ACQUISIZIONI RECENTI 2016

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ACQUISIZIONI RECENTI 2016
ACQUISIZIONI RECENTI 2016
Galleria PAOLO ANTONACCI
Via del Babuino 141/a
00187 Roma
Tel +39 / 06 32 65 16 79
[email protected]
www.paoloantonacci.com
Paolo Antonacci Roma
Paolo Antonacci inizia l’attività lavorativa presso la prestigiosa galleria antiquaria AntonacciEfrati, fondata a Roma nel 1916 da membri della famiglia.
Affianca quindi per tutti gli anni Ottanta il padre Giuseppe nel commercio antiquario a Roma, a
Londra e nelle principali capitali estere.
Nel 1998 fonda la propria galleria, la ‘Paolo Antonacci Antichità S.r.l.’ in via del Babuino 141/a a
Roma.
Da sempre l’interesse di Paolo Antonacci nel campo artistico è la ricerca, la valorizzazione e lo
studio di dipinti che raffigurano, dalla fine del XVIII agli inizi del XX secolo, Roma, la sua Campagna e
le vedute italiane in genere: il cosiddetto “Grand Tour” dei pittori italiani e stranieri in Italia.
Dal 1998 la galleria organizza annualmente delle mostre a tema, incentrate principalmente su
vari aspetti dell’arte a Roma nel XIX secolo. Tra queste si ricordano quella sul Carnevale Romano (2001),
sui Pittori danesi a Roma nell’Ottocento (2004), sul pittore Luigi Ademollo (2006) e su Alessandro Poma (2009),
sui Panorami di Roma del XIX secolo (2010), sulle Incisioni di Luigi Rossini (2012) e, nella scorsa primavera,
sulla Collezione di Jørgen Birkedal Hartmann, incentrata sui capolavori dei pittori danesi a Roma nel XIX
secolo.
La galleria ha aperto i suoi spazi anche a mostre di artisti contemporanei e, nel corso degli anni,
ha sviluppato un interesse particolare per il settore poco conosciuto delle fotografie del XIX secolo
(Roma vista dai pittori-fotografi del secondo Ottocento, 2008).
La ‘Paolo Antonacci Antichità S.r.l.’ partecipa alle più importanti mostre di antiquariato italiane,
come la Biennale di Palazzo Corsini a Firenze, la Biennale d’Arte di Palazzo Venezia a Roma e The Milano
International Fine Art & Antiques Show al Palazzo della Permanente di Milano, oltre che a prestigiose fiere
internazionali quali la Lifaf e la Masterpiece di Londra e la Highlights di Monaco. Nel 2013 ha partecipato
anche alla Master Drawings Week di New York e da marzo 2014 la galleria ha il privilegio di partecipare
alla Tefaf di Maastricht nella sezione ‘Pictura’.
Tra i clienti istituzionali della galleria figurano il Comune di Roma, la Galleria Nazionale d’Arte
Moderna di Roma, i Musei Vaticani, il Museo del Corso, la American Academy di Roma e la Sovrintendenza
Speciale per il Polo Museale Fiorentino.
In questi anni numerose sono state le richieste di prestito, da parte di importanti istituzioni,
delle opere della galleria per mostre ed esposizioni: l’Istituto Nazionale per la Grafica di Palazzo Poli, il
Museo del Corso, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, il Complesso del Vittoriano, il Museo Storico Vaticano, il
Castel Sant’Angelo, il Palazzo Braschi, il Museo Napoleonico, Roma, il Comune di Roma, il MART, Rovereto, il
Palazzo Ducale, Genova, il Palazzo Milzetti, Faenza.
Artista danese
Prima metà del XIX secolo
Veduta della “Casina di Raffaello” con la “Latteria” a Villa Borghese
Olio su tela; cm. 34,5 x 52,5
Il dipinto raffigura una veduta inedita della Casina di Raffaello insieme alla Latteria quali apparivano nei
primi decenni del XIX secolo. La Casina di Raffaello era così detta per via di alcuni affreschi di scuola
raffaellesca conservati nel suo interno; fu distrutta dagli eventi bellici del 1849. La Latteria, come indica
il nome, era il ricovero delle mucche della famiglia ed è tuttora esistente, rinominata “Casina delle
Rose”.
Sullo sfondo del nostro dipinto si riconoscono le Mura Aureliane che all’epoca dividevano le proprietà
Borghese con quelle della confinante famiglia Boncompagni Ludovisi.
Philippe BENOIST
Ginevra , 1813 – 1905
Il Cortile Ottagono in Vaticano
Matita su carta; mm. 340 x 484
Iscritto in basso a destra: Cour octagone au Vatican
Timbro della Collezione Altena nel verso
ESPOSIZIONI: In de ban van Italië: Tekeningen uit een Amsterdamse verzameling, Amsterdam, Amsterdams Historisch Museum, 1995
– catalogo: I. OUD, M. JONKER, M. SCHAPELHOUMAN (a cura di), In de ban van Italië: Tekeningen uit een Amsterdamse verzameling,
Amsterdam, Amsterdams Historisch Museum, 1995, p. 112
PROVENIENZA: Amsterdam, collezione van Regteren-Altena
Disegno preparatorio per la litografia pubblicata in Franz de
Champagny, Rome dans sa grandeur: vues, monuments anciens et modernes,
description, histoire, institutions. Dessins d’après nature par Philippe Benoist
et Félix Benoist, Paris, 1870, vol. III, p.11. Il Cortile Ottagono, in
passato detto ‘Cortile delle Statue’, ospitò il primo nucleo delle
collezioni pontificie di antichità classiche. Papa Giulio II della
Rovere (1503-1513) vi fece allestire una straordinaria raccolta di
sculture della Roma dei Cesari, come tributo della Roma dei Papi.
Nonostante i cambiamenti intercorsi nei secoli, alcune delle
Ph.Benoist, Cour octagone ou du
sculture tra le quali il “Laocoonte” e l'“Apollo del Belvedere” si
Bélvédère
au Vatican, litografia (1870)
trovano qui fin dalla prima metà del ‘500.
Nella seconda metà del Settecento, con la nuova concezione di
Museo pubblico, Clemente XIV (1705-1774) e Pio VI (1717-1799) decisero di fare di questo Cortile il
fulcro del percorso museale. Il Museo Pio Clementino fu inaugurato nel 1771 e nel 1772 l’architetto
Michelangelo Simonetti (1724-1781) progettò il loggiato, architravato con volta a botte e lacunari
poligonali in stucco, retto da 16 colonne di granito rosso e bigio con capitelli ionici in travertino. Al
centro di ciascun lato si inserisce un arco a tutto sesto terminante a timpano triangolare che include una
maschera marmorea. In seguito al Trattato di Tolentino (1797), il “Laocoonte” e l'“Apollo Belvedere”
furono portati a Parigi, fino al 1815. A causa di questa spoliazione Antonio Canova nel 1803 fece
chiudere le cappelle angolari (riaperte nel 1956).
Philippe Benoist ha eseguito questo accurato disegno preparatorio collocandosi nel lato sud. In
primo piano nel nostro disegno, collocato sul fusto di una colonna di granito, si riconosce il disco di
marmo di epoca romana che reca su un lato la figura di un’ara accesa tra due pini. Nell’altra faccia del
clipeo, tuttora al Museo Pio-Clementino, è raffigurata una Menade danzante 1. A ridosso delle colonne
con paraste, l’artista ritrae anche la statuetta di Zeus con l'aquila e il bastone (fine II-inizio III sec.).
1
Cfr. E.G.MASSI, Descrizione ristretta dei musei dell’antico nel Palazzo Vaticano: con aggiunta dei musei Gregoriano-etrusco ed Egizio, del
Gabinetto de’ monumenti assirj, della galleria degli arazzi di Raffaello, delle sale Borgia e delle carte geografiche d’Italia, Tip.Vaticana, 1903,
p.41 (n.40); W.AMELUNG, Die Sculpturen des Vaticaniscen Museums, Berlin, Reimer, 1908, vol.2 (Belvedere) e AA.VV., Museo Pio
Clementino, Cortile ottagono, Berlin-New York 1998.
Il Cortile Ottagono oggi e il sarcofago di
Volusius nell’incisione di Ducros-Volpato.
Il sarcofago a copertura a capanna e pareti a festoni collocato nel disegno di Benoist in basso a destra
corrisponde all'ara cineraria dedicata a un imprecisato Volusius. Essa si trovava di fronte alla nicchia
contenente il gruppo del “Laocoonte”, come si evince da un'incisione acquerellata (1786-92) di LouisRodolphe Ducros e Giovanni Volpato. A ridosso di quest'ara si riconosce nel nostro disegno anche una
colonna recante sulla sommità un clipeo di epoca moderna con una ninfa in rilievo, ritratta nuda e di
spalle su sfondo scuro. Oltre questo arco si nota poi la statua romana di Atalanta, con il braccio sinistro
alzato (originariamente reggeva un arco), la faretra e gli stivali da cacciatrice. In fondo a sinistra è
raffigurata l'urna funeraria di Q.Vitellius, a forma di casetta. Nell'altro versante del portico,
corrispondente al lato nord, si intravede infine nella prima nicchia sulla sinistra il gruppo marmoreo
della Venus Felix e Cupido (180-200 d.C.).
Come indica il monogramma sul verso del foglio, il nostro disegno apparteneva alla raccolta di
Iohan Quirijn van Regteren Altena (1899-1980): artista, storico dell’arte e collezionista olandese che dal
1923 al 1926, in qualità di assistente di Fritz Lugt (1884-1970), ha contribuito alla catalogazione dei
disegni di artisti nord europei conservati presso il museo del Louvre. Dal 1926 al 1932 ha lavorato con
il mercante Nicolas Beets (1878-1966), epoca a cui risale l’inizio degli acquisti di disegni antichi per la
sua collezione. Nel 1932 è stato nominato conservatore delle collezioni municipali di Amsterdam e dal
1937 al 1969 ha insegnato storia dell’arte presso l’Università cittadina. Dal 1948 al 1962 ha anche diretto
il Gabinetto di Arti Grafiche del Rijksmuseum, incrementando l’acquisto di disegni italiani e francesi;
inoltre nel 1964 e nel 1980 ha venduto a questa istituzione un gran numero di incisioni e disegni
francesi provenienti dalla sua collezione. Tra le sue opere più note si ricordano il catalogo dei disegni
italiani da lui posseduti ed esposti al Rijksmuseum in forma anonima nel 1970 (Italiaanse Tekeningen uit
een Amsterdamse collectie) e l’importante catalogo sulle opere di una famiglia di artisti olandesi: Jacques de
Gheyn: three generations (uscito postumo nel 1983).
Pittore e litografo di nazionalità francese, allievo di Louis Daguerre (1787-1851), inventore (1839)
del processo fotografico denominato appunto dagherrotipia. Philippe Benoist ha lavorato soprattutto a
Vincennes, dedicando gran parte delle sue composizioni a città (Pompei, Venezia, Parigi, Roma) e a
interni ed esterni di chiese (Notre-Dame e Saint-Eustache a Parigi, Saint-Paul a Lione, Saint-Riquier a
Abbeville, le cattedrali di Toledo, Bayeux e di Reims). Tra il 1836 e il 1879 ha esposto quasi ogni anno ai
Salons di Parigi. Sue molte delle incisioni presenti in: Napoli d’après nature, Paris, Delarue, 1830;
Description de Paris, Paris, Charpentier, 1861; Paris dans sa splendeur, sous Napoléon III, Paris, Charpentier,
1862; Rome dans sa grandeur, Paris, Charpentier, 1870; Les cometes, Paris, Hachette, 1875.
François Louis BONNET
Saint-Marcellin (Francia),1811 – Fribourg (Svizzera), 1894
La benedizione di Pio IX dalla loggia di San Giovanni in Laterano nel 1846
Olio su tela; cm. 53 x 64
ESPOSIZIONI: Exposition de la Société des Amis des Beaux-Arts, Fribourg, 1892; François Bonnet 1811-1894, Rome Lausanne Fribourg,
Friburgo, Musée d’art et d’histoire de Fribourg, , 23 marzo-4 maggio 1969, catalogo n. 11
PROVENIENZA: Friburgo, collezione privata
Questo prezioso dipinto ci restituisce un importante episodio della vita di Roma: la benedizione papale
seguita alla tradizionale e sfarzosa cerimonia della “presa di possesso” della cattedrale cittadina – la
basilica di San Giovanni in Laterano – da parte del neo-eletto vescovo di Roma, papa Pio IX (17921878). L’8 novembre 1846 la carrozza papale partì in testa al corteo da palazzo del Quirinale, all’epoca
residenza pontificia, attraversò tutto il centro di Roma per poi giungere alla basilica Lateranense dove si
svolse il simbolico “possesso” della cathedra episcopalis cittadina e la conseguente benedizione apostolica, a
chiusura della cerimonia.
Una delle cronache coeve ci descrive la scena che Bonnet ha fedelmente immortalato nel nostro dipinto:
Per sì lieta circostanza era stata quella Patriarcale Basilica unitamente al gran Portico apparata ed
ornata con magnificenza. […] Sua Santità si assise nella Sedia Pontificale, posta sopra il magnifico
Trono sotto il Baldacchino, standogli intorno il Sacro Collegio nei soliti sedili, cioè gli Eminentissimi
Cardinali. […] Scesa S. Beatitudine dall’Altare, salì in sedia, e deposta la Mitra, le venne messo in
capo il Triregno ed accompagnata dagli stessi esimi Cardinali e Prelati, e […] giunse alla gran Loggia
sulla facciata della Basilica, che era apparata di arazzi, coltre e damaschi con baldacchino. Quivi il
S.Padre dopo avere intonati i soliti versetti ed orazioni, fra il suono festivo delle Bande delle truppe
pontificie, dello sparo dell’artiglieria di Castel sant’Angelo, e dei cannoni situati nella gran Piazza,
dette al foltissimo Popolo Romano, ed ai forestieri concorsi dai vicini paesi, che proruppero in voci
giulive di acclamazioni, la solenne Apostolica Benedizione 1.
1
Esatta relazione della cavalcata con la quale la santità di N.S. Papa Pio IX si portò a prendere il solenne possesso della basilica lateranense e
delle ceremonie che in essa seguirono il giorno 8 novembre 1846, Roma, Olivieri, 1846, pp.20.
In maniera minuziosa Bonnet delinea ogni particolare dell’evento: il papa, seduto sul trono, è
raffigurato affacciato dalla loggia di San Giovanni mentre, immediatamente sotto di lui, appoggiati alla
balaustra, si riconoscono i cardinali. I soldati pontifici sul piazzale sottostante sono sull’attenti e in
primo piano il popolo festante assiste in piazza e dalla gradinata sulla destra: numerosi personaggi sono
rivolti verso il pontefice, molti dei quali sono inginocchiati.
Il valore documentario della scena è accresciuto anche dall’attenta raffigurazione del sistema di
ancoraggio a terra del tendone posto al di sopra della loggia papale la cui funzione era quella di
amplificare la voce del papa.
Sempre nel 1846, François Louis Bonnet ha eseguito
anche un acquerello su carta, appartenuto a questa stessa
galleria, che raffigura la benedizione di Pio IX in piazza San
Giovanni in Laterano: un tema dunque caro all’artista
francese. In entrambe le opere l’artista raffigura con dovizia
di particolari il concorso di popolo alla solenne cerimonia.
Il nostro dipinto è stato premiato nel 1892 alla
“Exposition Industrielle Cantonale” di Friburgo con una
medaglia d’argento dorato.
F.L.Bonnet, La benedizione di Pio IX a
S.Giovanni, acquerello, 1846.
Dopo gli studi nella città natale, François Louis Bonnet nel 1830 andò per un anno a lavorare a Parigi,
nell’atelier del pittore romantico Camille Joseph Etienne Roqueplan (1802 ca.-1855). Tra il 1843 al 1848
soggiornò a Roma dove eseguì una serie di acquarelli e piccoli quadri che, come nel nostro dipinto,
raffiguravano avvenimenti della vita italiana. Si stabilì poi a Losanna, dove fu professore di disegno
presso l’“École supérieure de jeunes filles”, e dal 1862 insegnò al Collège Saint-Michel di Fribourg città che gli ha dedicato una retrospettiva nel 1969.
Ippolito CAFFI
Belluno, 1809 – Battaglia di Lissa, 1866
Scena di accampamento militare orientale
Olio su carta; mm. 150 x 200
Scena di adunata militare nel deserto
Olio su carta; mm. 140 x 200
Firmato e datato in basso a sinistra: Caffi 1844
Veduta notturna di piazza con minareto al Cairo
Olio su carta; mm. 150 x 200
Firmato in basso a sinistra: Caffi
PROVENIENZA: Roma, collezione privata
Il pittore veneto esprime in questo trittico di notturni la sua grande abilità luministica tipica della sua
pittura. Le nostre vedute orientali, a oggi inedite, costituiscono un prezioso ritrovamento in quanto
ulteriore testimonianza pittorica del viaggio effettuato da Caffi in Egitto nel 1844.
Queste notti, ambientazione privilegiata da Caffi e con soluzioni cromatiche assolutamente innovative
per l’epoca, raffigurano presumibilmente la moschea di Al-Azar al Cairo e due scene di accampamento
nel deserto con fuochi di bengala.
Caffi compì il viaggio in Egitto nel 1844, esperienza che segnò profondamente l’evoluzione del suo stile
e a cui sono state dedicate negli ultimi decenni due importanti mostre: la prima tra 2005 e 2006 a
Belluno (Palazzo Crepadona) e a Roma (Palazzo Braschi): Ippolito Caffi. Luci del Meditterraneo; la seconda
nel 2015 a Trieste (Castello di Miramare): Ippolito Caffi. Dipinti di viaggio tra Italia e Oriente.
Come scrive Annalisa Scarpa, curatrice della suddetta mostra triestina, il 1844 è per Caffi l'anno durante
il quale dipinse "brani immortali che gli sfuggono dalla penna e dal pennello, quasi fossero un'esigenza
dell'anima [...] brani dove si sente il brusio delle voci degli uomini e delle donne che li popolano, vive e
palpitanti".
