Inno ad Afrodite (V)

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Inno ad Afrodite (V)
Inno ad Afrodite (V)
O Musa, dimmi le opere di Afrodite d'oro,
dea di Cipro, che infonde il dolce desiderio negli dei
e domina le stirpi degli uomini mortali,
e gli uccelli che volano nel cielo, e tutti gli animali,
quanti, innumerevoli, nutre la terra, e quanti il mare:
tutti hanno nel cuore le opere di Citerea dalla bella corona.
Ma vi sono tre dee, il cui animo ella non può convincere, né ingannare.
Una è la figlia di Zeus portatore dell'egida, Atena dagli occhi scintillanti:
a lei non sono care le opere di Afrodite d'oro,
ma in verità le sono care le guerre, e l'opera di Ares,
le mischie e le battaglie; e ama dare impulso a opere egregie.
Per prima insegnò agli artefici che vivono sulla terra
a costruire cocchi, e carri adorni di bronzo;
poi alle vergini dalla pelle delicata, nelle loro stanze,
insegnò le opere egregie, dettandole alla mente di ognuna.
Né mai Afrodite che ama il sorriso assoggetta all'amore
Artemide dalle frecce d'oro che ama i clamori della caccia:
a lei sono cari gli archi, e la strage delle fiere sui monti,
e le cetre e le danze e le alte grida,
e i boschi ombrosi, e le città degli uomini giusti.
Né le opere di Afrodite sono care alla vergine augusta,
Estia, che Crono dalla falce ricurva generò per prima,
e poi di nuovo per ultima, secondo il volere di Zeus portatore dell'egida;
dea veneranda che desiderarono Posidone e Apollo:
ma lei certo non acconsentiva, anzi fermamente li respinse,
e pronunciò il giuramento solenne, che non è mai venuto meno,
toccando la testa del padre Zeus portatore dell'egida,
di restare vergine in eterno, ella divina tra le dee.
A lei Zeus, in luogo delle nozze, concesse un alto privilegio:
ella siede nel centro della casa, ricevendo pingui offerte,
è venerata in tutti i templi degli dei,
e presso tutti i mortali è la più venerata fra le dee.
Di queste Afrodite non può convincere l'animo, né
ingannarlo ; ma fra gli altri esseri non v'è alcuno che sappia sfuggirle,
né fra gli dei beati, né fra gli uomini mortali.
E turbò perfino la mente di Zeus che gioisce del fulmine,
che è il più grande, e ottenne il più grande potere:
e quando vuole, illudendo il suo animo saggio,
facilmente lo spinge ad unirsi con donne mortali,
inducendolo a dimenticarsi di Era, sua sorella e sposa,
che fra le dee immortali è di gran lunga la più bella;
e più gloriosa di ogni altra la generarono Crono dalla falce ricurva
e Rea, sua madre; e Zeus che formula eterni disegni
la scelse come nobile e solerte sposa.
Ma anche a lei Zeus infuse nel cuore il dolce desiderio
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di unirsi a un uomo mortale, perché al più presto
nemmeno lei fosse immune da un letto mortale,
e perché Afrodite che ama il sorriso, al cospetto di tutti gli dei,
non potesse più dire con orgoglio, dolcemente irridendo,
di avere indotto gli dei ad unirsi con donne mortali
che avevano generato loro figli mortali,
e di avere indotto le dee ad unirsi con uomini mortali.
Dunque le infuse nel cuore un dolce desiderio di Anchise,
che allora, sulle alte vette dell'Ida ricca di fonti,
soleva pascere gli armenti, simile nella figura agl'immortali.
E quando poi lo vide, Afrodite che ama il sorriso
lo desiderò, e la passione prese profondamente il suo animo.
Mosse verso Cipro, ed entrò nell'odoroso tempio,
a Pafo, dove possiede un santuario e un'ara odorosa.
Quando fu entrata, chiuse la porta risplendente,
e le Grazie la detersero, e la unsero con l'unguento
soprannaturale che cosparge gli dei che vivono in eterno,
divino, dolce, che era stato profumato per lei.
E dopo aver bene indossato tutte le sue belle vesti,
adornatasi d'oro, Afrodite che ama il sorriso
si affrettò verso Troia, lasciando il giardino fragrante,
e compì rapidamente il suo viaggio, in alto, fra le nubi.
Giunse all'Ida ricca di fonti, madre di fiere,
e mosse direttamente al recinto, attraverso la montagna; al suo seguito
docili andavano grigi lupi, fieri leoni,
orsi, e veloci pantere avide di caprioli:
al vederli gioiva nella mente e nel cuore,
e infondeva nei loro petti il desiderio: ed essi,
tutti nel medesimo tempo, giacevano a coppie nelle vallate ombrose.
