogni caso versa in una situazione che, seppure di minor gravità
dell’insolvenza, è caratterizzata dal sopravvenire di oggettive circostanze (ad esempio: timore di
fallimento; dichiarazione anticipata di non voler adempiere, esistenza di protesti cambiari e di
procedure esecutive) incidenti sulla consistenza sia quantitativa, sia qualitativa del patrimonio 41,
tali da generare una situazione di pericolo in ordine all’adempimento, analoga a quella segnata
dall’eventus damni, che consente il ricorso alle azioni conservative della garanzia patrimoniale 42.
Solo la risoluzione infatti determina la caducazione degli effetti del contratto con efficacia
retroattiva (art. 1458 c.c.), e quindi solo questa può consentire alla parte di considerare definitivamente estinte le proprie obbligazioni.
4. – Gli strumenti di autotutela e rimediali presenti nel diritto comune dei contratti trovano
una significativa espressione ed applicazione anche nel diritto fallimentare, ove le regole
generali vengono modellate in funzione della particolare situazione nella quale viene a trovarsi
il contratto quando, non ancora eseguito, ovvero non completamente eseguito, una delle parti
dello stesso viene dichiarata fallita.
La recente riforma del diritto fallimentare in Italia ha introdotto una importante novità, in
tema di contratti “pendenti”, cioè di quei contratti ancora in corso di esecuzione al momento
della dichiarazione di fallimento.
Tale novità consiste nella previsione di una disciplina di portata generale dei contratti in
corso di esecuzione sia nel fallimento (art. 72 l. fall.), sia nella procedura di concordato
30
41
Cfr., per tali caratteri, Cass. 24 febbraio 1999, n. 1574; Cass. 22 gennaio 1999, n. 602.
42
CARNEVALI, op. cit., 257.
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preventivo (art. 169-bis l. fall.).
Disciplina che, nel creare un rapporto tra norma di carattere generale (art. 72 l. fall.) e norme
di carattere speciale (artt. 72-bis l. fall. e ss.), stabilisce, quale primo effetto della dichiarazione
di fallimento, la sospensione dell’esecuzione del contratto, cioè delle prestazioni dedotte nel
rapporto.
L’art. 72 dispone infatti che «se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente
eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento,
l’esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane
sospesa».
La norma prosegue nel senso che tale sospensione opera «fino a quando il curatore, con
l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del
fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei
contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto».
Il comma 2, nel predisporre un mezzo di sostanziale autotutela del contraente adempiente,
prevede la possibilità per questi di «mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice
delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende
risolto», con la conseguenza, di cui al comma 4, che «in caso di scioglimento il contraente ha
diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia
dovuto risarcimento del danno» 43.
La messa in mora del curatore 44, quale strumento che lo obbliga alla scelta mediante
l’esercizio del relativo diritto potestativo, se riguardata nel quadro degli strumenti apprestati
dall’ordinamento per la tutela del contraente in bonis, assolve una “funzione dissolutoria del
contratto, in difetto di adempimento, analoga a quella della diffida ad adempiere” 45, la quale
43
Nel caso del concordato preventivo, il nuovo art. 169 bis l. fall. prevede, collocando la disposizione
normativa sulla scia dell’analoga regola prevista per il fallimento, che “il debitore nel ricorso di cui all’art.
161 può chiedere che il Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato lo autorizzi a
sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso. Su richiesta del
debitore può essere autorizzata la sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una
sola volta. In tali casi, il contraente ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno
conseguente al mancato adempimento. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato. Lo
scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in esso contenuta”; sul punto cfr. ora
A. PATTI, Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento, in Fall.,
2013, 261 ss., secondo il quale che la regola di trattamento dei rapporti giuridici pendenti si distingue
nettamente nelle ipotesi di soluzione della crisi d’impresa a seconda che la soluzione della stessa si realizzi
mediante la sua liquidazione ovvero la prosecuzione della sua attività, e con riguardo alle nuove figure di
concordato preventivo introdotte con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83 e con il d.l. 21 giugno 2013, n. 69,
STANGHELLINI, Il concordato con continuità aziendale, in Il Fall., 2013, 1233; SALVATO, Nuove regole per
la domanda di concordato preventivo con riserva, ivi, 2013, 1209 ss.; BOZZA, I contratti in corso di
esecuzione nel concordato preventivo, ivi, 2013, 1121.