Ippolito Caffi, Bazar di Scialli ad Alessandria d’Egitto, 1844
Ippolito CAFFI
Belluno, 1809 – Battaglia di Lissa, 1866
Avviato sin da giovane alla pratica del disegno, Ippolito Caffi inizia gli studi artistici a Belluno, sua città
natale, per poi spostarsi a Padova ad approfondire lo studio della pittura. Tra il 1827 ed il 1832 completa
la sua formazione artistica all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove ha per maestro di prospettiva
Tranquillo Orsi (1771-1844) e di figura Teodoro Matteini (1754-1831). Durante il soggiorno nella città
di Venezia subisce il fascino delle vedute settecentesche ed in particolare di Canaletto.
Nel 1832 Caffi si trasferisce a Roma presso il pittore “storico” Pietro Paoletti (1801-1847), suo cugino.
Nel 1835 pubblica la prima edizione delle Lezioni di prospettiva pratica. E’ del 1837 il suo quadro Carnevale
di Roma: la festa dei Moccoletti che diventerà il suo quadro più noto ripreso ben quarantadue volte. Dipinge
nello stesso anno quattro vedute per il Caffè Greco. Dopo una serie di viaggi a Trieste, Venezia e
Padova, dove dipinge quattro quadri per il Caffè Pedrocchi, lo ritroviamo a Roma nel 1843.
Compirà poi dei viaggi per lui molto importanti in Medio Oriente: spinto dalla ricerca di luoghi nuovi
ma anche dal desiderio di conoscere popolazioni e culture poco note e percepite diverse da quelle
europee, Caffi salpa dal porto di Napoli il 5 settembre del 1843 per intraprendere un viaggio che
coinciderà con la stagione artisticamente più fertile e promettente di tutto il suo percorso artistico.
La luce candida e vivida e le geometrie perfette delle vedute di Atene lasciano il posto a immagini più
liquide e avvolte in un'atmosfera dorata come quelle eseguite a Costantinopoli – splendida la Veduta
dalla acque dolci d'Europa (1843) - via via fino ad arrivare alla luce rovente e al lirismo delle memorie
d'Egitto, tra cui Vento di Simun nel deserto e Istmo di Suez (1844).
Caffi si spinge quindi fino a Gerusalemme (La Veduta dal Monte Oliveto) e poi a Efeso, a Laodicea, fino a
Hierapolis, che immortala in un capolavoro, dalla luce onirica e di suadente magia.
Dal 1844 al 1848 dipinge a Roma esponendo anche alla Mostra dei Cultori e Amatori di Belle Arti. Dal
1848 al 1849 rimane a Venezia a combattere contro l’Austria fino alla resa della città; proscritto trova
rifugio a Genova. Ritorna a Roma nel 1855 dove risiederà fino al 1858. Dal 1858 al 1860 è a Venezia
dove tranne brevi interruzioni rimarrà fino al fatidico 1866, anno in cui il pittore decide di imbarcarsi in
qualità di interprete sull’ammiraglia “Re d’Italia” e, assistendo alla battaglia di Lissa. Nei suoi intenti vi
era quello di documentare da vicino i momenti del cruento scontro navale ma perde tragicamente la vita
a seguito dell’affondamento della nave stessa.1
Le sue opere sono oggi conservate nel Museo di Belluno; a Venezia, al Museo dell’Arsenale, a Ca’
Pesaro, al Museo Correr e alla Galleria d’Arte Moderna; nella Pinacoteca di Treviso; nelle Gallerie
d’Arte Moderna di Torino a Roma; nel Museo Rivoltella di Trieste e nel Palazzo Reale di Napoli.
1
Sulla biografia e sull’opera del pittore restano fondamentali i volumi: Vedute Romane di Ippolito Caffi, Roma, Palazzo delle
Esposizioni, giugno - luglio 1959, Roma 1959; G.AVON CAFFI, Ippolito Caffi 1809 - 1866, Venezia 1967; M.PITTALUGA, Il pittore
Ippolito Caffi, Vicenza 1971; G.PEROCCO, Ippolito Caffi 1809 - 1866. Raccolta di 154 dipinti di proprietà del Museo d’arte moderna Cà
Pesaro - Venezia, Venezia 1979; Ippolito Caffi. Luci del Mediterraneo, Belluno, Palazzo Crepadona, 1 ottobre 2005 - 22 gennaio
2006, Roma, Palazzo Braschi, 15 febbraio - 2 maggio 2006, cat. della mostra a cura di A. SCARPA, Milano, 2005. Sul Caffi
orientalista cfr. Ippolito Caffi - Viaggio in Oriente - 1843/1844, Mestre Istituto di Cultura “S.Maria delle Grazie”, 3 luglio - 15
settembre 1988, cat. della mostra a cura di F.SCOTTON, Venezia 1988 e Ippolito Caffi: dipinti di viaggio tra Italia e Oriente, Trieste,
Museo Storico del Castello di Miramare, 8 luglio - 8 dicembre 2015, cat. della mostra a cura di A.SCARPA, Marsilio, 2015.
Onorato CARLANDI
Roma, 1848 – 1939
Il Tevere nei dintorni di Roma
Olio su tela; cm. 54 x 154
Firmato e localizzato in basso a destra: Roma Carlandi
Il nostro dipinto raffigura un'ansa del fiume Tevere. Il contrasto tra la distesa dell’acqua, i
cespugli delle rive e il colore del cielo appaiono perfettamente amalgamati in una sinfonia di colori che
mostra pienamente l’abilità tecnica di questo artista. Questo dipinto è particolarmente prezioso perché è
uno dei pochi esemplari a olio su tela della produzione di Carlandi, noto soprattutto come acquarellista.
Sono spesso ricordati i numerosi acquerelli da lui eseguiti a partire dal 1891, al rientro dal suo viaggio in
Inghilterra: prevalentemente dedicati alla campagna, molti ritraggono le sponde del Tevere. Questa sua
predilezione si evince anche, ad esempio, dal fatto che nel 1906 Carlandi partecipò a una collettiva
allestita a Milano in occasione delle celebrazioni dell’apertura del traforo del Sempione e i suoi 84
acquerelli furono esposti in una sala intitolata “Vita del Tevere dalle sorgenti al mare”, in quanto
interamente dedicata a questo fiume.
Onorato CARLANDI
Roma, 1848 – 1939
Onorato Carlandi era destinato dai genitori all’avvocatura, ma lasciò molto presto gli studi
giuridici per partire volontario con Garibaldi nel 1866. Una volta rientrato a Roma, l’anno seguente,
riuscì a dedicarsi alla pittura iscrivendosi all’Accademia di Belle Arti di Roma e completando la
formazione artistica a Napoli sotto la guida di Domenico Morelli.
Alla fine del 1871 Carlandi tornò a Roma dove espose all’Associazione Artistica Internazionale
nella Casina Valadier al Pincio diversi quadri storico-politici ottenendo un notevole consenso di critica.
Nel 1875 fu uno dei fondatori della Società degli Acquerellisti in Roma e si dedicò anche alla
scenografia per alcuni teatri romani.
Nel 1880 andò in Inghilterra e si trattenne a Londra oltre dieci anni visitando la Scozia, l’Irlanda,
il Galles, dipingendo dal vero.
Ritornato a Roma nel 1891, espose con gli Acquerellisti e fu uno degli animatori della Società
“In Arte Libertas” fondata da Nino Costa, partecipando assiduamente all’attività del movimento e
proseguendo nella pratica del paesaggio dal vero. Scioltasi la Società fu uno dei fondatori del gruppo
artistico dei “XXV della Campagna romana”, nata nel 1904 allo scopo di rinnovare la tradizione
pittorica italiana nella raffigurazione “dal vero” dei dintorni di Roma; all’inizio fu il segretario del
gruppo e in seguito il capo spirituale1.
Ebbe studio a Roma, prima in via Sistina 138 e poi in via Margutta 33. Sue opere sono
conservate a Roma alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, alla Galleria Comunale d'Arte Moderna, alla
Galleria dell'Accademia Nazionale di San Luca ed al Museo di Roma. Nel 2011 è stata allestita a Roma
una mostra di suoi dipinti presso Palazzo Braschi intitolata La poesia della Natura, acquerelli di Onorato
Carlandi dalle collezioni della Galleria Comunale d’Arte Moderna (Roma, Museo di Roma, 17 marzo - 3 luglio
2011), edita da Gangemi lo stesso anno.
1
G.Lomonaco (a c. di), Onorato Carlandi tra ‘800 e ‘900, Romany, 1984.
Alessandro CASATI
Prima metà del XIX secolo
Cavalli sotto un’antica rovina
Olio su tela; cm. 37,2 x 52.
Firmato, localizzato e datato in basso a destra: A.Casati Rome 1839
Il nostro dipinto raffigura con un gusto umoristico un rudere romano che potrebbe identificarsi con
uno del complesso della villa romana dei Sette Bassi sulla via Tuscolana, nella zona odierna del Parco
Regionale dell’Appia Antica.
La veduta è raffigurata senza dubbio alcuno in una calda ora estiva ed un branco di cavalli è ritratto al
riparo dell’ombra del monumento romano. Sullo sfondo si possono identificare le arcate dell’acquedotto
che si collegava all’Acqua Claudia e in lontananza il profilo dei Colli Albani.
Rudere della Villa dei Sette Bassi sulla Via Tuscolana
in una foto odierna, Roma
Alessandro Casati, Figure tra rovine del Tempio
di Venere e Roma, 1841, olio su tela
La notazione in francese presente sul nostro dipinto (Rome) potrebbe essere indicativa dell'appartenenza
corsa di Casati, dal momento che nell'Archivio Storico di Corsica1 è nominato tra i rivoluzionari
mazziniani un pittore omonimo.
1
"Archivio Storico di Corsica", 1925, p. 96.
Franz Ludwig CATEL
Berlino, 1778 – Roma, 1856
Veduta di Piazza Monte Cavallo al chiaro di luna
con il Palazzo del Quirinale
Olio su tela; cm. 100 x 137
PROVENIENZA: Thomas Lawrence, Londra; collezione privata, Svizzera; collezione privata, Roma
ESPOSIZIONI: Il Quirinale. L’immagine del Palazzo dal Cinquecento all’Ottocento, Roma, Palazzo della Fontana di Trevi 2002;
cat. n. 51, (come J. E. Hummel); Franz Ludwig Catel. Italienbilder der Romantik, Amburgo, Kunsthalle 2015-2016, cat. n. 70
Comunicazione scritta del Dr. Andreas Stolzenburg
Questo dipinto, fino a oggi considerato perduto, costituisce un’importante aggiunta al catalogo delle
opere del pittore prussiano Franz Ludwig Catel. È stato recentemente identificato dal dottor Andreas
Stolzenburg1 in base allo spoglio de “Il Giornale Arcadico”2 e a una lettera a Thomas Lawrence della
duchessa di Devonshire quale sua opera autografa.
Il dipinto fu esposto nel 2002 alla mostra romana dedicata all’immagine del Palazzo del Quirinale nei
secoli, ancora con la vecchia attribuzione a Johann Erdmann Hummel (1769-1852). In occasione della
retrospettiva organizzata nel 2015 alla Kunsthalle di Amburgo, a seguito delle recenti ricerche di Andrea
Stolzenburg è stato invece pienamente attribuito a Catel e pubblicato nel catalogo della mostra.
La commissione di Thomas Lawrence (1769-1830) è infatti evidenziata da una lettera3 di Elisabeth
Hervey, duchessa di Devonshire (1759-1824), che nel 1820 scriveva dall’Italia al pittore inglese:
Catel is delighted at being employ'd by you to do the Quirinal by moonlight it will do better than
that of St. Peter […] I doubt its being a thing possible to represent an Italian moonlight - do you
remember our excursion to Tusculum, and the little army that attended us? (7 e 14 ottobre 1820)
Il celebre ritrattista inglese Thomas Lawrence, dunque, nel 1820 ordinò questo notturno romano a
Catel, pittore apprezzato proprio per la sua capacità unica di rendere l’atmosfera magica della luce
notturna del plenilunio nelle sue vedute.
Questo dipinto è citato anche in una descrizione elogiativa comparsa sul "Giornale Arcadico" nel 1822 e
firmata dal fondatore della rivista - l’archeologo e storico dell’arte Giuseppe Tambroni:
1
Cfr. AA.VV., Franz Ludwig Catel. Italienbilder der Romantik, Amburgo, Kunsthalle, 2015-2016.
Il “Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti” è stato un periodico culturale italiano fondato a Roma nel 1819 e
pubblicato con il suo nome originale fino al 1868.
3
Londra, Royal Academy of Arts, Archive, LAW/3/219, cit. in Franz Ludwig Catel. Italienbilder der Romantik, Amburgo,
Kunsthalle, 2015-2016, p. 254.
2
Cattel prussiano
Raffigura il secondo quadro un'altra scena notturna ma tutta di architettura. E' questa la
veduta della piazza esterna di monte Cavallo, tolta dall'angolo orientale del palazzo della
consulta. La qual magnifica scena piacque cotanto al celebre pittore inglese Lawrence, che ne
volle aver seco la memoria e perciò ne affidò l'esecuzione al valoroso pennello del Catel. […]
non si poteva meglio conservare il carattere del luogo, nè rendere un effetto più bello e più
maraviglioso di quello che ha fatto questo artista. L'armonia totale ricavata dall'oscurità stessa
dell'aria, che produce una misteriosa quiete generale onde gli occhi si riposano sopra tutti gli
oggetti: un raggio di luna che appena spunta dalla parte di dietro dell'Esquilie ed illumina
parcamente il fabbricato delle scuderie pontificie, e l'imponente massa dell'obelisco e de'
colossi che tengono il mezzo del composto hanno somministrato al Catel i modi di rendere
affatto nuovo l'effetto della sua pittura, della quale ha potuto con tanta diligenza verità e
scienza trattare i più minuti particolari che nulla rimane da desiderarsi alla più completa
illusione.
[Giuseppe Tambroni, “Giornale Arcadico”, 1822, pp. 142-143]
Il dipinto raffigura una notturna piazza del Quirinale a Roma, anticamente detta “Piazza Monte
Cavallo”, ripresa dall'estremità orientale del Palazzo della Consulta: un punto di vista già sperimentato
da Piranesi intorno al 1750 e poi da Luigi Rossini dopo il 1818. In primo piano si riconoscono il celebre
gruppo dei Dioscuri, con la vasca di granito proveniente da Campo Vaccino e lì sistemata nel 1818 per
volontà di Pio VII dall’architetto Raffaele Stern (1774-1820), mentre l’obelisco fu innalzato nel 1786.
Particolarità di quest’opera è data dal fatto che la piazza viene ritratta di notte, mentre nelle vedute
precedenti essa era sempre raffigurata di giorno, affollata e spesso in occasione del cerimoniale del
cambio della guardia. Catel per questo luogo ha scelto di evocare il silenzio notturno e di valorizzare la
presenza dello zampillio della fontana, lì allestita due anni prima. Egli studiò gli effetti luministici delle
fontane, degli obelischi e degli elementi architettonici in controluce al plenilunio anche in altre due
vedute romane, dal colonnato di san Pietro, dove compare la stessa la figura della guardia svizzera
assopita:
F. L. Catel, Il colonnato di San Pietro al chiaro di luna, 1823.
Olio su tela, 148,5 x 199,5 cm., Celle, Museo Bomann
F. L. Catel, Veduta notturna di San Pietro dal colonnato,
1824 circa. Olio su tela, 100 x 74 cm., coll. privata
Nella nostra veduta, sulla sinistra si riconoscono le Scuderie, attraversate da una lama di luce diagonale
che mette in ombra il portico della ronda e la scalinata. La luna illumina parte dell’avancorpo e due dei
portoni delle rimesse per le carrozze; biancheggia il campanile della torre di Ottaviano Mascarino sopra
il tetto del Palazzo, che invece è immerso nel buio nella notte.
Catel in questo dipinto, inoltre, mette in atto ulteriori virtuosismi luministici raffigurando il portone
principale del Palazzo del Quirinale aperto e illuminato dall’interno.
Franz Ludwig CATEL
Berlino, 1778 – Roma, 1856
Nato a Berlino nel 1778, il pittore e disegnatore Franz Ludwig Catel studiò all’Accademia di Berlino e,
verso la fine del secolo, a Parigi. Iniziò la sua carriera come illustratore di almanacchi e libri come
l’Hermann und Dorothea (1799) di Goethe e il Don Carlos (1801) di Schiller.
Si trasferì a Roma nel 1811, dove morirà nel 1856. Nel 1814 sposò Margherita Prunetti, figlia del
famoso poeta romano Michelangelo Prunetti; lei lo introdusse nella società romana. La coppia riceveva
numerosi artisti e scrittori internazionali nella sua casa di piazza di Spagna, tra i quali il pittore tedesco
Joseph Anton Koch, i Nazareni e il pittore francese François-Marius Granet. La clientela di Catel fu per
l’appunto internazionale: la duchessa di Devonshire1, lady Marie Anne Acton, il generale Peter Davidoff
per conto dello zar di Russia, il conte Alexander Michailovitch Galitzin, l’archeologo americano John
Izard Middleton e Pierre-Louis-Jean-Casimir duca di Blacas.
Suo importante mecenate fu anche Ludwig, il principe ereditario di Baviera, che Catel raffigurò in un
celebre dipinto, circondato da un gruppo di pittori tedeschi a Roma all’osteria di Ripa Grande nel 1824.
F. L. Catel, Ludwig, il principe ereditario di Baviera nella Taverna
Spagnola a Roma, 1824, Monaco, Neue Pinakothek
1
F. L. Catel, Autoritratto, 1850 circa,
Roma, Fondazione Catel
Catel dipinse dei piccoli olii di vedute romane destinati ad essere usati quali modelli per la famosa serie di incisioni
illustranti l’Eneide di Annibal Caro nella traduzione inglese della duchessa di Devonshire, cfr. cat. Der landschaftsmaler Franz
Ludwig Catel, p. 33.
Adelaide CLAXTON
Gran Bretagna, 1835 – 1905
Corteggiamento
Matita, acquerello e tempera su carta; mm. 320 x 440,5
Firmato e datato in basso a sinistra: Adelaide Claxton. 1868.
Iscritto sul passe-partout: Courting
La scena raffigura una coppia di giovani seduti su un divanetto in legno laccato nero e oro di chiara
fattura inglese di epoca Regency (1820 circa). La giovanetta, vestita con un candido abito in stile impero,
legato sotto i seni da una fascia azzurra e con una collana in corallo, è raffigurata intenta a contemplare
un fiore. Il giovane invece, vestito con abiti eleganti e una marsina azzurra, è seduto sul lato opposto del
divano e osserva con aria sognante la promessa sposa.