Afrodite intanto giungeva alle ben costruite capanne:
e trovò, lasciato al recinto, in disparte dagli altri,
l'eroe Anchise, che aveva ricevuto la bellezza dagli dei.
I suoi compagni avevano seguito i buoi, per i pascoli erbosi,
tutti; ed egli, lasciato al recinto, in disparte dagli altri,
qua e là si aggirava, levando dalla lira note sonore.
Si fermò davanti a lui Afrodite, figlia di Zeus,
simile nella statura e nell'aspetto a una vergine fanciulla,
perché egli scorgendola coi suoi occhi non avesse timore di lei.
Anchise la vide, e la osservava, e ammirava
l'aspetto, la statura, e le fulgide vesti.
Ella indossava un peplo più lucente della vampa del fuoco;
portava fermagli ricurvi, a spirale, e orecchini risplendenti;
intorno al delicato collo erano meravigliose collane,
belle, d'oro, riccamente lavorate: e come la luna
brillavano, prodigio a vedersi, sul petto delicato.
L'amore prendeva Anchise; ed egli le rivolse queste parole:
«Io ti saluto, Signora, chiunque fra i beati sia tu che
vieni a questa casa,
Artemide, o Leto, o Afrodite d'oro,
o la nobile Temi, o Atena dagli occhi scintillanti;
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o forse tu che sei venuta sei una delle Grazie
che si accompagnano con tutti gli dei, e sono chiamate immortali,
o una delle ninfe che vivono nelle belle selve,
o delle ninfe che abitano questa bella montagna,
e le sorgenti dei fiumi, e i prati erbosi.
Sopra una vetta, in un luogo ben visibile intorno,
io ti eleverò un'ara, e ti consacrerò belle offerte,
in tutte le stagioni; ma tu con animo propizio
consentimi d'essere glorioso fra i Troiani
e concedimi per il futuro una stirpe fiorente, e che io stesso
a lungo viva felicemente, e veda la luce del sole,
ricco fra il popolo, e raggiunga la soglia della vecchiaia».
E gli rispose allora la figlia di Zeus, Afrodite:
«O Anchise, pieno di gloria fra gli uomini nati sulla terra,
io non sono certo una dea: perché mi assomigli alle immortali?
Sono, invece, mortale, e donna è la madre che mi ha generato.
Mio padre è Otreo, dal nome illustre — forse te n'è giunta la fama -,
che regna su tutta la Frigia dalle belle mura.
Ma io ben conosco la vostra lingua, come la nostra;
infatti mi allevò nella mia casa una nutrice troiana, che sempre
ebbe cura di me, da quando ero infante: le ero stata affidata da mia madre;
perciò io ben conosco anche la vostra lingua.
Ma ora il dio dal caduceo d'oro, uccisore di Argo , mi ha rapita
alla danza di Artemide dalle frecce d'oro, che ama i clamori della caccia.
Noi — molte ninfe, e fanciulle degne di grandi ricchezze stavamo danzando, e intorno una folla infinita ci faceva corona:
di là mi ha rapita il dio dal caduceo d'oro, uccisore di Argo,
e mi ha portata per molta terra lavorata da uomini mortali,
molta non divisa e non coltivata, dove le belve
voraci si aggirano per le ombrose vallate;
e pensavo che non avrei più posto piede sulla terra generatrice di biade.
Ma egli mi diceva che sarei stata chiamata legittima moglie
di Anchise, presso di lui, nel suo letto; e ti avrei generato splendidi figli.
E dopo avermi tutto spiegato, e indicato la via, egli di nuovo
tornò fra le stirpi degl'immortali, il forte uccisore di Argo;
ed ecco, io sono venuta a te: mi costringeva la necessità inflessibile.
Ma io ti supplico per Zeus, e per i tuoi nobili genitori
- poiché, certo, degli umili non ti avrebbero generato qual sei —:
conducimi vergine e inesperta dell'amore
al cospetto di tuo padre e della madre solerte
e dei tuoi fratelli, nati dalla stessa tua stirpe;
per loro io sarò non indegna congiunta, ma degna .
E manda presto un messaggero tra i Frigi dai veloci cavalli
per informare mio padre, e la madre ansiosa;
essi ti manderanno oro in abbondanza, e vesti tessute:
e tu accetta i molti e magnifici doni come dote.
Dopo aver fatto queste cose, celebra le nozze desiderate,
onorate dagli uomini e dagli dei immortali».
Con queste parole, la dea gl'infuse nell'animo un dolce desiderio.