44
L’impiego della locuzione “messa in mora” richiama chiaramente le parole di G. BONELLI, Del
fallimento, II, Milano, 1928, 601.
45
GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, 4a ed., Torino, 2011, 132-133, per il quale gli effetti dissolutivi
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JUS CIVILE
non può trovare applicazione nel diritto fallimentare, in ragione dell’impossibilità di indirizzarla
sia al fallito, privato dall’art. 44, comma 1, l. fall. della capacità ad adempiere, sia al curatore,
che non è obbligato e che può obbligarsi, mediante la prosecuzione nel rapporto, unicamente se,
ricevendo la controprestazione, ciò si rivela funzionale alla realizzazione degli interessi del
fallimento.
Una regola a se stante viene inoltre prevista sia per il caso dell’esercizio provvisorio
dell’impresa (art. 104, comma 8), sia per i contratti di durata ovvero ad esecuzione continuata o
periodica (art. 74).
Nel primo caso, l’esercizio provvisorio dell’impresa può essere disposto con la stessa
sentenza dichiarativa di fallimento (art. 104, comma 1), ovvero in un momento successivo, su
impulso del curatore (art. 104, comma 2).
In questa seconda ipotesi la norma generale sulla sospensione trova applicazione temporanea, cioè a dire soltanto fino a quando non verrà disposto l’esercizio provvisorio e quindi lo
stato di sospensione verrà rimosso.
Il problema – che invece si pone in ordine al coordinamento tra le norme che considerano il
fallimento come una causa autonoma di scioglimento di determinati contratti e quelle che al
contrario ne prevedono la continuazione in caso di esercizio provvisorio – dovrebbe essere
risolto considerando “l’evento dissolutivo determinato automaticamente dalla dichiarazione di
fallimento senza contestuale disposizione dell’esercizio dell’impresa, risolutivamente condizionato alla eventuale successiva autorizzazione all’esercizio provvisorio dell’impresa” 46.
Per i contratti di durata o ad esecuzione continuata o periodica l’art. 74 prevede invece che se
il curatore subentra nel contratto «deve pagare integralmente il prezzo anche delle consegne già
avvenute o dei servizi già erogati».
Sul piano sistematico si può rilevare che il legislatore, nella previsione normativa contenuta
nell’art. 72, ha seguito un criterio diverso da quello in precedenza adottato per la analoga disciplina prevista per la crisi d’impresa, così come dettata nell’art. 50 del d.lgs. n. 270 del 1999,
in tema di amministrazione straordinaria, ove la regolazione concorsuale è nel senso della
automatica prosecuzione del rapporto pendente, fino a quando il commissario straordinario non
abbia deciso di sciogliersi dai contratti in corso, anche da quelli ad esecuzione continuata o
periodica, che alla data di apertura della procedura risultino ancora non eseguiti ovvero non
interamente eseguiti da entrambe le parti.
Fermo restando che il contraente in bonis, anche in questo caso, ha la possibilità di mettere
in mora il commissario straordinario, ma unicamente dopo che il programma di ristrutturazione
o di cessione dei complessi aziendali sia stato approvato. A quel punto, se intimato per iscritto
dello scioglimento corrispondono a quelli che sarebbero derivati dall’esercizio dell’azione di risoluzione, ed
essenzialmente consisterebbero in pretese restitutorie che, se non hanno ad oggetto beni specifici, rimangono
soggette alla legge fallimentare.
46
32
GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, cit., 121.