La composizione, ambientata in un interno dell’alta società inglese databile al primo quarto del
XIX secolo, è dipinta, come d’abitudine della pittrice Adelaide Claxton, con estrema maestria e
attenzione per i dettagli ed è pervasa da un’aria fortemente ironica.
Adelaide e la sorella Florence, cresciute in una famiglia di umili condizioni, intrapresero la carriera
artistica seguendo le orme del padre Marshall Claxton, anch’egli pittore.
Le due sorelle lavorarono spesso insieme, ma il matrimonio di Florence e il conseguente ritiro
dal mondo della pittura nello stesso anno in cui l’opera in esame fu realizzata, spinsero Adelaide alla
creazione di lavori più ambiziosi.
Corteggiamento è una delle prime opere realizzate interamente da Adelaide, la quale a sua volta
convolò a nozze nel 1874.
La pittrice espose alla Royal Academy e alla Suffolk Street Gallery di Londra. La sua arguta ed
intelligente lettura della società, presente nella maggior parte dei suoi lavori, seppe anticipare con
lungimiranza e sagacia il moderno femminismo.
Paul Franz FLICKEL
Berlino, 1852 – Nervi (Genova) 1903
La “Fontana Oscura” a Villa Borghese
Olio su tavola; mm. 132 x 175
Firmato in basso a destra: P.Flickel
Reca targhetta sul verso: Villa Borghese in Rom. Paul Flickel. Berlin. N.W. Georgenstr. 37
Il nostro dipinto raffigura una delle due cosiddette "Fontane Oscure" seicentesche tuttora esistenti a
Villa Borghese.
Nel 1881 Flickel dipinse un olio su tela (cm 67 x 100) con il medesimo soggetto del nostro olio (già
vendita1 Dorotheum novembre 2004, lotto n. 44). Il nostro dipinto, sia per le misure che per il tipo di
supporto, sembrerebbe essere il bozzetto preparatorio per la tela di dimensioni maggiori suddetta e che
il celebre editore tedesco Teubner non esitò a considerare il capolavoro di Flickel 2.
P. F. Flickel, Giardino di Villa Borghese con la Fontana Oscura, 1881, olio su tela,
cm 67x100 (già Dorotheum, Vienna).
Paul Franz Flickel nacque a Berlino nel 1852. Nel 1871 si iscrisse alla scuola d’arte di Weimar dove dal
1872 al 1873 fu allievo di Theodor Hagen; dal 1874 al 1875 perfezionò la sua formazione all’Accademia
d’Arte di Düsseldorf. Nel 1876 partì per l’Italia, visitando gran parte della penisola. Dal 1892 al 1903 fu
membro dell’Accademia Prussiana di Belle Arti di Berlino, dove insegnò a partire dal 1894 e nella quale
partecipò alle mostre annuali. Le opere di questo artista si trovano nei musei di Berlino e di Erfuhrt.
1
Per la tela, cfr. “Strenna dei romanisti”, Natale di Roma, MMDCCLXII (2009) e R. MAMMUCARI, Roma città dell’anima:
viaggiatori, accademie, letterati, artisti, Edimond, 2008, pp. 222, 363.
2
B. G. TEUBNER, Leipziger zeitung, 1886, p. 535.
Johann Jakob FREY
Basilea, 1813 – Frascati, 1865
Arcobaleno doppio sulle rovine romane
Olio su tela; cm. 21 x 30
Sul verso del telaio, antico cartellino manoscritto con il nome dell’artista ed il titolo.
Il nostro dipinto è un inedito bozzetto preparatorio per una
composizione ripresa da Frey delle rovine del Palatino con le
Terme di Caracalla e la cupola di San Pietro sullo sfondo.
Straordinaria è la ricerca luministica nel riprodurre
fedelmente l’effetto cromatico dell’arcobaleno che l’artista ha
sicuramente osservato di persona, collocandosi con il cavalletto
en plein air da una postazione a lui cara, come indicano anche
altre sue rappresentazioni.
Quest’opera rientra nel gruppo di studi romani di cieli e
nuvole, un soggetto particolarmente curato da Frey.
J. J. Frey, Le rovine del Palatino,
già Galleria Paolo Antonacci.
Johann Jakob FREY
Basilea, 1813 – Frascati, 1865
Johann Jakob Frey crebbe in un ambiente votato all’arte, ricevendo i primi insegnamenti di pittura dal
padre Samuel (1785-1836) a sua volta pittore ed incisore.1
Iniziò a viaggiare fin da giovane e Parigi fu la sua prima meta: il desiderio di apprendere lo portò
spesso a rimanere intere giornate nelle gallerie del Louvre dove si esercitava a copiare dipinti di
paesaggio fiamminghi del XVI e XVII secolo.2 Ritornò a Basilea nel 1834, vi sostò brevemente per poi
recarsi a Monaco di Baviera dove ebbe modo di conoscere l’arte di Carl Rottmann (1797-1850) il cui
linguaggio artistico influenzò l’approccio di Frey al paesaggismo. 3
Giunse a Roma nel 1836, data apposta su alcuni suoi disegni italiani e che quindi anticipa di due
anni la data presunta del suo arrivo in Italia, il 1838, rintracciabile in numerosi studi critici. Ebbe il suo
primo studio nell’allora sede dell’Accademia Austriaca a Palazzo Venezia; viaggiò per i dintorni di Roma
spingendosi fino a Napoli dove conobbe i pittori della ‘Scuola di Posillipo’ dalla cui arte rimase
influenzato, per poi recarsi Sicilia.
Il suo atelier fu frequentato da numerosi intellettuali come l’archeologo Richard Lepsius (18101884), che strinse contatti serrati con il pittore svizzero, individuando in lui la persona adatta a seguirlo
nella spedizione sostenuta dal governo prussiano che sarebbe partita di lì a poco alla volta dell’Egitto e
dell’Etiopia. Iniziò così nel 1842 la grande impresa che segnò profondamente la vita di Frey, ma che
terminò dopo poco meno di un anno, nell’agosto del 1843, poiché le sue condizioni di salute non gli
consentivano di portare a termine la spedizione.
Dopo una sosta ad Atene durata circa un mese, l’artista svizzero tornò a Roma dove prese
alloggio in via Capo le Case 92. Nel suo studio iniziò da subito a lavorare sulle nuove tematiche
orientaleggianti che aveva studiato durante l’esperienza in Africa. Le sue creazioni incontrarono
l’immediato favore del pubblico e furono foriere di numerose commissioni che lo portarono, complice
anche l’instabile situazione politica a Roma nel 1848, a viaggiare attraverso l’Europa, in Francia,
Inghilterra, Svizzera e Spagna dove dipinse vedute della Sierra Nevada, di Granada e Siviglia.
Frey divenne un punto di riferimento per numerosi artisti, specialmente di area germanica, che
arrivavano a Roma e dal 1858 stabilì il nuovo studio nel prestigioso Hotel de Russie, all’imbocco di via
del Babuino verso piazza del Popolo; in quegli anni continuò le sue sortite nella Campagna Romana
insieme ad un accompagnatore d’eccezione, Ferdinand Gregorovius (1821-1891), storico e letterato
tedesco che nei suoi scritti descrisse le passeggiate con l’amico pittore attraverso la Campagna.4
Nel 1865, all’apice della carriera, Frey morì nella sua “vigna” di Frascati. La tomba, decorata con
motivi ispirati alla tradizione egizia, è ubicata presso il cimitero acattolico di Testaccio a Roma.
1
Cfr. C. HAENLEIN, ‘Introduction’, in A Collection of Drawings and Paintings by Joann Jakob Frey 1813-1865, catalogo della mostra, Londra,
Malzahn Gallery Limited, Londra 1974, p. 1.
2
Cfr. C. VIRGILIO, ‘Nota biografica’, in Le Vedute Italiane di J.J. Frey 1813 - 1861, catalogo della mostra alla Galleria W. Apolloni in
collaborazione con la Galleria dell’800, Roma, 23 novembre - 6 dicembre 1978, Roma 1978, p. 1.
3
Si ringrazia per queste osservazioni l’avvocato Nico Zachmann.
4
Cfr. F. GREGOROVIUS, Diari Romani, 1852 – 1874, a cura di A. M. ARPINO, Avanzini Torraca editori, Roma 1982, p. 56.
Louis GAUFFIER (attribuito)
Poitiers (Francia), 1762 – Livorno, 1801
Studio della torre di Paolo III Farnese e dell’Aracoeli sul Campidoglio a Roma
Inchiostro e acquerello bruno su carta; mm. 130 x 293
Il foglio rappresenta una veduta idealizzata della torre di Paolo III Farnese alle pendici del Campidoglio
con la retrostante chiesa di Santa Maria in Aracoeli. L’opera non vuole essere una rappresentazione dal
vero dei due monumenti bensì, per quanto riguarda la sagoma della basilica, decorata nella fascia
superiore da un motivo a ghirlande, è interpretabile come una rappresentazione idealizzata delle
effettive costruzioni – il che fa pensare a uno studio di un architetto.
La torre di Paolo III Farnese (1468-1549) venne fatta costruire sul Campidoglio negli anni 15341542, ad opera dell’architetto Jacopo Meleghino (c. 1480-1549), quale torre-osservatorio. A quei tempi
era il più alto edificio in Roma, dopo il palazzo Senatorio. Fra il 1885 e il 1888, per erigere il Vittoriano,
fu necessario procedere a numerosi espropri e demolizioni nella zona adiacente al Campidoglio: furono
così abbattuti, oltre alla Torre, anche l’Arco di S. Marco e l’attiguo Palazzetto (il cavalcavia di
collegamento con Palazzo Venezia), i tre chiostri del convento dell’Aracoeli, nonché tutta l’edilizia
minore presente sulle pendici del colle.
Gauffier ha eseguito anche un disegno - oggi conservato al
Musée Fabre di Montpellier - che ritrae una veduta di Roma
in cui sulla destra si staglia la torre di papa Paolo III Farnese
ritratta da un altro punto di osservazione1.
L.Gauffier, Paesaggio di tetti, Montpellier, Musée Fabre.
Louis Gauffier fu uno dei maggiori artisti neoclassici francesi; ritrattista e paesaggista, operò
prevalentemente in Italia. Vero e proprio enfant prodige, a Parigi studiò belle arti presso l’Accademia, sotto
l’ala del pittore Hughes Taraval (1729-1785). Nel 1784, a soli 22 anni, vinse il prestigioso Prix de Rome:
una sostanziosa borsa di studio che gli permise di proseguire la propria formazione artistica in Italia,
presso l’Accademia di Francia a Villa Medici.
Nel 1789 fece un breve ritorno a Parigi, per poi trasferirsi dapprima a Roma, poi a Firenze, città
nella quale trascorse il resto della vita con la moglie Pauline Chatillon (anche lei apprezzata pittrice).
Nella parte finale della sua carriera artistica, Gauffier venne stimato soprattutto come pittore ritrattista e
paesaggista. Si spense a Livorno nel 1801.
1
A. OTTANI CAVINA, Terre senz’ombra. L’Italia dipinta, Milano, Adelphi, 2015, pp. 206-211.
Johann Georg GMELIN
Roma, 1810 – 1854
Veduta di Marina Grande a Capri
Olio su tela; cm. 83 x 118,7
Firmato in basso a sinistra: G. Gmelin
La nostra veduta caprese testimonia lo straordinario talento di Gmelin nel combinare il dato
reale della veduta con l’elemento atmosferico. In questo stupefacente dipinto il nostro artista ritrae il
villaggio di Marina Grande come appariva nel primo Ottocento: un piccolo villaggio di pescatori
irradiato dalla calda luce del Mediterraneo. Si notano poche barche sulla spiaggia e un gruppo di
famiglia con un neonato nella culla. Il sole tramonta dietro il Fortino nell’estremità a Sud della baia. Le
scogliere di Monte Solaro sono illuminate dal fascio di luce dorata che conferisce alla composizione una
suggestiva atmosfera onirica.
Tale particolare effetto cromatico si ritrova anche in un
altro lavoro di Gmelin che ritrae la Vista del Lago Fusaro con
Ischia sullo sfondo, datato 1839. Quest’opera è vicina al nostro
dipinto per alcuni particolari compositivi come, ad esempio, la
tenda raffigurata in primo piano sulla destra che ricorda nella
forma, nel colore e nella posizione la rete da pesca appoggiata a
un bastone sulle rocce del nostro olio.
Gmelin ha dipinto una Marina d’Ischia nel 1837, la
Spiaggia di Vico Equense nel 1838, la Costa di Castellammare nel
1839, la Veduta della baia di Napoli nel 1841, la Veduta del golfo di J. G. Gmelin, Veduta del lago Fusaro con Ischia
Amalfi e di Sorrento nel 1842, il Golfo di Sorrento nel 1844. Il sullo sfondo, 1839, olio su tela, già Lempertz,
nostro dipinto potrebbe dunque rientrare nelle opere campane Colonia.
da lui realizzate tra la fine degli Anni ’30 e i primi Anni ’40
dell’Ottocento.
Gmelin ha inoltre lavorato a stretto contatto con gli esponenti della “Scuola di Posillipo”,
collaborazione artistica che ha comportato una reciproca influenza.
Johann Georg GMELIN
Roma, 1810 – 1854
Johann Georg era figlio di Wilhelm Friedrich Gmelin: incisore tedesco e membro dell’Accademia di San
Luca. Nato a Roma, rientrò giovanissimo in Germania, dove fu allievo del pittore paesaggista Carl
Ludwig Frommel (1789-1863) a Karlsruhe, per poi ritrasferirsi definitivamente in Italia attorno al 183738. Il viaggio di Gmelin a Napoli nel 1837 fu determinante per gli sviluppi della sua arte, fortemente
influenzata dallo stile pittorico della “Scuola di Posillipo”. Questo gruppo di artisti, guidato da Giacinto
Gigante (1806-1876) e Anton Sminck Pitloo (1790-1837), nei primi decenni dell’Ottocento si era
schierato contro l’artificiosità della pittura accademica dell’epoca. I “Posillipisti” realizzavano
inquadrature dal vero del golfo di Napoli e delle isole limitrofe - tipici di questo movimento sono gli
scorci e le scene di genere ambientati a Capri, con paesaggi veristi di quella natura ancora incorrotta
arricchiti da elementi di costume.
La vivacità cromatica dei suoi paesaggi italiani fu molto apprezzata dai viaggiatori stranieri in
visita a Roma. Ormai malato, alla fine della sua vita Gmelin si è ritirato in un monastero a Monte Cavo
di Roma, sui Colli Albani 1.
1
Cfr. MASSIMO RICCIARDI, Paesaggisti stranieri in Campania nell’Ottocento, Salerno, De Luca, 2002, pp.116, 299;
MORIZ GMELIN, Stammbaum der Familie Gmelin, Karlsruhe, Braun,‎ 1877, p. 41; RENATO MAMMUCARI, Roma città
dell'anima: viaggiatori, accademie, letterati, artisti, Edimond, 2008, p.371.
Jan GOERÉE (O GÖREE)
Middelbourg, 1670 – Amsterdam, 1731
Veduta di Piazza di Spagna
Il nostro foglio è una veduta di Piazza di Spagna ritratta dal Palazzo di Propaganda Fidae
eseguito da Jan Goerée del quale poi fu eseguita un’incisione 1 pubblicata nel volume del Thesaurus
Antiquitatum Romanarum edito a Leida ed Utrecht nel 1697, compendio enciclopedico del filologo G. J.
Graevius (1632-1703). La tavola 12, per l'appunto, è un'incisione derivante dal nostro disegno intitolata
Prospectus Palatii Oratoris Hispanorum et Hispani vulgo Piazza di Spagna.
Piazza di Spagna nell’incisione del 1697, dal disegno di Goerée.
1
Sul frontespizio si legge: "I. Goeree delin.[avit], I. Baptist sculp[sit]".
Jakob Philipp HACKERT
Prenzlau, 1737 – San Pietro di Careggi (Firenze), 1807
Veduta del castello di Palo
Inchiostro bruno su carta; mm. 520 x 680.
Firmato, datato e iscritto in alto a sinistra: Palo à vingt deux miles de Rome 1781 Ph.Hackert fPROVENIENZA: Collezione del Principe Henri d’Orléans ; Vendita De Nicolay, Delorme, Fraysse, Paris: Souvenirs historiques
provenant de la Succession de Monseigneur Le Prince Henri d’Orléans comte de Paris, 30 ottobre 2000, lotto 18.
Questo disegno, come indica lo stesso Hackert, fu eseguito nel 1781 nei pressi di Palo Laziale, sulla
costa a nord di Roma. In questa veduta, campestre e marina al contempo, si riconoscono sulla sinistra il
castello di origine medievale appartenuto agli Orsini e poi agli Odescalchi e subito di fronte la Posta
Vecchia, eretta sui resti di una villa romana. Unica presenza umana nel disegno, oltre alla barca di
pescatori in lontananza sull’estrema sinistra, è un cacciatore che appare in primo piano.
Hackert aveva già ritratto la campagna attorno a Palo, delineata sullo sfondo tra gli alberi, in tre
precedenti disegni: uno del 1778, oggi in una collezione privata1, e altri due datati 1780, conservati a
Vienna2 presso la Akademie der Bildenden Kunste (Kupferstich-kabinett). Una di queste ultime due
raffigurazioni presenta in lontananza i dettagli della barca e gli edifici di Palo, che ritroviamo anche nel
nostro disegno del 1781.
J.P.Hackert, À Palo 1780 [particolare]. Matita e inchiostro bruno su carta, 480 x 590 mm.
Vienna, Akademie der Bildenden Künste, Kupferstich-kabinett (inv. N. 11920).
Nel marzo 1781 Hackert consegnò al principe Marcantonio IV Borghese (1730-1800) una serie di 9 tele
destinate a decorare il ‘salone del Lanfranco’ del casino nobile, presso Villa Pinciana. La serie
comprendeva 4 marine per le porte del salone3 e una di queste, oggi dispersa, raffigurava proprio Palo. Il
nostro disegno, dunque, con ogni probabilità rappresenta uno degli studi preparatori di questa tela.
