Nota a sentenza su licenziamento

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Nota a sentenza su licenziamento
Licenziamento per soppressione delle mansioni e loro ridistribuzione
Tribunale di Pesaro 7 febbraio 2013
Giudice Dott. Paganelli
Licenziamento per soppressione delle mansioni – redistribuzione delle stesse – legittimità
del licenziamento
La soppressione delle mansioni quale presupposto del licenziamento non viene meno nel caso che
le mansioni stesse vengano in realtà ridistribuite ad altri lavoratori, rientrando tale redistribuzione
nelle prerogative datoriali in merito alla gestione dell’organizzazione aziendale. Nel caso specifico,
peraltro, si è accertato che la redistribuzione in cui si è sostanziata la riorganizzazione è stata
determinata dall’andamento negativo del conto economico dell’impresa e quindi non si può ritenere
che la decisione aziendale sia stata funzionale ad un mero incremento di profitto.
***
La sentenza in oggetto riguarda un licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo di
una dipendente che ricopriva mansioni di coordinamento nell’ambito dell’amministrazione di
un’azienda, la cui posizione veniva soppressa con ripartizione delle suddette mansioni tra gli altri
lavoratori.
La lavoratrice licenziata ricorreva davanti al Giudice al fine di sentire accertata l’illegittimità del
provvedimento adducendo, a tal proposito, che la soppressione del posto di lavoro non era la
causa del licenziamento ma piuttosto l’effetto di un progetto pianificato e voluto dall’azienda: in
sostanza il datore di lavoro avrebbe progressivamente affidato ad altri dipendenti le mansioni
inizialmente attribuite alla ricorrente in modo da realizzare un progressivo isolamento professionale
di quest’ultima.
In altre parole, la presunta illegittimità del licenziamento avrebbe posto le sue basi sulla
circostanza che le mansioni svolte dalla ricorrente non erano state effettivamente soppresse, come
risultava invece dalla relativa comunicazione pervenutale, bensì assegnate ad altri dipendenti,
alcuni dei quali con minore anzianità di servizio.
Si costituiva in giudizio l’azienda rilevando, diversamente, che il posto di lavoro della ricorrente era
stato soppresso per una scelta riguardante la situazione sfavorevole di mercato, in ragione della
quale l’azienda era stata costretta a riorganizzare le attività lavorative ridistribuendo tra gli altri
lavoratori le mansioni affidate alla dipendente licenziata.
Nella risoluzione della controversia, il ragionamento del Giudice si inserisce all’interno di un quadro
giuridico più volte delineato dalla Corte di Cassazione (Cass. 21282/2006; Cass. 3040/2011; Cass.
7750/2003) la quale, in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ha ripetutamente
declinato dei principi ormai consolidati nella giurisprudenza di merito.
L’assunto giuridico in oggetto fonda le sue radici nei valori cardine dell’ordinamento, ed in
particolare nell’art. 41 della Costituzione: la libertà d’iniziativa economica privata garantita dalla
Carta si manifesta, tra l’altro, anche nella scelta dei criteri di gestione dell’impresa, scelta che viene
chiaramente attribuita al datore di lavoro. In tal senso le ragioni di carattere produttivo, nel cui
ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione
dell’impresa, sono espressione della libertà di iniziativa economica privata, da cui scaturisce quale
conseguenza, l’insindacabilità di tale scelta imprenditoriale da parte dell’organo giudicante. Proprio
a tale principio si attiene il Giudice nella sentenza in oggetto, decidendo di non esercitare alcuna
ingerenza nelle valutazioni di opportunità economico-gestionale effettuate dal datore di lavoro. Del
resto nello stesso modo si esprime l’art. 3 della legge n. 604 del 1966 in base al quale il
licenziamento per giustificato motivo è determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva,
all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa.
Dal quadro delineato non può però escludersi completamente la figura del Giudice, al quale spetta
il ruolo di verificare la reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore. In sostanza il
magistrato dovrà verificare che il riassetto organizzativo, posto a base del licenziamento, sia
effettivo e non pretestuoso, pertanto che non si tratti di una soppressione del posto di lavoro
meramente strumentale ad un incremento di profitto.
Nel caso di specie il licenziamento è stato considerato non censurabile sul piano formale: la
legittimità dello stesso si evince, in primis, dalla motivazione posta alla base del licenziamento, in
quanto quest’ultima, oltre a far riferimento alla soppressione del posto di lavoro ovvero alla
eliminazione delle mansioni (rendendo le due ipotesi alternative ugualmente valide), specifica
ulteriormente come il provvedimento sia connesso alla riduzione del personale determinata da
obiettive esigenze aziendali. La comunicazione pervenuta alla ricorrente non è in tal senso
attaccabile in quanto la soppressione di un posto di lavoro mediante l’accorpamento delle relative
mansioni in capo ad altri dipendenti si manifesta come un’estrinsecazione legittima del potere
datoriale.
E’ palese, inoltre, come nel caso specifico il licenziamento sia risultato strettamente connesso con
la riorganizzazione aziendale che la convenuta stava attuando; tale circostanza si evince dal
negativo andamento economico dell’impresa, la quale aveva chiuso gli esercizi finanziari degli
ultimi anni con gravi perdite. All’interno di tale contesto il Giudice, coerentemente con l’indirizzo
della giurisprudenza di legittimità già citato, ha considerato la decisione aziendale di ridurre il costo
del personale collegata ad effettive ragioni di carattere produttivo – organizzativo e diretta a
fronteggiare situazioni economiche sfavorevoli effettive e non meramente contingenti.
Proprio la negativa situazione economica che si colloca a monte della riorganizzazione aziendale
attuata dall’imprenditore ha portato il Giudice a respingere il ricorso della lavoratrice ed a
pronunciarsi sulla legittimità del licenziamento.