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JUS CIVILE
deve far pervenire alla controparte la propria decisione entro trenta giorni, decorsi i quali il
contratto si intende risolto.
La diversità di indirizzo viene in dottrina spiegata in ragione della diversità di finalità delle
due procedure, tendente: per l’amministrazione straordinaria, alla salvezza e al recupero
dell’economicità aziendale, e quindi al risanamento dell’impresa e al suo possibile riposizionamento sul mercato; per il fallimento, essenzialmente alla liquidazione del patrimonio in funzione della distribuzione del ricavato dell’attivo ai creditori del concorso, e quindi con funzione
prevalentemente dissolutiva, nonostante la previsione di una disciplina che tende ad agevolare
nei limiti del possibile cessioni in blocco o di aggregati del patrimonio 47.
5. – Il precedente sistema si strutturava secondo una disciplina sostanzialmente per tipi,
all’interno del quale era però problematico stabilire, per un verso, quale fosse il tipo di
disciplina da applicare ai contratti tipici non espressamente regolati, e per un altro verso, quale
fosse, in presenza di un contratto atipico, il livello di elasticità, e quindi di assorbimento di quel
contratto nella disciplina di diritto concorsuale prevista per i singoli contratti tipici.
Il nuovo sistema – seppure mantiene ancora una disciplina che ha ad oggetto singoli tipi
contrattuali, che è distribuita tra la sezione II del capo III, ed altri luoghi sia della legge
fallimentare (art. 60 per la rendita perpetua e per la rendita vitalizia; art. 104, comma 8, per la
disciplina dell’esercizio provvisorio dell’impresa), sia del codice civile (artt. 2119, comma 2;
2228, comma 1) – tuttavia, in ragione della presenza dell’art. 72, e quindi dell’ingresso di una
regola generale, sembra aver abbandonato una disciplina per tipi in funzione dell’adozione di
una norma di “chiusura” del sistema di disciplina dei rapporti pendenti 48.
La regola generale (art. 72 l. fall.) è infatti quella della sospensione del rapporto pendente,
ove non sia diversamente disposto 49.
La regola della sostituzione del curatore nel contratto in luogo del fallito, ovvero della sua
continuazione automatica, avrebbe invece carattere di specialità.
Con l’ulteriore conseguenza che le norme che regolano i singoli tipi contrattuali, in quanto
legate da un rapporto di genere a specie, rispetto alla regola generale, non potrebbero essere
47
ZANICHELLI, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali dopo il d.lg.
12.9.2007, n. 169, Torino, 2008, 155; JORIO, Il fallimento, in Tratt. Cottino, Padova, 2009, 472.
48
CAGNASSO, I contratti pendenti, in AA.VV., Le nuove procedure concorsuali, a cura di S. AMBROSINI,
Bologna, 2008, 117, per il quale sarebbe tuttavia necessario esaminare fino a che punto il nuovo sistema possa
effettivamente ritenersi chiuso, dovendosi verificare se in ogni caso i contratti, ai quali non siano espressamente
applicate le regole “eccezionali”, siano soggetti al principio generale della sospensione facoltativa, ed in tal
senso prospetta come esempio quello del contratto di concessione di vendita.
49
La regola trova applicazione, in virtù della previsione di cui all’art. 56 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159
(come modificato dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, c.d. legge di stabilità), anche ai rapporti contrattuali
pendenti disciplinati dal codice delle leggi antimafia in tema di misure di prevenzione patrimoniale.
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applicate per analogia o per estensione ad altri tipi, siano essi tipici ovvero atipici, per i quali
dovrebbe pertanto valere il principio generale della sospensione del rapporto 50.