1
Vendita Christie’s Londra, 15 giugno 1976, lotto 235. Il disegno riporta l’iscrizione: Filippo Hackert à Palo 1778.
C.NORDHOFF e H.REIMER, Jakob Philipp Hackert, 1737-1807: Verzeichnis seiner Werke, Berlino, 1994, t.1, p.289 tavole 369, 370 e
t.2, tavole 746, 764, 765; B.KUHN-FORTE, Philipp Hackert (1737-1807) als Zeichner der italienischen Landschaft, zu einigen Zeichnungen
im Kupferstichkabinett der Wiener Akademie der Bildenden Künste,«Römische historische Mitteilungen», 25 (1983), p.369.
3
P.A.DE ROSA, P.E.TRASTULLI (a cura di), La campagna romana da Hackert a Balla, Roma, 2001, p.50. “Tra le due porte scorgesi
un paese che occupa il mezzo della parete: la veduta della spiaggia di mare presso a Palo”, A.NIBBY, Roma nell'anno
MDCCCXXXVIII, Roma, 1841, p.927. Da fine XIX secolo fu rimossa da Villa Borghese e non se ne hanno più notizie.
Hackert, inoltre, eseguì delle repliche di queste 4 sovrapporte per il principe Yussupov ma andarono in parte distrutte in un
incendio nel 1820, cfr. C.DE SETA (a cura di), Hackert, catalogo a cura di Claudia Nordhoff, Napoli, Electa, 2005, p.147.
2
Jakob Philipp HACKERT
Prenzlau, 1737 – San Pietro di Careggi (Firenze), 1807
Jacob Philipp Hackert iniziò a dipingere nella sua città natale sotto la guida del padre, pittore di ritratti, e
proseguì poi dal 1755 a Berlino sotto la guida del francese Blaise Nicolas Le Seur (1716-1783)
all’Accademia di Belle Arti.
Ebbe un precoce interesse per i dipinti di paesaggio e cominciò copiando i lavori di Claude Lorrain
(1600-1682) e degli artisti tedeschi del XVII secolo. Viaggiò nella Germania del nord e in Svezia. Dal
1765 al 1768 visse a Parigi dove venne a contatto con numerosi e noti artisti del tempo. Apprese la
tecnica delle gouaches e dipinse numerose marine; ma la produzione parigina si distingue soprattutto per il
Paesaggio con statua di Pan. Nella capitale francese Hackert ebbe molto successo e l’episodio più rilevante
del suo soggiorno fu l’incontro con Vernet (1714-1789) e la frequentazione del suo atelier. Invitò quindi
suo fratello Johann Gottlieb Hackert (1744-1773) a raggiungerlo.
Nel 1768 i due fratelli partirono per Roma che rimase la loro residenza principale fino al 1786. Nel 1770
visitarono Napoli. Nel 1771 Hackert ricevette un’importante commissione da Caterina II di Russia di
dipingere delle tele raffiguranti la vittoria della Russia sulla Turchia e questo ordine accrebbe la sua
reputazione. Nel 1772 lo raggiunsero a Roma altri due fratelli mentre Johann Gottlieb partì per Londra
per portare i dipinti commissionati dai clienti inglesi; lì si ammalò e morì.
Egli chiamò allora un altro fratello, Georg Hackert (1755-1805) con l’incarico di incidere i suoi dipinti. I
lavori di Hackert trovarono molti importanti acquirenti ed egli rifiutò l’offerta di diventare pittore di
corte in Russia, ma il fratello William vi si stabilì nel 1774 come maestro di disegno. Nel 1782 Jakob
Philipp tornò a Napoli e fu presentato al re Ferdinando IV che gli commissionò parecchi lavori. Quattro
anni più tardi divenne il suo pittore di corte. Nel 1787 durante il suo ultimo soggiorno a Napoli, si
incontrò varie volte con Johann Wolfang von Goethe (1749-1832). Goethe ammirava i suoi lavori, prese
lezioni di pittura da lui e lo sollecitò a scrivere la sua autobiografia, che, dopo la sua morte, rivide e
pubblicò.
Nel 1798 le agitazioni politiche costrinsero la famiglia reale a rifugiarsi a Palermo e l’arrivo delle truppe
francesi a Napoli obbligarono Hackert a lasciare la città e la sua confortevole esistenza a corte. Dopo un
anno a Pisa, nel 1800, Hackert e suo fratello si stabilirono a Firenze. Tre anni dopo acquistò una
proprietà a San Pietro di Careggi dove lavorò e studiò accuratamente rocce, alberi e piante che lui
considerava la base dei suoi paesaggi.
Axel Hermann HAIG
Svezia, 1835 – Surrey, 1921
Veduta di Piazza San Marco a Venezia
Matita e acquerello su carta; 370 x 280 mm.
Firmato con il monogramma, datato e localizzato in basso a sinistra: Piazza San Marco Venice 18 HA 97
Il nostro disegno è uno scorcio prospettico di Piazza San
Marco, con la basilica e l'omonimo campanile sullo sfondo,
visti dal portico centrale tra le Procuratie, nella cosiddetta
Ala Napoleonica che era stata edificata da Eugenio di
Beauharnais tra 1807 e 1814.
Nel nostro disegno possiamo ravvisare la precisione di
Haig nella resa dei particolari architettonici e atmosferici:
caratteristica che lo aveva reso celebre in Inghilterra come
disegnatore di chiese e come illustre interprete del Gothic
Revival.
Haig ritrasse in diverse occasioni questa città lagunare: si
conosce ad esempio un altro suo scorcio di questo stesso
Campanile veneziano, ma ritratto dalla parte del mare, in
un'incisione pubblicata nel 1914.
A.H.Haig, Venezia, incisione del 1914.
Axel Hermann Haig (Hägg) nacque in Svezia, nella Gotland Island, sul Mar Baltico da una famiglia di
mercanti. Affascinato dal mondo del mare, inizialmente studiò architettura navale, salvo poi occuparsi di
disegno e di vedute architettoniche una volta trasferitosi a Glasgow, nel 1856, e infine a Londra. Fu uno
dei più celebri illustratori attivi nell’Inghilterra di fine Ottocento e, grazie alle committenze ricevute da
William Burges, un noto architetto del Gothic Revival, Haig divenne uno dei più celebri disegnatori di
architettura della Gran Bretagna.
Nel 1875 si recò in Italia, visitando anche la Sicilia. Fece parte del gruppo di artisti che esponevano
regolarmente al prestigioso concorso della Royal Academy e divenne membro della Royal Society of
Etchers and Engravers di Londra, che aveva contribuito a fondare nel 1880. Si conoscono circa 400
suoi disegni a soggetto architettonico.
Il Victoria and Albert Museum ed il British Museum posseggono numerosi esemplari autografi del
nostro artista1.
1
E.A.ARMSTRONG, Axel Herman Haig and His Works, London, The Fine Art Society, 1905; J.MORDAUNT CROOK, C.LENNOXBOYD, Axel Haig and the Victorian Vision of the Middle Ages, 1984.
Maximilian Albert HAUSCHILD
Dresda, 1810 – Napoli, 1895
Veduta di San Pietro dalla vasca di Villa Medici
Olio su tela; cm. 30,5 x 38,3
PROVENIENZA: collezione degli eredi dell’artista.
Questo scorcio di Roma e della cupola di San Pietro corrisponde alla veduta che si ammira dalla piazza
antistante Villa Medici. In primo piano si riconosce la fontana realizzata nel 1587 dallo stesso architetto
che intervenne nell’ampliamento della villa, Annibale Lippi. Essa è denominata ‘Fontana della Palla di
Cannone’ in quanto la vasca, da cui sgorga l'acqua dell'acquedotto Felice, contiene la palla di cannone
che secondo una leggenda sarebbe stata esplosa da Castel Sant'Angelo su ordine di Cristina di Svezia.
La nostra veduta è un punto di vista privilegiato dai più grandi artisti romantici attivi a Roma
nell’Ottocento1, in particolare da Camille Corot, che la ritrasse più volte e da lui prese il nome di
“fontana del Corot”.
La veduta di C. Corot della stessa fontana.
Nel 1826 Hauschild si iscrisse all’Accademia di Dresda, nella quale poi insegnò in qualità di assistente,
dal 1838 al 1852 e si specializzò in pittura di architettura, insieme a Johann Theodor Goldstein. Il suo
primo viaggio a Roma risale al 1833, quando si recò in Italia per studiare l'architettura ecclesiale
paleocristiana, gotica e romanica. Tornò a Roma ancora, nel 1841, nel 1846 e dal 1852 intensificò
ulteriormente i suoi spostamenti tra Dresda e l’Italia. I suoi dipinti sono prevalentemente a olio e ad
acquerello, i soggetti sempre molto accurati nella resa dei dettagli, come le sue note vedute di interni di
chiese e monasteri italiani e tedeschi. Nel 1850 Hauschild ha pubblicato un libro dedicato alle sue
passeggiate romane e siciliane intitolato: Wanderung durch Plätze, Kirchen, Kreuzgänge… Italiens und Siciliens. I
suoi dipinti sono esposti nei musei di Bamberg, Dresda, Erfurt, Karlsruhe, Napoli, Oslo.
Tra le sue opere a olio a soggetto romano sono noti un interno della chiesa dell'Aracoeli (Accademia di
Dresda), una veduta di San Paolo fuori le mura (all'Accademia di Berlino), ed è nominata infine una
imprecisata sua veduta di Roma a tempera, conservata presso l'Accademia di Dresda (cat. n.35).
1
La vasca del Pincio da Corot a Maurice Denis (Roma, Museo Napoleonico 12 dicembre 1987-31 gennaio 1988), Arnoldo
Mondadori Editore – De Luca, 1987.
Monogrammista “HC”
Prima metà del XIX secolo
Veduta della piazzetta di San Marco
con la Chiesa della Salute a Venezia
Inchiostro e acquerello bruno su carta; mm. 220 x 205
Monogrammato e datato in basso a sinistra: HC 1845
Timbro della Collezione Altena nel verso
PROVENIENZA: collezione Iohan Quirijn van Regteren Altena, Amsterdam
In primo piano nel nostro acquerello, sulla colonna di sinistra al centro della composizione, si riconosce
l’antica statua bronzea del leone alato di San Marco Evangelista e su quella di destra la statua marmorea
di San Todaro di Amasea ritratto mentre sta per uccidere il drago con la lancia: sono i due santi patroni
della città. Queste due enormi colonne, in marmo e granito, provengono dall’Oriente come bottino di
guerra e furono erette tra il 1172 e il 1178 all’ingresso del bacino di San Marco dall’architetto e
ingegnere Nicolò Barattiero.
Sullo sfondo, a destra, si riconosce la facciata del “Palazzo della Libreria”, oggi sede della
Biblioteca Nazionale Marciana. A sinistra della colonna di San Marco, sullo sfondo, nel nostro
acquerello si riconosce la grande cupola emisferica con volute a spirale della chiesa barocca di Santa
Maria della Salute (1630-1687), fondata dal Senato veneziano nell’area della Punta della Dogana.
Come indica il monogramma sul verso del foglio, il nostro acquerello apparteneva alla raccolta di
Iohan Quirijn van Regteren Altena (1899-1980): artista, storico dell’arte e collezionista olandese che dal
1923 al 1926, in qualità di assistente di Fritz Lugt (1884-1970), ha contribuito alla catalogazione dei
disegni di artisti nord europei conservati presso il museo del Louvre. Dal 1926 al 1932 ha lavorato con il
mercante Nicolas Beets (1878-1966), epoca a cui risale l’inizio degli acquisti di disegni antichi per la sua
collezione. Nel 1932 è stato nominato conservatore delle collezioni municipali di Amsterdam e dal 1937
al 1969 ha insegnato storia dell’arte presso l’Università cittadina. Dal 1948 al 1962 ha anche diretto il
Gabinetto di Arti Grafiche del Rijksmuseum, incrementando l’acquisto di disegni italiani e francesi;
inoltre nel 1964 e nel 1980 ha venduto a quella istituzione un gran numero di incisioni e di disegni
francesi provenienti dalla sua collezione. Tra le sue opere più note si ricordano il catalogo dei disegni
italiani da lui posseduti ed esposti al Rijksmuseum in forma anonima nel 1970 (Italiaanse Tekeningen uit
een Amsterdamse collectie) e l’importante catalogo sulle opere di una famiglia di artisti olandesi: Jacques de
Gheyn: three generations (uscito postumo nel 1983).
Antoine Victor Edmond Madeleine JOINVILLE
Parigi, 1801-1849
Veduta di Palazzo d’Orléans a Palermo
Olio su tela; cm. 48,5 x 65
Firmato, localizzato e datato in basso a sinistra: E.Joinville 1832. Palerme
Iscritto nel verso sulla tela: Vue du Palais d'Orléans à Palerme / peinte par E.Joinville
Reca targhetta nel verso: Archives Nationales ex position Louis Philippe 1974 cat. n.232 5 collection Comte de Paris.
Reca ulteriore targhetta nel verso: n° 183 Domaine privé, Neuilly
PROVENIENZA: collezione Luigi Filippo d’Orléans e agli eredi per discendenza
ESPOSIZIONI: forse al Salon parigino del 1834 (n.1037); Louis-Philippe, l'homme et le roi, Archives Nationales, Parigi, ottobre
1974-febbraio 1975, pp. 65-66, n. 232
Nel 1809 il giovane Luigi Filippo duca d'Orléans (1773-1850) si trovava in Sicilia in esilio insieme alla
madre e qui sposò la figlia del re delle Due Sicilie, Maria Amalia di Borbone (1782-1866). La giovane
coppia soggiornò a Palermo fino al 1814 nel Palazzo Santa Teresa di proprietà di Maria Amalia
rinominato “Palazzo d'Orléans”. In quell’anno fecero ritorno a Parigi in seguito alla restaurazione
monarchica del cugino Luigi XVIII.
Dopo i regni dei cugini Luigi XVIII e Carlo X, nel 1830 Luigi Filippo d’Orléans divenne re di Francia
fino al 1848. La data del nostro dipinto, “1832”, indica che la proprietà palermitana d’Orléans era già
un sito reale. Il palazzo rimase proprietà della famiglia d’Orléans, la quale lo ingrandì e ne ampliò il
giardino per tutto l’Ottocento. Nel 1940 il palazzo fu requisito dal governo italiano e divenne proprietà
della Regione siciliana nel 1947. Nel 1950 la “Commissione di conciliazione italo-francese” ne impose la
restituzione ai proprietari, che vendettero definitivamente la tenuta alla Regione nel 1955. In quell’anno
molti degli arredi furono trasferiti a Parigi, tra cui evidentemente il nostro quadro che era rimasto in
Sicilia fino ad allora, come attesta un’etichetta apposta alla cornice d’epoca dello stesso, con la dicitura:
Regione siciliana n.149 Presidenza.
Tre anni dopo l'esecuzione del nostro dipinto, sarà riproposta la stessa veduta del palazzo palermitano
degli Orléans dai francesi Bouchet e Audot per l'incisione pubblicata nella raccolta L'Italie, la Sicile, les
Iles Eoliennes (Paris, Aubert, 1835). E' molto probabile, dunque, che questi disegnatori si siano basati
proprio sul dipinto di Joinville ammirato durante un'esposizione a Parigi.
La fontana della Sirena (1583), che appare animata da
numerosi personaggi sia nel nostro dipinto che in questa
stampa successiva, fu collocata nei giardini della tenuta
d'Orléans nel 1820 e andò distrutta durante i moti del 1848.
Palermo. Palazzo d'Orléans, disegno di Bouchet e Audot, incisione di
Aubert, in L'Italie, la Sicile, les Iles Eoliennes..., Paris, 1835.
Antoine-Victor-Edmond Joinville frequentò l'École des Beaux-Arts di Parigi, divenendo allievo di
Hersent. Si affermò soprattutto come paesaggista specializzato in vedute italiane ed algerine.
Egli si recò in Italia nel 1824 per poi tornarci più volte tra il 1831 e il 1848 e la duchessa de Berry (17981870), nipote di Maria Amelia, lo incaricò di dipingere alcune vedute siciliane. Joinville espose numerose
sue vedute italiane ai Salon parigini tra il 1831 e il 1848.
William Denholm KENNEDY
Dumfries (Scozia), 1813 – London, 1865
La ‘Casina di Raffaello’ a Villa Borghese
Olio su tela; cm. 22 x 33
Firmato con il monogramma, localizzato e datato in basso a sinistra: WK – Villa Rafaello - 1846
PROVENIENZA: Roma, collezione privata
Il dipinto raffigura l’antica ‘Casina di Raffaello’ che Kennedy poté vedere nel parco di Villa Borghese nel
1840-42, biennio in cui il nostro artista soggiornò a Roma. Il riferimento al pittore urbinate si riferisce
alla presenza in questo edificio di due affreschi della scuola raffaellesca che decoravano le volte e furono
staccati nel 1834 e portati nel Museo Borghese1. La Casina fu distrutta dai bombardamenti francesi del
1849.
Ai lati dell’edificio si notano sulla sinistra, oltre un archetto, già presente in altre vedute simili tra le quali
quella di Michallon, la Villa Medici. Sulla destra è invece visibile la cupola della basilica di San Pietro.
Nato a Dumfries, in Scozia, il 16 giugno 1813, Kennedy iniziò gli studi a Edinburgo. A 17 anni andò a
Londra e nel 1833 si iscrisse alla Royal Academy. Qui Kennedy iniziò una duratura amicizia con il
pittore William Etty, che influenzerà sensibilmente il suo stile. Nel 1833 inviò i suoi primi dipinti alla
Royal Academy: A Musical Party e The Toilet. Continuò ad esporre in questa prestigiosa sede quasi ogni
anno fino alla sua morte. Nel 1835 vinse la medaglia d’oro all’Academy con un dipinto a soggetto
storico raffigurante Apollo e Ida e nel 1840, anche per merito del suo recente successo accademico, si
recò in Italia, restando due anni a Roma.
Tornò in Gran Bretagna con numerosi schizzi e studi di ambientazioni italiane e l’influenza di questo
biennio nel Bel Paese è chiaramente rintracciabile nelle sue opera successive, in particolar modo nei
dipinti intitolati La madre del bandito, The Italian Goatherd, La Terra della Poesia e della Canzone. Inoltre
collaborò in più occasioni con l’amico artista Thomas Willement eseguendo disegni per vetrate, come
quelle per le finestre della chiesa di Santo Stefano a Walbrook, nel centro di Londra.
