Officina Pasolini_Left 06.08.2016

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Officina Pasolini_Left 06.08.2016
SOMMARIO DEL NUMERO 32 - 6 AGOSTO 2016
PRIMO PIANO
Lupi solitari o che colpiscono in
branco, indottrinati da imam fanatici,
oppure, come lo sparatore di Monaco, ammiratori di Hitler? Esibizionisti
sociopatici? Gente che vuole morire
e perciò uccide? Che magari si odia e
dunque detesta il mondo? Chi sono i
terroristi che insanguinano le nostre
strade, attaccano teatri e supermercati, fanno strage ma prima si mettono in posa, si filmano, lasciano un
messaggio. Firmato col sangue. E noi,
come possiamo difenderci? Magari
senza rinunciare a un caffè, ad andare
per strada senza paura, a sorridere al
prossimo. Ne scrivono per Left Iaccarino, De Pascale, De Giovannangeli,
Manuela Petrucci.
Franco Cardini racconta un sogno:
Istanbul che Napoleone immaginava
capitale del mondo. La città ottomana
e quella laica di Ataturk. Ora è sotto il
giogo di Erdogan, che si sente già solo
e dunque diventa più aggressivo. Ha
persino chiesto all’Italia di non indagare sul figlio. E questa volta Renzi gli
ha risposto da uomo di Stato. Siamo
uno stato di diritto, noi, e non diamo
ordini ai magistrati. Come Erdogan
pretende di fare sul Bosforo.
Ci sono tante altre cose in questo Left.
Un reportage dall’America, su Hillary che dice (anche) cose di sinistra
(quelle di Sanders) ma usa slogan che
sembrano presi da una campagna dei
repubblicani, il partito concorrente.
Spera così di evitare all’America il
pericolo Trump, che Obama definisce
inadatto a governare il Paese.
Pietro Greco inizia a parlarci di scienza e letteratura: questa volta tocca a
Italo Calvino.
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ONDA PAZZA di Mauro Biani
EDITORIALE di Corradino Mineo
LETTERE
PICCOLE RIVOLUZIONI di Paolo Cacciari
IL NUMERO
LA DATA
Il futuro di Istanbul e del pianeta
di Franco Cardini
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Islam fondamentalista,
la macchia si allarga
di Umberto De Giovannangeli
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COPERTINA
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SOCIETÀ
I migranti italiani? Europei
espulsi dal Belgio
di Checchino Antonini
Quelli che dicono spesso no
ma forse voteranno sì
di Luca Sappino
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ESTERI
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Hillary dice cose di sinistra
con parole di destra
di Marina Catucci
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Nel Mar di Cina tra isole contese
di Gabriele Battaglia
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C’è una Las Vegas in Myanmar
testo e fotodi Michele Penna
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CULTURA E SCIENZA
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Identikit del neo terrorista
di Michela AG Iaccarino
Di fronte ai lupi solitari
l’intelligence arranca
di Alessandro De Pascale
David e gli altri
in preda all’Amoklauf
di Manuela Petrucci
Masini: La malattia mentale
c’è ma attenti a generalizzare
di Donatella Coccoli
UP&DOWN
FOTONOTIZIE
VAURANDOM di Vauro Senesi
LIBRI di Filippo La Porta
TEATRO di Massimo Marino
ARTE di Simona Maggiorelli
6 agosto 2016
La rivoluzione culturale di Tosca
di Tiziana Barillà
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Rompiamo il silenzio sullo Yemen
di Simona Maggiorelli
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La lezione di Calvino
di Pietro Greco
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BUONVIVERE di Francesco Maria Borrelli
TELEDICO di Giorgia Furlan
APPUNTAMENTI
TRASFORMAZIONE di Massimo Fagioli
IN FONDO A SINISTRA di Fabio Magnasciutti
La rivoluzione è
un lavoro culturale
«Dobbiamo essere rivoluzionari, non chiuderci davanti alla paura.
E coerenti, anche artisticamente». Da bambina “diversa” ad artista
innamorata della musica indipendente, Tosca si racconta
di Tiziana Barillà
«S
ono stanca di sentire “tanto, oramai è
tutto così”». È un no alla rassegnazione
quello di Tosca, al secolo Tiziana Donati.