L'amore prendeva Anchise; egli le rivolse la parola e disse:
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«Se tu sei mortale, se la madre che ti ha generato è una donna,
se tuo padre è Otreo, dal nome illustre, come tu dici,
e qui sei giunta per volontà del messaggero immortale,
Ermes, e devi essere chiamata per sempre mia sposa,
allora nessuno degli dei né degli uomini mortali
qui mi fermerà prima che mi sia unito con te in amore
subito, nemmeno se lo stesso Apollo arciere
scoccasse dall'arco d'argento i suoi dardi funesti.
Io sono pronto, o donna simile alle dee,
dopo essere salito al tuo letto, a sprofondare nella dimora di Ade».
Così dicendo la prese per mano, e Afrodite che ama il sorriso
lo seguiva distogliendo il volto, e abbassando i begli occhi,
verso il soffice letto, dove esso già prima era pronto per l'eroe,
coperto di morbide coltri; e sopra
stavano pelli di orsi e di leoni dal ruggito profondo,
ch'egli aveva ucciso sulle montagne sublimi.
E quando furono saliti sul letto ben lavorato
Anchise dapprima le tolse gli splendidi ornamenti:
le fibbie, i fermagli ricurvi, a spirale, gli orecchini, le collane;
le sciolse poi la cintura, la spogliò delle fulgide vesti,
e le depose sopra un seggio dalle borchie d'argento;
infine per la volontà e il fato degli dei
giacque, egli mortale, con una dea immortale, senza saperlo.
E quando venne il tempo che i pastori guidano alla stalla
i buoi e le pingui pecore dai pascoli fioriti,
allora la dea versò su Anchise un dolce sonno
sereno, ed ella indossò le belle vesti.
E dopo ch'ebbe cinto con grazia tutte le vesti, la divina fra le dee
si erse nella capanna: il suo capo toccava
il tetto ben costruito, e raggiava dal volto la bellezza
immortale che si addice a Citerea coronata di viole.
Destò l'eroe dal sonno, gli rivolse la parola, e disse:
«Sorgi, o Dardanide: perché dunque ti abbandoni a un sonno profondo?
e dimmi se ti sembra che io sia ancora tale
quale dapprima mi hai veduta coi tuoi occhi».
Così parlò; ed egli, prontamente destandosi, le diede ascolto.
Ma quando vide il collo e i begli occhi di Afrodite
ne fu atterrito, e rivolse altrove gli occhi;
poi si coprì col mantello il bel volto,
e, supplicandola, pronunciò queste parole alate:
«O dea, subito, non appena ti vidi coi miei occhi,
compresi che tu eri una immortale: e tu non mi hai detto il vero.
Ma, te ne prego per Zeus portatore dell'egida,
non lasciare ch'io dimori tra gli uomini menando vita da invalido,
e abbi invece pietà di me: poiché non ha una vita fiorente
colui che giace con le dee immortali».
A lui allora rispose la figlia di Zeus, Afrodite:
«O Anchise, pieno di gloria fra gli uomini mortali,
abbi coraggio, e non turbarti oltre misura nell'animo:
infatti non devi temere di subire del male, proprio da me,
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e nemmeno dagli altri beati: poiché in verità tu sei caro agli dei.
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Tu avrai un figlio che regnerà sui Troiani
e dai suoi figli nasceranno senza fine altri figli;
il suo nome sarà Enea, perché un angoscioso
dolore mi ha colta per essere discesa nel letto di un uomo mortale.
E sempre i nati dalla vostra stirpe saranno simili agli dei
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per la maestà dell'aspetto, più di ogni altro fra gli uomini mortali.
In verità, il saggio Zeus rapì il biondo Ganimede
per la sua bellezza, affinchè vivesse tra gl'immortali
e nella dimora di Zeus versasse da bere agli dei
- prodigio a vedersi, onorato da tutti gl'immortali 205
attingendo il rosso nettare dal cratere d'oro.
Un dolore inconsolabile invase l'animo di Troo, che non sapeva
dove il turbine divino gli avesse rapito suo figlio:
da allora egli lo piangeva sempre, ininterrottamente.
E Zeus ebbe pietà di lui, e gli diede, in compenso del figlio,
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cavalli dal rapido passo, di quelli che portano gl'immortali.
Questi gli diede, perché li tenesse come dono; e ciò ch'era accaduto gli espose,
per mandato di Zeus, il messaggero uccisore di Argo:
che il figlio era immortale, e immune da vecchiezza, come gli dei.
Quando poi egli ebbe udito il messaggio di Zeus
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smise di piangere, e si rallegrò nel suo animo:
e lieto si lasciava portare dai cavalli rapidi come la tempesta.