La presenza di una regola generale, anche in ragione della portata ampia della norma che la
prevede, ha, di contro, indotto a ritenere che – poiché le norme sparse nel sistema che regolano
gli effetti del fallimento su determinati rapporti contrattuali non sono state abrogate, né sarebbe
prospettabile una loro abrogazione per incompatibilità – la norma generale dell’art. 72, comma
1 si dovrebbe considerare applicabile (non “salve le diverse disposizioni della presente sezione”
ma) “salve diverse disposizioni di legge”. Inoltre, poiché tali diverse disposizioni sono fondate
ciascuna su una propria giustificazione normativa, differente da quella che sostiene la norma
generale, esse sarebbero suscettibili di applicazione analogica 51.
La ragione dell’inserimento nel sistema di una regola generale è stata rinvenuta nella
circostanza che il principio della sospensione, seppure sorto con riguardo al contratto di vendita,
si era oramai da tempo consolidato sia nell’orientamento giurisprudenziale 52, sia nel pensiero
della dottrina 53, come applicabile su un piano generale anche ai contratti sul punto non
espressamente regolati.
Il principio si giustificava in ragione dell’esigenza di evitare le conseguenze negative che
derivavano per il contraente in bonis dal trattamento differenziato, e di favore, che la legge
riservava al curatore.
Egli infatti poteva giovarsi, in ragione della regola del concorso, dell’adempimento della
prestazione da parte del contraente adempiente, senza tuttavia che questi potesse, al di fuori
della regolazione concorsuale, a sua volta ricevere l’intera controprestazione, segnatamente per
l’ipotesi che la prestazione gravante sul contraente fallito fosse stata di natura pecuniaria e
rimasta ineseguita.
Il contraente in bonis era piuttosto costretto a subire, in base al principio della parità di
trattamento dei creditori, la falcidia di volta in volta connessa nella singola procedura con la
disciplina della ripartizione dell’attivo 54.
50
NIGRO, VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2009, 176, per i quali la soluzione che fa
leva sulla presenza di una regola generale si presenterebbe come più conveniente per la procedura, sia dal punto
di vista organizzativo, sia da quello economico.
51
GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, cit., 123.
52
Cass. 5 febbraio 1980, n. 799, in Giur. comm., 1980, II, 665.
53
Cfr. ora per tutti sul punto, JORIO, Il fallimento, cit., 476.
54
Sulla base di tale considerazione risalente al pensiero di G. BONELLI, op. cit., si è sempre sostenuto che il
curatore non poteva essere obbligato, se non lo avesse reputato utile per la massa, a dare esecuzione o a
proseguire nell’adempimento di contratti che trovava in essere al momento dell’apertura del concorso, avendo
invece la facoltà di liberarsene senza che ciò determinasse il sorgere di un credito risarcitorio in favore della
controparte contrattuale (cfr. la prima formulazione dell’art. 72, comma 4, l. fall.).
Il contraente adempiente, per altro verso, in applicazione del principio dell’eccezione di inadempimento,
non poteva essere costretto a dare esecuzione ad un contratto il cui effetto, sul piano della corrispettività, si
sarebbe potuto realizzare soltanto secondo la legge del concorso (si confronti la vecchia formulazione del
34
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6. – La legge fallimentare con la regola generale di cui all’art. 72 disciplina dunque gli effetti
del fallimento sul rapporto e non sul contratto, tant’è che la norma non si applica quando, alla
data del fallimento, il rapporto sia stato completamente eseguito da una delle parti.
Il fallimento infatti incide sul rapporto, poiché riguarda la fase dinamica della vicenda
negoziale, quella cioè dell’attuazione del rapporto nel quale il curatore subentra in virtù del
potere di sostituzione nell’amministrazione dei beni del fallito, e non sul contratto, poiché non
modifica i contenuti dell’atto, che fra le stesse parti originarie conserva “la sua forza di legge”
(art. 1372 c.c.).
La sospensione è un effetto legale, che si produce in via automatica per il semplice fatto
della dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, che tocca direttamente il rapporto ma
che, ovviamente, si estende, seppur di riflesso, anche sul contratto, con riguardo sia alla
posizione giuridica soggettiva delle sue parti originarie, sia a quella di un terzo che è il curatore,
dato che anzitutto in capo a lui sorge, previa autorizzazione del comitato dei creditori, la facoltà
di “subentrare nel contratto in luogo del fallito”.