Che, elegante e sorridente, ci accoglie a
Roma, dietro lo stadio Olimpico e di fronte all’imponente palazzo della Farnesina. Tra le
mura della sua scuola di arti Officina Pasolini (che
vi raccontiamo nelle pagine che seguono) non si
risparmia nel raccontare dei suoi ideali e della sua
vita, mentre ci accompagna a visitare quello che
definisce «il mio fiore all’occhiello, il mio successo
più grande». Precisa, consapevole, appassionata.
Giunti nella sua stanza, sul muro, giusto sopra la
sua scrivania, leggiamo una scritta: «La rivoluzione è un lavoro poetico».
Cos’è questo, il tuo mantra?
È una frase del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad, che è morto ad aprile scorso
ed è stato un artefice della Rivoluzione, ha anche
fondato la casa della poesia lì a Tunisi. Lo tengo qui perché credo che abbia proprio ragione:
qualsiasi rivoluzione è un lavoro culturale, guarda la Tunisia di oggi, quella Primavera adesso la
chiamano inverno perché si sta tornando indietro. Oggi la rivoluzione è accogliere, e non sparare addosso. È integrarsi, vivere delle cose semplici. È tutto quello che non viene strombazzato,
è la ricerca della bellezza. Essere rivoluzionari è
non chiudersi davanti alla paura.
Tanto più se sei un artista, mi verrebbe da aggiungere...
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Siamo dei privilegiati, perché facciamo un mestiere che ci piace. Mio padre lavorava al poligrafico e ogni mattina si alzava alle 6 per fare un lavoro
che odiava. C’è quel sottile confine dove l’arte da
progetto diventa prodotto. È un confine sottilissimo, non te ne rendi neanche conto e smetti di
ragionare in modo naturale, ovvero: seme, acqua,
pazienza. E invece diventa tutto marketing, un
discount di canzoni. È solo apparenza, si è tutto
ribaltato e adesso importa solo che tu “ti sappia
muovere bene”. Io, invece, sono per le piante…
sono nipote di contadini, del resto.
Anche tu adotti quella che Niccolò Fabi chiama
la «filosofia agricola»?
Esatto! C’ho la filosofia agricola (ride). Quindi c’è
chi decide di diventare una pianta, poi un albero
e poi fa i fiori e c’è chi decide di essere un fiore
reciso.
E tu che pianta sei?
Un glicine! Mi piace molto il glicine…
Cominciamo dal seme, come hai iniziato tu?
La musica mi ha salvato la vita. Da bambina avevo un problema fisico, il reumatismo articolare
acuto; quindi ero cagionevole, sempre in disparte, non potevo correre e scatenarmi, ero spesso
in ospedale. Così ho vissuto la mia infanzia come
una bambina “diversa”. Ricordo che mia nonna
tutti i giorni alle sette di sera andava in chiesa,
a San Timoteo, alla Garbatella, e mi portava con
lei. E lì c’era la signora Iole, la maestra del coro e
ho cominciato a cantare. Funzionava così: terza
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© Paolo Soriani
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panca, gli stonati; seconda panca, gli intonati;
prima panca, i solisti. Mi son detta che almeno lì ci sarei voluta arrivare, e così è stato. Così
la musica è diventata la mia ancora di salvezza,
mi accarezzava e mi faceva compagnia, mi faceva sentire speciale durante i pranzi e le cene di
famiglia, quando mi chiamavano sulla sedia per
cantare (si ferma, sorride con tenerezza). E pensare che da bambina volevo fare l’attrice, a cantare
non ci pensavo nemmeno. Perché, vedi, fare l’attrice per me era un modo di straniarmi da quello
che avevo dovuto vivere e dalla realtà che vivevo.
Da cosa volevi evadere?
Il suono della voce è il primo Sai, io sono della Garbatella, i
veicolo in assoluto: l’uomo miei genitori sono persone umili,
prima ha emesso suoni, poi non mi hanno fatto mai mancamelodie e poi ha parlato, solo re niente ma mio padre ha fatto
poi ha codificato. La musica è tantissimi sacrifici. Quando ero
la prima lingua di un Paese, ragazzina ne ho persi di amici per
è comprensibile anche se non droga... Intanto le mie amiche a
capisci nemmeno una parola 18 anni erano già sposate con figli, ma io volevo una vita diversa:
sognare, evadere. Dopo il diploma di ragioneria,
preso per far contento papà, entrai nella compagnia dialettale di Checco Durante: 16mila lire a
sera, non potevo certo essere indipendente… Facevo decoupage, maglia, uncinetto, collane, qualIL FESTIVAL
siasi cosa per arrotondare. Finché una sera seppi
che in un locale di Roma, il Talent scout, cercavaIl 7 agosto Tosca è sul
no una cantante, mi presentai alle 23,30 in punpalco di Indiegeno fest, to e cantai la “Donna cannone”. Lì seduti c’erano
insieme a Dimartino
Arbore e Mattone, è iniziato tutto così. Sono stata
& Fabrizio Cammaracon loro per sette anni.