Kennedy era un uomo molto colto, un fine esperto anche di musica e di incisioni. Morì nella sua
abitazione a Soho Square il 2 giugno 1865.
Achille Etna Michallon, Casina di Raffaello a Villa Borghese, 1818,
Musée du Louvre, Département des Arts graphiques, Cabinet des dessins
(Fonds des dessins et miniatures : RF 14138, Recto).
1
A. CAMPITELLI, Villa Borghese, da giardino del Principe a parco dei romani, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello
Stato, Roma 2003.
Christoph Heinrich KNIEP
Hildesheim (Germania), 1755 – Napoli, 1825
Ulisse e Calipso
Inchiostro a acquerello bruno su carta; mm. 655 x 935
Firmato e datato in basso a sinistra: C.Kniep 1797
PROVENIENZA: collezione privata, Roma
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO: G. STRIEHL, Der Zeichner Christoph Heinrich Kniep (1755-1825). Landschaftsauffassung und
Antikenrezeption. Hildesheim, Zurigo, New York, 1998
Il nostro acquerello, inedito, raffigura il racconto omerico dell’ultimo pranzo di Ulisse a Ogigia (Odissea,
V, vv. 247-255), quando la ninfa Calipso, pur essendone innamorata, acconsentì ad aiutare l’eroe a
riprendere la via del mare su una zattera, per fare ritorno a Itaca.
Questo acquerello è datato 1797 ed è il pendant di un altro, che rappresenta il congedo di Ulisse da Circe,
sempre della stessa Galleria.
Calipso, figlia di Atlante, viveva sull’isola di Ogigia, in una grotta che si apriva su giardini lussureggianti e
su un bosco sacro. Donna bellissima ed immortale, trattenne Ulisse con sé per sette anni, fino a quando
non ricevette da Zeus, per mezzo di Hermes, l’ordine di lasciarlo andare.
Sono noti altri due acquerelli di Kniep, eseguiti circa un decennio dopo e datati 1805, oggi conservati
agli Staatliche Museen di Berlino, molto simili alla nostra coppia1. Uno di essi raffigura appunto il
medesimo soggetto del nostro, ma fu per molti anni erroneamente interpretato come raffigurante
l’episodio omerico del pasto di Ulisse e Nausicaa2.
C. H. Kniep, Ulisse e Calipso, 1805, Berlino, Kupferstichkabinett, Staatliche Museen
1
Berlino, Kupferstichkabinett, Staatliche Museen (cat. 2, Abschied des Odysseus von Kirke, 1805 – cat. 3, Odysseus bei Kalipso,
1805), cfr. G. STRIEHL, Der Zeichner Christoph Heinrich Kniep (1755-1825) Landschaftsauffassung und Antikenrezeption, Georg Olms
Verlag, 1998, pp. 188, 327.
2
A. PELTZER, Christoph Heinrich Kniep, “Goethe Jahrbuch” XXVI (1905), p.226 e sgg.
In tempi recenti, però, in occasione dell’edizione del catalogo dell’opera di Kniep a cura di Georg
Striehl, l’acquerello berlinese di inizio Ottocento è stato invece interpretato come il pranzo di Ulisse e
Calipso e lo sfondo naturalistico è stato identificato dagli studiosi come ispirato alle grotte carsiche della
valle del fiume Bonea, in Campania1.
Nell’acquerello agli Staatliche Museen così come nel nostro, Kniep, oltre a basarsi sull’osservazione
diretta della natura campana, ripropone con cura nella sua composizione le indicazioni dei versi omerici
su questo luogo paradisiaco:
Un bosco rigoglioso cresceva intorno alla grotta:
l’ontano, il pioppo e il cipresso profumato.
[…] Si allungava intorno alla grotta profonda
una vite rigogliosa, fiorente di grappoli,
quattro fonti sgorgavano in fila, di acqua limpida,
vicine tra loro, ma rivolte una da una parte e una da un’altra.
C’erano intorno morbidi prati di viola e sedano
fioriti; anche un dio immortale arrivato qui
si sarebbe meravigliato guardando e avrebbe gioito nel cuore.
(Odissea, Libro V, vv. 83-99)
Nel nostro acquerello, datato 1797 e fino ad oggi inedito, si evidenzia che inizialmente Kniep aveva
inserito un serpente nel margine inferiore sinistro, animale poi rimosso nella versione successiva del
1805. E in entrambi gli esemplari, in primo piano, è presente una coppia di cigni - allegoria della purezza
e dell’amore coniugale. Uno di loro trattiene nel becco un serpente, a simboleggiare la pazienza e la
fedeltà di Ulisse, che rifiutò l’immortalità offertagli dalla sensuale Calipso, preferendo tornare da
Penelope ad Itaca2.
1
“Kniep fonde la descrizione omerica della mensa con quella del giardino. La struttura del disegno è ancora una volta simile
a quella di Bonca di Cava. Si guarda da una grotta verso fuori, le ghirlande fanno capire che la grotta fa parte della zona
curata del giardino.”, H. W. KRUFT, Christoph Heinrich Kniep, l’accompagnatore di Goethe in Sicilia, in AA.VV., Goethe in Sicilia, disegni
e acquerelli da Weimar, Roma, 1992, pp. 40-41.
2
G. STRIEHL, Der Zeichner Christoph Heinrich Kniep (1755-1825)… cit., p.173.
Christoph Heinrich KNIEP
Hildesheim (Germania), 1755 – Napoli, 1825
Ulisse si congeda da Circe
Inchiostro a acquerello bruno su carta; mm. 655 x 935
Firmato in basso a sinistra: Ch.Kniep inv.
PROVENIENZA: collezione privata, Roma.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO: G. STRIEHL, Der Zeichner Christoph Heinrich Kniep (1755-1825). Landschaftsauffassung und
Antikenrezeption. Hildesheim, Zurigo, New York, 1998
Il nostro acquerello raffigura il racconto omerico della partenza di Ulisse e dei suoi compagni dall’isola
di Eea (Odissea, XII).
Questo esemplare è il pendant di un altro acquerello, datato 1797 e sempre di proprietà della stessa
Galleria, che rappresenta l’episodio di Ulisse e Calipso.
Sono noti altri due acquerelli di Kniep, eseguiti circa un decennio dopo e datati 1805, oggi conservati
agli Staatliche Museen di Berlino, molto simili ai nostri 1.
Uno di essi raffigura lo stesso soggetto del nostro esemplare e fu per molti anni erroneamente
interpretato come raffigurante l’episodio omerico del congedo di Ulisse da Nausicaa 2.
.
C. H. Kniep, Ulisse e Circe, 1805, Berlino,
Kupferstichkabinett, Staatliche Museen
1
Berlino, Kupferstichkabinett, Staatliche Museen (cat. 2, Abschied des Odysseus von Kirke, 1805 – cat. 3, Odysseus bei Kalipso,
1805), cfr. G. STRIEHL, Der Zeichner Christoph Heinrich Kniep (1755-1825) Landschaftsauffassung und Antikenrezeption, Georg Olms
Verlag, 1998, pp. 188, 327.
2
A. PELTZER (Christoph Heinrich Kniep, “Goethe Jahrbuch” XXVI, 1905, pp. 226 sgg. Cfr. anche W. KRUFT, Christoph Heinrich
Kniep, l’accompagnatore di Goethe in Sicilia, in AA.VV., Goethe in Sicilia, disegni e acquerelli da Weimar, Roma, 1992, pp. 40-41.
In tempi recenti, però, in occasione dell’edizione della monografia sull’opera di Kniep a cura di Georg
Striehl, l’acquerello berlinese di inizio Ottocento è stato invece riferito all’episodio del congedo di Ulisse
da Circe.
Dal raffronto con la nostra versione, settecentesca e a oggi inedita, si scopre che inizialmente Kniep
aveva inserito un mansueto leone, che nella versione berlinese di inizio Ottocento sostituirà invece con
un serpente.
La presenza del leone accanto alla donna e a pochi metri dagli agnelli è un ulteriore elemento che
avvalora l’identificazione del soggetto, a sostegno della lettura avanzata da Striehl. Essa è infatti un
rimando al passo omerico in cui viene descritta l’ambientazione magica, con la fauna stregata da Circe:
Nella vallata trovarono le case di Circe costruite con pietre squadrate, in un luogo protetto:
c’erano intorno lupi montani e leoni che ella aveva stregato, dandogli filtri maligni. Essi non
assalirono gli uomini, ma agitando le lunghe code si alzarono. Come quando i cani
scodinzolano al padrone che torna da un pranzo, perché porta ogni volta dei buoni bocconi;
così i lupi dalle forti unghie e i leoni scodinzolavano ad essi: temettero, quando videro le
orribili fiere. (Libro X, vv. 210-219).
Christoph Heinrich KNIEP
Hildesheim (Germania), 1755 – Napoli, 1825
Christoph Heinrich Kniep iniziò la sua carriera artistica nel 1778 ad Amburgo quale disegnatore di
ritratti. Nel 1780 si recò a Berlino dove conobbe il principe vescovo Ignacy Krasicki (1735-1801): questi
gli finanziò un viaggio a Roma, dove il Kniep giunse nel 1781. Da questo momento in poi Kniep si
dedicò al “paesaggismo”. A Roma strinse amicizia con Johann Heinrich Wilhelm Tischbein (1751-1829)
grazie al quale conobbe i pittori Johann Georg Schütz (1755-1813) e Friedrich Bury (1763-1823). Anche
Jakob Philipp Hackert (1737-1807), il più famoso paesaggista dell’epoca, era tra i suoi conoscenti.
Quando i sussidi del Krasicki vennero a mancare a causa della sua morte, poco dopo l’arrivo di Kniep a
Roma, egli fu costretto ad autofinanziarsi con la vendita dei suoi disegni. Nell’ottobre del 1785 Kniep
lasciò Roma per trasferirsi a Napoli dove rimase per il resto della sua vita. Napoli in quell’epoca era uno
dei centri più importanti dell’arte europea, capitale frequentata anche da molti artisti di lingua tedesca
impiegati alla corte di Ferdinando IV di Borbone, tra i quali Hackert, pittore di corte dal 1786 e
Tischbein, direttore dell’Accademia di Belle Arti partenopea. Al contrario di questi artisti ai quali era
legato da stretti rapporti di amicizia, Kniep non riuscì neanche a Napoli a migliorare la sua posizione
economica: la spiegazione di ciò e da ricercarsi nella sua totale dedizione al disegno e alla sua eccessiva
meticolosità nella composizione delle opere che però comportava una notevole lentezza nell’esecuzione.
Goethe arrivò a Roma nel 1786 ospite di Tischbein; i due tedeschi si recarono poi a Napoli nel 1787
dove il poeta fu presentato a Kniep da Tischbein. Questo incontro fu fondamentale per il pittore, infatti
Goethe, impegnato nel compiere il suo viaggio in Italia, era alla ricerca di un paesaggista che lo
accompagnasse nelle escursioni attraverso il Regno di Napoli, in particolar modo in Sicilia, per ritrarre i
luoghi in cui si sarebbe recato. In una lettera scritta a Napoli, datata 19 marzo 1787, Goethe non cela la
soddisfazione per questo rapporto di cooperazione e nel marzo dello stesso anno, una volta concordati i
termini di collaborazione tra i due, il viaggio ebbe inizio. I due rimasero in Sicilia fino al 15 maggio
1787. Questa esperienza per Kniep fu foriera di importanti risultati: Goethe acquistò tutti i disegni da
lui eseguiti durante il viaggio e gli procurò, dopo il suo ritorno a Weimar, numerose commissioni. Anche
Hackert aiutò Kniep ad entrare in contatto con diversi mecenati quali il barone Heinrich von
Offenberg, inoltre fece da tramite con la corte di Weimar per i pagamenti dovuti al Kniep. Tra i clienti
di Kniep figuravano diversi nobili napoletani tra i quali Leonardo Tocco di Montemiletto e Francesco
Maria Berio, marchese di Salza. L’artista visse e lavorò più di trent’anni a Napoli alla Riviera di Chiaia.
Nel 1822 ottenne la carica di professore nell’ambito della ristrutturazione dell’Accademia di Belle Arti.
Morì a Napoli nel luglio del 1825 dopo una grave malattia. È sepolto al cimitero dei protestanti di San
Carlo all’Arena a Napoli1.
La biografia dell’artista è tratta dalla comunicazione scritta della dottoressa C. NORDHOFF, Galleria Paolo Antonacci, Roma
2012.
1
Henry MURCH
Gran Bretagna, 1824 – 1890
Veduta di Roma dal Tevere verso l'isola Tiberina
Veduta del Tevere alla Salara con l’Aventino
Olio su tela; cm. 32 x 50; Olio su tela; cm. 32 x 50
PROVENIENZA: Londra, Christie’s, 2 Novembre 1990; Roma, collezione privata
PUBBLICAZIONI (il primo): P. A. DE ROSA, P. E. TRASTULLI, Il Tevere dipinto. Viaggio pittorico dalla foce alla sorgente nel Sette-Ottocento,
Roma, 2010, n. 21, p. 67
Per dipingere la nostra coppia di vedute il pittore inglese ha scelto un luogo lungo la riva del Tevere nei
pressi del Ponte Rotto, ovvero l’antico Ponte Emilio (181-179 a.C.) di cui si scorge un’arcata nella
veduta dell’isola Tiberina, ponendosi grosso modo in coincidenza con l’antica Cloaca Massima e il
Tempio di Vesta.
Il luogo era ben noto ai vedutisti dell’epoca: tra gli altri anche il danese Christoffer Wilhelm Eckersberg
(1783-1853) ci ha lasciato una veduta dell’Aventino ritratta dal medesimo punto di osservazione.
L’isola Tiberina è la protagonista della prima veduta, con i suoi due ponti Cestio e Fabricio. L’isola è
stata per secoli luogo di passaggio e di separazione tra il rione Trastevere e l’antico quartiere ebraico. Il
campanile appartiene alla chiesa di S. Bartolomeo (998 d.C.), circondata dagli edifici del complesso
conventuale, mentre sulla destra, oltre ponte Fabricio, si distinguono le case sulla riva sinistra del Tevere
che scendevano anticamente fino al fiume, mentre in lontananza si scorge la cupola di S. Pietro. Oltre il
ponte Cestio si distingue il profilo arboreo del Gianicolo con la Villa Lante. In primo piano una coppia
di pescatori anima la scena sulla sinistra.
La veduta verso l’Aventino costituisce una rara testimonianza delle costruzioni addossate al colle
prospicienti la via Salara, in particolare i magazzini del sale. Sulla sommità del colle si distinguono la
chiesa di S. Sabina (V sec.) con l’annesso convento, il campanile e la chiesa di S. Bonifacio e Alessio
(ricostruita nel XVIII sec.) e, più oltre, il Priorato di Malta, mentre in primo piano lungo la riva del
fiume si affacciano casupole e capanni. Sulla riva opposta, quella trasteverina, tra la vegetazione si
intravede il Casino di Donna Olimpia, oggi non più esistente, e il complesso del S. Michele.
C. W. Eckersberg, Veduta del Tevere verso l'Aventino,
1813-16, Copenhagen, Royal Museum of Fine Arts
Henry MURCH
Gran Bretagna, 1824 – 1890
Dell’artista inglese è documentata la presenza a Roma a metà del XIX secolo, con studio in via
Gregoriana 17.
Un suo dipinto, raffigurante una veduta di palazzo Doria Pamphilj al Corso, era esposto nel 1850 alla
Royal Academy. Nel catalogo della manifestazione il suo domicilio londinese figura al numero 14 di
George Street Adelphi (A. GRAVES, The Royal Academy of Arts, 1959, III, n. 566, p. 328). Murch espone
inoltre due vedute di Tivoli alla British Institution di Londra.
Nel 1856 partecipa con quattro dipinti all’esposizione annuale della Società degli Amatori e Cultori delle
Belle Arti nelle sale di piazza del Popolo nell’edificio del Valadier tuttora esistente a sinistra della facciata
interna della Porta: tra questi figura anche una veduta del Palazzo Doria Pamphilj al Corso (nn. 164,
187, 222, 223 del catalogo), forse la stessa presentata a Londra nel 1850.
Tra le opere a soggetto romano conosciute di Henry Murch è documentato anche uno scorcio di Piazza
del Campidoglio conservato oggi presso la Victoria Art Gallery di Bath.
Prof. Pier Andrea De Rosa
Henry Murch, Piazza del Campidoglio, olio su tela,
Bath, Victoria Art Gallery
Henry Murch, Tivoli, Il Tempio di Vesta,
collezione privata
Victor-Jean NICOLLE
Parigi, 1754 – 1826
Veduta del Largo di Castello
Acquerello, penna e inchiostro bruno e nero su carta; mm. 205 x 312
Firmato in basso a destra: Nicolle
Iscritto sul verso: Vue de la place dite Largo del Castello, et du mont Vésuve, à Naples
Il nostro acquerello rientra nella interessante produzione di Victor-Jean Nicolle, architetto di
formazione, che realizzò essenzialmente acquerelli raffiguranti vedute di paesaggi urbani, ravvivate dalla
presenza di personaggi.
Si tratta di una veduta della piazza allora detta Largo di Castello a Napoli, che costituisce il nucleo
originario dell’attuale Piazza del Municipio, a ridosso dei bastioni del Castel Nuovo. Il disegno adotta un
punto di vista sui generis, mostrandoci uno scorcio della piazza in cui il castello viene posto lateralmente,
tagliato dal foglio e in cui il soggetto principale sembra essere la vita cittadina; Nicolle ci restituisce una
piazza colta nella sua vita di tutti i giorni, quasi raccontata, con le bancarelle di venditori e gli abitanti
intenti alle loro attività quotidiane, ma nel contempo fornisce un valido documento di com’era una delle
piazze più belle di Napoli, con il Vesuvio che si intravede in lontananza, la cui visuale oggi è ostacolata
dagli edifici del porto e con una diversa conformazione del castello, che ha subito molte trasformazioni
nel tempo, tra cui la perdita del bastione che qui vediamo in primo piano.