Il contratto rimane pertanto inalterato, seppure esso entra in uno stato di “sospensione legale”, giacché, a causa del fallimento, non può più proseguire fra le parti originarie; né tanto
meno può produrre effetti nei confronti di un terzo estraneo all’originario contratto, quale è il
curatore fallimentare.
La vicenda contrattuale è dunque sospesa nella sua efficacia fino a quando il curatore, di sua
iniziativa, ovvero su istanza del contraente in bonis, secondo la regola dettata dall’art. 72, non
effettui la scelta tra prosecuzione del rapporto o suo scioglimento.
La costruzione dogmatica degli effetti del fallimento sui contratti in corso di esecuzione, vale
a dire sui contratti bilaterali ineseguiti, si spiega dunque in termini di disciplina del rapporto e
non del contratto, poiché essa non riguarda la disciplina dell’atto, ma la regolazione in sede concorsuale del nesso di corrispettività tra contrapposte prestazioni non eseguite o solo parzialmente eseguite.
Il problema degli effetti del fallimento sui contratti di durata o ad esecuzione continuata o
periodica (art. 74 l. fall.) si pone ovviamente in termini diversi, rispetto a quello che riguarda gli
effetti sui rapporti pendenti.
La dichiarazione di fallimento nei contratti di durata incide “sul contratto”; nei contratti in
corso di esecuzione, invece, incide “sul rapporto”.
Nei contratti pendenti, ovvero in corso di esecuzione, il rapporto è sorto prima del fallimento
ma non è stato ancora eseguito, ovvero lo è stato solo in parte, al momento della dichiarazione
di insolvenza di uno dei contraenti, così che la prospettiva in cui quel rapporto si colloca, per efcomma 1 dell’art. 72 l. fall., a mente del quale a fronte del fallimento del compratore il venditore aveva diritto
“a compiere la sua prestazione, facendo valere nel passivo del fallimento il suo credito per il prezzo”).
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fetto dell’apertura del concorso, è prevalentemente quella dismissiva per la realizzazione del patrimonio concorsuale, che è la prospettiva propria del procedimento di liquidazione dell’attivo.
Sicché la prosecuzione del rapporto, mediante l’adempimento delle prestazioni residue, è
unicamente in funzione del miglior realizzo dei beni destinati alla soddisfazione dei creditori 55.
Nei contratti di durata, per effetto della dichiarazione di fallimento di una delle parti, sorge in
capo al curatore, che decide di subentrare, non solo l’obbligo di proseguire nel rapporto,
mediante il reciproco adempimento, ma anche quello di pagamento delle prestazioni già eseguite dalla controparte, dato che quel contratto aveva comunque, seppur parzialmente, “esaurito” le contrapposte prestazioni fino a quel momento dovute.
La natura di durata, o comunque ad esecuzione continuativa o periodica, del contratto comporta infatti che, al momento della dichiarazione di fallimento, esso “è certamente un rapporto
contrattuale che risulta pienamente eseguito”, anche se altre prestazioni si sarebbero dovute
eseguire ad opera dalle parti fino al termine di naturale scadenza del contratto 56.
Il fallimento, anche nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, determina dunque la
sospensione della ulteriore esecuzione, e se il curatore effettua la relativa scelta può intervenire
anche lo scioglimento.
7. – Il fondamento della regola generale del diritto fallimentare va dunque ricercato all’interno del sistema del diritto comune dei contratti (artt. 1460 e 1461 c.c.), in applicazione del
principio generale di tutela della funzionalità del sinallagma.
Principio che, nonostante un’autorevole voce in senso contrario 57, è stato infatti costantemente considerato, sia negli orientamenti dei dottori della legge, sia delle Corti, quale regola
generale in grado di giustificare il senso della disciplina 58.