ta. La terza edizione
Possiamo dunque dire che è Renzo Arbore il tuo
del festival di musica
“padre” artistico?
indipendente organizSì, Arbore è stato il mio vero grande padrino di
zato da Leave Music, si questo mestiere, Renzo è un uomo libero artistitiene dal 4 al 10 agosto camente. È onesto e libero, e mi ha insegnato la
curiosità. Io c’avevo 19 anni e mezzo, stavo lì e
tra il Golfo di Patti e il
ogni tanto cantavo… finché lui mi chiamò “al priTeatro Greco di Tinmo banco” e cantai al Caso Sanremo, conobbi il
dari. Tra gli altri artisti
mondo e il mondo conobbe me, poi Renzo mi disitaliani che si esibiranse: fine, devi cominciare a camminare con la tue
no: Eugenio Finardi,
gambe. Così ho iniziato con i primi dischi, di cui
Afterhours, Giovanni
non vado molto fiera.
Truppi, Daniele CeloPerché, cosa ti rimproveri?
na, Dente, Francesco
Che la musica che facevo sulla carta, poi veniva
Motta, Cassandra Rafstravolta. Ho passato un brutto periodo, avevo
faele. Tra un concerto
firmato dei contratti capestro… anche se nel frate un altro, si terranno
visite guidate e appun- tempo la mia curiosità mi ha portata a lavorare
con Cocciante, Fossati, Dalla, Ron, Rossana Casatamenti culturali.
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le e Grazia di Michele. Bene o male mi sono alimentata e sono nate tante canzoni.
È in quel periodo che l’Italia ti ha scoperto, al
fianco di Ron, sul palco dell’Ariston. Anche se rivestita con nuovi arrangiamenti, la canti ancora
“Vorrei incontrarti fra cent’anni” nei tuoi live.
Non rinneghi il tuo passato...
Se una cosa la faccio, la faccio perché mi va.
Quello è stato il punto di partenza della mia popolarità, mi sono divertita a dargli la mia veste,
ma quel momento è stato per me il più bello e
brutto insieme: bello, perché entrata all’Ariston
con occhialetti e maglione over size so’ uscita che
non potevo gira’ pe’ strada, ci abbracciavano per
strada! Però, al contempo entri a far parte di un
sistema che si aspetta tanto da te, e quelle aspettative non le puoi deludere. Ero entrata in un
meccanismo folle. E, infatti, anche quando mi
sono liberata da quei contratti capestro facendo
un disco che prese anche la targa Tenco, non mi
sono goduta quel lavoro, perché vivevo tutto con
ansia.
E adesso?
Adesso, invece, sto bene così. Non pensare che
sia presunzione... i compromessi li faccio anch’io,
sono dappertutto, ma devono essere diretti verso
l’alto, devono farti crescere e stare bene. E, soprattutto, essere coerenti. Sai quanti colleghi miei
vedo che blaterano su facebook e poi vanno alla
corte di personaggi che politicamente non c’entrano niente con quel blaterare? Anche in questo
ci vuole coerenza, coerenza artistica, non puoi
andarti a ingrassare le tasche in situazioni che
politicamente portano a un abbrutimento. Tanto
più se sei un punto di riferimento, perché hai dei
doveri, hai generazioni che ti seguono. E così facendo, “sdogani”.
Parli di doveri, di coerenza, di politica. Non temi
di essere tacciata come “vecchia sfigata”?
No, si tratta di appartenenza e di cultura, di quel
che si è fatto e si è seminato. E non è nemmeno
snobberia, perché le cose non sono meglio o peggio, ma diverse. Quello “sdoganamento” produce lo stesso effetto del populismo: è tutto uguale. Oggi su dieci ragazzi due hanno l’esigenza di
“dire”, otto hanno l’esigenza di apparire. E non dipende certo da loro, ma dal sistema in cui stanno.