Nell’opera del Nicolle troviamo rappresentate in maniera preponderante Roma e la Francia, con
Parigi al primo posto, mentre la produzione napoletana consta di circa cento-centocinquanta opere, per
di più di piccolo formato (di solito meno di 10 cm. di diametro). Questo rende il nostro acquerello tanto
più prezioso, in quanto di dimensioni superiori alla sua normale produzione.
Benché totalmente assente dai Salons ufficiali, Nicolle conobbe un largo successo presso gli
amateurs, e le iscrizioni in lingua francese spesso presenti sui disegni lasciano pensare che la sua
produzione fosse principalmente destinata ai suoi connazionali.
I suoi disegni quasi mai sono datati, ma da recenti studi critici sappiamo che l’artista soggiornò più volte
in Italia tra il 1787 e il 1799 e tra il 1802 o il 1806 e il 1811; è pertanto a questo periodo che il nostro
disegno fa riferimento.1
1
ĖMILIE BECK SAIELLO, Raffigurare la città tra fine Settecento e inizio Ottocento. Il caso dell’artista e architetto Victor-Jean Nicolle (17541826), in Dimore signorili a Napoli: Palazzo Zevallos Stigliano e il mecenatismo aristocratico dal XVI al XX secolo, atti del convegno
internazionale di studi (Napoli, Palazzo Zevallos Stigliano - Palazzo Reale, 20-22 ottobre 2011), a cura di Antonio Ernesto
Denunzio [et al.], Napoli 2013, pp. 78-87.
Victor-Jean NICOLLE
Parigi, 1754 – 1826
Veduta del Palazzo Reale di Napoli
Acquerello, penna e inchiostro bruno e nero su carta; mm. 205 x 314
Firmato in alto a sinistra: Nicolle
Iscritto sul verso: Vue de la Place et du Palais Royal à Naples/en B. le palais est bâti par fontana architecte romain
Il nostro acquerello rientra nella interessante produzione di Victor-Jean Nicolle, architetto di
formazione, che realizzò essenzialmente acquerelli raffiguranti vedute di paesaggi urbani, ravvivate dalla
presenza di personaggi. Si tratta di un documento interessante, sia perché riproduce piuttosto
fedelmente la struttura della piazza antistante il palazzo Reale, allora detta Largo di Palazzo (l’attuale
piazza del Plebiscito), come si poteva vedere tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, sia
perché costituisce un elemento piuttosto raro nella produzione del Nicolle, in cui troviamo
rappresentate in maniera preponderante le città di Roma e Parigi, mentre la produzione napoletana
consta di circa cento-centocinquanta opere, per di più di piccolo formato (di solito meno di 10 cm. di
diametro). Questo rende il nostro acquerello tanto più prezioso, in quanto di dimensioni superiori alla
sua normale produzione.
Oltre al Palazzo Reale, la cui facciata si impone sulla sinistra, il disegno ci restituisce una veduta
della piazza in cui si possono distinguere, in primo piano sulla destra, le scale della Chiesa di Santo
Spirito di Palazzo, abbattuto per far posto all’attuale Palazzo della Prefettura; sul fondo della piazza,
attualmente racchiusa da Palazzo Salerno, si scorge il Convento di Santa Maria della Solitaria. Al centro
in lontananza, nella sua ubicazione originaria, la Fontana del Gigante, con accanto l’ omonima statua
colossale (rimossa nei primissimi anni dell’Ottocento) che fu spostata più volte fino a trovare la sua
attuale collocazione in via Partenope.
L’approccio del Nicolle alla rappresentazione di Napoli è del tutto singolare; se da una parte
l’artista si mostra attento all’architettura urbana (ed è uno dei pochi artisti attivi a Napoli nel Settecento
a farlo), dall’altro arricchisce la composizione di figure umane: chi è seduto sulle scale della Chiesa, chi
intento ad attingere l’acqua dal pozzo, chi passeggia per la piazza. La sua è una città concepita come il
luogo in cui si svolge la vita.
Benché totalmente assente dai Salons ufficiali, Nicolle conobbe un largo successo presso gli
amateurs, e le iscrizioni in lingua francese spesso presenti sui disegni lasciano pensare che la sua
produzione fosse principalmente destinata ai suoi connazionali.
I suoi disegni quasi mai sono datati, ma da recenti sviluppi critici sappiamo che l’artista soggiornò più
volte in Italia tra il 1787 e il 1799 e tra il 1802 o il 1806 e il 1811; è pertanto a questo periodo che il
nostro disegno fa riferimento.1
1
Ėmilie Beck Saiello, Raffigurare la città tra fine Settecento e inizio Ottocento. Il caso dell’artista e architetto Victor-Jean Nicolle (17541826), in Dimore signorili a Napoli: Palazzo Zevallos Stigliano e il mecenatismo aristocratico dal XVI al XX secolo, atti del convegno
internazionale di studi (Napoli, Palazzo Zevallos Stigliano - Palazzo Reale, 20-22 ottobre 2011), a cura di Antonio Ernesto
Denunzio [et al.], Napoli 2013, pp. 78-87.
Victor-Jean NICOLLE
Parigi, 1754 – 1826
Victor Jean Nicolle, artista preciso e prezioso, è essenzialmente un acquerellista e acquafortista di viste
di paesaggi urbani ravvivati da piccoli personaggi che li rendono pittoreschi nonostante la minuziosità
dei particolari architettonici e l’esattezza della rappresentazione dello stato delle città nel momento in
cui le disegnava. Nicolle aveva d'altronde ottenuto fin dal 1771 il Gran Prix de Perspective a l’Ecole Royal
gratuita di disegno e aveva frequentato per tre anni, fino al 1774, lo studio di architettura Petit-Radel
(1740-1818).
La sua immensa opera comprende centinaia di disegni, principalmente viste di monumenti e
piazze di Roma, Napoli, Vietri, Bologna, Genova, Savona e Firenze. La quantità di vedute italiane nella
sua opera ci fa pensare che egli abbia compiuto quasi tutta la sua carriera in questo paese, cosa che
spiegherebbe la sua assenza da qualsiasi esposizione al Salon, anche quando era aperto a tutti gli artisti, e
da qualsiasi altra esposizione ufficiale. I suoi disegni datati lasciano pensare che fece almeno due lunghi
soggiorni in Italia, tra il 1787 e il 1799 e tra il 1802 o il 1806 e il 1811.
Bartolomeo PINELLI
Roma, 1781 – 1835
Venere ordina ad Amore di sostituirsi ad Ascanio
China acquerellata e matita su carta; mm. 274 x 402
Firmato in basso a sinistra: Pinelli e iscritto in basso a destra: Virgilio L I.
Il nostro acquerello, fedele al testo virgiliano, raffigura l’episodio dell’inganno architettato da
Venere che comanda ad Amore di assumere le sembianze del piccolo Ascanio per intenerire la regina
Didone e poi farla innamorare perdutamente di Enea. L’astuzia di Venere è motivata dalla necessità di
fare accogliere nella reggia della regina cartaginese suo figlio Enea, proteggendolo in tal modo dall’ira di
Giunone. La scena dipinta da Pinelli traduce magistralmente in immagine i versi del Libro I dell’Eineide
che l’artista neoclassico illustrò con 50 incisioni all’acquaforte per l’edizione pubblicata nel 1811 a Roma
da Luigi Fabri 1:
Nuovi consigli, ed arti nove intanto
Venere ordisce, onde sembiante e spoglie
cangi Cupido, e alla Regina ei vada
d’Ascanio in vece, e nell’offrirle i doni
ad arte l’accarezzi, e del suo foco
tutto le stilli il rio furor nell’ossa
[…]
«Tu il noto volto suo sola una notte
fingi imitando, e le maniere usate,
onde ingannando la Regina allora,
che fra la gioja delle regie mense
ti accorrà in grembo, e con soavi baci
al sen ti stringerà, nel core incauto
occulto ardore, e il tuo velen le ispiri.»
Virgilio, Eneide, trad. italiana di Clemente Bondi, Roma, Luigi Fabri, 1811, Le Armi di Venere, L. I, I.
Il nostro acquerello è un disegno preparatorio per l’incisione della suddetta edizione romana del 1811
dell’Eneide.
Nato a Roma nel 1781 da una famiglia di modeste origini, Bartolomeo Pinelli, giovanissimo, entrò
nella prestigiosa Accademia di San Luca in cui, grazie alla sua naturale inclinazione per il disegno,
ottenne un discreto successo. Nel 1803 ricevette una proposta di collaborazione da Franz Keiserman
(1765-1833) che a Roma godeva di una straordinaria reputazione come paesaggista: suo compito era
quello di “popolare” di figure e personaggi gli splendidi acquerelli dell’artista svizzero. Pinelli nel suo
primo periodo artistico fu anche un grande interprete del Neoclassicismo allora imperante.2 Ricevette
anche importanti commissioni tramite l’Accademia di San Luca: le decorazioni degli appartamenti
imperiali del Quirinale (1811-1814) e la copiatura degli affreschi delle “Terme di Tito” (la Domus Aurea
di Nerone) - opere mai portare a termine. Oltre al repertorio di immagini dedicate ai costumi romani,
Pinelli ha illustrato numerosi libri sulla mitologia greco-romana, realizzando cicli ispirati a Iliade, Odissea,
Eneide.
1
E.SIMONETTI, L'Eneide di Virgilio inventata e incisa all'acquaforte da Bartolomeo Pinelli nel 1811: un dialogo tra arte e letteratura. Tesi di
laurea, Università di Pisa, 2012.
2
F. LEONE, Neoclassico eroico e temi “sublimi” in Bartolomeo Pinelli, in Arte e paesaggio in Italia nel XIX secolo a cura di F. LEONE - P.
ANTONACCI, Galleria Paolo Antonacci, Roma 2005.
Max Joseph PITZNER
Partenkirchen (Germania), 1855 – Monaco, 1912.
Il mercato dei cavalli
Olio su tavola; cm. 28,7 x 41.
Firmato e localizzato in basso a destra: Max Pitzner München
Il dipinto raffigura una scena di vita quotidiana di fine Ottocento in un parco cittadino tedesco,
di cui si riconoscono sullo sfondo i profili di case e guglie dal caratteristico stile bavarese. A sinistra di
un edificio con facciata a graticcio, il particolare del lampione suggerisce che il nostro dipinto
probabilmente è stato eseguito non prima del 1882: anno in cui venne introdotta la luce elettrica a
Monaco e dintorni.
Quest’opera appartiene alla serie di olii raffiguranti fiere ippiche della Baviera che hanno reso
celebre l’arte di Pitzner. I suoi dipinti, come il nostro, trasmettono con notevole precisione compositivoprospettica l’atmosfera realista del paesaggio abitato da figure e animali.
Con questo stesso soggetto, si conoscono altri due dipinti che l’artista ha ambientato in Baviera
(collezione privata) e, più nello specifico, a Dachau (Staedtische-galerie, Rosenheim)1.
1
Cfr. Gemälde in deutschen Museen, Saur, 1981, vol.2, p.765.
Max Joseph PITZNER
Partenkirchen (Germania), 1855 – Monaco, 1912.
Figlio di un guardaboschi di montagna, Max Joseph Pitzner nacque al confine della Baviera con
l’Austria e negli anni della sua formazione artistica si trasferì a Monaco, dove frequentò i corsi del
paesaggista Ludwig von Löfftz (1845-1910) e del pittore di soggetti storici Wilhelm Lindenschmit
(1829-1895) all’Accademia.
Sin da giovane fu fortemente influenzato dalle novità francesi della pittura en plein air e nello
specifico dall'Impressionismo. Da subito si specializzò in soggetti e scene di genere: armenti e paesaggi
rurali. Entrò a far parte della Secessione di Monaco (1892), schierandosi in tal modo contro il sistema
accademico del tempo. I suoi dipinti, esposti alle mostre organizzate dalla Secessione, riscossero un
grande successo di pubblico. L'effetto luminoso e soleggiato della sua pittura fu molto ammirato, così
come il modo in cui i suoi soggetti sono integrati completamente nel paesaggio circostante. Il principe
reggente di Baviera Luitpold Wittelsbach (1821-1912) si recò più volte in visita nel suo studio a
Schwabing, quartiere centro-settentrionale di Monaco, acquisendo alcune sue opere.
Dopo una lunga malattia, Max Josef Pitzner morì il 10 settembre 1912 a Monaco.
Nel 2005 è stata allestita una mostra delle sue opere al Museumsforum di Altomünster (Baviera),
dal titolo: Der Genremaler Max Joseph Pitzner (1855 – 1912).
Jean Charles Joseph RÉMOND
Parigi, 1795–1875
Veduta della baia di Napoli al chiaro di Luna
Olio su carta riportata su tela; cm. 38 x 52.
Firmato in basso a sinistra: Rémond
Il nostro dipinto rientra nella produzione italiana, ed in particolare campana, del pittore e litografo Jean
Charles Joseph Rémond.
Parigino di nascita, il pittore soggiornò a lungo in Italia - in quanto vincitore del Prix de Rome del 1821 in particolare a Roma, ma tra il 1822 e il 1823 soggiornò spesso a Napoli e nel salernitano.
Il nostro dipinto, risalente presumibilmente a questa fase, è una bellissima e particolare veduta della baia
di Napoli. Particolare in quanto ci restituisce un’immagine storicamente rilevante della città agli inizi
dell’Ottocento, quando la strada oggi nota come Riviera di Chiaia affacciava direttamente sul mare, che
arrivava a lambirne alcuni palazzi e quindi prima che il riassetto urbanistico della città nella seconda
metà del secolo portasse alla creazione dell’attuale via Francesco Caracciolo, creata su una colmata
nel 1869-80.
Sulla sinistra la chiesa di San Giuseppe a Chiaia, con la sua
facciata particolare e inconsueta tra le tante chiese di Napoli,
con il basamento in pietra interrotto dai tre arconi d'accesso e il
coronamento a timpano.
La facciata della chiesa di San Giuseppe a Chiaia in una foto recente.
Le due costruzioni quadrangolari al di là della chiesa, alle cui spalle si vede un lungo e folto boschetto,
costituivano il muro d’ingresso dei giardini della Villa Comunale (Real Passeggio di Chiaia o Villa Reale,
come si chiamava all’epoca), il cui nucleo originario risale alla fine del Seicento, e che, come vediamo, si
affacciava sulla spiaggia ed era lambita dal mare.
In alto a sinistra svetta sulla collina del Vomero la poderosa mole del Castel Sant’Elmo; in lontananza si
affacciano sul Golfo di Napoli il Palazzo Reale, ancora illuminato, e il Castel dell’Ovo. Alle loro spalle,
presenza silenziosa ma incombente, il Vesuvio.
Quella dipinta dal Rémond è una città che sembra magicamente addormentata, colta nella luce tenue di
una sera d’estate; qui e lì delle luci infiammano di giallo e di rosso i toni prevalentemente freddi della
composizione; una bancarella anima la strada, mentre alcune figure passeggiano; una barca è ormeggiata
sulla spiaggia, con i pescatori che la allestiscono, forse pronti a partire, mentre alcune imbarcazioni sono
già in mare.
Ed il mare è appunto indiscusso protagonista del dipinto, un mare scuro e sereno, rischiarato soltanto
dalla luce della luna.
Jean Charles Joseph RÉMOND
Parigi, 1795–1875
Jean Charles Joseph Rémond, figlio di uno stampatore di incisioni, fu un noto pittore e litografo.
Studiò all’Ecole Nationale des Beaux Arts; dove ebbe tra i suoi maestri i pittori Jean-Baptiste Regnault
(1754-1829) e Jean-Victor Bertin (1767-1842). A partire dal 1814 Rémond cominciò ad esporre al Salon
parigino suoi studi ripresi dal vero e paesaggi “storici”.
Nel 1821 vinse la seconda edizione del Prix de Rome per il “paesaggio storico”1 ed ebbe quindi
l’opportunità di soggiornare per quattro anni in Italia, recandosi spesso a Napoli e nel salernitano soprattutto tra il 1822 e il 1823. Al Salon parigino nel 1824 inviò da Roma una Veduta di Amalfi, presa dal
golfo di Salerno, studio dal vero, e a quello del 1827, una volta rientrato in patria, presentò una Veduta di una
ferriera ad Amalfi, Regno di Napoli.
Il soggiorno italiano fornì al Rémond molto materiale per le due raccolte di litografie che diede
alle stampe: le Vues d’Italie (1827/1828) e i Souvenirs de Naples dessinés d’aprés nature (1831).
Il paesaggio campano fa da sfondo anche a dipinti di soggetto religioso, come L’Arcangelo Michele
che sconfigge il diavolo (Parigi, chiesa di Saint Sulpice), esposto al Salon nel 1827; in esso compare, in bella
evidenza, l’Arco Naturale di Capri e tutto lo sfondo roccioso appare ispirato alla particolare conformazione dell’isola.
Nel 1842 tornò ancora in Italia, precisamente in Sicilia, sostando a Roma nel viaggio di ritorno.
Nel 1844 espose per l’ultima volta dipinti italiani e dal 1849 non partecipò più ad esposizioni ufficiali.
In vita ottenne vari riconoscimenti, tra cui la Legion d’Onore nel 1854, e tra i suoi allievi ebbe anche Pierre Etienne Théodore Rousseau, uno dei massimi artisti dell’Ottocento, caposcuola dei pittori
Barbizonniers.
Charles Rémond, Veduta del Colosseo dal Palatino,
Metropolitan Museum of Art, New York.
1
Cfr. S.GUTWIRTH, Jean-Charles-Joseph Rémond (1795-1875), Premier Grand Prix de Rome du Paysage historique, “Bulletin de la Société
de l’Histoire de l’Art Français”, 1981, pp. 189-218.
Silvio Giulio ROTTA
Venezia, 1853 – 1913
Il nuovo arrivato
Olio su tela; cm. 71 x 49
Firmato in basso a destra: S.G.Rotta
Il nostro artista ha ritratto una figura femminile con un neonato in un interno alto-borghese del
secondo Ottocento. La madre è caratterizzata dall’eleganza della sua posa di tre quarti, mentre guarda
teneramente il suo bambino. É vestita di un elegante abito bianco con scollo di trina su cui si intreccia
un nastrino in seta azzurro. La culla in primo piano a sinistra è anch’essa rivestita di stoffa bianca e
poggia su una struttura sottile in metallo dorato. Questo gioco di bianchi (simbolo di purezza) contrasta
con il fondo scuro dell’ambiente e con il tappeto a decori floreali colorati.