Si tratta infatti, in attuazione del principio in ragione del quale il contraente adempiente può
55
ZANICHELLI, op. cit., 180.
56
Così INZITARI, Sospensione del contratto per sopravvenuto fallimento e incerti poteri autorizzativi del
comitato dei creditori, in AA.VV., Contratti in esecuzione e fallimento, Milano, 2007, 6.
57
F. VASSALLI, Diritto fallimentare. II.1, Torino, 1997, 153 ss., seppur con riguardo alla vecchia
formulazione delle norme sui rapporti pendenti, riconosce un fondamento sostanzialmente equitativo a tale
disciplina.
Secondo l’A., «si tratta di una disciplina che, sia pure secondo meccanismi diversi da quelli di autotutela
stabiliti dagli artt. 1460 e 1461 c.c., pone il contraente adempiente in una posizione di maggior favore rispetto
agli altri creditori concorrenti nel fallimento. Si può dire che ciò avvenga per ragioni sostanzialmente equitative
le quali in un certo senso si possono accostare a quelle che sono state poste a base della disciplina della
compensazione. In altri termini si reputa equo che il contraente adempiente che vede sopraggiungere il
fallimento della controparte quando ancora non ha eseguito la propria prestazione e neppure è stato ancora
soddisfatto del suo credito, si trovi in una posizione di maggior forza rispetto agli altri creditori meritevoli di
specifica considerazione. Questa posizione è appunto quella che viene tenuta in considerazione e tutelata in
alcune delle norme sulla sorte dei contratti pendenti».
58
36
Cfr. ora per tutti GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, cit., 122.
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opporre le cc.dd. eccezioni dilatorie al fine, per un verso, di conservare l’originario equilibrio
contrattuale nella prospettiva dell’esecuzione del rapporto; per un altro, di paralizzare, mediante
lo strumento della sospensione della sua esecuzione, gli effetti che l’insolvenza di una parte
produce sulla vita del contratto in attesa della scelta del curatore in ordine alla prosecuzione,
ovvero allo scioglimento, dal rapporto.
A tale regola seguono, come corollario, quelle che hanno ad oggetto lo scioglimento ovvero
la continuazione del vincolo obbligatorio, sia in generale, sia ex lege con riguardo a determinati
tipi contrattuali (cfr. art. 72 bis e ss. l. fall.).
Le articolazioni di queste regole consentono, secondo una rappresentazione sintetica, di
classificare le tipologie contrattuali sulle quali il legislatore è intervenuto, ricomprendendole in
tre ambiti tra loro omogenei, a seconda che l’incidenza del fallimento sul contratto produca: lo
scioglimento automatico del rapporto; ovvero la sua continuazione; ovvero che tali rapporti
abbiano ad oggetto beni del fallito non compresi nel fallimento (cfr. art. 46 l. fall.), con la
conseguenza che tali rapporti, in quanto non soggetti allo spossessamento fallimentare, non sono
inclusi nel patrimonio destinato alla soddisfazione dei creditori del concorso e per essi, non
verificandosi nel rapporto la sostituzione del curatore al fallito, si applica il diritto comune dei
contratti dato che proseguono, come prima della dichiarazione di fallimento, tra il fallito ed il
contraente in bonis 59.
La diversità di disciplina offerta dalla regola generale, rispetto a quella disegnata dalle regole
speciali, pone però in evidenza, se non altro sul piano ricostruttivo, il problema del rapporto tra
disciplina “di diritto comune” e disciplina “di diritto concorsuale”, cioè speciale, del contratto.
Profilo il cui rilievo è dato dalla constatazione, per la verità da qualcuno negata 60, che la
regolazione concorsuale dei rapporti preesistenti al fallimento risente dell’inserimento nella
legge del concorso dei principi del diritto generale dei contratti 61.
In senso contrario appare invece evidente che il fondamento dell’inserimento di quei principi
nel corpo del diritto fallimentare è giustificabile sul tendenziale principio di uniformità del
sistema.