Questo “sistema” riguarda anche l’altro tuo
amore, il teatro?
Non è certo messo meglio, e questa nuova legge sul teatro ha aggravato la situazione, facendo
che il teatro divenisse ancora di più una cosa di
“scambisti”.
In che senso?
Il teatro privato prende un “nome di punta” oppure non lavora. Per incassare cerca il nome di
richiamo, che deve necessariamente avere a che
fare col cinema o la televisione. È grave, perché
determina l’assenza di un ricambio generazionale. Perciò un Gabriele Lavia, che è un signore del
teatro, non ha un “successore” e oggi non c’è un
Gabriele Lavia di 30 anni. Questo succede anche
perché non c’è una competenza del pubblico in
grado di valutare la bravura. È più competente il
pubblico dello stadio... se metti quello sbagliato al centrocampo fanno un casino! Ma a teatro
il consumismo ha preso il posto della bravura. E
la deriva culturale si ripercuote su tutto. Prima o
poi fai il deserto, perciò bisogna avere coscienza
e coerenza.
Ascoltare e viaggiare: con il tuo progetto “Il suono della voce” vai in giro per il mondo e rendi
omaggio alla canzone yiddish, portoghese, francese, rumena, giapponese, libanese, tedesca, cinese, araba. Ad ascoltarti con tutte quelle lingue,
si viaggia da fermi.
Il suono della voce è il primo veicolo in assoluto:
l’uomo prima ha emesso suoni, poi melodie e poi
ha parlato, solo poi ha codificato. La musica è la
prima lingua di un Paese, è comprensibile anche
se non capisci nemmeno una parola. Tutte le canzoni che ho scelto hanno in comune l’emozione
che la loro musica ha suscitato in me, e quando
sono andata a comprenderne il testo quell’emozione non mi ha mai tradita. È un’onda elettiva,
che inseguo andando in giro con gli artisti di quei
Paesi, che mi fanno da Cicerone nel loro mondo
dell’arte. In ogni luogo c’è una guida che mi racconta il momento artistico del suo Paese.
Tu, da italiana, come lo definiresti il nostro, di
momento artistico?
Quando me lo chiedono rispondo che, purtroppo, c’è un grave abbrutimento. Ma dovrà succedere qualcosa… Una volta Bertinotti mi disse:
prima o poi succede l’inaspettato e tutto cambia.
E io sono in attesa che tutto cambi. Basta resistere, resistere, restere! (ride) Ma appassionandosi e
difendendo quello che amiamo e apprezziamo,
ecco perché mi sono innamorata della musica
indipendente: Dimartino, Cammarata, Motta e
Truppi. Sono artisti veri, che ti danno un pezzo
del loro cuore.
L’officina delle arti,
dei mestieri e delle idee
«È
il mio fiore all’occhiello, il mio successo più
grande. È una bellissima oasi dove veniamo a
prendere fiato». Così Tosca definisce l’Officina delle
Arti Pier Paolo Pasolini, il laboratorio di alta formazione del teatro, della canzone e delle arti multimediali di
Roma. È qui che l’abbiamo incontrata per l’intervista
che potete leggere in queste pagine. Una lunga chiacchierata durante un’altrettanto lunga “visita guidata”,
tra teatri, aule e sale di registrazione. Promosso dalla
Regione Lazio con il Fondo sociale europeo in collaborazione con l’Università degli Studi Roma Tre e il
Conservatorio Santa Cecilia, il progetto “Officina dei
mestieri” e sostenuto dal presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e dall’assessore alla Formazione
Massimiliano Smeriglio. Officina Pasolini è un progetto rivolto ai giovani diplomati tra i 18 e i 35 anni e la
partecipazione ai corsi è completamente gratuita. A
coordinare le tre aree di indirizzo della scuola è Tosca
per la sezione “Canzone”, Massimo Venturiello per il
Teatro e Simona Banchi per la sezione Multimediale.
«Quando dai vita ad altre vite artistiche non ha prezzo», racconta Tosca. «Con i ragazzi discutiamo e componiamo, studiamo insieme. In questo posto competizione non ce n’è. Siamo noi, sono io a imparare da loro,
ascoltandoli mentre parlano a cuore aperto. È questo il
principio del jazz, della musica popolare… è il principio della terra: uno serve all’altro. E ogni cosa serve».
t.b.
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