Il tema dell’amore materno di ambiente altolocato rientra con ogni
probabilità nel gruppo di opere che Rotta dipinse prima del 1887 : anno di
svolta in cui l’artista sceglierà invece di occuparsi di tematiche
drammatiche, legate alle classi sociali più povere e agli alienati.
Un dipinto simile per il tema, per la composizione giocata sulle
linee oblique di veli e tendaggi e per la delicatezza espressiva fu esposto
all’Esposizione Impressionista parigina del 1874 : La culla, della pittrice
Berthe Morisot e che Rotta potrebbe avere visto personalmente in uno dei
suoi viaggi in Francia. A partire dagli Anni ’60 dell’Ottocento il tema
dell’infanzia e della vita privata famigliare stava cominciando ad acquisire
maggiore importanza sia a livello sociale che artistico, con gli studi di
Manet, Renoir, Bonnard e Vuillard e i romanzi d’appendice.
B.Morisot, La culla (1872),
Parigi, Musée d’Orsay
Silvio Giulio ROTTA
Venezia, 1853 – 1913
Figlio del pittore Antonio (1828-1903), Silvio Giulio studia all’Accademia di Belle Arti di Venezia
esordendo già a tredici anni con dipinti che ritraggono scene di vita quotidiana veneziana: lo stesso
genere del padre. Espone le sue opere a Vienna (1873: Una grata sospesa), a Milano (1878 e 1881:
Venditore d’acquavite; Cenciaiuolo; In vigna), all’Esposizione Universale di Parigi (1878: Costumi di Venezia),
dove vince la medaglia d’oro.
Nel 1873 si reca a Parigi, per perfezionare le sue conoscenze artistiche internazionali e attorno
alla fine degli Anni ’80 muta interessi, privilegiando tematiche drammatiche come l’emarginazione
sociale. Il suo dipinto I forzati, presentato nel 1887 sia a Venezia che all’Esposizione di Belle Arti di
Budapest (dove vince la medaglia d’oro), ottiene un notevole successo per la forza innovativa del
soggetto1. Da questo momento la sua produzione si caratterizza in senso realistico e malinconico con
opere sempre molto apprezzate dal pubblico e dalla critica per la scelta dei soggetti nuovi per l’epoca
come il disagio psichico e sociale.
Nel 1895 partecipa alla prima Biennale di Venezia, dove ha occasione di confrontarsi con le
novità della pittura simbolista europea ed espone Il nosocomio (1895, opera premiata e nuovamente
esposta nel 1900, a Parigi). Risale al 1912 l’ultima sua opera: Nelle tenebre, realizzata quando era ormai
gravemente malato 2.
1
Il critico d’arte Pellegrino Oreffice nel 1887, sulle pagine della rivista veneziana «L’Esposizione Artistica Nazionale illustrata»,
riconosceva a Rotta “un ingegno robustissimo e capace della più alta meta nel cammino tanto arduo dell’arte”.
2
Cfr. POMPEO GHERARDO MOLMENTI, La pittura veneziana, Firenze, Fratelli Alinari, 1903, pp.137, 158.
Alexander Gustav von SALZMANN
Tbilisi (Russia), 1874 – Leysin (Svizzera) 1934
Giovane donna a teatro
Olio su tela; cm. 39,5 x 41
ESPOSIZIONI: München 1869-1958 – Aufbruch zur Modernen Kunst, Haus der Kunst, Munchen 1958, p.212, cat. n.736.
PUBBLICAZIONI: Münchner Maler im 19. Jahrhundert, München, Bruckmann, 1983, ad v., p.11, n.8.
PROVENIENZA: collezione George Shäfer, Schweinfurt.
La giovane donna nel nostro dipinto è ritratta seduta, intenta a leggere presumibilmente il libretto di
un’opera lirica a cui sta per assistere da un palco di teatro.
Il nostro artista riprende la consolidata iconografia della 'donna che legge'1 proponendola all'interno
dell'ambientazione mondana della sala teatrale. La società borghese a teatro era un soggetto inaugurato a
partire dalla seconda metà dell’Ottocento dai pittori francesi ed era strettamente correlato allo sviluppo
dell'opera lirica.
Il nostro dipinto, eseguito attorno al 1900, è particolarmente prezioso in quanto testimonia il talento
pittorico di questo importante artista negli anni in cui, ancora giovane e appena uscito dall'Accademia, si
confrontava con le novità del Simbolismo, conosceva Kandinsky e si affacciava al mondo del teatro.
Un decennio dopo l'esecuzione del nostro dipinto,
infatti, l'artista e illustratore von Salzmann inizierà a
lavorare anche come tecnico delle luci e scenografo nei
teatri di Parigi, Mosca e Tblisi.
Per lui il teatro diverrà presto il luogo in cui
concretizzare l'idea di "opera d'arte totale",
sperimentando scenografie e soluzioni luministiche
rivoluzionarie.
Questo dipinto apparteneva alla prestigiosa collezione
dell’industriale tedesco Georg Schäfer (1896-1975), a
cui è dedicato l’omonimo museo a Schweinfurt e che
predilesse dipinti di artisti attivi in Germania nel XIX
secolo.
Alexandre de (o von) Salzmann, Autoritratto,
in "Jugend", N.1, 29 dicembre 1904, p.19,
Archivio Basarab Nicolescu.
1
A.FINOCCHI, Lettrici. Immagini della donna che legge nella pittura dell'Ottocento, Nuoro, 1992.
Alexander Gustav von SALZMANN
Tbilisi (Russia), 1874 – Leysin (Svizzera) 1934
Alexander Gustav von Salzmann proveniva da una rispettata famiglia di architetti russo-tedeschi di
Odessa, studiò dapprima a Mosca, per poi trasferirsi a Monaco nel 1898 e frequentare i corsi tenuti dal
pittore simbolista Franz von Stuck presso l'Accademia di belle arti.
Nel 1896 prese parte alla cerchia di pittori che a Monaco seguiranno le novità di Wassily Kandinsky,
fondatore quest'ultimo della Scuola d'arte Phalanx, dove nel 1901 ritroveremo Von Salzmann tra i
docenti.
Ha collaborato ai dipinti murali di Willy von Beckerath per la Kunsthalle di Brema (1906) e a Monaco si
è avvicinato al movimento culturale 'Blaue Reiter' (Cavaliere azzurro) diretto da Kandinsky. Frequentava
inoltre il salotto della baronessa Marianne Werefkin, artista di origini russe che riunì nella sua residenza
di Monaco gli artisti, i ballerini, gli attori e i galleristi più all'avanguardia.
Von Salzmann inoltre dal 1903 al 1923 collaborò come illustratore per numerose edizioni della celebre
rivista settimanale di Monaco "Jugend” (Gioventù), a cui si rifarà nel nome lo Jugendstil, ovvero lo stile
'Liberty' tedesco.
Intorno al 1910-1911 si trasferì a Hellerau, aderendo all'omonima Associazione teatrale e collaborando
attivamente con gli innovatori della musica Emile Jacques-Dalcroze e della scenotecnica Adolphe Appia.
Si deve a lui l'invenzione di un sistema di illuminazione scenica avanguardistico (un 'pentagramma
luminoso') che sarà seguito per tutto il Novecento nei teatri europei e russi, tanto che il nostro artista
sarà definito da un coevo critico teatrale parigino “uno dei più importanti innovatori scenici" 1.
Un altro incontro fondamentale per la sua arte e per la sua spiritualità fu quello con Georges Ivanovitch
Gurdjieff, nel 1917, e che lo porterà poi a fondare una setta religiosa esoterica.
Dal 1921, a Parigi, sarà tra i membri del teatro lirico des Champs-Élysées in cui firmerà gli allestimenti
di alcune opere importanti di Claudel e Gluck. In questi anni a Parigi ha lavorato anche come antiquario
e decoratore ad affresco di numerosi edifici cittadini.
E' morto a Leysin, in Svizzera, di tubercolosi. L'amico René Daumal gli dedicherà il romanzo Le Mont
Analogue.
1
H.R.LENORMAND, "Choses de théâtre", 1922, cfr. C.Di Donato, L'invisibile reso visibile, Aracne Editrice, Roma, dicembre 2013
e Id., Alexandre Salzmann e la scena del XX secolo, Carocci, 2015.
Ferruccio SCATTOLA
Venezia, 1873 – Roma, 1950
Sul Bosforo
Olio su tela, cm. 101 x 72.
Firmato in basso a destra: FScattola
Il dipinto ritrae la veduta di una sponda del Corno d'Oro, a Istanbul, alla fine dell'Ottocento. Sulla sinistra si
intravedono le sagome di due moschee con i caratteristici minareti svettanti. L'artista si è posto dall'altro lato della
baia, su un’altura ancora verdeggiante, priva di costruzioni e con due lapidi antiche. Una figura femminile con un
bambino in braccio domina la scena.
Dei dipinti a olio che Scattola produsse dai
suo schizzi eseguiti durante un viaggio in Turchia,
ne sono documentati altri due: un Tramonto a
Costantinopoli di cui si conosce una stampa di
riproduzione pubblicata sul settimanale milanese
"Illustrazione popolare" nel 1889.
Un altro, intitolato Caffè a Costantinopoli, fu
esposto nel 1897 dall’artista alla Biennale di Venezia.
Di conseguenza, anche il nostro dipinto potrebbe
essere riferibile all’ultimo decennio dell’Ottocento.
Ferruccio Scattola, Tramonto a Costantinopoli,
stampa del 1889 da un suo quadro a olio.
Ferruccio Scattola fu un autodidatta, iniziò a dipingere a 17 anni e si fece conoscere come pittore soprattutto a
partire dal 1894, vincendo il Premio Fumagalli durante la Triennale di Milano con un Interno di San Marco.
Intraprese un viaggio in Oriente durante il quale produsse una notevole quantità di schizzi che, alcune volte,
traspose in dipinti a olio.
Il critico d'arte Arturo Jahn Rusconi, durante una sua personale alla Esposizione di Belle Arti di Roma
del 1907, riconosceva alle sue opere "un altro aspetto della giovanissima pittura veneziana, quella pittura che, sola
fra le attuali scuole regionali, mantiene ancora dei caratteri perspicui e significativi d'un popolo e d'un paese"1.
Scattola ha dipinto molti paesaggi italiani, con vedute di Siena, San Gimignano, Assisi, Roma. Nel 1818
ha esposto le sue opere alla Galleria Pesaro di Milano e troviamo il suo nome anche alle Quadriennali romane del
1935, 1943 e 1958. Fu un sensibile paesaggista, particolarmente attento alla resa atmosferica - spesso malinconica
- dei panorami naturali e urbani, resi con pennellate pastose dai colori brillanti. Per questo, sin dal 1897, fu molto
apprezzato alle varie edizioni veneziane della Biennale, dove ottenne di esporre in una sala personale nel 1924.
1
ARTURO JAHN RUSCONI, L’Esposizione di Belle Arti di Roma, Emporium", giugno 1907, p.407.
William Bell SCOTT
Edimburgo, 1811 – Penkill Castle (Ayrshire), 1890
Studio per “The fatal sisters select the doomed at the battle” (le tre Parche)
Matita su carta; 788 x 1525 mm.
PROVENIENZA: Penkill Castle, Ayrshire; Stone Gallery, Newcastle-upon-Tyne; asta Christie’s Londra, 28 Novembre 2000, lotto
15
Fatal sisters è il titolo di una celebre poesia di Thomas Gray del 1768, ispirata sia al mito romano delle tre
Parche - divinità che presiedono al fato dell'uomo - sia alla tradizione medievale nord europea.
Il nostro disegno riprende questo filone poetico e in particolare raffigura il momento in cui le tre
Parche, qui ritratte come giovani fanciulle, scelgono quale destino assegnare ai vari guerrieri impegnati in
una battaglia.
Esso è con ogni probabilità un bozzetto preliminare per un dipinto esposto da Scott a un’esposizione
annuale della British Institution1 tra il 1851 e il 1852, oggi non pervenuto. Un riferimento a un dipinto
di Scott con questo titolo apparve infatti sulla rivista The Scotsman nel 1852, nel resoconto di Lady
Pauline Trevelyan sull'esposizione annuale di pittura alla Royal Scottish Academy.
Il disegno proviene direttamente dalla collezione della residenza scozzese dell'artista, il Penkill Castel,
nell’Ayrshire. Scott, pittore e poeta al contempo, viveva insieme alla sua compagna Alice Boyd in questo
castello dove fecero loro visita numerosi artisti pre-raffaelliti di rilievo, quali ad esempio William Morris,
Dante Gabriele Rossetti, Arthur Hughes.
Johann Heinrich Füssli, Le tre Streghe, o Parche, 1783
1
The British Institution, 1806-1867: A Complete Dictionary of Contributors and Their Work from the Foundation of the Institution, p.
1908. Una sua opera con questo titolo è nominata anche negli inventari della The Royal Scottish Academy (1826-1916), p.
352 (anno 1852).
William Bell SCOTT
Edimburgo, 1811 – Penkill Castle (Ayrshire), 1890
Poeta, narratore e pittore, William Bell Scott nacque il 12 settembre a Edinburgo. Era fratello del pittore
e stampatore David Scott, insieme al quale studiò presso la Trustees Academy di Edinburgo. Nei primi
anni giovanili lavorò per il padre Robert (1777-1841), un incisore.
William aderì al movimento dei Pre-Raffaeliti e i soggetti storico-religiosi delle sue opere pittoriche
riflettono pienamente le istanze condivise da Dante Gabriel Rossetti. Nel 1843 Scott fu nominato
Master of the Government School of Design a Newcastle-on-Tyne. Particolarmente celebri ed apprezzate le
sue decorazioni murali tra cui la nota composizione intitolata Iron and Coal, nella Wallington Hall, che ha
per oggetto la vita industriale.
Nel 1831 Scott si recò a Londra per qualche mese, dedicandosi allo studio e al disegno dall'antico,
presso il British Museum, salvo ritornarci per stabilirsi stabilmente nella capitale a partire dal 1837.
Il suo primo dipinto, intitolato The Old English Ballad Singer, risale al 1838: anno in cui fu esposto alla
British Institution. Seguirono poi mostre presso la Norfolk Street Gallery (1840), con The Jester, e
numerose esposizioni accademiche che proseguirono fino al 1869.
Attorno al 1855 eseguì per Sir Walter Trevelyan alla Wallington Hall una serie di otto larghi dipinti con
figure a grandezza naturale sulla storia del Northumberland. Completò questa decorazione nel 1863-4
con l'aggiunta di 18 dipinti a olio destinati ai pennacchi degli archi dell'ingresso e riferiti ai temi della
ballata di Chevy Chase.
Nel 1859 Scott strinse un'intima amicizia con miss Boyd del Penkill Castle (Perthshire) che durerà per
tutta la vita. Per lei nel 1868 dipinse una serie di scene che illustravano il King's Quair (il "Libro del Re",
un poema del XV secolo attribuito a Giacomo I di Scozia) lungo i muri di una scala circolare. Fu in
stretto contatto per oltre 50 anni con gli intellettuali e gli artisti più influenti di Londra, tra cui
soprattutto Rossetti, di cui è noto anche un suo ritratto.
Sue le illustrazioni per le edizioni di libri d'arte sui maestri dell'arte europea (Albert Dürer: his Life and
Works, London, 1869; Gems of French Art, London, 1871; The British School of Sculpture, London, 1872;
Murillo and the Spanish School of Painting, London, 1873; The Art of Engraving on Copper and Wood from the
Florentine Niello Workers in the Fifteenth Century to that of William Blake, London, 1880) e sull'arredamento
inglese (Antiquarian Gleanings in the North of England, London, 1851; Half-hour Lectures on the History and
Practice of the Fine and Ornamental Arts, London, 1861).
Nel 1875 pubblicò anche alcuni suoi sonetti corredati da illustrazioni firmate a quattro mani, insieme a
L. Alma Tadema. Scott curò inoltre le edizioni di importanti raccolte poetiche di autori quali Keats
(1873), Byron (1874), Coleridge (1874), Shelley (1874), Shakespeare (1875).
Negli ultimi anni Scott si dedicò infine alla stesura di memorie autobiografiche che furono edite
postume in due volumi dal titolo Autobiographical Notes of the Life of William Bell Scott (1892).
Morì nel 1890 nel castello di Penkill.
SCUOLA INGLESE
Primo quarto del XIX secolo
Personaggi eleganti all’interno delle rovine dell’abbazia di Tintern
Olio su tela; cm. 180 x 120
PROVENIENZA: collezione privata, Roma
Il nostro dipinto raffigura le rovine dell’abbazia di Tintern, nel Galles sud-orientale sulle rive del fiume
Wye.
Il soggetto fu molto caro ai pittori romantici nordeuropei quali Samuel Grimm, Edward Dayes, Samuel
Colman, William Turner, Thomas Girtin, Carl Gustav Carus e John Warwick Smith, che lo ritrassero più
volte.
La nostra veduta esalta l’elevazione gotica dei pilastri che sorreggevano le volte dell’antica abbazia
romanticamente invasi dalla vegetazione. La vegetazione che correva per secoli lungo le strutture
verticali sarà rimossa nel 1914, durante un restauro del sito.
Essa è molto affine a una veduta dallo stesso punto di vista del pittore inglese Samuel Colman (17801845) al quale è molto probabile si possa attribuire il dipinto in questione.
Samuel Colman, L’abbazia di Tintern con figure eleganti (1822-1823), olio su tela,
87 x 117 cm., asta Sotheby’s Londra, 30 novembre 2000 lotto 24.
Una visuale simile si trova anche nelle due versioni ad acquerello di W. Turner del 1794 (Ashmolean
Museum, Oxford e British Museum Lloyd Bequest) e nel dipinto di S. H. Grimm alla National Library
of Wales ad Aberystwyth.
Il sito cistercense di Tintern fu edificato nel 1131 e soppresso nel XVI secolo per volere di Enrico VIII.
Esso è uno dei complessi monastici medievali più conosciuti della Gran Bretagna.
Il suo aspetto di rovina gli ha conferito da sempre un particolare fascino, particolarmente apprezzato
dai letterati e dagli artisti romantici.