Così, poi, l'Aurora dai fiori d'oro rapì Titone,
della vostra stirpe, simile agl'immortali;
e si avviò per chiedere a Zeus dalle nere nubi
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ch'egli fosse immortale, e vivesse in eterno:
a lei Zeus assentì con un cenno, ed esaudì il suo desiderio.
Stolta, e non pensò nella sua mente, l'Aurora veneranda,
a chiedere la giovinezza, e a tener lontana la vecchiaia rovinosa.
E in verità, fin quando egli era nella molto amabile giovinezza,
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godendo l'amore dell'Aurora dai fiori d'oro, che sorge di buon mattino,
dimorava presso le correnti dell'Oceano, ai confini della terra:
ma quando le prime ciocche bianche scesero
giù dal bel capo e dal nobile mento,
dal suo letto si astenne l'Aurora veneranda;
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tuttavia, tenendolo nelle sue stanze, lo nutriva
di cibo terreno e di ambrosia, e gli donava belle vesti.
Ma quando con tutto il suo peso gravò su di lui l'odiosa vecchiaia
ed egli non riusciva più a muovere né a sollevare le membra,
questa nel suo animo le sembrò la decisione migliore:
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lo relegò nell'interno della casa, e serrò su di lui le porte risplendenti.
La sua voce mormora senza fine, ma il vigore
non è più quello che un tempo risiedeva nelle agili membra.
Io certo non vorrei che tu, in tale stato, fra gl'immortali
fossi immortale, e vivessi in eterno.
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Certo se tu continuassi a vivere così come sei ora
nella figura e nell'aspetto, e fossi chiamato mio sposo,
il dolore non avvolgerebbe, in seguito, il mio saldo animo.
Ora invece ti avvolgerà la vecchiaia crudele,
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inesorabile, che poi non lascia più gli uomini,
devastatrice, estenuante, che gli stessi dei hanno in odio.
Io poi subirò grande biasimo a causa di te,
ogni giorno, per sempre, fra gli dei immortali,
che finora temevano le mie parole, e le trame con cui prima o dopo
tutti gl'immortali spinsi ad unirsi con donne mortali:
tutti, infatti, la mia volontà soggiogava.
Ma ora non più la mia bocca oserà ricordare
queste cose fra gl'immortali, poiché ho commesso una grave colpa,
indegna, inenarrabile; ho smarrito la ragione
e ho concepito un figlio giacendo con un mortale.
Non appena egli vedrà la luce del sole
lo alleveranno le ninfe oreadi, dal florido seno,
che abitano questa alta, divina montagna.
Esse non somigliano né ai mortali, né agl'immortali:
vivono a lungo, e mangiano il cibo degli dei,
e amano la bella danza con gl'immortali.
Con loro i Sileni, e l'uccisore di Argo, dall'acuto sguardo,
si uniscono in amore nel profondo delle piacevoli grotte.
Quando esse nascono, abeti o querce dall'alta chioma
germogliano con loro sulla terra nutrice di uomini,
belli, fiorenti sulle montagne sublimi.
Si ergono inaccessibili, e li chiamano sedi sacre
degl'immortali; né mai gli uomini li tagliano col ferro.
Ma quando incombe su di loro il destino di morte
dapprima i begli alberi si disseccano sulla terra,
la corteccia intorno inaridisce, cadono i rami;
e insieme l'anima delle ninfe lascia la luce del sole.
Esse alleveranno mio figlio, tenendolo con loro:
ed io stessa - poiché voglio dirti tutto ciò che ho in mente dopo quattro anni verrò a te di nuovo, portandoti il figlio.
Non appena tu lo scorgerai coi tuoi occhi, nel suo fiore,
ti rallegrerai nel vederlo: infatti sarà davvero simile a un dio;
e subito lo porterai a Ilio battuta dal vento.
E se qualcuno ti chiederà, fra gli uomini mortali,
chi sia la madre che ha portato tuo figlio nel grembo,
rispondigli come io t'impongo, e non dimenticare:
«in verità, dicono che sia figlio di una ninfa dal roseo volto,
di quelle che abitano questo monte rivestito di selva».
Se invece tu racconterai, e ti vanterai con animo folle,
di esserti unito in amore con Citerea dalla bella corona,
Zeus, adirato, ti colpirà con la folgore fumante.
Tutto ti è stato rivelato; e tu, meditando nel tuo animo,
guardati dal nominarmi, e temi l'ira degli dei ».
Così disse, e si lanciò verso il cielo percorso dai venti.
Salve, o dea, signora della ospitale Cipro:
dopo aver cominciato da te, io passerò a un altro inno.
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