59
MEOLI, SICA, Effetti sui rapporti giuridici preesistenti, in Trattato di diritto fallimentare, dir. da
Buonocore e Bassi, Padova, 2010, 397, distinguono invece tra regole speciali e regole eccezionali sui contratti
pendenti, inquadrando le relative disposizioni secondo un criterio funzionale, piuttosto che secondo una
sistemazione che tenga conto della sorte che tali regole riservano al rapporto pendente.
60
INZITARI, op. ult. cit., 4, secondo il quale il contenuto della disciplina dei rapporti pendenti nel fallimento
“non appare segnato da un sicuro rapporto di stretta consequenzialità con i principi civilistici generali in
materia di contratto e di autonomia privata”.
61
JORIO, Il fallimento, cit., 470, pone in evidenza che il settore della disciplina dei rapporti pendenti è
quello nel quale, più che in ogni altro, «si verificano la compenetrazione e la sovrapposizione dei principi della
legge del concorso alle regole civilistiche dei contratti ed ove le soluzioni normative possono mutare a seconda
che si privilegino le ragioni della procedura ovvero quelle del contraente adempiente e a seconda che si
rimanga ancorati ad una visione più squisitamente liquidatoria o ci si spinga verso una prospettiva di
conservazione dell’impresa».
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L’ordinamento infatti pondera le proprie scelte al fine di rendere il sistema unitario e quindi
tende ad applicare, mediante la tecnica della interazione tra discipline, le regole di parte
generale del diritto comune dei contratti, anche per la regolazione di profili del diritto speciale
dei contratti, quando quelle regole trovino coerente e razionale applicazione per la disciplina
degli interessi di volta in volta oggetto di tutela secondo i valori dell’ordinamento.
E ciò a maggior ragione quando il rilievo assunto dal sinallagma si manifesti, al di fuori delle
fisiologiche situazioni prospettate dal normale diritto degli affari e della circolazione della
ricchezza, e si inserisca nell’ambito di un procedimento esecutivo, come quello concorsuale.
Sul punto si è piuttosto, e correttamente, osservato 62 che la facoltà del curatore di scegliere
fra subentro e scioglimento del rapporto, nei contratti caratterizzati dalla corrispettività e non
ancora eseguiti, trova il proprio fondamento sia nella disciplina di regolazione concorsuale dei
crediti, che esclude il diritto del creditore di pretendere il pagamento integrale, sia nella
disciplina di diritto privato del sinallagma, che non consente al curatore di far valere le pretese
derivanti dai contratti corrispettivi ineseguiti se non si obbliga ad eseguire integralmente la
controprestazione.
La regola generale impone dunque al curatore, che voglia sostituirsi al fallito nell’esercizio
dei diritti connessi al contratto corrispettivo pendente ed ineseguito, di subentrare nel contratto
determinando in tal modo una trasformazione del credito del contraente adempiente da credito
concorsuale in credito prededucibile, e quindi suscettibile di essere soddisfatto integralmente, e
non in moneta fallimentare.
Il curatore, per altro verso, non avendo il contraente in bonis, in ragione della sinallagmaticità del rapporto ineseguito, diritto al soddisfacimento integrale della sua pretesa di credito,
può rinunciare a far valere la pretesa di adempimento che spettava al fallito, ma per far ciò deve
sciogliersi dal contratto 63.
62
GUGLIELMUCCI, La tutela del contraente in bonis nei rapporti giuridici preesistenti, in Scritti in on. di G.
Lo Cascio, La tutela dei diritti nella riforma fallimentare, Milano, 2006, 150; sul punto cfr. anche ZANICHELLI,
op. cit., 156.
63
GUGLIELMUCCI, La tutela del contraente in bonis nei rapporti giuridici preesistenti, in Scritti in on. di G.
Lo Cascio, La tutela dei diritti nella riforma fallimentare, Milano, 2006, 150.
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