Oltre alla descrizione delle rovine dell’abbazia fornita nel 1783 dal Reverendo William Gilpin 1 (uno dei
primi a impiegare il termine picturesque), furono soprattutto i famosi versi di William Wordsworth del
1798 2 a sancire la vallata di Tintern e del fiume Wye come topos dell’immaginario romantico:
How oft, in spirit, have I turned to thee,
O sylvan Wye! Thou wanderer thro’ the woods,
how often has my spirit turned to thee! […]
Di religione protestante, Samuel Colman (si firmava anche Coleman) apparteneva alla “British School” e
si specializzò nella pittura di genere cosiddetto "apocalittico" prediligendo soprattutto soggetti biblici.
Le sue opere sono esposte alla Tate Britain di Londra e allo Yale Center for British Art.
William Turner, Abbazia di Tintern, acquerello, 1794,
Ashmolean Museum, Oxford.
1
2
S. H. Grimm, Abbazia di Tintern,
acquerello, 1780 circa.
W.GILPIN, Observations on the River Wye relative chiefly to Picturesque Beauty, 1783.
W.WORDSWORTH, Lines written a few miles above Tintern Abbey in revisiting the banks of the Wye during a tour July 13th 1798.
Scuola italiana
Prima metà XIX secolo
Insieme di dipinti dei Musei Capitolini di Roma
Olio su tela; cm. 66,5 x 68
PROVENIENZA: collezione privata, New York; collezione privata, Londra.
Il nostro dipinto rappresenta un’ideale parete composta da sette celebri capolavori della pittura italiana
di fine Cinquecento e del Seicento che sono tutti conservati a Roma, nella Pinacoteca dei Musei
Capitolini. Dalla sinistra riconosciamo la Sibilla Persica (1647) del Guercino, il Ratto di Europa (1580-85)
di Paolo Veronese, la Sibilla cumana (1622) di Domenichino, al centro La buona ventura (1593-94) di
Caravaggio, in basso San Sebastiano (1615-16) di Guido Reni, La cacciata di Agar e Ismaele (XVII sec.)
attribuito a Giovanni Bonati e infine la Maddalena penitente (1598-1602) di Tintoretto.
La presenza del quadro di Bonati tra questi capolavori è motivata sia dal fatto che fu attribuito per
molto tempo ad altri più famosi artisti, sia perché Bonati fu anche l’artefice della selezione di dipinti che
vennero a costituire la collezione del cardinale Carlo Francesco Pio, ovvero una parte rilevante della
Pinacoteca Capitolina.
Il nostro trompe l’oeil riprende la tradizione pittorica della raffigurazione di quadrerie private (Cabinet
d'amateur) in auge dal Seicento e che dalla seconda metà del Settecento si era evoluta nella
rappresentazione degli allestimenti museali1. Inoltre, la scelta di riproporre questa selezione di opere può
essere stata motivata anche dall'importanza della Pinacoteca Capitolina che, istituita nel 1748-49 per
volere di Papa Benedetto XIV, rappresentò la prima collezione italiana di dipinti aperta al pubblico. Il
nostro dipinto dunque potrebbe essere inteso anche come un omaggio all'arte italiana e al concetto
moderno di museo. Seppure di difficile attribuzione, è molto probabile che esso sia stato composto per
qualche illustre viaggiatore d’oltralpe quale souvenir del suo Grand Tour.
Fotografie dei dipinti originali
conservati presso i Musei Capitolini
di Guercino, Veronese,
Domenichino, Caravaggio, Reni,
Bonati, Tintoretto.
1
A. SCARPA SONINO, Cabinet d'amateur. Le grandi collezioni d'arte nei dipinti dal XVII al XIX secolo, Berenice, 1992.
Auguste-Jean-Baptiste VINCHON
Parigi, 1789 – Ems (Germania), 1855
Autoritratto dell’artista nella sua camera a Villa Medici
Olio su carta riportata su tela; mm. 432 x 350
Iscritto su cartiglio sul verso: M. Aug. Vinchon dans sa chambre à la Villa Médicis
PROVENIENZA: per discendenza dagli eredi dell’artista; vendita François Odent, Tours, 11 Ottobre 1998, lotto 11; Simon
Dickinson, New York; collezione privata, New York
ESPOSIZIONI: Rome and the Campagna, Oil sketches by Auguste Jean Baptiste Vinchon and other French Artists and a selection of European
Sculpture, Simon Dickinson-Newhouse Galleries, New York 1999 (cat. n. 1)
PUBBLICAZIONI: Maestà di Roma, da Napoleone all’Unità d’Italia, Da Ingres a Degas: gli artisti francesi a Roma, catalogo della mostra,
Académie de France, Roma 2003, p. 52
Il nostro dipinto raffigura l’autoritratto di Auguste-Jean-Baptiste Vinchon nella sua camera a Villa
Medici, che dal 1803 era divenuta sede dell’Académie de France a Roma. Vinchon vi risiedette in qualità
di artista pensionnaire dal 1814 al 1819.
Una fotografia recente
del lato interno di Villa Medici
La finestra della camera si apre sullo scorcio della
facciata interna di Villa Medici, che affaccia sul
giardino interno con al centro la fontana detta “a
Calice”. Da questo particolare taglio prospettico
possiamo desumere che la finestra della stanza di
Vinchon, sita nell’avancorpo laterale adiacente e
perpendicolare al complesso centrale della Villa,
era con ogni probabilità la penultima.
È particolarmente significativo nel nostro dipinto
il forte contrasto tra l’arredamento spartano
dell’interno della stanza del giovane artista e la
vista magnificente della facciata medicea, ricca di
statue, busti e bassorilievi antichi su cui si
affaccia.
La scena ci restituisce uno spaccato di vita degli artisti francesi nell’Italia di inizio Ottocento. Appesa alla
parete del letto si riconosce la sua spada e sulla sedia è poggiato un violino: due oggetti che
suggeriscono ulteriori capacità e interessi di Vinchon.
Questo dipinto rientra nel gruppo di ritratti e autoritratti dall’atmosfera tipicamente “bohemienne” che i
giovani accademici francesi come lui eseguirono in quegli stessi anni felici di vita romana a Villa Medici.
In particolare, sono noti altri tre ritratti dei colleghi pittori Léon Coignet, François-Édouard Picot e
Louis-Vincent-Léon Pallière nelle loro camere dell’Académie a Roma, con la stessa composizione
prospettica con al centro la finestra. La maggior parte di questi dipinti sono accomunati dal supporto, la
carta, e dalle dimensioni ridotte; elementi che ne denotano la destinazione intima e privata, in quanto
destinati ad essere ricordo personale del loro soggiorno romano. Particolare interessante è la
raffigurazione dell’ arredamento delle stanze, con il mobilio piuttosto spartano; nella camera di Vinchon
il letto ed il copriletto sono identici a quelli dipinti da Alaux e Coignet.
L. Coignet, Autoritratto a Villa Medici,
1817-18 (Cleveland, Museum of Art)
J. Alaux, F.-É.Picot a Villa Medici, 1817
(Francia, collezione privata)
J. Alaux, L.-V.-L. Pallière a Villa Medici,
1817 (New York, collezione Wrightsman)
I ritratti in camere con la finestra aperta su una veduta sono un topos della pittura romantica inaugurato a
inizio Ottocento da Caspar David Friedrich con il ritratto della moglie, che evocava i celebri versi del
poeta Novalis: "Nella lontananza tutto diventa poesia: montagne, uomini, accadimenti lontani: tutto
diventa Romantico".1 Questa tipologia di dipinti, che unisce la pittura di interni al genere olandese delle
"figure alla finestra" e a quello della veduta, fu molto popolare in Francia soprattutto a seguito
dell’inaugurazione al museo del Louvre delle frequentatissime sale dedicate alla pittura fiamminga di
interni, avvenuta sotto Napoleone.2 A differenza dei modelli seicenteschi di interni olandesi, dove
l’apertura esterna solitamente è laterale, questi innovativi dipinti francesi di inizio Ottocento presentano
spesso la finestra al centro della composizione e la figura che vi si antepone è sovente il pittore stesso,3
emblema del contrasto romantico tra la dimensione interiore dell’artista e l’immensità della natura.
Esiste un autoritratto di Vinchon, appartenuto alla baronessa de
Pontalba a New Orleans, in cui l’artista è vestito in modo molto simile
a come appare nel nostro dipinto e ha un aspetto giovane che
potrebbe riferirsi alla stessa epoca. Le fonti documentarie
testimoniano inoltre che attorno al 1814, probabilmente prima del suo
trasferimento a Roma, Vinchon fu ritratto anche dal collega Jean
Alaux, pittore di storia, ritrattista anche di Ingres e che diverrà
Direttore dell’Académie de France a Roma dal 1846 al 1852.4
La nostra opera è databile tra 1814 e 1819: periodo del soggiorno
romano dell’artista a Villa Medici.
1
A. Vinchon, Autoritratto,
(New Orléans, già collezione
Pontalba)
S. REWALD, Rooms with a View: the Open Window in the 19th Century, New York, Metropolitan Museum of Art, 2011.
L. EITNER, The Open Window and the Storm-Tossed Boat: an Essay in the Iconography of Romanticism, «Art Bulletin», 37 (dicembre
1955), pp. 283-285.
3
Vinchon ritrasse anche sua moglie seduta alla scrivania del suo studio parigino, con la finestra centrale sullo sfondo, cfr. F.
ODENT, Ensemble De Peintures De Vinchon et De Ses Amis, Argenterie, Art Nouveau - Art Deco, Objets D'Ameublement, Mobilier Du
XVIIIe & XIXe Siècle (cat. dell’esposizione Tours, 11 Ottobre 1998), Tours, 1998, p. 26.
4
“Vinchon (Jean-Baptiste), peintre (1814), par Jean Alaux” notizia riportata sia in Revue de l’Art Français Ancien et Moderne,
Paris, 1884, p. 60 che in H. JOUIN, Musée de portraits d'artistes, peintres, sculpteurs, architectes, graveurs, musiciens, artistes dramatiques,
amateurs, etc: nés en France ou y ayant vécu…, Paris, 1888, p. 193; P.GRUNCHEC, Le Grand Prix de Peinture. Les concours des Prix de
Rome de 1797 à 1863, Paris, 1983, ad v. [1814].
2
Auguste-Jean-Baptiste VINCHON
Parigi, 1789 – Ems (Germania), 1855
Pittore conosciuto soprattutto come interprete di soggetti storico-mitologici e religiosi e come
stampatore, Vinchon a Parigi fu allievo del pittore italiano Gioacchino Giuseppe Serangeli (1768-1852)
e di Jacques-Louis David (1748-1825). Nel 1813 arrivò secondo al “Prix de Rome”, mentre nel 1814 si
aggiudicò il primo posto nella sezione “Pittura” con il dipinto intitolato Diagora di Rodi portato in trionfo
dai suoi figli (Parigi, École Nationale des Beaux-Arts), trasferendosi di conseguenza a Roma, come
borsista (pensionnaire) presso Villa Medici dal 1814 al 1819, sotto la direzione di Thévenin. In questa città
il nostro artista si dedicò soprattutto allo studio della pittura di paesaggio en plein air e alla tecnica
dell'affresco, che metterà in pratica anche una volta rientrato a Parigi nel 1820. Attorno al 1816-17
collaborò insieme ad altri artisti francesi importanti come Jean-Auguste-Dominique Ingres
all’esecuzione di dipinti per la chiesa della Santissima Trinità dei Monti, commissionati dal conte Pierre
de Blacas, in quel periodo ambasciatore di Francia a Roma. In questa occasione Vinchon dipinse ad
affresco una Deposizione (1817) poi andata distrutta.1
Tornato a Parigi, nel 1822 eseguì gli affreschi della cappella di Santa Giovanna d’Arco nella chiesa di
Saint-Sulpice, che raffigurano due episodi della vita di San Maurizio martire. Risale al 1830 la sua
Presentazione della Vergine al Tempio, per la chiesa di Notre-Dame de Lorette. In questa città espose
regolarmente al Salon dal 1822 al 1855.
Tra le sue opere a tematica laica più celebri, si annoverano inoltre un ciclo di scene di storia grecoromana e numerose grisailles presso il museo del Louvre, il dipinto intitolato L’arruolamento volontario del
22 luglio 1792, conservato nel castello di Versailles, e la volta a grisaille del palazzo parigino Brongniart,
che nell'Ottocento era la sede della Borsa, con personificazioni di virtù e mestieri.
Nel 1827 Vinchon fu insignito del titolo onorifico di Cavaliere della Legion d’Onore e nel 1831 vinse un
concorso di pittura per la decorazione della Salle des Séances dell’Assemblea Nazionale: il suo dipinto
Seduta reale per l'apertura delle Camere e la proclamazione della carta costituzionale (oggi a Versailles) fu preferito
a quello del celebre collega Delacroix.
In età matura l’artista divenne capo di una florida stamperia parigina, la "Imprimerie de Vinchon et C.
de Morgues". Nel 1855 fu uno degli artisti più rappresentati all’Exposition Universelle di Parigi; morì
l'estate dello stesso anno, durante un soggiorno termale a Ems, allora parte del Ducato di Nassau.
1
Cfr. Dessins XVe-XXe siècles. La collection du Musée de Tours (cat. mostra, Tours, Musée des Beaux-Arts, 2001), Tours, 2001, pp.
214-215. Il cartone preparatorio della sua Deposizione fu esposto al palazzo dell'Istituto a Parigi nel 1818, cfr. C. GABET,
Dictionnaire des Artistes de l'Ecole Française au XIXe siècle, Paris, 1831, p. 697.
Francesco ZERILLI
Palermo, 1793 – 1837
Veduta di Palermo dal mare
Tempera su carta; mm. 330 x 480
Firmato, localizzato e datato in basso a sinistra: F.sco Zerilli dis. dal Vero, e dip. in Palermo nel 1834.
Palermo, con la corona dei monti sullo sfondo, è raffigurata in tutta la sua monumentalità come poteva
apparire nel XIX secolo al visitatore che proveniva dal mare. La città è incorniciata sul margine sinistro
dal Fortino Tonnarazza e, sull’estrema destra, dal Forte della Garita e, sullo sfondo, da Castellammare.
La nostra veduta presenta una precisa descrizione degli edifici che all'epoca si prospettavano sul mare:
partendo da sinistra riconosciamo borgo Sant’Erasmo, la casina Cutò, Villa Giulia tra i due obelischi, il
Gymnasium dell’Orto Botanico, Palazzo Forcella, Monreale sull’altura in lontananza, caratterizzata dallo
stradone che taglia la montagna, e ancora più in lontananza la sagoma del Castellaccio che si erge sul
monte Caputo. Prosegue la veduta poi con i profili dell’Albergo Trinacria che affaccia sulla passeggiata
della Marina, Palazzo Butera, la Cattedrale e infine il Forte della Garita.
Le carrozze dei nobili si muovono lungo tutta la passeggiata cittadina mentre sul mare sono raffigurate
diverse barche dei pescatori.
Nel 1836 Zerilli dipinse una seconda versione della nostra veduta, oggi conservata nella collezione della
Cassa di Risparmio di Genova1.
Caratteristica del pittore siciliano l’estrema cura che poneva nei dettagli sia degli edifici che della
vegetazione animando sempre le sue composizioni con personaggi. Il suo soggetto preferito fu
Palermo, ma anche la Sicilia. Il capoluogo siciliano fu da lui ritratto da diverse angolazioni e ripreso
numerose volte.
Francesco Zerilli, Veduta della Marina di Palermo,
1825 circa.
1
M. SCOGNAMIGLIO, La riva di Palermo in un dipinto del 1836, «La Casana», 49 (2007), pp. 6-11.
Francesco ZERILLI
Palermo, 1793 – 1837
Francesco Zerilli iniziò la propria carriera artistica sotto la guida di Francesco Ognibene (1785-1837)
privilegiando la pittura figurativa, per poi divenire allievo di Giuseppe Patania (1780-1852) e dedicarsi
per circa tre anni allo studio della pittura di paesaggio. 1
Fondamentale per la sua crescita artistica fu inoltre l’apprendistato sotto Giuseppe Velasco (1750-1827)
uno dei maggiori esponenti del Neoclassicismo siciliano: Zerilli apprese molto dai suoi maestri per
seguire in definitiva la sua predisposizione verso la pittura di paesaggio che lo vide assoluto protagonista
della scuola del vedutismo palermitano del primo XIX secolo.
Fu questo genere di pittura che ne fece un artista apprezzato dalla critica e dalla committenza: le sue
tempere incontrarono immediatamente il favore del pubblico, composto sia da nobili siciliani, e da
turisti in cerca di souvenir, ma anche da importanti committenti stranieri quali l’imperatore d’Austria e il
duca di Buckingham.
Nel corso degli anni si specializzò sempre più in questo genere pittorico e sperimentò nuove tecniche
che gli permisero di ottenere colori più luminosi ed una migliore resa prospettica, grazie all’utilizzo della
camera ottica.2 La sua produzione fu quasi interamente composta di ampie vedute panoramiche per lo
più siciliane, caratterizzate da una minuziosa descrizione del paesaggio e dall’uso di un cromatismo dalle
tonalità molto luminose.
Così lo ricorda lo storico Agostino Gallo: «È il solo che siasi tra i nostri viventi pittori dato di proposito
a coltivare la pittura a tempera nei paesaggi. Egli si è occupato principalmente a ritrarre le vedute dei
contorni di Palermo che sono ricercate dai nazionali e dagli stranieri e vengon da tutti lodate per la
precisione ed esattezza del pennello, per l’intelligenza della prospettiva e del gioco della luce e delle
ombre e per la nettezza delle tinte».3
1
Cfr. M. REGINELLA, Francesco Zerilli, nota biografica, in S. TROISI, Vedute di Palermo, Palermo 1991, p. 165.
Cfr. F. GRASSO, Francesco Zerilli - dal vedutismo prospettico alla verità pittorica, in Zerilli - Kalós, maestri siciliani, Palermo 1992, p. 3 e
S. TROISI e P.TIFOSÌ (a cura di), Di là dal faro. Paesaggi e pittori siciliani dell’Ottocento, Palermo, Villa Zito, 9 ottobre 2014-9 gennaio
2015, Silvana Editoriale, 2014.
3
Cfr. A. GALLO, Saggio sui pittori siciliani dal 1800 al 1842, in Memorie della Sicilia, vol. III, Palermo 1842, p. 136.
2